Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento giustizia
Titolo: Adesione dell'Italia al Trattato di Prum, istituzione della banca dati nazionale del DNA, delega per l'istituzione dei ruoli tecnici del Corpo di polizia penitenziaria, modifiche al c.p.p. in materia di accertamenti tecnici idonei ad incidere sulla libertà personale - A.C. 2042 - (Schede di lettura e riferimenti normativi)
Riferimenti:
AC N. 2042/XVI     
Serie: Progetti di legge    Numero: 114
Data: 09/02/2009
Descrittori:
BASI DI DATI   DIRITTO PROCESSUALE PENALE
POLIZIA PENITENZIARIA   RATIFICA DEI TRATTATI
Organi della Camera: II-Giustizia
III-Affari esteri e comunitari


Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

SERVIZIO STUDI

 

Progetti di legge

Adesione dell’Italia al Trattato di Prum, istituzione della banca dati nazionale del DNA, delega per l’istituzione dei ruoli tecnici del Corpo di polizia penitenziaria, modifiche al c.p.p. in materia di accertamenti tecnici idonei ad incidere sulla libertà personale

A.C. 2042

Schede di lettura e riferimenti normativi

 

 

 

 

n. 114

 

 

9 febbraio 2009

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Alla redazione del dossier hanno collaborato il Dipartimenti Affari Esteri, il Dipartimento Istituzioni e l’Ufficio rapporti con l’Unione europea

 

Dipartimento giustizia

SIWEB

 

I dossier dei servizi e degli uffici della Camera sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.

 

 

File: GI0135.doc

 

 


INDICE

Schede di lettura

Quadro normativo  3

§      Il contenuto del Trattato di Prum   3

§      La banca dati del DNA  6

§      Lo scambio di informazioni a livello europeo  10

Contenuto del progetto di legge  15

§      Capo I – Disposizioni generali15

§      Capo II – Istituzione della banca dati nazionale del DNA e del laboratorio centrale per la banca dati del DNA  17

§      Capo III – Scambio di informazioni e altre forme di cooperazione  41

§      Capo IV – Modifiche al codice di procedura penale in materia di accertamenti tecnici idonei ad incidere sulla libertà personale  47

§      Capo V – Disposizioni finali52

§      Codice di Procedura Penale (artt. 132, 133, 191, 224, 349, 354, 392, 530, 655)96

§      L. 5 agosto 1978, n. 468. Riforma di alcune norme di contabilità generale dello Stato in materia di bilancio. (art. 7, co. 2 n. 2 e art. 11-ter, co. 7)103

§      L. 23 agosto 1988, n. 400. Disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri. (art. 17)105

§      L. 21 febbraio 1990, n. 36. Nuove norme sulla detenzione delle armi, delle munizioni, degli esplosivi e dei congegni assimilati. (art. 9)107

§      L. 30 settembre 1993, n. 388. Ratifica ed esecuzione: a) del protocollo di adesione del Governo della Repubblica italiana all'accordo di Schengen del 14 giugno 1985 tra i Governi degli Stati dell'Unione economica del Benelux, della Repubblica federale di Germania e della Repubblica francese relativo all'eliminazione graduale dei controlli alle frontiere comuni, con due dichiarazioni comuni; b) dell'accordo di adesione della Repubblica italiana alla convenzione del 19 giugno 1990 di applicazione del summenzionato accordo di Schengen, con allegate due dichiarazioni unilaterali dell'Italia e della Francia, nonché la convenzione, il relativo atto finale, con annessi l'atto finale, il processo verbale e la dichiarazione comune dei Ministri e Segretari di Stato firmati in occasione della firma della citata convenzione del 1990, e la dichiarazione comune relativa agli articoli 2 e 3 dell'accordo di adesione summenzionato; c) dell'accordo tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica francese relativo agli articoli 2 e 3 dell'accordo di cui alla lettera b); tutti atti firmati a Parigi il 27 novembre 1990.108

§      L. 24 dicembre 2003, n. 350. Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2004). (art. 3, co. 151)110

Giurisprudenza costituzionale

§      Sentenza 9 luglio 1996, n. 238  113

Documentazione

§      Dec. 13 giugno 2002, n. 2002/475/GAI. Decisione quadro del Consiglio sulla lotta contro il terrorismo (artt. 1-3)121

§      Provvedimento del Garante per la protezione dei dati personali concernente la segnalazione al Parlamento e al Governo sulla disciplina delle banche dati del Dna a fini di giustizia, 19 settembre 2007  126

§      Parere del Garante per la protezione dei dati personali concernente la Banca dati Dna, 15 ottobre 2007  130

 


Schede di lettura

 


Quadro normativo

Il contenuto del Trattato di Prum

 

Il Trattato in esame è stato firmato tra Belgio, Germania, Spagna, Francia, Lussemburgo, Paesi Bassi e Austria il 27 maggio 2005 a Prüm (Germania).

L’accordo, volto a rafforzare la cooperazione di polizia in materia di lotta al terrorismo, alla criminalità transfrontaliera ed all’immigrazione clandestina, si compone di un Preambolo e di 52 articoli raggruppati in otto capitoli.

Il Capitolo 1 è formato dal solo articolo 1 che delinea le finalità del Trattato e i principi generali della cooperazione in esso disciplinata. L’articolo prevede fra l’altro che la cooperazione non interferisca con il diritto dell’Unione europea e che, anzi, a tre anni dall’entrata in vigore del Trattato[1], sarà presentata una valutazione sull’esperienza acquisita nell’applicazione di esso, ai fini della sua integrazione nell’acquis comunitario. Per la stessa ragione, l’articolo 1 prevede che il Trattato è aperto alla firma di tutti gli  Stati membri dell’Unione.

Il Capitolo 2 (artt. 2 – 15) disciplina l’impegno fra le Parti contraenti a creare schedari nazionali di analisi del DNA e a scambiare le informazioni contenute in tali schedari al fine di prevenire e perseguire i crimini legati al terrorismo, alla immigrazione clandestina e alle attività criminali transfrontaliere. Le Parti si impegnano inoltre a scambiare le informazioni sui dati dattiloscopici (le impronte digitali) e consentono ai Punti di contatto nazionale designati dai singoli Stati contraenti l’accesso ai dati inseriti negli archivi informatizzati dei registri di immatricolazione dei veicoli.

Più in dettaglio, gli articoli da 2 a 7 sono volti alla creazione di banche dati nazionali di analisi del DNA al fine di perseguire le violazioni penali e di garantire la disponibilità dei dati indicizzati (che, nel rispetto delle norme in materia di protezione dei dati personali non devono consentire l’identificazione diretta della persona interessata) alle altre Parti. L’accesso alle informazioni avviene attraverso la consultazione automatizzata dei data base da parte dei punti di contatto nazionali designati da ciascuna parte contraente, competenti anche riguardo la comparazione dei profili DNA. Qualora il punto di contatto di una Parte registri corrispondenza tra profili DNA trasmessi e quelli contenuti nel proprio schedario, deve comunicare al punto di contatto dell’altra Parte i dati indicizzati per i quali è stata riscontrata la concordanza. In caso di concordanza, la trasmissione di altri dati a carattere personale avviene sulla base del diritto nazionale della Parte richiesta.

Gli articoli da 8 a 11 consentono analoghe forme di cooperazione e di scambio di informazioni circa il contenuto delle banche dati delle impronte digitali, sempre per il tramite dei punti di contatto nazionali.

L’articolo 12 consente inoltre la consultazione automatizzata dei dati contenuti nei registri di immatricolazione dei veicoli, al fine di prevenire e perseguire comportamenti penalmente punibili e per contribuire al mantenimento della sicurezza e dell’ordine pubblico.

L’articolo 13 consente la trasmissione di dati a carattere non personale utili a prevenire violazioni dell’ordine pubblico in caso di grandi manifestazioni a carattere transfrontaliero mentre, nello stesso caso, l’articolo 14 consente la trasmissione di dati personali in presenza di condanne definitive o di altri fatti che facciano temere reati da parte delle persone di cui vengono trasmessi i dati.

Il Capitolo 3 (artt. 16 - 19) contiene misure volte a prevenire i reati terroristici.

Con l’articolo 16 le Parti hanno la facoltà, anche se non richieste, di trasmettere dati personali quando ritengano che le persone interessate possano commettere reati quali quelli previsti agli articoli 1, 2 e 3 della decisione quadro 2002/475/GAI del Consiglio dell’UE.

La decisione quadro del Consiglio 475 del 13 giugno 2002  elenca agli articoli da 1 a 3 una lunga serie di reati terroristici, o riconducibili ad un’organizzazione terroristica o connessi ad attività terroristiche, chiedendo a ciascuno Stato membro di adottare le misure necessarie affinché siano considerati tali nei rispettivi ordinamenti nazionali. Il testo degli articoli in questione è consultabile nella sezione dei riferimenti normativi del presente dossier.

Gli articoli da 17 a 19 disciplinano la presenza di guardie armate a bordo di aeromobili (air marshals) con funzioni di prevenzione di atti terroristici e di mantenimento della sicurezza del volo.

Il Capitolo 4 (artt. 20 - 23) contiene misure relative alla lotta contro la migrazione illegale.

Gli articoli 20 e 21 riguardano l’invio di consulenti sui documenti falsi nei Paesi di origine o di transito di migranti illegali. Tra i compiti dei consulenti, la formazione delle istituzioni del Paese ospite competente per i controlli di polizia alle frontiere.

Anche in questo caso le Parti contraenti designano punti nazionali di contatto, responsabili della concertazione sull’invio dei consulenti sui documenti falsi (art. 22).

L’articolo 23 prevede il reciproco sostegno tra le Parti nel corso  dell’organizzazione di voli congiunti per l’allontanamento di migranti illegali.

Il Capitolo 5 (artt. 24 - 27) stabilisce ulteriori forme di cooperazione.

In particolare, l’articolo 24 prevede forme di pattugliamento congiunto nell’ambito della cooperazione di polizia, che si sostanziano nella partecipazione di funzionari designati dalle singole Parti contraenti ad interventi che si svolgano nel territorio di un’altra Parte contraente. In base all’articolo 25, è previsto lo sconfinamento – senza preventiva autorizzazione - di funzionari di una Parte sul territorio di una Parte confinante, qualora vi sia l’urgenza di adottare misure provvisorie per scongiurare pericoli imminenti riguardanti la vita o l’integrità fisica di persone.

L’articolo 26 riguarda la reciproca assistenza durante manifestazioni di massa, grandi eventi e catastrofi, mentre l’articolo 27 prevede l’assistenza reciproca su richiesta in base all’articolo 39, par. 1, 1 frase, della Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen[2].

Il Capitolo 6 (artt. 28 - 32) contiene norme riguardanti la presenza di funzionari di una Parte sul territorio di un’altra Parte nell’ambito di un intervento comune.

Il Capitolo 7 (artt. 33 - 41) reca disposizioni generali relative alla protezione dei dati.

L’articolo 33 contiene la definizione di alcuni termini utilizzati nel Trattato e il suo ambito di applicazione. Il livello di protezione dei dati (articolo 34) non può essere inferiore a quello che risulta dalla Convenzione europea del 1981 relativa alla protezione delle persone nei confronti del trattamento informatizzato dei dati [3]. L’articolo 35 definisce le finalità di utilizzo dei dati personali, specificando che questi sono trattabili dalla Parte destinataria per i soli scopi esplicitati nel Trattato, salvo che non vi sia l’autorizzazione della Parte che gestisce i dati ad effettuare un utilizzo diverso. Gli articoli 37 e 38 contengono norme circa l’esattezza e l’aggiornamento dei dati, nonché le misure per garantire la protezione dei dati. L’articolo 40 sancisce il diritto delle persone interessate ad essere informate dall’autorità competente sui dati trattati che le riguardano e sulle finalità del trattamento.

Il Capitolo 8 (artt. 42 – 52) contiene le disposizioni applicative e conclusive.

L’articolo 42 stabilisce che al momento del deposito dello strumento di ratifica ogni Parte consegni una dichiarazione che indica le autorità competenti per l’applicazione del Trattato (ossia, tra gli altri, i punti di contatto per l’analisi del DNA, per i dati dattiloscopici, per i dati del registro di immatricolazione dei veicoli, per lo scambio di informazioni durante i grandi eventi). Le autorità competenti potranno in seguito concludere accordi riguardanti l’attuazione del Trattato stesso (articolo 44).

L’articolo 43 istituisce un Comitato dei Ministri delle Parti, coadiuvato da un gruppo di lavoro comune, che adotta le decisioni necessarie all’applicazione del Trattato.

L’articolo 47 stabilisce la prevalenza del diritto dell’Unione europea sulle disposizioni del Trattato se, in futuro, dovessero rivelarsi incompatibili.

Il Trattato entra in vigore tra le Parti che lo hanno ratificato 90 giorni dopo il deposito del secondo strumento di ratifica, e 90 giorni dopo il deposito dello strumento di ratifica per le altre Parti. Il depositario è il governo della Repubblica di Germania (articoli 49 e 50).

Il Trattato ha durata illimitata e può essere denunciato per via diplomatica (articolo 52).

 

La banca dati del DNA

Le finalità della banca dati

 

La raccolta dei dati del DNA in una banca dati ha la finalità di permettere la comparazione dei profili del DNA di persone già implicate in procedimenti penali con i profili del DNA ottenuti dalle tracce biologiche rinvenute sulla scena di un reato (omicidi, violenza sessuale, rapine, sequestri, ecc.) per poter risalire all'autore dello stesso (analogamente a quanto già accade con le impronte digitali).

L'impronta genetica è inoltre utile nei casi di rinvenimento di resti umani, in quanto permette di risalire all'identità della persona (riconoscimento ed identificazione personale in casi quali, ad esempio, i disastri aerei, i cimiteri della criminalità, ecc.).

 

Le indicazioni provenienti dal Consiglio d'Europa e dall'Unione europea

 

Il Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa ha adottato, in data 10 febbraio 1992, la raccomandazione R(92)1 sull'impiego di analisi del DNA nell'ambito della giustizia penale, con la quale, riconoscendo ad un tempo l'importanza delle analisi del DNA nell'ambito delle indagini penali e la necessità di tutelare la dignità della persona, l'integrità personale, il diritto alla difesa e il principio di proporzionalità, esortava gli Stati membri ad informare la propria legislazione nazionale ad alcuni principi e criteri.

Secondo la suddetta raccomandazione, i campioni di DNA raccolti nel corso di indagini penali a fini identificativi e le relative informazioni non devono essere utilizzati per altre finalità (ad esclusione delle finalità di studio e di ricerca, a condizione che tale utilizzo non consenta di risalire alla identità del soggetto a cui le informazioni si riferiscono). Il soggetto dal quale è stato prelevato il campione ha diritto ad ottenere le informazioni relative al campione stesso.

Il prelievo dei campioni deve avvenire nei casi e con le modalità disciplinate dalla legislazione nazionale. Il ricorso all'analisi del DNA deve essere effettuato in tutti i casi in cui ciò risulti appropriato, indipendentemente dalla gravità del reato.

Le analisi devono essere compiute in strutture dotate di mezzi e professionalità idonei al compito.

La raccolta dei campioni e l'utilizzo delle analisi devono essere effettuati in conformità con gli standard di protezione dei dati personali elaborati dal Consiglio d'Europa nella Convenzione sulla protezione dei dati personali e nelle raccomandazioni sulla medesima materia (in particolare, la raccomandazione R(87)15 sull'impiego dei dati personali da parte delle forze di polizia).

I campioni non devono essere conservati dopo la sentenza definitiva che chiude il caso in cui furono prelevati, salvo che la conservazione sia necessaria per scopi direttamente collegati a quelli per i quali si procedette al prelievo.

I risultati delle analisi del DNA e le relative informazioni devono essere cancellati una volta che la loro conservazione non sia più necessaria per gli scopi per i quali furono utilizzati. Tuttavia, essi possono essere conservati quando l'individuo in questione sia stato condannato per gravi delitti contro la vita, l'integrità personale o la sicurezza degli individui. In questi casi la legislazione nazionale deve indicare dei termini temporali per la conservazione. Nei casi in cui è coinvolta la sicurezza dello Stato, il risultato delle analisi del DNA e le relative informazioni possono essere conservati anche in assenza della formulazione di un'accusa o di una condanna.

Le analisi del DNA devono essere accessibili da parte della difesa.

 

Il Consiglio dell'Unione europea, con risoluzione del 9 giugno 1997 sullo scambio di risultati di analisi del DNA (97/C 193/2), ha esortato gli Stati membri a prevedere la costituzione di banche dati nazionali relative al DNA. Ai fini dello scambio dei risultati delle analisi del DNA tra gli Stati membri, questi ultimi sono stati incoraggiati a costituire tali banche dati secondo gli stessi standard e in modo che siano compatibili tra loro. Le possibilità di scambio di dati concernenti la parte non codificante della molecola del DNA, di cui si può ritenere che non porti alcuna informazione su proprietà ereditarie specifiche.

 

Si ricorda infine che, il 25 giugno 2001, il Consiglio dell'Unione europea ha adottato una risoluzione sullo scambio dei risultati delle analisi del DNA, che si fonda sull'opportunità di elaborare un elenco minimo iniziale dei marcatori del DNA impiegati nelle analisi forensi del DNA effettuati negli Stati membri.

 

I provvedimenti adottati dal Garante per la protezione dei dati personali

 

Il Garante per la protezione dei dati personali ha adottato due provvedimenti in materia: la segnalazione del 19 settembre 2007 al Parlamento e al Governo sulla disciplina delle banche dati del DNA a fini di giustizia (ai sensi dell'art. 154, comma 1, lett. f) del decreto legislativo 196/2003 (Codice in materia di protezione dei dati personali) e il parere reso il 15 ottobre 2007 sullo schema di disegno di legge A.S. 1877 della scorsa legislatura.

Nella richiamata segnalazione, in particolare, vengono individuati gli aspetti per i quali il Garante ritiene opportuno un intervento normativo sull'utilizzazione dei dati relativi al DNA per finalità di accertamento e repressione di reati.

 

Secondo il Garante, una normativa adeguata dovrebbe prendere in esame quantomeno i profili di seguito indicati:

1) finalità da perseguire e competenze istituzionali: la nuova legge dovrebbe evidenziare che alla base della banca dati dovrebbero esservi solo finalità specifiche di identificazione di persone. L'individuazione dell'organismo presso il quale istituire la banca dati e che dovrà gestirla, nonché i compiti di eventuali altre entità interessate dovrebbero essere previsti in armonia con tali finalità e con le rispettive competenze istituzionali;

2) presupposti per registrare informazioni sul DNA in una banca dati: è auspicabile una valutazione dell'esperienza maturata in altri Paesi europei riguardo all'"architettura" della banca dati, essendosi già sperimentati modelli di banche centralizzate gestite da un unico soggetto presso cui le forze di polizia e la magistratura fanno confluire dati, come pure banche dati locali efficacemente "federate" fra loro sul piano informatico. La particolare delicatezza della materia induce a ritenere che debba essere la legge a contenere le scelte di fondo sui presupposti e sulle condizioni in presenza delle quali le informazioni riconducibili al DNA e raccolte in sede investigativa (in relazione a reperti rinvenuti sul luogo del delitto, a corpi del reato, a persone sottopostesi volontariamente a prelievo, ecc.) potranno essere conservate in modo organizzato in una banca dati a livello nazionale. Ciò non esclude che, anche in relazione alla rapida evoluzione tecnologica, un eventuale regolamento di attuazione possa contenere norme tecniche e regolare alcuni profili secondari. Occorrono poi chiare indicazioni affinché i profili del DNA non siano duplicati in altre banche dati di singole forze di polizia, fatta salva la documentazione negli atti dei singoli procedimenti penali. Sono auspicabili quindi anche chiare indicazioni sulla sorte di archivi di polizia oggi già esistenti. Rispetto alle modalità di raccolta e di gestione dei dati, l'attività di indagine presenta peraltro alcune sue specificità rispetto ad altre attività che fanno uso di dati genetici. Andrebbe fatta in tal senso specifica applicazione dei principi di necessità e di proporzionalità, già sviluppati dal Garante in riferimento alla diversa area applicativa dell'autorizzazione generale in materia di dati genetici del 22 febbraio 2007, con particolare riferimento al prelievo;

3) effettivo rispetto della dignità degli interessati;

4) modalità e tempi di conservazione di profili e di campioni biologici: è essenziale che nella banca dati figurino solo profili del DNA di cui è necessaria la tenuta, registrati con modalità non direttamente connesse all'identità delle persone interessate. Nella banca dati non dovrebbero quindi figurare campioni biologici, dei quali - nei casi in cui dovessero essere indispensabilmente preservati per il periodo strettamente necessario - dovrebbe essere comunque evitata, per quanto possibile, una gestione dei campioni biologici ovunque collocati che assuma la forma di banca dati. Il Garante segnala anche l'esigenza di regolare tempi e modalità di registrazione e di aggiornamento dei dati, anche in rapporto ai diversi sviluppi processuali eventualmente favorevoli agli interessati. I periodi di conservazione dei predetti dati andrebbero individuati tenendo conto di quanto previsto dal Consiglio d'Europa il quale richiede (Raccomandazione n. R(92)1) che i risultati di analisi e le informazioni derivate – fatta salva la documentazione nel processo penale in cui sono stati raccolti - possano essere conservati se la persona interessata è stata condannata per gravi reati contro la vita, l'incolumità fisica e la sicurezza delle persone;

5) tutela di particolari dati sulla salute: andrebbero applicati sistemi di analisi che non consentano, anche nel procedimento penale, di individuare patologie di cui sia eventualmente affetto l'interessato se non quando sia indispensabile in relazione allo specifico reato da accertare;

6) accessi degli operatori alla banca dati e misure di sicurezza: gli operatori aventi accesso alla banca dati dovrebbero essere individuati con modalità puntuali e selettive, in relazione a personale specificamente incaricato e solo in rapporto ad attività investigative previste e disposte sulla base della legge. Occorrerebbe stabilire specifiche previsioni per assicurare un elevato livello di sicurezza e di qualità di dati, campioni e sistemi, adeguate alla particolare delicatezza dei dati conservati e che consentano di tracciare ogni accesso, nonché di svolgere periodicamente qualificate procedure di audit;

7) esercizio dei diritti degli interessati e loro altre prerogative: si ravvisa l'esigenza di alcune specifiche indicazioni normative riguardo alle concrete modalità di esercizio dei diritti che il Codice in materia di protezione dei dati personali attribuisce già all'interessato riguardo all'accesso ai dati che lo riguardano, al loro aggiornamento e all'eventuale rettifica o cancellazione;

8) garanzie in caso di prelievi del DNA comunque obbligatori per legge;

9) il controllo del Garante: opportune disposizioni dovrebbero raccordare la nuova disciplina con i compiti istituzionali che il Codice in materia di protezione dei dati personali ha affidato al Garante per ciò che riguarda: a) le misure e gli accorgimenti a garanzia degli interessati che le forze di polizia devono osservare, riguardo all'utilizzazione di banche di dati genetici o biometrici (artt. 17 e 55 del Codice); b) al controllo sull'osservanza della disciplina del trattamento di dati personali (artt. 154 e 160 del Codice);

10) l'eventuale attività di monitoraggio del Parlamento.

Infine, il Garante ha osservato che una banca dati può essere già utilmente composta dai dati raccolti per esigenze investigative nell'ambito di procedimenti penali, che sono già assai numerosi. In altre parole, l'istituzione della predetta banca dati non impone, di per sé, l'introduzione complementare di un prelievo del DNA comunque obbligatorio nei confronti di intere categorie di soggetti che, a vario titolo, siano stati comunque interessati da una vicenda giudiziaria, anche quando non sussista alcuna esigenza investigativa o, in ipotesi, quando vi sia stato già, per esigenze investigative, un prelievo nel procedimento. Nel caso in cui il Parlamento ritenesse di prevedere che, in aggiunta ad una banca dati alimentata da informazioni raccolte per esigenze investigative nel corso dei procedimenti penali, alcune categorie di soggetti (quali fermati, arrestati, indagati, imputati o condannati per determinati reati) debbano essere sottoposti in ogni caso ad un prelievo obbligatorio di cui va chiarita la specifica finalità, occorrerebbe comunque individuare in maniera selettiva e proporzionata i soggetti interessati e i relativi reati che non potrebbero che essere definiti sulla base della loro particolare gravità. Ciò, tenendo conto del criterio di "appropriatezza" della menzionata Raccomandazione del Consiglio d'Europa e approfondendo anche in questo caso, ovviamente, il profilo della conservazione nella banca dati di informazioni relative a persone rivelatesi non responsabili di illeciti.

Lo scambio di informazioni a livello europeo

L'affermarsi di forme di cooperazione di polizia ed in materia penale tra gli Stati europei ha attratto l'attenzione sulla opportunità di condividere tutte le informazioni che siano necessarie per combattere la criminalità. Tradizionalmente, si è applicato il principio in base al quale le informazioni e i dati appartengono alle autorità statali che li detengono, che possono quindi disporne liberamente, stabilendo condizioni di accesso differenziate per le autorità nazionali e quelle straniere. In quest'ottica, lo scambio di informazioni avviene attraverso le autorità centrali, mentre gli scambi diretti tra i funzionari competenti costituiscono casi eccezionali. Tali procedure sono dunque caratterizzate da lunghezza dei tempi ed aleatorietà dei risultati.

Tale approccio è stato radicalmente modificato dal programma dell'Aia in materia di rafforzamento della libertà, della sicurezza e della giustizia nell'Unione europea, adottato dal Consiglio europeo del 4-5 novembre 2004

Al punto III.2.1 di tale programma, infatti, il Consiglio europeo si dichiarava convinto che il rafforzamento della libertà, della sicurezza e della giustizia richiedesse un approccio innovativo nei confronti dello scambio transfrontaliero di informazioni in materia di applicazione della legge. Le informazioni necessarie ai fini della lotta contro la criminalità avrebbero dovuto attraversare le frontiere interne della UE senza ostacoli. Il Consiglio europeo affermava dunque che, dal 1° gennaio 2008, lo scambio di informazioni di questo tipo sarebbe dovuto avvenire in virtù del principio di disponibilità, che veniva così definito: "in tutta l'Unione, un ufficiale di un servizio di contrasto di uno Stato membro che ha bisogno di informazioni nell'esercizio delle sue funzioni dovrebbe poter ottenere tali informazioni da un altro Stato membro e il servizio di contrasto nell'altro Stato membro che dispone di tali informazioni dovrebbe essere tenuto a trasmettergliele per i fini dichiarati, tenendo conto dei requisiti relativi alle indagini in corso nel suddetto Stato". In altri termini, le informazioni disponibili per talune autorità in uno Stato membro dovrebbero essere fornite anche alle autorità omologhe in altri Stati membri e tale scambio di informazioni dovrebbe avvenire in modo quanto più possibile rapido e semplice, di preferenza accordando l'accesso diretto on-line. Conseguentemente, il Consiglio europeo invitava la Commissione a presentare, al più tardi entro la fine del 2005, proposte relative all'attuazione del principio di disponibilità, che avrebbero dovuto osservare rigorosamente le seguenti condizioni fondamentali: - lo scambio può avere luogo soltanto ai fini dell'esecuzione di compiti stabiliti dalla legge; - deve essere garantita l'integrità dei dati oggetto dello scambio; - devono essere protette le fonti di informazione e deve essere assicurata la riservatezza dei dati in ogni fase dello scambio e successivamente; - l'accesso ai dati deve essere disciplinato da norme comuni e devono essere applicati standard tecnici comuni; - deve essere garantito il controllo del rispetto della protezione dei dati e un controllo appropriato prima e dopo lo scambio; - le persone devono essere tutelate contro l'uso improprio dei dati e devono avere il diritto di richiedere la correzione dei dati errati. Infine, si chiariva che lo scambio di informazioni dovrebbe sfruttare appieno le nuove tecnologie e che i metodi utilizzati dovrebbero essere adeguati ai diversi tipi di informazioni, se del caso attraverso l'accesso reciproco o l'interoperabilità di basi di dati nazionali, oppure l'accesso diretto (on-line), anche per l'Europol, alle basi di dati centrali dell'UE già esistenti, quali il SIS. Nuove basi di dati centralizzate a livello europeo dovrebbero essere create soltanto sulla base di studi che ne dimostrino il valore aggiunto. In altri termini, la condivisione deve avere ad oggetto tutte le informazioni e non, come avveniva precedentemente, dati espressamente indicati. Come è stato già sottolineato precedentemente, la finalità del principio di disponibilità è quella di creare un unico network composto dalle banche dati nazionali e consultabile da tutti i soggetti che contribuiscono alla alimentazione del sistema. Con riferimento al principio di disponibilità, è stato affermato che esso "... richiama in larga misura il principio di mutuo riconoscimento in materia penale. La cooperazione è agevolata dal riconoscimento degli standard e delle regole nazionali e le autorità devono collaborare con gli omologhi di altri Stati membri sulla base della fiducia, senza porre troppe domande sullo scopo della richiesta o sull'utilizzo delle informazioni fornite nell'ambito del sistema giudiziario e di pubblica sicurezza del paese che ne ha fatto richiesta. Alla luce delle profonde differenze esistenti tra i sistemi nazionali di applicazione della legge e di lotta al terrorismo, l'applicazione indiscriminata del principio di disponibilità può condurre ad una notevole incertezza giuridica e ad un deficit di trasparenza e legittimazione democratica". In accoglimento del suddetto invito del Consiglio europeo, la Commissione, in data 14 ottobre 2005, presentava una proposta di decisione quadro del Consiglio sullo scambio di informazioni in virtù del principio di disponibilità (COM(2005)490). Al fine di ovviare ai problemi insiti nelle procedure tradizionali, la proposta in questione prevede alcuni canali diretti per lo scambio di informazioni e un obbligo generale di risposta, fatto salvo un numero limitato di motivi di rifiuto armonizzati. In particolare, essa contempla sia l'accesso alle informazioni diretto che quello indiretto. Ai sensi dell'art. 9, l'accesso diretto online da parte delle autorità straniere è previsto per le informazioni contenute nelle banche dati a cui le autorità nazionali omologhe hanno accesso diretto on-line. Nel caso in cui l'accesso diretto on-line alle informazioni non sia possibile, si applica l'art. 10 il quale prevede un accesso indiretto in due fasi (c.d. sistema hit/no hit). In un primo momento, è possibile effettuare la ricerca on-line dei "dati di indice", che consentono di sapere se la banca dati straniera contiene dati corrispondenti a quelli ricercati. Se la consultazione dei dati di indice permette di individuare una corrispondenza, l'autorità richiedente può compilare una domanda di informazioni relativa alla persona cui si riferiscono i dati. La proposta di decisione quadro ha un ambito di applicazione molto ampio, in quanto estende l'applicazione del principio di disponibilità anche ai dati balistici, ai numeri di telefono ed agli altri dati relativi al contenuto esterno delle comunicazioni, nonché ai dati minimi per la identificazione delle persone iscritte nei registri anagrafici. Il procedimento di approvazione della proposta in esame non è giunto a conclusione.

La proposta , che segue la procedura di consultazione, è in attesa di esame da parte del Parlamento europeo in plenaria. La proposta di relazione (relatore Alvaro Alexander - ALDE) è stata presentata presso la commissione Libertà civili, giustizia e affari interni, competente per il merito, il 6 febbraio 2008.

 

Nelle more del procedimento legislativo che avrebbe dovuto portare all'approvazione della suddetta proposta, si verificavano due novità. In primo luogo, il Regno di Svezia presentava una proposta, poi divenuta la decisione quadro del Consiglio del 18 dicembre 2006, n. 960 che mira a stabilire le norme in virtù delle quali le autorità degli Stati membri incaricate dell'applicazione della legge possono scambiarsi le informazioni e l'intelligence esistenti efficacemente e rapidamente ai fini dello svolgimento di indagini penali o di operazioni di intelligence criminale. Essa stabilisce che la comunicazione di informazioni e intelligence alle autorità competenti di altri Stati membri incaricate dell'applicazione della legge non possa essere soggetta a condizioni più rigorose di quelle applicabili a livello nazionale per la comunicazione e la richiesta di informazioni e intelligence. In capo agli Stati membri è posto l'obbligo di comunicare le informazioni richieste entro termini stabiliti, salva la sussistenza dei motivi di rifiuto tassativamente elencati dall'art. 10. Gli Stati membri dovranno adottare le misure necessarie per conformarsi alle disposizioni della decisione quadro in questione entro il 19 dicembre 2008. Una seconda novità aveva luogo al di fuori del quadro dell'Unione europea. Alcuni Stati membri stipulavano infatti il Trattato di Prüm, il quale, come si è detto, è un trattato multilaterale di diritto internazionale. Per quanto concerne lo specifico tema dello scambio di informazioni, il Trattato prevede che esso: (1) abbia ad oggetto particolari tipi di informazioni (DNA, dati relativi alle impronte digitali e all'immatricolazione dei veicoli), in applicazione di quello che viene definito "data field-by-data field approach" (approccio per singoli campi di dati); (2) si realizzi per mezzo di una rete di punti di contatto nazionali che dovranno essere dichiarati al momento del deposito dell'atto di ratifica, approvazione o adesione (art. 41). Ciò configura una soluzione intermedia tra quella degli ordinari canali diplomatici e il contatto diretto tra le singole autorità interessate; (3) avvenga sulla base del già menzionato principio hit/no hit: i dati e le informazioni contenuti nelle banche dati devono essere conservati in modo che siano accessibili on-line solo gli indici di consultazione ad esso relativi. Gli indici consentono di accertare unicamente se le informazioni richieste sono o meno presenti nella banca dati, ma non rendono possibile - in via immediata e diretta - la identificazione della persona alla quale i dati o le informazioni sono riferibili. Come è stato anticipato, l'art. 1, paragrafo 4, del Trattato prevede che, al massimo tre anni dopo l'entrata in vigore del Trattato stesso, le sue Parti contraenti presentino un'iniziativa volta alla trascrizione delle sue disposizioni nel quadro giuridico dell'Unione europea.

In questo quadro, il 23 giugno 2008 il Consiglio ha adottato la decisione 2008/615/GAI[4]relativa al  potenziamento della cooperazione transfrontaliera, soprattutto nella lotta al terrorismo e alla criminalità transfrontaliera

La decisione ha inteso integrare nel quadro giuridico dell’Unione europea importanti disposizioni del Trattato di Prüm relative alla cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale.

La decisione contiene in particolare disposizioni su:

·         condizioni e procedura per il trasferimento automatizzato di profili DNA, dati dattiloscopici, e taluni dati di immatricolazione dei veicoli;

·         condizioni di trasmissione dei dati in relazione a eventi di rilievo a dimensione transfrontaliera;

·         condizioni di trasmissione delle informazioni per prevenire reati terroristici;

·         condizioni e procedura per potenziare la cooperazione di polizia transfrontaliera attraverso varie misure.

Nella stessa data il Consiglio ha inoltre adottato la decisione 2008/616/CE[5]relativa alle modalità di applicazione indispensabili per l’attuazione amministrativa e tecnica della decisione 2008/615/CE.

Si ricorda inoltre che il 27 novembre 2008 il Consiglio giustizia e affari interni ha definitivamente adottato la decisione quadro 2008/977/GAI relativa alla protezione dei dati personali trattati nell’ambito della cooperazione di polizia e giudiziaria penale[6].

Scopo della decisione quadro è garantire un elevato livello di protezione dei diritti e delle libertà fondamentali delle persone fisiche, in particolare del diritto alla vita privata, riguardo al trattamento dei dati personali nell’ambito della cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale di cui al titolo VI del trattato sull’Unione europea, garantendo nel contempo un elevato livello di sicurezza pubblica.

La decisione quadro stabilisce che gli Stati membri proteggono i diritti e le libertà fondamentali delle persone fisiche, in particolare il diritto alla vita privata, quando, ai fini della prevenzione, dell’indagine, dell’accertamento e del perseguimento dei reati o dell’esecuzione delle sanzioni penali, i dati personali:

a) sono o sono stati trasmessi o resi disponibili tra Stati membri;

b) sono o sono stati trasmessi o resi disponibili dagli Stati membri ad autorità o a sistemi d’informazione istituiti in base al titolo VI del trattato sull’Unione europea; o

c) sono o sono stati trasmessi o resi disponibili alle competenti autorità degli Stati membri da autorità o sistemi d’informazione istituiti in base al trattato sull’Unione europea o al trattato che istituisce la Comunità europea.

La decisione quadro si applica al trattamento di dati personali, interamente o parzialmente automatizzato, nonché al trattamento non automatizzato di dati personali figuranti o destinati a figurare negli archivi.

Essa lascia impregiudicati gli interessi fondamentali della sicurezza nazionale e specifiche attività di informazione nel settore della sicurezza nazionale e non osta a che gli Stati membri prevedano, per la protezione dei dati personali raccolti o trattati a livello nazionale, garanzie più elevate di quelle stabilite nella presente decisione quadro.

 


 

Contenuto del progetto di legge

Capo I – Disposizioni generali

 

Il capo I della proposta di legge (artt. 1-4) contiene disposizioni di carattere generale.

 

In particolare, l'articolo 1 del progetto di legge autorizza il Presidente della Repubblica ad aderire al Trattato di Prüm, volto all’approfondimento della cooperazione transfrontaliera, in particolare allo scopo di contrastare il terrorismo, la criminalità transfrontaliera e la migrazione illegale.

 

Si ricorda che il 4 luglio 2006, a Berlino, l'allora Ministro dell’interno italiano (Amato) ha sottoscritto, unitamente alle autorità tedesche, una dichiarazione nella quale manifestava l’intenzione della Repubblica italiana di aderire al Trattato di Prüm, previo espletamento delle necessarie procedure di adeguamento dell’ordinamento interno. A tale dichiarazione è stata allegata una lista di osservazioni italiane riguardanti punti specifici del Trattato.

Si ricorda altresì che il 18 luglio 2007 il c.d. Comitato Schengen (Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'Accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione) ha approvato, all'unanimità, il testo di una risoluzione che impegnava il Governo a prendere, entro il 30 settembre 2007, le opportune iniziative volte e ratificare il Trattato di Prüm, ad intervenire sulla normativa nazionale in materia, in modo da consentire una rapida adesione dell'Italia al Trattato. Alla luce di quanto sopra, il Governo Prodi, in data 13 novembre 2007, aveva presentato al Senato un disegno di legge (A.S. 1877) il cui iter parlamentare non è stato avviato per la fine anticipata della 15^ legislatura.

 

L'articolo 2 reca l'ordine di esecuzione del Trattato, a decorrere dal novantesimo giorno successivo al deposito dello strumento di adesione, in conformità a quanto disposto dall’art. 51, paragrafo 3, del Trattato stesso.

 

L'articolo 3 prevede che il Ministro dell’interno ed il Ministro della giustizia individuino, con uno o più decreti, le autorità di riferimento per le attività previste dal Trattato.

 

Si ricorda infatti che, ai sensi dell'art. 42 del Trattato, al momento del deposito dello strumento di ratifica, accettazione, approvazione o adesione, ogni Parte contraente deve designare, mediante apposita dichiarazione, le autorità competenti all'applicazione del Trattato e in particolare:

§         i punti di contatto nazionali per l'analisi del DNA;

§         i punti di contatto nazionali per i dati dattiloscopici;

§         i punti di contatto nazionali per i dati del registro di immatricolazione di veicoli;

§         i punti di contatto nazionali per lo scambio di informazioni di manifestazioni di grande portata;

§         i punti di contatto nazionali per le informazioni relative alla prevenzione di reati di terrorismo;

§         gli uffici nazionali di contatto e coordinamento per le scorte armate;

§         gli uffici nazionali di contatto e coordinamento per gli esperti in documenti falsi;

§         i punti di contatto nazionali per la pianificazione e l'esecuzione delle misure per il rimpatrio;

§         le autorità ed i funzionari previsti dagli artt. 24-27 del Trattato.

 

Poiché il paragrafo 2 dell'art. 42 prevede che le dichiarazioni suddette possano essere modificate in ogni momento, l'individuazione a livello interno delle autorità di riferimento è demandata ad uno strumento flessibile, quale il citato decreto ministeriale.

 

Ai sensi dell'articolo 4, se agenti di una Parte contraente operano nel territorio nazionale e causano dei danni, è lo Stato italiano a dover provvedere al risarcimento, purché gli stessi siano stati prodotti nello svolgimento di attività espressamente previste dal Trattato.

Nell’affermare questo principio la disposizione fa salvo quanto previsto dall’art. 30 del Trattato che, in materia di responsabilità, rinvia all’applicazione dell'art. 43 della Convenzione di applicazione dell'Accordo di Schengen[7].

 

L’art. 43 prevede che quando gli agenti di una Parte contraente operano nel territorio di un'altra parte contraente conformemente agli articoli 40 (osservazione transfrontaliera di persona indagata) e 41 (continuazione di inseguimento di persona colta in flagranza di uno dei reati previsti dalla Convenzione), la prima Parte è responsabile dei danni da essi causati nell'adempimento della missione, ma spetta alla Parte nel cui territorio sono causati i danni provvedere al risarcimento alle condizioni applicabili ai danni causati dai propri agenti. La parte contraente i cui agenti hanno causato danni a terzi nel territorio di un'altra parte contraente rimborsa integralmente a quest'ultima le somme eventualmente versate alle vittime o ai loro aventi diritto. Fatto salvo l'esercizio dei propri diritti nei confronti di terzi e ad eccezione dell’ipotesi di danno a terzi nel territorio di altra parte, ciascuna parte contraente rinuncerà a chiedere il rimborso ad altra parte contraente dei danni da essa subiti nel corso delle operazioni di polizia giudiziaria di cui ai citati artt. 40 e 41 della Convenzione.

 

In forza del rinvio all’art. 43 della Convenzione Schengen, lo Stato italiano rinuncia a chiedere il rimborso dei danni ad esso causati dagli agenti di una delle Parti contraenti in missione sul territorio nazionale, con esclusione dei danni causati a terze persone e ai loro aventi causa, che è chiamato in prima istanza a rifondere direttamente, salva legittima rivalsa.


Capo II – Istituzione della banca dati nazionale del DNA e del laboratorio centrale per la banca dati del DNA

 

Il Capo II della proposta in commento (artt. 5-19) contiene disposizioni relative all'istituzione della banca dati nazionale del DNA e del laboratorio centrale per la banca dati del DNA.

 

Si ricorda che il Trattato di Prüm prevede l'istituzione di tre banche dati nazionali:

§       la banca dati del DNA (artt. 2-7 del Trattato). In particolare, l'art. 2, paragrafo 1, del Trattato prevede espressamente l'impegno delle Parti contraenti a creare e gestire banche dati nazionali di analisi di DNA al fine di perseguire i crimini;

§       la banca dati delle impronte digitali (artt. 8-11);

§       il registro di immatricolazione dei veicoli (art. 12).

 

Nel nostro ordinamento l’istituzione della banca dati del DNA è resa necessaria non solo dalla volontà di aderire al Trattato di Prüm ma anche dall'esigenza di regolamentare una realtà che, nei fatti, è già esistente. Come nel 2007 evidenziava il Ministro dell’interno, infatti, «La banca dati c'è, ma anche qui si rischia di far finta di non vedere... in altri termini, esiste, ormai, una banca dati del DNA, ma non la sua regolamentazione: l'assenza della regolamentazione non è assenza della banca, quindi auspichiamo la regolamentazione e l'utilizzazione di questi dati»[8]. In sostanza, dunque, oggi nel nostro Paese esistono indagini sul DNA che poi vengono archiviate, in assenza di un’espressa regolamentazione[9].

 

L'articolo 5 del progetto di legge, in attuazione dell’art. 2 del Trattato di Prüm prevede l'istituzione:

-      della banca dati nazionale del DNA, presso il Ministero dell'interno (Dipartimento della pubblica sicurezza)

-      del laboratorio centrale per la banca dati nazionale del DNA, presso il Ministero della giustizia (Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria).

La disposizione specifica che la finalità dell’istituzione della banca dati del DNA è quella di «di facilitare l'identificazione degli autori dei delitti». Detta finalità è richiamata anche dal successivo art. 12, comma 2, del disegno di legge (v. infra), che precisa che «l’accesso ai dati contenuti nella banca dati nazionale del DNA è consentito alla polizia giudiziaria e all’autorità giudiziaria esclusivamente per fini di identificazione personale, nonché per le finalità di collaborazione internazionale di polizia»[10].

 

Si segnala che il Garante per la protezione dei dati personali, nella segnalazione al Governo e al Parlamento del 19 settembre 2007, aveva osservato come la banca dati DNA dovesse avere esclusive finalità di identificazione delle persone, e questo anche in armonia con quanto previsto dal Trattato di Prüm e dalla normativa europea. In altri termini, i dati devono essere raccolti per il perseguimento di reati già avvenuti e non per finalità di sicurezza o di prevenzione; inoltre, i profili genetici non devono essere duplicati in altre banche dati di singole forze di polizia.

 

In merito alla creazione della banca dati del DNA e del relativo laboratorio presso amministrazioni diverse (Interni e Giustizia), la stessa relazione illustrativa del Governo al provvedimento presentato al Senato affermava che la finalità è di mantenere elevato il livello delle garanzie, tenendo distinti il luogo di raccolta e confronto dei profili del DNA (banca dati nazionale del DNA) dal luogo di estrazione dei predetti profili e di conservazione dei relativi campioni biologici (laboratorio centrale presso l'Amministrazione penitenziaria), nonché dal luogo di estrazione dei profili provenienti da reperti (laboratori delle forze di polizia o altrimenti specializzati, es. R.I.S. di Parma), evitando promiscuità che si potrebbero rivelare pregiudizievoli per la genuinità dei dati raccolti e analizzati.

 

L'articolo 6 fornisce le definizioni, ai fini del disegno di legge in esame, dei seguenti termini: DNA; profilo del DNA; campione biologico; reperto biologico; trattamento; accesso; dati identificativi; tipizzazione.

A parte i termini scientifici, alcune delle definizioni sostanzialmente coincidono con quelle già contenute nel Codice della privacy (cfr. art. 4, D.Lgs n. 196/2003): si pensi alle definizioni di "trattamento" e di "dati identificativi"[11]. Quanto alla distinzione tra campione e reperto biologico, le lettere c) e d) della disposizione qualificano il primo come la «sostanza biologica prelevata sulla persona» e il secondo come il «materiale biologico acquisito sulla scena di un delitto o comunque su cose pertinenti al reato».

 

L'articolo 7 illustra le attività che è chiamata a svolgere la banca dati nazionale del DNA, presso il Ministero dell'interno e ne chiarisce i margini di operatività.

La banca dati provvede alle seguenti attività:

a)   raccolta del profilo del DNA dei soggetti sottoposti a misure restrittive della libertà personale: soggetti in custodia cautelare (o agli arresti domiciliari); sottoposti a fermo o arrestati in flagranza; detenuti o sottoposti a misura alternativa alla detenzione per delitto non colposo (a seguito di condanna irrevocabile); sottoposti a misure di sicurezza detentive, per delitti per cui la legge stabilisce che il limite edittale massimo sia almeno pari a 3 anni. Si tratta delle ipotesi previste dall’art. 9, commi 1 e 2, della proposta di legge (nei limiti ivi previsti, v. infra);

b)   raccolta dei profili del DNA relativi a reperti biologici acquisiti nel corso di procedimenti penali: si tratta delle ipotesi disciplinate dall’art. 10 del progetto di legge (v. infra). Si ricorda peraltro che, in base all’art. 6 del progetto di legge (v. sopra), per "reperto biologico" si intende esclusivamente il materiale biologico acquisito sulla scena di un delitto o comunque su cose pertinenti al reato (e dunque mai su persone);

c)   raccolta dei profili del DNA di persone scomparse o loro consanguinei, di cadaveri e resti cadaverici non identificati;

d)   raffronto del DNA a fini di identificazione.

 

Andrebbe valutata l’opportunità di chiarire se ed in quali termini i campioni prelevati coattivamente in sede di identificazione, ai sensi dell’art. 349, comma 2-bis, c.p.p., siano compresi nelle categorie di raccolta dei profili del DNA ai sensi dell’articolo 7.

Si segnala inoltre che, mentre per le ipotesi di cui alle lettere a) e b) il disegno di legge specifica le modalità della raccolta del profilo del DNA (cfr. artt. 9 e 10), lo stesso non accade per la lett. c), relativa ai profili del DNA di persone scomparse o loro consanguinei, di cadaveri e resti cadaverici non identificati.

La relazione illustrativa del disegno di legge del governo, nel testo presentato al Senato, afferma che, per quanto riguarda i cadaveri non identificati, il meccanismo di acquisizione del profilo del DNA è simile a quello dei reperti sul luogo del reato, ma tale affermazione non sembra trovare un riscontro univoco nell'articolato. Sembrerebbe pertanto opportuno valutare l’esigenza di chiarire le modalità di prelievo e le garanzie che lo debbano assistere, con particolare riferimento al caso di raccolta del profilo del DNA di soggetti consanguinei.

 

L'articolo 8 illustra invece le finalità del laboratorio centrale per la banca dati nazionale del DNA, istituito presso il Ministero della giustizia. Si tratta:

§      della tipizzazione del profilo del DNA dei soggetti di cui all'art. 9 del progetto di legge. L’art. 6 definisce la tipizzazione come il complesso delle operazioni tecniche di laboratorio che conducono alla produzione del profilo del DNA;

§      della conservazione dei campioni biologici dai quali vengono tipizzati i profili del DNA. Ai sensi dell’art. 6 sono campioni biologici le sostanze biologiche prelevate sulla persona sottoposta a tipizzazione del profilo del DNA.

Alla luce di quanto disposto dagli articoli 7 e 8 – e riprendendo anche quanto affermato dalla relazione illustrativa che accompagnava al Senato il disegno di legge del governo - le forze di polizia (Ministero dell’interno) dovranno custodire, per la successiva consultazione e gli immediati raffronti, solo i dati relativi ai profili del DNA, mentre al Ministero della giustizia viene riservata l'estrazione del profilo del DNA, che provvederà successivamente a trasmettere per via informatica alla banca dati.

Il laboratorio svolgerà le sue funzioni solo per quanto riguarda le sostanze biologiche (campioni biologici) prelevate dalle persone sottoposte a prelievo ai sensi dell'art. 9; per quanto concerne invece i reperti biologici acquisiti nel corso dei procedimenti penali, questi verranno tipizzati a cura dei laboratori delle Forze di polizia o di altre istituzioni di elevata specializzazione e poi inviati direttamente alla banca dati del DNA, ai sensi del successivo articolo 10 del progetto di legge.

 

 

L’articolo 9 riguarda i prelievi di campioni biologici che dovranno concorrere (con i reperti biologici e i profili di DNA degli scomparsi, dei loro consanguinei o dei cadaveri) ad alimentare la banca dati nazionale del DNA. Coloro che dovranno essere sottoposti a prelievo sono individuati dal comma 1 della disposizione in commento, in presenza dei presupposti di cui al successivo comma 2.

In particolare, ai sensi del comma 1, sono sottoposti a prelievo di campioni biologici:

a)   i soggetti ai quali si applica la misura della custodia cautelare in carcere o quella degli arresti domiciliari;

b)   i soggetti arrestati in flagranza di reato o sottoposti a fermo (dopo la convalida del da parte dei giudice, ai sensi del comma 3);

c)   i soggetti detenuti o internati a seguito di sentenza irrevocabile per un delitto non colposo;

d)   i soggetti nei confronti dei quali sia applicata una misura alternativa alla detenzione a seguito di sentenza irrevocabile per un delitto non colposo;

e)   i soggetti ai quali sia applicata, in via provvisoria o definitiva, una misura di sicurezza detentiva per aver commesso un delitto punito nel massimo con almeno tre anni di reclusione.

Sebbene ciò non venga affermato esplicitamente, il prelievo in esame sembra poter essere effettuato anche coattivamente, ossia contro la volontà degli interessati. In tal caso la procedura da seguire dovrebbe essere quella delineata dall’art. 224-bis, inserito nel codice di procedura dall’art. 24 del progetto di legge in commento (v. infra).

 

Il comma 2 circoscrive l'ambito di applicazione della disposizione precedente, affermando che i soggetti di cui al comma 1 possono essere sottoposti a prelievo esclusivamente qualora nei loro confronti si proceda per delitti non colposi per i quali è consentito l'arresto facoltativo in flagranza (dunque solo in casi ritenuti di particolare gravità).

 

Ai sensi dell'art. 381 c.p.p., gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria hanno facoltà di arrestare chiunque è colto in flagranza di un delitto non colposo, consumato o tentato, per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a tre anni, ovvero di un delitto colposo per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni. Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria hanno altresì facoltà di arrestare chiunque è colto in flagranza di uno dei seguenti delitti:

a) peculato mediante profitto dell'errore altrui previsto dall'art. 316 c.p.;

b) corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio prevista dagli artt. 319, comma 4, e 321 c.p.;

c) violenza o minaccia a pubblico ufficiale di cui all'art. 336, comma 2, c.p.;

d) commercio e somministrazione di medicinali guasti e di sostanze alimentari nocive previsti dagli artt. 443 e 444 c.p.;

e) corruzione di minorenni prevista dall'art. 530 c.p.;

f) lesione personale prevista dall'art. 582 c.p.;

g) furto previsto dall'art. 624 c.p.;

h) danneggiamento aggravato a norma dell'art. 635, comma 2, c.p.;

i) truffa prevista dall'art. 640 c.p.;

l) appropriazione indebita prevista dall'art. 646 c.p.;

l-bis) offerta, cessione o detenzione di materiale pornografico previste dagli art. 600ter, quarto comma, e 600-quater c.p., anche se relative al materiale pornografico di cui all'art. 600-quater.1 c.p.;

m) alterazione di armi e fabbricazione di esplosivi non riconosciuti previste dagli artt. 3 e 24, comma 1, della legge 18 aprile 1975, n. 110;

m-bis) fabbricazione, detenzione o uso di documento di identificazione falso previsti dall'art. 497-bis c.p..

 

Tuttavia, ai sensi del secondo periodo del comma in esame, il prelievo non può essere effettuato se si procede per i seguenti delitti:

§      delitti contro l'attività giudiziaria, tranne che se si procede per calunnia (art. 368 c.p.), false informazioni al pubblico ministero (371-bis c.p.), false dichiarazioni al difensore (art. 371-ter c.p.), falsa testimonianza (art. 372 c.p.), frode processuale aggravata (artt. 374 e 375 c.p.), favoreggiamento personale  (art. 378 c.p.) e favoreggiamento reale (art. 379 c.p.). Cfr. lett. a);

§      delitti contro l'autorità delle decisioni giudiziarie, tranne che se si procede per procurata inosservanza di pena (art. 390 c.p.). Cfr. lett. a);

§      falsità in monete, in carte di pubblico credito e in valori di bollo, tranne che se si procede per falsificazione di denaro ai sensi dell’art. 453 c.p. Cfr. lett. b);

§      falsità in sigilli o strumenti o segni di autenticazione, certificazione e riconoscimento. Cfr. lett. b)

§      delitti contro l’economia pubblica, tranne che se si procede per distruzione di materie prime o di prodotti agricoli o industriali ovvero di mezzi di produzione ai sensi dell’art. 499 c.p. Cfr. lett. c);

§      delitti contro l’industria e il commercio, tranne che se si procede per illecita concorrenza con minacce e violenza (art. 513-bis c.p.), Cfr. lett. c);

§      delitti contro il matrimonio. Cfr. lett. d);

§      reati fallimentari. Cfr. lett. e);

§      reati societari. Cfr. lett. f);

§      reati tributari. Cfr. lett. g).

Ai sensi del comma 3, in caso di arresto in flagranza di reato o di fermo di indiziato di delitto il prelievo è effettuato dopo la convalida da parte del giudice.

Quanto ai soggetti competenti a svolgere il prelievo, il comma 4 li individua nel personale specificamente addestrato delle Forze di polizia o nel personale sanitario ausiliario di polizia giudiziaria. In ordine alle modalità è disposto che l’accertamento consista nell’acquisizione di un campione di mucosa del cavo orale (comma 4), da effettuarsi nel rispetto della dignità e della riservatezza di chi vi è sottoposto e redigendo un verbale (comma 5).

Il comma 6 prevede che il campione prelevato sia immediatamente inviato, a cura del personale procedente, al laboratorio centrale istituito presso il DAP del Ministero della giustizia che procederà alla tipizzazione del profilo del DNA e alla trasmissione alla banca dati del DNA istituita presso il Ministero dell’interno.

 

 

L'articolo 10 del progetto di legge disciplina la raccolta dei profili del DNA relativi a reperti biologici acquisiti nel corso di procedimenti penali (sulla scena del delitto o comunque su cose pertinenti al reato).

In particolare, il comma 1 è relativo all’ipotesi in cui reperti biologici siano stati acquisiti nel corso del procedimento penale per tipizzare il DNA attraverso un accertamento tecnico, una consulenza tecnica o una perizia; in tal caso, l’autorità giudiziaria procedente dispone la trasmissione del profilo del DNA direttamente alla banca dati nazionale che, ai sensi dell’art. 7 del progetto di legge (v. supra) procede alla raccolta ed ai confronti.

Se la tipizzazione dei reperti non è stata invece effettuata, il comma 2 prevede che, dopo il passaggio in giudicato della sentenza (o l’emanazione del decreto di archiviazione), il pubblico ministero presso il giudice dell'esecuzione possa chiedere a quest'ultimo di ordinare la trasmissione dei reperti ad un laboratorio delle Forze di polizia, ovvero di altre istituzioni di elevata specializzazione, affinché si proceda alla tipizzazione dei profili e alla successiva trasmissione degli stessi alla banca dati nazionale del DNA.

 

 

L'articolo 11 ha un duplice contenuto:

-         individua i metodi di analisi dei reperti e dei campioni biologici ai fini della tipizzazione del profilo da inserire nella banca dati (comma 1) e prevede che la tipizzazione del profilo del DNA possa essere effettuata esclusivamente da laboratori appositamente certificati, pena il non inserimento della tipizzazione in banca dati (comma 2);

-         esclude che i sistemi di analisi possano essere applicati a sequenze del DNA che consentono l’identificazione delle patologie da cui può essere affetto l’interessato (comma 3).

Quanto al primo profilo, il comma 1 prevede che l’analisi debba essere eseguita sulla base dei parametri riconosciuti a livello internazionale e indicati dall’ENFSI (European Network of Forensic Science Institutes) mentre il comma 2 dispone che i profili del DNA possono essere inseriti nella banca dati solo se tipizzati in laboratori certificati a norma ISO/IEC.

 

A tal proposito, si ricorda che, mentre il Trattato di Prüm non dice nulla sul punto, il Consiglio dell'Unione europea ha ritenuto opportuno adottare una risoluzione sullo scambio dei risultati delle analisi del DNA (25 giugno 2001), sul presupposto che lo scambio efficiente dei risultati delle analisi del DNA potrebbe essere migliorato incoraggiando gli Stati membri ad impiegare gli stessi marcatori del DNA. Pertanto, ai sensi del punto II della suddetta risoluzione, per l'analisi forense del DNA gli Stati membri sono invitati:

-      ad impiegare almeno i marcatori del DNA elencati nell'allegato I alla risoluzione stessa;

-      ad elaborare i risultati dell'analisi del DNA ottenuti impiegando i suddetti marcatori, conformemente a tecniche in materia di DNA scientificamente sperimentate e approvate, in base a studi svolti nel contesto del gruppo di lavoro "DNA" dell'ENFSI[12].

 

Il comma 3 interviene sul tema della tutela della riservatezza dei dati genetici, stabilendo che i sistemi di analisi possano essere applicati solo a sequenze del DNA che non consentono l’identificazione delle patologie da cui può essere affetto l’interessato.

 

La cautela prevista dalla disposizione in esame si fonda sull'assunto che soltanto una piccola percentuale del DNA racchiude informazioni genetiche, come ad esempio il colore degli occhi o la predisposizione ad una malattia (il c.d. DNA "codificante" o "parlante"). Il restante 90% circa del DNA si comporrebbe invece di sequenze c.d. non codificanti, vale a dire "mute" sul piano genetico.

Peraltro, già il punto III della citata risoluzione del Consiglio dell'Unione europea sullo scambio dei risultati delle analisi del DNA, esorta gli Stati membri a limitare tali risultati alle zone cromosomiche prive di espressione genetica, un'analisi cioè che non fornisce informazioni su specifiche caratteristiche ereditarie[13].

 

 

L’articolo 12 disciplina il trattamento dei dati relativi al profilo del DNA e le modalità di accesso alla banca dati.

In particolare, ai sensi del comma 1, i profili del DNA (conservati dalla banca dati) ed i relativi campioni (conservati dal laboratorio centrale) non possono contenere informazioni che consentano l’identificazione diretta del soggetto cui sono riferiti. Il legislatore prefigura dunque un accesso di secondo livello: la polizia giudiziaria e l’autorità giudiziaria dovranno prima richiedere di effettuare il confronto e - solo se questo darà esito positivo - potranno essere autorizzati a conoscere il nominativo del soggetto cui appartiene il profilo del DNA.

 

Si ricorda che, ai sensi dell'art. 2, paragrafo 2, del Trattato di Prüm, gli indici di riferimento non devono contenere alcun dato che permetta l'identificazione diretta della persona implicata.

 

Ai sensi del comma 2, l’accesso ai dati contenuti nella banca dati è consentito:

§      alla polizia giudiziaria

§      all’autorità giudiziaria.

Tale accesso è consentito esclusivamente per i seguenti fini:

-      identificazione personale,

-      collaborazione internazionale di polizia.

L’accesso ai dati contenuti nel laboratorio centrale è consentito ai medesimi soggetti e per le medesime finalità; la richiesta che proviene dalla polizia giudiziaria dovrà però essere accompagnata dall’autorizzazione dell’autorità giudiziaria.

Alla luce di tale disposizione sono dunque solo due i soggetti che possono avere accesso ai dati: autorità giudiziaria e polizia giudiziaria.

 

Con riferimento al comma 2 dell’articolo in esame andrebbe valutata l’opportunità di un coordinamento con la legge 7 dicembre 2000, n. 397, recante "Disposizioni in materia di indagini difensive" con particolare riguardo ai difensori di parti interessate nell’ambito di investigazioni difensive.

 

A tal proposito si ricorda che il Garante per la protezione dei dati personali, nel parere del 15 ottobre 2007, ha affermato che sarebbe opportuno definire a quale titolo e con quali modalità e vincoli di utilizzo i dati conservati nell'archivio possano essere comunicati all'estero, nonché, eventualmente, a difensori di parti interessate nell'ambito di investigazioni difensive. Si segnala inoltre che il Garante ha altresì evidenziato l'ampiezza del numero di soggetti che la legge qualifica come ufficiali o agenti di polizia giudiziaria.

 

In base ai commi da 3 a 5, il trattamento e l’accesso ai dati contenuti nella banca dati e nel laboratorio centrale potrà essere effettuato soltanto da operatori autorizzati; chiunque acceda dovrà essere identificato e l’attività svolta dovrà essere registrata (c.d. tracciabilità degli accessi). Peraltro, il personale autorizzato al trattamento dei dati è tenuto al segreto per gli atti, i dati e le informazioni di cui sia venuto a conoscenza a causa o nell’esercizio delle funzioni. La violazione di questa norma è sanzionata dall’art. 14 del progetto di legge (v. infra).

 

 

L'articolo 13 stabilisce la durata e i presupposti della conservazione dei dati.

In primo luogo, la disposizione prevede la cancellazione del profilo del DNA e la distruzione del relativo campione biologico, quando le operazioni di prelievo sono state compiute in violazione delle modalità di cui all’art. 9 (comma 3).

Inoltre, la cancellazione dei profili del DNA e la distruzione dei relativi campioni biologi deve essere disposta, anche d'ufficio, a seguito di assoluzione con sentenza definitiva

-         perché il fatto non sussiste o

-         perché l’imputato non lo ha commesso (comma 1).

Per quanto riguarda invece i profili di DNA di persone scomparse o loro consanguinei, di cadaveri o resti cadaverici non identificati, la disposizione (comma 2) prevede la cancellazione dei profili del DNA e la distruzione dei relativi campioni biologici, anche d'ufficio, a seguito di

-         identificazione del cadavere o dei resti cadaverici,

-         ritrovamento della persona scomparsa.

Al di fuori di queste ipotesi, il profilo del DNA resta inserito nella banca dati per i tempi stabiliti nel regolamento d’attuazione (di cui all’art. 16, v. ultra), d’intesa con il Garante per la protezione dei dati personali, e comunque non oltre 40 anni dall’ultima circostanza che ne ha determinato l’inserimento.

 

Nella relazione illustrativa del disegno di legge presentato al Senato si sottolineava come il funzionamento della banca dati del DNA sia legato al fenomeno della recidiva e come le possibilità che il profilo del DNA di un soggetto arrestato per i reati previsti dal progetto di legge sia riconosciuto corrispondente alle tracce di un altro reato aumentano in proporzione alla ampiezza del lasso temporale in cui tale raffronto è possibile. Secondo la relazione, al di sotto di un limite minimo la banca dati nazionale del DNA potrebbe risultare inutile (tenendo conto di un primo periodo in cui il soggetto resta detenuto); allo stesso tempo, occorre comunque fissare un limite massimo di conservazione, per evitare una indefinita sottoposizione a controllo anche a distanze di tempo considerevoli. Di qui l’individuazione del termine di 40 anni , che rappresenterebbe un lasso di tempo congruo per superare, secondo un dato di esperienza, il periodo plausibile di recidiva, entro il quale dovrà essere stabilito il tempo di conservazione nell'ambito dei regolamenti previsti dall'art. 16 della proposta in commento (v. infra).

In merito al termine quarantennale, il Garante per la protezione dei dati personali nel parere sulla Banca dati Dna del 15 ottobre 2007 aveva osservato che "si tratta di un termine indubbiamente molto ampio e di dubbia conformità rispetto al principio di proporzionalità secondo cui i dati personali in materia andrebbero conservati solo per il tempo necessario a raggiungere la finalità perseguita ... Si ravvisa la necessità di un'ulteriore riflessione al riguardo, al fine di valutare la congruità del termine rispetto alle finalità perseguite e l'eventuale individuazione di periodi differenziati di conservazione dei dati, in ragione del fatto che ha determinato l'acquisizione del profilo del Dna, della gravità del reato, della pericolosità del soggetto o di altri elementi. A tale riguardo, si rammenta che il Consiglio d'Europa richiede che i risultati di analisi e le informazioni derivate possano essere conservati solo se la persona interessata è stata condannata per gravi reati contro la vita, l'incolumità fisica e la sicurezza delle persone. Risulta comunque necessario chiarire il significato e le conseguenze pratiche dell'espressione "dall'ultima circostanza che ne ha determinato l'inserimento", cui si ricorre per individuare il "dies a quo", atteso che non va consentito inserire più volte nella banca dati un medesimo profilo e che il criterio in esame potrebbe continuamente prolungare il periodo di conservazione dei dati".

 

Il campione biologico viene invece conservato per i tempi stabiliti nel regolamento di attuazione, d’intesa con il Garante per la protezione dei dati personali, e comunque non oltre 20 anni dall’ultima circostanza che ne ha determinato il prelievo.

 

Sempre in base alla relazione illustrativa del disegno di legge del governo, la conservazione dei campioni biologi per un periodo superiore a quello richiesto per la tipizzazione dei profili si renderebbe necessaria per consentire di mantenere la banca dati perfettamente funzionante. Le continue evoluzioni nelle tecniche di tipizzazione e confronto renderebbero, nell'arco di pochi anni, già obsoleta la tecnologia precedentemente impiegata. Sarebbe pertanto indispensabile conservare i campioni per almeno venti anni, onde consentirne nuove analisi ogni qual volta si rendesse disponibile una innovazione in tal senso, permettendo così di ottenere sempre un dato confrontabile con gli altri conservati nella medesima banca dati.

 

 

Ai sensi dell'articolo 14, il pubblico ufficiale che comunica o fa uso di dati ed informazioni in violazione della legge, o al di fuori dei fini previsti dalla stessa, è punito, salvo che il fatto costituisca più grave reato, con la reclusione da 1 a 3 anni (comma 1). Per la fattispecie colposa, la sanzione è la reclusione fino a sei mesi (comma 2).

 

Le sanzioni previste dalla disposizione in commento sono identiche a quelle previste nei confronti del pubblico ufficiale che comunica o fa uso di dati ed informazioni in violazione delle disposizioni della legge 1 aprile 1981, n. 121, recante "Nuovo ordinamento dell'Amministrazione della pubblica sicurezza" (art. 12). Il codice penale prevede invece all’art. 326 la reclusione da 6 mesi a 3 anni per il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio che rivela notizie d’ufficio (reclusione fino a un anno per l’ipotesi colposa).

 

 

L'articolo 15 attribuisce al Garante per la protezione dei dati personali le funzioni di controllo sulla banca dati del DNA (comma 1).

 

Si ricorda che i poteri del Garante sono disciplinati in via generale dal Codice in materia di protezione dei dati personali di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 e, in particolare, dagli artt. 153 e ss..

 

Per quanto concerne invece il laboratorio centrale, è il Comitato nazionale per la biosicurezza, le biotecnologie e le scienze della vita (CNBBSV) che deve:

§      garantire l’osservanza dei criteri e delle norme tecniche per il funzionamento del laboratorio centrale,

§      eseguire, sentito il Garante per la protezione dei dati personali, verifiche presso il medesimo laboratorio ed i laboratori che lo alimentano, formulando suggerimenti circa i compiti svolti, le procedure adottate, i criteri di sicurezza e le garanzie previste, nonché ogni altro aspetto ritenuto utile per il miglioramento del servizio (comma 2).

 

Si ricorda che il suddetto Comitato, in origine denominato "Comitato Scientifico per i rischi derivanti dall'impiego di agenti biologici", è stato istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri dall'art. 40, comma 2, della legge comunitaria per il 1991[14], che dettava principi e criteri direttivi per l’attuazione delle Direttive europee 90/220/CEE (sull'emissione deliberata nell'ambiente di microrganismi geneticamente modificati) e 90/219/CEE (sull'impiego confinato di microrganismi geneticamente modificati).

Il Comitato, la cui operatività presso la Presidenza del Consiglio dei ministri è stata confermata dal D.P.R. n. 84 del 2007[15], svolge le seguenti funzioni:

a) valuta i rischi derivanti dall’impiego di agenti biologici, ed a tal fine individua i fattori e le condizioni di rischio per la loro classificazione;

b) elabora criteri per la definizione di norme di sicurezza relative agli ambiti applicativi delle biotecnologie, della biosicurezza e delle scienze della vita;

c) collabora all’elaborazione delle norme di recepimento delle direttive europee che in qualsiasi modo comportino implicazioni relative alle biotecnologie, alla biosicurezza e alle scienze della vita;

d) quale supporto diretto del Presidente del Consiglio dei ministri: 1) assicura, considerate le rispettive e specifiche competenze, il coordinamento, l’armonizzazione e l’integrazione dei programmi, delle iniziative e delle attività dei ministeri, degli enti e degli organismi, pubblici e privati, operanti nel settore delle biotecnologie, della biosicurezza e delle scienze della vita; 2) favorisce la conoscibilità delle iniziative e delle attività svolte nel settore onde consentire forme di intervento unitarie ed omogenee in campo nazionale; 3) collabora alla definizione della posizione italiana in campo comunitario ed in campo internazionale, negli organismi in cui si dibattono problemi di biosicurezza, biotecnologie e scienze della vita;

e) promuove ed organizza, nei limiti di spesa assegnati in bilancio, convegni e seminari per la diffusione, la conoscenza e l’informazione sulle biotecnologie, sulla biosicurezza e sulle scienze della vita;

f) prevede e valida la raccolta di dati sulle biotecnologie da inserire nella banca dati dell’Osservatorio Nazionale per la Biosicurezza, le Biotecnologie e le Scienze della Vita;

g) stipula convenzioni con enti pubblici o privati;

h) presenta annualmente al Presidente del Consiglio dei ministri un rapporto sullo stato delle biotecnologie, della biosicurezza e delle scienze della vita in Italia.

 

In base al comma 3, tanto il Garante della privacy quanto il Comitato nazionale per la biosicurezza e le biotecnologie devono svolgere le suddette funzioni nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie dei quali sono attualmente dotati (e dunque senza oneri aggiuntivi a carico della finanza pubblica).

 

 

L’articolo 16 del progetto in commento demanda a un regolamento di delegificazione la disciplina attuativa della legge. Attraverso tale atto dovranno essere regolamentati:

§      il funzionamento e l’organizzazione della banca dati e del laboratorio centrale;

§      le modalità di trattamento, di accesso e di comunicazione dei dati;

§      le tecniche e le modalità di analisi e conservazione dei campioni biologici;

§      i tempi di conservazione dei profili del DNA e dei campioni biologici;

§      le attribuzioni dei responsabili della banca dati e del laboratorio centrale;

§      le competenze tecnico-professionali del personale addetto alla banca dati e al laboratorio centrale;

§      le modalità ed i termini di esercizio dei poteri conferiti al Comitato nazionale per la biosicurezza e le biotecnologie;

§      le modalità di cancellazione dei profili del DNA e di distruzione dei relativi campioni biologici (in base a quanto disposto dall’art. 13);

§      i criteri e le procedure da seguire per la cancellazione dei profili del DNA e la distruzione dei relativi campioni biologici, quando anche a seguito di riscontro positivo, si dimostri la conservazione di più profili e campioni relativi al medesimo soggetto.

Come detto, l’articolo 16 demanda questa disciplina ad uno o più regolamenti[16] da adottare su proposta del Ministro della giustizia e del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro della difesa, il Ministro dell’economia e delle finanze e il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. Sugli schemi di regolamento dovranno rendere inoltre un parere il Garante per la privacy e il Presidente del Comitato nazionale per la biosicurezza e le biotecnologie.

 

L'articolo 17 reca disposizioni transitorie, finalizzate ad evitare di disperdere i profili di DNA acquisiti nel corso di procedimenti penali prima dell'entrata in vigore del provvedimento in esame.

In particolare, ai sensi del comma 1, i profili del DNA ricavati da reperti acquisiti nel corso di procedimenti penali prima dell’entrata in vigore della legge, sono trasferiti dalle Forze di polizia alla banca dati nazionale. Il trasferimento dovrà avvenire entro un anno dall’entrata in funzione della banca dati e previo nulla-osta dell’autorità giudiziaria.

Il comma 2 stabilisce che entro un anno dall’entrata in vigore della legge si dovrà procedere, a cura del personale di polizia penitenziaria, al prelievo di campione biologico nei confronti dei soggetti di cui all’art. 9, già detenuti o internati al momento dell’entrata in vigore della legge.

Il comma 3 disciplina il periodo che intercorrerà tra l’entrata in vigore della legge e la piena operatività dell’istituendo laboratorio centrale per la banca dati del DNA. In tale lasso di tempo – e, comunque, entro un anno dall’entrata in vigore della legge – il Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia potrà stipulare convenzioni per svolgere per svolgere le seguenti funzioni:

§      tipizzare il profilo del DNA dei soggetti individuati dall’art. 9, commi 1 e 2 (v. sopra). Le convenzioni potranno essere stipulate con istituzioni di elevata specializzazione che garantiscano il rispetto degli standard individuati dall’art. 11 del progetto di legge (v. supra);

§      svolgere programmi specifici di formazione e addestramento. Le convenzioni potranno essere stipulate con singole forze di polizia.

La disposizione chiarisce che la stipula delle convenzioni dovrà avvenire nel rispetto dei limiti di spesa coperti dalla legge (art. 32); che le convenzioni non saranno rinnovabili e che la loro durata non potrà superare il termine dei tre anni dall’entrata in vigore della legge.

 

L'articolo 18 delega il Governo ad emanare, entro un anno dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame, uno o più decreti legislativi per provvedere alla integrazione dell’ordinamento del personale del Corpo di polizia penitenziaria mediante l’istituzione di ruoli tecnici nei quali inquadrare il personale da impiegare nelle attività del laboratorio centrale.

 

La relazione illustrativa al disegno di legge del Governo (AS 905) individua la ragione della norma nella finalità di “garantire che all’interno dell’Amministrazione penitenziaria siano reclutate quelle unità di personale dotate delle specifiche cognizioni e competenze tecniche per la gestione ed il funzionamento del laboratorio centrale per la banca dati nazionale del DNA”.

Il Corpo di Polizia Penitenziaria è un Corpo di polizia dello Stato ad ordinamento civile, posto alle dipendenze del Ministero della giustizia; ferme restando le sue specifiche attribuzioni, fa comunque parte delle Forze di polizia in servizio di pubblica sicurezza.

In attuazione della delega concessa al Governo con l’art. 14 della legge 15 dicembre 1990, n. 395 (Ordinamento del Corpo di polizia penitenziaria) il decreto legislativo 30 ottobre 1992, n. 443 ha disciplinato l’ordinamento del relativo personale, con l’istituzione dei ruoli e la previsione delle dotazioni organiche, la specificazione delle funzioni, delle nomine e della carriera, le disposizioni sul reclutamento, le norme sullo status del personale. Il Titolo I del D.Lgs. n. 443/1992 contiene, in particolare, le disposizioni relative all’istituzione dei ruoli del personale del corpo di polizia penitenziaria. L’articolo 1 rinvia alla tabella A, allegata al decreto, per la determinazione della dotazione organica.

L’attuale organico del personale non direttivo è fissato in 44.406 unità; sommando i 715 commissari immessi a seguito dell’istituzione del ruolo direttivo (v. D.Lgs. n. 146 del 2000) l’ organico totale è di 45.121 unità di personale.

In relazione ai ruoli non direttivi sono istituiti (articolo 1):

§         il ruolo degli agenti e assistenti;

§         il ruolo dei sovrintendenti;

§         il ruolo degli ispettori.

Il ruolo degli agenti e assistenti, al cui personale è attribuita la qualità di agente di pubblica sicurezza e di polizia giudiziaria, ha un organico previsto in 35.548 unità che risulta articolato in 4 qualifiche (articolo 3):

§         agente e agente ausiliario;

§         agente scelto;

§         assistente;

§         assistente capo.

Tale personale svolge prevalentemente mansioni esecutive con margini di iniziativa e discrezionalità inerente alla qualifica posseduta, vigila sulle attività lavorative e ricreative organizzate negli istituti per i detenuti e gli internati, indica elementi di osservazione sul senso di responsabilità e correttezza nel comportamento personale e nelle relazioni interpersonali interne, utili alla formulazione di programmi individuali di trattamento.

I vincitori dei concorsi pubblici sono nominati allievi agenti di polizia penitenziaria e al termine di un corso di 12 mesi, diviso in due semestri (articolo 6), in casi di idoneità sono nominati agenti effettivi; una volta assegnati compiono un periodo di addestramento di 6 mesi presso gli istituti penitenziari, più uno eventuale di specializzazione di 3 mesi (articolo 8).

La promozione ad agente scelto si consegue, a ruolo aperto, mediante scrutinio per merito assoluto al quale sono ammessi gli agenti che alla data dello scrutinio abbiano compiuto 5 anni di effettivo servizio, ivi compreso il periodo di frequenza del corso di cui all’articolo 8.

Analoga nomina ad allievo agente, in deroga al principio concorsuale e nell’ambito delle vacanze disponibili, può riguardare il coniuge, i figli superstiti e i fratelli di appartenenti a forze di polizia deceduti o invalidi per servizio (almeno all’80 per cento).

Dopo 5 anni di effettivo servizio nella qualifica di agente scelto, a ruolo aperto mediante scrutinio per merito assoluto si consegue la qualifica di assistente (articolo 10); con le medesime modalità è prevista la promozione ad assistente capo del personale che, alla data dello scrutinio, abbia compiuto 5 anni di servizio come assistente (articolo 11).

Il ruolo dei sovrintendenti è articolato su tre qualifiche (articolo 14):

a)    vice sovrintendente;

b)    sovrintendente;

c)    sovrintendente capo.

A tale personale, cui è attribuita la qualifiche di agente di pubblica sicurezza e di ufficiale di polizia giudiziaria, sono assegnate funzioni rientranti nello stesso ambito di quelle previste per agenti e assistenti, ma implicanti un maggiore livello di responsabilità, nonché funzioni di coordinamento di unità operative (articolo 15); l’organico previsto è pari a 4.500 unità.

Specifiche disposizioni regolano la nomina a vice sovrintendente, per la quale non è previsto il pubblico concorso. L’articolo 16 del D.Lgs. 443/1992 stabilisce infatti che una parte dei posti annuali disponibili (40 per cento) sia coperta mediante concorso interno per esame scritto (risposte a questionario) e successivo corso di formazione professionale della durata non inferiore a tre mesi, riservato al personale appartenente al ruolo degli agenti e assistenti che abbia compiuto almeno quattro anni di effettivo servizio e che non abbia riportato nell’ultimo biennio un giudizio complessivo inferiore a «buono» e sanzione disciplinare più grave della deplorazione; il restante 60 per cento dei posti è, invece, assegnato mediante concorso interno per titoli e superamento di un successivo corso di formazione tecnico-professionale, di durata non inferiore a tre mesi, riservato agli assistenti capo che ricoprono, alla predetta data, una posizione in ruolo non inferiore a quella compresa entro il doppio dei posti riservati per tale concorso e che non abbiano riportato nell’ultimo biennio un giudizio complessivo inferiore a buono e sanzione disciplinare più grave della deplorazione.

Sia la promozione a sovrintendente che a sovrintendente capo si consegue, a ruolo aperto, mediante scrutinio, provenendo dalle qualifiche immediatamente inferiori: mentre la prima è per merito assoluto, la seconda è per merito comparativo. Per l’ammissione ad entrambi i ruoli è necessario aver compiuto sette anni di effettivo servizio nella qualifica (articoli 20 e 21).

Il ruolo degli ispettori è, invece, articolato in quattro qualifiche (articolo 22):

a)    vice ispettore;

b)    ispettore;

c)    ispettore capo;

d)    ispettore superiore.

Al personale del ruolo degli ispettori (che rivestono qualifiche di agente di pubblica sicurezza e di ufficiale di polizia giudiziaria) sono attribuite mansioni di concetto che richiedono adeguata preparazione professionale e conoscenza dei metodi e dell’organizzazione del trattamento penitenziario, nonché specifiche funzioni nell’ambito del servizio di sicurezza e nell’organizzazione dei servizi di istituto (tra cui le dimissioni dei detenuti), secondo le direttive e gli ordini impartiti dal direttore dell’istituto, di cui sono diretti collaboratori; sono altresì demandate agli ispettori funzioni di direzione, di indirizzo e di coordinamento di unità operative e la responsabilità per le direttive e le istruzioni impartite nelle predette attività e per i risultati conseguiti (articolo 23).

Per l’assunzione dei vice ispettori è previsto un doppio canale: concorso pubblico e concorso interno per titoli ed esami. Il titolo necessario per l’accesso tramite concorso pubblico è il diploma di istruzione secondaria superiore che consente l’iscrizione ai corsi per conseguire il diploma universitario (articolo 24). Il 50 per cento dei posti disponibili sono coperti con concorso pubblico; il rimanente 50 per cento con concorso riservato (articolo 28). I vincitori di concorso, sia pubblico che interno (allievi vice ispettori), debbono frequentare un corso di formazione (18 mesi gli esterni, 6 mesi gli interni), al termine del quale sono assegnati in prova ai servizi d’istituto per un periodo di 6 mesi (articolo 25).

La promozione sia a ispettore (articolo 29) che a ispettore capo si consegue a ruolo aperto mediante scrutinio per merito assoluto: alla promozione a ispettore sono ammessi i vice ispettori che abbiano compiuto almeno 2 anni di effettivo servizio nella qualifica (oltre il periodo di frequenza del citato corso semestrale); alla promozione a ispettore capo sono invece ammessi gli ispettori con sette anni di effettivo servizio nella qualifica.

L’accesso alla più elevata delle qualifiche nel ruolo degli ispettori, quella di ispettore superiore (articolo 30-bis), si consegue, per il 50 per cento dei posti, mediante scrutinio comparativo cui è ammesso il personale con 8 anni di servizio effettivo nella qualifica di ispettore capo; per il residuo 50 per cento, con concorso riservato annuale per titoli ed esami cui sono ammessi gli ispettori capo in possesso di diploma d’istruzione secondaria superiore che consente l’iscrizione ai corsi per il conseguimento del diploma universitario.

Una posizione ulteriore nella qualifica può essere maturata dagli ispettori superiori dopo 15 anni di effettivo servizio (8 anni di servizio dalla data di attribuzione dello scatto aggiuntivo, a sua volta previsto dopo 7 anni di servizio). Se nel triennio precedente hanno conseguito un giudizio complessivo minimo di “ottimo”, a domanda sono ammessi ad una selezione per titoli a conclusione della quale conseguono un ulteriore scatto aggiuntivo e, ferma restando la qualifica rivestita, assumono la denominazione di “sostituto commissario” (articolo 30-quater, comma 1)

L’articolo 11, comma 6, del D.Lgs. 30 maggio 2003, n. 193 ha però previsto (sostituendo l’articolo 30-quater, comma 1) a decorrere dal 1° gennaio 2005, ferme restando le ulteriori disposizioni dell’art. 30-quater, la sottrazione ai sostituti commissari del beneficio economico consistente nello scatto aggiuntivo.

Particolare rilievo assume l’articolo 44, comma 7, del D.Lgs. 443/1992, in base al quale sulle questioni relative allo stato giuridico, alla progressione di carriera, alle assegnazioni, ai trasferimenti e al rapporto di impiego deve essere fatto riferimento esclusivamente ai contenuti dei rapporti informativi. Il rapporto informativo è una valutazione annuale di professionalità degli appartenenti al Corpo di polizia penitenziaria (in servizio sia presso il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria che presso le sue articolazioni centrali e territoriali), la cui redazione è affidata dalla legge agli organi superiori competenti. Il rapporto si fonda su diversi parametri di valutazione: competenza professionale, capacità di risoluzione e organizzativa, qualità dell’attività svolta; per ognuno dei parametri è previsto un punteggio da 1 a 3. Il giudizio complessivo finale può essere di ottimo, distinto, buono, mediocre o insufficiente.

L’organico degli ispettori consta di 4.358 unità di personale:

Come sopra accennato, con il decreto legislativo 21 maggio 2000, n. 146 sono stati istituiti e disciplinati i ruoli direttivi, ordinario e speciale, del Corpo di polizia penitenziaria, in attuazione della delega recata dall’articolo 12 della legge n. 266/1999.

Il ruolo direttivo ordinario si articola nelle qualifiche di:

·         vice commissario penitenziario;

·         commissario penitenziario;

·         commissario capo penitenziario;

·         commissario coordinatore penitenziario;

·         primo dirigente;

·         dirigente superiore.

A tale personale del ruolo direttivo ordinario e dirigenziale viene attribuita la qualifica di sostituto ufficiale di pubblica sicurezza ed ufficiale di polizia giudiziaria, confermando l’equiparazione dello status con il personale appartenente alle Forze di polizia. L’articolo 6 individua le funzioni e le responsabilità affidate, presso i Provveditorati regionali, gli istituti penitenziari e le Scuole dell’amministrazione, al personale appartenente alle quattro qualifiche sopra citate.

Gli articoli da 7 a 15 disciplinano le modalità di accesso alle qualifiche del ruolo direttivo ordinario del Corpo di polizia penitenziaria e quelle di promozione interna al ruolo stesso.

In particolare, le modalità concorsuali per l’accesso alla qualifica iniziale di vice commissario penitenziario sono disciplinate dall’articolo 7 del D.Lgs 146 e dal D.M. 6 aprile 2001 n. 236 (Regolamento recante norme per l'accesso al ruolo direttivo, ordinario e speciale, del Corpo di polizia penitenziaria).

I requisiti di partecipazione al concorso, che si articola in due prove scritte e una prova orale, sono i seguenti: cittadinanza italiana; godimento dei diritti civili e politici; idoneità fisica, psichica e attitudinale al servizio nel Corpo di polizia penitenziaria; requisiti morali e di condotta; laurea in giurisprudenza o in scienze politiche, ovvero in economia e commercio, purché siano stati sostenuti gli esami di diritto penale e diritto processuale penale; età non superiore a 32 anni. Una riserva del 20 per cento dei posti è riservato al personale appartenente al Corpo di polizia penitenziaria che non deve aver riportato, nel precedente biennio, una sanzione disciplinare pari o più grave della deplorazione. Al concorso non sono ammessi gli espulsi dalle Forze armate e dai corpi militarmente organizzati, coloro che sono stati destituiti da pubblici uffici, che hanno riportato condanna a pena detentiva per reati non colposi o che sono stati sottoposti a misura di prevenzione. I candidati, dopo il superamento delle prove scritte, sono sottoposti all’accertamento dell’idoneità fisica e psichica e a prove idonee a valutarne le qualità attitudinali al servizio nel Corpo di polizia penitenziaria, salvo che per il personale interno. Le modalità di espletamento del concorso, la composizione della commissione esaminatrice, le materie oggetto dell’esame, le modalità di svolgimento del corso di formazione e quelle di svolgimento degli esami di fine corso sono state stabilite con il citato D.M. 6 aprile 2001, n. 236.

In particolare, i vincitori del concorso sono nominati vice commissari penitenziari in prova e frequentano, presso l’Istituto superiore di studi penitenziari, un corso di formazione teorico pratico della durata di 12 mesi; superati gli esami di fine corso, sono nominati vice commissari penitenziari e, dopo il giuramento, ammessi al ruolo direttivo ordinario del Corpo di polizia penitenziaria secondo l’ordine di graduatoria dell’esame di fine corso.

Le promozioni alle successive qualifiche di commissario avvengono tutte mediante scrutinio per merito comparativo. Cambia naturalmente l’entità dell’anzianità di effettivo servizio nella qualifica: allo scrutinio per la promozione a commissario penitenziario sono ammessi i vice commissari con 2 anni di servizio (articolo 11); a quello per commissario capo sono ammessi i commissari con 3 anni e mezzo di servizio (articolo 12); allo scrutinio per commissario coordinatore penitenziario sono ammessi i commissari capo che abbia compiuto 4 anni di effettivo servizio (articolo 13).

Accanto al ruolo direttivo ordinario, il D.Lgs 146/2000 ha istituito nel Corpo di polizia penitenziaria un ruolo direttivo speciale, articolato nelle stesse 4 qualifiche e con le stesse funzioni del ruolo direttivo ordinario, l’accesso al quale si consegue mediante concorso interno.

Il concorso per la qualifica iniziale di vice commissario penitenziario (articolo 22), per titoli ed esame, consiste in due prove scritte e un colloquio. A questo concorso possono partecipare gli ispettori superiori o gli ispettori capo ( con almeno 5 anni di anzianità nella qualifica), in possesso del diploma di maturità di scuola media superiore di secondo grado. Tale personale non deve aver riportato, nel precedente biennio, una sanzione disciplinare pari o più grave della deplorazione. I vincitori del concorso sono nominati vice commissari penitenziari in prova e devono frequentare un corso di formazione presso l’Istituto superiore di Studi penitenziari della durata non inferiore a dodici mesi.

Anche le promozioni alle successive qualifiche di commissario del ruolo speciale avvengono mediante scrutinio per merito comparativo con i consueti limiti derivanti dall’anzianità di servizio. Allo scrutinio per la promozione a commissario penitenziario sono ammessi i vice commissari con 2 anni di servizio (articolo 24); a quello per commissario capo sono ammessi i commissari con 6 anni di servizio (articolo 25); allo scrutinio per commissario coordinatore penitenziario sono ammessi i commissari capo che abbia compiuto 7 anni di effettivo servizio (articolo 26).

La dotazione organica dei ruoli direttivi ordinario e speciale, di cui alle Tabelle D ed E allegate al decreto legislativo 146/2000, comprende un totale di 715 unità dirigenziali.

La tabella D prevede 515 unità nel ruolo direttivo ordinario:

·         4 dirigenti superiori;

·         8 primi dirigenti;

·         90 commissari coordinatori penitenziari;

·         113 commissari capo penitenziari;

·         300 vice commissari penitenziari e commissari penitenziari.

La tabella E prevede 200 unità per il ruolo direttivo speciale:

·         20 commissari coordinatori penitenziari;

·         30 commissari capo penitenziari;

·         150 vice commissari e commissari penitenzia

 

Per quanto riguarda la procedura per l’esercizio della delega, il comma 1 prevede:

§      l’emanazione dei suddetti decreti su proposta del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e con il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione.

§      l’espressione dei pareri da parte delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per le conseguenze di carattere finanziario che dovranno essere resi entro il termine di trenta giorni dalla data di trasmissione, decorso il quale i decreti sono emanati anche in mancanza dei pareri. Qualora detto termine venga a scadere nei trenta giorni antecedenti allo spirare del termine annuale o successivamente, la scadenza del termine è prorogata di sessanta giorni.

 

I principi e criteri direttivi per l’esercizio della delega sono invece individuati dal comma 2 nei seguenti:

a)   suddivisione del personale che svolge attività tecnico-scientifica o tecnica anche di carattere esecutivo, attinente ai servizi di polizia penitenziaria, in ruoli da determinare in relazione alle funzioni attribuite ed ai contenuti di professionalità richiesti; determinazione delle qualifiche e delle corrispondenti funzioni;

b)   suddivisione del personale che esplica mansioni di carattere professionale, per il cui esercizio è richiesta l’iscrizione in appositi albi, in ruoli da determinare in relazione alle funzioni attribuite ed ai contenuti di professionalità richiesti; determinazione delle qualifiche e delle corrispondenti funzioni;

c)   previsione che l’accesso alle qualifiche iniziali di ciascun ruolo e il relativo avanzamento in carriera avvenga mediante le medesime procedure previste per i corrispondenti ruoli tecnici o similari della Polizia di Stato;

 

Nell'ambito dell'Amministrazione della pubblica sicurezza, il D.P.R. 24 giugno 1982, n. 337[17], più volte modificato, prevede cinque ruoli del personale della Polizia di Stato che svolge attività tecnico-scientifica o tecnica:

§         ruolo degli operatori e collaboratori tecnici;

§         ruolo dei revisori tecnici;

§         ruolo dei periti tecnici;

§         ruolo dei direttori tecnici;

§         ruolo dei dirigenti tecnici.

Il medesimo D.P.R. disciplina anche l’accesso alle qualifiche iniziali e la progressione in carriera del personale dei primi tre ruoli citati; le disposizioni relative ai ruoli del personale direttivo e dirigente sono contenute nel D.Lgs. 334/2000[18] (vedi infra).

L'accesso alla qualifica iniziale del ruolo degli operatori e collaboratori tecnici avviene mediante pubblico concorso per esami al quale sono ammessi a partecipare i cittadini italiani che abbiano i requisiti generali per la partecipazione ai pubblici concorsi indetti per l'accesso alle carriere civili delle amministrazioni dello Stato e siano in possesso del titolo di studio della scuola dell'obbligo. I vincitori del concorso sono nominati allievi operatori tecnici e sono inseriti in ciascuno dei settori tecnici dopo aver frequentato un corso di formazione a carattere teorico-pratico di quattro mesi e aver superato gli esami di fine corso. La promozione ad operatore tecnico scelto si consegue, a ruolo aperto, mediante scrutinio per merito assoluto al quale sono ammessi gli operatori tecnici che alla data dello scrutinio stesso abbiano compiuto cinque anni di effettivo servizio. Le promozioni alle due qualifiche superiori di collaboratore tecnico e di collaboratore tecnico capo si conseguono con le stesse modalità (a ruolo aperto e mediante scrutinio per merito assoluto) rispettivamente dopo cinque anni di effettivo servizio nella qualifica di operatore tecnico scelto e dopo cinque anni di servizio nella qualifica di collaboratore tecnico.

L’accesso alla qualifica iniziale del ruolo dei revisori tecnici avviene:

§       nel limite del 70% dei posti disponibili, al 31 dicembre di ogni anno, in ciascun profilo professionale, mediante concorso interno per titoli e superamento di una prova pratica a carattere professionale, volta ad accertare il grado di preparazione tecnico professionale, e successivo corso di formazione di almeno sei mesi. Al concorso sono ammessi gli appartenenti al ruolo degli operatori e collaboratori tecnici provenienti da profili professionali omogenei a quello per cui concorrono, che abbiano compiuto alla stessa data quattro anni di effettivo servizio;

§       per il restante 30% dei posti disponibili, mediante concorso pubblico per esame scritto al quale possono partecipare i cittadini italiani in possesso dei requisiti generali per la partecipazione ai pubblici concorsi e di un diploma di istruzione professionale almeno triennale conseguito presso un istituto statale, o, comunque, riconosciuto dallo Stato, ovvero, ove non sia previsto il suddetto diploma, di un diploma o di un attestato di qualifica rilasciato dalle regioni al termine di corsi di durata almeno triennale nell'àmbito della formazione professionale, nonché dell'abilitazione professionale eventualmente prevista dalla legge per l'esercizio dell'attività propria del profilo professionale per il quale si concorre.

La promozione alla qualifica di revisore tecnico si consegue a ruolo aperto mediante scrutinio per merito assoluto, cui sono ammessi i vice revisori tecnici che abbiano compiuto sette anni di effettivo servizio nella qualifica. Per la promozione alla qualifica di revisore tecnico capo si procede con scrutinio per merito comparativo, cui sono ammessi i revisori tecnici con sette anni di effettivo servizio nella qualifica.

L’accesso alla qualifica di vice perito tecnico avviene:

§       per il 50% dei posti disponibili annualmente, mediante pubblico concorso per titoli ed esami, cui possono partecipare i cittadini italiani in possesso dei requisiti generali per la partecipazione ai pubblici concorsi e di specifico titolo di studio d'istruzione secondaria superiore che consente l'iscrizione ai corsi per il conseguimento del diploma universitario, nonché, ove sia previsto dalla legge, del diploma o attestato di abilitazione, tutti attinenti all'esercizio dell'attività inerente al profilo professionale per il quale si concorre, e dell'idoneità fisica, psichica e attitudinale al servizio;

§       per il restante 50%, mediante concorso interno per titoli ed esami, riservato agli operatori e ai collaboratori tecnici con un'anzianità di servizio di almeno sette anni e ai revisori tecnici provenienti da profili professionali omogenei a quello per il quale si concorre, con un'anzianità di servizio di almeno tre anni, in possesso dello specifico titolo di studio di istruzione secondaria di secondo grado.

I vincitori del concorso frequentano un corso di formazione tecnico-professionale di almeno sei mesi, che si conclude con un esame teorico-pratico. La promozione alle qualifiche di perito tecnico e di perito tecnico capo si consegue a ruolo aperto mediante scrutinio per merito assoluto, al quale sono ammessi rispettivamente i vice periti tecnici con due anni di effettivo servizio e i periti tecnici con sette anni di effettivo servizio nella qualifica stessa. La promozione alla qualifica di perito tecnico superiore si consegue:

§       per il 50% dei posti disponibili al 31 dicembre di ogni anno mediante scrutinio per merito comparativo al quale è ammesso il personale con un’anzianità di otto anni di effettivo servizio nella qualifica di perito tecnico capo;

§       per il restante 50% dei posti mediante concorso annuale per titoli di servizio ed esami, riservato al personale che alla data del 31 dicembre di ciascun anno, riveste la qualifica di perito tecnico capo e sia in possesso del titolo di studio richiesto per partecipare al concorso per la nomina a vice perito tecnico.

I periti tecnici superiori che al 1° gennaio di ogni anno abbiano maturato quindici anni di effettivo servizio nella qualifica, possono partecipare ad una specifica selezione per titoli, a conclusione della quale, ferma restando la qualifica rivestita, assumono la denominazione di “sostituto direttore tecnico”.

Le modalità di accesso ai ruoli dei direttori e dei dirigenti tecnici della Polizia di Stato e la progressione in carriera sono disciplinate dagli artt. 31-35 del decreto legislativo 5 ottobre 2000, n. 334.

L'accesso alla qualifica iniziale dei ruoli dei direttori tecnici avviene mediante concorso pubblico per titoli ed esami, per partecipare al quale si richiede il possesso dei seguenti requisiti:

§       cittadinanza italiana;

§       godimento dei diritti civili e politici;

§       laurea specialistica;

§       idoneità psicofisica e attitudinale;

§       possesso delle qualità morali e di condotta;

§       assenza di provvedimenti di espulsione dalle Forze armate e dai corpi militarmente organizzati di destituzione dai pubblici uffici;

§       assenza di condanne a pene detentive per reati non colposi e di provvedimenti di applicazione delle misure di prevenzione previste dalla legislazione antimafia.

I vincitori dei concorsi frequentano un corso di formazione iniziale presso l’Istituto superiore di Polizia. Il corso, la cui durata è di un anno, si caratterizza come teorico-pratico, finalizzato quindi a integrare la preparazione scientifica richiesta per l’accesso al ruolo, con le esigenze operative dei vari settori di impiego del personale. A conclusione del corso di formazione, i direttori tecnici che abbiano ottenuto il giudizio di idoneità sostengono un esame, superato il quale sono confermati nel ruolo con la qualifica di direttore tecnico principale e assegnati ai servizi.

La promozione alla qualifica superiore di direttore tecnico capo avviene, a ruolo aperto, dopo il superamento di uno scrutinio per merito comparativo, al compimento di sei anni e sei mesi di servizio effettivo nella qualifica di direttore tecnico principale.

Per l’accesso alla prima qualifica dirigenziale dei ruoli tecnici (primo dirigente tecnico) sono previste due modalità:

§       il 60% dei posti disponibili al 31 dicembre di ogni anno sono assegnati a coloro che superino l’esame finale di un corso di formazione di tre mesi, al quale possono accedere, mediante scrutinio per merito comparativo, i direttori tecnici capo con due anni di anzianità nella qualifica;

§       il rimanente 40% dei posti sono attribuiti ai vincitori del concorso per titoli ed esami riservato ai direttori tecnici capo e ai direttori tecnici principali con cinque anni di anzianità nella qualifica.

La promozione a dirigente superiore tecnico si consegue, nei limiti dei posti disponibili al 31 dicembre di ogni anno, mediante scrutinio per merito comparativo al quale è ammesso il personale con la qualifica di primo dirigente tecnico che, alla stessa data, abbia compiuto tre anni di effettivo servizio nella qualifica.

 

d)   disciplina dello stato giuridico del personale, ed in particolare del comando presso altre amministrazioni, l’aspettativa, il collocamento a disposizione, le incompatibilità, i rapporti informativi e i congedi, secondo criteri che tengano conto delle specifiche esigenze dei servizi di polizia e della necessità che la suddetta disciplina non preveda trattamenti di stato inferiori rispetto a quelli degli altri dipendenti civili dello Stato;

e)   attribuzione, ove occorra e limitatamente alle funzioni esercitate, delle qualità di agente e ufficiale di polizia giudiziaria e di pubblica sicurezza al personale che svolge attività tecnico-scientifica e che esplica mansioni di carattere professionale in relazione al ruolo di appartenenza.

 

La polizia giudiziaria è l’organo chiamato allo svolgimento di ogni indagine e attività disposta o delegata dall'autorità giudiziaria.

L’articolo 55 del codice penale stabilisce che la polizia giudiziaria, tramite i propri ufficiali ed agenti, deve, anche di propria iniziativa, prendere notizia dei reati, impedire che vengano portati a conseguenze ulteriori, ricercarne gli autori, compiere gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant'altro possa servire per l'applicazione della legge penale.

L’articolo 57 del codice penale individua, salve le disposizioni delle leggi speciali, come ufficiali di polizia giudiziaria:

a) i dirigenti, i commissari, gli ispettori, i sovrintendenti e gli altri appartenenti alla polizia di Stato ai quali l'ordinamento dell'amministrazione della pubblica sicurezza riconosce tale qualità;

b) gli ufficiali superiori e inferiori e i sottufficiali dei carabinieri, della guardia di finanza, degli agenti di custodia  e del corpo forestale dello Stato nonché gli altri appartenenti alle predette forze di polizia ai quali l'ordinamento delle rispettive amministrazioni riconosce tale qualità;

c) il sindaco dei comuni ove non abbia sede un ufficio della polizia di Stato ovvero un comando dell'arma dei carabinieri o della guardia di finanza.

Sono, invece, agenti di polizia giudiziaria:

a) il personale della polizia di Stato al quale l'ordinamento dell'amministrazione della pubblica sicurezza riconosce tale qualità;

b) i carabinieri, le guardie di finanza, gli agenti di custodia, le guardie forestali e, nell'ambito territoriale dell'ente di appartenenza, le guardie delle province e dei comuni quando sono in servizio.

Sono altresì ufficiali e agenti di polizia giudiziaria, nei limiti del servizio cui sono destinate e secondo le rispettive attribuzioni, le persone alle quali le leggi e i regolamenti attribuiscono le funzioni previste dall'articolo 55.

Gli ufficiali e agenti di pubblica sicurezza svolgono funzioni prevalentemente inerenti alla prevenzione dei reati (mantenimento dell’ordine pubblico, tutela dell’incolumità delle persone, raccolta di prove di reati) e procedono alla scoperta e all’arresto dei delinquenti, ai sensi dell’art. 34 del regio decreto 31 agosto 1907, n. 690[19]. Per le attribuzioni dell'autorità di pubblica sicurezza rilevano anche gli articoli 1 e 4 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (testo unico delle leggi di pubblica sicurezza) e l'art. 1 del regolamento per il Corpo delle guardie di pubblica sicurezza (regio decreto 30 novembre 1930, n. 1629).

A differenza della polizia giudiziaria, la qualifica di agente e di ufficiale di pubblica sicurezza è attribuita a tutto il personale delle forze di polizia (Polizia di Stato, Carabinieri, Guardia di finanza, Corpo forestale dello Stato, Corpo delle guardie penitenziarie), ai sensi degli artt. 17 e 18 del suddetto R.D. 690/1907.

Successivamente, i provvedimenti di organizzazione di ciascun corpo hanno disciplinato l’attribuzione di tali qualifiche: la legge 1 aprile 1981, n. 121[20] per la Polizia di Stato (art. 39); il decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 198[21] per l’Arma dei Carabinieri (artt. 3 e 13); il decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 199[22] per la Guardia di finanza (artt. 4 e 76); il decreto legislativo 30 ottobre 1992, n. 443[23] per la Polizia penitenziaria (artt. 4, 15 e 23). Anche al personale che svolge servizio di polizia municipale può essere attribuita, a determinate condizioni la qualifica di agente di pubblica sicurezza ai sensi della legge 7 marzo 1986, n. 65[24] (artt. 3 e 5). Tali qualifiche possono, inoltre, essere attribuite con legge agli appartenenti ad altre strutture dello Stato (si veda ad esempio l’attribuzione della qualifica di agente di pubblica sicurezza al personale degli Enti parco nazionali, in virtù dell’art. 1, comma 1107, della legge 27 dicembre 2006, n. 296[25]).

L’articolo 19, introdotto nel corso dell’esame presso l’altro ramo del Parlamento, prevede un obbligo di informazione del Parlamento da parte dei Ministri dell’interno e della giustizia in merito:

·         alle attività svolte nel periodo di riferimento, rispettivamente dalla banca dati nazionale del DNA e dal laboratorio centrale per la medesima banca dati;

·         allo stato di attuazione delle norme previste dal capo II (relativo appunto all’istituzione della banca dati  nazionale e del laboratorio centrale) per le parti di rispettiva competenza.

 

La disposizione prevede per l’adempimento di tale obbligo una cadenza annuale.

 

 


Capo III – Scambio di informazioni e altre forme di cooperazione

 

Il Capo III è dedicato alla disciplina dello scambio di informazioni e delle altre forme di cooperazione tra gli Stati contraenti.

 

In particolare, l'articolo 20 specifica che le disposizioni di cui agli articoli da 2 a 7 del Trattato, concernenti lo scambio informativo dei profili del DNA, quelle concernenti lo scambio informativo dei dati dattiloscopici, lo scambio dei profili contenuti nei registri di immatricolazione dei veicoli, nonché di quelli relativi alle manifestazioni sportive - di cui agli artt. 8, 9, 12 e 15 del Trattato - devono essere applicate conformemente al c.d. Codice della privacy, di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196.

 

Come già precedentemente illustrato gli articoli da 2 a 7 sono volti alla creazione di banche dati nazionali di analisi del DNA al fine di perseguire le violazioni penali e di garantire la disponibilità dei dati indicizzati (che, nel rispetto delle norme in materia di protezione dei dati personali non devono consentire l’identificazione diretta della persona interessata) alle altre Parti. L’accesso alle informazioni avviene attraverso la consultazione automatizzata dei data base da parte dei punti di contatto nazionali designati da ciascuna parte contraente, competenti anche riguardo la comparazione dei profili DNA. Qualora il punto di contatto di una Parte registri corrispondenza tra profili DNA trasmessi e quelli contenuti nel proprio schedario, deve comunicare al punto di contatto dell’altra Parte i dati indicizzati per i quali è stata riscontrata la concordanza. In caso di concordanza, la trasmissione di altri dati a carattere personale avviene sulla base del diritto nazionale della Parte richiesta.

Gli articoli 8 e 9 consentono analoghe forme di cooperazione e di scambio di informazioni circa il contenuto delle banche dati delle impronte digitali, sempre per il tramite dei punti di contatto nazionali.

L’articolo 12 consente inoltre la consultazione automatizzata dei dati contenuti nei registri di immatricolazione dei veicoli, al fine di prevenire e perseguire comportamenti penalmente punibili e per contribuire al mantenimento della sicurezza e dell’ordine pubblico.

L’articolo 15 stabilisce che ogni Parte contraente designa un punto di contatto nazionale per la trasmissione dei dati in base agli artt. 13 e 14 del Trattato. Gli artt. 13 e 14 si occupano della trasmissione di informazioni (dati non personali e/o dati personali) in relazione ai cosiddetti grandi eventi, ossia quegli avvenimenti di natura sportiva, politica o religiosa che sono in grado di concentrare un elevato numero di persone in un determinato Paese (ad esempio, Olimpiadi o G8), allo scopo di prevenire attività criminali ovvero minacce all'ordine o alla sicurezza pubblica.

Va altresì ricordato che l'art. 34 del Trattato stabilisce che per quanto riguarda il trattamento dei dati personali trasmessi nell'ambito del Trattato stesso, ogni Parte, indipendentemente dal fatto che i dati siano trattati in maniera automatizzata o meno: - garantisce nel suo diritto nazionale un livello di protezione di dati corrispondente almeno a quanto previsto dalla Convenzione del Consiglio d'Europa del 28 gennaio 1981, n. 108 sulla protezione delle persone rispetto al trattamento automatizzato dei dati di carattere personale, e dal protocollo addizionale dell'8 novembre 2001; - tiene conto delle della raccomandazione R(87)15 del Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa agli Stati membri relativa all'uso dei dati personali nel settore di polizia. Ai sensi dell'art. 34, paragrafo 2, del Trattato, la trasmissione di dati personali prevista dal Trattato stesso potrà iniziare solo dopo che le Parti contraenti abbiano trasposto nei propri ordinamenti le disposizioni generali relative alla protezione dei dati di cui al capitolo 7 del Trattato stesso.

 

Con riferimento all’articolo 20 si può rilevare che tale norma circoscrive l'applicabilità del codice in materia di protezione dei dati di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 alla sola fase di "scambio" dei dati. Al riguardo, si potrebbe valutare l'opportunità di chiarire se e come il medesimo codice si applica a tutte le altre fasi di trattamento dei dati in questione.

 

 

L’articolo 21 riguarda le disposizioni del Trattato (artt. 17-19) che disciplinano l’impiego di guardie armate sui voli con funzione di prevenzione degli atti terroristici e, più in generale, di prevenzione di quelle condotte che possono mettere in pericolo la sicurezza del volo.

 

Si ricorda che, ai sensi dell'art. 17 del Trattato, ogni Stato può decidere in modo autonomo, in funzione della propria politica nazionale di sicurezza aerea, se prevedere o meno la presenza, sui velivoli registrati nello Stato in questione, di scorte armate, ossia di funzionari di polizia o agenti di pubblica autorità formati allo scopo e incaricati del mantenimento della sicurezza a bordo dei velivoli.

Tale presenza deve avvenire in conformità:

 - alla Convenzione di Chicago del 7 dicembre 1944 relativa all'aviazione civile internazionale;

- agli annessi a tale Convenzione (e, in particolare, all'annesso 17);

- agli altri documenti relativi alla sua applicazione.

Secondo quanto regolato dalla Convenzione di Tokyo del 14 settembre 1963, relativa ai reati e altri atti che sopraggiungono a bordo dei velivoli, una volta deciso l'imbarco della scorta armata su un particolare volo, l'ufficio nazionale di coordinamento competente dello Stato interessato ne darà notifica scritta, almeno 3 giorni prima del volo in questione e secondo il modello di cui all'annesso 1 al Trattato, all'omologa struttura dello Stato di destinazione del velivolo. Nei casi di imminente pericolo non sarà necessario che la notifica preceda il decollo, purchè essa avvenga prima dell'atterraggio dell'aeromobile.

 

In particolare il comma 1, prevede che, entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame, le competenti Autorità nazionali propongono alle competenti Autorità delle altre Parti contraenti e degli altri Stati che hanno aderito al Trattato la stipula di un accordo separato, ai sensi dell’art. 17, paragrafo 5, anche al fine di integrare le informazioni di cui all’allegato 1 dello stesso Trattato.

 

Il paragrafo 5 dell'art. 17 del Trattato prevede che le Parti contraenti possano, mediante accordo separato, modificare l'annesso 1 (il quale contiene le informazioni che devono essere inserite nella notifica scritta).

Nell'Allegato alla dichiarazione del 4 luglio 2006 con la quale la Repubblica italiana ha dichiarato di voler aderire al Trattato, è stato fatto presente che la notifica scritta deve comprendere, oltre alle informazioni elencate nell'allegato 1 al Trattato, anche il numero di contenitori in cui sono custodite le armi al momento dell'uscita dell'aeromobile.

 

Va rilevato che, ai sensi del suddetto art. 17, paragrafo 5, del Trattato l'oggetto degli accordi separati ivi previsti è limitato alle modifiche all'allegato 1, non è chiaro a quali altri contenuti faccia riferimento l'articolo del disegno di legge in esame, nel momento in cui stabilisce che l'accordo separato sia finalizzato "anche" ad integrare le informazioni di cui all'allegato 1.

 

Il comma 2 prevede che l’autorizzazione generale di porto d’armi d’ordinanza e di munizioni, di cui all’art. 18, paragrafo 1, del Trattato, consente il trasporto sul territorio nazionale delle relative armi dall’uscita dall’aeromobile fino al luogo di deposito nelle zone di sicurezza, di cui al medesimo art. 18, paragrafo 2.

 

Ai sensi dell'art. 18 del Trattato, le Parti contraenti devono rilasciare alle scorte armate assegnate a bordo dei velivoli delle altre Parti contraenti, su richiesta di queste ultime, un'autorizzazione generale di porto d'armi di servizio, di munizioni e di oggetti di equipaggiamento.

 Il suddetto porto d'armi e di munizioni è sottoposto alle seguenti condizioni: 1) lo sbarco dal velivolo in un aeroporto con delle armi e delle munizioni o il permanere in zone di sicurezza non accessibili al pubblico di un aeroporto di un'altra Parte contraente è autorizzato solo alla presenza di un rappresentante dell'autorità nazionale del Paese di destinazione; 2) immediatamente dopo lo sbarco dal velivolo, le armi di servizio e le munizioni sono depositate sotto scorta in un luogo da determinarsi dall'autorità nazionale competente, del luogo in cui queste saranno tenute in custodia.

 L'Allegato alla dichiarazione fa presente che al momento dell'uscita dall'aeromobile le armi (senza colpo in canna e con il caricatore sfilato) e le munizioni devono essere inserite in contenitori costituiti da plichi di plastica trasparente muniti di sigillo di sicurezza (auto distruggente in caso di apertura o manomissione). I plichi - uno per ciascuna arma - devono essere inseriti in valigette o altri contenitori muniti di serratura di sicurezza con chiave o combinazione.

 

L’articolo 22 reca disposizioni finalizzate all’attuazione dell’art. 24 del Trattato, il quale prevede che le Parti contraenti, al fine del mantenimento dell’ordine e della sicurezza pubblica e per prevenire i reati, possano istituire pattuglie comuni o altre (non specificate) forme di intervento comuni, nell’ambito delle quali funzionari o altri agenti di autorità pubblica partecipano ad interventi sul territorio di un’altra Parte.

 

Disposizioni concernenti le squadre investigative comuni sono state già introdotte nell’ordinamento comunitario con l’art. 13 della Convenzione europea relativa all'assistenza giudiziaria in materia penale, adottata a Bruxelles il 29 maggio del 2000[26], entrata in vigore sul piano internazionale il 23 agosto 2005, e con la successiva decisione quadro n. 2002/465/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, che ne riprende il contenuto, il cui termine di attuazione da parte degli Stati membri è scaduto il 31 dicembre 2002.

Tali disposizioni prevedono che – allo scopo di svolgere indagini penali in uno o più Stati membri – le autorità competenti di tali Stati possano costituire, di comune accordo, una squadra investigativa comune, indicandone la composizione.

La squadra può essere formata, per un scopo determinato e per una durata limitata, prorogabile con l'accordo di tutte le parti, nei seguenti casi:

§       quando le indagini condotte da uno Stato membro su reati comportano inchieste difficili e di notevole portata che hanno un collegamento con altri Stati membri;

§       quando più Stati membri svolgono indagini su reati che, per le circostanze del caso, esigono un'azione coordinata e concertata negli Stati membri interessati.

Il 28 novembre 2002, il Consiglio della UE ha adottato un Protocollo[27] (ratificato dall’Italia con la legge 20 febbraio 2006, n. 93) che ha modificato la convenzione Europol per consentire la partecipazione dei funzionari Europol alle squadre investigative comuni. L’8 maggio 2003 lo stesso Consiglio ha adottato una Raccomandazione relativa a un modello di accordo mirante alla costituzione di una squadra investigativa comune.

Nella scorsa legislatura, un disegno di legge governativo volto a introdurre le squadre investigative comuni nell’ordinamento nazionale è stato approvato dal Senato in prima lettura (A.S. 1271) ma l’esame alla Camera non è giunto a conclusione. Proposte di legge in materia sono state presentate anche nella corrente legislatura (A.C. 1776; A.S. 804 e 841).

La particolarità delle pattuglie comuni di cui all’articolo in esame è data dalla loro finalità, che non è quella di investigare su un reato già commesso, bensì quella di mantenere l’ordine e la sicurezza pubblica e prevenire la commissione di reati.

 

Il comma 1 stabilisce che gli appartenenti agli organi di polizia degli altri Stati contraenti che partecipano sul territorio italiano ad operazioni comuni possono svolgere le funzioni previste dall’atto costitutivo delle unità miste, sottoscritto dalla competente autorità di pubblica sicurezza, nei limiti consentiti dalle disposizioni di legge o di regolamento in vigore sul territorio nazionale.

Agli stessi soggetti, nei medesimi limiti, sono attribuite le funzioni di agente di pubblica sicurezza e di agente di polizia giudiziaria (su tali qualifiche, cfr. il commento all’art. 18).

 

Il comma 2 dà invece attuazione all’art. 28 del Trattato, il quale prevede che i funzionari di una Parte contraente che si trovino, nell’ambito di un intervento comune, sul territorio di un’altra Parte contraente possono portarvi la loro uniforme di servizio nazionale. Essi inoltre possono portare armi di servizio, munizioni e equipaggiamento ammessi secondo il diritto nazionale dello Stato di invio. Ogni parte contraente può interdire il porto di alcune armi di servizio, munizioni e equipaggiamenti di questi funzionari.

 

L’Allegato alla dichiarazione di parte italiana afferma che le armi di ordinanza, le munizioni ed i mezzi di intervento autorizzati sono i seguenti:

§       armi da fuoco e munizioni autorizzate;

§       armi o strumenti di difesa autorizzati, secondo le disposizioni normative applicabili agli agenti che partecipano all’intervento comune.

 

Secondo il comma 2 in esame, salvo che sia diversamente stabilito dall’atto costitutivo, il porto nel territorio dello Stato delle armi e delle attrezzature di cui all’art. 28 del Trattato deve essere autorizzato a norma dell’art. 9 della L. 36/1990[28].

 

Ai sensi del suddetto art. 9, il ministro dell’interno o, su sua delega, il prefetto della provincia di confine può autorizzare personale appartenente alle forze di polizia o ai servizi di sicurezza di altro Stato, che sia al seguito di personalità dello Stato medesimo, ad introdurre e portare le armi di cui è dotato per fini di difesa. L’autorizzazione è limitata al periodo di permanenza in Italia delle personalità accompagnate purché sussistano, tra i due Stati, condizioni di reciprocità.

L’autorizzazione può essere rilasciata altresì agli agenti di polizia dei Paesi appartenenti all’Unione europea e degli altri Paesi con i quali sono sottoscritti specifici accordi di collaborazione interfrontaliera per lo svolgimento di servizi congiunti con agenti delle Forze di polizia dello Stato. In questo caso, i soggetti autorizzati possono utilizzare le armi esclusivamente per legittima difesa.

Per i danni causati dagli agenti di polizia di Paesi che non appartengono all’Unione europea e con i quali non siano sottoscritti specifici accordi, durante lo svolgimento dei servizi, si osservano, in quanto compatibili, le disposizioni dell’art. 43 della Convenzione del 19 giugno 1990, di applicazione dell’Accordo di Schengen[29].

 

L’articolo 23 dà attuazione dell’art. 25 del Trattato, il quale stabilisce che in situazioni d’urgenza, i funzionari di una Parte contraente possano attraversare, senza previa autorizzazione dell’altra Parte contraente, la frontiera comune con lo scopo di adottare, in zona di confine sul territorio dell’altra Parte contraente e nel rispetto del diritto nazionale di questa, delle misure provvisorie necessarie ad allontanare ogni attuale pericolo per la vita e l’integrità fisica delle persone.

L’articolo in esame prevede che:

§      la facoltà d’intervento prevista dall’art. 25 del Trattato si intende riferita alle situazioni di emergenza in cui un eventuale ritardo rischia di favorire il verificarsi dell’evento dannoso (già l’art. 25, paragrafo 2, del Trattato dispone che vi è situazione di emergenza quando l’attesa dei funzionari dello Stato di accoglienza o il collocamento sotto comando rischiano di favorire l’insorgenza del pericolo);

§      gli appartenenti agli organi di polizia dello Stato contraente confinante possono utilizzare solo per legittima difesa le medesime armi previste per gli appartenenti alle unità miste di cui all’art. 22 del disegno di legge in esame (vedi supra).

Nel caso in cui la misura provvisoria del fermo di un persona è disposta, ai sensi dell’art. 25, paragrafo 1, del Trattato, dagli appartenenti agli organi di polizia dello Stato contraente confinante, si applicano le disposizioni di cui all’art. 5 della L. 388/1993[30], di ratifica ed esecuzione dell’Accordo di Schengen, ai sensi del quale la persona fermata, se non è cittadino italiano, è rimessa in libertà dalla medesima autorità che ha proceduto al fermo al più tardi alla scadenza del termine indicato nel paragrafo 6 dell’art. 41 della Convenzione (sei ore dal suo arresto, non calcolando le ore tra mezzanotte e le ore 9), se entro lo stesso termine non si è proceduto all’arresto ai sensi dell’art. 716 c.p.p..

 

Ai sensi dell’art. 716 c.p.p., nei casi di urgenza, la polizia giudiziaria può procedere all’arresto della persona nei confronti della quale sia stata presentata domanda di arresto provvisorio se ricorrono le condizioni previste dall’art. 715, comma 2. Essa provvede altresì al sequestro del corpo del reato e delle cose pertinenti al reato. L’autorità che ha proceduto all’arresto ne informa immediatamente il Ministro della giustizia e al più presto, e comunque non oltre 48 ore, pone l’arrestato a disposizione del presidente della corte di appello nel cui distretto l’arresto è avvenuto, mediante la trasmissione del relativo verbale. Quando non deve disporre la liberazione dell’arrestato, il presidente della corte di appello, entro 96 ore dall’arresto, lo convalida con ordinanza disponendo l’applicazione di una misura coercitiva. Dei provvedimenti dati informa immediatamente il ministro della giustizia. La misura coercitiva è revocata se il Ministro della giustizia non ne chiede il mantenimento entro 10 giorni dalla convalida. Si applicano le disposizioni dell’art. 715, commi 5 e 6.

 


Capo IV – Modifiche al codice di procedura penale in materia di accertamenti tecnici idonei ad incidere sulla libertà personale

 

Il Capo IV della proposta di legge (articoli da 24 a 29) – non previsto nell’originario disegno di legge del Governo - modifica il codice di procedura penale e le disposizioni di attuazione, al fine di consentire, anche nel nostro ordinamento, lo svolgimento di accertamenti tecnici coattivi.

Si ricorda, infatti, che la possibilità per il giudice di disporre, per finalità di indagine, prelievi biologici coattivi nei confronti di imputati, indagati o soggetti terzi, in assenza di una disciplina legislativa volta a disciplinarne dettagliatamente le modalità, è stata esclusa dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 238 del 1996.

 

Con tale pronuncia la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’articolo 224, comma 2, del codice di procedura penale, per la parte in cui consentiva al giudice, nell'ambito delle operazioni peritali, di disporre misure (nella specie, prelievi ematici) volte ad incidere sulla libertà personale dell'indagato o dell'imputato o di terzi, al di fuori di quelle specificamente previste, nei casi e nei modi, dalla legge.

La Corte – in considerazione del fatto che il prelievo di sangue coattivo comporta necessariamente una qualche restrizione della libertà personale (anzi travalica tale libertà, comportando – sia pur in misura minima – un’invasione della sfera corporale) ha ritenuto che le premesse dell’accertamento peritale potessero risolversi in compressioni della libertà dell’individuo soltanto in conformità a tassative previsioni di legge, secondo la circostanziata riserva contenuta nell’art. 13, 2° comma, Cost. 

La Corte ha ritenuto operante la garanzia di riserva – assoluta-  di legge che implica l’esigenza di tipizzazione dei casi e delle modalità con le quali la libertà personale può essere legittimamente compressa. Nel dichiarare l’incostituzionalità parziale dell’art. 224, 2° comma, c.p.p., la Consulta ha stigmatizzato «l’assoluta genericità di formulazione» della norma e «la totale carenza di ogni specificazione al positivo dei casi e dei modi in presenza dei quali soltanto può ritenersi che sia legittimo procedere alla esecuzione coattiva di accertamenti peritali mediante l’adozione, a discrezione del giudice, di misure restrittive della libertà personale».

 

Nella stessa sentenza, la Corte costituzionale ha rivolto al legislatore l’invito a colmare il vuoto normativo in materia affermando che «fino a quando il legislatore non sarà intervenuto ad individuare i tipi di misure restrittive della libertà personale che possono dal giudice essere disposte allo scopo di consentire (anche contro la volontà della persona assoggettata all'esame) l'espletamento della perizia ritenuta necessaria ai fini processuali, nonché a precisare i casi ed i modi in cui le stesse possono essere  adottate - nessun provvedimento di tal genere potrà essere disposto».

 

Le uniche disposizioni legislative che prevedono prelievi biologici coattivi sono attualmente le seguenti:

•   l’art. 16 della legge contro la violenza sessuale (l. 15 febbraio 1996, n. 66), che stabilisce che l’imputato sia obbligatoriamente sottoposto ad accertamenti per l’individuazione di patologie sessualmente trasmissibili, qualora le modalità del fatto possano prospettare un rischio di trasmissione delle patologie medesime;

•   art. 349 c.p.p. (come modificato dal decreto legge n. 144 del 2005[31] ) ai sensi del quale il prelievo obbligatorio di saliva o capelli, anche in mancanza di consenso dell'interessato, è possibile ma ai soli fini identificativi della persona nei cui confronti le indagini sono svolte e non già a fini probatori.

 

A partire dalla XIV legislatura il Parlamento ha ripetutamente tentato di aderire all’invito della Corte costituzionale, avviando l’esame presso la Commissione giustizia di alcune proposte di legge. In particolare, nel corso della scorsa legislatura, la Camera dei deputati ha approvato in prima lettura (10 ottobre 2007) una proposta di legge[32] recante “Modifiche al codice di procedura penale in materia di accertamenti tecnici idonei ad incidere sulla libertà personale”, il cui iter non è però mai stato avviato dal Senato (A.S. 1849).

 

Gli articoli da 24 a 29 della proposta di legge in commento sono dunque volti a introdurre nel codice di rito una disciplina per l’esecuzione, su persone viventi, di prelievi di campioni biologici o di accertamenti medici, che possa costituire un corretto bilanciamento tra le esigenze del processo e l'inviolabilità della libertà personale, garantita dall'articolo 13, secondo comma, della Costituzione.

 

In particolare, l’articolo 24 introduce nel codice di procedura penale l’articolo 224-bis, che disciplina la perizia che comporta l’esecuzione di atti idonei a incidere sulla libertà personale. La perizia può essere eseguita tanto nei confronti dell’indagato, quanto nei confronti dell’imputato di un reato.

I presupposti per poter procedere all’accertamento sono i seguenti:

§      si procede per delitto non colposo, consumato o tentato, per il quale la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione superiore, nel massimo, a 3 anni, ovvero per un delitto per il quale sia espressamente prevista dalla legge tale possibilità (in merito si veda quanto disposto dall’art. 9 della proposta di legge);

§      l'accertamento è assolutamente indispensabile per la prova dei fatti (il fine non è diversamente perseguibile).

La disposizione descrive dunque i tipi di prelievo da effettuare ai fini della determinazione del profilo del DNA o dell’esecuzione di accertamenti medici, individuandoli nel prelievo di capelli, di peli o di mucosa del cavo orale.

In tutti questi casi, il giudice, anche d'ufficio, può disporre con ordinanza motivata l'esecuzione della perizia, anche in via coattiva (comma 1).

L’ordinanza, che deve essere notificata all’interessato, all’imputato e al suo difensore, nonché alla persona offesa, almeno 3 giorni prima rispetto a quello stabilito per la perizia (comma 3), deve indicare specificatamente, oltre al prelievo o all'accertamento da effettuare, le ragioni che lo rendono assolutamente indispensabile per la prova dei fatti. Deve anche essere indicato il luogo, il giorno e l'ora stabiliti per il compimento dell'atto e le relative modalità. L’interessato deve inoltre essere avvisato della facoltà di farsi assistere da un difensore o da persona di fiducia (comma 2): la presenza del difensore - di fiducia, o nominato d’ufficio - è infatti obbligatoria, pena la nullità della perizia (comma 7). Nell'ordinanza, tra l'altro, deve essere dato avviso che, in caso di mancata comparizione non dovuta ad un legittimo impedimento, nei confronti della persona che vi si deve sottoporre potrà essere disposto l'accompagnamento coattivo (disciplinato dal comma 6).

 

L’accompagnamento coattivo rientra tra i poteri coercitivi del giudice (art. 131 c.p.p.), il quale, nell’esercizio delle sue funzioni, può chiedere l’intervento della polizia giudiziaria e se necessario, della forza pubblica, prescrivendo tutte le istruzioni operative per il sicuro e ordinato compimento degli atti ai quali procede.

Ai sensi dell’art. 132 c.p.p., l’accompagnamento coattivo è disposto, nei soli casi previsti dalla legge, con decreto motivato con cui il giudice ordina di condurre l’imputato in sua presenza - se occorre - anche con la forza, salvo legittimo impedimento. Fermo restando il limite delle 24 ore, regola generale è che la persona sottoposta all’accompagnamento coattivo non può essere trattenuta per più del tempo necessario all’espletamento degli atti previsti e di quelli ad essi consequenziali.

Se l’art. 132 disciplina l’accompagnamento coattivo dell’imputato, il successivo art. 133 lo prevede per il testimone, il perito, il consulente tecnico, l’interprete o il custode di cose sequestrate. Dall’attuale formulazione delle disposizioni resta pertanto escluso l’indagato, ma a tale lacuna provvede l’articolo 26 della proposta di legge (v. infra).

 

La disposizione precisa che non possono in alcun caso essere disposte operazioni che contrastino con espressi divieti disposti dalla legge o che possano mettere in pericolo la vita o la salute dell’interessato, ovvero che possano provocare sofferenze di non lieve entità (comma 4). In ogni caso, a parità di risultato il giudice deve prescegliere le tecniche meno invasive e più rispettose della dignità e del decoro della persona (comma 5).

 

L'articolo 25 inserisce nel codice di rito l’articolo 359-bis, rubricato Prelievo coattivo di campioni biologici su persone viventi. Si tratta dell’ipotesi in cui il pubblico ministero, nel corso delle indagini preliminari, intende procedere a un prelievo del tipo di quelli indicati all’art. 224-bis, coattivamente, cioè senzail consenso dell’interessato.

In primo luogo, la nuova disposizione fa salvo quanto già attualmente previsto dall’art. 349, comma 2-bis, in ordine al prelievo coattivo di saliva o capelli ai soli fin4i identificativi della persona nei cui confronti le indagini sono svolte: in tal caso infatti procede la polizia giudiziaria previa autorizzazione, anche orale, del pubblico ministero.

In secondo luogo, l’art. 359-bis prevede, come regola generale, che il PM possa procedere solo previa autorizzazione del giudice per le indagini preliminari, che disporrà con ordinanza (comma 1).

In caso d’urgenza – ovvero quando vi sia fondato motivo di ritenere che dal ritardo possa derivare grave e irreparabile danno per le indagini - il PM potrà disporre l’accertamento con proprio decreto motivato (contenete tutti gli elementi che l’art. 224-bis prescrive per l’ordinanza del giudice), eventualmente disponendo anche l’accompagnamento coattivo dell’indagato; entro le 48 ore successive il PM dovrà richiedere al GIP la convalida del decreto e dell'eventuale provvedimento di accompagnamento coattivo e quest’ultimo dovrà pronunciarsi al più presto e, comunque, entro le 48 ore successive, dandone immediatamente avviso al PM e al difensore (comma 2).

In caso di mancata osservanza dei presupposti e dei tempi stabiliti dal codice di rito, tanto quanto all’accertamento (art. 224-bis, commi 2, 4 e 5), tanto quanto all’accompagnamento coattivo (art. 132, comma 2), il prelievo è inutilizzabile (comma 3) e ciò è rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento (ex art. 191, comma 2).

 

Gli articoli 26 e 27 novellano, con finalità di coordinamento, gli articoli 133 e 354 del codice di procedura penale. In particolare:

§      la novella dell’articolo 133, comma 1, è volta a inserire anche “la persona sottoposta all’esame del perito diversa dall’imputato” nell’elenco di soggetti nei confronti dei quali può essere disposto l’accompagnamento coattivo”;

§      la novella dell’art. 354 sopprime l’ultimo periodo del comma 3. Si tratta della disposizione, introdotta nel 2005[33], che consente agli agenti di polizia giudiziaria di compiere accertamenti e rilievi urgenti sulle persone nel rispetto delle modalità previste dall’art. 349, comma 2-bis. Tale disposizione viene soppressa in quanto assorbita dalla nuova disciplina di cui all’art. 359-bis c.p.p. (v. sopra, art. 25 p.d.l.).

 

L'articolo 28 modifica l'articolo 392, comma 2, del codice di rito, in tema di incidente probatorio così da consentire l’uso di tale strumento di anticipazione nella raccolta della prova anche per l'espletamento di una perizia ai sensi dell’art. 224-bis c.p.p..

 

L'articolo 29 interviene invece sulle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, introducendovi tre nuovi articoli. In particolare:

§         articolo 72-bis, Prelievo di campioni biologici e accertamenti medici su minori e su persone incapaci o interdette: è diretto ad individuare i soggetti che possono validamente esprimere il consenso ovvero negarlo, nel caso in cui la persona da sottoporre al prelievo di campioni biologici o agli accertamenti medici si trovi in stato di incapacità legale o naturale (comma 1). Qualora poi le persone indicate per esprimere il consenso o il dissenso manchino o non siano reperibili o siano in conflitto di interesse con la persona interessata, il consenso è prestato da un curatore speciale nominato dal giudice (comma 2); si applicano le disposizioni di cui agli articoli 224-bis e 359-bis del codice di procedura penale (comma 3);

§         articolo 72-ter, Redazione del verbale delle operazioni: contiene un richiamo esplicito alle modalità di documentazione degli atti previsti dal codice di procedura penale e fissa un obbligo a carico, di volta in volta, del giudice, del perito, ovvero del consulente tecnico o del pubblico ministero, di menzionare espressamente nel verbale il consenso prestato dalla persona interessata;

§         articolo 72-quater, Distruzione dei campioni biologici: disciplina la sorte dei campioni biologici prelevati, prevedendo che in caso di archiviazione del procedimento, ovvero di sentenza di assoluzione divenuta irrevocabile, gli stessi debbano essere immediatamente distrutti, a meno che il giudice non ritenga la conservazione assolutamente indispensabile. Alla distruzione dovranno provvedere il consulente o il perito che hanno proceduto alle relative analisi, che dovranno altresì redigere un verbale da allegare agli atti (comma 1). La disposizione esclude comunque la distruzione del campione biologico che sia stato prelevato nel luogo del delitto per il quale si procede (comma 2).

 


Capo V – Disposizioni finali

 

Il Capo V della proposta di legge reca disposizioni finali.

L’articolo 30 pone a carico del Ministro dell’interno un obbligo di comunicazione annuale al Parlamento. Il Ministro dovrà, in particolare, informare il cd. Comitato parlamentare Schengen (Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell’accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione[34]) sullo stato di attuazione del Trattato di Prum, con particolare riferimento agli accordi che possono essere conclusi tra le competenti autorità amministrative degli Stati ai sensi dell’art. 44 del Trattato.

 

Ai sensi dell'articolo 31, l’attuazione delle norme del provvedimento dovrà avvenire in conformità agli accordi internazionali sottoscritti e ratificati dall'Italia.

 

L’articolo 32 reca la copertura finanziaria del provvedimento per quanto riguarda soprattutto i costi connessi all’istituzione e al funzionamento della banca dati nazionale per il DNA.

 

Infine, l'articolo 33 dispone che la legge entri in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.

 

 




[1]    Il Trattato è entrato in vigore il 1° novembre 2006 tra Austria e Spagna, i primi due Stati ad avere completato le procedure per la ratifica. Le condizioni per l’entrata in vigore sono contenute nell’articolo 50 del Trattato.

[2]    L’art. 39, par. 1, 1 frase, della Convenzione di Schengen, così recita: “Le Parti contraenti si impegnano a far sì che i rispettivi servizi di polizia si assistano, nel rispetto della legislazione nazionale ed entro i limiti delle loro competenze, ai fini della prevenzione e della ricerca di fatti punibili, sempreché la legislazione nazionale non riservi la domanda alle autorità giudiziarie e la domanda o la sua esecuzione non implichi l'applicazione di misure coercitive da parte della Parte contraente richiesta”.

[3]    Si tratta della “Convenzione sulla protezione delle persone rispetto al trattamento automatizzato di dati a carattere personale” adottata in seno al Consiglio d’Europa nel 1981, ratificata dall’Italia nel 1997.

[4] GUUE L 210 del 6.8.2008

[5]  GU L 210 del 6.8.2008

[6] GU L 350 del 30.12.2008

[7]    Convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen del 14 giugno 1985 relativo all’eliminazione graduale dei controlli alle frontiere comuni, firmato il 19 giugno 1990.

[8]    Audizione del Ministro dell'interno, Giuliano Amato, innanzi al Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'accordo di Schengen del 7 marzo 2007.

[9]    Ad esempio, nella relazione sull'attività del Garante per la protezione dei dati personali relativa all'anno 2006, si menziona l'attività ispettiva compiuta dal Garante presso il RIS di Parma, che «ha fatto toccare con mano l'esistenza di banche dati di campioni e di codici genetici, conservati da strutture con compiti investigativi e di polizia giudiziaria». Il Garante per la privacy – nel corso dell’audizione innanzi al Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'accordo di Schengen del 16 maggio 2007 - ha inoltre affermato che «Nel nostro Paese, dal punto di vista formale ed ufficiale, non esiste alcuna banca dati di campioni genetici - o in senso proprio anche solo di sequenze identificative - basata su una norma legislativa. Non esiste infatti alcuna legge nel nostro Paese che preveda l'istituzione di banche dati DNA».

[10]   Si ricorda che l'ordinamento italiano attualmente già prevede casi di prelievo di materiale biologico, del quale tuttavia non è disciplinata la sorte una volta compiuto l’accertamento (si pensi, in particolare, alla comma 2-bis dell'art. 349 c.p.p., che prevede la possibilità del prelievo coattivo di campioni biologici, con finalità limitata all'identificazione di una persona altrimenti non identificabile).

[11]   Con la sola differenza - in relazione al trattamento - che l'art. 4 del Codice della privacy prevede il concetto di estrazione dei dati e non quello di tipizzazione, previsto invece dall’art. 6 in esame, in quanto associabile ai profili genetici.

[12]   Il suddetto gruppo "DNA" dell'ENFSI ha condotto lavori sull'armonizzazione dei marcatori del DNA e delle tecniche in materia di DNA, finanziati nel contesto del programma STOP dell'Unione europea, ai sensi dell'azione comune 96/700/GAI del Consiglio, del 29 novembre 1996, che stabilisce un programma di incentivazione e di scambi destinato alle persone responsabili della lotta contro la tratta degli esseri umani e lo sfruttamento sessuale dei bambini.

[13]   Si ricorda, infatti, che la discriminazione fondata sulle caratteristiche genetiche è vietata dall'art. 21 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, dall'art. 11 della Convenzione del Consiglio d'Europa sui diritti umani e sulla biomedicina firmata ad Oviedo e dall'art. 6 della Dichiarazione universale sul genoma umano e i diritti umani, adottata dalla Conferenza Generale dell’Unesco, l’11 novembre 1997.

[14]   L. 19 febbraio 1992, n. 142, Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee (legge comunitaria per il 1991); art. 40, Impiego e rilascio di organismi geneticamente modificati: criteri di delega.

[15]   D.P.R. 14 maggio 2007, n. 84, Regolamento per il riordino degli organismi operanti presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, a norma dell'articolo 29 del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla L. 4 agosto 2006, n. 248.

[16]            Da adottare ai sensi dell’art. 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400.

[17]   D.P.R. 24 giugno 1982 n. 337, Ordinamento del personale della Polizia di Stato che espleta attività tecnico-scientifica o tecnica.

[18]   D.Lgs. 5 ottobre 2000, n. 334, Riordino dei ruoli del personale direttivo e dirigente della Polizia di Stato, a norma dell'articolo 5, comma 1, della L. 31 marzo 2000, n. 78.

[19]    Testo unico della legge sugli ufficiali ed agenti di pubblica sicurezza.

[20]   Nuovo ordinamento dell’Amministrazione della pubblica sicurezza.

[21]    Attuazione dell’art. 3 della L. 6 marzo 1992, n. 216, in materia di riordino dei ruoli e modifica delle norme di reclutamento, stato ed avanzamento del personale non direttivo e non dirigente dell’Arma dei carabinieri.

[22]    Attuazione dell’art. 3 della L. 6 marzo 1992, n. 216, in materia di nuovo inquadramento del personale non direttivo e non dirigente del Corpo della Guardia di finanza.

[23]    Ordinamento del personale del Corpo di polizia penitenziaria, a norma dell'art. 14, comma 1, della L. 15 dicembre 1990, n. 395.

[24]   Legge-quadro sull’ordinamento della polizia municipale.

[25]    Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007).

[26]    Pubblicata nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee n. C 197 del 12 luglio 2000.

[27]    Protocollo recante modifica della convenzione che istituisce un Ufficio europeo di polizia (convenzione Europol) e del protocollo relativo ai privilegi e alle immunità dell'Europol, dei membri dei suoi organi, dei suoi vicedirettori e agenti.

[28]    L. 21 febbraio 1990, n. 36, Nuove norme sulla detenzione delle armi, delle munizioni, degli esplosivi e dei congegni assimilati.

[29]    Tale disposizione prevede che i danni a terzi prodotti dagli agenti di una Parte contraente operanti nel territorio di un’altra Parte contraente sono riparati dalla Parte contraente nel cui territorio sono causati i danni, che viene rimborsata integralmente dall’altra Parte contraente i cui agenti hanno causato danni a terzi nel territorio di un'altra Parte contraente. Ciò fatto salvo, ciascuna Parte contraente rinuncerà a chiedere il rimborso dell'importo dei danni da essa subiti.

[30]    L. 30 settembre 1993, n. 388, Ratifica ed esecuzione: a) del protocollo di adesione del Governo della Repubblica italiana all’accordo di Schengen del 14 giugno 1985 tra i Governi degli Stati dell’Unione economica del Benelux, della Repubblica federale di Germania e della Repubblica francese relativo all’eliminazione graduale dei controlli alle frontiere comuni, con due dichiarazioni comuni; b) dell’accordo di adesione della Repubblica italiana alla convenzione del 19 giugno 1990 di applicazione del summenzionato accordo di Schengen, con allegate due dichiarazioni unilaterali dell’Italia e della Francia, nonché la convenzione, il relativo atto finale, con annessi l’atto finale, il processo verbale e la dichiarazione comune dei Ministri e Segretari di Stato firmati in occasione della firma della citata convenzione del 1990, e la dichiarazione comune relativa agli articoli 2 e 3 dell’accordo di adesione summenzionato; c) dell’accordo tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica francese relativo agli articoli 2 e 3 dell’accordo di cui alla lettera b); tutti atti firmati a Parigi il 27 novembre 1990".

[31]   Decreto legge 27 luglio 2005, n. 144, Misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, L. 31 luglio 2005, n. 155.

[32]   Si tratta della proposta C. 782, Contento, al quale era abbinata la proposta C. 809, Ascierto, e il disegno di legge del Governo C. 1967.

[33]4           Decreto legge 27 luglio 2005, n. 144, Misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, L. 31 luglio 2005, n. 155.

[34]   Comitato previsto dall’art. 18 della legge 30 settembre 1993, n. 388 (Ratifica ed esecuzione: a) del protocollo di adesione del Governo della Repubblica italiana all'accordo di Schengen del 14 giugno 1985 tra i Governi degli Stati dell'Unione economica del Benelux, della Repubblica federale di Germania e della Repubblica francese relativo all'eliminazione graduale dei controlli alle frontiere comuni, con due dichiarazioni comuni; b) dell'accordo di adesione della Repubblica italiana alla convenzione del 19 giugno 1990 di applicazione del summenzionato accordo di Schengen, con allegate due dichiarazioni unilaterali dell'Italia e della Francia, nonché la convenzione, il relativo atto finale, con annessi l'atto finale, il processo verbale e la dichiarazione comune dei Ministri e Segretari di Stato firmati in occasione della firma della citata convenzione del 1990, e la dichiarazione comune relativa agli articoli 2 e 3 dell'accordo di adesione summenzionato; c) dell'accordo tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica francese relativo agli articoli 2 e 3 dell'accordo di cui alla lettera b); tutti atti firmati a Parigi il 27 novembre 1990).