Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento affari esteri
Titolo: Vertice FAO sulla sicurezza alimentare
Serie: Documentazione e ricerche    Numero: 5
Data: 03/06/2008
Descrittori:
ASSISTENZA ALLO SVILUPPO   CONGRESSI CONVEGNI E SEMINARI
FAME NEL MONDO     
Organi della Camera: III-Affari esteri e comunitari


Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

 

 

 

 

SERVIZIO STUDI

Documentazione e ricerche

 

 

 

 

 

 

 

Vertice FAO
sulla sicurezza alimentare

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

n. 5

 

 

3 giugno 2008


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dipartimento affari esteri

 

SIWEB

 

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File:es0013.doc


INDICE

 

 

Scheda di sintesi

   La Conferenza della FAO   3

   L’emergere della nuova crisi alimentare  6

Attività parlamentare

   Senato della Repubblica – Doc. XVII n. 7, approvato dalla 9ª Commissione Agricoltura nella seduta del 26 febbraio 2008 a conclusione dell’indagine conoscitiva sulle prospettive di sviluppo dell’uso di biomasse e di biocarburanti di origine agricola e sulle implicazioni per il comparto primario  13

Documento della High-level Conference on World Food Security: The Challenges of Climate Change and Bioenergy (Roma, 3-5 giugno 2008)

   Soaring food prices: Facts, Perspectives, Impacts and Actions Requires  16

Parlamento europeo

   Risoluzione del 31 gennaio 2008 sull’esito della Conferenza di Bali sul cambiamento climatico  19

   Risoluzione del 10 aprile 2008 sul Libro verde della Commissione ‘L’adattamento ai cambiamenti climatici in Europa – quali possibilità di intervento per l’UE’19

Pubblicistica

   IATP (Institute for Agricolture and Trade Policy) ‘A Fair Farm Bill for Renewable Energy’, aprile 2007  23

   C. Ford Runge and B. Senauer ‘How Biofuels Could Starve the Poor’, in: Foreign Affairs, maggio/giugno 2007  23

   A. Cappelli e S. Simoni ‘L’oro verde: vizi e virtu’ dei biocarburanti’¸ in: Limes, n. 6/2007  23

   I. Criscuoli, P. Romei e F.P. Vaccari ‘La sostenibilità della produzione di biodiesel nei Paesi in via di sviluppo’¸ in: Equilibri, n. 2/2007  23

   D. Boddiger ‘Boosting biofuel crops could threaten food security’, in: The Lancet, settembre 2007,23

   C. W. Calomiris ‘Food for Fuel?; Debating the Tradeoffs of Corn-Based Ethanol’, in: Foreign Affairs, settembre/ottobre 2007, tratto dal sito internet http://proquest.umi.com   23

   R. L. Naylor, A.J. Liska, M. B. Burke, W. P. Falcon, J. C. Gaskell, S. D. Rozelle, K. G. Cassman ‘The ripple effect, Biofuels, food security and the environment’, in: Environment, n. 9/2007  23

   M. Khor ‘Food Prices Boil Over’, in: Multinational Monitor, novembre/dicembre 2007  23

   J. Podesta e P. Ogden ‘The Security Implications of Climate Change’, in: The Washington Quarterly, inverno 2007/2008  23

   C. Clini ‘I cambiamenti climatici e l’energia dopo la Conferenza di Bali¸ in: Italiani europei, n. 1/2008  23

   ODI (Overseas Development Institute) ‘Biofuels and development: Will the EU help or hinder?’, in: Briefing Paper, gennaio 2008  23

   S. Rosen, S. Shapouri ‘Rising Food Prices Intensify Food Insecurity in Developing Countries, in: Accademia Research Library, febbraio 2008  23

   Natural Resources Forum ‘Viewpoints’,n. 32, 2008  23

   B. Dale Ethanol Will Reduce Our Dependence On Foreign Oil, in: Americas Quarterly, primavera 2008  24

   A.L. Valvo ‘Un libro verde della Commissione europea sull’adattamento al cambiamento climatico’¸ in: Rivista della Cooperazione giuridica internazionale, n. 28/2008  24

   E. Rene de Vera ‘The WTO and Biofuels: The Possibility or Unilateral Sustainability Requirements, in: Chicago Journal of International Law, inverno 2008  24

 

 


Scheda di sintesi

 


La Conferenza della FAO

La Conferenza ad alto livello della FAO sulla sicurezza alimentare mondiale, prevista dal 3 al 5 giugno 2008 presso il Quartier Generale dell'Organizzazione a Roma, è il coronamento di un lavoro che dall'inizio dell'anno ha visto numerosi gruppi di esperti incontrarsi e discutere svariati argomenti, all'interno della complessa problematica che lega gli effetti dei cambiamenti climatici ai problemi energetici e a quelli alimentari. Lo scopo principale della Conferenza è quello di affrontare le questioni della sicurezza alimentare alla luce del notevole aumento dei prezzi delle principali derrate alimentari, nonché in relazione alle sfide poste dai cambiamenti climatici e dai problemi dell'approvvigionamento energetico. L'obiettivo desiderato è accrescere le capacità di assistenza a singoli paesi e a più vasti aggregati di essi nel mettere a punto soluzioni sostenibili del problema della sicurezza alimentare, che siano il prodotto di politiche, strategie e programmi adeguati, e tutto ciò con riferimento sia ai problemi immediati, che a quelli di breve o più lungo periodo. Il raggiungimento di tali scopi dovrà avvenire con un ampio coinvolgimento e coordinamento delle varie Agenzie internazionali e dei livelli intergovernativi. Il fatto che alla Conferenza la FAO abbia invitato Capi di stato e di governo, ministri competenti per i vari aspetti dell'agricoltura e dell'energia, come anche capi di Agenzie delle Nazioni Unite e alcune organizzazioni intergovernative e non governative, fa della Conferenza un vero e proprio vertice mondiale sulla sicurezza alimentare.

I problemi posti dalla crescita dei prezzi mondiali di alcuni essenziali prodotti alimentari hanno dato vita negli ultimi mesi a diversi problemi di ordine pubblico nelle più disparate aree del mondo, comunque appartenenti a paesi in via di sviluppo o che hanno appena intrapreso la strada di uno sviluppo sostenuto (vedi infra). In relazione anche a tali eventi altri consessi internazionali hanno fatto sentire la loro voce, esortando a una rivalutazione delle potenzialità di sviluppo dell'agricoltura che ne ripropongano la centralità e consentano, con un rinnovato slancio di investimenti nel settore, di accrescerne notevolmente le produzioni. Così ad esempio, con riferimento all'Europa orientale e ai territori dell'ex Unione sovietica, una Conferenza del 10 marzo 2008 organizzata a Londra dalla FAO e dalla BERS (Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo) ha posto l’accento sul miglioramento della cooperazione tra settori pubblici e privati per accrescere gli investimenti agricoli, intesi come diretti anche all'intera infrastruttura necessaria alle attività agricole e, a valle, all'industria di trasformazione dei prodotti. La Conferenza ha posto particolare enfasi sul grande potenziale residuo della produzione agricola specialmente in paesi come il Kazakhstan, la Russia e l’Ucraina, dove negli ultimi anni sono mancati alla produzione agricola circa 23 milioni di ettari di terre coltivabili, dei quali almeno 13 milioni potrebbero tornare alle loro originarie destinazioni senza impatti ambientali significativi.

Nella stessa logica, alla metà di aprile, nel corso della riunione primaverile tra il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale, è stato lanciato un invito pressante e di carattere generale a intraprendere iniziative per contrastare l'aumento preoccupante dei prezzi tanto dei prodotti agricoli quanto dei carburanti, nella cornice di un rafforzamento del sistema finanziario internazionale e di una soluzione della corrente crisi del credito.

Dal punto di vista analitico le interrelazioni tra i cambiamenti climatici, i problemi energetici e gli effetti sulla produzione di cibo sono estremamente complesse, e raramente a senso unico: siamo cioè in presenza, come ormai comunemente accettato, di un unico contesto - il pianeta Terra - nel quale i nessi di causa-effetto sono sempre più ambivalenti.

In ogni caso, se i cambiamenti climatici riguardano ciascun abitante del pianeta, essi rischiano di avere gli effetti peggiori su centinaia di milioni di piccoli coltivatori, pescatori o comunque persone le cui fonti di reddito sono legate all'economia delle foreste. Altrettanto chiaro appare ormai il potenziale impatto negativo, su questi soggetti deboli dell'economia mondiale, della crescente domanda di biocarburanti, che influenza la disponibilità di terre, di acqua e di biodiversità, nonché il prezzo degli stessi alimenti.

Un esempio, tuttavia, di come i nessi causali non siano univoci, è nel dato, non sufficientemente pubblicizzato, del contributo dell'agricoltura e della deforestazione alle emissioni di gas serra: secondo dati del 2007 del Panel intergovernativo sui cambiamenti climatici, la deforestazione contribuisce per il 17% al totale delle emissioni, mentre anche l'agricoltura ne produce il 14%. Al tempo stesso, va riconosciuto che l'agricoltura e la pesca sono anche importanti agenti di attenuazione dei cambiamenti climatici e suscettibili di adattamento ad essi. Ad esempio l'agricoltura stessa può contribuire alla riduzione al minimo della deforestazione (che attualmente implica la perdita di 13 milioni di ettari di foreste), inclusa la lotta agli incendi - che è strettamente legata alla presenza sul territorio del fattore umano -, e può contribuire alla riduzione dei gas-serra anche mediante una più appropriata alimentazione del bestiame e soprattutto un più efficiente trattamento e utilizzazione dei relativi rifiuti organici. Per quanto concerne il profilo dell'adattamento ai cambiamenti climatici, anche qui l'agricoltura può giocare un ruolo decisivo: infatti uno degli effetti già in atto dei cambiamenti climatici riguarda la riduzione delle risorse idriche, per di più a fronte di una crescente domanda di irrigazione in molte aree della fascia intertropicale. L'agricoltura, che già consuma il 70% circa delle risorse idriche globali, e che è inoltre minacciata dalla minore possibilità di estrazione di acqua a fronte di più elevati prezzi dell'energia, dovrà essere in grado di accrescere le capacità di immagazzinamento delle risorse idriche, come anche la produttività a parità di consumo idrico. Tutto ciò dovrebbe essere reso possibile dall'adozione di migliori pratiche in agricoltura, volte a migliorare la fertilità dei suoli e a contrastare il degrado di essi.

La debolezza della posizione economica dei piccoli coltivatori della fascia intertropicale della Terra consiste anche nel fatto che essi sono costretti a lavorare terre marginali, le più vulnerabili ai cambiamenti climatici e al loro effetto più temuto, la siccità. Inoltre, proprio per l'esiguità dei loro redditi, essi sono del tutto incapaci di sostenere una riduzione degli stessi, e non dispongono di valide attrezzature per adattarsi alle nuove condizioni. Uno strumento importante al proposito è la possibilità di assicurazione contro gli effetti climatici sui raccolti, in base a un indice correlato agli eventi atmosferici: in tal modo gli agricoltori sono messi in condizione di investire in attività agricole anche laddove esse richiedono un investimento iniziale cospicuo. Attualmente, però, le somme pagate dalle assicurazioni sono proporzionali non alla differenza nel livello del prodotto, ma a quella nel livello delle precipitazioni o della temperatura, in tal modo coprendo solo parzialmente gli agricoltori.

Il cambiamento climatico, inoltre, può modificare l'adeguatezza delle terre per diversi tipi di raccolti, bestiame, prodotti ittici, nonché influenzare la biologia delle foreste, accrescendo in esse l'incidenza di epidemie e di malattie con impatto sull’intera sfera della biodiversità, animale e vegetale. Per di più, i cambiamenti nell’ecosistema terrestre sono suscettibili di ampliare l’ambito geografico di tali epidemie e malattie, con evidenti riflessi  negativi sulla produzione agricola globale.

Per quanto concerne la pesca e l’acquacoltura la minaccia dei cambiamenti climatici riguarda anche in questo caso centinaia di milioni di persone, coinvolte o nella pesca diretta, o nelle successive lavorazioni. Ciò che è atteso in base ai cambiamenti climatici è la riduzione quantitativa di alcune risorse ittiche, e lo spostamento di intere specie rispetto agli ambienti marini da sempre abitati, con ulteriore sottrazione di risorse alla pesca tradizionale. La stessa acquacoltura può divenire meno produttiva, sia in ragione di mutamenti nella composizione delle acque (soprattutto la salinità), sia perché, vivendo in aree costiere o piccole isole, le comunità coinvolte saranno esposte sempre più frequentemente a cicloni e alluvioni, ovvero saranno interessate dal fenomeno della crescita del livello degli oceani. Nel solo 2007 eventi atmosferici estremi hanno interessato 197 milioni di persone, perlopiù nei paesi in via di sviluppo. Anche questo fattore di grande potenziale riduzione dell'offerta di cibo deve essere fronteggiato con un migliore livello di gestione dei rischi, che includa adeguate valutazioni e misure preventive, sistemi di allerta precoce, ecc.

Anche la crescente richiesta di biocarburanti presenta un profilo ambivalente, poiché se è vero che essa può contribuire a integrare i redditi rurali, favorire la diffusione nelle campagne dei paesi meno avanzati di elettricità e riscaldamento, e naturalmente attenuare i cambiamenti climatici mediante un minore uso di combustibili fossili e dunque la minore immissione di anidride carbonica nell'atmosfera, è altrettanto indiscutibile che vi è un pesante rovescio della medaglia, nel senso anzitutto che se i biocarburanti sono prodotti in modo non sostenibile per l'ambiente - ad esempio aumentando la deforestazione - il loro contributo a contrastare i cambiamenti climatici diviene assai minore. Inoltre la crescente domanda di biocarburanti liquidi fa crescere i prezzi delle merci e del cibo, con immediati riflessi negativi sui consumatori più poveri (pur costituendo, come detto, una nuova fonte di reddito, almeno per coloro che sono in grado di coltivare e mettere sul mercato prodotti adatti alla produzione di biocarburanti).

In conclusione, appare chiaro che al momento attuale si assiste in molte parti del mondo a una competizione per la terra, l'acqua e altre risorse necessarie, che vede protagonisti i raccolti a scopo alimentare e quelli scopo energetico, anche se secondo alcuni osservatori l'impatto dei biocarburanti sulla crescita dei prezzi alimentari mondiali andrebbe ridimensionato.

L’emergere della nuova crisi alimentare

L’aumento dei prezzi dei prodotti agricoli sta colpendo sia i cittadini più poveri delle economie avanzate, sia – più gravemente – quelli delle economie arretrate: si calcola che degli 850 milioni di abitanti del pianeta che oggi soffrono la fame, circa 820 vivono nei Paesi in via di sviluppo, che sono, tra l’altro, quelli che patiranno maggiormente anche le conseguenze dei cambiamenti climatici. La FAO elenca 22 paesi particolarmente vulnerabili all’aumento dei prezzi del cibo, sia perché soffrono di una cronica scarsità di alimenti, sia perché sono grandi importatori di cibo e carburanti; tra essi, Eritrea, Niger, Comore, Haiti e Liberia sono considerati quelli a più alto rischio.

La Conferenza della FAO sulla sicurezza alimentare del 3-5 giugno 2008 si tiene quindi in un momento cruciale, caratterizzato - a partire dall’inizio dell’anno in corso - da un improvviso aggravamento dell’emergenza alimentare.

Lo scopo principale della Conferenza è quello di affrontare le questioni della sicurezza alimentare alla luce del notevole aumento dei prezzi delle principali derrate alimentari, nonché in relazione alle sfide poste dai cambiamenti climatici e dai problemi dell'approvvigionamento energetico.

Secondo la Banca Mondiale, il prezzo del grano è aumentato del 120% nell’ultimo anno (ma forti aumenti interessano anche soia e granturco), mentre il prezzo del riso è cresciuto del 75% in soli due mesi[1]. Poiché le scorte di cereali sono scarse a livello mondiale, la Banca Mondiale ha predisposto una redistribuzione degli aiuti e ha stabilito di raddoppiare gli aiuti all’agricoltura nell’Africa sub-sahariana. L’aumento del riso, secondo la FAO, è stato determinato sia da una diminuzione degli investimenti nel settore, sia dalla scarsità dei raccolti nei principali Paesi produttori.

Nei Paesi asiatici, così come in Africa, la preoccupazione aumenta, poiché la crisi alimentare sta gravemente compromettendo le conquiste ottenute negli ultimi anni dalle ancor fragili economie dei Paesi in via di sviluppo e, per la prima volta in decenni, è in risalita il numero di persone che soffrono la fame.

Il World Food Program dell’ONU ha calcolato che occorreranno finanziamenti aggiuntivi pari a 755 milioni di dollari per far fronte alla crisi alimentare, di cui si dovranno fare carico i paesi donatori, obiettivo raggiunto soprattutto grazie al generoso contributo dell’Arabia Saudita che, il 22 maggio scorso, ha donato 500 milioni di dollari al WFP.

Dati molto preoccupanti sono emersi dal rapporto periodico di previsione della produzione di cereali della FAO (Crop Prospects and Food situation), presentato l’11 aprile dal direttore generale Jacques Diouf. Diouf ha dichiarato che, poiché le scorte sono al livello più basso mai registrato dal 1980, mentre la domanda continua ad aumentare, i prezzi dei cereali non diminuiranno, anche se dovesse aumentarne l’offerta. Secondo il successivo rapporto FAO (presentato il 22 maggio), infatti, nonostante sia previsto che nel 2008 la produzione mondiale aumenti del 3,8%, tale aumento non sarà sufficiente a far calare i prezzi, stante la necessità di ricostruire le scorte e la crescente domanda sostenuta dalla grande crescita economica di Paesi emergenti come Cina, India e Brasile.

 

I Capi di Stato e di Governo presenti al Vertice di Roma decideranno quindi gli interventi nel breve e lungo periodo per affrontare la crisi alimentare anche in base al contenuto di tale rapporto: secondo la FAO, nel 2008 il mondo spenderà 1.035 miliardi di dollari per importare cibo, 215 miliardi in più (pari al 26% di aumento) rispetto alla cifra, già elevatissima, del 2007; la FAO stima inoltre che le importazioni alimentari per i Paesi a basso reddito salirebbero a 169 miliardi di euro (sempre nel 2008), con un incremento del 40% rispetto al 2007.

Il rapporto, tuttavia, contiene anche modeste note di ottimismo, laddove segnala che, il passaggio dal mese di marzo a quello di aprile 2008 avrebbe segnato lo spartiacque verso una discesa dei prezzi, peraltro ancora molto alti se confrontati con quelli dello stesso periodo del 2007.

Il Fondo Monetario Internazionale afferma inoltre che i prezzi dei generi alimentari sono cresciuti del 48% a livello mondiale dalla fine del 2006, mentre, secondo l’OCSE, gli aiuti provenienti dai Paesi donatori sono diminuiti dell'8,4% per il secondo anno consecutivo.

Il 28 aprile 2008 il Segretario generale dell’ONU, Ban ki-Moon, ha istituito una Task Force sulla crisi alimentare globale, sotto la sua presidenza, e composta dai capi delle Agenzie specializzate delle Nazioni Unite, dei Fondi e Programmi, delle Istituzioni di Bretton Woods e delle parti competenti del Segretariato. Scopo principale della Task Force è quello di promuovere una risposta unificata al problema dell’aumento globale dei prezzi del cibo, anche attraverso la creazione di un piano d’azione ed il coordinamento della sua attuazione. Il coordinamento della Task force è stato affidato al sottosegretario generale ONU, John Holmes.

 

Il forte aumento dei prezzi dei cereali ha dato origine a disordini in alcuni dei Paesi più colpiti: Egitto, Camerun, Costa d'Avorio, Senegal, Burkina Faso, Etiopia, Indonesia, Madagascar, Filippine e Tunisia. In Thailandia e in Pakistan si è fatto ricorso all'esercito per prevenire assalti a campi e a magazzini di stoccaggio. Il governo pakistano ha annunciato che la produzione di grano sarà di circa un milione di tonnellate al di sotto del fabbisogno del Paese per quest’anno; per impedirne l’accaparramento, le autorità pakistane hanno dichiarato che le scorte di cereali saranno confiscate, a meno che i proprietari non le vendano alle agenzie governative.  

In Egitto, dove pure l’esercito era stato autorizzato da febbraio a cuocere il pane per la popolazione, nei primi giorni di aprile si sono verificati scontri con la polizia, nel corso dei quali si sono già registrate vittime. Il PAM (Programma alimentare mondiale) afferma che in Egitto il costo della vita è aumentato del 50% dall'inizio del 2008, e che circa 40 egiziani su 100 vivono al di sotto della soglia di povertà (con meno di 2 dollari al giorno).

Anche la Tunisia è stata terreno di proteste a causa dell’inarrestabile ascesa dei prezzi. Le notizie degli scontri tra cittadini e polizia nella città di Redeyef (9-11 aprile), che avrebbero portato a molti arresti, non sono state confermate da fonti ufficiali a causa della politica repressiva del presidente Zine el Abidine Ben Ali.

Nello stesso periodo (prima metà di aprile) si sono verificate aspre proteste ad Haiti, dove il prezzo del riso era appena stato raddoppiato. Gli scontri erano cominciati il 2 aprile con attacchi contro i caschi blu dell’ONU e contro la polizia nel sud di Haiti e si sono poi estesi anche nella capitale, Port au Prince, causando danni a negozi ed automobili. Il presidente Perval ha promesso un contenimento dei prezzi, che verrebbe finanziato in parte con capitali privati e in parte con gli aiuti della comunità internazionale.

 

La prima reazione da parte dei governi di alcuni Paesi nei quali si sono verificati i disordini è stata l’adozione di misure riguardanti l’esportazione e l’importazione, nonché l’incentivazione della produzione di cereali.

Le esportazioni di riso sono state vietate in India a fine marzo (con eccezione della varietà “basmati”), mentre il Vietnam ha esteso il divieto fino alla fine di giugno, contingentando inoltre la quantità esportabile nei sei mesi successivi. Il blocco temporaneo delle esportazioni è stato deciso anche in Egitto e in Cambogia, dove si è contemporaneamente deciso di dare libero accesso alle scorte. Anche la Thailandia ha fatto ricorso alle scorte per poter vendere il riso a prezzi più vantaggiosi, e ha proposto ai grandi esportatori (Laos, Birmania, Cambogia e Vietnam) di costituire un cartello sul modello dell’OPEC, per controllare il prezzo del riso a livello internazionale.

Divieto di esportazione è stato deciso anche dal governo dello Zambia, pur in presenza di scorte di mais in abbondanza, e analoghe restrizioni alle esportazioni di cereali sono state attuate in Bolivia, Azerbaijan e Ghana.

Ulteriori misure di sostegno alla produzione agricola sono state adottate in Cina (dove è stato facilitato il credito) e in Pakistan (che aveva già innalzato i dazi alle esportazioni del grano), mentre il Bangladesh ha deciso di vendere il riso a prezzo calmierato nelle aree urbane. Proseguono le politiche di incoraggiamento alla produzione in Malawi, America Latina, Caraibi e Messico. Il governo peruviano ha deciso l’adozione di un programma di distribuzione di cibo alle fasce più bisognose della popolazione.

Dopo le dure proteste popolari, il governo della Costa d’Avorio è stato costretto a sospendere i dazi sull’importazione dei prodotti alimentari. La stessa misura è stata adottata in Camerun, Senegal, Tanzania, Colombia e Perù.

Infine, l’Ucraina, uno dei maggiori produttori di cereali, ha annunciato un piano per fissare limiti sui margini di profitto da parte degli operatori del settore alimentare per contenere l’inflazione.

Alcune di queste misure, secondo l’IFAD (Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo), e in particolare quelle che intervengono sul commercio, non solo hanno contribuito all’instabilità del mercato, ma hanno anche eroso il ricavato dei produttori.

L’entità della crisi preoccupa ormai tutti gli organismi internazionali a vario titolo interessati dalla questione: l’UNICEF ha espresso preoccupazione per il negativo impatto sociale ed economico dell'aumento dei prezzi degli alimenti, specialmente nei Paesi a basso reddito e meno sviluppati, e l’IFAD (che ha stanziato 200 milioni di dollari)  ha reso noto che – secondo le previsioni dei suoi esperti - ogni punto percentuale in più sul costo del cibo causerà ulteriori 16 milioni di affamati nel mondo.

 

La FAO, che ha già stanziato 17 milioni di dollari in un progetto per fronteggiare la crisi, propone tra l’altro l’adozione di un piano che consenta il trasferimento su larga scala di sementi, fertilizzanti e mezzi di produzione verso i Paesi in via di sviluppo.

Già nel dicembre del 2007 la FAO aveva dato l’allarme circa l’acuirsi della crisi, segnalando peraltro la situazione speculativa che andava ingigantendosi sul Chicago Board of Trade, il mercato di riferimento internazionale per le materie prime agricole, dove il prezzo del riso continua a salire (è aumentato del 27% nel mese di aprile), sull’onda dei timori per la diminuzione delle esportazioni da parte dei paesi produttori. La FAO raccomandava inoltre di agire in fretta per non far lievitare i costi di un intervento tardivo, sicuramente molto più oneroso, come si verificò nei casi dell’invasione delle locuste, e della diffusione dell’afta epizootica e dell’influenza aviaria.

La crisi alimentare si ripercuote, come si è detto, anche all’interno dei Paesi più ricchi (o meno poveri), condizionandone talvolta le politiche commerciali: il Brasile, ad esempio, ha decretato il blocco all’esportazione di riso per assicurare il rifornimento delle scorte nazionali, nonostante la richiesta ricevuta da paesi poveri africani e sudamericani di venderne 500 mila tonnellate.

Anche negli Stati Uniti si temono indebiti accaparramenti, per evitare i quali la famosa catena di supermercati Wal-mart ha posto il limite di acquisto di quattro confezioni a persona.

L'Italia è il primo produttore europeo di riso con oltre 220 mila ettari di terreno e con circa 1,4 milioni di tonnellate. Secondo Coldiretti, l’enorme aumento delle quotazioni dipende in larga parte dalle speculazioni, che si sono spostate sul mercato delle materie prime agricole.

Infine, si ricorda che il primo ministro britannico Gordon Brown si è rivolto al premier giapponese, Yasuo Fukuda, presidente di turno del G8 che si svolgerà a luglio, affinché si ponga all’ordine del giorno l’esame dell'impatto dei biocarburanti sui prezzi alimentari.

 

 

 

 




[1]    Dati diffusi dal Presidente Robert Zoellick, il 10 aprile 2008.