Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento giustizia
Titolo: Disciplina sanzionatoria in materia di false comunicazioni sociali e di altri illeciti societari - A.C. 1895 (Schede di lettura e riferimenti normativi)
Riferimenti:
AC N. 1895/XVI     
Serie: Progetti di legge    Numero: 183
Data: 19/06/2009
Descrittori:
DIRITTO PENALE   REATI CONTRO LA FEDE E LA MORALE PUBBLICA E L' ECONOMIA
SOCIETA'     
Organi della Camera: II-Giustizia

 

Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di
Progetti di legge

Disciplina sanzionatoria in materia
di false comunicazioni sociali e di
altri illeciti societari

A.C. 1895

Schede di lettura e riferimenti normativi

 

 

 

 

 

 

n. 183

 

 

 

19 giugno 2009

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Giustizia

 

 

 

 

 

 

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File: gi0213.doc

 


INDICE

Schede di lettura

Quadro normativo  3

§      Il decreto legislativo n. 61 del 2002 e la cd. legge sul risparmio  3

§      La giurisprudenza costituzionale e comunitaria  12

Contenuto della proposta di legge  15

Riferimenti normativi

§      Codice Penale (artt. 62 e 69)29

§      Codice civile (artt. 2433-bis e 2621-2642)31

§      D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58.  Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21 della L. 6 febbraio 1996, n. 52.  (artt. 119, 154-bis, 184, 187-bis,187-ter, 187-quater)44

§      D.Lgs. 11 aprile 2002, n. 61. Disciplina degli illeciti penali e amministrativi riguardanti le societa' commerciali, a norma dell'articolo 11 della legge 3 ottobre 2001, n. 366  50

Giurisprudenza costituzionale

§      Sentenza 26 maggio – 1° giugno 2004, n. 161  61

 

 


Schede di lettura

 


Quadro normativo

Il decreto legislativo n. 61 del 2002 e la cd. legge sul risparmio

La proposta di legge in esame interviene sul Titolo XI del Libro V del codice civile, recante Disposizioni penali in materia di società e di consorzi.

Su tale titolo sono intervenuti prima, con un’integrale riscrittura, il decreto legislativo n. 61 del 2002[1] (attuativo della delega contenuta nella legge 3 ottobre 2001, n. 366[2]), quindi, la cd. legge sul risparmio (legge n. 262 del 2005[3]).

 

Capo I – Reati di falsità (artt. 2621-2625)

Per quanto concerne il cd. falso in bilancio, il decreto legislativo n. 61 del 2002 ha previsto due autonome fattispecie incriminatrici differenziate sul presupposto della esistenza o meno di un danno patrimoniale ai soci o ai creditori.

 

La prima fattispecie, prevista dal nuovo art. 2621 c.c. e rubricata “false comunicazioni sociali”, mira a salvaguardare quella fiducia che deve poter essere riposta da parte dei destinatari nella veridicità dei bilanci o delle comunicazioni della impresa organizzata in forma societaria.

A questa ipotesi (direttori generali, sindaci e liquidatori che nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali previste dalla legge espongono fatti non veri ovvero omettono informazioni la cui comunicazione sia imposta dalla legge) viene riservato un trattamento di minore severità sanzionatoria rispetto a quella prevista dall’articolo 2622 c.c., prevedendo (comma 1) una fattispecie di pericolo («…in modo idoneo ad indurre in errore i destinatari…»), di natura contravvenzionale («…sono puniti con l'arresto fino ad un anno e sei mesi») e punita solo se commessa con dolo intenzionale («…con l'intenzione di ingannare i soci o il pubblico e al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto»).

La disposizione prevede poi alcuni casi di non punibilità del fatto (commi 3 e 4):

§         la punibilità è esclusa se le falsità o le omissioni non alterano in modo sensibile la rappresentazione della situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo;

§         la punibilità è esclusa se le falsità o le omissioni determinano una variazione del risultato economico di esercizio, al lordo delle imposte, non superiore al 5%, o una variazione del patrimonio netto non superiore all’1%;

§         la punibilità è esclusa in caso di valutazioni estimative che, singolarmente, differiscono di non più del 10% da quelle corrette.

 

Su tale prima fattispecie, è intervenuta la cd. legge sul risparmio, che, da un lato, ha tenuto fermi tutti gli elementi propri del reato contemplati al comma 1 (oggetto materiale, elemento oggettivo, elemento soggettivo, condizioni di procedibilità, ipotesi di non punibilità del fatto) nonché la sua natura contravvenzionale; dall’altro ha apportato le seguenti significative novità:

§         ha ampliato il novero dei soggetti attivi (mediante l’indicazione, accanto agli amministratori, ai direttori generali, ai sindaci ed ai liquidatori, dei dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari);

§         ha innalzato la pena edittale (dall’arresto fino ad un anno e sei mesi all’arresto fino a due anni);

§         inserendo un ulteriore comma, ha previsto una sanzione amministrativa da irrogare ai soggetti che, pur avendo diffuso false comunicazioni sociali dotate di attitudine ingannatoria, con lo scopo di indurre in errore i soci o il pubblico e al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto vantaggio, non sono sanzionabili penalmente in quanto ricorre uno dei casi di non punibilità previsti dai commi 3 e 4 (v. sopra): sanzione amministrativa pecuniaria da 10 a 100 quote, nonché interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese da 6 mesi a 3 anni[4].

 

La seconda fattispecie, di cui all’art. 2622 c.c., rubricata “false comunicazioni sociali in danno ai soci e ai creditori”, pur riproponendo sotto forma di modalità comportamentali le condotte previste nella ipotesi contravvenzionale, ha natura delittuosa («…reclusione…»).

La fattispecie mira a tutelare il patrimonio ed è costruita come reato di danno («…cagionano un danno patrimoniale ai soci o ai creditori…»).

La norma prevede, peraltro, due differenti ipotesi di delitto di false comunicazioni sociali - l’una commessa nell’ambito di società quotate e l’altra consumata in seno alle altre società di capitali – che si differenziano nel trattamento sanzionatorio e nella procedibilità:

-          società non quotate, la reclusione va da 6 mesi a 3 anni e la procedibilità è a querela (comma 1);

-          società quotate, la pena è la reclusione da 1 a 4 anni e si procede d’ufficio (comma 3).

La disposizione riproduce poi (commi 5 e 6) i casi di non punibilità già contenuti nell’art. 2621 (v. sopra) e fa salva la perseguibilità d'ufficio nell'ipotesi in cui il fatto integri un delitto commesso in danno dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee (comma 2).

Anche su tale fattispecie è intervenuta la legge sul risparmio, che in particolare:

§         al comma 1, ha ampliato la categoria dei soggetti attivi del reato, mediante l’indicazione - accanto agli amministratori, ai direttori generali, ai sindaci e ai liquidatori - dei dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari;

§         per quanto riguarda l’evento e i soggetti passivi del reato (rubrica e comma 1) attribuisce rilevanza - oltre alla diminuzione del patrimonio dei soci o dei creditori - anche alla diminuzione del patrimonio della società;

§         nella ipotesi di false comunicazioni relative a società quotate il legislatore attribuisce rilievo penale al “grave nocumento ai risparmiatori”: in particolare, quando si verifichi questa eventualità, la pena della reclusione da irrogare può variare da 2 e 6 anni (nuovo comma 4);

§         ai sensi del nuovo comma 5 il nocumento al risparmio si considera grave quando riguarda un numero di risparmiatori superiore allo 0,1 per mille della popolazione risultante dall’ultimo censimento ISTAT (attualmente si tratta di circa 28.500 persone) o, in alternativa, se consiste nella distruzione o riduzione del valore di titoli di entità complessiva superiore allo 0,1 per mille del PIL;

§         anche nell’ambito dell’articolo 2622 è stata inserito (comma 9) l’illecito amministrativo a carico di amministratori, direttori generali, sindaci, liquidatori, dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, quando la loro condotta non sia penalmente sanzionabile per il ricorrere dei casi di non punibilità previsti ora dai commi 7 e 8.

 

Il d.lgs n. 61/2002 aveva poi inserito l’art. 2623 c.c., dedicato al cd. falso in prospetto; l’art. 34 della legge sul risparmio ha riscritto e trasferito tale fattispecie all’interno del testo unico della finanza (TUF), di cui al d. lgs. n. 58 del 1998[5].

 

L’art. 2623 distingueva la fattispecie di pericolo, di natura contravvenzionale («…arresto fino a un anno»), dalla fattispecie di danno, di natura delittuosa («…reclusione da uno a tre anni»); nell’ambito del nuovo articolo 173-bis del TUF viene eliminato il riferimento al reato di danno e, contestualmente, la residua fattispecie di pericolo viene trasformata da contravvenzione in delitto, punito, pertanto, con la pena della reclusione da 1 a 5 anni: il nuovo trattamento sanzionatorio risulta, dunque, nel complesso aggravato, sia perché ad un reato di pericolo - precedentemente punito con l’arresto - viene applicata la pena della reclusione, sia perché tale pena, precedentemente prevista per il solo reato di danno, viene comunque aumentata nella sua entità (in particolare il limite massimo edittale è portato da tre a cinque anni).

 

 

L’art. 2624 c.c., introdotto dal decreto legislativo n. 61/2002, prevede il reato di falsità nelle relazioni o nelle comunicazioni delle società di revisione[6], che può avere natura contravvenzionale o delittuosa.

La disposizione, infatti, limita le condotte costitutive di reato all'attestazione del falso o all'occultamento delle informazioni, e prevede, anche in questo caso, una contravvenzione o un delitto, a seconda che dalla condotta intenzionale («con la consapevolezza della falsità e l’intenzione di ingannare i destinatari delle comunicazioni») derivi o meno l'evento materiale del danno patrimoniale ai destinatari delle comunicazioni.

 

Infine, a chiusura del Capo dedicato alle falsità, il decreto delegato ha inserito la fattispecie di impedito controllo (art. 2625 c.c.), che contempla due distinti illeciti, uno di natura amministrativa, l'altro di natura penale.

L'illecito amministrativo è strutturato attraverso la condotta dell'impedire o, comunque, ostacolare l'esercizio delle funzioni di controllo attribuite dalla legge ai soci, agli organi sociali o alle società di revisione ed è sanzionato con la pena pecuniaria fino a 10.329 euro. L’illecito penale, di natura delittuosa («reclusione fino ad un anno»), scatta quando la condotta cagiona un danno ai soci.

La riforma del 2005 (art. 39) ha aggiunto un comma all’art. 2625 c.c. (Impedito controllo). Tale intervento raddoppia la pena quando la fattispecie riguarda società con titoli quotati in mercati regolamentati italiani o di altri Stati dell’Unione europea o diffusi tra il pubblico in misura rilevante, ai sensi dell’articolo 116 del TUF.

Capo II – Illeciti commessi dagli amministratori (artt. 2626-2629-bis)

L'indebita restituzione dei conferimenti (art. 2626) è una fattispecie generale di salvaguardia dell'integrità del capitale che punisce la restituzione, anche simulata, dei conferimenti o la liberazione dei soci dall'obbligo di eseguirli, al di fuori, naturalmente, delle ipotesi di legittima riduzione del capitale sociale.

 

L'illegale ripartizione degli utili e delle riserve (art. 2627) è norma posta a tutela dell'integrità del capitale e delle riserve obbligatorie per legge attraverso una previsione contravvenzionale che appare strutturalmente dolosa.

 

Tale fattispecie è diretta a sostituire i previgenti nn. 2 e 3 dell'art. 2621 c.c., rispetto alla quale viene anzitutto eliminata la differenza di disciplina precedentemente prevista per gli utili e gli acconti sugli utili. Vengono così private di rilevanza penale le inosservanze formali in tema di riparto di acconti, essendo riservata la reazione penale alle ripartizioni di utili o acconti non effettivamente conseguiti o destinati per legge e riserva. Per quanto riguarda i soggetti attivi del reato, la legge delega indicava soltanto gli amministratori e non anche, come l'abrogato art. 2621 nn. 2 e 3, i direttori generali.

L'intervento penalistico è ora riservato alle sole riserve obbligatorie per legge.

Per converso, si chiarisce che la norma penale si applica anche alle fattispecie, oggi controverse, delle riserve non costituite con utili (riserve da sovrapprezzo, da rivalutazione, ecc.).

Per quanto riguarda l'aspetto quantitativo della sanzione edittale, mentre l'art. 2621 prevedeva la reclusione da uno a cinque anni e la multa, l’art. 2627 stabilisce l'arresto fino ad un anno.

Si è mantenuta nella formulazione della norma la clausola "Salvo che il fatto non costituisca più grave reato", in quanto l'illegale ripartizione di utili o riserve da parte degli amministratori può integrare un reato più grave (l'appropriazione indebita, in particolare, è punita dall'art. 646 c.p. con la reclusione fino a tre anni e la multa).

E' introdotta la causa di estinzione consistente nella restituzione degli utili o nella ricostituzione delle riserve prima del termine previsto per l'approvazione del bilancio.

 

L’art. 2628 c.c., relativa alle illecite operazione sulle azioni o quote sociali o della società controllante sostituisce la disciplina penale, assai articolata in quanto modellata sui precetti civilistici, che in precedenza regolava le diverse fattispecie ed i diversi momenti delle operazioni su azioni proprie o della società controllante. La disciplina penale è ora riservata a fattispecie individuate dalla legge delega sulla base di tre elementi: tipologia della condotta (acquisto o sottoscrizione); oggetto materiale della condotta (azioni o quote, sociali o della società controllante); lesività (effettiva) dell'operazione per l'integrità del capitale sociale o delle riserve obbligatorie per legge.

Si segnala inoltre che le operazioni di leveraged buy out - alle quali in questi anni si è discusso se applicare o meno le norme sulle operazioni su azioni proprie (acquisto di azioni proprie per interposta persona o violazione del divieto posto dall'attuale art. 2358 c.c.) - sono espressamente considerate a parte dalla legge delega, che conferisce ad esse il crisma della legittimità (art. 7, lett. d).

 

L’art. 2629 (operazioni in pregiudizio dei creditori) mira a tutelare l'integrità del patrimonio sociale ed è diretta a sostituire l'art. 2623, n. 1 c.c. che sanzionava l'inosservanza dei precetti civilistici in tema di riduzione del capitale, fusione e scissione. Tra le novità si segnala l'introduzione di una causa di estinzione del reato, consistente nel risarcimento del danno ai creditori prima del giudizio, nonché della procedibilità a querela.

 

L’art. 2629-bis (introdotto dall’articolo 31 della legge sul risparmio) contempla il delitto di omessa comunicazione del conflitto di interessi.

Soggetti attivi del reato possono essere l’amministratore o il componente del consiglio di gestione di:

§      una società quotata in borsa (nel mercato italiano o in quello di uno degli altri Stati membri dell’UE);

§      una società emittente strumenti finanziari che, ancorché non quotati in mercati regolamentati italiani, siano diffusi tra il pubblico in misura rilevante;

§      un soggetto sottoposto a vigilanza ai sensi della normativa in materia bancaria e creditizia (D.Lgs. n. 385/1993), assicurativa (D.lgs. 209/200), in tema di intermediazione finanziaria (D.Lgs. n. 58/1998) e di fondi pensione (D.Lgs. n. 124/1993).

La condotta consiste nella violazione degli obblighi previsti dall’articolo 2391, primo comma, del codice civile, e dunque essenzialmente dell’obbligo di comunicare agli altri amministratori e al collegio sindacale ogni interesse che, per conto proprio o di terzi, l’amministratore o il componente del consiglio di gestione abbia in una determinata operazione della società, precisandone la natura, i termini, l'origine e la portata; nonché dell’obbligo, per l’amministratore delegato, di astenersi dal compiere l'operazione, investendo della stessa l'organo collegiale.

L’evento è dato dalla produzione di danni alla società o a terzi.

La sanzione è fissata nella reclusione da uno a tre anni.

Si ricorda inoltre che, comunque, ai sensi dell’articolo 2391 c.c., l’amministratore risponderà anche dei danni derivati alla società dalla sua azione od omissione e dei danni che siano derivati alla società dall’utilizzazione a vantaggio proprio o di terzi di dati, notizie o opportunità di affari appresi nell'esercizio del suo incarico.

Lo stesso art. 31 della legge 262/2005 - apportando una modifica alla lettera r) del comma 1 dell’articolo 25-ter del D.Lgs. n. 231 del 2001 - prevede inoltre una sanzione pecuniaria a carico della società, a seguito dell’accertamento della fattispecie penale di omessa comunicazione del conflitto di interesse, se il delitto è stato commesso nell’interesse della società.

Capi III e IV – Illeciti commessi mediante omissione ed altri illeciti (artt. 2630-2641)

L'omessa esecuzione di denunce, comunicazioni o depositi (art. 2630) costituisce illecito amministrativo (punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 206 a 2065 euro)

 

Tale disposizione riformula in termini più generali gli abrogati articoli 2626 e 2635 c.c., anch'essi costitutivi di figure di illecito amministrativo, al fine di semplificare e di armonizzare la materia evitando il ricorso a previsioni eccessivamente specifiche.

 

Qualora l'omesso deposito abbia ad oggetto i bilanci è previsto l'aumento di un terzo della sanzione amministrativa pecuniaria irrogabile per la fattispecie-base, secondo una tecnica normativa già nota per le circostanze aggravanti del reato. Trattandosi di illecito amministrativo punito con una sanzione pecuniaria, esso, secondo il principio generale contenuto nell'art. 3 legge 24 novembre 1981 n. 689, può essere realizzato sia con dolo che con colpa.

 

L’art. 2631 (omessa convocazione dell'assemblea), finalizzata alla tutela dei diritti delle minoranze nonché alla tutela del diritto all'informazione sull'integrità patrimoniale della società, sostituisce l'abrogato art. 2630, comma 2, n. 2) c.c. (la disposizione è stata trasformata in illecito amministrativo, ritenendo tale configurazione un sufficiente presidio per la tutela del generale regolare funzionamento delle società).

 

L’art. 2632 (formazione fittizia del capitale) costituisce la prima delle fattispecie di reato posta a tutela dell'effettività ed integrità del capitale sociale.

Si tratta di una fattispecie delittuosa, procedibile d'ufficio, costruita come reato d'evento a condotta vincolata, punita con la reclusione fino ad un anno. Nel testo risultante dalle modifiche successivamente apportate dall’art. 111-quinquies disp. att. c.c. (inserito dall’art. 9 del d.lgs. n. 6 del 2006), l'evento costitutivo del delitto – la formazione o l'aumento di capitale – deve essere cagionato, per essere penalmente rilevante, da una delle tre condotte descritte dal legislatore, ossia: l’attribuzione di azioni o quote in misura complessivamente superiore all'ammontare del capitale sociale; la sottoscrizione reciproca di azioni o quote; la sopravvalutazione rilevante dei conferimenti dei beni in natura o di crediti ovvero del patrimonio della società nel caso di trasformazione.

 

Sotto l'unico delitto in esame sono state in tal modo raggruppate – e armonizzate nel trattamento sanzionatorio – alcune ipotesi di illecito corrispondenti, in parte, a quelle in precedenza contemplate dagli articoli 2629 e 2630 nn. 1 e 2 c.c.

 

L'indebita ripartizione dei beni sociali da parte dei liquidatori (art. 2633) (punita con la reclusione da sei mesi a tre anni) mira a tutelare i creditori in sede di liquidazione e va a sostituire l'abrogato art. 2625 c.c. Come per l'ipotesi precedente è stata introdotta la procedibilità a querela e la causa di estinzione del reato consistente nel risarcimento del danno ai creditori prima del giudizio.

 

La fattispecie di infedeltà patrimoniale (art. 2634), punita con la reclusione da sei mesi a tre anni, riguarda la condotta degli amministratori, direttori generali e liquidatori, che, avendo un interesse in conflitto con quello della società, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o altro vantaggio, compiono o concorrono a deliberare atti di disposizione dei beni sociali, cagionando intenzionalmente alla società un danno patrimoniale.

Anche in tal caso, si prevede la procedibilità a querela della persona offesa.

 

Per quanto concerne il comportamento infedele degli amministratori, direttori generali, sindaci liquidatori e revisori, l'infedeltà a seguito di dazione o promessa di utilità (art. 2635) sottolinea nella rubrica la distinzione dalla infedeltà patrimoniale. La legge sul risparmio ha introdotto il riferimento ai dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari.

 

L'illecita influenza sull'assemblea (art. 2636) si perfeziona con la formazione irregolare di una maggioranza. La condotta deve esprimersi nel compimento di atti simulati o fraudolenti (e risulta così precisata rispetto all'abrogato art. 2630 1° comma n. 3 c.c., che utilizzava il concetto più generico di “mezzi illeciti”, sia pure specificando alcune forme tipiche di espedienti). Soggetto attivo non è più il solo amministratore ma chiunque. Il fatto è collegato all'esigenza che la condotta abbia determinato una maggioranza che altrimenti non si sarebbe formata, escludendo il rilievo dell'influenza non decisiva.

 

L’articolo 2637 accorpa le diverse fattispecie di aggiotaggio, in precedenza previste al di fuori del codice penale (art. 2628 c.c.; art. 138 d. lgs. 1/9/1993, n. 385; art. 181 d. lgs. 24/2/1998, n. 58).

Il reato è, configurato come reato comune e mira a tutelare l'economia pubblica ed in particolare il regolare funzionamento del mercato.

Esso punisce con la reclusione da uno a cinque anni chiunque diffonde notizie false, ovvero pone in essere operazioni simulate o altri artifici concretamente idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari non quotati o per i quali non è stata presentata una richiesta di ammissione alle negoziazioni in un mercato regolamentato, ovvero ad incidere in modo significativo sull'affidamento che il pubblico ripone nella stabilità patrimoniale di banche o di gruppi bancari.

 

Rispetto alle disposizioni previgenti, è stato eliminato dalla condotta di entrambe le forme di aggiotaggio il riferimento (ritenuto sovrabbondante rispetto al requisito della falsità) alle notizie “esagerate o tendenziose”, che invece erano previste nella norma di cui all'art. 138 T.U. bancario e nella norma di cui all'art. 181 T.U. mercati finanziari. Con riferimento alla lesività del fatto, è stata prevista la necessità che le notizie mendaci o le operazioni simulate o gli altri artifici siano concretamente idonee a provocare una alterazione sensibile del prezzo degli strumenti finanziari, in modo da configurare il reato in questione come reato di pericolo concreto. Anche per la fattispecie di aggiotaggio bancario è stato previsto – in conformità con quanto previsto dalla legge delega – un requisito di lesività (“ … incidere in modo significativo sull'affidamento …”).

 

Con riferimento all’ostacolo all'esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza (art. 2638), si è costruita una fattispecie a carattere generale alla quale poter ricondurre le diverse figure previste al di fuori del codice, sulla quale è successivamente intervenuta la cd. legge sul risparmio.

I due commi prevedono fattispecie delittuose diverse per modalità di condotta e momento offensivo: la prima centrata sul falso commesso al fine di ostacolare le funzioni di vigilanza; la seconda sulla realizzazione intenzionale dell'evento di ostacolo attraverso qualsiasi condotta (attiva o omissiva). Si è ritenuto di prevedere la stessa pena (reclusione da due a quattro anni) per ambedue le ipotesi, attesa la sostanziale equivalenza fra la più grave condotta di falso, nella prima, e le condotte meno gravi, nella seconda, che però determinano l'ostacolo alle funzioni di vigilanza. La legge sul risparmio ha previsto il raddoppio della pena quando tali fattispecie riguardino società con titoli quotati in mercati regolamentati italiani o di altri Stati dell’Unione europea o diffusi tra il pubblico in misura rilevante, ai sensi dell’articolo 116 del testo unico sull’intermediazione finanziaria n. 58/1998

 

L’art. 2639, relativo all’estensione delle qualifiche soggettive, tipicizza, al primo comma, la figura dell'“amministratore di fatto”, largamente riconosciuta in giurisprudenza.L'equiparazione, ai fini della responsabilità, collegata all'esercizio di fatto delle funzioni è circoscritto alla presenza degli elementi della continuità e della significatività rispetto ai poteri tipici della funzione.

Il secondo comma, coerentemente all'abrogazione delle norme relative ai delitti commessi dagli amministratori giudiziali e dai commissari governativi, si ricollega ad una esigenza di razionalizzazione dell'intera materia, prevedendo espressamente ed in via generale che le disposizioni sanzionatorie relative agli amministratori si applichino anche ai soggetti che sono legalmente incaricati dall'autorità giudiziaria o dall'autorità pubblica di vigilanza di amministrare la società o i beni dalla stessa posseduti o gestiti per conto di terzi; ferma restando, ovviamente, la possibilità di applicare la disciplina dei reati dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione in tutti gli altri casi.

 

In conformità alla legge delega si è poi provveduto ad inserire una circostanza attenuante dell'offesa di particolare tenuità applicabile a tutte le fattispecie di reato (art. 2640).

Sempre in attuazione della legge delega, si è provveduto ad introdurre, anche per i reati societari, l'istituto della confisca obbligatoria, in caso di condanna o di pena patteggiata ex art. 444 (art. 2641).

 

Si segnala, infine, che l’articolo 40 della legge sul risparmio contiene una delega, non ancora esercitata, per l’emanazione, entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge (successivamente prorogati a dodici mesi, vale a dire al 12 gennaio 2007[7]), di uno o più decreti legislativi per l'introduzione di sanzioni accessorie alle sanzioni penali e amministrative in materia di società e di consorzi previste dal codice civile (titolo XI del libro V, artt. 2621-2641) ed alle sanzioni previste dalla normativa in materia bancaria e creditizia (D.Lgs. n. 385/1993), in tema di intermediazione finanziaria (D.Lgs. n. 58/1998), di vigilanza sulle assicurazioni (legge n. 576/1982) e di fondi pensione (D.Lgs. n. 124/1993).

La giurisprudenza costituzionale e comunitaria

La Corte costituzionale è stata chiamata ad affrontare la questione della legittimità costituzionale della disciplina delle false comunicazioni sociali di cui agli artt. 2621 e 2622 c.c., come modificata dal d. lgs n. 61/2002.

 

In particolare, questi erano i parametri invocati dai giudici a quo:

§         art. 3 della Costituzione, in quanto gli arttt. 2621 e 2622 avrebbero delineato una fattispecie a formazione progressiva, reprimendo, il primo , la dichiarazione infedele e, il secondo, la dichiarazione infedele a cui consegua un danno specifico, così dando luogo a diverse risposte repressive (contravvenzione o delitto) in relazione alla medesima condotta; lo stesso art. 3 Cost. per l’irragionevole disparità di trattamento della fattispecie criminosa delle false comunicazioni sociali rispetto ad altri reati di frode lesivi del medesimo interesse alla trasparenza del mercato, quali, in assunto, i delitti di aggiotaggio (art. 501 c.p. e art. 2637 c.c.), ben più severamente repressi; lo stesso art. 3 Cost. nella parte in cui la riforma ha modificato il termine di prescrizione del reato di false comunicazioni sociali previsto dalle norme vigenti anteriormente alla riforma (l’originario termine era decennale, quello previsto per la contravvenzione di soli tre anni), di fatto impedendo l’effettiva repressione di molte condotte illecite;

§         art. 25 della Costituzione  per l’indeterminatezza dell'illecito penale, nella parte in cui la riforma subordina la sussistenza del reato ad una alterazione "sensibile" della rappresentazione della situazione economica, patrimoniale e finanziaria della società o del gruppo di appartenenza;

§         l’art. 24, comma 1, della Costituzione, per la previsione all’art. 2622 c.c. della perseguibilità a querela delle false comunicazioni sociali che hanno cagionato danno ai soci o ai creditori, allorché si tratti di fatto commesso nell'ambito di società non quotate;

§         art. 27, comma 3, della Costituzione, per la presunta manifesta inadeguatezza del modulo contravvenzionale rispetto alle caratteristiche oggettive e soggettive dell'illecito;

§         l’art. 76 (e 25, secondo comma) della Costituzione per la presunta genericità della delega nella parte in cui richiede la fissazione di soglie di punibilità (delega in bianco), con particolare riferimento al terzo ed al quarto comma dell'art. 2621 cod. civ., nella parte in cui delineano una serie di soglie di punibilità a carattere percentuale: in specie, escludendo «comunque» la punibilità delle falsità o delle omissioni che determinano una variazione del risultato economico di esercizio, al lordo delle imposte, non superiore al cinque per cento, o una variazione del patrimonio netto non superiore all'uno per cento; nonché escludendo la punibilità dei fatti conseguenti a valutazioni estimative che, singolarmente considerate, differiscono in misura non superiore al dieci per cento da quella corretta. Da un lato, infatti, le soglie di punibilità introdotte dal decreto legislativo — in mancanza della fissazione di direttive nella legge delega — verrebbero ad integrare il contenuto precettivo della norma penale in contrasto con il principio della riserva assoluta di legge. Da un altro lato, il legislatore delegato avrebbe attuato la generica indicazione della legge delega stabilendo soglie percentuali “tipizzate”, senza spiegare le ragioni delle sue scelte, ovvero fornendo giustificazioni «non veritiere» o non pertinenti rispetto all'oggetto della delega.

§         l’art. 117, comma 1, della Costituzione, in relazione all'art. 8 della Convenzione OCSE sulla lotta alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni commerciali internazionali - ratificata dall'Italia con legge 29 settembre 2000, n. 300 - che impone alle Parti di prevedere adeguate sanzioni per le violazioni contabili delle imprese, al fine di impedire la creazione di "fondi neri" utilizzabili a scopo di corruttela: finalità, questa, che sarebbe frustrata dalla introduzione di soglie di punibilità che - in quanto parametrate percentualmente al risultato economico di esercizio o al patrimonio netto della società - renderebbero penalmente lecite falsità anche molto rilevanti.

 

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 161 del 2004, ha concluso per l’inammissibilità delle questioni sollevate.

 

Con specifico riferimento alle censure inerenti alle soglie di punibilità a carattere percentuale, la Corte rileva come esse fossero finalizzate ad ottenere una pronuncia che, tramite la rimozione delle soglie stesse, estendesse l'ambito di applicazione della norma incriminatrice di cui all'articolo 2621 c.c. a fatti che, allo stato, non vi erano ricompresi; ciò sarebbe in contrasto con il dettato dell'articolo 25 della Costituzione il quale nell'affermare il principio secondo cui nessuno può essere punito se non in forza di una legge entrata in vigore prima del fatto commesso, «esclude che la Corte Costituzionale possa introdurre in via additiva nuovi reati o che l'effetto di una sua sentenza possa essere quello di ampliare o aggravare figure di reato già esistenti, trattandosi di interventi riservati in via esclusiva alla discrezionalità del legislatore».

A ulteriori ordinanze di rimessione, che avanzavano la questione di legittimità costituzionale degli artt. 2621 e 2622 c.c. in relazione agli artt. 3, 10, 11 e 117 Cost., per quanto riguarda la compatibilità con l’ordinamento comunitario (Direttiva 68/151/CEE del 9 marzo 1968[8], nonché art. 10 del Trattato CE)[9], la Corte costituzionale ha risposto (ord. n. 70 del 2006; ord. n. 196 del 2007) con ordinanze di restituzione degli atti, affinché i giudici a quo valutassero nuovamente la rilevanza delle questioni, a seguito del sopravvenuto mutamento del quadro normativo per l’entrata in vigore della legge 28 dicembre 2005, n. 262.

 

Sul fronte del diritto comunitario, all’indomani della riforma del falso in bilancio del 2002, alcune autorità giudiziarie italiane (Tribunale di Milano e Corte d’appello di Lecce) si sono rivolte alla Corte di Giustizia delle Comunità europee per ottenere una pronuncia pregiudiziale (ex art. 234 Trattato CE) circa l’esatta interpretazione della normativa comunitaria in materia di “conti annuali” societari, al fine di una possibile disapplicazione degli artt. 2621 e 2622 del codice civile.

 

In particolare, i giudici a quibus osservavano come le nuova disciplina dei reati di false comunicazioni sociali dovesse considerarsi affetta da carenze in termini di effettività, proporzionalità e capacità dissuasiva rispetto ai fatti da reprimere, per una serie di ragioni relative alla struttura delle fattispecie, alla misura della sanzione, al regime della procedibilità. Per i giudici nazionali queste carenze sarebbero state censurabili in particolare per violazione di specifici obblighi comunitari di tutela, stabiliti dalla prima, quarta e settima direttiva sul diritto societario (rispettivamente, Dir. 68/151, Dir. 78/660 e Dir. 83/349). L’art. 6 della prima direttiva, in particolare, prescrive che «gli Stati membri stabiliscono adeguate sanzioni» tra l’altro, per i casi di «mancata pubblicità del bilancio e del conto profitti e perdite».

 

La Corte di Giustizia CE si è pronunciata sulle Cause riunite 387/02, 391/02 e 403/02 con sentenza del 3 maggio 2005 con la quale, per un verso ha fornito l’interpretazione generale delle norme comunitarie e, per altro verso, ha stabilito che la direttiva comunitaria non può essere invocata dalle autorità di uno Stato membro nei confronti degli imputati nell'ambito di procedimenti penali, poiché una direttiva non può avere come effetto, di per sé e indipendentemente da una legge interna di uno Stato membro adottata per la sua attuazione, di determinare o aggravare la responsabilità penale degli imputati.

 

 

 

 

 

 


Contenuto della proposta di legge

L’articolo 1 della proposta di legge riformula integralmente la disciplina del falso in bilancio, attraverso la sostituzione degli articoli 2621 c.c. (False comunicazioni sociali) e 2622 c.c. (False comunicazioni sociali in danno della società, dei soci o dei creditori).

 

Le disposizioni vigenti prevedono – a seconda che sussista o meno di un danno patrimoniale ai soci, ai creditori o alla società – un delitto (punito, nella fattispecie semplice, con la reclusione da sei mesi a tre anni) o una contravvenzione (punita con l’arresto fino ad un anno).

 

I principali elementi di novità del nuovo articolo 2621 c.c. sono i seguenti:

§         le false comunicazioni sociali, attualmente sanzionate come contravvenzione, tornano ad essere un delitto, punibile con la pena congiunta della reclusione (da 1 a 5 anni) e della multa (da 50.000 a 200.000 euro);

§         la fattispecie viene configurata come reato di pericolo; l’esistenza di un danno patrimoniale alla società, ai soci o ai creditori sociali costituisce circostanza aggravante, da cui deriva l’aumento di pena di un terzo;

§         viene eliminato il riferimento al dolo intenzionale (in particolare, il fine del conseguimento per sé o per altri di un ingiusto profitto);

§         viene punita l’esposizione fraudolenta oltre che dei fatti, anche di informazioni mendaci sulla situazione economico-patrimoniale della società o del gruppo (attualmente è punita l’esposizione di fatti materiali e l’omissione delle informazioni);

§         nell’ipotesi meno grave (alterazione non sensibile della situazione ecomonico-patrimoniale della società) la punibilità è esclusa soltanto se il falso in bilancio riguardi società non quotate;

§         alla fattispecie delle false comunicazioni sociali è equiparata l’illegale distribuzione degli utili e dei dividendi da parte degli amministratori, attualmente disciplinata dall’art. 2627 c.c. (che conseguentemente viene soppresso dall’articolo 7);

§         rispetto a tale ultima disposizione, vengono introdotte specifiche ipotesi di responsabilità degli amministratori in relazione alla citata ipotesi di illegale distribuzione di dividendi;

§         non vengono riprodotte le disposizioni (inserite dalla cd. legge sul risparmio) che prevedono, in presenza di cause di non punibilità, l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria e l’interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese.

 

L’articolo 2 aggiunge al codice civile due nuovi articoli, 2621-bis e 2621-ter, che prevedono circostanze aggravanti, attenuanti e di estinzione del reato

L’art. 2621-bis introduce una serie di aggravanti del delitto di cui all’art. 2621 che comportano la pena della reclusione da 4 a 12 anni.

L’aggravante ricorre quando il reato:

1.      è commesso da amministratori, sindaci, liquidatori, ecc. di società quotate in borsa,

2.      provoca un danno patrimoniale ad un numero rilevante di risparmiatori (più dello 0,1 x mille della popolazione);

3.      cagiona un grave danno all’economia nazionale (distruzione-riduzione del valore dei titoli superiore allo 0,1 del PIL).

Si osserva come le tre ipotesi aggravate corrispondono in parte a fattispecie già previste dal vigente art. 2622 c.c:

-            l’aggravante di cui al n. 1 è attualmente punita dal terzo comma con la pena della reclusione da 1 a 4 anni (procedibilità d’ufficio);

-            le ipotesi di cui ai nn. 2 e 3 sono attualmente punite dal quarto comma con la pena della reclusione da 2 a 6 anni. Nella disposizione vigente, tuttavia, tali aggravanti operano soltanto per condotte poste in essere da amministratori, sindaci, liquidatori, ecc. di società quotate in borsa.

 

Si fa notare che nelle fattispecie aggravate si prevede la sola pena detentiva e non anche la multa prevista invece, in aggiunta alla sanzione detentiva, per la fattispecie semplice.

 

Il secondo comma del nuovo articolo 2621-bis esclude eventuali circostanze attenuanti dalla comparazione prevista dall’art. 69 c.p. nel caso di concorso delle circostanze aggravanti e attenuanti, precisando che esse sono valutate per ultime.

 

L’articolo 69 c.p. prevede, nel caso di concorso di aggravanti e attenuanti, che il giudice possa ritenere:

§         prevalenti le prime nel qual caso non si tiene conto delle diminuzioni di pena stabilite per le circostanze attenuanti, e si fa luogo soltanto agli aumenti di pena stabiliti per le circostanze aggravanti;

§         prevalenti le seconde, nel qual caso non si tiene conto degli aumenti di pena stabiliti per le aggravanti e si fa luogo soltanto alle diminuzioni di pena stabilite per le circostanze attenuanti;

§         che vi sia equivalenza tra aggravanti e attenuanti, nel qual caso applica la pena che sarebbe inflitta se non concorresse alcuna di dette circostanze.

 

 

La disposizione sembrerebbe volere escludere l’applicazione dell’articolo 69 c.p. nel caso di concorso tra le circostanze aggravanti di cui alla medesima disposizione ed eventuali attenuanti e prevedere la diminuzione di pena sulla maggior pena determinata dall’applicazione delle aggravanti. Qualora questa fosse l’interpretazione corretta della disposizione, occorrerebbe valutare l’opportunità di meglio esplicitarla nel testo.

 

La disposizione opererebbe secondo modalità analoghe a quelle previste dall’ultimo comma dell’art. 600-sexies in materia di pornografia minorile (e di altre fattispecie a sfondo sessuale), che chiarisce che in caso di concorso fra le circostanze aggravanti del primo e del secondo comma con circostanze attenuanti, queste ultime non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti e le diminuzioni di pena si operano sulla quantità della stessa risultante dall'aumento conseguente alle predette aggravanti.

 

L’art. 2621-ter prevede circostanze attenuanti ed una causa estintiva del delitto di falso in bilancio. La nuova norma:

§         prevede l’applicazione della circostanza attenuante relativa alla speciale tenuità del danno patrimoniale (art. 62, n. 4, c.p);

§         introduce, come causa di estinzione del reato, l’integrale risarcimento del danno patrimoniale nei riguardi di tutte le persone offese, prevedendo la facoltà del giudice, su richiesta dell'interessato, di assegnare un congruo termine, durante il quale il processo è sospeso ma non decorrono i termini di prescrizione.

La norma limita l’operatività della citata causa estintiva alle ipotesi non aggravate di  falso in bilancio (e illegale distribuzione degli utili) di cui all’art. 2621 nonché ove ricorra l’attenuante della speciale tenuità.

In proposito occorrerebbe chiarire se la causa di estinzione del reato ivi prevista opera soltanto nelle ipotesi semplici di cui all’articolo 2621 c.c. (in assenza quindi delle circostanze aggravanti di cui all’art. 2621-bis) o anche nelle ipotesi aggravate qualora però ricorra la circostanza attenuante del danno di particolare tenuità.

 

L’articolo 3 riscrive l’art. 2622 del codice civile, attualmente relativo alla fattispecie di false comunicazioni sociali in danno della società, dei soci o dei creditori. Tale fattispecie, sostanzialmente confluita nell’art. 2621 (v. art. 1, p.d.l.),viene sostituita dal reato di divulgazione di notizie sociali riservate.

La proposta di legge, riprendendo solo in parte il contenuto della disposizione in vigore prima della riforma del 2002[10], individua per il delitto le seguenti caratteristiche:

 

§           Soggetti attivi

§         amministratori;

§         direttori generali;

§         dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari ai sensi del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, TUIF (art. 154-bis, d.lgs. n. 58 del 1998[11]);

§         sindaci nonché i liquidatori di società per azioni quotate in borsa.

§           Condotta

§           servirsi o dare comunicazione, a profitto proprio o altrui, di notizie avute a causa del proprio ufficio quando dal fatto può derivare pregiudizio alla società

§           Pena

§           reclusione fino a 2 anni e multa da euro 20 mila a 100 mila euro (oltre alle sanzioni amministrative previste dal TUIF, artt. da 187-bis a 187-quater)

§           Procedibilità

§           d’ufficio

 

Per quanto riguarda i soggetti attivi del delitto, andrebbe chiarito se il riferimento alle società quotate riguardi tutti i soggetti indicati, soltanto i liquidatori, oppure i sindaci e i liquidatori.

Si segnala che una disposizione in parte analoga è già contenuta nell’art. 184 del TUIF, rubricato abuso di informazioni privilegiate. Tale disposizione punisce con la reclusione da 1 a 6 anni e con la multa da 20 mila a 3 milioni di euro colui che per ragioni di ufficio o funzione, essendo in possesso di informazioni privilegiate, acquista, vende o compie altre operazioni, per conto proprio o per conto di terzi, su strumenti finanziari utilizzando le informazioni medesime ovvero le comunica ad altri, al di fuori del normale esercizio del lavoro, della professione, della funzione o dell'ufficio.

 

L’articolo 4 interviene sull’art. 2624 del codice, in tema di falsità nelle relazioni o nelle comunicazioni delle società di revisione.

 

§           Codice civile: testo vigente

§           Codice civile: AC 1895

§           Art. 2624

§           Art. 2624

§           Falsità nelle relazioni o nelle comunicazioni delle società di revisione.

§           Falsità nelle relazioni o nelle comunicazioni delle società di revisione.

§           I responsabili della revisione i quali, al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nelle relazioni o in altre comunicazioni, con la consapevolezza della falsità e l'intenzione di ingannare i destinatari delle comunicazioni, attestano il falso od occultano informazioni concernenti la situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società, ente o soggetto sottoposto a revisione, in modo idoneo ad indurre in errore i destinatari delle comunicazioni sulla predetta situazione, sono puniti, se la condotta non ha loro cagionato un danno patrimoniale, con l'arresto fino a un anno.

§           I responsabili della revisione i quali, al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nelle relazioni o in altre comunicazioni, con la consapevolezza della falsità e l'intenzione di ingannare i destinatari delle comunicazioni, attestano il falso od occultano informazioni concernenti la situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società, ente o soggetto sottoposto a revisione, in modo idoneo ad indurre in errore i destinatari delle comunicazioni sulla predetta situazione, sono puniti, se la condotta non ha loro cagionato un danno patrimoniale, con la reclusione da uno a quattro anni e con la multa da euro 20.000 a euro 100.000.

§           Se la condotta di cui al primo comma ha cagionato un danno patrimoniale ai destinatari delle comunicazioni, la pena è della reclusione da uno a quattro anni.

§           Se la condotta di cui al primo comma ha cagionato un danno patrimoniale ai destinatari delle comunicazioni, la pena è della reclusione da due a sei anni e della multa da euro 30.000 a euro 150.000.

 

La proposta di legge, senza novellare la fattispecie di reato, la trasforma da contravvenzione a delitto, aumentando la pena (dall’arresto fino a un anno si passa alla reclusione da 1 a 4 anni unita alla multa da 20 mila a 100 mila euro). La sanzione è inasprita anche in relazione alla fattispecie aggravata prevista dal secondo comma (dalla reclusione da 1 a 4 anni si passa alla reclusione da 2 a 6 anni accompagnata dalla multa da 30 mila a 150 mila euro).

 

 

L’articolo 5 della proposta di legge interviene sulla fattispecie di impedito controllo, prevista dall’art. 2625 del codice civile.

 

§           Codice civile: testo vigente

§           Codice civile: AC 1895

§           Art. 2625

§           Art. 2625

§           Impedito controllo

§           Impedito controllo

§           Gli amministratori che, occultando documenti o con altri idonei artifici, impediscono o comunque ostacolano lo svolgimento delle attività di controllo o di revisione legalmente attribuite ai soci, ad altri organi sociali o alle società di revisione, sono puniti con la sanzione amministrativa pecuniaria fino a 10.329 euro.

§           Gli amministratori che, occultando documenti o con altri idonei artifici, impediscono o comunque ostacolano lo svolgimento delle attività di controllo o di revisione legalmente attribuite ai soci, ad altri organi sociali o alle società di revisione, sono puniti con la reclusione da tre mesi a tre anni e con la multa da euro 5.000 a euro 20.000.

§           Se la condotta ha cagionato un danno ai soci, si applica la reclusione fino ad un anno e si procede a querela della persona offesa.

§           Se la condotta ha cagionato un danno ai soci, si applicano la reclusione da uno a quattro anni e la multa da euro 20.000 a euro 100.000 e si procede a querela della persona offesa.

§           La pena è raddoppiata se si tratta di società con titoli quotati in mercati regolamentati italiani o di altri Stati dell'Unione europea o diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'articolo 116 del testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58.

§           Identico.

 

La proposta di legge:

§         trasforma la fattispecie da illecito amministrativo (punito con sanzione amministrativa pecuniaria) a delitto (sanzionato con la reclusione da 3 mesi a 3 anni e con la multa da 5 mila a 20 mila euro);

§         inasprisce la sanzione penale prevista per l’ipotesi in cui la condotta abbia prodotto un danno ai soci (dalla reclusione fino ad un anno alla reclusione da 1 a 4 anni accompagnata dalla multa da 20 mila a 100 mila euro).

 

 

L’articolo 6 novella l’art. 2626 del codice, in tema di indebita restituzione dei conferimenti.

 

§           Codice civile: testo vigente

§           Codice civile: AC 1895

§           Art. 2626

§           Art. 2626

§           Indebita restituzione dei conferimenti

§           Indebita restituzione dei conferimenti

§           Gli amministratori che, fuori dei casi di legittima riduzione del capitale sociale, restituiscono, anche simulatamente, i conferimenti ai soci o li liberano dall'obbligo di eseguirli, sono puniti con la reclusione fino ad un anno.

§           Gli amministratori che, fuori dei casi di legittima riduzione del capitale sociale, restituiscono, anche simulatamente, i conferimenti ai soci o li liberano dall'obbligo di eseguirli, sono puniti con la reclusione da uno a quattro anni e con la multa da euro 20.000 a euro 100.000.

 

Anche in questo caso, la proposta di legge, senza novellare la fattispecie di reato, aumenta la sanzione: dalla reclusione fino a un anno si passa alla reclusione da 1 a 4 anni, accompagnata dalla multa da 20 mila a 100 mila euro.

 

 

L’articolo 7, con finalità di coordinamento, abroga l’art. 2627 del codice civile, relativo alla fattispecie di illegale ripartizione degli utili e delle riserve. Tale fattispecie è infatti confluita nell’art. 2621, come modificato dall’art. 1 della proposta di legge (v. sopra).

 

 

L’articolo 8 interviene sulla fattispecie di illecite operazioni sulle azioni o quote sociali o della società controllante, prevista dall’art. 2628 del codice civile.

 

§           Codice civile: testo vigente

§           Codice civile: AC 1895

§           Art. 2628

§           Art. 2628

§           Illecite operazioni sulle azioni o quote sociali o della società controllante

§           Illecite operazioni sulle azioni o quote sociali o della società controllante

§           Gli amministratori che, fuori dei casi consentiti dalla legge, acquistano o sottoscrivono azioni o quote sociali, cagionando una lesione all'integrità del capitale sociale o delle riserve non distribuibili per legge, sono puniti con la reclusione fino ad un anno.

§           Gli amministratori che, fuori dei casi consentiti dalla legge, acquistano o sottoscrivono azioni o quote sociali, cagionando una lesione all'integrità del capitale sociale o delle riserve non distribuibili per legge, sono puniti con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da euro 50.000 a euro 200.000.

§           La stessa pena si applica agli amministratori che, fuori dei casi consentiti dalla legge, acquistano o sottoscrivono azioni o quote emesse dalla società controllante, cagionando una lesione del capitale sociale o delle riserve non distribuibili per legge.

§           Identico.

§            

§           Nel caso in cui ricorrano le circostanze aggravanti di cui all'articolo 2621-bis si applicano la pena della reclusione da due a sei anni e la multa da euro 100.000 a euro 300.000.

§           Se il capitale sociale o le riserve sono ricostituiti prima del termine previsto per l'approvazione del bilancio relativo all'esercizio in relazione al quale è stata posta in essere la condotta, il reato è estinto.

§           Nei casi di cui ai commi primo e secondo, se il capitale sociale o le riserve sono ricostituiti prima del termine previsto per l'approvazione del bilancio relativo all'esercizio in relazione al quale è stata posta in essere la condotta, il reato è estinto.

 

In sintesi, la proposta di legge:

§         senza novellare la fattispecie di reato, aumenta la sanzione detentiva (dalla reclusione fino a un anno si passa alla reclusione da 1 a 5 anni) e la accompagna con una pena pecuniaria (multa da 50 mila a 200 mila euro);

§         prevede l’applicabilità delle aggravanti previste dall’art. 2621-bis (v. art. 2 della p.d.l.), che comportano la reclusione da 2 a 6 anni e la multa da 100 mila a 300 mila euro.

§         consente l’operatività dell’attuale causa di estinzione del reato nelle sole fattispecie semplici.

 

L’articolo 9 novella l’art. 2629 del codice, in tema di operazioni in pregiudizio dei creditori.

 

§           Codice civile: testo vigente

§           Codice civile: AC 1895

§           Art. 2629

§           Art. 2629

§           Operazioni in pregiudizio dei creditori

§           Operazioni in pregiudizio dei creditori

§           Gli amministratori che, in violazione delle disposizioni di legge a tutela dei creditori, effettuano riduzioni del capitale sociale o fusioni con altra società o scissioni, cagionando danno ai creditori, sono puniti,a querela della persona offesa, con la reclusione da sei mesi a tre anni.

§           Gli amministratori che, in violazione delle disposizioni di legge a tutela dei creditori, effettuano riduzioni del capitale sociale o fusioni con altra società o scissioni, cagionando danno ai creditori, sono puniti con la reclusione da uno a quattro anni e con la multa da euro 20.000 a euro 100.000.

§           Il risarcimento del danno ai creditori prima del giudizio estingue il reato.

§           Il reato è estinto qualora il reo provveda all'integrale risarcimento del danno patrimoniale nei riguardi di tutte le persone offese. A tale fine il giudice, su richiesta dell'interessato, può assegnare un congruo termine, durante il quale il processo è sospeso ma non decorrono i termini di prescrizione.

 

La proposta di legge:

§         elimina la procedibilità a querela; conseguentemente il delitto diviene procedibile d’ufficio;

§         aumenta la sanzione detentiva (dalla reclusione da 6 mesi a 3 anni, alla reclusione da 1 a 4 anni) e la accompagna con una sanzione pecuniaria (multa da 20 mila a 100 mila euro);

§         prevede che il risarcimento che estingue il reato debba essere integrale e debba riguardare tutte le persone offese dalla condotta e precisa che il danno risarcibile è esclusivamente quello patrimoniale. A tal fine il giudice potrà stabilire un congruo termine – durante il quale il processo resterà sospeso e non decorreranno i termini di prescrizione - entro il quale il reo dovrà provvedere.

 

 

L’articolo 10 interviene sull’art. 2632 del codice civile, relativo al reato di formazione fittizia del capitale.

 

§           Codice civile: testo vigente

§           Codice civile: AC 1895

§           Art. 2632

§           Art. 2632

§           Formazione fittizia del capitale

§           Formazione fittizia del capitale

§           Gli amministratori e i soci conferenti che, anche in parte, formano od aumentano fittiziamente il capitale sociale mediante attribuzioni di azioni o quote in misura complessivamente superiore all'ammontare del capitale sociale, sottoscrizione reciproca di azioni o quote, sopravvalutazione rilevante dei conferimenti di beni in natura o di crediti ovvero del patrimonio della società nel caso di trasformazione, sono puniti con la reclusione fino ad un anno.

§           Gli amministratori e i soci conferenti che, anche in parte, formano od aumentano fittiziamente il capitale sociale mediante attribuzioni di azioni o quote in misura complessivamente superiore all'ammontare del capitale sociale, sottoscrizione reciproca di azioni o quote, sopravvalutazione rilevante dei conferimenti di beni in natura o di crediti ovvero del patrimonio della società nel caso di trasformazione, sono puniti con la reclusione da uno a quattro anni e con la multa da euro 20.000 a euro 100.000.

 

Anche in questo caso la proposta di legge, senza novellare la fattispecie di reato, aumenta la sanzione: dalla reclusione fino a un anno si passa alla reclusione da 1 a 4 anni, accompagnata dalla multa da 20 mila a 100 mila euro.

 

 

L’articolo 11 novella l’art. 2633 del codice, in tema di indebita ripartizione dei beni sociali da parte dei liquidatori.

 

§           Codice civile: testo vigente

§           Codice civile: AC 1895

§           Art. 2633

§           Art. 2633

§           Indebita ripartizione dei beni sociali da parte dei liquidatori

§           Indebita ripartizione dei beni sociali da parte dei liquidatori

§           I liquidatori che, ripartendo i beni sociali tra i soci prima del pagamento dei creditori sociali o dell'accantonamento delle somme necessario a soddisfarli, cagionano danno ai creditori, sono puniti, a querela della persona offesa, con la reclusione da sei mesi a tre anni.

§           I liquidatori che, ripartendo i beni sociali tra i soci prima del pagamento dei creditori sociali o dell'accantonamento delle somme necessario a soddisfarli, cagionano danno ai creditori, sono puniti con la reclusione da uno a quattro anni e con la multa da euro 20.000 a euro 100.000.

§           Il risarcimento del danno ai creditori prima del giudizio estingue il reato.

§           Il reato è estinto qualora il reo provveda all'integrale risarcimento del danno patrimoniale nei riguardi di tutte le persone offese. A tale fine il giudice, su richiesta dell'interessato, può assegnare un congruo termine, durante il quale il processo è sospeso ma non decorrono i termini di prescrizione.

 

Con un intervento analogo a quello operato dall’art. 9 sul reato di operazioni in pregiudizio dei creditori, la proposta di legge:

§         elimina la procedibilità a querela; conseguentemente il delitto diviene procedibile d’ufficio;

§         aumenta la sanzione detentiva (dalla reclusione da 6 mesi a 3 anni, alla reclusione da 1 a 4 anni) e la accompagna con una sanzione pecuniaria (multa da 20 mila a 100 mila euro);

§         prevede che il risarcimento che estingue il reato debba essere integrale e debba riguardare tutte le persone offese dalla condotta; precisa che il danno risarcibile è esclusivamente quello patrimoniale. A tal fine il giudice potrà stabilire un congruo termine – durante il quale il processo resterà sospeso - entro il quale il reo dovrà provvedere.

 

 

L’articolo 12 della proposta di legge novella l’art. 2634 del codice civile, relativo al reato di infedeltà patrimoniale.

 

§           Codice civile: testo vigente

§           Codice civile: AC 1895

§           Art. 2634

§           Art. 2634

§           Infedeltà patrimoniale

§           Infedeltà patrimoniale

§           Gli amministratori, i direttori generali e i liquidatori, che, avendo un interesse in conflitto con quello della società, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o altro vantaggio, compiono o concorrono a deliberare atti di disposizione dei beni sociali, cagionando intenzionalmente alla società un danno patrimoniale, sono puniti con la reclusione da sei mesi a tre anni.

§           Gli amministratori, i direttori generali e i liquidatori, che, avendo un interesse in conflitto con quello della società, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o altro vantaggio, compiono o concorrono a deliberare atti di disposizione dei beni sociali, cagionando intenzionalmente alla società un danno patrimoniale, sono puniti con la reclusione da uno a quattro anni e con la multa da euro 20.000 a euro 100.000.

§           La stessa pena si applica se il fatto è commesso in relazione a beni posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi, cagionando a questi ultimi un danno patrimoniale.

§           Identico.

§           In ogni caso non è ingiusto il profitto della società collegata o del gruppo, se compensato da vantaggi, conseguiti o fondatamente prevedibili, derivanti dal collegamento o dall'appartenenza al gruppo.

§           Identico.

§           Per i delitti previsti dal primo e secondo comma si procede a querela della persona offesa.

§           Identico.

 

La proposta aumenta la sanzione detentiva prevista per il delitto (dalla reclusione da 6 mesi a 3 anni, alla reclusione da 1 a 4 anni) e la accompagna con la sanzione pecuniaria (multa da 20 a 100 mila euro).

 

L’articolo 13 interviene sull’art. 2637 del codice civile, relativo al reato di aggiotaggio.

 

§           Codice civile: testo vigente

§           Codice civile: AC 1895

§           Art. 2637

§           Art. 2637

§           Aggiotaggio

§           Aggiotaggio

§           Chiunque diffonde notizie false, ovvero pone in essere operazioni simulate o altri artifici concretamente idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari non quotati o per i quali non è stata presentata una richiesta di ammissione alle negoziazioni in un mercato regolamentato, ovvero ad incidere in modo significativo sull'affidamento che il pubblico ripone nella stabilità patrimoniale di banche o di gruppi bancari, è punito con la pena della reclusione da uno a cinque anni.

§           Chiunque diffonde notizie false, ovvero pone in essere operazioni simulate o altri artifici concretamente idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari non quotati o per i quali non è stata presentata una richiesta di ammissione alle negoziazioni in un mercato regolamentato, ovvero ad incidere in modo significativo sull'affidamento che il pubblico ripone nella stabilità patrimoniale di banche o di gruppi bancari, è punito con la pena della reclusione da due a sei anni e con la multa da euro 100.000 a euro 300.000.

 

Anche in questo caso la proposta di legge, senza novellare la fattispecie di reato, aumenta la sanzione: dalla reclusione da 1 a 5 anni si passa alla reclusione da 2 a 6 anni, accompagnata dalla multa da 100.000 a 300.000 euro.

 

 




[1]    Decreto legislativo 11 aprile 2002, n. 61, Disciplina degli illeciti penali e amministrativi riguardanti le società commerciali, a norma dell'articolo 11 della L. 3 ottobre 2001, n. 366.

[2]    Recante “Delega al Governo per la riforma del diritto societario”.

[3]    Legge 28 dicembre 2005, n. 262, Disposizioni per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari.

[4]    Il riferimento alla sanzione delle quote si ricollega alle previsioni del decreto legislativo n. 231 del 2001, relativo alla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche.

[5]    D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21 della L. 6 febbraio 1996, n. 52.

[6]    L’articolo 2624 c.c. sostituisce la fattispecie originariamente contenuta nell’art. 175 del decreto legislativo 24 febbraio 1998 n. 58.

[7] Con l’articolo 1, co. 4, della L. 12 luglio 2006, n. 228, di conversione del D.L. 12 maggio 2006, n. 173.

[8]    Dir. 9 marzo 1968, n. 68/151/CEE, Prima direttiva del Consiglio intesa a coordinare, per renderle equivalenti, le garanzie che sono richieste, negli Stati membri, alle società a mente dell'articolo 58, secondo comma, del trattato per proteggere gli interessi dei soci e dei terzi.

[9]    I giudici a quo in particolare censuravano le disposizioni sulle false comunicazioni sociali "nella parte in cui non consentono l'effettività, a mezzo di idoneo meccanismo processuale, della adeguata sanzione penale prevista dalla direttiva medesima e nella parte in cui non prevedono adeguato mezzo processuale in grado di consentire la celebrazione del processo penale entro i termini di prescrizione dei reati previsti dalle stesse norme".

[10]   Il testo in vigore prima del decreto legislativo n. 61 del 2002 era il seguente:

«Art. 2622. Divulgazione di notizie sociali riservate.

Gli amministratori, i direttori generali, i sindaci e i loro dipendenti, i liquidatori, che, senza giustificato motivo, si servono a profitto proprio od altrui di notizie avute a causa del loro ufficio, o ne danno comunicazione, sono puniti, se dal fatto può derivare pregiudizio alla società, con la reclusione fino ad un anno e con la multa da lire duecentomila a due milioni.

Il delitto è punibile su querela della società».

[11]   D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21 della L. 6 febbraio 1996, n. 52.