Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Ufficio Rapporti con l'Unione Europea
Titolo: Un partenariato per una nuova crescita nei servizi, 2012-2015. COM(2012)261
Serie: Documentazione per le Commissioni - Esame di atti e documenti dell'UE    Numero: 128
Data: 28/06/2012
Descrittori:
DIRETTIVE DELL'UNIONE EUROPEA   SERVIZI E TERZIARIO


Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

 

 

 

 

 

 

Documentazione per le Commissioni

esame di atti e documenti dell’unione europea

 

 

 

 

 

 

Un partenariato per una nuova crescita

nei servizi, 2012-2015

COM(2012)261

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

n. 128

 

28 giugno 2012

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il dossier è stato curato dall’Ufficio rapporti con l’Unione europea
(' 066760.2145 - * cdrue@camera.it) e dal Servizio Studi Dipartimenti Attività produttive (' 066760.9574 - * st_attprod@camera.it) e Giustizia (' 066760.9148 - * st_giustizia@camera.it )

 

________________________________________________________________

I dossier dei servizi e degli uffici della Camera sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.

 


 

I N D I C E

 

Scheda di lettura  1

Dati identificativi3

Attuazione della direttiva Servizi5

·   Quadro generale                                                                                              4

·   Incidenza del settore dei servizi nell'economia dell'UE                                   4

·   Contenuti6

·   Attuazione della direttiva servizi in Italia  16

-        Sportelli unici20

-        Silenzio-assenso  21

-        Validità delle autorizzazioni24

-        Libertà di stabilimento  26

-        Libera prestazione di servizi32

·   Rilievi formulati dalla Commissione europea in relazione all’attuazione della direttiva servizi in Francia, Germania, Regno Unito e Spagna  35

-        Francia  35

-        Germania  36

-        Spagna  37

-        Regno Unito  38

·   Esame presso altri Parlamenti nazionali (dati riportati nel sito IPEX)38

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

Scheda di lettura



Un partenariato per una nuova crescita nei servizi

 COM(2012)261final

 

Dati identificativi

Tipo di atto

Comunicazione “Un partenariato per una nuova crescita nei servizi, 2012-2015” (COM(2012)261)

Data di adozione

8 giugno 2012

Settori di intervento

Servizi

 

Esame presso le Istituzioni dell’UE

Non avviato

 

Assegnazione

13 giugno 2012 – Commissioni riunite II (Giustizia) e X (Attività produttive)

Eventuale segnalazione da parte del Governo

Segnalato

 

 

 

 

 

 

 

 



Attuazione della direttiva servizi

 

 

Quadro generale

L'8 giugno 2012 la Commissione europea ha adottato la comunicazioneUn partenariato per una nuova crescita nei servizi, 2012-2015 (COM(2012)261) nella quale si dà conto dello stato di attuazione della c.d direttiva Servizi (direttiva 2006/123/CE).

Nel documento si sottolineail grande impatto economico della direttiva per il notevole impulso che essa ha dato alla liberalizzazione del mercato: è considerata una delle direttive più importanti del mercato unico in quanto presenta le maggiori potenzialità in termini di incremento del PIL europeo e di occupazione (si veda il paragrafo seguente).

Tuttavia, la complessità degli adempimenti connessi alla sua attuazione e le profonde modifiche degli ordinamenti nazionali richieste a tal fine hanno causato notevoli ritardi nel suo recepimento (il termine previsto era il 28 dicembre 2009), nonché errori nella sua applicazione pratica, limitando e frenando in tal modo l’ampio processo di riforma del settore dei servizi che la stessa direttiva si poneva come obiettivo.

La Commissione europea propone di passare ad una nuova fase della realizzazione del mercato unico dei servizi, mediante l’adozione di ulteriori misure per fare in modo che i benefici offerti dalla direttiva Servizi possano essere consolidati e che essa possa esplicare tutte le proprie potenzialità.

La comunicazione è corredata di tre documenti di lavoro riguardanti rispettivamente: l'applicazione del principio di non discriminazione dei destinatari dei servizi a motivo della nazionalità o del paese di residenza (SWD(2012)146); i risultati dei test di efficacia effettuati nei settori dei servizi alle imprese, dell'edilizia e del turismo (SWD(2012)147); l'attuazione della direttiva negli Stati membri dell’UE (SWD(2012)148).

Con particolare riferimento all’attuazione della direttiva in Italia, la Commissione osserva che i maggiori ostacoli all’attuazione integrale e corretta della direttiva sono riconducibili al fatto che, in virtù dell’ordinamento costituzionale italiano, le materie disciplinate da tale direttiva ricadono in parte nell’ambito della competenza condivisa tra Stato e regioni e ciò, ad avviso della Commissione, determina incertezza giuridica.

 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Incidenza del settore dei servizi nell’economia dell’UE

I servizi rappresentano più del 65% del PIL e dell’occupazione nell’UE, e costituiscono la principale fonte di investimenti esteri diretti e di creazione di nuovi posti di lavoro. In particolare, i servizi che rientrano nel campo di applicazione della direttiva servizi (servizi alle imprese, compresi i servizi professionali; immobiliare; edilizia e artigianato; commercio al dettaglio; turismo; insegnamento privato) rappresentano più del 45% del PIL dell'UE.

Secondo dati Eurostat riferiti al 2009, i servizi disciplinati dalla direttiva servizi contribuiscono nella seguente misura all’economia dell’UE: 11,7% per i servizi alle imprese; 11,8% per l’immobiliare; 6,3% per l’edilizia; 11,1% per il commercio all’ingrosso e al dettaglio; 2% per l’intrattenimento; 4,4% per il turismo. 

In base alle valutazioni della Commissione europea, la piena attuazione della direttiva potrebbe determinare un aumento dello 0,8% del PIL dell'UE nei prossimi 5-10 anni, suscettibile di raggiungere il 2,6% qualora fossero abolite tutte le restrizioni ancora esistenti a livello nazionale e si agevolasse la prestazione di servizi su base transfrontaliera.

La Commissione sottolinea che l’impatto maggiore sul PIL derivante dalla riduzione degli ostacoli nel mercato dei servizi si è registrato proprio nei paesi nei quali il settore dei servizi rappresenta una quota importante dell’economia. Inoltre, le disposizioni sulla semplificazione amministrativa e quelle che agevolano l’accesso ai mercati esteri avrebbero, ad avviso della Commissione, un impatto significativo in particolare per le PMI che dispongono di risorse e capacità tecniche limitate per fare fronte ai costi amministrativi e agli ostacoli ancora esistenti in materia di libertà di stabilimento e prestazione transfrontaliera di servizi. Questo è particolarmente importante se si considera che, secondo i dati citati dalla Commissione, dei 21 milioni di imprese che operano nell’UE il 99% sono PMI; il 75% di tali imprese opera nei settori coperti dalla direttiva Servizi e di queste il 99%, circa 16 milioni, sono PMI.

.

 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Contenuti

Considerato che quasi tutte le attività di servizi di natura commerciale sono già coperte dalla normativa UE, ad avviso della Commissione non è necessario ipotizzare un’estensione del campo di applicazione della direttiva servizi. Pertanto, al fine di sfruttare al massimo tutte le potenzialità che essa offre e migliorare il funzionamento del settore dei servizi, è sufficiente garantirne una piena e completa attuazione con particolare riguardo ai settori chiave quali i servizi alle imprese, l'edilizia, il settore immobiliare, il turismo e la vendita al dettaglio.

In uno dei documenti di lavoro (SWD(2012)147) che accompagnano la comunicazione in esame, si dà conto dei risultati dei test di efficacia effettuati dalla Commissione in collaborazione con gli Stati membri proprio nei settori dei servizi alle imprese, dell'edilizia e del turismo. L’obiettivo di tale esercizio era di valutare le difficoltà incontrate nell’applicazione dei vari strumenti legislativi dell'UE, i motivi di tali difficoltà e le possibili soluzioni, nonché il loro funzionamento sul campo, anche dal punto di vista degli utenti del mercato unico. Ad avviso della Commissione, i risultati dei test potranno servire ad individuare le migliori pratiche per stimolare la crescita anche in altri settori economici.

La comunicazione individua sette settori prioritari di intervento; per ciascuno vengono indicate una serie di ’“azioni chiave” - con la data presunta di avvio - che la Commissione reputa di fondamentale importanza. La Commissione invita le istituzioni europee e gli Stati membri a riconoscere il grado di priorità necessario all’attuazione delle azioni proposte entro i tempi previsti. Le misure adottate saranno oggetto di un attento monitoraggio da parte della Commissione stessa sia nell’ambito della governance del mercato unico sia nel quadro della vigilanza esercitata nel quadro del semestre europeo di coordinamento delle politiche economiche e, se necessario, nelle raccomandazioni per paese.

 

 

 

Come sottolineato in una specifica comunicazione (COM/(2011)20) del 27 gennaio 2011, nel caso della direttiva servizi il processo di "valutazione reciproca", previsto dalla stessa direttiva, si è rivelato necessario sia per l'ampiezza del suo campo di applicazione, che ha obbligato gli Stati membri ad avviare un riesame sistematico e completo della legislazione nazionale, sia per la necessità di valutare una serie di obblighi giuridici di norma imposti ai prestatori di servizi quali obblighi in materia di stabilimento (sistemi di autorizzazione, restrizioni territoriali o sulla proprietà del capitale) o in materia di prestazione transfrontaliera di servizi (obblighi di registrazione, di notificazione o di assicurazione).

I lavori relativi al processo di valutazione reciproca sono stati avviati nel 2010 e hanno riguardato circa 35 mila obblighi. Questo esercizio ha consentito agli Stati membri e alla Commissione di effettuare un'ampia valutazione delle norme nazionali, regionali e locali, nonché quelle stabilite dagli ordini professionali con poteri regolamentari riguardanti i servizi.

La Commissione sostiene che lo scambio di informazioni e di esperienze e la "valutazione reciproca" sono stati decisivi per favorire la corretta attuazione della direttiva, anche se alcuni aspetti, ad esempio la creazione dello "sportello unico", non sono stati inclusi nell'esercizio. La Commissione esprime pertanto un giudizio complessivamente molto positivo sul processo di "valutazione reciproca" che, attraverso un dialogo strutturato tra gli Stati membri, ha favorito: la trasparenza sui risultati dell'attuazione della direttiva; l’individuazione di buone pratiche di regolamentazione; la definizione di un quadro dettagliato dello stato di una parte significativa del mercato unico dei servizi; l’individuazione dei restanti ostacoli al mercato unico.

Come peraltro raccomandato nell’Atto per il mercato unico (COM(2011)206) la Commissione intende estendere il processo di valutazione reciproca alle nuove iniziative legislative, soprattutto in settori chiave per il mercato interno, al fine di usare la pressione reciproca per migliorare la qualità dell'attuazione, facilitare lo scambio di buone pratiche e dare il feedback necessario per apportare modifiche alla normativa in vigore.

 

 

 

Nello specifico documento di lavoro riguardante l'applicazione del principio di non discriminazione dei destinatari dei servizi a motivo della nazionalità o del paese di residenza (SWD(2012)146), la Commissione sottolinea l’importanza di darvi piena attuazione in quanto – come peraltro ribadito dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia -  per creare un vero e proprio mercato interno dei servizi, oltre a favorirne la prestazione a livello transfrontaliero, è anche necessario che i destinatari possano beneficiare senza ostacoli delle opportunità del mercato unico e accedere alle offerte disponibili sui mercati degli altri Stati membri.

Ogni Stato membro è tenuto a designare un’autorità competente per l’attuazione della clausola di non discriminazione a livello nazionale; per quanto riguarda l’Italia si tratta dell’Antitrust e dei tribunali amministrativi regionali.

L’articolo 20 riguarda i casi in cui la discriminazione viene attuata sia da autorità pubbliche sia da parte delle imprese.

Secondo le informazioni in possesso della Commissione, la maggior parte delle discriminazioni poste in essere dalle autorità pubbliche riguarda l’accesso preferenziale ai servizi (piscine, musei, giardini pubblici, monumenti storici) concesso ai residenti in una determinata regione o comune dalle rispettive autorità regionali o locali. Per quanto riguarda invece i prestatori di servizi, siano essi imprese o professionisti, la Commissione osserva che, se da un lato essi sono liberi di determinare l’ambito geografico in cui fornire i propri servizi, dall’altro mettendo in atto determinate pratiche possono far risorgere le divisioni tra i mercati nazionali compromettendo in tale modo l’obiettivo di integrarli attraverso la creazione di un mercato comune.

L’articolo 20 precisa, tuttavia, che le differenze di trattamento non costituiscono discriminazioni qualora siano direttamente giustificate da criteri oggettivi. In particolare le imprese adducono una serie di motivi che possono giustificare le differenze di trattamento e che possono scoraggiare la prestazione di servizi transfrontalieri tra cui: limposizione di oneri per l’uso di specifici mezzi di pagamento quali le carte di credito; differenti tassi di IVA applicati nei vari Stati membri ai servizi e ai prodotti; le difficoltà ad adeguarsi alle normative nazionali in materia di tutela dei consumatori e contrattuale; la difficoltà a recuperare i crediti in caso di mancato pagamento.

Si segnala che, in assenza di una puntuale tipizzazione dei criteri oggettivi, la deroga al principio generale di non discriminazione potrebbe prestarsi ad un uso improprio. Al riguardo sembra opportuno chiedere chiarimenti al Governo. Occorrerebbe altresì valutare la possibilità che il legislatore possa tentare una tipizzazione dei suddetti criteri, come in parte già avviene per la disciplina relativa agli aiuti di Stato.

Ad avviso della Commissione, l’applicazione della clausola di non discriminazione richiederà una valutazione diversa a seconda dei casi, dato il difficile obiettivo che essa persegue volto a contemperare gli interessi delle imprese, libere di decidere come avvalersi delle opportunità offerte loro dal mercato interno dei servizi, e quelli dei destinatari che hanno il diritto di non essere discriminati in virtù della loro nazionalità o della residenza nel momento in cui acquistano servizi nel mercato interno.

Al fine di rimuovere gli ostacoli alla prestazione transfrontaliera di servizi, sono state intraprese diverse iniziative a livello UE quali: l’adozione del regolamento (UE) n. 260/2012 riguardante la creazione, entro il 1° febbraio 2014, di un’Area unica dei pagamenti in euro (SEPA); la proposta della Commissione per un diritto comune europeo della vendita facoltativo (COM(2011)635); l’adozione della direttiva 2011/83/CE sui diritti dei consumatori; la proposta relativa alla creazione di organismi di risoluzione alternativa delle controversie fra consumatori (COM(2011)793), e di una piattaforma europea per la composizione online delle vertenze transfrontaliere (COM(2011)794).

Per quanto riguarda le iniziative future laCommissione intende: 1) proporre la creazione di sportelli unici per la riscossione dell’IVA; 2) adottare iniziative sulla gestione collettiva dei diritti d’autore, dei diritti di copia privata e i reprografia; 3) incoraggiare i prestatori di servizi in determinati settori a mettere a punto, su base volontaria, carte di qualità contenenti impegni in materia di condizioni di accesso transfrontaliero ai loro servizi (una valutazione dei progressi sarà realizzata dalla Commissione entro la metà del 2013).

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

Attuazione della direttiva servizi in Italia

La Commissione europea dedica uno specifico documento di lavoro all'attuazione della direttiva servizi negli Stati membri dell’UE (SWD(2012)148).

Da una valutazione complessiva risulta che, sebbene il processo di recepimento della direttiva servizi sia stato completato in tutti gli Stati membri che hanno messo a punto a tal fine un programma ambizioso di semplificazione normativa ed amministrativa volto a rimuovere gli ostacoli ingiustificati alla prestazione di servizi transfrontalieri, la scelta fatta in sede di adozione della direttiva di optare per un livello di armonizzazione minimo ha creato una serie di divergenze e di incongruenze nella sua attuazione concreta nei diversi Stati membri dell’UE. Questo impedisce di sfruttare pienamente tutte le possibilità che la direttiva servizi offre ai cittadini e alle imprese nell’UE.

Per quanto riguarda l’Italia, la Commissione esprime una valutazione complessivamente positiva sul recepimento della direttiva servizi nell’ordinamento italiano, avvenuta mediante l’approvazione del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59. Mantiene, tuttavia, qualche riserva sull’integrità e la completezza del recepimento in quanto, in virtù dell’ordinamento costituzionale italiano, le materie disciplinate dalla direttiva servizi ricadono in parte nell’ambito della competenza condivisa tra Stato e regioni e ciò, ad avviso della Commissione, determina incertezza giuridica.

 

Impatto sull’ordinamento nazionale (a cura del Servizio Studi)

La direttiva servizi è stata attuata in Italia con il d. lgs. 26 marzo 2010, n. 59. La Parte Prima del Decreto contiene le disposizioni generali o orizzontali relative ai servizi, che hanno portata prescrittiva immediata rispetto alle attività che ricadono nell’ambito di applicazione del Decreto, e costituiscono un vincolo per il legislatore statale e regionale nel regolamentare in futuro l’attività di servizi. Nella Parte Seconda del Decreto sono contenute le disposizioni di tipo verticale o settoriale, che modificano in modo puntuale la disciplina di specifiche attività economiche.

Per quanto riguarda il rapporto tra normativa statale e normativa regionale, l’articolo 1, comma 2, statuisce che le disposizioni della Parte prima sono adottate ai sensi dell’articolo 117, comma 2, lettere e) ed m), della Costituzione italiana, al fine di garantire la libertà di concorrenza secondo condizioni di pari opportunità e il corretto e uniforme funzionamento del mercato, nonché per assicurare ai consumatori finali un livello minimo e uniforme di condizioni di accessibilità ai servizi sul territorio nazionale.

L’articolo 84 del d. lgs. n. 59/2010 introduce la cd. “clausola di cedevolezza”, in base alla quale, fino alla data di entrata in vigore della normativa regionale di attuazione della direttiva 2006/123/CE le disposizioni del decreto, nella misura in cui incidono su materie di competenza esclusiva regionale e su materie di competenza concorrente, si applicano anche laddove incidano su materie di competenza esclusiva regionale e su materie di competenza concorrente.

Si segnala che presso la Commissione attività produttive è in corso di esame lo schema di decreto legislativo n.468 in materia di “Disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, di attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno” che integra e corregge il decreto legislativo n.59/2010. La relazione illustrativa, allegata allo schema ha evidenziato, tra l’altro, che il provvedimento è motivato prevalentemente dalla necessità di recepire le modifiche apportate da ultimo all'articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241, consistenti nell'introduzione della segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) al posto della dichiarazione di inizio attività (DIA).

In base alla nuova disposizione, ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, comprese le domande per le iscrizioni in albi e ruoli richieste per l’esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale il cui rilascio dipenda esclusivamente dall’accertamento dei requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a carattere generale, e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio degli atti stessi, è sostituito da una segnalazione dell’interessato, fatte salve le eccezioni espressamente indicate.

La segnalazione deve essere corredata, per quanto riguarda gli stati, le qualità personali e i fatti previsti dagli articoli 46 e 47 del D.P.R. n. 445 del 2000, dalle dichiarazioni sostitutive dell’interessato e potrà essere accompagnata dalle eventuali attestazioni e asseverazioni di tecnici abilitati, ovvero dalle dichiarazioni di conformità da parte di un’agenzia per le imprese di cui all’articolo 38, c. 4, del decreto-legge n. 112 del 2008, attestante la sussistenza dei requisiti e dei presupposti richiesti dalla legge. Le attestazioni e asseverazioni sono corredate dagli elaborati tecnici necessari per consentire le verifiche di competenza dell’amministrazione.

Nei casi in cui la legge prevede l’acquisizione di pareri di organi o enti appositi, ovvero l’esecuzione di verifiche preventive, essi sono comunque sostituiti dalle auto-certificazioni, attestazioni e asseverazioni o certificazioni, salve le verifiche successive degli organi e delle amministrazioni competenti.

In attuazione delle novità introdotte, lo schema di decreto prevede agli articoli da 1 a 7 e da 10 a 17 la segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) al posto della dichiarazione di inizio attività (DIA) per le seguenti attività:

-     somministrazione di alimenti e bevande (l’esercizio di detta attività viene liberalizzato prevedendosi che l’autorizzazione sia necessaria solo per le zone in cui l’apertura degli esercizi è oggetto di programmazione);

-     esercizi di vicinato (quelli aventi una superficie di vendita non superiore a 150 mq. nei comuni con popolazione residente inferiore a 10.000 abitanti e a 250 mq. nei comuni con popolazione residente superiore a 10.000 abitanti)

-     spacci interni;

-     vendita di prodotti al dettaglio per mezzo di apparecchi automatici;

-     vendita per corrispondenza, per mezzo della televisione od altri sistemi di comunicazione;

-     attività di facchinaggio;

-     vendita presso il domicilio del consumatore;

-     intermediazione commerciale e di affari;

-     attività di rappresentante di commercio, mediatore marittimo, spedizioniere, acconciatore, estetista, e di tinto lavanderia, ovviando, in tale ambito, al vuoto legislativo relativo all’esercizio di attività di lavanderia self-service.

Ulteriori misure di liberalizzazione delle attività economiche, ad eccezione delle professioni, dei servizi di comunicazione e dei servizi finanziari, sono state introdotte da decreti legge che si sono da ultimo succeduti.

In particolare nel D. L. 201/2011[2], l’articolo 34, nel sancire che la disciplina delle attività economiche è improntata al principio di libertà di accesso, di organizzazione e di svolgimento, prevede l’eliminazione di tutti i controlli ex-ante, ad eccezione dei casi in cui sussistano esigenze imperative di interesse generale, costituzionalmente rilevanti e compatibili con l’ordinamento comunitario, che possono giustificare l’introduzione di atti amministrativi di assenso o autorizzazione o di controllo, nel rispetto del principio di proporzionalità. La norma dispone, altresì, l’abrogazione immediata di tutte le seguenti restrizioni, ovvero:

-     il divieto di esercizio di un’attività economica al di fuori di una certa area geografica e l’abilitazione a esercitarla solo all’interno di una determinata area;

-     l’imposizione di distanze minime tra le localizzazioni delle sedi deputate all’esercizio di un’attività economica;

-     il divieto di esercizio di un’attività economica in più sedi oppure in una o più aree geografiche;

-     la limitazione dell’esercizio di un’attività economica ad alcune categorie o divieto, nei confronti di alcune categorie, di commercializzazione di taluni prodotti;

-     la limitazione dell’esercizio di un’attività economica attraverso l’indicazione tassativa della forma giuridica richiesta all’operatore;

-     l’imposizione di prezzi minimi o commissioni per la fornitura di beni o servizi;

-     l’obbligo di fornitura di specifici servizi complementari all’attività svolta.

La sottoposizione dell’esercizio di un’attività economica ad un regime autorizzatorio deve essere giustificata sulla base dell’esistenza di un interesse generale, costituzionalmente rilevante e compatibile con l’ordinamento comunitario, nel rispetto del principio di proporzionalità.

I disegni di legge governativi e i regolamenti che introducono restrizioni all’accesso e all’esercizio di attività economiche sono soggetti al parere obbligatorio dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, che si esprime in merito al rispetto del principio di proporzionalità entro trenta giorni dalla ricezione del provvedimento. Infine, nei casi in cui l’esercizio di un’attività economica è soggetta al possesso di alcuni requisiti, la loro comunicazione all’amministrazione competente deve poter essere data sempre tramite autocertificazione con contestuale inizio dell’attività, salvo il successivo controllo amministrativo, da svolgere in un termine definito; restano ferme le responsabilità dei singoli per i danni eventualmente arrecati a terzi nell’esercizio dell’attività.

In base al comma 1 dell’articolo 34, le disposizioni di cui all’articolo 34 sono adottate ai sensi dell’articolo 117, comma 2, lettere e) ed m), della Costituzione; esse vincolano, dunque, anche le Regioni, che sono, altresì, espressamente tenute ad adeguare la loro legislazione ai principi e alle regole ivi previste

 

Il D.L. 1/2012[3] è intervenuto al fine di liberalizzare l’iniziativa e l’attività economica. Più in particolare si segnala:

il comma 4-bis, dell’articolo 1, che impone a comuni, province, regioni e Stato di adeguare i rispettivi ordinamenti, entro il 30 settembre 2012, al principio secondo cui l’iniziativa e l’attività economica privata sono libere ed è permesso tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge, definendo le possibili limitazioni di tale principio.

Le limitazioni a tale principio sono indicate tassativamente dalla disposizione che prevede deroghe alla libertà di impresa esclusivamente nei seguenti casi:

-     vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali;

-     contrasto con i principi fondamentali della Costituzione;

-     danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana e contrasto con l’utilità sociale;

-     disposizioni indispensabili per la protezione della salute umana, la conservazione delle specie animali e vegetali, dell’ambiente, del paesaggio e del patrimonio culturale;

-     disposizioni relative all'attività di raccolta di giochi pubblici ovvero che comunque comportino effetti di finanza pubblica.

 

Qui di seguito vengono segnalati una serie di aspetti della normativa italiana di recepimento della direttiva servizi che, secondo la Commissione, non sono pienamente conformi alle pertinenti disposizioni della direttiva e che pertanto devono essere affrontati in via prioritaria dalle autorità italiane al fine di garantire la piena e completa attuazione della direttiva stessa

 

 

Sportelli unici

 

L’articolo 6 della direttiva Servizi stabilisce l’obbligo per gli Stati membri di istituire punti di contatto denominati “sportelli unici” per consentire ai fornitori di servizi di espletare, anche per via elettronica, tutte le formalità necessarie per lo svolgimento della loro attività, e in particolare per quanto riguarda le dichiarazioni, notifiche o istanze richieste per ottenere l'autorizzazione delle autorità competenti.

 

 
 

 

 

 

 

 

 


Dal documento di lavoro della Commissione precedentemente richiamato risulta che in Italia sono stati creati sportelli unici presso ogni comune o le sedi delle camere di commercio; tra il 2010 e il 2011 in Italia si è registrato un significativo incremento del ricorso agli sportelli unici, che possono essere individuati mediante un portale gestito a livello centrale. Ad avviso della Commissione, in linea di massima tale portale fornisce un buon livello di informazioni sugli adempimenti amministrativi richiesti dalla direttiva servizi, anche se allo stato attuale non consente di espletare tutte le procedure, con particolare riferimento a quelle che rientrano nelle competenze delle autorità regionali e locali. Ad ogni modo, la Commissione sottolinea che l’espletamento delle procedure online è agevole ed è stata ridotta la quantità di moduli necessari a tal fine, anche se è richiesta la firma e il login elettronici per accedere all’area privata e inoltrare i modelli compilati. La Commissione riscontra ancora due questioni da risolvere: 1) la mancanza sul portale di informazioni riguardanti la prestazione di servizi transfrontalieri e di moduli in inglese; 2) la necessità di migliorare la comunicazione e le attività di promozione del portale e dei servizi che esso offre alle imprese, che risultano ancora poco conosciuti.

 

Impatto sull’ordinamento nazionale (a cura del Servizio Studi)

Si ricorda che in Italia l’istituzione degli Sportelli unici per le attività produttive era già prevista presso i Comuni fin dal 1998. In seguito, con l’articolo 38 del decreto-legge 112/2008, convertito dalla legge 133/2008 il Governo è stato delegato a procedere - tramite apposito regolamento e sulla base di specifici principi e criteri - alla semplificazione e al riordino della disciplina dello Sportello unico per le attività produttive. La legge 69/2009 ha precisato che tali disposizioni costituiscono adempimento della direttiva “servizi”. Tale riordino complessivo della disciplina del SUAP è stato effettuato con il regolamento di cui al D.P.R. 160/2010, caratterizzato dall’introduzione dell’esclusivo utilizzo degli strumenti telematici. Si è addirittura scelto di considerare “non idoneo” il SUAP del Comune che non sia in grado di operare esclusivamente per via telematica. Questa decisione consente da subito l’attivazione di SUAP telematici presso i Comuni o, in mancanza, presso la Camera di commercio. Allo scopo di garantire al sistema dei SUAP l’effettiva operatività e salvaguardare gli investimenti tecnologici già effettuati dalle Regioni, è stato affidato al portale "impresainungiorno" il compito di facilitare il collegamento con quelli già realizzati dalle Regioni stesse. Tale portale, già collegato al sistema pubblico di connettività (SPC), dovrebbe sopperire anche alle carenze informatiche dei Comuni. Tra le numerose novità che consentono di velocizzare l’avvio di un’impresa, si segnala la possibilità di una contestuale presentazione della SCIA (segnalazione certificata di inizio attività) e della comunicazione unica per la nascita dell’impresa presso il Registro delle imprese, che quindi trasmette immediatamente la SCIA al SUAP. Con il D.M. 10 novembre 2011, poi, il Ministero dello sviluppo economico ha previsto altre misure per l'attuazione del SUAP, anche in attesa della completa attuazione del D.P.R. 160/2010.

Si segnala che l’articolo 12, comma 2, lettera b) del D.L. 5/2012 prevede che, attraverso uno più regolamenti[4], il Governo possa prevedere, tra l’altro, forme di coordinamento, anche telematico, attivazione ed implementazione delle banche dati consultabili tramite i siti degli sportelli unici comunali, mediante convenzioni fra Anci, Unioncamere, Regioni, agenzie per le imprese e Portale nazionale impresa in un giorno, in modo che sia possibile conoscere contestualmente gli oneri, le prescrizioni ed i vantaggi per ogni intervento, iniziativa ed attività sul territorio.

 

Silenzio-assenso

In relazione alle richieste di autorizzazione, all’articolo 13, paragrafo 4, della direttiva Servizi si stabilisce il principio del silenzio-assenso in base al quale, in mancanza di risposta entro un termine di risposta ragionevole prestabilito e reso pubblico preventivamente (che può essere prorogato una sola volta per un periodo limitato nel caso in cui ciò sia giustificato dalla complessità della questione) l’autorizzazione si considera rilasciata. Può, tuttavia, essere previsto un regime diverso se giustificato da un motivo imperativo di interesse generale, incluso un interesse legittimo di terzi.

 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


La Commissione osserva che in molti casi, sia nella normativa nazionale italiana, sia in quella regionale, non viene menzionato il principio del silenzio-assenso (peraltro già vigente nell’ordinamento giuridico amministrativo italiano dal 1990) applicabile nel caso in cui sia necessaria una licenza, un’approvazione o altro tipo di autorizzazione per la prestazione di servizi. Inoltre, anche laddove è menzionato, tale principio non viene applicato dalle autorità competenti, spesso adducendo motivi imperativi di interesse generale come nel caso dell’edilizia e della ristorazione.

Ad esempio, per motivi di sicurezza e di tutela dell’ambiente è richiesta un’espressa autorizzazione delle autorità locali per costruire tubature del gas e funivie, mentre un analogo obbligo è giustificato per motivi inerenti alla tutela della salute per quanto riguarda la vendita di cibi e bevande (la vendita o il trasferimento della proprietà di tali attività sono invece soggetti al silenzio-assenso).

La Commissione osserva, tuttavia, che le deroghe al principio del silenzio-assenso previste dalla normativa italiana di recepimento della direttiva servizi non sono sempre giustificate da motivi imperativi di interesse generale. Raccomanda pertanto all’Italia di verificare se i casi in cui il principio del silenzio-assenso non viene applicato siano circoscritti a situazioni debitamente giustificate. A ciò si aggiunge il fatto che molti settori disciplinati dalla direttiva servizi ricadono nell’ambito di competenza delle regioni che hanno introdotto numerose deroghe ingiustificate al principio generale, in particolare nel settore del turismo e del commercio al dettaglio.

Molte leggi regionali richiedono un’autorizzazione esplicita per aprire un’agenzia di viaggio (Lazio e Puglia), vari tipi di alloggi turistici quali alberghi o guest houses (Liguria, Veneto, Abruzzo e Sardegna) e agriturismi (Piemonte, Trento e Abruzzo). Anche le scuole di sci (Bolzano, Piemonte e Liguria), gli istruttori di sci (Valle d’Aosta, Toscana, Lombardia, Bolzano, Trento, Umbria, Marche, Veneto, Liguria, Campania, Molise, Basilicata e Calabria) e le guide alpine (Lombardia e Bolzano) sono spesso soggette ad un regime autorizzatorio.

Per quanto riguarda il settore commerciale, non è contemplata la possibilità del silenzio-assenso per quanto riguarda le professioni di estetista (Piemonte, Lombardia, Liguria, Lazio, Basilicata e Sicilia) e i servizi sociali (Toscana, Veneto, Friuli). Per quanto riguarda il commercio al dettaglio, non è prevista l’applicazione del principio del silenzio-assenso in caso di avvio, trasferimento o ampliamento di strutture di vendita al dettaglio (Liguria, Sardegna, Lombardia, Friuli, Trento, Veneto, Abruzzo, Sicilia e Basilicata).

 

Impatto sull’ordinamento nazionale (a cura del Servizio Studi)

Si segnala che lo schema di decreto legislativo 468, precedentemente richiamato, apporta una modifica all’articolo 17 del decreto legislativo n.59 del 2010, riguardante in generale i procedimenti di rilascio delle autorizzazione, prevedendo che nel caso di rilascio di autorizzazioni, ove non sia diversamente stabilito, si applica la regola del silenzio-assenso ( nel testo ora vigente è previsto che il silenzio assenso si applica ove così previsto); in tutti gli altri casi vale la regola che l’attività oggetto di segnalazione può essere iniziata dalla data di presentazione della segnalazione all’amministrazione di competenza.

La SCIA non è applicabile nei casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali. Sono, altresì, esclusi gli atti rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all’immigrazione, all’asilo, alla cittadinanza, all’amministrazione della giustizia, all’amministrazione delle finanze, ivi compresi gli atti concernenti le reti di acquisizione del gettito, anche derivante dal gioco, nonché di quelli previsti dalla normativa per le costruzioni in zone sismiche e di quelli imposti dalla normativa comunitaria.

La SCIA non è inoltre applicabile qualora, per motivi imperativi di interesse generale, il procedimento debba concludersi con un atto espresso dell’Amministrazione.

Poiché la segnalazione certificata di inizio di attività sostituisce ogni atto abilitativo, il cui rilascio non implichi esercizio di potere discrezionale, nei casi in cui “non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio degli atti stessi”, appare evidente come l’istituto della SCIA non sia ammissibile laddove per l’avvio di un’attività la disciplina di settore preveda l’applicazione di strumenti di programmazione.

Il Ministero dello Sviluppo Economico con la circolare n. 3637/C del 10 agosto 2010 ha precisato che resta ferma la necessità dell’autorizzazione in alcuni casi, tra cui l’avvio dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande al pubblico nelle zone del territorio comunale che siano state assoggettate o siano assoggettabili a programmazione, dell’attività di commercio sulle aree pubbliche e dell’attività di vendita nelle medie e grandi strutture e nei centri commerciali.

 

Per quanto riguarda la disciplina dei settori specifici, lo stesso schema di decreto correttivo introducela Segnalazione Certificata di Inizio Attività (SCIA), anche per l’avvio, il trasferimento delle strutture di somministrazione di bevande ed alimenti; nei casi in cui resta la necessità di autorizzazioni, si prevede che si applichi, salvo le eccezioni di legge, l’istituto del silenzio assenso.

Inoltre, il provvedimento contiene numerosi interventi puntuali di immediata semplificazione, riguardanti le attività di commercio all’ingrosso nel settore alimentare, di facchinaggio, di intermediazione commerciale e di affari, di spedizioniere, di acconciatore, di estetista, di lavanderia e di disciplina dei magazzini generali e dei mulini.

Anche per l’attività di estetista, lo schema di decreto prevede che l'esercizio dell'attività sia soggetta a segnalazione certificata di inizio di attività ai sensi dell'articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241, da presentare allo sportello unico di cui all'articolo 38 del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133.»

Inoltre si ricorda che l’articolo 12, comma 4bis, del D.L. 5/2012 ha previsto che la segnalazione di inizio attività (SCIA) si applichi all'attività di estetista anche quando la stessa sia esercitata in concomitanza con un'altra attività commerciale, a prescindere dal criterio di prevalenza. Si segnala anche che è all’esame della Commissione Attività produttive della Camera dei deputati la proposta di legge “Disciplina delle professioni nel settore delle scienze estetiche e bionaturali”(3107 e abb.).

 

 

 

 

Validità delle autorizzazioni

 

L’articolo 10, paragrafo 4, della direttiva Servizi, stabilisce il principio in base al quale l’autorizzazione permette al prestatore di accedere all’attività di servizi o di esercitarla su tutto il territorio nazionale, anche mediante l’apertura di rappresentanze, succursali, filiali o uffici, tranne nei casi in cui per motivi imperativi di interesse generale sia necessaria un’autorizzazione specifica o una limitazione dell’autorizzazione ad una determinata parte del territorio.

 
 

 

 

 

 

 

 

 


Ad avviso della Commissione sebbene il principio della validità delle autorizzazioni su tutto il territorio nazionale sia stato correttamente recepito nell’ordinamento italiano, il fatto che le regioni abbiano la competenza di rilasciare le autorizzazioni per molte attività (muratore, operatore sociale, giardiniere, ecc.) crea incertezza giuridica. Alla Commissione risulta, ad esempio, che tale principio non viene applicato nel settore del turismo (guide turistiche e agenzie di viaggi).

In Puglia, Friuli, Lazio, Lombardia e Marche, sono richieste specifiche autorizzazioni per trasferire un ramo o la sede delle agenzie di viaggio. Inoltre, in Italia in assenza di una qualifica di guida turistica nazionale, la qualifica per la professione di guida turistica è valida solo nell’ambito della regione che l’ha rilasciata.

 

Impatto sull’ordinamento nazionale (a cura del Servizio Studi)

Si ricorda che la Corte costituzionale, con sentenza 2-5 aprile 2012, n. 80, ha dichiarato, l’illegittimità costituzionale: di alcuni articoli del Codice del Turismo[5], tra cui:

-     l’articolo 21 che aveva introdotto la segnalazione certificata di inizio attività per l’apertura, il trasferimento e le modifiche concernenti l’operatività delle agenzie di viaggi e turismo;

-     l’articolo 16 che aveva introdotto la segnalazione certificata di inizio attività perl’avvio e l’esercizio  delle strutture turistico–ricettive.

Il TAR Sicilia ha dichiarato con la sentenza n. 37/2012 che la normativa regionale in materia di guide turistiche non è più in vigore nella parte in cui limita l’esercizio della professione di guida turistica alla sola provincia di iscrizione o ai nuovi ambiti territoriali previsti dalla legge. L’art. 19 del decreto legislativo n. 59/2010 (Attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno), che consente l’esercizio di ogni professione su tutto il territorio nazionale, trova come si è detto diretta applicazione in tutte quelle Regioni che – come la Sicilia – non hanno ancora adottato provvedimenti normativi di recepimento della direttiva servizi (cfr. art. 84 del d.lgs. n. 59/2010).

 

La Commissione osserva che l’applicazione del principio sulla validità delle autorizzazioni su tutto il territorio nazionale è di particolare importanza per gli Stati membri con strutture amministrative decentrate; inoltre, il fatto che in uno Stato la concessione delle autorizzazioni per lo svolgimento di una determinata attività sia di competenza delle autorità regionali o locali non costituisce una valida ragione per giustificare una limitazione territoriale della validità delle autorizzazioni. Al contrario, una volta che l’autorizzazione è stata concessa dalle competenti autorità regionali o locali, essa in linea di principio dovrebbe essere riconosciuta da tutte le altre autorità di quel medesimo Stato membro. Gli Stati membri devono assicurare che i casi in cui il principio della validità dell’autorizzazione su tutto il territorio nazionale non venga rispettato siano giustificati da motivi imperativi di interesse generale.

Impatto sull’ordinamento nazionale (a cura del Servizio Studi)

In base alla direttiva, e come ribadito all’articolo 14, comma 1, del dlgs n.59/2010 l’accesso ad un’attività di servizi può essere subordinato al rilascio di un’autorizzazione soltanto in presenza di tre condizioni, ovvero quando:

-     il regime di autorizzazione non è discriminatorio nei confronti del prestatore;

-     la previsione di un regime di autorizzazione è giustificata da un motivo imperativo di interesse generale;

-     l’obiettivo perseguito non può essere conseguito tramite una misura meno restrittiva, in particolare in quanto un controllo a posteriori potrebbe risultare inefficace.

Le autorizzazioni rilasciate ai fini dell’accesso o esercizio di attività di servizi sono, di norma, di durata illimitata e valide su tutto il territorio nazionale.

Limitazioni della durata delle autorizzazioni e restrizioni in merito all’ambito territoriale di validità delle stesse sono ammesse solo se giustificate da motivi imperativi di interesse generale, come la salute pubblica, la tutela dei consumatori, la salute degli animali e la protezione dell’ambiente urbano. Ad esempio, la protezione dell’ambiente può giustificare la necessità di ottenere una singola autorizzazione per ciascuna installazione sul territorio nazionale.

Il numero dei titoli autorizzatori per l’accesso e l'esercizio di un’attività di servizi può essere limitato solo se sussiste un motivo imperativo di interesse generale o per ragioni correlate alla scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche disponibili.

 

 

 

 

 

 

Libertà di stabilimento

 

L’articolo 14 della direttiva Servizi stabilisce il divieto per gli Stati membri di subordinare l’accesso ad un’attività di servizi o il suo esercizio sul loro territorio al rispetto di una serie di requisiti considerati discriminatori o particolarmente restrittivi ai fini della libertà di stabilimento e che pertanto devono essere rimossi dagli Stati membri.

Tali requisiti comprendono, tra l’altro: requisiti discriminatori fondati sulla cittadinanza o sull’ubicazione della sede legale delle società; il divieto di avere stabilimenti in più di uno Stato membro; l’obbligo di presentare una garanzia finanziaria o di sottoscrivere un’assicurazione presso un prestatore o presso un organismo stabilito sul territorio degli Stati membri in questione; l’obbligo di essere già stato iscritto per un determinato periodo nei registri degli Stati membri in questione o di aver in precedenza esercitato l’attività sul loro territorio per un determinato periodo.

 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


La direttiva servizi stabilisce l’obbligo per gli Stati membri di abolire i regimi di autorizzazione ed altri adempimenti onerosi non giustificati, e di sostituirli con misure meno restrittive quali notifiche o dichiarazioni.

In seguito alla valutazione della normativa italiana di recepimento della direttiva servizi, la Commissione ha riscontrato la sussistenza di determinati requisiti vietati dalla direttiva stessa.

Sono state adesempio individuate restrizioni quantitative e territoriali nei settori del turismo, del commercio ambulante e delle attività commerciali in aree pubbliche, che ad esempio riservano l’accesso a particolari prestatori; inoltre, sono stati mantenuti i requisiti riguardanti la forma giuridica e le partecipazioni societarie nel settore dell’istruzione professionale e dell’artigianato.

Ad esempio, in Veneto e a Bolzano, il rilascio dell’autorizzazione ad aprire una scuola di sci può dipendere dal numero di scuole di sci esistenti sul territorio regionale o dall’afflusso di turisti; in Lazio, Lombardia, Abruzzo, Emilia Romagna e a Bolzano, il rilascio delle autorizzazioni per le scuole di sci e gli istruttori è subordinato all’obbligo di residenza nella regione in cui viene prestato il servizio. Inoltre, le agenzie di viaggio sono tenute a dimostrare che la propria attività è assicurata e che possiedono garanzie finanziarie (non necessariamente ottenute in Italia) per poter rimborsare i clienti. Infine, nel settore dell’artigianato e dell’edilizia, la maggior parte delle quote deve essere detenuta da membri che possono essere qualificati come artigiani.

Sebbene continuino a sussistere diversi obblighi in materia di autorizzazioni, registrazioni o licenze necessarie per la prestazione di servizi, soprattutto a livello transfrontaliero e nel settore del turismo, la Commissione osserva che, in sede di recepimento della direttiva servizi, l’Italia ha provveduto a sostituire il sistema di autorizzazioni vigente con un sistema meno oneroso di notifiche e dichiarazioni (SCIA) che possono essere trasmesse anche per e-mail e consentono di avviare l’attività lo stesso giorno in cui sono state effettuate. Inoltre, grazie ai recenti sviluppi normativi in materia di semplificazione amministrativa e liberalizzazioni[6], il Governo potrà proporre nuove disposizioni volte ad abrogare le restrizioni, le autorizzazioni e i divieti non giustificati al fine di rimuovere ostacoli e discriminazioni all’avvio di nuove attività economiche e di promuovere condizioni di equa concorrenza sul mercato.

Inoltre la Commissione osserva che, sebbene l’articolo 9 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1,  recante disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività, abbia provveduto ad abrogare le norme che prevedono tariffe fisse per le professioni regolamentate, potrebbe essere necessario adottare norme specifiche settoriali. Ad esempio, gli spazzacamini nella provincia di Bolzano sono tenuti ad adeguarsi alle tariffe imposte dalle autorità locali.

L’Italia ha infine provveduto ad abrogare le disposizioni che subordinavano la concessione delle autorizzazioni per la prestazione dei servizi alla prova dell’esistenza di un bisogno economico o di una domanda di mercato, o alla valutazione degli effetti economici potenziali o effettivi dell’attività o alla valutazione dell’adeguatezza dell’attività rispetto agli obiettivi di programmazione economica stabiliti dall’autorità competente; tale divieto non concerne i requisiti di programmazione che non perseguono obiettivi economici, ma che sono dettati da motivi imperativi d’interesse generale.

 

Impatto sull’ordinamento nazionale (a cura del Servizio Studi)

Le disposizioni della direttiva servizi che vietano le limitazioni all’avvio e all’esercizio di attività di servizi basate su alcuni presupposti specificamente individuati, come ad esempio le restrizioni al numero di aperture (consentite solo per salvaguardare interessi generali) sono state recepite nel d. lgs. n. 59/2010. Tale decreto impone modifiche ai meccanismi di programmazione applicabili nelle zone da sottoporre a tutela. Nella predisposizione dei provvedimenti di programmazione, le autorità competenti non possono più utilizzare criteri collegati al rapporto tra domanda e offerta, né limitazioni numeriche che non siano ispirate da motivi imperativi di interesse generale, quali, ad esempio, la tutela del patrimonio storico, artistico, architettonico e ambientale, dell’ordine pubblico e della salute pubblica.

Più precisamente, l’articolo 11, lett. e) del Decreto inserisce tra i requisiti vietati l’applicazione caso per caso di una verifica di natura economica che subordina il rilascio dell’autorizzazione alla prova dell’esistenza di un bisogno economico o di una domanda di mercato, o alla valutazione degli effetti economici potenziali o effettivi dell’attività o alla valutazione dell’adeguatezza dell’attività rispetto agli obiettivi di programmazione economica stabiliti dall’autorità competente. Tale divieto non concerne i requisiti di programmazione che non perseguono obiettivi economici, ma che sono dettati da motivi imperativi d’interesse generale.

In base all’articolo 12, lett. a), del Decreto, costituisce requisito subordinato alla sussistenza di un motivo imperativo di interesse generale la previsione di restrizioni quantitative o territoriali sotto forma, in particolare, di restrizioni fissate in funzione della popolazione o di una distanza geografica minima tra prestatori.

L’articolo 70 del D.Lgs. 26 marzo 2010, n. 59, è intervenuto a modifica dell’articolo 28 (commi 2, 4 e 13) del D.Lgs. n. 114/1998 (cd. decreto “Bersani”) recante “Riforma della disciplina relativa al settore del commercio”, in materia di commercio sulle aree pubbliche.

Ai sensi del citato articolo 28:

il commercio sulle aree pubbliche può essere svolto (comma 1):

a) su posteggi dati in concessione per dieci anni (si veda in proposito la segnalazione dell’Antitrust nel paragrafo seguente);

b) su qualsiasi area purché in forma itinerante.

L'esercizio del commercio sulle aree pubbliche è soggetto ad apposita autorizzazione rilasciata a persone fisiche, a società di persone, a società di capitali regolarmente costituite o cooperative (comma 2).

L'autorizzazione all'esercizio dell'attività di vendita sulle aree pubbliche esclusivamente in forma itinerante e’ rilasciata, in base alla normativa emanata dalla regione dal comune nel quale il richiedente, persona fisica o giuridica, intende avviare l'attività (comma 4).

Le regioni, al fine di assicurare il servizio più idoneo a soddisfare gli interessi dei consumatori ed un adeguato equilibrio con le altre forme di distribuzione, stabiliscono, altresì, sulla base delle caratteristiche economiche del territorio secondo quanto previsto dall'articolo 6, comma 3, del medesimo decreto legislativo 114/1998 per definire gli indirizzi generali per l’insediamento di attività commerciali, della densità della rete distributiva e della popolazione residente e fluttuante limitatamente ai casi in cui ragioni non altrimenti risolvibili di sostenibilità ambientale e sociale, di viabilità rendano impossibile consentire ulteriori flussi di acquisto nella zona senza incidere in modo gravemente negativo sui meccanismi di controllo, in particolare, per il consumo di alcolici e senza ledere il diritto dei residenti alla vivibilità del territorio e alla normale mobilità. In ogni caso resta ferma la finalità di tutela e salvaguardia delle zone di pregio artistico, storico, architettonico e ambientale e sono vietati criteri legati alla verifica di natura economica o fondati sulla prova dell'esistenza di un bisogno economico o sulla prova di una domanda di mercato, quali entità delle vendite di prodotti alimentari e non alimentari e presenza di altri operatori su aree pubbliche, i criteri generali ai quali i comuni si devono attenere per la determinazione delle aree e del numero dei posteggi da destinare allo svolgimento dell'attività, per l'istituzione, la soppressione o lo spostamento dei mercati che si svolgono quotidianamente o a cadenza diversa, nonché per l'istituzione di mercati destinati a merceologie esclusive. Stabiliscono, altresì, le caratteristiche tipologiche delle fiere, nonché le modalità di partecipazione alle medesime prevedendo in ogni caso il criterio della priorità nell'assegnazione dei posteggi fondato sul più alto numero di presenze effettive (comma 13).

Su tale problematica è intervenuta, nell’ottobre 2011, l’Antitrust segnalando il principio, espresso in più occasioni, in base al quale “la durata delle concessioni deve essere fissata proporzionalmente ai tempi di ammortamento degli investimenti effettuati dal soggetto aggiudicatario. La previsione di un termine eccessivamente ampio, infatti, è suscettibile di ingessare il mercato “rendendo più difficoltoso l'ingresso da parte dei nuovi operatori a detrimento della qualità dell'offerta” e determinando, di conseguenza, una cristallizzazione degli assetti esistenti nel mercato di riferimento. Pertanto, la previsione da parte dell'art. 28 del Decreto Legislativo n. 114/98 di una durata decennale della concessione appare un termine eccessivamente lungo, anche tenuto conto della natura dell'attività che il soggetto aggiudicatario andrà a svolgere (commercio su aree pubbliche), la quale non richiede particolari investimenti, e si pone in contrasto con gli obiettivi di  liberalizzazione e di apertura alla concorrenza perseguiti dallo stesso Decreto.  Ancor più ingiustificata dal punto di vista concorrenziale appare la previsione di qualsiasi  meccanismo di rinnovo delle autorizzazioni che sia  suscettibile di aggravare l'irrigidimento del mercato, perpetuando la posizione degli operatori già esistenti e non consentendo l'alternanza  dell'offerta in questo settore commerciale. A questo proposito, l'Autorità ritiene opportuno richiamare l'attenzione sull'esigenza di evitare che i provvedimenti regionali di attuazione del Decreto Legislativo n. 114/98 introducano restrizioni della concorrenza, quali quella sulla rinnovabilità delle concessioni, che non appaiono strettamente giustificate da esigenze di interesse  generale di tutela degli assetti urbanistici e dei consumatori; a maggior ragione, tale  considerazione deve valere per la regolamentazione adottata a livello comunale, che nel caso di  specie prevede addirittura il rinnovo tacito.”

 

Un’altra problematica di rilievo è quella relativa alle concessioni del demanio marittimo. La normativa italiana in materia di concessioni demaniali marittime è infatti stata recentemente oggetto della procedura di infrazione n. 2008/4908 in relazione al rinnovo automatico delle concessioni in essere e alla preferenza accordata al concessionario uscente.

Il legislatore italiano è dapprima intervenuto, con l’art. 1, co. 18, del D.L. 194/2009[7], abrogando il secondo comma dell'articolo 37 del Codice della navigazione, che dava preferenza al concessionario uscente in occasione del rinnovo delle concessioni.

La Commissione europea, con un atto successivo (messa in mora complementare 2010/2734 del 5 maggio 2010), ha però evidenziato ulteriori profili di illegittimità della normativa italiana.

In seguito agli ulteriori rilievi, con l’art. 11 della legge n. 217/2011 (legge comunitaria 2010), è stato abrogato il co. 2 dell’art. 01 del D.L. n. 400/1993, il quale fissava in sei anni la durata delle concessioni demaniali marittime e prevedeva il loro rinnovo automatico alla scadenza per la stessa durata.

Lo stesso articolo 11 ha inoltre delegato il Governo ad emanare, entro il 17 aprile 2013, un decreto legislativo avente ad oggetto la revisione e il riordino della legislazione relativa alle concessioni demaniali marittime.

In conseguenza di questi interventi legislativi, la procedura di infrazione è stata chiusa in data 27 febbraio 2012.

 

Con riguardo agli interventi del legislatore statale sul settore delle professioni, il decreto-legge n. 138 del 2011 (convertito dalla legge n. 148 del 2011) ha dettato nuove disposizioni che, ispirandosi esplicitamente ai principi della libera concorrenza, sono volte a favorire la liberalizzazione del settore delle professioni e delineano una riforma complessiva dei servizi professionali.

 In generale si prevede, fermo restando l'esame di Stato per l'accesso alle professioni regolamentate, che gli ordinamenti professionali debbano garantire che l'esercizio dell'attività risponda senza eccezioni ai principi di libera concorrenza, alla presenza diffusa dei professionisti su tutto il territorio nazionale, alla differenziazione e pluralità di offerta che garantisca l'effettiva possibilità di scelta degli utenti nell'ambito della più ampia informazione relativamente ai servizi offerti. L'art. 3 del provvedimento detta una serie specifica di principi cui deve essere informata detta riforma, ora da attuare con regolamento di delegificazione; tra di essi, in riferimento alle previsioni della direttiva servizi:

-     l’obbligo, per il professionista, di stipulare idonea assicurazione a tutela del cliente per i rischi professionali (art. 23, Direttiva);

-     la libertà di pubblicità informativa dell'attività professionale, le specializzazioni ed i titoli professionali posseduti, la struttura dello studio ed i compensi delle prestazioni; le informazioni devono essere trasparenti, veritiere, corrette e non devono essere equivoche, ingannevoli, denigratorie (art. 24, Direttiva).

Si evidenzia che il Consiglio dei Ministri ha approvato in via preliminare, il 15 giugno 2012, uno schema di regolamento di attuazione del decreto-legge n. 138 del 2011 in materia di professioni regolamentate.

L’art. 9 del decreto-legge "liberalizzazioni" n.1/2012 è intervenuto per primo sugli obblighi assicurativi del professionista prevedendo che quest’ultimo debba indicare al cliente i dati della polizza assicurativa per i danni provocati nell'esercizio dell'attività professionale.

Inoltre, abrogando il sistema tariffario nelle professioni regolamentate (il Ministro della giustizia dovrà, però, fissare parametri per orientare la liquidazione della parcella in caso di ricorso all'autorità giudiziaria), l’art. 9 ha stabilito che il compenso per le prestazioni professionali debba essere pattuito al momento del conferimento dell'incarico professionale e che il professionista debba rendere noto al cliente il grado di complessità dell'incarico, fornendo tutte le informazioni utili circa gli oneri ipotizzabili dal momento del conferimento fino alla conclusione dell'incarico; in ogni caso la misura del compenso è previamente resa nota al cliente con un preventivo di massima, deve essere adeguata all'importanza dell'opera e va pattuita indicando per le singole prestazioni tutte le voci di costo, comprensive di spese, oneri e contributi.

La disciplina che prevede, invece, la libertà di pubblicità informativa dovrebbe essere oggetto del regolamento di delegificazione con cui sarà complessivamente riformata la disciplina degli ordinamenti professionali.

 

Inoltre, sempre in riferimento a quanto stabilito dalla direttiva servizi in materia di attività multidisciplinari (art. 25), si segnala che la legge di stabilità 2012 (L. n. 183 del 2011), abrogando la legge sulle associazioni professionali, ha previsto una regolamentazione dell'esercizio delle professioni in forma societaria (secondo i modelli delle società e delle cooperative regolati dai titoli V e VI del libro V del codice civile) che prevede anche le c.d. società multidisciplinari ovvero lo svolgimento in società di attività professionali di diversa natura (art. 10). La nuova disciplina consente alla società tra professionisti di assumere anche la forma di società di capitali; in riferimento a queste ultime, a seguito della novella da parte del D.L. liberalizzazioni (DL n. 1/2012), per finalità di garanzia dell’indipendenza dei soci professionisti, è stabilito che, in ogni caso, il loro numero e la loro partecipazione al capitale sociale deve essere tale da determinare la maggioranza di due terzi nelle deliberazioni o decisioni dei soci; il venir meno di tale condizione costituisce causa di scioglimento della società e il consiglio dell'ordine o collegio professionale presso il quale è iscritta la società procede alla cancellazione della stessa dall'albo, salvo che la società non abbia provveduto a ristabilire la prevalenza dei soci professionisti nel termine perentorio di sei mesi

Si rammenta che l’Assemblea della Camera dei deputati ha avviato, l’11 giugno 2012, la discussione del disegno di legge 3900-A, già approvato dal Senato, relativo alla riforma della professione forense. Il disegno di legge costituisce un’organica riforma della professione, di cui disciplina in particolare: la deontologia e l’esercizio; gli albi, elenchi e registri; gli organi e le funzioni degli ordini forensi (ordine forense, articolato negli ordini circondariali e nel Consiglio Nazionale Forense-CNF, di cui sono regolati organizzazione e funzionamento); l’accesso alla professione forense (tirocinio ed esame di Stato per l’abilitazione all’esercizio della professione di avvocato); il procedimento disciplinare.

 

 

Libera prestazione di servizi

In base all’articolo 16 della direttiva Servizi lo Stato membro in cui il servizio viene prestato è tenuto ad assicurare il libero accesso ad un’attività di servizi e il libero esercizio della medesima sul proprio territorio e a non subordinarli a requisiti che: 1) non rispettino i princìpi di non discriminazione sulla base della nazionalità o della sede; 2) non siano giustificati da ragioni di ordine pubblico, pubblica sicurezza, sanità pubblica o tutela dell’ambiente; 3) non siano tali da garantire il raggiungimento dell’obiettivo perseguito e non vadano al di là di quanto è necessario per raggiungere tale obiettivo.

Gli Stati membri non possono restringere la libera circolazione dei servizi forniti da un prestatore stabilito in un altro Stato membro, in particolare, imponendogli: l’obbligo di essere stabilito sul loro territorio e di ottenere un’autorizzazione dalle autorità competenti; il divieto di dotarsi sul loro territorio di una determinata forma o tipo di infrastruttura necessaria all’esecuzione delle prestazioni in questione; l’applicazione di un regime contrattuale particolare con il destinatario dei servizi che impedisca o limiti la prestazione di servizi a titolo indipendente; l’obbligo di essere in possesso di un documento di identità specifico per l’esercizio di un’attività di servizi; i requisiti relativi all’uso di attrezzature e di materiali che costituiscono parte integrante della prestazione. L’articolo 17 contempla una serie di deroghe all’articolo 16.

 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


La Commissione osserva che, sebbene la normativa italiana che recepisce la direttiva servizi non contenga specifiche disposizioni sui servizi transfrontalieri, una lettura sistematica della stessa consente di applicare in maniera sicura il principio della libera prestazione dei servizi. Anche in questo caso, tuttavia, la Commissione segnala il pericolo di incertezza giuridica per gli operatori del mercato dovuto al fatto che le leggi regionali non contengono nessuna disposizione in materia di prestazione transfrontaliera di servizi. 

Per quanto riguarda le restrizioni alla libertà di stabilimento per motivi di interesse generale riguardanti l’ordine pubblico, la pubblica sicurezza, la salute pubblica o la tutela dell’ambiente, poiché esse non sono state definite nella normativa di recepimento della direttiva servizi, può essere fatta soltanto una valutazione a posteriori riferendosi alle norme di recepimento della direttiva con riferimento ai vari settori e attività. Inoltre, non è possibile individuare le autorità competenti a dire quale dei suddetti motivi di potrà applicare.

La normativa italiana opera una distinzione tra prestazione di servizi transfrontalieri e libera prestazione di servizi. In linea di massima i prestatori di servizi stabiliti in un altro Stato membro non devono conformarsi agli obblighi previsti per i prestatori stabiliti in Italia. Ma anche in questo caso non si precisa quali autorità e in quali circostanze potranno decidere quando il rispetto di determinati obblighi sia giustificato dai motivi imperativi di interesse generale precedentemente richiamati. Anche in questo caso la Commissione osserva che la maggior parte dei problemi deriva dalla complessità dell’ordinamento giuridico italiano e dall’esistenza di normative regionali configgenti sia con la direttiva servizi sia con la normativa di recepimento nazionale.

Per quanto riguarda i servizi professionali, la normativa nazionale di recepimento della direttiva servizi prevede che si debbano applicare ai prestatori di servizi non stabiliti in Italia gli stessi requisiti previsti per i professionisti ivi stabiliti solo per uno dei suddetti quattro motivi di interesse generale. Tuttavia, né la normativa nazionale né altre disposizioni settoriali specificano quali requisiti debbano essere applicati e a quali autorità spetti una simile decisione.

Un situazione analoga si registra nel settore del turismo in cui molte attività sono soggette ad un regime autorizzatorio. Tuttavia gli adempimenti precedenti sono stati sostituiti da una semplice dichiarazione di inizio attività che funge sia da registrazione sia da autorizzazione. Una situazione specifica si registra nel caso degli agriturismi per i quali il rilascio dell’autorizzazione è subordinato alla qualifica della persona che fornisce tale servizio che dovrà essere imprenditore agricolo; ne consegue che per poter esercitare tale attività è necessario lo stabilimento in Italia. Inoltre, in Veneto sono richieste carte di identità speciali per gli istruttori di sci e le guide turistiche.

 

Impatto sull’ordinamento nazionale (a cura del Servizio Studi)

I prestatori di servizi hanno il diritto di esercitare la propria attività anche negli altri Stati membri e, a tal fine, le imprese possono optare per il regime di prestazione transfrontaliera temporanea e occasionale o per il regime di stabilimento, in via principale o secondaria.

La libertà di stabilimento riguarda il concreto perseguimento di un’attività economica attraverso una sede fissa per un periodo indeterminato; implica integrazione nell’economia dello Stato membro e l’acquisizione di clienti in tale Stato sulla base di uno stabile domicilio professionale. La libera prestazione di servizi è caratterizzata dalla mancanza di una partecipazione stabile e continua nella vita economica dello Stato Membro ospitante. La distinzione tra stabilimento e prestazione di servizi deve essere compiuta caso per caso, prendendo in considerazione non solo la durata, ma anche la regolarità, periodicità e continuità della prestazione di servizi.

Per la prestazione occasionale e temporanea di servizi un prestatore può avvalersi di un’infrastruttura nello Stato senza esservi per questo stabilito.

La direttiva servizi facilita l’attività transfrontaliera per le imprese che intendono operare al di fuori dei confini nazionali senza costituire un’organizzazione stabile all’estero. Le imprese possono dunque fornire i propri servizi su tutto il territorio dell’Unione europea senza bisogno, in linea di principio, di conformarsi ai requisiti normativi previsti negli altri Stati per lo svolgimento della stessa attività. In concreto, un’impresa italiana, che desideri svolgere la propria attività in un altro Paese dell’Unione europea in modo occasionale e temporaneo, non sarà tenuta ad alcun adempimento amministrativo preliminare né al rispetto dei requisiti previsti dalla normativa di quello Stato per le imprese nazionali. Ad esempio, non può essere richiesto all’impresa che opera in regime di libera prestazione dei servizi di ottenere un’autorizzazione preventiva da parte dello Stato ospitante, né potranno esserle imposte condizioni discriminatorie fondate sulla nazionalità. Limitazioni all’attività transfrontaliera delle imprese stabilite in altri Stati sono ammesse solo se giustificate da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di sanità pubblica o tutela dell’ambiente e se proporzionate rispetto all’obiettivo in questione (articolo 16 della direttiva servizi e articolo 20 del decreto legislativo n. 59/2010).

Il Decreto Legislativo n. 59/2010 contiene un gruppo di disposizioni volte a disciplinare la prestazione transfrontaliera di servizi, ossia l’esercizio temporaneo e occasionale di attività di servizi sul territorio italiano da parte di un soggetto stabilito in un altro Stato membro. Il diritto di esercitare la libera prestazione di servizi può essere limitato solo se sussistono ragioni di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di sanità pubblica o di tutela dell’ambiente. Il diritto alla libera prestazione di servizi non interferisce con le limitazioni previste dalla normativa in materia di riconoscimento delle qualifiche professionali, per cui restano vigenti tutte le disposizioni contenute nel d.lgs. 206/2007 che disciplinano la prestazione di servizi per i quali è richiesto il possesso di una particolare qualifica professionale.

L’articolo 21 del d. lgs. n. 59/2010 traspone nell’ordinamento italiano una disposizione della direttiva nella quale, a titolo esemplificativo, sono enumerati i requisiti che possono essere applicati al prestatore di servizi soltanto qualora siano giustificati da uno dei motivi imperativi sopra indicati. Si tratta, in particolare, di obblighi per il prestatore di essere stabilito in Italia o di ottenere un’autorizzazione, del divieto di dotarsi di una determinata forma giuridica di infrastruttura, dell’obbligo di essere in possesso di un documento di identità specifico e di requisiti relativi all’uso di attrezzature o materiali, ad eccezione di quelle che riguardano la salute e la sicurezza sul posto di lavoro e le restrizioni riguardanti i destinatari. Questi requisiti incidono in senso fortemente limitativo sull’attività del prestatore di servizi trasfrontaliero e quindi non possono essere previsti nella normativa nazionale se non sono giustificati da uno dei motivi imperativi di interesse generale sopra indicati e comunque nel rispetto dei principi di non discriminazione e di proporzionalità.

Dal regime della libera prestazione di servizi è comunque esclusa una serie di attività che sono indicate nell’articolo 22 del decreto, ad esempio i servizi degli avvocati, il distacco dei lavoratori nell’ambito di una attività di servizi, la libera prestazione delle persone e la loro residenza, il visto d’ingresso e il permesso di soggiorno, i diritti d’autore e i diritti connessi, in quanto in prevalenza coperti da disposizioni di altre direttive. Una norma di particolare rilevanza contenuta nella parte del Decreto relativa alla libera prestazione di servizi è l’articolo 24. Si tratta di una previsione volta ad evitare le discriminazioni a rovescio, cioè quelle situazioni nelle quali il prestatore transfrontaliero di servizi stabilito in un altro Stato membro che operi in Italia in regime temporaneo e occasionale si trovi in una situazione di vantaggio rispetto all’operatore italiano, così determinando una disparità di trattamento. Tale disposizione consente dunque anche ai cittadini italiani e a tutti i soggetti giuridici che sono stati costituiti conformemente alla legislazione nazionale di invocare l’applicazione delle disposizioni dei titoli relativi alla libera prestazione dei servizi di cui al decreto legislativo n. 59/2010 e anche di cui al decreto legislativo n. 206/2007 sulle qualifiche professionali. In questo modo, la situazione del cittadino italiano che subisca una discriminazione a rovescio, in quanto è trattato meno favorevolmente di un cittadino straniero, viene sanata perché il cittadino italiano potrà invocare l’applicazione di quelle disposizioni che sono state predisposte per il prestatore transfrontaliero, ma che tuttavia potrebbero conferire diritti altrimenti non riconosciuti al cittadino italiano.

Rilievi formulati dalla Commissione europea in relazione all’attuazione della direttiva servizi in Francia, Germania, Regno Unito e Spagna

Francia

Il recepimento della direttiva servizi in Francia ha richiesto consistenti modifiche alla normativa vigente. La Commissione europea, pur apprezzando il notevole sforzo compiuto in tal senso, individua una serie di criticità che andrebbero affrontate in via prioritaria:

·      la necessità di sopprimere urgentemente un requisito vietato riguardante il coinvolgimento diretto degli operatori concorrenti ai fini del rilascio delle autorizzazioni per i promotori di eventi;

·      nell’ordinamento francese sono ancora presenti i divieti totali in materia di comunicazioni commerciali per i veterinari e gli avvocati;

·      il principio del silenzio-assenso per la concessione delle autorizzazioni non viene applicato come regola generale, ma soltanto in specifici casi individuati nella legislazione settoriale;

·      con riferimento alla discrezionalità riconosciuta agli Stati membri per definire il quadro normativo in materia di stabilimento dei prestatori di servizi, la Commissione individua alcuni casi che sembrano non essere conformi a quanto previsto dalla direttiva stessa;

·      sebbene in linea di massima nella normativa francese esista una distinzione tra prestazione transfrontaliera di servizi e stabilimento, la Commissione ha rilevato la sussistenza di numerosi obblighi a carico dei prestatori transfrontalieri di servizi che ostacolano la libera prestazione di servizi;  

·      per quanto riguarda lo sportello unico francese, sebbene il livello delle informazioni fornite sia molto buono, ad avviso della Commissione occorrerebbe migliorare la possibilità di effettuare e svolgere operazioni integralmente elettroniche, rendere il sito più semplice da usare e agevolare l’accesso allo stesso, soprattutto agli utenti stranieri, incrementando la quantità delle informazioni disponibili in altre lingue.

 

Germania

La Commissione riconosce che l’attuazione della direttiva servizi che ha comportato un notevole sforzo a livello normativo con l’adozione di circa 220 misure nazionali; si è trattato di un processo molto complicato a causa dell’organizzazione federale del paese ed alla conseguente partecipazione di numerosi attori a tutti i livelli di governo (federale, regionale, locale, ordini professionali).

Anche nel caso della Germania la Commissione segnala una serie di lacune alle quali occorrerebbe porre rimedio tempestivamente:

·      sebbene il principio del silenzio-assenso per la concessione delle autorizzazioni sia stato introdotto nella normativa generale in materia di procedure amministrative, commercio e artigianato, alcune normative specifiche settoriali, quale ad esempio quella relativa al settore edilizio, prevedono che il principio del silenzio-assenso non si applichi; inoltre, sembrano esistere notevoli differenze tra i vari Länder;

·      con riferimento alla discrezionalità riconosciuta agli Stati membri di definire il quadro normativo in materia di stabilimento dei prestatori di servizi, la Commissione individua alcuni casi che sembrano non essere conformi a quanto previsto dalla direttiva stessa. Ad esempio, sono state mantenute tariffe fisse per i servizi professionali e per alcune professioni regolamentate quali i veterinari. Inoltre, sono stati mantenuti requisiti più o meno stringenti riguardanti la forma societaria e la partecipazione azionaria per le professioni regolamentate;

·      la Commissione esprime, inoltre, dubbi in relazione alla possibilità che le autorizzazioni previste dalla normativa tedesca per quanto riguarda le prestazioni transfrontaliere di servizi possano essere giustificate da uno dei quattro motivi imperativi di interesse generale contemplati dalla direttiva (ordine pubblico, sanità, pubblica sicurezza e tutela dell’ambiente) e se siano proporzionate. Ciò riguarda in particolare i servizi professionali nel settore dell’edilizia, della certificazione ambientale e dell’istruzione, con particolare riferimento alla formazione professionale;

·      infine, la Commissione ritiene che lo sportello unico sia stato realizzato correttamente. Tuttavia, il fatto che ogni Land abbia il proprio portale, comporta inevitabilmente una serie di differenze. Ad avviso della Commissione, sarebbe pertanto necessario migliorare la chiarezza delle informazioni (ad esempio specificando meglio la differenza tra stabilimento e prestazione transfrontaliera di servizi) nonché la disponibilità linguistica e la possibilità di poter effettuare procedure online.

 

Spagna

Il recepimento della direttiva servizi in Spagna è avvenuto mediante l’adozione di una legge orizzontale a livello nazionale e di numerose modifiche a leggi nazionali e regionali. Questo ha consentito una notevole semplificazione del quadro normativo suscettibile di favorire lo stabilimento e l’accesso per i prestatori di servizi degli altri Stati membri.

La Commissione formula una serie di rilievi:

·      la necessità di completare urgentemente la revisione delle norme in materia di professioni per renderle pienamente conformi alla direttiva servizi e alle disposizioni spagnole di recepimento della stessa;

·      in linea di massima la Spagna si è uniformata alle disposizioni della direttiva servizi in materia di autorizzazioni. Tuttavia, per consentire la corretta applicazione di tali disposizioni ed evitare che la complessa organizzazione amministrativa della Spagna si traduca in un incremento degli oneri per le imprese, occorre ad avviso della Commissione rafforzare la cooperazione amministrativa tra le regioni. La Commissione ritiene altresì che la Spagna possa procedere ad un’ulteriore semplificazione delle procedure amministrative a livello locale, in particolare per quanto riguarda le autorizzazioni per il commercio al dettaglio;

·      alla Commissione non risulta che, in seguito al recepimento della direttiva nella normativa settoriale spagnola siano rimasti esempi rilevanti di requisiti vietati dalla direttiva stessa. Ritiene tuttavia che debba essere modificata la normativa locale che in alcuni casi richiede ancora una tessera di identificazione spagnola per l’espletamento di determinate procedure;

·      andrebbe altresì modificata la norma di una comunità autonoma vigente nel settore del turismo che impone al prestatore di scegliere lo stabilimento sotto forma di agenzia, filiale o succursale;

·      sebbene grazie alla corretta applicazione delle pertinenti disposizioni della direttiva servizi sia stato possibile semplificare e ridurre gli oneri a carico dei prestatori transfrontalieri di servizi, la Commissione ha individuato l’applicazione a questi ultimi, in particolare nel settore dell’artigianato e dell’immobiliare, di requisiti vietati dalla stessa direttiva;

·      lo sportello unico spagnolo funziona correttamente per quanto riguarda sia la disponibilità delle informazioni sia l’espletamento delle procedure. Ad avviso della Commissione, occorrerebbe però adottare ulteriori misure per consentire di effettuare procedure transfrontaliere online e per fare in modo che le procedure riguardanti l’avvio di un’attività o la prestazione di servizi siano sufficientemente dettagliate e disponibili elettronicamente in ogni luogo e per tutte le attività e le autorità competenti. 

 

Regno Unito

Nel Regno Unito la direttiva servizi è stata recepita mediante l’adozione di una normativa orizzontale che ne copre le principali disposizioni, mentre sono state apportate modifiche limitate alla legislazione settoriale specifica. Tali modifiche hanno riguardato soprattutto le professioni e il commercio al dettaglio, con particolare riferimento agli schemi autorizzatori e alle procedure elettroniche. Inoltre, è stato soppresso l’obbligo per le persone fisiche o giuridiche che svolgono un’attività nel Regno Unito di avervi un domicilio.

La Commissione formula tuttavia rilievi su una serie di questioni che raccomanda alle autorità del Regno Unito di affrontare con urgenza:

·      non sarebbe stata attuata correttamente la disposizione riguardante la validità delle autorizzazioni su tutto il territorio nazionale. La normativa orizzontale, infatti, limita espressamente la validità delle autorizzazioni concesse da Inghilterra, Galles, Irlanda del Nord e Scozia al loro rispettivo territorio, senza che sia stato istituito un meccanismo di riconoscimento reciproco delle stesse;

·      continuano a sussistere divieti totali per alcune forme di comunicazioni commerciali per gli avvocati;

·      con riferimento alla discrezionalità riconosciuta dalla direttiva agli Stati membri di definire il quadro normativo in materia di stabilimento dei prestatori di servizi, la Commissione individua la presenza nella normativa del Regno Unito di alcuni requisiti vietati dalla direttiva stessa. Il più importante, ad avviso della Commissione, è quello riguardante la forma societaria e la partecipazione azionaria per gli avvocati in Scozia e Irlanda del Nord: in Scozia, infatti, gli avvocati possono costituire una società a responsabilità limitata a condizione che tutti i sui membri siano avocati. In Irlanda del Nord gli avvocati possono avvalersi di una struttura societaria a condizione che si tratti di una società che offre servizi legali e c che tutti i suoi membri e azionisti siano avvocati;

·      lo sportello unico del Regno Unito è uno dei migliori in tutta l’UE, infatti è facilmente comprensibile sia per gli utenti nazionali sia per quelli stranieri e dispone di un’ottima funzione di ricerca avanzata. Ad avviso della Commissione, tuttavia, dovrebbe essere migliorata la disponibilità di procedure online.

Esame presso altri Parlamenti nazionali (dati riportati nel sito IPEX)

L’esame della comunicazione risulta avviato da parte delBundesrat tedesco e del Parlamento svedese.

 

 

 

 

 

 



[1] Recepito nell’ordinamento italiano dall’articolo 29 del decreto legislativo n. 59/2010 che recepisce la direttiva Servizi:

1.  Al destinatario non possono essere imposti requisiti discriminatori fondati sulla sua nazionalità o sul suo luogo di residenza.

    2.  È fatto divieto ai prestatori di prevedere condizioni generali di accesso al servizio offerto che contengano condizioni discriminatorie basate sulla nazionalità o sul luogo di residenza del destinatario, ferma restando la possibilità di prevedere condizioni d'accesso differenti allorché queste sono direttamente giustificate da criteri oggettivi.

    3.  A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto sono abrogate le disposizioni legislative e regolamentari statali incompatibili con le disposizioni di cui al comma 1.

 

[2] Convertito in legge 22 dicembre 2011, n. 214.

[3] Convertito con modificazioni dalla L. 27/2012.

[4] Ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400.

[5] D.lgs. 79/2011.

[6] Legge n. 27 del 24 marzo 2012, "Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, recante disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività". La legge opera un ampio intervento di liberalizzazione del mercato finalizzato allo sviluppo della produttività.

[7]   D.L. 30 dicembre 2009 n. 194, recante “Proroga di termini previsti da disposizioni legislative” e convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2010, n. 25.