Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento affari esteri
Titolo: La crisi politica in Libia
Serie: Documentazione e ricerche    Numero: 198
Data: 22/02/2011
Descrittori:
CRISI POLITICA   LIBIA
Organi della Camera: III-Affari esteri e comunitari
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Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione e ricerche

La crisi politica in Libia

 

 

 

 

 

 

 

 

n. 198

 

 

 

22 febbraio 2011

 


Servizio responsabile:

Dipartimento Affari esteri

( 066760-4939 – * st_affari_esteri@camera.it

 

 

 

 

 

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File: es0672.doc

 


INDICE

Nota introduttiva

La crisi libica nel quadro dei rivolgimenti politici nordafricani3

Scheda-paese politico-istituzionale Libia

Documentazione

§         Unrest and Libya’s Energy Industry, in: www.stratfor.com, 22  febbraio 2011  17

§         F. Halliday, Libya’s Regime at 40: A State of Kleptocracy, in: www.isn.ethz.ch/isn, 21 febbraio 2011  21

§         E. Fassi, Democratizzazione nel mondo arabo? Il ruolo degli attori esterni, in: ISPI Commentary, 15 febbraio 2011  25

§         Un modello turco per il mondo arabo?, ISPI dossier, febbraio 2011  27

§         L. Gambardella, Libia: gli scenari a breve termine del regime di Gheddafi, in: http://www.equilibri.net/nuovo, 3 febbraio 2011  33

§         E. Remondino, Mediterraneo in fiamme: l’Europa e l’esportazione della democrazia, ISPI Commentary, 2 febbraio 2011  39

§         A. Varvelli, Sponda sud: i colpevoli ritardi dell’Europa, ISPI Commentary, 2 febbraio 2011  41

§         S. Hamid, In the Middle East: Two Models for Democratic Change, in: www.brookings.edu , 2 febbraio 2011  43

§         P. McCrum, Libya - Succession and Reform, in: www.isn.ethz.ch/isn, 26 gennaio 2011  45

§         S. Dennison, To engage or not to engage?, in: http://ecfr.eu, 26 novembre 2010  49

§         N. Ronzitti, Dopo il voto della Camera – Lo scontro sui respingimenti e il trattato Italia-Libia, in: http://www.affarinternazionali.it, 15 novembre 2010  51

§         R. Cortinovis, Italia: pro e contro dell’amicizia speciale con Tripoli, in: http://www.equilibri.net/nuovo, 14 settembre 2010  55

§         U. Profazio, Libia: una presunta normalizzazione, in: http://www.equilibri.net/nuovo, 30 agosto 2010  59

§         V. Talbot, La crisi dell’UpM e il futuro della cooperazione euro-mediterranea, ISPI Commentary, 7 luglio 2010  63

§         A. Varvelli, Libia: vere riforme oltre la retorica?, ISPI Analysis, n. 17 – luglio 2010  65

§         Istituto Universitario Europeo – CARIM – Consortium for Applied Research on International Migration – Libya - The Migration Scene - Which implications for migrants and refugees?,  Carim Policy Brief, n. 1 – giugno 2010  73

§         A. Pargeter, Reform in Libya: Chimera or reality?, IAI - Mediterranean Paper Series 2010  79

§         V. Delicato, The Fight Against the Smuggling of Migrants in the Mediterranean, IAI – Mediterranean Paper Series 2010  79

§         N. Ronzitti, Politica estera italiana - Luci e ombre del Trattato tra Italia e Libia, in: www.affarinternazionali.it, 8 febbraio 2009  79

§         N. Ronzitti, Il trattato Italia-Libia di amicizia, partenariato e cooperazione, Dossier n. 108, a cura del Servizio Studi del Senato della Repubblica, gennaio 2009  79

§         D. Perrin, Aspects juridiques de la migration circulaire dans l’espace Euro-Méditerranéen. Le cas de la Libye, CARIM notes d’analyse et de synthèse 2008/23  79

 

 


SIWEB

Nota introduttiva

 


La crisi libica nel quadro dei rivolgimenti politici nordafricani

Nel generale sommovimento popolare che sta scuotendo dall’inizio del 2011 l’Africa settentrionale sembrava che la Libia potesse tenersi al di fuori, in virtù di alcune particolari caratteristiche del paese: si tratta infatti di uno Stato grande esportatore di petrolio e gas, con una popolazione assai limitata e conseguentemente un elevato reddito pro-capite, e nel quale vigono condizioni di vita assai privilegiate per le élites dirigenti. Il carattere “socialista” dello stato libico ha dovuto garantire inoltre almeno un certo livello di redistribuzione delle ricchezze introitate dal paese con l’esportazione di gas e petrolio.

Ciononostante, a partire dalla metà di febbraio 2011 anche la Libia sembra essere entrata nell’occhio del ciclone della contestazione radicale del potere costituito, esattamente come prima avvenuto in Tunisia ed Egitto.

 

Ruolo dei nuovi media e dei gruppi giovanili

E’ stato da più parti evidenziato come l’esistenza nei nostri tempi della rete Internet e di tutte le tecnologie di telecomunicazione analoghe, o ad essa “agganciate”, stia favorendo una propagazione dei moti di protesta prima assolutamente impensabile. Se non vi è dubbio che la facilità di comunicazione - pur spesso ostacolata dai governi – riduca sensibilmente i tempi del “contagio” rivoluzionario tra paese e paese, è pur vero che in passato fiammate del tutto analoghe, anche se più lungamente protratte nel tempo, hanno scosso più volte l’Europa.

Porre quindi la facilità delle telecomunicazioni al centro dell’argomentazione rischierebbe di scambiare le cause con gli effetti, o quanto meno con le concause. Non vi è inoltre alcun dubbio sul fatto che nei diversi paesi appaiono chiaramente differenti anche le motivazioni che hanno innescato le proteste, motivazioni che tuttavia preesistono da lungo tempo e che finora non avevano trovato uno sbocco.

L’elemento veramente nuovo e protagonista delle contestazioni - e a ben vedere ciò sta avvenendo già dalla metà del 2009, quando in Iran si accese per molti mesi la protesta contro la rielezione di Ahmadinejad - sembra piuttosto essere l’irruzione dell’elemento giovanile sulla scena, una vera novità in società fortemente gerarchizzate e ancora patriarcali come quelle del mondo arabo-musulmano. Semmai, e non si tratta di un elemento tranquillizzante, si può immaginare quale sia l’istanza di fondo che motiva un’azione di contestazione che comporta gravissimi rischi per la propria incolumità e la stessa vita, come quella cui stiamo assistendo da una settimana anche in Libia: sembra cioè di poter intravedere come si stia concretizzando il nodo del grande balzo demografico che ha segnato i paesi di questa regione, e ciò paradossalmente proprio in prossimità dell’inizio della fine del boom delle nascite, poiché anche per i paesi arabi si prevede nel medio periodo una stabilizzazione della popolazione.

Se tutto ciò appare scarsamente esplicativo per la Libia, che come già accennato è assai poco popolata, e i cui abitanti non sono necessariamente costretti a una dura competizione lavorativa, non ugualmente può dirsi per paesi come la Tunisia, l’Egitto o lo stesso Iran, dove ormai il numero preponderante di giovani, molti dei quali ben istruiti, rende chiara l’impossibilità per i vari paesi di offrire un numero adeguato di posizioni lavorativamente soddisfacenti.

Lo squilibrio demografico non sembra facilmente superabile: un esito di questa criticità potrà essere rappresentato dall’emigrazione, come del resto è puntualmente avvenuto subito dopo la cacciata di Ben Ali da Tunisi: non va dimenticato che più di un osservatore ha già rilevato come il forte restringimento di tale valvola di sfogo verso i paesi europei negli ultimi anni possa aver contribuito in modo determinante alla gestazione del risentimento e della protesta rovesciatisi contro i vecchi rais della regione.

 

Cronologia della crisi

Tornando più specificamente al caso libico, va senz'altro messo in rilievo come dopo la Tunisia anche qui tra le ragioni dello scatenamento della rivolta contro il regime del colonnello Gheddafi vadano sottolineati elementi di squilibrio interno tra diverse regioni del paese. Non a caso l'epicentro delle proteste è stata all'inizio la città di Bengasi, principale centro della Cirenaica, che da sempre contende a Tripoli il primato, e che da sempre costituisce per il regime di Gheddafi una problematicità. Va infatti ricordato che la monarchia di re Idris, spodestata proprio dal colpo di Stato guidato nel 1969 dal colonnello Gheddafi, aveva proprio una forte caratterizzazione nell'elemento tribale della Cirenaica, che da allora non è mai stata pienamente integrata nel sistema politico libico.

Va del pari ricordato che la Cirenaica aveva costituito il nucleo della resistenza al colonialismo italiano, e che da tale area del paese aveva avuto origine la confraternita islamica dei Senussi, capace di esercitare una forte influenza, in direzione della costruzione di un Islam politico, anche verso grandi paesi come l'Egitto e finanche il Sudan.

Le prime avvisaglie della rivolta in Libia si sono registrate già tre giorni dopo la caduta in Egitto di Mubarak - che Gheddafi aveva peraltro appoggiato -, quando sulla rete Internet comparivano appelli per l'organizzazione di manifestazioni pacifiche contro il Colonnello. Il giorno successivo, il 15 febbraio, la polizia è intervenuta a Bengasi per disperdere un sit-in di protesta contro il Governo, organizzato nello specifico per richiedere il rilascio di un avvocato che rappresenta le famiglie delle vittime dell'eccidio del 1996 in una prigione di Tripoli. La resistenza di circa 200 manifestanti portava all'arresto di alcuni di essi, e al ferimento di diverse decine. Nella vicina città di al Baida si registravano tra i manifestanti due vittime uccise dalle forze di sicurezza.

Dopo queste prime avvisaglie, il 17 febbraio la prevista “giornata della collera” contro il regime di Gheddafi, indetta in occasione del quinto avversario dell'uccisione da parte della polizia di 12 manifestanti, faceva registrare la morte di otto persone per mano delle forze di sicurezza libiche, delle quali sei a Bengasi e due ad al Baida, con diverse decine di feriti. Intanto si verificavano a sud-ovest della capitale Tripoli i primi attacchi contro posti di polizia e un edificio pubblico, seguiti da diversi arresti. Dal regime proveniva qualche segnale di apertura, quando fonti adesso vicine riferivano sul rilascio di 110 prigionieri politici e sulla prossima convocazione di una commissione incaricata di considerare importanti cambiamenti all'assetto di governo del paese.

Il 18 febbraio, mentre si raggiungeva la cifra di 40 morti negli scontri, a Bengasi veniva incendiata la sede della radio locale, mentre ad al Baida venivano impiccati due poliziotti catturati dai manifestanti. Intanto in tutta la Libia cominciava a registrarsi una serie di difficoltà nel funzionamento della rete Internet. D'altra parte nella capitale Tripoli veniva riferito di dimostrazioni a favore del governo, ritrasmesse con grande enfasi dalla televisione pubblica.

Mentre continuava ad aggravarsi il bilancio degli scontri, a Bengasi perfino un corteo funebre veniva attaccato dalle forze di sicurezza governative, provocando una dozzina di vittime. Anche la città di Misurata faceva intanto registrare i primi scontri tra manifestanti e sostenitori di Gheddafi.

Il 20 febbraio era ormai chiaro il dilagare della protesta nel paese, a fronte di una dura repressione che faceva segnare un numero di vittime vicino a 200, e secondo fonti mediche anche superiore. Proprio negli ospedali gli effetti della repressione delle proteste si presentavano più drammatici, con penuria di personale medico, sangue e attrezzature. Intanto venivano segnalati i primi lanci di razzi contro i manifestanti.

Verso la fine della giornata Seif al Islam, considerato tra i figli di Gheddafi quello più “aperto”, appariva alla televisione pubblica accusando per i moti di protesta un presunto complotto dall'esterno, mettendo in guardia i libici contro il rischio di una guerra civile, della frantumazione del paese in più emirati islamici, della possibilità di perdere il controllo sulle risorse petrolifere a beneficio di un rinnovato colonialismo occidentale. D'altra parte, il figlio di Gheddafi ha riconosciuto la possibilità di eccessi da parte delle forze dell'ordine, secondo lui colte di sorpresa dai moti di rivolta, i cui protagonisti si sarebbero lasciati semplicemente entusiasmare da quanto avvenuto in Egitto e in Tunisia, mentre altri sarebbero stati addirittura drogati.

Seif al Islam ha poi lanciato la proposta di convocazione ad horas dell'Assemblea generale del popolo per dar vita a una nuova Costituzione e a riforme capaci di vedere incontro alle principali richieste popolari. Presupposto di tali aperture, è tornato a ribadire Seif al Islam, dovrà essere il rapido ritorno alla normalità, che le forze di sicurezza dell'esercito imporranno con ogni mezzo.

Intanto però la protesta non accennava a placarsi, e si verificava il saccheggio dell'edificio della televisione pubblica di Tripoli, e l'incendio di diversi edifici pubblici. Il delegato libico presso la Lega araba, intanto, annunciava le proprie dimissioni per unirsi alla rivoluzione. Nella città di Bengasi alcuni manifestanti riferivano della presenza di mercenari provenienti da altri paesi, impiegati per sparare in modo indiscriminato sulla folla in rivolta.

Il 21 febbraio la repressione compiva un ulteriore salto di qualità, con un massiccio bombardamento sui manifestanti a Tripoli, mentre le principali società petrolifere straniere, tra le quali l'ENI, procedevano all'evacuazione del personale non strettamente indispensabile e delle loro famiglie. Due piloti militari libici, asserendo di non voler obbedire all'ordine di bombardare i manifestanti, riparavano a Malta a bordo dei loro caccia. Quanto affermato dai due piloti sembrava trovare conferma nella denuncia fatta da una serie di diplomatici libici dissociatisi dal regime, tra i quali l'ambasciatore in India e il vice ambasciatore presso le Nazioni Unite, per cui i manifestanti sarebbero stati attaccati addirittura dall'aviazione militare. La veridicità sul numero elevatissimo delle vittime sembrava trovare conferma anche da parte statunitense, quando un comunicato USA condannava con forza l'utilizzazione della violenza contro i manifestanti libici.

Sul delicato versante dell’approvvigionamento energetico, è stata sospesa la fornitura di gas libico attraverso il gasdotto Greenstream. L'ENI ha precisato di essere in ogni caso in grado di fare fronte alla domanda di gas dei propri clienti. Secondo la società petrolifera (che ha sospeso anche alcune attività di produzione petrolifera) ed il Ministero dello Sviluppo economico, le procedure di messa in sicurezza attivate relativamente a Greenstream consentono un'opportuna tutela tecnica del gasdotto, e non comportano alcun problema per la sicurezza delle forniture ed il consumo di gas per il nostro paese, considerando anche il fatto che la Libia soddisfa circa il 10% del fabbisogno italiano.

Nel Regno Unito l'Ambasciatore libico veniva convocato per protestare contro l'uso indiscriminato della forza per reprimere le manifestazioni di piazza. Anche il segretario generale della Lega araba Amr Mussa ha richiesto la fine delle violenze in Libia, mentre la difficile situazione del paese provocava il primo picco nei prezzi del petrolio, con il brent di riferimento salito a 105 dollari per barile, come non si verificava ormai da due anni. Verso la fine della giornata lo stesso Gheddafi appariva molto brevemente sulla televisione pubblica per smentire le voci sulla propria fuga in Venezuela e assicurare la propria presenza nel difficile momento del paese.

Il 22 febbraio si sono registrate le prime iniziative in seno alle Nazioni Unite, con l'annuncio da parte del Segretario generale dell'ONU della riunione del Consiglio di sicurezza con al centro la crisi  in Libia. Ban-ki moon ha anche riferito di aver avuto un colloquio con Gheddafi, esortandolo alla moderazione e al rispetto dei principali diritti umani. L'Alto commissario ONU per i diritti umani ha chiesto frattanto un’ indagine indipendente a livello internazionale sulle violenze in Libia.

La stessa Lega araba ha convocato una riunione straordinaria degli ambasciatori per una discussione sulla situazione libica, ed il ministro degli esteri italiano Frattini, incontrando al Cairo proprio il Segretario generale della Lega araba, ha espresso preoccupazione per i rischi di guerra civile in Libia e per un esodo di dimensioni epocali di immigrati dal Nordafrica verso il territorio europeo.

Dopo l'appello alla Corte penale internazionale del vice ambasciatore libico presso le Nazioni Unite per aprire immediatamente un'inchiesta per crimini contro l'umanità nei confronti di Gheddafi, la Corte ha confermato di essere alla ricerca di prove in tal senso.

Il presidente della Repubblica, Giorgio Napoletano, ha espresso una netta condanna delle violenze in  Libia e ne ha chiesto "l'immediata cessazione", invocando "una rinnovata determinazione negli sforzi volti a restituire al popolo libico la speranza in un futuro migliore". Il capo dello Stato ha sottolineato oggi come "alle legittime richieste di riforme e di maggiore democrazia che giungono dalla popolazione libica vada data una risposta nel quadro di un dialogo fra le differenti componenti della società civile libica e le autorità del paese che miri a garantire il diritto di libera espressione della volontà popolare".

Lo stesso giorno il Colonnello si è rivolto alla nazione con un lungo messaggio in diretta tv, trasmesso dalla sua residenza a Tripoli, per dimostrare prima di tutto che non ha lasciato la Libia, né ha alcuna intenzione di farlo: “Muammar Gheddafi non ha nessun incarico dal quale dimettersi. Non sono un presidente, sono la guida della rivoluzione e tale resterò anche a costo del sacrificio della vita”. Ha lanciato un appello ai suoi sostenitori perché scendano in piazza già da domani per schiacciare i manifestanti, "ratti" diretti da chi sta all'estero, accusando gli Stati Uniti ed il nostro Paese di armare la rivolta fornendo armi ai ragazzi di Bengasi.

Il leader libico ha giocato anche la carta della minaccia islamica, sostenendo che i rivoltosi "vogliono trasformare il paese in un emirato" e che gli scontri di questi giorni "hanno l'obiettivo di consegnare il paese all'America o a Bin Laden".

Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, ha immediatamente smentito le affermazioni Gheddafi riguardo all'ipotesi di una fornitura italiana di armi e razzi ai manifestanti di Bengasi. In una telefonata al colonnello, durata circa venti minuti, il presidente del Consiglio ha discusso della situazione nel Paese nordafricano e ha rimarcato la necessità di arrivare ad una soluzione pacifica per evitare che la situazione degeneri e per scongiurare una "guerra civile".

 

 

 

 


Scheda-paese politico-istituzionale
Libia

 


Casella di testo: SCHEDA PAESE
politico-parlamentare

Libia                              

 


Il quadro istituzionale

Dal punto di vista della forma di governo, la Grande Jamahiryia (traducibile con “masse”) socialista araba del popolo libico, si presenta, a dispetto di una situazione di fatto che vede un controllo pressoché assoluto della vita politica e civile da parte di Muammar Gheddafi, come una sorta di “democrazia diretta”  nella quale tutti i cittadini libici maggiorenni possono partecipare all’attività politica attraverso congressi di base del popolo. Ciascuno di questi congressi designa un comitato del popolo, responsabile degli affari locali. I responsabili dei congressi di base e i componenti dei comitati del popolo costituiscono il Congresso generale del popolo che si riunisce una volta all’anno per circa una settimana. Il congresso generale del popolo nomina un suo segretariato e il Comitato generale del popolo, i cui membri, paragonabili ai ministri di un governo, sono a capo di specifici dipartimenti.

Questa originale struttura istituzionale è stata creata nel 1977, sostituendo il precedente Consiglio di comando rivoluzionario guidato da Gheddafi che, colonnello ventisettenne dell’esercito libico, aveva preso il potere con un colpo di stato nel 1969: essa si presenta come ispirata ai principi della “rivoluzione del 1969”, una sorta di fusione di motivi socialisteggianti, panarabisti ed islamisti, esposti nel libro verde dello stesso Gheddafi.

Per Freedom House la Libia è uno “Stato non libero” e non è una “democrazia elettorale” mentre il Democracy Index 2010 dell’Economist Intelligence Unit la classifica come “regime autoritario” (per ulteriori elementi cfr. infra Indicatori internazionali sul paese). Al riguardo, con riferimento al rispetto delle libertà politiche e civili, fonti indipendenti indicano che la legge libica proibisce la costituzione di gruppi che si oppongano ai “principi della rivoluzione del 1969” e il codice penale punisce con la pena di morte chi aderisca o supporti tali gruppi (nel 2010 si è però registrato il rilascio di 214 prigionieri politici, ancora detenuti nonostante le autorità giudiziarie ne avessero già disposto la liberazione e l’elargizione di compensazioni per detenzioni illegali di alcuni prigionieri); non esistono organizzazioni non governative indipendenti e persistono pesanti limitazioni alla libertà di associazione. La sola organizzazione che è autorizzata a svolgere compiti di monitoraggio sulle violazioni dei diritti umani è la “Società per i diritti umani” della fondazione Gheddafi che è guidata dal  figlio di Gheddafi, Saif al Islam. Per quel che concerne la libertà di stampa, nel quinquennio precedente al 2010 si è registrata una graduale apertura ad un maggiore libertà di dibattito e di discussione, specialmente su Internet. Con riferimento a tale ultimo aspetto, OpenNet Initiative[1] evidenziava, per l’anno 2009, una situazione di censura selettiva dei siti internet che affrontavano temi politici, mentre non si avevano prove di censure per siti che affrontassero problemi sociali o di sicurezza; il tasso di penetrazione di Internet risultava però nel 2008 ancora basso e pari al 4,7 per cento, anche se la situazione appariva destinata a migliorare con l’introduzione del primo servizio Wimax nel gennaio 2009 (l’unico provider per l’accesso ad Internet risultava comunque quello della compagnia statale Libya Telecom). La situazione della libertà di stampa, però, secondo Human Rights Watch sarebbe tornata a deteriorarsi nel 2010, quando il governo libico avrebbe bloccato l’accesso ad almeno sette siti indipendenti e di opposizione; sospeso le trasmissioni della stazione radio “Good Evening Bendasi”, arrestato brevemente alcuni suoi giornalisti; arrestato almeno 20 giornalisti della Libya Press Agency e sospeso la pubblicazione del periodico “Oea” (sia la Libya Press Agency sia “Oea” sono riconducibili a Saif Al-Islam Gheddafi). Freedom House indica inoltre come già nel 2009 fosse stato nazionalizzato l’unico gruppo editoriale semindipendente, vale a dire quello Al-Ghad anch’esso riconducibile a Saif Al-Islam Gheddafi.

Human Rights Watch indica anche come profilo problematico della realtà libica l’assenza di procedure legali per il riconoscimento dello status di rifugiati agli immigrati presenti sul suolo libico.

Inoltre, sulla realtà libica, continuerebbe a pesare il mancato accertamento delle responsabilità del massacro della prigione di Abu Salim, nel quale morirono nel 1996 circa 1200 persone.  In base alle informazioni disponibili, nel marzo 2010, la maggior parte delle famiglie delle vittime, residenti a Bengasi, hanno rifiutato gli indennizzi offerti in cambio della rinuncia all’azione legale.

La situazione politica e sociale

Muammar Gheddafi (n. 1942) non svolge nessun definito ruolo istituzionale, mentre ricopre la carica di leader della rivoluzione. 

Nel marzo 2010 la carica di segretario del Congresso generale del popolo risulta ricoperta da Mohamed Abdul Quasim Al-Zwai, mentre il Comitato generale del popolo vede, tra gli altri, Al-Baghdadi Al-Mahmoudi come segretario, Mussa Kussa responsabile del dipartimento esteri, Abdel Fatah Yunis Al-Ubaydi responsabile del dipartimento della sicurezza pubblica. 

Le proteste del febbraio 2011 in Libia (per la descrizione delle quali si rinvia alla successiva documentazione che sarà predisposta dal Servizio Studi) si inseriscono in contesto che vede la propagazione di proteste in tutto il Nord Africa e il Medio Oriente. In proposito, alcuni interpreti hanno individuato uno dei fattori scatenanti della crisi, al di là delle ragioni contingenti, in molti casi associate al rincaro di alcuni generi di prima necessità, a partire dal pane, in una situazione di modernizzazione economica e sociale (confermata anche dai tassi di crescita del PIL) che si è accompagnata al disagio di parte significativa della popolazione ed in particolare delle giovani generazioni. Queste ultime hanno peraltro assunto un peso notevole nell’equilibrio demografico dell’area ed hanno acquisito negli ultimi decenni un livello notevole di scolarizzazione, continuando tuttavia a soffrire di alti livelli di disoccupazione ed esclusione sociale. Pertanto nella tabella 1 è fornito un quadro di sintesi di alcuni indicatori economici e sociali della Libia confrontati con quelli degli altri paesi interessati dalle proteste. Dal confronto emergono alcune peculiarità libiche quali la minore popolazione e il più alto PIL pro-capite (anche a fronte della diminuzione del PIL che, in conseguenza della crisi economica, si è registrata in Libia a differenza di quanto avvenuto negli altri paesi; in proposito si ricorda come i tre quarti del reddito nazionale libico derivino dal petrolio e dal gas naturale). In particolare, si segnala dunque che il PIL libico ha subito nel 2009 un calo del 2,3 per cento; inoltre sempre nel medesimo anno (salvo dove diversamente indicato): il PIL pro-capite è pari a 9,5 dollari; la popolazione di età compresa tra i 15 e i 24 anni risulta pari al 17 per cento della popolazione complessiva (stimata nel 2010 a circa 6,5 milioni) e quella tra i 15 e i 29 anni al 28 per cento della popolazione; il tasso di incremento demografico medio registrato nel periodo 2000-2005 è stato di circa il 2 per cento, mentre quello di urbanizzazione nello stesso periodo di circa il 2,1 per cento;  il tasso di disoccupazione giovanile (vale a dire quello dei soggetti compresi tra i 15 e i 24 anni) è del 27,4 per cento (28,3 per cento maschile, 34,3 per cento femminile).

Inoltre il 9 febbraio (precedentemente quindi allo scoppio delle più gravi proteste libiche) il settimanale Economist ha elaborato un “indice della protesta politica” negli Stati della Lega araba (qui riportato come grafico 1) che assegnava alla Libia la percentuale più alta (circa 71 per cento), dopo quella dello Yemen, nei rischi di protesta politica. L’indice era elaborato prendendo in considerazione i dati 2010, ovvero quelli dell’ultimo anno disponibile, relativi alla percentuale e al numero assoluto della popolazione con meno di 25 anni di età, alla durata nella permanenza al potere delle leadership politiche dei paesi interessati, alla corruzione percepita ed alla mancanza di democrazia come rilevata dagli indicatori internazionali, al PIL pro-capite e alla situazione della libertà di stampa.    

 

Indicatori internazionali sul paese[2]:

Libertà politiche e civili: Stato “non libero” (Freedom House); regime autoritario (Economist)

Indice della libertà di stampa: 160 su 178

Libertà religiosa: assenza di eventi significativi (ACS); rispetto in generale della libertà religiosa sia pure con controllo della vita religiosa organizzata e limitazioni delle attività dei movimenti islamisti (USA)

Corruzione percepita: 146 su 178

Variazione PIL 2009: - 2,3 per cento

 

 


 

 

Tabella 1[3]

 

 

 

Algeria

Egitto

Giordania

Libia

Tunisia

Yemen

Variazione PIL 2009

+2,2% (stima)

+4,7%

+2,4% (stima)

- 2,3 %

+3,1%

+3,8% (stima)

PIL pro capite

3,8 $

2,45$

3,8 $

9,5 $

3,8 $

1,10$

Popolazione

34,4 mil
(2008)

83 mil
(2009)

5,1 mil
(2004)

6,5 mil.

(stima 2010)

10,4 mil
(2009)

23,6 mil
(stima 2009)

Tasso di incremento demografico medio 2000-2005

1,2 % ca

1,9 % ca

2,3 % ca

2 % ca

0,8 % ca

2,4% ca

Percentua-le di popo-lazione giovanile

15-24

20%

20%

 

17 %

22%

19%

15-29

31%

29%

 

28 %

30%

29%

Tasso di urbanizzazione 2000-2005

2,6 % ca

1,8 % ca

2,9 % ca

2,1 % ca.

1,6% ca

4,9 % ca

Tasso di sco-larizzazione se-condaria

66%

71%

84%

Non       disponi-bile

66%

37%

Tasso di disoc-cupazione giovanile

45,6%

21,7%

22,2%

27,4 %

27,3%

18,7%

Maschile

47,2%

15%

17,7

28,3 %

27,1%

20,5

Femminile

56,4%

41,5%

39,8

34,3 %

27,8%

13,5%


 

 

 

 

Grafico 1

 

 

 

 

 

Fonti: The Statesman’s Yearbook 2011, Freedom House, Human Rights Watch, OpenNet Initiative, Brookings Institution, Economist Intelligence Unit, Enciclopedia Britannica, United Nations Arab Human Development Report 2009

 

Servizio Studi – Analisi dei temi di politica estera nell’ambito dell’Osservatorio di Politica internazionale

( 06 6760-4939 – *st_affari_esteri@camera.it

I dossier dei servizi e degli uffici della Camera sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.

File: ES0675paese.doc

 




[1]    OpenNet Initiative è una partnership tra l’Università di Harvard, l’Università di Toronto e la società di consulenza canadese sui rischi globali SecDev Group istituita allo scopo di informare in maniera indipendente sulle pratiche di censura e controllo di Internet.

[2]    Gli indicatori internazionali sul paese, ripresi da autorevoli centri di ricerca, descrivono in particolare: la condizione delle libertà politiche e civili secondo le classificazioni di Freedom House e dell’Economist Intelligence Unit; la posizione del paese secondo l’indice della corruzione percepita predisposto da Transparency International e secondo l’indice della libertà di stampa predisposto da Reporters sans Frontières; la condizione della libertà religiosa secondo i due rapporti annuali di “Aiuto alla Chiesa che soffre” (indicato con ACS) e del Dipartimento di Stato USA (indicato con USA); il tasso di crescita del PIL come riportato dal Fondo monetario internazionale; la presenza di situazioni di conflitto armato secondo l’International Institute for Strategic Studies (IISS). Per ulteriori informazioni sulle fonti e i criteri adottati si rinvia alla nota esplicativa presente in Le elezioni programmate nel periodo febbraio-aprile 2011 (documentazione e ricerche n. 85, 9 febbraio 2011).

[3]     Fonti Brookings Institution; Economist Intelligence Unit; Arab Human Development Report 2009. Per quel che concerne il tasso di incremento demografico medio, l’Arab Human Development Report 2009 sottolinea che questo è diminuito, nel complesso dei paesi arabi, dal 3,2% annuo del quinquennio 1970-1975 al 2,1% annuo del quinquennio 2000-2005. La proiezione per il periodo 2005-2010 compiuta dal rapporto è di un incremento medio annuo del 2%, quasi il doppio di quello stimato a livello globale per il medesimo periodo (1,2%)