Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento finanze
Altri Autori: Servizio Bilancio dello Stato , Servizio Commissioni
Titolo: Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione. Legge 5 maggio 2009, n. 42.
Riferimenti:
AC N. 692-A/XVI   AC N. 452-A/XVI
AC N. 748-A/XVI   AC N. 2105-A/XVI
Serie: Progetti di legge    Numero: 111    Progressivo: 2
Data: 02/03/2010
Descrittori:
FEDERALISMO   LEGGE DELEGA
ORGANIZZAZIONE FISCALE     
Organi della Camera: V-Bilancio, Tesoro e programmazione
VI-Finanze

 

 

 

 

Camera dei deputati

Senato della Repubblica

 

 

XVI LEGISLATURA

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Delega al Governo in materia di federalismo fiscale,
in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione

 

Legge 5 maggio 2009, n. 42

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Camera dei deputati
Progetti di legge n. 111/2

Senato della Repubblica
Dossier n. 126

 

 

 

 

 

2 marzo 2010


 

Senato della repubblica:

Servizio Studi

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Camera dei deputati:

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( 066760-9932 – * st_bilancio@camera.it

( 066760-3855 – * st_istituzioni@camera.it

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il presente dossier è destinato alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. Si declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.

File: FI0096e.doc


 

INDICE

Nota di sintesi

1.  I criteri generali della delega. 3

2.  Istruttoria e controllo dell’attuazione della delega: gli organi6

3.  L’autonomia finanziaria delle regioni12

4.  L’autonomia finanziaria degli enti locali16

5.  Città metropolitane e Roma capitale. 19

6.  Gli interventi speciali22

7.  Il coordinamento della finanza pubblica. 24

Schede grafiche di sintesi

Schede grafiche di sintesi: procedure e tempi di attuazione, regioni, enti locali e perequazione  27

Schede di lettura

§      Articolo 1 (Ambito di intervento)37

§      Articolo 2 (Oggetto e finalità)39

§      Articolo 3 (Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale)54

§      Articolo 4 (Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale)58

§      Articolo 5 (Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica)61

§      Articolo 6 (Compiti della Commissione parlamentare di vigilanza sull’anagrafe tributaria)64

§      Articolo 7 (Princìpi e criteri direttivi relativi ai tributi delle regioni e alle compartecipazioni al gettito dei tributi erariali)65

§      Articolo 8 (Princìpi e criteri direttivi sulle modalità di esercizio delle competenze legislative e sui mezzi di finanziamento)68

§      Articolo 9 (Princìpi e criteri direttivi in ordine alla determinazione dell’entità e del riparto del fondo perequativo a favore delle regioni)78

§      Articolo 10 (Princìpi e criteri direttivi concernenti il finanziamento delle funzioni trasferite alle regioni)85

§      Articolo 11 (Princìpi e criteri direttivi concernenti il finanziamento delle funzioni di comuni, province e città metropolitane)88

§      Articolo 12 (Princìpi e criteri direttivi concernenti il coordinamento e l’autonomia di entrata e di spesa degli enti locali)92

§      Articolo 13 (Principi e criteri direttivi concernenti l’entità e il riparto dei fondi perequativi per gli enti locali)98

§      Articolo 14 (Attuazione dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione)103

§      Articolo 15 (Finanziamento delle città metropolitane)104

§      Articolo 16 (Interventi di cui al quinto comma dell’articolo 119 della Costituzione)106

§      Articolo 17 (Coordinamento e disciplina fiscale dei diversi livelli di governo)109

§      Articolo 18 (Patto di convergenza)113

§      Articolo 19 (Patrimonio di comuni, province, Città metropolitane e Regioni)115

§      Articolo 20 (Principi e criteri direttivi concernenti norme transitorie per le Regioni)117

§      Articolo 21 (Norme transitorie per gli enti locali)121

§      Articolo 22 (Perequazione infrastrutturale)126

§      Articolo 23 (Norme transitorie per le città metropolitane)128

§      Articolo 24 (Ordinamento transitorio di Roma capitale ai sensi dell’articolo 114, terzo comma, della Costituzione)135

§      Articolo 25 (Principi e criteri direttivi relativi alla gestione dei tributi e delle compartecipazioni)141

§      Articolo 26 (Contrasto dell'evasione fiscale)142

§      Articolo 27 (Coordinamento della finanza delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome)143

§      Articolo 28 (Salvaguardia finanziaria)149

§      Articolo 29 (Abrogazioni)152

 


Nota di sintesi


Nota di sintesi

 

1.I criteri generali della delega

La legge 5 maggio 2009, n. 42 reca i principi e i criteri direttivi per l’attuazione dell'articolo 119 della Costituzione, conferendo apposita delega legislativa al Governo.

Il nuovo assetto dei rapporti economico-finanziari tra lo Stato e le autonomie territoriali è incentrato sul superamento del sistema di finanza derivata e sull’attribuzione di una maggiore autonomia di entrata e di spesa a comuni, province, città metropolitane e regioni, nel rispetto dei principi di solidarietà e di coesione sociale.

In questo quadro, uno degli obiettivi principali della legge è il passaggio dal sistema dei trasferimenti fondato sulla spesa storica a quello dell’attribuzione di risorse basate sull’individuazione dei fabbisogni standard necessari a garantire sull'intero territorio nazionale il finanziamento integrale dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali e delle funzioni fondamentali degli enti locali.

A tal fine la legge stabilisce in modo puntuale la struttura fondamentale delle entrate di Regioni ed Enti locali, definisce i principi che regoleranno l’assegnazione di risorse perequative agli enti dotati di minori capacità di autofinanziamento e delinea gli strumenti attraverso cui sarà garantito il coordinamento fra i diversi livelli di governo in materia di finanza pubblica.

Nel definire i principi fondamentali del sistema di finanziamento delle autonomie territoriali, la legge distingue tra le spese connesse alle funzioni corrispondenti ai livelli essenziali delle prestazioni, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m) della Costituzione e quelle inerenti le funzioni fondamentali degli enti locali di cui all’art. 117, secondo comma, lett. p) Cost. - per le quali si prevede l’integrale copertura del fabbisogno – e le altre funzioni, per le quali si prevede la perequazione delle capacità fiscali.

Un diverso trattamento, intermedio rispetto alle precedenti funzioni, è previsto per il trasporto pubblico locale, nonché per gli interventi speciali di cui al quinto comma dell’art. 119 della Costituzione.

Tra le funzioni riconducibili al suddetto vincolo costituzionale di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione sono comprese la sanità, l’assistenza e, per quanto riguarda l’istruzione, le spese per lo svolgimento delle funzioni di carattere amministrativo già ora attribuite alle regioni. Per tali funzioni, concernenti diritti civili e sociali, spetta allo Stato definire i livelli essenziali delle prestazioni, che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale in condizione di efficienza e di appropriatezza; ad essi sono associati i costi standard necessari alla definizione dei relativi fabbisogni.

Il modello proposto configura pertanto un doppio canale perequativo, valido per tutti i livelli di governo, in base al quale sarà garantita una perequazione integrale dei fabbisogni, valutati a costi standard, per ciò che attiene i livelli essenziali delle prestazioni inerenti i diritti civili e sociali e le funzioni fondamentali degli enti locali, mentre le altre funzioni o tipologie di spese decentrate saranno finanziate secondo un modello di perequazione che dovrebbe concretizzarsi in un tendenziale (ma non integrale) livellamento delle differenti capacità fiscali dei diversi territori, il cui ordine dovrà rimanere inalterato.

Per quanto riguarda le modalità di finanziamento delle funzioni, si afferma, quale principio generale, che il normale esercizio di esse dovrà essere finanziato dalle risorse derivanti dai tributi e dalle entrate propri di regioni ed enti locali, dalle compartecipazioni al gettito di tributi erariali e dal fondo perequativo.

Conseguentemente, è prevista l’eliminazione dal bilancio statale delle previsioni di spesa per il finanziamento delle funzioni attribuite agli enti territoriali (tranne le spese per i fondi perequativi e le risorse per gli interventi speciali).

La legge reca pertanto i criteri direttivi volti a individuare il paniere di tributi propri e compartecipazioni da assegnare ai diversi livelli di governo secondo il principio della territorialità e nel rispetto dei princıpi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza di cui all’articolo 118 della Costituzione, nonché le modalità di attribuzione agli stessi di cespiti patrimoniali, definendo un quadro diretto a consentire l’esercizio concreto dell’autonomia tributaria da parte dei governi decentrati, nonché un adeguato livello di flessibilità fiscale.

Alle regioni, con riguardo ai presupposti non assoggettati ad imposizione da parte dello Stato, viene attribuito il potere di istituire, con proprie leggi, tributi regionali; per i tributi propri derivati, istituiti e regolati da leggi statali, il cui gettito è attribuito alle regioni, queste possono, con propria legge, determinare variazioni delle aliquote e disporre esenzioni, detrazioni e deduzioni nei limiti fissati dalla legislazione statale. Si prevede che le regioni possano anche istituire, con propria legge, nuovi tributi dei comuni, delle province e delle città metropolitane nel proprio territorio.

Tra gli altri criteri direttivi di carattere generale si ricordano il principio della tendenziale correlazione tra prelievo fiscale e beneficio connesso alle funzioni esercitate sul territorio, finalizzato a favorire la corrispondenza tra responsabilità finanziaria e responsabilità amministrativa, nonché la previsione del coinvolgimento di tutti i livelli istituzionali nell'attività di contrasto all'evasione e all'elusione fiscale prevedendo meccanismi di carattere premiale.

In tale sistema di finanziamento, per ciò che concerne le entrate tributarie, è comunque esclusa ogni doppia imposizione, fatte salve le addizionali previste dalla legge statale o regionale.

Per quanto riguarda il sistema tributario complessivo dello Stato, dovrà essere salvaguardato l’obiettivo di non alterare il criterio della sua progressività, rispettando il principio della capacità contributiva ai fini del concorso alle spese pubbliche.

In linea generale, si stabilisce il principio in base al quale l’imposizione fiscale dello Stato deve essere ridotta in misura corrispondente alla più ampia autonomia di entrata di regioni ed enti locali, calcolata ad aliquota standard.

Viene inoltre prevista l’attivazione di meccanismi di premialità dei comportamenti virtuosi ed efficienti – in termini di equilibri di bilancio, qualità dei servizi, contenuto livello della pressione fiscale e incremento dell’occupazione – ovvero sanzionatori per gli enti che non rispettano gli obiettivi di finanza pubblica, che possono giungere sino all’individuazione dei casi di ineleggibilità nei confronti degli amministratori responsabili di stati di dissesto finanziario.

Per gli enti che non assicurano i livelli essenziali delle prestazioni ovvero l’esercizio delle funzioni fondamentali degli enti locali, le misure sanzionatorie possono determinare anche l’esercizio del potere sostitutivo di cui all’articolo 120, secondo comma, della Costituzione.

In linea generale, l'attuazione della delega dovrà risultare compatibile con gli impegni finanziari assunti con il patto di stabilità e crescita europeo; dovrà inoltre essere garantita la simmetria tra il riordino e la riallocazione delle funzioni e la dotazione delle risorse umane e finanziarie – onde evitare ogni duplicazione di funzioni e dunque di costi – nonché salvaguardato l'obiettivo di non produrre aumenti della pressione fiscale complessiva, anche nel corso della fase transitoria.

La legge delinea, infine, la procedura di adozione ed esame parlamentare dei decreti legislativi attuativi, fissando il termine per l’adozione di almeno uno di essi entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge in esame e in ventiquattro mesi dall’entrata in vigore della legge il termine per l’adozione degli altri. Entro il 30 giugno 2010, il Governo è chiamato a trasmettere alle Camere una relazione contenente dati sulle implicazioni e le ricadute di carattere finanziario conseguenti all’attuazione della delega, nel quale fornire un quadro generale di finanziamento degli enti territoriali e ipotesi di definizione su base quantitativa della struttura dei rapporti finanziari tra i diversi livelli di governo. Tale relazione è comunque trasmessa alle Camere prima degli schemi di decreto legislativo concernenti i tributi, le compartecipazioni e la perequazione degli enti territoriali.

Gli schemi dei decreti sono adottati previa intesa – non vincolante – raggiunta in sede di Conferenza unificata, e successivamente trasmessi alle Camere, corredati di relazione tecnica sugli effetti finanziari, ai fini del parere da parte della istituenda Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale e delle Commissioni parlamentari competenti per le conseguenze di carattere finanziario.

2.Istruttoria e controllo dell’attuazione della delega: gli organi

Gli articoli da 3 a 5 istituiscono un sistema di nuovi organi ai quali viene attribuito il compito di presiedere, sia a livello tecnico-operativo che consultivo-politico, al processo di attuazione della delega sul federalismo fiscale.

Gli organi, collocati in una posizione intermedia tra le istituzioni coinvolte in tale processo (Parlamento, Governo e livelli di governo territoriali), sono i seguenti:

§      Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale (art. 3);

§      Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale (art. 4);

§      Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica (art. 5).

 

La Commissione per l’attuazione del federalismo fiscale, prevista dall'articolo 3, è una commissione parlamentare bicamerale, composta da quindici deputati e quindici senatori, con il compito di verificare l'attuazione del federalismo fiscale, riferendo, ogni 6 mesi, alle Camere. La Commissione formula osservazioni e fornisce elementi di valutazione utili al Governo per la predisposizione dei decreti legislativi attuativi della riforma, sugli schemi dei quali è chiamata ad esprimere il proprio parere.

La Commissione assicura il raccordo con le Regioni e gli enti locali grazie ad un Comitato esterno di rappresentanti delle autonomie territoriali: un organismo tecnico non parlamentare istituito ad hoc, al quale partecipano rappresentanti delle autonomie territoriali.

La Commissione è destinata a sciogliersi ex lege al compimento della fase transitoria della riforma.

 

La Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale, istituita dall’articolo 4, ha il principale compito di acquisire ed elaborare elementi conoscitivi per la predisposizione, da parte del Governo, degli schemi dei decreti legislativi di attuazione della delega in materia di federalismo fiscale.

La Commissione si presenta quale organo tecnico consultivo del Governo, ma anche del Parlamento e di tutti gli enti territoriali coinvolti nel processo di attuazione del federalismo fiscale. È chiamata a operare quale sede di condivisione delle basi informative finanziarie e tributarie, formate avvalendosi degli elementi informativi forniti dalle amministrazioni statali, regionali e locali, a promuovere la realizzazione delle rilevazioni e delle attività necessarie per soddisfare gli eventuali ulteriori fabbisogni informativi; a svolgere attività consultiva per il riordino dell’ordinamento finanziario di Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni e delle relazioni finanziarie intergovernative.

La Commissione è istituita presso il Ministero dell’economia e delle finanze, ma opera nell’ambito della Conferenza unificata, le sono attribuite altresì le funzioni di segreteria tecnica della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, prevista dal successivo articolo 5. La Commissione è costituita da rappresentanti tecnici dello Stato e delle Regioni.

 

La Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, incardinata nell’ambito della Conferenza unificata Stato-regioni-città e autonomie locali, è composta dai rappresentanti dei diversi livelli istituzionali di governo.

La Conferenza concorre alla definizione degli obiettivi di finanza pubblica esercitando compiti di proposta e di monitoraggio e verificando periodicamente il funzionamento del nuovo ordinamento finanziario degli enti territoriali, anche con riguardo all’adeguatezza delle risorse assicurate a ciascun livello di governo rispetto alle funzioni svolte. In particolare, la Conferenza si pone quale organo di supporto alla Conferenza unificata e allo stesso Governo, nella verifica periodica della realizzazione del percorso di convergenza dei costi, dei fabbisogni standard dei vari livelli istituzionali e degli obiettivi di servizio. La Conferenza propone inoltre criteri per il corretto utilizzo dei fondi perequativi – sia del fondo perequativo a favore delle regioni (art. 9) sia dei fondi perequativi a favore degli enti locali (art. 13) – e ne verifica l’applicazione.

 

Gli articoli sopra citati prefigurano una complessa rete di interrelazioni tra i menzionati organi; in particolare:

§      la Commissione parlamentare può avvalersi (oltre che del Comitato esterno di rappresentanti delle autonomie territoriali), della Commissione tecnica paritetica e della Conferenza permanente ai fini della verifica dello stato di attuazione della riforma;

§      la Commissione tecnica paritetica è a sua volta chiamata a svolgere le funzioni di segreteria tecnica della Conferenza permanente, per lo svolgimento delle attività istruttorie e di supporto. Le Camere possono inoltre richiederle informazioni e dati di carattere finanziario e tributario;

§      la Conferenza permanente, oltre a quanto detto in ordine ai suoi rapporti diretti con le Camere, costituisce la sede di raccordo tra Stato ed enti territoriali in seno alla Conferenza unificata.

 

Va infine ricordato il contenuto dell’articolo 6, che aggiunge alle competenze della Commissione parlamentare di vigilanza sull’anagrafe tributaria quella di effettuare indagini conoscitive e ricerche sulla gestione dei servizi di accertamento e riscossione dei tributi locali e sui sistemi informativi riferibili a tali servizi.

 

 


GLI ORGANI

Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale (art. 3)

Composizione

Funzioni

Raccordo con altri organi

15 senatori e 15 deputati, nominati rispettivamente dal Presidente del Senato e dal Presidente della Camera in modo da rispecchiare la proporzione dei gruppi parlamentari. Il presidente viene nominato dai presidenti di Camera e Senato.

 

La Commissione è sciolta in coincidenza con la conclusione della fase transitoria.

§       verifica l'attuazione del federalismo fiscale fino alla conclusione della fase transitoria, riferendo, ogni sei mesi, alle Camere;

§       formula osservazioni e fornisce al Governo elementi di valutazione utili alla predisposizione dei decreti legislativi attuativi della riforma;

§       esprime pareri sugli schemi dei decreti legislativi attuativi della riforma.

La Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale si raccorda con:

§       le Regioni, le Città metropolitane, le Province e i Comuni attraverso la consultazione di un organismo tecnico esterno, il Comitato di rappresentanti delle autonomie territoriali, procedendo, ogniqualvolta lo ritenga necessario, allo svolgimento di audizioni del Comitato e acquisendone il parere;

§       la Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale, a cui la Commissione parlamentare può rivolgersi per ottenere tutte le informazioni necessarie per verificare lo stato di attuazione della riforma;

§       la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, a cui la Commissione parlamentare può rivolgersi per ottenere tutte le informazioni necessarie per verificare lo stato di attuazione della riforma.

Comitato di rappresentanti delle autonomie territoriali (art. 3, co. 4)

Composizione

Funzioni

Raccordo con altri organi

Dodici componenti: sei in rappresentanza delle Regioni, due delle Province, quattro dei Comuni, nominati dalla “componente rappresentativa delle Regioni e degli enti locali” nell’ ambito. della Conferenza unificata.

Svolge funzioni di raccordo con gli enti territoriali.

Il Comitato di rappresentanti delle autonomie territoriali si raccorda con la Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale.

 

Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale (art. 4)

Composizione

Funzioni

Raccordo con altri organi

32 componenti:

§       15 rappresentanti tecnici dello Stato;

§       15 rappresentanti tecnici degli enti territoriali (Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni);

§       2 rappresentanti dell’ISTAT.

Partecipano alle riunioni un rappresentante tecnico della Camera dei deputati e uno del Senato, nominati dai rispettivi Presidenti, e un rappresentante tecnico delle Assemblee legislative regionali e delle Province autonome.

È istituita con D.P.C.M. entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore della legge (entro il 19 giugno 2009), presso il Ministero dell’economia e delle finanze, pur operando nell’ambito della Conferenza unificata.

Nello svolgimento dell’attività ricognitiva relativa alle regioni a statuto speciale e alle province autonome, è integrata da un rappresentante tecnico della singola regione o provincia interessata.

§       acquisisce ed elabora elementi conoscitivi per la predisposizione, da parte del Governo, degli schemi dei decreti legislativi di attuazione;

§       opera quale sede di condivisione delle basi informative finanziarie, economiche e tributarie, formate avvalendosi degli elementi informativi forniti dalle amministrazioni statali, regionali e locali;

§       promuove la realizzazione delle rilevazioni e delle attività necessarie per soddisfare gli eventuali ulteriori fabbisogni informativi;

§       svolge attività consultiva per il riordino dell’ordinamento finanziario di Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni e delle relazioni finanziarie intergovernative.

§       svolge attività meramente ricognitiva delle disposizioni vigenti concernenti l’ordinamento finanziario delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano e della relativa applicazione

La Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale si raccorda con:

§       la Conferenza unificata, nel cui ambito opera;

§       la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, di cui costituisce la segreteria tecnica;

§       le Camere, i Consigli regionali e le Province autonome, a cui, su richiesta, trasmette dati ed informazioni.

 

Commissione parlamentare di vigilanza sull’anagrafe tributaria (art. 6)

Composizione

Funzioni

Raccordo con altri organi

11 componenti designati dai Presidenti delle due Camere.

È chiamata ad effettuare indagini conoscitive e ricerche sulla gestione dei servizi di accertamento e riscossione dei tributi locali e sui sistemi informativi riferibili a tali servizi.

 

Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica (art. 5)

Composizione

Funzioni

Raccordo con altri organi

La Conferenza permanente, istituita nell’ambito della Conferenza unificata Stato-regioni-città e autonomie locali, è composta dai rappresentanti dei diversi livelli istituzionali di governo.

 

L’istituzione: è demandata ai decreti legislativi di cui all’art. 2 della legge.

§       concorso alla definizione degli obiettivi di finanza pubblica per comparto, con compiti di proposta, di monitoraggio e di verifica;

§       verifica periodica del funzionamento del nuovo ordinamento finanziario degli enti territoriali, compresa la verifica sulla congruità dei tributi di riferimento per la copertura del fabbisogno standard relativo alle “spese essenziali” delle Regioni;

§       proposta dei criteri per il corretto utilizzo dei fondi perequativi – secondo princìpi di efficienza, efficacia e trasparenza – e verifica della loro applicazione;

§       verifica del corretto utilizzo dei fondi per gli interventi speciali di cui all’art. 117, quinto comma, Cost.;

§       verifica delle relazioni finanziarie tra i diversi livelli di governo e dell'adeguatezza delle risorse di ciascun livello rispetto alle funzioni svolte, proponendo eventuali modifiche;

§       verifica della congruità dei dati e delle basi informative finanziarie e tributarie, fornite dalle amministrazioni territoriali;

§       raccolta di tutti gli elementi informativi, che sono messi a disposizione delle Camere, e dei Consigli regionali;

§       quantificazione degli interventi statali sulle basi imponibili e sulle aliquote riguardanti i tributi degli enti locali, degli interventi riguardanti i tributi propri derivati delle regioni e delle aliquote riservate alle regioni a valere sulle basi imponibili dei tributi erariali.

La Conferenza si pone quale organo di supporto alla Conferenza unificata e allo stesso Governo nell’esercizio delle funzioni indicate dall’art. 18 della legge, essendole specificamente attribuita la competenza alla verifica periodica della realizzazione del percorso di convergenza dei costi, dei fabbisogni standard dei vari livelli istituzionali e degli obiettivi di servizio.

La Conferenza permanente si avvale come segreteria tecnica della Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale ai fini dello svolgimento delle operazioni istruttorie e di supporto necessarie alla sua attività.

 

 


3.L’autonomia finanziaria delle regioni

Le caratteristiche federali del nuovo sistema di finanza regionale sono prefigurate e disciplinate – con principi e criteri specifici – dal Capo II della legge, che ha riguardo particolare alla finanza delle regioni a statuto ordinario, dal comma 2 dell’articolo 1 e dall’articolo 27, che hanno riguardo all’assetto della finanza delle regioni a statuto speciale e delle province autonome, e dall’articolo 19 che disciplina il passaggio dal vecchio al nuovo sistema con principi posti per il complesso delle regioni e criteri direttivi formulati per l’attuale sistema di finanza delle regioni a statuto ordinario. Non sono diretti esclusivamente alle regioni, ma rilevano particolarmente per esse gli articoli 16 e 22 che delineano il quadro della futura azione dello Stato per l’assegnazione di risorse aggiuntive da destinare agli interventi straordinari di cui al quinto comma dell’articolo 119, Cost. e l’articolo 18, che prefigura oggetto e procedura del "patto di convergenza" quale strumento per definire e governare il coordinamento della finanza pubblica.

Gli articoli 7, 8, 9 e 10 costituiscono il complesso unitario dei criteri in base ai quali il legislatore delegato è chiamato a disciplinare il futuro assetto della finanza delle regioni a statuto ordinario: l’articolo 7 le entrate, quale sia cioè la natura e la misura delle risorse da attribuire; l’articolo 8 le spese, e per queste il rapporto che intercorre fra il finanziamento delle funzioni esercitate e il livello delle spese che esse determinano; l’articolo 9 la perequazione, intendendo in questa il finanziamento delle funzioni con trasferimenti aggiuntivi in favore delle regioni che dispongono di minori capacità fiscale per abitante; l’articolo 10 la conversione degli attuali tributi e compartecipazioni delle regioni ordinarie alla disciplina che sarà dettata dai futuri decreti delegati.

 

Il nucleo di questa disciplina è nella ripartizione che l’articolo 8 fa delle funzioni e delle spese che queste determinano. Secondo il profilo delle funzioni le spese, che attengono sia alle materie di competenza legislativa regionale che a quelle di competenza esclusiva statale affidate alle competenze amministrative regionali sono ripartite in due categorie principali, cui si aggiunge una terza che partecipa di entrambe:

a.      spese determinate dall’esercizio di funzioni connesse alle «prestazioni concernenti i diritti civili e sociali» di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera m) della Costituzione, quelle cioè i cui «livelli essenziali» devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (c.d. spese LEP, livelli essenziali delle prestazioni);

b.      le altre spese, non riconducibili a quelle considerate alla lettera a), vale a dire le spese non LEP;

c.      le spese per il trasporto pubblico locale che – per il livello delle prestazioni ed il livello del finanziamento che è loro assicurato – sono considerate per parte in entrambe le categorie.

Vi è anche una quarta categoria di spese – quelle straordinarie o speciali e perciò ‘eventuali’ – che possono riguardare tutte le funzioni ma che sono finanziate da contributi speciali dello Stato e dell’Unione europea e non danno luogo alla assegnazione di tributi, compartecipazioni o altra risorsa di carattere permanente.

 

Il livello delle entrate da assegnare alle regioni è determinato dal fabbisogno necessario a coprire ‘integralmente’ l’esercizio ordinario delle funzioni secondo due parametri corrispondenti alla duplice classificazione delle spese:

a.      quello necessario a finanziare le spese connesse alle «prestazioni concernenti i diritti civili e sociali» è predeterminato sulla base di "costi standard" fissati dalla legge dello Stato;

b.      le altre funzioni sono finanziate in ciascuna regione dal gettito dell’aliquota media di equilibrio dell’addizionale regionale IRPEF, fissata ad un valore sufficiente a pareggiare l’importo dei trasferimenti soppressi

 

Per ciascun gruppo di funzioni e di spese l’articolo 7 indica i tributi che le finanziano e la misura delle entrate che ne devono derivare. Lo schema si ripete:

a.      le entrate destinate al finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni sono costituite dal gettito,ad aliquota ed a base imponibile uniformi, derivante dai tributi propri derivati delle regioni (vale a dire i tributi istituiti da legge statale il cui gettito è attribuito alle regioni), cui si aggiungono l’addizionale regionale all’IRPEF e la compartecipazione all’IVA. Le aliquote sono fissate al livello minimo necessario per finanziare il fabbisogno occorrente per la prestazione dei servizi essenziali in almeno una regione. Nelle altre regioni ove il gettito è insufficiente alla copertura integrale del fabbisogno concorre la quota del Fondo perequativo;

b.      le entrate destinate al finanziamento delle altre funzioni sono finanziate tramite l’attribuzione della Addizionale regionale all’IRPEF, con aliquota uguale per tutte, stabilita con riferimento al totale della spesa per il complesso delle regioni, per modo che questo sia ‘coperto’ dal totale dei gettiti, anch’essi complessivamente considerati; nessuna perequazione è data per le regioni in cui il gettito pro-capite dell’addizionale è superiore o uguale a quello medio nazionale; per le altre regioni la perequazione è data sul parametro della capacità fiscale (gettito pro-capite) e non su quello della spesa.

 

Criteri e misura della perequazione sono disciplinati dall’articolo 9. Anche per questa si ripete lo schema delle spese:

a.      per la parte destinata alla perequazione delle entrate che finanziano i livelli essenziali delle prestazioni il fondo è costituito da una quota dell’IVA, considerata indistintamente per tutte le regioni e sufficiente ad integrare il fabbisogno di spesa delle regioni (tutte le altre) che seguono nella scala decrescente quella con la maggiore capacità fiscale; il concorso della quota perequativa consente di finanziare integralmente in ciascuna regione il fabbisogno determinato secondo i costi standard;

b.      per la parte destinata al finanziamento delle altre funzioni il fondo è costituito da una quota del gettito dell’addizionale regionale all’IRPEF; come detto, la perequazione non assume come parametro la spesa ma la capacità fiscale pro-capite determinata in base al gettito del tributo in ciascuna regione; nessuna perequazione è data alle regioni in cui il gettito pro-capite supera quello medio del complesso delle regioni ordinarie; per le altre regioni il gettito pro-capite è integrato da una quota del fondo perequativo determinata in modo da «ridurre, ma non annullare» le differenze di capacità fiscale esistenti tra le regioni.

 

Stabilito secondo questi principi l’assetto definitivo della finanza regionale, gli articoli 10 e 20 ne disciplinano il passaggio da quello attuale a quello futuro: l’uno per la trasformazione delle norme che regolano attualmente la finanza delle regioni a statuto ordinario, l’altro per far si che il passaggio dal finanziamento della spesa storica al finanziamento dei fabbisogni avvenga gradualmente e progressivamente.

 

I tributi regionali propri e derivati, le compartecipazioni ai tributi erariali, le quote perequative e i trasferimenti che finanziano attualmente le funzioni già esercitate dalle regioni saranno sostituiti da entrate stabilite secondo i nuovi principi verificando, periodicamente, la congruità delle nuove fonti di entrata. Corrispettivamente, saranno soppressi nel bilancio dello Stato i capitoli che finanziano quelle spese. Il ‘passaggio’ avverrà nell’arco di cinque anni durante i quali dal valore dei trasferimenti perequativi e del complesso delle spese rilevati in ciascuna regione nel triennio 2006-2008 si passerà gradualmente ai valori perequativi determinati secondo i principi dell’articolo 9. Lo stesso periodo transitorio inizierà a decorrere soltanto dopo che sarà stato determinato il contenuto finanziario dei livelli essenziali delle prestazioni. Il processo di convergenza dalla spesa storica al fabbisogno standard è assistito dalla garanzia che le nuove entrate, al livello di partenza, non siano inferiori a quelle soppresse o sostituite. In ogni caso è previsto che, per le funzioni non LEP, qualora «emergano situazioni oggettive di significativa e giustificata insostenibilità per alcune regioni», di questa possa farsene carico lo Stato, a proprio carico, per un ulteriore periodo di cinque anni.

 

Per le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e Bolzano il comma 2 dell’articolo 1 introduce un principio di esclusività, o di riserva di disciplina, inteso a delimitare l’efficacia delle disposizioni del testo e ad integrarne i principi, così da rendere la disciplina del federalismo fiscale compatibile e coerente con le prerogative dell’autonomia speciale. Il comma in parola elenca nominativamente gli articoli cui deve rifarsi il legislatore delegato: l’articolo 27, che disciplina l’introduzione della riforma tramite norme di attuazione degli statuti speciali, l’articolo 15, recante i principi che informano l’istituzione delle città metropolitane e l’articolo 22, che estende alle autonomie speciali la particolare procedura rivolta alla «perequazione infrastrutturale».

 

La disciplina speciale dettata dall’articolo 27 adatta, (anche avvalendosi di specifici “tavoli di confronto” tra Governo e ciascuna autonomia speciale) alle specialità il procedimento di attuazione del federalismo fiscale in quegli ordinamenti ed elenca – con esclusione degli altri – i principi ed i criteri direttivi che potranno applicarsi. In particolare:

1.      le modifiche all’ordinamento finanziario delle regioni a statuto speciale e delle province autonome saranno introdotte con la procedura delle norme di attuazione degli statuti speciali, negli stessi termini temporali previsti dalla delega conferita per l’emanazione dei decreti delegati relativi alle regioni a statuto ordinario e agli enti locali;

2.      ferme le prerogative statutarie previste per ciascuna regione e provincia autonoma, la nuova disciplina sarà comunque informata ai principi del federalismo fiscale posti come attuazione dell’articolo 119 della Costituzione.

 

Come già detto, il richiamo all’articolo 15 estende all’ordinamento delle regioni a statuto speciale i principi che lì sono introdotti sull’assetto finanziario delle città metropolitane, mentre quello fatto all’articolo 22 fa sì che, coerentemente con quanto stabilito per la perequazione finanziaria ordinaria, anche le opere che possono realizzarsi nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome ai sensi dell’articolo 119, quinto comma della Costituzione, concorrano alla valutazione degli interventi infrastrutturali da effettuare secondo i principi perequativi.


4.L’autonomia finanziaria degli enti locali

Il nuovo assetto finanziario relativo agli enti locali è definito dagli articoli 11, 12 e 13 nonché dall’articolo 15 per quel che concerne il finanziamento delle città metropolitane. L’articolo 21 reca le disposizioni transitorie per il comparto dei comuni e delle province, e l’articolo 23 l’assetto transitorio delle città metropolitane, per le quali si rinvia al successivo paragrafo 5.

Per quanto concerne l’autonomia di entrata, il provvedimento demanda alla legge statale l’individuazione dei tributi propri dei comuni, delle province e delle città metropolitane. Anche la regione, nell’ambito dei propri poteri legislativi in materia tributaria, può istituire nuovi tributi comunali, provinciali e delle città metropolitane, specificando gli ambiti di autonomia riconosciuti agli enti locali.

Nell'attuazione della delega, la legge statale può inoltre sostituire o trasformare tributi già esistenti, ovvero attribuire a comuni e province tributi o parti di tributi già erariali. E’ prevista peraltro la possibilità, per gli enti locali, di modificare le aliquote dei tributi loro attribuiti dalle leggi, entro i limiti da queste fissati e di introdurre agevolazioni, coerentemente a quanto previsto in materia di “flessibilità fiscale”.

Infine, per i comuni e le province sono previsti “tributi di scopo”, che l’ente può applicare in riferimento a particolari finalità.

Il livello delle entrate da assegnate agli enti locali dipende dall’entità e dalla tipologia di spesa che esse sono destinate a finanziare.

Il finanziamento degli enti locali è infatti basato su una classificazione delle spese in tre tipologie, a seconda del tipo di funzione ad esse sottesa:

a)      spese riconducibili all’esercizio delle funzioni "fondamentali", previste dall’art. 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, la cui individuazione è rimessa alla legislazione statale;

b)      spese riconducibili alle “altre funzioni”, diverse da quelle fondamentali;

c)      spese che, prescindendo dal tipo di funzione, risultano finanziate con contributi nazionali speciali, finanziamenti dall'Unione europea e cofinanziamenti nazionali.

 

Per le spese connesse alle funzioni fondamentali è prevista la garanzia del finanziamento integrale, con riferimento al fabbisogno standard.

Va infatti ricordato che i criteri generali di delega prevedono il graduale superamento del criterio della spesa storica in favore di nuovi criteri ai quali ancorare il finanziamento delle spese degli enti territoriali, che sono il “fabbisogno standard”, per il finanziamento delle funzioni fondamentali, e la “perequazione della capacità fiscale”, per il finanziamento delle altre funzioni.

Il finanziamento integrale delle funzioni fondamentali è assicurato, in via prioritaria, dai tributi propri, dalle compartecipazioni al gettito di tributi erariali e regionali e dalle addizionali a tributi erariali e regionali. L’articolo 12 individua specificamente quali entrate dei comuni e delle province devono essere destinate, in via prioritaria, al finanziamento delle funzioni fondamentali: per icomuni è fatto riferimento al gettito della compartecipazione all’IVA, alla compartecipazione all’IRPEF e alla imposizione immobiliare, con esclusione dell'abitazione principale; per le province, al gettito di tributi relativi al trasporto su gomma e alla compartecipazione a un solo tributo erariale. E’ rimessa, invece, alla facoltà delle città metropolitane la scelta circa l’applicazione dei tributi in relazione al finanziamento delle spese fondamentali.

Il finanziamento integrale è assicurato inoltre dall’intervento del fondo perequativo. L’articolo 13 prevede l’istituzione di due fondi perequativi, uno a favore dei comuni, l’altro a favore delle province e delle città metropolitane, iscritti nel bilancio delle singole regioni ed alimentati attraverso un apposito fondo perequativo dello Stato. La dimensione del fondo perequativo è determinata, per ciascuna tipologia di ente, in misura pari alla differenza tra il totale dei fabbisogni standard per le funzioni fondamentali e il totale delle entrate standardizzate spettanti ai comuni e alle province, intendendosi come tali le entrate derivanti dai tributi propri valutati ad aliquota standard.

Il riparto tra gli enti delle risorse perequative destinate al finanziamento delle funzioni fondamentali è effettuato in base a due indicatori: un indicatore di fabbisogno finanziario per il finanziamento della spesa corrente - calcolato come differenza tra il valore standardizzato della spesa corrente (esclusa la spesa per interessi) ed il valore standardizzato dei tributi e delle entrate proprie di applicazione generale - e un indicatore di fabbisogno di infrastrutture, per il finanziamento della spesa in conto capitale.

Il provvedimento prevede la possibilità per le regioni di intervenire in sede di riparto delle risorse perequative tra gli enti locali del proprio territorio, attribuendo ad esse la facoltà di procedere ad una diversa valutazione dei parametri di fabbisogno (finanziario e di infrastrutture), in base ai quali è effettuata la ripartizione dei fondi perequativi per il finanziamento delle funzioni fondamentali, qualora vi sia intesa al riguardo con gli enti locali medesimi.

La eventuale ridefinizione, da parte delle regioni, dei parametri di assegnazione dei fondi perequativi non può in ogni caso comportare ritardi nell’assegnazione delle risorse. Pertanto, nel caso in cui la regione non provveda nei termini stabiliti è previsto l’esercizio del potere sostitutivo da parte dello Stato, ai sensi dell’articolo 120, comma secondo, della Costituzione.

 

Per il finanziamento delle spese relative alle funzioni "non fondamentali", per le qualinon è stabilito il finanziamento integrale, il provvedimento ne prevede il finanziamento con i tributi propri, con le compartecipazioni al gettito di tributi e con le risorse provenienti dal fondo perequativo.

A differenza di quanto previsto per il finanziamento delle spese fondamentali, l’intervento del fondo perequativo, in tale ambito, è basato soltanto sulla capacità fiscale per abitante ed è espressamente diretto a ridurre le differenze tra le capacità fiscali dei singoli enti. Per gli enti locali con minor popolazione, ai fini della perequazione va tenuto conto inoltre di alcune specificità, quali il fattore della dimensione demografica, in relazione inversa alla dimensione demografica stessa, e la loro eventuale partecipazione a forme associative.

In relazione al finanziamento del livello di spesa relativo alle funzioni non fondamentali, i criteri generali di delega riconoscono agli enti territoriali la necessità di una adeguata flessibilità fiscale, articolata su più tributi, in modo tale da consentire di finanziare il livello di spesa per funzioni non fondamentali attivando “le proprie potenzialità”.

 

L’attuazione del nuovo sistema di finanziamento delle spese degli enti locali determinerà la soppressione dei trasferimenti statali e regionali attualmente diretti al finanziamento degli enti locali. Dalla soppressione sono esclusi soltanto gli stanziamenti destinati alla costituzione dei fondi perequativi e quelli ancora in essere sulle rate di ammortamento dei mutui contratti dagli enti locali.

 

Nella fase transitoria, i decreti legislativi attuativi della delega dovranno fornire adeguata garanzia che la somma del gettito delle nuove entrate, derivanti dall’autonomia finanziaria e dai trasferimenti perequativi, sia, per il complesso dei comuni e delle province, corrispondente al valore dei trasferimenti che vengono soppressi, in maniera tale da garantire che nella fase di passaggio dal vecchio al nuovo sistema il comparto riceva, nel complesso, lo stesso ammontare di risorse di cui dispone nella situazione attuale. A parità di trasferimenti soppressi, l’entità del fondo perequativo dipende pertanto dalla quota di risorse proprie assegnate a ciascun comparto.

Nel processo di determinazione del fabbisogno standard, cui sarà ancorato nel nuovo sistema il finanziamento delle funzioni, la norma transitoria sottolinea l’esigenza di un riequilibrio delle risorse tra gli enti che in base alla normativa vigente risultano sottodotati, in termini di trasferimenti erariali, ovvero sovradotati.

Secondo le norme transitorie, il superamento del criterio della spesa storica in favore del finanziamento dei fabbisogni standard dovrà realizzarsi in un periodo di cinque anni, a partire dal termine che verrà fissato dai decreti legislativi delegati.

Nel frattempo, e fino all’entrata in vigore delle norme di legge che provvederanno alla individuazione delle funzioni fondamentali, il finanziamento del fabbisogno degli enti locali verrà effettuato considerando l’80% delle spese come fondamentali e il restante 20% di esse come non fondamentali.

Le norme recano un elenco provvisorio, per i comuni e le province, delle funzioni da considerarsi, nella fase transitoria, come fondamentali.


5.Città metropolitane e Roma capitale

La legge delega prevede specifiche norme relative alle città metropolitane le cui disposizioni istitutive, contenute nella legge sull’ordinamento delle autonomie locali del 1990, sono successivamente confluite nel vigente Testo Unico delle leggi sugli enti locali.

Le città metropolitane sono enti locali già disciplinati dalla normativa vigente, ma che tuttavia non hanno ancora trovato attuazione. Le norme contenute dalla legge delega, pertanto, si aggiungono alle previsioni normative attualmente in vigore.

L’articolo 23 della legge delega richiama nove aree metropolitane (Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria) per le quali si applica una disciplina transitoria per la costituzione di città metropolitane al loro interno. Il regime transitorio, che avrà effetti fino alla data a partire dalla quale entrerà in vigore la disciplina ordinaria relativa alle funzioni fondamentali, agli organi ed al sistema elettorale, prevede in particolare:

-        la definizione dei contenuti e dei soggetti cui spetta la proposta di istituzione della città metropolitana;

-        le modalità di indizione di un referendum tra tutti i cittadini della provincia sulla proposta di istituzione. Per il referendum è previsto un quorum del 30 per cento degli aventi diritto nel solo caso la regione esprima un parere negativo sull’istituzione della città metropolitana;

-        i principi e criteri direttivi contenuti in uno o più decreti legislativi che, nell’arco di tre anni, il Governo è delegato ad adottare ai fini dell’istituzione di ciascuna città metropolitana. I decreti legislativi sono trasmessi al Consiglio di Stato, alla Conferenza unificata e alle Commissioni parlamentari per il parere.

Le città metropolitane che vengono istituite assumono le funzioni delle province le quali vengono successivamente soppresse. A tali funzioni si aggiungono la pianificazione territoriale e delle reti infrastrutturali, la strutturazione dei sistemi coordinati di gestione dei servizi pubblici e la promozione ed il coordinamento dello sviluppo economico e sociale.

Alle città metropolitane si applicano inoltre gli stessi principi e i criteri direttivi che riguardano il finanziamento delle funzioni di comuni e province di cui all’articolo 11. A tale riguardo, l’articolo 15 prevede che uno specifico decreto legislativo, adottato coerentemente con i principi e i criteri direttivi riguardanti gli enti locali preveda l’attribuzione di una specifica autonomia impositiva in capo alle città metropolitane, volta a finanziare le funzioni che derivano da altri enti territoriali e per le quali contestualmente si attua un definanziamento.

Tale autonomia impositiva si configura più ampia di quella degli altri enti locali, anche attraverso la previsione di specifici tributi, in modo da garantire una corrispondente autonomia di spesa in ragione della complessità delle funzioni assunte dalle città metropolitane.

Alle aree metropolitane richiamate dall’articolo 23 devono aggiungersi, oltre Roma (per la quale, come già accennato, la legge delega prevede un regime transitorio speciale), altre aree già individuate dalla normativa vigente ma alle quali non si applica la disciplina transitoria prevista dalla delega, considerato che il loro territorio ricade all’interno di regioni a statuto speciale: Trieste, Cagliari, Catania, Messina, Palermo.

Tra i principi e i criteri direttivi stabiliti dai decreti legislativi che il governo è delegato ad adottare anche con riferimento alle città metropolitane, vi sono inoltre quelli riguardanti specificamente il patrimonio degli enti territoriali di cui all’articolo 19: anche alle città metropolitane in questione, pertanto, andranno attribuite quote di patrimonio pubblico, secondo i criteri previsti dal predetto articolo.

La legge delega dispone inoltre un ordinamento transitorio per Roma, che rimarrà in vigore fino all’attuazione della disciplina delle città metropolitane, in attesa dell’istituzione della città metropolitana di Roma capitale. Tale disciplina, pur definita transitoria, è destinata a trovare applicazione anche “a regime”, considerato che è riferita alla città metropolitana a decorrere dalla sua istituzione.

L’articolo 24 allo scopo configura, in luogo del comune di Roma, un nuovo ente dotato di una speciale autonomia statutaria, amministrativa e finanziaria ad esso attribuita in ragione delle peculiari funzioni della capitale dello Stato, sede degli organi costituzionali e delle rappresentanze diplomatiche di Stati esteri. Il riconoscimento della specificità di questo nuovo ente locale deriva dall’attuazione dell’articolo 114, terzo comma, della Costituzione, come modificato dalla legge costituzionale delle 2001 di riforma del Titolo V, ove si dispone che una legge dello Stato disciplini l’ordinamento di Roma, capitale della Repubblica.

A Roma capitale sono attribuite ulteriori funzioni amministrative, in aggiunta a quelle già spettanti al comune di Roma, da esercitare mediante regolamenti adottati dal consiglio comunale, ridenominato Assemblea capitolina”, la quale è chiamata altresì ad approvarne il nuovo statuto.

Si tratta in particolare delle seguenti funzioni:

§      valorizzazione dei beni storici, artistici, ambientali e fluviali (previo accordo con il Ministero competente);

§      sviluppo economico e sociale;

§      sviluppo urbano e pianificazione territoriale;

§      edilizia pubblica e privata;

§      servizi urbani;

§      protezione civile (in collaborazione con la Presidenza del Consiglio e con la Regione Lazio).

Ampia parte della disciplina di Roma capitale – e segnatamente quella relativa ai profili finanziari e patrimoniali e quella concernente i raccordi istituzionali e le modalità di coordinamento e di collaborazione tra il nuovo ente e lo Stato, la regione Lazio e la provincia di Roma – è rimessa ad uno o più decreti legislativi da approvare nell’ambito dell’esercizio della delega.


6.Gli interventi speciali

L’articolo 16, richiamando l’articolo 119, quinto comma, della Costituzione in merito alla destinazione delle risorse aggiuntive e agli interventi speciali in favore di determinati comuni, province, città metropolitane e regioni, enuncia i princìpi e criteri direttivi ai quali il legislatore delegato dovrà fare riferimento nel predisporre i decreti attuativi previsti dall’articolo 2.

Dovranno essere definite le modalità per cui tali interventi saranno finanziati con contributi speciali del bilancio statale, con finanziamenti dell’Unione europea e con cofinanziamenti nazionali secondoil metodo della programmazione pluriennale. I finanziamenti comunitari non potranno avere valenza sostitutiva dei contributi speciali dello Stato. Nella sostanza, la disposizione appare far riferimento a quelle risorse aggiuntive attualmente previste per gli interventi nelle c.d. aree sottoutilizzate, attraverso l’utilizzo dell’apposito Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS), dei fondi strutturali dell’Unione europea e del relativo cofinanziamento nazionale a valere sulle risorse del Fondo di rotazione previsto dall’articolo 5 della legge n. 183 del 1987.

Dovrà essere prevista la confluenza dei contributi statali speciali in appositi fondi destinati agli enti locali e alle regioni, fermo restando il loro vincolo finalistico.

I decreti delegati dovranno considerare le specifiche realtà territoriali, con particolare riguardo alla collocazione geografica, alla prossimità al confine con Stati esteri o con regioni a statuto speciale, alla qualifica di territorio montano o di isola minore, nonché all’esigenza di tutela del patrimonio storico e artistico.

I decreti dovranno inoltre individuare gli interventi diretti a promuovere lo sviluppo economico, la coesione delle aree sottoutilizzate e la solidarietà sociale, nonché a rimuovere gli squilibri economico-sociali e a favorire l’esercizio effettivo dei diritti della persona. In particolare, gli interventi nelle aree sottoutilizzate dovranno essere attuati per mezzo di interventi speciali organizzati in piani organici finanziati con risorse pluriennali vincolate nella destinazione.

Gli obiettivi e i criteri annuali dovranno essere oggetto di intesa in sede di Conferenza unificata e saranno disciplinati con i provvedimenti annuali che definiranno la manovra finanziaria e che determineranno l’ammontare delle risorse.

Anche l’articolo 22 richiama, al comma 2, l’articolo 119, quinto comma, della Costituzione.

La norma prevede una ricognizione degli interventi infrastrutturali previsti da norme vigenti, che riguardino le strutture sanitarie, assistenziali e scolastiche, la rete stradale, autostradale e ferroviaria, la rete fognaria, la rete idrica, elettrica e di trasporto e distribuzione del gas, e le strutture portuali ed aeroportuali. Vengono, pertanto, indicati gli elementi in base ai quali effettuare la ricognizione.

Successivamente alla ricognizione, al fine di recuperare il deficit infrastrutturale esistente, saranno individuate gli interventi destinati, ai sensi del quinto comma dell’articolo 119 Cost., a promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, a rimuovere gli squilibri economici e sociali, tenendo conto anche della virtuosità degli enti nell’adeguamento al processo di convergenza verso i costi o i fabbisogni standard.

Gli interventi da effettuare nelle aree sottoutilizzate saranno inseriti nel “Programma delle infrastrutture strategiche”, annualmente allegato al documento di programmazione economico-finanziaria (DPEF)[1].


7.Il coordinamento della finanza pubblica

Il tema del coordinamento della finanza pubblica e di una efficiente articolazione della politica economica tra diversi attori istituzionali dotati di autonomia finanziaria assume un ruolo centrale nel nuovo assetto dei rapporti finanziari tra lo Stato e le Autonomie territoriali, sia per quanto concerne il consolidamento dei conti pubblici, sia sul piano dello svolgimento delle singole politiche di settore.

Al riguardo, i principi e criteri direttivi in tema di coordinamento e disciplina fiscale dei diversi livelli di governo, prevedono, in primo luogo, il concorso di tutti i livelli di governo al conseguimento degli obiettivi della politica di bilancio nazionale, in coerenza con i vincoli posti dall’Unione europea e dai Trattati internazionali, secondo una impostazione che prevede, quale criterio generale, l’adozione, per le politiche di bilancio di regioni, città metropolitane, province e comuni, di regole coerenti con quelle derivanti dall'applicazione del Patto di stabilità e crescita europeo.

Rispetto alla impostazione tradizionale, in base alla quale l’entità del concorso dei diversi enti territoriali agli obiettivi della politica di bilancio viene definita annualmente, con criteri diversificati per le regioni e gli enti locali, attraverso il Patto di stabilità interno, la legge delega estende l’ambito delle attività di coordinamento della finanza pubblica, affiancando a meccanismi di monitoraggio e controllo della spesa e dei saldi degli enti decentrati anche nuovi meccanismi di carattere premiale ovvero sanzionatorio, volti a garantire sia il rispetto degli equilibri di bilancio, sia l’adeguatezza dei livelli, dei costi e della qualità dei servizi pubblici resi da regioni ed enti locali.

Nuove norme di “coordinamento dinamico della finanza pubblica”, da inserire annualmente nell’ambito della legge finanziaria[2] o nel provvedimento collegato alla manovra di finanza pubblica tramite un apposito “Patto di convergenza” – di cui all’art. 18 -, oltre a stabilire, per ciascun livello di governo, il livello programmato dei saldi da rispettare, le modalità di ricorso al debito nonché l’obiettivo programmato della pressione fiscale complessiva, dovranno essere altresì finalizzate a realizzare l’obiettivo della convergenza dei costi e dei fabbisogni standard dei vari livelli di governo, nonché a delineare un percorso di convergenza degli obiettivi di servizio ai livelli essenziali delle prestazioni e alle funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane di cui all’articolo 117, secondo comma, lettere m) e p), della Costituzione.

In particolare, rispetto alla disciplina previgente, i principi e i criteri direttivi di cui all’articolo 17 prevedono l’attribuzione alle regioni uno specifico ruolo di coordinamento a garanzia del raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica, in base al quale esse, previa concertazione con gli enti locali ricadenti nel proprio territorio regionale, potranno adattare le regole e i vincoli posti dal legislatore nazionale, differenziando le regole di evoluzione dei flussi finanziari dei singoli enti in relazione alla diversità delle situazioni finanziarie esistenti nelle singole regioni.

Viene inoltre prevista l’individuazione di specifici indicatori di efficienza e di adeguatezza, volti a garantire obiettivi qualitativi dei servizi regionali e locali, funzionali a loro volta all’introduzione di un sistema premiante per gli enti che assicurino una più elevata qualità dei servizi associata ad un livello di pressione fiscale inferiore alla media a parità di servizi offerti.

Forme premiali sono previste anche a favore degli enti che partecipino a progetti strategici mediante l’assunzione di oneri nell’interesse della collettività nazionale, ovvero che incentivino l’occupazione e l’imprenditorialità femminile, mentre un sistema sanzionatorio è destinato ad attivarsi nei confronti degli enti meno virtuosi rispetto agli obiettivi di finanza pubblica. Meccanismi sanzionatori di carattere automatico sono inoltre previsti a carico degli organi di governo e amministrativi nel caso di mancato rispetto degli equilibri e degli obiettivi economico-finanziari assegnati alla regione e agli enti locali, con l’individuazione dei casi di ineleggibilità nei confronti degli amministratori responsabili degli enti locali per i quali sia stato dichiarato lo stato di dissesto finanziario, oltre che dei casi di interdizione dalle cariche in enti vigilati o partecipati da enti pubblici.

Tra i principi fondamentali in tema di coordinamento della finanza pubblica la legge delega indica, quale criterio generale, la garanzia della trasparenza delle diverse capacità fiscali e delle risorse complessive per abitante prima e dopo la perequazione, al fine di salvaguardare il principio dell'ordine della graduatoria delle capacità fiscali e la sua eventuale modifica a seguito dell'evoluzione del quadro economico territoriale.

Ai fini del coordinamento della finanza pubblica, la legge prevede, all’articolo 5 l’istituzione di una specifica Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, di cui si è detto al paragrafo 2 della presente nota di sintesi.

Qualora l’attività di monitoraggio del suddetto Patto di convergenza, da effettuarsi in sede di Conferenza permanente, rilevi che uno o più enti non hanno raggiunto gli obiettivi loro assegnati, la legge prevede l’attivazione, da parte dello Stato - previa intesa in sede di Conferenza unificata - di un procedimento denominato “Piano per il conseguimento degli obiettivi di convergenza”; il piano, da rivolgere agli enti che presentano i maggiori scostamenti nei costi per abitante, è volto ad accertare le cause di tali scostamenti e a stabilire le azioni correttive da intraprendere, anche fornendo agli enti la necessaria assistenza tecnica. Qualora gli scostamenti dal Patto di convergenza abbiano carattere permanente e sistematico, il Governo è chiamato, infine, ad adottare misure sanzionatorie commisurate all’entità degli scostamenti, che possono comportare l’applicazione di misure automatiche per l’incremento delle entrate tributarie ed extra-tributarie, mentre nei casi più gravi potrà altresì essere esercitato il potere sostitutivo di cui all’articolo 120, secondo comma, della Costituzione.


 

Schede grafiche di sintesi:

procedure e tempi di attuazione, regioni,
enti locali e perequazione


La procedura di adozione dei decreti legislativi dell’art. 2

(1)La Commissione bicamerale per l'attuazione del federalismo fiscale formula osservazioni e fornisce al Governo elementi di valutazione utili alla predisposizione dei decreti legislativi.

(2)Parere della Commissione bicamerale per l'attuazione del federalismo fiscale e delle Commissioni parlamentari competenti per le conseguenze di carattere finanziario.

(3)Il Governo, qualora, anche a seguito dell’espressione dei pareri parlamentari, non intenda conformarsi all’intesa raggiunta in Conferenza unificata, trasmette alle Camere e alla stessa Conferenza unificata una relazione nella quale sono indicate le specifiche motivazioni di difformità dall’intesa.


I PROVVEDIMENTI DI ATTUAZIONE

Provvedimento attuativo

Termine

Oggetto

Riferimenti normativi

Decreti legislativi

24 mesi*

 

-        istituzione della Conferenza, della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica (art. 5)

-        disciplina dei tributi delle regioni (art. 7)

-        classificazione finanziaria (art. 8)

-        fondo perequativo a favore delle regioni (art. 9)

-        finanziamento funzioni delle regioni (art. 10)

-        finanziamento funzioni di comuni, province e città metropolitane (art. 11)

-        autonomia finanziaria degli enti locali (art. 12)

-        fondi perequativi per gli enti locali (art. 13)

-        interventi speciali (art. 16)

-        coordinamento e disciplina fiscale dei diversi livelli di governo (art. 17)

-        patrimonio degli enti territoriali (art. 19)

-        disciplina transitoria per le regioni e gli enti locali (artt. 20 e 21)

-        gestione dei tributi e compartecipazioni (artt. 25 e 26)

Art. 2, commi 1-5, art. 3, comma 6, articoli 5, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 16, 17, 19, 20, 21, 22, 25, 26, 28 e 29

Decreto legislativo

12 mesi*

Adozione del primo decreto legislativo

Art. 2, comma 6, primo periodo

Decreto legislativo

24 mesi*

Determinazione dei costi e dei fabbisogni standard sulla base dei livelli essenziali delle prestazioni

Art. 2, comma 6, secondo periodo

Decreti legislativi correttivi ed integrativi

2 anni dall’entrata in vigore dei decreti legislativi

Disposizioni correttive e integrative

Art. 2, comma 7

Relazione alle Camere

Entro il 30 giugno 2010

Quadro generale di finanziamento degli enti territoriali ed ipotesi di definizione su base quantitativa della struttura fondamentale dei rapporti finanziari tra Stato, regioni ed enti locali, con indicazione delle possibili distribuzioni delle risorse

Art. 2, comma 6

Istituzione Commissione bicamerale

-

Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale

Art. 3

Nomina da parte degli enti territoriali

-

Comitato di rappresentanti delle autonomie territoriali

Art. 3, comma 4

DPCM

30 giorni

Istituzione Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale

Art. 4

Decreto legislativo

24 mesi*

Finanziamento delle città metropolitane

Art. 15

Disegno di legge di stabilità (ex disegno di legge finanziaria) o disegno di legge collegato alla manovra di finanza pubblica

Entro il 15 ottobre di ogni anno

Norme di coordinamento dinamico della finanza pubblica per l’obiettivo della convergenza dei costi e dei fabbisogni standard e degli obiettivi di servizio ai livelli essenziali delle prestazioni e alle funzioni fondamentali e per stabilire, per ciascun livello di governo, il livello programmato dei saldi del debito e della pressione fiscale

Art. 18

Atto ministeriale

Nella fase transitoria

Ricognizione degli interventi infrastrutturali

Art. 22, comma 1

-

Nella fase transitoria

Individuazione degli interventi speciali ai sensi dell’art. 119, quinto comma, Cost.

Art. 22, comma 2, primo periodo

Decisione di finanza pubblica (ex DPEF)

Nella fase transitoria

Individuazione degli interventi speciali nelle aree sottoutilizzate

Art. 22, comma 2, secondo periodo

DPR

90 giorni

Disciplina dei referendum sulle proposte di istituzione delle città metropolitane

Art. 23, comma 5

Decreto legislativo

36 mesi

Istituzione e disciplina delle città metropolitane approvate con referendum

Art. 23, comma 6

Decreti legislativi

24 mesi*

Ordinamento transitorio di Roma capitale

Art. 24, commi 5-7

Norme di attuazione degli statuti speciali

24 mesi

Coordinamento della finanza delle regioni a statuto speciale e delle province autonome

Art. 27

DPCM

30 giorni

Organizzazione dei tavoli di confronto tra il Governo, le regioni a statuto speciale e le province autonome

Art. 27, comma 7

*     Prorogato di 20 giorni in caso proroga del termine per il parere della Commissione bicamerale per il federalismo fiscale - prorogato di 90 giorni qualora il termine per il parere parlamentare scada nei 30 giorni precedenti il termine finale di delega

 


REGIONI

SPESA

FUNZIONI ESSENZIALI

 

(Sanità, Assistenza, Istruzione, Trasporto pubblico locale, altre funzioni amministrative attribuite da norme vigenti) 

FUNZIONI NON ESSENZIALI 

 

 

 

SPESE SPECIALI

E' garantito il finanziamento integrale del fabbisogno determinato nel rispetto dei costi standard associati ai livelli essenziali delle prestazioni in una regione; il finanziamento del trasporto pubblico locale, inoltre, è diretto a garantire un livello adeguato del servizio

Non è garantito l'integrale finanziamento delle spese non essenziali; la perequazione opera in base alla capacità fiscale

ENTRATA

Tributi regionali

Compartecipazione a tributi erariali

Fondo perequativo

Tributi regionali

Addizionale IRPEF ad aliquota media

Fondo perequativo 

Contributi speciali, finanziamenti dell'UE e cofinanziamenti nazionali

Tributi propri derivati definiti con legge statale (le regioni possono modificare aliquote, disporre esenzioni detrazioni e deduzioni nei limiti fissati da legge statale)

Addizionali su basi imponibili dei tributi erariali (le regioni possono modificare aliquote e disporre detrazioni nei limiti fissati da legge statale)

 

Tributi propri istituiti e disciplinati con legge regionale

Tributi propri derivati definiti con legge statale
(le regioni possono modificare aliquote, disporre esenzioni detrazioni e deduzioni nei limiti fissati da legge statale)

Addizionali su basi imponibili dei tributi erariali
(le regioni pos­sono modificare aliquote e di­sporre detra­zioni nei limiti fissati da legge statale)

Tributi propri istituiti e disciplinati con legge regionale

P R I N C I P I

Il gettito valutato ai fini della pere­quazione è determinato ad aliquota e base imponibile uniforme

Addizionale regionale IRPEF
(il gettito valutato ai fini della pere­quazione è determinato ad aliquota e base imponibile uniforme

 

Compartecipazione IVA

Alla regione spetta una quota del fondo perequativo solo se risulta insufficiente il gettito dei tributi propri derivati, delle addizionali regio­nali, dell'IRAP e della comparteci­pazione IVA

 

Il gettito valutato ai fini della pere­quazione è determinato ad aliquota e base imponibile uniforme

 

Il gettito nazio­nale dovrà essere pari all'ammontare dei trasfer­imenti erariali soppressi e sarà distribuito tra le regioni in funzione della capacità fiscale

E' finalizzato a ridurre le differenze interregionali di gettito per abitante rispetto al reddito medio nazionale per abitante

 

IRAP
(per il periodo transitorio, fino alla sostituzione con altri tributi)

La misura dell'addizionale sarà incre­mentata in corrispondenza della riduzione dei tributi erariali

 

La compartecipazione IRPEF e IVA saranno incrementate, rispettivamente, per finanziare il fondo perequativo regionale e per la riduzione dei tributi erariali.

Per il trasporto pubblico locale sono perequate anche le spese in conto capi­tale valutate in base al fabbi­sogno standard

 

 

 

La misura dell'aliquota sarà incrementata in corrispon­denza della riduzione dei tributi erariali

 

 


 

ENTI LOCALI

 

FUNZIONI FONDAMENTALI

FUNZIONI NON FONDAMENTALI

SPESE SPECIALI

SPESA

(In via transitoria: funzioni generali di amministrazione, istruzione, trasporti, gestione del territorio e dell'ambiente, settore sociale, polizia locale solo per i Comuni e servizi del mercato del lavoro solo per le Province)

 

 

E' garantito il finanziamento integrale del fabbisogno determinato, per la spesa corrente, nel rispetto del valore standardizzato della spesa, al netto degli interessi e, per le spese in conto capitale, sulla base di indicatori di fabbisogno di infrastrutture, in coerenza con la programmazione regionale di settore

Non è garantito l'integrale finanziamento

 

ENTRATA

Tributi degli enti locali

Compartecipazione a tributi erariali e regionali

Fondo perequativo

Tributi degli enti locali

Compartecipazione a tributi erariali e regionali

Fondo perequativo

Contributi speciali, finanziamenti dell'UE e cofinanziamenti nazionali

Tributi propri derivati definiti con legge statale o regionale
(i comuni possono modificare le aliquote e introdurre agevolazioni nei limiti fissati da legge)

Addizionali su basi imponibili dei tributi erariali e regionali

Tributi propri

Tributi propri derivati definiti con legge statale o regionale (i comuni possono modifi­care le aliquote e intro­durre agevolazioni nei limiti fissati da legge)

Tributi propri

P R I N C I P I

Fonti prioritarie di finanziamento:

-    per i comuni: imposi­zione immobiliare (è esclusa la tassazione dell'abitazione principale);

-    per le province: tribu­ti connessi al tra­sporto su gomma

 

La manovra­bilità delle addizionali dipende dalla dimensione demografica dei comuni per fasce

 

Tributi propri comunali e provin­ciali riferiti a specifici scopi

 

Fonti prioritarie di finanziamento:

-    per i comuni, com­partecipazione all'IVA e all'IRPEF;

-    per le province: com­partecipazione ad un tributo erariale

 

Il Fondo è de­terminato, per ciascun livello di governo, in misura uguale alla differenza tra il totale dei fabbisogni standard e il totale delle entrate standardizzate spettanti a ciascun livello

 

 

Il gettito è senza vincolo di destinazione

E' finalizzato a ridurre le differenze tra le capacità fi­scali, tenendo conto, per gli enti di minore dimensione, del fattore demografico e della parte­cipazione a forme asso­ciative

 

Il gettito valutato ai fini della perequazione è determinato ad aliquota standard

 

Autonomia dei comuni nella fissa­zione delle tariffe per prestazioni o servizi offerti

Il gettito è senza vincolo di destinazione

Le regioni possono procedere a proprie valu­tazioni in mate­ria di spesa corrente stan­dardizzata e di entrate stan­dardizzate non­ché di fabbi­sogni di infra­strutture ai fini del riparto del fondo

 

 

 

 

 


FONDO PEREQUATIVO

per le Regioni

 

 

per gli Enti Locali

(nel bilancio delle Regioni sono istituiti due fondi perequativi uno in favore dei Comuni e l'altro in favore delle Province e Città metropolitane)

fonti di finanziamento

utilizzo

fonti di finanziamento

utilizzo

Compartecipazione gettito IVA (da determinare nel rispetto dell'integrale finanziamento delle spese essenziali)

Spese essenziali (differenza tra fabbisogno - determinato a costi standard di una sola Regione -e gettito regionale dei tributi derivati e delle addizionali - determinato ad aliquota e base imponibile uniforme)

Fondo perequativo dello Stato (alimentato dalla fiscalità generale) da determinare sulla base del totale dei fabbisogni standard di ciascun livello di governo

Spese fondamentali (determinate sulla base del fabbisogno finan
ziario - corrispondente alla differen
za tra entrate proprie e spesa corrente calcolata a valore standard - e fabbisogno di infra
strutture per il finanziamento della spesa in conto capitale)

Quota dell'addizionale IRPEF ad aliquota media (da determinare con riferimento alle spese non essenziali).Partecipano al finanziamento le Regioni con maggiore capacità fiscale

Spese non essenziali, per le sole Regioni con minore capacità fiscale (ossia quelle nelle quali il gettito regionale per abitante dell'addizionale IRPEF ad aliquota media è inferiore al gettito medio del medesimo tributo su base nazionale). La perequazione è fina
lizzata a ridurre le capacità fiscali anche tenendo conto del fattore de
mografico; in ogni caso non dovrà alterare l'ordine di graduatoria delle capacità fiscali.

Spese non fondamentali (quota finalizzata a ridurre le differenze tra le capacità fiscali anche tenen­do conto del fattore demografico e della partecipazione a forme asso­ciative; la perequazione non dovrà alterare l'ordine di graduatoria delle capacità fiscali)

I decreti di attuazione dovranno prevedere un incremento dell'ali­quota di compartecipazione IVA e IRPEF per il finanziamento del fondo perequativo regionale

La perequazione relativa alle spese per il trasporto pubblico lo
cale
riguarda anche le spese in conto capitale per le quali è garantito il finanziamento integrale del fabbisogno standard.

Le regioni possono procedere con proprie valutazioni sulla determina
zione della spesa corrente standar
dizzata e delle entrate standar
dizzate ai fini del riparto del fondo


Schede di lettura


 

Articolo 1
(Ambito di intervento)

 


1. La presente legge costituisce attuazione dell’articolo 119 della Costituzione, assicu­rando autonomia di entrata e di spesa di comuni, province, città metropolitane e regioni e garantendo i princìpi di solidarietà e di coesione sociale, in maniera da sostituire gradualmente, per tutti i livelli di governo, il criterio della spesa storica e da garantire la loro massima responsabilizzazione e l’effettività e la trasparenza del controllo democratico nei confronti degli eletti. A tali fini, la presente legge reca disposizioni volte a stabilire in via esclusiva i princìpi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, a disciplinare l’istituzione ed il funzionamento del fondo perequativo per i territori con minore capacità fiscale per abitante nonché l’utilizzazione delle risorse aggiuntive e l’effettuazione degli interventi speciali di cui all’articolo 119, quinto comma, della Costituzione perseguendo lo sviluppo delle aree sottoutilizzate nella prospettiva del superamento del dualismo economico del Paese. Disciplina altresì i princìpi generali per l’attribuzione di un proprio patrimonio a comuni, province, città metropolitane e regioni e detta norme transitorie sull’ordinamento, anche finanziario, di Roma capitale.

2. Alle regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento e di Bolzano si applicano, in conformità con gli statuti, esclusivamente le disposizioni di cui agli articoli 15, 22 e 27.


 

 

L’articolo 1 esplicita l’ambito di intervento della legge in esame (come indicato dalla sua rubrica).

 

Il primo periodo del comma 1 chiarisce, in particolare, che l’intervento legislativo ha ad oggetto l’attuazione all’articolo 119 della Costituzione, in materia di federalismo fiscale.

 

L’assicurazione dell’autonomia di entrata e di spesa degli enti territoriali e la garanzia dei principi di solidarietà e coesione sociale sono menzionati come tratti caratterizzanti dell’intervento. Gli obiettivi del provvedimento attuativo sono, in particolare:

-        la graduale sostituzione del criterio della spesa storica per tutti i livelli di governo;

-        la “massima” responsabilizzazione dei medesimi livelli di governo, l’effettività e la trasparenza del controllo democratico nei confronti degli eletti;

-        perseguire lo sviluppo delle aree sottoutilizzate nella prospettiva del superamento del dualismo economico del Paese.

 

Per “spesa storica” si intende il criterio-base dell’attuale sistema di finanza derivata, in virtù del quale ogni ente territoriale riceve finanziamenti parametrati sulla spesa in precedenza sostenuta. Tale criterio, secondo il Governo, va superato in quanto premia gli enti meno efficienti a scapito di quelli più virtuosi.

 

Il secondo periodo del commadettaglia i contenuti normativi della legge in esame, il quale reca disposizioni volte a:

§      stabilire – in via “esclusiva”, come specifica il testo - i principi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario (v. articolo 119, comma secondo, della Costituzione).

Sembra che il legislatore intenda fare del testo in esame – e dei decreti legislativi che seguiranno - l’unico referente normativo in tema di principi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. La disposizione non ha però la forza di vincolare il futuro legislatore ordinario, il quale potrebbe introdurre nuovi principi fondamentali anche in altre sedi legislative. Il “principio di esclusività” potrebbe essere inteso, per altro verso, come vincolo per l’interprete, al quale sarebbe precluso di desumere ulteriori principi fondamentali dalla legislazione pre-vigente;

§      disciplinare l’istituzione e il funzionamento del fondo perequativo previsto per i territori con minore capacità fiscale per abitante (articolo 119, comma terzo, della Costituzione);

§      disciplinare l’utilizzazione delle risorse aggiuntive e gli interventi speciali in favore di determinati enti territoriali per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni (articolo 119, comma quinto, della Costituzione);

Va ricordato che il testo originariamente presentato al Senato dal Governo non limitava espressamente l’intervento legislativo statale - in materia di attribuzione del patrimonio proprio agli enti territoriali - alla determinazione dei principi generali. La delimitazione de qua è stata introdotta durante l’esame in sede referente nel corso della prima lettura, in ossequio al disposto dell’articolo 119, comma sesto Cost. (ma v. comunque l’art. 16 nella prima stesura del ddl, ove già era contenuto un riferimento ai principi generali);

§      disciplinare i principi generaliper l’attribuzione di un patrimonio proprio agli enti territoriali (articolo 119, comma sesto, della Costituzione);

§      dettare norme transitorie sull'ordinamento, anche finanziario, di Roma Capitale (v. anche art. 114, comma terzo, della Costituzione).

Si ricorda che l'ordinamento transitorio di Roma capitale è disciplinato dall'articolo 24.

 

Il comma 2 è volto a individuare le sole disposizioni applicabili alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome: si tratta degli articoli 15, 22 e 27 della legge (v. infra le relative schede di lettura). In virtù del comma in esame è quindi applicabile alle autonomie speciali – in conformità con la normativa statutaria – solo la disciplina posta dal testo in tema di finanziamento delle Città metropolitane (articolo 15); perequazione infrastrutturale (articolo 22); coordinamento della finanza delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome (articolo 27)[3].


 

Articolo 2
(Oggetto e finalità)

 


1. Il Governo è delegato ad adottare, entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi aventi ad oggetto l’attuazione dell’articolo 119 della Costituzione, al fine di assicurare, attraverso la definizione dei princìpi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario e la definizione della perequazione, l’autonomia finanziaria di comuni, province, città metropolitane e regioni nonché al fine di armonizzare i sistemi contabili e gli schemi di bilancio dei medesimi enti e i relativi termini di presentazione e approvazione, in funzione delle esigenze di programmazione, gestione e rendicontazione della finanza pubblica.

2. Fermi restando gli specifici princìpi e criteri direttivi stabiliti dalle disposizioni di cui agli articoli 5, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 15, 16, 17, 19, 20, 21, 22, 24, 25, 26, 28 e 29, i decreti legislativi di cui al comma 1 del presente articolo sono informati ai seguenti princìpi e criteri direttivi generali:

     a) autonomia di entrata e di spesa e maggiore responsabilizzazione amministrativa, finanziaria e contabile di tutti i livelli di governo;

     b) lealtà istituzionale fra tutti i livelli di governo e concorso di tutte le amministrazioni pubbliche al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica nazionale in coerenza con i vincoli posti dall’Unione europea e dai trattati internazionali;

     c) razionalità e coerenza dei singoli tributi e del sistema tributario nel suo complesso; semplificazione del sistema tributario, riduzione degli adempimenti a carico dei contribuenti, trasparenza del prelievo, efficienza nell’amministrazione dei tributi; rispetto dei princìpi sanciti dallo statuto dei diritti del contribuente di cui alla legge 27 luglio 2000, n. 212;

     d) coinvolgimento dei diversi livelli istituzionali nell’attività di contrasto all’evasione e all’elusione fiscale prevedendo meccanismi di carattere premiale;

     e) attribuzione di risorse autonome ai comuni, alle province, alle città metropolitane e alle regioni, in relazione alle rispettive competenze, secondo il principio di territorialità e nel rispetto del principio di solidarietà e dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza di cui all’articolo 118 della Costituzione; le risorse derivanti dai tributi e dalle entrate propri di regioni ed enti locali, dalle compartecipazioni al gettito di tributi erariali e dal fondo perequativo consentono di finanziare integralmente il normale esercizio delle funzioni pubbliche attribuite;

     f) determinazione del costo e del fabbisogno standard quale costo e fabbisogno che, valorizzando l’efficienza e l’efficacia, costituisce l’indicatore rispetto al quale comparare e valutare l’azione pubblica; definizione degli obiettivi di servizio cui devono tendere le amministrazioni regionali e locali nell’esercizio delle funzioni riconducibili ai livelli essenziali delle prestazioni o alle funzioni fondamentali di cui all’articolo 117, secondo comma, lettere m) e p), della Costituzione;

     g) adozione per le proprie politiche di bilancio da parte di regioni, città metropolitane, province e comuni di regole coerenti con quelle derivanti dall’applicazione del patto di stabilità e crescita;

h) adozione di regole contabili uniformi e di un comune piano dei conti integrato; adozione di comuni schemi di bilancio articolati in missioni e programmi coerenti con la classificazione economica e funzionale individuata dagli appositi regolamenti comunitari in materia di contabilità nazionale e relativi conti satellite; adozione di un bilancio consolidato con le proprie aziende, società o altri organismi controllali, secondo uno schema comune; affiancamento, a fini conoscitivi, al sistema di contabilità finanziaria di un sistema e di schemi di contabilità economico-patrimoniale ispirati a comuni criteri di contabilizzazione; raccordabilità dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio degli enti territoriali con quelli adottati in ambito europeo ai fini della procedura per i disavanzi eccessivi; definizione di una tassonomia per la riclassificazione dei dati contabili e di bilancio per le amministrazioni pubbliche di cui alla presente legge tenute al regime di contabilità civilistica, ai fini del raccordo con le regole contabili uniformi; definizione di un sistema di indicatori di risultato semplici, misurabili e riferiti ai programmi del bilancio, costruiti secondo criteri e metodologie comuni ai diversi enti territoriali; al fine di dare attuazione agli articoli 9 e 13, individuazione del termine entro il quale regioni ed enti locali devono comunicare al Governo i propri bilanci preventivi e consuntivi, come approvati, e previsione di sanzioni ai sensi dell'articolo 17, comma 1, lettera e), in caso di mancato rispetto di tale termine;

     i) previsione dell’obbligo di pubblicazione in siti internet dei bilanci delle regioni, delle città metropolitane, delle province e dei comuni, tali da riportare in modo semplificato le entrate e le spese pro capite secondo modelli uniformi concordati in sede di Conferenza unificata;

     l) salvaguardia dell’obiettivo di non alterare il criterio della progressività del sistema tributario e rispetto del principio della capacità contributiva ai fini del concorso alle spese pubbliche;

     m) superamento graduale, per tutti i livelli istituzionali, del criterio della spesa storica a favore:

          1) del fabbisogno standard per il finanziamento dei livelli essenziali di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, e delle funzioni fondamentali di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione;

          2) della perequazione della capacità fiscale per le altre funzioni;

     n) rispetto della ripartizione delle competenze legislative fra Stato e regioni in tema di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario;

     o) esclusione di ogni doppia imposizione sul medesimo presupposto, salvo le addizionali previste dalla legge statale o regionale;

     p) tendenziale correlazione tra prelievo fiscale e beneficio connesso alle funzioni esercitate sul territorio in modo da favorire la corrispondenza tra responsabilità finanziaria e amministrativa; continenza e responsabilità nell’imposizione di tributi propri;

     q) previsione che la legge regionale possa, con riguardo ai presupposti non assoggettati ad imposizione da parte dello Stato:

          1) istituire tributi regionali e locali;

          2) determinare le variazioni delle aliquote o le agevolazioni che comuni, provin­ce e città metropolitane possono applicare nell’esercizio della propria autonomia con riferimento ai tributi locali di cui al numero 1);

     r) previsione che la legge regionale possa, nel rispetto della normativa comu­nitaria e nei limiti stabiliti dalla legge statale, valutare la modulazione delle accise sulla benzina, sul gasolio e sul gas di petrolio liquefatto, utilizzati dai cittadini residenti e dalle imprese con sede legale e operativa nelle regioni interessate dalle concessioni di coltivazione di cui all’articolo 19 del decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 625, e successive modificazioni;

     s) facoltà delle regioni di istituire a favore degli enti locali compartecipazioni al gettito dei tributi e delle compartecipazioni regionali;

     t) esclusione di interventi sulle basi imponibili e sulle aliquote dei tributi che non siano del proprio livello di governo; ove i predetti interventi siano effettuati dallo Stato sulle basi imponibili e sulle aliquote riguar­danti i tributi degli enti locali e quelli di cui all’articolo 7, comma 1, lettera b), numeri 1) e 2), essi sono possibili, a parità di funzioni amministrative conferite, solo se prevedono la contestuale adozione di misure per la completa compensazione tramite modifica di aliquota o attribuzione di altri tributi e previa quantificazione finanziaria delle predette misure nella Conferenza di cui all’articolo 5; se i predetti interventi sono accompagnati da una riduzione di funzioni amministrative dei livelli di governo i cui tributi sono oggetto degli interventi medesimi, la compensazione è effettuata in misura corrispondente alla riduzione delle funzioni;

     u) previsione di strumenti e meccanismi di accertamento e di riscossione che assicu­rino modalità efficienti di accreditamento diretto o di riversamento automatico del riscosso agli enti titolari del tributo; previsione che i tributi erariali compartecipati abbiano integrale evidenza contabile nel bilancio dello Stato;

     v) definizione di modalità che assicurino a ciascun soggetto titolare del tributo l’accesso diretto alle anagrafi e a ogni altra banca dati utile alle attività di gestione tribu­taria, assicurando il rispetto della normativa a tutela della riservatezza dei dati personali;

     z) premialità dei comportamenti virtuosi ed efficienti nell’esercizio della potestà tributaria, nella gestione finanziaria ed econo­mica e previsione di meccanismi sanzionatori per gli enti che non rispettano gli equilibri economico-finanziari o non assicurano i livelli essenziali delle prestazioni di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione o l’esercizio delle funzioni fon­damentali di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione; previsione delle specifiche modalità attraverso le quali il Governo, nel caso in cui la regione o l’ente locale non assicuri i livelli essenziali delle prestazioni di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costitu­zione, o l’esercizio delle funzioni fondamentali di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, o qualora gli scostamenti dal patto di convergenza di cui all’articolo 18 della presente legge abbiano caratteristiche permanenti e sistematiche, adotta misure sanzionatorie ai sensi dell’articolo 17, comma 1, lettera e), che sono commisurate all’entità di tali scostamenti e possono comportare l’applicazione di misure automatiche per l’incremento delle entrate tributarie ed extra-tributarie, e può esercitare nei casi più gravi il potere sostitutivo di cui all’articolo 120, secondo comma, della Costituzione, secondo quanto disposto dall’ar­ticolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131, e secondo il principio di responsabilità amministrativa e finanziaria;

     aa) previsione che le sanzioni di cui alla lettera z) a carico degli enti inadempienti si applichino anche nel caso di mancato rispetto dei criteri uniformi di redazione dei bilanci, predefiniti ai sensi della lettera h), o nel caso di mancata o tardiva comunicazione dei dati ai fini del coordinamento della finanza pubblica;

     bb) garanzia del mantenimento di un adeguato livello di flessibilità fiscale nella costituzione di insiemi di tributi e comparte­cipazioni, da attribuire alle regioni e agli enti locali, la cui composizione sia rappresentata in misura rilevante da tributi manovrabili, con determinazione, per ciascun livello di governo, di un adeguato grado di autonomia di entrata, derivante da tali tributi;

     cc) previsione di una adeguata flessibilità fiscale articolata su più tributi con una base imponibile stabile e distribuita in modo tendenzialmente uniforme sul territorio nazionale, tale da consentire a tutte le regioni ed enti locali, comprese quelle a più basso potenziale fiscale, di finanziare, attivando le proprie potenzialità, il livello di spesa non riconducibile ai livelli essenziali delle prestazioni e alle funzioni fondamentali degli enti locali;

     dd) trasparenza ed efficienza delle decisioni di entrata e di spesa, rivolte a garantire l’effettiva attuazione dei princìpi di efficacia, efficienza ed economicità di cui all’articolo 5, comma 1, lettera b);

     ee) riduzione della imposizione fiscale statale in misura corrispondente alla più ampia autonomia di entrata di regioni ed enti locali calcolata ad aliquota standard e corrispondente riduzione delle risorse statali umane e strumentali; eliminazione dal bilancio dello Stato delle previsioni di spesa relative al finanziamento delle funzioni attribuite a regioni, province, comuni e città metropo­litane, con esclusione dei fondi perequativi e delle risorse per gli interventi di cui all’articolo 119, quinto comma, della Costituzione;

     ff) definizione di una disciplina dei tributi locali in modo da consentire anche una più piena valorizzazione della sussidiarietà oriz­zontale;

     gg) individuazione di strumenti idonei a favorire la piena attuazione degli articoli 29, 30 e 31 della Costituzione, con riguardo ai diritti e alla formazione della famiglia e all’adempimento dei relativi compiti;

     hh) territorialità dei tributi regionali e locali e riferibilità al territorio delle compartecipazioni al gettito dei tributi erariali, in conformità a quanto previsto dall’articolo 119 della Costituzione;

     ii) tendenziale corrispondenza tra autonomia impositiva e autonomia di gestione delle proprie risorse umane e strumentali da parte del settore pubblico; previsione di strumenti che consentano autonomia ai diversi livelli di governo nella gestione della contrattazione collettiva;

     ll) certezza delle risorse e stabilità tendenziale del quadro di finanziamento, in misura corrispondente alle funzioni attribuite;

     mm) individuazione, in conformità con il diritto comunitario, di forme di fiscalità di sviluppo, con particolare riguardo alla creazione di nuove attività di impresa nelle aree sottoutilizzate.

3. I decreti legislativi di cui al comma 1 sono adottati su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, del Ministro per le riforme per il federalismo, del Ministro per la semplificazione normativa, del Ministro per i rapporti con le regioni e del Ministro per le politiche europee, di concerto con il Ministro dell’interno, con il Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione e con gli altri Ministri volta a volta competenti nelle materie oggetto di tali decreti. Gli schemi di decreto legislativo, previa intesa da sancire in sede di Conferenza unificata ai sensi dell’articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sono trasmessi alle Camere, ciascuno corredato di relazione tecnica che evidenzi gli effetti delle disposizioni recate dal medesimo schema di decreto sul saldo netto da finanziare, sull’indebitamento netto delle am­ministrazioni pubbliche e sul fabbisogno del settore pubblico, perché su di essi sia espresso il parere della Commissione di cui all’articolo 3 e delle Commissioni parlamentari competenti per le conseguenze di carattere finanziario, entro sessanta giorni dalla trasmissione. In mancanza di intesa nel termine di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, il Consiglio dei ministri delibera, approvando una relazione che è trasmessa alle Camere. Nella relazione sono indicate le specifiche motivazioni per cui l’intesa non è stata raggiunta.

4. Decorso il termine per l’espressione dei pareri di cui al comma 3, i decreti possono essere comunque adottati. Il Governo, qualora non intenda conformarsi ai pareri parlamentari, ritrasmette i testi alle Camere con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni e rende comunicazioni davanti a ciascuna Camera. Decorsi trenta giorni dalla data della nuova trasmissione, i decreti possono comunque essere adottati in via definitiva dal Governo. Il Governo, qualora, anche a seguito dell’espressione dei pareri parlamentari, non intenda conformarsi all’intesa raggiunta in Conferenza unificata, trasmette alle Camere e alla stessa Conferenza unificata una relazione nella quale sono indicate le specifiche motivazioni di difformità dall’intesa.

5. Il Governo assicura, nella predispo­sizione dei decreti legislativi di cui al comma 1, piena collaborazione con le regioni e gli enti locali.

6. Almeno uno dei decreti legislativi di cui al comma 1 è adottato entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge. Un decreto legislativo, da adottare entro il termine previsto al comma 1 del presente articolo, disciplina la determinazione dei costi e dei fabbisogni standard sulla base dei livelli essenziali delle prestazioni di cui al comma 2 dell'articolo 20. Il Governo trasmette alle Camere, entro il 30 giugno 2010, una relazione concernente il quadro generale di finanziamento degli enti territoriali e ipotesi di definizione su base quantitativa della struttura fondamentale dei rapporti finanziari tra lo Stato, le regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano e gli enti locali, con l'indicazione delle possibili distribuzioni delle risorse. Tale relazione è comunque trasmessa alle Camere prima degli schemi di decreto legislativo concernenti i tributi, le compar­tecipazioni e la perequazione degli enti territoriali.

7. Entro due anni dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi di cui al comma 1, possono essere adottati decreti legislativi recanti disposizioni integrative e correttive nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi previsti dalla presente legge e con la procedura di cui ai commi 3 e 4.


 

 

I commi 1, 3 e 4 dell’articolo in esame, nel conferire delega al Governo per l’attuazione dell’art. 119 della Costituzione, prevedono che i decreti legislativi attuativi siano adottati su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, del Ministro delle riforme per il federalismo, del Ministro per la semplificazione normativa, del Ministro per i rapporti con le regioni e del Ministro per le politiche europee, di concerto con il Ministro dell’interno e con il Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione (nonché con gli altri ministri eventualmente competenti nelle materie oggetto dei decreti), entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della legge n. 42 in commento[4] (sul termine si veda anche infraal comma 6 e articolo 3, comma 6).

I decreti vanno adottati previa intesa in sede di Conferenza unificata e successiva sottoposizione degli schemi di provvedimento:

§         alle Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari;

§         alla apposita Commissione bicamerale istituita dall’articolo 3 della legge (v. infra).

Ciascuno schema deve essere corredato da una relazione tecnica che ne evidenzi gli effetti sul saldo netto da finanziare, sull'indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche e sul fabbisogno del settore pubblico.

Le Commissioni parlamentari sono chiamate a esprimersi entro 60 giorni dalla trasmissione dei testi; decorso tale termine, i decreti possono essere comunque adottati, fatta salva l'ipotesi in cui il Governo non intenda conformarsi ai pareri parlamentari, per la quale è previsto un ulteriore termine (cfr. comma 4).

 

L’intesa da raggiungersi in sede di Conferenza unificata[5] non è considerata presupposto necessario e vincolante per l’esercizio del potere delegato da parte del Governo[6]: il penultimo periodo del comma 3 prevede infatti che, in mancanza di intesa, e trascorsi trenta giorni dalla prima seduta della Conferenza in cui i decreti legislativi siano posti all’ordine del giorno, il Consiglio dei ministri può comunque deliberare, approvando allo stesso tempo una relazione in cui vengano motivate le ragioni per cui l’intesa non è stata raggiunta. Tale relazione viene trasmessa alle Camere.

 

Il comma 4disciplina l’ipotesi in cui il Governo non intenda conformarsi ai pareri parlamentari.In questa ipotesi, il Governo ritrasmette i testi alle Camere con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni e che renda comunicazioni al riguardo davanti a ciascuna Camera. Decorsi trenta giorni dalla data della nuova trasmissione, i decreti possono comunque essere adottati in via definitiva dal Governo[7].

In questo secondo passaggio parlamentare non è più coinvolta, dunque, la Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale né le Commissioni competenti in materia finanziaria, ma – sembra di intendere – le Assemblee di ciascuna Camera.

 

Si segnala che si tratta di una soluzione procedurale inedita tra quelle adottate, negli ultimi anni, allo scopo di rafforzare il coinvolgimento del Parlamento nella fase di elaborazione degli schemi di decreti legislativi, in relazione ai processi di delega di maggiore impatto.

 

L’ultimo periodo del comma 4 prevede che, al termine dell’iter parlamentare relativo alla procedura di adozione dei decreti, il Governo, qualora, anche a seguito dei pareri parlamentari, intenda discostarsi dall’intesa raggiunta in sede di Conferenza unificata, debba trasmettere alle Camere e alla stessa Conferenza unificata una relazione in cui siano indicate le motivazioni per il possibile esito difforme rispetto all’intesa precedentemente raggiunta.

 

Il comma 5 dispone che il Governo assicuri, nella predisposizione dei decreti legislativi di cui al comma 1, piena collaborazione con le regioni e gli enti locali[8].

 

Il comma in esame prefigura così una forma di collaborazione fra Governo e enti territoriali già nella fase di stesura dei testi (“predisposizione”), la quale si aggiunge alla modalità collaborativa, per certi versi più consueta, rappresentata dalla sottoposizione degli schemi di decreto alla Conferenza unificata (v. comma 3).

 

Il comma 6, introdottocon ratio acceleratoria, richiede, in primo luogo (cfr. infra), che almeno uno dei decreti legislativi attuativi sia adottato entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge in esame[9].

Pertanto, con tecnica normativa peculiare, si prevede per l’esercizio della delega un termine generale di 24 mesi (comma 1), articolando peraltro tale termine con riferimento all’adozione di un primo decreto entro un termine più breve, pari a 12 mesi.

 

Ilmedesimo comma specifica inoltre che entro il termine previsto dalla delega (24 mesi dall'entrata in vigore della legge) sia adottato un apposito decreto legislativo che dovrà disciplinare la determinazione dei costi e dei fabbisogni standard sulla base dei livelli essenziali delle prestazioni di cui al comma 2 dell'articolo 20.

Si ricorda che tale disposizione prevede che la legge statale stabilisca i livelli essenziali di assistenza e i livelli essenziali delle prestazioni e che, fino a loro nuova determinazione in virtù della legge statale, si considerano i livelli essenziali di assistenza e i livelli essenziali delle prestazioni già fissati in base alla legislazione.

 

Nell’ambito del comma 6 in esame, come sostituito dall’articolo 2, comma 6, lettera c), della legge n. 196 del 2009, si stabilisce anche che il Governo debba trasmettere alle Camere entro il 30 giugno 2010, una relazione concernente:

§      il quadro generale di finanziamento degli enti territoriali;

§      ipotesi di definizione su base quantitativa della struttura fondamentale dei rapporti finanziari tra lo Stato, le Regioni a statuto ordinario e a statuto speciale, le province autonome e gli enti locali, con l’indicazione delle possibili distribuzioni delle risorse.

 

Tale relazione è comunque trasmessa alle Camere prima degli schemi di decreto legislativo concernenti i tributi, le compartecipazioni e la perequazione degli enti territoriali.

 

La previsione del comma 6 intende rispondere all’esigenza, emersa nel corso del dibattito parlamentare, di poter disporre in tempi intermedi dei dati sull’impatto economico del federalismo fiscale così come delineato dal testo in esame[10].

 

Il comma 7 prevede che, entro due anni dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi di cui al comma 1, il Governo possa adottare decreti legislativi recanti disposizioni integrative e correttive, nel rispetto della disciplina procedurale già illustrata.

 

Passando a illustrare la disciplina sostanziale di delega, viene innanzitutto precisato dal testo che l’attuazione dell’articolo 119 della Costituzione persegue il fine di assicurare - attraverso la definizione dei princìpi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario e la definizione della perequazione - l’autonomia finanziaria degli enti territoriali, nonché quello di armonizzare i sistemi contabili e gli schemi di bilancio dei medesimi enti e i relativi termini di presentazione e approvazione, in funzione delle esigenze di programmazione, gestione e rendicontazione della finanza pubblica (comma 1)[11].

Sono le varie lettere del comma2 a enunciare i principi e criteri direttivi di portata generale a cui i decreti legislativi (sia quelli di prima attuazione, sia quelli integrativi/correttivi) dovranno conformarsi.

Va peraltro considerato che i principi generali enumerati dal comma 2, di seguito illustrati, si aggiungono a quelli più specifici, indicati nei singoli articoli successivi con riguardo ai diversi profili di attuazione dell’articolo 119 della Costituzione. Tra gli articoli richiamati dall’alinea del comma 2, figura anche l’articolo 26, che reca principi in materia di contrasto dell’evasione fiscale.

 

In particolare:

-        alla lettera a), si chiede di realizzare l’autonomia finanziaria di tutti i livelli di governo, in uno con la loro maggioreresponsabilizzazione amministrativa, finanziaria e contabile;

Si ricorda che alle regioni ed agli enti locali è riconosciuta (art. 119 Cost.) autonomia di entrata e di spesa, che si sostanzia nell’attribuzione di risorse autonome derivanti da tributi ed entrate propri e da compartecipazioni ai tributi erariali aventi ad oggetto il gettito riferibile ai rispettivi territori. Tali risorse, integrate da un fondo perequativo per i territori con ridotta capacità fiscale, devono rivelarsi sufficienti a finanziare integralmente le funzioni degli enti in questione (art. 119, quarto comma, Cost.). Hanno invece natura aggiuntiva le risorse che lo Stato può destinare a regioni ed enti locali per favorire lo sviluppo ed il riequilibrio economico e sociale e comunque per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle funzioni (art. 119, quinto comma, Cost.).

-        alla lettera b) si domanda un sistema fondato sulla lealtà istituzionale fra tutti i livelli di governo e sul concorso di tutte le amministrazioni pubbliche al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica nazionale, in coerenza con i vincoli posti dall’Unione europea e dai trattati internazionali;

Il contenuto del criterio della “lealtà istituzionale”, non è compiutamente individuabile sotto il profilo del diritto positivo, non ravvisandosi finora nell’ordinamento la presenza del criterio medesimo. Può tuttavia ritenersi che esso abbia un significato assai prossimo a quello della “leale cooperazione”, che costituisce un principio su cui si è più volte soffermata la Corte costituzionale in sede di contenzioso tra Stato e Regioni , individuandone il contenuto nella mutua informazione e nella esclusione di qualsiasi attività emulativa o prevaricante tra amministrazioni centrali e regionali.

-        alla lettera c) si chiede: razionalità e coerenza dei singoli tributi e del sistema tributario nel suo complesso; semplificazione del sistema tributario, riduzione degli adempimenti a carico dei contribuenti, trasparenza del prelievo, efficienza nell'amministrazione dei tributi; rispetto dei principi sanciti dallo statuto dei diritti del contribuente;

Va evidenziato che l’inclusione dei principi sanciti dallo statuto dei diritti del contribuente tra i principi e criteri direttivi della delega rende l’inosservanza di questi sanzionabile dalla Corte costituzionale, in quanto essi assumono la configurazione di norme interposte ai fini dell’attuazione della delega e dell’eventuale scrutinio della Consulta.

-        alla lettera d) si prescrive il coinvolgimento dei diversi livelli istituzionali nell'attività di contrasto all'evasione e all'elusione fiscale[12]. Si richiede inoltre che vengano previsti, nel coinvolgimento dei diversi livelli istituzionali nell’attività di contrasto all’evasione e all’elusione fiscale, meccanismi di carattere premiale. Va segnalato che un analogo principio di delega è riportato all’articolo 26;

-        alla lettera e)[13]si domanda che l’attribuzione di risorse autonome agli enti territoriali sia effettuata in relazione alle rispettive competenze, secondo il principio di territorialità e nel rispetto del principio di solidarietàe dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza di cui all'articolo 118 della Costituzione. Si precisa altresì che le risorse derivanti dai tributi e dalle entrate propri di Regioni ed enti locali, dalle compartecipazioni al gettito di tributi erariali e dal fondo perequativo debbono consentire di finanziare integralmente il normale esercizio delle funzioni pubbliche attribuite;

Si ricorda che sia il riferimento esplicito al principio di solidarietà, che appare volto tra l’altro a garantire l’attuazione dell’articolo 2 della Costituzione, sia la garanzia di finanziamento integrale delle funzioni sono frutto del dibattito e delle modificazioni apportate durante l’esame in sede referente nel corso della prima lettura in Senato.

Può essere utile ricordare che all’esercizio ‘normale’ delle funzioni fa riferimento l’art. 119, comma quinto, della Costituzione, in relazione agli interventi speciali e alle risorse aggiuntive che lo Stato può destinare a determinati enti territoriali[14].

-        alla lettera f) siintroduce la nozione di costo e fabbisogno standard: si tratta del costo o fabbisogno che - valorizzando l’efficienza e l’efficacia - costituisce l’indicatore rispetto a cui comparare e valutare l’azione pubblica. Saranno inoltre definiti gli obiettivi di servizio cui devono tendere le amministrazioni regionali e locali nell’esercizio delle funzioni riconducibili ai livelli essenziali delle prestazioni o alle funzioni fondamentali di cui all'articolo 117, secondo comma, lettere m) e p), della Costituzione[15];

-        alla lettera g) si prefigura l’adozione da parte di Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni - per le proprie politiche di bilancio - di regole coerenti con quelle derivanti dall’applicazione del patto di stabilità e crescita;

-        La lettera h) – sostituita dall’articolo 2, comma 6, lettera b), della legge n. 196 del 2009 - prevede i seguenti principi di delega che richiedono:

a)      adozione di regole contabili uniformi e di un comune piano dei conti integrato;

b)      adozione di comuni schemi di bilancio articolati in missioni e programmi coerenti con la classificazione economica e funzionale individuata dagli appositi regolamenti comunitari in materia di contabilità nazionale e relativi conti satellite;

c)      adozione di un bilancio consolidato con le proprie aziende, società o altri organismi controllali, secondo uno schema comune;

d)      affiancamento, a fini conoscitivi, al sistema di contabilità finanziaria di un sistema e di schemi di contabilità economico-patrimoniale ispirati a comuni criteri di contabilizzazione;

e)      raccordabilità dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio degli enti territoriali con quelli adottati in ambito europeo ai fini della procedura per i disavanzi eccessivi;

f)        definizione di una tassonomia per la riclassificazione dei dati contabili e di bilancio per le amministrazioni pubbliche di cui alla presente legge tenute al regime di contabilità civilistica, ai fini del raccordo con le regole contabili uniformi;

g)      definizione di un sistema di indicatori di risultato semplici, misurabili e riferiti ai programmi del bilancio, costruiti secondo criteri e metodologie comuni ai diversi enti territoriali;

h)      individuazione del termine entro il quale regioni ed enti locali devono comunicare al Governo i propri bilanci preventivi e consuntivi, come approvati, e previsione di sanzioni ai sensi dell'articolo 17, comma 1, lettera e), in caso di mancato rispetto di tale termine.

-        alla lettera i), si prevede l'obbligo di pubblicazione su siti internet dei bilanci delle regioni, dei comuni, delle province e delle città metropolitane, tali da riportare in modo semplificato le entrate e le spese pro capite secondo modelli uniformi concordati in sede di Conferenza unificata;

-        alla lettera l) si afferma il principio di salvaguardia dell'obiettivo di non alterare il criterio della progressività del sistema tributario e di rispetto del principio della capacità contributiva ai fini del concorso alle spese pubbliche[16];

-        alla lettera m), si richiede il superamento graduale, per tutti i livelli istituzionali, del sistema imperniato sulla spesa storica, attraverso: la determinazione del fabbisogno standard per il finanziamento dei livelli essenziali di cui all’articolo 117, comma secondo, lettera m) e delle funzioni fondamentali di cui alla lettera p); la perequazione delle differenze di capacità fiscale per le altre funzioni;

Si torna qui a prefigurare il passaggio, evidenziato in sede di relazione illustrativa e dall’art. 1 della legge in commento (v. supra), dalla spesa storica (risorse a favore degli enti decentrati tarati sui livelli attuali di spesa da questi realizzata) alla spesa standardizzata (risorse a favore degli enti decentrati tarate su quella componente di spesa giustificata da fattori strutturali e oggettivi di bisogno, i fabbisogni standard appunto, e non su quella determinata anche da eventuali inefficienze delle singole amministrazioni).

-        alla lettera n), si domanda il rispetto del riparto di competenze legislative fissato dalla Costituzione in materia di coordinamento della finanza pubblica e di sistema tributario;

Il principio di delega in esame appare volto a richiamare l’attenzione del legislatore delegato sui limiti costituzionali - immanenti al sistema, a prescindere dalla norma in esame - della potestà legislativa statale. Quest’ultima, come noto, nella materia de qua è limitata alla determinazione dei principi fondamentali, ai sensi dell’articolo 117, comma terzo della Costituzione. Si ricorda che, ai sensi dell’articolo 117, comma secondo, lettera e), della Costituzione lo Stato ha legislazione esclusiva in materia di sistema tributario e contabile dello Stato e di perequazione delle risorse finanziarie

-        alla lettera o) si chiede l’esclusione della doppia imposizione, ovvero di una seconda imposizione basata sul medesimo presupposto di altra precedente, eccezion fatta per le addizionali previste da legge statale o regionale;

-        alla lettera p), si chiede la ‘tendenziale’ correlazione fra prelievo fiscale e beneficio connesso alle funzioni esercitate sul territorio, per favorire la corrispondenza fra responsabilità finanziaria e responsabilità amministrativa;

Tale principio implica che debba sussistere, di regola, un legame tra il prelievo fiscale e il beneficio fornito ai cittadini dall’ente che percepisce il gettito. In altre parole è un principio diretto a garantire la corrispondenza tra responsabilità finanziaria e amministrativa. Ovvero, in termini tributari, che si realizzi una tendenziale equivalenza tra “cosa tassata” e “cosa amministrata”.

La stessa lettera p) del comma 2 pone il principio della continenza e responsabilità nell'imposizione di tributi propri da parte degli enti territoriali.

A una prima valutazione, il “principio di continenza” ha un contenuto che potrebbe non risultare agevolmente individuabile in fase di attuazione del principio medesimo nell'imposizione di tributi propri;

-        alla lettera q) si chiede che, nel rispetto del divieto di doppia imposizione, l’autonomia impositiva delle regioni si esplichi nella possibilità di istituire con legge regionale tributi propri regionali e tributi locali, per questi ultimi determinando le variazioni delle aliquote e delle agevolazioni che gli enti locali possono applicare. La suddetta autonomia deve essere intesa con riferimento ai tributi locali indicati nella stessa lettera q) del comma 2 in esame[17];

-        alla lettera r) si prevede che la legge regionale possa, inoltre, nel rispetto della normativa comunitaria e nei limiti stabiliti dalla legge statale, valutare la modulazione delle accise sulla benzina, sul gasolio e sul gas di petrolio liquefatto, utilizzati dai cittadini residenti e dalle imprese con sede legale e operativa nelle regioni interessate dalle concessioni di coltivazione di cui all'articolo 19 del D.Lgs. 25 novembre 1996, n. 625[18].

Il richiamato articolo 19 del D.Lgs. 25 novembre 1996, n. 625, recante l’attuazione della direttiva 94/22/CEE relativa alle condizioni di rilascio e di esercizio delle autorizzazioni alla prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi, pone norme in materia di armonizzazione della disciplina sulle aliquote di prodotto della coltivazione;

-        alla lettera s)si chiede altresì che detta autonomia impositiva possa istituire a favore degli enti locali compartecipazioni al gettito dei tributi e delle compartecipazioni regionali;

-        alla lettera t) si esclude che possano essere consentititi interventi sulle basi imponibili e sulle aliquote dei tributi che non siano del proprio livello di governo, eccezion fatta per lo Stato, i cui interventi sui tributi degli enti locali e su quelli di cui all'articolo 7, comma 1, lettera b), numeri 1) e 2), a parità di funzioni amministrative conferite, devono però prevedere la contestuale adozione di misure di carattere integralmente compensativo;

Il richiamato articolo 7, comma 1, lettera b), nn. 1) e 2), fa riferimento ai tributi propri derivati, istituiti e regolati da leggi statali, il cui gettito è attribuito alle regioni e alle aliquote riservate alle regioni a valere sulle basi imponibili dei tributi erariali.

La disposizione da ultimo citata sembra poter formare oggetto di riflessione quanto al coordinamento col disposto della lettera o), che prevede ora espressamente la possibilità di addizionali regionali (v. supra).

Nel caso in cui i predetti interventi si accompagnino a una riduzione di funzioni amministrative dei livelli di governo i cui tributi sono oggetto degli interventi medesimi, la compensazione deve essere effettuata in misura corrispondente alla riduzione delle funzioni.

-        alla lettera u) si chiede l’introduzione di strumenti che assicurino modalità efficienti diaccreditamento diretto o di riversamento automatico del riscosso agli enti titolari del tributo, nonché la previsione che i tributi erariali compartecipati abbiano integrale evidenza contabile nel bilancio dello Stato;

-        alla lettera v)si prefigura l’accesso diretto dei titolari del tributo alle anagrafi utili alle attività di gestione tributaria, con la precisazione che non sono consentite deroghe della normativa a tutela della riservatezza dei dati personali;

-        alla lettera z), si pone il principio di premialità dei comportamenti virtuosi nell’esercizio della potestà tributaria e nella gestione finanziaria ed economica, oltre a richiedersi la previsione di meccanismi sanzionatori per il mancato rispetto degli equilibri economico-finanziari o conseguenti alla mancata garanzia dei livelli essenziali (art. 117, comma secondo, lett. m), della Costituzione) o connessi al mancato esercizio delle funzioni fondamentali (art. 117, comma secondo, lett. p), della Costituzione). Alla prefigurazione del citato meccanismo sanzionatorio si è aggiunta la necessità che siano previste specifiche modalità attraverso cui il Governo, nel caso in cui la regione o l’ente locale non assicuri i livelli essenziali delle prestazioni di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, o l’esercizio delle funzioni fondamentali di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, o qualora gli scostamenti dal patto di convergenza (v. infra, articolo 18) abbiano caratteristiche permanenti e sistematiche, adotta misure sanzionatorie ai sensi dell'articolo 17, comma 1, lettera e), commisurate all'entità di tali scostamenti e che possono comportare l'applicazione di misure automatiche per l'incremento delle entrate tributarie ed extratributarie. Il legislatore delegato dovrà inoltre prevedere che il Governo possa, nei casi più gravi,esercitareil potere sostitutivo di cui all’articolo 120, secondo comma, della Costituzione, secondo quanto disposto dall’articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131, e secondo il principio di responsabilità amministrativa e finanziaria;

-        alla lettera aa)si richiede che anche nel caso di mancato rispetto dei criteri uniformi di redazione dei bilanci, così come predefiniti ai sensi della lettera h), si preveda l'applicazione delle sanzioni di cui alla lettera z) a carico degli enti inadempienti. L’applicazione delle suddette sanzioni è prevista anche per il caso di mancata o tardiva comunicazione dei dati rilevanti ai fini del coordinamento della finanza pubblica;

-        alla lettera bb) si pone il principio della garanzia, nella costituzione di insiemi di tributi e compartecipazioni da attribuire alle regioni e agli enti locali, del mantenimento di un adeguato livello di flessibilità fiscale. I tributi e le compartecipazioni, da attribuire alle regioni e agli enti locali, dovranno essere composti in misura rilevante da tributi manovrabili. Si dovrà inoltre determinare un adeguato grado di autonomia di entrata, derivante da tali tributi, per ciascun livello di governo.

Il principio di flessibilità è menzionato anche da altri articoli: si segnala, in particolare, l'articolo 7, comma 1, lett. c), in materia di tributi regionali, e l'articolo 12, in materia di tributi degli enti locali (v. infra).

-        alla lettera cc) si richiede una adeguata flessibilità fiscale, la quale dovrebbe rispondere alle seguenti caratteristiche:

-          articolazione su più tributi;

-          con una base imponibile stabile;

-          con una base imponibile distribuita in modo tendenzialmente uniforme sul territorio nazionale.

Secondo il principio di delega, una tale base imponibile dovrà consentire a tutti gli enti territoriali, compresi quelli a più basso potenziale fiscale, di finanziare il livello di spesa non riconducibile ai livelli essenziali delle prestazioni e alle funzioni fondamentali;

-        alla lettera dd) si richiede che sia assicurata la trasparenza e l’efficienza delle decisioni di entrata e di spesa, in modo tale da garantire l'effettiva attuazione dei princìpi di efficacia, efficienza ed economicità di cui all'articolo 5, comma 1, lettera b). Quest’ultima disposizione stabilisce che la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica deve proporre criteri per il corretto utilizzo dei fondi perequativi secondo princìpi di efficacia, efficienza e trasparenza, verificandone l'applicazione;

-        alla lettera ee) si richiede che l’imposizione fiscale dello Stato venga ridotta in misura corrispondente alla più ampia autonomia di entrata di regioni ed enti locali che verrà calcolata ad aliquota standard. Alla più ampia autonomia di entrata degli enti territoriali dovrà corrispondere anche una riduzione delle risorse umane e strumentali attualmente utilizzate dallo Stato.

Sempre la lettera ee) richiede che vengano eliminate dal bilancio statale le previsioni di spesa dirette al finanziamento delle funzioni attribuite agli enti territoriali. Non dovranno essere tuttavia eliminate dal bilancio dello Stato le voci di spesa riferite al finanziamento dei fondi perequativi e delle risorse per gli interventi previsti dall'articolo 119, comma quinto, della Costituzione[19].

-        alla lettera ff) si chiede la definizione di una disciplina dei tributi locali tale da consentire ‘anche’ una più piena valorizzazione della sussidiarietà orizzontale;

Il concetto di sussidiarietà orizzontale è ora costituzionalizzato dall’articolo 118, ultimo comma della Costituzione, a mente del quale gli enti costitutivi della Repubblica devono favorire l’autonoma iniziativa dei cittadini, in forma singola o associata, per lo svolgimento di attività di interesse generale.

In base al tenore testuale della norma non appare evidente il tipo di collegamento che il legislatore intende prefigurare fra definizione del sistema tributario locale e favor per l’iniziativa dei cittadini;

-        alla lettera gg), si richiede l’individuazione di strumenti idonei a favorire la piena attuazione degli articoli 29, 30 e 31 della Costituzione, con riguardo ai diritti e alla formazione della famiglia e all'adempimento dei relativi compiti;

-        alla lettera hh) si pone il principio della territorialità dei tributi regionali e locali e della riferibilità al territorio delle compartecipazioni al gettito di tributi erariali, in conformità a quanto previsto dall’articolo 119 della Costituzione[20].

L’articolo 119 della Costituzione, qui richiamato, riferisce il principio di territorialità unicamente alle compartecipazioni degli enti territoriali al gettito dei tributi erariali (v. comma secondo, secondo periodo). Non appare di immediata evidenza il significato della sottolineatura relativa alla territorialità dei tributi regionali e locali;

-        alla lettera ii) si pone il principio di corrispondenza – ancorché solo tendenziale - fra autonomia impositiva e autonomia di gestione delle risorse umane e strumentali e si chiede, inoltre, la previsione di strumenti che consentano autonomia ai diversi livelli di governo nella gestione della contrattazione collettiva;

Nella parte in cui prefigura innovazioni alla disciplina della contrattazione collettiva, la lettera sembrerebbe introdurre un oggetto di delega ulteriore, senza peraltro corredarlo di specifici principi e criteri direttivi.

-        alla lettera ll) si pone il principio di certezza delle risorse e di tendenziale stabilità del quadro di finanziamento, sempre coerentemente alle funzioni attribuite;

-        alla lettera mm) si richiede l’individuazione, in conformità con il diritto comunitario, di forme di fiscalità di sviluppo, con particolare riguardo alla creazione di nuove attività di impresa nelle aree sottoutilizzate;si ricorda che lo sviluppo delle aree sottoutilizzate è tra le finalità della legge in commento, all’articolo 1, comma 1 (cfr. scheda relativa).

La norma sembra definire un ulteriore oggetto di delega, piuttosto che un principio direttivo in senso stretto, relativo all’attuazione dell’articolo 119 della Costituzione (ma v. anche il comma quinto dell’articolo 119, al quale potrebbe in ipotesi essere ricondotta la lettera in esame).


 

Articolo 3
(Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale)

 


1. E' istituita la Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale, composta da quindici senatori e da quindici deputati, nominati rispettivamente dal Presidente del Senato della Repubblica e dal Presidente della Camera dei deputati, su designazione dei gruppi parlamentari, in modo da rispecchiarne la proporzione. Il presidente della Commissione è nominato tra i componenti della stessa dal Presidente del Senato della Repubblica e dal Presidente della Camera dei deputati d’intesa tra loro. La Commissione si riunisce per la sua prima seduta entro venti giorni dalla nomina del presidente, per l’elezione di due vicepresidenti e di due segretari che, insieme con il presidente, compongono l’ufficio di presidenza.

2. L’attività e il funzionamento della Com­missione sono disciplinati da un regolamento interno approvato dalla Commissione stessa prima dell’inizio dei propri lavori.

3. Gli oneri derivanti dall’istituzione e dal funzionamento della Commissione e del Comitato di cui al comma 4 sono posti per metà a carico del bilancio interno del Senato della Repubblica e per metà a carico del bilancio interno della Camera dei deputati. Gli oneri connessi alla partecipazione alle riunioni del Comitato di cui al comma 4 sono a carico dei rispettivi soggetti istituzionali rappresen­tati, i quali provvedono a valere sugli ordinari stanziamenti di bilancio e comunque senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Ai componenti del Comitato di cui al comma 4 non spetta alcun compenso.

4. Al fine di assicurare il raccordo della Commissione con le regioni, le città metropolitane, le province e i comuni, è istituito un Comitato di rappresentanti delle autonomie territoriali, nominato dalla componente rappresentativa delle regioni e degli enti locali nell’ambito della Conferenza unificata. Il Comitato, che si riunisce, previo assenso dei rispettivi Presidenti, presso le sedi del Senato della Repubblica o della Camera dei deputati, è composto da dodici membri, dei quali sei in rappresentanza delle regioni, due in rappresentanza delle province e quattro in rappresentanza dei comuni. La Commissione, ogniqualvolta lo ritenga necessario, procede allo svolgimento di audizioni del Comitato e ne acquisisce il parere.

5. La Commissione:

     a) esprime i pareri sugli schemi dei decreti legislativi di cui all’articolo 2;

     b) verifica lo stato di attuazione di quanto previsto dalla presente legge e ne riferisce ogni sei mesi alle Camere fino alla conclusione della fase transitoria di cui agli articoli 20 e 21. A tal fine può ottenere tutte le informazioni necessarie dalla Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale di cui all’articolo 4 o dalla Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica di cui all’articolo 5;

     c) sulla base dell’attività conoscitiva svolta, formula osservazioni e fornisce al Governo elementi di valutazione utili alla predisposizione dei decreti legislativi di cui all’articolo 2.

6. La Commissione può chiedere ai Presidenti delle Camere una proroga di venti giorni per l’espressione del parere, qualora ciò si renda necessario per la complessità della materia o per il numero di schemi trasmessi nello stesso periodo all’esame della Commissione. Con la proroga del termine per l’espressione del parere si intende prorogato di venti giorni anche il termine finale per l’esercizio della delega. Qualora il termine per l’espressione del parere scada nei trenta giorni che precedono la scadenza del termine finale per l’esercizio della delega o successivamente, quest’ultimo è prorogato di novanta giorni.

7. La Commissione è sciolta al termine della fase transitoria di cui agli articoli 20 e 21.


 

 

L'articolo 3 istituisce la Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale: si tratta di un organo bicamerale cui è demandata una funzione consultiva sugli schemi di decreti legislativi attuativi della delega e una funzione di verifica sullo stato di attuazione della riforma, al fine di riferirne periodicamente alle Camere; la Commissione può altresì formulare osservazioni e fornire al Governo elementi di valutazione ai fini della predisposizione dei decreti legislativi.

L'articolo va letto congiuntamente all'art. 2, commi 3 e seguenti - si veda la relativa scheda di lettura - dove è disciplinata la fase consultiva del procedimento di normazione delegata.

 

La Commissione -ai sensi del comma 1 -è composta da quindici senatori nominati dal Presidente del Senato e da quindici deputati nominati dal Presidente della Camera, in entrambi i casi su designazione dei gruppi parlamentari ed in modo da rispecchiare la proporzione dei gruppi parlamentari[21].

Il Presidente della Commissione bicamerale è nominato tra i componenti della Commissione stessa dai Presidenti della Camera e del Senato, d'intesa tra loro.

La Commissione elegge tra i propri componenti due Vicepresidenti e due Segretari, che insieme con il presidente formano l’Ufficio di Presidenza, eletti nella prima seduta della Commissione la quale si tiene entro 20 giorni dalla nomina del Presidente.

 

I commi 2 e 3 riguardano alcuni aspetti organizzativi dell'attività della Commissione; il primo demanda a un regolamento interno, approvato dalla Commissione prima dell’inizio dei suoi lavori, la disciplina dell'attività e del funzionamento della Commissione stessa, mentre il secondo pone paritariamente a carico dei bilanci interni della Camera e del Senato gli oneri derivanti dall'istituzione e dal funzionamento della Commissione.

 

Il comma 3, prevede anche che gli oneri derivanti dall'istituzione e dal funzionamento del Comitato di cui al successivo comma 4 siano posti paritariamente a carico dei bilanci interni di ciascuna Camera. Viene peraltro precisato che gli oneri connessi alla partecipazione alle riunioni del Comitato stesso sono invece a carico dei rispettivi soggetti istituzionali rappresentati; a tale riguardo si prevede che questi ultimi provvedano a valere sugli ordinari stanziamenti di bilancio e comunque senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. È espressamente escluso che ai componenti del Comitato spetti alcun compenso.

 

Il comma 4 prevede l'istituzione di un Comitato di rappresentanti delle autonomie territoriali[22] al fine di assicurare il raccordo della Commissione con le Regioni, le Città metropolitane, le Province e i Comuni.

I rappresentanti sono dodici: sei in rappresentanza delle Regioni, due in rappresentanza delle Province, quattro in rappresentanza dei Comuni (non sono previsti espressamente rappresentanti delle Città metropolitane).

I componenti sono nominati non dalla Conferenza Unificata, ma dalla "componente rappresentativa delle Regioni e degli enti locali" nel suo ambito.

 

L'espressione - che appare atipica a livello di legislazione primaria - potrebbe essere riferita al ruolo dei rappresentanti di ciascun livello territoriale nella Conferenza che, in questo caso, effettuerebbe la nomina non in quanto unificata, ma attraverso le sue singole componenti.

 

La Conferenza unificata è anche parte dell'intesa di cui all'art. 2, comma 3, è ambito operativo della Commissione tecnica di cui all'art. 4 (comma 4) ed ambito istitutivo della Conferenza permanente di cui all'art. 5 (comma 1).

 

Il medesimo comma 4 detta inoltre alcune norme concernenti il funzionamento del Comitato prevedendo che esso si riunisca, previo assenso dei rispettivi Presidenti, presso le sedi della Camera dei deputati o del Senato della Repubblica, nonché concernenti i suoi rapporti con la Commissione bicamerale, prevedendo che quest'ultima, ogniqualvolta lo ritenga necessario, proceda allo svolgimento di audizioni del Comitato e ne acquisisca il parere.

Il comma 5 individua i compiti della Commissione parlamentare, che:

a)      esprime i pareri sugli schemi dei decreti legislativi di cui all’articolo 2 (articolo che - come detto - contiene più puntuale disciplina della procedura consultiva prevista);

b)      verifica lo stato di attuazione di quanto previsto dal testo normativo qui in esame e ne riferisce ogni sei mesi alle Camere, fino alla conclusione della fase transitoria di cui agli articoli 20 e 21 (momento che, ai sensi del comma 7 determina lo scioglimento della Commissione);

c)      sulla base dell'attività conoscitiva svolta, formula osservazioni e fornisce al Governo elementi di valutazione utili alla predisposizione dei decreti legislativi di cui all'articolo 2.

 

Al fine della verifica sullo stato di attuazione la Commissione può ottenere tutte le informazioni necessarie, sia dalla Commissione paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale (art. 4) sia dalla Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica (art. 5).

 

Ai sensi del comma 6, la Commissione può chiedere ai Presidenti delle Camere una proroga di 20 giorni per l’adozione del parere, qualora ciò si renda necessario per la complessità della materia e per il numero di schemi trasmessi nello stesso periodo all’esame della Commissione. Con la proroga del termine per l’adozione del parere si intende prorogato di 20 giorni anche il termine finale per la delega.

Al comma 6 prevede infine che, qualora il termine fissato per l’espressione del parere parlamentare scada nei trenta giorni che precedono il termine finale per l’esercizio della delega o successivamente[23], quest’ultimo termine sia prorogato di novanta giorni.

 

Il comma 7 dispone infine l’automatico scioglimento della Commissione in coincidenza con la conclusione della fase transitoria prevista dagli articoli 20 e 21 del testo in esame (al cui commento si rinvia).

 


 

Articolo 4
(
Commissione tecnica paritetica per
l’attuazione del federalismo fiscale
)

 


1. Al fine di acquisire ed elaborare elementi conoscitivi per la predisposizione dei contenuti dei decreti legislativi di cui all’articolo 2, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, è istituita, presso il Ministero dell’economia e delle finanze, una Commis­sione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale, di seguito denominata «Commissione», formata da trentadue componenti, due dei quali rappresentanti dell’ISTAT, e, per i restanti trenta componenti, composta per metà da rappresentanti tecnici dello Stato e per metà da rappresentanti tecnici degli enti di cui all’articolo 114, secondo comma, della Costituzione. Parteci­pano alle riunioni della Commissione un rappresentante tecnico della Camera dei deputati e uno del Senato della Repubblica, designati dai rispettivi Presidenti, nonché un rappresentante tecnico delle Assemblee legislative regionali e delle province autonome, designato d’intesa tra di loro nell’ambito della Conferenza dei presidenti dell’Assemblea, dei Consigli regionali e delle province autonome di cui agli articoli 5, 8 e 15 della legge 4 febbraio 2005, n. 11.

2. La Commissione è sede di condivisione delle basi informative finanziarie, economiche e tributarie, promuove la realizzazione delle rilevazioni e delle attività necessarie per soddisfare gli eventuali ulteriori fabbisogni informativi e svolge attività consultiva per il riordino dell’ordinamento finanziario di comu­ni, province, città metropolitane e regioni e delle relazioni finanziarie intergovernative. A tale fine, le amministrazioni statali, regionali e locali forniscono i necessari elementi informativi sui dati finanziari, economici e tributari.

3. La Commissione adotta, nella sua prima seduta, da convocare entro quindici giorni dalla data di entrata in vigore del decreto di cui al comma 1, la tempistica e la disciplina procedurale dei propri lavori.

4. La Commissione opera nell’ambito della Conferenza unificata e svolge le funzioni di segreteria tecnica della Conferenza di cui all’articolo 5 a decorrere dall’istituzione di quest’ultima. Trasmette informazioni e dati alle Camere, su richiesta di ciascuna di esse, e ai Consigli regionali e delle province autonome, su richiesta di ciascuno di essi.


 

 

L’articolo 4 prevede, al comma 1, l’istituzione di un organismo tecnico denominato Commissione tecnicaparitetica per l’attuazione del federalismo fiscale, che avrà, in primo luogo, il compito di acquisire ed elaborare elementi conoscitivi per l’attuazione della delega in materia di autonomia finanziaria degli enti territoriali. L’organismo è istituito presso il Ministero dell’economia e delle finanze con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri da emanarsi entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore delle legge n. 42[24]; peraltro, il successivo comma 4 stabilisce che essa opera nell’ambito della Conferenza unificata Stato-regioni-città e autonomie locali.

Quanto alla composizione della Commissione tecnica, il comma 1 stabilisce che ne fanno parte 32 componenti, dei quali:

§       2 rappresentanti dell’ISTAT[25];

§       15 rappresentanti tecnici dello Stato;

§       15 rappresentanti tecnici degli enti territoriali (individuati mediante richiamo dell’art. 114, secondo comma, della Costituzione, e dunque: Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni).

La locuzione "rappresentanti tecnici" appare suscettibile di interpretazioni non univoche.

 

Partecipano inoltre alle riunioni un rappresentante tecnico della Camera dei deputati e uno del Senato, nominati dai rispettivi Presidenti, e un rappresentante tecnico delle Assemblee legislative regionali e delle Province autonome, designato d’intesa tra di loro nell’ambito della Conferenza dei Presidenti dell’Assemblea, dei Consigli regionali e delle Province autonome.

 

I rappresentanti tecnici dei due rami del Parlamento e quello delle assemblee legislative regionali e provinciali non sono dunque componenti dell’organismo, ma soggetti legittimati a "partecipare alle riunioni" dello stesso, con una ampiezza di funzioni che non appare definita in dettaglio.

 

Va ricordato che il testo originario del disegno di legge governativo prevedeva che l’organismo dovesse essere composto da un numero eguale di rappresentanti tecnici "per ciascuno dei livelli di governo" contemplati dall’articolo 114 della Costituzione, con oneri a carico dei soggetti istituzionali rappresentati.

Nel corso dell'esame parlamentare la composizione della Commissione tecnica era stata rimodulata, prevedendo che fosse composta per metà da rappresentanti tecnici dello Stato e per metà da rappresentanti tecnici degli enti territoriali (individuati mediante richiamo dell’art. 114, comma secondo della Costituzione), conferendo pertanto uno spazio relativamente maggiore ai rappresentanti tecnici dello Stato. Veniva inoltre introdotta la previsione della partecipazione alle riunioni di un rappresentante tecnico della Camera dei deputati e di uno del Senato della Repubblica, nonché di un rappresentante tecnico delle Assemblee legislative regionali e delle Province autonome.

 

Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 3 luglio 2009 (G.U. n. 160 del 13 luglio 2009) è stata istituita la Commissione tecnica paritetica.

 

Per l’istituzione e il funzionamento della Commissione tecnica paritetica e della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica il comma 3 dell’articolo 28 prevede che si possa fare ricorso soltanto alle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente[26].

 

Il comma 2 elenca i compiti della Commissione, che sarà chiamata a:

§       operare quale sede di condivisione delle basi informative finanziarie, economiche e tributarie, sulla base degli elementi informativi forniti dalle amministrazioni statali, regionali e locali; sul punto si veda quanto previsto dal successivo articolo 5, comma 1, lettera e);

§       promuovere la realizzazione delle rilevazioni e delle attività necessarie per soddisfare gli eventuali ulteriori fabbisogni informativi;

§       svolgere attività consultiva per il riordino dell’ordinamento finanziario di Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni e delle relazioni finanziarie intergovernative.

 

Il comma 3 demanda la definizione della tempistica e della disciplina procedurale dei lavori dell’organismo a un’autonoma determinazione della stessa Commissione.

 

Il comma 4 individua nella Conferenza unificata l’ambito operativo della Commissione tecnica paritetica e attribuisce all’organismo le funzioni di segreteria tecnica della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, istituita dal successivo articolo 5 della legge; dovrà inoltre trasmettere informazioni e dati alle Camere, su richiesta di ciascuna di esse, nonché ai Consigli regionali e delle province autonome, su richiesta di ciascuno di essi.

 

Si ricorda che il comma 4, nel testo originario del disegno di legge governativo, recava una clausola "di estinzione" dell’organismo, che era destinato ad operare per un tempo limitato: fino al completamento dell’attuazione della delega.


 

Articolo 5
(
Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica)

 


1. I decreti legislativi di cui all’articolo 2 prevedono l’istituzione, nell’ambito della Conferenza unificata, della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica come organismo stabile di coordinamento della finanza pubblica, di seguito denominata «Conferenza», di cui fanno parte i rappresentanti dei diversi livelli istituzionali di governo, e ne disciplinano il funzionamento e la composizione, secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:

     a) la Conferenza concorre alla definizione degli obiettivi di finanza pubblica per comparto, anche in relazione ai livelli di pressione fiscale e di indebitamento; concorre alla definizione delle procedure per accertare eventuali scostamenti dagli obiettivi di finanza pubblica e promuove l’attivazione degli even­tuali interventi necessari per il rispetto di tali obiettivi, in particolare per ciò che concerne la procedura del Patto di convergenza di cui all’articolo 18; verifica la loro attuazione ed efficacia; avanza proposte per la determi­nazione degli indici di virtuosità e dei relativi incentivi; vigila sull’applicazione dei meccanismi di premialità, sul rispetto dei meccanismi sanzionatori e sul loro funzionamento;

     b) la Conferenza propone criteri per il corretto utilizzo dei fondi perequativi secondo princìpi di efficacia, efficienza e trasparenza e ne verifica l’applicazione;

     c) la Conferenza verifica l’utilizzo dei fondi per gli interventi di cui all’articolo 16;

     d) la Conferenza assicura la verifica periodica del funzionamento del nuovo ordina­mento finanziario di comuni, province, città metropolitane e regioni, ivi compresa la congruità di cui all’articolo 10, comma 1, lettera d); assicura altresì la verifica delle relazioni finanziarie tra i livelli diversi di governo e l’adeguatezza delle risorse finan­ziarie di ciascun livello di governo rispetto alle funzioni svolte, proponendo eventuali modifi­che o adeguamenti del sistema;

     e) la Conferenza verifica la congruità dei dati e delle basi informative finanziarie e tributarie, fornite dalle amministrazioni territoriali;

     f) la Conferenza mette a disposizione del Senato della Repubblica, della Camera dei deputati, dei Consigli regionali e di quelli delle province autonome tutti gli elementi informativi raccolti;

     g) la Conferenza si avvale della Commissione di cui all’articolo 4 quale segreteria tecnica per lo svolgimento delle attività istruttorie e di supporto necessarie; a tali fini, è istituita una banca dati compren­dente indicatori di costo, di copertura e di qualità dei servizi, utilizzati per definire i costi e i fabbisogni standard e gli obiettivi di servizio nonché per valutare il grado di raggiungimento degli obiettivi di servizio;

     h) la Conferenza verifica periodica­mente la realizzazione del percorso di convergenza ai costi e ai fabbisogni standard nonché agli obiettivi di servizio e promuove la conciliazione degli interessi tra i diversi livelli di governo interessati all’attuazione delle norme sul federalismo fiscale, oggetto di confronto e di valutazione congiunta in sede di Conferenza unificata.

2. Le determinazioni della Conferenza sono trasmesse alle Camere.


 

 

L’articolo 5 demanda ai decreti legislativi di cui all’articolo 2 l’istituzione della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, composta, nell’ambito della Conferenza Unificata, dai rappresentanti dei diversi livelli istituzionali di governo e destinata a fungere da organismo stabile di coordinamento della finanza pubblica.

 

In questo caso la legge, in tema di composizione, fa riferimento ai diversi livelli istituzionali "di governo" (v. sopra, all’art. 4, la diversa formulazione in quella sede utilizzata)[27].

 

Alla Conferenza permanente vanno attribuiti, secondo i principi del legislatore delegante (lettere da a) a h)), una pluralità di compiti, riconducibili alle seguenti grandi aree:

1)   obiettivi di finanza pubblica per comparto, rispetto ai quali l’organo concorrerà alla loro definizione, svolgendo anche funzioni di controllo e di proposta (lettera a). L’impulso da parte della Conferenza all'attivazione degli eventuali interventi necessari per il rispetto di tali obiettivi opera in particolare per ciò che concerne la procedura del Patto di convergenza di cui all'articolo 18 (per il quale si rinvia alla scheda relativa);

2)   fondi perequativi, rispetto ai quali spetteranno all’organo funzioni di proposta dei criteri per la corretta utilizzazione e di successiva verifica (lettera b). Tale competenza della Conferenza sembra riguardare sia il fondo perequativo a favore delle regioni – per l'istituzione del quale l’articolo 9 della legge in commento detta principi e criteri direttivi – sia i fondi perequativi a favore dei Comuni e a favore delle province e delle città metropolitane, per l'istituzione del quale è l’articolo 13 della legge n. 42 a dettare principi e criteri direttivi;

3)   interventi speciali ex articolo 119, comma quinto della Costituzione[28], disciplinati dal successivo articolo 16, rispetto ai quali l’organo avrà funzioni di controllo sull’uso degli appositi fondi (lettera c);

4)   funzionamento del nuovo ordinamento finanziario degli enti territoriali e relazioni finanziarie tra i livelli diversi di governo, rispetto ai quali l’organo avrà funzioni di verifica sulla congruità dei tributi presi a riferimento per la copertura del fabbisogno standard relativo alle “spese essenziali” delle Regioni di cui all'articolo 10, comma 1, lettera d), nonché dell’adeguatezza delle risorse finanziarie di ciascun livello di governo rispetto alle funzioni svolte, proponendo eventuali modifiche (lettera d);

5)   dati e basi informative finanziarie e tributarie fornite dalle amministrazioni territoriali, in relazione ai quali spetterà all’organo una verifica di congruità (lettera e). A tale riguardo, si segnala che l'articolo 4, comma 2 fa riferimento a basi informative finanziarie, economiche e tributarie;

6)   realizzazione del percorso di convergenza ai costi e ai fabbisogni standard di cui all'articolo 18 e promozione della conciliazione degli interessi tra i diversi livelli di governo interessati all’attuazione delle norme sul federalismo fiscale e degli obiettivi di servizio, rispetto ai quali spetteranno compiti di verifica periodica (lettera h)).Costi, fabbisogni e obiettivisaranno oggetto di confronto e di valutazione congiunta in sede di Conferenza unificata. Il riferimento agli obiettivi di servizio è connesso alla norma di cui alla lettera f) dell’articolo 2, comma 2, che ha specificato che gli obiettivi di servizio cui devono tendere le amministrazioni territoriali sono quelli riconducibili ai livelli essenziali delle prestazioni da garantirsi in tutto il Paese e alle funzioni fondamentali degli enti locali.

 

Si ricorda che l’articolo 18, prevede il "patto di convergenza", ossia norme di coordinamento dinamico della finanza pubblica volte a realizzare l’obiettivo della convergenza dei costi e dei fabbisogni standard dei vari livelli di governo (v. infra, più diffusamente).

 

La Conferenza mette a disposizione della Camera dei deputati, del Senato della Repubblica, dei Consigli regionali e di quelli delle Province autonome, tutti gli elementi informativi raccolti (lettera f).

Si prevede inoltreche la Conferenza si avvalga della Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale, istituita presso il Ministero dell'economia e delle finanze, quale segreteria tecnica per lo svolgimento delle attività istruttorie e di supporto necessarie (lettera g)). Tale norma va letta congiuntamente all’articolo 4 (v. supra). E’ prevista altresì, a tali fini, l’istituzione di una banca dati comprendente indicatori di costo, di copertura e di qualità dei servizi, utilizzati per definire i costi e i fabbisogni standard e gli obiettivi di servizio, nonché per valutare il grado di raggiungimento degli obiettivi di servizio.

Si ricorda inoltre che, ai sensi dell’articolo 2, la Conferenza permanente è altresì competente alla quantificazione finanziaria degli interventi statali sulle basi imponibili e sulle aliquote riguardanti i tributi degli enti locali, sugli interventi riguardanti i tributi propri derivati delle regioni e sulle aliquote riservate alle regioni a valere sulle basi imponibili dei tributi erariali (cfr. più diffusamente, la scheda di lettura relativa all’articolo 2). Tali interventi, infatti sono ammessi solo previa quantificazione da parte della Conferenza, e solo laddove lo Stato adotti misure per la loro completa compensazione.

 

Il comma 2, dispone che tutte le determinazioni della Conferenza siano trasmesse alle Camere.

 

 


 

Articolo 6
(
Compiti della Commissione parlamentare
di vigilanza sull’anagrafe tributaria
)

 

1. All’articolo 2, primo comma, della legge 27 marzo 1976, n. 60, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «, nonché il compito di effettuare indagini conoscitive e ricerche sulla gestione dei servizi di accertamento e riscossione dei tributi locali, vigilando altresì sui sistemi informativi ad essi riferibili».

 

 

L’articolo 6 attribuisce un nuovo compito alla Commissione parlamentare di vigilanza sull’anagrafe tributaria.

Tale nuova attribuzione pare da collocare, a livello sistematico, nel quadro della nuova fiscalità degli enti territoriali prefigurata dalla legge in esame.

 

In particolare, attraverso una novella all’articolo 2, primo comma, della legge istitutiva (legge 27 marzo 1976, n. 60) si prevede che alla Commissione spetti anche il compito di effettuare indagini conoscitive e ricerche sulla gestione dei servizi di accertamento e riscossione dei tributi locali.

Si ricorda che la Commissione parlamentare di vigilanza sull’anagrafe tributaria (articolo 2 della legge n. 60 del 1976), è composta di undici membri designati dai Presidenti delle due Camere. Essa (articolo 2-bis); effettua indagini e ricerche, tramite consultazioni e audizioni di organismi nazionali e internazionali, per valutare l'impatto delle soluzioni tecniche sugli intermediari incaricati di svolgere servizi fiscali tra contribuenti e amministrazioni, ed esprime un parere sulle attività svolte annualmente dall'anagrafe tributaria e sugli obbiettivi raggiunti nel corso dell'anno.

 

Alla Commissione di vigilanza è stato altresì conferito il compito di vigilare sui sistemi informativi riferibili ai suddetti servizi di accertamento e riscossione dei tributi locali.


 

Articolo 7
(
Princìpi e criteri direttivi relativi ai tributi delle regioni e alle compartecipazioni al gettito dei tributi erariali)

 


1. I decreti legislativi di cui all’articolo 2 disciplinano i tributi delle regioni, in base ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

     a) le regioni dispongono di tributi e di compartecipazioni al gettito dei tributi erariali, in via prioritaria a quello dell’imposta sul valore aggiunto (IVA), in grado di finanziare le spese derivanti dall’esercizio delle funzioni nelle materie che la Costituzione attribuisce alla loro competenza esclusiva e concorrente nonché le spese relative a materie di com­petenza esclusiva statale, in relazione alle quali le regioni esercitano competenze amministrative;

     b) per tributi delle regioni si intendono:

          1) i tributi propri derivati, istituiti e regolati da leggi statali, il cui gettito è attribuito alle regioni;

          2) le addizionali sulle basi imponibili dei tributi erariali;

          3) i tributi propri istituiti dalle regioni con proprie leggi in relazione ai presupposti non già assoggettati ad imposizione erariale;

     c) per i tributi di cui alla lettera b), numero 1), le regioni, con propria legge, possono modificare le aliquote e disporre esenzioni, detrazioni e deduzioni nei limiti e secondo criteri fissati dalla legislazione statale e nel rispetto della normativa comunitaria; per i tributi di cui alla lettera b), numero 2), le regioni, con propria legge, possono introdurre variazioni percentuali delle aliquote delle addizionali e possono disporre detrazioni entro i limiti fissati dalla legislazione statale;

     d) le modalità di attribuzione alle regioni del gettito dei tributi regionali istituiti con legge dello Stato e delle compartecipazioni ai tributi erariali sono definite in conformità al principio di territorialità di cui all’articolo 119 della Costituzione. A tal fine, le suddette modalità devono tenere conto:

          1) del luogo di consumo, per i tributi aventi quale presupposto i consumi; per i servizi, il luogo di consumo può essere identificato nel domicilio del soggetto fruitore finale;

          2) della localizzazione dei cespiti, per i tributi basati sul patrimonio;

          3) del luogo di prestazione del lavoro, per i tributi basati sulla produzione;

          4) della residenza del percettore, per i tributi riferiti ai redditi delle persone fisiche;

     e) il gettito dei tributi regionali derivati e le compartecipazioni al gettito dei tributi erariali sono senza vincolo di destinazione.


 

 

L’articolo 7 detta i principi e i criteri direttivi cui dovranno conformarsi i decreti legislativi in materia di fiscalità regionale.

 

La lettera a) fissa il principio che le regioni dispongono di tributi e di compartecipazioni al gettito erariale, in via prioritaria della compartecipazione al gettito IVA, tali da consentire il finanziamento delle funzioni nelle materie rientranti nella propria competenza legislativa, concorrente ed esclusiva, nonché il finanziamento delle speserelative a materie di competenza esclusiva statale, in relazione alle quali le regioni esercitano competenze amministrative. A tale ultima modifica si connette quella introdotta poi anche all'articolo 8, comma 1, lettera a).

 

Si ricorda che, in base all’articolo 119, comma quarto, della Costituzione le risorse derivanti dai tributi e dalle entrate proprie, dalla compartecipazione al gettito dei tributi erariali e dal fondo perequativo, devono consentire agli enti territoriali di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite.

 

La lettera b) reca il catalogo dei tributi regionali.

 

I tributi regionali sono classificati in:

1.      tributi propri derivati, i quali si caratterizzano per essere istituiti e disciplinati dalla legge statale e il cui gettito è attribuito alle regioni;

2.      addizionali sulle basi imponibili dei tributi erariali;[29] si segnala che a questa modifica del testo è connessa quella all'articolo 8, comma 1, lettera d), alla cui scheda di lettura si rinvia;

3.      tributi propri, istituiti dalle regioni in relazione a presupposti non già assoggettati a imposizione erariale (cfr. sopra, all’articolo 2, il divieto di doppia imposizione).

 

Si ricorda che l’art. 119 della Costituzione, secondo comma, chiarisce che le autonomie territoriali stabiliscono ed applicano “tributi propri”, alle condizioni ivi previste, e dispongono della compartecipazione al gettito di “tributi erariali”, riferibili al loro territorio.

 

La disciplina del sistema tributario statale, nella quale possono farsi rientrare i tributi “erariali”, rientra nella esclusiva competenza dello Stato, secondo quanto previsto dall’art. 117, secondo comma, lettera e). I “tributi propri regionali” sono tali, nell’ottica del nuovo art. 119 Cost., quando siano stabiliti dalle Regioni con propria legge. Al riguardo, la giurisprudenza della Corte costituzionale ha chiarito che, in linea di massima, «non è ammissibile, in materia tributaria, una piena esplicazione di potestà regionali autonome in carenza della fondamentale legislazione di coordinamento dettata dal Parlamento nazionale»; solo per quanto riguarda le limitate ipotesi di tributi propri regionali aventi presupposti diversi da quelli dei tributi statali, la Corte ha riconosciuto sussistere il potere delle Regioni di stabilirli, in forza del quarto comma dell’art. 117 Cost., anche in mancanza di un’apposita legge statale di coordinamento, a condizione, però, che essi, oltre ad essere in armonia con la Costituzione, rispettino anche i princípi dell’ordinamento tributario, ancorché solo “incorporati”, per così dire, in un sistema di tributi sostanzialmente governati dallo Stato (v. sent. 102/2008).

Sui profili di rilievo costituzionale dei "tributi propri della Regione" e dei "tributi (erariali) devoluti" si rinvia, più ampiamente, al dossier "Aspetti di rilievo costituzionale del federalismo fiscale", ottobre 2008, pagg. 7-9 (Servizio studi del Senato, dossier n. 57 - Servizio studi della Camera, documentazioni e ricerche n. 20).

 

Secondo la lettera c), le regioni possono intervenire, con propria legge, suitributipropri derivati previsti da leggi statali (il riferimento è ai tributi regionali di cui alla lettera b), n. 1) modificando le aliquote e prevedendo esenzioni, detrazioni e deduzioni nei limiti e secondo i criteri stabiliti dalla normativa statalee nel rispetto di quella comunitaria[30].

Si prevede inoltre che, per le addizionali sulle basi imponibili dei tributi erariali (di cui alla lettera b), n. 2)), le regioni possano, altresì, modificare con propria legge le percentuali delle aliquote delle addizionali stesse e possano disporre detrazioni entro i limiti fissati dalla normativa statale[31].

 

Si segnala che l’art. 10, lett. b) n. 1, dispone l’obbligo di ridurre le aliquote dei tributi erariali in corrispondenza dell'aumento dei tributi regionali di cui ai punti 1) e 2) in commento.

 

La lettera d) prescrive che le modalità di ripartizione dei tributi propri derivati e delle compartecipazioni a quelli erariali siano individuate in conformità al principio di territorialità di cui all'articolo 119 della Costituzione; specificando poi tale principio, stabilisce che si deve tener conto:

1)      del luogo di consumo per i tributi aventi quale presupposto i consumi, con la precisazione che per i servizi il luogo di consumo può essere identificato nel domicilio del soggetto fruitore finale;

2)      della localizzazione dei cespiti per i tributi basati sul patrimonio;

3)      del luogo di prestazione del lavoro per i tributi basati sulla produzione;

4)      della residenza del percettore per i tributi riferiti ai redditi delle persone fisiche[32].

 

Si ricorda che il principio di territorialità è posto dal ddl in esame anche tra i principi generali della delega (art. 2, lett. hh)), nonché a base dell’attribuzione di beni immobili agli enti territoriali (art. 19, lett. b)).

 

La lettera e) precisa, infine, che ai proventi dei tributi propri derivati e delle compartecipazioni ai tributi erariali non possono essere imposti vincoli di destinazione.

 

L’assenza di vincolo di destinazione è prevista anche dal successivo art. 9, in tema di assegnazione delle quote del fondo perequativo; nonché dall’art. 11, in tema di gettito delle compartecipazioni spettanti agli enti locali.


 

Articolo 8
(
Princìpi e criteri direttivi sulle modalità di esercizio delle competenze legislative e sui mezzi di finanziamento)

 


1. Al fine di adeguare le regole di finan­ziamento alla diversa natura delle funzioni spettanti alle regioni, nonché al principio di autonomia di entrata e di spesa fissato dall’articolo 119 della Costituzione, i decreti legislativi di cui all’articolo 2 sono adottati secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:

     a) classificazione delle spese connesse a materie di competenza legislativa di cui all’articolo 117, terzo e quarto comma, della Costituzione nonché delle spese relative a materie di competenza esclusiva statale, in relazione alle quali le regioni esercitano competenze amministrative; tali spese sono:

          1) spese riconducibili al vincolo dell’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione;

          2) spese non riconducibili al vincolo di cui al numero 1);

          3) spese finanziate con i contributi speciali, con i finanziamenti dell’Unione europea e con i cofinanziamenti nazionali di cui all’articolo 16;

     b) definizione delle modalità per cui le spese riconducibili alla lettera a), numero 1), sono determinate nel rispetto dei costi standard associati ai livelli essenziali delle prestazioni fissati dalla legge statale in piena collaborazione con le regioni e gli enti locali, da erogare in condizioni di efficienza e di appropriatezza su tutto il territorio nazionale;

     c) definizione delle modalità per cui per la spesa per il trasporto pubblico locale, nella determinazione dell’ammontare del finan­ziamento, si tiene conto della fornitura di un livello adeguato del servizio su tutto il territorio nazionale nonché dei costi standard;

     d) definizione delle modalità per cui le spese di cui alla lettera a), numero 1), sono finanziate con il gettito, valutato ad aliquota e base imponibile uniformi, di tributi propri derivati, di cui all’articolo 7, comma 1, lettera b), numero 1), dell’addizionale regionale all’imposta sul reddito delle persone fisiche e della compartecipazione regionale all’IVA nonché con quote specifiche del fondo perequativo, in modo tale da garantire nelle predette condizioni il finanziamento integrale in ciascuna regione; in via transitoria, le spese di cui al primo periodo sono finanziate anche con il gettito dell’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) fino alla data della sua sostituzione con altri tributi;

     e) definizione delle modalità per cui le spese di cui alla lettera a), numero 2), sono finanziate con il gettito dei tributi di cui all’articolo 7, comma 1, lettera b), e con quote del fondo perequativo di cui all’articolo 9;

     f) soppressione dei trasferimenti statali diretti al finanziamento delle spese di cui alla lettera a), numeri 1) e 2), ad eccezione dei contributi erariali in essere sulle rate di ammortamento dei mutui contratti dalle regioni;

     g) definizione delle modalità per cui le aliquote dei tributi e delle compartecipazioni destinati al finanziamento delle spese di cui alla lettera a), numero 1), sono determinate al livello minimo assoluto sufficiente ad assi­curare il pieno finanziamento del fabbisogno corrispondente ai livelli essenziali delle prestazioni, valutati secondo quanto previsto dalla lettera b), in una sola regione; definizione, altresì, delle modalità per cui al finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni nelle regioni ove il gettito tributario è insufficiente concorrono le quote del fondo perequativo di cui all’articolo 9;

     h) definizione delle modalità per cui l’importo complessivo dei trasferimenti statali diretti al finanziamento delle spese di cui alla lettera a), numero 2), fatta eccezione per quelli già destinati al fondo perequativo di cui all’articolo 3, commi 2 e 3, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, e attualmente corrisposti a valere sul gettito dell’IRAP, è sostituito dal gettito derivante dall’aliquota media di equilibrio dell’addizionale regionale all’imposta sul reddito delle persone fisiche. Il nuovo valore dell’aliquota deve essere stabilito sul livello sufficiente ad assicurare al complesso delle regioni un ammontare di risorse tale da pareggiare esattamente l’importo complessivo dei trasferimenti soppressi;

     i) definizione delle modalità per cui agli oneri delle funzioni amministrative eventual­mente trasferite dallo Stato alle regioni, in attuazione dell’articolo 118 della Costituzione, si provvede con adeguate forme di copertura finanziaria coerenti con i princìpi della presente legge e secondo le modalità di cui all’articolo 7 della legge 5 giugno 2003, n. 131, e successive modificazioni.

2. Nelle forme in cui le singole regioni daranno seguito all’intesa Stato-regioni sull’istruzione, al relativo finanziamento si provvede secondo quanto previsto dal presente articolo per le spese riconducibili al comma 1, lettera a), numero 1).

3. Nelle spese di cui al comma 1, lettera a), numero 1), sono comprese quelle per la sanità, l’assistenza e, per quanto riguarda l’istruzione, le spese per lo svolgimento delle funzioni amministrative attribuite alle regioni dalle norme vigenti.


 

 

L'articolo 8 classificale competenze legislative regionali e prevede, in funzione della classificazione, distinte modalità e quantità di finanziamento di tali competenze.

I tre commi di cui si compone vincolano il legislatore delegato a ulteriori limiti che si aggiungono a quelli, generali, di cui all'articolo 2: i limiti ulteriori attengono - come detto - alla natura delle competenze esercitate.

 

Finalità della disposizione è l'adeguamento delle regole di finanziamento alla diversa natura delle funzioni spettanti alle regioni (si ricorda che il testo originario del disegno di legge governativo si riferiva alle "funzioni svolte"[33]), nonché al principio di autonomia di entrata e di spesa (conformemente al testo dell'articolo 119 della Costituzione).

Classificazione delle spese

In particolare, il Governo dovrà classificare (lettera a) le spese connesse a materie di competenza legislativa regionale - concorrente o residuale/generale - nonché le spese relative a materie di competenza esclusiva statale, in relazione alle quali le regioni possono esercitare competenze amministrative (per una norma "simmetrica" si veda la scheda relativa all'articolo 7). La classificazione si basa su una tripartizione (cui si aggiunge una quarta categoria: il trasporto pubblico - cfr. infra):

1.      spese "essenziali";

le spese del primo tipo ("essenziali") sono individuate con riferimento alla lettera m) del secondo comma dell’articolo 117 della Costituzione, che - come noto - assegna alla competenza esclusiva statale la "determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP[34]) concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale".

Il comma 3 si riferisce al comma 1, lettera a), numero 1), qui in esame, nell'ambito del quale comprende le spese per la sanità e per l’assistenza. Per quanto riguarda l'istruzione, sono considerate spese inerenti ai livelli essenziali delle prestazioni quelle destinate allo svolgimento delle funzioni amministrative attribuite alle regioni dalle norme vigenti[35].

Sempre in materia di istruzione, il comma 2 precisa inoltre che, nelle forme in cui le singole regioni daranno seguito all'intesa Stato-regioni sull'istruzione, al relativo finanziamento si provvederà secondo quanto previsto per le spese inerenti ai livelli essenziali delle prestazioni.

 

La menzione diretta delle materie comprese tra quelle "essenziali" potrebbe non necessariamente implicare la loro esaustività: in altre parole non appare univocamente determinabile se le materie indicate (sanità e assistenza nel loro complesso, ed istruzione per la parte indicata) siano un contenuto minimo (ampliabile dal legislatore delegato) o l'esatto contenuto.

 

La formulazione letterale del comma 3 sembrerebbe qualificare come "essenziali" le spese - tutte le spese dovrebbe ritenersi - nelle materie indicate: tutte le spese in materia di sanità sarebbero, in tal modo, ricondotte alla garanzia dei livelli essenziali delle prestazioni, ai sensi dell'articolo 117, comma secondo, della Costituzione. Un simile assunto dovrebbe peraltro essere interpretato alla luce del medesimo articolo 117, terzo comma della Costituzione, che demanda la materia "tutela della salute" alla competenza concorrente di Stato e Regioni. Analoghe considerazioni possono essere formulate con riferimento all'assistenza, materia di competenza residuale delle regioni, e all'istruzione, materia nella quale coesiste una competenza esclusiva dello Stato (sulle "norme generali" ex articolo 117, comma secondo, lett. n) della Costituzione), una competenza concorrente di Stato e regioni (sull'"istruzione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche") e residuale delle regioni (sull'istruzione e formazione professionale). Si ricorda che, allo stato attuale della riflessione e dell'applicazione del riparto di competenze, solo alcune delle prestazioni - e conseguentemente secondo l'impianto della legge in esame delle spese, ad esempio in materia di sanità - sono riconducibili ai livelli essenziali di cui all'art 117, comma secondo lett. m).

Il comma 3 potrebbe essere interpretato nel senso della previa necessità di determinare i livelli essenziali delle prestazioni nell’ambito delle attività in materia di istruzione dai commi 2 e 3; la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni con legge statale e la loro disciplina transitoria è regolata dall'articolo 20, comma 2, alla cu scheda di lettura si rinvia. La previa determinazione dei livelli essenziali con atto legislativo statale è peraltro condizione richiesta dalla giurisprudenza costituzionale[36].

Pare restare di non univoca interpretazione l'eventuale inclusione anche dell'istruzione professionale nella materia istruzione. Alla luce della legge 28 marzo 2003, n. 53 (c.d. Legge "Moratti"), che considera separatamente le materie (es. art. 1, comma 1[37]) sembrerebbe esclusa la competenza (regionale) in tema di istruzione e formazione professionale, che - se fosse vera l'ipotesi - dovrebbe seguire altri percorsi di finanziamento.

2.    spese "non essenziali";

le spese di questo tipo sono individuabili a contrario: sono quindi tutte quelle non riconducibili al primo o al terzo tipo.

3.    spese "speciali" o cofinanziate dall'Unione europea (cfr. art. 16);

le spese del terzo tipo dovrebbero essere distinguibili non per oggetto, ma per fonte di finanziamento (contributi speciali, finanziamenti dell’Unione europea e cofinanziamenti nazionali) e per essere speciali, cioè non dirette a tutte le territorialità, a differenza delle altre che dovrebbero essere dirette a tutte le Regioni.

 

Per il trasporto pubblico cfr. infra.

Il costo "standard"

La lettera b) indica al Governo come quantificare le spese "essenziali" (e, quindi, il finanziamento): il riferimento è ai costi standard associati ai LEP fissati dalla legge statale in piena collaborazione con regioni ed enti locali, da erogarsi in condizioni di efficienza e di appropriatezza su tutto il territorio nazionale.

 

Il "quantum" della spesa "essenziale", sarà dunque determinato in base a due elementi:

1.      la spesa essenziale è la spesa correlata al LEP che la legge statale garantisce (il Governo dunque qui pare vincolato - per rinvio - alla normativa sui LEP);

2.      la spesa è quella dei costi standard da associare ai LEP secondo canoni:

2.1.   di efficienza;

2.2.   di appropriatezza;

2.3.    validità su tutto il territorio nazionale.

Sulla nozione basilare di "costo standard" si rinvia anche alla scheda relativa all'articolo 2. La relazione al d.d.l. afferma che il "costo standard" riflette il fabbisogno reale e non incorpora - a differenza della spesa storica - livelli di inefficienza.

La quantificazione del "costo standard" può essere considerata il primum movens, rispetto a gran parte della catena del finanziamento: esso quantifica la spesa per i LEP, che quantificano l'intervento perequativo. La quantificazione delle entrate viene fatta - ex lett. g) che segue - con riferimento ad " una regione".

Il trasporto pubblico locale

La lettera c) riguarda l’ammontare del finanziamento per la spesa per il trasporto pubblico locale, che va determinato tenendo conto della fornitura di un livello adeguato del servizio su tutto il territorio nazionale, oltre che dei costi standard[38].

 

Disposizioni sul finanziamento del trasporto pubblico locale sono contenute anche nell'articolo 9, comma 1, lettera f), relativo al fondo perequativo per le regioni.

Il finanziamento delle spese "essenziali"

I principi e criteri di cui alle lettere d), e), f), g), h) e i) riguardano il finanziamento delle spese delle prime due categorie sopra viste ("essenziali" e "non essenziali"), nonché la soppressione dei trasferimenti attualmente ad esse correlati[39].

 

Secondo la lettera d) il finanziamento delle spese - nelle predette condizioni - dovrà essere integrale, in ciascuna Regione, per le sole spese "essenziali".

 

Il finanziamento integrale riguarda le spese essenziali valutate in termini di costi standard (lettera b), non a qualsivoglia ammontare (spesa effettiva).

Dal combinato disposto dalle lettere d), b) e h), quindi, spese pur essenziali superiori al costo standard dovrebbero essere a carico delle Regioni con fonti di finanziamento diverse (verosimilmente entrate proprie in senso stretto) da quelle qui sotto considerate.

 

Va sin d'ora segnalato che per le spese "non essenziali" non è prevista pari garanzia di integrale finanziamento dalla lettera e).

 

Le spese essenziali sono finanziate (lettera d)) con il gettito, valutato ad aliquota e a base imponibile uniformi:

1.      di tributi propri derivati di cui all’articolo 7, comma 1, lettera b), numero 1): si tratta - come si è visto (cfr. la relativa scheda di lettura) di tributi propri derivati, i quali si caratterizzano per essere istituiti e disciplinati dalla legge statale e il cui gettito è attribuito alle regioni[40];

2.      dell’addizionale regionale all’IRPEF[41];

Tale fonte di gettito dovrebbe aggiungere all'IRPEF esistente una quota a beneficio delle Regioni: in tale ipotesi, l'onere dei cittadini potrebbe aumentare all'aumento dell'addizionale regionale, fermo restando quello dello Stato.

A tale riguardo, si ricorda che la legge in commento prevede - all'articolo 10, lett. b) n. 1 - la riduzione delle aliquote dei tributi erariali in corrispondenza dell'aumento dei tributi delle Regioni.

3.      della compartecipazione regionale all’IVA;

La compartecipazione all'IVA alimenta anche - ai sensi dell'articolo 9 - il fondo perequativo.

Ciò farebbe ritenere che il meccanismo preveda un (eventuale) primo utilizzo di parte della compartecipazione IVA tale da colmare (insieme con i tributi regionali e con la quota IRPEF i LEP nella regione-obiettivo (o in più d'una: cfr. quanto segue), e poi un ulteriore utilizzo di una seconda parte della compartecipazione IVA in funzione di perequazione.

Se ci si dimensionerà al minimo previsto in tutte le Regioni, meno una, il gettito fiscale non sarà sufficiente a coprire le spese "essenziali". Qui interverrà la perequazione: cfr. n. 4.

4.      di quote specifiche del fondo perequativo;

Al riguardo, la lettera e) dell'articolo 9 impone altresì al Governo di finanziare i LEP nelle Regioni ove il gettito tributario non sia sufficiente, attraverso dette quote del fondo perequativo.

La perequazione - come già visto - interviene a copertura dell'intera spesa "essenziale" nella sua forma standard.

Importanti elementi sulle modalità di perequazione delle spese "essenziali" emergono dall'art. 9, lettera c).

La congruità del gettito tributario preso in considerazione al fine dell'intervento perequativo, è verificato periodicamente ex art. 10, comma 1, lett. d). V. anche l'art. 9, comma 1, lett. e) per quanto concerne la verifica tra preventivo e consuntivo del gettito stesso.

5.      in via transitoria, dell’IRAP, ma solo fino alla data della sua sostituzione con altri tributi.

 

Ai sensi della lettera g) le aliquote (di tributi e compartecipazioni) sono fissate al livello minimo assoluto sufficiente almeno per finanziare pienamente il fabbisogno dei LEP (valutati ai costi standard) in una sola Regione.

La determinazione delle somme da finanziare con tributi regionali verrà quindi operata sulla base del costo ritenuto ottimale, riferito alle spese essenziali e valutato in termini di costo standard, sostenuto dalle Regioni. L’eccedenza di spesa essenziale rispetto al gettito ottenuto in base ai predetti criteri è finanziata dal fondo perequativo di cui all’articolo 9.

La metodologia prevista dalla lettera g) comporta che tutte le Regioni il cui fabbisogno per i LEP risulti superiore a quello della Regione con riferimento alla quale si determina il costo standard, dovranno ricorrere all’utilizzo del fondo perequativo per il finanziamento delle spese essenziali.

Il finanziamento delle spese "non essenziali"

Le spese "non essenziali" non sono valutate ai costi standard, come quelle "essenziali".

La relazione governativa al disegno di legge originario si soffermava sul punto e chiariva le ragioni per cui ciò è "sostanzialmente inapplicabile e quindi sconsigliato", con riferimento alla perequazione integrale, di cui godono le spese "essenziali" ma non quelle qui in esame, posto che per le spese "non essenziali" non sussistono analoghe "preoccupazioni di ordine politico e sociale".

 

Per le spese "non essenziali", come si è anticipato, non è prevista la garanzia di integrale finanziamento. L'importo delle spese "non essenziali" è dunque quello che effettivamente viene sostenuto dalle regioni. Esse sono finanziate - non integralmente - secondo quanto previsto dalla lettera e), da:

1.      tributi di cui all’articolo 7, comma 1, lettera b): si ricorda che l'articolo 7, comma 1, lettera b) prevede, tra i tributi delle regioni: 1. tributi propri derivati, i quali si caratterizzano per essere istituiti e disciplinati dalla legge statale e il cui gettito è attribuito alle regioni; 2. le addizionali sulle basi imponibili dei tributi erariali; 3. tributi propri, istituiti dalle regioni in relazione a presupposti non già assoggettati ad imposizione erariale;

2.      quote del fondo perequativo, di cui all’articolo 9, alla cui scheda si rinvia.

 

A differenza delle spese "essenziali", dunque, quelle non essenziali non godono di riserve e compartecipazioni a grandi tributi statali.

L'art. 20, comma 1, prevede un periodo transitorio di 5 anni in cui superare progressivamente il principio della spesa storica.

 

La lettera h) impone di sostituire i trasferimenti statali diretti al finanziamento delle spese "non essenziali" con il gettito derivante dall’aliquota media di equilibrio dell’addizionale regionale all’IRPEF. Il valore dell’aliquota deve assicurare al complesso delle Regioni lo stesso importo complessivo dei trasferimenti soppressi.

In altre parole, tenuto anche conto di quanto disposto dall’art. 9, lett. a), le regioni per le quali il gettito dell’addizionale determinato dall’applicazione dell’aliquota media è superiore all’ammontare del trasferimento statale soppresso, versano nel fondo perequativo l’eccedenza; le regioni che, invece, si trovano nella situazione opposta (il gettito dell’addizionale è inferiore al trasferimento soppresso) prelevano dal fondo perequativo l’importo mancante.

 

In merito alla misura dell’addizionale regionale si segnala che il relativo gettito, oltre a dover compensare i trasferimenti erariali soppressi ai sensi della lettera h), è utilizzato anche per il finanziamento delle spese essenziali (lettera d)) e delle spese non essenziali (articolo 9, lettera a)).

 

L’addizionale regionale all’IRPEF calcolata all’aliquota media di equilibrio è, tra l’altro, il tributo che finanzia la perequazione delle spese non essenziali (su cui cfr. art. 9).

 

La sostituzione non opera per quanto attiene ai trasferimenti statali già destinati al fondo perequativo di cui all’articolo 3, commi 2 e 3, della legge 28 dicembre 1995, n. 549 e attualmente corrisposti a valere sul gettito IRAP.Quel fondo – computato e finanziato attualmente nell’ambito del gettito dell’IRAP – ha assorbito i trasferimenti erariali che costituivano il primo finanziamento delle regioni a statuto ordinario secondo la legge n. 281 del 1970. Congloba quindi il finanziamento delle spese di funzionamento, di spese per funzioni ora riconducibili ai livelli essenziali delle prestazioni (LEP) e, insieme, di spese per funzioni diverse. La ripartizione di quel fondo fra le regioni conserva i parametri perequativi che la legge n. 281 del 1970 stabiliva in favore delle regioni demograficamente minori e di quelle in cui il reddito medio pro-capite è inferiore al valore della media nazionale.L’esclusione è intesa a conservare quella diversa distribuzione che sarebbe invece assorbita e travolta dalla sua assimilazione alla perequazione stabilita per le spese relative a funzioni non riconducibili ai livelli essenziali delle prestazioni (LEP).

Altri aspetti

La lettera f) dispone la soppressione dei trasferimenti statali diretti al finanziamento delle spese "essenziali" e "non essenziali", fatta eccezione per i contributi erariali in essere sulle rate di ammortamento dei mutui contratti dalle regioni.

 

La lettera i) chiede al Governo di dare adeguate forme di copertura finanziaria (coerenti con i principi della legge) agli oneri per le funzioni amministrative statali che dovessero essere trasferite alle Regioni (ex articolo 118 della Costituzione).

Il testo richiama, a tal fine, le modalità di cui all’articolo 7 della legge 5 giugno 2003, n. 131[42], e successive modificazioni, che utilizzano accordi conclusi in sede di Conferenza unificata e recepiti da disegni di legge "collegati" alla manovra finanziaria per il conferimento di risorse, ma solo "fino alla data di entrata in vigore delle norme relative al nuovo sistema finanziario in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione".

 

La disposizione - anche così modificata - non sembra includere anche la diversa (e per certi versi opposta) ipotesi di attrazione da parte dello Stato di funzioni amministrative altrimenti spettanti ad un livello inferiore, secondo lo schema della "sussidiarietà ascendente", noto anche per la sentenza della Corte costituzionale n. 303/2003 che ha chiarito come le funzioni amministrative, generalmente attribuite ai Comuni, possano essere allocate ad un livello di governo diverso per assicurarne l’esercizio unitario, sulla base dei principî di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza e che, quando l’istanza di esercizio unitario trascende anche l’ambito regionale, la funzione amministrativa può essere esercitata - e disciplinata - dallo Stato.

 

Dei commi 2 e 3 si è detto in precedenza, in questa stessa scheda (cfr. supra).


 

Articolo 9
(
Princìpi e criteri direttivi in ordine alla determinazione dell’entità e del riparto del fondo perequativo a favore delle regioni)

 


1. I decreti legislativi di cui all’articolo 2, in relazione alla determinazione dell’entità e del riparto del fondo perequativo statale di carattere verticale a favore delle regioni, in attuazione degli articoli 117, secondo comma, lettera e), e 119, terzo comma, della Costituzione, sono adottati secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:

     a) istituzione del fondo perequativo a favore delle regioni con minore capacità fiscale per abitante, alimentato dal gettito prodotto da una compartecipazione al gettito dell’IVA assegnata per le spese di cui all’articolo 8, comma 1, lettera a), numero 1), nonché da una quota del gettito del tributo regionale di cui all’articolo 8, comma 1, lettera h), per le spese di cui all’articolo 8, comma 1, lettera a), numero 2); le quote del fondo sono assegnate senza vincolo di destinazione;

     b) applicazione del principio di perequazione delle differenze delle capacità fiscali in modo tale da ridurre adeguatamente le differenze tra i territori con diverse capacità fiscali per abitante senza alterarne l’ordine e senza impedirne la modifica nel tempo conseguente all’evoluzione del quadro economico-territoriale;

     c) definizione delle modalità per cui le risorse del fondo devono finanziare:

          1) la differenza tra il fabbisogno finanziario necessario alla copertura delle spese di cui all’articolo 8, comma 1, lettera a), numero 1), calcolate con le modalità di cui alla lettera b) del medesimo comma 1 dell’articolo 8 e il gettito regionale dei tributi ad esse dedicati, determinato con l’esclusione delle variazioni di gettito prodotte dall’esercizio dell’autonomia tributaria nonché dall’emer­sione della base imponibile riferibile al concorso regionale nell’attività di recupero fiscale, in modo da assicurare l’integrale copertura delle spese corrispondenti al fabbisogno standard per i livelli essenziali delle prestazioni;

          2) le esigenze finanziarie derivanti dalla lettera g) del presente articolo;

     d) definizione delle modalità per cui la determinazione delle spettanze di ciascuna regione sul fondo perequativo tiene conto delle capacità fiscali da perequare e dei vincoli risultanti dalla legislazione intervenuta in attuazione dell’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, in modo da assicurare l’integrale copertura delle spese al fabbisogno standard;

     e) è garantita la copertura del differenziale certificato positivo tra i dati previsionali e l’effettivo gettito dei tributi, escluso il gettito derivante dalla lotta contro l’evasione e l’elusione fiscale, alla regione con riferimento alla quale è stato determinato il livello minimo sufficiente delle aliquote dei tributi ai sensi dell’articolo 8, comma 1, lettere d) e g), tali da assicurare l’integrale finan­ziamento delle spese per i livelli essenziali delle prestazioni; nel caso in cui l’effettivo gettito dei tributi sia superiore ai dati previsionali, il differenziale certificato è acquisito al bilancio dello Stato;

     f) definizione delle modalità per cui le quote del fondo perequativo per le spese di parte corrente per il trasporto pubblico locale sono assegnate in modo da ridurre adeguatamente le differenze tra i territori con diverse capacità fiscali per abitante e, per le spese in conto capitale, tenendo conto del fabbisogno standard di cui è assicurata l’integrale copertura;

     g) definizione delle modalità in base alle quali per le spese di cui all’articolo 8, comma 1, lettera a), numero 2), le quote del fondo perequativo sono assegnate in base ai seguenti criteri:

          1) le regioni con maggiore capacità fiscale, ossia quelle nelle quali il gettito per abitante del tributo regionale di cui all’articolo 8, comma 1, lettera h), supera il gettito medio nazionale per abitante, non ricevono risorse dal fondo;

          2) le regioni con minore capacità fiscale, ossia quelle nelle quali il gettito per abitante del tributo regionale di cui all’articolo 8, comma 1, lettera h), è inferiore al gettito medio nazionale per abitante, partecipano alla ripartizione del fondo perequativo, alimentato da una quota del gettito prodotto nelle altre regioni, in relazione all’obiettivo di ridurre le differenze interregionali di gettito per abitante per il medesimo tributo rispetto al gettito medio nazionale per abitante;

          3) la ripartizione del fondo pere­quativo tiene conto, per le regioni con popolazione al di sotto di una soglia da individuare con i decreti legislativi di cui all’articolo 2, del fattore della dimensione demografica in relazione inversa alla dimensione demografica stessa;

     h) definizione delle modalità per cui le quote del fondo perequativo risultanti dalla applicazione della lettera d) sono distintamente indicate nelle assegnazioni annuali. L’indicazione non comporta vincoli di destinazione.


 

 

L'articolo 9 riguarda la perequazione a favore delle Regioni.

La perequazione a favore degli enti locali è trattata nell'articolo 13.

Profili di perequazione concernenti le autonomie speciali sono trattati nell'articolo 27.

L'articolo 20, comma 1, specie nelle lettere a) e b) (cfr.), prevede una fase di transizione e la gradualità del passaggio per l'applicazione dei criteri definiti - in tema di perequazione - ai sensi dell'articolo 9.

 

Sui profili di rilievo costituzionale della perequazione si rinvia al dossier "Aspetti di rilievo costituzionale del federalismo fiscale", ottobre 2008, pag. 13 e segg. (Servizio studi del Senato, dossier n. 57 - Servizio studi della Camera, documentazioni e ricerche n. 20).

 

L'articolo 9 vincola il legislatore delegato a ulteriori limiti che si aggiungono a quelli, generali, di cui all'articolo 2.

L'alimentazione della perequazione

Il fondo perequativo statale, precisa il comma 1, alinea, èdi carattere verticale[43].

 

La lettera a) istituisce quindi un fondo perequativo statale a favore delle Regioni con minore capacità fiscale pro-capite.

 

L'articolo 119, comma terzo, della Costituzione afferma che il fondo perequativo è destinato ai "territori con minor capacità fiscale per abitante". Il successivo comma quarto impone l'obbligo di integrale finanziamento delle funzioni.

Sui profili di rilievo costituzionale della "capacità fiscale" si rinvia al dossier "Aspetti di rilievo costituzionale del federalismo fiscale", ottobre 2008, pag. 15 (Servizio studi del Senato, dossier n. 57 - Servizio studi della Camera, documentazioni e ricerche n. 20).

 

La lettera d) impone di "tener conto" della capacità fiscale, nella distribuzione. Come si vedrà infra, la perequazione delle spese "non essenziali" si basa sulla minore capacità fiscale, mentre quella per le spese essenziali si basa su un calcolo differenziale tra tributi, aliquote e compartecipazioni dedicate e fabbisogno standard (che certamente risente anche della capacità fiscale).

Alla disposizione costituzionale relativa alla perequazione (art. 119, comma terzo della Costituzione) segue la disposizione costituzionale relativa all'obbligo di integrale finanziamento delle funzioni (art. 119, comma quarto).

 

Il fondo perequativo è alimentato da:

1.      il gettito prodotto da una compartecipazione al gettito IVA (sempre con riguardo alle spese "essenziali");

la compartecipazione all'IVA è anche - ex art. 8 - parte del finanziamento "extra-perequativo" delle spese essenziali.

Ciò farebbe ritenere che il meccanismo preveda un primo utilizzo di parte della compartecipazione IVA tale da colmare (insieme con i tributi regionali e con la quota IRPEF (riserva o addizionale) i LEP nella regione-obiettivo (o in più d'una), e poi un ulteriore utilizzo di una seconda parte della compartecipazione IVA in funzione di perequazione.

2.      una quota del gettito derivante dall’aliquota media di equilibrio dell'addizionale regionale all'IRPEF (per le spese "non essenziali").

 

Con riguardo all'alimentazione della perequazione per la parte che riguarda le spese "non essenziali", va ricordato che la lettera g) dell'articolo in esame (cfr.) prevede che le quote del fondo perequativo, per questa parte, sono alimentate "da una quota del gettito prodotto nelle altre Regioni", diverse da quelle che ne beneficiano.

Criteri per la distribuzione della perequazione

La perequazione, di entrambi i tipi di spesa, è assegnata senza vincolo di destinazione (lettera a)).

 

La lettera b) pone tre limiti all'azione perequativa che va a modificare le differenze territoriali:

1.      che vi sia un'adeguata riduzione delle differenze.

Se ne ricava un vincolo implicito al Governo a non perequare fino all'annullamento delle differenze territoriali. A parte il riferimento a un'adeguata riduzione delle differenze non sembrano emergere ulteriori regole quantitative esplicite sulla distribuzione della perequazione (su base proporzionale, direttamente, indirettamente crescente, decrescente).

L’articolo 9, comma 1, lettera b), pone il principio in via generale; tale principio è poi declinato alla lettera f) per le spese correnti del trasporto pubblico locale, all’articolo 13, comma 1, lettera f) per le spese non fondamentali degli enti locali. E’ questo il criterio per il quale la misura della perequazione non potrà essere ‘integrale’ e colmare interamente le differenze di gettito pro-capite esistenti fra i territori.

2.      che non si alteri l’ordine delle differenze territoriali:

La perequazione deve dunque lasciare immodificata la graduatoria delle differenze territoriali.

Anche in questo caso non pare emergere un'indicazione di ordine quantitativo che guidi l'azione di modifica tra una posizione e l'altra della immodificata graduatoria.

1.      che non si impedisca la modifica nel tempo conseguente all’evoluzione del quadro economico territoriale.

Il vincolo appare connotato in senso negativo: la perequazione non dovrà "congelare" le posizioni relative esistenti (non si tratta, dunque, in questa sede, di promuovere l’evoluzione del quadro economico), pur se non pare agevole configurare precisamente le modalità di conformazione a questo principio/criterio.

La perequazione per le spese "essenziali"

Ai sensi della lettera c) la perequazione deve:

1.      coprire la differenza tra:

1.1.     il fabbisogno delle spese "essenziali", calcolate ai costi standard (il rinvio è alla lettera b) dell'articolo 8, comma 1);

1.2.     il gettito regionale dei tributi ad esse dedicati, determinato escludendo:

1.2.1.      le variazioni di gettito (regionale) prodotte dall’esercizio dell’autonomia tributaria;

1.2.2.      l’emersione della base imponibile riferibile al concorso regionale nell’attività di recupero fiscale.

Non si tratta quindi di un gettito tributario effettivo, ma di un gettito convenzionale: le capacità di recupero dell'evasione fiscale e lo sforzo fiscale di ciascuna regione non andranno a detrimento della perequazione cui ha diritto quella Regione come differenza tra fabbisogno e tributi.

Si ricorda che la perequazione deve coprire integralmente le spese corrispondenti al fabbisogno standard per i LEP (articolo 8, comma 1, lettera a), n. 1)).

La nozione di "fabbisogno standard" emerge - come strumento operativo, in precedenza cfr. art. 2 - per la prima volta in questa sede. Ragionevolmente si può ritenere che esso equivalga a quello di "fabbisogno corrispondente ai LEP, valutati" ai costi standard (art. 8, comma 1, lettera g) in relazione all'art. 10, comma 1, lettera d).

In altri termini è il livello di spesa "essenziale" (al valore standard) il cui finanziamento è riconosciuto a tutte le Regioni.

Il concetto dell'integrale copertura di questa parte di spesa è presente anche in altre parti della legge.

2.      finanziare le esigenze derivanti dalla lettera g), ossia quella derivanti da spese "non LEP"[44].

 

La lettera d) dispone che la partecipazione di ciascuna Regione alla perequazione avvenga non solo tenendo conto delle capacità fiscali (come già osservato l'articolo 119, terzo comma, della Costituzione impone la capacità fiscale per abitante come parametro per la perequazione), ma anche dei vincoli risultanti dalla legislazione statale sui "LEP"[45], in modo da assicurare costantemente (ossia in senso dinamico) l’integrale copertura delle spese al fabbisogno standard;

 

Il senso della disposizione non è ulteriormente specificato, ma esso pare introdurre il peso della legislazione futura sui LEP. Appare ragionevole ritenere che, essendo il quantum dei LEP (e quindi della spesa "essenziale") una scelta politica, le modificazioni della scelta nel tempo incidano correlativamente sul quantum del finanziamento, fermo restando che sarà "integrale" (nel senso "standard" più volte precisato).

 

La lettera h) - in riferimento al meccanismo descritto nella precedente lettera d) per la determinazione delle quote della perequazione - chiede che tali quote di perequazione siano distintamente indicate nelle assegnazioni annuali, senza che ciò comporti vincoli di destinazione.

 

La "distinta indicazione" delle quote di perequazione, dato il riferimento alla lettera d), potrebbe essere riferito alle due componenti: della capacità fiscale e dei vincoli ex lege futura sui LEP. La "distinta indicazione" non vincola la destinazione.

 

La lettera e) garantisce la copertura del differenziale certificato positivotra i dati previsionali e l’effettivo gettito dei tributi "alla" Regione utilizzata come parametro per determinare il livello minimo sufficiente delle aliquote dei tributi che garantisca l’integrale finanziamento delle spese per i LEP delle prestazioni.

 

Si tratta della Regione che - per definizione - non concorre alla perequazione, perché aliquote e compartecipazioni sono state già fissate proprio al livello che garantisce - a quella Regione e non alle altre - la copertura delle spese standard.

A questa regione - che non partecipa alla perequazione - si garantisce tuttavia lo scostamento (certificato) tra previsione di gettito e gettito effettivo.

Potrebbe essere osservato che ad un'operazione simile sono interessate tutte le Regioni (salvo che lo scostamento sia un fatto localizzato solo nella Regione-parametro), altrimenti non vi sarebbe - come impone la legge - "integrale finanziamento". Potrebbe essere altresì ritenuto che ciò venga dato per implicito, ad esempio sulla base di una perequazione che già tiene conto dei dati di gettito effettivo.

Peraltro, l'art. 20, lett. d), sembra porre analoga garanzia di copertura del differenziale tra i dati previsionali ed effettivo gettito dei tributi con riferimento a tutte le Regioni, ma solo durante la fase transitoria.

Sono considerati entrambi i casi di mancata corrispondenza dei dati previsionali all’effettivo gettito dei tributi: quando questo è inferiore – e nella misura non deve tenersi conto dell’eventuale maggiorazione «derivante dalla lotta all’evasione e all'elusione fiscale» - alla regione «con riferimento alla quale è stato determinato il livello minimo sufficiente delle aliquote dei tributi» è comunque assicurato la copertura del differenziale; peraltro, quando il gettito effettivo dovesse rivelarsi maggiore di quello determinato in via previsionale, le maggiori entrate – quale che sia il tributo che le abbia determinate – sono acquisite al bilancio dello Stato.

La perequazione per le spese per il trasporto pubblico locale

Un principio/criterio relativo al trasporto pubblico locale (lett. f)) prevede che le quote del fondo perequativo per le spese per il trasporto pubblico locale siano assegnate in modo da ridurre adeguatamente le differenze tra i territori con diverse capacità fiscali per abitante e, per le spese in conto capitale, tenendo conto del fabbisogno standard.

La perequazione per le spese "non essenziali" - la "capacità fiscale".

La lettera g) disciplina le modalità di perequazione per le spese "non essenziali", sulla base della nozione di "capacità fiscale".

 

La "capacità fiscale" è definita in base al gettito medio nazionale pro-capite dell’addizionale regionale all’IRPEF calcolata all’aliquota media di equilibrio.

L’aliquota media di equilibrio è quella che garantisce un gettito pari ai trasferimenti soppressi (art. 8, lett. h)).

 

Le Regioni al di sopra della media non partecipano alla perequazione (per le spese "non essenziali").

Le Regioni (individuate quindi come quelle con minore capacità fiscale) al di sotto della media partecipano alla perequazione (per le spese "non essenziali").

 

La perequazione (per le spese "non essenziali") è alimentata da una quota del gettito prodotto nelle altre Regioni.

 

Obiettivo della perequazione (per le spese "non essenziali") è la riduzione ( e dunque non l'eliminazione) delle differenze interregionali di gettito pro-capite rispetto al gettito medio nazionale pro-capite.

 

La perequazione (per le spese "non essenziali") dovrà essere - a parità di altre condizioni - maggiore per le Regioni con minor popolazione, ma solo per quelle Regioni al di sotto di una soglia demografica da identificarsi da parte del legislatore delegato[46].

 

 


 

Articolo 10
(Princìpi e criteri direttivi concernenti il finanziamento
delle funzioni trasferite alle regioni
)

 


1. I decreti legislativi di cui all’articolo 2, con riferimento al finanziamento delle funzioni trasferite alle regioni, nelle materie di loro competenza legislativa ai sensi dell’articolo 117, terzo e quarto comma, della Costi­tuzione, sono adottati secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:

     a) cancellazione dei relativi stanzia­menti di spesa, comprensivi dei costi del personale e di funzionamento, nel bilancio dello Stato;

     b) riduzione delle aliquote dei tributi erariali e corrispondente aumento:

          1) per le spese di cui all’articolo 8, comma 1, lettera a), numero 1), dei tributi di cui all’articolo 7, comma 1, lettera b), numeri 1) e 2);

          2) per le spese di cui all’articolo 8, comma 1, lettera a), numero 2), del tributo regionale di cui all’articolo 8, comma 1, lettera h), fatto salvo quanto previsto dall’articolo 27, comma 4;

     c) aumento dell’aliquota della com­partecipazione regionale al gettito dell’IVA destinata ad alimentare il fondo perequativo a favore delle regioni con minore capacità fiscale per abitante ovvero della comparte­cipazione all’imposta sul reddito delle persone fisiche;

     d) definizione delle modalità secondo le quali si effettua la verifica periodica della congruità dei tributi presi a riferimento per la copertura del fabbisogno standard di cui all’articolo 8, comma 1, lettera g), sia in termini di gettito sia in termini di correlazione con le funzioni svolte.


 

 

L'articolo 10 reca i principi e criteri direttivi cui dovranno attenersi i decreti legislativi in materia di finanziamento delle funzioni trasferite alle Regioni. Tali principi e criteri sembrano configurarsi con carattere di specificità rispetto a quelli generali, di cui all'articolo 2.

Si tratta in particolare delle funzioni trasferite nelle materie di cui al terzo e quarto comma dell'articolo 117 della Costituzione, ossia nelle materie rientranti nella competenza legislativa regionale (concorrente e residuale).

 

Le funzioni trasferite comprendono sia spese "essenziali" che "non essenziali".

 

L'articolo sostanzialmente interviene su un duplice piano: da una parte prevedendo che alla soppressione degli stanziamenti di spesa statale e alla riduzione delle imposte statali corrisponda l'aumento delle imposte destinate alla devoluzione e alla perequazione.

 

La norma va letta alla luce dell'articolo 20, comma 1, lettera h), che - oltre a prevedere una verifica della corrispondenza tra le due poste messe in correlazione - dispone anche la <<garanzia >> che la somma del gettito delle nuove entrate regionali qui considerate sia, per il complesso delle regioni, non inferiore al valore degli stanziamenti di bilancio cancellati.Si prevede inoltre una verifica dell’adeguatezza e della congruità delle risorse finanziarie delle funzioni già trasferite.

La lettera a) - quale primo principio e criterio relativo al finanziamento - chiede la cancellazione nel bilancio dello Stato degli stanziamenti di spesa relativi al trasferimento delle funzioni, inclusi i costi del personale e di funzionamento.

 

La lettera b) chiede da una parte la riduzione delle aliquote dei tributi erariali e, dall'altra, il corrispondente aumento:

1.      dei tributi derivati, ovvero i tributi - istituiti e regolati da leggi statali - il cui gettito è devoluto alle Regioni, nonché delle addizionali riservate alla Regioni sulle basi imponibili dei tributi erariali (articolo 7, comma 1, lettera b), n. 1) e 2); per quanto concerne le spese "essenziali"; (di cui all’articolo 8, comma 1, lettera a), n. 1)

2.      dell’addizionale regionale all’IRPEF per le spese "non essenziali", fatto salvo quanto previsto in relazione alla garanzia di finanziamenti aggiuntivi in caso di assegnazione di ulteriori, nuove funzioni (si veda la scheda relativa all'articolo 27, comma 4).

 

La lettera c) prevede l'aumento dell’aliquota della compartecipazione regionale al gettito dell’IVA, ovvero della compartecipazione all’IRPEF.

La compartecipazione IVA - e non quella IRPEF - andrà a finanziare la perequazione a favore delle Regioni con minore capacità fiscale pro-capite.

Si ricorda in proposito che l’articolo 7 del D.Lgs. n. 56 del 2000 aveva istituito il Fondo perequativo nazionale, alimentato dalle compartecipazioni all'IVA ed all'accisa sulla benzina, al fine di consentire che una parte del gettito della compartecipazione all'IVA sia destinata alla realizzazione degli obiettivi di solidarietà interregionale.

 

La lettera d), prevede, quale criterio di esercizio della delega, la definizione delle modalità per verificare, periodicamente, che i tributi presi a riferimento per la copertura del fabbisogno standard per le spese "essenziali" (articolo 8, comma 1, lettera g)) risultino congrui, sia in termini di gettito, sia di correlazione con le funzioni svolte.

Si ricorda in proposito che la verifica di congruità dovrà essere periodicamente effettuata dalla Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, ai sensi di quanto previsto dall’articolo 5, comma 1, lett. d), primo periodo, alla cui scheda di lettura si rinvia.

Si ricorda inoltre che il richiamato articolo 8, comma 1, lettera g), quale criterio direttivo dell’esercizio della delega (in tema di modalità di esercizio delle competenze legislative e mezzi di finanziamento), indica anche la definizione delle modalità per fissare le aliquote di tributi e compartecipazioni destinate a finanziare le spese “essenziali” al livello minimo assoluto sufficiente per finanziare pienamente il fabbisogno dei livelli essenziali delle prestazioni (valutati ai costi standard) in una sola Regione. Per approfondimenti, si veda la relativa scheda di lettura.

 

Il principio/criterio pare preoccuparsi che i tributi (non sono espressamente prese in considerazione le compartecipazioni) che costituiscono la base del finanziamento per la spesa "essenziale" siano stati considerati, al momento della loro valutazione, al fine - tra l'altro - dell'integrazione con la perequazione, in termini congrui e non - ad esempio - sotto o sovrastimati.

Non appaiono indicazioni espresse su come la congruità dei tributi possa essere valutata in correlazione con le funzioni svolte, specie se il tributo non risulti specificamente correlato e specie se le funzioni sono già state valutate al momento della definizione dei LEP.

 

La disposizione in esame identifica, come obiettivo della verifica, la copertura del "fabbisogno standard di cui all’articolo 8, comma 1, lettera g)" lettera che, tuttavia, si riferisce alla precedente lettera b) per la nozione di "standard".

 

 


 

Articolo 11
(
Princìpi e criteri direttivi concernenti il finanziamento delle funzioni di comuni, province e città metropolitane)

 


1. I decreti legislativi di cui all’articolo 2, con riguardo al finanziamento delle funzioni di comuni, province e città metropolitane, sono adottati secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:

     a) classificazione delle spese relative alle funzioni di comuni, province e città metropolitane, in:

          1) spese riconducibili alle funzioni fondamentali ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costitu­zione, come individuate dalla legislazione statale;

          2) spese relative alle altre funzioni;

          3) spese finanziate con i contributi speciali, con i finanziamenti dell’Unione europea e con i cofinanziamenti nazionali di cui all’articolo 16;

     b) definizione delle modalità per cui il finanziamento delle spese di cui alla lettera a), numero 1), e dei livelli essenziali delle prestazioni eventualmente da esse implicate avviene in modo da garantirne il finanzia­mento integrale in base al fabbisogno standard ed è assicurato dai tributi propri, da compartecipazioni al gettito di tributi erariali e regionali, da addizionali a tali tributi, la cui manovrabilità è stabilita tenendo conto della dimensione demografica dei comuni per fasce, e dal fondo perequativo;

     c) definizione delle modalità per cui le spese di cui alla lettera a), numero 2), sono finanziate con il gettito dei tributi propri, con compartecipazioni al gettito di tributi e con il fondo perequativo basato sulla capacità fiscale per abitante;

     d) definizione delle modalità per tenere conto del trasferimento di ulteriori funzioni ai comuni, alle province e alle città metropolitane ai sensi dell’articolo 118 della Costituzione e secondo le modalità di cui all’articolo 7 della legge 5 giugno 2003, n. 131, al fine di assicurare, per il complesso degli enti, l’integrale finanziamento di tali funzioni, ove non si sia provveduto contestualmente al finanziamento ed al trasferimento;

     e) soppressione dei trasferimenti statali e regionali diretti al finanziamento delle spese di cui alla lettera a), numeri 1) e 2), ad eccezione degli stanziamenti destinati ai fondi perequativi ai sensi dell’articolo 13 e dei contributi erariali e regionali in essere sulle rate di ammortamento dei mutui contratti dagli enti locali;

     f) il gettito delle compartecipazioni a tributi erariali e regionali è senza vincolo di destinazione;

     g) valutazione dell’adeguatezza delle dimensioni demografiche e territoriali degli enti locali per l’ottimale svolgimento delle rispettive funzioni e salvaguardia delle peculiarità territoriali, con particolare riferi­mento alla specificità dei piccoli comuni, ove, associandosi, raggiungano una popola­zione complessiva non inferiore a una soglia determinata con i decreti legislativi di cui all’articolo 2, dei territori montani e delle isole minori.


 

 

L'articolo 11 è il primo articolo del Capo III, che riguarda la finanza degli enti locali e concerne in particolare il finanziamento delle funzioni di Comuni, Province e Città metropolitane.

 

L'articolo vincola il legislatore delegato a limiti ulteriori, che si aggiungono a quelli, generali, di cui all'articolo 2.

 

La lettera a), analogamente a quanto operato - per le Regioni - dalla stessa lettera a) dell'art. 8 (cfr. supra), classifica le spese in base a una tripartizione, ovviamente differente da quella "regionale", dove alle spese "essenziali" corrispondono in qualche modo - per gli enti locali - le spese "fondamentali".

La tripartizione è la seguente:

1.      spese "fondamentali";

Le spese del primo tipo ("fondamentali") sono individuate con riferimento alla lettera p) del secondo comma dell’articolo 117 della Costituzione, che - come noto - assegna alla competenza esclusiva statale - tra l'altro - le "funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane" individuate dalla legislazione statale[47];

2.      spese "non fondamentali";

Sono le "altre spese"; la dizione non corrisponde nella forma a quella dell'articolo 8 lettera a), ma la sostanza non dovrebbe differire, consistendo in tutte le spese, tranne quelle del primo e del terzo tipo;

Può qui anticiparsi che - in via transitoria - l'articolo 21, comma 1, lett. e), n. 1) considera in modo forfettario l’80 per cento delle spese come fondamentali ed il 20 per cento di esse come non fondamentali.

3.      spese "speciali" o cofinanziate dall'Unione europea.

Le spese del terzo tipo dovrebbero essere distinguibili non per oggetto, ma per fonte di finanziamento (contributi speciali, finanziamenti dell’Unione europea e cofinanziamenti nazionali) e per essere speciali, cioè non dirette a tutte le territorialità, a differenza delle altre (il riferimento è all'articolo 16, su cui v. infra).

 

La lettera b) riguarda il finanziamento delle spese "fondamentali", ma anche delle "spese "essenziali" da esse eventualmente implicate.

 

La norma impone la garanzia del finanziamento integrale, con riferimento, analogamente all'articolo 8, non a qualsivoglia spesa, ma al "fabbisogno standard".

 

La nozione di "fabbisogno standard" emerge - come strumento operativo - nell'articolo 9, lett. c). Ragionevolmente, si può ritenere correlabile a quello di "fabbisogno corrispondente ai LEP (ma, in questo caso, alle funzioni fondamentali) valutati.." ai costi standard (articolo 8, comma 1, lettera g),in relazione all'articolo 10, comma 1, lettera d)).

In questi termini il "fabbisogno standard" corrisponderebbe al livello di spesa "fondamentale" (al valore "standard") il cui finanziamento è riconosciuto agli enti locali.

Si segnala che il successivo articolo 13, alla lett. c) - nell'identificare uno degli indicatori utilizzati per la perequazione, in particolare quello di fabbisogno finanziario - fa riferimento, tra l'altro, al valore standardizzato della spesa corrente, per individuare la quale si ricorre a una serie di elementi, anche statistici, tra cui la spesa storica. Si ricorda inoltre che l’articolo 2, comma 2, lett. f)determina come “costo e fabbisogno standard” il costo o il fabbisogno obiettivo che, “valorizzando l’efficienza e l’efficacia costituisce l’indicatore rispetto a cui comparare e valutare l’azione pubblica”.

Il finanziamento per le spese "fondamentali" consiste (ma v. anche articolo 12, lett. b) e c)) in:

1.      tributi propri:

2.      compartecipazioni al gettito di tributi erariali (che, ai sensi della successiva lettera f) avviene senza vincolo di destinazione);

3.      compartecipazioni al gettito di tributi regionali (che, ai sensi della successiva lettera f) avviene senza vincolo di destinazione);

4.      addizionali a tributi erariali, la cui manovrabilità tiene conto delle fasce demografiche dei (soli) comuni;

5.      addizionali a tributi regionali, la cui manovrabilità tiene conto delle fasce demografiche dei (soli) comuni;

6.      fondo perequativo, le cui modalità di ripartizione sono regolate dal successivo articolo 13.

 

Come si può notare, a differenza del finanziamento delle spese "non fondamentali" (cfr. lettera c)), l'intervento perequativo non è riferito espressamente alla capacità fiscale per abitante (il riferimento alla capacità fiscale è presente nell'art. 119, terzo comma, della Costituzione).

 

Il confronto con l'articolo 8, che costituisce il corrispondente "regionale" delle disposizioni in esame, evidenzia talune differenze. Rispetto a quella, questa norma non riferisce il finanziamento integrale a "ciascun" ente locale e non prevede espressamente riserve di aliquote.

 

La lettera c) riguarda il finanziamento delle spese "non fondamentali".

 

Il finanziamento consiste:

1.      nel gettito dei tributi propri;

2.      nelle compartecipazioni al gettito di tributi (non specificati, e dunque - potrebbe ritenersi - anche regionali);

3.      nella perequazione (su cui cfr. il successivo articolo 13), basata sulla capacità fiscale "per abitante", coerentemente con la dizione costituzionale dell'articolo 119 (e con gli altri riferimenti del testo in esame alla nozione in questione).

 

Si possono notare talune differenze rispetto al finanziamento delle spese "fondamentali" (cfr. lettera b)):

§       l'intervento perequativo è riferito espressamente alla capacità fiscale;

§       non compare una clausola di garanzia di finanziamento integrale.

 

Si ricorda che l’articolo 2, lettera cc) riconosce agli enti territoriali una adeguata flessibilità fiscale, articolata su più tributi, in modo tale da consentire di finanziare il livello di spesa per funzioni non fondamentali attivando “le proprie potenzialità". Per evitare che il meccanismo possa tradursi in un aumento della pressione fiscale, l’articolo 28, comma 2, lettera b) prevede che i decreti legislativi attuativi della delega debbano individuare meccanismi idonei a garantire la determinazione periodica del limite massimo della pressione fiscale generale e del suo riparto tra i diversi livelli di governo nonché ad evitare aumenti della pressione fiscale complessiva, neppure nella fase transitoria.

                                                                                      

La lettera d) chiede al Governo di tenere conto anche del trasferimento di ulteriori funzioni agli enti locali ai sensi dell’articolo 118 della Costituzione, e con le modalità di cui all’articolo 7 della legge 5 giugno 2003, n. 131 (c.d. “legge La Loggia"), già richiamate dall'articolo 8 alla cui scheda si rinvia, per assicurarne l’integrale finanziamento al complesso degli enti (non per ciascun singolo ente, né - potrebbe ritenersi - per ciascun comparto riferito a Comuni, Province e Città Metropolitane)

La considerazione del trasferimento viene imposta solo qualora non si sia già provveduto al finanziamento al momento del trasferimento di funzioni.

 

La lettera e) dispone la soppressione dei trasferimenti statali e regionali diretti al finanziamento delle spese "fondamentali" e "non fondamentali", escludendo dalla soppressione gli stanziamenti che contengono i fondi destinati alla perequazione, disciplinata - come detto - dall’articolo 13. Sono esclusi dalla soppressione anche i contributi erariali e regionali in essere sulle rate di ammortamento dei mutui contratti dagli enti locali. Sul punto si veda anche la scheda relativa all'articolo 8.

 

La lettera f) precisa - come già in precedenza osservato - che il gettito delle compartecipazioni a tributi erariali e regionali avviene senza vincolo di destinazione.

 

Alla lettera g)si stabilisce il principio in base al quale, nella definizione dei criteri di finanziamento degli enti locali, deve essere data adeguata valutazione ad alcune particolari caratteristiche degli enti, in particolare le dimensioni demografiche e territoriali, ai fini dell’ottimale svolgimento delle rispettive funzioni e della salvaguardia di tali peculiarità territoriali. Il riferimento, in particolare, è alla specificità dei piccoli comuni, dei territori montani e delle isole minori.

In relazione ai criteri di individuazione dei piccoli comuni in favore dei quali potranno essere effettuate valutazioni di tutela delle peculiarità territoriali il testo precisa che deve trattarsi di enti che abbiano scelto di associarsi tra di loro per lo svolgimento i servizi e funzioni comunali, con popolazione pari ad una soglia da definirsi in sede di esercizio della delega.

 

Analoghi riferimenti sono contenuti nell'art. 13, lett. d) e nell'art. 16, lett. c) (cfr.).

 

 


 

Articolo 12
(
Princìpi e criteri direttivi concernenti il coordinamento
e l’autonomia di entrata e di spesa degli enti locali
)

 


1. I decreti legislativi di cui all’articolo 2, con riferimento al coordinamento ed all’au­tonomia di entrata e di spesa degli enti locali, sono adottati secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:

     a) la legge statale individua i tributi propri dei comuni e delle province, anche in sostituzione o trasformazione di tributi già esistenti e anche attraverso l’attribuzione agli stessi comuni e province di tributi o parti di tributi già erariali; ne definisce presupposti, soggetti passivi e basi imponibili; stabilisce, garantendo una adeguata flessibilità, le aliquote di riferimento valide per tutto il territorio nazionale;

     b) definizione delle modalità secondo cui le spese dei comuni relative alle funzioni fondamentali di cui all’articolo 11, comma 1, lettera a), numero 1), sono prioritariamente finanziate da una o più delle seguenti fonti: dal gettito derivante da una comparteci­pazione all’IVA, dal gettito derivante da una compartecipazione all’imposta sul reddito delle persone fisiche, dalla imposizione immobiliare, con esclusione della tassazione patrimoniale sull’unità immobiliare adibita ad abitazione principale del soggetto passivo secondo quanto previsto dalla legislazione vigente alla data di entrata in vigore della presente legge in materia di imposta comunale sugli immobili, ai sensi dell’articolo 1 del decreto-legge 27 maggio 2008, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 126;

     c) definizione delle modalità secondo cui le spese delle province relative alle funzioni fondamentali di cui all’articolo 11, comma 1, lettera a), numero 1), sono priorita­riamente finanziate dal gettito derivante da tributi il cui presupposto è connesso al trasporto su gomma e dalla compartecipa­zione ad un tributo erariale;

     d) disciplina di uno o più tributi propri comunali che, valorizzando l’autonomia tributaria, attribuisca all’ente la facoltà di stabilirli e applicarli in riferimento a particolari scopi quali la realizzazione di opere pubbliche e di investimenti pluriennali nei servizi sociali ovvero il finanziamento degli oneri derivanti da eventi particolari quali flussi turistici e mobilità urbana;

     e) disciplina di uno o più tributi propri provinciali che, valorizzando l’autonomia tributaria, attribuisca all’ente la facoltà di stabilirli e applicarli in riferimento a particolari scopi istituzionali;

     f) previsione di forme premiali per favo­rire unioni e fusioni tra comuni, anche attraverso l’incremento dell’autonomia imposi­tiva o maggiori aliquote di compartecipazione ai tributi erariali;

     g) previsione che le regioni, nell’ambito dei propri poteri legislativi in materia tributaria, possano istituire nuovi tributi dei comuni, delle province e delle città metropolitane nel proprio territorio, specificando gli ambiti di autonomia riconosciuti agli enti locali;

     h) previsione che gli enti locali, entro i limiti fissati dalle leggi, possano disporre del potere di modificare le aliquote dei tributi loro attribuiti da tali leggi e di introdurre agevolazioni;

     i) previsione che gli enti locali, nel rispetto delle normative di settore e delle delibere delle autorità di vigilanza, dispongano di piena autonomia nella fissazione delle tariffe per prestazioni o servizi offerti anche su richiesta di singoli cittadini;

     l) previsione che la legge statale, nell’ambito della premialità ai comuni e alle province virtuosi, in sede di individuazione dei princìpi di coordinamento della finanza pubblica riconducibili al rispetto del patto di stabilità e crescita, non possa imporre vincoli alle politiche di bilancio degli enti locali per ciò che concerne la spesa in conto capitale limitatamente agli importi resi disponibili dalla regione di appartenenza dell’ente locale o da altri enti locali della medesima regione.


 

L'articolo 12 reca principi e criteri direttivi in materia di coordinamento e di autonomia di entrata e di spesa degli enti locali[48], vincolando il legislatore delegato ad ulteriori limiti che si aggiungono a quelli, generali, di cui all'articolo 2.

 

Sui profili di rilievo costituzionale dei "tributi degli enti locali " si rinvia al dossier "Aspetti di rilievo costituzionale del federalismo fiscale", ottobre 2008, pag. 10 (Servizio studi del Senato, dossier n. 57 - Servizio studi della Camera, documentazioni e ricerche n. 20).

 

La lettera a) rimette alla legge statale l'individuazione dei tributi propri dei Comuni e delle Province, con un contenuto minimo che include la definizione di:

§       presupposti;

§       soggetti passivi;

§       basi imponibili;

§       aliquote di riferimento che, valide per tutto il territorio nazionale, garantiscano una adeguata flessibilità (cfr. articolo 2, comma 2, lett. z) e aa)).

Con riferimento a quest'ultimo criterio di flessibilità, viene in rilievo il principio posto dall'articolo 2, comma 2, lettera bb), che sancisce la garanzia - nella costituzione di insiemi di tributi e compartecipazioni da attribuire alle regioni e agli enti locali - del mantenimento di un adeguato livello di flessibilità fiscale, stabilendo che essi dovranno essere composti in misura rilevante da tributi manovrabili; viene inoltre in rilievo il principio di cui al medesimo articolo 2, comma 2, lettera cc), la quale sancisce che la flessibilità fiscale deve essere adeguata e rispondere a specifiche seguenti caratteristiche: secondo quel principio di delega, una tale base imponibile dovrà consentire a tutti gli enti territoriali, compresi quelli a più basso potenziale fiscale, di finanziare il livello di spesa non riconducibile ai livelli essenziali delle prestazioni e alle funzioni fondamentali. In merito al principio di flessibilità fiscale per i tributi regionali, si rinvia a quanto detto sull'articolo 7, comma 1, lettera c).

 

La norma offre altresì alcune opportunità, quali:

§       sostituire tributi già esistenti;

§       trasformare tributi già esistenti;

§       attribuire a Comuni e Province tributi o parti di tributi già erariali.

 

Trattandosi di "tributi propri" degli enti locali l'attribuzione di tributi già erariali potrebbe comportare una novazione della titolarità del tributo, dallo Stato all'ente locale. La compartecipazione a tributi erariali è considerata dalla successiva lettera b).

 

La nozione di "tributo proprio" - per gli enti locali - non sembra poter essere del tutto assimilata a quella di "tributi propri" delle Regioni (in quanto istituiti dalle Regioni stesse), posto che solo queste, al contrario degli enti locali, sono titolari di potestà legislativa ed hanno quindi la possibilità di istituire tributi nel rispetto della riserva di legge sancita dall'articolo 23 della Costituzione.

Peraltro, è lo stesso articolo 119 della Costituzione che usa l'espressione "tributi - ed entrate - propri" anche in riferimento agli enti locali.

 

La disposizione si riferisce a una "legge statale"; in considerazione del contesto normativo in cui ci si muove ( che delega il Governo ad adottare decreti ovviamente dotati di forza e valore di legge) il principio/criterio potrebbe essere ritenuto tale da operare - in negativo - una riserva di "legge (parlamentare) formale", con la possibile conseguenza di escludere l'intervento del Governo, quale legislatore delegato.

 

La successiva lettera g) prevede la possibilità che la Regione, nell’ambito dei propri poteri legislativi in materia tributaria, istituisca - nel territorio regionale di riferimento - nuovi tributi comunali, provinciali e delle Città metropolitane, specificando gli ambiti di autonomia riconosciuti agli enti locali.

 

Come si può notare spetta alla legge statale "individuare" ("anche" preesistenti tributi: e dunque anche nuovi tributi) i tributi locali, mentre la legge regionale può "istituire" (solo) "nuovi tributi" .."nell'ambito dei propri poteri...".

 

La doppia previsione sembra prefigurare un assetto elastico dove - al fine della determinazione fiscale dell'ente locale - la riserva di legge imposta in materia tributaria ex articolo 23 della Costituzione potrebbe essere svolta su un livello doppio (atto statale con forza di legge e legge regionale) o singolo (solo atto statale con forza di legge); l'ambito e la possibilità di un intervento della legge regionale senza il previo intervento di un atto statale con forza di legge, diverso dalla legge n. 42 in commento, potrebbe essere ritenuto di non univoca interpretazione, anche alla luce della qui ipotizzata riserva di legge statale - ex lettera a) - in materia.

Il tema va comunque affrontato alla luce delle disposizioni generali di cui all'articolo 2, in particolare per ciò che riguarda il divieto di doppia imposizione (articolo 2,comma 2, lett. n)).

 

Si segnala che l’articolo 15 reca una disciplina speciale relativa all’attribuzione di tributi alle Città metropolitane: la norma citata dispone che le disposizioni per assicurare il finanziamento delle funzioni delle Città metropolitane, anche mediante l’attribuzione di specifici tributi, siano recate con apposito decreto legislativo. Si rammenta inoltre che l’articolo 23 reca una disciplina transitoria per permettere una “prima” istituzione delle città metropolitane (si vedano le relative schede di lettura).

 

La lettera h) autorizza infine gli enti locali a modificare le aliquote dei tributi loro attribuiti dalle leggi (entro i limiti da queste fissati), nonché a introdurre agevolazioni.

 

La previsione può riconnettersi sia alla precedente, che richiede alle leggi regionali la specificazione degli ambiti di autonomia riconosciuti agli enti locali, sia a quella di cui alla lettera a) che rimette alla legge statale la fissazione delle aliquote di riferimento dei tributi locali valide per tutto il territorio nazionale.

 

Le lettere b), d) ed f) riguardano le entrate dei Comuni.

Le lettere c), ed e) riguardano le entrate delle Province.

 

La lettera b) - che va letta congiuntamente a quella di cui all'articolo 11, comma 1, lett. a) - prevede il finanziamento delle "spese fondamentali" dei Comuni (per le Province cfr. la successiva lettera c)). Il finanziamento avviene, in via prioritaria, con il gettito derivante da una o più delle seguenti fonti:

§       dalla compartecipazione all’IVA;

§       dalla compartecipazione all’IRPEF;

§       dalla imposizione immobiliare, esclusa la tassazione dell'abitazione principale, con riferimento a quanto stabilito dalla legislazione vigente sull'ICI alla data di entrata in vigore del testo qui in esame[49].

 

La lettera d) prevede che il Governo disciplini i c.d. "tributi comunali di scopo" (per i corrispondente tributi provinciali cfr. la successiva lettera e)), qualificati come "tributi propri", i quali possono essere anche più d'uno.

 

Sui profili di rilievo costituzionale dei "tributi di scopo" si rinvia al dossier "Aspetti di rilievo costituzionale del federalismo fiscale", ottobre 2008, pag. 9 (Servizio studi del Senato, dossier n. 57 - Servizio studi della Camera, documentazioni e ricerche n. 20).

 

La norma prevede che il legislatore delegato, valorizzando l'autonomia tributaria, attribuisca al comune la possibilità di stabilire e applicare uno o più tributi riferiti a particolari scopi quali:

1.    la realizzazione di opere pubbliche;

2.    investimenti pluriennali nei servizi sociali;

3.    il finanziamento degli oneri derivanti da eventi particolari quali:

a)      flussi turistici,

b)      mobilità urbana.

 

Si tratta, in tutti i casi elencati, di esemplificazioni. La sostanza che caratterizza il tributo è la sua correlazione con "particolari" elementi, entrambe proprie della struttura - appunto - del tributo di scopo.

 

La lettera f) prevede forme premiali per favorire unioni e fusioni tra Comuni, anche attraverso l’incremento dell’autonomia impositiva o maggiori aliquote di compartecipazione ai tributi erariali.

 

La norma pare profilare la possibilità di conferire - tra l'altro - alle forme di unione tra comuni maggiore autonomia impositiva, che può significare, ad esempio, maggiore spazio di manovra sulla aliquote (anche non compartecipative) in aumento e/o in diminuzione.

Su analogo tema cfr. articolo 11,comma 1, lett. g) e articolo 13, comma 1,lett. d) ed f).

 

La lettera c) prevede il finanziamento prioritariodelle "spese fondamentali" delle Province (per i Comuni cfr. la precedente lettera b)) con:

§       tributi il cui presupposto è connesso al trasporto su gomma, una dizione che evoca quantomeno l'universo delle tasse sull'automobile (non necessariamente quelle sui carburanti); il principio in esame non specifica se si tratti di tributo erariale o provinciale;

§       compartecipazione a un (un solo) tributo erariale[50].

 

La lettera e) prevede che il governo disciplini i c.d. "tributi provinciali di scopo" (per i corrispondenti tributi comunali cfr. la precedente lettera d)). In analogia con quanto previsto per i comuni, (si veda alla lettera d)), dalla formulazione della norma può evincersi la possibilità che la provincia stabilisca e applichi[51] uno o più tributi riferiti a particolari scopi istituzionali.

 

Al contrario che per la fattispecie dedicata ai corrispondenti tributi comunali, non sono previste esemplificazioni. Resta la correlazione del tributo con "particolari" elementi, propri della struttura - appunto - del tributo di scopo.

 

La lettera i) conferisce agli enti locali, nel rispetto delle normative di settore e delle delibere delle autorità di vigilanza, piena autonomia nella fissazione delle tariffe per prestazioni o servizi, anche su quelli offerti a richiesta di singoli cittadini.

 

La lettera l) prevede che nell’ambito della premialità, ai comuni e alle province virtuosi non possano essere imposti, con legge statale, vincoli alle politiche di bilancio per ciò che concerne la spesa in conto capitale, limitatamente ai soli importi di conto capitale resi disponibili dalla regione di appartenenza dell'ente locale o da altri enti locali della medesima regione[52].

La limitazione della misura premiale alle sole spese di conto capitale finanziate con trasferimenti da parte delle regione competente, o da altri enti locali appartenenti alla medesima regione, sembra essere stata introdotta sulla base della considerazione che l’eliminazione di vincoli sull’intero comparto delle spese in conto capitale avrebbe potuto comportare problemi di sostenibilità della spesa, in relazione alle esigenze di tenuta degli obiettivi di finanza pubblica.

 

 


 

Articolo 13
(
Principi e criteri direttivi concernenti l’entità e il riparto dei fondi perequativi per gli enti locali)

 


1. I decreti legislativi di cui all’articolo 2, con riferimento all’entità e al riparto dei fondi perequativi per gli enti locali, sono adottati secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:

     a) istituzione nel bilancio delle regioni di due fondi, uno a favore dei comuni, l’altro a favore delle province e delle città metropolitane, alimentati da un fondo perequativo dello Stato alimentato dalla fiscalità generale con indicazione separata degli stanziamenti per le diverse tipologie di enti, a titolo di concorso per il finanziamento delle funzioni da loro svolte; la dimensione del fondo è determinata, per ciascun livello di governo, con riguardo all’esercizio delle funzioni fondamentali, in misura uguale alla differenza tra il totale dei fabbisogni standard per le medesime funzioni e il totale delle entrate standardizzate di applicazione generale spettanti ai comuni e alle province ai sensi dell’articolo 12, con esclusione dei tributi di cui al comma 1, lettere d) ed e), del medesimo articolo e dei contributi di cui all’articolo 16, tenendo conto dei princìpi previsti dall’articolo 2, comma 2, lettera m), numeri 1) e 2), relativamente al superamento del criterio della spesa storica;

     b) definizione delle modalità con cui viene periodicamente aggiornata l’entità dei fondi di cui alla lettera a) e sono ridefinite le relative fonti di finanziamento;

     c) la ripartizione del fondo perequativo tra i singoli enti, per la parte afferente alle funzioni fondamentali di cui all’articolo 11, comma 1, lettera a), numero 1), avviene in base a:

          1) un indicatore di fabbisogno finanziario calcolato come differenza tra il valore standardizzato della spesa corrente al netto degli interessi e il valore standardizzato del gettito dei tributi ed entrate proprie di applicazione generale;

          2) indicatori di fabbisogno di infra­strutture, in coerenza con la programmazione regionale di settore, per il finanziamento della spesa in conto capitale; tali indicatori tengono conto dell’entità dei finanziamenti dell’Unione europea di carattere infrastrutturale ricevuti dagli enti locali e del vincolo di addizionalità cui questi sono soggetti;

     d) definizione delle modalità per cui la spesa corrente standardizzata è computata ai fini di cui alla lettera c) sulla base di una quota uniforme per abitante, corretta per tenere conto della diversità della spesa in relazione all’ampiezza demografica, alle caratteristiche territoriali, con particolare riferimento alla presenza di zone montane, alle caratteristiche demografiche, sociali e produttive dei diversi enti. Il peso delle caratteristiche individuali dei singoli enti nella determinazione del fabbi­sogno è determinato con tecniche statistiche, utilizzando i dati di spesa storica dei singoli enti, tenendo conto anche della spesa relativa a servizi esternalizzati o svolti in forma associata;

     e) definizione delle modalità per cui le entrate considerate ai fini della standardiz­zazione per la ripartizione del fondo pere­quativo tra i singoli enti sono rappresentate dai tributi propri valutati ad aliquota standard;

     f) definizione delle modalità in base alle quali, per le spese relative all’esercizio delle funzioni diverse da quelle fondamentali, il fondo perequativo per i comuni e quello per le province e le città metropolitane sono diretti a ridurre le differenze tra le capacità fiscali, tenendo conto, per gli enti con popolazione al di sotto di una soglia da individuare con i decreti legislativi di cui all’articolo 2, del fattore della dimensione demografica in relazione inversa alla dimensione demografica stessa e della loro partecipazione a forme associative;

     g) definizione delle modalità per cui le regioni, sulla base di criteri stabiliti con accordi sanciti in sede di Conferenza unificata, e previa intesa con gli enti locali, possono, avendo come riferimento il complesso delle risorse assegnate dallo Stato a titolo di fondo perequativo ai comuni, alle province e alle città metropolitane inclusi nel territorio regionale, procedere a proprie valutazioni della spesa corrente standar­dizzata, sulla base dei criteri di cui alla lettera d), e delle entrate standardizzate, nonché a stime autonome dei fabbisogni di infra­strutture; in tal caso il riparto delle predette risorse è effettuato sulla base dei parametri definiti con le modalità di cui alla presente lettera;

     h) i fondi ricevuti dalle regioni a titolo di fondo perequativo per i comuni e per le province e le città metropolitane del territorio sono trasferiti dalla regione agli enti di competenza entro venti giorni dal loro ricevimento. Le regioni, qualora non prov­vedano entro tale termine alla ridefinizione della spesa standardizzata e delle entrate standardizzate, e di conseguenza delle quote del fondo perequativo di competenza dei singoli enti locali secondo le modalità previste dalla lettera g), applicano comunque i criteri di riparto del fondo stabiliti dai decreti legislativi di cui all’articolo 2 della presente legge. La eventuale ridefinizione della spesa standar­dizzata e delle entrate standardizzate non può comportare ritardi nell’assegnazione delle risorse perequative agli enti locali. Nel caso in cui la regione non ottemperi alle disposizioni di cui alla presente lettera, lo Stato esercita il potere sostitutivo di cui all’articolo 120, secondo comma, della Costituzione, in base alle disposizioni di cui all’articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131.


 

 

L'articolo 13 disciplina l’entità e il riparto della perequazione per gli enti locali.

 

Come la gran parte dell'articolato del testo, anch'esso consta di un unico comma che vincola il legislatore delegato ad ulteriori limiti che si aggiungono a quelli, generali, di cui all'articolo 2.

 

La lettera a) prevede l’istituzione di due fondi perequativi, uno a favore dei comuni, l’altro a favore delle province e delle Città metropolitane, iscritti nel bilancio delle singole regioni ed alimentati attraverso un apposito fondo perequativo dello Stato. Nel fondo perequativo statale è data separata indicazione degli stanziamenti spettanti a comuni, province e città metropolitane, a titolo di concorso per il finanziamento delle funzioni svolte da tali enti.

                                                                              

Viene altresì specificato che il Fondo perequativo dello Stato, che finanzia i fondi perequativi regionali per gli enti locali, è alimentato con le risorse provenienti dalla fiscalità generale, ponendo pertanto l’accento sul carattere verticale della perequazione.

                            

La dimensione del fondo perequativo statale è determinata, per ciascuna tipologia di ente, con riguardo all’esercizio delle funzioni fondamentali, in misura pari alla differenza tra:

§       il totale dei fabbisogni standard per le funzioni fondamentali e;

§       il totale delle entrate standardizzate spettanti ai comuni e alle province.

Il riferimento è a tutte le entrate spettanti agli enti locali come individuate ai sensi dell’articolo 12 (con esclusione dei c.d. tributi propri di scopo comunali e provinciali, cui alle lettere d) ed e), e dei contributi per gli interventi speciali di cui all’articolo 16), valutate ad aliquota standard (cfr. lettera e)).

 

Nella determinazione del fondo perequativo assumono rilevanza i princìpi previsti dall'articolo 2, comma 2, lettera m), numeri 1) e 2), relativamente al superamento del criterio della spesa storica per il finanziamento delle funzioni.

 

La lettera b) concerne l'aggiornamento periodico dell’entità dei fondi di perequazione e la ridefinizione delle relative fonti di finanziamento.

 

La lettera c) prevede che la ripartizione della perequazione tra i singoli enti, con specifico riferimento alle funzioni fondamentali (per le altre funzioni cfr. la successiva lettera f)),avvenga in base a due tipi di indicatori di fabbisogno, uno di carattere finanziario (spesa corrente) ed altri relativi alle infrastrutture (spesa in conto capitale);

§       il primo indicatore è pari al valore standardizzato della spesa corrente (detratta la spesa per interessi) meno il valore standardizzato dei tributi e delle entrate proprie "di applicazione generale"; il calcolo della spesa e delle entrate standard è definito dalle due lettere d)ed e)successive;

§       l'altro indicatore, per il finanziamento della spesa in conto capitale, va stabilito in coerenza con la programmazione regionale di settore e deve tener conto dell’entità dei finanziamenti dell’Unione europea di carattere infrastrutturale ricevuti dagli enti locali e del vincolo di addizionalità cui questi sono soggetti[53].

 

La lettera d) detta le modalità per la definizione della spesa corrente standardizzata ("fabbisogno"), ai fini di cui alla lettera c),che tale nozione - come visto - considera tra gli indicatori che definisce.

Tale spesa è computata sulla base di una quota uniforme pro capite, corretta con una serie di parametri atti a valutare la diversità della spesa da ente a ente. Tali parametri correttivi sono relativi:

§       all’ampiezza demografica;

§       alle caratteristiche territoriali, con particolare riferimento alla presenza di zone montane;

§       alle caratteristiche demografiche, sociali e produttive dei diversi enti.

 

Il peso delle caratteristiche individuali dei singoli enti è determinato con tecniche statistiche, utilizzando i dati di spesa storica dei singoli enti, tenendo conto anche della spesa relativa a servizi esternalizzati o svolti in forma associata.

 

La lettera e) detta le modalità per la definizione delle entrate considerate ai fini della standardizzazione, per la ripartizione del fondo perequativo tra i singoli enti: esse sono rappresentate dai tributi propri valutati ad aliquota standard.

 

La lettera f) concerne i criteri di riparto del fondo perequativo per il finanziamento delle funzioni diverse da quelle fondamentali. L’intervento del fondo perequativo, in tale ambito, è basato sulla capacità fiscale per abitante ed è diretto a ridurre le differenze tra le capacità fiscali dei singoli enti.

Viene peraltro specificato che l’intervento del fondo perequativo per il finanziamento delle spese non fondamentali è previsto per tutti gli enti locali (comuni, province e città metropolitane).

 

Per gli enti locali con minor popolazione (la soglia sarà individuata in sede di esercizio della delega) si deve tener conto :

-        del fattore della dimensione demografica (in relazione inversa);

-        della loro partecipazione a forme associative.

 

Analogamente all'art. 9, lettera g), n. 3 si prevede dunque che la perequazione per le spese "non essenziali" sia - a parità di altre condizioni - maggiore per gli enti con minor popolazione (relazione inversa) nonché - in questo caso con riferimento al solo articolo in esame - per gli enti che più partecipano a forme associative (relazione, quindi, che per non essere esplicitata sembra da intendersi come diretta).

 

La lettera g) prevede un sistema alternativo (rispetto a quello fin qui esaminato) di riparto della perequazione, che le Regioni hanno la possibilità di attivare.

Tale riparto alternativo si sostanzia in una diversa definizione dei suoi parametri (spesa corrente e capitale, entrate), sulla base di criteri risultati da accordi sanciti in Conferenza unificata e previa intesa tra le Regioni e gli enti locali. Sul presupposto di tale collaborazione infraterritoriale, le Regioni, tenuto conto del complesso delle risorse assegnate dallo Stato ai comuni, alle province e alle città metropolitane, che sono inclusi nel territorio regionale, a titolo di perequazione, possono infatti procedere a proprie valutazioni della spesa corrente standardizzata e "corretta" (cfr. lettera d)), delle entrate standardizzate, nonché a stime autonome dei fabbisogni di infrastrutture.

 

La lettera h) fissa un termine di venti giorni per il trasferimento dei fondi perequativi dalle Regioni agli enti locali, decorrenti dal momento in cui le Regioni ricevono tali fondi dallo Stato.

 

Anche in questo caso è specificato che l’intervento delle regioni nella valutazione dei parametri di riparto del fondo perequativo, per la parte afferente alle funzioni fondamentali, è previsto con riferimento a tutti gli enti locali (comuni, province e città metropolitane).

 

E' entro tale termine di 20 giorni che le Regioni possono eventualmente ridefinire i diversi parametri e quindi la diversa distribuzione delle quote del Fondo perequativo, secondo quanto visto sub lettera g). Altrimenti, si applicano comunque i criteri di riparto del fondo stabiliti dai decreti legislativi.

La eventuale ridefinizione - da parte delle Regioni - della spesa standardizzata e delle entrate standardizzate non può quindi comportare ritardi nell’assegnazione delle risorse perequative agli enti locali.

Nel caso in cui la regione non ottemperi alle descritte disposizioni, e non provveda nei termini previsti al trasferimento delle risorse perequative, la norma in esame prevede l’esercizio del potere sostitutivo da parte dello Stato, ai sensi dell’articolo 120, comma secondo, della Costituzione, secondo le disposizioni di cui all’articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131 (c.d. “legge La Loggia”).

 

L’attivazione del potere sostitutivo nei confronti di regioni e province autonome fa capo alle disposizioni dell’articolo 120 della Costituzione e alla disciplina attuativa dettata dall’articolo 8 della legge n. 131/2003 (Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla L.Cost. 18 ottobre 2001, n. 3). La disciplina generale prevede che si esplichi obbligatoriamente una procedura contestativa, seguita eventualmente da un termine monitorio e, solo successivamente, dalla attivazione del potere sostitutivo.

 


 

Articolo 14
(
Attuazione dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione)

 

1. Con la legge con cui si attribuiscono, ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, forme e condizioni particolari di autonomia a una o più regioni si provvede altresì all’assegnazione delle necessarie risorse finanziarie, in conformità all’articolo 119 della Costituzione e ai princìpi della presente legge.

 

 

L’articolo 14[54] riserva alle future leggi di attuazione delle condizioni particolari di autonomia che saranno riconosciute ad una o più regioni in forza del comma terzo dell’articolo 116 della Costituzione, la disciplina delle corrispettive forme e condizioni particolari di finanziamento che si renderanno necessarie; ciò in relazione alle nuove e maggiori funzioni che verranno eventualmente attribuite alle regioni interessate in forza della norma costituzionale suddetta.

 

Si ricorda che l’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, prevede che nelle materie oggetto di legislazione concorrente ed in alcune delle materie riservate alla legislazione esclusiva dello Stato (giustizia di pace; norme generali sull’istruzione; tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali), alle regioni a statuto ordinario possono essere attribuite forme e condizioni particolari di autonomia, sulla base di una specifica procedura legislativa disciplinata dallo stesso comma. Si tratta di quello che è stato definito “regionalismo differenziato” o “regionalismo asimmetrico”, in quanto consente ad alcune Regioni di dotarsi di poteri diversi dalle altre. Dalla sua introduzione, tale procedimento non è stato finora attivato.

 


 

Articolo 15
(
Finanziamento delle città metropolitane)

 


1. Con specifico decreto legislativo, adottato in base all’articolo 2 e in coerenza con i princìpi di cui agli articoli 11, 12 e 13, è assicurato il finanziamento delle funzioni delle città metropolitane mediante l’attribuzione ad esse dell’autonomia impositiva corrispondente alle funzioni esercitate dagli altri enti territoriali e il contestuale definanziamento nei confronti degli enti locali le cui funzioni sono trasferite, anche attraverso l’attribuzione di specifici tributi, in modo da garantire loro una più ampia autonomia di entrata e di spesa in misura corrispondente alla complessità delle medesime funzioni. Il medesimo decreto legislativo assegna alle città metropolitane tributi ed entrate propri, anche diversi da quelli assegnati ai comuni, nonché disciplina la facoltà delle città metropolitane di applicare tributi in relazione al finanziamento delle spese riconducibili all’esercizio delle loro funzioni fondamentali, fermo restando quanto previsto dall’articolo 12, comma 1, lettera d).


 

 

L'articolo 15 è il primo del Capo IV, che il riguarda finanziamento delle Città metropolitane e di Roma capitale.

 

L’articolo in esame prevede[55] l’approvazione di uno specifico decreto legislativo per assicurare il finanziamento delle funzioni delle città metropolitane, anche mediante l’attribuzione di specifici tributi, al fine di garantire a tali enti una più ampia autonomia di entrata e di spesa corrispondentemente alla complessità delle funzioni ad essi attribuite.

Il comparativo "più ampia" sembrerebbe riferito all'autonomia rispetto ad altri tipi di enti locali, in riferimento - come detto - alla evidentemente ritenuta maggiore "complessità delle funzioni".

 

L'articolo prevede specificamente il principio della stessa autonomia impositiva attribuita alle città metropolitane in corrispondenza alle funzioni attualmente esercitate dagli altri enti territoriali ed il contestuale definanziamento degli enti locali (riduzione dei trasferimenti) le cui funzioni sono trasferite alle Città metropolitane.

 

La norma è in connessione con il successivo articolo 23 (cui si rinvia), che introduce una disciplina transitoria riguardo la prima istituzione delle Città metropolitane.

 

Viene altresì specificato che il decreto legislativo è adottato dal Governo, oltre che in base alla delega di cui all’articolo 2 (entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della legge delega), anche coerentemente con i principi di cui agli articoli 11 (finanziamento delle funzioni dei comuni, province e città metropolitane), 12 (coordinamento e autonomia di entrata e di spesa degli enti locali) e 13 (entità e riparto dei fondi perequativi per gli enti locali). In esso saranno contenute disposizioni relative all’assegnazione alle città metropolitane di tributi ed entrate propri, anche diversi da quelli assegnati ai comuni.

Il decreto legislativo dovrà inoltre contenere la disciplina della facoltà delle città metropolitane circa l’applicazione dei tributi in relazione al finanziamento delle spese che possono essere ricondotte all’esercizio delle loro funzioni fondamentali.

Diversamente, dunque, da quanto previsto per i comuni e le province (cfr. l’articolo 11, comma 1, lettera b) e l’articolo 12, comma 1, lettere b) e c)), l’articolo in esame rimette alla facoltà delle città metropolitane la scelta circa i tributi il cui gettito venga destinato al finanziamento delle spese relative alle funzioni fondamentali.

 

In ultimo, la norma precisa che rimangono ferme le disposizioni contenute all’articolo 12, comma 1, lettera d), relativo alla possibilità di istituire, con norma primaria statale, tributi propri comunali c.d. “di scopo” (finalizzati in particolare alla realizzazione di opere pubbliche o al finanziamento di determinate spese legate ai flussi turistici ovvero alla mobilità urbana).

 

Trattandosi di tributi propri dei Comuni, resta da verificare il senso della conferma di una previsione che non riguarda le Città metropolitane.

 


 

Articolo 16
(
Interventi di cui al quinto comma dell’articolo 119 della Costituzione)

 


1. I decreti legislativi di cui all’articolo 2, con riferimento all’attuazione dell’articolo 119, quinto comma, della Costituzione, sono adottati secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:

     a) definizione delle modalità in base alle quali gli interventi finalizzati agli obiettivi di cui al quinto comma dell’articolo 119 della Costituzione sono finanziati con contributi speciali dal bilancio dello Stato, con i finanziamenti dell’Unione europea e con i cofinanziamenti nazionali, secondo il metodo della programmazione pluriennale. I finan­ziamenti dell’Unione europea non possono essere sostitutivi dei contributi speciali dello Stato;

     b) confluenza dei contributi speciali dal bilancio dello Stato, mantenendo le proprie finalizzazioni, in appositi fondi a destinazione vincolata attribuiti ai comuni, alle province, alle città metropolitane e alle regioni;

     c) considerazione delle specifiche realtà territoriali, con particolare riguardo alla realtà socio-economica, al deficit infrastrut­turale, ai diritti della persona, alla collocazione geografica degli enti, alla loro prossimità al confine con altri Stati o con regioni a statuto speciale, ai territori montani e alle isole minori, all’esigenza di tutela del patrimonio storico e artistico ai fini della promozione dello sviluppo economico e sociale;

     d) individuazione di interventi diretti a promuovere lo sviluppo economico, la coesione delle aree sottoutilizzate del Paese e la solidarietà sociale, a rimuovere gli squilibri economici e sociali e a favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona; l’azione per la rimozione degli squilibri strutturali di natura economica e sociale a sostegno delle aree sottoutilizzate si attua attraverso interventi speciali organizzati in piani organici finanziati con risorse pluriennali, vincolate nella destinazione;

     e) definizione delle modalità per cui gli obiettivi e i criteri di utilizzazione delle risorse stanziate dallo Stato ai sensi del presente articolo sono oggetto di intesa in sede di Conferenza unificata e disciplinati con i provvedimenti annuali che determinano la manovra finanziaria. L’entità delle risorse è determinata dai medesimi provvedimenti.


 

 

L’articolo 16 reca i principi e criteri direttivi a cui dovranno conformarsi i decreti legislativi attuativi dell’art. 119, quinto comma, della Costituzione.

 

In base alla disposizione costituzionale citata, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni, al fine di promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni.

Si ricorda che la disciplina dell’utilizzazione delle risorse aggiuntive e dell’effettuazione degli interventi speciali di cui all’art. 119, quinto comma, Cost. è inclusa dall’art. 1 (cfr. la relativa scheda) tra i contenuti necessari della legge in esame[56].

 

I principi e criteri direttivi a cui si deve attenere il legislatore delegato sono i seguenti:

a)      definizione delle modalità per cui gli interventi sopra citati saranno finanziati con contributi speciali del bilancio statale, con finanziamenti dell’Unione europea e con cofinanziamenti nazionali secondo il metodo della programmazione pluriennale. Viene altresì specificato che i finanziamenti comunitari non possono essere sostitutivi dei contributi speciali dello Stato.

Attualmente, sono ascrivibili a questa categoria di interventi economici i Fondi Strutturali Europei (destinati ad aree geografiche individuate a livello comunitario)[57] ed il FAS (Fondo per le aree sottoutilizzate)[58];

b)     confluenza dei contributi statali speciali in appositi fondi a destinazione vincolata attribuiti ai comuni, alle province, alle città metropolitane e alle regioni, fermo restando il vincolo finalistico di tali contributi.

Al riguardo si ricorda che il “vincolo finalistico” è considerato legittimo dalla giurisprudenza costituzionale sulla base della lettura dell’art. 119, quinto comma, Cost. In altre aree dell’intervento disposto con il testo in esame, è invece esclusa la possibilità del “vincolo di destinazione”;

c)      considerazione delle specificità territoriali, del deficit infrastrutturale, dei diritti della persona, della collocazione geografica degli enti, della loro prossimità al confine con altri Stati o con Regioni ad autonomia speciale[59], del carattere montano dei territori[60], della specificità delle isole minori[61] e dell'esigenza di tutela del patrimonio storico e artistico ai fini della promozione dello sviluppo economico e sociale;

d)     individuazione di interventi diretti a promuovere lo sviluppo economico, la coesione delle aree sottoutilizzate del Paese e la solidarietà sociale, nonché a rimuovere gli squilibri economico-sociali e a favorire l’esercizio effettivo dei diritti della persona[62].

Viene altresì specificato che l'azione per la rimozione degli squilibri strutturali di natura economica e sociale a sostegno delle aree sottoutilizzate si attua attraverso interventi speciali organizzati in piani organici finanziati con risorse pluriennali, vincolate nella destinazione;

e)      previsione di apposite intese in sede di Conferenza unificata (sede congiunta della Conferenza Stato-Regioni e della Conferenza Stato-Città ed autonomie locali) e rinvio della disciplina di dettaglio (compresi i criteri di utilizzazione delle risorse) ai provvedimenti annuali della manovra finanziaria. È altresì rimessa ai suddetti provvedimenti anche la determinazione dell’entità delle risorse stanziate.

 


 

Articolo 17
(
Coordinamento e disciplina fiscale dei diversi livelli di governo)

 


1. I decreti legislativi di cui all’articolo 2, con riguardo al coordinamento e alla disciplina fiscale dei diversi livelli di governo, sono adottati secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:

     a) garanzia della trasparenza delle diverse capacità fiscali e delle risorse complessive per abitante prima e dopo la perequazione, in modo da salvaguardare il principio dell’ordine della graduatoria delle capacità fiscali e la sua eventuale modifica a seguito dell’evoluzione del quadro economico territoriale;

     b) rispetto degli obiettivi del conto consuntivo, sia in termini di competenza sia di cassa, per il concorso all’osservanza del patto di stabilità e crescita per ciascuna regione e ciascun ente locale; determinazione dei parametri fondamentali sulla base dei quali è valutata la virtuosità dei comuni, delle province, delle città metropolitane e delle regioni, anche in relazione ai meccanismi premiali o sanzionatori dell’autonomia finanziaria;

     c) assicurazione degli obiettivi sui saldi di finanza pubblica da parte delle regioni che possono adattare, previa concertazione con gli enti locali ricadenti nel proprio territorio regionale, le regole e i vincoli posti dal legislatore nazionale, differenziando le regole di evoluzione dei flussi finanziari dei singoli enti in relazione alla diversità delle situazioni finanziarie esistenti nelle diverse regioni;

     d) individuazione di indicatori di effi­cienza e di adeguatezza atti a garantire adeguati livelli qualitativi dei servizi resi da parte di regioni ed enti locali;

     e) introduzione di un sistema premiante nei confronti degli enti che assicurano elevata qualità dei servizi e livello della pressione fiscale inferiore alla media degli altri enti del proprio livello di governo a parità di servizi offerti, ovvero degli enti che garantiscono il rispetto di quanto previsto dalla presente legge e partecipano a progetti strategici mediante l’assunzione di oneri e di impegni nell’interesse della collettività nazionale, ivi compresi quelli di carattere ambientale, ovvero degli enti che incentivano l’occupa­zione e l’imprenditorialità femminile; introdu­zione nei confronti degli enti meno virtuosi rispetto agli obiettivi di finanza pubblica di un sistema sanzionatorio che, fino alla dimostrazione della messa in atto di provvedimenti, fra i quali anche l’alienazione di beni mobiliari e immobiliari rientranti nel patrimonio disponibile dell’ente nonché l’attivazione nella misura massima dell’auto­nomia impositiva, atti a raggiungere gli obiettivi, determini il divieto di procedere alla copertura di posti di ruolo vacanti nelle piante organiche e di iscrivere in bilancio spese per attività discrezionali, fatte salve quelle afferenti al cofinanziamento regionale o dell’ente locale per l’attuazione delle politiche comunitarie; previsione di meccanismi automatici sanzionatori degli organi di governo e amministrativi nel caso di mancato rispetto degli equilibri e degli obiettivi economico-finanziari assegnati alla regione e agli enti locali, con individuazione dei casi di ineleggibilità nei confronti degli amministratori responsabili degli enti locali per i quali sia stato dichiarato lo stato di dissesto finanziario di cui all’articolo 244 del citato testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, oltre che dei casi di interdizione dalle cariche in enti vigilati o partecipati da enti pubblici. Tra i casi di grave violazione di legge di cui all’articolo 126, primo comma, della Costituzione, rientrano le attività che abbiano causato un grave dissesto nelle finanze regionali.


 

 

L’articolo 17 reca i principi e criteri direttivi con riguardo al coordinamento e alla disciplina fiscale dei diversi livelli di governo, ai fini dell’adozione dei decreti legislativi di cui all'articolo 2.

In particolare, la lettera a) introduce il principio della garanzia della trasparenza delle diverse capacità fiscali e delle risorse complessive per abitante prima e dopo la perequazione, in modo da salvaguardare il principio dell'ordine della graduatoria delle capacità fiscali e la flessibilità di esse in base all'evoluzione del quadro economico territoriale.

 

I principi di salvaguardia dell’ordine della graduatoria delle capacità fiscali e della flessibilità delle stesse capacità fiscali sono esplicitati tra i criteri posti dall’articolo 9, comma 1, lett. b) della legge, relativo al riparto del fondo perequativo a favore delle regioni. Tale principio è volto ad impedire che dalla perequazione derivi una modifica delle capacità fiscali per abitante ovvero un impedimento alla modifica delle stesse secondo l’evoluzione del quadro economico-territoriale.

 

Le successive lettere da b) ad e) recano una serie di principi volti ad assicurare il rispetto degli obiettivi sui saldi di finanza pubblica da parte delle regioni e degli enti locali.

A tale riguardo, la lettera b) introduce il principio del rispetto degli obiettivi del conto consuntivo - sia in termini di competenza sia di cassa - a garanzia dell'osservanza del Patto di stabilità e crescita da parte di ciascuna regione e ciascun ente locale. In particolare viene precisato che il patto di stabilità considerato dalla norma, la cui osservanza deve essere garantita da regioni ed enti locali, è quello rilevante a livello europeo, vale a dire il Patto di stabilità e crescita[63].

Sul punto si ricorda che l’articolo 2, comma 2, lett. g), prevede, quale criterio direttivo generale, l’adozione, per le politiche di bilancio di regioni, città metropolitane, province e comuni, di regole coerenti con quelle derivanti dall'applicazione del patto di stabilità e crescita.

 

È prevista inoltre la determinazione di parametri sulla base dei quali valutare la virtuosità delle regioni e degli enti locali (comuni, province, città metropolitane), anche in relazione ai meccanismi premiali o sanzionatori connessi all'autonomia finanziaria.

 

La lettera c)prevede l’assegnazione di uno specifico ruolo alle regioni, a garanzia del raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica da parte del comparto degli enti locali ricompresi nel territorio del regione stessa.

A tal fine la norma prevede che le regioni possano intervenire, previa concertazione con gli enti locali ricadenti nel proprio territorio regionale, al fine di adattare le regole e i vincoli posti dal legislatore nazionale, differenziando le regole di evoluzione dei flussi finanziari dei singoli enti in relazione alla diversità delle situazioni finanziarie esistenti nelle diverse regioni, fermo restando il raggiungimento degli obiettivi sui saldi di finanza pubblica relativi al complesso degli enti locali ricadenti nel territorio della regione stessa.

 

La lettera d)prevede l’individuazione di indicatori di efficienza e adeguatezza idonei a garantire uno standard qualitativo adeguato nell’erogazione dei servizi forniti dalle regioni e dagli enti locali.

 

La lettera e)reca i criteri per la definizione di un sistema premiante e sanzionatorio da applicare nei confronti degli enti che risultano virtuosi o meno rispetto al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica ad essi imposti.

In particolare, il sistema premiante riguarda gli enti che:

-        assicurano elevata qualità dei servizi e livello della pressione fiscale inferiore alla media degli altri enti del proprio livello di governo a parità di servizi offerti. I livelli qualitativi dei servizi sono valutati sulla base di appositi indicatori di efficienza e di adeguatezza (lettera d);

-        garantiscono il rispetto di quanto previsto dal provvedimento in esame e che partecipano a progetti strategici mediante l'assunzione di oneri e di impegni nell'interesse della collettività, compresi quelli di carattere ambientale;

-        incentivano l'occupazione e l'imprenditorialità femminile.

 

La norma non reca una precisa individuazione delle misure premiali da applicare in favore degli enti virtuosi individuati secondo i criteri indicati.

 

Il sistema sanzionatorio, che si applica, invece, nei confronti degli enti meno virtuosi rispetto agli obiettivi di finanza pubblica, comporta:

-        il divieto di procedere alla copertura di posti di ruolo vacanti nelle piante organiche;

-        il divieto di iscrivere in bilancio spese per attività discrezionali, fatte salve quelle afferenti al cofinanziamento regionale o dell'ente locale per l'attuazione delle politiche comunitarie;

-        l’attivazione di meccanismi automatici sanzionatori nei confronti degli organi di governo e amministrativi, responsabili del mancato rispetto degli equilibri di bilancio e degli obiettivi economico-finanziari assegnati alla regione e agli enti locali, con individuazione dei casi di ineleggibilità[64] nei confronti degli amministratori responsabili degli enti locali per i quali sia stato dichiarato lo stato di dissesto finanziario (ai sensi dell’art. 244 del TUEL[65]), oltre che dei casi di interdizione dalle cariche in enti vigilati o partecipati da enti pubblici;

-        la previsione che le attività che abbiano causato un grave dissesto nelle finanze regionali rientrino tra i casi di grave violazione di legge di cui all’articolo 126, primo comma Costituzione[66], che comporta lo scioglimento del consiglio regionale e la rimozione del Presidente della Giunta.

 

Le sanzioni indicate si applicano fin tanto che l’ente non metta in atto i provvedimenti necessari, in grado di riportare l’ente medesimo in linea con gli obiettivi di finanza pubblica. Tra i provvedimenti che possono essere attivati dall’ente, la lettera e) indica, in particolare, anche l'alienazione di beni mobiliari e immobiliari rientranti nel patrimonio disponibile dell'ente nonché l'attivazione nella misura massima dell'autonomia impositiva.

 

 


 

Articolo 18
(
Patto di convergenza)

 


1. Nell’ambito del disegno di legge finanziaria ovvero con apposito disegno di legge collegato alla manovra di finanza pubblica, in coerenza con gli obiettivi e gli interventi appositamente individuati da parte del Documento di program­mazione economico-finanziaria, il Governo, previo confronto e valutazione congiunta in sede di Conferenza unificata, propone norme di coordinamento dinamico della finanza pubblica volte a realizzare l’obiettivo della convergenza dei costi e dei fabbisogni standard dei vari livelli di governo nonché un percorso di convergenza degli obiettivi di servizio ai livelli essenziali delle prestazioni e alle funzioni fondamentali di cui all’articolo 117, secondo comma, lettere m) e p), della Costituzione. Nel caso in cui il monitoraggio, effettuato in sede di Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, rilevi che uno o più enti non hanno raggiunto gli obiettivi loro assegnati, lo Stato attiva, previa intesa in sede di Conferenza unificata, e limitatamente agli enti che presentano i maggiori scostamenti nei costi per abitante, un procedimento, denominato «Piano per il conseguimento degli obiettivi di convergenza», volto ad accertare le cause degli scostamenti e a stabilire le azioni correttive da intraprendere, anche fornendo agli enti la necessaria assistenza tecnica e utilizzando, ove possibile, il metodo della diffusione delle migliori pratiche fra gli enti dello stesso livello.


 

 

L’articolo 18[67] introduce l'istituto denominato “Patto di convergenza” volto a garantire un “coordinamento dinamico” della finanza pubblica finalizzato ad agevolare, tra l’altro, il riallineamento dei costi e dei fabbisogni standard[68] dei vari livelli di governo.

Ai sensi della disposizione il Governo - previa valutazione in sede di Conferenza unificata e in coerenza con gli obiettivi e gli interventi enunciati nel Documento di programmazione economico-finanziaria (DPEF)[69] – è tenuto a proporre, nell’ambito del disegno di legge finanziaria[70] ovvero con apposito disegno di legge collegato alla manovra di finanza pubblica[71], norme di coordinamento dinamico della finanza pubblica finalizzate a realizzare l'obiettivo della convergenza dei costi e dei fabbisogni standard dei vari livelli di governo.

In tale sede altresì il Governo propone anche norme dirette a delineare un “percorso di convergenza degli obiettivi di servizio ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale e alle funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane, di cui all’articolo 117 Cost., comma 2, lettere m) e p)”.[72]

 

Qualora l’attività di monitoraggio del patto di convergenza - che deve essere svolta dalla Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica - rilevi che uno o più enti non abbiano raggiunto gli obiettivi loro assegnati, lo Stato è chiamato ad attivare, previa intesa in sede di Conferenza unificata e limitatamente agli enti che presentano i maggiori scostamenti nei costi per abitante, un procedimento denominato “Piano per il conseguimento degli obiettivi di convergenza”.

Tale Piano è volto ad accertare le cause degli scostamenti (calcolati in termini di costo medio per abitante) e a stabilire le azioni correttive che devono essere intraprese per ridurre ed eliminare gli scostamenti.

La norma precisa, inoltre, che il Piano può fornire agli enti la necessaria assistenza tecnica utilizzando, ove possibile, il metodo della diffusione delle migliori pratiche fra gli enti dello stesso livello.

 

 


 

Articolo 19
(
Patrimonio di comuni, province, Città metropolitane e Regioni)

 


1. I decreti legislativi di cui all’articolo 2, con riguardo all’attuazione dell’articolo 119, sesto comma, della Costituzione, stabiliscono i princìpi generali per l’attribuzione a comuni, province, città metropolitane e regioni di un proprio patrimonio, nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:

     a) attribuzione a titolo non oneroso ad ogni livello di governo di distinte tipologie di beni, commisurate alle dimensioni territoriali, alle capacità finanziarie ed alle competenze e funzioni effettivamente svolte o esercitate dalle diverse regioni ed enti locali, fatta salva la determinazione da parte dello Stato di apposite liste che individuino nell’ambito delle citate tipologie i singoli beni da attribuire;

     b) attribuzione dei beni immobili sulla base del criterio di territorialità;

     c) ricorso alla concertazione in sede di Conferenza unificata, ai fini dell’attribuzione dei beni a comuni, province, città metropoli­tane e regioni;

     d) individuazione delle tipologie di beni di rilevanza nazionale che non possono essere trasferiti, ivi compresi i beni apparte­nenti al patrimonio culturale nazionale.


 

 

L’articolo 19 reca i principi e criteri direttivi finalizzati all’attribuzione alle regioni e agli enti locali di un proprio patrimonio.

 

La disposizione va ricollegata a quanto previsto dall’articolo 1, comma 1 che, nell’indicare l’ambito di intervento della legge in esame, prevede che esso rechi la disciplina dell’attribuzione di un proprio patrimonio agli enti territoriali. Ciò in attuazione di quanto previsto dall’articolo 119, sesto comma della Costituzione, il quale stabilisce che Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni hanno un proprio patrimonio, attribuito secondo i principi generali determinati dalla legge dello Stato[73].

 

Al fine di dare attuazione all’articolo 119, sesto comma della Costituzione, l’articolo in esame individua i principi e i criteri direttivi cui dovranno conformarsi, in materia, i decreti legislativi di cui all'articolo 2 della legge.

Detti decreti dovranno conformarsi ai seguenti criteri:

a)      attribuzione, a titolo non oneroso, a ciascun livello di governo di distinte tipologie di beni, commisurate all’estensione territoriale, alle capacità finanziarie, alle competenze e alle funzioni effettivamente esercitate dalle diverse regioni ed enti locali. È fatta salva la definizione da parte dello Stato di apposite liste di singoli beni da attribuire.

b)     attribuzione dei beni immobili secondo il criterio di territorialità;

c)      ricorso alla concertazione in sede di Conferenza unificata ai fini dell’attribuzione dei beni alle autonomie territoriali;

d)     individuazione di tipologie di beni di rilevanza nazionale che non possono essere trasferiti, inclusi quelli rientranti nel patrimonio culturale nazionale.

 

La disciplina generale sul demanio e sul patrimonio pubblico è contenuta, in primis, nel Codice civile del 1942, nel Capo II, Libro terzo, articoli 822-829[74].

L'alienazione dei beni del demanio e del patrimonio dello Stato agli enti territoriali è stata oggetto di numerosi provvedimenti legislativi. Va specificatamente segnalato, per ciò che attiene ai proventi delle dismissioni o alienazioni del patrimonio immobiliare dello Stato, l’articolo 1, comma 5, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, che ha disposto che, a decorrere dall'anno finanziario 2006, questi siano destinati alla riduzione del debito.

 


 

Articolo 20
(
Principi e criteri direttivi concernenti
norme transitorie per le Regioni
)

 


1. I decreti legislativi di cui all’articolo 2 recano una disciplina transitoria per le regioni, nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:

     a) i criteri di computo delle quote del fondo perequativo di cui all’articolo 9 si applicano a regime dopo l’esaurimento di una fase di transizione diretta a garantire il passaggio graduale dai valori dei trasferimenti rilevati nelle singole regioni come media nel triennio 2006-2008, al netto delle risorse erogate in via straordinaria, ai valori determinati con i criteri dello stesso articolo 9;

     b) l’utilizzo dei criteri definiti dall’articolo 9 avviene a partire dall’effettiva determina­zione del contenuto finanziario dei livelli essenziali delle prestazioni, mediante un processo di convergenza dalla spesa storica al fabbisogno standard in un periodo di cinque anni;

     c) per le materie diverse da quelle di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, il sistema di finanziamento deve divergere progressivamente dal criterio della spesa storica a favore delle capacità fiscali per abitante in cinque anni. Nel caso in cui, in sede di attuazione dei decreti legislativi, emergano situazioni oggettive di significativa e giustificata insostenibilità per alcune regioni, lo Stato può attivare, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, meccanismi correttivi di natura compensativa di durata pari al periodo transitorio di cui alla presente lettera;

     d) i meccanismi compensativi di cui alla lettera c) vengono attivati in presenza di un organico piano di riorganizzazione dell’ente, coordinato con il Piano per il conseguimento degli obiettivi di convergenza di cui all’articolo 18;

     e) specificazione del termine da cui decorre il periodo di cinque anni di cui alle lettere b) e c);

     f) garanzia per le regioni, durante la fase transitoria, della copertura del differen­ziale certificato, ove positivo, tra i dati previsionali e l’effettivo gettito dei tributi di cui all’articolo 8, comma 1, lettera g);

     g) acquisizione al bilancio dello Stato, durante la fase transitoria, del differenziale certificato, ove negativo, tra i dati previsionali e l’effettivo gettito dei tributi di cui all’articolo 8, comma 1, lettera g);

     h) garanzia che la somma del gettito delle nuove entrate regionali di cui all’articolo 10, comma 1, lettere b) e c), sia, per il complesso delle regioni di cui al medesimo articolo, non inferiore al valore degli stanzia­menti di cui al comma 1, lettera a), del medesimo articolo 10 e che si effettui una verifica, concordata in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, dell’adeguatezza e della congruità delle risorse finanziarie delle funzioni già trasferite.

2. La legge statale disciplina la determina­zione dei livelli essenziali di assistenza e dei livelli essenziali delle prestazioni. Fino a loro nuova determinazione in virtù della legge statale si considerano i livelli essenziali di assistenza e i livelli essenziali delle prestazioni già fissati in base alla legislazione statale.


 

 

L’articolo 20 stabilisce i principi ed i criteri direttivi a cui si devono conformare i decreti legislativi di cui all’art. 2 della presente legge, con riguardo alla fissazione di una disciplina transitoria per le Regioni.

 

Esso disciplina, al comma 1, le modalità ed i termini secondo cui il fondo perequativo di cui all’articolo 9, a partire dai decreti delegati che lo istituiscono e dalla sua fase di avvio, continua a garantire alle regioni a statuto ordinario:

§      somme corrispondenti alla spesa sostenuta all’atto della cessazione del precedente sistema di finanziamento ed agli stanziamenti statali sostituiti da entrate di natura tributaria;

§      un periodo transitorio di cinque anni in cui attuare progressivamente il passaggio dal finanziamento della spesa storica al finanziamento dei costi standard ed alla perequazione della capacità fiscale per abitante[75];

§      un ulteriore periodo transitorio di cinque anni in cui lo Stato, con risorse del proprio bilancio, può contribuire alle spese di regioni in cui «emergano situazioni oggettive di significativa e giustificata insostenibilità» del nuovo assetto finanziario;

§      la determinazione di date certe a partire dalle quali si applica la nuova disciplina perequativa e si computa il periodo transitorio di convergenza.

 

Tra gli altri criteri e principi direttivi individuati dal comma 1 si evidenziano:

§      la previsione di una intesa con la Conferenza Stato-Regioni e la necessità di uno specifico piano di convergenza perché lo Stato possa sostenere con “meccanismi compensativi” le «situazioni oggettive di significativa e giustificata insostenibilità per alcune regioni» che si verifichino oltre il quinquennio di convergenza dalla spesa storica al fabbisogno standard (lettera c) e lettera d));

§      l’estensione, anche alla fase transitoria, delle disposizioni già introdotte in via permanente all’articolo 9 per la copertura del differenziale positivo, o negativo, che può verificarsi tra il gettito determinato in via previsionale e quello certificato a consuntivo dei tributi destinati a finanziare le spese relative ai livelli essenziali delle prestazioni calcolate secondo il meccanismo dei costi standard (lettera f) e lettera g)).

 

Il principio cardine è enunciato alla lettera a) del comma 1: la disciplina della perequazione prevista dall’articolo 9 (ossia la perequazione del fabbisogno al costo standard e la perequazione della minore capacità fiscale) si applicherà soltanto al termine della “fase di transizione” e cioè dopo il quinquennio previsto dalla successiva lettera b).

Per il quinquennio di transizione i criteri direttivi posti dalle lettere a), b) e c) dell’articolo in esame forniscono indicazioni in ordine alla disciplina della perequazione da applicarsi in assenza di quella disposta dall’articolo 9.

L’indicazione operativa è rimessa al futuro legislatore delegato sulla base dei seguenti criteri:

§      garantire il passaggio graduale dai valori dei trasferimenti rilevati nelle singole regioni come media del triennio 2006-2008 ai valori determinati con i criteri dello stesso articolo 9 (lettera a) per quanto attiene, specificatamente, agli attuali trasferimenti perequativi della sanità);

§      realizzare un processo di convergenza dalla spesa storica al fabbisogno standard in un periodo di cinque anni (lettera b) con riferimento alle funzioni connesse alla prestazione dei livelli essenziali);

§      prevedere che il sistema di finanziamento debba divergere progressivamente dal criterio della spesa storica a favore delle capacità fiscali per abitante (lettera c) con riferimento alle funzioni non LEP).

 

Le norme in esame, pertanto, non disciplinano il periodo transitorio entro modalità e termini rigidi, scegliendo di lasciare questa definizione al legislatore delegato il quale però dovrà tenere conto del principio di concertazione e collaborazione che la delega pone in più parti e modi:

-        all’articolo 2, comma 5, per il quale il Governo, nella predisposizione dei decreti delegati assicura piena collaborazione con le regioni;

-        all’articolo 5, comma 1, lettera h), per il quale la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica verifica periodicamente la realizzazione del percorso di convergenza;

-        allo stesso articolo 20, comma 1, lettera h), dove la verifica concordata è rimessa alla Conferenza permanente Stato-regioni.

 

Vengono espressamente stabiliti i termini e le garanzie di questo processo di avvicinamento:

§      la perequazione secondo la disciplina a regime dell’articolo 9 partirà soltanto al termine del periodo transitorio;

§      il periodo transitorio "di avvicinamento" è fissato in cinque anni per ciascuna delle due tipologie di spese e modalità di perequazione;

§      un ulteriore periodo di cinque anni può essere deciso, al termine del primo, per talune regioni dove la nuova disciplina della perequazione delle spese per funzioni non LEP dovesse rivelarsi (temporaneamente) insostenibile. Questo intervento integrativo dello Stato potrà avvenire comunque in presenza delle seguenti condizioni:

a)      la valutazione, la natura e le dimensioni dell’intervento sono definite dallo Stato d’intesa con la Conferenza Stato-regioni;

b)      i ”meccanismi compensativi” e cioè i maggiori finanziamenti ed il più lento abbandono del parametro della spesa storica, sono concessi soltanto in presenza di un piano di riorganizzazione della regione che ne riconduca la spesa al rispetto degli obiettivi del Piano di convergenza previsto dall’articolo 18;

§      il termine da cui decorrono (anche separatamente) i due periodi transitori devono essere espressamente specificati dal legislatore delegato;

§      il quinquennio transitorio relativo alla convergenza tra fabbisogno e spesa standard (funzioni LEP) potrà iniziare soltanto «a partire dall’effettiva determinazione del contenuto finanziario dei livelli essenziali delle prestazioni»;

§      con riferimento a quanto disposto dall’articolo 10 per il passaggio dalle entrate di cui già dispongono le regioni a quelle assegnate dalla riforma, in sede di prima applicazione l’ammontare delle nuove entrate non dovrà essere inferiore agli stanziamenti assicurati dall’ordinamento vigente;

§      qualora le aliquote dei nuovi tributi siano assegnate sulla base di gettiti presuntivi è garantita alle regioni la copertura del differenziale negativo che dovesse determinarsi per il gettito effettivo di quei tributi.

Anche per il periodo e per la disciplina transitoria sono specificati i termini della garanzia di copertura nel caso in cui sia positivo o negativo il differenziale che si può stabilire tra il gettito dei tributi stimato in via previsionale e quello effettivamente conseguito dalla regione assunta a parametro:

§       nel caso in cui il gettito effettivamente conseguito sia minore di quello stabilito in via previsionale (differenziale positivo) l’erario corrisponde quella differenza alla regione;

§       in caso contrario, quando cioè il gettito effettivo si riveli maggiore di quanto computato in via previsionale (differenziale negativo) le maggiori entrate sono riversate al bilancio dello Stato.

 

Il comma 2 riafferma la riserva di legge dello Stato per disciplinare la determinazione di livelli essenziali di assistenza e delle prestazioni. Nella emanazione dei decreti legislativi delegati si dovrà pertanto tener conto - sino alla loro nuova determinazione - dei livelli essenziali delle prestazioni già fissati in basi alla legislazione «statale».


 

Articolo 21
(
Norme transitorie per gli enti locali)

 


1. In sede di prima applicazione, i decreti legislativi di cui all’articolo 2 recano norme transitorie per gli enti locali, secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:

     a) nel processo di attuazione dell’ar­ticolo 118 della Costituzione, al finanziamento delle ulteriori funzioni amministrative nelle materie di competenza legislativa dello Stato o delle regioni, nonché agli oneri derivanti dall’eventuale ridefinizione dei contenuti delle funzioni svolte dagli stessi alla data di entrata in vigore dei medesimi decreti legislativi, provvedono lo Stato o le regioni, determi­nando contestualmente adeguate forme di copertura finanziaria coerenti con i princìpi della presente legge;

     b) garanzia che la somma del gettito delle nuove entrate di comuni e province in base alla presente legge sia, per il complesso dei comuni ed il complesso delle province, corrispondente al valore dei trasferimenti di cui all’articolo 11, comma 1, lettera e), e che si effettui una verifica di congruità in sede di Conferenza unificata;

     c) considerazione, nel processo di determinazione del fabbisogno standard, dell’esigenza di riequilibrio delle risorse in favore degli enti locali sottodotati in termini di trasferimenti erariali ai sensi della normativa vigente rispetto a quelli sovradotati;

     d) determinazione dei fondi perequativi di comuni e province in misura uguale, per ciascun livello di governo, alla differenza fra i trasferimenti statali soppressi ai sensi dell’articolo 11, comma 1, lettera e), destinati al finanziamento delle spese di comuni e province, esclusi i contributi di cui all’articolo 16, e le maggiori entrate spettanti in luogo di tali trasferimenti ai comuni ed alle province, ai sensi dell’articolo 12, tenendo conto dei princìpi previsti dall’articolo 2, comma 2, lettera m), numeri 1) e 2), relativamente al superamento del criterio della spesa storica;

     e) sono definite regole, tempi e modalità della fase transitoria in modo da garantire il superamento del criterio della spesa storica in un periodo di cinque anni, per le spese riconducibili all’esercizio delle funzioni fondamentali e per le altre spese. Fino alla data di entrata in vigore delle disposizioni concernenti l’individuazione delle funzioni fondamentali degli enti locali:

          1) il fabbisogno delle funzioni di comuni e province è finanziato considerando l’80 per cento delle spese come fondamentali ed il 20 per cento di esse come non fondamentali, ai sensi del comma 2;

          2) per comuni e province l’80 per cento delle spese di cui al numero 1) è finanziato dalle entrate derivanti dall’autono­mia finanziaria, comprese le compartecipa­zioni a tributi erariali, e dal fondo perequativo; il 20 per cento delle spese di cui al numero 1) è finanziato dalle entrate derivanti dall’autonomia finanziaria, ivi comprese le compartecipazioni a tributi regionali, e dal fondo perequativo;

          3) ai fini del numero 2) si prende a riferimento l’ultimo bilancio certificato a rendiconto, alla data di predisposizione degli schemi di decreto legislativo di cui all’articolo 2;

     f) specificazione del termine da cui decorre il periodo di cinque anni di cui alla lettera e).

2. Ai soli fini dell’attuazione della presente legge, e in particolare della determinazione dell’entità e del riparto dei fondi perequativi degli enti locali in base al fabbisogno standard o alla capacità fiscale di cui agli articoli 11 e 13, in sede di prima applicazione, nei decreti legislativi di cui all’articolo 2 sono provviso­riamente considerate ai sensi del presente articolo, ai fini del finanziamento integrale sulla base del fabbisogno standard, le funzioni individuate e quantificate dalle corrispondenti voci di spesa, sulla base dell’articolazione in funzioni e relativi servizi prevista dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 gennaio 1996, n. 194.

3. Per i comuni, le funzioni, e i relativi servizi, da considerare ai fini del comma 2 sono provvisoriamente individuate nelle seguenti:

     a) funzioni generali di amministrazione, di gestione e di controllo, nella misura complessiva del 70 per cento delle spese come certificate dall’ultimo conto del bilancio disponibile alla data di entrata in vigore della presente legge;

     b) funzioni di polizia locale;

     c) funzioni di istruzione pubblica, ivi compresi i servizi per gli asili nido e quelli di assistenza scolastica e refezione, nonché l’edilizia scolastica;

     d) funzioni nel campo della viabilità e dei trasporti;

     e) funzioni riguardanti la gestione del territorio e dell’ambiente, fatta eccezione per il servizio di edilizia residenziale pubblica e locale e piani di edilizia nonché per il servizio idrico integrato;

     f) funzioni del settore sociale.

4. Per le province, le funzioni, e i relativi servizi, da considerare ai fini del comma 2 sono provvisoriamente individuate nelle seguenti:

     a) funzioni generali di amministrazione, di gestione e di controllo, nella misura complessiva del 70 per cento delle spese come certificate dall’ultimo conto del bilancio disponibile alla data di entrata in vigore della presente legge;

     b) funzioni di istruzione pubblica, ivi compresa l’edilizia scolastica;

     c) funzioni nel campo dei trasporti;

     d) funzioni riguardanti la gestione del territorio;

     e) funzioni nel campo della tutela ambientale;

     f) funzioni nel campo dello sviluppo economico relative ai servizi del mercato del lavoro.

5. I decreti legislativi di cui all’articolo 2 disciplinano la possibilità che l’elenco delle funzioni di cui ai commi 3 e 4 sia adeguato attraverso accordi tra Stato, regioni, province e comuni, da concludere in sede di Conferenza unificata.


 

 

L'articolo 21 reca, al comma 1, i principi e i criteri direttivi per l’adozione dei decreti legislativi recanti le norme transitorie per gli enti locali.

In particolare, il principio introdotto dalla lettera a) prevede che, nel corso del processo di attuazione dell’art. 118 della Costituzione, lo Stato o le regioni debbano provvedere al finanziamento delle ulteriori funzioni amministrative esercitate dagli enti locali nelle materie di competenza legislativa statale o regionale. Analogamente, lo Stato e le Regioni sono tenute a far fronte agli oneri derivanti dall’eventuale ridefinizione dei contenuti delle funzioni svolte dagli enti locali alla data di entrata in vigore della presente legge. Le forme di copertura finanziaria individuate devono essere coerenti con i principi recati dal provvedimento.

 

Le lettere successive recano principi volti a garantire agli enti locali, nella fase di transizione, un complesso di risorse (entrate tributarie e contributi perequativi) adeguato al finanziamento del complesso delle funzioni.

In particolare, la lettera b)introduce la garanzia che la somma del gettito derivante delle nuove entrate dei comuni e delle province, come definite dal provvedimento in esame, sia, per il complesso dei comuni e delle province, corrispondente al valore dei trasferimenti che vengono soppressi, ai sensi dell’articolo 11, comma 1, lettera e), in conseguenza dell’attuazione del nuovo sistema di finanziamento[76].

 

L’articolo 11 citato prevede, alla lettera e), la soppressione di tutti i trasferimenti sia statali che regionali destinati al finanziamento delle spese riconducibili alle funzioni fondamentali e non degli enti locali, fatta eccezione degli stanziamenti destinati alla costituzione dei fondi perequativi e dei contributi erariali e regionali in essere sulle rate di ammortamento dei mutui contratti dagli enti locali.

 

Ai fini della valutazione della corrispondenza delle nuove entrate all’entità dei trasferimenti soppressi, si prevede che in sede di Conferenza Unificata si effettui una verifica in ordine alla congruità del gettito delle nuove entrate di comuni e province.

 

La lettera c) prevede che, per la determinazione del fabbisogno standard, si debba tener conto dell'esigenza di riequilibrare le risorse in favore degli enti locali sottodotati rispetto a quelli sovradotati in termini di trasferimenti erariali.

 

La lettera d) prevede che, nella fase di transizione, i fondi perequativi siano quantificati, per ciascun livello di governo, in misura pari alla differenza tra i trasferimenti statali soppressi, ai sensi dell’articolo 11, comma 1, lettera e), e le maggiori entrate derivanti dall’autonomia finanziaria ai sensi dell'articolo 12, spettanti a comuni e province in sostituzione di tali trasferimenti.

La quantificazione dei fondi perequativi deve inoltre tener conto dei principi previsti dall’articolo 2, comma 2, lettera m), numeri 1) e 2), in merito al graduale superamento del criterio della spesa storica.

 

In relazione a tale principio, la lettera e)prevede regole, tempi e modalità della fase transitoria, in modo da garantire che il superamento del criterio della spesa storica, ai fini del finanziamento delle spese degli enti locali, sia realizzato in un periodo di cinque anni, sia per le spese riconducibili all’esercizio delle funzioni fondamentali sia per le altre spese[77].

 

I decreti legislativi attuativi della delega devono recare la specificazione del termine iniziale da cui far decorrere il periodo transitorio di cinque anni entro il quale va garantito il superamento della spesa storica sia per le funzioni fondamentali sia per quelle non fondamentali (lettera f)).

 

Si ricorda, al riguardo, che l’articolo 11, comma 1, lettera a) – nel definire i criteri direttivi relativi al finanziamento delle funzioni degli enti locali - rinvia alla legislazione statale il compito di individuare le spese riconducibili alle funzioni fondamentali, in attuazione dell’articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione.

 

Pertanto, fin tanto che non saranno in vigore le disposizioni concernenti l’individuazione delle funzioni fondamentali degli enti locali, l’articolo in esame, al comma 1, lettera e), dispone che nella fase transitoria, il finanziamento delle spese degli enti locali avvenga sulla base di alcuni criteri specifici. In particolare:

-        il fabbisogno delle funzioni di comuni e province viene finanziato assumendo l’ipotesi che l’80 per cento delle spese sia considerato come riconducibile alle funzioni fondamentali e che il residuo 20 per cento si riferisca alle funzioni non fondamentali (punto 1);

-        l’80 per cento delle spese di comuni e province (cioè quelle di cui al punto 1), afferenti alle funzioni fondamentali, viene finanziato per mezzo delle entrate derivanti dall’autonomia finanziaria, comprese le compartecipazioni a tributi erariali, e dal fondo perequativo; il residuo 20 per cento delle spese di cui al punto 1, relative alle altre funzioni, è finanziato per mezzo delle entrate derivanti dall’autonomia finanziaria, comprese le compartecipazioni a tributi regionali, e dal fondo perequativo (punto 2).

-        A tal fine, il punto 3 prevede che venga preso a riferimento l’ultimo bilancio degli enti locali certificato a rendiconto, disponibile alla data di predisposizione degli schemi dei decreti legislativi attuativi della delega.

 

Ai fini della determinazione dell'entità e del riparto dei fondi perequativi degli enti locali, il comma 2 prevede, in sede di prima applicazione, che nei decreti legislativi di cui all'articolo 2 siano provvisoriamente considerate, per il periodo transitorio, ai fini del finanziamento integrale sulla base del fabbisogno standard, le funzioni individuate e quantificate dalle corrispondenti voci di spesa, sulla base dell'articolazione in funzioni e relativi servizi prevista dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 gennaio 1996, n. 194.

 

I commi 3 e 4 recano, rispettivamente, per i comuni e per le province, un elenco provvisorio delle funzioni fondamentali da finanziare integralmente sulla base del fabbisogno standard, ai sensi del comma 2.

Per i comuni, le funzioni, e i relativi servizi, da considerare provvisoriamente quali funzioni fondamentali sono:

a)      funzioni generali di amministrazione, di gestione e di controllo, nella misura complessiva del 70 per cento delle spese come certificate dall'ultimo conto del bilancio disponibile alla data di entrata in vigore della legge in esame;

b)      funzioni di polizia locale;

c)      funzioni di istruzione pubblica, compresi i servizi per gli asili nido e quelli di assistenza scolastica e refezione, nonché l'edilizia scolastica;

d)      funzioni nel campo della viabilità e dei trasporti;

e)      funzioni riguardanti la gestione del territorio e dell'ambiente, fatta eccezione per il servizio di edilizia residenziale pubblica e locale e piani di edilizia nonché per il servizio idrico integrato;

f)        funzioni del settore sociale.

 

Rispetto alle funzioni individuate dal DPR n. 194/1996 non risultano dunque comprese le funzioni relative ai seguenti ambiti: giustizia; cultura e beni culturali; settore sportivo e ricreativo; turismo; sviluppo economico; servizi produttivi (oltre alle funzioni concernenti edilizia residenziale pubblica e locale, piani di edilizia e servizio idrico integrato, espressamente escluse).

 

Per le province, le funzioni, e i relativi servizi, da considerare provvisoriamente quali funzioni fondamentali sono:

a)      funzioni generali di amministrazione, di gestione e di controllo, nella misura complessiva del 70 per cento delle spese come certificate dall'ultimo conto del bilancio disponibile alla data di entrata in vigore della legge in esame;

b)      funzioni di istruzione pubblica, ivi compresa l'edilizia scolastica;

c)      funzioni nel campo dei trasporti;

d)      funzioni riguardanti la gestione del territorio;

e)      funzioni nel campo della tutela ambientale;

f)        funzioni nel campo dello sviluppo economico relative ai servizi del mercato del lavoro.

 

Rispetto alle funzioni individuate dal citato D.P.R. n. 194/1996 non risultano dunque comprese le funzioni relative ai seguenti ambiti: cultura e beni culturali; settore turistico, sportivo e ricreativo; settore sociale; sviluppo economico, relativamente ai servizi per l’agricoltura e per l’industria, il commercio e l’artigianato.

 

I decreti legislativi prevedono altresì che l'elenco provvisorio delle funzioni possa essere adeguato attraverso accordi tra Stato, regioni, province e comuni, da concludere in sede di Conferenza unificata (comma 5).


 

Articolo 22
(Perequazione infrastrutturale)

 


1. In sede di prima applicazione, il Ministro dell’economia e delle finanze, d’intesa con il Ministro per le riforme per il federalismo, il Ministro per la semplificazione normativa, il Ministro per i rapporti con le regioni e gli altri Ministri competenti per materia, predispone una ricognizione degli interventi infrastrut­turali, sulla base delle norme vigenti, riguardanti le strutture sanitarie, assistenziali, scolastiche nonché la rete stradale, autostradale e ferroviaria, la rete fognaria, la rete idrica, elettrica e di trasporto e distribuzione del gas, le strutture portuali ed aeroportuali. La ricognizione è effettuata tenendo conto, in particolare, dei seguenti elementi:

     a) estensione delle superfici territoriali;

     b) valutazione della rete viaria con particolare riferimento a quella del Mezzogiorno;

     c) deficit infrastrutturale e deficit di sviluppo;

     d) densità della popolazione e densità delle unità produttive;

     e) particolari requisiti delle zone di montagna;

     f) carenze della dotazione infrastrut­turale esistente in ciascun territorio;

     g) specificità insulare con definizione di parametri oggettivi relativi alla misurazione degli effetti conseguenti al divario di sviluppo economico derivante dall’insularità, anche con riguardo all’entità delle risorse per gli interventi speciali di cui all’articolo 119, quinto comma, della Costituzione.

2. Nella fase transitoria di cui agli articoli 20 e 21, al fine del recupero del deficit infrastrutturale, ivi compreso quello riguar­dante il trasporto pubblico locale e i collegamenti con le isole, sono individuati, sulla base della ricognizione di cui al comma 1 del presente articolo, interventi finalizzati agli obiettivi di cui all’articolo 119, quinto comma, della Costituzione, che tengano conto anche della virtuosità degli enti nell’adegua­mento al processo di convergenza ai costi o al fabbisogno standard. Gli interventi di cui al presente comma da effettuare nelle aree sottoutilizzate sono individuati nel programma da inserire nel Documento di programmazione economico-finanziaria ai sensi dell’articolo 1, commi 1 e 1-bis, della legge 21 dicembre 2001, n. 443.


 

 

L’articolo 22[78] reca le modalità per l’individuazione di interventi per il recupero del deficit infrastrutturale.

 

In dettaglio, in sede di prima applicazione, il comma 1 prevede una ricognizione degli interventi infrastrutturali previsti dalle norme vigenti e riguardanti:

§      la rete stradale, autostradale e ferroviaria;

§      la rete fognaria;

§      la rete idrica, elettrica e di trasporto e distribuzione del gas;

§      le strutture portuali ed aeroportuali;

§      le strutture sanitarie, assistenziali e scolastiche.

 

Lo stesso comma dispone che tale ricognizione venga concertata tra il Ministro dell’economia e delle finanze, incaricato della sua predisposizione, ed i Ministri per le riforme per il federalismo, per la semplificazione normativa, per i rapporti con le Regioni e con gli altri Ministri competenti per materia.

L’ultimo periodo del comma in esame elenca i seguenti elementi[79] di cui occorre tener conto, in particolare, nell’effettuazione della citata ricognizione:

§      estensione delle superfici territoriali;

§      densità della popolazione e delle unità produttive;

§      particolari requisiti delle zone montane;

§      carenze della dotazione infrastrutturale di ciascun territorio;

§      valutazione della specificità dei territori insulari.

§      deficit infrastrutturale e di sviluppo;

§      valutazione della rete viaria, soprattutto quella del Mezzogiorno.

 

In base al successivo comma 2, nella fase transitoria quinquennale di passaggio dal criterio della spesa storica a quello del fabbisogno standard e delle capacità fiscali, prevista dagli articoli 20 e 21, occorre procedere all’individuazione, sulla base della ricognizione di cui al comma 1, di interventi finalizzati agli obiettivi di cui all’art. 119, quinto comma, Cost.

Viene altresì disposto che tale individuazione sia finalizzata al recupero del deficit infrastrutturale, incluso quello riguardante il trasporto pubblico locale, e debba essere calibrata sulla base della virtuosità degli enti nell’adeguamento al processo di convergenza verso i costi o i fabbisogni standard.

 

Si ricorda che, ai sensi dell’art. 119, quinto comma, Cost., per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni.

Si ricorda altresì che per gli interventi attuativi dell’art. 119, quinto comma, Cost., l’art. 16 del testo in commento detta una serie di principi e criteri direttivi tra i quali l’obbligo per il Governo, nell’adozione dei decreti delegati, di tener conto delle specifiche realtà territoriali, con particolare riguardo – tra l’altro – al deficit infrastrutturale (comma 1 lettera c) del citato art. 16).

 

L’ultimo periodo del comma in esame prevede l’inserimento degli interventi infrastrutturali così individuati - da effettuare nelle aree sottoutilizzate - nel Programma delle infrastrutture strategiche.

Si ricorda che tale programma viene annualmente allegato al documento di programmazione economico-finanziaria (DPEF) ai sensi dell’art. 1, commi 1 e 1-bis, della legge n. 443 del 2001 (c.d. legge obiettivo).

Si evidenzia, infine, che l’art. 1, comma 2, del presente testo prevede l’applicazione delle disposizioni dell’articolo in esame anche alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano, conformemente ai rispettivi statuti, con esclusione degli enti locali ricadenti nel loro territorio.

 


 

Articolo 23
(
Norme transitorie per le città metropolitane)

 


1. Il presente articolo reca in via transitoria, fino alla data di entrata in vigore della disciplina ordinaria riguardante le funzioni fondamentali, gli organi e il sistema elettorale delle città metropolitane che sarà determinata con apposita legge, la disciplina per la prima istituzione delle stesse.

2. Le città metropolitane possono essere istituite, nell’ambito di una regione, nelle aree metropolitane in cui sono compresi i comuni di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria. La proposta di istituzione spetta:

     a) al comune capoluogo congiunta­mente alla provincia;

     b) al comune capoluogo congiunta­mente ad almeno il 20 per cento dei comuni della provincia interessata che rappresentino, unitamente al comune capoluogo, almeno il 60 per cento della popolazione;

     c) alla provincia, congiuntamente ad almeno il 20 per cento dei comuni della provincia medesima che rappresentino almeno il 60 per cento della popolazione.

3. La proposta di istituzione di cui al comma 2 contiene:

     a) la perimetrazione della città metropo­litana, che, secondo il principio della continuità territoriale, comprende almeno tutti i comuni proponenti. Il territorio metropolitano coincide con il territorio di una provincia o di una sua parte e comprende il comune capoluogo;

     b) l’articolazione del territorio della città metropolitana al suo interno in comuni;

     c) una proposta di statuto provvisorio della città metropolitana, che definisce le forme di coordinamento dell’azione comples­siva di governo all’interno del territorio metropolitano e disciplina le modalità per l’elezione o l’individuazione del presidente del consiglio provvisorio di cui al comma 6, lettera b).

4. Sulla proposta di cui al comma 2, previa acquisizione del parere della regione da esprimere entro novanta giorni, è indetto un referendum tra tutti i cittadini della provincia. Il referendum è senza quorum di validità se il parere della regione è favorevole o in mancanza di parere. In caso di parere regionale negativo il quorum di validità è del 30 per cento degli aventi diritto.

5. Con regolamento da adottare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, ai sensi dell’articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro dell’interno, di concerto con i Ministri della giustizia, per le riforme per il federalismo, per la semplifi­cazione normativa e per i rapporti con le regioni, è disciplinato il procedimento di indizione e di svolgimento del referendum di cui al comma 4, osservando le disposizioni della legge 25 maggio 1970, n. 352, in quanto compatibili.

6. Al fine dell’istituzione di ciascuna città metropolitana, il Governo è delegato ad adottare, entro trentasei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, su proposta del Ministro dell’interno, del Ministro per le riforme per il federalismo, del Ministro per la semplificazione normativa e del Ministro per i rapporti con le regioni, di concerto con i Ministri per la pubblica amministrazione e l’innovazione, dell’economia e delle finanze e per i rapporti con il Parlamento, uno o più decreti legislativi, nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:

     a) istituzione della città metropolitana in conformità con la proposta approvata nel referendum di cui al comma 4;

     b) istituzione, in ciascuna città metropo­litana, fino alla data di insediamento dei rispettivi organi così come disciplinati dalla legge di cui al comma 1, di un’assemblea rappresentativa, denominata «consiglio prov­visorio della città metropolitana», composta dai sindaci dei comuni che fanno parte della città metropolitana e dal presidente della provincia;

     c) esclusione della corresponsione di emolumenti, gettoni di presenza o altre forme di retribuzione ai componenti del consiglio provvisorio della città metropolitana in ragione di tale incarico;

     d) previsione che, fino alla data di insediamento dei rispettivi organi così come disciplinati dalla legge di cui al comma 1, il finanziamento degli enti che compongono la città metropolitana assicura loro una più ampia autonomia di entrata e di spesa in misura corrispondente alla complessità delle funzioni da esercitare in forma associata o congiunta, nel limite degli stanziamenti previsti a legislazione vigente;

     e) previsione che, ai soli fini delle disposizioni concernenti le spese e l’attribuzione delle risorse finanziarie alle città metropolitane, con riguardo alla popolazione e al territorio metropolitano, le funzioni fonda­mentali della provincia sono considerate, in via provvisoria, funzioni fondamentali della città metropolitana, con efficacia dalla data di insediamento dei suoi organi definitivi;

     f) previsione che, per le finalità di cui alla lettera e), siano altresì considerate funzioni fondamentali della città metropolita­na, con riguardo alla popolazione e al territorio metropolitano:

          1) la pianificazione territoriale gene­rale e delle reti infrastrutturali;

          2) la strutturazione di sistemi coordinati di gestione dei servizi pubblici;

          3) la promozione e il coordinamento dello sviluppo economico e sociale.

7. Gli schemi dei decreti legislativi di cui al comma 6, corredati delle deliberazioni e dei pareri prescritti, sono trasmessi al Consiglio di Stato e alla Conferenza unificata, che rendono il parere nel termine di trenta giorni. Successivamente sono trasmessi alle Camere per l’acquisizione del parere delle competenti Commissioni parlamentari, da rendere entro trenta giorni dall’assegnazione alle Commis­sioni medesime.

8. La provincia di riferimento cessa di esistere e sono soppressi tutti i relativi organi a decorrere dalla data di insediamento degli organi della città metropolitana, individuati dalla legge di cui al comma 1, che provvede altresì a disciplinare il trasferimento delle funzioni e delle risorse umane, strumentali e finanziarie inerenti alle funzioni trasferite e a dare attuazione alle nuove perimetrazioni stabilite ai sensi del presente articolo. Lo statuto definitivo della città metropolitana è adottato dai competenti organi entro sei mesi dalla data del loro insediamento in base alla legge di cui al comma 1.

9. La legge di cui al comma 1 stabilisce la disciplina per l’esercizio dell’iniziativa da parte dei comuni della provincia non inclusi nella perimetrazione dell’area metropolitana, in modo da assicurare la scelta da parte di ciascuno di tali comuni circa l’inclusione nel territorio della città metropolitana ovvero in altra provincia già esistente, nel rispetto della continuità territoriale.


 

 

L’articolo 23[80] introduce una disciplina transitoria che consente, in via facoltativa, una prima istituzione delle città metropolitane situate nelle regioni a statuto ordinario, ad esclusione di Roma. Tale disciplina rimarrà in vigore fino all’approvazione di una apposita legge ordinaria che stabilirà le modalità per la definitiva istituzione delle città metropolitane.

Oggetto della futura legge è la definizione delle funzioni fondamentali, degli organi e del sistema elettorale delle città metropolitane[81].

 

Più in dettaglio, il comma 1 contiene l’oggetto dell’articolo in esame, la disciplina della prima istituzione delle città metropolitane, e l’autodefinizione di questa come transitoria, valida fino alla definitiva sistemazione normativa della materia con l’adozione di una legge ordinaria che determini le funzioni fondamentali, gli organi e il sistema elettorale delle città metropolitane.

 

Il comma 2 individua preliminarmente l’ambito di applicazione della norma in esame, che non riguarda tutti i territori attualmente interessati dalla normativa vigente, ma solamente le aree di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari e Napoli dove è prevista, in via facoltativa, l’istituzione della città metropolitana. Viene aggiunta la città di Reggio Calabria (non prevista dalla normativa vigente) e risulta esclusa Roma, che insieme alle otto città sopra citate è compresa dalla legge previgente fra le aree metropolitane ove è possibile costituire le città metropolitane (art. 21, co. 1, TUEL).

 

Le ragioni di tale esclusione si rinvengono nella previsione, di cui all’articolo 24 del provvedimento in esame (vedi infra) di una specifica disciplina transitoria dedicata a Roma capitale, anch’essa destinata a produrre i suoi effetti “fino all’attuazione della disciplina delle città metropolitane” (comma 1). Tale espressione può intendersi coincidente con quella del comma 1 dell’articolo in esame, che fa riferimento ad una apposita legge organica.

Non sono altresì contemplate le aree metropolitane delle regioni a statuto speciale, ossia Trieste, Palermo, Catania, Messina e Cagliari. In tali città, pertanto, sembrerebbe ancora applicabile la disciplina vigente per la costituzione delle città metropolitane, disciplina che invece sembrerebbe preclusa alle aree indicate dall’articolo in esame, per le quali dovrebbe applicarsi esclusivamente la disciplina transitoria, almeno fino all’approvazione della nuova legge, quando la materia dovrebbe ritrovare una omogeneità normativa. In particolare, per le città di Trieste, Palermo, Catania, Messina e Cagliari dovrebbe ancora applicarsi la disposizione del testo unico che demanda all’autonoma regolamentazione delle regioni a statuto speciale la disciplina delle città metropolitane (art. 22, co. 3, TUEL).

In secondo luogo, la nuova disciplina transitoria introduce un procedimento per l’istituzione delle città metropolitane che presuppone l’esistenza e dunque la precedente delimitazione delle aree metropolitane, delimitazione che rimane regolata dalla legge vigente (art. 22 TUEL). Ora, delle città indicate solamente quattro (Venezia, Genova, Bologna e Firenze) hanno proceduto a delimitare il territorio dell’area metropolitana, mentre le altre (Torino, Milano, Napoli, Bari e Reggio Calabria) non l’hanno ancora fatto. Per quest’ultime, pertanto, la disciplina introdotta dall’articolo in esame si applicherebbe solamente a partire dal momento di effettiva definizione dell’area metropolitana, da effettuarsi secondo le modalità vigenti.

 

Il medesimo comma 2 individua i soggetti cui spetta l’iniziativa per l’istituzione della città metropolitana, innovando profondamente la disciplina attuale. La legge previgente prevede infatti una unica modalità per dare inizio al procedimento. Questo può essere attivato con l’approvazione di una proposta di statuto con deliberazione conforme da un lato da parte di tutti i consigli comunali coinvolti e dall’altra dell’assemblea dei rappresentanti degli enti locali interessati.

La disposizione in esame invece prevede tre diverse possibilità di iniziativa da parte del comune capoluogo e della provincia, congiuntamente tra di loro o separatamente. Nel caso la proposta sia presentata solo da uno dei due enti locali (comune capoluogo o provincia) essa deve essere appoggiata da almeno il 20% dei comuni della provincia interessata che rappresentino nel complesso il 60% della popolazione.

 

Il comma 3 individua il contenuto della proposta di istituzione della città metropolitana, che deve concernere:

-        la perimetrazione della città metropolitana;

-        l' articolazione della città metropolitana al suo interno in comuni;

-        una proposta di statuto provvisorio.

 

Per quanto riguarda la definizione del territorio metropolitano l’articolo in esame prescrive alcuni requisiti essenziali. La perimetrazione deve:

-        rispettare il principio della continuità territoriale;

-        comprendere almeno tutti i comuni proponenti;

-        comprendere il comune capoluogo;

-        coincidere con il territorio di una (sola) provincia o di una sua parte.

 

Anche relativamente allo statuto provvisorio vengono poste alcune condizioni essenziali. Esso deve in primo luogo definire le forme di coordinamento dell’azione di governo all’interno del territorio metropolitano (dove insisteranno una pluralità di enti: la città metropolitana, i comuni, gli organi di decentramento dei comuni più grandi e anche delle province, la cui soppressione è prevista solamente a partire dall'insediamento degli organi della città metropolitana). Inoltre, lo statuto deve disciplinare le modalità di scelta del presidente del consiglio provvisorio della città metropolitana.

 

Successiva fase del procedimento istitutivo delle città metropolitane è il referendum confermativo. A tal fine il comma 4stabilisce che, previa acquisizione del parere regionale, è indetto un referendum tra tutti i cittadini della provincia interessata.

Il parere sulla proposta della regione (non previsto dalla disciplina previgente) deve essere acquisito entro 90 giorni L’eventuale parere negativo non preclude il proseguimento della procedura, ma incide unicamente sul quorum di validità del referendum confermativo, che è del 30% degli aventi diritto, mentre in presenza di un parere positivo non è previsto alcun quorum.

Un incentivo ad esprimere comunque un parere da parte della regione è costituito dalla previsione che la mancanza di espressione del parere entro i termini previsti viene equiparata al parere positivo e consente la validità del referendum senza limiti di quorum.

 

Si evidenzia come la disciplina prevista per il referendum confermativo per le città metropolitane di prima istituzione differisce per diversi aspetti da quella previgente recata dall’art. 23 del testo unico.

Innanzitutto, la disciplina previgente prevede un quorum per la sua validità pari ad almeno la metà più uno degli aventi diritto al voto (infatti la proposta si considera accettata se si esprimono a favore la maggioranza degli aventi diritto, oltre alla maggioranza dei comuni partecipanti). Il testo in esame prevede un quorum molto più basso: esso è del 30% in caso di parere regionale negativo e addirittura, in caso di parere positivo o di assenza di parere, non è previsto alcun quorum.

In secondo luogo, il TUEL prevede lo svolgimento del referendum entro 180 giorni dall’approvazione della proposta, mentre il comma in esame non prevede alcun termine.

In terzo luogo, mentre la disciplina previgente si riferisce semplicemente a “referendum a cura di ciascun comune partecipante”, la disposizione in esame prevede che il referendum è sottoposto a “tutti i cittadini” della provincia. Sembrerebbe in questo modo preclusa l’eventuale partecipazione al referendum dei cittadini stranieri anche nei comuni dove ciò è consentito dallo statuto.

 

Il procedimento di indizione e di svolgimento dei referendum è demandato, ai sensi del comma 5, ad un regolamento governativo da adottare entro 90 giorni dall’entrata in vigore del provvedimento in esame.

La legge previgente, non contenendo riferimenti in proposito, implicitamente sembrerebbe invece rimettersi, per quanto riguarda lo svolgimento dei referendum, alla disciplina dei singoli comuni.

Il regolamento di cui al comma in esame è proposto dal ministro dell’interno, sulla base del concerto con i seguenti ministri:

§      giustizia,

§      riforme per il federalismo,

§      semplificazione normativa,

§      rapporti con le regioni.

Il regolamento, ai sensi dell’art. 17, comma 1, della L. 400/1988, sarà emanato con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri e sentito il parere del Consiglio di Stato entro novanta giorni dalla richiesta. Il regolamento dovrà osservare, in quanto compatibili, le disposizioni della legge generale sui referendum (L. 352/1970).

 

Ai sensi del comma 6 il Governo viene delegato ad adottare uno o più decreti legislativi per l'istituzione di ciascuna città metropolitana.

Il termine di adozione della delega viene fissato a 36 mesi dall’entrata in vigore del provvedimento in esame.

 

Si evidenzia come in questo lasso di tempo dovrebbero compiersi una serie di procedimenti complessi con l’intervento di numerosi attori (vedi oltre); nell’eventualità che per una o più città metropolitane non si giunga entro tale termine all’emanazione del decreto legislativo relativo, decadrebbe la possibilità di applicare la procedura in commento e si dovrebbe applicare la disciplina vigente recata dal testo unico.

 

Il procedimento di adozione dei decreti delegati prevede - ai sensi dei commi 6 e 7 - le seguenti fasi:

§      proposta dei ministri dell’interno, per le riforme e il federalismo, per la semplificazione normativa, per i rapporti con le regioni;

§      concerto con i ministri per la pubblica amministrazione e innovazione, dell’economia e delle finanze e per rapporti con il Parlamento;

§      parere del Consiglio di Stato e della conferenza unificata entro 30 giorni dalla trasmissione degli schemi di decreto legislativo, corredati delle deliberazioni e dei prescritti pareri;

§      parere delle competenti Commissioni parlamentari, da rendersi successivamente ai due precedenti, entro 30 giorni dalle assegnazioni.

 

I decreti legislativi dovranno rispettare una serie di principi e criteri direttivi:

a)      conformità della proposta approvata con referendum;

b)      istituzione, in ciascuna città metropolitana, di un organo rappresentativo delle città metropolitane provvisorie originate a seguito dei referendum: si tratta del consiglio provvisorio della città metropolitana, composto da tutti i sindaci dei comuni che fanno parte della città metropolitana e dal presidente della provincia.

La disposizione si limita a definire tale organo “assemblea rappresentativa”, senza specificarne i compiti; esso comunque dovrebbe avere un ruolo centrale nel coordinamento dell’azione complessiva di governo, le cui forme saranno disciplinate nello statuto provvisorio, secondo quanto stabilito dal comma 3, lett. c). Tale norma prescrive anche che lo statuto provvisorio dovrà indicare le modalità di designazione del presidente del consiglio provvisorio “per elezione o individuazione”: lo statuto, infatti, potrebbe indicare direttamente l’autorità destinata a ricoprire la carica di presidente del consiglio provvisorio, per esempio il sindaco del comune capoluogo o il presidente della provincia o altro soggetto;

c)      esclusione che ai componenti del consiglio provvisorio possano essere corrisposti emolumenti, gettoni di presenza o altre forme di retribuzione;

d)      previsione che il finanziamento degli enti che compongono la città metropolitana assicuri una più ampia autonomia di entrata e di spesa in ragione della complessità delle funzioni attribuite a tali enti, nel limite degli stanziamenti previsti a legislazione vigente.

La norma altresì precisa che le funzioni attribuite agli enti che compongono la città metropolitana corrispondentemente alle quali è previsto l’ampliamento di autonomia sono quelle da esercitarsi in forma associata o congiunta;

e)      previsione che le funzioni fondamentali della provincia siano considerate provvisoriamente funzioni fondamentali della città metropolitana, questo però ai soli fini delle disposizioni che riguardano le spese e l’attribuzione delle risorse finanziarie e limitatamente alla popolazione e al territorio metropolitano;

f)        previsione che, sempre per le finalità di cui alla lettera precedente (ossia delle previsioni di spesa e dell’attribuzione di risorse finanziarie) siano considerate funzioni fondamentali della città metropolitana, oltre a quelle proprie della provincia, altre tre funzioni:

-        la pianificazione del territorio, compresa quella delle reti di infrastrutture;

-        il coordinamento della gestione dei servizi pubblici;

-        la promozione e il coordinamento dello sviluppo economico e sociale.

 

Si tratta di funzioni il cui esercizio per lo più vede associati in varia misura province e comuni, e che secondo la disposizione in esame sono da considerarsi delle città metropolitane.

Si ricorda altresì che le funzioni sopra indicate sono comprese nell’elenco delle materie per le quali, secondo la legge previgente, le regioni possono definire ambiti sovracomunali al fine del loro esercizio coordinato (art. 24 TUEL). Tra queste figurano alcune non considerate nel comma in esame, quali la pianificazione del traffico, la tutela dell’ambiente, la difesa del suolo.

 

Il comma 7 definisce l'ultima fase della procedura (già descritta supra) per l'emanazione dei decreti legislativi (pareri del Consiglio di Stato e della Conferenza unificata, entro trenta giorni; successivo parere delle competenti Commissioni parlamentari entro trenta giorni dall'assegnazione).

 

Il comma 8 sopprime le province nel cui territorio sono situate le città metropolitane. L’abolizione è disposta a partire dall’insediamento dei nuovi organismi rappresentativi di queste ultime, disciplinati dalla legge di cui al comma 1, che sostituiranno gli organi provinciali.

Il comma introduce inoltre il tema delle funzioni delle città metropolitane. Infatti, riferendosi alla futura abolizione delle province, viene previsto che le loro funzioni siano trasferite alle città metropolitane, secondo le modalità fissate dalla legge organica, che dovrà stabile anche le risorse (beni e personale) necessarie per il loro effettivo esercizio. La legge ordinaria dovrà altresì dare attuazione alle nuove perimetrazioni territoriali.

Viene altresì previsto che l’adozione dello statuto definitivo andrà realizzata entro sei mesi dalla data di insediamento degli organi competenti da individuare ai sensi della legge prevista dal comma 1.

 

Il comma 9 infine disciplina la sorte dei comuni non inclusi nell’area metropolitana una volta abolita la provincia di riferimento. A ciò provvederà sempre la legge ordinaria che regolerà le modalità di espressione della scelta, da parte di questi comuni, di aderire all’area metropolitana ovvero ad “altra provincia” già esistente, nel rispetto della continuità territoriale.

In pratica, verrebbe fornita ai comuni non inclusi nella perimetrazione della città provvisoria una seconda possibilità per poter scegliere di far parte della città metropolitana definitiva.


 

Articolo 24
(
Ordinamento transitorio di Roma capitale ai sensi dell’articolo 114, terzo comma, della Costituzione)

 


1. In sede di prima applicazione, fino all’attuazione della disciplina delle città metropolitane, il presente articolo detta norme transitorie sull’ordinamento, anche finanziario, di Roma capitale.

2. Roma capitale è un ente territoriale, i cui attuali confini sono quelli del comune di Roma, e dispone di speciale autonomia, statutaria, amministrativa e finanziaria, nei limiti stabiliti dalla Costituzione. L’ordinamento di Roma capitale è diretto a garantire il miglior assetto delle funzioni che Roma è chiamata a svolgere quale sede degli organi costituzionali nonché delle rappresentanze diplomatiche degli Stati esteri, ivi presenti presso la Repubblica italiana, presso lo Stato della Città del Vaticano e presso le istituzioni internazionali.

3. Oltre a quelle attualmente spettanti al comune di Roma, sono attribuite a Roma capitale le seguenti funzioni amministrative:

     a) concorso alla valorizzazione dei beni storici, artistici, ambientali e fluviali, previo accordo con il Ministero per i beni e le attività culturali;

     b) sviluppo economico e sociale di Roma capitale con particolare riferimento al settore produttivo e turistico;

     c) sviluppo urbano e pianificazione territoriale;

     d) edilizia pubblica e privata;

     e) organizzazione e funzionamento dei servizi urbani, con particolare riferimento al trasporto pubblico ed alla mobilità;

     f) protezione civile, in collaborazione con la Presidenza del Consiglio dei ministri e la regione Lazio;

     g) ulteriori funzioni conferite dallo Stato e dalla regione Lazio, ai sensi dell’articolo 118, secondo comma, della Costituzione.

4. L’esercizio delle funzioni di cui al comma 3 è disciplinato con regolamenti adottati dal consiglio comunale, che assume la denominazione di Assemblea capitolina, nel rispetto della Costituzione, dei vincoli comunitari ed internazionali, della legislazione statale e di quella regionale nel rispetto dell’articolo 117, sesto comma, della Costituzione nonché in conformità al principio di funzionalità rispetto alle speciali attribuzioni di Roma capitale. L’Assemblea capitolina, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo di cui al comma 5, approva, ai sensi dell’articolo 6, commi 2, 3 e 4, del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, con particolare riguardo al decentramento municipale, lo statuto di Roma capitale che entra in vigore il giorno successivo alla data della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

5. Con uno o più decreti legislativi, adottati ai sensi dell’articolo 2, sentiti la regione Lazio, la provincia di Roma e il comune di Roma, è disciplinato l’ordinamento transitorio, anche finanziario, di Roma capitale, secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:

     a) specificazione delle funzioni di cui al comma 3 e definizione delle modalità per il trasferimento a Roma capitale delle relative risorse umane e dei mezzi;

     b) fermo quanto stabilito dalle disposizioni di legge per il finanziamento dei comuni, assegnazione di ulteriori risorse a Roma capitale, tenendo conto delle specifiche esigenze di finanziamento derivanti dal ruolo di capitale della Repubblica, previa la loro determinazione specifica, e delle funzioni di cui al comma 3.

6. Il decreto legislativo di cui al comma 5 assicura i raccordi istituzionali, il coordina­mento e la collaborazione di Roma capitale con lo Stato, la regione Lazio e la provincia di Roma, nell’esercizio delle funzioni di cui al comma 3. Con il medesimo decreto è disci­plinato lo status dei membri dell’Assemblea capitolina.

7. Il decreto legislativo di cui al comma 5, con riguardo all’attuazione dell’articolo 119, sesto comma, della Costituzione, stabilisce i princìpi generali per l’attribuzione alla città di Roma, capitale della Repubblica, di un proprio patrimonio, nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi specifici:

     a) attribuzione a Roma capitale di un patrimonio commisurato alle funzioni e competenze ad essa attribuite;

     b) trasferimento, a titolo gratuito, a Roma capitale dei beni appartenenti al patrimonio dello Stato non più funzionali alle esigenze dell’Amministrazione centrale, in conformità a quanto previsto dall’articolo 19, comma 1, lettera d).

8. Le disposizioni di cui al presente articolo e quelle contenute nel decreto legislativo adottato ai sensi del comma 5 possono essere modificate, derogate o abrogate solo espressamente. Per quanto non disposto dal presente articolo, continua ad applicarsi a Roma capitale quanto previsto con riferimento ai comuni dal testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.

9. A seguito dell’attuazione della disciplina delle città metropolitane e a decorrere dall’istituzione della città metropolitana di Roma capitale, le disposizioni di cui al presente articolo si intendono riferite alla città metropolitana di Roma capitale.

10. Per la città metropolitana di Roma capitale si applica l’articolo 23 ad eccezione del comma 2, lettere b) e c), e del comma 6, lettera d). La città metropolitana di Roma capitale, oltre alle funzioni della città metropolitana, continua a svolgere le funzioni di cui al presente articolo.


 

 

L’articolo 24[82], disciplina, come precisa il comma 1, l’ordinamento transitorio, anche relativo ai profili finanziari, della capitale della Repubblica, in attuazione dell’art. 114, terzo comma, Cost[83]., in vista della sua costituzione in città metropolitana e in attesa dell’adozione ed attuazione di una disciplina ordinaria sulle città metropolitane.

A tal fine viene conferita al Governo apposita delega, da esercitarsi attraverso l’adozione di uno o più decreti legislativi (v. infra co. 5).

 

L’articolo configura, in luogo del comune di Roma, un nuovo ente territoriale denominato “Roma capitale”, l’ordinamento del quale è in parte direttamente introdotto dall’articolo medesimo, acquistando pertanto immediata efficacia; in parte è rimesso al Governo, che dovrà adottare uno o più decreti legislativi ai sensi della delega prevista0 dall’art. 2; in parte è definito mediante richiamo ad altre leggi, vigenti o da adottare.

Come conferma il comma 9, le disposizioni recate dall’articolo in esame hanno carattere transitorio o, per meglio dire, costituiscono una “normativa-ponte” in vista dell’attuazione di una disciplina organica delle città metropolitane che – secondo il comma 1 del precedente articolo 23 (vedi supra) – sarà determinata con apposita legge. A decorrere da allora, le disposizioni recate dall’articolo in esame non perderanno efficacia ma andranno per così dire a regime, intendendosi riferite alla città metropolitana di Roma capitale (da istituire secondo le procedure delineate dall’articolo 23).

 

Dai commi 1 e 9 sopra illustrati si desume pertanto che, in via transitoria, l’ente “Roma capitale” è destinato ad assorbire il comune di Roma mentre – a regime – esso rientrerà nel genus delle città metropolitane, ampliando le sue dimensioni territoriali con presumibile assorbimento della provincia.

 

Il comma 2 istituisce l’ente territoriale “Roma capitale”, facendone coincidere i confini con quelli del comune di Roma e dotando il nuovo ente territoriale di una “speciale autonomia” statutaria, amministrativa e finanziaria, nel rispetto dei limiti costituzionali.

Le finalità generali di tale più ampio ambito di autonomia sono chiarite dal medesimo comma 2: l’ordinamento di Roma capitale dovrà garantire il migliore assetto delle peculiari funzioni che la capitale è chiamata svolgere in quanto sede degli organi costituzionali[84], nonché delle rappresentanze diplomatiche degli Stati esteri presenti presso la Repubblica italiana, presso lo Stato della Città del Vaticano e presso le istituzioni internazionali.

 

E’ ipotizzabile – anche se la disposizione non lo esplicita chiaramente – che l’ente “Roma capitale” non si sovrapponga, ma assorba il comune di Roma.

Tale interpretazione sarebbe suffragata: dal comma 3 (v. infra) che attribuisce a “Roma capitale” le funzioni attualmente spettanti al “comune di Roma”; dal comma 4 (v. infra), che rimette l’esercizio delle funzioni amministrative attribuite a “Roma capitale” ad appositi regolamenti adottati dal Consiglio comunale; dal comma 6 (v. infra), che prevede l’individuazione, nella legislazione delegata, di modalità di coordinamento e collaborazione tra “Roma capitale” da un lato e lo Stato, la Regione Lazio e la provincia di Roma dall’altro, senza fare riferimento al comune.

 

Il comma 3 dispone l’attribuzione a Roma capitale, oltre che delle funzioni attualmente spettanti al comune di Roma, di una serie dettagliata di ulteriori funzioni amministrative:

§      concorso alla valorizzazione dei beni storici, artistici, ambientali e fluviali, previo accordo con il Ministero per i beni e le attività culturali[85] (lettera a)).

§      Il testo non prevede un’analoga forma di coinvolgimento della Regione Lazio;

§      sviluppo economico e sociale di Roma capitale con particolare riferimento al settore produttivo e turistico (lettera b));

§      sviluppo urbano e pianificazione territoriale (lettera c));

§      edilizia pubblica e privata (lettera d));

§      organizzazione e funzionamento dei servizi urbani, con particolare riferimento al trasporto pubblico ed alla mobilità (lettera e));

§      protezione civile, in collaborazione con la Presidenza del Consiglio dei ministri e la Regione Lazio[86] (lettera f));

§      ulteriori funzioni conferite dallo Stato e dalla Regione Lazio, ai sensi dell’art. 118, co. 2°, Cost. (lettera g)).

 

Il comma 4 rimette la disciplina dell’esercizio delle sopra elencate funzioni amministrative ad appositi regolamenti adottati dal consiglio comunale di Roma. Quest’ultimo, divenuto organo del nuovo ente territoriale, assume la denominazione di Assemblea capitolina.

I predetti regolamenti, prosegue il comma 4:

§       devono essere conformi:

-        alla Costituzione;

-        ai vincoli derivanti dall’appartenenza all’Unione europea ed ai vincoli internazionali;

-        alla legislazione statale e regionale;

§       sono adottati nel rispetto dell’articolo 117, sesto comma, della Costituzione, che attribuisce e delimita la potestà regolamentare di Stato, Regioni ed enti locali.

Sembra rilevare in questa sede il terzo periodo del comma, che recita: “I Comuni, le Province e le Città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell'organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite”;

§       sono redatti in conformità al “principio di funzionalità”: la relativa disciplina deve in altre parole risultare funzionale alle speciali attribuzioni amministrative attribuite a Roma capitale.

Il secondo periodo del comma dispone che, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore di uno dei decreti legislativi che, ai sensi del successivo comma 5 (v. infra), disciplineranno l’ordinamento transitorio di Roma capitale, l’Assemblea capitolina dovrà approvare lo statuto di Roma capitale, la cui entrata in vigore è fissata il giorno successivo a quello di pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale. L’approvazione avrà luogo, si precisa, ai sensi dell’art. 6, co. 2, 3 e 4, del testo unico sugli enti locali.

 

La disposizione sembra derogare al comma 5 dell’art. 6 citato (non richiamato), che prevede tra l’altro la pubblicazione dello statuto (non sulla Gazzetta ufficiale ma) sul bollettino ufficiale della regione, oltre all’affissione all’albo pretorio dell’ente e l’entrata in vigore decorsi trenta giorni dall’affissione.

Ai sensi dell’art. 6 del Testo unico sugli enti locali, i comuni e le province adottano il proprio statuto (co. 1) che, nell'ambito dei princìpi fissati dal Testo unico, stabilisce le norme fondamentali dell'organizzazione dell'ente e, in particolare, specifica le attribuzioni degli organi e le forme di garanzia e di partecipazione delle minoranze, i modi di esercizio della rappresentanza legale dell'ente, anche in giudizio (co. 2). Esso stabilisce norme per assicurare condizioni di pari opportunità tra uomo e donna e per promuovere la presenza di entrambi i sessi nelle giunte e negli organi collegiali del comune e della provincia, nonché degli enti, aziende ed istituzioni da essi dipendenti (co. 3).

Gli statuti sono deliberati dai rispettivi consigli con il voto favorevole dei due terzi dei consiglieri assegnati. Qualora tale maggioranza non venga raggiunta, la votazione è ripetuta in successive sedute da tenersi entro trenta giorni e lo statuto è approvato se ottiene per due volte il voto favorevole della maggioranza assoluta dei consiglieri assegnati. Tali disposizioni si applicano anche alle modifiche statutarie (co. 4).

 

In sede di adozione dello statuto, occorre fornire “particolare riguardo” al profilo del decentramento municipale.

 

Si ricorda che il vigente statuto del comune di Roma disciplina – nel Capo IV (artt. 26 e ss.) – il decentramento municipale.

In base all’art. 26, le Circoscrizioni del Comune di Roma sono costituite in Municipi, per rappresentare le rispettive comunità, curarne gli interessi e promuoverne lo sviluppo nell'ambito dell'unità del Comune di Roma (comma 1). I Municipi esercitano le funzioni loro attribuite dalla legge, dallo Statuto e dal regolamento. Ulteriori funzioni possono esse riconferite ai Municipi con deliberazione consiliare (comma 3).

 

Il comma 5 rimette ad uno o più decreti legislativi, da adottarsi ai sensi dell’articolo 2, la disciplina dell’ordinamento transitorio, anche relativo ai profili finanziari, di Roma capitale[87].

 

L’esercizio della delega deve conformarsi ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

§      specificazione delle nuove funzioni amministrative attribuite a Roma capitale in base al comma 3 e definizione delle modalità per il trasferimento all’ente delle risorse umane e dei mezzi necessari (lettera a));

§      ferme restando le norme di legge sul finanziamento dei comuni, assegnazione a Roma capitale di ulteriori risorse finanziarie, parametrate sulle nuove funzioni amministrative attribuite, nonché sulle specifiche esigenze di finanziamento derivanti dal ruolo di capitale della Repubblica (lettera b)).

 

I successivi due commi integrano ulteriormente i princìpi e criteri direttivi esposti nel comma 5.

Ai sensi del comma 6, i decreti legislativi dovranno assicurare – nell’esercizio delle funzioni amministrative di cui al comma 3 – i raccordi istituzionali, nonché le modalità di coordinamento e di collaborazione tra il nuovo ente e lo Stato, la regione Lazio e la provincia di Roma, nonché lo status dei membri dell’Assemblea capitolina.

 

Il comma 7 rimette ai decreti legislativi sull’ordinamento transitorio la statuizione dei princìpi generali per l’attribuzione alla città di Roma, capitale della Repubblica, di un proprio patrimonio, nel rispetto dei seguenti, specifici principi e criteri direttivi:

§      attribuzione a Roma capitale di un patrimonio che dovrà essere commisurato alle funzioni e alle competenze ad essa attribuite;

§      trasferimento a titolo gratuito a Roma capitale dei beni appartenenti al patrimonio dello Stato non più funzionali alle esigenze dell’amministrazione centrale; fatta eccezione per quelle tipologie di beni, da individuare ai sensi dell’articolo 19, comma 1, lettera d), che non siano suscettibili di trasferimento in quanto “di rilevanza nazionale”, inclusi tra questi i beni appartenenti al patrimonio culturale nazionale.

 

Il comma 8 dispone che sia le norme di cui all’articolo in esame sia quelle che saranno adottate, ai sensi del comma 5, con i decreti legislativi sull’ordinamento transitorio di Roma capitale, non possano essere modificate, derogate od abrogate se non con disposizione espressa.

Il secondo periodo del medesimo comma integra la disciplina di Roma capitale operando un generale rinvio, per quanto non disposto dall’articolo in commento (e, naturalmente, dai relativi decreti legislativi attuativi), alla disciplina concernente i comuni, contenuta nel testo unico sugli enti locali.

 

Ai sensi del comma 10 all’istituzione della città metropolitana di Roma capitale si giungerà secondo le procedure delineate dal precedente articolo 23; la città metropolitana di Roma capitale continua a svolgere le funzioni di cui al presente articolo oltre a quelle della città metropolitana.

 

Con riguardo alle scadenze temporali previste rispettivamente dall'articolo in esame e dall’articolo 23, si evidenzia che mentre per la delega per la disciplina dell’ordinamento transitorio dell’ente territoriale Roma capitale il termine è fissato in 24 mesi (cfr. artt. 24, co. 5 e 2, co. 1), il termine per l’istituzione della città metropolitana è fissato in 36 mesi (art. 23, co. 5).

 

 


 

Articolo 25
(
Principi e criteri direttivi relativi alla gestione dei tributi e delle compartecipazioni)

 


1. I decreti legislativi di cui all’articolo 2, con riguardo al sistema gestionale dei tributi e delle compartecipazioni, nel rispetto della autonomia organizzativa di regioni ed enti locali nella scelta delle forme di organizza­zione delle attività di gestione e di riscossione, sono adottati secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:

     a) previsione di adeguate forme di collaborazione delle regioni e degli enti locali con il Ministero dell’economia e delle finanze e con l’Agenzia delle entrate, al fine di utilizzare le direzioni regionali delle entrate per la gestione organica dei tributi erariali, regionali e degli enti locali;

     b) definizione, con apposita e specifica convenzione fra il Ministero dell’economia e delle finanze, le singole regioni e gli enti locali, delle modalità gestionali, operative, di ripartizione degli oneri, degli introiti di attività di recupero dell’evasione.


 

 

L’articolo 25 indica i principi e criteri direttivi a cui si devono conformare i decreti legislativi di attuazione dell’articolo 119 della Costituzione - così come previsto dall’art. 2 della legge in esame – per quanto attiene alla gestione dei tributi e delle compartecipazioni.

L’articolo[88] prevede altresì che tali decreti debbano essere emanati nel rispetto dell’autonomia organizzativa di regioni ed enti locali nella scelta delle forme organizzative della gestione e della riscossione di tributi e compartecipazioni.

 

I principi e i criteri direttivi devono, in particolare:

§      prevedere adeguate forme di collaborazione delle Regioni e degli enti locali con il Ministero dell’economia e delle finanze e con l’Agenzia delle entrate, al fine di utilizzare le direzioni regionali delle entrate[89];

§      definire, con apposita convenzione tra il Ministero dell’economia e delle finanze, le singole Regioni e gli enti locali, le concrete modalità di recupero degli introiti dell’evasione fiscale, con riferimento anche alla ripartizione degli oneri relativi a tale attività.

Tale ultima disposizione appare connessa alle istanze di coinvolgimento dei diversi livelli istituzionali nell’attività di contrasto all’evasione e all’elusione fiscale (art. 2, comma 2, lett. d)).


 

Articolo 26
(
Contrasto dell'evasione fiscale)

 


1. I decreti legislativi di cui all’articolo 2, con riguardo al sistema gestionale dei tributi e delle compartecipazioni, nel rispetto dell’auto­nomia organizzativa delle regioni e degli enti locali nella scelta delle forme di organiz­zazione delle attività di gestione e di riscossione, sono adottati secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:

     a) previsione di adeguate forme di reciproca integrazione delle basi informative di cui dispongono le regioni, gli enti locali e lo Stato per le attività di contrasto dell’evasione dei tributi erariali, regionali e degli enti locali, nonché di diretta collaborazione volta a fornire dati ed elementi utili ai fini dell’accertamento dei predetti tributi;

     b) previsione di adeguate forme premiali per le regioni e gli enti locali che abbiano ottenuto risultati positivi in termini di maggior gettito derivante dall’azione di contrasto dell’evasione e dell’elusione fiscale.


 

 

L’articolo 26[90]reca disposizioni in tema di contrasto all’evasione fiscale.

Nel dettaglio, la norma reca i princìpi e i criteri direttivi cui devono essere informati i decreti legislativi di esercizio della delega recata dal provvedimento in esame – ai sensi dell’articolo 2 della legge – per quanto attiene al sistema di gestione dei tributi e delle compartecipazioni.

In via preliminare, si prescrive che l’esercizio della delega si effettui nel rispetto dell’autonomia organizzativa degli enti territoriali (Regioni ed enti locali) nella scelta concernente le forme di organizzazione delle attività di gestione e riscossione dei tributi.

Ai sensi della lettera a), devono essere previste adeguate forme di reciproca integrazione delle basi informative di cui dispongono le regioni, gli enti locali e lo Stato per le attività di contrasto alla evasione dei tributi erariali, regionali e degli enti locali, nonché forme di diretta collaborazione, per fornire dati ed elementi utili ai fini dell'accertamento dei predetti tributi.

Accanto all’interazione tra i diversi livelli di governo, la lettera b) prevede meccanismi premiali per le regioni e gli enti locali che abbiano ottenuto risultati positivi in termini di maggior gettito derivante dall'azione di contrasto all'evasione e all'elusione fiscale.

 


 

Articolo 27
(
Coordinamento della finanza delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome)

 


1. Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano, nel rispetto degli statuti speciali, concorrono al conseguimento degli obiettivi di perequazione e di solidarietà ed all’esercizio dei diritti e doveri da essi derivanti, nonché al patto di stabilità interno e all’assolvimento degli obblighi posti dall’ordinamento comunitario, secondo criteri e modalità stabiliti da norme di attuazione dei rispettivi statuti, da definire, con le procedure previste dagli statuti medesimi, entro il termine di ventiquattro mesi stabilito per l’emanazione dei decreti legislativi di cui all’articolo 2 e secondo il principio del graduale superamento del criterio della spesa storica di cui all’articolo 2, comma 2, lettera m).

2. Le norme di attuazione di cui al comma 1 tengono conto della dimensione della finanza delle predette regioni e province autonome rispetto alla finanza pubblica complessiva, delle funzioni da esse effetti­vamente esercitate e dei relativi oneri, anche in considerazione degli svantaggi strutturali permanenti, ove ricorrano, dei costi dell’insularità e dei livelli di reddito pro capite che caratterizzano i rispettivi territori o parte di essi, rispetto a quelli corrispondentemente sostenuti per le medesime funzioni dallo Stato, dal complesso delle regioni e, per le regioni e province autonome che esercitano le funzioni in materia di finanza locale, dagli enti locali. Le medesime norme di attuazione disciplinano altresì le specifiche modalità attraverso le quali lo Stato assicura il conseguimento degli obiettivi costituzionali di perequazione e di solidarietà per le regioni a statuto speciale i cui livelli di reddito pro capite siano inferiori alla media nazionale, ferma restando la copertura del fabbisogno standard per il finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, conformemente a quanto previsto dall’articolo 8, comma 1, lettera b), della presente legge.

3. Le disposizioni di cui al comma 1 sono attuate, nella misura stabilita dalle norme di attuazione degli statuti speciali e alle condizioni stabilite dalle stesse norme in applicazione dei criteri di cui al comma 2, anche mediante l’assunzione di oneri derivanti dal trasferimento o dalla delega di funzioni statali alle medesime regioni a statuto speciale e province autonome ovvero da altre misure finalizzate al conseguimento di risparmi per il bilancio dello Stato, nonché con altre modalità stabilite dalle norme di attuazione degli statuti speciali. Inoltre, le predette norme, per la parte di propria competenza:

     a) disciplinano il coordinamento tra le leggi statali in materia di finanza pubblica e le corrispondenti leggi regionali e provinciali in materia, rispettivamente, di finanza regionale e provinciale, nonché di finanza locale nei casi in cui questa rientri nella competenza della regione a statuto speciale o provincia autonoma;

     b) definiscono i princìpi fondamentali di coordinamento del sistema tributario con riferimento alla potestà legislativa attribuita dai rispettivi statuti alle regioni a statuto speciale e alle province autonome in materia di tributi regionali, provinciali e locali;

     c) individuano forme di fiscalità di sviluppo, ai sensi dell’articolo 2, comma 2, lettera mm), e alle condizioni di cui all’articolo 16, comma 1, lettera d).

4. A fronte dell’assegnazione di ulteriori nuove funzioni alle regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento e di Bolzano, così come alle regioni a statuto ordinario, nei casi diversi dal concorso al conseguimento degli obiettivi di perequazione e di solidarietà ai sensi del comma 2, rispettivamente le norme di attuazione e i decreti legislativi di cui all’articolo 2 defini­ranno le corrispondenti modalità di finanzia­mento aggiuntivo attraverso forme di compartecipazione a tributi erariali e alle accise, fatto salvo quanto previsto dalle leggi costituzionali in vigore.

5. Alle riunioni del Consiglio dei ministri per l’esame degli schemi concernenti le norme di attuazione di cui al presente articolo sono invitati a partecipare, in conformità ai rispettivi statuti, i Presidenti delle regioni e delle province autonome interessate.

6. La Commissione di cui all’articolo 4 svolge anche attività meramente ricognitiva delle disposizioni vigenti concernenti l’ordina­mento finanziario delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano e della relativa applicazione. Nell’esercizio di tale funzione la Commissione è integrata da un rappresentante tecnico della singola regione o provincia interessata.

7. Al fine di assicurare il rispetto delle norme fondamentali della presente legge e dei princìpi che da essa derivano, nel rispetto delle peculiarità di ciascuna regione a statuto speciale e di ciascuna provincia autonoma, è istituito presso la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, in attuazione del principio di leale collabora­zione, un tavolo di confronto tra il Governo e ciascuna regione a statuto speciale e ciascuna provincia autonoma, costituito dai Ministri per i rapporti con le regioni, per le riforme per il federalismo, per la semplifi­cazione normativa, dell’economia e delle finanze e per le politiche europee nonché dai Presidenti delle regioni a statuto speciale e delle province autonome. Il tavolo individua linee guida, indirizzi e strumenti per assicurare il concorso delle regioni a statuto speciale e delle province autonome agli obiettivi di perequazione e di solidarietà e per valutare la congruità delle attribuzioni finanziarie ulteriori intervenute successiva­mente all’entrata in vigore degli statuti, verificandone la coerenza con i princìpi di cui alla presente legge e con i nuovi assetti della finanza pubblica. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, è assicurata l’organizzazione del tavolo.


 

 

L’articolo 27 prevede al comma 1 che le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e di Bolzano – nel rispetto degli Statuti speciali – concorrano:

-        al conseguimento degli obiettivi di perequazione e di solidarietà;

-        all’esercizio dei diritti e doveri da essi derivanti;

-        all’assolvimento degli obblighi comunitari;

-        nonché al patto di stabilità interno[91].

 

I criteri e le modalità per l’applicazione delle suddette previsioni sono rimessi alle norme di attuazione dei rispettivi Statuti, da definirsi entro il termine di ventiquattro mesi dall’entrata in vigore della presente legge.

Pertanto, le norme di attuazione degli statuti speciali assumono la veste giuridica di atti con forza di legge, funzionali a garantire l’operatività di leggi costituzionali ed assistiti da un particolare vincolo procedurale (di carattere “paracontrattuale”) ai fini della loro adozione.

 

Si prevede inoltre il principio del superamento del criterio della spesa storica, che dovrà avvenire in modo graduale.

Al riguardo, si rammenta che per le regioni a statuto ordinario l’articolo 19 prevede che la gradualità vada contenuta nel limite massimo di cinque anni, salvo l’intervento straordinario dello Stato nelle situazioni di particolare insostenibilità.

 

Si ricorda inoltre che, ai sensi dell’art. 116, co. 1, Cost., lo statuto delle Regioni ad autonomia speciale è adottato con legge costituzionale.

La legge cost. n. 2 del 2001 è intervenuta nella materia statutaria, uniformandone il procedimento di revisione; essa ha disposto, altresì, che le future modifiche degli Statuti speciali non siano sottoposte a referendum costituzionale; inoltre, si è previsto che le norme relative alla forma di governo possano essere modificate con legge regionale.

Gli Statuti delle Regioni ad autonomia differenziata prevedono che all’attuazione dello Statuto, nonché al trasferimento delle funzioni, degli uffici e del personale dallo Stato alla Regione, si provveda con un decreto legislativo, emanato dal Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta di un’apposita commissione paritetica formata da membri designati in parti uguali dal Governo e dalla Regione. Si tratta di atti con forza di legge a cui è attribuita una competenza specifica e riservata: la loro emanazione avviene senza una delega legislativa del Parlamento.

In alcuni casi, la legge costituzionale di adozione dello statuto dispone un’attenuazione del grado di rigidità del processo di revisione: per es., l’art. 54 dello Statuto della Regione Sardegna (l. cost. n. 3 del 1948) prevede che le disposizioni statutarie in materia di finanze, demanio e patrimonio possano essere modificate con leggi ordinarie della Repubblica su proposta del Governo o della Regione, in ogni caso sentita la Regione.

Previsioni analoghe sono contenute nell’art. 63 dello Statuto della Regione Friuli-Venezia Giulia (l. cost. n. 1 del 1963) e nell’art. 104 dello Statuto per il Trentino-Alto Adige (D.P.R. n. 670 del 1972).

 

Ai sensi del comma 2, le norme di attuazione degli Statuti devono tenere conto:

-        della dimensione della finanza delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome rispetto alla finanza pubblica complessiva;

Il termine “finanza” - elevato a parametro di raffronto tra le Regioni a statuto speciale e l’aggregato finanziario pubblico lato sensu inteso - non appare univoco e, pertanto, è suscettibile di interpretazioni differenziate a seconda dei diversi parametri utilizzabili (tra le altre: totale delle entrate; totale di talune poste delle entrate; rapporto entrate/spese; totale delle spese; considerazione solo di talune poste tra le spese).

-        delle funzioni da esse effettivamente esercitate e dei relativi oneri - anche in considerazione degli svantaggi strutturali permanenti, ove ricorrano, dei costi dell'insularità e dei livelli di reddito pro capite che caratterizzano i rispettivi territori o parte di essi - rispetto a quelli corrispondentemente sostenuti, per le medesime funzioni, dallo Stato, dal complesso delle Regioni e, per le Regioni e Province autonome che esercitano le funzioni in materia di finanza locale, dagli enti locali.

 

Si ricorda che sono titolari di competenza primaria in materia di finanza locale la Valle d’Aosta, il Friuli-Venezia Giulia e le Province autonome di Trento e Bolzano. Per quanto attiene alla disciplina della finanza locale, alla Regione Valle d’Aosta spetta la potestà legislativa di integrare e attuare le leggi statali in materia di finanza (regionale e) comunale (art. 3, co. 1, lett. f), l. cost. n. 4 del 1948). Su tale materia, la Valle d’Aosta è titolare, altresì, delle relative funzioni amministrative (art. 4 l. cost. n. 4 del 1948).

 

Le medesime norme di attuazione disciplinano, altresì, le specifiche modalità attraverso le quali lo Stato assicura il conseguimento degli obiettivi costituzionali di perequazione e di solidarietà per le Regioni a statuto speciale i cui livelli di reddito pro capite siano inferiori alla media nazionale. Inoltre, resta fermacomunque la copertura del fabbisogno standard per il finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) da erogarsi sull’intero territorio nazionale in condizioni di efficienza ed appropriatezza.

 

La disposizione in esame non sembra specificare le modalità di partecipazione al raggiungimento degli obiettivi di perequazione e di solidarietà da parte delle Regioni a statuto speciale caratterizzate da un reddito pro capite superiore alla media nazionale.

 

In base al comma 3, le norme di cui al sopra illustrato comma 1devono essere attuate anche:

-        mediante l’assunzione di oneri derivanti dal trasferimento o dalla delega di funzioni statali alle medesime Regioni a statuto speciale e Province autonome;

-        mediante l’assunzione di oneri derivanti da altre misure finalizzate al conseguimento di risparmi per il bilancio dello Stato;

-        con altre modalità stabilite dalle norme di attuazione degli Statuti speciali.

 

Inoltre, le predette norme di attuazione degli Statuti speciali, per la parte di propria competenza:

a)      disciplinano il coordinamento tra le leggi statali in materia di finanza pubblica e le corrispondenti leggi regionali e provinciali;

b)      definiscono i principi fondamentali di coordinamento del sistema tributario, con riferimento alla potestà legislativa attribuita dai rispettivi Statuti alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome in materia di tributi regionali, provinciali e locali;

c)      individuano forme di fiscalità di sviluppo, ai sensi dell’art. 2, comma 2, lett. mm)(ove si prevede che tali istituti debbano essere conformi al diritto comunitario e rivolti, in particolare, alla creazione di nuove attività di impresa) e alle condizioni di cui all’art. 16, primo comma, lett. d) (ove si esplicitano le finalità di promozione dello sviluppo economico e della coesione delle aree sottoutilizzate, la solidarietà sociale, la rimozione degli squilibri economici e sociali, l’esercizio dei diritti della persona).

 

Si ricorda che per “fiscalità di sviluppo” (o “di vantaggio”) si intende una o più decisioni di politica tributaria volte a ridurre l’imposizione fiscale in un determinato territorio, per favorirvi la localizzazione di attività economico-produttive.

La fiscalità di vantaggio si differenzia dalla “concorrenza fiscale”, per l’autonomia del livello istituzionale che assume la decisione. Tali decisioni devono rispettare il divieto comunitario di aiuti di Stato distorsivi della concorrenza.

 

Il comma 4 stabilisce che – a fronte dell’assegnazione di ulteriori nuove funzioni alle Regioni a Statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano, così come alle Regioni a Statuto ordinario – verranno definite le corrispondenti modalità di finanziamento aggiuntivo, attraverso forme di compartecipazione al gettito di tributi erariali e di accise.

Viene altresì ribadito che la nuova disciplina si adotta fatto salvo quanto previsto dalle leggi costituzionali in vigore (la nuova disciplina, pertanto, non può sovrapporsi o assimilare quanto diversamente disposto «dalle leggi costituzionali in vigore» o, più specificamente, dagli statuti delle regioni e delle province ad autonomia speciale).

 

Tale previsione non trova applicazione nei casi in cui l’assegnazione di ulteriori nuove funzioni sia finalizzata al conseguimento degli obiettivi di perequazione e di solidarietà.

 

Si ricorda che i vigenti statuti delle Regioni ad autonomia speciale e delle Province autonome di Trento e Bolzano elencano le imposte erariali delle quali una quota percentuale è attribuita alla Regione, le aliquote eventualmente differenziate per ciascun tipo di imposta, la base di computo, le modalità di attribuzione. Talune specificazioni di dettaglio sono rimesse alle norme di attuazione.

In sintesi, è attribuito alle Regioni:

-        Sicilia: il gettito di tutti i tributi erariali, ad eccezione delle imposte di produzione (ora accise) e dei proventi del monopolio dei tabacchi e del lotto;

-        Sardegna: i 7/10 dell’IRPEF e dell’IRES, i 9/10 delle imposte ipotecarie, di bollo e di registro, concessioni, energia elettrica, fabbricazione (accise) e, con la finanziaria per il 2007 (ma in vigore dal 2010), i 9/10 dell’IVA e i 7/10 di tutte le altre entrate erariali;

-        Valle d’Aosta: i 9/10 di quasi tutte le imposte e l’IVA in quota fissa;

-        Friuli-Venezia Giulia: i 6/10 dell’IRPEF, i 4,5/10 dell’IRES, 9,1/10 dell’IVA (con la finanziaria per il 2007, ma in vigore dal 2008), i 9/10 di altre imposte residuali, il 29,75% del gettito dell’accisa sulle benzine ed il 30,34% del gettito dell’accisa sul gasolio consumati nella regione per uso autotrazione (a decorrere dal 2008);

-        Trentino-Alto Adige: le imposte ipotecarie, 9/10 delle imposte sulle successioni e donazioni e dei proventi del lotto, i 2/10 dell’IVA;

-        Province autonome di Trento e di Bolzano: i 9/10 di quasi tutte le imposte erariali, una quota variabile dell’IVA (max 4/10) stabilita sulla base di un’intesa annuale.

 

Il comma 5 dispone che i presidenti delle Regioni e delle Province autonome interessate siano invitati a partecipare - in conformità ai rispettivi statuti - alle riunioni del Consiglio dei ministri dedicate all’esame degli schemi concernenti le norme di attuazione di cui all’articolo in commento.

 

Si ricorda che, ai sensi dell’art. 21, terzo comma, D.Lgs. n. 455 del 1946 (Statuto della Regione siciliana, convertito in l. cost. n. 2 del 1948), il presidente della Regione “col rango di Ministro partecipa al Consiglio dei ministri con voto deliberativo nelle materie che interessano la Regione”.

Ai sensi dell’art. 47, secondo comma, l. cost. n. 3 del 1948 (Statuto speciale per la Sardegna), “il presidente della Regione interviene alle sedute del Consiglio dei ministri, quando si trattano questioni che riguardano particolarmente la Regione”.

In base all’art. 44, terzo comma, l. cost. n. 4 del 1948 (Statuto speciale per la Valle d’Aosta), il Presidente della Regione Valle d’Aosta “interviene alle sedute del Consiglio dei ministri, quando si trattano questioni che riguardano particolarmente la Regione”.

In base all’art. 44 della l. cost. n. 1 del 1963 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia), “il Presidente della Regione interviene alle sedute del Consiglio dei ministri per essere sentito, quando sono trattate questioni che riguardano particolarmente la Regione”.

Ai sensi dell’art. 40, secondo comma, del D.P.R. n. 670 del 1972 (Statuto per il Trentino-Alto Adige), il presidente della Regione “interviene alle sedute del Consiglio dei Ministri, quando si trattano questioni che riguardano la regione”.

Analoga previsione è stabilita dall’art. 52, quarto comma, con riguardo ai presidenti delle Province autonome.

 

Il comma 6 rimette alla Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale (su cui v. supra art. 4) l’effettuazione di una ricognizione delle disposizioni vigenti concernenti il finanziamento delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano e della relativa applicazione.

Nell’esercizio di tale funzione, la Commissione è integrata da un rappresentante tecnico della regione o provincia interessata.

 

Il comma 7 infine istituisce un tavolo di confronto (la cui organizzazione è demandata ad un successivo DPCM da emanarsi entro trenta giorni dall'entrata in vigore del provvedimento in esame) tra il Governo e ciascuna regione a statuto speciale e ciascuna provincia autonoma. Obiettivi del tavolo sono:

-        individuare le linee guida e gli strumenti per il concorso delle regioni a statuto speciale e delle province autonome agli obiettivi di perequazione e di solidarietà;

-        valutare la congruità delle attribuzioni finanziarie ulteriori intervenute successivamente all'entrata in vigore degli statuti;

-        verificare la coerenza di tali attribuzioni con i principi della presente legge e con i nuovi assetti della finanza pubblica.

 

Al tavolo, istituito presso la Conferenza per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, partecipano:

-        il Ministro per i rapporti con le regioni;

-        il Ministro per le riforme per il federalismo;

-        il Ministro per la semplificazione normativa;

-        il Ministro dell'economia e delle finanze;

-        il Ministro per le politiche europee;

-        i rispettivi Presidenti delle regioni a statuto speciale e delle province autonome.

 

In attuazione di quanto disposto dal presente comma è stato emanato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 6 agosto 2009 (Gazzetta ufficiale n. 213 del 14 settembre 2009).


 

Articolo 28
(
Salvaguardia finanziaria)

 


1. L’attuazione della presente legge deve essere compatibile con gli impegni finanziari assunti con il patto di stabilità e crescita.

2. I decreti legislativi di cui all’articolo 2 individuano meccanismi idonei ad assicurare che:

     a) vi sia la coerenza tra il riordino e la riallocazione delle funzioni e la dotazione delle risorse umane e finanziarie, con il vincolo che al trasferimento delle funzioni corrisponda un trasferimento del personale tale da evitare ogni duplicazione di funzioni;

     b) sia garantita la determinazione periodica del limite massimo della pressione fiscale nonché del suo riparto tra i diversi livelli di governo e sia salvaguardato l’obiettivo di non produrre aumenti della pressione fiscale complessiva anche nel corso della fase transitoria.

3. All’istituzione e al funzionamento della Commissione e della Conferenza di cui agli articoli 4 e 5 si provvede con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente. Gli oneri connessi alla partecipazione alle riunioni della Commis­sione e della Conferenza di cui al primo periodo sono a carico dei rispettivi soggetti istituzionali rappresentati, i quali provvedono a valere sugli ordinari stanziamenti di bilancio e comunque senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Ai componenti della Commissione e della Conferenza non spetta alcun compenso.

4. Dalla presente legge e da ciascuno dei decreti legislativi di cui all’articolo 2 e all’articolo 23 non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.


 

 

L’articolo 28 reca norme sulla salvaguardia finanziaria. In particolare, il comma 1 stabilisce che l’attuazione della presente legge debba essere compatibile con gli impegni finanziari derivanti dal Patto di stabilità e di crescita[92].

Si ricorda come un ancoraggio all’ordinamento comunitario sia rinvenibile anche all’articolo 2, comma 2, lett. g), che prevede, quale criterio direttivo generale, l’adozione, per le politiche di bilancio di regioni, città metropolitane, province e comuni, di regole coerenti con quelle derivanti dall'applicazione del patto di stabilità e crescita.

Sul rispetto dei vincoli derivanti dal Patto europeo di stabilità e crescita – mediante il “filtro” del Patto di stabilità interno – cfr. anche l’art. 17, comma 1, lett. b).

 

Ai sensi del comma 2, i decreti legislativi devono individuare meccanismi idonei ad assicurare che:

a.      vi sia la coerenza tra il riordino e la riallocazione delle funzioni e la dotazione delle risorse umane e finanziarie, con il vincolo che al trasferimento delle funzioni corrisponda un trasferimento del personale tale da evitare ogni duplicazione di funzioni (lettera a)).

Si tratta di una norma di chiusura atta a garantire una simmetria tra la riallocazione delle funzioni tra lo Stato e gli enti decentrati e la dotazione del relativo capitale umano e finanziario, finalizzata ad evitare una possibile duplicazione di funzioni - e pertanto di costi - a carico della finanza pubblica;

b.      sia garantita la determinazione periodica del limite massimo della pressione fiscale, nonché del suo riparto tra i diversi livelli di governo e sia salvaguardato l'obiettivo di non produrre aumenti della pressione fiscale complessiva, anche nel corso della fase transitoria di passaggio dalla “spesa storica” al “costo e fabbisogno standard” (lettera b))[93].

 

Si ricorda, a titolo informativo, che nel 2008 il rapporto complessivo pressione fiscale/PIL si è attestato al 42,8 per cento[94].

 

Il comma 3 reca la norma di copertura finanziaria degli oneri relativi alla costituzione e al funzionamento degli organi di cui agli articoli 4 e 5, ossia, rispettivamente, la Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale e la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica.

La norma precisa che all'istituzione e al funzionamento della Commissione tecnica paritetica e della Conferenza permanente si provveda con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente. Gli oneri connessi alla partecipazione alle riunioni della Commissione e della Conferenza sono a carico dei rispettivi soggetti istituzionali rappresentati, mentre ai componenti della Commissione e della Conferenza non spetta alcun compenso[95].

 

Il comma 4 reca la clausola di copertura finanziaria, ai sensi della quale dal provvedimento in esame e da ciascuno dei decreti legislativi di cui agli articoli 2 e 23, non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

 

Tale clausola di invarianza degli effetti finanziari della legge si integra con il vincolo di cui al comma 1, in base al quale l’attuazione della delega dovrà risultare compatibile con gli impegni in ordine al percorso di riduzione del debito e dell’indebitamento netto della P.A. in rapporto al PIL derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea e sanciti nell’ambito del Patto di stabilità e crescita.

Sempre in ordine agli effetti finanziari del provvedimento, si ricorda, infine, che rimane fermo il disposto di cui all’articolo 2, comma 6, ai sensi del quale il Governo, in allegato al primo schema di decreto legislativo recante i principi fondamentali in materia di armonizzazione dei bilanci pubblici - da adottare entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge - dovrà trasmettere alle Camere una relazione concernente il quadro generale di finanziamento degli enti territoriali ed ipotesi di definizione su base quantitativa della struttura fondamentale dei rapporti finanziari tra lo Stato, le regioni e gli enti locali, con l’indicazione delle possibili distribuzioni delle risorse.

 


 

Articolo 29
(
Abrogazioni)

 

1. I decreti legislativi di cui all’articolo 2 individuano le disposizioni incompatibili con la presente legge, prevedendone l’abrogazione.

La presente legge, munita del sigillo dello Stato, sarà inserita nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E' fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato.

 

 

L’articolo 29 prevede che i decreti legislativi emanati in base all’articolo 2 debbano individuare le disposizioni incompatibili con la presente legge, disponendone l’abrogazione esplicita.

 

 

 


 



[1]     Con la legge 31 dicembre 2009, n. 196 (Riforma della legge di contabilità e della finanza pubblica) il DPEF è stato sostituito dalla “Decisione di finanza pubblica” (art. 10), il cui schema viene presentato entro il 15 settembre di ogni anno alle Camere per le conseguenti deliberazioni parlamentari.

[2]     La legge n. 196 del 2009, all’articolo 11, ha sostituito il disegno di legge finanziaria con il “disegno di legge di stabilità” da presentare alle Camere entro il 15 ottobre di ogni anno, unitamente al disegno di legge di bilancio.

[3]     Va segnalato che durante l'esame parlamentare tale disposizione era stata modificata, escludendo dall'ambito di applicazione gli enti locali ricadenti nel territorio delle autonomie speciali. Tale norma è stata successivamente soppressa.

      L’effetto di quella disposizione non appariva di univoca interpretazione: in base a un’interpretazione strettamente letterale, da questa sarebbe sembrata discendere l’applicabilità agli enti locali ricadenti nel territorio delle Regioni a statuto speciale e delle province autonome dell’intera disciplina recata dalla legge in esame. Tale interpretazione doveva peraltro essere valutata alla luce delle competenze in materia di enti locali attribuite alle Regioni a statuto speciale dai rispettivi statuti. Un’interpretazione meno letterale avrebbe invece portato a ritenere che agli enti locali ricadenti nel territorio delle Regioni a statuto speciale non si sarebbe applicata nessuna delle disposizioni recate dalla legge in esame, neanche quelle applicabili alle Regioni a statuto speciale e alle province autonome in forza del comma 2. Perplessità potevano, peraltro, sorgere in merito alla coerenza di tale interpretazione con la disciplina complessivamente applicabile alle Regioni a statuto speciale sulla base degli articoli 14, 21 e 25 (secondo la precedente numerazione degli articoli).

[4]     Si ricorda che la legge 5 maggio 2009, n. 42, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 6 maggio, è entrata in vigore il 21 maggio 2009.

[5]     Quanto alla previsione dell’intesa in sede di Conferenza unificata il riferimento all’articolo 8, comma 6, della cosiddetta “legge La Loggia", presente nel testo originario del disegno di legge del Governo, è stato sostituito – nel corso dell'esame parlamentare – con quello all’articolo 3 del decreto legislativo n. 281 del 1997. Si ricorda che la legge 5 giugno 2003, n. 131, recante Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3. al citato articolo 8, comma 6 stabilisce che " Il Governo può promuovere la stipula di intese in sede di Conferenza Stato-Regioni o di Conferenza unificata, dirette a favorire l'armonizzazione delle rispettive legislazioni o il raggiungimento di posizioni unitarie o il conseguimento di obiettivi comuni; in tale caso è esclusa l'applicazione dei commi 3 e 4 dell'articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281. Nelle materie di cui all'articolo 117, terzo e quarto comma, della Costituzione non possono essere adottati gli atti di indirizzo e di coordinamento di cui all'articolo 8 della legge 15 marzo 1997, n. 59, e all'articolo 4 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112". L'articolo 3 del decreto legislativo n. 281 del 1997 ora richiamato stabilisce che "quando un'intesa espressamente prevista dalla legge non è raggiunta entro trenta giorni dalla prima seduta della Conferenza Stato-regioni in cui l'oggetto è posto all'ordine del giorno, il Consiglio dei Ministri provvede con deliberazione motivata (comma 3). In caso di motivata urgenza il Consiglio dei Ministri può provvedere senza l'osservanza delle disposizioni del presente articolo. I provvedimenti adottati sono sottoposti all'esame della Conferenza Stato-regioni nei successivi quindici giorni. Il Consiglio dei Ministri è tenuto ad esaminare le osservazioni della Conferenza Stato-regioni ai fini di eventuali deliberazioni successive (comma 4).

[6]     Si ricorda che, nell'elaborazione giurisprudenziale e dottrinale, le intese – che prefigurano il raggiungimento di una volontà comune dello Stato e degli enti territoriali in merito ad atti o attribuzioni relativi all’esercizio di rispettive competenze - possono essere considerate "forti" o "deboli", a seconda che la loro sussistenza condizioni o meno l'adozione finale dell'atto. Il carattere “forte” o “debole” non sarebbe privo di influenze sulla possibilità per il Governo di esercitare la delega legislativa, conferita ex art. 76 della Costituzione, anche in assenza di un tempestivo accordo.

[7]     Si ricorda che, nel corso dell'esame parlamentare era stato introdotto il meccanismo del cd. "doppio parere": se il Governo non intendeva conformarsi ai pareri parlamentari, questi doveva ritrasmette i testi alle Camere con le osservazioni e le eventuali modifiche, affinché gli stessi organismi precedentemente indicati, esprimessero un nuovo parere.

[8]     Durante l'esame parlamentare è stato invece soppresso l’inciso che finalizzava tale collaborazione anche a una definizione condivisa dei livelli essenziali di assistenza, dei livelli essenziali delle prestazioni e della determinazione dei costi e dei fabbisogni standard.Sul punto si veda anche l'articolo 20, comma 2, nonché infra, in merito al comma 6.

[9]     Il testo originario della legge n. 42 prevedeva che tale primo decreto legislativo avrebbe avuto ad oggetto i principi fondamentali in materia di armonizzazione dei bilanci pubblici previsti all’articolo 2, comma 2, lettera h) del testo originario. La legge 31 dicembre 2009, n. 196 (Legge di contabilità e finanza pubblica) all’articolo 2, comma 6, lettera b), ha riformulato la lettera h) – ora concernente l’adozione di regole contabili uniformi. Contestualmente il comma 6, lettera a), della legge n. 196/2009 ha inserito l’armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio di comuni, province, città metropolitane e regioni e dei relativi termini di presentazione e approvazione, in funzione delle esigenze di programmazione, gestione e rendicontazione della finanza pubblica tra le finalità indicate dall’articolo 2, comma 1, della presente legge.

[10]    Nel suo intervento al Senato, il 21 gennaio 2009, il ministro dell’economia e delle finanze Tremonti ha sottolineato la difficoltà di fornire ex ante dati relativi al calcolo della copertura della legge delega, rinviando quest’ultima, per l’effetto economico, agli effetti propri dei decreti attuativi. Al proposito, il ministro rinvia alla necessità di disporre di dati tecnici omogenei, ovvero condivisi da tutti i soggetti coinvolti – Governo, Regioni, Province e Comuni – chiamati a tal fine a partecipare ad una neo costituita data room, una sede istituzionale di elaborazione, con rappresentanti tecnici del Governo, della Ragioneria dello Stato, dell’Agenzia delle Entrate, dell’ISTAT, dell’ISAI e della Banca d’Italia.

[11]    Testo così integrato dall’articolo 2, comma 6, lettera b), della legge 31 dicembre 2009, n. 196 (Legge di contabilità e finanza pubblica).

[12]    Si veda, nel testo originario, la lett. q).

[13]    Già lettera b) del testo originario del disegno di legge governativo.

[14]    La citata disposizione costituzionale così recita: “Per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni”.

[15]    Durante l'esame parlamentare la lettera f) del comma 2 è stata modificata eliminando il principio di delega per cui, ai fini della determinazione di tale indicatore, si sarebbe dovuto anche tenere conto del rapporto tra il numero dei dipendenti dell’ente territoriale e il numero dei residenti.

[16]    Si ricorda che il testo approvato dal Senato in prima lettura faceva invece riferimento (con un principio introdotto in sede referente) alla necessità – ovviamente già immanente al sistema - di attuare la delega in maniera coerente coi principi costituzionali della capacità contributiva e della progressività di cui all’articolo 53 della Costituzione.

[17]    Durante l'esame parlamentare si è escluso ogni riferimento a quelli regionali.

[18]    Si segnala che a differenza di precedenti formulazioni del testo, che riconducevano tale previsione all'interno della lettera r), con tale formulazione il legislatore regionale è astretto al rispetto della normativa comunitaria e dei limiti stabiliti dalla legge statale.

[19]    Si ricorda che il testo originario del ddl governativo utilizzava il concetto di "adeguata riduzione" della pressione fiscale statale, che durante l'esame parlamentare è stato sostituito con quello, ritenuto più stringente, di riduzione "in misura corrispondente".

[20]    Si ricorda che, nella versione iniziale, il testo del ddl del Governo faceva invece riferimento ai principi di territorialità dell’imposta, neutralità dell’imposizione, "divieto di esportazione" delle imposte. Il principio della territorialità dei gettiti delle compartecipazioni, è stato oggetto di elaborazione durante l'esame parlamentare, e successivamente modificato nel principio della riferibilità al territorio delle compartecipazioni al gettito di tributi erariali, in conformità a quanto previsto dall’articolo 119 della Costituzione.

[21]    Va ricordato che nel corso dell'esame parlamentare il testo del comma era stato riformulato, prescrivendo che la composizione della Commissione dovesse «rispecchiare la proporzione dei gruppi parlamentari anche dopo la sua costituzione». Tale norma è stata poi modificata facendo venir viene meno la necessità di rispettare il principio di proporzionalità alla composizione dei Gruppi durante l'intera durata della legislatura.

[22]    Durante l'esame parlamentare è stata soppressa la qualificazione di Comitato "esterno".

[23]    Testo integrato dall’articolo 2, comma 6, lettera d), della legge 31 dicembre 2009, n. 196 (Legge di contabilità e finanza pubblica).

[24]    Si ricorda che la legge 5 maggio 2009, n. 42, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 6 maggio, è entrata in vigore il 21 maggio 2009.

[25]    La partecipazione alle attività della Commissione tecnica di due rappresentanti dell’ISTAT è stata disposta dall’articolo 2, comma 6, lettera e), della legge 31 dicembre 2009, n. 196 (Legge di contabilità e finanza pubblica).

[26]    Durante l'esame parlamentare è stato infatti soppresso l’ultimo periodo del comma 1, che poneva a carico dei soggetti istituzionali rappresentati gli oneri per il funzionamento della Commissione.

[27]    Si ricorda che nel corso dell'esame parlamentare il comma 1 era stato modificato prevedendo che l’organismo de quo ancorché definito ‘stabile’ – fosse istituito sino alla revisione delle norme costituzionali che riguardano il Parlamento. Tale innovazione appariva intesa a prefigurare la riforma del bicameralismo e l’istituzione di una Camera rappresentativa delle autonomie, istituita la quale sarebbe venuta meno la Conferenza.

[28]    Si tratta degli interventi speciali statali volti a promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, rimuovere gli squilibri economici e sociali, favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona, provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle funzioni degli enti territoriali.

[29]    Si ricorda che il testo originario del ddl governativo faceva invece riferimento ad aliquote riservate alle regioni a valere sulle basi imponibili dei tributi erariali.

[30]    Va ricordato che il testo originario del disegno di legge prevedeva che la potestà regionale di modificazione si esplicasse su una parte ‘rilevante’ dei tributi citati; durante l'esame parlamentare era stato espunto il riferimento al concetto di rilevanza, mantenendo quello a "una parte" dei tributi, che non sembrava peraltro introdurre un livello di determinatezza superiore a quello del testo originario, sicché in sede di attuazione della delega tale profilo avrebbe potuto essere oggetto di interpretazioni non univoche. Si era inoltre previsto che la potestà legislativa regionale a intervenire su detti tributi si esplicasse "nei limiti massimi di incremento stabiliti dalla legge statale".

[31]    Si ricorda che il testo originario del Governo, poi elaborato nel corso dell'esame parlamentare, richiedeva al legislatore delegato la salvaguardia degli elementi strutturali dei tributi, la coerenza con la struttura di progressività del singolo tributo erariale su cui insiste l'aliquota riservata e la coerenza con il principio di semplificazione e con l'esigenza di standardizzazione necessaria per il corretto funzionamento della perequazione.Tale ultimo periodo della lettera c) è stato successivamente soppresso, come anche quelloalla possibilità che le regioni potessero disporre anche "speciali agevolazioni", come invece prevedeva il testo originario del disegno di legge.

[32]    Durante l'esame parlamentare è stato invece soppresso il riferimento alle modalità di coinvolgimento dei diversi livelli istituzionali nell’attività di lotta all’evasione ed elusione fiscale (di cui al numero 5 del testo approvato dal Senato).

[33]    Non è univocamente agevole cogliere le complete implicazioni del riferimento alle funzioni. Il rinvio a quelle " svolte" - operato dal testo originario del disegno di legge governativo - poteva apparire di tipo fattuale e dunque relativo alle funzioni effettivamente svolte in un determinato momento ma che il meccanismo fiscale è destinato a seguire ( e quindi via via svolte); il riferimento alle funzioni "spettanti" si caratterizza per una tipologia formale, che non è tuttavia agevole sciogliere univocamente come funzioni spettanti secondo il novellato dettato costituzionale o funzioni spettanti in riferimento alla legislazione ordinaria vigente, che non è sempre a quello allineato. Anche dopo la modifica apportata dal Senato in prima lettura, tuttavia, il riferimento può leggersi in modo dinamico (funzioni via via spettanti sulla base della legislazione intervenuta), ma in tal caso potrebbe essere ritenuta meno evidente la ratio della modifica.

[34]    I livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, sono spesso indicati anche con l'acronimo LEP (LEA per la sola assistenza sanitaria).

[35]    Si ricorda che in una precedente formulazione, successivamente modificata nel corso dell'iter parlamentare, il comma 3 faceva invece riferimento alle spese per i servizi e le prestazioni inerenti all’esercizio del diritto allo studio e alla altre funzioni amministrative attribuite alle regioni dalle norme vigenti alla data di entrata in vigore della legge.

[36]    La Corte costituzionale ha in più occasioni negato che la competenza sui livelli essenziali possa essere invocata come titolo di legittimazione “se non in relazione a specifiche prestazioni delle quali la normativa statale definisca il livello essenziale di erogazione", risultando, viceversa, «del tutto improprio e inconferente il riferimento» ad esso allorché si intenda «individuare il fondamento costituzionale della disciplina, da parte dello Stato, di interi settori materiali»” (sentenze nn. 181/2006, 285/2005, ma anche sentenze nn. 423/2004, 16/2004, 282/2002). Nella più recente sentenza n. 271/2008, la Corte afferma che appare "evidente che il limite della competenza esclusiva statale appena ricordata" (quello sui livelli essenziali delle prestazioni) "rispetto alla competenza legislativa concorrente in tema di «tutela della salute» può essere relativamente mobile e dipendere concretamente dalle scelte legislative operate".

[37]    Il cui testo riporta : "... il Governo è delegato ad adottare... uno o più decreti legislativi per la definizione delle norme generali sull'istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e di istruzione e formazione professionale."

[38]    Nel corso dell'iter parlamentare è stata soppressa la norma che, con particolare riferimento al trasporto pubblico locale, prevedeva che il finanziamento attraverso il fondo perequativo fosse subordinato al rispetto di un livello di servizio minimo, fissato a livello nazionale. La norma in questione condizionava l'attribuzione del fondo al rispetto di un livello (base ed unico per tutto il Paese) di copertura del servizio. La conseguenza sembrava essere quella che la regione che non avesse raggiunto i parametri di trasporto pubblico così fissati non avrebbe visto integrate le risorse impiegate.

[39]    Si segnala che nel corso dell'iter parlamentare è stata soppressa la lettera del comma in esame (lettera f) del testo approvato dal Senato) con la quale si disponeva che l’utilizzo delle compartecipazioni quali fonti di finanziamento dovesse essere tendenzialmente limitato ai soli casi in cui occorresse garantire il finanziamento integrale della spesa (come nel caso della spesa collegata ai LEP).

[40]    Si ricorda che nella formulazione originale, la lettera d) prevedeva che il finanziamento della spesa essenziale avvenisse tramite tributi regionali da individuare in base al principio di correlazione (per cui si veda l’articolo 2 della legge in esame).

[41]    Si ricorda che in una precedente formulazione, poi modificata nel corso dell'iter parlamentare, la lettera d) in commento faceva anche riferimento, in alternativa, alla "riserva di aliquota sull'IRPEF"; tale inciso è stato soppresso, in connessione alla corrispondente modifica all'articolo 7, comma 1 (si veda la relativa scheda di lettura).

[42]    Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla L.Cost. 18 ottobre 2001, n. 3. L'articolo 7 richiamato prevede, nei commi fino al sesto, riguardando il settimo e l'ottavo funzioni di controllo della Corte dei Conti, che:

1)       “Lo Stato e le Regioni, secondo le rispettive competenze, provvedono a conferire le funzioni amministrative da loro esercitate alla data di entrata in vigore della presente legge, sulla base dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, attribuendo a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato soltanto quelle di cui occorra assicurare l'unitarietà di esercizio, per motivi di buon andamento, efficienza o efficacia dell'azione amministrativa ovvero per motivi funzionali o economici o per esigenze di programmazione o di omogeneità territoriale, nel rispetto, anche ai fini dell'assegnazione di ulteriori funzioni, delle attribuzioni degli enti di autonomia funzionale, anche nei settori della promozione dello sviluppo economico e della gestione dei servizi. Stato, Regioni, Città metropolitane, Province, Comuni e Comunità montane favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli o associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà. In ogni caso, quando sono impiegate risorse pubbliche, si applica l'articolo 12 della legge 7 agosto 1990, n. 241. Tutte le altre funzioni amministrative non diversamente attribuite spettano ai Comuni, che le esercitano in forma singola o associata, anche mediante le Comunità montane e le unioni dei Comuni.

2)       Per le finalità di cui al comma 1, e comunque ai fini del trasferimento delle occorrenti risorse, sulla base degli accordi con le Regioni e le autonomie locali, da concludere in sede di Conferenza unificata, diretti in particolare all'individuazione dei beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative necessarie per l'esercizio delle funzioni e dei compiti da conferire, il Governo, su proposta del Ministro per gli affari regionali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentiti i Ministri interessati, presenta al Parlamento uno o più disegni di legge collegati, ai sensi dell'articolo 3, comma 4, della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni, alla manovra finanziaria annuale, per il recepimento dei suddetti accordi. Ciascuno dei predetti disegni di legge deve essere corredato da idonea relazione tecnica e non deve recare oneri aggiuntivi a carico della finanza pubblica. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano fino alla data di entrata in vigore delle norme relative al nuovo sistema finanziario in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione.

3)       Sulla base dei medesimi accordi e nelle more dell'approvazione dei disegni di legge di cui al comma 2, lo Stato può avviare i trasferimenti dei suddetti beni e risorse secondo princìpi di invarianza di spesa e con le modalità previste al numero 4) del punto II dell'Acc. 20 giugno 2002, recante intesa interistituzionale tra Stato, regioni ed enti locali, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 159 del 9 luglio 2002. A tale fine si provvede mediante uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, tenendo conto delle previsioni di spesa risultanti dal bilancio dello Stato e del patto di stabilità. Si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 3, 7, commi 8, 9, 10 e 11, e 8 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112. Gli schemi di decreto, ciascuno dei quali deve essere corredato di idonea relazione tecnica, sono trasmessi alle Camere per l'acquisizione del parere da parte delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per le conseguenze di carattere finanziario, da rendere entro trenta giorni dall'assegnazione.

4)       Le Commissioni possono chiedere ai Presidenti delle Camere una proroga di venti giorni per l'espressione del parere, qualora ciò si renda necessario per la complessità della materia o per il numero degli schemi di decreto trasmessi nello stesso periodo all'esame delle Commissioni. Qualora sia concessa, ai sensi del presente comma, la proroga del termine per l'espressione del parere, i termini per l'adozione dei decreti sono prorogati di venti giorni. Decorso il termine di cui al comma 3, ovvero quello prorogato ai sensi del presente comma, senza che le Commissioni abbiano espresso i pareri di rispettiva competenza, i decreti possono comunque essere adottati. I decreti sono adottati con il concerto del Ministro dell'economia e delle finanze e devono conformarsi ai pareri delle Commissioni parlamentari competenti per le conseguenze di carattere finanziario nelle parti in cui essi formulano identiche condizioni.

5)       Nell'adozione dei decreti, si tiene conto delle indicazioni contenute nel Documento di programmazione economico-finanziaria, come approvato dalle risoluzioni parlamentari. Dalla data di entrata in vigore dei suddetti decreti o da quella diversa indicata negli stessi, le Regioni o gli enti locali possono provvedere all'esercizio delle funzioni relative ai beni e alle risorse trasferite. Tali decreti si applicano fino alla data di entrata in vigore delle leggi di cui al comma 2.

6)       Fino alla data di entrata in vigore dei provvedimenti previsti dal presente articolo, le funzioni amministrative continuano ad essere esercitate secondo le attribuzioni stabilite dalle disposizioni vigenti, fatti salvi gli effetti di eventuali pronunce della Corte costituzionale. (...)”

[43]    In particolare, si segnala il dibattito presso le Commissioni riunite del Senato in prima lettura, dal quale è emersa la volontà del legislatore di ribadire, attraverso tale specificazione, il ruolo centrale dello Stato nell’attività perequativa. Infatti, nel modello di perequazione orizzontale, sono le singole regioni "più ricche" a dover farsi carico di colmare le sperequazioni finanziarie, attraverso contributi diretti al fondo perequativo; nel modello verticale, invece, è lo Stato a garantire, dal centro, i finanziamenti volti alla perequazione, mediante l’assegnazione agli enti beneficiari di quote del fondo perequativo. Il relatore, nella seduta delle Commissioni riunite del 15 gennaio 2009, ha affermato che, contro ogni possibile dubbio interpretativo, è stata espressamente ribadita l’adozione di un modello di perequazione verticale dello Stato. Ciò a seguito di pressioni da più parti al fine di evitare l’esplicita evidenziazione dei contributi delle singole regioni al fondo perequativo.

[44]    Il numero 2) della lettera c) è stato modificato nel corso dell'iter parlamentare: in una precedente formulazione, esso conteneva un riferimento alla lettera e), indicando così l'esigenza di garantire che con il fondo perequativo a favore delle regioni si provvedesse alle esigenze finanziarie della Regione-parametro, avuto riguardo alla copertura dell'eventuale differenza tra previsioni ed effettivo gettito. Tale riferimento è stato poi modificato con quello alla lettera g), relativa al finanziamento delle spese per funzioni non LEP.

[45]    Anche in questo caso c'è richiamo della lettera m) del secondo comma dell’articolo 117 della Costituzione che - come già ricordato - assegna alla competenza esclusiva statale la "determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale".

[46]    Si ricorda che durante l'iter parlamentare era stato introdotto un comma aggiuntivo (1-bis)), di natura confirmatoria, volto a ricordare che i principi della perequazione e le disposizioni attuative che saranno emanate non potranno influire su quanto già deriva dalle disposizioni delle leggi costituzionali - il riferimento era da intendersi, in particolare, agli statuti speciali - che disciplinano il medesimo oggetto. Tale disposizione è stata successivamente soppressa.

[47]    Per quanto attiene alle funzioni fondamentali si ricorda che la legge n. 131/2003 (cd. "legge La Loggia") aveva previsto una delega al Governo per la loro individuazione. Tale delega, che recava come termine il 31 dicembre 2005, non è stata peraltro esercitata.

[48]    Il testo era stato modificato nel corso dell'esame parlamentare, conformando al testo dell'art. 119 della Costituzione il riferimento originale al principio di autonomia tributaria.

[49]    Si ricorda che il testo originario del disegno di legge prevedeva:

-       il gettito derivante dalla compartecipazione all’IRPEF;

-       il gettito derivante dall’addizionale all’IRPEF; la manovrabilità dell’addizionale è stabilita tenendo conto della dimensione demografica dei Comuni per fasce;

-       i tributi propri, disciplinati dalla legge statale (cfr. lettera a));

-       la perequazione.

[50]    Si ricorda che il testo originario, modificato dal Senato in prima lettura nel corso dell'esame in sede referente, prevedeva :

-        il gettito derivante dalla compartecipazione (ma non l'addizionale, come per i Comuni) all’IRPEF;

-        i tributi propri, disciplinati dalla legge statale (cfr. lettera a));

-        la perequazione.

[51]    In luogo della solo possibilità di applicazione, come originariamente previsto dalla norma.

[52]    Con l'approvazione, nella medesima seduta, dell'emendamento dei relatori 12.24 (nuova formulazione).

[53]    Le istituzioni comunitarie prevedono che i Fondi strutturali europei debbano avere carattere aggiuntivo, e non sostituirsi all'intervento finanziario dello Stato membro, che si impegna a garantire il cofinanziamento nazionale alle iniziative finanziate con fondi comunitari. L'addizionalità è sostanzialmente la spesa in conto capitale di un paese, che non proviene dai fondi comunitari. Il vincolo di addizionalità serve, ad esempio, ad evitare che i fondi comunitari vadano poi a finanziare indirettamente un altro obiettivo interno di finanza pubblica (es.: la diminuzione delle imposte).

[54]    Articolo aggiunto durante l'esame parlamentare del provvedimento.

[55]    Durante l'esame parlamentare del provvedimento è stato esplicitato il contenuto di delega dell'articolo; è stato altresì soppresso l'intero comma che prevedeva come, fino alla realizzazione delle Città metropolitane fosse assicurato il finanziamento delle funzioni dei relativi Comuni capoluogo, nello stesso modo previsto per le Città metropolitane nel comma precedente, ovvero garantendo una più ampia autonomia di entrata e di spesa in misura corrispondente alla complessità delle medesime funzioni.

[56]    Sui profili di rilievo costituzionale dei c.d. "interventi speciali" si rinvia al dossier "Aspetti di rilievo costituzionale del federalismo fiscale", ottobre 2008, pag. 16 (Servizio studi del Senato, dossier n. 57 - Servizio studi della Camera, documentazioni e ricerche n. 20).

[57]    I Fondi strutturali e gli strumenti finanziari previsti dalla politica di coesione comunitaria sono finalizzati al conseguimento di alcuni obiettivi prioritari della Comunità, specificamente rivolti al superamento degli squilibri economici e sociali che caratterizzano alcune aree dell’Unione e, in particolare, alla riduzione del divario tra i livelli di sviluppo delle varie regioni e del ritardo delle regioni meno favorite. Il Regolamento (CE) n. 1083/2006 del Consiglio dell’11 luglio 2006 ha definito il quadro normativo del ciclo di programmazione 2007-2013. I fondi che intervengono nell’ambito della politica di coesione sono limitati a tre, rispetto ai cinque della precedente programmazione: Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR), Fondo Sociale Europeo (FSE) e Fondo di Coesione. Le risorse sono ripartite fra tre nuovi obiettivi di intervento della politica comunitaria di coesione: Convergenza (per le regioni in ritardo di sviluppo), Competitività regionale e occupazione, Cooperazione territoriale europea. Le risorse assegnate all’Italia ammontano complessivamente a 28,8 miliardi di euro, di cui 21,6 miliardi di euro) destinate all’obiettivo “Convergenza” che, applicando il parametro del PIL pro-capite inferiore al 75% della media comunitaria, riguarda le regioni Calabria, Campania, Puglia e Sicilia, nonché la regione Basilicata, che beneficia di un regime transitorio di sostegno (c.d. phasing-out). All’obiettivo “Competitività regionale e occupazione”, che include le regioni italiane diverse da quelle dell’obiettivo “Convergenza”, sono destinati 6,3 miliardi di euro. Tra queste è inclusa anche la regione Sardegna, che beneficia di un regime transitorio.

[58]    Il Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS) è stato istituito dall’articolo 61, comma 1, della legge n. 289/2002 (legge finanziaria per il 2003), con finalità di riequilibrio economico e sociale e, in particolare, per assicurare risorse aggiuntive alle aree più svantaggiate del Paese. Le risorse iniziali sono state successivamente integrate dalle leggi finanziarie, che hanno, di volta in volta, assegnato stanziamenti aggiuntivi al Fondo (c.d. risorse aggiuntive), per essere, poi, ripartite dal CIPE. Per quanto riguarda la ripartizione territoriale delle risorse del FAS, va ricordato che il CIPE ha definito quale criterio generale l’assegnazione dell’85% delle risorse alle regioni del Mezzogiorno e del 15% alle aree sottoutilizzate del Centro-Nord. Si ricorda che la legge finanziaria per il 2007 (legge n. 296/2006), all’articolo 1, comma 863, ha finanziato il FAS di 64,4 miliardi di euro per il periodo 2007-2015.

      Si segnala che l’art. 2, comma 43, della legge finanziaria per il 2009 determina le modalità di presentazione ed i contenuti di massima di una relazione governativa annuale, da presentare in Parlamento, riguardante l’utilizzo delle risorse del Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS); altresì, viene confermato il vincolo di destinazione dell’85 per cento di tali risorse alle aree sottoutilizzate del Mezzogiorno.

[59]    Si ricorda che l’articolo 6, comma 7, D.L. n. 81/2007 (convertito con modificazioni dalla legge 127/2007), da ultimo novellato dall’articolo 2, comma 45, della legge finanziaria per il 2009 (legge n. 203/2008), ha istituito, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri un Fondo per le zone confinanti con le regioni a statuto speciale e le province autonome. Per ciascuno degli anni 2009, 2010 e 2011 il Fondo è stato dotato di 27 milioni di euro, successivamente ridotti a 26,4 milioni di euro (cap. 446/Presidenza).

[60]    Uno strumento finanziario di intervento per lo sviluppo delle aree montane è riconducibile al Fondo nazionale per la montagna, previsto dall’articolo 2 della legge n. 97 del 1994, attualmente gestito dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per gli affari regionali (cap. 445). La dotazione del Fondo per la montagna per il 2010 è pari a circa 44 milioni di euro.

[61]    Si ricorda che la legge finanziaria per il 2008 (legge n. 244 del 2007), all’articolo 2, comma 41, aveva istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per gli affari regionali, un Fondo di sviluppo delle isole minori, con una dotazione a decorrere dal 2008 pari a 20 milioni. Tale finanziamento è stato annullato dal D.L. n. 93 del 2008.

[62]    Si evidenzia come la formulazione iniziale (A.S. 1117) della lett. d) prevedeva che il perseguimento delle finalità di cui all’art. 119, quinto comma, Cost. avvenisse attraverso l’individuazione di “forme di fiscalità di sviluppo” rivolte alla creazione di nuove imprese. Il riferimento alla “fiscalità di sviluppo” è ora incluso - dall’art. 2, comma 2, lett. mm) – tra i principi e criteri direttivi chiamati ad informare i decreti legislativi generali di attuazione della legge in esame. Inoltre, un ulteriore riferimento alla “fiscalità di sviluppo” è rinvenibile nell’art. 27, comma 3, lett. c) (v. infra), relativo ai contenuti delle norme di attuazione degli statuti speciali.

[63]    Si ricorda che con il Patto di stabilità e crescita, gli Stati membri dell’Unione europea hanno sottoscritto l’obiettivo comune di non generare disavanzi eccessivi, attraverso il raggiungimento di un saldo del conto delle pubbliche amministrazioni prossimo al pareggio o in avanzo rafforzando, a tal fine, le misure di coordinamento delle politiche economiche e di sorveglianza ed istituendo, per i disavanzi eccessivi, un meccanismo sanzionatorio di carattere semiautomatico. Il parametro di riferimento principale per la valutazione del disavanzo è rappresentato dall’indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni: un valore di indebitamento netto, calcolato in rapporto al PIL, pari al 3% costituisce un valore massimo il cui superamento (a meno che non sia giustificato da circostanze eccezionali e temporanee) comporta la dichiarazione di disavanzo eccessivo e le conseguenti sanzioni. L’ulteriore parametro di riferimento è rappresentato dal rapporto tra debito pubblico e PIL, fissato ad un livello non superiore al 60%.

      L’impegno a non incorrere in disavanzi eccessivi riguarda l’insieme delle amministrazioni pubbliche, aggregato che comprende, oltre alle amministrazioni centrali, anche le amministrazioni regionali e locali, e gli enti di previdenza e assistenza.

[64]    Secondo la consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale, le condizioni di ineleggibilità alle cariche elettive – rappresentando una deroga al diritto di elettorato passivo – devono essere espressamente determinate dalla legge e sono da interpretarsi in senso restrittivo. Tale assunto è stato recentemente ribadito nella sent. n. 25 del 2008, dove viene ricordato che l’art. 51 Cost. assicura, in via generale, il diritto di elettorato passivo senza porre discriminazioni sostanziali tra cittadini (cfr. sen. 288/2007 e 235/1988). Pertanto, le restrizioni del contenuto di tale diritto sono ammissibili solo in presenza di situazioni peculiari ed in ogni caso per motivi adeguati e ragionevoli, finalizzati alla tutela di un interesse generale. Di conseguenza, le cause di ineleggibilità sono di stretta interpretazione e devono essere contenute entro i limiti rigorosamente necessari al soddisfacimento delle esigenze di pubblico interesse, ricollegantisi alla funzione elettorale, cui sono di volta in volta preordinate (cfr. sen. 306/ 2003 e 132/2001).

[65]    Decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, recante il Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali. Ai sensi dell’art. 244, si ha stato di dissesto finanziario qualora l’ente non possa garantire l’assolvimento delle funzioni e dei servizi indispensabili ovvero esistano, nei confronti dell’ente locale, crediti liquidi ed esigibili di terzi cui non si possa fare validamente fronte con le modalità ordinarie (di cui agli artt. 193 e 194 del TUEL).

[66]    La citata norma costituzionale prevede lo scioglimento del Consiglio regionale e la rimozione del Presidente della Giunta che abbiano compiuto atti contrari alla Costituzione o gravi violazioni di legge, nonché per ragioni di sicurezza nazionale. Lo scioglimento è disposto con decreto motivato del Presidente della Repubblica, adottato sentita la Commissione per le questioni regionali. Allo stato, l’art. 126, primo comma, non ha mai trovato applicazione, in quanto nessun Consiglio regionale è finora stato sciolto con provvedimento statale. Per quanto attiene all’individuazione delle “gravi violazioni di legge”, in Assemblea costituente era emersa la necessità di violazioni intenzionali e ripetute oppure anche di una singola violazione gravissima. La dottrina ha ribadito la necessità che i comportamenti illegittimi abbiano un certo grado di frequenza e di intensità, come – d’altra parte – si desume dalla formula costituzionale e dalle corrispondenti formule degli statuti speciali (che parlano di “reiterate e gravi violazioni di legge”).

[67]    Articolo inserito durante l'esame in sede parlamentare del provvedimento.

[68]    Nel linguaggio economico, il costo standard riguarda il costo di produzione di un bene o di un servizio in condizioni di efficienza ottimali. Il termine fabbisogno standard indica invece il costo necessario a soddisfare le esigenze del fruitore medio di un dato bene o servizio.

[69]    Con la legge 31 dicembre 2009, n. 196 (Riforma della legge di contabilità e della finanza pubblica) il DPEF è stato sostituito dalla “Decisione di finanza pubblica” (art. 10), il cui schema viene presentato entro il 15 settembre di ogni anno alle Camere per le conseguenti deliberazioni parlamentari.

[70]    Anche in questo caso la legge n. 196 del 2009, all’articolo 11, ha sostituito il disegno di legge finanziaria con il “disegno di legge di stabilità” da presentare alle Camere entro il 15 ottobre di ogni anno, unitamente al disegno di legge di bilancio.

[71]    Il riferimento al disegno di legge collegato alla manovra di finanza pubblica è stato introdotto dall’articolo 51, comma 3, lettera a), della legge 31 dicembre 2009, n. 196 (Legge di contabilità e finanza pubblica).

[72]    Il testo originario dell’articolo 18 della legge n. 42 prevedeva che il Governo stabilisse, altresì, per ciascun livello di governo territoriale, il livello programmato dei saldi da rispettare, le modalità di ricorso al debito nonché l’obiettivo programmato della pressione fiscale complessiva, nel rispetto dell’autonomia tributaria delle regioni e degli enti locali. Tali previsioni sono state soppresse dall’articolo 51, comma 3, lettera b), della legge n. 196 del 2009.

[73]    Si ricorda che, per quanto attiene all’attuazione dell’articolo 119, sesto comma Cost., la Corte Costituzionale, con sentenza n. 427 del 29 dicembre 2004, ha affermato che “fino alla previsione da parte del legislatore statale dei principi per l’attribuzione a regioni ed enti locali di beni demaniali o patrimoniali dello Stato, detti beni restano a tutti gli effetti nella disponibilità dello Stato, il quale incontrerà, nella gestione degli stessi il solo vincolo delle leggi di contabilità e delle altre leggi disciplinanti il patrimonio mobiliare e immobiliare statale”.

      In questo stesso senso la sentenza n. 370 del 2008, con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 3, comma 1 della legge della Regione Molise n. 5 del 5 maggio 2006, il quale provvedeva ad individuare le aree demaniali marittime della costiera molisana, in quanto “la titolarità di funzioni legislative ed amministrative della Regione in ordine all’utilizzazione del bene, non può incidere sulle facoltà che spettano allo Stato in quanto proprietario, e che la disciplina degli aspetti dominicali del demanio statale rientra nella materia dell’ordinamento civile di competenza esclusiva Statale”.

[74]    Nello specifico, l’articolo 822 del codice civile, stabilisce che appartengono allo Stato e fanno parte del demanio pubblico il lido del mare , la spiaggia, le rade e i porti; i fiumi, i torrenti , i laghi e le altre acque definite pubbliche dalle leggi in materia; le opere destinate alla difesa nazionale. L’articolo 28 del codice della navigazione individua poi specificamente i beni del demanio marittimo nel lido, la spiaggia, i porti, le rade, le lagune, le foci dei fiumi che sboccano in mare, i bacini di acqua salsa o salmastra che almeno durante una parte dell'anno comunicano liberamente col mare; i canali utilizzabili ad uso pubblico marittimo. Il codice civile poi specifica che fanno parimenti parte del demanio pubblico, se appartengono allo Stato, le strade, le autostrade e le strade ferrate; gli aerodromi; gli acquedotti; gli immobili riconosciuti d'interesse storico, archeologico e artistico a norma delle leggi in materia; le raccolte dei musei, delle pinacoteche degli archivi, delle biblioteche; e infine gli altri beni che sono dalla legge assoggettati al regime proprio del demanio pubblico. Fanno parte del patrimonio indisponibile dello Stato le foreste che a norma delle leggi in materia costituiscono il demanio forestale dello Stato, le miniere, le cave e torbiere quando la disponibilità ne è sottratta al proprietario del fondo, le cose d'interesse storico, archeologico, paletnologico, paleontologico e artistico, da chiunque e in qualunque modo ritrovate nel sottosuolo, i beni costituenti la dotazione della presidenza della Repubblica, le caserme, gli armamenti, gli aeromobili militari e le navi da guerra. Fanno parte del patrimonio indisponibile dello Stato o, rispettivamente, delle province e dei comuni, secondo la loro appartenenza, gli edifici destinati a sede di uffici pubblici, con i loro arredi, e gli altri beni destinati a un pubblico servizio.

[75]    La precisazione in base alla quale la capacità fiscale è da intendersi pro capite è stata inserita durante l'esame parlamentare del provvedimento, così come la fissazione in cinque anni della durata del processo di convergenza (il testo originario del ddl faceva invece riferimento ad un “periodo di tempo sostenibile”).

[76]    Relativamente a tale lettera, inserita nel corso dell'esame in I lettura al Senato e poi modificata da parte della Camera, il testo inizialmente votato dal Senato disponeva che il complesso delle entrate assegnate agli enti locali fosse “non inferiore” al valore dei trasferimenti soppressi, dando ad intendere che potesse pertanto anche essere di entità superiore all’attuale livello dei trasferimenti.

[77]    La durata della fase transitoria era fissata “in un periodo di tempo sostenibile” dalla versione iniziale del ddl, modificata poi durante l’esame parlamentare.

[78]    Articolo inserito nel corso dell'esame parlamentare del provvedimento.

[79]    Originariamente nel testo del ddl tali elementi venivano qualificati come “principi e criteri direttivi”.

[80]    Articolo introdotto durante l'esame parlamentare del provvedimento.

[81]    La formulazione precedente del testo, modificato durante l'esame parlamentare, faceva invece riferimento alla "disciplina organica" delle città metropolitane.

[82]    Articolo aggiunto durante l’esame parlamentare del provvedimento. Più precisamente, rispetto al testo originariamente presentato dal Governo, l’articolo in esame ha sostituito - ampliandone la portata normativa - l’iniziale art. 13.

[83]    Ai sensi dell’art. 114, terzo comma, Cost., “Roma è la capitale della Repubblica. La legge dello Stato disciplina il suo ordinamento”.

[84]    Si ricorda che la nozione di “organi costituzionali” è stata elaborata in sede dottrinale. Adottando un’interpretazione restrittiva, sono “organi costituzionali”: la Presidenza della Repubblica, il Senato della Repubblica, la Camera dei deputati, il Governo, la Corte costituzionale. Sono invece definiti “organi di rilevanza costituzionale” il Consiglio superiore della magistratura, il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, il Consiglio di Stato e la Corte dei conti.

[85]    Si ricorda che la “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali” rientra nella potestà legislativa esclusiva dello Stato (art. 117, secondo comma, lett. s), Cost.), mentre la “valorizzazione dei beni culturali e ambientali” e la “promozione e organizzazione di attività culturali” rientra – ai sensi dell’art. 117, comma terzo, Cost. - nella potestà legislativa concorrente tra lo Stato (chiamato ad adottare le leggi cornice) e le Regioni (competenti ad adottare la normativa di dettaglio). E’ ormai consolidata la giurisprudenza costituzionale sul carattere “trasversale” della materia afferente alla “tutela dell’ambiente”, tale da legittimare una riserva di competenza in capo al legislatore statale nella fissazione di standard uniformi sull’intero territorio nazionale, senza tuttavia escludere la competenza regionale alla cura di interessi funzionalmente collegati con quelli propri ambientali (cfr., e pluribus, sentt. nn. 407/2002, 222/2003, 307/2003, 247/2006). Analogamente, è stato riconosciuto il carattere “trasversale” della “tutela dei beni culturali” (sent. n. 232/2005).

[86]    L'articolo 1 della legge n. 225 del 1992 stabilisce che il Servizio Nazionale della Protezione Civile è composto dalle amministrazioni dello Stato, centrali e periferiche, dalle regioni, dalle province, dai comuni, dagli enti pubblici nazionali e territoriali e da ogni altra istituzione ed organizzazione pubblica e privata presente sul territorio nazionale. Con la legge cost. n. 3 del 2001, la protezione civile è considerata materia di legislazione concorrente e, quindi di competenza regionale, nell'ambito dei principi fondamentali di indirizzo dettati dalla legge statale. Al coordinamento del Servizio nazionale e alla promozione delle attività di protezione civile, provvede il Presidente del Consiglio dei ministri, attraverso il Dipartimento della protezione civile.

[87]    Il testo originario della legge n. 42 del 2009 prevedeva l’emanazione di “uno specifico decreto legislativo”. Il D.L. 30 dicembre 2009, n. 194, (convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2010 n. 25,all’articolo 1, comma 21 l’emanazione di “uno o più decreti legislativi”.

[88]    A seguito di una modifica intervenuta nel corso dell'esame parlamentare del provvedimento.

[89]    Il testo, nella precedente formulazione, prevedeva che la collaborazione coinvolgesse le Agenzie regionali delle entrate, al fine di configurare dei centri di servizio regionali per la gestione organica dei tributi erariali, regionali e locali.

[90]    Articolo aggiunto durante l'esame in sede parlamentare del provvedimento.

[91]    Una precedente formulazione del testo, modificato nel corso dell'esame parlamentare, faceva invece riferimento al patto di convergenza introdotto dall'art. 18 del provvedimento in esame.

[92]    Il Patto europeo di stabilità e di crescita trova il suo principale fondamento normativo nella Risoluzione del Consiglio europeo approvata ad Amsterdam il 17 giugno 1997. Con il Patto, gli Stati membri dell’Unione europea si impegnano a rispettare l’obiettivo a medio termine di un saldo di bilancio vicino al pareggio o attivo. Inoltre gli Stati membri:

-        sono invitati a rendere pubbliche, di propria iniziativa, le raccomandazioni rivolte loro dal Consiglio;

-        s’impegnano ad adottare i provvedimenti correttivi di bilancio necessari per conseguire gli obiettivi dei loro programmi di stabilità o di convergenza;

-        procederanno senza indugio agli aggiustamenti correttivi del bilancio che ritengano necessari non appena ricevano informazioni indicanti il rischio di un disavanzo eccessivo;

-        correggeranno al più presto gli eventuali disavanzi eccessivi;

-        s’impegnano a non appellarsi al carattere eccezionale di un disavanzo conseguente ad un calo annuo del PIL inferiore al 2%, a meno che non registrino una grave recessione (calo annuo del PIL reale di almeno lo 0,75 %).

[93]    La formulazione iniziale del disegno di legge prevedeva un diverso criterio direttivo che faceva riferimento all’esigenza di individuare meccanismi atti ad assicurare che i risparmi di spesa originati dall’attuazione della delega determinassero una riduzione della pressione fiscale dei diversi livelli di governo.

      Era altresì prevista una lettera c), soppressa nel corso dell'esame parlamentare del provvedimento, la quale prevedeva l’adozione di adeguati meccanismi diretti a coinvolgere e cointeressare regioni ed enti locali nell'attività di recupero dell'evasione fiscale e nel contrasto all'elusione fiscale.

[94]    Fonte: Istat, Comunicato del 2 marzo 2009.

[95]    La previsione del divieto di compenso per i componenti della Commissione tecnica paritetica era inizialmente contenuta nell’articolo 4, e da tale articolo è stata soppressa per essere inserita nell’articolo in commento nel corso dell'esame parlamentare del provvedimento.