Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione
(Versione per stampa)
| |||
---|---|---|---|
Autore: | Servizio Studi - Dipartimento attività produttive | ||
Titolo: | Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese - D.L. 179/2012- A.C. 5626 - Schede di lettura | ||
Riferimenti: |
| ||
Serie: | Progetti di legge Numero: 737 | ||
Data: | 10/12/2012 | ||
Organi della Camera: |
IX-Trasporti, poste e telecomunicazioni
X-Attività produttive, commercio e turismo | ||
Altri riferimenti: |
|
|
Camera dei deputati |
XVI LEGISLATURA |
|
|
|
Documentazione per l’esame di |
Ulteriori misure urgenti D.L. 179/2012 – A.C.5626 |
Schede di lettura |
|
|
|
|
|
|
n. 737 |
|
|
|
10 dicembre 2012 |
Servizio responsabile: |
Servizio
Studi – Dipartimento Attività produttive ( 066760-9574 – * st_attprod@camera.it Servizio
Studi – Dipartimento Trasporti ( 066760-2614 – * st_trasporti@camera.it |
Ha partecipato alla redazione del dossier il seguente Ufficio: |
Segreteria Generale – Ufficio Rapporti con l’Unione
europea ( 066760-2145 – * cdrue@camera.it |
§
Le schede
di lettura sono state redatte dal Servizio Studi. §
Le parti
relative ai documenti all’esame delle istituzioni dell’Unione europea e alle procedure
di contenzioso sono state curate dall'Ufficio rapporti con l'Unione europea. |
|
I dossier
dei servizi e degli uffici della Camera sono destinati alle esigenze di documentazione
interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera
dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o
riproduzione per fini non consentiti dalla legge. |
File: D12179.doc |
INDICE
§
Articolo
1 del ddl di conversione
§
Articolo
1, comma 1 (Attuazione dell’Agenda digitale
italiana)
§
Articolo
1, comma 2 (Documento digitale unificato)
§
Articolo
1, comma 3 (Finanziamento dell'ISTAT)
§
Articolo
2 (Anagrafe nazionale della popolazione residente)
§
Articolo
2-bis (Agenzia per l’Italia digitale)
§
Articolo
4 (Domicilio digitale del cittadino)
§
Articolo
6, commi 3 e 4 (Stipula dei contratti pubblici)
§
Articolo
6, commi 5 e 6 (Atti in formato elettronico
redatti da notai)
§
Articolo
7 (Trasmissione telematica delle certificazioni
di malattia)
§
Articolo
8 (Misure per l’innovazione dei sistemi di
trasporto)
§
Articolo
9 (Documenti informatici, dati di tipo aperto
e inclusione digitale)
§
Articolo
9-bis (Acquisizione di software da parte della pubblica amministrazione)
§
Articolo
10 (Anagrafe nazionale degli studenti e
altre misure in materia scolastica)
§
Articolo
11, commi da 1 a 3 e 4-novies (Libri e centri scolastici digitali)
§
Articolo
11-bis (Credito d’imposta per promuovere l’offerta on line di opere
dell’ingegno)
§
Articolo
12 (Fascicolo sanitario elettronico e
sistemi di sorveglianza nel settore sanitario)
§
Articolo
13 (Prescrizione medica e cartella
clinica digitale)
§
Articolo
13-bis (Principio attivo farmaco)
§
Articolo
13-ter (Carta dei diritti)
§
Articolo
14, commi 1-7 (Interventi per
la diffusione delle tecnologie digitali – Banda larga)
§
Articolo
14, commi 8-10 (Inquinamento
elettromagnetico)
§
Articolo
14, comma 10-bis (Identificazione utenti internet )
§
Articolo
14, comma 10-ter (Autocertificazione attivazione banda ultralarga)
§
Articolo
14-bis (Pubblicità dei lavori parlamentari)
§
Articolo
15, commi 4-5 e 5-bis (Pagamenti fra privati)
§
Articolo
15, comma 5-ter (Sicurezza informatica)
§
Articolo
15, comma 5-quater (Sovrapprezzo per transazioni elettroniche)
§
Articolo
16 (Biglietti di cancelleria,
comunicazioni e notificazioni per via telematica)
§
Articolo
17 (Modifiche alla legge fallimentare e
al decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270)
§
Articolo
19 (Grandi progetti di ricerca e
innovazione e appalti precommerciali)
§
Articolo
20 (Comunità intelligenti)
§
Articolo
20-ter (Interventi urgenti connessi all’attività di protezione civile)
§
Articolo
21 (Misure per l'individuazione ed il
contrasto delle frodi assicurative)
§
Articolo
23, commi 1-12 (Misure per le società
cooperative e di mutuo soccorso)
§
Articolo
23, comma 10-bis (Fondo comune Ente nazionale microcredito)
§
Articolo
23-bis (Termine per la surrogazione nei contratti di finanziamento)
§
Articolo
23-ter (Fondi di solidarietà
bilaterali alternativi)
§
Articolo
23-quater (Banche popolari)
§
Articolo
24, commi 1 e 2 (Vendite allo scoperto di
strumenti finanziari)
§
Articolo
24-bis (Bancoposta)
§
Articolo
24-ter (Modifiche TUB: obbligazioni degli esponenti bancari)
§
Articolo
25 (Start-up innovativa e incubatore certificato:
finalità, definizione e pubblicità)
§
Articolo
26 (Deroga al diritto societario e
riduzione degli oneri per l’avvio)
§
Articolo
29 (Incentivi all’investimento in
start-up innovative)
§
Articolo
31 (Composizione e gestione della crisi
nell’impresa start-up innovativa)
§
Articolo
32 (Pubblicità e valutazione dell'impatto
delle misure)
§
Articolo
33, comma 4 (Disposizioni concernenti l’autostrada Livorno
Civitavecchia)
§
Articolo
33, commi 5-7 (Disposizioni sul contrasto
alla pirateria)
§
Articolo
33, comma 6-bis (Procedura per la realizzazione di nuovi istituti penitenziari)
§
Articolo
33, comma 7-bis (Sistema digitale Forze di Polizia)
§
Articolo
33-ter (Anagrafe unica delle stazioni appaltanti)
§
Articolo
33-quater (Disposizioni in materia di svincolo delle garanzie di buona
esecuzione)
§
Articolo
33-quinquies (Disposizioni in
materia di revisione triennale dell'attestato SOA)
§
Articolo
33-sexies (Risorse per la proroga della convenzione con Radio radicale)
§
Articolo
33-septies (Infrastrutture digitali)
§
Articolo
33-octies (Conferenza dei servizi)
§
Articolo
34, comma 1 (Concessione integrata per la
gestione della miniera del Sulcis)
§
Articolo
34, comma 3, lettera a) (Esclusione dalla riduzione dei canoni per
locazioni passive)
§
Articolo
34, comma 3, lettera b) (Trasferimento di parte dell’Arsenale al
Comune di Venezia )
§
Articolo
34, comma 4 (Procedure per la valutazione
di impatto ambientale delle grandi opere)
§
Articolo
34, comma 5 (Completamento degli
interventi per la discarica abusiva di Bussi)
§
Articolo
34, comma 6 (Expo 2015)
§
Articolo
34, commi 7-10 (Piloti dell’Ente
nazionale dell’aviazione civile)
§
Articolo
34, commi 11-12 (Disposizioni riguardanti
ANAS)
§
Articolo
34, comma 13 (Patenti di guida)
§
Articolo
34, comma 15 (Valutazione degli
investimenti relativi ad opere pubbliche)
§
Articolo
34, commi 16-19 (Misure urgenti in
materia di energia)
§
Articolo
34, commi 20-25 (Servizi pubblici locali)
§
Articolo
34, comma 26 (Illuminazione votiva)
§
Articolo
34, comma 27 (Servizi strumentali delle
pubbliche amministrazioni)
§
Articolo
34, comma 28 (Impianti geotermici)
§
Articolo
34, comma 29 (Tariffa del servizio
idrico)
§
Articolo
34, commi 31-33 (Interventi per Pescara)
§
Articolo
34, comma 35 (Spese per la pubblicazione
dei bandi)
§
Articolo
34, commi 36 e 37 (Riduzione di
somme da recuperare al bilancio dello Stato)
§
Articolo
34, comma 38 (Definizione di società
quotate partecipate da P.A.)
§
Articolo
34, comma 39 (Modifiche D.L. liberalizzazioni)
§
Articolo
34, comma 40 (installazione sistemi ABS)
§
Articolo
34, comma 41 (Sconti sulla merce venduta
dagli edicolanti)
§
Articolo
34, comma 42 (Esonero dall’obbligo di
tenere i registri di carico e scarico)
§
Articolo
34, comma 43 (Bolla di accompagnamento
merci viaggianti)
§
Articolo
34, comma 44 (Depositi IVA)
§
Articolo
34, commi 45 e 46 (Regolamento di
contabilità Guardia costiera)
§
Articolo
34, comma 47 (Iniziative di promozione
turistica dell’Italia)
§
Articolo
34, comma 48 (Revisione obbligatoria delle
macchine agricole)
§
Articolo
34, comma 49 (Manutenzione degli istituti
penitenziari)
§
Articolo
34, commi 50 e 51 (Disposizioni sui
concorsi notarili)
§
Articolo
34, comma 52 (Caratteristiche tecniche
degli impianti termici civili)
§
Articolo
34, comma 53 (Scarichi degli impianti
termici degli edifici)
§
Articolo
34, comma 55 (Soggetti tenuti alla
trasmissione telematica dei corrispettivi giornalieri)
§
Articolo
34, comma 56 (Permuta per la
realizzazione di edifici giudiziari)
§
Articolo
34, comma 57 (Assunzioni CONSOB)
§
Articolo
34-ter (Documentazione di spesa per
interventi realizzati con finanziamenti pubblici )
§
Articolo
34-quater (Imprese turistico-balneari)
§
Articolo
34-quinquies (Piano strategico di sviluppo del turismo)
§
Articolo
34-sexies (Privilegi in materia di accise)
§
Articolo
34-septies (Modifiche al regime del registro delle imprese di pesca)
§
Articolo
34-novies (Definizione dei contributi per programmi di edilizia residenziale)
§
Articolo
34-undecies (Disposizioni in materia di trasporto pubblico locale)
§
Articolo
34-duodecies (Concessioni demaniali marittime)
§
Articolo
35 (Desk Italia – Sportello Unico Attrazione
Investimenti Esteri)
§
Articolo
36, commi 1 e 2 (Misure in materia di confidi)
§
Articolo
36, commi 2-bis e 2-ter (Fondi
mutualistici in agricoltura)
§
Articolo
36, comma 3 (Modifiche alla disciplina degli strumenti di
finanziamento per le imprese)
§
Articolo
36, commi 4 e 5 (Contratti di rete)
§
Articolo
36, comma 4-bis (Soggettività giuridica della rete di imprese)
§
Articolo
36, commi 5-bis e 5-ter (Contratto
di rete e contenuto degli atti notarili)
§
Articolo
36, comma 6 (Valorizzazione e commercializzazione
all'estero dei prodotti italiani)
§
Articolo
36, comma 7 e 7-bis (Impianti sottoposti alla Valutazione di
Impatto Ambientale)
§
Articolo
36, comma 7-ter e 7-quater (Zone vulnerabili da nitrati di origine
agricola)
§
Articolo
36, comma 7-quinquies (Bacini imbriferi montani)
§
Articolo
36, comma 8 (Società agricola
professionale)
§
Articolo
36, comma 8-bis (IVA prodotti agricoli)
§
Articolo
36, commi 9 e 10 (Fondo per la crescita sostenibile)
§
Articolo
36, comma 10-bis (Spese di funzionamento dell’ISPRA)
§
Articolo
36, comma 10-ter (Credito agrario)
§
Articolo
36, comma 10-quater (Agenzia in attività finanziaria)
§
Articolo
36, comma 10-quinquies (Programma SFOP)
§
Articolo
36. comma 10-sexies e 10-septies (Fondo di garanzia a favore delle piccole e
medie imprese)
§
Articolo
36-bis (Disciplina delle relazioni commerciali in agricoltura)
§
Articolo
37-bis (Zone a burocrazia zero)
§
Articolo
38, comma 1 (Disciplina fiscale e contributiva dei vettori
esteri)
§
Articolo
38, comma 2 (Modifiche alla disciplina
dell'IVA)
§
Articolo
38, commi 3-5 (Copertura finanziaria)
Articolo 1 del ddl di conversione
Il comma 1 dell’articolo 1 reca la consueta formula che dispone la conversione in legge del decreto-legge in esame.
Il comma 1-bis, introdotto nel corso dell’esame al Senato, dispone in merito alla validità degli atti e dei provvedimenti adottati e fa salvi gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base delle norme del D.L. 2 novembre 2012, n. 187, recante “Misure urgenti per la ridefinizione dei rapporti contrattuali con la società Stretto di Messina s.p.a. ed in materia di trasporto pubblico locale” (che non sarà convertito in legge) ora divenute gli articolo 34-decies, commi 1-10, e 34-undecies, comma 1, del provvedimento in esame (cfr. relativa scheda di lettura).
Il comma 2 fissa la data di entrata in vigore della legge di conversione al giorno successivo a quello successivo a quello della sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.
Articolo 1, comma 1
(Attuazione dell’Agenda digitale italiana)
Il comma 1 dell’articolo 1 prevede la presentazione alle competenti commissioni parlamentari, per il 2013 entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto, e per gli anni successivi entro il 30 giugno di ciascun anno, di una relazione sullo stato di attuazione dell’Agenda digitale italiana come definita dall’articolo 47 del decreto-legge n. 5/2012 (c.d. “D.L. semplificazioni”)[1]. Ai fini della predisposizione della relazione, il governo si potrà avvalere dell’Agenzia per l’Italia digitale istituita dall’articolo 19 del decreto-legge n. 83/2012 (c.d. “decreto sviluppo”)[2]
Con un emendamento inserito al Senato è stato precisato che l’attuazione dell’Agenda digitale dovrà avvenire nel quadro delle indicazioni sancite a livello europeo, con particolare riferimento agli effetti prodotti e ai risultati conseguiti. Si è inoltre previsto che la relazione contenga anche una dettagliata illustrazione di ogni finanziamento, con distinta indicazione degli interventi per i quali le risorse sono state utilizzate.
La previsione della relazione è preceduta, al primo periodo, da un’indicazione dei principi che devono ispirare lo Stato nel settore della digitalizzazione: in particolare si prevede che lo Stato promuova lo sviluppo dell’economia e della cultura digitali, definisca le politiche di incentivo e favorisca l’alfabetizzazione informatica e la ricerca e l’innovazione tecnologica quali fattori essenziali di progresso ed opportunità di arricchimento economico, culturale e civile. Con un emendamento approvato al Senato si è precisato che il sostegno all’alfabetizzazione informatica avvenga attraverso azioni concrete e si è inserito il riferimento alla promozione da parte dello Stato anche dello sviluppo delle competenze digitali con particolare riguardo alle categorie a rischio di esclusione sociale. Si è inoltre precisato che lo Stato dovrà svolgere questi compiti nel rispetto del principio di leale collaborazione con le autonomie regionali.
Nell’ambito dell’attuazione dell’Agenda digitale europea, con l’articolo 47 del D.L. n. 5/2012, l’Italia ha istituito la Cabina di regia per l’Agenda digitale italiana, entrata in funzione il 1° marzo 2012, presso il Ministero dello sviluppo economico, con il compito di accelerare il percorso di attuazione dell'Agenda digitale italiana, coordinando gli interventi dei diversi soggetti pubblici diretti a favorire lo sviluppo di domanda e offerta di servizi digitali innovativi, potenziare l'offerta di connettività a larga banda, incentivare cittadini e imprese all'utilizzo di servizi digitali e promuovere la crescita di capacità industriali adeguate a sostenere lo sviluppo di prodotti e servizi innovativi. La Cabina di Regia è articolata in sei gruppi di lavoro che curano i principali target dell’Agenda digitale: infrastrutture e sicurezza; e-Commerce; alfabetizzazione digitale e competenze digitali; e-Government; ricerca e innovazione e smart cities e communities. Il comma 9 dell’articolo 12 del presente decreto ne prevede l’integrazione delle competenze anche con riferimento al settore sanitario (cfr. infra la relativa scheda di lettura).
Inoltre, il Documento di economia e finanza 2012 (doc. LVII, n. 5) individua l’agenda digitale come una delle quattro priorità a cui andranno destinati i fondi strutturali recentemente riprogrammati, unitamente allo sblocco della quota di cofinanziamento nazionale del Fondo sviluppo e coesione. Le azioni previste prevedono il completamento del piano nazionale banda larga nel Mezzogiorno; la diffusione della banda larga ultraveloce; la realizzazione di data center per la creazione di un sistema di cloud computing[3] propriamente rivolto a scuole, biblioteche digitali, educazione televisiva.
Da ultimo, la IX Commissione Trasporti e telecomunicazioni ha approvato nella seduta del 26 luglio 2012, un testo unificato delle due proposte di legge C. 4891 e C. 5093, concernenti misure per l’attuazione dell’Agenda digitale nazionale, inviato al parere delle Commissioni competenti in sede consultiva. Tra le misure prospettate dal testo unificato si segnalano:
§ un contributo in favore delle famiglie ai fini della connessione alla rete Internet;
§ misure di deduzione fiscale per le startup innovative;
§ riduzione degli oneri previdenziali per le startup innovative;
§ detassazione dei ricavi del commercio elettronico delle micro e piccole imprese;
§ l'appiclazione dell'aliquota IVA agevolata del 4% per i prodotti editoriali digitali via Internet;
§ un credito d'imposta e la detrazione degli utili reinvestiti per le aziende videoludiche italiane;
§ l'adozione del software libero da parte delle pubbliche amministrazioni.
Con riferimento al contenuto della
disposizione in commento si segnala che l’articolo 2 del testo unificato prevede
una legge biennale per l’incentivo e lo sviluppo dei servizi digitali (il relativo
disegno di legge deve essere presentato ogni due anni entro il 30 aprile) nonché
una relazione annuale sulla conformità dell’ordinamento italiano rispetto alle principi
dell’Unione europea, nonché sull’attuazione degli interventi previsti dalla legge
biennale e sulle segnalazioni in materia dell’Autorità per le garanzie delle comunicazioni
da presentare al Parlamento entro il 31 ottobre di ciascun anno
Il 19 maggio 2010 la Commissione europea ha adottato la comunicazione “Un’agenda digitale europea” (COM(2010)245). L’Agenda rappresenta una delle sette “iniziative faro” della Strategia per la crescita “Europa 2020”, mira a stabilire il ruolo chiave delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione (TIC) per raggiungere gli obiettivi che l'UE si è prefissata per il 2020. In particolare, si individuano le azioni fondamentali per affrontare in modo sistematico sette aree problematiche nelle TIC: la frammentazione dei mercati digitali, la mancanza di interoperabilità, l’aumento della criminalità informatica, la mancanza di investimenti nelle reti, l’impegno insufficiente nella ricerca e nell’innovazione, la mancanza di alfabetizzazione informatica e le opportunità mancate nella risposta ai problemi della società.
Nell’ambito dell’Agenda digitale europea, il 20 settembre 2010 la Commissione europea ha presentato un "pacchetto" di misure finalizzate al raggiungimento dell’obiettivo di fornire ai cittadini europei l’accesso alla banda larga (base per il 2013 e veloce per il 2020), composto da:
§ la decisione 243/2012/UE sulla creazione di un programma per la politica dello spettro radio (COM(2010)471), che espone orientamenti per la pianificazione strategica e l'armonizzazione dell'uso dello spettro radio per realizzare il mercato interno; in particolare, si prevede la liberazione della banda di frequenza 800 MHz per i servizi internet a banda larga senza fili in tutti gli Stati membri entro il 1° gennaio 2013;
§ una comunicazione per promuovere gli investimenti nella rete di banda larga (COM(2010)472), che indica i seguenti obiettivi: 1) banda larga di base per tutti entro il 2013: copertura con banda larga di base per il 100% dei cittadini dell'UE. (Valore di riferimento: nel dicembre 2008 la copertura totale DSL (espressa sotto forma di percentuale della popolazione dell'UE) era pari al 93%). 2) Banda larga veloce entro il 2020: copertura con banda larga pari o superiore a 30 Mbps per il 100% dei cittadini UE. (Valore di riferimento: nel gennaio 2010 il 23% degli abbonamenti a servizi di banda larga prevedeva una velocità di almeno 10 Mbps): 3) Banda larga ultraveloce entro il 2020: il 50% degli utenti domestici europei dovrebbe avere abbonamenti per servizi con velocità superiore a 100 Mbps. (Nessun valore di riferimento);
§ una raccomandazione sull’accesso regolato alla rete Next Generation Access (NGA) (C(2010)6223, pubblicato in G.U.U.E. L, n. 251 del 25.9.2010), che mira a favorire lo sviluppo del mercato unico rafforzando la certezza del diritto e promuovendo gli investimenti, la concorrenza e l'innovazione sul mercato dei servizi a banda larga.
Inoltre, nell’ambito del pacchetto di misure “Meccanismo per collegare l'Europa” (Connecting Europe Facility), presentato ad ottobre 2011, attualmente in fase di negoziato all'interno del quadro finanziario pluriennale 2014-2020, la Commissione europea ha previsto l'importo originario di 9,2 miliardi di euro per sostenere gli investimenti in reti a banda larga veloci e ultraveloci e in servizi digitali paneuropei.. Il finanziamento del meccanismo potrà attrarre altri finanziamenti privati e pubblici, dando credibilità ai progetti infrastrutturali e riducendone i profili di rischio. Basandosi su stime relativamente prudenti, la Commissione ritiene che il finanziamento per le infrastrutture di rete promuoverà investimenti pari a oltre 50 miliardi di euro. Per quanto riguarda i servizi digitali, il meccanismo prevede sovvenzioni per costruire le infrastrutture necessarie, tra le altre cose, per l'identificazione elettronica, gli appalti pubblici elettronici, le cartelle cliniche elettroniche, e i servizi doganali. I fondi serviranno a garantire l'interoperabilità e a finanziare i costi di gestione e di interconnessione delle infrastrutture a livello europeo.
Infine, nel mese di giugno 2012 la Commissione europea ha lanciato una consultazione pubblica sull'applicazione delle norme comunitarie in materia di aiuti di Stato al finanziamento pubblico delle reti a banda larga. La questione principale è quella di adattare le linee guida attualmente in vigore agli obiettivi dell'Agenda digitale UE per costruire un quadro normativo dinamico in questo settore strategico che incentivi gli investimenti, razionalizzi le regole e favorisca decisioni più rapide. In base alle osservazioni pervenute, la Commissione adotterà linee guida sulla banda larga nel mese di dicembre 2012.
Per ulteriori dettagli si rinvia alla sezione curata dall’Ufficio rapporti con l’Unione europea
Gli articoli da 19 a 22 del decreto-legge n. 83/2012 hanno istituito e disciplinato le funzioni dell’Agenzia per l’Italia digitale: l’Agenzia assorbe le funzioni dei preesistenti organismi DigitPA e Agenzia per la diffusione delle tecnologie per l'innovazione ed ha il compito di promuovere la realizzazione in Italia dell'Agenda digitale europea, con particolare riferimento allo sviluppo delle reti di nuova generazione e dell'interoperabilità tra i sistemi informatici delle pubbliche amministrazioni e tra questi e quelli dell'Unione europea.
In particolare, l’articolo 19 istituisce l'Agenzia per l'Italia digitale,
che, ai sensi del comma 1, è sottoposta alla vigilanza del Presidente del Consiglio
o di un Ministro da lui delegato, nonché dei ministri dell’economia e finanze; della pubblica amministrazione
e semplificazione; dello sviluppo economico; dell’istruzione, università e ricerca.
Il comma 2 descrive i principi di organizzazione dell’Agenzia, individuandoli nei
principi dell'autonomia organizzativa, tecnico-operativa e gestionale; della trasparenza;
dell'economicità, nonché negli altri principi conformanti l’attività delle Agenzie
governative di cui agli articoli 8 e 9 del D.Lgs n. 300/1999[4].
L'articolo 20 delinea le funzioni dell'Agenzia per l'Italia digitale: questa cura la realizzazione degli obiettivi dell'Agenda digitale Italiana ed assorbe le funzioni all’Agenzia le funzioni precedentemente espletate da DigitPA e dall’Agenzia per la diffusione delle tecnologie per l’innovazione (enti che vengono soppressi dall'articolo 22, comma 1 del decreto-legge), nonché quelle facenti capo al Dipartimento per la digitalizzazione della pubblica amministrazione e l’innovazione tecnologica della Presidenza del Consiglio dei Ministri; svolge inoltre il coordinamento informativo dell'amministrazione statale, regionale e locale, in attuazione dell'articolo 117, secondo comma, lettera r), della Costituzione.
L’articolo 21 individua i seguenti organi dell’agenzia: 1) il direttore generale; 2) il comitato di indirizzo;
3) il collegio dei revisori dei conti.
Il direttore generale, legale rappresentante dell'Agenzia, la dirige e ne è responsabile, è scelto tra persone di particolare e comprovata qualificazione professionale in materia di innovazione tecnologica e in possesso di una documentata esperienza di elevato livello nella gestione di processi di innovazione. Esso è nominato dal Presidente del Consiglio dei Ministri, o dal Ministro delegato, di concerto con il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, con il Ministro dello sviluppo economico, con il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca e con il Ministro dell'economia e finanze nomina, previo avviso pubblico. Il direttore dura in carica 3 anni e non è prevista (né esclusa la possibilità) di conferma
Il comitato di indirizzo è composto da 1) un rappresentante della Presidenza del Consiglio
dei Ministri; 2) un rappresentante di ciascuno dei Ministeri vigilanti (sviluppo
economico, istruzione, università e ricerca, pubblica amministrazione e semplificazione,
economia e finanze); 3) due rappresentanti
designati dalla Conferenza Unificata.
I rappresentanti partecipano al Comitato senza emolumento né indennità né rimborso spese. Anche i componenti del comitato (non solo il direttore generale, dunque) debbono essere persone di particolare e comprovata qualificazione professionale in materia di innovazione tecnologica e in possesso di una documentata esperienza di elevato livello nella gestione di processi di innovazione.
Entro 45 giorni dalla nomina del direttore generale, è adottato lo statuto dell’Agenzia, approvato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, o del Ministro delegato, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca e del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze. Inoltre, lo statuto deve conformarsi ai principi e criteri direttivi previsti in generale per le agenzie istituite ai sensi del D.lgs. 300/1999, in quanto compatibili con il decreto in commento.
L’articolo 22 dispone la soppressione di DigitPA e dell'Agenzia per la diffusione delle tecnologie per l'innovazione. Insieme reca alcune disposizioni relative al personale nonché volte a disciplinare la transizione.
Nella riunione del 30 ottobre 2012, come risulta dal relativo comunicato stampa, il Consiglio dei Ministri ha preso atto della nomina di Agostino Ragosa, ingegnere delle telecomunicazioni, responsabile dell'innovazione e dello sviluppo ICT del gruppo Poste italiane Spa, a direttore dell'Agenzia per l'Italia digitale. La nomina ha rappresentato l’esito della procedura, gestita dai ministri dello sviluppo economico, della pubblica amministrazione e dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di selezione delle oltre duecento candidature giunte a seguito dell'Avviso per la selezione del direttore generale dell'Agenzia per l'Italia digitale pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 217 del 17 settembre 2012.
Documenti all’esame delle Istituzioni dell’UE
(a cura dell’Ufficio rapporti
con l’Unione Europea)
L’Agenda digitale europea (AGE) è una delle sette iniziative faro della strategia Europa 2020 (Una strategia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva (COM(2010)2020), lanciata a marzo 2010 dalla Commissione europea, con l’intento di uscire dalla crisi e di preparare l’economia dell’UE delle sfide del prossimo decennio. La strategia mira a stabilire il ruolo chiave delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC) per raggiungere gli obiettivi che l’Europa si è prefissata per il 2020 e prevede sette grandi linee d'azione:
§ realizzare il mercato unico del digitale favorendo l'accesso a servizi e contenuti online, semplificando i meccanismi esistenti di liberatoria del diritto d’autore, rilascio transfrontaliero di licenze e gestione dei diritti l’accesso a contenuti legali;
§ migliorare l'interoperabilità delle TIC attraverso la promozione di standard tecnici; rafforzare la sicurezza e la privacy dei cittadini europei nell'utilizzazione delle TIC, considerato che l’88% dei consumatori online in Europa non si sente sicuro e non fa ricorso a tecnologie delle quali non si fida;
§ assicurare la diffusione capillare e l'accesso dei cittadini a Internet ad altissima velocità offrendo entro il 2020 l’accesso a internet a velocità pari o superiori a 30Mbps per tutti i cittadini europei, e lavorare affinché entro la stessa data almeno il 50% delle famiglie si abboni a internet con connessioni al di sopra di 100 Mbps;
§ aumentare gli stanziamenti su ricerca e innovazione nel settore delle tecnologie dell’informazione e telecomunicazioni (TIC);
§ promuovere la conoscenza delle TIC per favorirne l'uso da parte di tutti i cittadini migliorando l’alfabetizzazione e l’inclusione nel mondo digitale (oltre la metà dei cittadini europei, 250 milioni, si collega a internet ogni giorno, ma un altro 30%, 150 milioni, non lo ha mai fatto; l’obiettivo del 2015 è di dimezzare questo dato);
§ accelerare l'adozione di soluzioni intelligenti basate sulle TIC per affrontare le grandi sfide del futuro come la riduzione dei consumi energetici, il miglioramento delle condizioni di vita dei pazienti e dei disabili (e-health), i servizi digitali pubblici (e-government)
Pacchetto
banda larga
Nel quadro dell’agenda digitale, la Commissione europea ha presentato a settembre 2010 un pacchetto di misure al fine di fornire ai cittadini europei l’accesso alla banda larga (base per il 2013 e veloce per il 2020).
Il pacchetto è composto da una comunicazione per promuovere gli investimenti nella rete di banda larga (COM(2010)472), una raccomandazione sull’accesso regolato alla rete Next Generation Access (NGA) (C(2010)6223, pubblicato in G.U.U.E. L, n. 251 del 25.9.2010) e una proposta di decisione sulla creazione di un programma per la politica dello spettro radio (COM(2010)471).
La comunicazione “La banda larga
in Europa: investire nella crescita indotta dalla tecnologia digitale” (COM(2010)472)
indica per il 2020 l’obiettivo di assicurare l’accesso a internet per tutti i cittadini
ad una velocità di connessione superiore a 30 megabit per secondo, e per almeno
il 50% delle famiglie la disponibilità di un accesso a internet con una velocità
superiore a 100 Megabit per secondo.
Secondo la Commissione il ruolo che la rete svolgerà nella ripresa economica, costituendo sostegno all'innovazione in tutti i settori economici, è paragonabile al ruolo cruciale svolto a suo tempo dall’energia elettrica e dai trasporti.
La diffusione di reti veloci e superveloci, aperte e competitive, stimolerà un circolo virtuoso nello sviluppo dell'economia digitale, perché permetterà il decollo di nuovi servizi che richiedono grandi capacità di banda, alimentando la domanda crescente dei cittadini, che a sua volta favorirà lo sviluppo della banda larga.
La comunicazione indica alcuni obiettivi di prestazione fondamentali nel settore della banda larga, tratti essenzialmente dal Benchmarking framework 2011-2015 (quadro di valutazione comparativa 2011-2015) approvato dagli Stati membri dell'UE nel novembre 2009:
Banda larga di base per tutti entro il 2013: copertura con banda larga di base per il 100% dei cittadini dell'UE. (Valore di riferimento: nel dicembre 2008 la copertura totale DSL (espressa sotto forma di percentuale della popolazione dell'UE) era pari al 93%).
Banda larga veloce entro il 2020: copertura con banda larga pari o superiore a 30 Mbps per il 100% dei cittadini UE. (Valore di riferimento: nel gennaio 2010 il 23% degli abbonamenti a servizi di banda larga prevedeva una velocità di almeno 10 Mbps).
Banda larga ultraveloce entro il 2020: il 50% degli utenti domestici europei dovrebbe avere abbonamenti per servizi con velocità superiore a 100 Mbps. (Nessun valore di riferimento).
Obblighi
degli Stati membri
Gli Stati membri sono chiamati a: elaborare e rendere operativi, entro il 2012, piani nazionali per la banda larga per raggiungere gli obiettivi in materia di copertura, velocità e adozione definiti nella strategia Europa 2020, utilizzando finanziamenti pubblici conformi alle norme UE in materia di aiuti di stato e di concorrenza; adottare misure per facilitare gli investimenti nella banda larga, ad esempio assicurando che le opere di edilizia coinvolgano sistematicamente i potenziali investitori, eliminando i diritti di passaggio, procedendo alla mappatura delle infrastrutture passive disponibili che si prestano al cablaggio e aggiornando il cablaggio degli edifici; utilizzare i fondi strutturali e per lo sviluppo rurale già accantonati per investimenti in infrastrutture e servizi TIC; mettere in atto il programma sulla politica europea in materia di spettro radio, al fine di assegnare le frequenze dello spettro in modo coordinato per raggiungere il 100% di copertura di internet a 30 Mbps entro il 2020, e adottare la raccomandazione sulle reti NGA.
La proposta di decisione che stabilisce il primo programma relativo alla politica in materia di spettro radio (COM(2010)471) espone orientamenti per la pianificazione strategica e l'armonizzazione dell'uso dello spettro radio per realizzare il mercato interno; mira a garantire l'uso e la gestione efficiente dello spettro radio, la promozione della neutralità della tecnologia e del servizio, l'applicazione di un sistema di autorizzazione più snello.
Fra gli obiettivi da perseguire da parte degli Stati membri e della Commissione: favorire il più possibile la disponibilità, la flessibilità, l’efficienza dello spettro radio; evitare distorsioni della concorrenza, nonché interferenze e disturbi nocivi; armonizzare le condizioni tecniche e garantire la tutela della salute; migliorare la visibilità dell'UE nelle trattative internazionali e offrire un ausilio agli Stati membri nelle trattative con i paesi terzi.
Entro il 2015 la Commissione dovrà trasmettere una relazione al Parlamento europeo e al Consiglio e gli Stati membri dovranno attuare la decisione.
Del pacchetto sulla banda larga fa parte anche la raccomandazione relativa all'accesso regolamentato alle reti di accesso di nuova generazione (NGA) (C(2010)6223) ha lo scopo di favorire lo sviluppo del mercato unico rafforzando la certezza del diritto e promuovendo gli investimenti, la concorrenza e l'innovazione sul mercato dei servizi a banda larga, in particolare nella transizione alle reti di accesso di nuova generazione (NGA).
Le reti di accesso di nuova generazione (NGA) sono reti di accesso cablate costituite in tutto o in parte da elementi ottici e in grado di fornire servizi d'accesso a banda larga con caratteristiche più avanzate (quale una maggiore capacità di trasmissione) rispetto a quelli forniti tramite le reti in rame esistenti.
Il documento indica una serie di misure relative all’accesso all'ingrosso alle infrastrutture fisiche di rete, all’accesso a larga banda all’ingrosso, alla migrazione, ai criteri per la fissazione dei prezzi per l’accesso alle reti NGA, alle infrastrutture di ingegneria civile, al nodo metropolitano, alla rete in rame, ai criteri per la determinazione del premio di rischio.
Identificazione
elettronica
Il 4 giugno 2012 la Commissione europea ha presentato una proposta di regolamento in materia di identificazione elettronica e servizi fiduciari per le transazioni nel mercato interno (COM(2012)238). La proposta, che abroga la direttiva 1999/93/CE relativa ad un quadro comunitario per le firme elettroniche, è volta a:
§ stabilire le norme per l’identificazione elettronica e i servizi fiduciari elettronici per le transazioni elettroniche, allo scopo di garantire il buon funzionamento del mercato interno;
§ fissare le condizioni a cui gli Stati membri riconoscono e accettano i mezzi di identificazione elettronica delle persone fisiche e giuridiche che rientrano in un regime notificato di identificazione elettronica di un altro Stato membro;
§ istituire un quadro giuridico per le firme elettroniche, i sigilli elettronici, la validazione temporale elettronica, i documenti elettronici, i servizi elettronici di recapito e l’autenticazione dei siti web.
§ garantire che i servizi e prodotti fiduciari ad esso conformi sono autorizzati a circolare liberamente nel mercato interno.
La normativa proposta si applicherà all’identificazione elettronica fornita dagli Stati membri o a loro nome o sotto la loro responsabilità, nonché ai prestatori di servizi fiduciari stabiliti nell’Unione. Il regolamento non si applicherà alla prestazione di servizi fiduciari elettronici sulla base di accordi volontari di diritto privato, né agli aspetti legati alla conclusione e alla validità di contratti o di altri vincoli giuridici per i quali la normativa nazionale o UE prevedano obblighi formali.
E-government
Nell’ambito dell’agenda digitale,
la Commissione ha presentato il 15 dicembre 2010 il “piano d'azione europeo per
l'e-Government 2011-2015 - Valorizzare
le TIC per promuovere un'amministrazione digitale intelligente, sostenibile e innovativa”
(COM(2010)743) con i seguenti obiettivi da conseguire entro il 2015: rendere disponibile
online un certo numero di servizi pubblici
transfrontalieri fondamentali che consentiranno, indipendentemente dal luogo di
origine, agli imprenditori di stabilirsi e gestire un'impresa e ai cittadini di
studiare, lavorare ovunque in Europa; consentire al 50% dei cittadini europei e
all'80% delle imprese di avvalersi dei servizi di e-Government.
Le conclusioni del Consiglio del 27 maggio 2011 riconoscono in particolare l'esigenza di servizi di amministrazione digitale aperti, flessibili e collaborativi concepiti e realizzati per apportare benefici e rispondere alle esigenze dei cittadini e delle imprese. Si invitano gli Stati membri ad adottare misure per aumentare l'uso dei servizi di e-Government, al 50% da parte dei cittadini dell'UE e all'80% da parte delle imprese entro il 2015. Inoltre si invitano gli Stati membri: a rafforzare la sicurezza, la riservatezza e la fiducia in questi servizi applicando soluzioni di identificazione elettronica reciprocamente riconosciute; ad assicurare la formazione professionale per i funzionari pubblici nazionali per migliorare le loro competenze elettroniche e migliorare i servizi pubblici riducendo gli oneri amministrativi.
Il mercato
unico digitale
Nell’atto per il mercato unico II (COM(2012)57) del 3 ottobre 2012 si afferma che tutti i cittadini e tutte le imprese devono poter partecipare all’economia digitale e allo stesso tempo essere protetti contro il commercio illecito. Prossimi passi importanti saranno i progressi da compiere nel risolvere il problema della frammentazione lungo i confini nazionali dell’offerta dei servizi online, nell’affrontare la sfida degli investimenti nella rete ad alta velocità e nel consentire all’amministrazione pubblica non cartacea di esplicare tutti i suoi benefici.
Il documento indica le azioni chiave concernenti l’economia digitale:
§ sostenere i servizi online accrescendo l’efficienza dei servizi di pagamento nell’UE;
§ ridurre i costi e accrescere l’efficienza nella realizzazione delle infrastrutture di comunicazione ad alta velocità;
§ fare in modo che la fatturazione elettronica diventi la norma negli appalti pubblici.
Il Consiglio europeo del 18-19 ottobre 2012 nelle sue conclusioni ha ricordato che il conseguimento di un mercato unico digitale porterebbe a una crescita del PIL del 4% entro il 2020. Per raggiungere questo obiettivo è altresì importante che la prossima revisione intermedia dell'Agenda digitale identifichi quelle aree in cui è necessario intensificare gli sforzi.
La Commissione europea il 16 ottobre ha avviato una consultazione pubblica, che si concluderà l’8 gennaio 2013, in vista dell'aggiornamento dell'elenco dei mercati delle telecomunicazioni al dettaglio e all'ingrosso che rientrano nella cosiddetta “procedura dell’articolo 7” della direttiva quadro sulle comunicazioni elettroniche 2002/21/CE. Tale articolo prevede un meccanismo di consultazione e di notifica in base al quale i regolatori nazionali delle telecomunicazioni devono informare la Commissione sulle misure che intendono introdurre nel mercato delle telecomunicazioni. La revisione terrà conto dei principali mercati e sviluppi tecnologici, come le applicazioni e i servizi basati sul web, la convergenza tra diversi tipi di reti e servizi nonché gli sviluppi di reti e servizi Internet ad alta velocità. Sulla base dei risultati la Commissione rivedrà l'attuale raccomandazione sui mercati rilevanti, il cui ultimo aggiornamento risale al 2007.
Il Meccanismo
per collegare l’Europa
Nell’ambito del pacchetto di misure “Meccanismo per collegare l'Europa” (Connecting Europe Facility) presentato ad ottobre 2011 e attualmente in fase di negoziato, all’interno del Quadro Finanziario Pluriennale 2014-2020, la Commissione europea ha previsto originariamente 9,2 miliardi di euro per sostenere gli investimenti in reti a banda larga veloci e ultraveloci e in servizi digitali paneuropei.
Il finanziamento del meccanismo potrà attrarre altri finanziamenti privati e pubblici, dando credibilità ai progetti infrastrutturali e riducendone i profili di rischio.
Basandosi su stime relativamente prudenti, la Commissione ritiene che il finanziamento per le infrastrutture di rete promuoverà investimenti pari a oltre 50 miliardi di euro.
Per quanto riguarda i servizi digitali, il meccanismo prevede sovvenzioni per costruire le infrastrutture necessarie per l'identificazione elettronica, gli appalti pubblici elettronici, le cartelle cliniche elettroniche, Europeana, e-Justice e servizi doganali.
I fondi serviranno a garantire l'interoperabilità e a finanziare i costi di gestione e di interconnessione delle infrastrutture a livello europeo.
Articolo 1, comma
2
(Documento digitale unificato)
L'articolo 1, comma 2, modificato al Senato, novella alcune disposizioni concernenti
il processo di unificazione della carta di identità elettronica e della tessera sanitaria
su medesimo supporto informatico.
Le principali novità
introdotte attengono all’oggetto del D.P.C.M. di attuazione del già previsto processo
di unificazione, disponendosi tra l’altro
l’ampliamento delle possibili utilizzazioni della carta d’identità elettronica in
relazione all’unificazione con la tessera sanitaria.
Un finanziamento aggiuntivo di 60 milioni per il 2013 e di 82 milioni a decorrere dal 2014, è disposto per la realizzazione e il rilascio gratuito del suddetto documento unificato.
La tecnica normativa
utilizzata è quella dell’introduzione di novelle ad alcune delle disposizioni previste dal decreto-legge n. 70/2001[5] già modificato dal decreto-legge n. 1/2012[6].
D.L. 13 maggio
2011, n. 70 |
|
Articolo 10 |
|
Testo
vigente prima dell’emanazione |
Testo risultante dalle modifiche apportate dal D.L. 179/2012 |
|
|
(omissis) |
(omissis) |
2. Con decreto
del Ministro dell'interno, di concerto con i Ministri dell'economia e delle finanze
e della salute per gli aspetti relativi alla tessera sanitaria, unificata alla
carta d'identità elettronica ai sensi del comma 3 del presente articolo, da adottare
entro tre mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sono determinate
le modalità tecniche di attuazione della disposizione di cui al comma 2-bis, dell'articolo 7-vicies ter, del decreto-legge 31 gennaio
2005, n. 7, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 marzo 2005, n. 43, aggiunto
dal comma 1 del presente articolo, e definito un piano per il graduale rilascio,
a partire dai comuni identificati con il medesimo decreto, della carta d'identità
elettronica sul territorio nazionale. Nelle more della definizione delle modalità
di convergenza della tessera sanitaria nella carta d'identità elettronica, il
Ministero dell'economia e delle finanze continua ad assicurare la generazione
della tessera sanitaria su supporto di Carta nazionale dei servizi, ai sensi dell'articolo
11, comma 15, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,
dalla legge 30 luglio 2010, n. 122. |
2. Con decreto
del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, con il Ministro per la pubblica amministrazione
e la semplificazione, il Ministro delegato all'innovazione tecnologica e con
il Ministro della salute per gli aspetti relativi alla tessera sanitaria, unificata
alla carta d'identità elettronica ai sensi del comma 3 del presente articolo,
da adottare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto,
sono determinate le modalità tecniche di attuazione della disposizione di cui
al comma 2-bis, dell'articolo 7-vicies ter,
del decreto-legge 31 gennaio 2005, n. 7, convertito, con modificazioni, dalla
legge 31 marzo 2005, n. 43, aggiunto dal comma 1 del presente articolo, e definito
un piano per il graduale rilascio, a partire dai comuni identificati con il medesimo
decreto, della carta d'identità elettronica sul territorio nazionale. Nelle more
della definizione delle modalità di convergenza della tessera sanitaria nella
carta d'identità elettronica, il Ministero dell'economia e delle finanze continua
ad assicurare la generazione della tessera sanitaria su supporto di Carta nazionale
dei servizi, ai sensi dell'articolo 11, comma 15, del decreto-legge 31 maggio
2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122. |
3. Con decreto
del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'interno,
di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, con il Ministro della
salute e con il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, è disposta
anche progressivamente, nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie
disponibili a legislazione vigente, la unificazione sul medesimo supporto della
carta d'identità elettronica con la tessera sanitaria, nonché il rilascio gratuito
del documento unificato, mediante utilizzazione, anche ai fini di produzione e
rilascio, di tutte le risorse disponibili a legislazione vigente per la tessera
sanitaria e per la carta di identità elettronica, ivi incluse le risorse dell'Istituto
Poligrafico e Zecca dello Stato. Le modalità tecniche di produzione, distribuzione
e gestione del documento unificato sono stabilite con decreto del Ministro dell'interno,
di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, con il Ministro per
la pubblica amministrazione e l'innovazione e, limitatamente ai profili sanitari
con il Ministro della Salute. |
3. Con decreto
del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'interno
e del Ministro dell'economia e delle
finanze, di concerto con il Ministro
della salute, con il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione e con il Ministro delegato per l'innovazione
tecnologica, d’intesa con la Conferenza Stato-Regioni, ai sensi dell’articolo
3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 sentita l'Agenzia per l'Italia
digitale, è disposto anche progressivamente, nell'ambito delle risorse umane,
strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, l'ampliamento delle possibili utilizzazioni
della carta d'identità elettronica anche in relazione all'unificazione sul
medesimo supporto della carta d'identità elettronica con la tessera sanitaria, alle modifiche ai parametri della carta
d'identità elettronica e della tessera sanitaria necessarie per l'unificazione
delle stesse sul medesimo supporto, nonché al rilascio gratuito del documento
unificato, mediante utilizzazione, anche ai fini di produzione e rilascio, di
tutte le risorse disponibili a legislazione vigente per la tessera sanitaria. Le modalità tecniche di produzione, distribuzione
gestione e supporto all’utilizzo del documento unificato, nel rispetto di quanto stabilito al comma 1, sono stabilite entro sei mesi con decreto del Ministro
dell'interno, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, con il
Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione e con il Ministro delegato per l'innovazione
tecnologica e, limitatamente ai profili sanitari, con il Ministro della salute. |
|
3-bis. Per
la realizzazione e il rilascio gratuito del documento unificato di cui al comma
3, in aggiunta alle risorse già previste dallo stesso comma 3, e' autorizzata
la spesa di 60 milioni di euro per l'anno 2013 e di 82 milioni di euro a decorrere
dal 2014. |
|
3-ter. In attesa dell'attuazione dei commi 3 e
3-bis, si mantiene il rilascio della carta di identità elettronica di cui
all'articolo 7-vicies ter del decreto-legge 31 gennaio 2005, n. 7, convertito,
con modificazioni, dalla legge 31 marzo 2005, n. 43, al fine di non interromperne
l'emissione e la relativa continuità di esercizio. |
(omissis) |
|
La carta di identità elettronica, introdotta dalla legge 127/1997[7] e successivamente modificata dalla L. 191/1998[8], è definita dal Codice dell'amministrazione digitale (D.Lgs. n. 82/2005), modificato dal D.Lgs. 30 dicembre 2010, n. 235, come “il documento d'identità munito di elementi per l'identificazione fisica del titolare rilasciato su supporto informatico dalle amministrazioni comunali con la prevalente finalità di dimostrare l'identità anagrafica del suo titolare” (Articolo 1, comma 1 lettera c). Il D.Lgs. n. 235/2010 (Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, recante Codice dell'amministrazione digitale, a norma dell'articolo 33 della legge 18 giugno 2009, n. 69), come detto, ha apportato alcune modifiche alla disciplina della carta di identità elettronica. In particolare con riferimento all’accesso ai servizi erogati in rete dalle pubbliche amministrazioni viene previsto che la carta d'identità elettronica e la carta nazionale dei servizi costituiscono strumenti per l'accesso ai servizi erogati in rete dalle pubbliche amministrazioni per i quali sia necessaria l'”identificazione” – anziché l’“autenticazione” – informatica. Viene inoltre soppressa la disposizione (art. 64, comma 3 del CAD) che prevedeva la fissazione con DPCM di una data, comunque non successiva al 31 dicembre 2010, dalla quale non sarebbe più consentito l’accesso ai servizi in rete delle pubbliche amministrazioni con strumenti diversi dalla carta d’identità elettronica e dalla carta dei servizi.
Da ultimo si segnala che l’art. 7 del D.L. 9 febbraio 2012, n. 5 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazione e sviluppo), al comma 1, stabilisce, tra l’altro, che i documenti di identità e di riconoscimento, successivamente all’entrata in vigore del decreto medesimo, sono rilasciati o rinnovati con validità fino alla data, corrispondente al giorno e mese di nascita del titolare, immediatamente successiva alla scadenza che sarebbe altrimenti prevista per il documento medesimo.
Con riguardo alla Tessera sanitaria (TS), ai sensi dell’articolo 50, comma 1, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269[9], questa può essere utilizzata per le funzionalità che ne hanno determinato l'emissione: sostituisce il tesserino di codice fiscale; abilita all'accesso delle prestazioni sanitarie erogate dal SSN su tutto il territorio nazionale ed è Tessera di assicurazione malattia (Team) ai fini del riconoscimento dell'assistenza sanitaria nei Paesi della Comunità europea. Il DM 11 marzo 2004 ha definito le caratteristiche tecniche della TS. A regime, il progetto TS prevede che la tessera contenga le informazioni sanitarie del proprietario (prescrizioni, diagnosi e referti sanitari), configurandosi pertanto come un documento personale sanitario ma anche come chiave di accesso ai servizi online forniti dal SSN. In tal senso, l’articolo 50, comma 13, del citato decreto legge 269/2003, prevede la definizione delle modalità per il successivo e progressivo assorbimento, senza oneri aggiuntivi a carico del bilancio dello Stato, della TS nella carta di identità elettronica o nella carta nazionale dei servizi (CNS), demandando tale processo ad appositi decreti di natura non regolamentare del Ministro per l'innovazione e le tecnologie (ora Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione). La carta CNS, ovvero il sistema CNS, si configura come l’infrastruttura per l’accesso (via internet e digitale terrestre) ai servizi in rete della pubblica amministrazione (sanità, trasporti, biglietti) e alla gestione personalizzata delle informazioni da parte del cittadino-utente. La CNS corrisponde nella maggior parte dei casi alla Carta Regionale dei Servizi (CRS), una tessera dotata di microprocessore (smart card) che riunisce le funzioni di tessera sanitaria (TS) e carta nazionale dei servizi (CNS), configurandosi come uno strumento elettronico multiuso, finora adottato, in forma sperimentale e con modalità diverse, solo in alcune Regioni (Lombardia, Friuli-Venezia Giulia e Sicilia).
Il decreto legge 78/2010, all’articolo 11, comma 15, ha disposto che, in occasione del rinnovo delle tessere sanitarie in scadenza, il Ministero dell'economia e delle finanze curi la generazione e la progressiva consegna della TS-CNS, autorizzando a tal fine la spesa di 20 milioni di euro annui a decorrere dal 2011. Tale periodo transitorio avrà termine quando sarà emanato il decreto del Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione recante modalità di assorbimento della tessera sanitaria nella carta nazionale dei servizi.
In definitiva, con riguardo all’unificazione di carta d’identità elettronica e di tessera sanitaria, le stesse sono state oggetto di una normazione stratificata. Negli ultimi anni si è, infatti, assistito, sia a livello nazionale che regionale, a una proliferazione di carte che, a vario titolo, consentono l'accesso a servizi messi a disposizione dalle diverse amministrazioni. Ebbene, nel tentativo di omogeneizzare le diverse realtà locali, il piano e-Gov 2012 ha previsto, tra l’altro, che le carte nazionali/regionali dei servizi sostituiscano o integrino le tessere sanitarie in tutte le regioni italiane (obiettivo 17).
Nel dettaglio, la lettera a)
novella il comma 2 dell’art. 10 del D.L. 70/2011 coinvolgendo nel concerto ministeriale propedeutico al procedimento
di emissione della CIE, il ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione
e il ministro delegato all'innovazione tecnologica.
Si ricorda che l’art. 10 del D.L. n. 70/2011, ai commi da 1 a 3, interviene in materia di carta di identità elettronica (CIE), da un lato riservando al Ministero dell’interno la responsabilità sul processo di produzione e rilascio di essa, dall’altro prevedendo l’unificazione, anche progressiva, della CIE con la tessera sanitaria e la conseguente definizione delle modalità di realizzazione, distribuzione e gestione del documento unificato[10].
In particolare si fa presente che una delle novità introdotte dal D.L. n. 70/2011, all’art. 10 comma 2, riguarda proprio il processo di emissione della CIE, in precedenza attribuito ai comuni, oggi riservato al Ministero dell’interno, in un’ottica di semplificazione dell’intero sistema del rilascio. Le modalità tecniche di attuazione delle disposizioni sull’emissione ed inizializzazione della carta d’identità elettronica sono demandate ad un decreto del Ministro dell’interno (da adottare entro tre mesi dall’entrata in vigore del D.L. 70/2011), di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e con il Ministro della salute (la norma si limitava a prevedere il concerto del ministro della salute in ragione dell’unificazione della carta d’identità elettronica con la tessera sanitaria).
Il comma 2, specifica, poi, che fino a quando non sarà realizzata l’unificazione della tessera sanitaria e della carta d’identità elettronica, la generazione della tessera sanitaria su supporto di Carta nazionale dei servizi continuerà ad essere assicurata dal Ministero dell’economia e delle finanze.
Ulteriore integrazione
è disposta al comma 3 dall’art. 10 dalla lettera
b), che amplia l’oggetto del già previsto
decreto del Presidente del Consiglio. Nel testo modificato infatti, il decreto doveva
disporre la progressiva unificazione di carta d’identità elettronica e tessera sanitaria
mentre la novella introdotta prevede che tale atto, per l’emanazione del quale non
è previsto termine, abbia per oggetto l'ampliamento
delle possibili utilizzazioni della carta d'identità elettronica nonché la modifica dei parametri della carta d'identità
elettronica e della tessera sanitaria, ai fini della loro unificazione sul medesimo
supporto.
Con modifica intervenuta al Senato, è stata
inserita l’intesa con la Conferenza Stato-Regioni ai fini dell’adozione del D.P.C.M.
La mancata fissazione di un termine per l’adozione dell’atto andrebbe valutata
alla luce dei requisiti di necessità e urgenza prescritti dall’articolo 77 della
Costituzione per l’adozione dei decreti legge.
Oltre a quanto sopra
riportato, viene espunto il riferimento alle
risorse dell'Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, che erano invece espressamente
richiamate nell'articolo 10, comma 3, del D.L. n. 70/2011, nel demandare al decreto
del Presidente del Consiglio l'attuazione del gratuito rilascio del documento unificato,
attingendo a tutte le risorse disponibili
a legislazione vigente per la tessera sanitaria e per la carta di identità elettronica,
ivi incluse le risorse del predetto Istituto.
Si ricorda che per quanto concerne la convergenza sul medesimo supporto della carta di identità elettronica e della tessera sanitaria, il comma 3 oggetto della novella prevedeva l’intervento di due atti normativi:
§ un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’interno, d’intesa con il Ministro dell’economia e delle finanze, con il Ministro della salute e con il Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione, tramite il quale disporre l’unificazione anche progressiva dei due documenti nell’ambito delle risorse disponibili e il rilascio gratuito del documento utilizzando a tali fini tutte le risorse disponibili a legislazione vigente, comprese quelle del Poligrafico e Zecca dello Stato. Si fa presente come non sia stabilito alcun termine per l’adozione di tale atto normativo.
§ un decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, con il Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione e, limitatamente ai profili sanitari con il Ministro della Salute cui sono demandate le modalità tecniche per la produzione distribuzione e gestione del documento unificato. Anche in questo caso non erano previsti termini per l’adozione dell’atto.
Nel corso dell’esame presso il Senato, tale ultima parte è stata integrata in modo da prevedere che il decreto del Ministro dell’interno, cui è rimessa la fissazione delle modalità tecniche per la produzione, distribuzione, gestione e supporto all’utilizzo del documento unificato, sia emanato entro sei mesi.
Non appare chiaro il coordinamento, anche temporale, tra le disposizioni di cui al comma 2 e quelle di cui al comma 3 dell’articolo modificato dalle novelle introdotte dalla lett. a) e dalle lett. b) del comma in esame. In particolare il decreto ministeriale di attuazione delle disposizioni concernenti l’emissione e l’inizializzazione della carta d’identità elettronica, da emanare entro tre mesi, fa riferimento all’unificazione di carta e tessera sanitaria che però non è immediatamente operativa in quanto demandata ad un D.P.C.M. per il quale non sono stabiliti i termini.
Con la lettera c),
infine, viene autorizzato, con un nuovo comma 3-bis, un finanziamento aggiuntivo
di 60 milioni per il 2013, di 82 milioni a decorrere dal 2014, in aggiunta alle
risorse disponibili a legislazione vigente previste dallo stesso comma 3.
A detta della relazione illustrativa allegata, questo finanziamento è destinato, per il 2013, alla realizzazione delle piattaforme centrali (onde attuare il processo di produzione, personalizzazione e distribuzione del documento unificato) nonché alla fornitura ai Comuni delle necessarie postazioni informatiche (per l’acquisizione e la trasmissione delle richieste e dei dati dei cittadini). Negli anni successivi, è destinato alla distribuzione del documento unificato nei Comuni progressivamente abilitati.
Si fa presente come il finanziamento qui disposto si aggiunge a quello - pari a 20 milioni annui (dal 2011) - disposto dall’art. 11, comma 15 del D.L. n. 78/2010[11] ai fini dell'evoluzione della Tessera Sanitaria (TS) verso la Tessera Sanitaria-Carta nazionale dei servizi (TS-CNS), in occasione del rinnovo delle tessere in scadenza.
Non l'intera quota di quello stanziamento annuo di 20 milioni è utilizzabile per il documento unificato, giacché permane (seppur in quantità via via decrescente) una produzione residua di TS-CNS (per i cittadini stranieri, per i cittadini italiani con carta d’identità cartacea ancora valida) nonché della tessera europea di assicurazione di malattia (TEAM) presente sul retro della TS-CNS, non inclusa nel futuro documento unificato.
Riporta la relazione illustrativa che le TS-CNS sono oggi 25 milioni - numero che il Governo conta pertanto di aumentare, a 30 milioni entro fine 2012.
Il successivo comma 3-ter, introdotto in sede referente al Senato, è volto a disciplinare la fase di transizione antecedente l’attuazione di quanto previsto dai commi 3 e 3-bis. In particolare si prevede il mantenimento della carta di identità elettronica ex art. 7-vicies ter del D.L. n. 7/2005[12], al fine di non interromperne l'emissione e la relativa continuità di esercizio (comma 3-ter).
Il citato art. 7-vicies ter reca norme in merito al rilascio documentazione in formato elettronico, stabilendo, tra l’altro, che a decorrere dal 1° gennaio 2006 la carta d'identità su supporto cartaceo è sostituita, all'atto della richiesta del primo rilascio o del rinnovo del documento, dalla carta d'identità elettronica, classificata carta valori, prevista dall'articolo 36 del DPR 445/2000. A tal fine i comuni che non vi abbiano ancora ottemperato provvedono entro il 31 ottobre 2005 alla predisposizione dei necessari collegamenti all'Indice nazionale delle anagrafi (INA) presso il Centro nazionale per i servizi demografici (CNSD) ed alla redazione del piano di sicurezza per la gestione delle postazioni di emissione secondo le regole tecniche fornite dal Ministero dell'interno.
In attuazione di quanto sopra
disposto sono stati emanati il D.M. 2 agosto
2005 e, più specificamente, il D.M.
8 novembre 2007 recante le regole tecniche della Carta d'identità elettronica.
Articolo 1, comma
3
(Finanziamento
dell'ISTAT)
L'articolo 1, comma 3, destina all'ISTAT (Istituto nazionale di statistica) un finanziamento di 18 milioni di euro annui, a decorrere dal 2013, per lo svolgimento delle proprie attività istituzionali, avuto particolare riguardo a quelle conseguenti all'attuazione degli obblighi comunitari in materia statistica.
L'ISTAT, si ricorda, è un ente pubblico dotato di autonomia scientifica, organizzativa, finanziaria e contabile, di recente oggetto di rordino ad opera del D.P.R. n. 166 del 7 settembre 2010 che, all’art. 2, ne disegna i compiti, prevedendo che, quelli di cui all’art. 15 del D.Lgs. n. 322/1989 (Norme sul Sistema statistico nazionale e sulla riorganizzazione dell'Istituto nazionale di statistica) vengano esercitati anche al fine di dare attuazione alle disposizioni contenute nel regolamento (CE) n. 223/2009, relativo alle statistiche europee; nel regolamento (CE) n. 177/2008, che istituisce un quadro comune per i registri di imprese utilizzati a fini statistici e ai principi contenuti nella raccomandazione della Commissione europea del 25 maggio 2005, relativa all'indipendenza, all'integrità e alla responsabilità della autorità statistiche nazionali e comunitarie. Nell’ambito di tale contesto, l’ISTAT, ai sensi del citato art. 2, provvede inoltre:
a) a mantenere i rapporti con enti ed uffici internazionali operanti nel settore dell'informazione statistica, a coordinare tutte le attività connesse allo sviluppo, alla produzione e alla diffusione di statistiche europee e a fungere da interlocutore della Commissione europea per le questioni statistiche;
b) allo svolgimento dell'attività di formazione e qualificazione professionale per i dirigenti ed il personale dell'ISTAT e delle pubbliche amministrazioni, per gli operatori e per gli addetti al Sistema statistico nazionale e per altri soggetti pubblici e privati;
c) a definire i metodi e i formati da utilizzare da parte delle pubbliche amministrazioni per lo scambio e l'utilizzo in via telematica dell'informazione statistica e finanziaria, nonché a coordinare modificazioni, integrazioni e nuove impostazioni della modulistica e dei sistemi informativi utilizzati dalle pubbliche amministrazioni per raccogliere informazioni utilizzate o da utilizzare per fini statistici.
Si fa presente che il quadro normativo europeo di riferimento comprende, oltre a quelli sopra riportati, svariati altri regolamenti e direttive comunitarie, relativi alla produzione statistica ufficiale nei diversi settori della vita economica e sociale, quali le statistiche economiche congiunturali e strutturali, nonché di conti nazionali, prezzi al consumo, occupazione e disoccupazione.
In aggiunta a quanto sopra riportato, è opportuno aver presente che l’Istat fornisce anche dati e prodotti dell’Eurostat (Ufficio Statistico dell'Unione Europea) tramite l'ESDS (European Statistical Data Support). L'Eurostat è una Direzione Generale della Commissione Europea che raccoglie ed elabora dati dagli Stati membri a fini statistici, promuovendo il processo di armonizzazione della metodologia statistica tra gli Stati membri e fornendo all'Unione Europea un servizio informativo statistico basato sui dati comparabili tra Paesi e regioni.
Sul bilancio 2013 (a valere sullo stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, 24.4), lo stanziamento per le spese di funzionamento dell'ISTAT è di 32,7 milioni, cui si affiancano 277 milioni per lo svolgimento dei censimenti e 139,7 milioni per spese di natura obbligatoria.
Si segnala infine che interviene sull'ISTAT anche l’articolo 3 del decreto-legge in esame.
Articolo 1, comma
4
(Incremento
del Fondo per interventi strutturali di politica economica - Fondo ISPE)
Il comma 4 incrementa di 12 milioni di euro per il 2013 la dotazione del Fondo per interventi strutturali di politica economica (Fondo ISPE).
Si segnala che alcune disposizioni introdotte nel corso dell’esame al Senato prevedono, tuttavia, riduzioni della dotazione del Fondo. In particolare:
§ il comma 33 dell’articolo 34, prevede una riduzione della dotazione del Fondo di 12 milioni per l’anno 2013;
§ il comma 1-ter dell’articolo 37, prevede una riduzione della dotazione del Fondo di 2 milioni a decorrere dal 2013.
Si ricorda che il Fondo per gli interventi strutturali di politica economica è stato istituito dall’articolo 10, comma 5, del decreto-legge n. 282 del 2004[13], al fine di agevolare il perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, anche mediante interventi volti alla riduzione della pressione fiscale. Il Fondo, iscritto nello stato di previsione del Ministero dell’economia e finanze (Cap. 3075) viene utilizzato in modo flessibile ai fini del reperimento delle risorse occorrenti a copertura di interventi legislativi recanti oneri finanziari.
Nel disegno di legge di bilancio 2013-2015, come approvato dalla Camera dei deputati (A.S. 3585/bis), il predetto Fondo presenta una dotazione pari a 14,9 milioni per il 2013, 12,4 milioni per il 2014 e a 7,4 milioni per il 2015.
Articolo 2
(Anagrafe
nazionale della popolazione residente)
L'articolo 2 dispone l'unificazione in un'unica anagrafe - l'Anagrafe nazionale della popolazione residente (ANPR) – del sistema anagrafico attualmente strutturato in quattro partizioni (Indice nazionale delle anagrafi-INA, anagrafe comunale, AIRE centrale e AIRE comunale) (commi 1, 2, 4 e 5), l’invio telematico ai comuni delle attestazioni e delle dichiarazioni di nascita e dei certificati di morte da parte dei sanitari (comma 3), la facoltà per i sindaci i sindaci di comuni facenti parte di un’unione di comuni di delegare le funzioni di ufficiale dello stato civile e di anagrafe a personale dell'unione o di singoli comuni associati (comma 6), prevedendo un apposito stanziamento (comma 7).
Più specificamente, il comma 1, modificando l’art. 62, comma 1, del Codice dell’amministrazione digitale (CAD), istituisce presso il Ministero dell'interno l'Anagrafe nazionale della popolazione residente (ANPR), quale base di dati di interesse nazionale, che subentra all'Indice nazionale delle anagrafi (INA) e all'Anagrafe della popolazione italiana residente all'estero (AIRE).
Con modifica introdotta al Senato si è introdotto l’inciso ai sensi del quale tale base di dati è sottoposta a un audit di sicurezza con cadenza annuale in conformità alle regole tecniche dell'articolo 51 del CAD (Sicurezza dei dati, dei sistemi e delle infrastrutture delle pubbliche amministrazioni). I risultati dell'audit sono inseriti nella relazione annuale del Garante per la Protezione dei dati personali.
La tabella di seguito riportata è volta a evidenziare le novità introdotte dal testo in esame.
D.Lgs. 7 marzo
2005, n. 82 |
|
Testo
vigente prima dell’emanazione |
Testo risultante dalle modifiche apportate dal D.L. 179/2012 |
|
|
Articolo 62 |
Art. 62 |
Anagrafe nazionale
della popolazione residente - ANPR |
Anagrafe nazionale
della popolazione residente - ANPR |
1. L'Indice nazionale
delle anagrafi (INA), di cui all'articolo 1 della legge 24 dicembre 1954, n. 1228,
è realizzato con strumenti informatici e nel rispetto delle regole tecniche concernenti
il sistema pubblico di connettività, in coerenza con le quali il Ministero dell'interno
definisce le regole di sicurezza per l'accesso e per la gestione delle informazioni
anagrafiche e fornisce i servizi di convalida delle informazioni medesime ove
richiesto per l'attuazione della normativa vigente |
1. È istituita presso il Ministero dell'interno l'Anagrafe
nazionale della popolazione residente (ANPR), quale base di dati di interesse
nazionale, ai sensi dell'articolo 60, che subentra all'Indice nazionale delle
anagrafi (INA), istituito ai sensi del comma 5 dell'articolo 1 della legge 24
dicembre 1954, n. 1228, recante «Ordinamento delle anagrafi della popolazione
residente» e all'Anagrafe della popolazione italiana residente all'estero (AIRE),
istituita ai sensi della legge 27 ottobre 1988, n. 470, recante «Anagrafe e censimento
degli italiani all'estero. Tale base di dati è sottoposta ad un audit di
sicurezza con cadenza annuale in conformità alle regole tecniche dell'articolo
51. I risultati dell'audit sono inseriti nella relazione annuale del Garante per
la Protezione dei dati personali». |
|
2. Ferme restando le attribuzioni del sindaco di cui
all'articolo 54, comma 3, del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti
locali, approvato con il decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, l'ANPR subentra
altresì alle anagrafi della popolazione residente e dei cittadini italiani residenti
all'estero tenute dai comuni. Con il decreto di cui al comma 6 è definito un piano
per il graduale subentro dell'ANPR alle citate anagrafi, da completare entro il
31 dicembre 2014. Fino alla completa attuazione di detto piano, l'ANPR acquisisce
automaticamente in via telematica i dati contenuti nelle anagrafi tenute dai comuni
per i quali non è ancora avvenuto il subentro. L'ANPR è organizzata secondo modalità
funzionali e operative che garantiscono la univocità dei dati stessi. |
|
3. L'ANPR assicura al singolo comune la disponibilità
dei dati anagrafici della popolazione residente e degli strumenti per lo svolgimento
delle funzioni di competenza statale attribuite al sindaco ai sensi dell'articolo
54, comma 3, del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, approvato
con il decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, nonché la disponibilità dei
dati anagrafici e dei servizi per l'interoperabilità con le banche dati tenute
dai comuni per lo svolgimento delle funzioni di competenza. L'ANPR consente esclusivamente
ai comuni la certificazione dei dati anagrafici nel rispetto di quanto previsto
dall'articolo 33 del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223, anche
in modalità telematica. I comuni, inoltre, possono consentire anche mediante apposite
convenzioni la fruizione dei dati anagrafici da parte dei soggetti aventi diritto.
L'ANPR assicura alle pubbliche amministrazioni e agli organismi che erogano pubblici
servizi l'accesso ai dati contenuti nell'ANPR. |
|
4. Con il decreto di cui al comma 6 sono disciplinate
le modalità di integrazione nell'ANPR dei dati dei cittadini attualmente registrati
in anagrafi istituite presso altre amministrazioni nonché dei dati relativi al
numero e alla data di emissione e di scadenza della carta di identità della popolazione
residente. |
|
5. Ai fini della gestione e della raccolta informatizzata
di dati dei cittadini, le pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 2, comma
2, del presente Codice si avvalgono esclusivamente dell'ANPR, che viene integrata
con gli ulteriori dati a tal fine necessari. |
|
6. Con uno o più decreti del Presidente del Consiglio
dei Ministri, su proposta del Ministro dell'interno, del Ministro per la pubblica
amministrazione e la semplificazione e del Ministro delegato all'innovazione tecnologica,
di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con l'Agenzia
per l'Italia digitale, la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le
Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano nonché con la Conferenza Stato
– città e autonomie locali, di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto
1997, n. 281, per gli aspetti d'interesse dei comuni, sentita l'ISTAT e acquisito
il parere del Garante per la protezione dei dati personali, sono stabiliti i tempi
e le modalità di attuazione delle disposizioni del presente articolo, anche con
riferimento: |
|
a) alle garanzie e alle misure di sicurezza da adottare
nel trattamento dei dati personali, alle modalità e ai tempi di conservazione
dei dati e all'accesso ai dati da parte delle pubbliche amministrazioni per le
proprie finalità istituzionali secondo le modalità di cui all'articolo 58 del
decreto legislativo 7 marzo 2005 n. 82; |
|
b) ai criteri per l'interoperabilità dell'ANPR con le altre
banche dati di rilevanza nazionale e regionale, secondo le regole tecniche del
sistema pubblico di connettività di cui al capo VIII del presente decreto, in
modo che le informazioni di anagrafe, una volta rese dai cittadini, si intendano
acquisite dalle pubbliche amministrazioni senza necessità di ulteriori adempimenti
o duplicazioni da parte degli stessi; |
|
c) all'erogazione di altri servizi resi disponibili dall'ANPR,
tra i quali il servizio di invio telematico delle attestazioni e delle dichiarazioni
di nascita e dei certificati di cui all'articolo 74 del decreto del Presidente
della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, compatibile con il sistema di trasmissione
di cui al decreto del Ministro della salute in data 26 febbraio 2010, pubblicato
nella Gazzetta Ufficiale n. 65 del 19 marzo 2010. |
L’Indice Nazionale delle Anagrafi (INA) è stato istituito quale istanza di raccordo a livello nazionale, presso il Ministero dell’Interno; viene alimentato e costantemente aggiornato tramite collegamento informatico da tutti i comuni e "promuove la circolarità delle informazioni anagrafiche essenziali al fine di consentire, alle amministrazioni pubbliche centrali e locali collegate le disponibilità, in tempo reale, dei dati relativi alle generalità delle persone residenti in Italia, certificati dai comuni e, limitatamente al codice fiscale, dall'Agenzia delle entrate" (cfr. art. 1-novies del D.L. 31 marzo 2005 n. 44[14]).
L'INA rappresenta l’infrastruttura tecnologica di riferimento e di interscambio dei dati anagrafici comunali e le pubbliche amministrazioni, assicurando la disponibilità, in tempo reale, tramite i servizi di interscambio, dei dati relativi alle generalità, alla cittadinanza, alla famiglia anagrafica e all'indirizzo anagrafico delle persone iscritte in APR e in AIRE.
A tal fine l'INA è collegato con le principali anagrafi, oltre a quelle comunali, come INPS, Sistema informativo della fiscalità, Motorizzazione.
Nell'INA sono contenuti tutti i dati che consentono la corretta ed univoca associazione tra cittadino e comune di residenza; viene aggiornato dai comuni tramite il Sistema di Accesso ed Interscambio Anagrafico – Saia, il quale consente agli stessi di scambiare, telematicamente, tra loro e con le altre pubbliche amministrazioni locali e centrali, i dati relativi alle variazioni anagrafiche dei cittadini.
Ai dati resi disponibili dall'INA accedono, in modalità telematica, i soggetti individuati dal DM 13 ottobre 2005, n. 240, recante Regolamento di gestione dell'Indice nazionale delle anagrafi (Ina).
L’AIRE nazionale, istituita presso il Ministero dell´Interno, contiene i dati trasmessi dalle anagrafi comunali (su cui v. sub comma 2); oltre ai dati anagrafici, l´AIRE centrale registra l´indicazione relativa all´iscrizione del cittadino nelle liste elettorali del comune di provenienza sulla base dei dati inviati dai singoli comuni via web-mail, utilizzando un sistema di sicurezza e un´apposita procedura informatica.
Il comma 2 dell’art. 62 stabilisce che l'ANPR subentra anche alle anagrafi della popolazione residente e dei cittadini italiani residenti all'estero tenute dai comuni. Restano ferme le funzioni che il sindaco, quale ufficiale del Governo, svolge per la tenuta dei registri di stato civile e di popolazione e per gli adempimenti demandatigli dalle leggi in materia elettorale, di leva militare e di statistica (art. 54, comma 3, TUEL).
Con il D.P.C.M. attuativo (su cui v. infra comma 6) è definito un piano per il graduale subentro dell'ANPR alle citate anagrafi, da completare entro il 31 dicembre 2014. Fino alla completa attuazione di detto piano, l'ANPR acquisisce automaticamente in via telematica i dati contenuti nelle anagrafi tenute dai comuni per i quali non è ancora avvenuto il subentro; il sistema è organizzato secondo modalità funzionali e operative che garantiscano la univocità dei dati stessi.
In via generale per anagrafe comunale s’intende il registro della popolazione che viene mantenuto dall'amministrazione di ogni comune allo scopo di documentare la situazione numerica degli abitanti residenti, ovvero di quelli che storicamente lo sono stati, mediante la tenuta delle schede individuali e degli stati di famiglia (le attuali tecnologie informatiche consentono di conservare i dati senza ausilio del supporto cartaceo e di gestire le situazioni di famiglia mediante la sola tenuta e aggiornamento delle schede individuali). L’anagrafe ha la funzione di registrare nominativamente, secondo determinati caratteri naturali e sociali, gli abitanti residenti in un comune, sia come singoli sia come componenti di una famiglia o componenti di una convivenza, nonché le successive variazioni che si verificano nella popolazione stessa. Le anagrafi sono, dunque, la risultante di due componenti:
§ l´adempimento degli obblighi anagrafici degli uffici comunali,
§ l´adempimento degli obblighi dei singoli cittadini.
L´attività anagrafica costituisce, poi, la base di numerosi altri servizi pubblici, quali quello elettorale, scolastico, tributario, di leva, assistenziale, che attingono alla fonte anagrafica per le notizie necessarie.
Ai sensi dell’art. 14 del TUEL, spetta ai comuni la competenza in ordine alla regolare tenuta dell´anagrafe della popolazione, sia di quella residente in Italia sia dei cittadini residenti all´estero. Infatti, tali enti mantengono due registri anagrafici paralleli: l'anagrafe della popolazione residente (APR) e l'AIRE; a tal fine, in ogni comune è presente l'ufficiale dell'anagrafe mentre il Sindaco, ex art. 53 comma 3 TUEL, ricopre, quale ufficiale del Governo, anche le funzioni di Ufficiale d'Anagrafe e Ufficiale dello Stato Civile, normalmente affidati con apposita delega al personale dipendente del Comune (si ricorda che, oltre a queste, esiste l'Anagrafe tributaria, che registra i dati relativi alla situazione finanziaria di singoli cittadini e imprese). La vigente disciplina dell'ufficiale dell'anagrafe è contenuta nella legge 24 dicembre 1954, n. 1228 (Ordinamento delle anagrafi della popolazione residente) e nel DPR 30 maggio 1989, n. 223 (Approvazione del nuovo regolamento anagrafico della popolazione residente).
Con riferimento all'Anagrafe della popolazione italiana residente all´estero (AIRE) si ricorda che questa è stata istituita nel 1990, a seguito dell'emanazione della legge 27 ottobre 1988, n. 470 (Anagrafe e censimento degli italiani all´estero) e del relativo regolamento di esecuzione, DPR. 6 settembre 1989, n. 323. L´AIRE contiene i dati dei cittadini che hanno dichiarato di voler risiedere all´estero per un periodo di tempo superiore ai dodici mesi o per i quali sia stata accertata d´ufficio tale residenza. Devono iscriversi all´AIRE: i cittadini che trasferiscono la propria residenza, da un comune italiano all´estero, per un periodo superiore all´anno; i cittadini nati e residenti fuori dal territorio nazionale, il cui atto di nascita sia stato trascritto in Italia e la cui cittadinanza italiana sia stata accertata dal competente ufficio consolare di residenza; le persone che acquisiscono la cittadinanza italiana all´estero, continuando a risiedervi; i cittadini la cui residenza all´estero sia stata giudizialmente dichiarata. In tutti i casi sopra indicati, l´iscrizione presuppone, comunque, la comunicazione, da parte dell´Ufficio consolare di residenza al comune di iscrizione, dell´esatto e completo indirizzo estero.
Ai sensi del comma 3 dell’art. 62 CAD, sostituito nel corso
dell’esame presso il Senato, l'ANPR assicura al singolo
comune la disponibilità dei dati anagrafici della popolazione residente e degli
strumenti per lo svolgimento delle funzioni di competenza statale attribuite al
sindaco, quale ufficiale del Governo,
per la tenuta dei registri di stato civile e di popolazione e per gli adempimenti
in materia elettorale, di leva militare e di statistica; l’ANPR assicura altresì la disponibilità dei dati anagrafici
e dei servizi per l'interoperabilità con le banche dati tenute dai comuni per lo
svolgimento delle funzioni di competenza.
L'ANPR consente esclusivamente ai comuni la certificazione dei dati anagrafici nel rispetto di quanto previsto dall'art. 33 del D.P.R. n. 223/1989, anche in modalità telematica. I comuni, inoltre, possono consentire anche mediante apposite convenzioni la fruizione dei dati anagrafici da parte dei soggetti aventi diritto.
L'art. 33 del D.P.R. 30 maggio 1989, n. 223 prevede, in particolare, che l'ufficiale di anagrafe rilascia a chiunque ne faccia richiesta, fatte salve le limitazioni di legge, i certificati concernenti la residenza e lo stato di famiglia. Ogni altra posizione anagrafica può essere attestata o certificata, qualora non vi ostino gravi o particolari esigenze di pubblico interesse, dall'ufficiale di anagrafe d'ordine del sindaco.
L'ANPR assicura inoltre alle pubbliche amministrazioni e agli organismi che erogano pubblici servizi l'accesso ai dati contenuti nell'ANPR.
Il comma 4, modificato al Senato, rimette al D.P.C.M. attuativo di cui al comma 6 la disciplina delle modalità di integrazione nell'ANPR dei dati dei cittadini attualmente registrati in anagrafi istituite presso altre amministrazioni nonché dei dati relativi al numero e alla data di emissione e di scadenza della carta di identità della popolazione residente. Il comma 5 prevede che, ai fini della gestione e della raccolta informatizzata dei dati dei cittadini, le pubbliche amministrazioni alle quali si applica il CAD si avvalgono esclusivamente dell'ANPR, integrata con gli ulteriori dati a tal fine necessari.
Il comma 6 dell’art. 62 CAD, modificato dal Senato rimette a uno o più D.P.C.M. la definizione dei tempi e delle modalità di attuazione dell’articolo.
La procedura di approvazione del D.P.C.M. prevede la proposta congiunta del Ministro dell'interno, del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione e del Ministro delegato all'innovazione tecnologica, il concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, l’intesa con l’Agenzia per l’Italia digitale e con la Conferenza Stato-Regioni e, per gli aspetti di interesse dei comuni, con la Conferenza Stato-città nonché i pareri dell'ISTAT e del Garante per la protezione dei dati personali.
In merito ai contenuti, si specifica che tali decreti devono provvedere anche con riferimento a:
a) le garanzie e le misure di sicurezza da adottare nel trattamento dei dati personali, le modalità e i tempi di conservazione dei dati e l'accesso ai dati da parte delle pubbliche amministrazioni per le proprie finalità istituzionali secondo le modalità di fruibilità dei dati fissate dal CAD;
b) i criteri per l'interoperabilità dell'ANPR con le altre banche dati di rilevanza nazionale e regionale, secondo le regole tecniche del sistema pubblico di connettività (SPC) in modo che le informazioni di anagrafe, una volta rese dai cittadini, si intendano acquisite dalle pubbliche amministrazioni senza necessità di ulteriori adempimenti o duplicazioni da parte degli stessi;
L’SPC è l'insieme di infrastrutture tecnologiche e di regole tecniche, per lo sviluppo, la condivisione, l'integrazione e la diffusione del patrimonio informativo e dei dati della pubblica amministrazione, necessarie per assicurare l'interoperabilità di base ed evoluta e la cooperazione applicativa dei sistemi informatici e dei flussi informativi, garantendo la sicurezza, la riservatezza delle informazioni, nonché la salvaguardia e l'autonomia del patrimonio informativo di ciascuna pubblica amministrazione. Le regole tecniche e di sicurezza per il funzionamento del Sistema pubblico di connettività sono state dettate dal DPCM del 1 aprile 2008.
c) l'erogazione di altri servizi resi disponibili dall'ANPR, tra i quali il servizio di invio telematico delle attestazioni e delle dichiarazioni di nascita e dei certificati di morte, compatibile con il servizio di trasmissione telematica dei certificati di malattia.
L’articolo 2, comma 4, prevede, altresì, che il D.P.C.M. in sede di prima applicazione deve essere adottato entro 60 giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione del decreto.
Il comma 2 dell’art. 2 sostituisce, poi, il riferimento all’INA con il riferimento all’istituenda ANPR nell’ambito della disposizione del CAD concernente la base di dati di interesse nazionale.
In breve si ricorda che, ai sensi dell’art. 60 del CAD, per base di dati di interesse nazionale s’intende l'insieme delle informazioni raccolte e gestite digitalmente dalle pubbliche amministrazioni, omogenee per tipologia e contenuto e la cui conoscenza è utilizzabile dalle pubbliche amministrazioni, anche per fini statistici, per l'esercizio delle proprie funzioni e nel rispetto delle competenze e delle normative vigenti.
Si osserva peraltro che il riferimento all’INA è contenuto in diverse altre
disposizioni dell’ordinamento.
Il comma 3 dell’articolo 2, modificato dal Senato, con disposizione immediatamente efficace, prevede che le comunicazioni ai comuni delle attestazioni e delle dichiarazioni di nascita e dei certificati di morte da parte della struttura sanitaria e del medico necroscopo si svolgano esclusivamente in via telematica e rimette a un decreto interministeriale, d'intesa con la Conferenza Stato – città, la fissazione delle relative modalità tecniche.
Il comma 5, prevede che, entro 90 giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione del decreto in esame, con regolamento governativo di esecuzione, venga modificato il regolamento anagrafico della popolazione residente (DPR 30 maggio 1989, n. 223), al fine di adeguarne la disciplina alle modifiche apportate dal comma 1 all’art. 62 del CAD.
L’articolo 2, comma 6 – modificando l’art. 32 del testo unico degli enti locali (TUEL) - prevede infine che, in caso di unione di comuni, i sindaci possono delegare, previa apposita convenzione, le funzioni di ufficiale dello stato civile e di anagrafe a personale idoneo dell'unione o di singoli comuni associati.
Rimangono ferme, in tal caso, le previsioni dell'art. 1, comma 3, e 4, comma 2, del DPR n. 396 del 2000.
Il citato art. 1, comma 3 stabilisce che le funzioni di ufficiale dello stato civile possono essere delegate ai dipendenti a tempo indeterminato e, in caso di esigenze straordinarie e temporalmente limitate, a tempo determinato del comune, previo superamento di apposito corso, o al presidente della circoscrizione ovvero ad un consigliere comunale che esercita le funzioni nei quartieri o nelle frazioni, o al segretario comunale.
L'art. 4, comma 2 prevede, poi, che fino alla conclusione dei corsi di formazione, il sindaco può delegare le funzioni di ufficiale dello stato civile a coloro che, alla data di entrata in vigore del regolamento per la revisione e la semplificazione dell'ordinamento dello stato civile, abbiano svolto per almeno cinque anni le funzioni di ufficiale dello stato civile ovvero le abbiano svolte per un periodo inferiore ed abbiano frequentato uno dei corsi di aggiornamento professionale organizzati dal Ministero dell'interno.
Il comma 7, ai fini dell’attuazione dell’articolo, prevede uno stanziamento di 15 milioni di euro per il 2013, di 3 milioni annui dal 2014.
Attinenti alla Anagrafe nazionale della popolazione residente sono altresì le disposizioni recate dall'articolo 4, v. infra.
Articolo 2-bis
(Agenzia per l’Italia digitale)
L’articolo 2-bis affida all’Agenzia per l’Italia digitale la predisposizione, entro 90 giorni dalla conversione del decreto delle regole tecniche per l’identificazione, tra le Basi di dati di interesse nazionale come definite dal Codice dell’amministrazione digitale (D.Lgs. n. 82/2005),[15] della basi critiche.
Le regole tecniche dovranno in particolare definire:
§ le modalità di aggiornamento;
§ la garanzia della qualità dei dati presenti, secondo standard internazionali.
La qualificazione di una base di dati come critica sembra legata alla problematicità della sua conservazione.
L’articolo 60 definisce base di dati di interesse nazionale l'insieme delle informazioni raccolte e gestite digitalmente dalle pubbliche amministrazioni, omogenee per tipologia e contenuto e la cui conoscenza e' utilizzabile dalle pubbliche amministrazioni, anche per fini statistici, per l'esercizio delle proprie funzioni e nel rispetto delle competenze e delle normative vigenti. Le basi di dati vengono identificate con D.P.C.M. su proposta del presidente del Consiglio dei ministri o del ministro delegato per l'innovazione e le tecnologie, di concerto con i ministri di volta in volta interessati, d'intesa con la Conferenza unificata, nelle materia di sua competenza, sentito il Garante per la protezione dei dati personali e l’ISTAT. In sede di prima applicazione sono comunque individuati come basi di dati di interesse nazionale: a) repertorio nazionale dei dati territoriali; b) anagrafe nazionale della popolazione residente istituita dal presente provvedimento; c) banca dati nazionale dei contratti pubblici; d) casellario giudiziale; e) registro delle imprese; f) gli archivi automatizzati in materia di immigrazione e di asilo.
Articolo 3
(Censimento
permanente della popolazione e delle abitazioni
e Archivio nazionale dei numeri civici delle strade urbane)
L'articolo 3 rimette ad un regolamento di delegificazione il riordino del Sistema statistico nazionale, e quindi, dell'ISTAT (comma 4); prevede altresì l’introduzione del cd. censimento permanente, ossia di un censimento della popolazione e delle abitazioni continuo, a cadenza annuale e le modalità definizione dei contenuti dell’Archivio nazionale delle strade e dei numeri civici (ANNCSU) (commi 1-3); istituisce nuovamente la Commissione per la garanzia della qualità dell’informazione statistica (comma 6).
L’articolo 3, comma 1, modificato nel corso dell’esame al Senato, rimette a un decreto del Presidente del Consiglio, da adottarsi entro 60 giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione, la definizione dei tempi di realizzazione del censimento della popolazione e delle abitazioni, da effettuarsi dall’ISTAT con cadenza annuale e nel rispetto delle raccomandazioni internazionali e dei regolamenti europei. Viene così introdotto il cd. censimento permanente.
Il procedimento di emanazione del DPCM prevede la proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione e del Ministro dell'economia e delle finanze, il parere del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e dell'ISTAT, e l’intesa con la Conferenza unificata.
Intendimento della disposizione, a detta della relazione illustrativa, è rendere più tempestiva e costante la produzione dei risultati censuari nonché ridurne i costi complessivi.
Secondo primi calcoli basati sull’esperienza acquisita con le innovazioni introdotte per il censimento del 2011, è stimabile un costo annuale del censimento permanente (a prezzi 2011) pari a circa 40 milioni di euro. Moltiplicando tale valore per dieci anni, si otterrebbe un costo di 400 milioni, con un risparmio complessivo rispetto al costo del censimento 2011 (stimabile in 590 milioni) di oltre il 30 per cento.
Si ricorda, altresì, che l'art. 15, comma 1, lett. b), del D.Lgs. n. 322/1989 stabilisce che l'ISTAT provvede alla esecuzione dei censimenti e delle altre rilevazioni statistiche previste dal programma statistico nazionale ed affidate alla esecuzione dell'Istituto.
Il menzionato D.P.C.M. è, altresì, chiamato, ai sensi del comma 2, a stabilire i contenuti dell’Archivio nazionale dei numeri civici delle strade urbane (ANNCSU) (in origine il testo faceva riferimento all’ANSC, Archivio nazionale delle strade e dei numeri civici), realizzato e aggiornato dall’ISTAT e dall’Agenzia del territorio, nonché gli obblighi e le modalità di conferimento degli indirizzari e stradari comunali tenuti dai singoli comuni ai sensi del regolamento anagrafico della popolazione residente (D.P.R. 30 maggio 1989, n. 223); le modalità di accesso dei soggetti autorizzati; i criteri per l’interoperabilità con le altre banche dati di rilevanza nazionale e regionale.
Per la realizzazione dell'ANNCSU l'ISTAT può stipulare apposite convenzioni con concessionari di servizi pubblici dotati di un archivio elettronico con dati toponomastici puntuali sino a livello di numero civico su tutto il territorio nazionale, provvedendo nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie previste dalla legislazione vigente.
L'Archivio nazionale degli stradari e dei numeri civici (ANSC) è costituito dall'unione dei singoli stradari comunali ed è soggetto a periodico aggiornamento da parte dei comuni. Esso è frutto della collaborazione tra l'Agenzia del Territorio (istituita a seguito della riforma del ministero dell'economia e delle finanze, quale ente pubblico erogatore di servizi catastali, cartografici e di pubblicità immobiliare, quindi preposto tra l'altro all'anagrafe integrata dei beni immobiliari) e l'ISTAT, formalizzata con la convenzione stipulata tra i due enti il 21 giugno 2010. Per la certificazione e l'aggiornamento nel tempo dell'archivio nazionale degli stradari, nelle more dell'adeguamento del servizio al Sistema pubblico di connettività, sono, inoltre, state predisposte specifiche funzionalità sull'infrastruttura tecnologica denominata “Portale per i Comuni”, messo a disposizione dall'Agenzia del Territorio.
Si segnala, altresì, che nell'ambito del Piano di e-government 2009-2012, l'Agenzia del Territorio ha raggiunto un accordo con DigitPA per costruire un archivio nazionale degli stradari informatizzato e codificato, che risponda all‘esigenza di poter disporre di un riferimento unico, utile alla standardizzazione della chiave di indirizzo all'interno dei propri archivi, consentendo una migliore integrazione tra le banche dati.
Il comma 3 prescrive che per le attività preparatorie per l’introduzione del censimento permanente e per la realizzazione dell’ANNCSU si provvede nell’ambito delle risorse già stanziate per l’indizione del 15° Censimento generale (art. 50 D.L. n. 78/2010).
Si ricorda che l'art. 50 del D.L. 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), ha autorizzato la spesa di 200 milioni di euro per l'anno 2011, di 277 milioni per l'anno 2012 e di 150 milioni per l'anno 2013 in occasione dell’indizione del 15° Censimento generale della popolazione e delle abitazioni, di cui al Regolamento (CE) 9 luglio 2008, n. 763/08[16] oltre al 9° censimento generale dell'industria e dei servizi e al censimento delle istituzioni non-profit.
Il comma 4, modificato al Senato, demanda a un regolamento governativo di delegificazione, da emanare entro novanta giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione, la riforma dell’organizzazione del Sistema statistico nazionale, dettando i relativi principi.
Il provvedimento deve essere adottato su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, di concerto con il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro dello sviluppo economico, previa intesa con la Conferenza unificata e previo parere del Garante per la protezione dei dati personali.
In materia di rilevazioni statistiche, si rammenta che il D.Lgs. n. 322 del 1989[17] ha istituito il Sistema Statistico Nazionale (SISTAN), che mira a razionalizzare la produzione e la diffusione dell’informazione statistica ufficiale mediante un disegno di coordinamento organizzativo e funzionale che coinvolge l’intera organizzazione pubblica.
Una posizione centrale del SISTAN è riservata all’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT) che si pone quale punto di riferimento di tutta l’attività, e al quale sono innanzitutto affidate le tradizionali attribuzioni in materia di elaborazione statistica, dall’esecuzione dei censimenti e di altre importanti rilevazioni (ad esempio, le indagini campionarie sulle famiglie e sulle imprese), alla pubblicazione e diffusione delle ricerche e degli studi effettuati da esso o da altri uffici del SISTAN che non possono provvedervi direttamente. In particolare, gli uffici di statistica presso le amministrazioni centrali dello Stato e presso le aziende autonome sono posti alle dipendenze funzionali dell’ISTAT, il quale esercita poteri di indirizzo e coordinamento nei confronti degli uffici statistici regionali e delle province autonome.
La normativa cui mira l’intervento di riordino è contenuta soprattutto nel sopra menzionato D.Lgs. n. 322 del 1989 che, sino a oggi, non è stato oggetto di interventi organici di revisione; difatti, il DPR 7 settembre 2010 n. 166[18] di riordino dell'ISTAT, composto da soli sei articoli, reca alcuni limitati aspetti prevalentemente relativi a composizione numerica di organi e personale (si rinvia alla scheda sub art. 1, comma 3, per una ulteriore disamina).
I principi e criteri direttivi indicati tendono a implementare il funzionamento dell’apparato statistico al fine di perseguire le seguenti specifiche finalità:
a) rafforzare l'indipendenza professionale dell'ISTAT e degli enti e degli uffici di statistica del SISTAN;
b) migliorare gli assetti organizzativi dell'ISTAT e rafforzarne i compiti di indirizzo e coordinamento tecnico-metodologico;
c) favorire l'armonizzazione del funzionamento del SISTAN con i principi europei in materia di organizzazione e di produzione delle statistiche ufficiali;
d) semplificare e razionalizzare la procedura di adozione del Programma Statistico Nazionale e la disciplina in materia di obbligo a fornire i dati statistici;
e) migliorare i servizi resi al pubblico dal SISTAN;
f) adeguare alla normativa europea e alle raccomandazioni internazionali la disciplina in materia di tutela del segreto statistico, di protezione dei dati personali e amministrativi oggetto di trattamento per finalità statistiche.
Infine, il comma 5 prescrive che quanto sopra dettato dovrà essere attuato con invarianza di spesa.
Il comma 6 prevede la reistituzione della Commissione per la garanzia dell’informazione statistica, riscrivendo l’art. 12 del D.Lgs. n. 322/1989, recante la relativa disciplina (cfr. tabella).
Si ricorda che la Commissione avrebbe dovuto essere soppressa alla scadenza, in base alle disposizioni del decreto-legge sulla cd. spending review (art. 12, comma 20, D.L. 95/2012).
In particolare:
§ viene lievemente modificato il nome della Commissione, che diviene Commissione per la garanzia della qualità dell'informazione statistica;
§ viene meno il riferimento esplicito all’istituzione della Commissione presso la Presidenza del Consiglio, anche se le funzioni di segreteria restano affidate al Segretariato generale presso la Presidenza, che istituisce a tal fine una struttura di segreteria (e non più un ufficio che può avvalersi di esperti esterni);
§ le funzioni dell’organo restano sostanzialmente invariate, anche se viene meno il riferimento esplicito alla vigilanza sulla qualità delle metodologie statistiche e delle tecniche informatiche adottate e vengono diversamente delineate le funzioni in materia di segreto statistico e tutela dei dati personali;
Per quest'ultimo profilo, secondo la relazione illustrativa, le disposizioni del presente comma sono volte al rafforzamento della "funzione di regolazione svolta dall’ISTAT, al fine di migliorare il coordinamento e l’integrazione delle fonti di produzione statistica e ridefinire il sistema delle regole di privacy in ambito statistico, anche attraverso la revisione e l’eventuale integrazione del “Codice di deontologia e di buona condotta per i trattamenti di dati personali a scopi statistici e di ricerca scientifica”, di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (allegato A.3), in linea con le migliori pratiche e le più recenti raccomandazioni internazionali ed europee in materia di “confidenzialità” dei dati statistici".
§ il numero dei membri della Commissione è ridotto da 9 a 5;
§ è ripristinata la disposizione che disciplina la durata in carica dei membri, determinata in 5 anni, e prevede la non confermabilità.
Il testo originario dell’art. 12, comma 5 del D.Lgs. 322/1989 prevedeva che i membri della commissione durassero in carica sei anni senza possibilità di essere confermati. Successivamente il regolamento per il riordino degli organismi operanti presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri di cui al DPR 14 maggio 2007, n. 84, all’art. 6 ha previsto la soppressione di tale comma.
§ è previsto che la partecipazione alla Commissione è gratuita e che gli eventuali rimborsi spese per la partecipazione dei membri alle riunioni sono a carico dell’ISTAT.
Il testo modificato prevedeva che i compensi per i membri della commissione, determinati con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, di concerto con il Ministro dell’economia, sono posti a carico del bilancio dell'ISTAT.
Le nuove disposizioni si applicano peraltro a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione.
D.Lgs. 6 settembre
1989, n. 322 |
|
Testo vigente prima dell’emanazione |
Testo risultante dalle modifiche apportate dal D.L. 179/2012 |
|
|
Articolo 12 |
Articolo 12 |
1. Al fine di garantire
il principio della imparzialità e della completezza dell'informazione statistica
è istituita, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, la commissione per
la garanzia dell'informazione statistica. In particolare, la commissione vigila: |
1. E' istituita la Commissione per la garanzia della
qualità dell'informazione statistica avente il compito di: |
a) sulla imparzialità e completezza dell'informazione statistica
e contribuisce alla corretta applicazione delle norme che disciplinano la tutela
della riservatezza delle informazioni fornite all'ISTAT e ad altri enti del Sistema
statistico nazionale, segnalando anche al Garante per la protezione dei dati personali
i casi di inosservanza delle medesime norme o assicurando altra collaborazione
nei casi in cui la natura tecnica dei problemi lo richieda; |
a) vigilare sull'imparzialità, sulla completezza e sulla
qualità dell'informazione statistica, nonché sulla sua conformità con i regolamenti,
le direttive e le raccomandazioni degli organismi internazionali e comunitari,
prodotta dal Sistema statistico nazionale; |
b) sulla qualità delle metodologie statistiche e delle
tecniche informatiche impiegate nella raccolta, nella conservazione e nella diffusione
dei dati; |
b) contribuire ad assicurare il rispetto della normativa
in materia di segreto statistico e di protezione dei dati personali, garantendo
al Presidente dell'Istat e al Garante per la protezione dei dati personali la
più ampia collaborazione, ove richiesta; |
c) sulla conformità delle rilevazioni alle direttive degli
organismi internazionali e comunitari. |
c) esprimere un parere sul Programma statistico nazionale
predisposto ai sensi dell'articolo 13 |
cfr. comma 6 |
d) redigere un rapporto annuale, che si allega alla relazione
di cui all'articolo 24 |
2. La commissione,
nell'esercizio delle attività di cui al comma 1, può formulare osservazioni e
rilievi al presidente dell'ISTAT, il quale provvede a fornire i necessari chiarimenti
entro trenta giorni dalla comunicazione, sentito il comitato di cui all'art. 17;
qualora i chiarimenti non siano ritenuti esaustivi, la commissione ne riferisce
al Presidente del Consiglio dei Ministri. |
2. La Commissione,
nell'esercizio dei compiti di cui al comma 1, può formulare osservazioni e rilievi
al Presidente dell'ISTAT, il quale provvede a fornire i necessari chiarimenti
entro trenta giorni dalla comunicazione, sentito il Comitato di cui all'articolo
3 del regolamento di cui al D.P.R. 7 settembre 2010, n. 166; qualora i chiarimenti
non siano ritenuti esaustivi, la Commissione ne riferisce al Presidente del Consiglio
dei Ministri. |
Esprime inoltre
parere sul programma statistico nazionale ai sensi dello art. 13, ed è sentita
ai fini della sottoscrizione dei codici di deontologia e di buona condotta relativi
al trattamento dei dati personali nell'ambito del Sistema statistico nazionale. |
3. La Commissione é sentita ai fini della
sottoscrizione dei codici di deontologia e di buona condotta relativi al trattamento
dei dati personali nell'ambito del Sistema statistico nazionale. |
3. La commissione
è composta di nove membri, nominati
entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, con decreto
del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei
Ministri, dei quali sei scelti tra professori ordinari in materie statistiche,
economiche ed affini o direttori di istituti di statistica o di ricerca statistica
non facenti parte del Sistema statistico nazionale, e tre tra alti dirigenti di
enti e amministrazioni pubbliche, che godano di grande prestigio e competenza
nelle discipline e nei campi collegati alla produzione, diffusione e analisi delle
informazioni statistiche e che non siano preposti ad uffici facenti parte del
Sistema statistico nazionale. Possono essere nominati anche cittadini di Paesi
comunitari che abbiano i medesimi requisiti. 4. Il presidente
della commissione è eletto dagli stessi membri. 5. Soppresso. |
4. La Commissione
é composta da cinque membri, nominati
con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio
dei Ministri e scelti tra professori ordinari in materie statistiche, economiche
ed affini o tra direttori di istituti di statistica o di ricerca statistica non
facenti parte del Sistema statistico nazionale, ovvero tra alti dirigenti di enti e amministrazioni pubbliche, che
godano di particolare prestigio e competenza nelle discipline e nei campi collegati
alla produzione, diffusione e analisi delle informazioni statistiche e che non
siano preposti a uffici facenti parte del Sistema statistico nazionale. Possono
essere nominati anche cittadini di Paesi dell'Unione
europea in possesso dei medesimi requisiti. I membri della Commissione restano in carica per cinque anni e non possono
essere riconfermati. Il Presidente é eletto dagli stessi membri. |
6. La commissione
si riunisce almeno due volte all'anno e redige un rapporto annuale, che si allega
alla relazione al Parlamento sull'attività dell'ISTAT. 7. Partecipa alle
riunioni il presidente dell'ISTAT. |
5. La Commissione
si riunisce almeno due volte all'anno e
alle riunioni partecipa il Presidente dell'ISTAT. Il Presidente della Commissione partecipa alle riunioni del Comitato
di cui al comma 2. |
8. Alle funzioni
di segreteria della commissione provvede il Segretariato generale della Presidenza
del Consiglio dei Ministri, che istituisce, a questo fine, un apposito ufficio,
che può avvalersi anche di esperti esterni ai sensi della legge 23 agosto 1988,
n. 400. |
6. Alle funzioni
di segreteria della Commissione provvede il Segretariato generale della Presidenza
del Consiglio dei Ministri che istituisce, a questo fine, un'apposita struttura di segreteria. |
9. I compensi di
cui all'art. 20 per i membri della commissione sono posti a carico del bilancio
dell'ISTAT. |
7. La partecipazione alla Commissione é gratuita
e gli eventuali rimborsi spese del Presidente e dei componenti derivanti dalle
riunioni di cui al comma 5 sono posti a carico del bilancio dell'ISTAT. |
Articolo 4
(Domicilio
digitale del cittadino)
L'articolo 4 riconosce ad ogni cittadino la facoltà di indicare alla pubblica amministrazione un proprio indirizzo di posta elettronica certificata (PEC), da eleggere come domicilio digitale, cui le pubbliche amministrazioni e i gestori di pubblici servizi sono tenuti ad inviare le comunicazioni dal 1° gennaio 2013, e consente alle amministrazioni di predisporre le comunicazioni ai cittadini, in mancanza di domicilio digitale, come documenti informatici sottoscritti con firma digitale o elettronica avanzata, da inviare per posta in copia analogica.
In particolare, il comma unico dell’articolo, modificato al Senato, introduce un nuovo art. 3-bis nel CAD, che, al comma 1 introduce la facoltà dei cittadini di indicare alla pubblica amministrazione un proprio indirizzo di posta elettronica certificata (PEC), quale domicilio digitale, facendo espresso riferimento alla PEC rilasciata ai sensi dell'art. 16-bis, comma 5, del D.L. n. 185/2008.
Si ricorda che la posta elettronica certificata (PEC) è il sistema che consente di inviare e-mail con valore legale equiparato ad una raccomandata con ricevuta di ritorno, come stabilito dalla vigente normativa (DPR 11 febbraio 2005, n. 68). In particolare, ai sensi dell’art. 1, comma 1, lett. v-bis) del CAD, come modificato dal D.Lgs. 235/2010, la PEC è un sistema di comunicazione in grado di attestare l'invio e l'avvenuta consegna di un messaggio di posta elettronica e di fornire ricevute opponibili ai terzi; la nuova formulazione del comma 3 dell’art. 47 del CAD prescrive alle pubbliche amministrazioni e di istituire e pubblicare nell'Indice PA almeno una casella di posta elettronica certificata per ciascun registro di protocollo.
Nonostante il servizio PEC presenti forti similitudini con la tradizionale posta elettronica, ha caratteristiche aggiuntive, tali da fornire agli utenti la certezza – a valore legale - dell’invio e della consegna (o della mancata consegna) delle e-mail al destinatario. Difatti, ai sensi del combinato disposto degli artt. 6 e 48 del CAD, le pubbliche amministrazioni, con i soggetti che hanno preventivamente dichiarato il proprio indirizzo ai sensi della vigente normativa tecnica, utilizzano la PEC che ha il medesimo valore legale della raccomandata con ricevuta di ritorno con attestazione dell'orario esatto di spedizione e, grazie ai protocolli di sicurezza utilizzati, garantisce la certezza del contenuto non rendendo possibili modifiche al messaggio, sia per quanto riguarda i contenuti che eventuali allegati; inoltre, la PEC garantisce, in caso di contenzioso, l'opponibilità a terzi del messaggio.
Il termine certificata si riferisce al fatto che il gestore del servizio rilascia al mittente una ricevuta che costituisce prova legale dell’avvenuta spedizione del messaggio ed eventuali allegati. Allo stesso modo, il gestore della casella PEC del destinatario invia al mittente la ricevuta di avvenuta consegna. I gestori certificano quindi con le proprie "ricevute" che il messaggio: è stato spedito; è stato consegnato; non è stato alterato. In ogni avviso inviato dai gestori è apposto anche un riferimento temporale che certifica data ed ora di ognuna delle operazioni descritte. I gestori inviano ovviamente avvisi anche in caso di errore in una qualsiasi delle fasi del processo (accettazione, invio, consegna) in modo che non possano esserci dubbi sullo stato della spedizione di un messaggio. Nel caso in cui il mittente dovesse smarrire le ricevute, la traccia informatica delle operazioni svolte, conservata dal gestore per 30 mesi, consentirà la riproduzione, con lo stesso valore giuridico, delle ricevute stesse.
Si ricorda che già la L. 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria 2008), al fine di conseguire il contenimento dei costi delle amministrazioni e implementare l’utilizzo della PEC, all’art. 2 commi 589 e 590, recava disposizioni volte a sanzionare, attraverso una riduzione delle risorse finanziarie, il mancato uso da parte delle pubbliche amministrazioni delle modalità di trasmissione informatica dei documenti.
Successivamente il D.L. n. 185/2008 (Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale), all’art. 16-bis, per favorire la realizzazione degli obiettivi di massima diffusione delle tecnologie telematiche nelle comunicazioni, previsti dal CAD, prevede che ai cittadini che ne facciano richiesta sia attribuita una casella di posta elettronica certificata o analogo indirizzo di posta elettronica basato su tecnologie che certifichino data e ora dell’invio e della ricezione delle comunicazioni e l’integrità del contenuto delle stesse, garantendo l’interoperabilità con analoghi sistemi internazionali. Al provvedimento di cui sopra ha fatto seguito il DPCM 6 maggio 2009 recante Disposizioni in materia di rilascio e di uso della casella di posta elettronica certificata assegnata ai cittadini il quale ha definito le modalità di rilascio e di utilizzo della casella di posta elettronica certificata, assegnata ai cittadini ai sensi dell’art. 16-bis, commi 5-6 del D.L. 185/2009, con particolare riguardo alle categorie a rischio di esclusione ai sensi dell’art. 8 del CAD, nonché le modalità di attivazione del servizio mediante procedure di evidenza pubblica, anche utilizzando strumenti di finanza di progetto.
Anche la L. 18 giugno 2009, n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile) con l’art. 34 ha introdotto disposizioni per favorire le relazioni tra le pubbliche amministrazioni e gli utenti attraverso un maggiore utilizzo della posta elettronica certificata come strumento di comunicazione e per permettere al pubblico di conoscere i tempi di risposta, le modalità di lavorazione delle pratiche e i servizi disponibili.
Anche il D.L. n. 78/2009 (Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini e della partecipazione italiana a missioni internazionali), modificando il CAD ha previsto, ai fini della presentazione telematica di istanze e dichiarazioni alle pubbliche amministrazioni, l’identificazione del cittadino tramite le credenziali per l’accesso alla sua utenza personale di posta elettronica certificata istituendo, a fini di trasparenza amministrativa, un Indice degli indirizzi delle pubbliche amministrazioni, gestito dal soppresso CNIPA.
Da ultimo l’art. 47-quinquies (Organizzazione e finalità dei servizi in rete) del D.L. n. 5/2012, novellando l'art. 63 del CAD, ha disposto che le amministrazioni pubbliche nonché le società partecipate, a partire dal 1o gennaio 2014, utilizzino esclusivamente i canali e i servizi telematici, ivi inclusa la posta elettronica certificata, per determinate tipologie di atti (presentazione di denunce, garanzie fideiussorie, richieste di certificazioni) prescrivendone, altresì, l’utilizzazione esclusiva anche per gli atti, comunicazioni o servizi resi. La medesima disposizione ha prescritto che deroghe e eventuali limitazioni al principio di esclusività devono essere stabilite con DPCM sentita la Conferenza unificata, entro 180 giorni dalla pubblicazione del D.L. 5/2012, anche al fine di escludere l’insorgenza di nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Il DPCM non risulta peraltro ancora emanato.
Sulla PEC delle imprese, si consulti la scheda relativa all'art. 5.
Ai sensi del comma 2 il domicilio digitale è inserito nell’anagrafe nazionale della popolazione residente (ANPR) (cfr. articolo 2 sopra) e reso disponibile a tutte le amministrazioni e ai gestori di pubblici servizi, tramite servizi di accesso telematico.
Il comma 3 rimette a un decreto interministeriale, sentita l’Agenzia per l’Italia digitale, la definizione delle modalità di comunicazione, variazione e cancellazione del proprio domicilio digitale da parte del cittadino, nonché le modalità di consultazione dell’ANPR da parte delle pubbliche amministrazioni e dei gestori o esercenti di pubblici servizi ai fini del reperimento del domicilio digitale dei cittadini.
Il comma 4. modificato in sede referente al Senato, prevede che, dal 1° gennaio 2013, salvo i casi in cui è prevista ex lege una diversa modalità di comunicazione o di pubblicazione in via telematica, le amministrazioni pubbliche e i gestori o esercenti di pubblici servizi comunicano con il cittadino esclusivamente tramite il domicilio digitale dallo stesso dichiarato, anche per quanto concerne i provvedimenti limitativi della sfera giuridica dei privati, senza oneri di spedizione a suo carico. Ogni altra forma di comunicazione non può produrre effetti pregiudizievoli per il destinatario e l'utilizzo di differenti modalità di comunicazione rientra tra i parametri di valutazione della performance dirigenziale ai sensi dell’ art. 11, comma 9, del D.Lgs. n. 150/2009 (cd. decreto Brunetta), che prevede il divieto di erogazione della retribuzione di risultato ai dirigenti in mancato assolvimento di obblighi di pubblicazione, tra cui quelli relativi alla PEC.
Nel corso dell’esame in sede referente presso il Senato, all’articolo in esame sono stati aggiunti tre nuovi commi volti a disciplinare la eventualità in cui non sia stato creato il domicilio digitale.
Il comma 4-bis prevede, infatti, che, in assenza del domicilio digitale di cui al comma 1, le amministrazioni possono predisporre le comunicazioni verso i cittadini come documenti informatici sottoscritti con firma digitale o firma elettronica avanzata, da conservare nei propri archivi, e inviare agli stessi, per posta ordinaria o raccomandata A.R., copia analogica di tali documenti sottoscritti con firma autografa sostituita a mezzo stampa predisposta secondo le disposizioni di cui all'articolo 3 del D.Lgs. 12 dicembre 1993, n. 39.
Il citato articolo 3 stabilisce, in via generale, che gli atti amministrativi adottati da tutte le pubbliche amministrazioni sono di norma predisposti tramite i sistemi informativi automatizzati. Prevede, altresì, che nell'ambito delle pubbliche amministrazioni l'immissione, la riproduzione su qualunque supporto e la trasmissione di dati, informazioni e documenti mediante sistemi informatici o telematici, nonché l'emanazione di atti amministrativi attraverso i medesimi sistemi, devono essere accompagnate dall'indicazione della fonte e del responsabile dell'immissione, riproduzione, trasmissione o emanazione. Se per la validità di tali operazioni e degli atti emessi sia prevista l'apposizione di firma autografa, la stessa è sostituita dall'indicazione a stampa, sul documento prodotto dal sistema automatizzato, del nominativo del soggetto responsabile.
Ai sensi del comma 4-ter le predette disposizioni soddisfano a tutti gli effetti di legge gli obblighi di conservazione e di esibizione dei documenti previsti dalla legislazione vigente laddove la copia analogica inviata al cittadino contenga una dicitura che specifichi che il documento informatico, da cui la copia è tratta, è stato predisposto e conservato presso l'amministrazione in conformità alle regole tecniche di cui al CAD.
Il successivo comma 4-quater stabilisce che le modalità di predisposizione della copia analogica di cui sopra soddisfano le condizioni di cui all'articolo 23-ter, comma 5, del CAD salvo i casi in cui il documento rappresenti, per propria natura, una certificazione rilasciata dall'amministrazione da utilizzarsi nei rapporti tra privati.
Il menzionato art. 23-ter, comma 5, prescrive che, al fine di assicurare la provenienza e la conformità all'originale, sulle copie analogiche di documenti informatici, è apposto a stampa, sulla base dei criteri definiti con linee guida emanate da DigitPA (ora Agenzia per l’Italia digitale), un contrassegno generato elettronicamente, formato nel rispetto delle regole tecniche stabilite ai sensi dell'articolo 71 e tale da consentire la verifica automatica della conformità del documento analogico a quello informatico.
Il comma 5 reca una clausola di invarianza finanziaria.
Articolo 5
(Posta elettronica certificata - indice nazionale
degli indirizzi delle imprese e dei professionisti)
L’articolo 5 estende alle imprese individuali l’obbligo, già previsto per le società, di depositare il proprio indirizzo di posta elettronica certificata (PEC) presso il registro delle imprese o l'albo delle imprese artigiane. Viene inoltre istituito il pubblico elenco denominato Indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata (INI-PEC) delle imprese e dei professionisti, presso il Ministero per lo sviluppo economico.
In particolare il comma 1 estende anche alle imprese individuali il suddetto obbligo stabilito per le imprese costituite in forma societaria dall’art. 16, comma 6, del D.L. n. 185/2008, senza ricorrere alla tecnica della novellazione.
L’art. 16 (Riduzione dei costi amministrativi a carico delle imprese) del D.L. 185/2008, al comma 6, impone già alle imprese costituite in forma societaria l’obbligo di indicare nella domanda di iscrizione al registro delle imprese il proprio indirizzo di posta elettronica certificata o analogo indirizzo di posta elettronica basato su tecnologie che certifichino data e ora dell’invio e della ricezione delle comunicazioni e l’integrità del contenuto delle stesse. Entro tre anni dalla data di entrata in vigore del D.L. n.185/2008 (e cioè entro il 29 novembre 2011) tutte le imprese, già costituite in forma societaria alla medesima data di entrata in vigore, avrebbero dovuto comunicare al registro delle imprese l'indirizzo di posta elettronica certificata.
L’art. 37 del D.L. n. 5/2012 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazione e di sviluppo) ha aggiunto il comma 6-bis, all’articolo 16 del D.L. 185/2008 prevedendo che l’ufficio del registro delle imprese, che riceve una domanda di iscrizione da parte di un'impresa costituita in forma societaria, sospenda la domanda di iscrizione se le stesse imprese non abbiano provveduto a comunicare l’indirizzo di posta elettronica certificata (la domanda rimane sospesa per tre mesi fino a quando l’impresa non provvede a comunicare l’indirizzo di posta elettronica certificata). Ciò in luogo dell'irrogazione della sanzione prevista dall'articolo 2630 del codice civile ("Omessa esecuzione di denunce, comunicazioni e depositi) che prevede che chiunque, essendovi tenuto per legge a causa delle funzioni rivestite in una società o in un consorzio, omette di eseguire, nei termini prescritti, denunce, comunicazioni o depositi presso il registro delle imprese, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 103 euro a 1.032 euro.
Oltre a quanto riportato, si segnala che il medesimo art. 16, al comma 10, assicura la consultazione telematica libera e gratuita (da parte delle pubbliche amministrazioni, delle imprese e dei cittadini) degli indirizzi di posta elettronica certificata presenti nel registro delle imprese o negli albi o elenchi costituiti ai sensi dell’art. 16 stesso. Il comma 11 del medesimo articolo ha abrogato, poi, il comma 4 dell’articolo 4 del regolamento per l’utilizzo della posta elettronica certificata, di cui al D.P.R. 68/2005 (ai sensi del quale le imprese possono dichiarare la volontà di accettare, nei reciproci rapporti, l’invio di posta elettronica certificata, mediante indicazione nell’atto di iscrizione al registro delle imprese) mentre il comma 12, novellando l’art. 23 del CAD, al fine di semplificare gli oneri amministrativi per le imprese e, in generale, per tutti i soggetti tenuti per legge alla conservazione di atti e documenti, ha eliminato anche la distinzione tra originali unici e non unici di modo che qualsiasi documento “analogico” sia sostituibile da una copia su supporto informatico se la conformità è assicurata dal detentore mediante ricorso alla firma digitale (viene tuttavia introdotta una possibile eccezione per talune tipologie di documenti analogici originali unici, per le quali emergano “esigenze di natura pubblicistica”).
Quindi, ai sensi del comma 2, primo periodo, le imprese individuali
che presentano la domanda di prima iscrizione al registro delle imprese o all'albo
delle imprese artigiane dopo la data di entrata in vigore della legge di conversione
del decreto in esame sono tenute ad indicare l’indirizzo PEC[19], mentre quelle già iscritte sono tenute a farlo
entro il 30 giugno 2013
.
Il secondo periodo del comma 2 prevede che
l’'ufficio del registro delle imprese che riceve una domanda di iscrizione
da parte di un'impresa individuale che non ha “iscritto” il proprio indirizzo di
posta elettronica certificata, in luogo dell'irrogazione della sanzione prevista
dall'articolo 2630 del codice civile, ne sospende la domanda.
La sospensione dura fino all’integrazione, cioè
al deposito, del dato mancante e, comunque per quarantacinque giorni. Decorso tale
periodo la domanda si intende non presentata, “in attesa che essa sia integrata
con l'indirizzo di posta elettronica certificata”.
La formulazione del secondo periodo
annette alla mancanza dell’indirizzo PEC, protratta per 40 giorni, da un lato un
effetto di mancata presentazione della domanda, dall’altro un effetto di pendenza
della domanda stessa, effetti la cui coesistenza appare meritevole di una valutazione
di compatibilità.
Appare inoltre meritevole di una valutazione di opportunità la previsione di regimi differenziati, quanto agli effetti della mancanza dell’indirizzo PEC, previsti da un lato dal comma 2 secondo periodo per le domande di iscrizione di imprese individuali e, dall’altro, dal comma 6 bis dell’art. 16 sopra richiamato per le domande di iscrizione di imprese aventi forma societaria.
Il comma 3, infine, novella il CAD, introducendo l’articolo 6 bis, mediante l’istituzione di un indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata delle imprese e dei professionisti (INI-PEC).
Si tratta di una modalità che attinge alle misure normative vigenti, consentendo alla pubblica amministrazione un accesso unico ai dati dei professionisti e delle imprese.
Va rammentato che l'art. 6 del CAD stabilisce che le pubbliche amministrazioni centrali utilizzano la PEC per ogni scambio di documenti e informazioni con i soggetti interessati che ne fanno richiesta e che hanno preventivamente dichiarato il proprio indirizzo di PEC; in tal caso il servizio deve essere utilizzato dalle amministrazioni per la trasmissione telematica di comunicazioni che necessitano di una ricevuta di invio e di una ricevuta di consegna, come previsto dall'art. 48 del CAD. Uno dei due requisiti (l'aver previamente comunicato il proprio indirizzo PEC) potrebbe doversi considerare integrato, appena il dato conferito ai soli fini del registro delle imprese (o dell'ordine professionale) dovesse essere reso disponibile a tutte le pubbliche amministrazioni mediante la loro accessibilità all'Anagrafe in questione. Del resto, alla posta elettronica certificata viene dato particolare rilevo all’interno della PA, per la garanzia di qualità, tracciabilità e sicurezza che essa offre: nella circolare n. 1/2010 del Dipartimento per la digitalizzazione della pubblica amministrazione e l’innovazione tecnologica (DDI), si sottolineava la necessità di utilizzare nuovi canali informatici al fine di aumentare il grado di informatizzazione e di digitalizzazione dei processi amministrativi e di rendere più trasparente ed efficace l’azione pubblica; vi si evidenziava l’importanza della comunicazione tramite PEC, quale sistema facile e sicuro per l’interazione tra pubbliche amministrazioni, cittadini, imprese. Già con il DPCM 6 maggio 2009 (Disposizioni in materia di rilascio ed uso della casella di posta elettronica certificata assegnata ai cittadini) si definivano la modalità di attivazione della PEC e gli obblighi per le pubbliche amministrazioni in materia, già previsti nel CAD (art. 6 e art 47) e nella legge 2/2009 (art. 16 e art 16-bis); all’art.4 del citato DPCM si stabiliva che le amministrazioni pubbliche “istituiscono una casella di PEC per ogni registro di protocollo e ne danno comunicazione al CNIPA (ora denominato DigitPa), “rendono disponibili sul loro sito istituzionale, per ciascun procedimento, ogni tipo di informazione idonea a consentire l’inoltro di istanze da parte dei cittadini titolari di PEC, inclusi i tempi previsti per l’espletamento della procedura”; le PA inoltre “accettano le istanze dei cittadini inviate tramite PEC” nel rispetto dell’art. 65 del CAD.
In sintesi, a seguito di quanto stabilito dalle diverse disposizioni in materia, le pubbliche amministrazioni hanno l’obbligo di:
§ dotarsi di una casella di PEC per qualsiasi scambio di informazioni e documenti (art. 6 Codice dell’amministrazione digitale);
§ dotarsi di una casella di PEC per ciascun registro di protocollo (art. 47 comma 3 del CAD e art. 16 comma 8 legge 2/2009);
§ comunicare al DigitPa gli indirizzi di posta elettronica certificata istituiti per ciascun registro di protocollo (art. 16 comma 8 legge 2/2009 e art. 4 DPCM 6 maggio 2009);
§ utilizzare la PEC per ogni scambio di documenti e informazioni con tutti i soggetti interessati che ne fanno richiesta e che hanno preventivamente dichiarato il proprio indirizzo di posta elettronica (art.6 Codice amministrazione digitale);
§ pubblicare nella pagina iniziale del sito web istituzionale l’indirizzo di PEC a cui può rivolgersi il cittadino per qualsiasi richiesta (art. 54 CAD e art. 34 della legge 69/2009) e di rendere disponibili sul sito per ciascun procedimento le informazioni necessarie per consentire l’inoltro di istanze da parte dei cittadini (art. 4 DPCM 6 maggio 2009);
§ definire le modalità di attribuzione - mediante convenzione con il dipartimento per l’innovazione e le tecnologie (ora DDI) o con l’affidatario del servizio – della casella di PEC ai propri dipendenti e di utilizzare la PEC per le comunicazioni e le notificazioni destinate ai dipendenti pubblici (art. 16-bis legge 2/2009 e art. 9 DPCM 6 maggio 2009). Le amministrazioni pubbliche sono inoltre chiamate a: collegare il sistema di protocollazione e gestione dei documenti (conforme al DPCM del 31 ottobre 2000) a sistemi idonei a trasmettere e ricevere documenti anche mediante PEC (Circolare n°1/2010 DDI);divulgare i propri indirizzi di PEC, oltre che sul sito istituzionale, attraverso altri canali di comunicazione con il cittadino (Circolare n°2/2010 DDI);dotarsi di strumenti per l’apposizione della firma digitale sui documenti da trasmettere nei casi previsti dalla legge (Circolare n.1/2010, DDI).
L’attuazione dei dettami inerenti l’attivazione e l’uso della PEC è rilevante ai fini della misurazione e della valutazione della performance organizzativa e individuale previste dal decreto legislativo 150/2009 (cd. decreto Brunetta). Per quanto riguarda, poi, la diffusione degli indirizzi di PEC comunicati dalle pubbliche amministrazioni al DigitPa, quest’ultimo ha l’obbligo di rendere disponibili per via telematica gli indirizzi di PEC (art. 4 DPCM 6 maggio 2009 e art. 16 legge 2/2009). Tali indirizzi sono disponibili nell’archivio informatico consultabile su sito www.indicepa.gov.it.
Merita ricordare, altresì, che l’art. 5-bis, comma 1, del CAD già impone (dal 1° luglio 2013) la presentazione esclusivamente in via telematica di istanze, dichiarazioni, dati e lo scambio di informazioni e documenti, anche a fini statistici, tra le imprese e le amministrazioni pubbliche; a decorrere dalla stessa data poi, in tutti i casi in cui non è prevista una diversa modalità di comunicazione telematica, le comunicazioni avverranno mediante l'utilizzo della posta elettronica certificata, secondo le disposizioni di cui agli articoli 48 e 65, comma 1, lettera c-bis) del CAD[20].
La confluenza di tali dati nell'Indice nazionale INI-PEC è ora disposta dall'articolo 6-bis inserito nel CAD, anche se il capoverso 2 lascia presumere, con la locuzione a partire dagli elenchi, che possano esservi altre, fonti di attingimento successivo del dato di interesse.
Il comma
2 dell’art. 6 bis prevede che l'Indice nazionale istituito dal comma 1 è realizzato a partire dagli elenchi
di indirizzi PEC costituiti presso il registro delle imprese e gli ordini o collegi
professionali, in attuazione di quanto previsto dal citato articolo 16 del decreto-legge
29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio
2009, n. 2.
Secondo il comma 3, l’accesso all’INI-PEC è consentito a tutti i cittadini tramite sito Web e senza necessità di autenticazione. L’indice è realizzato in formato aperto, secondo la definizione cui all’articolo 68, comma 3, del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82
I commi 4 e 5 del nuovo articolo 6-bis precisano che il Ministero per lo sviluppo economico, al fine del contenimento dei costi e dell'utilizzo razionale delle risorse, si avvale, sentita l’Agenzia Digitale, secondo quanto precisato al Senato, per la realizzazione e gestione operativa dell'INI-PEC, delle strutture informatiche delle Camere di commercio deputate alla gestione del registro imprese. Con proprio decreto, da emanare entro 60 giorni, il Ministero stesso definisce:
§ le modalità di accesso e di aggiornamento dell’Indice;
§ le modalità e le forme con cui gli ordini e i collegi professionali comunicano all'INI-PEC tutti gli indirizzi PEC relativi ai professionisti di propria competenza;
§ gli strumenti telematici resi disponibili dalle Camere di commercio per il tramite delle proprie strutture informatiche al fine di ottimizzare la raccolta e aggiornamento dei medesimi indirizzi.
Il comma 6 del nuovo articolo 6-bis contiene la clausola di salvaguardia finanziaria.
La relazione illustrativa precisa che le Camere di Commercio dispongono già di sistemi informativi adatti alla gestione dell’INI-PEC.
Articolo 6, commi
1 e 2
(Trasmissione
di documenti per via telematica; sottoscrizione
di accordi tra amministrazioni)
I commi 1 e 2 dell’articolo 6, recano disposizioni volte a rendere più cogenti le previsioni in tema di trasmissione di documenti per via telematica tra pubbliche amministrazioni e tra queste e privati. Si dispone, inoltre, che siano sottoscritti con firma digitale gli accordi che le amministrazioni pubbliche concludono tra loro per disciplinare lo svolgimento di attività di interesse comune.
In tal senso il comma 1, alla lettera a) novella l’art. 47 del Codice dell’amministrazione digitale (CAD) stabilendo, con un nuovo comma 1-bis, che la mancata trasmissione di documenti per via telematica tra pubbliche amministrazioni e tra queste e privati determina responsabilità amministrativa e dirigenziale anche in aggiunta ad eventuale responsabilità per danno erariale.
Si ricorda che l’art. 47, nel disciplinare la trasmissione dei documenti attraverso la posta elettronica tra le pubbliche amministrazioni, prescrive che tali comunicazioni avvengano mediante l'utilizzo della posta elettronica o in cooperazione applicativa stabilendo, altresì, che esse sono valide ai fini del procedimento amministrativo una volta che ne sia verificata la provenienza.
La previsione di tali e ulteriori forme di responsabilità connesse al mancato utilizzo dello strumento telematico si inserisce nell’iter del processo teso al pieno riconoscimento dell’autonomia gestionale e organizzativa dei dirigenti pubblici, inaugurato dalla cd. riforma Brunetta (cfr. artt. 41 e 42 del D.Lgs. 150/2009). Tale percorso ha operato l’integrale responsabilizzazione dei dirigenti in relazione ai risultati complessivamente conseguiti e, in specie, all’attuazione dei progetti e dei programmi a essi attribuiti.
Alla lettera b) l’oggetto della novella è l'art. 65 del CAD (v. tabella sotto) concernente le istanze e le dichiarazioni presentate alle pubbliche amministrazioni per via telematica.
D.Lgs. 7 marzo
2005, n. 82 |
|
Testo
vigente prima dell’emanazione |
Testo risultante dalle modifiche apportate dal D.L. 179/2012 |
|
|
Articolo 65 |
Art. 65 |
Istanze e dichiarazioni
presentate alle pubbliche amministrazioni per via telematica. |
|
1. Le istanze e le dichiarazioni presentate alle pubbliche
amministrazioni per via telematica ai sensi dell'articolo 38, commi 1 e 3, del
decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, sono valide: |
1. Le istanze e le
dichiarazioni presentate per via telematica alle pubbliche amministrazioni e ai
gestori dei servizi pubblici ai sensi dell'articolo 38, commi 1 e 3, del decreto
del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, sono valide: |
Omissis |
Omissis |
|
1-ter. Il mancato avvio del procedimento
da parte del titolare dell'ufficio competente a seguito di istanza o dichiarazione
inviate ai sensi e con le modalità di cui al comma 1, lettere a), c) e c-bis),
comporta responsabilità dirigenziale e responsabilità disciplinare dello stesso |
La modifica inserisce un nuovo comma 1-ter al fine di prevedere che anche il mancato avvio del procedimento da parte del titolare dell'ufficio competente su istanza inviate con modalità telematica, comporta responsabilità dirigenziale e disciplinare dello stesso.
In aggiunta, con la lettera c), vengono ricompresi anche i gestori dei servizi pubblici nell’ambito di applicazione del medesimo articolo 65.
Allo stesso modo, con la lettera d), mediante integrazione dell’art. 54, sono estese ai gestori di servizi pubblici le previsioni vigenti circa l'obbligo di pubblicare nei propri siti un indirizzo istituzionale di posta elettronica certificata, a cui il cittadino possa rivolgersi per qualsiasi richiesta ai sensi del Codice dell'amministrazione digitale, oltre a quello di assicurare un servizio che renda noti al pubblico i tempi di risposta.
La lettera d-bis), introdotta nel corso dell’esame in sede referente al Senato, novella l’art. 57-bis del CAD, disciplinante l’indice degli indirizzi delle pubbliche amministrazioni, integrando la disposizione istitutiva di tale indice al fine di assicurare la pubblicità dei riferimenti telematici delle pubbliche amministrazioni e dei gestori dei pubblici servizi.
Il testo previgente del comma 1 stabiliva che, al fine di assicurare la trasparenza delle attività istituzionali è istituito l'indice degli indirizzi delle amministrazioni pubbliche, nel quale sono indicati, gli indirizzi di posta elettronica da utilizzare per le comunicazioni e per lo scambio di informazioni e per l'invio di documenti a tutti gli effetti di legge fra le amministrazioni e fra le amministrazioni ed i cittadini.
La novella aggiunge anche il richiamo ai gestori di pubblici servizi.
Il comma 2, modificato presso il Senato, dispone, altresì, che, a decorrere dal 1° gennaio 2013, siano sottoscritti con firma digitale o con firma elettronica avanzata o con altra firma elettronica qualificata, a pena di nullità, gli accordi, cd. organizzativi, che le amministrazioni pubbliche concludono tra loro per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune.
La modifica introdotta in sede referente al Senato ha aggiunto che, dall'attuazione della presente disposizione non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato dovendosi provvedere nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie previste dalla legislazione vigente.
Si ricorda, in breve, che l'art. 15 della legge 7 agosto 1990, n. 241, ha generalizzato l’istituto degli accordi di programma dettando la normativa generale di riferimento destinata a trovare applicazione, in ordine a tali fattispecie, tutte le volte in cui non vi siano specifiche previsioni in materia; per gli enti locali, infatti, la disciplina di riferimento risiede nell’art. 34 del TUEL che, al contrario della prima, si presenta come disposizione tipica con i caratteri della specialità.
Con particolare riferimento all’inciso altra firma elettronica qualificata, il Codice dell'amministrazione digitale all’art. 1 contempla:
- firma elettronica: l'insieme dei dati in forma elettronica, allegati oppure connessi tramite associazione logica ad altri dati elettronici, utilizzati come metodo di identificazione informatica;
- firma elettronica avanzata: insieme di dati in forma elettronica allegati oppure connessi a un documento informatico che consentono l'identificazione del firmatario del documento e garantiscono la connessione univoca al firmatario, creati con mezzi sui quali il firmatario può conservare un controllo esclusivo, collegati ai dati ai quali detta firma si riferisce in modo da consentire di rilevare se i dati stessi siano stati successivamente modificati;
- firma elettronica qualificata: un particolare tipo di firma elettronica avanzata che sia basata su un certificato qualificato e realizzata mediante un dispositivo sicuro per la creazione della firma;
- firma digitale: un particolare tipo di firma elettronica avanzata basata su un certificato qualificato e su un sistema di chiavi crittografiche, una pubblica e una privata, correlate tra loro, che consente al titolare tramite la chiave privata e al destinatario tramite la chiave pubblica, rispettivamente, di rendere manifesta e di verificare la provenienza e l'integrità di un documento informatico o di un insieme di documenti informatici.
Documenti all’esame
delle Istituzioni dell’UE
(a cura dell’Ufficio rapporti
con l’Unione Europea)
Si rinvia a quanto osservato in relazione all’art. 1, co. 1.
Articolo 6, commi
3 e 4
(Stipula
dei contratti pubblici)
I commi 3 e 4 dell’articolo 6 modificano l’articolo 11 del D.Lgs. n. 163 del 2006 (Codice dei contratti pubblici) prevedendo, per un verso, che il contratto deve essere stipulato a pena di nullità nelle modalità ivi previste e, per l’altro, che il contratto può essere stipulato in forma pubblica amministrativa in modalità elettronica.
In particolare, il comma 3 dell’articolo 6, nel novellare l’art. 11 del D.Lgs. n. 163 del 2006 (Codice dei contratti pubblici) in tema di contratti pubblici, utilizzando il sintagma "a pena di nullità", uniforma la disciplina del Codice dei contratti pubblici a quella della previgente normativa di contabilità pubblica. Con questo il decreto-legge intende porre fine ad un'incertezza interpretativa sul requisito della forma scritta ad substantiam, che aveva reso necessaria anche l'espressione di un parere da parte dell’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici.
L’Autorità, nel parere del 27 gennaio 2011 (rif. AG 43/2010), affermava che:
«Per quanto riguarda l’interpretazione dell’art. 11, comma 13, del d. lgs. n. 163/2006 (“Il contratto è stipulato mediante atto pubblico notarile, o mediante forma pubblica amministrativa a cura dell’ufficiale rogante dell’amministrazione aggiudicatrice, ovvero mediante scrittura privata, nonché in forma elettronica secondo le norme vigenti per ciascuna stazione appaltante), occorre premettere che la disciplina generale della forma dei contratti pubblici è contenuta nel decreto sull’amministrazione del patrimonio e sulla contabilità generale dello Stato (R.D. n.2440/1923), agli articoli 16 […], 17 […] e 18 […]. Secondo tale disciplina tutti i contratti stipulati dalla Pubblica Amministrazione, anche quando quest’ultima agisce iure privatorum, richiedono la forma scritta ad substantiam, pur se consistono in appalti di manufatti di modesta entità e vanno consacrati in un unico documento (Corte di Cassazione, sez. I civile, 4 settembre 2009, n. 19206). In particolare è richiesta la forma pubblica amministrativa (art. 16), fatte salve le deroghe di cui all’art. 17 che consente, in caso di trattativa privata, la stipula a mezzo di scrittura privata ed anche la conclusione a distanza a mezzo di corrispondenza […]»[21].
La disposizione precisa inoltre che la "forma elettronica" del contratto non è in alternativa alla forma pubblica amministrativa, ma ne rappresenta una delle modalità.
Dal testo della disposizione novellata, quindi, si ricava che la stipula conseguente all'atto di aggiudicazione può avere una delle seguenti forme:
§ l'atto pubblico notarile informatico;
§ la forma pubblica amministrativa, con modalità elettronica secondo le norme vigenti per ciascuna stazione appaltante, a cura dell’Ufficiale rogante dell’amministrazione aggiudicatrice;
§ la scrittura privata.
Si ricorda che il vigente comma 13 dell’art. 11 del Codice – che ora viene novellato - dispone che il contratto è stipulato mediante atto pubblico notarile, o mediante forma pubblica amministrativa a cura dell’Ufficiale rogante dell’amministrazione aggiudicatrice, ovvero mediante scrittura privata, nonché in forma elettronica secondo le norme vigenti per ciascuna stazione appaltante.
Ai sensi del comma 4, l'efficacia delle disposizioni di cui al comma 3 decorre dal 1° gennaio 2013.
Articolo 6, commi
5 e 6
(Atti in formato elettronico redatti da notai)
Il comma 5 consente ai notai di redigere gli atti pubblici in formato elettronico, ai sensi del decreto legislativo n. 110 del 2010[22], utilizzando il sistema di conservazione degli stessi gestito dal Consiglio nazionale del notariato.
Tale disciplina è da considerarsi transitoria, ovvero efficace in attesa dell’adozione dei decreti attuativi previsti dell’articolo 68-bis della legge sul notariato n. 89 del 1913, sul punto modificata dallo stesso decreto legislativo del 2010.
Si tratta della disposizione che demanda ad uno o più decreti non aventi natura regolamentare del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione e il Ministro per la semplificazione normativa sentiti il Consiglio nazionale del notariato ed il Garante per la protezione dei dati personali e la DigitPA, la determinazione di:
a) le tipologie di firma elettronica ulteriori rispetto a quella prevista dall'articolo 52-bis che possono essere utilizzate per la sottoscrizione dell'atto pubblico, ferma restando l'idoneità dei dispositivi di cui all'articolo 1, comma 1, lettere q), r) e s), dello stesso decreto;
b) le regole tecniche per l'organizzazione della struttura di cui al comma 1 dell'articolo 62-bis;
c) le regole tecniche per la trasmissione telematica, la conservazione e la consultazione degli atti, delle copie e della documentazione di cui agli articoli 62-bis e 62-ter;
d) le regole tecniche per il rilascio delle copie da parte del notaio di quanto previsto alla lettera c);
e) le regole tecniche per l'esecuzione delle annotazioni previste dalla legge sugli atti di cui all'articolo 62-bis;
f) le regole tecniche per l'esecuzione delle ispezioni di cui agli articoli da 127 a 134, per il trasferimento agli archivi notarili degli atti, dei registri e dei repertori formati su supporto informatico e per la loro conservazione dopo la cessazione del notaio dall'esercizio o il suo trasferimento in altro distretto.
Spetterà alla struttura predisposta dal Consiglio nazionale del notariato fornire all’amministrazione degli archivi notarili apposite credenziali di accesso al sistema ai seguenti fini:
§ per l’esecuzione delle ispezioni (previste dallo stesso ordinamento del notariato, agli articoli da 127 a 134);
§ per il trasferimento agli archivi notarili degli atti formati su supporto informatico;
§ per la conservazione degli atti formati su supporto informatico dopo la cessazione del notaio dall’esercizio della professione o il suo trasferimento in altro distretto.
In particolare, il trasferimento degli atti presso le strutture dell’Amministrazione degli archivi notarili dovrà essere disciplinato con provvedimento del Direttore generale degli archivi notarili.
Il successivo comma 6 dispone, in via generale, che agli adempimenti previsti dall'articolo in commento si provvede con le risorse finanziarie, umane e strumentali disponibili a legislazione vigente.
Articolo 7
(Trasmissione telematica delle certificazioni
di malattia)
L’articolo 7 disciplina la trasmissione telematica delle certificazioni
di malattia nel settore pubblico e privato
(come precisato nel corso dell’esame al Senato).
Più specificamente, i commi 1 e 2 riguardano l'ambito di applicazione delle norme già vigenti sulle certificazioni di malattia per i dipendenti pubblici e sulla loro trasmissione per via telematica, di cui all'art. 55-septies del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165[23].
Il comma 3 concerne la certificazione di malattia dei figli, in relazione al relativo congedo spettante al lavoratore dipendente.
Nel corso dell’esame al Senato, la disposizione è stata più volte modificata.
In particolare, il comma 1 estende l'applicazione delle disposizioni di cui all’articolo 55-septies del D.Lgs. 165/2001 al personale non contrattualizzato della P.A. (si tratta, in sostanza, del personale in regime di diritto pubblico di cui all’articolo 3 dello stesso D.Lgs. 165)[24]. L’estensione opera a decorrere dal sessantesimo giorno dalla data di entrata in vigore della disposizione in esame (e cioè dal 18 dicembre 2012) in tutti i casi di certificazione della malattia, ed è attuata nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.
Nel corso dell’esame al Senato è stato inserito il comma 1-bis, che aggiungendo un periodo al più volte richiamato articolo 55-septies, comma 2, prevede l’obbligo, per il medico o la struttura sanitaria, di inviare telematicamente la medesima certificazione anche all’indirizzo di posta elettronica personale del lavoratore, nel caso in cui quest’ultimo ne faccia espressamente richiesta fornendo all’uopo un valido indirizzo.
Ai sensi del comma 2, restano escluse da tale applicazione, in deroga a quanto disposto dal comma precedente, le certificazioni per via telematica rilasciate al personale delle Forze Armate e dei Corpi armati dello Stato, nonché del Corpo nazionale dei vigili del fuoco.
Si ricorda che l’articolo 55-septies del D.Lgs. 165 prevede, in sintesi, che nell'ipotesi di assenza per malattia protratta per un periodo superiore a 10 giorni nonché, in ogni caso, dopo il secondo evento di malattia nell'anno solare, l'obbligo di giustificazione dell'assenza esclusivamente mediante certificazione medica rilasciata da una struttura sanitaria pubblica o da un medico convenzionato con il S.S.N., nonché l'obbligo, in tutti i casi di assenza per malattia, di invio della certificazione medica per via telematica, da parte del medico o della struttura sanitaria che la rilascia, all'INPS, il quale l'inoltra, sempre in via telematica, all'amministrazione interessata.
Il comma 3 modifica la disciplina relativa al congedo spettante al lavoratore dipendente in caso di malattia dei figli, di cui al Capo VII del D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151, T.U. in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità.
In particolare, vengono modificati i commi 3 e 3-bis dell’articolo 47 del
D.Lgs. 151/2000 (lettera a)), così come introdotti dallo stesso
D.L. 179/2012.
Il nuovo comma 3 dispone che la certificazione di malattia necessaria al genitore per fruire dei congedi per malattia dei figli individuati dallo stesso articolo sia inviata per via telematica direttamente dal medico curante del S.S.N. o con esso convenzionato all'I.N.P.S., utilizzando il sistema di trasmissione delle certificazioni di malattia di cui al decreto del Ministro della salute del 26 febbraio 2010, secondo le modalità stabilite con decreto di cui al successivo comma 3-bis, e dal predetto Istituto è immediatamente inoltrata, con le medesime modalità, al datore di lavoro interessato.
Il successivo comma 3-bis prevede appunto che con lo specifico D.P.C.M. richiamato siano adottate, in conformità delle regole tecniche previste dal Codice dell’amministrazione digitale, di cui al D.Lgs. 82/2005, le disposizioni necessarie per l’attuazione del precedente comma 3.
Si segnala, al riguardo, che il testo non prevede un termine per l’emanazione
del richiamato D.P.C.M..
In seguito alle modificazioni apportate nel corso dell’esame al Senato:
§
è stato specificato
che il medico tenuto all’invio della certificazione per via telematica, sia
del S.S.N. o con esso convenzionato, deve
essere quello che ha in cura il minore;
§ che l’INPS, debba inoltrare immediatamente la certificazione anche all’indirizzo di posta elettronica del lavoratore che ne faccia richiesta, come specificato nel corso dell’esame al Senato;
§
che il richiamato D.P.C.M. tra le modalità previste
debba contenere anche comprese la definizione
del modello di certificazione e le relative specifiche, come precisato nel corso
dell’esame al Senato.
Inoltre, viene sostituito l’articolo 51, comma 1, dello stesso D.Lgs. 151/2001 (lettera b)).
Tale comma disponeva l’obbligo, per la lavoratrice ed il lavoratore, di presentare una dichiarazione rilasciata ai sensi dell'articolo 47 del D.P.R. 445/2000[25], attestante che l'altro genitore non fosse in congedo negli stessi giorni per il medesimo motivo.
Il nuovo testo del comma
1 prevede l’obbligo, a carico del lavoratore e della lavoratrice,come precisato nel corso dell’esame al Senato, ai
fini della fruizione del congedo richiamato, di comunicare direttamente al medico,
all'atto della compilazione del certificato di malattia figli, le proprie generalità allo scopo di usufruire
del congedo medesimo, come specificato nel corso dell’esame al Senato.
Infine, sempre nel corso dell’esame al Senato, è stato aggiunto il comma
3-bis all’articolo 51 del D.Lgs. 151/2001.
Il nuovo comma prevede che le disposizioni di cui al nuovo comma 1 dell’articolo 51 si applichino a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del provvedimento in esame.
Articolo 8
(Misure per l’innovazione dei sistemi di trasporto)
L’articolo 8, commi 1-3, prevede l’adozione, da parte delle aziende di trasporto pubblico locale, di sistemi di bigliettazione elettronica, anche interoperabili a livello nazionale, e di biglietti elettronici integrati nelle Città metropolitane.
I commi 4-9 dettano disposizioni di recepimento della direttiva 2010/40/UE, sulla diffusione dei sistemi di trasporto intelligenti (ITS) nel settore del trasporto stradale e nelle interfacce con altri modi di trasporto.
Il comma 5-bis, inserito nel corso dell’esame presso il Senato, consente ai dipendenti dei concessionari stradali e autostradali e dei soggetti affidatari del servizio di riscossione dei pedaggi, di prevenire e accertare le violazioni dell’obbligo di pagamento del pedaggio.
I commi 9-bis e 9-ter, inserito nel corso dell’esame presso il Senato, prevedono l’istituzione del Comitato tecnico permanente per la sicurezza dei sistemi di trasporto ad impianti fissi, che svolgerà le funzioni precedentemente attribuite alla Commissione interministeriale di cui alla legge n. 410/1949, sulla riattivazione dei pubblici servizi di trasporto in concessione.
Il comma 9-quater, inserito nel corso dell’esame presso il Senato, consente all’ente proprietario della strada, in determinate circostanze, di prescrivere l'utilizzo esclusivo di pneumatici invernali.
I commi 10-17 dettano disposizioni di recepimento della direttiva 2010/65/UE
relativa alle formalità di dichiarazione delle navi in arrivo o in partenza da porti
degli Stati membri e sostituiscono l’articolo 179 del codice della navigazione.
Il comma 1 contiene una norma di carattere programmatico, rivolta alle aziende di trasporto pubblico locale, relativamente all’adozione di sistemi di bigliettazione elettronica interoperabili a livello nazionale. Nel corso dell’esame presso il Senato è stato approvato un emendamento con il quale si stabilisce che dovrà essere promossa anche l’adozione di biglietti elettronici integrati nelle Città metropolitane. Le previsioni del comma 1 sono finalizzate al miglioramento dei servizi ai cittadini nel settore del trasporto pubblico locale e alla riduzione di costi connessi all’emissione dei biglietti cartacei.
Il comma 2 demanda a un decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e del Ministro delegato per l’innovazione tecnologica le regole tecniche necessarie al fine di attuare quanto disposto dal comma 1, anche gradualmente e nel rispetto delle soluzioni esistenti.
Il decreto dovrà essere emanato entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sentita la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del D.Lgs. n. 281/1997[26] ed in coerenza con il D.Lgs. n. 82/2005[27].
Il comma 3, novellato nel corso dell’esame presso il Senato, con disposizione di carattere programmatico, stabilisce che le aziende di trasporto pubblico locale e le amministrazioni interessate, anche in deroga alle normative nazionali di settore, consentono l’utilizzo della bigliettazione elettronica anche attraverso l'addebito diretto sul credito telefonico,[28] nel rispetto del limite di spesa per ciascun biglietto acquistato, ovvero senza costi aggiuntivi, tramite qualsiasi dispositivo di telecomunicazione. Il titolo digitale del biglietto è consegnato sul dispositivo di comunicazione.
Il comma 4 detta disposizioni di recepimento, nell’ordinamento nazionale, della direttiva 2010/40/UE[29] sulla diffusione dei sistemi di trasporto intelligenti (ITS) nel settore del trasporto stradale e nelle interfacce con altri modi di trasporto, dettando i seguenti settori di intervento, costituenti obiettivi prioritari per la diffusione e l’utilizzo, in modo coordinato e coerente, di sistemi di trasporto intelligenti sul territorio nazionale:
a) uso ottimale dei dati relativi alle strade, al traffico e alla mobilità;
b) continuità dei servizi ITS di gestione del traffico e del trasporto merci;
c) applicazioni ITS per la sicurezza stradale e la sicurezza del trasporto;
d) collegamento telematico tra veicoli e infrastruttura di trasporto.
La direttiva 2010/40/UE - che si compone di 20 articoli e 2 allegati – istituisce un quadro a sostegno della diffusione e dell'utilizzo di sistemi di trasporto intelligenti (ITS) nell’ambito dell’Unione europea, mediante azioni specifiche all’interno di settori prioritari, illustrati all’interno della direttiva stessa (articolo 1).
I sistemi di trasporto intelligenti sono definiti dall’articolo 4 quali sistemi in cui sono applicate tecnologie dell'informazione e della comunicazione, nel settore del trasporto stradale, infrastrutture, veicoli e utenti compresi, e nella gestione del traffico e della mobilità.
I settori prioritari ai quali dovranno applicarsi le azioni specifiche, indicati dall’articolo 2, sono:
I. l'uso ottimale dei dati relativi alle strade, al traffico e alla mobilità;
II. la continuità dei servizi ITS di gestione del traffico e del trasporto merci;
III. le applicazioni ITS per la sicurezza stradale e per la sicurezza (security) del trasporto;
IV. il collegamento tra i veicoli e l'infrastruttura di trasporto.
In tale ambito, costituiscono azioni prioritarie, ai sensi dell’articolo 3:
a) la predisposizione di servizi di informazione sulla mobilità multimodale;
b) la predisposizione di servizi di informazione sul traffico in tempo reale;
c) i dati e le procedure per la comunicazione gratuita agli utenti, ove possibile, di informazioni minime universali sul traffico connesse alla sicurezza stradale;
d) la predisposizione armonizzata di un servizio elettronico di chiamata di emergenza (eCall) interoperabile;
e) la predisposizione di servizi d'informazione per aree di parcheggio sicure per gli automezzi pesanti e i veicoli commerciali;
f) la predisposizione di servizi di prenotazione per aree di parcheggio sicure per gli automezzi pesanti e i veicoli commerciali.
L’articolo
5 prevede che gli Stati membri adottano le misure necessarie per garantire che le
specifiche, adottate dalla Commissione ai sensi dell'articolo 6, siano applicate
agli ITS all'atto della loro diffusione, conformemente ai principi di cui all'Allegato
II, fermo restando il diritto di ciascuno Stato membro di decidere sulla diffusione
delle applicazioni e dei servizi ITS nel suo territorio.
Secondo l’articolo 6, la Commissione adotta, entro il 27 febbraio 2013, le specifiche necessarie ad assicurare la compatibilità, l'interoperabilità e la continuità per la diffusione e l'utilizzo operativo degli ITS inizialmente per le azioni prioritarie.
La direttiva prevede inoltre, all’articolo 7, che la Commissione possa adottare atti delegati, per quanto riguarda le specifiche, in conformità alle disposizioni della direttiva.
E’ ancora da segnalare l’articolo 10, in base al quale gli Stati membri assicurano che il trattamento dei dati personali nel quadro del funzionamento delle applicazioni e dei servizi ITS avvenga nel rispetto delle norme dell'Unione in materia di tutela dei diritti e delle libertà fondamentali delle persone, assicurando che i dati personali siano protetti contro utilizzi impropri.
Entro il 27 agosto 2011 gli Stati membri devono trasmettere alla Commissione una relazione sulle attività e sui progetti nazionali riguardanti i settori prioritari, ed entro il 27 agosto 2012 dovranno comunicare alla Commissione stessa informazioni sulle azioni nazionali previste in materia di ITS per i successivi cinque anni (articolo 17).
Gli Allegati I e II dettagliano, rispettivamente, la normativa contenuta nella direttiva sulle Azioni e settori prioritari e quella sui Principi per le specifiche e la diffusione degli ITS.
Il termine di recepimento della direttiva è stabilito al 27 febbraio 2012
(articolo 18).
La direttiva è contenuta nell’allegato B del disegno di legge comunitaria 2011[30], ove sono indicate le direttive per il cui recepimento è previsto anche il parere parlamentare sul relativo schema.
Il comma 5 demanda ai sistemi di trasporto intelligenti, nell’ambito dei settori di intervento di cui al comma 4, di garantire sul territorio nazionale:
a) la predisposizione di servizi di informazione sulla mobilità multimodale;
b) la predisposizione di servizi di informazione sul traffico in tempo reale;
c) i dati e le procedure per la comunicazione gratuita agli utenti, ove possibile, di informazioni minime universali sul traffico connesse alla sicurezza stradale;
d) la predisposizione armonizzata di un servizio elettronico di chiamata di emergenza (eCall) interoperabile;
e) la predisposizione di servizi d’informazione per aree di parcheggio sicure per gli automezzi pesanti e i veicoli commerciali;
f) la predisposizione di servizi di prenotazione per aree di parcheggio sicure per gli automezzi pesanti e i veicoli commerciali.
Il comma 6 disciplina il trattamento dei dati personali, nel quadro del funzionamento delle applicazioni e dei servizi ITS, prevedendo che esso avvenga nel rispetto della normativa comunitaria e nazionale di settore, incoraggiando l’utilizzo di dati anonimi, per garantire la tutela della vita privata. I dati personali dovranno essere trattati solo nella misura in cui ciò sia necessario per il funzionamento delle applicazioni e dei servizi ITS.
Il comma 7, che recepisce l’articolo 11 della direttiva 2010/40/CE, prevede che le questioni relative alla responsabilità, riguardo alla diffusione ed all’utilizzo delle applicazioni e dei servizi ITS, siano trattate in conformità a quanto previsto dal diritto comunitario, inclusa, in particolare, la direttiva 85/374/CEE,[31] nonché alla legislazione nazionale di riferimento.
Il comma 8 impone il possesso di una banca dati relativa all’infrastruttura e al servizio di propria competenza, da tenere costantemente aggiornata, agli enti proprietari ed ai gestori di infrastrutture, aree di sosta e di servizio e nodi intermodali.
Nel corso dell’esame presso il Senato è stato approvato un emendamento, il quale prevede che la banca dati deve essere consultabile, fatta salva la previsione di eventuali limiti, come dati di tipo aperto. Stabilisce inoltre che dall’applicazione del presente comma non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
Si ricorda che l’articolo 68, comma 3, del Codice delle amministrazioni digitali (D. Lgs. n. 82/2005), come sostituito dall’articolo 9, comma 1, lettera b), del presente provvedimento definisce “dati di tipo aperto” quelli che presentano le seguenti caratteristiche:
1) sono disponibili secondo i termini di una licenza che ne permetta l'utilizzo da parte di chiunque, anche per finalità commerciali;
2) sono accessibili attraverso le tecnologie dell'informazione e della comunicazione, ivi comprese le reti telematiche pubbliche e private, in formati aperti ai sensi della lettera a), sono adatti all'utilizzo automatico da parte di programmi per elaboratori e sono provvisti dei relativi metadati;
3) resi disponibili gratuitamente attraverso le tecnologie dell'informazione e della comunicazione, ivi comprese le reti telematiche pubbliche e private, oppure sono resi disponibili ai costi marginali sostenuti per la loro riproduzione e divulgazione.
Il comma 9 demanda ad un decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con i Ministri competenti per materia, l’adozione di direttive con cui vengono stabiliti i requisiti:
§ per la diffusione, progettazione e realizzazione degli ITS;
§ per assicurare la disponibilità di informazioni gratuite di base e l'aggiornamento delle informazioni infrastrutturali e dei dati di traffico.
Il decreto stabilisce inoltre le azioni per favorire lo sviluppo degli ITS sul territorio nazionale in modo coordinato, integrato e coerente con le politiche e le attività in essere a livello nazionale e comunitario. Il decreto dovrà essere emanato entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto-legge.
Il comma 5-bis, introdotto nel corso dell’esame presso il Senato, novella il comma 11 dell’articolo 176 del D.Lgs. n. 285/1992, Codice della strada. Rispetto al testo vigente si rilevano le seguenti modifiche:
§ la disposizione si applica anche alle strade a pagamento e non solo alle autostrade;
§ si prevede espressamente che l’esazione del pedaggio possa essere effettuata mediante modalità manuale o automatizzata, anche con sistemi di telepedaggio, con o senza barriere;
§ si consente al personale dei concessionari autostradali e stradali e dei soggetti ai quali questi hanno affidato il servizio di riscossione dei pedaggi, lo svolgimento dei servizi relativi alla prevenzione e all’accertamento delle violazioni dell'obbligo di pagamento del pedaggio. Il suddetto personale, che deve superare un esame di qualificazione, può svolgere i servizi in esame in relazione alle violazioni commesse sulle autostrade oggetto della concessione; lo svolgimento di tali servizi in relazione alle violazioni commesse sulle altre autostrade è possibile previo accordo con i concessionari competenti.
Il comma 9-bis, introdotto nel corso dell’esame presso il Senato, stabilisce che il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti istituisca, con proprio decreto, il Comitato tecnico permanente per la sicurezza dei sistemi di trasporto ad impianti fissi. Il Comitato esercita anche le funzioni della Commissione interministeriale di cui all’articolo 12 della legge n. 410/1949[32] sulla riattivazione dei pubblici servizi di trasporto in concessione.
Le funzioni attualmente attribuite alla menzionata Commissione sono:
§ funzioni connesse all’applicazione della citata legge n. 410/1949;
§ espressione di parere in occasione dell’adozione, da parte del Ministro dei trasporti, di provvedimenti per l'esercizio e il potenziamento di ferrovie e di altre linee di trasporto in regime di concessione (articolo 10, secondo e terzo comma, legge 1221/1952[33]);
§ espressione di parere sui progetti di massima e sui progetti esecutivi di costruzione di ferrovie metropolitane e relative varianti (articolo 2, secondo comma, della legge n. 1042/1969[34]);
§ espressione di parere su progetti nel settore dei sistemi di trasporto rapido di massa (articolo 5, comma 2, della legge n. 211/1992)[35].
L’istituzione del Comitato non deve comportare oneri aggiuntivi per lo Stato.
Nel testo si parla di “Commissioni interministeriali”, ma si tratta di una
sola Commissione, la cui composizione varia in relazione agli argomenti trattati.
Il comma 9-ter, anch’esso introdotto nel corso dell’esame presso il Senato, stabilisce che, fino all’istituzione del Comitato di cui al comma precedente, alla Commissione interministeriale di cui all’articolo 12 della legge n. 410/1949, non si applichi l’articolo 29 del D.L. n. 223/2006.[36]
Il citato articolo 29 reca misure per il contenimento della spesa per commissioni, comitati ed altri organismi, anche monocratici, prevedendo, oltre a una riduzione della spesa del trenta per cento, rispetto a quella sostenuta nel 2005, il riordino dei suddetti organismi, anche mediante soppressione o accorpamento. Con particolare riferimento agli organismi operanti nell'ambito del Ministero dei trasporti, è stato emanato il D.P.R. 14 maggio 2007, n. 93, il quale ha previsto, all’articolo 1, comma 1, lettera h), che la citata Commissione interministeriale fosse confermata e continuasse ad operare fino al 28 luglio 2010,[37] subordinandone l’ulteriore proroga a una verifica della sua perdurante utilità.
Il comma 9-quater introduce una nuova fattispecie tra i possibili oggetti delle ordinanze che gli enti proprietari delle strade possono adottare ai sensi dell’articolo 6, comma 4 del codice della strada (D. Lgs. 285/1992)[38]. Si prevede infatti che l’ente proprietario delle strade possa prescrivere al di fuori dei centri abitati, in previsione di manifestazioni atmosferiche nevose di rilevante intensità, l'utilizzo esclusivo di pneumatici invernali, qualora non sia possibile garantire adeguate condizioni di sicurezza per la circolazione stradale e per l'incolumità delle persone mediante il ricorso a soluzioni alternative.
Si ricorda che il comma 4 dell’articolo 6 del Codice della Strada prevede che con ordinanza l’ente proprietario della strada possa:
a) disporre, per il tempo strettamente necessario, la sospensione della circolazione di tutte o di alcune categorie di utenti per motivi di incolumità pubblica ovvero per urgenti e improrogabili motivi attinenti alla tutela del patrimonio stradale o ad esigenze di carattere tecnico;
b) stabilire obblighi, divieti e limitazioni di carattere temporaneo o permanente per ciascuna strada o tratto di essa, o per determinate categorie di utenti, in relazione alle esigenze della circolazione o alle caratteristiche strutturali delle strade;
c) riservare corsie, anche protette, a determinate categorie di veicoli, anche con guida di rotaie, o a veicoli destinati a determinati usi;
d) vietare o limitare o subordinare al pagamento di una somma il parcheggio o la sosta dei veicoli;
e) prescrivere che i veicoli siano muniti ovvero abbiano a bordo mezzi antisdrucciolevoli o pneumatici invernali idonei alla marcia su neve o su ghiaccio;
f) vietare temporaneamente la sosta su strade o tratti di strade per esigenze di carattere tecnico o di pulizia, rendendo noto tale divieto con i prescritti segnali non meno di quarantotto ore prima ed eventualmente con altri mezzi appropriati.
Il comma 9-quater dell’art. 8 in commento aggiunge a tali fattispecie una nuova lett. f-bis) che prevede la possibilità, da parte dell’ente proprietario della strada, di prescrivere, sempre con ordinanza, l’utilizzo esclusivo di pneumatici invernali in previsione di manifestazioni atmosferiche nevose di particolare intensità.
La norma pone peraltro una condizione: che non sia possibile garantire adeguate condizioni di sicurezza per la circolazione stradale e per l’incolumità delle persone mediante il ricorso a soluzioni alternative. A tale proposito si ricorda che, come previsto dalla lett. e) sopra citata, rimane comunque vigente la possibilità di prescrivere anche le catene da neve (definiti nell’art. 6 del Codice come “mezzi antisdrucciolevoli”). Pertanto la prescrizione dell’obbligo dell’uso esclusivo dei pneumatici invernali sembrerebbe quindi limitata a casi particolarmente gravi.
Per quanto riguarda le sanzioni, si applicherebbe, in base al comma 14 dell’art. 6, la stessa sanzione amministrativa prevista in generale per chi viola le disposizioni del comma 4, consistente nel pagamento di una somma da euro 80 a euro 318.
Si ricorda che la Direttiva 92/23/CE[39], relativa agli pneumatici dei veicoli a motore e dei loro rimorchi nonché al loro montaggio, definisce come “pneumatico da neve" uno pneumatico in cui la scolpitura del battistrada e la struttura sono concepite in modo particolare per garantire sul fango e nella neve fresca o bagnata un comportamento migliore di quello dei pneumatici normali. La scolpitura del battistrada dei pneumatici da neve è caratterizzata in linea di massima da intagli e/o da rilievi più spaziati gli uni dagli altri rispetto ai pneumatici normali. Sugli pneumatici da neve devono figurare le lettere "M+S "(oppure "M.S" o "M & S"). Le gomme con marcatura M+S sono quindi pneumatici particolarmente adatti per pioggia, neve sciolta e fango e basse temperature e inadatti per uso ad alte temperature ed all´asciutto, che esonerano dall’obbligo di montare pneumatici invernali puri o catene da neve. Tale marcatura non sempre coincide con quella, prevista nel mercato americano e presente su molti pneumatici invernali, del simbolo del fiocco di neve (snowflake) incorniciato dalla sagoma di una montagna, che si trova sul fianco esterno (o spalla) della ruota. Accanto alla marcatura, ovvero alle scritte indicanti la misure caratteristiche della gomma, deve esserci anche la dicitura M+S (o MS, M/S, M-S, M&S), indispensabile per l’omologazione europea di ogni pneumatico per essere definito invernale.Quindi il simbolo M+S è sinonimo di pneumatico invernale, mentre il fiocco di neve è considerato aggiuntivo e non obbligatorio.
Per quanto riguarda gli “enti proprietari delle strade” che possono emettere le ordinanze in questione, ai sensi dell’articolo 6, comma 5, del Codice della strada, si tratta dei seguenti:
§ per le strade e le autostrade statali, dal capo dell'ufficio periferico dell'A.N.A.S. competente per territorio;
§ per le strade regionali, dal presidente della giunta;
§ per le strade provinciali, dal presidente della provincia;
§ per le strade comunali e le strade vicinali, dal sindaco.
Le strade statali sono in realtà oggetto di un rapporto concessorio tra lo Stato ed A.N.A.S, qualificabile come società in house e concessionario ex lege, mentre le autostrade sono oggetto di un rapporto concessorio tra A.N.A.S soggetto concedente per conto dello Stato (al quale dovrebbe ora subentrare, in base all’articolo 36 del decreto-legge n. 98/2011, l’Agenzia per le infrastrutture stradali e autostradali, ma al riguardo cfr. scheda di lettura art. 34) e soggetti privati terzi, concessionari della rete.
Si segnala infine che una disposizione di tenore analogo risulta inserita nel progetto di legge C. 4662 e abb.-A, recante Delega al Governo per la riforma del codice della strada, non ancora esaminata dall’Assemblea della Camera. In particolare il principio di delega di cui all’articolo 2, comma 2, lettera m) prescrive, nell’attuazione della delega, la “previsione di apposite disposizioni riguardanti la circolazione dei veicoli sulla rete autostradale nel periodo invernale, in presenza di manifestazioni atmosferiche di particolare intensità, al fine di preservare l’incolumità degli utenti e di garantire idonei livelli di circolazione veicolare, attribuendo, esclusivamente in tal caso, all’ente proprietario o al concessionario di autostrade la facoltà di imporre l’utilizzo di pneumatici invernali, ove non sia possibile garantire adeguate condizioni di sicurezza mediante il ricorso a soluzioni alternative”. Tale principio di delega contempla tuttavia la possibilità che a prescrivere l’utilizzo dei pneumatici invernali siano non solo gli enti proprietari delle strade, ma anche gli enti concessionari.
I commi 10-17 dettano disposizioni di recepimento, nell’ordinamento nazionale, della direttiva 2010/65/UE[40] relativa alle formalità di dichiarazione delle navi in arrivo o in partenza da porti degli Stati membri.
La direttiva 2010/65/UE del 20 ottobre 2010 è finalizzata alla semplificazione e all’armonizzazione delle procedure amministrative applicate ai trasporti marittimi, attraverso l’uso generalizzato della trasmissione elettronica delle informazioni e la razionalizzazione delle formalità di dichiarazione.
Ai fini della direttiva, per formalità di dichiarazione si intendono le informazioni, elencate nell’allegato, che devono essere fornite, per fini amministrativi e procedurali, dai comandati (o da altre persone abilitate dall’armatore) alle autorità competenti, designate dai singoli Stati membri.
Le informazioni sono fornite su formulari standard (denominati nella direttiva formulari FAL), conformi alla Convenzione sulla facilitazione del traffico marittimo internazionale dell’Organizzazione marittima internazionale (IMO), adottata il 9 aprile 1965 (c.d. Convenzione FAL).
Per l’adempimento delle formalità di dichiarazione si dovrà adottare il formato elettronico, al più tardi entro il 1° giugno 2015. Entro il medesimo termine la trasmissione delle formalità dovrà avvenire attraverso un’interfaccia unica che collega anche SafeSeaNet (per la cui definizione si veda oltre), la dogana elettronica e altri sistemi elettronici, in modo tale che le informazioni siano dichiarate una solo volta e messe a disposizione delle diverse autorità competenti (articolo 5). Si prevede inoltre lo scambio di informazioni tra Stati membri, da realizzare attraverso il sistema SafeSeaNet (articolo 6).
La direttiva si applica alle formalità di dichiarazione alle quali sono tenute le navi in arrivo o in partenza da porti degli Stati membri. Sono esentate le navi che:
§ rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva 2002/59/CE[41];
§ operano tra porti situati sul territorio doganale dell’Unione;
§ non provengono, non fanno scalo o non si recano in un porto situato al di fuori dell’Unione o in una zona franca (articolo 9).
L’articolo 8 impone agli Stati membri di adottare le misure necessarie per garantire la riservatezza delle informazioni commerciali e riservate, che siano state fornite in conformità alla direttiva.
Gli articoli da 10 a 13 disciplinano le procedure di modifica dell’allegato della direttiva, attribuendo alla Commissione il potere di adottare atti delegati, per garantire che si tenga conto delle eventuali modifiche ai formulari FAL, che dovessero essere introdotte dall’Organizzazione marittima internazionale (IMO) La direttiva 2010/65/UE abroga la direttiva 2002/6/CE[42], anch’essa relativa alle formalità di dichiarazione delle navi. La nuova direttiva si differenzia dalla precedente per la previsione dell’uso generalizzato della trasmissione elettronica delle informazioni.
Il termine di recepimento della direttiva è fissato al 19 maggio 2012.
La direttiva è contenuta nell’allegato B del citato disegno di legge comunitaria 2011[43], ove sono indicate le direttive per il cui recepimento è previsto anche il parere parlamentare sul relativo schema.
Il comma 10 stabilisce che le procedure amministrative, relative alle navi, in arrivo o in partenza dai porti nazionali, che svolgono traffico di cabotaggio o internazionale nell’ambito dell’Unione europea o che provengono o sono dirette in porti situati al di fuori dell’UE, siano effettuate con il ricorso ai seguenti sistemi:
a) SafeSeaNet: sistema dell’Unione europea per lo scambio di dati marittimi di cui all’articolo 2, comma 1, lettera t-bis, del D.Lgs. n. 196/2005,[44] SafeSeaNet è un sistema per lo scambio in formato elettronico di informazioni relative alla sicurezza portuale e marittima, alla protezione dell’ambiente marino e all’efficienza del traffico e del trasporto marittimi;
b) PMIS, Port management Information System: sistema informativo per la gestione amministrativa delle attività portuali, di cui all’articolo 14-bis del citato D.Lgs n. 196/2005. PMIS è un portale per lo scambio telematico di dati via web, già in sperimentazione in più porti nazionali, che dovrà costituire il canale ordinario di scambio delle informazioni relative alle attività di carattere commerciale.
Nel corso dell’esame presso il Senato è stato approvato un emendamento nel quale si specifica che dovranno essere assicurati la semplificazione delle procedure ed appropriati livelli di interoperatività tra i diversi sistemi pubblici, che operano nell'ambito logistico trasportistico, secondo quanto indicato al successivo comma 13. Dall'applicazione del presente comma 10 non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica
Il comma 11 sostituisce l’articolo 179 del Codice della navigazione (Nota di informazioni all’autorità marittima).
Il nuovo testo (in neretto le modifiche rispetto al testo previgente) al primo comma, dispone che all’arrivo della nave in porto e prima della partenza, il comandante della nave o il raccomandatario marittimo o altro funzionario o persona autorizzata dal comandante fanno pervenire (il testo previgente recita “devono far pervenire”), anche in formato elettronico, all’autorità marittima (in luogo del comandante del porto o l'autorità consolare) i formulari, in appresso indicati, di cui alla Convenzione FAL dell’IMO adottata il 9 aprile 1965, come recepita nell’ambito dell’Unione europea:
§ formulario FAL n. 1 dichiarazione generale;
§ formulario FAL n. 2 dichiarazione di carico (non prevista nel testo previgente);
§ formulario FAL n. 3 dichiarazione delle provviste di bordo;
§ formulario FAL n. 4 dichiarazione degli effetti personali dell’equipaggio;
§ formulario FAL n. 5 ruolo dell’equipaggio;
§ formulario FAL n. 6 elenco dei passeggeri (il testo previgente limita l’obbligo alle navi certificate per trasportare un massimo di 12 passeggeri);
§ formulario FAL n. 7 dichiarazione merci pericolose a bordo;
§ dichiarazione sanitaria marittima (non prevista nel testo previgente).
Nell’elenco dei passeggeri (formulario FAL n. 6) devono essere indicati gli estremi dei documenti di identità validi per l’ingresso nel territorio dello Stato per i passeggeri che non siano cittadini di Stati membri dell’UE (secondo comma).
Il terzo comma è nuovo rispetto al testo previgente e dispone che la comunicazione delle informazioni di cui al primo comma avviene con un anticipo di almeno ventiquattro ore o al momento in cui la nave lascia il porto precedente, qualora la navigazione sia di durata inferiore alle ventiquattro ore. Qualora, alla partenza della nave, non è noto il porto di scalo o esso cambi nel corso del viaggio, il comandante della nave invia le informazioni di cui al primo comma senza ritardo, non appena sia noto il porto di destinazione.
Il quarto comma prevede che all’arrivo in porto, il comandante della nave comunica all’Autorità marittima eventuali ulteriori dati richiesti in base alla normativa vigente in ambito UE ed ogni altra informazione da rendersi in ottemperanza ad altre disposizioni legislative o regolamentari di carattere speciale. Prima della partenza, il comandante della nave inoltra all’autorità marittima una dichiarazione integrativa relativa all’avvenuto adempimento di ogni obbligo di sicurezza, di polizia, sanitario, fiscale, contrattuale e statistico.
Il quinto comma dispone che il comandante di una nave diretta in un porto estero, inoltra le informazioni di cui al primo comma all’autorità consolare (sono soppresse le disposizioni nel caso di chiusura del consolato). In caso di inesistenza di uffici consolari presso il porto di destinazione, le informazioni vengono rese presso l’autorità consolare più prossima al porto di arrivo (sono soppresse le disposizioni nel caso di assenza del consolato).
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, con proprio decreto, adotta le modifiche tecniche ai formulari FAL recepiti dall’Unione europea (tale previsione è assente nel testo previgente) e regola gli adempimenti cui sono tenute le navi addette ai servizi locali, alla pesca, alla navigazione da diporto o di uso privato, nonché per altre categorie di navi adibite a servizi particolari.
Il comma 12 dell’articolo 8 in esame prevede che l’inoltro delle dichiarazioni di cui all’articolo 179 del codice della navigazione, come modificato dal precedente comma 11, non esime il comandante della nave dall’osservanza dell’obbligo di inoltrare ogni altra comunicazione prescritta dalla normativa comunitaria o nazionale di attuazione di strumenti giuridici internazionali.
Il comma 13 demanda a un decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con i Ministri dell’interno e dell’economia e delle finanze, la definizione delle modalità per la trasmissione elettronica dei dati di cui ai formulari FAL con l’implementazione dell’interfaccia unica costituita dal sistema PMIS, assicurando l’interoperabilità dei dati immessi nel sistema PMIS con il Safe Sea Net e, in base a quanto stabilito da un emendamento approvato nel corso dell’esame presso il Senato, con il Sistema Informativo delle Dogane, per quanto riguarda gli aspetti di competenza doganale. Dovrà inoltre essere assicurata la piena accessibilità delle informazioni alle altre autorità competenti, ai sensi dell’articolo 9 del citato D.Lgs. n. 196/2005, e agli Stati membri dell’Unione europea.
Nel corso dell’esame presso il Senato è stato approvato un emendamento che prescrive che l’interoperatività debba essere assicurata anche rispetto alle piattaforme realizzate dalle Autorità Portuali per il miglior espletamento delle funzioni di indirizzo e coordinamento dei nodi logistici che alle stesse fanno capo. Prevede inoltre che dall'applicazione del presente comma 13 non debbono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
Il decreto ministeriale dovrà essere adottato, ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge n. 400/1988, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto.
Il comma 14 fissa la data del 1° giugno 2015 per la cessazione dell’inoltro delle informazioni in
formato cartaceo. Prevede inoltre che, fino a tale data, le informazioni contenute
nei formulari FAL numeri 2, 5 e 6 e la dichiarazione sanitaria siano inoltrate dal comandante della nave anche all’autorità doganale, all’autorità
di pubblica sicurezza di frontiera ed all’autorità sanitaria, competenti per il porto di arrivo
Il comma 15 esclude dall’obbligo di comunicazione del formulario FAL n. 2 (dichiarazione di carico) le navi soggette al regime di monitoraggio di cui al citato D.Lgs. n. 196/2005, che operano tra porti situati sul territorio doganale dell’Unione, non provenienti da un porto situato al di fuori del territorio dell’Unione o da una zona franca soggetta alle modalità di controllo di tipo I ai sensi della legislazione doganale, e che non vi fanno scalo, né vi si recano.
Restano fermi gli obblighi di comunicazioni previsti dagli altri formulari FAL di cui all’articolo 179 del codice della navigazione e la comunicazione di ogni altro dato necessario a tutela dell’ordine e la sicurezza pubblica ed in ottemperanza della normativa doganale, fiscale, di immigrazione, di tutela dell’ambiente o sanitaria.
Il comma 16 prevede l’applicazione del D.Lgs. n. 196/2003[45] per il trattamento dei dati e delle informazioni commerciali comunicati ai sensi del presente articolo.
Il comma 17 infine abroga il D.Lgs. n. 335/2004,[46] recante attuazione della direttiva 2002/6/CE, sulle formalità di dichiarazione delle navi in arrivo o in partenza da porti degli Stati membri della Comunità, che è stata a sua volta abrogata dalla direttiva 2010/65/CE.
Documenti all’esame delle Istituzioni dell’UE
(a cura dell’Ufficio
rapporti con l’Unione Europea)
Il Consiglio trasporti informale del 17 luglio 2012 ha concordato sulla necessità di incentivare ed ottimizzare l’applicazione delle tecnologie delle comunicazioni e delle informazioni al settore dei trasporti (cosiddetti trasporti intelligenti - ITS) al fine di promuovere la crescita economica e la mobilità sostenibile. Il Consiglio ha tra l’altro evidenziato l’importanza di promuovere biglietterie integrate e pianificatori di viaggio multimodali a livello paneuropeo per favorire la prenotazione online dei viaggi in tutta l’UE, combinando varie modalità di trasporto.
Il 30 agosto la Commissione europea ha adottato una comunicazione (COM(2012)474) sull’attuazione del servizio europeo di telepedaggio (SET) previsto dalla decisione 2009/750/CE. La Commissione rileva che a causa dello scarso impegno degli Stati membri e delle parti interessate il SET, che dovrà essere complementare ai servizi nazionali, non è ancora operativo. Invita pertanto le parti interessate a: accelerare l’attuazione uniforme della suddetta decisione; realizzare in un primo momento l’interoperabilità dei sistemi di telepedaggio a livello transfrontaliero per poi estenderla gradualmente a tutte le infrastrutture stradali soggette a pedaggio nell’UE; assicurare la conformità ai requisiti previsti per il SET al momento di avviare nuovi progetti o di rinnovare le concessioni.
Procedure di contenzioso
(a cura dell’Ufficio
rapporti con l’Unione Europea)
Il 23 marzo 2012 la Commissione europea ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora (procedura n. 2012/0197) per non aver comunicato le misure di recepimento della direttiva 2010/40/UE sulla diffusione dei sistemi di trasporto intelligenti (ITS) nel settore del trasporto stradale e nelle interfacce con altri modi di trasporto. Il termine di recepimento era il 27 febbraio 2012.
Il 18 luglio 2012 la Commissione europea ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora (procedura n. 2012/0280) per non aver comunicato le misure di recepimento della direttiva 2010/65/UE relativa alle formalità di dichiarazione delle navi in arrivo o in partenza da porti degli Stati membri. Il termine di recepimento era il 19 maggio 2012.
Articolo 9
(Documenti informatici, dati di tipo aperto
e inclusione digitale)
L’articolo 9 reca una serie di novelle al Codice dell'amministrazione digitale (D.Lgs. n. 82/2005) volte a integrare la disciplina concernente:
§ il documento informatico sottoscritto con firma elettronica;
§ l’accesso telematico e la riutilizzazione di dati e documenti delle pubbliche amministrazioni nonché gli obiettivi delle politiche di valorizzazione del patrimonio informativo pubblico curate dall’Agenzia per l'Italia Digitale ;
§ l’acquisizione di programmi informatici a seguito di una valutazione comparativa di tipo tecnico ed economico;
§ l'accessibilità, anche da parte dei soggetti disabili, agli strumenti informatici.
In primo luogo le lettere 0a) e 0b) del comma 1, introdotte in sede referente al Senato, novellano l'articolo 21 (Documento informatico sottoscritto con firma elettronica) del CAD, precisando che l'utilizzo del dispositivo di firma elettronica qualificata o digitale si presume riconducibile al titolare, salvo che questi dia prova contraria. Viene inoltre specificato che gli atti per i quali la legge prevede il requisito della forma scritta, ai sensi dell'art. 1350, primo comma, n. 13, c.c. soddisfano comunque tale requisito se sottoscritti con firma elettronica avanzata, qualificata o digitale.
La lettera 0c) sostituisce il comma 5 dell’art. 23-ter (Documenti amministrativi informatici) introducendo la possibilità di apporre sulle copie analogiche di documenti amministrativi informatici un contrassegno, che sostituisce a tutti gli effetti di legge la sottoscrizione autografa, tramite il quale è possibile ottenere il documento informatico o verificare la corrispondenza dello stesso alla copia analogica.
Il comma 1, alla lettera a), riscrive integralmente l'articolo 52 del Codice come da tabella sotto riportata.
D.Lgs. 7 marzo
2005, n. 82 Codice dell'amministrazione
digitale |
D.L. 18 ottobre
2012 n. 179 Ulteriori
misure urgenti per la crescita del Paese |
|
|
Articolo 52 |
Articolo 52 |
Accesso telematico
e riutilizzazione dei dati e documenti delle pubbliche amministrazioni |
Accesso telematico
e riutilizzo dei dati delle pubbliche amministrazioni |
1. L'accesso telematico a dati, documenti e procedimenti
è disciplinato dalle pubbliche amministrazioni secondo le disposizioni del presente
codice e nel rispetto delle disposizioni di legge e di regolamento in materia
di protezione dei dati personali, di accesso ai documenti amministrativi, di tutela
del segreto e di divieto di divulgazione. I regolamenti che disciplinano l'esercizio
del diritto di accesso sono pubblicati su siti pubblici accessibili per via telematica.
|
1. L'accesso telematico a dati, documenti e procedimenti
e il riutilizzo dei dati e documenti
e' disciplinato dai soggetti di cui all'articolo
2, comma 2, secondo le disposizioni del presente codice e nel rispetto della normativa vigente, fatti salvi i dati
presenti in Anagrafe tributaria. Le
pubbliche amministrazioni pubblicano nel proprio sito web, all'interno
della sezione "Trasparenza, valutazione e merito", il catalogo dei dati,
dei metadati e delle relative banche dati in loro possesso e i regolamenti che
ne disciplinano l'esercizio della facoltà di accesso telematico e il riutilizzo,
fatti salvi i dati presenti in Anagrafe tributaria. |
|
|
|
|
|
|
|
2. I dati e
i documenti che le amministrazioni titolari pubblicano, con qualsiasi modalità,
senza l'espressa adozione di una licenza di cui all'articolo 2, comma 1, lettera
h), del decreto legislativo 24 gennaio 2006, n. 36, si intendono rilasciati come
dati di tipo aperto ai sensi all'articolo 68, comma 3, del presente Codice. L'eventuale
adozione di una licenza di cui al citato articolo 2, comma 1, lettera h), e' motivata
ai sensi delle linee guida nazionali di cui al comma 7. |
|
3. Nella definizione
dei capitolati o degli schemi dei contratti di appalto relativi a prodotti e servizi
che comportino la raccolta e la gestione di dati pubblici, le pubbliche amministrazioni
di cui all'articolo 2, comma 2, prevedono clausole idonee a consentire l'accesso
telematico e il riutilizzo, da parte di persone fisiche e giuridiche, di tali
dati, dei metadati, degli schemi delle strutture di dati e delle relative banche
dati. |
|
4. Le attività
volte a garantire l'accesso telematico e il riutilizzo dei dati delle pubbliche
amministrazioni rientrano tra i parametri di valutazione della performance dirigenziale
ai sensi dell'articolo 11, comma 9, del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n.
150. |
|
5. L'Agenzia
per l'Italia digitale promuove le politiche di valorizzazione del patrimonio informativo
pubblico nazionale e attua le disposizioni di cui al capo V del presente Codice.
|
|
6. Entro il
mese di febbraio di ogni anno l'Agenzia trasmette al Presidente del Consiglio
dei Ministri o al Ministro delegato per l'innovazione tecnologica, che li approva
entro il mese successivo, un' Agenda nazionale in cui definisce contenuti e gli
obiettivi delle politiche di valorizzazione del patrimonio informativo pubblico
e un rapporto annuale sullo stato del processo di valorizzazione in Italia; tale
rapporto e' pubblicato in formato aperto sul sito istituzionale della Presidenza
del Consiglio dei Ministri. |
|
7. L'Agenzia
definisce e aggiorna annualmente le linee guida nazionali che individuano gli
standard tecnici, compresa la determinazione delle ontologie dei servizi e dei
dati, le procedure e le modalità di attuazione delle disposizioni del Capo V del
presente Codice con l'obiettivo di rendere il processo omogeneo a livello nazionale,
efficiente ed efficace. Le pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 2, comma
2, del presente Codice si uniformano alle suddette linee guida. |
|
8. Il Presidente
del Consiglio o il Ministro delegato per l'innovazione tecnologica riferisce annualmente
al Parlamento sullo stato di attuazione delle disposizioni del presente articolo. |
|
9. L'Agenzia
svolge le attività indicate dal presente articolo con le risorse umane, strumentali,
e finanziarie previste a legislazione vigente. |
Il sostituito articolo 52, come modificato dall’art. 36, D.Lgs. 30 dicembre 2010, n. 235; stabiliva che, l'accesso telematico a dati, documenti e procedimenti fosse disciplinato dalle pubbliche amministrazioni secondo le disposizioni del CAD e nel rispetto delle disposizioni di legge e di regolamento in materia di protezione dei dati personali, di accesso ai documenti amministrativi, di tutela del segreto e di divieto di divulgazione. Prescriveva, altresì, che i regolamenti disciplinanti l'esercizio del diritto di accesso fossero pubblicati su siti pubblici accessibili per via telematica. Inoltre, le pubbliche amministrazioni, al fine di valorizzare e rendere fruibili i dati pubblici di cui sono titolari, erano tenute a promuovere progetti di elaborazione e di diffusione degli stessi anche attraverso l'uso di strumenti di finanza di progetto, assicurando il rispetto dei principi contenuti nell'art. 54, recante "Contenuto dei siti delle pubbliche amministrazioni", che al comma 3 prevede che i dati pubblici contenuti nei siti delle pubbliche amministrazioni siano fruibili in rete gratuitamente e senza necessità di identificazione informatica. Le pubbliche amministrazioni assicurano, altresì, che la pubblicazione dei dati e dei documenti in formati aperti ex art. 68 "Analisi comparativa delle soluzioni", che, nei rispettivi commi 3 e 4, stabilisce che, per formato dei dati di tipo aperto si intende un formato dati reso pubblico e documentato esaustivamente e che la DigitPA istruisce e aggiorna, con periodicità almeno annuale, un repertorio dei formati aperti utilizzabili nelle pubbliche amministrazioni e delle modalità di trasferimento dei formati.
Secondo il capoverso 1 del nuovo articolo 52, modificato nel corso dell’esame al Senato, l’accesso telematico a dati, documenti e procedimenti e il riutilizzo dei dati e documenti, fatti salvi i dati presenti in Anagrafe tributaria, è disciplinato dai soggetti di cui all’art. 2, comma 2, del CAD e quindi identificati come "pubblica amministrazione" nonché dalle società, interamente partecipate da enti pubblici o con prevalente capitale pubblico inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT).
Per una disamina completa si veda l’elenco
delle amministrazioni inserite nel conto economico individuate ai sensi dell’art.
1, comma 3 della L. 196/2009 da ultimo pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del
28 settembre 2012, n. 227.
Per rendere operative le predette disposizioni si prevede che le pubbliche amministrazioni pubblicano nel proprio sito web, all'interno della sezione "Trasparenza, valutazione e merito", il catalogo dei dati, dei metadati e delle relative banche dati in loro possesso e i regolamenti che ne disciplinano l'esercizio della facoltà di accesso telematico e il riutilizzo.
Al riguardo, il comma 3 dell’articolo in commento, stabilisce che, in sede di prima applicazione, la pubblicazione di tali regolamenti avvenga entro 120 giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge in esame.
Ai sensi del capoverso 2, i dati e i documenti che le amministrazioni titolari pubblicano, con qualsiasi
modalità, senza l’espressa adozione di una licenza, si intendono rilasciati come dati
di tipo aperto.
Per ciò che concerne i documenti ed i dati già pubblicati, il comma 3 dell’articolo in commento, stabilisce che i termini di cui al predetto capoverso 2, sono stabiliti in novanta giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione del decreto.
La definizione di licenza standard per il riutilizzo è fornita dall'articolo 2, comma 1, lettera h), del decreto legislativo 24 gennaio 2006, n. 36[47], in base al quale, per licenza standard per il riutilizzo è da intendersi il contratto, o altro strumento negoziale, redatto ove possibile in forma elettronica, nel quale sono definite le modalità di riutilizzo dei documenti delle pubbliche amministrazioni o degli organismi di diritto pubblico.
L’eventuale adozione di un
tale tipo di licenza - prosegue il capoverso - è motivata ai sensi delle linee guida
nazionali di cui al successivo comma 7, che individuano gli standard tecnici, compresa
la determinazione delle ontologie dei servizi e dei dati, le procedure e le modalità
di attuazione delle disposizioni del Capo V del Codice, che definisce i dati delle
pubbliche amministrazioni e i servizi in rete con l’obiettivo di rendere il processo
omogeneo a livello nazionale, efficiente ed efficace.
Il capoverso 3 stabilisce che, nella definizione dei capitolati o degli schemi dei contratti di appalto relativi a prodotti e servizi che comportino la raccolta e la gestione di dati pubblici, le pubbliche amministrazioni prevedono clausole idonee a consentire l’accesso telematico e il riutilizzo da parte di persone fisiche e giuridiche, di tali dati, dei metadati, degli schemi delle strutture di dati e delle relative banche dati.
Il capoverso 4 , inserisce tra i parametri di valutazione della prestazione dei dirigenti le attività volte ad assicurare l'accesso telematico e il riutilizzo dei dati delle pubbliche amministrazioni, secondo quanto previsto dalle disposizioni dell'articolo 11, comma 9, del D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150.
L'articolo 11, comma 9, del citato decreto legislativo n. 150 (cd. decreto Brunetta), reca disposizioni in materia di trasparenza e prevede che, in caso di mancata adozione e realizzazione del Programma triennale per la trasparenza e l'integrità o di mancato assolvimento degli obblighi di pubblicazione di cui ai commi 5 e 8, è fatto divieto di erogazione della retribuzione di risultato ai dirigenti preposti agli uffici coinvolti.
Il capoverso 5 assegna all’Agenzia per l’Italia digitale il compito di promuovere le politiche di valorizzazione del patrimonio informativo pubblico nazionale attuando, altresì, le disposizioni di cui al già richiamato capo V del CAD.
Si ricorda che il D.L. 22 giugno 2012, n. 83, (Misure urgenti per la crescita del Paese), all'art. 22 prevede la soppressione di DigitPa e dell'Agenzia per la diffusione delle tecnologie per l'innovazione. Il presente articolo stabilisce che, al fine di garantire la continuità dei rapporti facenti capo agli enti soppressi, gli organi in carica alla data di approvazione del suddetto decreto continuano a svolgere le rispettive funzioni fino alla nomina del Direttore generale il quale esercita in via transitoria le funzioni svolte dagli enti soppressi e dal Dipartimento di cui all'articolo 20, comma 2, in qualità di commissario straordinario fino alla nomina degli altri organi dell'Agenzia.
Risultano quindi trasferite all'Agenzia per l'Italia digitale il personale di ruolo, le risorse finanziarie e strumentali degli enti e delle strutture compresi i connessi rapporti giuridici attivi e passivi, senza che sia esperita alcuna procedura di liquidazione, neppure giudiziale.
Ai sensi del capoverso 6, entro il mese di febbraio di ogni anno, l’Agenzia trasmette al Presidente del Consiglio o al Ministro delegato per l’innovazione tecnologica, un'Agenda nazionale che definisce i contenuti e gli obiettivi delle politiche di valorizzazione del patrimonio informativo pubblico nonché un rapporto annuale sullo stato del processo di valorizzazione in Italia che dovrà esser pubblicato in formato aperto sul sito istituzionale della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Viene, inoltre, prescritto che l'approvazione di tali documenti deve avvenire entro il mese successivo a quello della loro presentazione.
Al capoverso 7, si precisa che all’Agenzia è attribuito il compito di definire ed aggiornare, con cadenza annuale, le linee guida nazionali che individuano gli standard tecnici, compresa la determinazione delle ontologie dei servizi e dei dati, le procedure e le modalità di attuazione delle disposizioni del Capo V del CAD, al fine di rendere il processo omogeneo a livello nazionale, efficiente ed efficace. Le pubbliche amministrazioni si uniformano così alle linee guida fissate dall'Agenzia.
Il capoverso 8 attribuisce al Presidente del Consiglio o al Ministro delegato per l’innovazione tecnologica il compito di riferire annualmente al Parlamento relativamente allo stato di attuazione delle disposizioni del presente articolo.
Infine, il capoverso 9 chiarisce che l’Agenzia svolge le attività indicate dal presente articolo utilizzando le risorse umane, strumentali, e finanziarie previste a legislazione vigente.
Il comma 1, lettera b), dell'articolo in commento sostituisce le disposizioni dell'articolo 68, comma 3, del CAD come da tabella sotto riportata.
D.Lgs. 7 marzo
2005, n. 82 Codice dell'amministrazione
digitale |
D.L. 18 ottobre
2012 n. 179 Ulteriori misure
urgenti per la crescita del Paese |
Articolo 68, comma
3 |
Articolo 68, comma
3 |
Analisi comparativa delle soluzioni |
Analisi comparativa delle soluzioni |
|
|
3. Per formato dei dati di tipo aperto si intende un
formato dati reso pubblico e documentato esaustivamente. |
3. Agli effetti
del presente decreto legislativo si intende per: |
|
a) formato dei dati di tipo aperto, un formato di dati
reso pubblico, documentato esaustivamente e neutro rispetto agli strumenti tecnologici
necessari per la fruizione dei dati stessi; |
|
b) dati di tipo aperto, i dati che presentano le seguenti
caratteristiche: 1) sono disponibili
secondo i termini di una licenza che ne permetta l'utilizzo da parte di chiunque,
anche per finalità commerciali in formato disaggregato; 2) sono accessibili
attraverso le tecnologie dell'informazione e della comunicazione, ivi comprese
le reti telematiche pubbliche e private, in formati aperti ai sensi della lettera
a), sono adatti all'utilizzo automatico da parte di programmi per elaboratori
e sono provvisti dei relativi metadati; 3) sono resi
disponibili gratuitamente attraverso le tecnologie dell'informazione e della comunicazione,
ivi comprese le reti telematiche pubbliche e private, oppure sono resi disponibili
ai costi marginali sostenuti per la loro riproduzione e divulgazione. L'Agenzia
per l'Italia digitale deve stabilire, con propria deliberazione, i casi eccezionali,
individuati secondo criteri oggettivi, trasparenti e verificabili, in cui essi
sono resi disponibili a tariffe superiori ai costi marginali. In ogni caso, l’Agenzia,
nel trattamento dei casi eccezionali individuati, si attiene alle indicazioni
fornite dalla Direttiva Europea sul riutilizzo dell’Informazione Pubblica (Dir.
2003/98/CE), recepita con decreto legislativo n. 36 del 2006 |
L’ articolo 68, recante " Analisi comparativa delle soluzioni", al comma 3, stabiliva che per formato dei dati di tipo aperto dovesse intendersi un formato dati reso pubblico e documentato esaustivamente.
Il nuovo testo definisce, integrato anche in sede referente presso il Senato, in maniera più particolareggiata i dati di tipo aperto, fornendone le seguenti definizioni e caratteristiche:
a) formato dei dati di tipo aperto: un formato di dati reso pubblico, documentato esaustivamente e neutro rispetto agli strumenti tecnologici necessari per la fruizione dei dati stessi;
b) dati di tipo aperto: i dati che presentano le seguenti caratteristiche:
1) disponibili secondo i termini di una licenza che ne permetta l’utilizzo da parte di chiunque, anche per finalità commerciali in formato disaggregato;
2) accessibili attraverso le tecnologie dell'informazione e della comunicazione, ivi comprese le reti telematiche pubbliche e private, in formati aperti ai sensi della lettera a), adatti all’utilizzo automatico da parte di programmi per elaboratori e provvisti dei relativi metadati;
3)
disponibili gratuitamente attraverso le tecnologie
dell’informazione e della comunicazione (ICT), ivi comprese le reti telematiche
pubbliche e private, oppure sono resi disponibili ai costi marginali sostenuti per
la loro riproduzione e divulgazione. Si prevede, poi, che l’Agenzia per l’Italia digitale deve stabilire, con propria deliberazione,
i casi eccezionali, individuati secondo
criteri oggettivi, trasparenti e verificabili, in cui essi sono resi disponibili
a tariffe superiori ai costi marginali attenendosi alle indicazioni fornite dalla Direttiva
Europea sul riutilizzo dell’Informazione Pubblica (Dir. 2003/98/CE).
La suddetta direttiva è stata recepita con il D.Lgs. n. 36/2006 volto a disciplinare le modalità di riutilizzo dei documenti contenenti dati pubblici nella disponibilità delle pubbliche amministrazioni e degli organismi di diritto pubblico. L’articolato ha cura di specificare che le pubbliche amministrazioni e gli organismi di diritto pubblico non hanno l'obbligo di consentire il riutilizzo dei predetti documenti e che la decisione di consentire o meno tale riutilizzo spetta all'amministrazione o all'organismo interessato, salvo diversa previsione di legge o di regolamento. Nell'esercizio di tale potere le pubbliche amministrazioni o gli organismi di diritto pubblico perseguono la finalità di rendere riutilizzabile il maggior numero di informazioni, in base a modalità che assicurino condizioni eque, adeguate e non discriminatorie.
Il comma 2 dell'articolo in esame, introduce
nel testo dell'articolo 1, comma
1, del CAD, la lettera n-bis) recante
una nuova definizione di riutilizzo
dei dati da intendersi
quale uso del dato di cui all'articolo 2, comma 1, lettera e),
del decreto legislativo 24 gennaio
2006, n. 36".
L'articolo 2, comma 1, lettera e), del decreto legislativo 24 gennaio 2006, n. 36, (Attuazione della direttiva 2003/98/CE relativa al riutilizzo di documenti nel settore pubblico), definisce la materia stabilendo che per riutilizzo deve intendersi l'uso del dato di cui è titolare una pubblica amministrazione o un organismo di diritto pubblico, da parte di persone fisiche o giuridiche, a fini commerciali o non commerciali diversi dallo scopo iniziale per il quale il documento che lo rappresenta è stato prodotto nell'ambito dei fini istituzionali.
Il comma 4 reca diverse modifiche alla legge 9 gennaio 2004, n. 4[48].
In particolare la lettera a) stabilisce che, oltre a quanto già previsto dall’articolo 3, comma 1, della medesima legge, mediante il quale se ne definisce il campo di applicazione, ai “soggetti erogatori” si aggiungono tutti i coloro i quali usufruiscono di contributi pubblici o agevolazioni per l’erogazione dei propri servizi tramite sistemi informativi o internet.
La lettera b) apporta un'integrazione dell'articolo 4 (Obblighi per l'accessibilità), commi 4 e 5 della citata L. 4/2004.
Il comma 4, in particolare, stabilisce che i datori di lavoro pubblici e privati pongono a disposizione del dipendente disabile la strumentazione hardware e software e la tecnologia assistita adeguata alla specifica disabilità, anche in caso di telelavoro, in relazione alle mansioni effettivamente svolte. In base alla modifica ora apportata, si stabilisce che all'Agenzia per l'Italia digitale sia attribuito il compito di stabilire le specifiche tecniche delle suddette postazioni, nel rispetto della normativa internazionale. Si prevede, inoltre, che i datori di lavoro pubblici provvedano all'attuazione del comma 4 nell'ambito delle specifiche dotazioni di bilancio destinate - è ora specificato - alla realizzazione e allo sviluppo del sistema informatico.
Il comma 5 modifica l'articolo 4, comma 3, della legge 12 marzo 1999, n. 68[49].
Quest'ultimo, recante Criteri di computo della quota di riserva, prevede che i lavoratori disabili dipendenti occupati a domicilio o con modalità di tele-lavoro, ai quali l'imprenditore affidi una quantità di lavoro atta a procurare loro una prestazione continuativa corrispondente all'orario normale di lavoro (in conformità alla disciplina di cui all'articolo 11, secondo comma, della legge 18 dicembre 1973, n. 877[50]) e a quella stabilita dal contratto collettivo nazionale applicato ai lavoratori dell'azienda che occupa il disabile a domicilio o attraverso il tele-lavoro, siano computati ai fini della copertura della quota di riserva.
A seguito della modifica apportata è stato previsto che vengano predisposti a favore dei lavoratori disabili degli accomodamenti ragionevoli ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 1, lettera (i), della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità adottata dall’Assemblea generale il 13 dicembre 2006, ratificata e resa esecutiva dalla legge 3 marzo 2009, n. 18.
La Convenzione delle
Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità adottata dall’Assemblea
generale il 13 dicembre 2006, è stata ratificata e resa esecutiva dalla legge 3
marzo 2009, n. 18 "Ratifica ed esecuzione della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti
delle persone con disabilità, con Protocollo opzionale, fatta a New York
il 13 dicembre 2006 e istituzione dell'Osservatorio nazionale sulla condizione
delle persone con disabilità".
Il comma 5-bis, introdotto al Senato, novella l’articolo 124 del TUEL, in modo da preveder che tutte le deliberazioni degli enti locali sono rese pubbliche mediante pubblicazione nell'albo pretorio per quindici giorni consecutivi, salvo specifiche disposizioni di legge.
Il comma 6 apporta ulteriori puntuali modifiche al CAD, inserendo alcune definizioni non ancora contemplate dalla normativa vigente, con particolare riferimento al tema della accessibilità. In particolare:
§ la lettera a), tra le norme generali per l'uso delle tecnologie dell'informazione e delle comunicazioni nell'azione amministrativa, prevede il rispetto dei principi di uguaglianza e non discriminazione;
§ la lettera b) introduce l'accessibilità alle tecnologie assistive, secondo quanto previsto dall'articolo 8 della legge 9 gennaio 2004, n. 4 relativamente al processo di formazione nell'ambito delle attività per l'alfabetizzazione informatica dei pubblici dipendenti;
§ la lettera c) introduce il criterio di accessibilità dei documenti indipendentemente dalla condizione di disabilità personale;
§ la lettera d) assicura il rispetto dei requisiti tecnici di accessibilità anche per quanto attiene alla messa a disposizione da parte delle pubbliche amministrazioni per via telematica dell'elenco della documentazione richiesta per i singoli procedimenti, i moduli e i formulari validi ad ogni effetto di legge, anche ai fini delle dichiarazioni sostitutive di certificazione e delle dichiarazioni sostitutive di notorietà;
§ la lettera e) assicura che le informazioni contenute sui siti siano conformi, accessibili e corrispondenti alle informazioni contenute nei provvedimenti amministrativi originali dei quali si fornisce comunicazione tramite il sito.
§ la lettera f), garantisce il rispetto dei requisiti tecnici di accessibilità anche con riferimento alle regole tecniche dettate in conformità alle discipline risultanti dal processo di standardizzazione tecnologica a livello internazionale ed alle normative dell'Unione europea.
I commi 6-bis e 6-ter introdotti nel corso dell’esame al Senato, modificano l’art. 32 della legge n. 69 del 2009, sono volti a specificare che la pubblicazione da parte delle amministrazioni e degli enti pubblici nei propri siti informatici di atti e provvedimenti amministrativi aventi effetto di pubblicità legale deve essere effettuata nel rispetto dei principi di eguaglianza e non discriminazione nonché di accessibilità. Le disposizioni introdotte stabiliscono altresì che mancato rispetto di tali principi è un parametro rilevante ai fini della valutazione della responsabilità dei dirigenti.
In base al comma 7, modificato al Senato, entro il 31 marzo di ogni anno, le amministrazioni pubbliche sono tenute a pubblicare nel proprio sito web gli obiettivi di accessibilità per l’anno corrente nonché lo stato di attuazione del ’’piano per l’utilizzo del telelavoro’’ nella propria organizzazione, in cui identificano le modalità di realizzazione e le eventuali attività per cui non è possibile l’utilizzo del telelavoro. La redazione del piano in prima versione deve essere effettuata entro 60 giorni dalla data di conversione in legge del presente decreto-legge.
La pubblicazione è, altresì, rilevante ai fini della misurazione e valutazione della prestazione individuale dei dirigenti individuati come responsabili.
L'introduzione del telelavoro nelle amministrazioni pubbliche è stato finora scandito da una serie di atti formali con cui il legislatore prima e le parti negoziali poi hanno precisato la cornice regolativa entro cui devono essere avviate forme sperimentali di telelavoro.
Si ricorda che l’istituto è stato introdotto dall’articolo 4, comma 3 della L. 191/1998 (cd. Bassanini-ter), ed è stato successivamente disciplinato dal D.P.R. 8 marzo 1999, n. 70, il quale ha definito il telelavoro come la prestazione eseguita dal dipendente delle Amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del D.Lgs. 165/2001 (non rientra in qualsiasi luogo ritenuto idoneo, collocato al di fuori della sede di lavoro dove la prestazione sia tecnicamente possibile, con il prevalente supporto di tecnologie dell'informazione e della comunicazione, che consentano il collegamento con l'amministrazione cui la prestazione inerisce (articolo 2, comma 2).
Successivamente il 21 luglio 1999, è stato firmato l’accordo-quadro che disciplina l’utilizzo del telelavoro nel pubblico impiego. Gli aspetti più significativi dell’accordo riguardano: l’adesione volontaria, la parità di diritti e di opportunità, l’orario di lavoro, i costi, i controlli. Esso crea le premesse per una maggiore diffusione del telelavoro e conferma come l’introduzione di nuove forme di lavoro sia una delle vie seguite per aumentare l’efficienza della pubblica amministrazione.
Secondo le previsioni del comma 8, i soggetti interessati che rilevano inadempienze relative all’accessibilità dei servizi erogati dai soggetti erogatori, quali definiti dall’articolo 3, comma 1, della già citata legge 9 gennaio 2004, n. 4 (come modificato dal presente articolo), devono produrre una formale segnalazione, anche in via telematica, all’Agenzia per l’Italia digitale. Nell'ipotesi in cui reputi fondata la segnalazione, l’Agenzia richiede alle amministrazioni interessate di provvedere all’adeguamento dei servizi entro un termine non superiore a 90 giorni.
Infine, il comma 9 stabilisce che le attività volte a garantire la pubblicazione, l'accessibilità ed il riutilizzo dei dati, rientrano tra i parametri di valutazione della performance dei dirigenti pubblici. Prevede, inoltre, una responsabilità dirigenziale e disciplinare per i dirigenti che non applichino le disposizioni dei commi precedenti, anche nell'ipotesi di mancata pubblicazione degli obiettivi.
Articolo 9-bis
(Acquisizione di software da parte della
pubblica amministrazione)
L’articolo 9-bis, introdotto
nel corso dell’esame in sede referente al Senato, reca ulteriori novelle
all’articolo 68 del CAD in tema di acquisizione
di programmi informatici da parte della pubblica amministrazione.
In particolare, il comma 1 dell’art. 68 viene riscritto inserendo il richiamo ai principi di economicità e di efficienza, tutela degli investimenti, riuso e neutralità tecnologica che devono presiedere alla valutazione comparativa di tipo tecnico ed economico volta all’acquisto di programmi informatici o parti di essi da parte delle amministrazioni pubbliche. Tra le soluzioni disponibili sul mercato, oltre a quelle già previste vengono indicati:
§ i software fruibili in modalità cloud computing;
§ i software di tipo proprietario mediante ricorso a licenza d'uso.
Il comma 1-bis prevede, inoltre, che le pubbliche amministrazioni prima di procedere all'acquisto, secondo le procedure di cui al Codice dei contratti pubblici, effettuano una ulteriore valutazione comparativa delle diverse soluzioni disponibili sulla base dei seguenti criteri:
a) costo complessivo del programma o soluzione quale costo di acquisto, di implementazione, di mantenimento e supporto;
b) livello di utilizzo di formati di dati e di interfacce di tipo aperto nonché di standard in grado di assicurare l'interoperabilità e la cooperazione applicativa tra i diversi sistemi informatici della pubblica amministrazione;
c) garanzie del fornitore in materia di livelli di sicurezza, conformità alla normativa in materia di protezione dati personali, livelli di servizio tenuto conto della tipologia di software acquisito.
Il comma 1-ter stabilisce che ove dalla valutazione comparativa di tipo tecnico ed economico di cui sopra, risulti motivatamente l'impossibilità di accedere a soluzioni già disponibili all'interno della pubblica amministrazione, o a software liberi o a codici sorgente aperto, adeguati alle esigenze da soddisfare, è consentita l'acquisizione di programmi informatici di tipo proprietario mediante ricorso a licenza d'uso. La valutazione di cui al presente comma è effettuata secondo le modalità e i criteri definiti dall'Agenzia per l'Italia digitale, che, a richiesta di soggetti interessati, esprime altresì parere circa il loro rispetto.
Articolo 10
(Anagrafe nazionale degli studenti
e altre misure in materia scolastica)
L’articolo 10 reca è volto ad accelerare il processo di de materializzazione amministrativa in ambito scolastico e universitario, prevedendo: la costituzione del fascicolo elettronico dello studente universitario dall’anno accademico 2013-2014; l’accesso da parte delle università alle banche dati dell’INPS per la consultazione dei dati necessari al calcolo dell’Indicatore della situazione economica equivalente per l’università (ISEEU), nonché all’anagrafe nazionale degli studenti e dei laureati; l’utilizzo esclusivo di modalità informatiche, dal 1° marzo 2013, per i procedimenti relativi allo stato giuridico ed economico del personale del comparto scuola.
Sembrerebbe pertanto opportuno integrare la rubrica con un riferimento
al fascicolo elettronico dello studente universitario, cui sono dedicati 6 dei
10 commi dell’articolo.
In particolare, i commi da 1 a 6 riguardano il fascicolo elettronico dello studente universitario.
Il fascicolo, che deve essere costituito dalle università statali e da quelle non statali legalmente riconosciute[51] a decorrere dall’anno accademico 2013-2014, contiene tutti i documenti, gli atti e i dati relativi al percorso universitario dello studente - dall’immatricolazione fino al conseguimento del titolo di studio -, compresi i periodi di studio effettuati all’estero nell’ambito di programmi di mobilità[52].
Al riguardo, si richiamano gli atti che “alimentano” il diploma supplement, ossia la relazione informativa che riporta le principali indicazioni relative al curriculum specifico seguito dallo studente per conseguire il titolo[53].
Lo scopo è quello di accelerare il processo di automazione amministrativa e migliorare i servizi per gli studenti, riducendone i costi connessi (comma 1).
Nelle Linee
guida[54] realizzate
nell'ambito del progetto "Università
digitale" previsto dal piano e-government
2012 – elaborate, da ultimo, nel 2012, e inviate a tutti gli atenei con
invito a recepirne le indicazioni – il capitolo 3 è dedicato al “fascicolo personale dello studente”.
In particolare, “le linee guida delineano il percorso
di creazione del ’dossier digitale’ degli atti di carriera dello studente
(dall'immatricolazione ai piani di studio, ai verbali di esame) in un formato
condiviso e in linea con gli standard europei. Il documento definisce inoltre
le modalità per realizzare l'integrazione
tra i sistemi di gestione documentale ed i sistemi gestionali in uso presso gli
atenei, a partire dal sistema di gestione delle carriere studenti”. Gli
scopi sono quelli di semplificare il
processo di apertura del fascicolo dello studente nel sistema di gestione
documentale di ateneo, ridurre il carico di lavoro
del personale, rendere disponibile a ciascun studente il proprio fascicolo[55].
Inoltre, al solo scopo di consentire l’avvio
dell’operatività del fascicolo, le linee guida forniscono un elenco di documenti da inserire nel fascicolo,
classificati secondo una scala di priorità che distingue fra obbligatorio, consigliato e opzionale[56].
Con riguardo al rapporto tra fascicolo elettronico e mobilità studentesca, i commi 2 e 3 prevedono, rispettivamente, che, in ambito nazionale, questa si realizza attraverso lo scambio telematico del fascicolo elettronico, e che lo stesso fascicolo favorisce la mobilità internazionale, sia in entrata che in uscita.
Inoltre, il comma 3
dispone che il fascicolo elettronico supporta gli standard di interoperabilità
definiti a livello internazionale.
Al comma 3 si ripete, con riferimento ai titoli di studio conseguiti,
una previsione che è contenuta, in termini generali, nel comma 1, che dispone
che il fascicolo elettronico contiene tutti gli atti e i dati inerenti la
carriera dello studente.
Si segnala, inoltre, che il riferimento al supporto degli standard di
interoperabilità definiti a livello internazionale dovrebbe essere inserito,
più opportunamente, nel comma 1.
In proposito, si ricorda che il 19 maggio 2010 la
Commissione europea ha adottato, nell’ambito delle iniziative faro della
strategia per la crescita “Europa 2020”, la comunicazione "Un'agenda
digitale europea" (COM(2010)245)[57]. Scopo generale
dell'agenda è ottenere vantaggi socioeconomici sostenibili grazie a un mercato
digitale unico basato su internet veloce e superveloce e su applicazioni
interoperabili. In particolare, la comunicazione ha evidenziato sette aree di
azione, ritenute problematiche nell’ambito
delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione (TIC), tra cui “Interoperabilità e standard”[58].
In ambito nazionale, si ricorda che gli artt. da 19 a
22 del D.L. n. 83 del 2012 (L. 134/2012) hanno istituito l'Agenzia per l'Italia digitale[59] che ha il compito
di promuovere la realizzazione in Italia dell'Agenda digitale
europea, con particolare riferimento allo sviluppo delle reti di nuova
generazione e dell'interoperabilità
tra i sistemi informatici delle pubbliche amministrazioni e tra questi e quelli
dell'Unione europea.
Il comma 4 dispone che, per gli studenti diplomati in Italia a partire dall’anno solare 2012 (dunque, dall’a.s. 2011/2012), il fascicolo elettronico è alimentato dall’anagrafe nazionale degli studenti, di cui all’art. 3 del D.lgs. 76/2005 (sull’anagrafe in questione interviene anche il comma 8 dell’articolo in esame).
Al riguardo si ricorda che l’art. 5-bis, co. 1-bis, della L. 264/1999, introdotto dall’art. 48, del D.L. 5/2012
(L. 35/2012), ha già disposto la possibilità
per le università di accedere all’anagrafe nazionale degli studenti per verificare la veridicità dei titoli
autocertificati dai candidati che, ai sensi del comma 1 dello stesso articolo,
si iscrivono all’università esclusivamente per via telematica.
In relazione alla circostanza che, ai sensi della normativa vigente
(D.M. 5 agosto 2010, n. 74), i dati acquisiti dall'Anagrafe sono conservati
fino al termine dell'anno solare successivo alla conclusione di ogni ciclo
scolastico (v. infra, box), occorre considerare che quanto disposto dal comma 4
non sarà applicabile nel caso di una soluzione di continuità fra la conclusione
del percorso di istruzione secondaria di secondo grado e l’avvio del percorso
universitario.
La disciplina
dell’anagrafe degli studenti – che
raccoglie le informazioni relative agli studenti frequentanti le istituzioni
scolastiche statali e paritarie – è recata dall’art. 3 del D.Lgs. n. 76/2005,
concernente la definizione delle norme generali sul diritto-dovere
all’istruzione e alla formazione. All’anagrafe, istituita presso il MIUR, è
attribuito il trattamento dei dati sui
percorsi scolastici, formativi e
in apprendistato dei singoli
studenti, a partire dal primo anno della
scuola primaria (tale previsione viene, peraltro, modificata dal comma 8
dell’articolo in esame), ai fini di cui agli articoli 1 e 2 dello stesso
D.lgs., rispettivamente riguardanti il diritto-dovere all'istruzione e alla
formazione[60] e la sua
concreta attuazione. Ciò deve peraltro avvenire nel rispetto delle disposizioni
relative alla tutela della privacy, recante dal D.lgs. n. 196/2003.
L’art. 1-quater
del D.L. n. 134/2009 (L. n. 167/2009) ha successivamente
novellato il predetto art. 3, disponendo che l’anagrafe opera, altresì, il
trattamento dei dati relativi alla
valutazione degli studenti e che il MIUR deve acquisire dalle istituzioni
scolastiche, sia statali che paritarie, i dati personali, sensibili e
giudiziari, relativi agli studenti, oltre ad ulteriori dati che si rivelino
utili per la prevenzione e il contrasto del fenomeno della dispersione scolastica.
L’anagrafe è
stata avviata con DM 5 agosto 2010, n.
74[61], il cui art. 1,
co. 7, ha disposto che, ai sensi del D.Lgs. n. 196/2003, i dati acquisiti all'Anagrafe sono conservati fino al termine dell'anno
solare successivo alla conclusione di ogni ciclo scolastico.
Da ultimo, l’art. 48, comma 1-bis, del già citato D.L.
n. 5/2012, ha disposto che l’anagrafe nazionale degli studenti è
utilizzata, oltre che per i fini riguardanti il diritto-dovere all'istruzione e
alla formazione e la sua concreta attuazione, anche per l’assolvimento dei
compiti istituzionali del MIUR, nonché come supporto del sistema nazionale di
valutazione del sistema scolastico.
Il comma 5 dispone che, al fine di dare attuazione alle disposizioni recate dal commi da 1 a 4, e in relazione a quanto previsto dall’art. 15 della L. n. 183/2011 in materia di certificati e dichiarazioni sostitutive[62], le università “possono accedere” in modalità telematica alle informazioni disponibili nell’anagrafe nazionale degli studenti e dei laureati delle università di cui all’art. 1-bis del D.L. 105/2003 (L. 170/2003) (informazioni che le stesse università sono tenute a trasmettere all’anagrafe periodicamente – v. infra, box).
Il medesimo concetto è ribadito dal comma 8, secondo periodo, il quale, però, dispone che all’anagrafe in questione le università “accedono”.
Occorre, dunque, disciplinare la questione in termini univoci in un
solo comma.
Al comma 5, dal punto di vista della formulazione del testo, si segnala
la necessità di inserire le parole “ e successive modificazioni” dopo le parole
“11 luglio 2003, n. 170”.
L’art. 1-bis del D.L. n. 105 del 2003 (L. 170/2003) ha previsto
l’istituzione presso il MIUR dell'Anagrafe nazionale degli studenti e dei
laureati delle università[63], avente – nel testo come modificato dall’art. 27 della L. 240/2010 – i
seguenti obiettivi:
§
valutare l'efficacia e l'efficienza dei processi formativi attraverso il
monitoraggio tempestivo delle carriere degli iscritti ai vari corsi di studio;
§
promuovere la mobilità nazionale e internazionale degli studenti
agevolando le procedure connesse ai riconoscimenti dei crediti formativi
acquisiti;
§
fornire elementi di orientamento alle scelte attraverso un quadro
informativo sugli esiti occupazionali dei laureati e sui fabbisogni formativi
del sistema produttivo e dei servizi;
§
individuare idonei interventi di incentivazione per sollecitare la
domanda e lo sviluppo di servizi agli studenti;
§
supportare i processi di accreditamento dell'offerta formativa del
sistema nazionale delle istituzioni universitarie;
§
monitorare e sostenere le esperienze formative in ambito lavorativo
degli studenti iscritti, anche ai fini del riconoscimento dei periodi di
alternanza studio-lavoro come crediti formativi.
Inoltre, l’art. 1-bis ha
previsto che il Ministro individuasse con propri decreti, da emanare entro 180
giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione, sentiti
CRUI, CUN, CNVSU, CNSU, i dati che devono essere presenti nei sistemi
informativi delle università e che queste devono trasmettere periodicamente,
con modalità telematiche, all'Anagrafe nazionale degli studenti e dei laureati
delle università[64].
Il comma 6 dispone che all’attuazione dei commi da 1 a 4 (peraltro, ben potrebbero essere inclusi altri commi, in particolare il comma 5 e il comma 9) si provvede con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
Al riguardo, la relazione
tecnica all’A.S. 3533 evidenziava
che tutte le università già oggi dispongono di sistemi informativi che
raccolgono tutte le informazioni relative al curricolo dello studente e
sottolinea che l’adeguamento degli stessi sistemi al fine dell’acquisizione del
fascicolo, una volta che sia stato definito il necessario standard di
interscambio dati, potrà essere effettuato nell’ambito della manutenzione
adeguativa normalmente pianificata nell’ambito delle risorse finanziarie già
disponibili allo scopo.
Il comma 7 riguarda l’accesso alle banche dati dell’INPS da parte delle università.
In particolare,
novellando l’art. 5-bis della L.
264/1999 - introdotto, come ante
evidenziato, dall’art. 48 del D.L. 5/2012 -, il comma 7 dispone che, al fine di
dare attuazione alla previsione di iscrizione telematica all’università e per
verificare la veridicità dei titoli autocertificati dagli studenti, le
università (che, in base allo stesso art. 5-bis,
possono accedere, come si è visto, all’anagrafe nazionale degli studenti)
possono accedere, in modalità telematica e secondo quanto indicato dal Codice
dell’amministrazione digitale (D.lgs. 82/2005), alle banche dati dell’INPS per
la consultazione dell’indicatore
della situazione economica equivalente (ISEE[65]) e degli altri dati necessari al calcolo dell’indicatore della situazione
economica equivalente per l’università (ISEEU).
Al riguardo, la relazione
illustrativa all’A.S. 3533 evidenziava
che la previsione, oltre a semplificare gli adempimenti amministrativi di
studenti e famiglie, comporta una riduzione dei costi per le università le
quali, per il calcolo, si avvalgono dei CAAF tramite convenzioni che prevedono
di norma un costo medio di 10 euro.
Si ricorda che l’ISEEU è un ricalcolo dell’ISEE che
tiene conto di alcuni criteri specifici previsti per l’Università dal DPCM 9
aprile 2001, quali redditi e patrimoni dei fratelli o sorelle, calcolati al 50
per cento, considerazione redditi e patrimoni posseduti all’estero, studente
con nucleo familiare a sé stante considerato indipendente nel caso si verifichino
condizioni specifiche previste dal citato DPCM.
Si ricorda, inoltre, che l’art. 16 del D.L. 5/2012 (L.
35/2012), al fine di semplificare e razionalizzare lo scambio di dati volto a
migliorare il monitoraggio, la programmazione e la gestione delle politiche
sociali, ha previsto che gli enti
erogatori di interventi e servizi sociali devono inviare all’INPS le informazioni sui beneficiari unitamente a
quelle sulle prestazioni concesse.
La definizione delle modalità per lo scambio telematico dei dati è stata demandata
ad un provvedimento del Ministero del
lavoro e delle politiche sociali che, al momento, non risulta intervenuto.
Il comma 8 dispone, in un’ottica di
razionalizzazione nell’impiego delle risorse e al fine di evitare duplicazioni di banche dati contenenti informazioni
similari, che le due banche dati già ante
citate – cioè, l’anagrafe nazionale degli studenti di cui all’art. 3 del D.lgs.
76/2005, e l’anagrafe nazionale degli studenti e dei laureati delle università,
di cui all’art. 1-bis del D.L. 105/2003
– rappresentano “banche dati a livello nazionale” realizzate dal MIUR, alle
quali accedono le regioni e gli enti locali, in relazione alle proprie
competenze. All’anagrafe degli studenti e dei laureati accedono anche le
università (come già indicato nel comma 5, ma lì in termini di “possibilità”).
Dispone, inoltre, che l’anagrafe nazionale degli studenti è
alimentata anche con i dati relativi agli iscritti alla scuola dell’infanzia.
Con riferimento a tale ultima previsione, si segnala che essa dovrebbe
essere esposta nella forma di novella all’art. 3 del D.lgs. 76/2005 che, come
si è visto, fa riferimento ai dati degli studenti “a partire dal primo anno
della scuola primaria”.
I commi 9 e 10 dispongono in materia di de materializzazione nella trattazione dei procedimenti che riguardano il rapporto di lavoro del personale della scuola.
Al riguardo si evidenzia,
preliminarmente, che la materia potrebbe essere oggetto del già previsto “Piano per la de materializzazione delle
procedure amministrative in materia di istruzione, università e ricerca e dei rapporti con le comunità dei docenti,
del personale, studenti e famiglie”, di cui all’art. 7, co. 27, del D.L.
95/2012 (L. 135/2012).
Il piano - in relazione al quale il Comitato per la legislazione, nella seduta del 1° agosto 2012, aveva sottolineato l’assenza di specifica sulla natura giuridica – doveva essere redatto dal MIUR entro 60 giorni a decorrere dal 15 agosto 2012, data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge.
In particolare, si prevede il ricorso esclusivo, dal 1° marzo 2013, a modalità informatiche e telematiche per i procedimenti inerenti lo stato giuridico ed economico del personale della scuola. Al riguardo si citano esplicitamente la presentazione di domande, lo scambio di documenti, dati e informazioni fra le amministrazioni interessate, incluse le scuole, nonché il “perfezionamento dei provvedimenti conclusivi”.
Le modalità attuative - per le quali si richiama la clausola di invarianza finanziaria - saranno definite con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, con il Ministro dell’economia e delle finanze e con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali per quanto concerne le attribuzioni in materia affidate all’INPS, da adottare entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge.
La relazione
tecnica all’A.S. 3533 evidenziava che il sistema informativo del MIUR
comprende già oggi le funzioni occorrenti alla gestione de materializzata di
molti dei provvedimenti concernenti lo stato giuridico del personale della
scuola. Dunque l’attività prevista rientra tra quelle di normale evoluzione del
medesimo sistema informativo.
Si potrebbe valutare di esplicitare nel decreto interministeriale i
procedimenti per i quali si farà ricorso alle modalità informatiche,
sopprimendo dunque, nel comma 9, le parole da “ivi inclusi” fino alla fine del
comma.
Articolo 11,
commi da 1 a 3 e 4-novies
(Libri e centri scolastici digitali)
L’articoli 11, commi da 1 a 3 e 4-novies, reca disposizioni in materia di adozione di libri scolastici “in versione digitale” o “mista” - in particolare, fornendo la definizione di “versione mista” - e sopprime il vincolo temporale per le nuove adozioni dei libri di testo (5 anni per la scuola primaria e 6 anni per la scuola secondaria di I e di II grado), previsto dal D.L. 137/2008.
Reca, altresì, disposizioni in materia di offerta formativa in situazioni svantaggiate, attraverso nuove modalità di gestione della didattica (istituzione di centri scolastici digitali).
Ai libri scolastici sono dedicati i commi 1 e 2.
In particolare, il comma 1 novella l’art. 15 del D.L. 112/2008 (L. 133/2008), che, tra l’altro, aveva introdotto l’adozione di libri di testo nelle versioni on line scaricabili da internet e mista, innovandone alcuni aspetti.
Preliminarmente, si ricorda che l’art. 15 del D.L.
112/2008 ha previsto, per quanto qui più direttamente interessa, che entro
l’a.s. 2010-2011 i libri di testo per le scuole del primo ciclo e per gli
istituti di istruzione secondaria superiore dovevano essere prodotti nelle
versioni a stampa, on line scaricabile da internet e mista, e che, a decorrere dall’a.s. 2011-2012, il
collegio dei docenti doveva adottare esclusivamente
libri utilizzabili nelle versioni on line scaricabile da internet o mista[66], fatta salva
l’adozione di appositi strumenti didattici per i soggetti diversamente abili
(co. 2[67]).
Per i testi disponibili in tutto o in parte nella rete
internet, ha disposto che l’accesso da parte degli studenti avvenisse gratuitamente o dietro pagamento, a seconda
dei casi previsti dalla normativa vigente (co. 1) (riferendosi, presumibilmente, alla disciplina sulla gratuità dei
libri di testo per tutta la durata dell’obbligo scolastico)[68].
Inoltre, ha disposto che i testi scolastici sviluppano
i contenuti essenziali delle Indicazioni nazionali dei piani di studio e possono essere realizzati in sezioni tematiche,
corrispondenti ad unità di apprendimento, suscettibili di successivi
aggiornamenti e integrazioni, demandando a
un decreto di natura non regolamentare del
Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca la determinazione:
§ delle caratteristiche
tecniche dei libri di testo nella versione a stampa,
anche al fine di assicurarne il contenimento del peso;
§ delle caratteristiche
tecniche dei libri di testo nelle versioni on line e mista[69];
§ del prezzo
(di copertina) dei libri di testo della scuola primaria[70]
e dei tetti di spesa dell’intera dotazione libraria per
ciascun anno della scuola secondaria di I e II grado[71] [72],
nel rispetto dei diritti patrimoniali dell’autore e dell’editore[73]
(co. 3)[74].
Il comma 1 in esame, anzitutto, introduce
la “versione digitale” del libro di
testo, che va a sostituire – testualmente, solo nel secondo periodo del comma 2
del novellato art. 15 (v. osservazione infra)
– la “versione on line scaricabile da internet”. Si precisa, inoltre, a seguito
di una modifica apportata dal Senato, che la versione digitale deve risponde ai
requisiti di cui alla L. n. 4 del 2004, in materia di accesso dei soggetti disabili agli strumenti
informatici.
Al
riguardo si segnala, come già evidenziato in precedente nota, che le
disposizioni della legge 4/2004 si applicano già, in base all’art. 5 della
stessa, anche al materiale formativo e didattico utilizzato nelle scuole.
Il medesimo comma, inoltre, fornisce una definizione legislativa di “versione mista”, in base alla quale – nel testo come modificato dal Senato - la stessa è costituita, alternativamente, da:
a) un testo in formato cartaceo e contenuti digitali integrativi;
b) una combinazione di contenuti digitali e digitali integrativi accessibili o acquistabili in rete anche in modo disgiunto.
Per completezza, si evidenzia che il testo del
decreto-legge prevedeva che la “versione mista” fosse costituita da un testo in formato cartaceo o digitale,
nonché da contenuti digitali integrativi, accessibili o acquistabili in rete
anche in modo disgiunto. Al riguardo, la relazione
illustrativa dell’A.S. 3533 precisava che il “libro misto” consiste di due
parti, una “costituita da un testo in formato elettronico o cartaceo, quindi
organizzata e strutturata come un libro, cioè con un indice e un’esposizione
sequenziale degli argomenti”; l’altra rappresentata da “contenuti digitali”,
che sono considerati “necessarie e indispensabili integrazioni della prima”.
Sull’argomento, si ricorda
che il testo previgente dell’art. 15 del D.L. 112/2008 non recava la
definizione di “versione mista”. In seguito, il già citato DM 8 aprile 2009, n. 41, nel fissare le
caratteristiche tecniche dei libri di testo nella versione a stampa e nella
versione on line e mista, ha definito libri di testo editi in forma mista quelli “comprendenti una parte a stampa e una parte in formato digitale per
l’integrazione o l’eventuale aggiornamento del testo cartaceo con contenuti
digitali aggiornabili”[75].
La differenza rispetto alla normativa previgente, pertanto, consiste nella circostanza che la versione mista può anche non avere alcuna parte in formato cartaceo, nonché – come evidenziato dal rappresentante del Governo nella seduta della 7ª Commissione del Senato del 21 novembre 2012 – “nella peculiarità del digitale, che consente un livello differente di apprendimento rispetto al testo in PDF, meramente riproduttivo del cartaceo”[76].
Con
riferimento all’ipotesi che la versione mista sia costituita da contenuti
digitali e digitali integrativi, non appare del tutto chiara la differenza con
i “libri nella versione digitale” [77].
Inoltre,
sembrerebbe opportuno chiarire se la possibilità di accedere o acquistare in
rete anche in modo disgiunto i contenuti digitali integrativi valga solo - come
letteralmente risulta dal testo modificato dal Senato - nel caso della
combinazione di contenuti digitali e contenuti digitali integrativi, e non
anche nel caso di contenuti cartacei e contenuti digitali integrativi.
In particolare, la lett. a) del comma 1 – che novella l’art. 15, comma 2, limitatamente al secondo periodo, del D.L. 112/2008 – stabilisce, nel testo come modificato dal Senato, che, a decorrere dall’a.s. 2014/2015, il collegio dei docenti[78] adotta esclusivamente libri nella versione digitale o mista, progressivamente a partire dalle classi prima e quarta della scuola primaria, dalla prima classe della scuola secondaria di primo grado e dalla prima e terza classe della scuola secondaria di secondo grado[79].
Dal punto di vista del coordinamento con la
normativa vigente, si
segnala la necessità di coordinare il contenuto del novellato secondo periodo
del comma 2 dell’art. 15 del D.L. 112/2008 - nella parte in cui la “versione
digitale” va a sostituire quella “on line scaricabile da internet” - con quanto
disposto dal comma 1, ultimo periodo, e dal comma 2, primo periodo, dello
stesso art. 15.
Dal punto di vista della formulazione
del testo, si segnala che l’espressione “per l’anno scolastico 2014-2015 e
successivi” deve essere sostituita con l’espressione “a decorrere dall’anno
scolastico 2014-2015”.
Ulteriori modifiche
riguardano il comma 3 dell’art. 15 del D.L. 112/2008 che, come si è visto,
demanda ad un decreto ministeriale la definizione di alcuni aspetti.
In particolare (comma 1, lett. b), punti 1 e 2), con riguardo alla definizione delle caratteristiche tecniche dei libri, si fa riferimento – quale conseguenza delle variazioni riferite al comma 2 dell’art. 15 del D.L. 112/2008 – non più alla “versione a stampa”, ma alla “versione cartacea”, e non più alla versione “on line” ma alla “versione digitale”.
Inoltre:
§ per la “versione cartacea” – che, comunque, continua a sussistere solo nella “versione mista” – si specifica che la determinazione delle caratteristiche tecniche (già finalizzata anche ad assicurarne il contenimento del peso) tiene conto dei contenuti digitali integrativi;
§ per la “versione digitale” si specifica che la determinazione delle caratteristiche tecniche è finalizzata anche a realizzare una effettiva integrazione tra la “versione digitale” e gli stessi contenuti digitali integrativi.
Con riguardo alle caratteristiche tecniche dei contenuti
digitali il rappresentante del
Governo – nella citata seduta della 7ª Commissione del Senato – ha
precisato che i contenuti digitali “non rappresentano più semplicemente la
riproduzione dei testi in formato PDF ma hanno una diversità intrinseca data
fra l'altro dalla interattività”.
Per quanto concerne il
prezzo dei libri nella scuola
primaria e i tetti di spesa dell’intera dotazione libraria necessaria
(la specifica sulla necessità è stata inserita durante l’esame al Senato,
attraverso l’inserimento nell’art. 11 del comma
4-novies, e potrebbe volersi riferire alla distinzione fra testi
di cui obbligatoriamente gli studenti devono disporre e testi consigliati) per
ciascun anno della scuola secondaria di primo e di secondo grado, il comma 1, lett. b), punto 3,
specifica che la relativa determinazione tiene conto della riduzione dei costi derivanti dal passaggio al digitale e dei
supporti tecnologici di cui al comma 3-ter.
Sull’argomento, la relazione
illustrativa dell’A.S. 3533 evidenziava
che i decreti ministeriali chiariranno che il testo in formato cartaceo avrà
una foliazione ridotta rispetto all’attuale – perché affronterà “gli
argomenti/concetti essenziali delle varie discipline, lasciando ai contenuti digitali
integrativi il compito di arricchimento, verifica e approfondimento
dell’apprendimento” e che, pertanto, i tetti di spesa per l’adozione del libro
misto risulteranno conseguentemente più contenuti. In particolare, si stima che
il costo del libro misto si ridurrà di circa il 40%. Infatti, riducendo la
foliazione si riducono anche proporzionalmente i costi della carta e della
distribuzione”.
La stessa relazione evidenziava che
l’operazione di riduzione del costo del libro misto “permette di conseguenza un
abbassamento anche dei tetti di spesa in una misura tale da permettere sia un
risparmio per le famiglie che l’investimento degli editori sulla produzione dei
contenuti digitali: la percentuale di riduzione dei tetti di spesa si può
stimare pari al 20%”.
Infine, la relazione esplicitava che con decreti
ministeriali “saranno definiti: le caratteristiche del libro misto, i tetti di
spesa che riguarderanno tale soluzione e i massimali
di spesa per la parte ‘in formato cartaceo o elettronico’ e per la parte
integrativa dei ‘contenuti digitali’ nonché per la parte relativa alla eventuale fornitura dei supporti per gli studenti”.
Con riferimento ai supporti
informatici, il rappresentante del
Governo, nella citata seduta della 7a Commissione del Senato, ha
chiarito che “l'obiettivo è di ricomprendere nel tetto di spesa anche
l'acquisto di tali strumenti, eventualmente mediante forme di leasing”.
Alla luce di quanto esposto, si valuti la possibilità di sostituire le
parole “passaggio al digitale e dei supporti tecnologici”, con le parole
“passaggio al digitale e della spesa per i supporti tecnologici”.
Infine, il comma 1, lett. b), punto 3-bis, introdotto dal Senato, prevede che il medesimo decreto ministeriale determina, altresì, i criteri per ottimizzare l’“integrazione tra libri in versione digitale, mista e cartacea”, tenuto conto delle specifiche esigenze didattiche.
Al riguardo, tuttavia, sembrerebbe opportuno un chiarimento, dal
momento che le disposizioni introdotte dal provvedimento non prevedono, a regime,
la sussistenza di libri in “versione cartacea”, se non quale parte della
“versione mista”.
In materia interviene, altresì, il comma 1, lett. c), che, introducendo i commi 3-bis e 3-ter nel già citato art. 15 del D.L. 112/2008, dispone che gli oneri relativi ai contenuti digitali (assicurati dalle scuole), nonché quelli relativi ai supporti tecnologici necessari alla fruizione degli stessi (anch’essi assicurati dalle scuole su richiesta delle famiglie) sono a carico delle stesse famiglie, entro il limite definito dal decreto ministeriale di cui al comma 3.
Al riguardo, la relazione
tecnica all’A.S. 3533 chiariva che la scuola deve acquistare i contenuti
digitali integrativi, con oneri a carico delle famiglie.
E’, inoltre, previsto – terzo periodo della lett. a) del comma 1, nel testo come modificato al Senato – che, per le scuole statali, la delibera del collegio dei docenti relativa all’adozione della dotazione libraria è soggetta, “limitatamente alla verifica del tetto di spesa di cui al comma 3-bis”, al controllo successivo di regolarità amministrativa e contabile previsto dall’art. 11 del D.lgs. 123/2011 (comma 1, lett. a)).
Si segnala, peraltro, che la relazione tecnica riferita al
maxiemendamento presentato al Senato fa ancora riferimento al controllo
preventivo previsto dal testo del decreto-legge[80].
Al riguardo, si ricorda che, attualmente, il controllo
e il monitoraggio dei tetti di spesa, previsti dalla normativa vigente, per le
scuole secondarie di primo e secondo grado, fa capo agli Uffici centrali e
regionali del MIUR[81].
L’art. 11 del d.lgs. 123/2011 ha disposto che sono
assoggettati al controllo successivo di regolarità amministrativa e contabile i
seguenti atti:
a)
rendiconti
amministrativi relativi alle aperture di credito alimentate con fondi di
provenienza statale resi dai funzionari delegati titolari di contabilità
ordinaria e speciale;
b)
rendiconti
amministrativi resi dai commissari delegati titolari di contabilità speciale
appositamente aperta in occasione di eventi eccezionali e imprevedibili (art. 5, co. 5-bis, della L. n. 225
del 1992), nonché da ogni altro soggetto gestore, comunque
denominato;
c)
rendiconti
amministrativi afferenti a un'unica contabilità speciale alimentata con fondi
di provenienza statale e non statale per la realizzazione di accordi di
programma;
d)
ogni altro
rendiconto previsto da specifiche disposizioni di legge;
e)
conti giudiziali.
Sotto il profilo sostanziale, sembrerebbe necessario coordinare la previsione secondo cui
gli oneri sono a carico delle famiglie (seppure nei limiti fissati con D.M.),
con quella recata dal secondo periodo del comma 1 dell’art. 15 del D.L.
112/2008 - che non viene modificato - in base alla quale “gli studenti accedono
ai testi disponibili tramite internet, gratuitamente o dietro pagamento a
seconda dei casi previsti dalla normativa vigente”, nonché con l’art. 156,
comma 1, del D.lgs. 297/1994, in materia di fornitura gratuita dei libri di
testo agli alunni delle “scuole elementari”.
Per quanto concerne la sottoposizione della delibera del collegio dei
docenti al controllo successivo da
parte degli uffici del MIUR – anziché di quello preventivo stabilito nel testo
originario - si osserva che ciò sembra presentare profili problematici, atteso
che mentre il controllo preventivo inibisce, qualora l’organo di controllo ne
ravvisi i presupposti, l’efficacia dell’atto, quello successivo si sostanzia
prevalentemente in sanzioni a carico del responsabile. E’ questo il caso del
controllo previsto dagli articolo 11 e seguenti del D.Lgs.123/2011, nei quali
si dispone, in particolare all’articolo 14, che qualora il responsabile
dell’atto non ottemperi alle osservazioni rese dall’Ufficio di controllo,
quest’ultimo debba informarne la Corte dei conti, con le eventuali
responsabilità amministrativo-contabili e disciplinari, anche alla fine della
corresponsione dei compensi accessori legati alla produttività. Tali procedure
appaiono, ad un primo esame, presentare problemi
applicativi rispetto alla fattispecie costituita dalla delibera in
questione.
Con riguardo alla formulazione
del testo, infine, il riferimento corretto sembrerebbe essere al comma 3,
lett. c)- laddove è contenuta la locuzione “tetto di spesa” contenuta nel terzo
periodo in commento – e non al (nuovo) comma 3-bis dell’art. 15 del D.L.
112/2008 (il quale al medesimo comma 3 rinvia), a meno che con il terzo periodo
medesimo si intenda riferirsi al “limite” di spesa per le famiglie previsto dal
comma 3-bis.
Il comma 2 dispone l’abrogazione, dal 1° settembre 2013, dell’art. 5 del D.L. 137/2008 (L.
169/2008), che ha introdotto vincoli temporali nella disciplina di adozione dei libri di
testo, in particolare
prescrivendo l’adozione ogni 5 anni per la scuola primaria e ogni 6 anni per la
scuola secondaria di I e di II grado, salva la ricorrenza di specifiche e
motivate esigenze, connesse, tra l’altro, con la “scelta di testi in formato
misto o scaricabili da internet”.
La relazione
illustrativa all’A.S. 3533 evidenziava, al
riguardo, che la finalità è quella di incoraggiare la produzione e la
diffusione di contenuti digitali, anche considerando il fatto che “detti
contenuti sono, per loro natura, soggetti a rapida obsolescenza e quindi non è
opportuno che la loro adozione sia ristretta in vincoli temporali stringenti”.
Poiché le adozioni dei
libri di testo si svolgono, di norma, entro il primo semestre dell’anno
scolastico precedente[82], l’abrogazione disposta “dal 1° settembre 2013” dovrebbe
riguardare le adozioni riferite all’a.s. 2014/2015.
Al riguardo,
si valuti l’opportunità di un chiarimento.
Dal punto di
vista della formulazione del testo, dopo le parole “legge 30 ottobre 2008, n.
169”, occorre aggiungere le parole “e successive modificazioni”.
In particolare, l’art. 5 del D.L.
137/2008 (L. 169/2008), come modificato dall'art. 1-ter, co. 1, del D.L. 134/2009 (L. 167/2009), ha disposto che gli
organi scolastici adottano libri di testo in relazione ai quali l'editore si è
impegnato a mantenere invariato il contenuto nel quinquennio, salvo che per la
pubblicazione di eventuali appendici di aggiornamento da rendere separatamente
disponibili.
Ha, inoltre, disposto che, salva la
ricorrenza di specifiche e motivate esigenze, connesse con la modifica di
ordinamenti scolastici ovvero con la scelta di testi in formato misto o
scaricabili da internet[83],
l'adozione dei libri di testo avviene nella scuola primaria
con cadenza quinquennale, a valere per il successivo
quinquennio, e nella scuola secondaria di primo e secondo grado ogni sei
anni, a valere per i successivi sei anni[84].
Il comma 3 -
modificato dal Senato - novella il D.P.R. n. 81 del 2009 che, ai sensi
dell'art. 64, co. 4, del D.L. 112/2008 (L. 133/2008), ha disciplinato la
riorganizzazione della rete scolastica e il razionale ed efficace utilizzo
delle risorse umane della scuola.
In particolare, la novella riguarda l’art. 8 del
provvedimento, che dispone che nelle scuole funzionanti nelle piccole
isole, nei comuni
montani, nelle zone abitate
da minoranze linguistiche, nelle aree a
rischio di devianza minorile o caratterizzate dalla rilevante
presenza di alunni con particolari difficoltà di apprendimento e di
scolarizzazione, possono essere
costituite classi uniche per
anno di corso e indirizzo di studi con numero di alunni inferiore a quello
minimo[85] stabilito dagli articoli 10 (per la scuola primaria), 11
(per la scuola secondaria di primo grado) e 16 (per le classi iniziali della
scuola secondaria di secondo grado).
Con l’aggiunta del comma 1-bis nell’art. 8 del DPR 81/2009, si dispone ora che nelle stesse realtà nelle quali, ai sensi del comma 1, è possibile costituire classi uniche, le regioni e gli enti locali interessati stipulano – con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente – convenzioni con il MIUR per l’istituzione di centri scolastici digitali collegati funzionalmente alle istituzioni scolastiche di riferimento, attraverso l’utilizzo delle nuove tecnologie. La previsione è finalizzata a migliorare la qualità dei servizi agli studenti e a garantire “una maggiore socializzazione delle comunità di scuole”.
La relazione
tecnica all’A.S. 3533 evidenziava
che la norma “potrebbe consentire riduzioni della spesa di personale, che a
fini prudenziali non è stimata nella relazione tecnica e potrà invece essere
verificata a consuntivo”.
Si segnala, peraltro, che la relazione
tecnica riferita al maxiemendamento presentato al Senato fa ancora riferimento
alla possibilità di stipulare convenzioni, prevista dal decreto-legge[86].
Sembrerebbe,
dunque, che tale previsione si aggiunga alla deroga già prevista dall’art. 8,
co. 1, del D.P.R. 81/2009, con riferimento alle situazioni più svantaggiate
nell’ambito delle realtà indicate.
Con l’intervento normativo in esame si rilegifica parzialmente in
materia già delegificata ai sensi dell’art. 64 del D.L. 112/2008.
Al riguardo si ricorda, peraltro, che il par. 3, lett. e), della
Lettera circolare dei Presidenti delle Camere sulle regole e raccomandazioni
per la formulazione tecnica dei testi legislativi, del 20 aprile 2001, dispone
che “Non si ricorre all'atto legislativo per apportare modifiche frammentarie
ad atti non aventi forza di legge, al fine di evitare che questi ultimi
presentino un diverso grado di ‘resistenza’ ad interventi modificativi
successivi”.
Andrebbe,
in ogni caso, valutata l’opportunità di demandare ad un atto normativo
secondario la definizione uniforme delle modalità applicative delle nuove
disposizioni.
Articolo 11,
commi 4-4-octies
(Rigenerazione integrata del patrimonio
immobiliare scolastico e altre disposizioni in materia di edilizia scolastica)
Il comma 4 dell’articolo 11, modificato nel corso dell’esame al Senato, stabilisce che il MIUR, le regioni e i competenti enti locali, avviano iniziative di rigenerazione integrata del patrimonio immobiliare scolastico, anche attraverso la realizzazione di nuovi complessi scolastici, e promuovono, d'intesa con il Ministero dell'economia e delle finanze, iniziative finalizzate, tra l'altro, alla costituzione di società, consorzi o fondi immobiliari.
I commi da 4-bis a 4-octies, inseriti nel corso dell’esame al Senato, dispongono in ordine alla predisposizione e all’approvazione di appositi piani triennali in materia di edilizia scolastica e all’istituzione di un Fondo unico per l’edilizia scolastica.
Si segnala che nella rubrica dell’articolo 11 non è presente alcun
riferimento alle tematiche trattate nei predetti commi.
In dettaglio, il comma 4 dell’art. 11 novella il comma 2 dell'art. 53 del D.L. 5/2012, sostituendone la lettera a).
Al riguardo, si ricorda che l’art. 53 del D.L. 5/2012 aveva disposto l’approvazione da parte del CIPE, su proposta del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca e del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, previa intesa nell’ambito della Conferenza unificata, di un Piano nazionale di edilizia scolastica, sulla base delle indicazioni fornite da regioni ed enti locali, tenendo conto delle disposizioni recate dalla legge n. 23/1996. Il comma 1 dell’art. 53, in particolare, disponeva che la proposta di Piano fosse trasmessa alla Conferenza unificata entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto e che il Piano fosse approvato entro i successivi 60 giorni.
Ai sensi del comma 2 dello stesso art. 53, il Piano ha ad oggetto la realizzazione di interventi di ammodernamento e recupero del patrimonio scolastico esistente, anche ai fini della messa in sicurezza degli edifici, e di costruzione e completamento di nuovi edifici scolastici, da realizzare, in un'ottica di razionalizzazione e contenimento delle spese correnti di funzionamento, nel rispetto dei criteri di efficienza energetica e di riduzione delle emissioni inquinanti, favorendo il coinvolgimento di capitali pubblici e privati anche attraverso una serie di interventi elencati nelle lettere da a) a d-bis) del medesimo comma.
In particolare la lettera a), nel testo previgente, riguarda la ricognizione del patrimonio immobiliare pubblico, costituito da aree ed edifici non più utilizzati, che possano essere destinati alla realizzazione degli interventi previsti dall’art. 53, sulla base di accordi tra il Ministero dell'istruzione, l'Agenzia del demanio, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministero della difesa in caso di aree ed edifici non più utilizzati a fini militari, le regioni e gli enti locali.
La nuova lettera a) stabilisce che il MIUR, le regioni e i competenti enti locali avviano iniziative di rigenerazione integrata del patrimonio immobiliare scolastico, anche attraverso la realizzazione di nuovi complessi scolastici, e promuovono d'intesa, con il Ministero dell'economia e delle finanze, iniziative finalizzate, tra l'altro, alla costituzione di società, consorzi o fondi immobiliari, anche ai sensi degli articoli 33 e 33-bis del D.L. 98/2011 (L. 111/2011) Nel corso dell’esame al Senato è stata specificata la finalità della norma, che è volta a garantire edifici scolastici, sicuri, sostenibili e accoglienti (finalità, peraltro, già sostanzialmente presenti nel testo dell’art. 53 del D.L. 5/2012).
La relazione illustrativa al disegno di legge A.S. 3533 sottolineava che la disposizione proposta snellisce la procedura prevista per l'utilizzo delle risorse da destinare alla riqualificazione del patrimonio immobiliare scolastico (piani CIPE) e prevede la promozione di strumenti finanziari quali i fondi immobiliari territoriali.
L'articolo 33 del D.L. n. 98/2011 istituisce una Società di gestione del risparmio (SGR), con un capitale non superiore a 2 milioni di euro interamente posseduto dal Ministero dell'economia e delle finanze, con il compito di istituire fondi che partecipano a quelli immobiliari chiusi promossi o partecipati da regioni, provincie, comuni anche in forma consorziata o associata, ed altri enti pubblici ovvero da società interamente partecipate dai predetti enti, al fine di valorizzare o dismettere il proprio patrimonio immobiliare disponibile.
L'art. 33-bis del citato D.L. prevede che il Ministero dell'economia e delle finanze - Agenzia del demanio promuova iniziative idonee per la costituzione, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, di società, consorzi o fondi immobiliari per la valorizzazione, trasformazione, gestione e alienazione del patrimonio immobiliare pubblico di proprietà dei comuni, province, città metropolitane, regioni, stato e degli enti vigilati dagli stessi, nonché dei diritti reali relativi ai beni immobili, anche demaniali.
I predetti strumenti societari o finanziari possono essere oggetto di conferimento o di apporto da parte delle amministrazioni proprietarie di immobili destinati ad uso scolastico e di immobili complementari ai progetti di rigenerazione, in coerenza con le destinazioni individuate negli strumenti urbanistici. Per tale finalità sono utilizzate le risorse del fondo istituito dall’art. 33, co. 8, della legge di stabilità 2012 e destinate al MIUR per la messa in sicurezza degli edifici scolastici, nonché le risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione di cui all'articolo 33, comma 3, della medesima legge, già destinate con delibera CIPE del 20 gennaio 2012 alla costruzione di nuove scuole.
La legge 12 novembre 2011, n. 183 (legge di stabilità 2012), all'art. 33, comma 8, prevede l'istituzione per l'anno 2012 di un apposito fondo con una dotazione di 750 milioni di euro, destinato, tra l’altro, quanto a 100 milioni di euro al MIUR per la messa in sicurezza degli edifici scolastici. La ripartizione del citato fondo è operata dal Ministro dell'economia e delle finanze.
Il comma 3 del medesimo articolo 33 assegna al Fondo per lo sviluppo e la coesione (FSC) una dotazione finanziaria di 2.800 milioni per l'anno 2015 per il periodo di programmazione 2014-2020, da destinare prioritariamente alla prosecuzione di interventi indifferibili infrastrutturali, nonché per la messa in sicurezza di edifici scolastici, per l'edilizia sanitaria, per il dissesto idrogeologico e per interventi a favore delle imprese.
La relazione tecnica all’A.S. 3533 evidenziava che le risorse sono state destinate con delibera CIPE 20 gennaio 2012[87] alla costruzione di nuove scuole; e considerato che l'art. 5, comma 1-bis, del d.l. n. 74 del 2012 ha destinato il 60 per cento delle predette risorse alla ripresa delle attività scolastiche nelle aree interessate dal sisma del 20 maggio 2012, le risorse disponibili ammonterebbero complessivamente a 80 milioni di euro, di cui i 40 milioni relativi al FSC soggiacciono al vincolo di destinazione territoriale dell'85 per cento nelle regioni del Mezzogiorno.
Per favorire il contenimento dei consumi energetici del patrimonio scolastico e, ove possibile, la contestuale messa a norma dello stesso, gli enti locali, proprietari di immobili scolastici, possono ricorrere, ai fini del contenimento della spesa pubblica, ai contratti di servizio energia di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 agosto 1993, n. 412[88], da stipulare senza oneri a carico dell'ente locale in conformità alle previsioni di cui al decreto legislativo 30 maggio 2008, n. 115, anche nelle forme dei contratti di partenariato pubblico-privato[89].
Si segnala, inoltre, che l’articolo 14 del D.L. 52/2012 ha già introdotto un principio generale a carico delle amministrazioni pubbliche (comprese le scuole e gli enti locali), che dovranno adottare - entro il 9 maggio 2014 - misure per il contenimento dei consumi di energia e per rendere più efficienti gli usi finali di energia. Ciò deve avvenire sulla base delle indicazioni fornite dall'Agenzia del demanio e anche attraverso il ricorso ai contratti di servizio energia (di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 412 del 1993 e al decreto legislativo n. 115 del 2008) e ai contratti di partenariato pubblico privato (PPP).
I contratti di servizio energia sono contratti caratterizzati dall’affidamento del complesso delle attività (fornitura del vettore energetico; interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria diretti alla riduzione dei consumi energetici) ad un unico fornitore. Essi, introdotti dalla legge n. 10 del 1991 per l’attuazione del Piano energetico nazionale, poi definiti dal regolamento attuativo (D.P.R. 412 del 1993) e infine disciplinati nelle caratteristiche dal decreto legislativo n. 165/2008, concentrano in un unico fornitore la manutenzione dell'impianto, l'acquisto del combustibile o comunque della fonte energetica, mentre l'utente finale è tenuto al pagamento di un corrispettivo legato alla misurazione dei consumi.
Si ricorda che l’articolo 1, comma 1, lettera p), del decreto del Presidente della Repubblica 26 agosto 1993, n. 412, definisce il «contratto servizio energia» come l'atto contrattuale che disciplina l'erogazione dei beni e servizi necessari a mantenere le condizioni di comfort negli edifici nel rispetto delle vigenti leggi in materia di uso razionale dell'energia, di sicurezza e di salvaguardia dell'ambiente, provvedendo nel contempo al miglioramento del processo di trasformazione e di utilizzo dell'energia.
L’articolo 16, comma 4, del D.Lgs. n. 165/2008 include fra i contratti che possono essere proposti nell'ambito della fornitura di un servizio energetico il contratto di servizio energia, rispondente a quanto stabilito dall'allegato II al medesimo D.Lgs., che definisce i requisiti e le prestazioni che qualificano il contratto servizio energia.
Ai fini della qualificazione come contratto servizio energia, un contratto deve prevedere, tra l'altro:
§ la presenza di un attestato di certificazione energetica dell'edificio;
§ la determinazione dei gradi giorno effettivi della località, come riferimento per destagionalizzare il consumo annuo di energia termica a dimostrare l'effettivo miglioramento dell'efficienza energetica;
§ la contabilizzazione dell'energia termica complessivamente utilizzata da ciascuna delle utenze servite dall'impianto;
§ la rendicontazione periodica da parte del fornitore del contratto servizio energia dell'energia termica complessivamente utilizzata;
§ la preventiva indicazione che gli impianti interessati al servizio sono in regola con la legislazione vigente o in alternativa l'indicazione degli eventuali interventi obbligatori;
§ l'esecuzione da parte del Fornitore del contratto servizio energia delle prestazioni necessarie ad assicurare l'esercizio e la manutenzione degli impianti;
§ l'indicazione da parte del committente, qualora si tratti di un ente pubblico, di un tecnico di controparte incaricato di monitorare lo stato dei lavori e la corretta esecuzione delle prestazioni previste dal contratto;
§ l'annotazione puntuale sul libretto di centrale, o di impianto, degli interventi effettuati sull'impianto termico e della quantità di energia fornita annualmente.
Il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 115, reca l'attuazione della direttiva 2006/32/CE relativa all'efficienza degli usi finali dell'energia e i servizi energetici e l'abrogazione della direttiva 93/76/CEE.
I commi da 4-bis a 4-septies, inseriti nel corso dell’esame al Senato, recano una disciplina finalizzata alla predisposizione e all’approvazione di appositi piani triennali di interventi di edilizia scolastica, nonché dei relativi finanziamenti.
In particolare, il comma 4-bis prevede che con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, d’intesa con la Conferenza unificata, sono definiti le priorità strategiche, le modalità e i termini per l’approvazione dei predetti piani che saranno articolati per ciascuna annualità al fine di consentire il regolare svolgimento del servizio scolastico in ambienti adeguati e sicuri.
Per l’inserimento in tali piani, il comma 4-ter prevede che gli enti locali proprietari degli immobili adibiti all’uso scolastico presentano un’apposita richiesta alle rispettive regioni e alle province autonome di Trento e di Bolzano secondo quanto disposto dal decreto ministeriale previsto dal comma precedente.
Ciascuna regione o provincia autonoma deve trasmettere al Ministero dell’istruzione il piano di interventi sulla base delle richieste pervenute da parte degli enti locali avuto riguardo alla programmazione dell’offerta formativa e alla corrispondenza con quanto indicato nel sopra citato decreto (comma 4-quater). I piani regionali devono essere trasmessi al Ministero nei termini indicati dal decreto ministeriale, pena la decadenza dai finanziamenti assegnabili nell’arco del triennio.
Il MIUR è tenuto a verificare i piani trasmessi dalle regioni e dalle province autonome e, in assenza di osservazioni da formulare, comunica l’avvenuta approvazione alle regioni affinché siano pubblicati, nei successivi trenta giorni, sui rispettivi bollettini ufficiali regionali (comma 4-quinquies).
Il comma 4-septies prevede che, nell’assegnazione delle risorse, si tiene conto della capacità di spesa degli enti locali nell’utilizzo delle risorse assegnate nell’annualità precedente, “premiando” le regioni “virtuose” con l’attribuzione di una quota non superiore al venti per cento, aggiuntiva rispetto all’entità di risorse spettanti in sede di riparto.
Al riguardo, sembrerebbe necessario chiarire il raccordo tra le nuove
previsioni e quelle recate, in materia, dalla L. n. 23 del 1996.
Si ricorda,
infatti, che, ai sensi dell’art. 4, co. 2, della L. 23/1996, la programmazione
dell'edilizia scolastica si realizza mediante piani generali triennali e piani annuali di attuazione predisposti
e approvati dalle regioni, sentiti gli uffici scolastici regionali, sulla base
delle proposte formulate dagli enti territoriali competenti sentiti gli uffici
scolastici provinciali, che all'uopo adottano le procedure consultive dei
consigli scolastici distrettuali e provinciali.
I commi 3 e 4
disciplinano la procedura per l’emanazione del piano triennale, prevedendo che
entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore della legge il Ministro della pubblica istruzione,
sentita la Conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato, le regioni e le
province autonome di Trento e Bolzano, fissa
gli indirizzi volti ad assicurare il coordinamento degli interventi ai fini
della programmazione scolastica nazionale e
stabilisce i criteri per la ripartizione dei fondi fra le regioni. Le regioni trasmettono quindi al
Ministro i piani generali triennali. Inoltre, entro la stessa data, esse
approvano i piani annuali relativi al triennio. In caso di difformità dei piani
generali rispetto agli indirizzi della programmazione scolastica nazionale, il
Ministro invita le regioni a modificare opportunamente i rispettivi piani
generali. Ai sensi del co. 8, i piani generali triennali successivi al primo
sono formulati dalle regioni entro 90 giorni dalla pubblicazione nella Gazzetta
ufficiale del decreto del Ministro dell’economia e delle finanze che reca
l’indicazione delle somme disponibili. Nella ripartizione dei fondi fra le
regioni si tiene conto, oltre che dei criteri di cui al co. 3, anche dello
stato di attuazione dei piani precedenti.
L'art. 7 prevede,
poi, che per la programmazione delle opere di edilizia scolastica le regioni e
gli enti locali interessati possono avvalersi dei dati dell'anagrafe nazionale
dell'edilizia scolastica.
Il comma 4-sexies prevede l’istituzione, a decorrere dall’esercizio finanziario 2013, di un Fondo unico per l’edilizia scolastica nello stato di previsione del MIUR, in cui confluiscono tutte le risorse iscritte nel bilancio dello Stato destinate a finanziare interventi di edilizia scolastica, per le finalità di cui ai già esposti commi da 4-bis a 4-quinquies in materia di interventi di edilizia scolastica.
Nella normativa vigente sono state stanziate risorse per la messa in sicurezza degli edifici scolastici, che, nell’ultimo decennio, sono riconducibili alle risorse individuate nell’ambito del Programma delle infrastrutture strategiche (L. 443/2001), alla programmazione dell'edilizia scolastica prevista dalla legge 23/1996, e ad ulteriori interventi finalizzati all’adeguamento antisismico delle strutture scolastiche, avviato con la legge finanziaria 2008 (L. 244/2007).
Si segnala, infine, che il sopra citato art. 53 del D.L. 5/2012 ha previsto che, nelle more dell’approvazione del Piano nazionale di edilizia scolastica di cui si è già detto, il CIPE approvasse un “Piano di messa in sicurezza degli edifici scolastici esistenti e di costruzione di nuovi edifici scolastici”. Per le finalità di tale ultimo piano sono stati assegnati 100 milioni di euro a valere sulle risorse di cui all’art. 33, co. 8, della L. 183/2011 (v. ante). Inoltre, come già ante evidenziato, l’art. 33, co. 3, della medesima L. 183/2012 ha assegnato al Fondo per lo sviluppo e la coesione una dotazione finanziaria di 2.800 milioni per l'anno 2015 per il periodo di programmazione 2014-2020, da destinare prioritariamente alla prosecuzione di interventi indifferibili infrastrutturali, nonché per la messa in sicurezza di edifici scolastici. L’assegnazione delle risorse è avvenuta con la delibera CIPE n. 6 del 2012 che, alla tabella 5, reca gli ulteriori interventi prioritari in ragione della loro indifferibilità ai sensi del predetto articolo tra i quali figurano 100 milioni di euro per la costruzione di nuovi edifici scolastici e 259 milioni di euro per interventi di messa in sicurezza degli edifici scolastici medesimi.
Il comma 4-octies, inserito nel corso dell’esame al Senato, dispone che, per gli edifici scolastici di nuova edificazione, l’infrastruttura di rete internet sia compresa tra le opere edilizie necessarie da parte degli enti locali responsabili dell’edilizia scolastica.
Articolo 11-bis
(Credito d’imposta per promuovere
l’offerta
on line di opere dell’ingegno)
L’articolo 11-bis, introdotto nel corso dell’esame al Senato, riconosce un credito d’imposta del 25 per cento dei costi sostenuti alle imprese che sviluppano nel territorio italiano piattaforme telematiche per la distribuzione, la vendita e il noleggio di opere dell’ingegno digitali.
Più in dettaglio, il comma 1, al fine di migliorare l’offerta legale di opere dell’ingegno[90] mediante le reti di comunicazione elettronica, attribuisce un credito d’imposta pari al 25 per cento dei costi sostenuti alle imprese che sviluppano nel territorio italiano piattaforme telematiche per la distribuzione, la vendita e il noleggio di opere dell’ingegno digitali.
La norma precisa che tale contributo potrà essere erogato nel rispetto dei limiti della regola de minimis, di cui al regolamento (CE) n. 1998/2006 della Commissione, del 15 dicembre 2006.
Si ricorda che il regime "de minimis" può essere definito come una modalità semplificata attraverso la quale la Commissione Europea autorizza l'istituzione da parte degli stati Membri di alcuni tipi di regimi di aiuto per le imprese. Tale facilitazione si basa sul presupposto che gli aiuti di stato, se inferiori ad una certa soglia, non violano la concorrenza tra imprese. Al riguardo, il Regolamento (CE) N. 1998/2006, stabilisce una serie di condizioni che devono essere rispettate affinché un aiuto possa essere considerato "di importo minore". Se lo Stato membro rispetta questi limiti nell'istituire un regime di aiuto lo può considerare automaticamente approvato dalla Commissione. In compenso le imprese non possono ricevere più di 200 mila euro in tre anni attraverso questa tipologia di strumenti agevolativi.
Ai sensi del comma 2, l’agevolazione si applica per ciascuno degli anni 2013, 2014 e 2015, nel limite di spesa di 5 milioni di euro annui e fino a esaurimento delle risorse disponibili. Inoltre, secondo quanto stabilito dal comma 3, essa:
§ non concorre alla formazione del reddito né della base imponibile Irap;
§ non rileva ai fini del rapporto tra l’ammontare dei ricavi e altri proventi che concorrono a formare il reddito d’impresa, ed è utilizzabile ai fini dei versamenti delle imposte sui redditi e dell’Irap dovute per il periodo d’imposta in cui sono state sostenute le spese;
§ non è rimborsabile, ma non limita il diritto al rimborso di imposte spettante ad altro titolo.
L’eventuale eccedenza è utilizzabile in compensazione a decorrere dal mese successivo al termine per la presentazione della dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta con riferimento al quale il credito è concesso.
Ai sensi del comma 4, alla copertura del relativo onere si provvede - con decreti dirigenziali dell’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato -mediante incremento della misura del prelievo erariale unico in materia di giochi pubblici, nonché della percentuale del compenso per le attività di gestione ovvero per quella dei punti vendita, al fine di assicurare maggiori entrate in misura non inferiore a 5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2013, 2014 e 2015.
Si ricorda, al riguardo, che la Commissione finanze, in occasione dell’espressione del parere sulla proposta di legge A.C. 5103, in tema di “esodati”, che prevedeva un analogo intervento sul PREU, ha sottolineato come tale modalità di copertura non sia in alcun modo condivisibile, in quanto una modifica delle condizioni e del livello di prelievo in cui opera il comparto dei giochi - tra l'altro non coordinata con i recenti interventi normativi adottati nella stessa materia - non realizzerebbe l'obiettivo di maggiori entrate cui tende il provvedimento, ma al contrario causerebbe, soprattutto nell'attuale congiuntura, effetti pericolosi per gli equilibri economici di tale mercato, compromettendo la realizzazione del gettito atteso da tale comparto, nonché determinando un ampio contenzioso con tali soggetti, potenzialmente oneroso per l'erario.
Articolo 12
(Fascicolo sanitario elettronico e
sistemi di sorveglianza
nel settore sanitario)
L’articolo 12 reca disposizioni in tema di Fascicolo sanitario elettronico (FSE) e sistemi di sorveglianza.
In materia di FSE, l’intervento legislativo completa e rende coerente il quadro normativo in materia, privo di una disciplina organica a livello nazionale, a fronte di numerose iniziative progettuali avviate in contesti regionali.
Per quanto riguarda i sistemi di sorveglianza e registri sanitari, la norma in esame intende uniformare la disciplina di riferimento su tutto il territorio nazionale, fornendo indicazioni relative alla loro istituzione, tenuta ed aggiornamento.
L’articolo 12, modificato nel corso dell’esame presso il Senato, reca disposizioni in tema di Fascicolo sanitario elettronico (FSE) e sistemi di sorveglianza.
In materia di FSE, l’intervento legislativo completa e rende coerente il quadro normativo in materia, privo di una disciplina organica a livello nazionale, a fronte di numerose iniziative progettuali avviate in contesti regionali.
L'esperienza del fascicolo sanitario elettronico dell'Emilia-Romagna al Parlamento europeo. Il 2 ottobre 2012, la Regione Emilia Romagna ha presentato alla Commissione Health del Parlamento europeo il proprio FSE già funzionante in rete, che raccoglie automaticamente tutti i bit dei dati e dei documenti generati dai contatti dell'assistito con i medici del servizio sanitario pubblico e accreditato: referti, visite specialistiche, verbali di pronto soccorso, prescrizioni in formato elettronico, etc. Sono già nella rete del FSE 3.117 medici di Medicina generale (99,4% dei medici di famiglia della Rer), 611 pediatri di libera scelta (99,4%), 8.060 medici specialisti ambulatoriali e ospedalieri, quasi un migliaio di medici di strutture accreditate. In via sperimentale sono entrate in rete 26 farmacie (entro il 2013 le oltre mille farmacie della Regione Emilia-Romagna saranno collegate al Fse). Tre milioni di cittadini dei 4,3 milioni di abitanti dell'Emilia-Romagna hanno già dato il consenso per attivare il FSE.
Per quanto riguarda i sistemi di sorveglianza e registri sanitari, la norma in esame intende uniformare la disciplina di riferimento su tutto il territorio nazionale, fornendo indicazioni relative alla loro istituzione, tenuta ed aggiornamento.
La disposizione intende pertanto concorrere alla riduzione e al contenimento della spesa sanitaria nell’ottica di un miglioramento della qualità e dell’appropriatezza dei servizi erogati.
L’esigenza di una disciplina legislativa è testimoniata dal disegno di legge di iniziativa governativa Delega al Governo per il riassetto della normativa in materia di sperimentazione clinica e per la riforma degli ordini delle professioni sanitarie, nonché disposizioni in materia sanitaria (A.C. 4274)[91], ora all’esame, in sede referente, della Commissione 12ª (Igiene e sanità) del Senato, che dedica il Capo III alla sanità elettronica.
L’articolo in esame è pressoché identico agli articoli 12 e 13[92] dell’A.C. 4274 (A.S. 2935), di cui in alcuni casi registra le modifiche apportate nel corso dell’esame parlamentare.
In base al quadro normativo vigente, oggi è consentito l’uso dei dati contenuti nel FSE esclusivamente per le finalità di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione. La disposizione in commento invece ne rende possibile l’uso, da parte delle regioni, del Ministero del lavoro e delle politiche sociali nonché del Ministero della salute, anche per scopi di studio e ricerca scientifica in campo medico, biomedico ed epidemiologico, nonché per le finalità di programmazione, sanitaria, verifica delle qualità delle cure e valutazione dell’assistenza sanitaria. L'utilizzo dei dati del FSE, nel pieno rispetto della normativa vigente in materia di protezione dei dati personali, per le finalità da ultimo indicate, potrà pertanto concorrere al monitoraggio della spesa sanitaria. La disposizione demanda ad un regolamento le puntuali norme attuative.
Il Dipartimento per la digitalizzazione e l'innovazione nella pubblica amministrazione, in collaborazione con il Ministero della salute, è stato finora impegnato nel coordinamento di progetti regionali volti a sviluppare e garantire l'interoperabilità del FSE a livello regionale, nazionale ed europeo. Ad oggi la situazione sul territorio è ancora frammentata, anche se tutte le regioni sono attivamente impegnate a sviluppare soluzioni condivise e l'Italia partecipa con altri undici Stati membri ad un progetto per l'interoperabilità del FSE finanziato dalla Commissione europea[93].
Nel luglio 2012, sono state presentate le prime linee guida di infrastruttura tecnologica del FSE realizzate nell’ambito di una collaborazione tra il Dipartimento per la digitalizzazione della pubblica amministrazione e l’innovazione tecnologica (DDI) e il Dipartimento Tecnologie dell’Informazione e delle Comunicazioni del CNR. Il documento definisce le linee guida di riferimento per garantire l’interoperabilità tra le soluzioni di FSE in corso di realizzazione e di studio a livello territoriale. Le linee guida non sono prescrittive per le regioni che hanno realizzato, stanno realizzando o intendono realizzare soluzioni di FSE, ma costituiscono il primo risultato del dibattito instauratosi nell’ambito del Tavolo permanente per la Sanità Elettronica delle regioni per favorire una convergenza verso soluzioni condivise.
Lo sviluppo di una soluzione nazionale FSE comporta la progettazione di un modello architetturale dell’infrastruttura tecnologica, nella quale siano definiti i meccanismi per la raccolta e la disponibilità dei documenti e dei dati sanitari in formato digitale, nonché dei servizi di supporto ai processi sanitari.
L’Infrastruttura tecnologica del FSE dovrà garantire la compatibilità con le soluzioni architetturali già sviluppate presso alcune regioni, in una visione generale orientata verso un unico modello di infrastruttura federata, condivisa a livello nazionale e allineata allo scenario internazionale. Inoltre, il modello deve recepire i requisiti infrastrutturali necessari alla interoperabilità funzionale e semantica oggetto dei progetti nazionali ed europei in tema di FSE. Per rispettare tutti questi requisiti, il modello architetturale di FSE deve rispecchiare, nel suo complesso, un’architettura orientata ai servizi (Service-Oriented Architecture, SOA), la quale, a sua volta, deve essere posta al di sopra delle infrastrutture tecnologiche del Sistema Pubblico di Connettività (SPC) per la cooperazione applicativa tra PA[94].
A tale progetto si collega il progetto «IPSE – Interoperabilità nazionale del FSE[95]», in relazione al quale è stato sottoscritto un accordo interregionale con dieci regioni (Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Veneto, Emilia-Romagna, Toscana, Umbria, Marche, Sardegna, Abruzzo e Molise).[96].
Il 10 febbraio 2011 sono state approvate in sede di Conferenza Stato-Regioni le Linee guida sul fascicolo sanitario elettronico[97], proposte dal Ministero della Salute, e messe a punto da un tavolo tecnico interistituzionale a cui hanno partecipato rappresentanti delle Regioni, del Ministero per la pubblica amministrazione e l’innovazione, di DigitPa e del Garante per la protezione dei dati. Le linee guida individuano gli elementi necessari per una progettazione omogenea del FSE su base nazionale ed europea. L’accesso al Fse potrà avvenire mediante l’utilizzo della carta d’identità elettronica (Cie) e della carta nazionale dei servizi (Cns), ma potrà essere consentito anche attraverso strumenti di autenticazione forte, con l’utilizzo di smart card rilasciate da certificatori accreditati, o debole, con l’utilizzo di userid e password, o con altre soluzioni, purché siano rispettate le misure minime di sicurezza nel rispetto del Codice in materia di protezione di dati personali.
Precedentemente, il Garante per la protezione dei dati personali con la deliberazione, Linee guida in tema di Fascicolo sanitario elettronico (Fse) e di dossier sanitario[98], ha inteso fornire un primo quadro di cautele, al fine di delineare garanzie, responsabilità e diritti legati al FSE. La condivisione informatica, di dati e documenti sanitari da parte di distinti organismi o professionisti presenta infatti aspetti problematici, primo fra tutti la necessità di prevedere profili diversi di accessi ed abilitazioni con diversi gradi di tutela. Il provvedimento del Garante stabilisce che il paziente possa scegliere, con un consenso autonomo e specifico, distinto da quello che si presta a fini di cura della salute, se far costituire o meno un fascicolo sanitario elettronico, con tutte o parte delle informazioni sanitarie che lo riguardano. Il Garante sottolinea inoltre l’importanza che al paziente sia garantita la possibilità di oscurare la visibilità di alcuni eventi clinici.
L'articolo 12, al comma 1, introduce l'istituto del fascicolo sanitario elettronico (FSE), definendolo come l'insieme dei dati e documenti digitali di tipo sanitario e socio-sanitario generati da eventi clinici presenti e trascorsi, riguardanti l'assistito.
Il comma 2 prevede che il FSE possa essere istituito dalle regioni e province autonome, nel rispetto della normativa vigente in materia di protezione dei dati personali, per finalità di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione, di studio e ricerca scientifica in campo medico, biomedico ed epidemiologico, nonché per le finalità di programmazione, sanitaria, verifica delle qualità delle cure e valutazione dell’assistenza sanitaria. Con una disposizione aggiunta nel corso dell’esame al Senato, viene previsto che il FSE deve consentire anche l’accesso da parte del cittadino ai servizi sanitari on-line secondo le modalità stabilite dal decreto di cui al successivo comma 7.
Il comma 3 precisa che il FSE è alimentato in maniera continuativa dai soggetti del SSN e dei servizi socio-sanitari regionali che prendono in cura l'assistito senza ulteriori oneri per la finanza pubblica.
Il comma 3-bis, inserito nel corso dell’esame presso il Senato, prevede che il FSE possa essere alimentato esclusivamente sulla base del consenso libero e informato da parte dell’assistito il quale può decidere quali dati relativi alla propria salute non debbano esservi inseriti.
I commi 4 e 5 prevedono che le finalità di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione[99] siano perseguite dai soggetti del Servizio sanitario nazionale e dei servizi socio-sanitari regionali che prendono in cura l'assistito e che la consultazione dei dati e dei documenti presenti nel FSE per le predette finalità può essere realizzata soltanto con il consenso dell'assistito e sempre nel rispetto del segreto professionale, salvo i casi di emergenza sanitaria secondo modalità individuate al riguardo. Il mancato consenso dell’assistito non pregiudica il diritto all'erogazione della prestazione sanitaria.
Il Garante ha sottolineato che il diritto alla costituzione o meno del FSE si deve tradurre per l’interessato nella garanzia di decidere liberamente, sulla base del consenso, se acconsentire o meno alla costituzione di un documento che raccoglie ampia parte della storia sanitaria personale. Affinché tale scelta sia effettivamente libera, l'interessato che non desidera che sia costituito un FSE deve poter accedere comunque alle prestazioni del SSN e non avere conseguenze negative sulla possibilità di usufruire di prestazioni mediche. Relativamente al consenso, questo, anche se manifestato unitamente a quello previsto per il trattamento dei dati a fini di cura, deve essere autonomo e specifico e devono essere previsti momenti distinti in cui l'interessato possa esprimere la propria volontà: attraverso un consenso di carattere generale per la costituzione del FSE e di consensi specifici ai fini della sua consultazione da parte dei singoli titolari del trattamento (es. medico di medicina generale, pediatra di libera scelta, farmacista, medico ospedaliero). Inoltre, l'informativa e la connessa manifestazione del consenso possono essere formulate distintamente per ciascuno dei titolari o, più opportunamente, in modo cumulativo, avendo comunque cura di indicare con chiarezza l'ambito entro il quale i singoli soggetti trattano i dati rispetto al FSE. Infine, l'interessato deve essere informato anche della circostanza che il Fascicolo potrebbe essere consultato, anche senza il suo consenso, ma nel rispetto dell'autorizzazione generale del Garante, qualora sia indispensabile per la salvaguardia della salute di un terzo o della collettività (art. 76 del Codice e Autorizzazione generale del Garante n. 2/2008 al trattamento dei dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale del 19 giugno 2008).
Il comma 6 stabilisce che le finalità di studio e di ricerca scientifica in campo medico, biomedico ed epidemiologico[100], nonché per le finalità di programmazione, sanitaria, verifica delle qualità delle cure e valutazione dell’assistenza sanitaria[101] sono perseguite dalle regioni e dalle province autonome nonché dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dal Ministero della salute, nei limiti delle rispettive competenze attribuite dalla legge, senza l'utilizzo dei dati identificativi degli assistiti e dei documenti clinici presenti nel FSE, secondo livelli di accesso, modalità e logiche di organizzazione ed elaborazione dei dati definiti, con il decreto previsto al comma 7, in conformità ai principi di proporzionalità, necessità e indispensabilità nel trattamento dei dati personali.
Il comma 6-bis, inserito nel corso dell’esame presso il Senato, prevede che la consultazione dei dati e dei documenti presenti nel FSE possa avvenire soltanto in forma protetta e riservata secondo modalità determinate dal decreto di cui al comma 7.
Il comma 7 stabilisce che, entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto in esame, con decreto del Ministro della salute e del Ministro delegato per l’innovazione, di concerto con il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione e il Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato-regioni, acquisito il parere del Garante per la protezione dei dati personali[102], sono stabiliti:
§ i contenuti del FSE e i limiti di responsabilità e i compiti dei soggetti che concorrono alla sua implementazione;
§ i sistemi di codifica dei dati;
§ le garanzie e le misure di sicurezza da adottare nel trattamento dei dati personali nel rispetto dei diritti dell’assistito;
§ le modalità e i livelli diversificati di accesso al FSE da parte da parte dei soggetti del SSN e dei servizi socio-sanitari regionali, delle regioni e delle province autonome nonché del Ministero della salute e del Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
§ la definizione e le relative modalità di attribuzione di un codice identificativo univoco dell’assistito che non consenta l’identificazione diretta dell’interessato;
§ i criteri per l’interoperabilità del FSE a livello regionale, nazionale ed europeo, nel rispetto delle regole tecniche del sistema pubblico di connettività.
Il comma in esame specifica che il decreto interministeriale di definizione del FSE non impatta e nulla modifica di quanto stabilito dall’articolo 15, comma 25-bis del D.L. 95/2012[103].
Nel corso della legislatura, gli interventi legislativi in materia di sistemi informativi sanitari sono stati numerosi seppur disorganici.
Ai fini della attivazione dei programmi nazionali di valutazione in ambito sanitario, il comma 25-bis dell’articolo 15 del D.L. 95/2012 mette in capo al Ministero della salute il compito di modificare ed integrare tutti i sistemi informativi del SSN, anche quando gestiti da diverse amministrazioni dello Stato, interconnettendo, a livello nazionale, tutti i flussi informativi su base individuale. Per le attività di valutazione, il complesso delle informazioni e dei dati individuali deve essere reso disponibile esclusivamente in forma anonima, come previsto dall'articolo 35 del D.Lgs. 118/2011[104] che demanda ad un decreto del Ministro della salute, mai emanato, la determinazione delle procedure di anonimizzazione dei dati individuali presenti nei flussi informativi, già oggi acquisiti in modo univoco sulla base del codice fiscale dell'assistito, con la trasformazione del codice fiscale, ai fini di ricerca per scopi di statistica sanitaria, in codice anonimo, mediante apposito algoritmo biunivoco, in modo da tutelare l'identità dell'assistito nel procedimento di elaborazione dei dati. I dati così anonimizzati sono utilizzati per migliorare il monitoraggio e la valutazione della qualità e dell'efficacia dei percorsi di cura, con un pieno utilizzo degli archivi informatici dell'assistenza ospedaliera, specialistica, farmaceutica.
Il Ministero della salute si avvale dell'AGENAS per lo svolgimento delle funzioni di valutazione degli esiti delle prestazioni assistenziali e delle procedure medico-chirurgiche nell'ambito del SSN[105]. A tal fine, AGENAS accede, in tutte le fasi della loro gestione, ai sistemi informativi interconnessi del SSN in modalità anonima.
Il comma 8 esclude che nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica possano derivare dall'attuazione dell'articolo. Le amministrazioni interessate provvedono alle attività di competenza nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.
Come detto, la progettazione e realizzazione del FSE è già una realtà in gran parte delle regioni e province autonome, anche grazie a progetti finanziati e coordinati a livello nazionale, interregionale ed europeo. Inoltre, le infrastrutture utilizzate sono in larga parte già disponibili nell'ambito del sistema pubblico di connettività (SPC), pertanto non necessitano di ulteriori investimenti. Per quanto riguarda i progetti in corso presso le regioni, i finanziamenti di riferimento provengono da risorse nell'ambito dei fondi FAS per il settore della società dell'informazione. Si richiama in proposito quanto previsto dalla delibera CIPE n. 17 del 9 maggio 2003[106]. A tali risorse vanno aggiunte quelle previste nel ciclo di programmazione dei fondi strutturali europei 2000-2006, che contempla, per i progetti regionali di sviluppo di sistemi di supporto per la sanità, un volume finanziario complessivo pari a 45 milioni di euro. Infine, le regioni hanno destinato e tuttora destinano quota parte delle risorse loro assegnate nell'ambito del programma straordinario di edilizia sanitaria ed ammodernamento del patrimonio tecnologico del Servizio sanitario nazionale, di cui all'articolo 20 della legge 67/1988[107], anche alla informatizzazione dei servizi sanitari, e in particolare alla realizzazione del FSE. In particolare, la delibera CIPE n. 98 del 18 dicembre 2008[108] indica come priorità della programmazione regionale e nazionale anche l’implementazione e l’ammodernamento dei sistemi informatici delle aziende sanitarie e ospedaliere e l’integrazione dei medesimi con i sistemi informativi sanitari delle regioni. I costi stimati per la realizzazione del FSE a livello nazionale, circa 90 milioni di euro secondo la stima del Piano e-gov 2012, si ritengono per tanto coperti dalle risorse sopra elencate.
Il comma 15 dispone che, per l’attuazione delle disposizioni in materia di FSE, le regioni e le province autonome, possono, nel principio dell’ottimizzazione e razionalizzazione delle spesa informatica, anche mediante la definizione di appositi accordi di collaborazione, realizzare infrastrutture tecnologiche per il FSE condivise a livello sovra-regionale, ovvero avvalersi, anche mediante riuso[109], delle infrastrutture tecnologiche per il FSE a tale fine già realizzate da altre regioni o dei servizi da queste erogate.
Il comma 9 prevede la cabina di regia per l’attuazione dell’ Agenda digitale italiana, sia integrata, per gli aspetti relativi al settore sanitario, con un componente designato dal Ministro della salute, il cui incarico è svolto a titolo gratuito.
Si ricorda che la cabina di regia deve coordinare gli interventi pubblici in materia da parte di regioni, province autonome ed enti locali.
I commi da 10 a 14 istituiscono i sistemi di sorveglianza e i registri di mortalità, di tumori e di altre patologie,di trattamenti costituiti da trapianti di cellule e tessuti e trattamenti a base di medicinali per terapie avanzate o prodotti di ingegneria tessutale e di impianti protesici ai fini di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione, programmazione sanitaria, verifica della qualità delle cure, valutazione dell’assistenza sanitaria e di ricerca scientifica in ambito medico, biomedico ed epidemiologico allo scopo di garantire un sistema attivo di raccolta sistematica di dati anagrafici, sanitari ed epidemiologici per registrare e caratterizzare tutti i casi di rischio per la salute, di una particolare malattia o di una condizione di salute rilevante in una popolazione definita (comma 10).
I sistemi di sorveglianza sono basati sulla segnalazione di informazioni relative a pazienti con diagnosi definite. Recentemente sono stati avviati nuovi sistemi basati non più sulla diagnosi di malattia, ma sulla presenza di un insieme di segni e sintomi, che costituiscono una sindrome. Tali sistemi hanno l'obiettivo di identificare precocemente potenziali minacce per la salute pubblica, in modo da mettere in atto una risposta rapida in grado di ridurre morbilità e mortalità. Tipico esempio di sistema di sorveglianza è InfluNet, coordinato dal Ministero della Salute con la collaborazione dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), del Centro Interuniversitario per la Ricerca sull’Influenza (CIRI), dei medici di medicina generale e pediatri di libera scelta nonché dei laboratori di riferimento per l’influenza e degli Assessorati regionali alla Sanità. L’obiettivo è descrivere i casi di influenza e stimare l’incidenza settimanale della sindrome influenzale durante la stagione invernale, in modo da valutare durata e intensità dell'epidemia.
In merito ai registri citati nell’articolo in commento, si ricorda che i registri di patologia, riferiti a malattie di rilevante interesse sanitario, costituiscono uno strumento di monitoraggio e valutazione dell’efficacia delle azioni di prevenzione e di qualità delle cure.
Per quanto riguarda i registri di mortalità, la fonte primaria del dato relativo alle cause di decesso è rappresentata dalla scheda di morte predisposta dall’Istituto nazionale di statistica (Istat) che deve essere compilata dal medico curante o dal medico che ha prestato assistenza al paziente deceduto. Questa scheda, secondo il Regolamento di Polizia mortuaria (DPR 285/90), è in duplice copia e deve essere inviata dal Comune di decesso all’Istat e alla Asl di decesso. Accanto alla banca dati di mortalità dell’Istat sono state create banche dati e registri di mortalità regionali gestiti dalle aziende sanitarie e dalle Regioni, ai sensi dell’articolo 1 del Regolamento di polizia mortuaria che prevede che ogni unità sanitaria locale debba istituire e tenere aggiornato un registro per ogni comune incluso nel suo territorio contenente l'elenco dei deceduti nell'anno e la relativa causa di morte.
Gli impianti protesici, ai sensi del D.Lgs. 46/1997[110], sono a tutti gli effetti dispositivi medici e pertanto soggetti alla normativa in materia. La legge finanziaria per il 2003 (articolo 1, comma 57, della L. 2289/2002), ha previsto la realizzazione del Repertorio generale dei dispositivi medici commercializzati in Italia (RDM), al fine di consentire sia valutazioni di ordine economico sugli stessi da parte dei diversi soggetti pubblici deputati al loro acquisto sia la definizione del prezzo di riferimento dei dispositivi. Successivamente la legge finanziaria 2006 (articolo 1, comma 409, della legge 266/2005) ha previsto l’istituzione di registri di patologie che implichino l'utilizzazione di dispositivi medici.
Presso l'Istituto superiore di sanità sono stati costituiti alcuni registri nazionali: il Registro nazionale della procreazione medicalmente assistita; il Registro nazionale dell'ADHD (sindrome da iperattività con deficit di attenzione); il Registro nazionale AIDS (RAIDS); il Registro nazionale degli assuntori di ormone della crescita; il Registro nazionale gemelli; il Registro nazionale degli ipotiroidei congeniti; il Registro nazionale della legionellosi; il Registro nazionale della malattia di Creutzfeldt-Jakob e sindromi correlate; il Registro nazionale delle malattie rare[111]; il Registro nazionale e regionale del sangue e del plasma nonché il Registro nazionale degli interventi di protesi d'anca.
I Registri Tumori attivi raccolgono invece informazioni sui malati di cancro residenti in un determinato territorio. Attualmente sono attivi 31 registri di popolazione o specializzati che seguono complessivamente un quarto della popolazione italiana. Le informazioni raccolte includono dati anagrafici e sanitari essenziali per lo studio dei percorsi diagnostico-terapeutici, la ricerca sulle cause del cancro, per la valutazione dei trattamenti più efficaci, per la progettazione di interventi di prevenzione e per la programmazione delle spese sanitarie. Tutti i Registri Tumori italiani aderiscono all’Associazione Italiana Registri Tumori (AIRT), che fornisce assistenza tecnica, promuove l’uso di tecniche uniformi di registrazione e di sistemi di classificazione uguali o confrontabili e valuta la qualità e la completezza dei dati dei Registri di popolazione e dei Registri specializzati (raccolgono informazioni su un singolo tipo di tumore o su specifiche fasce di età).
Sia i sistemi di sorveglianza che i registri possono essere permanenti o temporanei, a seconda delle finalità per cui sono stati costituiti.
I sistemi di sorveglianza e i registri di rilevanza nazionale sono istituiti, ai sensi del comma 11, con D.P.C.M., su proposta del Ministro della salute, previa intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni, e acquisito il parere del Garante per la protezione dei dati personali. Gli elenchi dei sistemi di sorveglianza e dei registri di mortalità, di tumori e di altre patologie, di trattamenti costituiti da trapianti di cellule e tessuti e trattamenti a base di medicinali per terapie avanzate o prodotti di ingegneria tessutale e di impianti protesici sono aggiornati periodicamente con la stessa procedura, ovvero su proposta del Ministro della salute, previa intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni, e acquisito il parere del Garante per la protezione dei dati personali. L’attività di tenuta e aggiornamento dei registri di cui al presente comma è svolta con le risorse disponibili in via ordinaria e rientra tra le attività istituzionali delle aziende e degli enti del SSN.
D’altra parte, le regioni e le province autonome possono istituire con propria legge i registri di patologia, di mortalità e di impianti protesici di rilevanza regionale e provinciale diversi da quelli nazionali (comma 12).
Si rileva che la norma in esame non pone in alcuna relazione i sistemi
di sorveglianza e i registri nazionali con quelli regionali o provinciali.
Fermo restando quanto disposto dall’articolo 15, comma 25-bis del D.L. 95/2012 (vedi supra), entro diciotto mesi dalla entrata in vigore del decreto legge in esame, un regolamento[112], da adottare su proposta del Ministro della salute, acquisito il parere del Garante per la protezione dei dati personali e previa intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni, individua:
§ i soggetti che possono avere accesso ai dati, in conformità alle disposizioni del Codice in materia di protezione dei dati personali (D.Lgs. 196/2003) relative al trattamento dei dati sensibili da parte di soggetti pubblici (art. 20 e 22) e ai compiti attribuiti al Garante(art. 154);
§ i dati a cui accedere;
§ le misure per la custodia e la sicurezza dei dati (comma 13).
Ai sensi del comma 14, i contenuti del regolamento devono in ogni caso informarsi ai principi di pertinenza, non eccedenza, indispensabilità e necessità di cui agli articoli 3, 11 e 22 del codice in materia di protezione dei dati personali.
Articolo 13
(Prescrizione medica e cartella clinica
digitale)
I commi da 1 a 3-bis dell'articolo 13 prevedono la graduale sostituzione del formato cartaceo con quello elettronico per la prescrizione medica, concernente farmaci o prestazioni specialistiche, a carico del Servizio sanitario nazionale, prevedendo anche specifiche sanzioni a carico dei medici inadempienti.
Il comma 4 prevede che, dal 1° gennaio 2014, il sistema per la tracciabilità delle confezioni dei farmaci erogate dal Servizio sanitario nazionale basato su fustelle cartacee sia integrato, ai fini del rimborso delle quote a carico del medesimo Servizio sanitario nazionale, da un sistema basato su tecnologie digitali.
Il comma 5 prevede che, dal 1° gennaio 2013, la conservazione delle cartelle cliniche possa essere effettuata esclusivamente in forma digitale, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
A fronte di un quadro normativo e regolatorio ormai completo, il comma 1 dell’articolo in esame – articolo modificato nel corso dell’esame presso il Senato - stabilisce uno scadenzario temporale per il passaggio al formato elettronico delle prescrizioni mediche di farmaceutica e specialistica a carico del SSN. Le modalità tecniche, come ricordato all’interno del comma, sono state in ultimo definite dal decreto del Ministero dell’economia e delle finanze e del Ministero della salute del 2 novembre 2011[113] sulla dematerializzazione della ricetta medica cartacea. La norma in questione intende pertanto imprimere un’accelerazione ad un processo mirato al miglioramento della qualità dei servizi offerti ai cittadini e al progetto di monitoraggio della spesa del settore sanitario. A tal fine, le regioni e le province autonome, entro 6 mesi dall’entrata in vigore del decreto-legge in esame, provvedono alla graduale sostituzione delle prescrizioni in formato cartaceo con le equivalenti in formato elettronico, in percentuali che, in ogni caso, non dovranno risultare inferiori al 60 per cento nel 2013, all’80 per cento nel 2014 e al 90 per cento nel 2015.
La prescrizione elettronica presuppone il collegamento in rete delle strutture di erogazione dei servizi sanitari: medici di medicina generale, pediatri di libera scelta, aziende sanitarie locali, aziende ospedaliere e farmacie pubbliche e private. A tal fine, l’articolo 50, comma 5, del D.L. 269/2003[114] ha previsto un collegamento telematico tra il Ministero dell'economia e delle finanze e le strutture di erogazione dei servizi sanitari.
Il D.P.C.M. del 26 marzo 2008[115], attuativo del decreto legge 269/2003, ha in parte definito le regole tecniche e di trasmissione dei dati delle ricette e le relative modalità di trasmissione telematica, da parte dei medici prescrittori del SSN, al Sistema di accoglienza centrale (SAC) del Ministero dell’economia e delle finanze. Successivamente, il decreto ministeriale 26 febbraio 2010 ha definito le modalità per la predisposizione e l'invio telematico dei dati delle certificazioni di malattia all'INPS per il tramite del SAC. Per accelerare anche il processo di trasmissione telematica delle ricette al MEF, l'art. 11, comma 16, del decreto legge 78/2010 ha previsto una norma transitoria, nelle more dell'emanazione dei decreti ministeriali necessari per il completamento delle procedure tecniche in materia, rinviando all’adozione delle modalità tecnico-operative di cui all’allegato 1 del D.M. 26 febbraio 2010, ovvero quelle relative alla trasmissione telematica delle certificazioni di malattia. Tale modalità transitoria è stata superata con l’adozione del D.M. 2 novembre 2011 che ha stabilito le modalità tecniche e i servizi resi disponibili dal SAC, ai fini dell’attuazione di quanto previsto articolo 11, comma 16, ultimo periodo, del D.L. 78/2010, per la dematerializzazione della ricetta elettronica dalla fase di prescrizione a quella di erogazione delle prestazioni sanitarie a carico del SSN. Il decreto stabilisce che, a fronte dell'esito positivo dell'invio telematico dei dati della ricetta medica, comprensivi del numero della ricetta, del codice fiscale dell'assistito titolare della prescrizione e dell'eventuale esenzione dalla compartecipazione dalla spesa, il medico prescrittore rilascia all'assistito il promemoria cartaceo della ricetta elettronica. In caso di esito negativo dell'invio telematico dei dati, il medico segnala tale anomalia al Sistema Tessera Sanitaria. Le ricette mediche sono inviate dai medici al SAC o, ove esistenti, al Sistema di accoglienza regionale (SAR). Nel momento in cui l'assistito utilizza la ricetta elettronica, la struttura che eroga i servizi sanitari previsti, sulla base delle informazioni di cui al promemoria della medesima ricetta elettronica, preleva dal SAC i dati della prestazione da erogare, comprese le indicazioni di eventuali esenzioni. Se i dati necessari alla procedura non sono disponibili, la struttura di erogazione segnala l'anomalia al Sistema Tessera Sanitaria ed eroga la prestazione rilevando i dati dal promemoria fornito dall'assistito e poi trasmette telematicamente al Sac le informazioni sulla prestazione erogata. La diffusione e la messa a regime, presso le singole regioni e province autonome, del processo di dematerializzazione della ricetta medica per le prescrizioni a carico del SSN, è definita attraverso accordi specifici tra il Ministero dell'economia e delle finanze, il Ministero della salute e le singole regioni e province autonome[116]. Sono escluse dall'ambito di applicazione del decreto le prescrizioni di farmaci stupefacenti e di sostanze psicotrope, per le quali la ricetta resta cartacea. La messa a regime nelle regioni è prevista entro dicembre 2012.
Il comma 2 dispone che dal 1° gennaio 2014, le prescrizioni farmaceutiche generate in formato elettronico sono valide su tutto il territorio nazionale nel rispetto delle disposizioni che regolano i rapporti economici tra le regioni, le Asl e le strutture convenzionate che erogano prestazioni sanitarie, fatto salvo l’obbligo di compensazione tra regioni del rimborso di prescrizioni farmaceutiche relative a cittadini di regioni diverse da quelle di residenza: questi ultimi due periodi sono stati aggiunti nel corso dell’esame presso l’altro ramo del Parlamento.. Le modalità attuative sono definite con decreto del Ministro della salute di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, previa intesa con la Conferenza Stato-regioni.
Come previsto dal comma 3, l'inosservanza del passaggio delle prescrizioni mediche di farmaceutica e specialistica a carico del SSN dal formato cartaceo al formato elettronico, costituisce per i medici inadempienti illecito disciplinare e, in caso di reiterazione, comporta l'applicazione della sanzione del licenziamento ovvero, per i medici in rapporto convenzionale con le aziende sanitarie locali, della decadenza dalla convenzione, in modo inderogabile dai contratti o accordi collettivi, in applicazione di quanto previsto dall’articolo 55-septies, comma 4, del D. Lgs. 165/ 2001[117].
Il comma
3-bis, inserito nel corso dell’esame presso il Senato, aggiunge alcune
disposizioni al citato comma 4
dell’articolo 55-septies del D.Lgs n.
165/2001[118], che attiene alle conseguenze dell’’inosservanza degli obblighi di
trasmissione per via telematica della certificazione medica concernente le
assenze di lavoratori per malattia, prevedendo che per configurare tale inosservanza quale illecito
disciplinare devono ricorrere
sia l’elemento oggettivo
dell’inosservanza all’obbligo di trasmissione, sia l’elemento soggettivo del dolo o della colpa. Viene inoltre
previsto che le sanzioni siano applicate secondo criteri di gradualità e proporzionalità, secondo le previsioni degli
accordi e dei contratti collettivi di riferimento.
In proposito va ricordato che il comma 4 del citato articolo 55-septies del D.Lgs. n. 165/2001, prevede che l'inosservanza degli obblighi di trasmissione per via telematica della certificazione medica concernente assenze di lavoratori per malattia di cui al comma 2 costituisce illecito disciplinare e, in caso di reiterazione, comporta l'applicazione della sanzione del licenziamento ovvero, per i medici in rapporto convenzionale con le aziende sanitarie locali, della decadenza dalla convenzione, in modo inderogabile dai contratti o accordi collettivi.
Dal 1° gennaio 2014, il sistema per la tracciabilità delle confezioni dei farmaci erogate dal SSN basato su fustelle cartacee, già a lettura ottica, è integrato, ai fini del rimborso delle quote a carico del SSN, da sistema basato su tecnologie digitali, secondo modalità stabilite con provvedimento dirigenziale del Ministero dell’economia e delle finanze, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale e rese note sul sito del sistema informativo del progetto “Tessera sanitaria” e nel rispetto di quanto previsto dal Sistema di tracciabilità del farmaco del Ministero della salute. Con una previsione inserita durante l’esame al Senato viene stabilito che resta fermo in ogni caso quanto previsto dal comma 8 dell’articolo 50 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269[119] convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, in ordine ai soggetti abilitati alla trasmissione dei dati (comma 4).
Il citato comma 8 dell’articolo 50 del D.L. 269/2003 stabilisce che I dati rilevati ai sensi del comma 7 sono trasmessi telematicamente al Ministero dell'economia e delle finanze, entro il giorno 10 del mese successivo a quello di utilizzazione della ricetta medica, anche per il tramite delle associazioni di categoria e di soggetti terzi a tal fine individuati dalle strutture di erogazione dei servizi sanitari; il software di cui al comma 5 assicura che gli stessi dati vengano rilasciati ai programmi informatici ordinariamente utilizzati dalle strutture di erogazione di servizi sanitari, fatta eccezione, relativamente al codice fiscale dell'assistito, per le farmacie, pubbliche e private e per le strutture di erogazione dei servizi sanitari non autorizzate al trattamento del codice fiscale dell'assistito. Il predetto software assicura altresì che in nessun caso il codice fiscale dell'assistito possa essere raccolto o conservato in ambiente residente, presso le farmacie, pubbliche e private, dopo la conferma della sua ricezione telematica da parte del Ministero dell'economia e delle finanze
In Italia tutte le confezioni di medicinali immesse sul mercato sono provviste di un bollino autoadesivo (fustella) prodotto dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato (IPZS): il bollino riporta il nome del titolare dell’autorizzazione all’immissione in commercio, il nome della confezione, il suo codice di autorizzazione all’immissione in commercio ed il numero unico di identificazione della singola scatola (numero di targa). Alcune delle informazioni sono scritte sia in italiano sia in codice braille sulla confezione (almeno denominazione, dosaggio e forma farmaceutica), mentre il codice di autorizzazione all’immissione in commercio ed il numero unico di identificazione di ciascuna scatola sono presenti in chiaro ed in forma di codice a barre per poter essere letti in modo automatico[120].
Il comma 5 novella l’articolo 47-bis del decreto-legge 5/2012[121] che ha previsto che i piani sanitari, nazionale e regionali, privilegino la gestione elettronica delle pratiche cliniche attraverso l'utilizzo della cartella clinica digitale e i sistemi di prenotazione elettronica. Il comma in esame rafforza tali previsioni indicando i termini temporali entro cui potrà essere utilizzata, dalle strutture sanitarie pubbliche ed accreditate, la sola cartella clinica digitale. A tal fine viene novellato l’articolo 47-bis del decreto-legge 5/2012 nel corpo del quale vengono introdotti il comma 1-bis e 1-ter.
La novella specifica che, dal 1° gennaio 2013, la conservazione delle cartelle cliniche può essere effettuata anche solo in forma digitale, senza che ciò comporti nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e comunque nel rispetto di quanto previsto dal Codice dell’amministrazione digitale (D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82) e dal Codice in materia di protezione dei dati personali (D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196). Le disposizioni si applica alle strutture sanitarie private accreditate.
Ricordiamo che l'articolo 6, comma 2, lettera d) del decreto-legge 70/2011[122], c.d. decreto sviluppo, ha disposto che le aziende sanitarie del SSN adottino procedure telematiche per consentire il pagamento online delle prestazioni erogate, nonché la consegna, tramite web, posta elettronica certificata o altre modalità digitali, dei referti medici. Resta in ogni caso salvo il diritto dell'interessato di ottenere, anche a domicilio, copia cartacea del referto redatto in forma elettronica. Infine, in caso di trasferimento di residenza delle persone fisiche, i comuni, su richiesta degli interessati, ne danno comunicazione all’azienda sanitaria locale nel cui territorio è ricompresa la nuova residenza. La comunicazione è effettuata, entro un mese dalla data di registrazione della variazione anagrafica, telematicamente o su supporto cartaceo secondo modalità stabilite con decreto interministeriale di natura non regolamentare. L’azienda sanitaria locale provvede ad aggiornare il libretto sanitario, trasmettendo alla nuova residenza dell’intestatario il nuovo libretto ovvero un tagliando di aggiornamento da apporre su quello esistente.
Articolo 13-bis
(Principio attivo farmaco)
L'articolo 13-bis prevede, per i medici, la facoltà di prescrivere il principio attivo ovvero il nome specifico di un farmaco, per le aziende farmaceutiche, la possibilità di ridurre il prezzo dei medicinali a brevetto scaduto, e per le Regioni, l’obbligo di attenersi alle indicazioni Aifa sull’equivalenza terapeutica dei farmaci.
L’articolo 13-bis, inserito nel corso dell’esame al Senato, aggiunge due nuovi commi - 11-bis e 11-ter – all’articolo 15 del decreto-legge n. 95/2012[123].
Il nuovo comma 11-bis dell'articolo 15 prevede le seguenti novità: per il medico, le due possibilità di prescrivere il principio attivo oppure il principio attivo e il nome commerciale del medicinale, per il farmacista, la sostituzione del farmaco indicato, con un altro prodotto di identico prezzo, su richiesta del cliente, anche nel caso di indicazione del nome del medicinale sulla ricetta da parte del medico. In particolare:
§ il medico, che curi un paziente, per la prima volta, per una patologia cronica, ovvero per un nuovo episodio di patologia non cronica, per il cui trattamento sono disponibili più medicinali equivalenti, ha facoltà di indicare nella ricetta del Servizio sanitario nazionale il principio attivo contenuto nel farmaco oppure la denominazione di uno specifico medicinale;
La disposizione modificata prevede invece l’obbligo del medico di indicare la sola denominazione del principio attivo.
§ il farmacista ha l’obbligo di fornire il farmaco prescritto nei seguenti casi:
1) se nella ricetta sia inserita, con sintetica motivazione obbligatoria, la clausola di non sostituibilità[124], come già previsto nella norma modificata;
2) se il prezzo del farmaco indicato è pari al rimborso[125] garantito dal SSN, salvo diversa richiesta del cliente.
Il comma 11-bis dell'art. 15 del D.L. 95/2012 obbliga il medico, che curi un paziente, per la prima volta, per una patologia cronica, ovvero per un nuovo episodio di patologia non cronica, per il cui trattamento sono disponibili più medicinali equivalenti[126], ad indicare nella ricetta del SSN il solo principio attivo contenuto nel farmaco. Il medico può prescrivere altresì uno specifico medicinale a base dello stesso principio attivo, che risulta altresì vincolante per il farmacista solo se è indicata, con una sintetica motivazione, la clausola di non sostituibilità.
In generale, per le prescrizioni dei farmaci, l’art. 11 del D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, prevede:
§ l’obbligo di informazione del medico dell'eventuale presenza in commercio di medicinali equivalenti;
§ l’obbligo del farmacista, in assenza della condizione di non sostituibilità del farmaco prescritto, e salvo diversa richiesta del cliente, a fornire il medicinale prescritto avente il prezzo più basso.
In base al nuovo comma 11-ter, aggiunto all’art. 15 del D.L. 95/2012, le Regioni sono obbligate ad attenersi alle indicazioni dell’AIFA in riferimento all’equivalenza terapeutica tra medicinali con diversi principi attivi.
Il comma 2 dell’articolo in esame consente, inoltre, alle aziende farmaceutiche la riduzione del prezzo dei medicinali a brevetto scaduto, senza alcuna limitazione, e contemporaneamente all’entrata in commercio del farmaco equivalente.
In particolare, la disposizione in esame prevede l’abrogazione, del comma 4 dell'articolo 13 del decreto-legge 28 aprile 2009, n. 39[127], che permette all’azienda titolare dell'autorizzazione all'immissione in commercio di un medicinale con brevetto scaduto di ridurne il prezzo, dopo nove mesi dall'immissione in commercio del primo medicinale equivalente e non allo stesso prezzo dell’equivalente[128].
Articolo 13-ter
(Carta
dei diritti)
L’articolo 13-ter impegna lo Stato italiano a promuovere una carta dei diritti volta a stabilire principi e criteri per garantire l'accesso universale della cittadinanza alla rete internet senza alcuna discriminazione o forma di censura, promuovendone la diffusione anche a livello internazionale.
Articolo 14,
commi 1-7
(Interventi per la
diffusione delle tecnologie digitali – Banda larga)
L’articolo 14, comma 1, autorizza spese per il completamento del Piano nazionale banda larga; i commi da 2 a 5 disciplinano i procedimenti amministrativi per l’installazione di infrastrutture di comunicazione elettronica, anche con riguardo all’effettuazione delle opere necessarie (p.es. scavi); il comma 6 riguarda l’installazione di linee elettriche, mentre il comma 7 disciplina l’accesso nei condomini per l’installazione e manutenzione di apparati durante la fase di sviluppo della rete in fibra ottica e i conseguenti obblighi in capo agli stessi operatori.
Il comma 1 autorizza, per l’anno 2013, la spesa di 150 milioni di euro da iscrivere nello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico per il completamento del Piano nazionale banda larga, definito dal Ministero dello sviluppo economico – Dipartimento per le comunicazioni; autorizzato dalla Commissione europea con l’atto: aiuto di Stato n. SA.33807 (2011/N) – Piano nazionale banda larga Italia. Le risorse dovranno essere utilizzate nelle aree dell’intero territorio nazionale definite dal medesimo regime d’aiuto (vale a dire tutte le aree individuate come in digital divide ai sensi del Piano cfr. infra). In base ad una modifica introdotta al Senato, si dovrà tenere conto delle singole specificità territoriali e della copertura delle aree a bassa densità abitativa.
L’articolo 1, comma 1, della legge 69/2009[129] stabilisce che il Governo – nel rispetto delle competenze regionali e previa approvazione del CIPE - definisca un programma nel quale siano indicati gli interventi necessari alla realizzazione delle infrastrutture necessarie all’adeguamento delle reti di comunicazioni elettronica nelle aree sottoutilizzate. È, altresì, disposta una dotazione fino ad un massimo di 800 milioni per il periodo 2007-2013, a valere sulle risorse del Fondo per le aree sottoutilizzate. Tale stanziamento è stato ridotto di 400 milioni di euro dal Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) con la deliberazione 1/2011[130]. Inoltre, ulteriori 30 milioni dello stanziamento residuo sono stati destinati, ai sensi dell’articolo 2, comma 4-octies del decreto-legge n. 225/2010[131], ad incrementi al Fondo per il passaggio al digitale di cui all’articolo 1, comma 927, della legge finanziaria 2007 (legge n. 296/2006). La disponibilità di risorse per il Piano ammonterebbe quindi a 370 milioni per il periodo 2007-2013.
Nell’ottobre 2011 il Ministero dello sviluppo economico ha predisposto il piano nazionale banda larga[132], che, pur richiamando l’articolo 1, comma 1, della legge n. 69/2009, appare indirizzato a tutte le aree in digital divide del territorio nazionale e non solo a quelle delle aree sottoutilizzate.
Il digital divide (divario digitale) è definito nel piano come assenza di sufficiente connettività di banda larga definita come:
§ assenza di copertura dovuta a mancanza di ADSL o alla lunghezza della rete di accesso costituita da cavi in rame per la telefonia fissa
§ copertura light, vale a dire attraverso l’impiego di tecnologia ADSL ma a bassa capacità (fino a 640 kbitps)
§ Non sono invece considerate in digital divide le aree:
§ coperte da un servizio Internet con velocità di trasmissione superiore a 20 Mbitps
§ coperte da un servizio Internet con velocità di trasmissione compreso tra 2 e 20 Mbitps
Per le caratteristiche tecniche della “banda larga” si rinvia al box inserito alla fine della descrizione del comma 1
Nella tabella sottostante, ripresa dal Piano, è indicata la percentuale di popolazione italiana, ripartita su base regionale, residente in aree in digital divide:
Regione |
Copertura |
Copertura |
Copertura |
Assenza |
Digital
divide (Assenza
copertura o |
Abruzzo |
46,6% |
36,9% |
3,7% |
12,8% |
16,5% |
Basilicata |
31,8% |
41,8% |
13,6% |
12,8% |
26,4% |
Calabria |
27,3% |
52,6% |
12,3% |
7,8% |
20,1% |
Campania |
67,1% |
24,3% |
3,3% |
5,3% |
8,6% |
Emilia
Romagna |
61,5% |
26,3% |
4,0% |
8,1% |
12,2% |
Friuli
Venezia Giulia |
56,2% |
24,2% |
6,4% |
13,2% |
19,6% |
Lazio |
65,7% |
25,5% |
1,5% |
7,2% |
8,7% |
Liguria |
63,8% |
26,5% |
5,4% |
4,3% |
9,7% |
Lombardia |
57,1% |
31,7% |
3,4% |
7,8% |
11,3% |
Marche |
59,2% |
26,9% |
4,1% |
9,8% |
13,9% |
Molise |
36,3% |
23,8% |
8,7% |
31,2% |
40,0% |
Piemonte |
52,1% |
31,7% |
9,6% |
6,6% |
16,2% |
Puglia
|
64,2% |
30,8% |
1,4% |
3,7% |
5,0% |
Sardegna |
49,8% |
43,2% |
3,3% |
3,7% |
7,0% |
Sicilia |
56,2% |
36,8% |
1,9% |
5,1% |
7,1% |
Toscana |
50,0% |
37,3% |
3,4% |
9,3% |
12,7% |
Trentino
Alto Adige |
39,1% |
39,7% |
6,1% |
15,0% |
21,2% |
Umbria |
56,2% |
18,3% |
4,7% |
20,8% |
25,5% |
Valle
d’Aosta |
33,2% |
51,5% |
8,0% |
7,3% |
15,3% |
Veneto |
49,4% |
32,4% |
4,3% |
14,0% |
18,2% |
TOTALE |
56,2% |
31,5% |
4,2% |
8,1% |
12,3% |
Rispetto a tali aree il Piano prefigura tre tipologie di intervento:
§ tipologia A; realizzazione di infrastrutture che restano nella titolarità pubblica essendo accertata l’assenza di infrastrutture abilitanti di base: si tratta in particolare della realizzazione delle infrastrutture in fibra ottica di backhaul propedeutiche per la realizzazione di una rete di nuova generazione (ma nel piano si fa anche riferimento a tecnologie wireless), finanziabili al 100% a valere sulle risorse del Piano;
§ tipologia B: individuazione e finanziamento di progetti di investimenti, presentato da operatori del settore, rivolto alla diffusione dei servizi a banda larga nei territori in digital divide, con particolare riferimento alla rete di “ultimo miglio”, finanziabili fino ad un massimo del 70% a valere sulle risorse del Piano;
§ tipologia C: sostegno agli utenti (pubbliche amministrazioni, imprese e popolazioni rurali), per l’acquisto di particolari terminali di utente, in quelle aree rurali, molto marginali, dove condizioni geomorfologiche particolarmente difficili e/o la bassissima densità di popolazione rendono gli investimenti infrastrutturali scarsamente sostenibili economicamente o non realizzabili entro il 31 dicembre 2015, interventi finanziabili al 100% a valere sulle risorse del Piano. La tipologia C degli interventi dovrà essere attivata però solo successivamente alla realizzazione degli interventi di tipologia A e B.
E’ prevista per la realizzazione del Piano un fabbisogno economico complessivo di 1,471 miliardi di euro così ripartito:
§ tipologia A: 700 milioni di euro
§ tipologia B: 771 milioni di euro.
Non tutte le risorse necessarie risultavano, al momento della presentazione del piano, disponibili e assegnate (cfr. nella tabella sottostante le colonne “FEASR non ancora assegnate” e “Legge 69/2009 (800 m) + Quota project financing: risorse non ancora ripartite tra le regioni”). Nella tabella sottostante ripresa dal Piano è riportato il fabbisogno confrontato con le diverse tipologie di risorse:
Regione |
Fabbisogno-Piano |
Risorse
FAS assegnate |
Ris.
Regioni |
Ris.
Reg. FESR |
Ris.
Reg. |
Ris.
FEASR |
Ris.
ulteriori |
Stanziamento |
Abruzzo |
49.194.000 |
7.000.000 |
0 |
0 |
2.860.000 |
301.233 |
0 |
|
Basilicata |
26.898.000 |
3.000.000 |
2.300.000 |
0 |
0 |
7.641.117 |
0 |
|
Calabria |
52.092.000 |
5.000.000 |
0 |
0 |
0 |
18.233.865 |
50.000.000 |
|
Campania |
73.233.000 |
5.000.000 |
|
10.000.000 |
13.040.025 |
0 |
0 |
|
Emilia |
146.079.000 |
15.000.000 |
5.000.000 |
0 |
0 |
8.348.604 |
0 |
|
Friuli
Venezia |
41.705.000 |
4.500.000 |
0 |
0 |
0 |
0 |
2.219.149 |
|
Lazio
|
72.610.000 |
20.000.000 |
6.668.430 |
0 |
0 |
7.969.974 |
41.000.000 |
|
Liguria |
47.955.000 |
10.000.000 |
0 |
0 |
0 |
2.141.524 |
0 |
|
Lombardia |
157.242.000 |
20.000.000 |
6.668.430 |
0 |
0 |
7.969.974 |
41.000.000 |
|
Marche |
65.242.000 |
10.000.000 |
7.059.000 |
17.504.000 |
4.076.840 |
0 |
2.900.000 |
|
Molise |
24.900.000 |
5.000.000 |
0 |
0 |
0 |
1.785.631 |
0 |
|
Piemonte |
196.520.000 |
6.000.000 |
0 |
0 |
7.890.801 |
0 |
0 |
|
Puglia |
35.306.000 |
|
0 |
0 |
0 |
17.580.299 |
0 |
|
Sardegna |
44.539.000 |
6.316.077 |
0 |
0 |
10.843.411 |
813.512 |
|
|
Sicilia |
68.044.000 |
|
0 |
0 |
0 |
25.408.067 |
0 |
|
Toscana |
135.654.000 |
10.000.000 |
10.000.000 |
0 |
0 |
7.212.219 |
0 |
|
Trento |
16.860.667 |
0 |
0 |
0 |
0 |
1.977.546 |
0 |
|
Bolzano |
33.721.333 |
0 |
0 |
0 |
0 |
2.662.855 |
0 |
|
Umbria |
41.901.000 |
6.000.000 |
0 |
4.000.000 |
0 |
3.950.666 |
0 |
|
Val
d’Aosta |
9.946.000 |
0 |
0 |
0 |
0 |
976.362 |
0 |
|
Veneto |
132.183.000 |
10.000.000 |
1.831.280. |
9.449.148 |
6.550.852 |
0 |
0 |
|
TOTALE |
1.471.825.000 |
142.816.077 |
32.858.710 |
48.953.648 |
45.261.929 |
112.658.921 |
96.119.149 |
993.156.566 |
Si segnala che la tabella non dà conto della riduzione dello stanziamento previsto dall’articolo 1 della legge n. 69/2009 da 800 a 370 milioni già sopra richiamata.
Si segnala che con l’atto n. SA.33807 (2011/N) – Piano nazionale banda larga Italia[133], la cui sintesi è stata pubblicata nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea del 22 agosto 2012, la Commissione europea ha valutato il piano italiano risulta compatibile con la disciplina del’Unione in materia di aiuti di Stato ed in particolare con gli orientamenti comunitari relativi all’applicazione delle norme in materia di aiuti di Stato in relazione allo sviluppo rapido di reti a banda larga, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea del 30 settembre 2009.
Con “banda larga” si definiscono, nella teoria dei segnali, i metodi che consentono a due o più segnali di condividere la stessa linea di trasmissione. Tuttavia il termine è in realtà divenuto sinonimo di “alta velocità” di connessione. In Italia la Task Force sulla banda larga, commissione interministeriale di studio istituita nel 2001 dal Ministero delle comunicazioni e dal Ministero per l’innovazione e le tecnologie ha definito la banda larga come “l’ambiente tecnologico che consente l’utilizzo delle tecnologie digitali ai massimi livelli di interattività”. L’attuale sviluppo tecnologico indica generalmente come di “banda larga” le connessioni superiori a 2 Mbitps(megabyte per secondo)[134]; il Piano nazionale di banda larga indica il livello minimo in 2 Mbitps . Infrastrutture di banda larga possono essere realizzate attraverso: § interventi sulla rete di dorsale (backhaul o middle mile) sostituendo l’attuale cavo in rame utilizzato per la telefonia fissa con un cavo in fibra ottica § interventi sulla rete di accesso, e in particolare sulle connessioni tra centrale e utenti (ultimo miglio). Nel contesto dell’ultimo miglio le architetture di accesso a banda larga possono basarsi su: § la preesistente rete di accesso telefonica in rame, in particolare il “doppino telefonico” attraverso le tecnologie DSL. Tra queste tecnologie rientra l’ADSL; si ricorda poi lo sviluppo, da ultimo, della tecnologia VDSL2 vectoring[135] che aumenta considerevolmente la capacità dei tradizionali accessi, fino a 100 Mbitps, attraverso l’impiego di algoritmi e tecniche di eliminazione delle interferenze tra i doppini; § l’utilizzo di rilegamenti in fibra ottica fino alla sede del cliente o fino all’edificio o ancora fino agli “armadi” della rete di distribuzione[136] con architetture Fiber to the Home (FTTH), Fiber to the Building (FTTB), Fiber to the Cabinet (FTTCab); § l’utilizzo di frequenze radio tra cui rientrano le reti WI-FI, WI-MAX, i collegamenti via satellite, la telefonia di terza generazione UMTS e la TV digitale terrestre e, da ultimo, il segnale Lte (Long Term Evolution, o 4G) per le reti wireless. La già ricordata comunicazione della Commissione europea per promuovere gli investimenti nella rete di banda larga COM(2010)472 (cfr. supra scheda di lettura relativa all’articolo 1, comma 1) distingue in: § banda larga di base: connessioni di banda larga (e quindi, come si è detto, tendenzialmente con velocità superiore a 2 Mbits) con velocità inferiore a 30 Mbitps § banda larga veloce: connessioni di banda larga con velocità pari o superiore 30 Mbitsps ma inferiore a 100 Mbitps § banda larga ultraveloce; connessioni di banda larga con velocità pari o superiore a 100 Mbitps Studi della Banca Mondiale ritengono che una variazione di dieci punti percentuali della penetrazione della banda larga generino un aumento di 1,21 punti percentuali di crescita del PIL pro-capite nelle economie dei paesi sviluppati . Negli USA l’American Recovery and Reinvestiment Act del 2009 ha stanziato 7,2 miliardi di dollari per la promozione delle infrastrutture di banda larga. |
Il comma 2 novella l’articolo 87, comma 5, del codice delle
comunicazioni elettroniche (decreto legislativo 259/2003[137] che disciplina i procedimenti autorizzatori
relativi alle infrastrutture di comunicazione elettronica per impianti radioelettrici).
In particolare, il comma 5 prevede che il
responsabile del procedimento possa richiedere, per una sola volta, entro
quindici giorni dalla data di ricezione dell'istanza di autorizzazione alla
installazione di infrastrutture, il rilascio di dichiarazioni e l'integrazione della
documentazione prodotta e disciplina la decorrenza del termine per la formazione del silenzio-accoglimento dell’istanza.
Rispetto al testo previgente, in cui veniva previsto che il termine iniziasse nuovamente a decorrere, la novella recata dal comma in esame dispone invece che il termine riprende dal momento dell'avvenuta integrazione documentale.
Il comma 2-bis, introdotto al Senato affida ad un regolamento del Ministero dello sviluppo economico, da emanarsi entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, la definizione delle modalità di intervento da porre a carico degli operatori di telecomunicazione, al fine di minimizzare eventuali interferenze tra i servizi a banda ultralarga mobile nella banda degli 800 MHz e gli impianti per la ricezione televisiva domestica. Gli interventi saranno finanziati a valere su un fondo costituito con i contributi degli operatori di telecomunicazioni assegnatari delle frequenze in banda 800 MHz e gestito privatamente dagli operatori interessati, in conformità alle previsioni del regolamento.
In proposito si ricorda che il passaggio dall’utilizzo delle frequenze in tecnica analogica alle frequenze in tecnica digitale ha determinato un c.d. “dividendo digitale esterno” ed un c.d. “dividendo digitale interno”.
Con l’espressione “dividendo digitale interno” si fa riferimento a frequenze in tecnica digitale terrestre disponibili in quanto non già assegnate agli operatori nazionali esistenti in base alla delibera 181/09/CONS dell’Autorità per le garanzie delle comunicazioni ed attualmente oggetto di gara pubblica onerosa ai sensi dell’articolo 3-quinquies del decreto-legge n. 16/2012[138] (c.d. “D.L. semplificazioni fiscali”).
Con l’espressione (“dividendo digitale esterno”) si fa invece riferimento alle frequenze in tecnica analogica liberate dal passaggio delle trasmissioni televisive alla tecnica digitale.
Per il “dividendo digitale esterno” è intervenuto l’art. 1, co. 8-13, della legge n. 220/2010 (legge di stabilità 2011) che ha disposto che le frequenze nella banda da 790 MHz a 862 MHz (brevemente indicate come “banda a 800 Mhz”, corrispondenti ai nove canali nazionali in tecnica analogica) siano destinate al servizio mobile terrestre (vale a dire alla telefonia mobile). La gara, disciplinata dalla delibera n. 282/11/CONS dell’Autorità per le garanzie delle comunicazioni del 18 maggio 2011,conclusasi il 29 settembre 2011, ha fatto registrare un introito complessivo per l'erario di 3.945.295.100 euro ed ha visto l’assegnazione di due blocchi di frequenze ciascuno a Telecom, Wind e Vodafone.
Successivamente è intervenuta la decisione n. 243/2012/UE della Commissione europea del 14 marzo 2012 (programma pluriennale relativo alla politica in materia di spettro radio) la quale, tra le altre cose, prevede la liberazione della banda di frequenza 800 MHz per i servizi internet a banda larga senza fili di quarta generazione (4G e Lte) in tutti gli Stati membri entro il 1° gennaio 2013.
Tuttavia, in base a notizie di stampa (riprese anche da alcuni atti di sindacato parlamentare) l’utilizzo della banda a 800 Mhz da parte degli operatori di telefonia mobile potrebbe provocare delle interferenze con le trasmissioni televisive in tecnica digitale terrestre, interferenze che potrebbero interessare 700.000 utenze televisive.
In proposito, il Ministro dello Sviluppo economico in risposta all’interrogazione n. 3-02553 (Iniziative normative in materia di interferenze tra i servizi di telefonia mobile di nuova generazione e i canali televisivi del digitale terrestre) nella seduta n. 708 del 24 ottobre 2012 dell’assemblea del Senato ha affermato che: “Sono inoltre allo studio di questo Ministero provvedimenti normativi, da proporre eventualmente nell'ambito dell'iter parlamentare di conversione del decreto-legge n. 179 del 2012, recentemente approvato dal Consiglio dei Ministri, idonei a definire le modalità attraverso le quali gli operatori di telecomunicazioni dovranno intervenire sugli impianti per la ricezione televisiva domestica, ripartendo i relativi oneri sempre nel rispetto dei citati principi di proporzionalità, trasparenza e non discriminazione”.
Il comma 3 demanda ad apposito decreto interministeriale, adottato di concerto dai Ministri dello sviluppo economico e delle infrastrutture e dei trasporti, d'intesa con la Conferenza unificata, l’individuazione di specifiche tecniche delle operazioni di scavo per le infrastrutture a banda larga e ultralarga nell’intero territorio nazionale.
Durante l’iter al Senato tale disposizione è stata integrata al fine di precisare che devono prioritariamente essere utilizzati gli scavi già attualmente in uso per i sottoservizi.
Lo stesso comma dettaglia ulteriormente i contenuti del decreto, prevedendo che esso definisca:
§ la superficie massima di manto stradale che deve essere ripristinata a seguito di una determinata opera di scavo;
§ l'estensione del ripristino del manto stradale sulla base della tecnica di scavo utilizzata, quali trincea tradizionale, minitrincea, proporzionalmente alla superficie interessata dalle opere di scavo;
§ le condizioni di scavo e di ripristino del manto stradale a seguito delle operazioni di scavo, proporzionalmente all'area d'azione.
Il comma 4 novella il comma 7 dell’articolo 88
del Codice delle comunicazioni elettroniche, che disciplina il procedimento per l’autorizzazione
all’esecuzione di opere civili, scavi
ed occupazione di suolo pubblico per l'installazione di infrastrutture di comunicazione elettronica. In
particolare, il comma 7 contempla il silenzio-assenso nei casi in cui
l’Amministrazione non provveda a concludere, nei termini previsti, il
procedimento con un provvedimento espresso, e prevede diversi termini temporali
a seconda del tipo di opere.
Le novelle recate dal comma in esame
provvedono a dimezzare i termini per la formazione del silenzio-assenso
previsti dal testo vigente e ad introdurre un’ulteriore ipotesi di riduzione
dei termini, come risulta dalla seguente tabella:
|
Termini per la formazione del silenzio-assenso |
|
Ipotesi di silenzio-assenso |
Testo previgente |
Nuovo testo |
caso generale |
90 gg. |
45 gg. |
caso di attraversamenti di strade e comunque di lavori di scavo di lunghezza inferiore ai 200 m. |
30 gg. |
15 gg. |
caso di apertura di buche, chiusini per infilaggio cavi o tubi, posa di cavi o tubi aerei su infrastrutture esistenti; allacciamento utenti |
caso non contemplato |
10 gg. |
Il comma 5 introduce un nuovo periodo
all’articolo 66, comma 3, del D.P.R. 495/1992 (Regolamento di esecuzione
del nuovo codice della strada) il quale disciplina gli attraversamenti in sotterraneo o con strutture sopraelevate delle
strade. In particolare la richiamata norma prevede che:
§ la profondità, rispetto al piano stradale, dell'estradosso dei manufatti protettivi degli attraversamenti in sotterraneo deve essere previamente approvata dall'ente proprietario della strada in relazione alla condizione morfologica dei terreni e delle condizioni di traffico;
§ la profondità minima misurata dal piano viabile di rotolamento non può essere inferiore a 1 metro.
Il nuovo periodo prevede che per le tecniche di scavo a limitato impatto ambientale la profondità minima può essere ridotta a condizione che sia assicurata la sicurezza della circolazione e garantita l’integrità del corpo stradale per tutta la sua vita utile, in base a valutazioni della tipologia di strada, di traffico e di pavimentazione.
La modifica illustrata è introdotta facendo salvo quanto previsto dall’art. 2, comma 15-bis, del D.L. 112/2008, ai sensi del quale, in materia di profondità minima dei lavori di scavo per l’installazione delle reti e degli impianti di comunicazione in fibra ottica, la possibile riduzione della profondità viene condizionata alla circostanza che l'ente gestore dell'infrastruttura civile non comunichi specifici motivi ostativi entro 30 giorni dal ricevimento della denuncia di inizio attività (DIA) che, secondo il comma 4 dello stesso art. 2 del citato decreto-legge, deve essere presentata all'Amministrazione territoriale competente da parte dell’operatore della comunicazione, entro 30 giorni dall’inizio dei lavori.
Il comma 6 aggiunge un nuovo comma 2-bis al comma 2 dell’art. 95 del Codice delle comunicazioni elettroniche.
L’articolo 95, al comma 1, dispone che nessuna conduttura di energia elettrica, anche se subacquea, a qualunque uso destinata, può essere costruita, modificata o spostata senza che sul relativo progetto si sia preventivamente ottenuto il nulla osta del Ministero dello sviluppo economico, ai sensi delle norme che regolano la materia della trasmissione e distribuzione della energia elettrica. Il comma 2 individua le classi di linee elettriche per le quali è previsto il nulla osta.
Il nuovo comma 2-bis dispone che per le condutture aeree o sotterranee di energia elettrica di cui al comma 2, lettera a) – vale a dire di classe zero, di I classe e di II classe secondo le definizioni di classe adottate nel D.P.R. 1062/1968 - realizzate in cavi cordati ad elica, il nulla osta è sostituito da una attestazione di conformità del gestore.
Ai sensi del citato D.P.R. 1062/1968 (“Regolamento di esecuzione della legge 13 dicembre 1964, n. 1341, recante norme tecniche per la disciplina della costruzione ed esercizio di linee elettriche aeree esterne”) si definiscono:
Linee di classe zero. - Sono, agli effetti delle presenti norme, quelle linee telefoniche, telegrafiche, per segnalazione e comando a distanza in servizio di impianti elettrici, le quali abbiano tutti o parte dei loro sostegni in comune con linee elettriche di trasporto o di distribuzione o che, pur non avendo con queste alcun sostegno in comune, siano dichiarate appartenenti a questa categoria in sede di autorizzazione.
Linee di prima classe. - Sono, agli effetti delle presenti norme, le linee di trasporto o distribuzione di energia elettrica, la cui tensione nominale è inferiore o uguale a 1000 V e le linee in cavo per illuminazione pubblica in serie la cui tensione nominale è inferiore o uguale a 5000 V.
Linee di seconda classe. - Sono, agli effetti delle presenti norme, le linee di trasporto o distribuzione di energia elettrica la cui tensione nominale è superiore a 1000 V ma inferiore o uguale a 30.000 V e quelle a tensione superiore nelle quali il carico di rottura del conduttore di energia sia inferiore a 3500 kg.
Il comma 7 aggiunge un nuovo comma 4-bis all’art. 91 del Codice delle comunicazioni elettroniche, il quale disciplina le limitazioni legali della proprietà ai fini del passaggio dei fili o cavi senza appoggio, anche senza il consenso del proprietario, sia al di sopra delle proprietà pubbliche o private, sia dinanzi a quei lati di edifici ove non vi siano finestre od altre aperture praticabili a prospetto.
Il nuovo comma 4-bis dispone che l’operatore di comunicazione durante la fase di sviluppo della (nel corso dell’esame al Senato è stata soppressa la parola “propria”) rete in fibra ottica può, in ogni caso, accedere (anche nel caso di edifici non abitati e di nuova costruzione) a tutte le parti comuni degli edifici al fine di installare, collegare e manutenere gli elementi di rete, cavi, fili, riparti, linee o simili apparati privi di emissioni elettromagnetiche a radiofrequenza.
Nel corso dell’esame al Senato, è stato sostituito il riferimento alle “emissioni elettroniche” con quello, più corretto, di “emissioni elettromagnetiche a radiofrequenza”.
Alla luce della soppressione della parola “propria” operata dal Senato la disposizione appare interpretabile nel senso che il diritto di accesso alle parti comuni da parte dell’operatore vale non solo per il periodo di sviluppo della propria rete ma in generale per tutto il periodo di sviluppo della rete in fibra ottica in Italia.
Sempre durante l’iter
al Senato è stata aggiunta una disposizione secondo cui l’operatore di comunicazione:
§ ha l’obbligo, d'intesa con le proprietà condominiali, di ripristinare a proprie spese le parti comuni degli immobili oggetto di intervento nello stato precedente i lavori;
§ si accolla gli oneri per la riparazione di eventuali danni arrecati.
Documenti all’esame delle
Istituzioni dell’UE
(a cura
dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)
Si rinvia a quanto osservato in relazione all’art. 1, co. 1.
Articolo 14,
commi 8-10
(Inquinamento elettromagnetico)
I commi da 8 a 10 dell’articolo 14 modificano la disciplina vigente concernente la protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici e demandano alle regioni l’irrogazione delle sanzioni amministrative relative al superamento dei limiti di esposizione e dei valori di attenzione, nonché al mancato rispetto delle modalità previste per l’attuazione dei piani di risanamento.
Il comma 8 dell'articolo 14 conferma, per quanto non espressamente disciplinato nell'articolo in commento, le vigenti disposizioni contenute nel D.P.C.M. 8 luglio 2003[139], di attuazione della legge n. 36/2001[140] sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici (CEM) generati a frequenze comprese tra 100 kHz e 300 GHz (c.d. CEM ad alta frequenza), ed introduce, alle lettere a), b), c) e d), alcune disposizioni in materia di misurazione e rilevamento dei valori di esposizione ai medesimi CEM.
Secondo quanto riportato nella relazione che accompagna il disegno di legge di conversione del decreto-legge in esame, "attraverso l’introduzione di metodiche di misurazione univoche e di riferimenti a normative tecniche di settore gli operatori di comunicazione elettronica potranno, infatti, procedere alle necessarie attività di razionalizzazione e modernizzazione della rete potendo operare in quadro normativo più chiaro e definito. Peraltro nella maggior parte dei casi si tratta di norme tecniche univocamente già applicate da molti degli organi preposti al controllo sul territorio".
Il citato D.P.C.M. dell'8 luglio 2003, che fissa i limiti di esposizione e i valori di attenzione per la prevenzione degli effetti a breve termine e dei possibili effetti a lungo termine nella popolazione dovuti alla esposizione ai CEM generati da sorgenti fisse con frequenza compresa tra 100 kHz e 300 GHz, definisce inoltre gli obiettivi di qualità, ai fini della progressiva minimizzazione della esposizione ai campi medesimi e individua le tecniche di misurazione dei livelli di esposizione.
I limiti, i valori di attenzione e gli obiettivi di qualità non si applicano ai lavoratori esposti per ragioni professionali o per esposizioni a scopo diagnostico o terapeutico, mentre per gli impianti radar e per gli impianti che per la loro tipologia di funzionamento determinano esposizioni pulsate sarà emanato un successivo D.P.C.M., ai sensi dell’art. 4, comma 2, lettera a), della citata legge n. 36/2001.
Nel caso di esposizione a impianti che generano CEM con frequenza compresa tra 100 kHz e 300 GHz, non devono essere superati i limiti di esposizione di cui alla tabella 1 dell’allegato B, intesi come valori efficaci. Il comma 2 dell’art. 3 prevede inoltre, a titolo di misura di cautela per la protezione da possibili effetti a lungo termine eventualmente connessi con le esposizioni ai campi generati alle suddette frequenze, che all’interno di edifici adibiti a permanenze non inferiori a quattro ore giornaliere, e loro pertinenze esterne che siano fruibili come ambienti abitativi quali balconi, terrazzi e cortili esclusi i lastrici solari, si assumano i valori di attenzione indicati nella tabella 2 all’allegato B.
Si ricorda infine che nella Gazzetta Ufficiale del 29 settembre 2003, n. 200, è stato pubblicato un altro D.P.C.M., sempre dell'8 luglio 2003, relativo ai limiti di esposizione ed ai valori di attenzione, per la protezione della popolazione dalle esposizioni a campi elettrici e magnetici alla frequenza di rete (50 Hz) connessi al funzionamento e all’esercizio degli elettrodotti.
Si segnala che è stato successivamente emanato il decreto 29 maggio 2008 del Direttore generale per la salvaguardia ambientale, recante approvazione delle procedure di misura e valutazione dell'induzione magnetica, ove è contenuta la procedura utile ai fini della verifica del non superamento del valore di attenzione e dell'obiettivo di qualità contenuti di cui all'art. 5 del citato D.P.C.M. 8 luglio 2003, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 200 del 2003, secondo l'allegata tabella elaborata dall'Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici (APAT).
Con la lettera a) viene delimitato il campo di applicazione dei valori di attenzione indicati nella tabella 2 all'allegato B del citato D.P.C.M. 8 luglio 2003 (CEM ad alta frequenza), assunti come misura di cautela per la protezione da possibili effetti anche a lungo termine eventualmente connessi con le esposizioni ai CEM ad alta frequenza.
Si ricorda, per quanto attiene al riferimento ai valori di attenzione, che la legge n. 36 del 2001, all'articolo 3, lettera c), definisce tale limite come il valore di campo elettrico, magnetico ed elettromagnetico, considerato come valore di immissione, che non deve essere, superato negli ambienti abitativi, scolastici e nei luoghi adibiti a permanenze prolungate. Esso costituisce misura di cautela ai fini della protezione da possibili effetti a lungo termine e deve essere raggiunto nei tempi e nei modi previsti dalla legge.
La Tabella 2 dell'allegato B del citato decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 8 luglio 2003, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 199 del 2003, come precisato dall'articolo 3, comma 2, del decreto stesso, indica i valori di attenzione che si assumono a titolo di misura di cautela per la protezione da possibili effetti a lungo termine eventualmente connessi con le esposizioni ai campi generati alle frequenze all'interno di edifici adibiti a permanenze non inferiori a quattro ore giornaliere, e loro pertinenze esterne, che siano fruibili come ambienti abitativi quali balconi, terrazzi e cortili esclusi i lastrici solari.
Con le lettere b) e c) vengono confermate le disposizioni recate dal D.P.C.M. 8 luglio 2003 (CEM ad alta frequenza), relativamente ai limiti di esposizione (art. 3, comma 1) e ai valori misurati all’aperto nelle aree intensamente frequentate (art. 4), mentre vengono modificate le modalità di misurazione contemplate dagli artt. 3 e 4 del citato D.P.C.M.
Si ricorda che ai sensi dell’art. 3, lett. b), della L. 36/2001, il limite di esposizione è “il valore di campo elettrico, magnetico ed elettromagnetico, considerato come valore di immissione, definito ai fini della tutela della salute da effetti acuti, che non deve essere superato in alcuna condizione di esposizione della popolazione e dei lavoratori …”.
La tabella seguente evidenzia le differenze rispetto al testo vigente del D.P.C.M. 8 luglio 2003:
Art. 3 D.P.C.M. 8 luglio 2003 |
Disposizione in esame |
2. A titolo di misura di cautela per la protezione da possibili effetti a lungo termine eventualmente connessi con le esposizioni ai campi generati alle suddette frequenze all'interno di edifici adibiti a permanenze non inferiori a quattro ore giornaliere, e loro pertinenze esterne, che siano fruibili come ambienti abitativi quali balconi, terrazzi e cortili esclusi i lastrici solari, si assumono i valori di attenzione indicati nella tabella 2 all'allegato B. |
a) i valori di attenzione indicati nella tabella 2 all'allegato B del citato decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 8 luglio 2003 si assumono a titolo di misura di cautela per la protezione da possibili effetti anche a lungo termine eventualmente connessi con le esposizioni ai campi generati alle suddette frequenze nei seguenti casi: 1) all'interno di edifici utilizzati come ambienti abitativi con permanenze continuative non inferiori a quattro ore giornaliere; 2) solo nel caso di utilizzazione degli edifici come ambienti abitativi per permanenze non inferiori a quattro ore continuative giornaliere, nelle pertinenze esterne, come definite nelle Linee Guida di cui alla successiva lettera d), quali balconi, terrazzi e cortili (esclusi i tetti anche in presenza di lucernai ed i lastrici solari con funzione prevalente di copertura, indipendentemente dalla presenza o meno di balaustre o protezioni anti-caduta e di pavimentazione rifinita, di proprietà comune dei condomini); |
1. Nel caso di esposizione a impianti che generano campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici con frequenza compresa tra 100 kHz e 300 GHz, non devono essere superati i limiti di esposizione di cui alla tabella 1 dell'allegato B, intesi come valori efficaci. 3. I valori di cui ai commi 1 e 2 del presente articolo devono essere mediati su un'area equivalente alla sezione verticale del corpo umano e su qualsiasi intervallo di sei minuti. |
b) nel caso di esposizione a impianti che generano campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici con frequenza compresa tra 100 kHz e 300 GHz, non devono essere superati i limiti di esposizione di cui alla tabella 1 dell'allegato B del citato decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 8 luglio 2003, intesi come valori efficaci. Tali valori devono essere rilevati ad un'altezza di m. 1,50 sul piano di calpestio e mediati su qualsiasi intervallo di sei minuti. I
valori di cui alla lettera a) del presente articolo, invece, devono essere
rilevati ad un'altezza di m. 1,50 sul piano di calpestio e sono da intendersi
come media dei valori nell'arco delle 24 ore. |
Art. 4 D.P.C.M. 8 luglio 2003 |
|
1. Ai fini della progressiva minimizzazione della esposizione ai campi elettromagnetici, i valori di immissione dei campi oggetto del presente decreto, calcolati o misurati all'aperto nelle aree intensamente frequentate, non devono superare i valori indicati nella tabella 3 dell'allegato B. Detti valori devono essere mediati su un'area equivalente alla sezione verticale del corpo umano e su qualsiasi intervallo di sei minuti. 2. Per aree intensamente frequentate si intendono anche superfici edificate ovvero attrezzate permanentemente per il soddisfacimento di bisogni sociali, sanitari e ricreativi. |
c) ai fini della progressiva minimizzazione della esposizione ai campi elettromagnetici, i valori di immissione dei campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici generati a frequenze comprese tra 100 kHz e 300 GHz, calcolati o misurati all'aperto nelle aree intensamente frequentate, non devono superare i valori indicati nella tabella 3 dell'allegato B del citato decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 8 luglio 2003, detti valori devono essere determinati ad un'altezza di m 1,50 sul piano di calpestio e sono da intendersi come media dei valori nell'arco delle 24 ore. |
La disposizione recata dalla lettera a), se confrontata con quella recata dal D.P.C.M. 8 luglio 2003, sembra restringere il novero dei luoghi in cui deve essere garantito il rispetto dei valori di attenzione come misura di cautela, in quanto non comprende tutti gli edifici adibiti a permanenze oltre le 4 ore, ma solo quelli abitativi in cui si hanno tali permanenze prolungate. Lo stesso dicasi per le pertinenze esterne.
Per quanto riguarda il riferimento agli ambienti abitativi contenuto
nella norma, andrebbe valutata l’opportunità di prevederne una definizione funzionale
alla disciplina per la tutela dall’esposizione ai CEM, sulla scorta di quanto
disposto nella normativa sull’inquinamento acustico, dove l’ambiente abitativo
viene definito come “ogni ambiente interno ad un edificio destinato alla
permanenza di persone o comunità ed utilizzato per le diverse attività umane,
fatta eccezione per gli ambienti destinati ad attività produttive per i quali
resta ferma la disciplina di cui al decreto legislativo 15 agosto 1991, n. 277,
salvo per quanto concerne l'immissione di rumore da sorgenti sonore esterne a
locali in cui si svolgono le attività produttive” (L. 447/1995 “Legge quadro
sull'inquinamento acustico”).
Ulteriori specifiche vengono dettate, dalla lettera a), per i lastrici solari e vengono esclusi anche i tetti, anche in presenza di lucernai. La ratio sembra quella di escludere le parti dell’edificio di proprietà condominiale aventi mera funzione di copertura.
Viene inoltre modificato, dalla lettera b), il metodo di misurazione mediante la specificazione di un’altezza precisa dal piano di calpestio alla quale effettuare le misurazioni.
L’ultima parte della lettera b) fa riferimento ai valori di attenzione di cui alla lett. a), per i quali quindi non viene più previsto che siano mediati su qualsiasi intervallo di sei minuti, ma nell’arco delle 24 ore.
Analoga modifica viene recata dalla lettera c).
La lettera d) reca una serie di disposizioni volte a disciplinare le tecniche di misurazione e di rilevamento dei livelli di esposizione.
Dopo aver confermato il contenuto dispositivo della norma recata dall’art. 6, comma 1, del D.P.C.M. 8 luglio 2003 (che viene testualmente riprodotta e secondo cui le tecniche di misurazione e di rilevamento dei livelli di esposizione sono quelle indicate nella norma CEI 211-7[141] e/o specifiche norme emanate successivamente dal Comitato Elettrotecnico Italiano - CEI), la lettera d) detta specifiche disposizioni, integrative della disciplina recata dal D.P.C.M. 8 luglio 2003, che prevedono la possibilità di utilizzare metodologie di estrapolazione basate sui dati tecnici e storici dell'impianto ai fini dell’individuazione del mancato superamento del valore di attenzione e dell'obiettivo di qualità, definito per la progressiva minimizzazione dell'esposizione.
Per le tecniche di calcolo previsionale si fa riferimento a quelle indicate nella norma CEI 211-10, “Guida alla realizzazione di una Stazione Radio Base per rispettare i limiti di esposizione ai campi elettromagnetici in alta frequenza” o specifiche norme emanate successivamente dal CEI.
Si stabilisce, inoltre che per la verifica attraverso stima previsionale del valore di attenzione e dell'obiettivo di qualità, le istanze per l’installazione degli impianti per telefonia mobile e per gli apparati di radio-telecomunicazione, previste dal decreto legislativo n. 259 del 2003[142], saranno basate su valori medi nell'arco delle 24 ore, valutati "in base alla riduzione della potenza massima al connettore d'antenna con appositi fattori che tengano conto della variabilità temporale dell'emissione degli impianti nell'arco delle 24 ore".
Si demanda poi all'ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) e alle agenzie per la protezione dell’ambiente regionali e provinciali (ARPA-APPA) l'individuazione dei fattori di riduzione di potenza mediante apposite Linee Guida, da approvare con decreto dirigenziale emanato dal Ministero dell'ambiente entro 60 giorni dall’entrata in vigore "del presente decreto". Le Linee Guida sono soggette ad aggiornamento semestrale.
La relazione evidenzia che "appare opportuno introdurre, in questa tematica caratterizzata da una costante e frenetica evoluzione tecnologica, una modalità di autoadattamento alle esperienze ed alle evoluzioni raccolte e validate da organismi tecnico amministrativi di riferimento generale, ferma restando l’indicazione dei valori limite in capo all’organo politico amministrativo".
Laddove siano assenti pertinenze esterne degli edifici di cui alla lettera a) (sembrerebbe, “lettera a) del comma in esame”) e cioè gli edifici nei quali debbono essere rilevati valori di attenzione, i calcoli previsionali dovranno tenere in conto i valori di assorbimento del campo elettromagnetico da parte delle strutture degli edifici stessi.
Nelle medesime Linee Guida sono inoltre stabilite le modalità con cui gli operatori forniscono all'ISPRA e alle ARPA/APPA i dati di potenza degli impianti. Eventuali condizioni di funzionamento anomalo degli impianti dovranno essere tempestivamente segnalate agli organi di controllo e di vigilanza sanitaria e ambientale di cui all'art. 14 della L. 36/2001, e cioè le amministrazioni provinciali e comunali, che agiscono mediante le strutture delle ARPA.
Riguardo alle norme tecniche del Comitato Elettrotecnico Italiano (CEI), si ricorda che tale organismo, associazione fondata nel 1909 e poi riconosciuta sia dallo Stato Italiano, definisce la buona tecnica per i prodotti, i processi e gli impianti, costituendo il riferimento per la presunzione di conformità alla "regola dell'arte" (si vedano in proposito, tra l'altro, la legge n. 186 del 1968, e la legge n. 46 del 1990). Il CEI, si è occupato della predisposizione di norme tecniche preparazione di norme sull'esposizione umana ai campi elettromagnetici. Dal 2001 le Guide CEI 211-6 e CEI 211-7 definiscono i criteri di misura e di valutazione dei campi elettromagnetici rispettivamente a bassa e ad alta frequenza. Nel 2002 è inoltre entrata in vigore la Guida CEI 211-10, riguardante i criteri di installazione di un tipo di sistema di telecomunicazione fisso (la stazione radio base per la telefonia cellulare) particolarmente diffuso.
Il D.Lgs. 259/2003 (Codice delle comunicazioni elettroniche) definisce su scala nazionale le modalità per l’installazione degli impianti per telefonia mobile e per gli apparati di radio-telecomunicazione, e prevede che l’interessato chieda autorizzazione o effettui denuncia di inizio attività -a seconda si tratti di trasmettitori con potenza superiore o inferiore a 20 W- presso l’ente locale, allegando la documentazione tecnica del caso -inclusa la valutazione d’impatto elettromagnetico per le antenne sopra i 20 W- nel rispetto delle soglie di campo elettromagnetico fissate dalla normativa. Lo stesso decreto prevede che sulla documentazione prodotta vi sia un pronunciamento dell’agenzia per la protezione dell’ambiente regionali (ARPA) o di altro organismo indicato dalla Regione, entro 30 giorni dal ricevimento dell’istanza o della denuncia di inizio attività (DIA). Il pronunciamento dell’Agenzia avviene con verifica del rispetto dei valori di emissione elettromagnetica fissati per l’intero territorio nazionale dal citato D.P.C.M. 8 luglio 2003.
Si ricorda che la legge n. 36 del 2001 ha attribuito l’esercizio delle funzioni di controllo e di vigilanza sanitaria e ambientale alle amministrazioni provinciali e comunali mediante le strutture delle Agenzie regionali per la protezione ambientale (articolo 14, comma 1) ha poi precisato che nelle regioni in cui le Agenzie regionali per la protezione dell'ambiente non sono ancora operanti, le amministrazioni provinciali e comunali si avvalgono del supporto tecnico dell'Agenzia nazionale per la protezione dell'ambiente, dei presidi multizonali di prevenzione (PMP), dell'Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza sul lavoro (ISPESL) e degli ispettori territoriali del Ministero delle comunicazioni (comma 2).
I commi 9 e 10 demandano alle regioni territorialmente competenti l'irrogazione delle sanzioni amministrative relative al superamento dei limiti di esposizione e dei valori di attenzione e al mancato rispetto delle modalità previste per l'attuazione dei piani di risanamento, sia per quanto riguarda i CEM ad alta frequenza (D.P.C.M. 8 luglio 2003 per i CEM generati da frequenze comprese tra 100 kHz e 300 GHz) che a bassa frequenza (D.P.C.M. 8 luglio 2003 per i CEM generati dagli elettrodotti).
Come sopra ricordato, la L. 36/2001 ha attribuito l’esercizio delle funzioni di controllo e di vigilanza sanitaria e ambientale alle Amministrazioni Provinciali e Comunali mediante le strutture delle Agenzie regionali per la protezione ambientale, mentre ha rimesso ad un successivo decreto l’individuazione delle autorità competenti all’irrogazione delle sanzioni previste dalla medesima legge (articolo 15, comma 3).
I D.P.C.M. sopra menzionati, tuttavia, non hanno individuato l’autorità competente ad irrogare le sanzioni, contrariamente a quanto indicato dall’art. 15 comma 3. Secondo documenti dell'ISPRA[143] "in assenza di un dispositivo che provveda ad individuare l’ente autorizzato ad irrogare le sanzioni, l’art. 15 della L. 36/2001 resta non applicato". Si afferma, inoltre che, in mancanza di regolazione della materia "risulta che alcune regioni individuano nei Comuni l’autorità competente ad irrogare le sanzioni".
Documenti all’esame delle
Istituzioni dell’UE
(a cura
dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)
Il 14 giugno 2011 la Commissione ha presentato una proposta di direttiva (COM(2011)348) intesa ad aggiornare e migliorare le disposizioni della direttiva 2004/40/CE sulle prescrizioni minime di sicurezza e di salute relative all'esposizione dei lavoratori ai campi elettromagnetici (da 0 Hz a 300 GHz) (diciottesima direttiva particolare ai sensi dell'articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 89/391/CEE), abrogandola e sostituendola.
Il nuovo progetto di direttiva:
§ delinea nuovi limiti di esposizione (valori di orientamento e di azione[144]), in particolare nella gamma di frequenza da 0 Hz a 100 kHz, tenendo conto di nuovi studi scientifici. Per la gamma di frequenza da 100 kHz a 300GHz, i livelli rimangono gli stessi della direttiva 2004/40/CE.
§ dispone che gli Stati membri forniscano orientamenti per la valutazione, la misura e/o il calcolo del livello di esposizione dei lavoratori a campi elettromagnetici per i casi nei quali il livello di esposizione è suscettibile di essere prossimo o superiore al valore d'azione. Tali orientamenti devono basarsi sulle norme tecniche europee armonizzate disponibili stabilite dal Comitato europeo di normalizzazione elettrotecnica (CENELEC) o su altri orientamenti o norme tecniche basati sui risultati della ricerca.
La direttiva consente altresì agli Stati membri di autorizzare, sul loro territorio, un sistema di protezione equivalente o più specifico per le forze armate. Poiché la direttiva definisce soltanto disposizioni minime, gli Stati membri sono liberi di mantenere o di stabilire disposizioni più rigorose. Per agevolare l'attuazione della direttiva, la Commissione elaborerà una guida pratica.
In tale contesto va segnalato che il 25 gennaio 2012 la Commissione ha presentato una proposta di direttiva (COM(2012)15) intesa a rinviare di due anni (fino al 30 aprile 2014) il termine per il recepimento della direttiva 2004/40/CE al fine di consentire al Parlamento europeo e al Consiglio di raggiungere un compromesso sulla proposta sopra citata con particolare riferimento all'incidenza della direttiva sul settore medico in relazione alla risonanza magnetica per immagini (RMI), su altri settori industriali e sulle forze armate.
Il 29 marzo 2012 il Parlamento europeo ha esaminato il provvedimento in
prima lettura.
Articolo 14,
comma 10-bis
(Identificazione utenti internet )
Il comma 10-bis inserisce un comma 2-bis all’articolo 6 del decreto-legge n. 144/2005[145] (anche se erroneamente il testo del comma cita l’articolo 6 della legge n. 155/2005 che è invece la legge di conversione). In particolare, si stabilisce una deroga a quanto previsto dal comma 2 del medesimo articolo in materia di identificazione degli abbonati delle imprese di telefonia mobile, consentendo l’identificazione anche in via indiretta, attraverso SMS e carte di paramento nominative, per le schede abilitate al solo traffico telematico e per l’utilizzo di tecnologie senza fili.
Il comma 2 dell’articolo 6 del D.L. n. 144/2005 infatti ha modificato il comma 7 dell’articolo 55 del Codice delle comunicazioni elettroniche (D.Lgs. 259/2003[146]) prevedendo che le imprese dei servizi di telefonia mobile debbano essere identificati prima dell'attivazione del servizio, al momento della consegna o messa a disposizione della occorrente scheda elettronica (S.I.M.). Le imprese adottano tutte le necessarie misure affinché venga garantita l'acquisizione dei dati anagrafici riportati su un documento di identità, nonché del tipo, del numero e della riproduzione del documento presentato dall'acquirente ed assicurano il corretto trattamento dei dati acquisiti.
Il nuovo comma 2-bis introdotto dalla disposizione in commento prevede invece che gli utenti, che attivano schede elettroniche (S.l.M.) abilitate al solo traffico telematico ovvero che utilizzano postazioni pubbliche non vigilate per comunicazioni telematiche o punti di accesso ad Internet utilizzando tecnologia senza fili, possono essere identificati e registrati anche in via indiretta, attraverso sistemi di riconoscimento via SMS e carte di pagamento nominative.
Il comma 10-bis prevede inoltre che ulteriori misure di maggior dettaglio nonché ulteriori procedure semplificate possono essere introdotte con decreto del ministro dell’Interno, anche negli altri casi previsti dal comma 2 (vale a dire, sembra intendersi, per tutti i servizi di telefonia mobile), da adottarsi di concerto con il ministro dello Sviluppo economico.
Al riguardo, si rileva che la previsione di ulteriori procedure
semplificate da adottarsi con fonte secondaria potrebbe configurarsi come una
misura di delegificazione rispetto al regime generale previsto dal comma 7
dell’articolo 55 del codice delle comunicazioni elettroniche (fonte di rango
legislativo). Tuttavia non appaiono rispettati i requisiti previsti
dall’articolo 17, comma 2, della legge n. 400/1988[147] per
l’adozione di misure con delegificazione e cioè:
§
l’adozione
delle stesse con regolamento;
§
determinazione
con legge delle norme generali regolatrici della materia
Articolo 14,
comma 10-ter
(Autocertificazione attivazione banda
ultralarga)
Il comma 10-ter introduce una misura di semplificazione finalizzata all’attivazione della banda ultra-larga (vale a dire con velocità superiore a 100 Mbitps), attraverso la sostituzione dell’articolo 35, comma 4, del decreto-legge n. 98/2011[148].
Nel testo attuale tale disposizione prevede che, in deroga alla procedura autorizzatoria generale prevista dall’articolo 87 del codice delle comunicazioni elettroniche (D.Lgs. n. 259/2003) siano soggette unicamente a comunicazione contestuale all’attivazione dell’impianto, comunicazione da effettuarsi all’ente locale nonché alle Agenzie regionali per la protezione dell’ambiente (ARPA, responsabili dell’effettuazione dei controlli in materia di inquinamento elettromagnetico ai sensi dell’articolo 14 della legge n. 36/2001[149]), le procedure per l’installazione e la modifica di una serie di impianti che comunque abbiano una potenza massima in singola antenna inferiore o uguale a 7 watt e con dimensione della superficie radiante non superiore a 0,5 metri quadrati ed in particolare:
§ impianti radioelettrici, con particolare riferimento all'installazione di torri, di tralicci, di impianti radio-trasmittenti, di ripetitori di servizi di comunicazione elettronica, di stazioni radio base per reti di comunicazioni elettroniche mobili GSM/UMTS, per reti di diffusione, distribuzione e contribuzione dedicate alla televisione digitale terrestre, per reti a radiofrequenza dedicate alle emergenze sanitarie ed alla protezione civile, nonché per reti radio a larga banda punto-multipunto nelle bande di frequenza all'uopo assegnate, indicati all’articolo 87 del codice delle comunicazioni elettroniche
§ impianti per tecnologie UMTS per i quali, in base all’articolo 87-bis del medesimo codice delle comunicazioni elettroniche è richiesta la sola denuncia di inizio attività;
§ impianti radio per trasmissione punto-punto e punto-multipunto e di impianti radioelettrici per l'accesso a reti di comunicazione ad uso pubblico
Il nuovo testo prevede invece che siano soggetti ad autocertificazione di attivazione da inviare contestualmente all'attuazione dell'intervento all'ente locale e all’ARPA gli interventi sulle seguenti tipologie di impianti, che comunque risultino con potenza massima in singola antenna inferiore o uguale a 10 watt e con dimensione della superficie radiante non superiore a 0,5 metri quadrati
§ gli impianti di cui all’articolo 87-bis del codice delle comunicazioni elettroniche
Si segnala peraltro che nel testo non si precisa che l’articolo 87-bis citato è collocato nel codice delle comunicazioni elettroniche.
§ gli impianti radioelettrici per trasmissione punto-punto e punto-multipunto e degli impianti radioelettrici per l'accesso a reti di comunicazione ad uso pubblico
Rispetto al testo vigente, quindi:
1) la comunicazione viene sostituita con un’autocertificazione (risultando probabilmente così rafforzata ed in equivoca, si deve dedurre, la caratterizzazione della procedura come una sorta di “denuncia di inizio attività” in deroga alla procedura autorizzatoria generale)
2) la procedura si applica agli impianti punto- punto e punto-multipunto fino a 10 watt e non fino a 7 watt (rimanendo inalterato il requisito della superficie radiante), mentre non si fa più menzione delle tipologie di impianti di cui all’articolo 87 del codice, per i quali potrebbe tornare ad applicarsi quanto previsto dal medesimo articolo 87, e vale a dire un’articolata procedura autorizzatoria, in luogo della semplice comunicazione.
Il citato articolo 87, ai commi da 3 a 10, prevede che l'istanza di autorizzazione debba risultare conforme al modello di cui al modello A dell'allegato n. 13 del codice, realizzato al fine della sua acquisizione su supporti informatici e destinato alla formazione del catasto nazionale delle sorgenti elettromagnetiche di origine industriale. L’istanza deve inoltre essere corredata della documentazione atta a comprovare il rispetto dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità, relativi alle emissioni elettromagnetiche, attraverso l'utilizzo di modelli predittivi conformi alle prescrizioni della CEI, non appena emanate. In caso di pluralità di domande, viene data precedenza a quelle presentate congiuntamente da più operatori. Copia dell'istanza ovvero della denuncia viene inoltrata all’ente locale che si pronuncia entro trenta giorni dalla comunicazione. Lo sportello locale competente provvede a pubblicizzare l'istanza, pur senza diffondere i dati caratteristici dell'impianto. Il responsabile del procedimento può richiedere, per una sola volta, entro quindici giorni dalla data di ricezione dell'istanza, il rilascio di dichiarazioni e l'integrazione della documentazione prodotta. Nel caso una Amministrazione interessata abbia espresso motivato dissenso, il responsabile del procedimento convoca, entro trenta giorni dalla data di ricezione della domanda, una conferenza di servizi, alla quale prendono parte i rappresentanti delle Amministrazioni degli Enti locali interessati, nonché dell’ARPA ed un rappresentante dell'Amministrazione dissenziente. La conferenza di servizi deve pronunciarsi entro trenta giorni dalla prima convocazione. L'approvazione, adottata a maggioranza dei presenti, sostituisce ad ogni effetto gli atti di competenza delle singole Amministrazioni e vale altresì come dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza dei lavori. Della convocazione e dell'esito della conferenza viene tempestivamente informato il Ministero. Qualora il motivato dissenso, a fronte di una decisione positiva assunta dalla conferenza di servizi, sia espresso da un'Amministrazione preposta alla tutela ambientale, alla tutela della salute o alla tutela del patrimonio storico-artistico, la decisione e' rimessa al Consiglio dei Ministri. Le istanze di autorizzazione si intendono accolte qualora, entro novanta giorni dalla presentazione del progetto e della relativa domanda non sia stato comunicato un provvedimento di diniego. Gli Enti locali possono prevedere termini più brevi per la conclusione dei relativi procedimenti ovvero ulteriori forme di semplificazione amministrativa. Le opere debbono essere realizzate, a pena di decadenza, nel termine perentorio di dodici mesi dalla ricezione del provvedimento autorizzatorio espresso, ovvero dalla formazione del silenzio-assenso.
Articolo 14-bis
(Pubblicità dei lavori parlamentari)
L’articolo 14-bis assicura alla Camera e al Senato, a titolo gratuito, la “funzione trasmissiva”, al fine di garantire la trasparenza e l’accessibilità dei lavori parlamentari su tutto il territorio nazionale nel “nuovo sistema universale digitale” (comma 1)
Come chiarito dalla relazione tecnica al maxiemendamento presentato dal Governo al Senato, “la disposizione prevede che Il Ministero dello sviluppo economico assicuri al Parlamento – nell’ambito del nuovo sistema universale digitale - una capacità trasmissiva maggiore a quella attualmente utilizzata, al fine di garantire la trasparenza e l’accessibilità dei lavori parlamentari, a ciò provvede con i relativi decreti ministeriali di attuazione. La disposizione in esame non è suscettibile di determinare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”.
Ai sensi del comma 2 il Ministro dello sviluppo economico adotta i provvedimenti necessari per attuare quanto disposto dal comma 1, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione.
Tra tali provvedimenti, sembra intendersi, potrebbe risultare un’assegnazione di frequenze del c.d. “dividendo digitale interno” nell’ambito del nuovo sistema digitale.
In proposito si ricorda infatti che il passaggio dall’utilizzo delle frequenze in tecnica analogica alle frequenze in tecnica digitale ha determinato un c.d. “dividendo digitale esterno” ed un c.d. “dividendo digitale interno”.
Con l’espressione “dividendo digitale esterno” si fa riferimento alle frequenze in tecnica analogica (banda a 800 Mhz) liberate dal passaggio delle trasmissioni televisive alla tecnica digitale ed assegnate agli operatori di telefonia mobile sulla base dell’art. 1, co. 8-13 della legge di stabilità 2011 (legge n. 220/2010).
Con l’espressione “dividendo digitale interno” si fa invece riferimento a frequenze in tecnica digitale terrestre disponibili per la trasmissione televisiva in quanto non già assegnate agli operatori nazionali esistenti in base alla delibera 181/09/CONS dell’Autorità per le garanzie delle comunicazioni ed attualmente oggetto di gara pubblica onerosa ai sensi dell’articolo 3-quinquies del decreto-legge n. 16/2012 (c.d. “DL semplificazioni fiscali”).
Nell’ipotesi, quindi, che la disposizione lasci prefigurare un’assegnazione di frequenze andrebbe chiarito come questa si potrebbe conciliare con la gara in corso.
Attualmente i lavori parlamentari sono diffusi con diversi mezzi.
Alla Camera da alcuni anni è attivo il canale satellitare (attualmente oneroso per la Camera) che assicura la trasmissione in diretta di tutte le sedute dell'Assemblea e la trasmissione, in diretta o in differita, di audizioni delle Commissioni, eventi a carattere istituzionale, documentari, materiali di archivio e programmi autoprodotti.
Il palinsesto del canale satellitare è anche disponibile sul canale Youtube.
I lavori dell'Aula, si possono seguire anche in diretta anche sulla webtv.
Inoltre, la trasmissione in diretta delle sedute, può essere richiesta dal Presidente alla Società concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo. Parimenti la Società concessionaria o le altre emittenti televisive nazionali possono chiedere alla Camera l’autorizzazione alla trasmissione in diretta dei lavori.
Modalità analoghe sono previste per la trasmissione dei lavori del Senato.
Si ricorda, inoltre, che ai sensi della convenzione stipulata tra il Ministero dello sviluppo economico e il Centro di produzione S.p.A., titolare dell’emittente Radio radicale, è assicurata, da parte di tale emittente, la trasmissione radiofonica delle sedute parlamentari (si veda in proposito la scheda relativa all’articolo 33-sexies, del provvedimento in esame, di proroga della convenzione).
Articolo 15,
commi 1-3
(Pagamenti elettronici alle pubbliche
amministrazioni,
anche con tecnologie mobili, SICOGE)
L'articolo 15 sostituisce l'articolo 5 del decreto legislativo del 7 marzo 2005, n. 82 (Codice dell'amministrazione digitale), estendendo la possibilità di effettuare pagamenti verso le amministrazioni e le imprese pubbliche con modalità informatiche (bonifici bancari e postali, carte di debito, di credito e prepagate e altri strumenti di pagamento elettronico disponibili). Con decreto interministeriale sarà disciplinata l’estensione delle modalità di pagamento anche attraverso tecnologie mobili. Per la pubblicazione dell’indicatore di tempestività dei pagamenti le amministrazioni statali sono abilitate all’utilizzo del sistema informativo SICOGE (sistema informativo di contabilità integrato organicamente con il sistema informativo della Ragioneria generale dello Stato).
Il previgente articolo 5 del D.Lgs. n. 82/2005 (CAD) disciplina l’effettuazione dei pagamenti con modalità informatiche prevedendo, al comma 1, che le pubbliche amministrazioni consentono, sul territorio nazionale, l'effettuazione dei pagamenti ad esse spettanti, con l'uso delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione. Da tale disposizione si discostano soltanto i pagamenti inerenti la riscossione dei tributi, espressamente regolati da specifiche normative.
Affinché sia assicurata la possibilità di effettuazione dei pagamenti, le amministrazioni sono altresì tenute allo svolgimento di una serie di attività:
a) pubblicazione nei propri siti istituzionali e sulle richieste di pagamento, dei codici identificativi dell'utenza bancaria sulla quale i privati possono effettuare i pagamenti mediante bonifico;
b) specificazione di dati e di codici da indicare obbligatoriamente nella causale di versamento.
Si prevede inoltre che le pubbliche amministrazioni centrali possono avvalersi di prestatori di servizi di pagamento per consentire ai privati di effettuare i pagamenti in loro favore attraverso carte di debito, di credito o prepagate e di ogni altro strumento elettronico disponibile.
L’articolo 5 è stato modificato in tal senso dal D.Lgs. n. 235 del 2010 e dal D.L.n. 5 del 2012.
Si ricorda che l’articolo 2, comma 4-ter, della legge n. 138 del 2011 prevede che il Ministero dell’economia e delle finanze promuove la stipula, tramite la società Consip Spa, di una o più convenzioni con prestatori di servizi di pagamento, affinché le pubbliche amministrazioni centrali e locali e i loro enti possano dotarsi di POS (Point of Sale) a condizioni favorevoli, per poter riscuotere le entrate di propria competenza con strumenti diversi dal contante, fatte salve le attività di riscossione dei tributi regolate da specifiche normative (tale norma è stata introdotta dall’articolo 12 del D.L. n. 201 del 2011).
Si osserva che la suddetta norma non risulta attuata. Peraltro andrebbe
chiarito in che relazione essa si pone con la norma in esame, la quale sembra
ricomprendere anche i pagamenti attraverso POS.
Le principali novità della novella dell’articolo 5 del CAD sono le seguenti:
§ estensione dell’ambito soggettivo: sono tenuti ad accettare pagamenti con modalità informatica, a prescindere dall’importo della singola transazione, non solo le amministrazioni pubbliche, ma anche le imprese pubbliche e, nei rapporti con l’utenza, i gestori di pubblici servizi;
§ tali soggetti devono pubblicare nei propri siti istituzionali e specificare nelle richieste di pagamento i codici IBAN del conto di pagamento e le altre indicazioni richieste per i bonifici bancari e postali e i versamenti sulla contabilità speciale della Tesoreria (articolo 3 del decreto del MEF 9 ottobre 2006, n. 293); sono possibili pagamenti anche tramite bollettino postale: a tal fine devono essere forniti gli identificativi del conto corrente postale;
§ i prestatori di servizi di pagamento di cui si possono avvalere i soggetti sopra indicati sono individuati mediante il ricorso alla Consip o alle centrali di committenza regionale;
§ nel caso di pagamento attraverso carte di debito, di credito, prepagate ovvero di altri strumenti di pagamento elettronico, che consentano anche l’addebito in conto corrente, devono essere indicate le condizioni anche economiche per il loro utilizzo;
§ nel corso dell’esame in sede referente è stata eliminata la norma che esclude le operazioni di riscossione dei tributi di competenza delle Agenzie fiscali (con particolare riferimento all’Agenzia delle entrate e all’Agenzie delle dogane), anche nel caso di riscossione a mezzo ruolo: pertanto anche i pagamenti inerenti la riscossione dei tributi sono inclusi nell’ambito della nuova norma;
§ possono essere escluse le operazioni di pagamento per le quali la verifica del buon fine dello stesso debba essere contestuale all’erogazione del servizio: in tal caso devono essere rese disponibili le modalità di pagamento tramite carte.
Il comma 1 del nuovo articolo 5 del CAD dispone che, a partire dal 1° giugno 2013 (termine iniziale inserito nel corso dell’esame in sede referente), sono tenuti ad accettare i pagamenti ad essi spettanti :
§ le pubbliche amministrazioni, centrali e
locali, come individuate dall'articolo
1, comma 2, del D.Lgs. n. 165 del 2001, nel rispetto del riparto di
competenza di cui all'articolo 117 della Costituzione.
La norma citata dispone che per amministrazioni pubbliche si intendono
tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di
ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni
dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le
Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie,
gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria,
artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non
economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli
enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza
negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie fiscali. Fino
alla revisione organica della disciplina di settore, le disposizioni di cui al
presente decreto continuano ad applicarsi anche al CONI;
§ le
società interamente partecipate da enti
pubblici o con prevalente capitale pubblico inserite nel conto economico
consolidato della pubblica amministrazione (l’articolo 2, comma 2, del D.Lgs.
82 del 2005 nel richiamare l’individuazione da parte dell’ISTAT delle pubbliche
amministrazioni inserite nel conto economico consolidato, fa riferimento all'articolo 1, comma 5, della legge 30 dicembre
2004, n. 311: attualmente la norma di riferimento è l’articolo 1, comma 3 della
legge n. 196 del 2009 – legge di contabilità e di finanza pubblica);
§ i
gestori di pubblici servizi nei rapporti con l'utenza.
La lettera
a) del nuovo comma 1
precisa le attività da porre in essere.
Vi è l'obbligo di pubblicare nei propri siti
istituzionali e di specificare nelle richieste di pagamento le informazioni di
seguito elencate:
1) i codici IBAN identificativi del conto di pagamento, ovvero dell’imputazione del versamento in Tesoreria, tramite i quali i soggetti versanti possono effettuare i pagamenti mediante bonifico bancario o postale, ovvero gli identificativi del conto corrente postale sul quale i soggetti versanti possono effettuare i pagamenti mediante bollettino postale;
2) i codici identificativi del pagamento da indicare obbligatoriamente per il versamento.
Si evidenzia al riguardo che il Presidente dell’Autorità garante per la concorrenza e il mercato, Giovanni Pitruzzella, ha inviato il 13 novembre 2012 una segnalazione ai Presidenti delle Camere e al Presidente del Consiglio dei ministri evidenziando che la nuova formulazione dell’articolo 5 contiene una previsione idonea a determinare restrizioni concorrenziali nel mercato dei servizi di pagamento e, contemporaneamente, ad arrecare sensibili pregiudizi ai consumatori. In particolare il riferimento è alla possibilità per le PA di indicare, in alternativa al codice IBAN, che permette di effettuare un bonifico bancario, l’identificativo del conto corrente postale per effettuare il pagamento attraverso bollettino postale.
L’Antitrust era già in passato intervenuta per sottolineare l'importanza, sotto il profilo concorrenziale, del fatto che le Pubbliche Amministrazioni consentano ai cittadini il pagamento delle somme loro dovute attraverso molteplici sistemi alternativi ai bollettini di conto corrente postale[150]. In coerenza con quanto più volte segnalato dall'Autorità, l’art. 6-ter del D.L. n. 5/2012 aveva modificato l’articolo 5 del CAD inserendo l'obbligo per le Pubbliche Amministrazioni di pubblicare nei propri siti istituzionali e sulle richieste di pagamento i codici identificativi dell'utenza bancaria sulla quale i privati possono effettuare i pagamenti mediante bonifico e specificare i dati e i codici da indicare obbligatoriamente nella causale di versamento. Storicamente le Pubbliche Amministrazioni, italiane utilizzano, quale unico (o principale) strumento per consentire i pagamenti delle somme loro dovute, i bollettini di conto corrente postale generando così un indebito vantaggio concorrenziale per Poste Italiane e un pregiudizio per l'utente, obbligato a servirsi del bollettino ed impossibilitato ad utilizzare sistemi di pagamento più comodi ed economici (quali il bonifico bancario).
In quest'ottica l'obbligo di rendere disponibili i codici IBAN favoriva la possibilità di effettuare i pagamenti mediante bonifico, lasciando all'utente la possibilità di scegliere lo strumento più comodo ed efficace che maggiormente soddisfi le sue esigenze.
L'Autorità auspica, pertanto, che si possa eliminare la sostituibilità del codice lBAN con il codice di conto corrente postale al fine di favorire l'adozione di molteplici strumenti di pagamento per i crediti dovuti dai cittadini alla Pubblica Amministrazione, favorendo la concorrenza nel settore dei sistemi di pagamento e, al contempo, garantendo agli utenti la possibilità di scegliere tra più strumenti di pagamento.
La lettera b) del nuovo comma 1 prevede che per consentire ai privati di effettuare i pagamenti attraverso l'utilizzo di carte di debito, di credito, di carte prepagate o di altri strumenti elettronici di pagamento i soggetti sopraddetti si avvalgono di prestatori di servizi di pagamento individuati mediante gli strumenti forniti dalla Consip o, eventualmente, dalle centrali di committenza regionali di riferimento costituite in base alle previsioni dell'articolo 1, comma 455, della legge 27 dicembre 2006, n. 296.
La norma citata prevede che ai fini del contenimento e della razionalizzazione della spesa per l'acquisto di beni e servizi, le regioni possono costituire centrali di acquisto anche unitamente ad altre regioni, che operano quali centrali di committenza ai sensi dell'articolo 33 del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture (D.Lgs. n. 163/2006), in favore delle amministrazioni ed enti regionali, degli enti locali, degli enti del Servizio sanitario nazionale e delle altre pubbliche amministrazioni aventi sede nel medesimo territorio.
La normativa di riferimento in materia di servizi di pagamento è contenuta nel D.Lgs. n. 11/2010, il quale ha recepito la direttiva 2007/64/CE, relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno (PSD). In particolare, introducendo il nuovo Titolo V-ter all’interno del Testo Unico Bancario (D.Lgs. n. 385/1993), la prestazione di servizi di pagamento è stata riservata alle banche, agli istituti di moneta elettronica e agli istituti di pagamento. Possono prestare servizi di pagamento, nel rispetto delle disposizioni ad essi applicabili, la Banca centrale europea, le banche centrali comunitarie, lo Stato italiano e gli altri Stati comunitari, le pubbliche amministrazioni statali, regionali e locali, nonché Poste Italiane (art.114-sexies). Gli istituti di pagamento autorizzati in Italia, con indicazione della tipologia di servizi che sono autorizzati a prestare e i relativi agenti e succursali nonché le succursali degli istituti di pagamento comunitari stabiliti nel territorio della Repubblica sono iscritti in un apposito albo tenuto dalla Banca d’Italia (114-septies).
Come sopra evidenziato, nel caso di pagamento attraverso carte di debito, di credito, prepagate ovvero di altri strumenti di pagamento elettronico, che consentano anche l’addebito in conto corrente, devono essere indicate le condizioni anche economiche per il loro utilizzo.
Il prestatore dei servizi di pagamento che riceve l'importo relativo all'operazione effettuate, procede a riversarlo al tesoriere dell'ente e lo registra in apposito sistema informatico, con l'indicazione di appositi codici identificativi, nonché dei codici IBAN identificativi dell'utenza bancaria o dell'imputazione del versamento in Tesoreria. Per quanto riguarda i conti correnti postali intestati a pubbliche amministrazioni è richiamata la normativa che regola le operazioni afferenti lo svolgimento del servizio di tesoreria e il regime dei flussi attinenti al sistema delle riscossioni e dei pagamenti dello Stato e degli enti del settore pubblico allargato (articolo 2, comma 2, del D.L. n. 487/1993). Nel corso dell’esame in sede referente è stato meglio precisato che le modalità di movimentazione tra le sezioni di Tesoreria e Poste Italiane S.p.A. dei fondi connessi alle operazioni effettuate sui conti correnti postali intestati a pubbliche amministrazioni sono regolate dalla convenzione tra il Ministero dell'economia e delle finanze e Poste Italiane S.p.A. stipulata ai sensi della normativa sopra richiamata.
Il comma 2 del nuovo articolo 5, per consentire ai privati di utilizzare strumenti di pagamento elettronici, prevede che le amministrazioni e i soggetti di cui al comma 1 possono avvalersi dei servizi erogati dalla piattaforma tecnologica di cui all’articolo 81 comma 2-bis del Codice dell'amministrazione digitale, e delle piattaforme di incasso e pagamento dei prestatori di servizio di pagamento abilitati. L'articolo richiamato stabilisce che DigitPA metta a disposizione, attraverso il Sistema pubblico di connettività, una piattaforma tecnologica per l'interconnessione e l'interoperabilità tra le pubbliche amministrazioni e i prestatori di servizi di pagamento abilitati, al fine di assicurare, attraverso strumenti condivisi di riconoscimento unificati, l'autenticazione certa dei soggetti interessati all'operazione in tutta la gestione del processo di pagamento.
Si segnala che l’articolo 15, comma 5-bis, del decreto in esame
(introdotto nel corso dell’esame in sede referente) contempla una disposizione
dal tenore analogo, ma che si differenzia per il fatto che è configurata in
termini di obbligo e non di possibilità. Sembra necessario un coordinamento
delle due norme.
Si ricorda che l’articolo 22 del D.L. n. 83/2012 ha disposto la soppressione di DigitPa e dell'Agenzia per la diffusione delle tecnologie per l'innovazione, nonché la successione dei rapporti e individuazione delle effettive risorse umane e strumentali. Risultano quindi trasferite all'Agenzia per l'Italia digitale il personale di ruolo, le risorse finanziarie e strumentali degli enti e delle strutture.
Il comma 3 del nuovo articolo 5 esclude dalle previsioni di cui al comma 1 le operazioni di competenza delle Agenzie fiscali nonché delle entrate riscosse a mezzo ruolo. Resta pertanto confermato che dall’ambito di applicazione della norma in esame sono escluse le operazioni di riscossione dei tributi di competenza delle Agenzie fiscali (con particolare riferimento all’Agenzia delle entrate e all’Agenzie delle dogane), anche nel caso di riscossione a mezzo ruolo. Possono essere escluse le operazioni di pagamento per le quali la verifica del buon fine dello stesso debba essere contestuale all’erogazione del servizio: in tal caso devono essere rese disponibili le modalità di pagamento tramite le carte di debito, di credito, prepagate e gli altri strumenti di pagamento disponibili.
Nel corso dell’esame in sede referente è stata soppressa la norma che escludeva dall’obbligo di accettare tramite pagamenti elettronici le operazioni di competenza delle Agenzie fiscali nonché delle entrate riscosse a mezzo ruolo. Si segnala che anche la formulazione previgente dell’articolo 5 del C.A.D. escludeva dall’obbligo di accettare pagamenti elettronici le attività di riscossione dei tributi regolate da specifiche normative.
I commi 3-bis e 3-ter del nuovo articolo 5, in tema di micro-pagamenti da parte delle pubbliche amministrazioni, sono stati inseriti nel corso dell’esame in sede referente. Si dispone che le pubbliche amministrazioni per i contratti di acquisto di beni e servizi tramite il mercato elettronico effettuano i “micro-pagamenti” dovuti mediante strumenti elettronici di pagamento se richiesto delle imprese fornitrici. Si demanda ad un decreto del Ministero dell'economia e delle finanze da pubblicarsi entro il 1° marzo 2013 la definizione dei micro pagamenti in relazione al volume complessivo del contratto. Con lo stesso decreto sono adeguate alle finalità di cui al comma 3-bis, le norme relative alle procedure di pagamento delle Pubbliche Amministrazioni di cui all'articolo 1 comma 450 della legge n. 296/2007.
L'articolo 1, comma 450, della legge n. 296/2007 (come modificato da ultimo dal D.L. n. 52 del 2012) prevede che le amministrazioni statali centrali e periferiche (ad esclusione degli istituti e delle scuole di ogni ordine e grado, delle istituzioni educative e delle istituzioni universitarie) per gli acquisti di beni e servizi al di sotto della soglia di rilievo comunitario, sono tenute a fare ricorso al mercato elettronico della pubblica amministrazione di cui all'articolo 328, comma 1, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n. 207. Le altre amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, per gli acquisti di beni e servizi di importo inferiore alla soglia di rilievo comunitario sono tenute a fare ricorso al mercato elettronico della pubblica amministrazione ovvero ad altri mercati elettronici istituiti ai sensi del medesimo articolo 328.
Il comma 4 del nuovo articolo 5 dispone che l'Agenzia per l’Italia digitale, sentita la Banca d’Italia, definisce linee guida per la specifica dei codici identificativi del pagamento di cui al comma 1, lettere a) e b) (codici IBAN, dell’imputazione in Tesoreria, ovvero identificativi del conto corrente postale) e le modalità attraverso le quali il prestatore dei servizi di pagamento mette a disposizione dell'ente le informazioni relative al pagamento medesimo.
Infine il comma 5 del nuovo articolo 5 prevede che le attività previste dal novellato articolo si svolgono con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente.
Il comma 2 dell'articolo in esame stabilisce che un decreto interministeriale (da adottare entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto in esame), disciplina l'ampliamento delle modalità di pagamento anche mediante l'utilizzo di tecnologie mobili. Il decreto è adottato dal Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, con il Ministro della pubblica amministrazione e la semplificazione e con il Ministro delegato all'innovazione tecnologica, anche avvalendosi dell'Agenzia per l'Italia digitale.
La norma in commento, a differenza di quanto previsto nel primo comma, non si inserisce all’interno del Codice dell’amministrazione digitale; tuttavia dal tenore della disposizione sembra che si riferisca ai pagamenti verso la pubblica amministrazione.
Con servizi di mobile payment si intendono tutte le iniziative che abilitano “pagamenti o trasferimenti di denaro tramite telefono cellulare”. Il mobile payment è una tecnica per lo sfruttamento del cellulare come metodo di pagamento in alternativa al denaro contante e alle carte di debito/credito e offre la possibilità di addebitare la transazione su qualsiasi strumento di pagamento (dal contante ai borsellini virtuali), nonché di utilizzare sia una rete di comunicazione wireless (Rete Cellulare, Bluetooth, RFId, via SMS o tramite tecnologia NFC, che permette di usare il servizio semplicemente avvicinando il cellulare a un lettore), sia il cellulare come strumento fisico per attivare il pagamento (ad esempio tramite delle immagini codificate sullo schermo in grado di identificare univocamente l’utente).
Si ricorda, infine, che ai sensi dell’articolo 114-bis del TUB (D.Lgs. n. 385 del 1993) introdotto dal D.Lgs. n. 45 del 2012 (che ha attuato nel nostro ordinamento la direttiva 2009/110/CE sulla moneta elettronica), le pubbliche amministrazioni statali, regionali e locali, nonché Poste italiane, sono autorizzate ad emettere moneta elettronica.
La relazione governativa afferma che la messa a regime del sistema dei pagamenti elettronici alle pubbliche amministrazioni è un tassello fondamentale del passaggio generalizzato alla digitalizzazione dei servizi erogati dalle pubbliche amministrazioni, che comporterà immediati e significativi risparmi per le amministrazioni, grazie a una maggiore efficienza nella gestione delle risorse umane e strumentali impiegate nei processi interessati, una maggiore trasparenza dell’azione amministrativa, nonché vantaggi immediati per cittadini e imprese, con evidenti ricadute in termini di risparmio di tempo e risorse per l’accesso ai servizi e il versamento di quanto dovuto a vario titolo alle amministrazioni pubbliche.
Con il comma 3 si intende risolvere le problematiche tecnico-giuridiche emerse nel corso della predisposizione del decreto ministeriale di attuazione della disciplina sulla pubblicazione dell'indicatore di tempestività dei pagamenti da parte delle pubbliche amministrazioni.
L’articolo 23 della legge 18 giugno 2009, n. 69, al fine di promuovere l’individuazione e la diffusione delle buone prassi presso gli uffici delle pubbliche amministrazioni, ha introdotto al comma 5 l’obbligo di pubblicare sul proprio sito web o con idonee modalità un indicatore dei tempi medi di pagamento dei beni, dei servizi e delle forniture acquistate nonché dei tempi medi di definizione dei procedimenti e di erogazione dei servizi resi all'utenza con riferimento all’esercizio finanziario precedente. Riguardo alla sola pubblicazione dei tempi di pagamento, le modalità attuative dell'obbligo informativo in capo alle pubbliche amministrazioni sono state rimesse, ai sensi del comma 6, ad un decreto del Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, da emanarsi di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze entro un mese dalla data di entrata in vigore della stessa legge. Ai fini dell’adozione del decreto di cui sopra, andava acquisito il parere della Conferenza unificata, presumibilmente in quanto l’obbligo di pubblicazione dei dati sul sito web grava anche sugli enti territoriali.
La relazione governativa afferma che tale decreto attuativo non è stato emanato: le amministrazioni interessate, per poter adempiere a quanto prescritto dal citato articolo 23, comma 5, hanno manifestato la necessità di estrarre dal sistema SICOGE, da tutte utilizzato, i dati necessari per poter calcolare i tempi medi di pagamento.
Nell'ambito del progetto SIPA[151], la Ragioneria generale dello Stato ha realizzato e messo a disposizione delle singole Amministrazioni, a partire dal 2002, un sistema informativo di contabilità (SICOGE), integrato organicamente, tramite flussi informatici, con il Sistema informativo della Ragioneria generale dello Stato (SIRGS). Il SICOGE ha automatizzato la gestione della contabilità finanziaria delle Amministrazioni attraverso tutte le fasi di predisposizione e gestione del Bilancio ed emissione degli atti di spesa (impegni, ordini di pagare, ordini di accreditamento, decreti di assegnazione fondi) da sottoporre al riscontro e alla verifica di legalità da parte delle Ragionerie competenti. Nel dicembre 2007 il SICOGE si è arricchito di nuove funzionalità relative alle registrazioni di contabilità economico-patrimoniale-analitica; in tal modo il SICOGE è diventato il sistema informativo per la gestione integrata della contabilità economica e finanziaria che consente alle Amministrazioni di effettuare sia le registrazioni di carattere economico-patrimoniale-analitico che quelle di tipo finanziario.
Per quanto riguarda i pagamenti effettuati dalle pubbliche amministrazioni si ricorda che l’articolo 12 del D. L. n. 201 del 2011, oltre ad aver fissato il limite per le transazioni in contanti a 1.000 euro, ha disposto che i pagamenti delle PA devono essere effettuati in via ordinaria mediante accreditamento sui conti correnti o di pagamento dei creditori ovvero su altri strumenti di pagamento elettronici prescelti dal beneficiario. Gli eventuali pagamenti per cassa non possono, comunque, superare l’importo di 1.000 euro.
Gli stipendi, le pensioni e i compensi comunque corrisposti dalla pubblica amministrazione centrale e locale e dai loro enti, e ogni altro tipo di emolumento a chiunque destinato, di importo superiore a mille euro, debbono essere erogati: mediante l’utilizzo di strumenti di pagamento elettronici, comprese le carte di pagamento prepagate, e mediante le carte elettroniche istituzionali, di cui all’articolo 4 del decreto legge n. 78 del 2010.
Lo stesso articolo 12 ha demandato ad una convenzione tra il Ministero dell’economia e delle finanze, la Banca d’Italia, l’Associazione bancaria italiana, Poste italiane SpA e le associazioni dei prestatori di servizi di pagamento, il compito di definire le caratteristiche di un conto corrente di base o di un conto di pagamento di base che le banche sono tenute ad offrire senza prevedere costi di gestione. La convenzione, sottoscritta il 28 marzo 2012, è operativa dal 1° giugno 2012.
Documenti all’esame delle
Istituzioni dell’UE
(a cura
dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)
Si rinvia a quanto osservato in relazione all’art. 1, co. 1.
Articolo 15,
commi 4-5 e 5-bis
(Pagamenti fra privati)
I commi 4 e 5 prevedono che a decorrere dal 1° gennaio 2014 i soggetti privati che effettuano l’attività di vendita di prodotti e di prestazione di servizi anche professionali (imprese e professionisti) sono tenuti ad accettare pagamenti effettuati attraverso carte di debito (bancomat) ovvero attraverso carte di pagamento, qualora l'onere posto a loro carico non risulti superiore a quello applicato per le carte di debito. L’attuazione di tale disposizione è demandata ad un decreto interministeriale il quale, oltre a stabilire eventuali importi minimi, modalità e termini, anche in relazione ai soggetti interessati, può disporre l’obbligo di accettare ulteriori strumenti di pagamento elettronici anche con tecnologie mobili.
Il comma 4, al fine di diffondere l’utilizzo degli strumenti elettronici di pagamento, prevede a decorrere dal 1° gennaio 2014, per i soggetti privati che effettuano sia l’attività di vendita di prodotti che la prestazione di servizi anche professionali, l’obbligo di accettare pagamenti attraverso carte di debito.
Al riguardo la relazione illustrativa afferma che un’ampia diffusione degli strumenti di pagamento elettronici è una precondizione per l’affermarsi del commercio elettronico nel sistema produttivo italiano; un maggiore sviluppo di questo canale di vendita per prodotti e servizi può essere un fattore di crescita e internazionalizzazione delle imprese. L’utilizzo dei sistemi di pagamento elettronici, inoltre, rappresenta un efficace metodo per il contrasto all’uso del contante e, di conseguenza, dell’evasione fiscale.
Nel corso dell’esame in sede referente è stato aggiunto che, in alternativa alle carte di debito (bancomat) debbono essere accettate anche le carte di pagamento, qualora l'onere posto a loro carico non sia superiore a quello applicato per le carte di debito.
La locuzione “carte di pagamento” include, oltre alle carte di debito, le carte di credito e le carte prepagate. Queste ultime incorporano un potere d’acquisto pagato in via anticipata dal portatore della carta all’emittente, senza altro requisito di solvibilità o di detenzione di conti correnti.
La disposizione fa in ogni salvo quanto previsto in materia dal D.Lgs. n. 231 del 2007, il quale reca una serie di obblighi e di adempimenti in funzione di antiriciclaggio. In particolare l'articolo 49 del D.Lgs. 231/2007 (modificato da ultimo dall'articolo 12 del D. L. 201/2011) prevede il divieto di trasferire denaro contante o titoli al portatore per somme maggiori o uguali a 1.000 euro.
Il comma 5, peraltro, demanda ad uno o più decreti interministeriali (MiSe e MEF), sentita la Banca d’Italia, l’attuazione della disposizione del comma 4: possono essere stabiliti eventuali importi minimi, modalità e termini, anche in relazione ai soggetti interessati. Con il medesimo tipo di decreto interministeriale può essere disposta l’estensione degli obblighi - gravanti sui citati privati venditori di beni e servizi - a ulteriori strumenti di pagamento elettronici anche con tecnologie mobili.
La disciplina in materia di pagamenti
elettronici
La disciplina in materia di pagamenti elettronici è fortemente influenzata dalla normativa europea. Si segnala al riguardo la SEPA ovvero la Single Euro Payments Area (Area Unica dei Pagamenti in Euro), area in cui i cittadini, le imprese, le pubbliche amministrazioni e gli altri operatori economici possono effettuare e ricevere pagamenti in euro, sia all'interno dei confini nazionali che fra i paesi che ne fanno parte, secondo condizioni di base, diritti ed obblighi uniformi, indipendentemente dalla loro ubicazione. Lo scopo della SEPA è quello di creare un mercato dei pagamenti armonizzato che offra degli strumenti di pagamento comuni (bonifici, addebiti diretti e carte di pagamento), che possono essere utilizzati con la stessa facilità e sicurezza su cui si può contare nel proprio contesto nazionale. Dopo il passaggio all'euro avvenuto nel 2002, il progetto per la realizzazione della SEPA rappresenta il successivo grande passo verso l'integrazione dei mercati finanziari europei.
Il D.Lgs. n. 11 del 2010 ha recepito in Italia la direttiva 2007/64/CE sui servizi di pagamento nel mercato interno (Payment Services Directive - PSD). Gli obiettivi di fondo della riforma sono rappresentati dalla tutela della clientela, attraverso il miglioramento della qualità dei servizi di pagamento, e dalla promozione di una maggiore concorrenza nel mercato dei pagamenti al dettaglio, in coerenza con il processo di integrazione europea avviato con il progetto SEPA del quale la PSD rappresenta la cornice normativa di riferimento. La direttiva 2007/64/CE reca importanti innovazioni in tema di servizi di pagamento, tra cui l’eliminazione dei giorni valuta, la fissazione di un termine massimo per l’accredito in conto, l’armonizzazione della disciplina degli istituti di pagamento. Tra le più rilevanti novità del D.Lgs. n. 11 del 2010 si segnala la disciplina degli Istituti di pagamento autorizzati a prestare i servizi di pagamento (nuovo Titolo V-ter del TUB, D.Lgs. n. 385 del 1993).
Il D.Lgs. n. 45 del 2012 ha recepito la nuova direttiva 2009/110/CE sulla moneta elettronica (Electric Money Directive – EMC). La direttiva citata contiene una definizione di moneta elettronica (“il valore monetario memorizzato elettronicamente, ivi inclusa la memorizzazione magnetica, rappresentato da un credito nei confronti dell'emittente che sia emesso per effettuare operazioni di pagamento […] e che sia accettato da persone fisiche e giuridiche diverse dall'emittente”) e introduce significativi cambiamenti in merito ai requisiti operativi degli Istituti di moneta elettronica (IMEL): in particolare il capitale necessario passa da un milione a 350 mila euro. Le attività esercitabili dagli IMEL sono ampliate: possono prestare servizi di pagamento, emettere moneta elettronica ed esercitare altre attività imprenditoriali, ferma restando la necessità di costituire un patrimonio dedicato alle prime due attività (nuovo Titolo V-bis del TUB, D.Lgs. n. 385 del 1993). Il D.Lgs. n. 45 del 2012 ha individuato i soggetti autorizzati ad emettere moneta elettronica in Italia: BCE, Banche centrali comunitarie, Stato italiano e Stati comunitari, Pubbliche amministrazioni statali, regionali e locali, Poste Italiane.
In attuazione della normativa primaria citata si segnalano i provvedimenti attuativi emanati dalla Banca d’Italia: il provvedimento del 5 luglio 2011 di attuazione del Titolo II del Decreto legislativo n. 11 del 27 gennaio 2010 relativo ai servizi di pagamento (Diritti ed obblighi delle parti); il provvedimento del 20 giugno 2012 recante disposizioni di vigilanza per gli Istituti di pagamento e gli Istituti di moneta elettronica.
L’articolo 27 del D.L. n. 1 del 2012 (c.d. liberalizzazioni) modificando l’articolo 12 del D.L. n. 201 del 2011 ha introdotto norme volte alla riduzione dei costi delle commissioni connesse all’uso di carte di pagamento.
I nuovi commi 9 e 10 dell’articolo12 prevedono che entro il 1° giugno 2012 ABI, Poste italiane, Consorzio Bancomat e le società che gestiscono i circuiti di pagamento devono trovare un accordo sulla riduzione delle commissioni interbancarie per i pagamenti elettronici. Con le modifiche operate al Senato si è precisato altresì che le regole generali devono essere definite tenendo conto che le commissioni devono essere correlate alle componenti di costo effettivamente sostenute da banche e circuiti interbancari, in particolare distinguendo le “componenti di servizio”, ovvero quelle legate in misura fissa alla esecuzione dell'operazione, da quelle di natura variabile, legate al valore transatto, nonché valorizzando il numero e la frequenza delle transazioni.
Rispetto alla versione precedente della norma, l’attuale testo elimina il limite massimo dell’1,5 % per la commissione a carico degli esercenti.
Allo stato l’accordo previsto dalla norma non risulta essere stato stipulato.
Entro 6 mesi dall’entrata in vigore delle misure definite dall’accordo da adottarsi entro il 1° giugno 2012, il MEF, di concerto con il Ministero dello sviluppo economico, sentite la Banca d'Italia e l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, valuta l'efficacia dell’accordo. Nel caso in cui le nuove misure non vengano definite e applicate, le stesse saranno fissate con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministero dello sviluppo economico, sentite la Banca d'Italia e l'Autorità garante della concorrenza e del mercato. Anche tale decreto non risulta essere stato emanato.
Si segnala, infine, che nel corso dell’esame al Senato del decreto liberalizzazioni è stata reintrodotta la norma che dispone la gratuità delle transazioni regolate con carte di pagamento presso gli impianti di distribuzione di carburanti per importi inferiori ai 100 euro (sia nei confronti dell'acquirente che del venditore, ai sensi dell’articolo 34, comma 7 della legge 12 novembre 2011, n. 183), fino alla pubblicazione del sopra menzionato decreto che deve recepire la valutazione dell'efficacia delle misure di riduzione delle commissioni ovvero fissare le nuove misure.
Al riguardo, si segnala che con l’interrogazione a risposta immediata in Commissione (Cesario n. 5-08528) il 28 novembre il sottosegretario Ceriani ha fatto presente che ad agosto 2012 si sono tenuti degli incontri presso il MISE e, negli ultimi mesi, sono state organizzate ulteriori riunioni, con gli uffici del MEF ed i rappresentanti della Banca d'Italia, per procedere ad integrare il decreto in tempi brevi con una disciplina che contemperi i diversi interessi e che promuova gli strumenti di pagamento elettronico nei vari mercati, compreso quello dei carburanti, senza condizionare le regole della libera concorrenza nella connessa gestione dei servizi bancari.
Il Ministero dello sviluppo economico ha precisato che le istituzioni competenti, anche alla luce delle norme contenute nel D.L. n. 179 del 2012, stanno verificando l'armonizzazione della decretazione richiesta dai citati articoli, nell'ambito della più ampia strategia segnata dai lavori della Cabina di regia dell'Agenda digitale italiana. Infatti, la strategia nazionale per la crescita del Paese, oltre alla digitalizzazione dei rapporti con le amministrazioni e l'implementazione dell'uso dei sistemi di pagamento diversi dal contante verso la pubblica amministrazione, prevede che, a decorrere dal 1o gennaio 2014, i soggetti che effettuano l'attività di vendita di prodotti e di prestazione di servizi, anche professionali, siano tenuti ad accettare anche pagamenti effettuati attraverso carte di debito: anche in questi casi, la norma primaria stabilisce che le modalità operative concrete della prevista dematerializzazione dei pagamenti sia rimessa a successivi decreti ministeriali (articolo 15, decreto-legge n. 179 del 2012).
Gli uffici tecnici, a conclusione degli incontri e degli approfondimenti, stanno effettuando le ultime verifiche in termini di trasparenza e concorrenzialità degli effetti previsti dall'applicazione della norma regolamentare, onde provvedere alla rapida adozione del provvedimento. Sulla questione la Banca d'Italia tramite la Segreteria del Comitato Interministeriale per il Credito ed il Risparmio, ha comunicato che, ad oggi, non risultano segnalati alla Banca d'Italia episodi di applicazione di commissioni a carte di credito per l'effettuazione di transazioni esenti ai sensi di legge.
Il comma 5-bis, inserito nel corso dell’esame in sede referente, prevede che per consentire ai privati di utilizzare strumenti di pagamento elettronici, le pubbliche amministrazioni debbano avvalersi dei servizi erogati dalla piattaforma di cui all’articolo 81 comma 2-bis del Codice dell'amministrazione digitale e dei prestatori di servizio di pagamento abilitati. L'articolo richiamato stabilisce che DigitPA metta a disposizione, attraverso il Sistema pubblico di connettività, una piattaforma tecnologica per l'interconnessione e l'interoperabilità tra le pubbliche amministrazioni e i prestatori di servizi di pagamento abilitati, al fine di assicurare, attraverso strumenti condivisi di riconoscimento unificati, l'autenticazione certa dei soggetti interessati all'operazione in tutta la gestione del processo di pagamento.
Si ricorda che l’articolo 22 del D.L. n. 83/2012 ha disposto la soppressione di DigitPa e dell'Agenzia per la diffusione delle tecnologie per l'innovazione, nonché la successione dei rapporti e individuazione delle effettive risorse umane e strumentali. Risultano quindi trasferite all'Agenzia per l'Italia digitale il personale di ruolo, le risorse finanziarie e strumentali degli enti e delle strutture.
Si segnala che l’articolo 15, comma 2, del decreto in esame contempla
una disposizione dal tenore analogo, ma che si differenzia per il fatto che è
configurata in termini di possibilità e non di obbligo. Sembra necessario un
coordinamento delle due norme. Si segnala inoltre che il riferimento normativo
dei prestatori di servizi abilitati andrebbe corretto: si tratta dell’articolo
5, comma 1, lettera b).
Articolo 15, comma
5-ter
(Sicurezza informatica)
L’articolo 15, comma 5-ter,
reca disposizioni in materia di sicurezza
della firma digitale.
Il comma 5-ter, introdotto nel corso dell’esame presso il Senato, reca una disposizione in tema di firma digitale, aggiungendo un periodo al comma 5 dell’articolo 35 del D.Lgs. n. 82 del 2005 (CAD).
In particolare si prevede che la valutazione della conformità del sistema e degli strumenti di autenticazione utilizzati dal titolare delle chiavi di firma, è effettuata dall'Agenzia per l'Italia digitale in conformità ad apposite linee guida da questa emanate, acquisito il parere obbligatorio dell'Organismo di certificazione della sicurezza informatica.
L’articolo 35, comma 5, del C.A.D. prescrive peraltro che la conformità dei requisiti di sicurezza dei dispositivi per la creazione di una firma qualificata prescritti dall'allegato III della direttiva 1999/93/CE è accertata, in Italia, dall'Organismo di certificazione della sicurezza informatica in base allo schema nazionale per la valutazione e certificazione di sicurezza nel settore della tecnologia dell'informazione, fissato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, o, per sua delega, del Ministro per l'innovazione e le tecnologie, di concerto con i Ministri delle comunicazioni, delle attività produttive e dell'economia e delle finanze.
Si osserva che non risulta chiaro il rapporto tra l’accertamento della
conformità dei requisiti di sicurezza dei dispositivi per la firma digitale
effettuato dall’Organismo di certificazione della sicurezza informatica ai
sensi del vigente art. 35, comma 5, CAD e la valutazione di conformità
effettuata dall’Agenzia per l’Italia digitale ai sensi della disposizione introdotta
dal comma in esame nel medesimo art. 35, comma 5, CAD.
Articolo 15,
comma 5-quater
(Sovrapprezzo per transazioni
elettroniche)
Il comma 5-quater, introdotto al Senato, qualifica come pratica commerciale scorretta ai sensi del Codice del consumo, il richiedere un sovrapprezzo dei costi per il completamento di una transazione elettronica con un fornitore di beni o servizi.
A tal fine viene integrato l’articolo 21 del Codice del consumo (D.Lgs. 206/2005).
Si ricorda che l’articolo 20 del Codice del consumo pone il divieto delle pratiche commerciali scorrette, che sono quelle contrarie alla diligenza professionale, falsa o idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che essa raggiunge o al quale è diretta o del membro medio di un gruppo qualora la pratica commerciale sia diretta a un determinato gruppo di consumatori.
La norma in esame individua specificamente la richiesta di sovrapprezzo dei costi per il completamento di una transazione elettronica come pratica commerciale scorretta, senza che sia necessario dimostrare l’idoneità a falsare le scelte del consumatore.
Articolo 16
(Biglietti di cancelleria, comunicazioni
e notificazioni per via telematica)
L'articolo 16 contiene disposizioni in materia di comunicazioni e notificazioni per via telematica nel processo civile e penale.
L'intervento – che rende esclusivo il ricorso alla posta elettronica certificata (PEC) nell’ottica di una maggior speditezza del procedimento - integra la disciplina in materia adottata nel corso della legislatura[152] per la digitalizzazione del processo. Le modifiche introdotte - oltre a contribuire ai risparmi di spesa della pubblica amministrazione derivanti dall’eliminazione delle comunicazioni e notificazioni cartacee da parte degli ufficiali giudiziari - si rendono opportune anche in considerazione del processo di attuazione della revisione della geografia giudiziaria (vedi i D.Lgs 154 e 155/2012) per assicurare, quindi, che la riduzione del numero delle sedi giudiziarie non faccia venir meno il principio di prossimità del servizio giustizia ai cittadini e alle imprese.
Nello specifico, i primi tre commi dell’art. 16 intervengono, rispettivamente, sugli articoli 136 e 149-bis del codice di procedura civile, nonché sull'articolo 45 delle disposizioni per l’attuazione del codice medesimo, apportando agli stessi alcune specifiche modifiche di coordinamento, coerenti con la finalità perseguita dall'impianto normativo in esame.
La modifica all’art. 136 c.p.c. sopprime l’obbligo della carta non bollata per i biglietti di cancelleria mediante i quali il cancelliere esegue le comunicazioni prescritte dalla legge o dal giudice al PM, alle parti, al consulente, ai testimoni, ecc.
L’art. 149-bis c.p.c.
prevede, al secondo comma, che in caso di notificazione a mezzo posta
elettronica certificata, anche previa estrazione di copia informatica del
documento cartaceo, l'ufficiale giudiziario trasmette copia informatica
dell'atto sottoscritta con firma digitale all'indirizzo di PEC del destinatario
risultante da pubblici elenchi. La norma è integrata precisando che l’indirizzo
può risultare anche da elenchi non pubblici ma comunque accessibili alle pubbliche amministrazioni.
E’ poi novellato l’art. 45
delle disposizioni di attuazione al c.p.c., relativo alla Forma delle comunicazioni del cancelliere. La norma viene adeguata
alla residualità della forma cartacea del biglietto di cancelleria; in
particolare, è aggiunto un comma che precisa che il biglietto di cancelleria
trasmesso via PEC è costituito dallo stesso messaggio e-mail.
I commi da 4 a 8 contengono previsioni di portata generale volte a favorire ulteriormente l'informatizzazione delle comunicazioni e notificazioni telematiche nel processo civile e penale, previsioni parzialmente già previste dai primi quattro commi dell’art. 51 del D.L. 112/2008 (L. 133/2008), ora abrogato dal comma 11 dell’art. 16 in esame.
Ai sensi del comma 4, nei procedimenti civili tutte le
comunicazioni e le notificazioni a cura della cancelleria dovranno essere
effettuate esclusivamente per via telematica all’indirizzo di PEC risultante da
pubblici elenchi o comunque accessibili alle pubbliche amministrazioni, nel
rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione,
la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. Allo stesso modo si
procederà, nel processo penale, per le notificazioni a persona
diversa dall’imputato a norma degli articoli 148, comma 2-bis, 149, 150
e 151, comma 2, del codice di procedura penale.
L’art. 148, comma-2-bis, c.p.p. prevede che l'autorità giudiziaria può disporre che le notificazioni o gli avvisi ai difensori siano eseguiti con mezzi tecnici idonei. L’art. 149 prevede, nei casi di urgenza, che il giudice può disporre, anche su richiesta di parte, che le persone diverse dall'imputato siano avvisate o convocate a mezzo del telefono a cura della cancelleria (comma 1). L’art. 150 prevede la possibilità del giudice, se lo consigliano circostanze particolari, di prescrivere, anche di ufficio, con decreto motivato in calce all'atto, che la notificazione a persona diversa dall'imputato sia eseguita mediante l'impiego di mezzi tecnici che garantiscano la conoscenza dell'atto (comma 1). L’art. 151, comma 2, stabilisce che la consegna di copia dell'atto all'interessato da parte della segreteria ha valore di notificazione. Il pubblico ufficiale addetto annota sull'originale dell'atto la eseguita consegna e la data in cui questa è avvenuta
La relazione di notificazione sarà redatta in forma automatica dai sistemi informatici in dotazione alle cancellerie.
Il comma 5 concerne l’obbligo di effettuare solo per estratto la notificazione o comunicazione contenente dati sensibili, con contestuale messa a disposizione, sul sito internet individuato dall'amministrazione, dell’atto integrale cui il destinatario accede mediante la carta d’identità elettronica e la carta nazionale dei servizi, ovvero gli strumenti previsti dall’art. 64[153] del Codice dell’amministrazione digitale (D.Lgs n. 82/2005).
Il comma 6 dispone che le notificazioni e comunicazioni ai soggetti per i quali la legge prevede l’obbligo di munirsi di un indirizzo di PEC, e che invece non hanno provveduto, sono eseguite esclusivamente mediante deposito in cancelleria. Le stesse modalità si adottano nelle ipotesi di mancata consegna del messaggio di posta elettronica certificata per cause imputabili al destinatario.
Il comma 7 prevede, poi, che in quei procedimenti civili nei quali la parte sta in giudizio personalmente (giudizi davanti al giudice di pace, di valore massimo di 1.100 euro, art. 82 c.p.c.) la parte il cui indirizzo di PEC non risulta da pubblici elenchi può indicare l’indirizzo di posta elettronica certificata al quale vuole ricevere le comunicazioni e notificazioni relative al procedimento. Il comma 7 stabilisce che, in tal caso, comunicazioni e notifiche da parte della cancelleria avvengono via PEC ai sensi del comma 4 e si applicano i commi 4 e 6 (v. ante).
Il successivo comma 8 dispone che, quando non è possibile procedere alla comunicazione o alla notificazione per via telematica per causa non imputabile al destinatario, nei procedimenti civili e penali le comunicazioni-notificazioni sono effettuate con le altre modalità previste dalla legge: per i procedimenti civili si rinvia, quindi, all’applicazione dell’articolo 136, terzo comma, e degli articoli 137 e seguenti c.p.c. (che disciplinano i casi di notifica); per i procedimenti penali, si applicano gli articoli 148 e seguenti del codice di procedura penale.
Il comma 9 detta una articolata disciplina transitoria per l’acquisto di efficacia della nuova disciplina generale sulle comunicazioni e notificazioni via PEC. Infatti, le disposizioni dei commi da 4 a 8 acquistano efficacia:
a) a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto-legge in esame, per le comunicazioni e le notificazioni a cura della cancelleria di cui sono destinatari i difensori, nei procedimenti civili pendenti dinanzi ai tribunali e alle corti d’appello che, alla predetta data, sono già stati individuati dai decreti ministeriali previsti dall’articolo 51, comma 2, del DL 112/2008 (ovvero i decreti del Ministro della giustizia, aventi natura non regolamentare, che - sentiti l'Avvocatura generale dello Stato, il Consiglio nazionale forense ed i consigli dell'ordine degli avvocati interessati - accertata la funzionalità dei servizi di comunicazione, ha individuato gli uffici giudiziari nei quali trovano applicazione le disposizioni sulle comunicazioni-notificazione via PEC).
b) a decorrere dal 60° giorno successivo alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge in commento, per le comunicazioni e le notificazioni di cui alla lettera a), per i procedimenti civili pendenti dinanzi ai tribunali ed alle corti di appello che alla data di entrata in vigore del decreto-legge in conversione non sono stati individuati dai citati decreti ministeriali previsti dall’articolo 51, comma 2, del DL. 112/2008;
c) a decorrere dal 300° giorno successivo alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto per le comunicazioni e le notificazioni di cui ai commi 4 e 7, dirette a destinatari diversi dai difensori nei procedimenti civili pendenti dinanzi ai tribunali ed alle corti di appello;
d) a decorrere dal 15° giorno successivo a quello della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana dei decreti di cui al successivo comma 10 per le notificazioni a persona diversa dall’imputato a norma dei citati articoli 148, comma 2-bis, 149, 150 e 151, comma 2, del codice di procedura penale, e per gli uffici giudiziari diversi dai tribunali e dalle corti d’appello.
Il comma 10 stabilisce quindi che, con uno o più decreti aventi natura non regolamentare, sentiti l’Avvocatura generale dello Stato, il Consiglio nazionale forense e i consigli dell’ordine degli avvocati interessati, il Ministro della giustizia, previa verifica, accerta la funzionalità dei servizi di comunicazione, individuando:
a) gli uffici giudiziari diversi dai tribunali e dalle corti di appello nei quali trovano applicazione le disposizioni dell'articolo 16 in commento;
b gli uffici giudiziari in cui le stesse disposizioni operano per le notificazioni a persona diversa dall’imputato a norma degli articoli 148, comma 2-bis, 149, 150 e 151, comma 2, c.p.p..
Per coordinamento con le disposizioni di cui ai commi precedenti, il comma 11 dispone l'abrogazione dei commi da 1 a 4 dell’articolo 51 del decreto-legge n. 112/2008.
Il comma 12 prevede poi che, per favorire le comunicazioni e notificazioni per via telematica alle pubbliche amministrazioni, le amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 165/2001[154] (Testo unico del pubblico impiego) debbano comunicare al Ministero della giustizia (con le regole tecniche di cui al D.M. Giustizia n. 102/2012), entro 180 gg. dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto legge in esame, l’indirizzo di PEC conforme alla disciplina del relativo regolamento (DPR 68/2005) presso cui ricevere le comunicazioni e le notificazioni. L’elenco formato dal Ministero della giustizia con gli indirizzi dei posta elettronica certificata delle amministrazioni pubbliche è consultabile solo dagli uffici giudiziari e dagli UNEP (uffici notificazioni, esecuzioni e protesti) del Ministero della giustizia. Il successivo comma 13 stabilisce che, in caso di mancata comunicazione entro il termine di 180 gg. di cui al comma 12, si applicano i precedenti commi 6 e 8.
Il comma 14 aggiunge un comma all’articolo 40 del DPR 115/2002 (TU spese di
giustizia), che prevede che l’importo
del diritto di copia è aumentato di 10 volte nei casi in cui la
comunicazione o la notificazione al destinatario non si è resa possibile per
causa a lui imputabile.
Infine i commi 15, 16 e 17, prevedono che, per l'adeguamento dei sistemi informativi hardware e software presso gli uffici giudiziari, nonché per la manutenzione dei relativi servizi e per gli oneri connessi alla formazione del personale amministrativo, sia autorizzata la spesa di euro 1.320.000 per l’anno 2012 e di euro 1.500.000 a decorrere dall’anno 2013. A questa si provvede con quota parte delle maggiori entrate derivanti dall’applicazione delle disposizioni di cui all’articolo 28, comma 2, della legge 183/2011 (Legge di stabilità 2012)[155], che sono conseguentemente iscritte nello stato di previsione dell’entrata ed in quello del Ministero della giustizia. Il Ministro dell’economia e delle finanze è, pertanto, autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.
Articolo 17
(Modifiche alla legge fallimentare e al
decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270)
I commi 1 e 2 dell'articolo 17 recano modifiche, rispettivamente alla legge fallimentare e alle disposizioni sull’amministrazione straordinaria delle grandi imprese, finalizzate all'estensione dell'uso della posta elettronica certificata (PEC) nelle procedure concorsuali. I commi da 3 a 5 dettano la disciplina transitoria in ordine all’applicabilità delle novelle.
Le modifiche introdotte dall’art. 17 sull’utilizzo della PEC nelle procedure concorsuali risultano collegate al contenuto degli articoli 4 e 5, con particolare riguardo all'estensione dell'obbligo di dotarsi di posta elettronica certificata da parte di alcune tipologie di imprese e all'istituzione dell'Indice degli indirizzi di posta elettronica certificata delle imprese e dei professionisti.
Il comma 1, composto dalle lettere da a) a cc), interviene sulla legge fallimentare (LF) modificandone numerosi articoli.
Le lettere da a) a p) modificano disposizioni contenute nel Titolo II ("Del fallimento", artt. 5-159) della legge fallimentare.
La lettera a) modifica, l'articolo 15 LF in tema di dichiarazione di fallimento, che prevede che il tribunale convochi il debitore ed i creditori istanti con decreto, posto in calce al ricorso. La modifica introdotta dal decreto-legge stabilisce che il ricorso ed il decreto debbano essere notificati, a cura della cancelleria, all'indirizzo di posta elettronica certificata del debitore. L'indirizzo è quello risultante dall'Indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata delle imprese e dei professionisti (istituito dall'articolo 5 del decreto-legge). L'esito della comunicazione è automaticamente trasmesso alla PEC del ricorrente. Qualora, per qualsiasi motivo, tale procedura non sia andata a buon fine, la notifica del ricorso e del decreto deve essere effettuata, a cura del ricorrente, di persona presso la sede risultante dal registro delle imprese, ai sensi dell'articolo 107, primo comma, del D.P.R. 15 dicembre 1959, n. 1229[156]. In base a tale disposizione, nei casi in cui la notifica deve essere eseguita di persona, la richiesta deve essere fatta per iscritto in calce o a margine dell'atto da notificare e firmata dallo stesso richiedente. Nei casi di impossibilità di effettuazione della notifica anche con questa modalità, l'atto è depositato nella casa comunale della sede che risulta iscritta nel registro delle imprese e si intende perfezionato al momento del deposito stesso.
In base alla modifica, inoltre, l'udienza deve essere fissata non oltre 45 giorni dal deposito del ricorso e tra la data della comunicazione o notificazione e quella dell'udienza devono intercorrere almeno quindici giorni.
La normativa previgente non prevedeva il termine massimo di 45 giorni e si limitava a stabilire un termine minimo per l'udienza di 15 giorni a partire dalla data di notificazione, a cura di parte, del decreto di convocazione e del ricorso.
La lettera b) del comma 1 dell’articolo 17 introduce poi un nuovo articolo 31-bis della legge fallimentare, in base a cui le comunicazioni poste a carico del curatore sono effettuate all'indirizzo di posta elettronica certificata indicato dai destinatari - creditori e titolari di diritti sui beni - nei casi previsti dalla legge (comma 1). Nel caso di omessa indicazione dell’indirizzo di posa elettronica o di mancata consegna del messaggio per cause imputabili al destinatario, tutte le comunicazioni sono eseguite esclusivamente mediante deposito in cancelleria (comma 2). È fatto obbligo al curatore di conservare i messaggi di posta elettronica durante tuta la durata del procedimento e per il periodo di due anni dalla chiusura dello stesso (comma 3).
La lettera c) modifica l'articolo 33 LF, ponendo a carico del curatore fallimentare alcuni obblighi di informazione. Prevede infatti che il curatore trasmetta, entro sessanta giorni dalla dichiarazione di fallimento, una relazione al giudice e successivamente, ogni sei mesi, un rapporto riepilogativo sulle attività svolte. Copia del rapporto viene inviata, insieme ad ulteriore documentazione prescritta, al comitato dei creditori che può formulare osservazioni scritte e all'ufficio del registro delle imprese, nei quindici giorni successivi alla scadenza per il deposito delle osservazioni. La novella introduce l'obbligo di inviare nello stesso termine copia del rapporto, insieme alle eventuali osservazioni, alla PEC dei creditori e dei titolari di diritti sui beni.
La lettera d) modifica l’articolo 92 LF: anche le comunicazioni del curatore ai creditori e ai titolari di diritti reali ivi disciplinate sono da effettuare mediante PEC quando risulti reperibile nel registro delle imprese o nell'Indice nazionale. Ove tale indirizzo non sia disponibile, mediante telefax o, secondo la modifica introdotta dal decreto-legge, lettera raccomandata. La novella incide anche sui contenuti dell'avviso del curatore relativo a tali comunicazioni. I contenuti risultano essere i seguenti:
§ la notizia della possibilità di partecipare al concorso trasmettendo la domanda secondo nuove modalità stabilite dal successivo articolo 93 (a sua volta oggetto di modifica);
§ la data fissata per l'esame dello stato passivo e quella entro cui vanno presentate le domande (tale disposizione è rimasta identica a quella previgente);
§ ogni utile informazione utile (come già nel testo previgente), nonché, secondo quanto inserito dalla riforma, l'avvertimento delle conseguenze di cui all'articolo 31-bis (deposito in cancelleria nei casi di mancata consegna per cause imputabili al destinatario) nonché della sussistenza dell'onere di indicare l’indirizzo PEC all'atto della domanda di ammissione al passivo (articolo 93, comma terzo, n. 5);
§ l’indirizzo PEC del curatore (introdotto dalla modifica).
La lettera e) modifica l'articolo 93 LF, sulla domanda di ammissione al passivo di un credito, di restituzione o rivendicazione di beni mobili e immobili. Tale domanda viene proposta con ricorso da presentare almeno trenta giorni prima della data di udienza fissata per l'esame dello stato passivo. Il ricorso può essere sottoscritto dalla parte personalmente. Esso, in base alla modifica, è inviato all'indirizzo PEC del curatore ed è formato secondo le relative disposizioni (artt. 21, comma 2, e 22, comma 3) del Codice dell'amministrazione digitale (d. lgs. 82/2005) in tema di documenti con firma elettronica e di copie informatiche di documenti analogici.
Le disposizioni richiamate del Codice dell'amministrazione digitale prevedono che: il documento informatico sottoscritto con firma elettronica secondo le prescritte caratteristiche tecniche ha l'efficacia propria della scrittura privata a termini dell'art. 2702 c.c. (la scrittura privata fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza delle dichiarazioni da chi l'ha sottoscritta, se colui contro il quale la scrittura è prodotta ne riconosce la sottoscrizione, ovvero se questa è legalmente considerata come riconosciuta) e l'utilizzo del dispositivo di firma si presume riconducibile al titolare, salvo che questi dia prova contraria (art. 21, comma 2); le copie per immagine su supporto informatico di documenti originali formati in origine su supporto analogico nel rispetto relative prescrizioni tecniche hanno la stessa efficacia probatoria degli originali da cui sono tratte se la loro conformità all'originale non è espressamente disconosciuta (art. 22, comma 3).
Ulteriori modifiche all'articolo 93 riguardano l'obbligo di indicare l'indirizzo PEC nella domanda di ammissione al passivo; se tale indicazione è omessa e in tutti gli altri casi di mancata consegna per cause imputabili al destinatario, si applica l'articolo 31-bis (v. sopra).
La lettera f) modifica l'articolo 95 LF con riguardo al progetto di stato passivo depositato dal curatore, esaminate le domande di ammissione di cui all'articolo 93: tale progetto, corredato delle relative domande, deve essere inviato all'indirizzo PEC indicato nelle medesime domande ai creditori e titolari di diritti sui beni. In base alla modifica, inoltre, con le stesse modalità stabilite per l'invio delle domande i suddetti destinatari possono inviare osservazioni scritte e documenti integrativi fino a cinque giorni prima dell’udienza.
La modifica dell’articolo 97 LF della legge fallimentare, introdotta dalla lettera g), sulla comunicazione dell’esito del procedimento di accertamento del passivo, sopprime ogni riferimento al deposito in cancelleria e alle diverse modalità di trasmissione. Infatti, come si è visto, in base all’articolo 31-bis ogni comunicazione ha luogo tramite PEC.
Modifica di coordinamento è apportata dalla lettera h) all'articolo 101 LF, dedicato alle domande di crediti, trasmesse tardivamente al curatore. Di analogo contenuto risulta la modifica all'articolo 102 LF (lettera i), dedicato alla "previsione di insufficiente realizzo" di cui il curatore deve trasmettere copia ai creditori.
La modifica all’articolo 110, secondo comma, LF (lettera l) prevede che il giudice disponga la comunicazione a mezzo PEC – in luogo delle previgenti modalità - a tutti i creditori del progetto di ripartizione delle somme disponibili.
E’ poi modificato, dalla lettera m) del comma 1 dell’art. 17, l'articolo 116 LF, relativo al rendiconto del curatore. In base alla modifica al secondo comma, il giudice deposita il conto presentato dal curatore e fissa l'udienza che, secondo la modifica, non può essere tenuta prima che siano decorsi quindici giorni dalla comunicazione del rendiconto a tutti i creditori. Inoltre, il decreto-legge sopprime la disposizione secondo la quale fino alla data dell'udienza ogni interessato può presentare osservazioni e contestazioni. Tali osservazioni e contestazioni possono essere presentate, ai sensi della modifica al successivo terzo comma, fino a cinque giorni prima dell'udienza con le modalità previste dall'articolo 93. Inoltre, le comunicazioni del curatore ai creditori ammessi al passivo circa l'avvenuto deposito e fissazione dell'udienza è effettuata, sempre secondo il testo riformulato, mediante PEC. La modifica specifica infine che al fallito, ove non sia possibile procedere con i mezzi telematici, il rendiconto e la data dell'udienza sono comunicati mediante raccomandata con avviso di ricevimento.
Altre modifiche, apportate dalla lettera n), riguardano l'esame della proposta di concordato ed il giudizio di omologazione dello stesso. La modifica all'articolo 125 LF stabilisce che il ricorso proposto da un terzo avente ad oggetto una proposta di concordato deve contenere l'indicazione dell'indirizzo PEC. Trova comunque applicazione l'articolo 31-bis, secondo comma (deposito in cancelleria delle comunicazioni, in caso di mancata indicazione dell’indirizzo PEC o di mancata consegna dei messaggi). Inoltre, sempre tramite PEC sono effettuate le comunicazioni del curatore ai creditori in ordine alla proposta di concordato.
Dello stesso tenore la modifica all'articolo 129 LF, apportata dalla lettera o), sul giudizio di omologazione, ove è previsto l'uso della PEC per la comunicazione del curatore al proponente e ai creditori dissenzienti dell'avvenuta approvazione della proposta di concordato. In caso di impossibilità della comunicazione al fallito tramite i suddetti mezzi telematici, si procede con lettera raccomandata.
La lettera p) modifica l’articolo 143 LF, sul procedimento di esdebitazione. Anche per esso, il ricorso e il decreto del tribunale sono comunicati dal curatore ai creditori a mezzo PEC.
Le lettere da q) a t) interessano disposizioni contenute nel Titolo III (artt. 160 - 186-bis) della legge fallimentare, sul concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione.
Nell'ambito della procedura relativa al concordato preventivo, l'articolo 171 LF, come modificato dalla lettera q), prevede che gli obblighi di comunicazione del commissario giudiziale (data di convocazione dei creditori, proposta del debitore e, secondo la modifica del decreto-legge, il decreto di ammissione, il proprio indirizzo PEC, l'invito ad indicare un indirizzo PEC le cui variazioni eventuali devono essere comunicate allo stesso commissario) siano effettuati tramite PEC e, in ogni altro caso, tramite raccomandata o telefax. La comunicazione deve anche contenere l'avvertimento di cui all'articolo 92, primo comma, n. 3), circa l'applicabilità dell'articolo 31-bis e dell'onere di comunicazione della PEC (ed eventuali sue variazioni). In via generale, inoltre, tutte le successive comunicazioni del curatore sono comunicate via PEC. In analogia con quanto previsto per le procedure relative al fallimento, in caso di mancata comunicazione dell’indirizzo PEC entro 15 giorni ovvero in caso di mancata consegna del messaggio per cause imputabili al destinatario, le successive comunicazioni si eseguono mediante deposito in cancelleria. Spetterà poi al commissario giudiziale conservare i messaggi PEC in pendenza della procedura e per due anni dalla chiusura della stessa.
L’inventario e la relazione del commissario giudiziale di cui all'articolo 172 LF in base alle modifiche introdotte in tale articolo dalla lettera r), debbono essere depositate in cancelleria entro dieci (e non più tre) giorni prima dell’adunanza dei creditori. Nello stesso termine la relazione deve essere comunicata tramite PEC a norma dell’articolo 171, secondo comma.
Similmente, il commissario giudiziale è tenuto a dare comunicazione via PEC ai creditori circa l’apertura del procedimento per la revoca dell’ammissione al concordato (così la modifica all’art. 173, primo comma, LF, introdotta dalla lettera s).
Infine, in analogia con quanto previsto per gli obblighi di relazione periodica in capo al curatore nella procedura fallimentare, anche in relazione alla procedura di concordato preventivo il commissario giudiziale – in base al nuovo articolo 182, sesto comma - invia relazione e rapporti periodici tramite posta elettronica certificata (lettera t).
Le rimanenti lettere da u) a cc) intervengono su disposizioni contenute nel Titolo V (artt. 194 - 215) della legge fallimentare, sulla liquidazione coatta amministrativa.
Ai sensi dell'articolo 205 LF, modificato dalla lettera u), il commissario liquidatore deve presentare semestralmente una relazione all'autorità che vigila sulla liquidazione. Ai sensi della modifica introdotta al secondo comma, copia della relazione, unitamente agli estratti conto dei depositi postali o bancari relativi al periodo, deve essere inviata al comitato di sorveglianza che può formulare osservazioni quale organo collegiale. Ciascun membro del comitato individualmente può parimenti presentare osservazioni. Ulteriore copia è trasmessa per via telematica all'ufficio del registro delle imprese e tramite posta elettronica certificata ai creditori e ai titolari di diritti sui beni.
La lettera v) modifica l’articolo 207 LF. In analogia a quanto stabilito in relazione al fallimento e al concordato preventivo, le comunicazioni del commissario a ciascun creditore ai sensi dell'articolo 207 novellato sono effettuate tramite PEC. Il decreto-legge aggiunge allo stesso articolo 207 un quarto comma che stabilisce che tutte le comunicazioni del commissario sono inviate tramite PEC. In caso di mancata indicazione dell'indirizzo - o delle sue variazioni - da parte dei creditori o comunque nei casi di mancata consegna per cause da attribuire al destinatario, le comunicazioni stesse si effettuano mediante deposito in cancelleria e si applica, come sopra, quanto previsto dall'articolo 31-bis.
Il comma quarto dell'articolo 207 trova applicazione anche nelle situazioni disciplinate dai successivi articoli modificati dal Titolo V.
In particolare, si tratta dell’articolo 208, in relazione alla richiesta, mediante lettera raccomandata, da parte dei creditori e dei terzi che non hanno ricevuto la comunicazione prevista dal precedente articolo 207; tale richiesta dovrà indicare l'indirizzo PEC.
Si tratta poi dell’articolo 209, in materia di formazione dello stato passivo, che prevede, secondo la novella, che l'elenco dei crediti ammessi o respinti è inviato dal commissario mediante PEC a coloro la cui pretesa non sia in tutto o in parte ammessa.
E’ poi modificato l’articolo 213, sulla chiusura della liquidazione, secondo cui dell'avvenuto deposito del bilancio finale della liquidazione, a cura del commissario, è data comunicazione ai creditori ammessi al passivo e ai creditori prededucibili tramite PEC.
Inoltre, l’articolo 214 stabilisce che l'autorità che vigila sulla liquidazione può autorizzare l'impresa in liquidazione a proporre un concordato ove ricorrano determinate condizioni; esso prevede altresì che la proposta di concordato, depositata nella cancelleria del tribunale col parere del commissario liquidatore e del comitato di sorveglianza, è comunicata al commissario liquidatore a tutti i creditori ammessi al passivo tramite PEC.
Il comma 2 dell'articolo 17 reca le modifiche al decreto legislativo n. 270 del 1999 (Nuova disciplina dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza).
Le modifiche al decreto legislativo sulle grandi imprese in stato di insolvenza vanno nella stessa direzione delle novelle alla legge fallimentare. Le modifiche riguardano in particolare l'articolo 22, relativo all'avviso ai creditori per l'accertamento del passivo. Il testo, modificato dalle lettere a) e b) del comma 2, prevede che il commissario giudiziale invii tramite PEC, ai creditori e ai soggetti che vantano diritti reali mobiliari sui beni in possesso dell'imprenditore insolvente, le disposizioni della sentenza dichiarativa dello stato d'insolvenza riguardanti l'accertamento del passivo, oltre al proprio indirizzo PEC ai fini dell'invio delle domande da parte dei creditori; in ogni caso in cui tale invio sia impossibile, si provvede tramite posta raccomandata o telefax. A loro volta, coloro che inviano domanda al commissario giudiziale, nella stessa devono indicare il proprio indirizzo di posta elettronica certificata che deve essere utilizzato dal commissario per tutte le successive comunicazioni. In analogia con quanto previsto con le modifiche alla legge fallimentare, la mancata consegna per cause imputabili al destinatario implica che le comunicazioni si intendono effettuate mediante deposito in cancelleria e trova applicazione il nuovo articolo 31-bis della legge fallimentare (v. sopra).
Ulteriori modifiche riguardano i seguenti articoli del decreto legislativo n. 270:
§ l’articolo 28, ove si prevede che la relazione del commissario giudiziale è trasmessa ai creditori e ai terzi titolari di diritti sui beni all'indirizzo di posta elettronica certificata degli stessi (lettera c);
§ l’articolo 59, relativo all'invio, sempre tramite posta elettronica certificata e con le consuete modalità nei casi di mancato recapito per cause imputabili al destinatario, del programma autorizzato depositato al tribunale (lettera d);
§ l’articolo 61 che prevede, nel nuovo testo, l'invio a tutti i creditori, tramite PEC, delle relazioni periodiche del commissario straordinario, corredate dei relativi pareri del comitato di sorveglianza (lettera d);
§ l’articolo 75 che nel nuovo testo prevede l'invio tramite PEC del bilancio finale e del rendiconto del commissario straordinario, entro dieci giorni dal deposito in cancelleria; secondo la novella, il termine di venti giorni per le eventuali contestazioni decorre per l'imprenditore dalla comunicazione dell'avviso relativo, per i creditori e i titolari di diritti sui beni dalla comunicazione a mezzo PEC, e per ogni altro interessato dall'affissione dell'avviso (lettera f).
Il comma 3 prevede che le modifiche all'articolo 15 della legge fallimentare (v. sopra) si applicano ai procedimenti introdotti dopo il 31 dicembre 2013. Tutte le altre novelle recate dai commi 1 e 2, ai sensi del comma 4, si applicano dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge in esame, anche a quelle procedure concorsuali pendenti rispetto alle quali, alla stessa data, non è stata effettuata la comunicazione del curatore fallimentare ai creditori (art. 92 LF) ovvero del commissario giudiziale ai creditori nel concordato preventivo (art. 171 LF) ovvero del commissario ai creditori nella liquidazione coatta amministrativa (art. 207 LF) della legge fallimentare ovvero ancora la comunicazione del commissario giudiziale ai creditori per l’accertamento del passivo nell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza (art. 22 d.lgs. 270/1999).
Nei casi in cui le comunicazioni siano già state effettuate, ai sensi del comma 5 le nuove disposizioni si applicano a decorrere dal 31 ottobre 2013. Il curatore, il commissario giudiziale, il commissario liquidatore e il commissario straordinario, entro il 30 giugno 2013, comunicano ai creditori e ai terzi titolari di diritti sui beni il loro indirizzo di posta elettronica certificata e li invitano a comunicare, entro tre mesi, l’indirizzo di posta elettronica certificata al quale ricevere tutte le comunicazioni relative alla procedura, avvertendoli di rendere nota ogni successiva variazione e che, in caso di omessa indicazione, le comunicazioni sono eseguite esclusivamente mediante deposito in cancelleria.
Articolo 18
(Modificazioni alle legge 27 gennaio
2012, n. 3 e all’art. 217-bis della legge fallimentare)
L’articolo 18 riforma complessivamente il Capo II della legge 27 gennaio 2012, n. 3, sulla composizione delle crisi da sovraindebitamento, nel senso già auspicato dal Governo con il disegno di legge AC 5117; le novelle si applicheranno ai procedimenti instaurati a partire dal trentesimo giorno successivo all’entrata in vigore della legge di conversione.
La legge n. 3 del 2012[157], approvata dal Parlamento all’inizio dell’anno[158], interviene su due fronti: da un lato, modifica la disciplina vigente sull’usura e l’estorsione; dall’altro, in una più generale prospettiva preventiva, introduce una nuova tipologia di concordato per comporre le crisi di liquidità (sovraindebitamento) di debitori, ai quali non si applicano le ordinarie procedure concorsuali.
Il “sovraindebitamento” è definito come “una situazione di perdurante squilibrio economico fra le obbligazioni assunte e il patrimonio prontamente liquidabile per farvi fronte, nonché la definitiva incapacità del debitore di adempiere regolarmente le proprie obbligazioni”, situazione che può determinarsi a carico di famiglie o di imprenditori non soggetti alle procedure fallimentari. Si tratta, in sostanza, della mancanza, protratta nel tempo, di risorse economiche per far fronte agli impegni assunti, una situazione analoga a quella che può determinare il fallimento dell'imprenditore commerciale.
Il provvedimento delinea una sorta di procedura concorsuale, modellata sull’istituto del concordato fallimentare, applicabile a soggetti diversi dagli imprenditori commerciali, allo scopo, indicato nella relazione illustrativa, “di evitare inutili collassi economici con la frequente impossibilità di soddisfacimento dei creditori ma, soprattutto, con il ricorso al mercato dell’usura e, quindi, al crimine organizzato”.
Più in dettaglio, la legge contempla lo strumento dell’accordo con i creditori, su proposta del debitore, sulla base di un piano di ristrutturazione dei debiti che assicuri il regolare pagamento dei creditori estranei. Rispetto a questi ultimi, il piano può anche prevedere una moratoria dei pagamenti (con esclusione dei crediti impignorabili) sempre che il piano risulti idoneo ad assicurare il pagamento alla scadenza del nuovo termine e l'esecuzione del piano venga affidata ad un liquidatore nominato dal giudice.
Viene definito il procedimento finalizzato all’omologazione da parte del giudice dell’accordo, che presuppone l’accettazione da parte dei creditori che rappresentino almeno il 70 per cento dei crediti e prevede il coinvolgimento degli “organismi di composizione della crisi da sovraindebitamento”.
Questi ultimi, costituiti ad hoc da enti pubblici e iscritti in apposito registro, svolgono in generale attività di assistenza al debitore finalizzate al superamento della crisi di liquidità, di soluzione delle eventuali difficoltà insorte nell’esecuzione dell’accordo e di vigilanza sull’esatto adempimento dello stesso.
Il Governo ha presentato nell’aprile 2012 alla Camera il disegno di legge AC 5117, con il quale propone modifiche alla legge n. 3/2012 per quanto riguarda la composizione delle crisi da sovraindebitamento. Nonostante l’avvio (maggio 2012) dell’esame parlamentare del disegno di legge, il Governo ha ritenuto di anticiparne il contenuto con il decreto-legge in esame.
L’articolo 18 dunque riproduce, con alcune differenze, la riforma già all’esame della Commissione Giustizia.
In estrema sintesi, la disposizione introduce un ulteriore procedimento per la composizione delle crisi da sovraindebitamento del consumatore, definito come il «debitore persona fisica che ha assunto obbligazioni esclusivamente per scopi estranei all'attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta».
Egli potrà - con l'ausilio degli organismi di composizione della crisi - proporre al giudice un piano di ristrutturazione dei debiti e di soddisfazione dei crediti.
L'omologazione del piano da parte del giudice sarà fondata su un giudizio di meritevolezza della condotta del debitore (basato sulla ragionevolezza della prospettiva di adempimento delle obbligazioni) e sulla sua mancanza di colpa nella determinazione del sovraindebitamento.
In caso di contestazioni da parte dei creditori, il giudice procederà all'omologazione soltanto se riterrà che il singolo credito possa essere meglio soddisfatto dal piano rispetto a quanto non sarebbe in caso di liquidazione del patrimonio del debitore.
Quanto al procedimento di composizione della crisi da sovraindebitamento del debitore, attualmente disciplinato dalla legge n. 3/2012, il decreto-legge riduce al 60% (in luogo dell'attuale 70%) la soglia prevista per il raggiungimento dell'accordo tra debitore non consumatore e creditori.
Inoltre, il decreto-legge detta una serie di disposizioni comuni ad entrambi i procedimenti incidendo sul contenuto del piano (sia esso prospettato dal debitore in prospettiva di un accordo, sia invece formulato dal consumatore), prevedendo la possibilità di un pagamento anche non integrale dei creditori privilegiati (con l'esclusione di determinati crediti tributari e previdenziali, dei quali è possibile la sola dilazione di pagamento).
Per quanto riguarda invece la posizione dei creditori rimasti estranei all'accordo proposto dal debitore, il provvedimento ritiene che siano sufficientemente tutelati dalla valutazione - dell'organismo di composizione della crisi e poi del tribunale - sulla convenienza dell'accordo di ristrutturazione rispetto alla liquidazione dei beni del debitore.
L’articolo 18 introduce poi la possibilità di una procedura alternativa, di liquidazione di tutti i beni del debitore, anche se consumatore, e subordina al verificarsi di determinate condizioni e a uno specifico giudizio del tribunale l'effetto di esdebitazione per i crediti non soddisfatti.
Il comma 1 dell’articolo 18 novella in più punti il capo II della legge n. 3 del 2012.
Alcune modifiche intervengono sulla struttura del testo normativo, con la relativa scansione in capi, sezioni e paragrafi, dando al capo II della legge la seguente fisionomia:
Capo II, Procedimenti di composizione della
crisi da sovraindebitamento e di liquidazione del patrimonio |
|
|
|
Sezione I: Procedure di composizione della crisi da
sovraindebitamento |
|
Paragrafo 1 |
Disposizioni generali (artt. 6-9) |
Paragrafo 2 |
Accordo di composizione della crisi (artt. 10-12) |
Paragrafo 3 |
Piano del consumatore (artt. 12-bis-12-ter) |
Paragrafo 4 |
Esecuzione e cessazione degli effetti dell’accordo
di composizione della crisi e del piano del consumatore (artt. 13-14-bis) |
|
|
Sezione II, Liquidazione del patrimonio (artt. 14-ter-14-terdecies) |
|
|
|
Sezione III, Disposizioni comuni (artt. 15-16) |
Analiticamente, la lettera a) modifica la rubrica del capo II della legge - che contempla ora anche i procedimenti di liquidazione del patrimonio; la lettera b) inserisce la sezione I, riservata alla composizione delle crisi da sovraindebitamento; la lettera c) introduce una partizione in paragrafi, dedicando il primo alle "Disposizioni generali".
La lettera d) apporta modifiche all'articolo 6 della legge n. 3 del 2012, introducendo espressamente tra i soggetti che possono valersi delle procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento il consumatore, per il quale si prevede un apposito “piano” di ristrutturazione dei debiti.
Rispetto alla normativa originaria, a seguito del decreto-legge, sovraindebitamento è il «perdurante squilibrio tra le obbligazioni assunte e il patrimonio prontamente liquidabile per farvi fronte» o anche soltanto «la definitiva incapacità del debitore di adempiere regolarmente le proprie obbligazioni»; i due requisiti, che nella legge originaria dovevano coesistere, sono ritenuti dal decreto-legge alternativi, estendendo dunque il possibile campo d’applicazione della procedura.
Il Senato è intervenuto per modificare nuovamente la definizione di sovraindebitamento, che consiste ora nella «situazione di perdurante squilibrio tra le obbligazioni assunte e il patrimonio prontamente liquidabile per farvi fronte che determina la rilevante difficoltà di adempiere le proprie obbligazioni, ovvero la definitiva incapacità di adempierle regolarmente».
Il decreto-legge definisce il consumatore come il debitore che ha assunto obbligazioni – alle quali evidentemente non riesce definitivamente a far fronte – esclusivamente per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta[159]. La disposizione specifica che il consumatore è una persona fisica[160]; analoga precisazione non è prevista per il debitore, che dunque può essere anche una persona giuridica o un ente di fatto. Il decreto-legge prevede dunque che il consumatore possa porre rimedio alle situazioni di sovraindebitamento sottoponendo ai propri creditori un piano, i cui presupposti ed i cui contenuti sono analoghi a quelli previsti per il debitore.
Si osserva che il requisito delle obbligazioni assunte esclusivamente
per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale potrebbe di
fatto restringere il campo della possibile applicazione della procedura di
composizione delle crisi dei consumatori.
La lettera e) modifica l'articolo 7, dedicato ai presupposti di ammissibilità delle procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento.
Il nuovo comma 1 stabilisce che l’accordo (o il piano) è proposto dal debitore (o dal consumatore) con l'ausilio di organismi di composizione e deve assicurare il regolare pagamento dei titolari di crediti impignorabili, ai sensi dell'articolo 545 c.p.c. e delle altre disposizioni contenute in leggi speciali[161].
Il decreto-legge:
§ elimina l’obbligo di assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei all'accordo, originariamente previsto dalla legge n. 3/2012 (per questi creditori si applica ora l’art. 12, comma 2, della legge; v. infra);
§ conferma che l’accordo (o il piano) dovrà prevedere scadenze e modalità di pagamento dei creditori, anche se suddivisi in classi, indicare le eventuali garanzie rilasciate per il pagamento dei debiti e le modalità per l'eventuale liquidazione dei beni;
§ introduce disposizioni innovative sui crediti privilegiati. Se, infatti, originariamente la norma imponeva l’integrale soddisfazione dei creditori privilegiati, a meno che gli stessi non abbiano rinunciato, anche solo in parte, al loro credito, il nuovo comma 1 dell’articolo 7 consente la non integrale soddisfazione dei crediti muniti di privilegio, pegno o ipoteca, purché sia assicurato il pagamento del credito in misura non inferiore a quella che si presume realizzabile in caso di liquidazione del patrimonio; questa valutazione dovrà essere effettuata dagli organismi di composizione della crisi;
§ peraltro, la disposizione individua una serie di crediti dei quali deve essere garantita integrale soddisfazione, potendo il piano prevedere al massimo una dilazione del pagamento. Si tratta dei crediti derivanti da tributi che costituiscono risorse proprie dell'Unione Europea; crediti derivanti dall’imposta sul valore aggiunto; ritenute operate e non versate.
In merito si osserva che il disegno di legge prevede che il piano possa
al massimo prevedere una dilazione del pagamento per i «tributi costituenti
risorse proprie dell’Unione europea» aggiungendo l’imposta sul valore aggiunto.
In realtà l’IVA pare essere l’unico tributo che costituisce risorsa propria
dell’Unione; per i dazi doganali e i prelievi sull’importazione dei prodotti
agricoli si parla più correttamente di risorse proprie dell’Unione, ma non di
tributi.
Si evidenzia, peraltro, che il disegno di legge non specifica quale sia
la sorte dei tributi statali, dovendosi quindi ritenere che anche questi debiti
possano non essere integralmente soddisfatti.
Il piano può altresì prevedere l'affidamento del patrimonio del debitore (o del consumatore) ad un gestore per la liquidazione, la custodia e la distribuzione del ricavato ai creditori (la disposizione previgente prevedeva la figura del “fiduciario”), da individuarsi in un professionista in possesso dei requisiti previsti per il curatore fallimentare[162].
Con un emendamento al d.d.l. di conversione approvato dal Senato è stato precisato che il gestore al quale può essere affidato il patrimonio del debitore deve essere nominato dal giudice.
Il nuovo comma 1-bis dell’art. 7 della legge n. 3/2012, qui introdotto, prevede poi che il consumatore in stato di sovraindebitamento può altresì proporre - con l'ausilio degli organismi di composizione della crisi di cui all'articolo 15 con sede nel circondario del tribunale competente - un piano contenente le previsioni di cui al comma 1. La novella introduce qui per la prima volta il riferimento al piano del consumatore che configura - con esclusivo riferimento alla figura del consumatore - una possibilità alternativa di soluzione della crisi di sovraindebitamento introdotta dal decreto-legge in conversione.
Il comma 2 dell’art. 7 della legge – come sostituito dal decreto-legge – individua quattro casi di inammissibilità della proposta di accordo (o di piano), che si verificano quando il debitore (o il consumatore):
§ è assoggettabile a procedure concorsuali (la c.d. fallibilità è già oggi causa di esclusione dalle procedure di composizione del sovraindebitamento);
§ ha fatto ricorso, nei precedenti 5 anni, alle procedure del Capo II, concernente il procedimento per la composizione delle crisi da sovra indebitamento (il testo previgente individuava un termine triennale);
§ ha subito per cause a lui imputabili la risoluzione, la revoca e la cessazione dell’omologazione di un precedente accordo;
§ ha fornito una documentazione che non consente di ricostruire compiutamente la situazione economica e patrimoniale (in merito si veda peraltro infra l’art. 9, comma 3-ter, che consente al giudice di concedere un termine di 15 giorni per integrare la documentazione).
Con il nuovo comma 2-bis dell’art. 7 della legge è introdotta una deroga per l’imprenditore agricolo che – nonostante la fallibilità – potrà ugualmente accedere anche alla composizione delle crisi da sovraindebitamento.
L’imprenditore agricolo, ai sensi dell’art. 2135 del codice civile, è «colui che esercita un'attività diretta alla coltivazione del fondo, alla silvicoltura, all'allevamento di animali e attività connesse. Si reputano connesse le attività dirette alla trasformazione o all'alienazione dei prodotti agricoli, quando rientrano nell'esercizio normale dell'agricoltura».
L’imprenditore agricolo non è soggetto a fallimento in quanto questa procedura, come disposto dall’art. 1 della legge fallimentare, è riservata agli imprenditori commerciali. Tale esenzione dal fallimento è stata tuttavia limitata dalla progressiva dilatazione della nozione di imprenditore agricolo a seguito della modifica dell’art. 2135 c.c. (soprattutto ad opera del D.Lgs. n. 228/2001[163]), che ha finito per eliminare, o comunque attenuare fortemente, il confine, mai del tutto certo, tra le categorie dell’imprenditore agricolo e dell’imprenditore commerciale. A tale nuova situazione si è adeguata la giurisprudenza (v. da ultimo, Cass. 10/12/2010, n. 24995), che in presenza di specifici parametri ha ritenuto fallibile l’impresa agricola.
In questo quadro, è intervenuto più recentemente l’art. 23, comma 43, del D.L. n. 98 del 2011[164], prevedendo - in attesa di una revisione complessiva della disciplina dell'imprenditore agricolo in crisi e del coordinamento delle disposizioni in materia – un possibile accesso degli imprenditori agricoli in stato di crisi o di insolvenza alle procedure di cui agli articoli 182-bis e 182-ter della Legge fallimentare.
Il decreto-legge consente dunque all’imprenditore agricolo – che già può accedere alle procedure di fallimento, nonché all’accordo di ristrutturazione dei debiti (ex art. 182-bis della legge fallimentare) e alla transazione fiscale (ex art. 182-ter della legge fallimentare) – di utilizzare anche la procedura di composizione delle crisi da sovraindebitamento.
In merito, appare utile valutare il rapporto tra questa disposizione e
il recente art. 23, comma 43, del decreto-legge n. 98 del 2011, che già prevede
per questo imprenditore una particolare procedura di ristrutturazione dei
debiti.
La lettera f) novella l'articolo 8 della legge, che definisce il contenuto dell’accordo o del piano del consumatore.
Le modifiche ai primi due commi sono di carattere per lo più formale, in relazione all'introduzione della nuova fattispecie del piano del consumatore.
L’accordo (o il piano) dovrà essere formulato in modo da consentire la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti mediante "qualsiasi forma", eventualmente anche attraverso la cessione di crediti futuri (comma 1). Il testo previgente della norma faceva riferimento a "redditi futuri", espressione modificata in "crediti futuri" dal provvedimento in esame.
Se i beni e i redditi del debitore non sono tali da garantire tale risultato, egli potrà ricorrere ad uno o più garanti, che dovranno sottoscrivere a loro volta la proposta di accordo e consentire il conferimento, anche parziale, di redditi o beni sufficienti per l'attuabilità dell'accordo medesimo (comma 2).
Nella proposta di accordo il debitore potrà impegnarsi a non indebitarsi ulteriormente mediante credito al consumo, utilizzo di carte di credito, sottoscrizione di strumenti creditizi e finanziari (comma 3).
Si segnala che il decreto-legge in conversione non interviene sul comma
3 dell'articolo 8 della legge n. 3 del 2012. Tale disposizione continua quindi
a fare riferimento solo alla proposta di accordo e non anche a quella di piano
del consumatore.
Più incisiva modifica è da segnalare al comma 4 dell'articolo 8: il nuovo testo prevede la possibilità di un moratoria di un anno dall'omologazione dell'accordo o piano per il pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, "salvo che sia prevista la liquidazione dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione".
Il testo previgente del comma 4 prevedeva la possibilità di una moratoria fino ad un anno per il pagamento dei creditori estranei qualora il piano fosse risultato idoneo ad assicurare il pagamento entro il nuovo termine e la moratoria suddetta non riguardasse il pagamento dei titolari di crediti impignorabili.
La lettera g) novella la disciplina relativa al deposito della proposta, contenuta nell’articolo 9 della legge.
La disposizione originaria prevedeva che la proposta di accordo debba essere depositata presso il tribunale del luogo in cui ha la residenza, o la sede, il debitore (comma 1). Alla proposta dovranno essere allegati (comma 2):
§ l'elenco di tutti i creditori, con l'indicazione delle somme dovute;
§ l’elenco dei beni e degli eventuali atti di disposizione compiuti negli ultimi cinque anni;
§ le dichiarazioni dei redditi degli ultimi tre anni;
§ l’attestazione delle fattibilità del piano;
§ l'elenco delle spese correnti necessarie al sostentamento del debitore e della sua famiglia, previa indicazione della composizione del nucleo familiare corredata del certificato dello stato di famiglia.
§ dell'inventario dei beni del debitore.
Se il debitore svolge un’attività d’impresa, dovrà depositare anche le scritture contabili degli ultimi tre esercizi (comma 3).
Rispetto al testo previgente il decreto-legge:
§ specifica che nel caso del consumatore la proposta di piano deve essere depositata presso il tribunale del luogo dove ha la residenza;
§ aggiunge che tanto la proposta di accordo quanto la proposta di piano dovranno altresì essere presentati entro tre giorni dal deposito in tribunale – a cura dell’organismo di composizione della crisi – all’agente della riscossione (Equitalia s.p.a.) ed agli uffici fiscali (Agenzia delle entrate), nonché ai competenti enti locali. La disposizione precisa che la proposta dovrà contenere la ricostruzione della posizione fiscale del debitore e l’indicazione di eventuali contenziosi pendenti.
Il decreto-legge inserisce poi alcuni commi aggiuntivi nell’articolo 9:
§ il comma 3-bis, relativo al solo piano del consumatore, precisa che alla proposta dovrà essere allegata anche una relazione particolareggiata dell'organismo di composizione della crisi, contenente:
- l'indicazione delle cause dell'indebitamento e del grado di diligenza impiegato dal consumatore nell'assumere le obbligazioni;
- l'esposizione delle ragioni dell'incapacità del debitore di adempiere le obbligazioni assunte;
- il resoconto sulla solvibilità del consumatore negli ultimi 5 anni;
- l'indicazione della eventuale esistenza di atti del debitore impugnati dai creditori;
- il giudizio sulla completezza e attendibilità della documentazione depositata dal consumatore, nonché sulla probabile convenienza (per i creditori) del piano rispetto all’alternativa liquidatoria.
§ il comma 3-ter prevede che il giudice possa concedere al massimo ulteriori 15 giorni per apportare modifiche e integrazioni alla documentazione richiesta;
§ il comma 3-quater stabilisce la sospensione degli interessi legali al momento del deposito della proposta del debitore o del piano del consumatore, a meno che i crediti non siano garantiti da ipoteca, pegno o privilegio, salvo quanto previsto dagli articoli 2749, 2788 e 2855, commi secondo e terzo, del codice civile.
L'articolo 2749 c.c. stabilisce l'estensione del privilegio alle spese ordinarie per l'intervento nel processo di esecuzione e agli interessi dovuti per l'anno in corso - e per l'anno precedente - alla data del pignoramento. L'articolo 2788 c.c. detta le norme in materia di prelazione per il credito degli interessi, stabilendo che questa ha luogo anche per gli interessi dell'anno in corso alla data del pignoramento o, in mancanza di questo, alla data della notificazione del precetto nonché per gli interessi successivamente maturati, nei limiti della misura legale, fino alla data della vendita. Infine, l'articolo 2855 c.c. reca disposizioni in materia di estensione degli effetti dell'iscrizione.
La lettera h) inserisce il paragrafo 2 all’interno della sezione dedicata alle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento. Tale paragrafo viene rubricato Accordo di composizione della crisi e attiene alla procedura dedicata al debitore (non consumatore).
La lettera i) modifica l'articolo 10 che disciplina il procedimento che segue al deposito della proposta di accordo.
Il giudice - previa verifica dei presupposti di ammissibilità e dell'adempimento delle formalità connesse al deposito - fissa con decreto l'udienza e comunica ai creditori la proposta di accordo unitamente al decreto.
La modifica in esame prevede che la comunicazione debba avvenire almeno 30 giorni prima del termine previsto per il consenso alla proposta stabilito dall'articolo 11, comma 1. Tale termine è di dieci giorni prima dell'udienza; tra il giorno del deposito della documentazione e l'udienza non devono trascorrere più di 60 giorni.
Inoltre il decreto del giudice stabilisce, come nel testo originario della legge, dispone idonee forme di pubblicità della proposta e del decreto stesso. Se il debitore svolge attività d'impresa, è disposta la pubblicazione degli stessi documenti nel registro delle imprese. Secondo la modifica in commento, dovrà essere prevista la trascrizione del decreto laddove il piano preveda la cessione o l'affidamento a terzi di beni immobili o beni mobili registrati. Inoltre il giudice, mediante il decreto, dovrà stabilire che fino al momento dell'omologazione non è possibili iniziare o proseguire azioni esecutive individuali, disposti sequestri conservativi, acquistati diritti di prelazione sul patrimonio del debitore. Tale sospensione non opera nei confronti di titolari di crediti impignorabili.
L'accertamento di iniziative o atti in frode ai creditori implica, da parte del giudice, la revoca e l'eventuale cancellazione della trascrizione del decreto che fissa l'udienza.
Un comma 3-bis aggiunto dal decreto-legge stabilisce l'inefficacia di atti eccedenti l'ordinaria amministrazione non autorizzati dal giudice.
La modifica del comma 4 comporta che sino al momento dell'omologazione del provvedimento le prescrizioni rimarranno sospese e le decadenze non si verificheranno. Infine è da segnalare che il comma 5 dell'articolo 10 in commento stabilisce che il decreto «deve intendersi equiparato all'atto di pignoramento».
La lettera l) modifica l'articolo 11, dedicato alla fase di raggiungimento dell'accordo.
Una modifica rilevante apportata dal decreto-legge riguarda la percentuale di creditori necessaria per l'omologazione dell'accordo: nel testo previgente, per essere approvata, la proposta di accordo doveva essere accettata da creditori che rappresentassero almeno il 70% dei crediti; nel testo modificato tale percentuale è abbassata al 60%.
L'abbassamento della percentuale deve essere comunque messo in relazione al criterio - anche questo inserito dal decreto-legge - secondo il quale non vengono computati ai fini della percentuale stessa quei crediti muniti di privilegio, pegno o ipoteca nei confronti dei quali la proposta prevede l'integrale pagamento. Essi non possono pronunciarsi sulla proposta a meno che non rinuncino al diritto di prelazione. Inoltre non possono pronunciarsi sulla proposta, né sono computati ai fini della determinazione della maggioranza, il coniuge del debitore, parenti e affini fino al quarto grado, i cessionari o aggiudicatari dei loro crediti da meno di un anno al momento della proposta.
Ulteriori modifiche riguardano l'inserimento di un termine temporale specifico entro cui i creditori devono fare pervenire all'organismo di composizione della crisi il proprio consenso, qui determinato in dieci giorni prima dell'udienza fissata dal giudice. In mancanza di tale comunicazione, sempre secondo la modifica apportata al comma 1 dell'articolo 11 della legge, si ritiene che i creditori abbiano prestato il proprio consenso alla proposta (silenzio-assenso).
Il comma 5 dell'articolo 10, anch'esso modificato dal decreto-legge, enuncia le cause che comportano la cessazione degli effetti della proposta:
§ il mancato pagamento entro novanta giorni dalle scadenze previste alle "amministrazioni pubbliche" (non più, come nel testo originario, alle "agenzie fiscali") e agli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie;
§ la presenza di atti diretti a frodare i creditori.
Il giudice provvede d'ufficio; il suo decreto è reclamabile ai sensi dell'articolo 739 del codice di procedura civile (ovvero con procedimento in camera di consiglio) innanzi al tribunale. Del collegio non può far parte il giudice che ha pronunciato il decreto.
La lettera m) modifica l'articolo 12 in tema di omologazione dell’accordo.
Il comma 1, non modificato dal decreto-legge, stabilisce che, ove l'accordo sia stato raggiunto, l’organismo di composizione della crisi trasmette ai creditori una relazione sui consensi espressi e sul raggiungimento delle percentuali fissate dall'articolo 11, nonché il testo dell'accordo. Entro dieci giorni al ricevimento della relazione i creditori possono contestare l'accordo. Decorso tale termine, l'organismo di composizione invia al giudice la stessa relazione, allegando l'attestazione definitiva sulla fattibilità del piano e le contestazioni ricevute.
Il comma 2, a seguito dell’entrata in vigore del decreto-legge, dispone che se la prescritta maggioranza è raggiunta - e se le modalità dell’accordo sono ritenute idonee a soddisfare i crediti impignorabili e tutti i creditori di cui all'articolo 7, comma 1, terzo periodo - il giudice procede all'omologazione dell'accordo e ne dispone la pubblicazione. Se il creditore escluso o che non ha aderito, nonché qualsiasi altro interessato, contesta la convenienza dell'accordo, si può procedere all'omologazione qualora il giudice ritenga che il relativo credito possa essere soddisfatto in misura non inferiore all'alternativa liquidatoria prevista dalla sezione seconda.
Il comma 3, sostituito dal decreto-legge, stabilisce che l'accordo omologato è obbligatorio per tutti i creditori anteriori al momento in cui è stata eseguita la pubblicità di cui all'articolo 10, comma 2. I creditori con causa o titolo posteriore possono aggredire solo i beni del debitore che non costituiscono oggetto del piano. Tali effetti vengono meno in caso di risoluzione o mancato pagamento di crediti impignorabili e, secondo la modifica, di mancato pagamento di tributi costituenti risorse proprie dell’Unione europea, di ritenute operate e non versate. L'accertamento del mancato pagamento è richiesta al tribunale che si pronuncia in camera di consiglio (comma 4).
Il nuovo comma 3-bis, inoltre, stabilisce che l'omologazione deve intervenire entro sei mesi dalla presentazione della proposta.
Ai sensi del comma 5 la sentenza di fallimento a carico del debitore risolve l'accordo; il decreto-legge ha aggiunto che atti, pagamenti e garanzie posti in essere in esecuzione dell'accordo non sono soggetti ad azione revocatoria ai sensi dell'articolo 67 della legge fallimentare.
Il Senato ha approvato un emendamento che dispone come a seguito della sentenza di fallimento, i crediti derivanti da finanziamenti effettuati in esecuzione o in funzione dell’accordo omologato sono prededucibili.
La disposizione aggiunta nel d.d.l. di conversione richiama l’art. 111 della legge fallimentare, in base al quale sono considerati crediti prededucibili quelli così qualificati da una specifica disposizione di legge, e quelli sorti in occasione o in funzione delle procedure concorsuali; tali crediti sono soddisfatti con preferenza ovvero sono i primi ad essere soddisfatti dalle somme ricavate dalla liquidazione dell'attivo.
Con finalità di coordinamento, il medesimo emendamento è intervenuto anche sulla legge fallimentare per novellare l’art. 217-bis (v. infra, comma 3).
La lettera n) inserisce un apposito paragrafo dedicato al "piano del consumatore", costituito dai due nuovi articoli 12-bis e 12-ter che disciplinano, rispettivamente, il procedimento e gli effetti dell'omologazione del piano del consumatore.
L'articolo 12-bis prevede che il giudice, ove il piano del consumatore rispetti i requisiti previsti dagli articoli da 7 a 9, fissi con decreto l'udienza, dopo aver verificato l'assenza di atti in frode ai creditori, disponendo la comunicazione a tutti i creditori della proposta e del decreto almeno 30 giorni prima dell'udienza stessa. Non devono trascorrere più di 60 giorni tra il deposito della documentazione ai sensi dell'articolo 9 e il giorno dell'udienza: tale disposizione riprende, quindi, quella prevista per la proposta di accordo di composizione della crisi adattandola al caso del piano del consumatore.
Qualora l'esistenza di procedimenti di esecuzione forzata possa pregiudicare la fattibilità del piano, il giudice con lo stesso decreto può disporre la loro sospensione fino al momento dell'omologazione.
Il giudice omologa il piano del consumatore sulla base di criteri già previsti dall'articolo 10; inoltre il giudice deve verificare:
§ che il consumatore non abbia assunto obbligazioni senza la ragionevole prospettiva di poter fare fronte alle stesse;
§ che il consumatore non abbia determinato colposamente il sovraindebitamento, anche con ricorso al credito non proporzionato alle proprie capacità patrimoniali.
I commi 4-7 del nuovo articolo per lo più adattano al caso del piano del consumatore quanto previsto ai precedenti articoli in tema di contestazione della convenienza del piano, omologazione in caso di contestazione, applicabilità degli articolo 737 c.p.c., termini temporali per l'omologazione (entro sei mesi dalla proposta), equiparabilità dell'omologazione al pignoramento.
L'articolo 12-ter prevede, tra l'altro, la non esecutività di azioni esecutive individuali da parte di creditori con causa o titolo anteriori, l'obbligatorietà del piano per i creditori anteriori al momento della pubblicità del piano, le cause di cessazione degli effetti del piano, la richiesta al tribunale dell'accertamento del mancato pagamento. Si segnala che ai sensi del comma 3, l'omologazione del piano non pregiudica i diritti dei creditori nei confronti dei coobbligati, fideiussori del debitore e obbligati in via di regresso, disposizione questa corrispondente a quella contenuta nel comma 3 dell'articolo 11.
La lettera o) inserisce il paragrafo 4, composto dagli articoli da 13 a 14-bis, che disciplina in modo unitario l’esecuzione e la cessazione degli effetti tanto dell’accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento del debitore, quanto del piano del consumatore.
La lettera p) modifica l'articolo 13, estendendo la disciplina sull'esecuzione dell’accordo del debitore anche al piano del consumatore.
Nell’ipotesi in cui sia necessario procedere alla cessione di beni già sottoposti a pignoramento - ovvero se l'accordo o il piano del consumatore lo prevedono - l’organismo di composizione della crisi deve procedere alla nomina di un liquidatore.
Il comma 2 pone in capo all'organo di composizione di risolvere le difficoltà che eventualmente si verifichino nel corso dell'esecuzione dell'accordo e di vigilare sull'adempimento di quanto in esso previsto. Il giudice investito della procedura decide in ordine alle contestazioni relative alla violazione di diritti soggettivi, nonché sulla sostituzione del liquidatore per giustificati motivi. Il giudice autorizza lo svincolo delle somme, la cancellazione della trascrizione del pignoramento, delle iscrizioni relative ai diritti di prelazione e di ogni altro vincolo, sentito il liquidatore e previa verifica di conformità dell'atto dispositivo all'accordo e al piano (comma 3).
Ai sensi del comma 4, i pagamenti e gli atti dispositivi dei beni posti in essere in violazione dell’accordo o del piano sono nulli.
Il testo come modificato dal decreto-legge prevede, in più, le seguenti disposizioni:
§ la cancellazione della trascrizione del decreto di cui agli articoli 10, comma 1, e 12-bis, comma 3, nonché la cessazione di ogni altra forma di pubblicità;
§ la possibilità da parte del giudice di sospendere gli atti di esecuzione dell'accordo qualora ricorrano gravi e giustificati motivi;
§ i pagamenti e gli atti dispositivi dei beni posti in essere in violazione dell'accordo o del piano sono inefficaci rispetto ai creditori anteriori al momento in cui è stata eseguita la pubblicità del piano;
§ ai sensi del comma 4-bis, i crediti sorti in occasione o in funzione di uno dei procedimenti di cui alla presente sezione sono soddisfatti con preferenza rispetto agli altri, con esclusione di quanto ricavato dalla liquidazione dei beni oggetto di pegno ed ipoteca per la parte destinata ai creditori garantiti.
Il Senato ha aggiunto un ulteriore comma 4-ter che specifica che, quando l’esecuzione dell’accordo o del piano del consumatore diviene impossibile per ragioni non imputabili al debitore o al consumatore, è consentita una modifica della proposta. Si applicano i paragrafi 2 e 3 della Sezione I.
La cessazione degli effetti dei due procedimenti è disciplinata da due distinti articoli, l’art. 14, relativo al solo accordo di composizione della crisi per il debitore, e l’art. 14-bis, relativo alla cessazione degli effetti del piano del consumatore.
La lettera q) modifica l'articolo 14 in tema di impugnazione e risoluzione dell'accordo di composizione della crisi per il debitore.
L’ipotesi di annullamento dell’accordo è disciplinata dal comma 1: il tribunale agisce in tal senso, su istanza di qualsiasi creditore, nell’ipotesi in cui sia stato dolosamente "o con colpa grave" (modifica questa apportata dal decreto-legge), aumentato o diminuito il passivo, ovvero sia stata sottratta o dissimulata una parte rilevante dell'attivo, ovvero siano simulate dolosamente attività inesistenti. Non è ammessa alcuna altra azione di annullamento.
Viene quindi inserito un nuovo comma 1-bis che stabilisce che il ricorso per l'annullamento deve proporsi nel termine di sei mesi dalla scoperta e, in ogni caso, non oltre due anni dall'ultimo adempimento previsto.
La risoluzione dell’accordo (comma 2) può aversi invece, previo ricorso di un creditore al tribunale, nelle seguenti ipotesi:
§ il proponente non adempie (la modifica ha espunto qui il termine "regolarmente") agli obblighi derivanti dall'accordo;
§ le garanzie promesse non vengono costituite;
§ l'esecuzione dell'accordo diviene impossibile per ragioni non imputabili al debitore.
Il ricorso per la risoluzione deve essere presentato entro sei mesi dalla scoperta (secondo la modifica) o entro il termine perentorio di un anno dalla data dell’ultimo adempimento previsto dall’accordo (comma 3).
Il comma 4, non modificato, stabilisce che la risoluzione dell'accordo per le cause previste dal presente articolo non pregiudica comunque diritti acquisiti da terzi in buona fede. Alle procedure previste dai commi 1 e 2 si applicano, secondo il comma 5, le disposizioni di cui ai agli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile sui procedimenti in camera di consiglio. Anche in questa sede il decreto inserisce il riferimento al reclamo da proporre innanzi al tribunale.
La lettera r)
inserisce un nuovo articolo 14-bis in tema di revoca e cessazione degli effetti dell'omologazione del piano del
consumatore.
La disposizione chiarisce (comma 1) che i presupposti per la revoca dell’omologazione sono quelli indicati dall’articolo 11, comma 5, della legge n. 3/2012 (v. sopra).
A ciò si aggiunge che, in presenza di ulteriori ipotesi tassative, il tribunale, su istanza di ogni creditore ed in contraddittorio con il consumatore, deve dichiarare la cessazione degli effetti dell’omologazione del piano. Ciò avviene in questi casi:
§ è stato dolosamente o con colpa grave aumentato o diminuito il passivo o sottratta o dissimulata una parte rilevante dell’attivo, ovvero sono state dolosamente simulate attività inesistenti. In questi casi il ricorso deve essere proposto a pena di decadenza entro sei mesi dalla scoperta e comunque entro due anni dalla scadenza del termine fissato per l’ultimo adempimento previsto dal piano;
§ si sono avuti irregolare adempimento delle obbligazioni, mancata costituzione delle garanzie promesse e/o impossibile esecuzione del piano anche per ragioni non imputabili al consumatore. In questi casi il ricorso deve essere proposto a pena di decadenza entro un anno dalla scadenza del termine fissato per l’ultimo adempimento previsto dal piano.
La dichiarazione di cessazione degli effetti dell’omologazione del piano non pregiudica i diritti acquistati dai terzi in buona fede (comma 5) e il procedimento è camerale, regolato dagli articoli 737 e seguenti c.p.c. «in quanto compatibili», affidato al tribunale (richiamo dell’art. 14, comma 5, della legge).
La lettera s) introduce nel Capo II della legge n. 3 del 2012 la Sezione II, composta dagli articoli da 14-ter a 14-terdecies, dedicata alla liquidazione del patrimonio. Si tratta del procedimento da attivare in alternativa alla composizione della crisi da sovraindebitamento attraverso l’accordo o il piano e che dunque si può applicare tanto al debitore quanto al consumatore.
L’articolo 14-ter, rubricato (Liquidazione dei beni), stabilisce che il debitore, quando versa in una situazione di sovraindebitamento, non è soggetto ad una procedura concorsuale diversa da quella disciplinata dalla legge n. 3/2012 e non ha già fatto ricorso, nei precedenti cinque anni, alla procedura di composizione della crisi, può formulare una proposta alternativa avanzando domanda di liquidazione di tutti i propri beni (comma 1).
La domanda è proposta al tribunale del luogo di residenza o sede principale del debitore e deve essere corredata dalla documentazione già prevista per la proposta di accordo dall’art. 9, commi 2 e 3, nonché di una relazione particolareggiata dell’organismo di composizione della crisi che specifichi lo stato patrimoniale, le cause dell’indebitamento, le ragioni dell’incapacità per il debitore di far fronte alle obbligazioni, l’esistenza di eventuali atti già impugnati dai debitori giungendo infine a formulare un giudizio sulla completezza e l’attendibilità della documentazione fornita a corredo della domanda.
L’organismo di composizione della crisi cui viene richiesta la relazione deve tempestivamente (entro 3 giorni) darne notizia all’agente della riscossione (Equitalia s.p.a.) ed agli uffici fiscali (Agenzia delle entrate), nonché ai competenti enti locali (comma 4).
In base al comma 5 la domanda è inammissibile se la documentazione fornita non consente di ricostruire compiutamente la situazione patrimoniale del debitore.
Il comma 6 indica, infine, una serie di cespiti che non sono compresi nella liquidazione, ovvero:
§ i crediti impignorabili ai sensi dell'articolo 545 c.p.c.;
§ i crediti aventi carattere alimentare e di mantenimento;
§ i frutti derivanti dall'usufrutto legale sui beni dei figli, i beni costituiti in fondo patrimoniale e i frutti di essi, salvo quanto disposto dall'articolo 170 del codice civile.
Si ricorda che l’articolo 170 del codice civile dispone che «L'esecuzione sui beni del fondo e sui frutti di essi non può aver luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia».
§ le cose impignorabili per legge.
Il comma 7 stabilisce la sospensione del corso degli interessi convenzionali o legali al deposito della domanda, fino alla chiusura della liquidazione. Tale disposizione ricalca quella del comma aggiuntivo 3-quater dell'articolo 9.
L’articolo 14-quater prevede la possibilità di convertire la procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento in quella di liquidazione del patrimonio del debitore (anche consumatore). La conversione è disposta con decreto del giudice (v. infra art. 14-quinquies) su istanza del debitore o di uno dei creditori, nei seguenti casi:
§ annullamento dell'accordo o di cessazione degli effetti dell’omologazione del piano del consumatore ai sensi dell'articolo 14-bis, comma 2, lettera a);
§ mancata esecuzione dei pagamenti secondo il piano o presenza di atti diretti a frodare le ragioni dei creditori (articolo 11, comma 5);
§ casi previsti dall'articolo 14-bis, comma 1 (in tale norma è richiamato l'articolo 11, comma 5, con riferimento al piano del consumatore);
§ quando il proponente non adempie agli obblighi previsti dal piano ovvero se le garanzie promesse non vengono costituite ovvero l'esecuzione del piano diviene irrealizzabile quando ciò sia imputabile a cause imputabili al debitore (dell'articolo 14-bis, comma 2, lettera a)).
L’articolo 14-quinquies prevede l’apertura della liquidazione, che deve essere dichiarata dal giudice con decreto, dopo aver verificato l’assenza di atti in frode al creditore nell’ultimo quinquennio (comma 1).
Nello stesso atto il giudice:
§ nomina un liquidatore (con i requisiti richiesti al curatore fallimentare);
§ congela, fino a quando il provvedimento di omologazione non sia definitivo, ogni azione esecutiva, sequestro conservativo, acquisto di diritti di prelazione sul patrimonio del debitore da parte dei creditori aventi titolo o causa anteriore;
§ ordina di dare pubblicità alla procedura;
§ dispone di procedere alle trascrizioni riguardanti i beni immobili e mobili registrati;
§ ordina la consegna o il rilascio di beni che fanno parte del patrimonio da liquidare (salvo, per gravi motivi, che il debitore sia autorizzato ad un utilizzo di parte di essi);
§ fissa i limiti di cui all'articolo 14-ter, comma 5, lett. b).
Si osserva che il riferimento normativo non pare corretto, in quanto il
comma 5 dell’art. 14-ter non
contempla una lettera b).
Il decreto deve intendersi equiparato all'atto di pignoramento (comma 3). Il comma 4 stabilisce che la procedura rimane aperta fino alla completa esecuzione del programma di liquidazione e, in ogni caso, nei quattro anni successivi al deposito della domanda ai fini di quanto previsto dall'articolo 14-undecies (dedicato a "Beni e crediti sopravvenuti, vedi oltre).
L’articolo 14-sexies delinea i compiti del liquidatore in sede di inventario dei beni.
Dopo la verifica dell’elenco dei creditori e dell’attendibilità della documentazione ricevuta, il liquidatore dovrà formare l'inventario dei beni e dei crediti da liquidare e comunicare ai creditori e ai titolari dei diritti reali e personali, mobiliari e immobiliari, sui beni mobili o immobili in possesso o nella disponibilità del debitore:
§ la possibilità di partecipare alla liquidazione tramite una domanda di partecipazione, anche a mezzo di posta elettronica certificata (il cui contenuto è precisato dal successivo articolo 14-septies);
§ la data ultima di presentazione delle domande
§ la data entro la quale saranno comunicati - al debitore e ai creditori - lo stato passivo e ogni altra utile informazione.
L’articolo 14-septies riguarda il contenuto della domanda di partecipazione alla liquidazione, proposta a mezzo ricorso.
La disposizione richiede che nell’atto siano indicati (comma 1):
§ le generalità del creditore;
§ la somma che si reclama nella liquidazione o beni di cui si chiede la restituzione o che si rivendica;
§ la breve esposizione delle ragioni della domanda;
§ la presenza di eventuali titoli di prelazione;
§ i riferimenti di fax, posta elettronica certificata o domicilio.
Il ricorso deve contenere anche i documenti che giustificano i diritti fatti valere (comma 2).
L’articolo 14-octies stabilisce che, ricevute le domande, il liquidatore redige un progetto di stato passivo, lo comunica agli interessati assegnandogli un termine di 15 giorni per le eventuali osservazioni (comma 1).
Nei successivi 15 giorni, in assenza di osservazioni, lo stato passivo è approvato e comunicato alle parti (comma 2); in caso contrario, se il liquidatore ritiene le osservazioni fondate, predispone un nuovo progetto di passivo, ricomunicandolo alle parti (comma 3). Se vengono mosse al liquidatore contestazioni insuperabili, questi trasmette gli atti al giudice che provvede alla definitiva formazione del passivo. Si applicano le disposizioni sul rito in camera di consiglio.
L’articolo 14-novies dispone che il liquidatore debba, entro 30 giorni dalla formazione dell’inventario, elaborare un programma di liquidazione, comunicarlo a debitore, creditori e giudice. Il programma deve assicurare la ragionevole durata della procedura (comma 1).
Il liquidatore ha l’amministrazione dei beni liquidabili e la liquidazione avverrà in conformità al programma e senza ulteriori autorizzazioni (potrà però il giudice, in presenza di gravi motivi, disporne la sospensione con decreto motivato).
In particolare, la disposizione specifica che (comma 2):
§ il liquidatore cede i crediti, anche se oggetto di contestazione;
§ le vendite e gli altri atti di liquidazione sono effettuati dal liquidatore tramite procedure competitive anche avvalendosi di soggetti specializzati, sulla base di stime effettuate da parte di operatori esperti. In merito il comma 4 aggiunge che occorre far riferimento all’art. 107 della legge fallimentare;
Si tratta della disposizione del RD 267/1942 che – contenendo una formulazione identica a quella del decreto-legge – rinvia poi ad un regolamento del Ministro della giustizia, da adottare ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, l’individuazione dei requisiti di onorabilità e professionalità dei soggetti specializzati e degli operatori esperti dei quali il curatore può avvalersi per la fase liquidatoria, nonché dei mezzi di pubblicità e trasparenza delle operazioni di vendita.
§ il liquidatore deve assicurare, con adeguate forme di pubblicità, la massima informazione e partecipazione degli interessati.
Spetta al giudice disporre lo svincolo delle somme, ordinare la cancellazione di ogni vincolo sui beni (trascrizione di pignoramenti, diritti d prelazione, ecc.) e la cessazione di ogni pubblicità disposta (comma 3).
Il comma 4 richiama il regolamento del Ministro della giustizia di cui all'articolo 107, settimo comma della legge fallimentare con riferimento ai requisiti di onorabilità e professionalità dei soggetti specializzati e degli operatori esperti dei quali il curatore può avvalersi, nonché i mezzi di pubblicità e trasparenza delle operazioni di vendita.
Il comma 5 stabilisce che il decreto di chiusura del procedimento debba essere emanato al completamento del programma e comunque non prima di quattro anni dal deposito della domanda.
L’articolo 14-decies dispone che il liquidatore possa esercitare ogni azione prevista dalla legge volta a rendere disponibili i beni componenti il patrimonio di liquidazione e comunque correlata con lo svolgimento dell'attività di amministrazione dei beni oggetto della liquidazione. Il liquidatore può altresì promuovere le azioni volte al recupero dei crediti inseriti nella liquidazione.
L’articolo 14-undecies esclude dall’ambito della liquidazione i beni e i crediti sopravvenuti al deposito della domanda di liquidazione, mentre il successivo articolo 14-duodecies esclude dalla procedura i creditori con causa o titolo posteriore alla data di esecuzione della pubblicità della domanda di liquidazione.
L'articolo 14-terdecies reca la disciplina dell’esdebitazione.
Si ricorda che l’istituto è disciplinato in via generale dagli articoli da 142 a 145 della legge fallimentare (RD. n. 267 del 1942), in forza dei quali il fallito persona fisica viene ammesso al beneficio della liberazione dai debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali non soddisfatti a determinate condizioni. L’esdebitazione non può essere concessa qualora non siano stati soddisfatti, neppure in parte, i creditori concorsuali (art. 142).
Il debitore sovraindebitato è liberato dai debiti residui nei confronti dei creditori non soddisfatti a condizione che (comma 1):
§ il debitore abbia cooperato al regolare ed efficace svolgimento della procedura;
§ il debitore non abbia in nessun modo ritardato l'espletamento della procedura;
§ il debitore non abbia beneficiato di altra esdebitazione negli 8 anni precedenti la domanda;
§ il debitore non sia stato condannato definitivamente per uno dei reati previsti dall’art. 16 (vedi infra);
§ il debitore abbia svolto nei quattro anni successivi al deposito della domanda (vedi art. 14-undecies) un'attività produttiva e non aver rifiutato proposte di impiego senza giustificato motivo
§ il debitore abbia soddisfatto, almeno in parte, i creditori per titolo e causa anteriore al decreto di apertura della liquidazione.
Sono poi indicate (comma 2) due cause di esclusione dell’esdebitazione:
§ nella procedura di liquidazione del patrimonio, il sovraindebitamento del debitore è imputabile ad un ricorso al debito colposo e sproporzionato rispetto alle capacità patrimoniali;
§ il debitore nei cinque anni precedenti o nel corso delle medesime procedure ha compiuto atti in frode, simulazioni o altri atti per favorire alcuni creditori a danno di altri.
Sono quindi indicate (comma 3) le ipotesi in cui non opera l’esdebitazione:
§ per debiti derivanti da obblighi di mantenimento e alimentari;
§ per debiti da risarcimento danni per illecito extracontrattuale oltre che per le sanzioni penali e amministrative di carattere pecuniario che non siano accessorie a debiti estinti;
§ per debiti fiscali accertati successivamente all’apertura delle procedure, anche se aventi causa anteriore.
Dopo avere verificato le condizioni e la cause di esclusione, il giudice (comma 4) dichiara inesigibili nei confronti del debitore i crediti non soddisfatti integralmente. I creditori non soddisfatti integralmente possono proporre reclamo ai sensi dell’articolo 739 c.p.c. davanti al tribunale, in composizione collegiale (del quale non può fare parte il giudice che ha emesso il decreto).
Il provvedimento di esdebitazione è revocabile in ogni momento, su istanza dei creditori, se risulta che (comma 5):
§ è stato concesso nonostante il debitore nei cinque anni precedenti o nel corso delle procedure abbia compiuto atti in frode, simulazioni o altri atti per favorire alcuni creditori a danno di altri;
§ è stato dolosamente o con colpa grave modificato il passivo oppure sottratta o dissimulata una parte rilevante dell'attivo oppure simulate attività inesistenti.
Si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 737 e seguenti c.p.c. (disposizioni comuni sui procedimenti in camera di consiglio).
La lettera t) sostituisce gli articoli da 15 a 20 della legge n. 3 del 2012 con due soli articoli (l’art. 15, sugli organismi di composizione delle crisi, e l’art. 16, contenente l’apparato sanzionatorio) inseriti nell’ambito di una nuova Sezione III dedicata alle Disposizioni comuni".
L’articolo 15 disciplina gli organismi di composizione della crisi da sovraindebitamento, inserendo in un’unica disposizione quanto attualmente previsto dagli articoli 15, 17 e 20 della legge.
Nel testo originario della legge, in base all’articolo 15, gli organismi per la composizione delle crisi possono essere costituiti da enti pubblici, e devono essere dotati di adeguate caratteristiche di indipendenza e professionalità (comma 1). Essi devono essere iscritti in un apposito registro tenuto presso il ministero della Giustizia (comma 2): i requisiti, i criteri e le modalità di iscrizione, sospensione e cancellazione nell'elenco così come la sua formazione e revisione devono essere determinati con regolamento ministeriale da adottarsi entro 90 giorni dall'entrata in vigore della legge n. 3/2012 (comma 3): il termine è scaduto il 29 maggio 2012.
È previsto che l'iscrizione nel registro degli organismi di composizione della crisi avvenga di diritto, a semplice domanda, per (comma 4):
§ gli organismi di mediazione costituiti presso le camere di commercio;
§ il segretario sociale per informazione e consulenza al singolo e ai nuclei familiari istituito ai sensi dell'articolo 22, comma 4, lettera a) della legge 328/2000;
§ gli ordini territoriali degli avvocati;
§ gli ordini territoriali dei commercialisti ed esperti contabili;
§ gli ordini territoriali dei notai.
Infine, i commi 5 e 6 dispongono che la costituzione degli organismi di conciliazione debba avvenire senza oneri per la finanza pubblica; i componenti non avranno diritto ad alcun rimborso o compenso e le attività dovranno essere svolte con le risorse umane e finanziarie già disponibili (il regolamento del ministero dovrà determinare le indennità spettanti agli organismi di cui al comma 4, che saranno poste a carico dei soggetti che ricorrono alla procedura).
Il successivo articolo 17 delinea i compiti dell’organismo, chiamato essenzialmente a fornire un ausilio al debitore in stato di sovraindebitamento nella proposizione ai creditori dell'accordo di ristrutturazione (comma 1).
In particolare, oltre ai compiti indicati dagli articoli 11, 12 e 13 della legge n. 3/2012 (comunicare il piano ai creditori e ricevere il loro eventuale consenso; trasmettere al giudice la relazione al fine dell’omologazione; intervenire in sede di esecuzione, proponendo il liquidatore e vigilando sull’esatto adempimento del piano), l’articolo 17 chiama l’organismo a:
§ verificare la veridicità dei dati contenuti nella proposta e nei documenti allegati;
§ attestare la fattibilità del piano;
§ trasmettere al giudice la relazione sui consensi espressi (comma 2);
§ eseguire la pubblicità della proposta e dell'accordo;
§ effettuare le comunicazioni disposte dal giudice (comma 3).
L’articolo 20 della legge contiene una disposizione transitoria in base alla quale, in attesa che vengano costituiti gli organismi di composizione della crisi, i compiti e le funzioni a essi attribuiti possono essere svolti da un professionista in possesso dei requisiti di cui all'articolo 28 della legge fallimentare e quindi avvocati, dottori commercialisti ed esperti contabili ovvero da un notaio. Il professionista è nominato dal presidente del tribunale o dal giudice da lui delegato. Con decreto del ministro della giustizia sono stabilite le tariffe applicabili. La disposizione transitoria può essere applicata fintanto che il Ministro della giustizia non stabilisce, con proprio decreto, la data a decorrere dalla quale le funzioni degli organismi di composizione possono essere svolte esclusivamente dagli enti pubblici indicati all’art. 15.
Rispetto alla normativa previgente, il decreto-legge unifica nell’articolo 15 tutta la disciplina – istituzione e funzioni – degli organismi di composizione della crisi, apportandovi una serie di innovazioni.
Per quanto riguarda i soggetti che possono svolgere la funzione, il nuovo art. 15 prevede:
§ che possono costituire organismi di composizione non solo gli enti pubblici ma anche gli enti privati, purché siano dotati di requisiti di indipendenza, professionalità e adeguatezza patrimoniale (comma 1);
§ che i compiti e le funzioni degli organismi di composizione della crisi possono essere stabilmente svolti – e non solo in una fase di prima applicazione della legge (come previsto dall’art. 20 originario) anche da un professionista o da una società tra professionisti in possesso dei requisiti per le funzioni di curatore fallimentare, ovvero da un notaio, nominati dal presidente del tribunale o dal giudice delegato (comma 9). E’ conseguentemente eliminata la disposizione che consente l’iscrizione di diritto a vari soggetti pubblici (dalle camere di commercio agli ordini professionali).
Il Senato ha nuovamente modificato il catalogo di soggetti che possono dare vita ad organismi per la composizione delle crisi da sovraindebitamento. Sostituendo il comma 1 dell’art. 15, il Senato ha infatti ripristinato la disciplina previgente sui soggetti legittimati a costituire gli organismi di composizione delle crisi da sovraindebitamento: la disposizione prevede che gli organismi possano essere costituiti esclusivamente da enti pubblici. Il Senato ha inoltre riaffermato che l'iscrizione nel registro avviene di diritto, a semplice domanda, per gli organismi di mediazione costituiti presso le camere di commercio; il segretario sociale per informazione e consulenza al singolo e ai nuclei familiari istituito ai sensi dell'articolo 22, comma 4, lettera a) della legge 328/2000; gli ordini territoriali degli avvocati; gli ordini territoriali dei commercialisti ed esperti contabili; gli ordini territoriali dei notai.
In ordine alla regolamentazione degli organismi, il decreto-legge rinvia a un regolamento del Ministro della giustizia (aggiungendo però il concerto con i ministri dello sviluppo economico e dell’economia), che dovrà essere emanato entro 90 giorni dall’entrata in vigore del presente decreto (commi 2 e 3).
Quanto alle funzioni, l’articolo in esame conferma la disciplina previgente aggiungendo la possibilità che l’organismo di composizione sia chiamato anche a svolgere le funzioni di liquidatore o di gestore per la liquidazione (comma 8).
La previsione più innovativa appare dunque quella (comma 10) che consente agli organismi – previa autorizzazione del giudice e nel rispetto del Codice della privacy – di accedere ad una serie di rilevanti banche dati pubbliche (anagrafe tributaria; sistemi di informazioni creditizie; centrali rischi; archivio centrale informatizzato delle frodi nel settore del credito al consumo e dei pagamenti dilazionati o differiti). La possibilità di accesso all'anagrafe tributaria si deve intendere estesa alla sezione prevista dall'articolo 7, comma 6, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 605[165].
Il decreto-legge specifica che i dati acquisiti potranno essere conservati esclusivamente per i tempi richiesti dalla procedura dovendo essere poi distrutti (comma 11).
L’articolo 16 disciplina le sanzioni, con formulazione analoga a quella dell'originario articolo 19.
La disposizione, salvo che il fatto costituisca più grave reato, punisce con la reclusione da sei mesi a due anni e con la multa da 1.000 a 50.000 euro il debitore che
§ per accedere alle procedure aumenta o diminuisce il passivo oppure sottrae o dissimula una parte rilevante dell’attivo oppure dolosamente simula attività inesistenti; secondo la modifica del decreto-legge tale fattispecie è da riferirsi alla sola sezione prima;
§ per accedere alle medesime procedure, produce documentazione contraffatta o alterata ovvero sottrae, occulta o distrugge, in tutto o in parte, la documentazione relativa alla propria situazione debitoria, ovvero la propria documentazione contabile; secondo la modifica del decreto-legge tale fattispecie è da riferirsi ad entrambe le sezioni;
§ omette l'indicazione di beni nell'inventario (tale previsione è inserita dal decreto legge);
§ effettua pagamenti in violazione del piano o dell'accordo;
§ dopo il deposito della proposta, e per tutta la durata della procedura, aggrava la propria posizione debitoria;
§ intenzionalmente non rispetta i contenuti dell’accordo.
Per i componenti dell’organismo di composizione della crisi è prevista la reclusione da uno a tre anni e la multa da 1.000 a 50.000 euro nei seguenti casi:
§ false attestazioni in ordine all’esito della votazione dei creditori sulla proposta di accordo;
§ false attestazioni in ordine alla veridicità dei dati contenuti nella proposta o nei documenti ad essa allegati;
§ false attestazioni in ordine alla fattibilità del piano;
§ danno ai creditori omettendo o rifiutando senza giustificato motivo un atto del proprio ufficio.
Rispetto alla disciplina originaria il decreto-legge, inoltre:
§ inserisce il professionista di cui all'articolo 15, comma 9 (che svolge le funzioni degli organismi di composizione della crisi), tra coloro che possono rendere false attestazioni (comma 2) o arrecare danno ai creditori (comma 3);
§ punisce con la reclusione da uno a 3 anni e con la multa da 1.000 a 50.000 euro il liquidatore e il gestore per la liquidazione che prendono interesse privato in atti delle procedure, direttamente o per interposta persona o con atti simulati.
Il comma 2 dell’articolo 18 dispone in ordine all’entrata in vigore della riforma della legge n. 3 del 2012, prevedendo l’applicazione delle novelle ai procedimenti instaurati dal trentesimo giorno successivo all’entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge.
Il comma 2-bis, introdotto nel corso dell’esame al Senato, novella l’art. 217-bis della legge fallimentare, relativo alle esenzioni dai reati di bancarotta. La nuova disposizione specifica che i delitti di bancarotta non ricorrono in caso di pagamenti e operazioni compiuti, tra l’altro, in esecuzione di un accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento.
Articolo 19
(Grandi progetti di ricerca e innovazione
e appalti precommerciali)
L’articolo
19, modificato al Senato, innova
la disciplina delle funzioni
dell’Agenzia per l’Italia Digitale, includendovi il compito di promuovere
la definizione e lo sviluppo di grandi
progetti strategici.
A tale scopo vengono individuate cinque tipologie di progetti (la quinta tipologia è stata introdotta nel corso dell’esame al Senato ed è relativa alle attività di ricerca finalizzate allo sviluppo di servizi e prodotti innovativi in grado di rafforzare l’utilizzazione della Piattaforma per la gestione della Rete Logistica Nazionale), che potranno essere finanziati, secondo alcune speciali procedure, dal Fondo per la crescita sostenibile (70 mln di euro), dal FIRST (100 milioni di euro) e, infine dai programmi cofinanziati dai fondi strutturali individuate nel Piano di azione-coesione.
Con successivi decreti interministeriali (MISE e MIUR) saranno definiti:
§ i temi di ricerca e le aree tecnologiche da promuovere;
§ le modalità per l’accesso ai Fondi per i servizi di ricerca e sviluppo di nuove soluzioni non presenti sul mercato volte a rispondere a una domanda pubblica;
§ le
linee guida per promuovere la diffusione degli acquisti pubblici innovativi e
degli appalti precommerciali.
In dettaglio, il comma 1 innova - mediante l'introduzione del comma 3-bis all'articolo 20 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83[166], convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134 - la disciplina delle funzioni dell’Agenzia per l’Italia Digitale, includendovi il compito di promuovere la definizione e lo sviluppo di grandi progetti strategici di ricerca e innovazione connessi alla realizzazione dell'Agenda digitale italiana e in conformità al programma europeo Horizon2020.
In particolare, alle funzioni già definite per l’Agenzia, connesse alla realizzazione dell’Agenda Digitale, si aggiunge il compito ad ampio raggio di incidere sullo sviluppo di prodotti e servizi innovativi rilevanti, quali lo sviluppo delle comunità intelligenti, la produzione di beni pubblici rilevanti, la rete a banda ultralarga, fissa e mobile ed i relativi servizi, smartcities e communities, tenendo conto (come specificato in base ad una modifica approvata al Senato) delle singole specificità territoriali e della copertura delle aree a bassa densità abitativa, la valorizzazione digitale dei beni culturali e paesaggistici, la sostenibilità ambientale, i trasporti e la logistica, la difesa e la sicurezza, nonché la funzione di mantenere ed incrementare la presenza sul territorio nazionale delle competenze di ricerca ed innovazione industriale.
Per tali scopi, il comma 2, lett. da a) a d-bis)- individua cinque tipologie di progetti che potranno essere finanziati, definendo poi, nei successivi commi da 4 a 9 i criteri generali per l’ammissione ai finanziamenti.
In base al comma 2 i progetti che possono essere finanziati sono i seguenti:
a) i progetti di sviluppo di nuove tecnologie e di integrazione di tecnologie esistenti in sistemi innovativi complessi che si traducono in un prototipo di valenza industriale che sia in grado di qualificare un prodotto innovativo.
Per tali progetti il successivo comma 4 anzitutto specifica riferirsi alle tecnologie dell'informazione e della comunicazione (Information and Communication Technology o ICT) : per sostenere i grandi progetti di ricerca di lungo periodo, selezionati sulla base di manifestazioni di interesse - sollecitate dall’Agenzia - provenienti da parte di imprese singole o in partenariato o anche in associazione con enti di ricerca, si potrà ricorrere ad un meccanismo di finanziamento con ripartizione del rischio (RiskSharingfacility), che procede massimizzando la leva finanziaria delle risorse pubbliche impegnate nei progetti dalle varie amministrazioni. Si tratta di una procedura (con sigla RSFID) alla cui attuazione presiede un accordo quadro di collaborazione che tre Ministri (quello dello sviluppo economico, quello dell'università ricerca e quello per la coesione territoriale) stipulano con la Banca europea degli investimenti, con la Cassa depositi e prestiti e con altri investitori istituzionali.
b) le attività di ricerca finalizzate allo
sviluppo di un servizio o di un prodotto innovativo in grado di soddisfare una
domanda espressa da pubbliche amministrazioni.
Per tali progetti il comma 5 prevede specifiche intese o accordi di programma dell'Agenzia con le regioni o altre amministrazioni pubbliche competenti (le quali operano ad invarianza di oneri). L'atto congiunto individua le risorse pubbliche eventualmente necessarie e provvede alla definizione e allo sviluppo dei servizi o dei prodotti innovativi mediante appalti precommerciali [167]; la loro aggiudicazione compete all'Agenzia nella veste di centrale di committenza (ai sensi dell'articolo 3, comma 34, del codice degli appalti pubblici), mentre la regione o la diversa amministrazione pubblica restano competenti alla relativa gestione.
c) i servizi di ricerca e sviluppo di nuove
soluzioni non presenti sul mercato volte a rispondere a una domanda pubblica.
Il comma 6 rinvia alle procedure di cui al comma 9, secondo il quale l’accesso ai Fondi per la realizzazione delle iniziative di cui al comma 2, lettere c) e d-bis), sarà oggetto di un successivo decreto interministeriale (MISE e MIUR) sulla base dei seguenti criteri:
§ pubblicazione, da parte dell’Agenzia per l’Italia digitale, con cadenza almeno annuale, di una sollecitazione a manifestare interesse rivolta alle amministrazioni pubbliche, diretta ad acquisire la segnalazione di problemi di particolare rilevanza sociale e ambientale che non trovano una risposta soddisfacente in prodotti, servizi e tecnologie già esistenti;
§ definizione di premi che incentivino le aggregazioni tra pubbliche amministrazioni nelle segnalazioni;
§ disponibilità da parte delle dei soggetti pubblici che hanno manifestato interesse ad agire come contesto operativo per la sperimentazione;
§ valutazione, da parte dell’Agenzia per l’Italia digitale, delle manifestazioni di interesse in termini di rilevanza sociale, accessibilità; innovatività, scalabilità e attivazione degli appalti precommerciali finalizzati all’individuazione della migliore soluzione;
§ divulgazione dei risultati della procedura precommerciale.
d) le attività di ricerca finalizzate allo
sviluppo di un servizio o di un prodotto innovativo in grado di rafforzare
anche la capacità competitiva delle piccole e medie imprese.
Il comma 6-bis, introdotto dal
Senato, prevede che una percentuale
non inferiore al 25 per cento delle risorse annuali per lo sviluppo dei grandi progetti
strategici (comma 3-bis, articolo 20 del decreto-legge
83/2012) a disposizione dell'Agenzia
sia destinata a progetti di ricerca che coinvolgano micro, piccole e medie imprese, anche associate tra loro,
eventualmente svolti in collaborazione con grandi imprese o organismi di
ricerca, con gli indirizzi tematici di cui al comma 2.
e) le attività di ricerca finalizzate allo
sviluppo di servizi e prodotti innovativi in grado di rafforzare
l’utilizzazione della Piattaforma per la gestione della Rete Logistica
Nazionale.
Tale lettera e) è stata introdotta nel corso dell’esame al Senato e si prevede altresì che per la disciplina dell’accesso ai Fondi si applichino gli stessi criteri, descritti il commento al comma 9, riferiti anche alla lettera c).
La Piattaforma per la gestione della rete logistica nazionale, prevista dal D.M. 20 giugno 2005, n. 18T, è un sistema che permette la interconnessione degli interporti, anche al fine migliorare la sicurezza del trasporto delle merci. Il progetto è focalizzato sulla realizzazione di una piattaforma hardware e software in grado di integrare fornitori di servizi e contenuti orientati alla gestione dei processi logistici e del trasporto merci, con l'obiettivo di fornire vari servizi attraverso l'interazione dei vari attori coinvolti. La progettazione e la gestione della Piattaforma è stata affidata dal Ministero dei trasporti alla società UIRNet S.p.A.[168] con la convenzione stipulata in data 21 dicembre 2006.
UIRNet S.p.A. è soggetto attuatore unico per la realizzazione e gestione della
Piattaforma per la gestione della rete logistica nazionale, in base a quanto
previsto dall’articolo 61-bis, comma
4, del D.L. n. 1/2012.[169]
Si ricorda altresì che il comma 12-terdecies dell’articolo 23, del D.L. n. 95 del 2012, conv. dalla legge n. 135 del 2012 ha ripristinato la spesa di due milioni di euro, per l’anno 2013, per il completamento della Piattaforma per la gestione della rete logistica nazionale, con particolare riferimento all’efficientamento delle attività dell'autotrasporto, compreso il trasporto di merci pericolose, fondi che erano stati stanziati dall’articolo 2, comma 244, della legge 244/2007 (legge finanziaria 2008) e successivamente soppressi dal D.L. n. 93/2008.
Si ricorda anche che il
citato D.M. 18T del 20 giugno 2005,
aveva previsto che la realizzazione della Piattaforma per la gestione della
rete logistica nazionale dovesse essere effettuata dalle società interportuali,
oltre che mediante il contributo statale, mediante risorse aggiuntive (mezzi propri,
credito ed altri finanziamenti non statali) pari almeno al 50 per cento del
contributo statale. Successivamente l’articolo 2, comma 246, della già legge n.
244/2007 ha ridotto tale cofinanziamento nel limite del 35 per cento del contributo
statale. Il comma 12-terdecies
dell’articolo 23 del D.L. n. 95 del 2012, ha peraltro stabilito
che per i citati fondi ripristinati per il completamento della
Piattaforma per la gestione della rete logistica nazionale, con particolare
riferimento alle attività dell'autotrasporto, non vi sia l’obbligo di
cofinanziamento.
Il nuovo comma 2-bis, introdotto al Senato, aggiunge un periodo al comma 3, dell’articolo 22, del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, in base al quale le risorse finanziarie trasferite all’Agenzia e non ancora impegnate con atti giuridicamente vincolanti alla data di entrata in vigore della presente disposizione sono destinate alle finalità di cui all’articolo 20 (che individua i compiti dell’Agenzia) del medesimo decreto 83/2012 e utilizzate dalla stessa Agenzia per l’attuazione dei compiti ad essa assegnati.’
Il comma 3 conferisce peraltro
genericamente ad un successivo decreto
interministeriale (MiSE e MIUR) l'indicazione dei temi di ricerca, delle aree
tecnologiche e dei requisiti di domanda pubblica da collegare e promuovere.
Il comma 7 prevede - per tutte le iniziative di cui all'articolo in commento – un finanziamento così ripartito:
§ una riserva di una quota non superiore a 70 milioni di euro delle risorse effettivamente disponibili del Fondo per la crescita sostenibile[170],
§ una quota non superiore a 100 milioni di euro delle risorse effettivamente disponibili del Fondo per gli investimenti in ricerca scientifica e tecnologica (FIRST)[171];
§ l’eventuale utilizzo di risorse provenienti dai programmi cofinanziati dai fondi strutturali che siano individuate nel Piano di azione-coesione.[172]
La relazione tecnica allegata all’A.S. 3533 specifica che per l’attuazione delle disposizioni in esame si stima una cifra utile pari circa ai 240 milioni di euro complessivi necessari per l’attivazione degli investimenti. Tali somme non rappresentano nuovi costi per il bilancio pubblico, ma una semplice finalizzazione di risorse già esistenti in particolare: una riserva di 70 mln di euro dal FCS, gestito dal MISE; una riserva fino a 100 mln di euro dal FIRST, gestito dal MIUR e, infine, le restanti risorse – quantificate in circa 70 mln di euro – dal Piano di azione e coesione gestito dal Ministro per la coesione territoriale.
Il comma 8, rinvia infine all’adozione di un decreto interministeriale (MISE e MIUR), da emanare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, per la predisposizione di linee guida per promuovere la diffusione degli acquisti pubblici innovativi e degli appalti precommerciali presso le amministrazioni aggiudicatrici, le imprese pubbliche e gli altri enti e soggetti aggiudicatori coinvolti nell'attuazione delle finalità di cui all'articolo 47, comma 2-bis, lettera e), del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2012, n. 35: si tratta della disposizione che definisce gli obiettivi specifici che devono essere perseguiti dalla cabina di regia nell'attuare l'agenda digitale italiana nel quadro delle indicazioni sancite da quella europea; tra di essi si riscontra anche l'utilizzazione degli acquisti pubblici innovativi e degli appalti pre-commerciali al fine di stimolare la domanda di beni e servizi innovativi basati su tecnologie digitali.
Documenti all’esame delle
Istituzioni dell’UE
(a cura
dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)
Lo sviluppo e l’acquisto di prodotti, lavori e servizi innovativi è oggetto di specifiche disposizioni contenute in due proposte di direttiva presentate dalla Commissione europea il 20 dicembre 2011 riguardanti rispettivamente gli appalti nei cosiddetti “settori speciali”, vale a dire acqua, energia, trasporti e servizi postali (COM(2011)895), e gli appalti nei “settori ordinari” (COM(2011)896).
A tal fine le proposte in questione prospettano la creazione di una nuova procedura, il partenariato per l’innovazione, che dovrebbe essere strutturato in fasi successive secondo la sequenza delle fasi del processo di ricerca e di innovazione in modo da poter creare una domanda di mercato in grado di incentivare lo sviluppo di soluzioni innovative, senza tuttavia precludere l'accesso al mercato stesso. Oltre alla nuova formula del partenariato innovativo, per favorire gli acquisti innovativi si propone di migliorare e semplificare la procedura del dialogo competitivo e dell’aggiudicazione congiunta di appalti transnazionali.
Le due proposte di direttiva sono attualmente all’esame del Parlamento
europeo e del Consiglio secondo la procedura legislativa ordinaria. Il PE
dovrebbe esaminarle in prima lettura in occasione della plenaria di febbraio.
Il Consiglio competitività del 10 dicembre 2012 dovrebbe approvare un
orientamento generale, in vista della posizione comune. Al fine di favorire un
accordo con il PE che consenta l’adozione delle due proposte in prima lettura, la
Presidenza cipriota del Consiglio dell’UE ha presentato alcune proposte di
compromesso.
Articolo 20
(Comunità
intelligenti)
L'articolo 20 disciplina, attraverso l’attribuzione di compiti di coordinamento all’Agenzia per l’Italia digitale e la costituzione di un apposito comitato tecnico, il funzionamento delle 'comunità intelligenti', prevedendo che le amministrazioni pubbliche interessate possano aderire allo Statuto della cittadinanza digitale e, attraverso la sottoscrizione di appositi protocolli di intesa, partecipino alla realizzazione degli obiettivi previsti da un piano annuale, con una particolare attenzione alla condivisione, riuso ed utilizzo dei dati messi in comune, attraverso una piattaforma nazionale.
La disposizione non reca alcuna definizione di “comunità intelligente”; in base alla relazione illustrativa, la comunità intelligente è basata “sulla valorizzazione e la condivisione dell’ingente patrimonio di dati, applicazioni ed esperienze generato dalle comunità medesime […] attraverso la definizione di un quadro normativo e un modello di governance specifici, in grado di supportarne la crescita”.
In particolare, la possibilità di condivisione, riuso ed utilizzo dei dati messi in comune da diverse amministrazioni appare come una caratteristica fondamentale delle “comunità intelligenti”. A tal fine, la piattaforma nazionale per le comunità intelligenti prevista dal comma 9 include il catalogo del riuso dei sistemi e delle applicazioni. In base alla formulazione del comma 4, inoltre, si deve dedurre che i soggetti costituenti delle “comunità intelligenti” siano amministrazioni pubbliche.
Il termine “comunità intelligente” è indicato nella relazione come traduzione dell’espressione inglese Smart Cities and Communities.
In tal senso, si ricorda che, da ultimo, con una decisione del 10 luglio (C(2012)4701), la Commissione europea ha lanciato un nuovo partenariato per l’innovazione a sostegno dello sviluppo di tecnologie “intelligenti” nelle città (Smart Cities and Communities European Innovation Partenrship - SCC). L’iniziativa, già prevista nell’iniziativa faro “Unione per l’innovazione” (COM(2010)546), intende sostenere un numero circoscritto di progetti pilota da realizzare nella logica dello sviluppo urbano sostenibile nei settori della produzione di energia e del risparmio energetico (edilizia, riscaldamento e raffreddamento), della mobilità urbana (veicoli elettrici e a idrogeno) e delle tecnologie dell’informazione e delle comunicazioni (TIC) in diverse città europee. Con un finanziamento iniziale di 365 milioni di euro per il 2013 nell’ambito del 7° Programma quadro per la ricerca - che potrà essere esteso anche nel prossimo quadro finanziario 2014-2020 (Programma Horizon 2020) – il partenariato intende mettere in comune risorse pubbliche (europee e nazionali) e private al fine di dimostrare la fattibilità a livello locale di progressi rapidi nel raggiungimento degli obiettivi dell'UE in campo energetico e climatico, e accelerare la commercializzazione di tali innovazioni.
A livello nazionale, il Piano nazionale smart communities è l'obiettivo di uno dei gruppi di lavoro della Cabina di regia per l’Agenda digitale istituita dall’articolo 47 del decreto-legge n. 5/2012 (c.d. “DL semplificazioni”).
Inoltre, il Ministero dell'università e della ricerca (MIUR) in coerenza con gli orientamenti europei, il Piano Nazionale di E-Government, le azioni in atto nel quadro dell'Agenda Digitale Italiana, ha recentemente emanato due bandi per l'assegnazione di finanziamenti per la presentazione di Idee progettuali di ricerca industriale riferite agli ambiti della sicurezza del territorio, della inclusione sociale, dell'invecchiamento della popolazione, del welfare, della domotica, della giustizia, della scuola, della gestione dei rifiuti, del patrimonio culturale, delle risorse idriche, del cloud computing:
§ uno per le Regioni dell’obiettivo convergenza (Avviso n. 84/Ric, del 2 marzo 2012): sono previste due linee di intervento: 1) Idee progettuali per "Smart Cities e Communities", in attuazione delle azioni integrate per lo sviluppo sostenibile e lo sviluppo della società dell'informazione previste nell'ambito dell'Asse II del Programma. Per la realizzazione delle idee progettuali, le risorse complessive a valere sul PON R&C sono pari a 200.696.821,00 2) "Progetti di innovazione sociale", in attuazione delle iniziative di osmosi Nord-Sud previste nell'ambito dell'Asse III del Programma. Le risorse complessive a disposizione sul PON R&C per questa azione, riservata ai giovani delle quattro regioni dell'obiettivo Convergenza che non abbiano superato i 30 anni di età, sono pari a 40 milioni di euro. Il termine per la presentazione delle domande è scaduto il 30 aprile 2012; i progetti ammessi al finanziamento sono stati presentati pubblicamente il 9 ottobre 2012.
§ uno per il restante territorio nazionale (decreto direttoriale, n. 391/Ric del 5 luglio 2012): sono assegnati 655,5 milioni di euro (di cui 170 milioni di euro di contributo nella spesa e 485,5 milioni di euro per il credito agevolato); il bando è aperto a imprese, centri di ricerca, consorzi e società consortili, organismi di ricerca con sedi operative su tutto il territorio nazionale. Il termine per la presentazione delle idee progettuali è scaduto il 7 novembre 2012, mentre quello per la presentazione dei progetti di innovazione sociale è fissato al 7 dicembre 2012
I commi da 1 ad 8 nonché i
commi 12, 15 e 20 definiscono l’organizzazione del sistema delle comunità
intelligenti ed in particolare il ruolo di coordinamento dell’Agenzia per
l’Italia digitale.
In base al comma 1, l’Agenzia per l’Italia digitale – istituita dall’articolo 19 del decreto-legge n. 83/2012[173] (c.d. decreto sviluppo, cfr. supra scheda di lettura art. 1) – è chiamata a definire strategie ed obiettivi, a svolgere compiti di coordinamento ed a predisporre gli strumenti tecnologici ed economici per il potenziamento delle comunità intelligenti. In particolare, l’Agenzia deve:
a) predisporre il piano nazionale delle comunità intelligenti, che deve essere trasmesso entro il mese di febbraio al presidente del Consiglio dei ministri o al ministro delegato per l’innovazione tecnologica, che lo approva entro il mese successivo;
b) predisporre entro il mese di gennaio di ogni anno il rapporto sull’attuazione del piano nazionale redatto attraverso il sistema di monitoraggio di cui al comma 12 per valutare l’impatto delle misure indicate nel piano;
c)
emanare periodicamente, le linee guida
recanti gli standard tecnici e la determinazione delle ontologie dei servizi e
dei dati rilevanti per le comunità intelligenti.
Il termine “ontologia” è utilizzato in informatica per descrivere il modo in cui diversi schemi vengono combinati in una struttura dati contenente tutte le entità rilevanti e le loro relazioni in un dominio.
d) istituire e gestire la già ricordata piattaforma nazionale per le comunità intelligenti di cui al comma 9.
I commi 2 e 3 (il comma 2 è stato modificato nel corso dell’esame al Senato) istituiscono e definiscono le funzioni del Comitato tecnico delle comunità intelligenti. Tale organo è composto (comma 2, come modificato al Senato) da undici componenti (nove nel testo originario), nominati dal direttore dell’Agenzia per l’Italia digitale (questa previsione di nomina non era prevista nel testo originario) e designati rispettivamente da:
§ Dipartimento della funzione pubblica (uno);
§ Conferenza permanente per i rapporti tra lo
Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano (due);
§ Associazione nazionale dei comuni italiani
(uno);
§ Unione delle province italiane (uno);
§ lo stesso Direttore generale dell’Agenzia
(sei, di cui uno proveniente da atenei nazionali, e tre, uno nel testo
originario del decreto, dalle associazioni di imprese o di cittadini
maggiormente rappresentative, uno dall’ISTAT e uno dall’Agenzia stessa).
I componenti del comitato durano in carica tre anni, rinnovabili una sola volta, e non ricevono compensi, gettoni, emolumenti o indennità comunque definite.
Il Comitato ha il compito di:
§ proporre all’Agenzia il recepimento di standard tecnici utili allo sviluppo della piattaforma nazionale per le comunità intelligenti di cui al comma 9;
§ collaborare alla stesura del piano nazionale delle comunità intelligenti, del rapporto annuale sull’applicazione del piano e delle linee guida tecniche descritte al comma 1
Il comma 4 prevede che con D.P.C.M., su proposta del ministro delegato per l’innovazione tecnologica, sentita l’Agenzia per l’Italia digitale e il comitato tecnico, viene adottato lo Statuto della cittadinanza intelligente. Si tratta in sostanza di un documento che, in base al successivo comma 6, le amministrazioni interessate devono sottoscrivere, impegnandosi al rispetto del suo contenuto. In particolare lo statuto deve:
§ definire i principi e le condizioni, compresi i parametri di accessibilità e inclusione digitale, che le comunità intelligenti devono rispettare
§ elencare i protocolli d’intesa, da aggiornare annualmente, tra l’Agenzia e le singole amministrazioni, nei quali ciascuna amministrazione declina gli obiettivi del piano nazionale delle comunità intelligenti.
Per l’aggiornamento annuale dei protocolli d’intesa, il comma 5 prevede una procedura di consultazione pubblica periodica con le amministrazioni locali interessate.
Inoltre, il comma 7 subordina al rispetto dei protocolli la possibilità di accesso ai fondi pubblici per la realizzazione di progetti innovativi per le comunità intelligenti; il rispetto sarà verificato attraverso l’uso del già sopra richiamato sistema di monitoraggio descritto dal comma 12.
Tale sistema è predisposto dall’Agenzia per l’Italia digitale sentito il comitato tecnico e di concerto con l’ISTAT e si articola nella:
§ definizione, sentita l’ANCI, di un sistema di misurazione basato su indicatori statistici relativi a diversi indicatori sulle condizioni economiche, sociali, culturali e ambientali delle comunità intelligenti, ivi compresi i dati dei bilanci delle pubbliche amministrazioni contenuti nella banca dati delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 13 della legge di contabilità e finanza pubblica (legge n. 196/2009[174])
Il citato articolo 13 della legge n. 196/2009 prevede l’istituzione presso il Ministero dell’economia e finanze di una banca dati unitaria delle amministrazioni pubbliche (BDAP), nella quale le PP.AA. provvedono ad inserire i dati concernenti i bilanci di previsione, le relative variazioni, i conti consuntivi, quelli relativi alle operazioni gestionali, nonché tutte le informazioni necessarie all'attuazione della legge di contabilità stessa.
Tale banca dati è accessibile all'ISTAT e alle stesse amministrazioni pubbliche secondo modalità da stabilire con appositi decreti del ministro dell'economia e delle finanze, sentiti la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, l'ISTAT e il Centro nazionale per l'informatica nella pubblica amministrazione (CNIPA) (poi DigitPA, ora confluito nell’Agenzia per l’Italia digitale), i dati concernenti i bilanci di previsione, le relative variazioni, i conti consuntivi, quelli relativi alle operazioni gestionali, nonché tutte le informazioni necessarie all'attuazione della legge di contabilità e finanza pubblica. La BDAP è in via di costituzione.
§ definizione, in collaborazione con l’ISTAT e gli enti appartenenti al Sistema statistico nazionale (SISTAN), di un sistema di visualizzazione in modo che i dati raccolti dal sistema di monitoraggio si configurino come “dati di tipo aperto” ai sensi dell’articolo 9, comma 3 del codice dell’amministrazione digitale (D.Lgs. 82/2005)[175], come sostituito dall’articolo 16 del presente decreto.
In realtà il riferimento è all’articolo 68, comma 3, del codice, sostituito dall’articolo 9, comma 1, lettera b) del presente decreto.
Il SISTAN, istituito dal D. Lgs. 322/1989[176], è la rete di soggetti pubblici e privati che fornisce l'informazione statistica ufficiale. Fanno parte del Sistan: l'Istituto nazionale di statistica (ISTAT); gli enti e organismi pubblici d'informazione statistica (l’Istituto nazionale di economia agraria INEA, l’Istituto per lo sviluppo formazione professionale lavoratori ISFOL); gli uffici di statistica delle amministrazioni dello Stato e di altri enti pubblici, degli Uffici territoriali del Governo, delle Regioni e Province autonome, delle Province, delle Camere di commercio, dei Comuni, singoli o associati, delle aziende sanitarie locali, nonché gli uffici di statistica dei soggetti privati che svolgono funzioni di interesse pubblico.
L’articolo 68, comma 3, del codice dell’amministrazione digitale, come sostituito dall’articolo 9 del decreto-legge, definisce come dati di tipo aperto i dati che 1) sono disponibili secondo i termini di una licenza che ne permetta l'utilizzo da parte di chiunque, anche per finalità commerciali; 2) sono accessibili attraverso le tecnologie dell'informazione e della comunicazione, ivi comprese le reti telematiche pubbliche e private, in formati aperti, sono adatti all'utilizzo automatico da parte di programmi per elaboratori e sono provvisti dei relativi metadati; 3) sono resi disponibili gratuitamente attraverso le tecnologie dell'informazione e della comunicazione, ivi comprese le reti telematiche pubbliche e private, oppure sono resi disponibili ai costi marginali sostenuti per la loro riproduzione e divulgazione.
Come già sopra evidenziato in illustrazione del comma 1, i dati raccolti dal sistema di monitoraggio dovranno essere utilizzati ai fini della redazione del rapporto annuale sulle comunità intelligenti. Inoltre, l’Agenzia per l’Italia digitale dovrà individuare, sentita l’ANCI, i meccanismi per l’inclusione progressiva nel sistema di monitoraggio anche dei comuni che non abbiano ancora adottato misure rientranti nel piano nazionale delle comunità intelligenti.
Il comma 8 stabilisce poi il principio della collaborazione tra agenzia e le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano per la programmazione e l’attuazione delle iniziative del piano nazionale delle comunità intelligenti.
Il comma 15 stabilisce che l’Agenzia per l’Italia digitale svolge le attività dell’articolo 20 con le risorse umane, strumentali e finanziarie previste a legislazione vigente. Inoltre, il comma 20, al fine di garantire il raggiungimento degli obiettivi dell’articolo 20 e del precedente articolo 19 in materia di promozione di progetti tecnologici da parte dell’Agenzia per l’Italia digitale (cfr. supra la relativa scheda di lettura), sottrae il direttore dell’Agenzia alle disposizione in materia di Spoil System di cui all’articolo 19, comma 8, del D. Lgs. N. 165/2001[177]
In particolare, l’articolo 19, comma 8, prevede che gli incarichi di funzione dirigenziale a livello di segretario generale dei ministeri e di direzione di uffici dirigenziali generali e quelli di livello equivalente cessano decorsi novanta giorni dal voto sulla fiducia al Governo.
In proposito, si ricorda che nella riunione del 30 ottobre 2012, come risulta dal relativo comunicato stampa, il Consiglio dei Ministri ha preso atto della nomina di Agostino Ragosa, ingegnere delle telecomunicazioni, responsabile dell'innovazione e dello sviluppo ICT del gruppo Poste italiane Spa, a direttore dell'Agenzia per l'Italia digitale. La nomina ha rappresentato l’esito della procedura, gestita dai ministri dello sviluppo economico, della pubblica amministrazione e dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di selezione delle oltre duecento candidature giunte a seguito dell'Avviso per la selezione del direttore generale dell'Agenzia per l'Italia digitale pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 217 del 17 settembre 2012.
I commi 9, 10 e 11, nonché il comma 14 concernono la piattaforma nazionale delle comunità intelligenti, che rappresenta lo strumento per realizzare la condivisione ed il riuso e l’utilizzo dei dati delle pubbliche amministrazioni che aderiscono alle piattaforme intelligenti.
Il comma 9 prevede l’istituzione, con deliberazione dell’Agenzia per l’Italia digitale, sentito il Comitato tecnico, da adottarsi entro 120 giorni dall’entrata in vigore del decreto, della Piattaforma nazionale delle comunità intelligenti, composta, a seguito di una modifica approvata nel corso dell’esame al Senato, da quattro (erano tre nel testo originario) elementi: 1) la piattaforma del riuso, 2) la piattaforma dei dati e dei servizi informativi, 3) il sistema di monitoraggio delle comunità intelligenti già sopra descritto ed infine (questo il nuovo elemento inserito dal Senato) 4) il catalogo dei dati geografici, territoriali ed ambientali previsto dall’art. 23, comma 12-quaterdecies, del decreto-legge n. 95 del 2012.
Si ricorda che il richiamato art. 23, comma 12-quaterdecies del decreto legge n. 95 del 2012 ha introdotto disposizioni volte a consentire la fruibilità di dati geospaziali acquisiti con risorse pubbliche, anche a fini di tutela ambientale, di mitigazione dei rischi e per attività di ricerca scientifica. La catalogazione e la raccolta dei dati geografici, territoriali ed ambientali generati da tutte le attività sostenute da risorse pubbliche dovrà essere curata da ISPRA, che vi dovrà provvedere con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente. Un successivo D.P.R. dovrà quindi definire le modalità per la gestione della piattaforma e per l'accesso, l'interoperatività e la condivisione dei dati.
Il comma 10 descrive i compiti attribuiti all’Agenzia per l’Italia digitale ai fini della realizzazione del catalogo del riuso. Queste consistono:
a) promozione di indirizzi operativi e di strumenti d’incentivazione alla pratica del riuso anche attraverso meccanismi di aggregazione della domanda;
b) adozione e promozione del recepimento di formati e processi standard per l’indicizzazione e la condivisione delle applicazioni presenti nel catalogo;
c) definizione di standard tecnici aperti e regole di interoperabilità da recepire nei capitolati degli appalti pubblici.
Un catalogo delle competenze riusabili era già stato elaborato dal CNIPA (poi DigitPA, indi confluito nell'Agenzia) (http://www2.cnipa.gov.it/site/it-IT/Attivit%c3%a0/Riusabilit%c3%a0_del_software_nella_PAC/Catalogo_delle_applicazioni/) Il Catalogo delle applicazioni riusabili è stato progettato e realizzato con la collaborazione delle amministrazioni coinvolte. In esso sono organizzate, classificate e presentate applicazioni già esistenti o in corso di realizzazione, che si prestano ad essere riusate. Ogni applicazione è descritta in una scheda contenente una serie di informazioni: caratteristiche generali, applicative, tecnologiche, di qualità e di riuso. La scheda contiene anche, ove disponibile, la documentazione di approfondimento relativa all'applicazione.
Il comma 11 descrive i compiti attribuiti all’Agenzia per l’Italia digitale in relazione alla realizzazione del catalogo dei dati. In particolare l’Agenzia:
§ cataloga i dati e i servizi informativi al fine di creare una mappa nazionale delle risorse disponibili,
§ definisce gli standard tecnici per i servizi di esposizione dei dati e il coordinamento del processo di elaborazione delle ontologie e dei modelli di descrizione dei dati.
Il termine “ontologia” è utilizzato in informatica per descrivere il modo in cui diversi schemi vengono combinati in una struttura dati contenente tutte le entità rilevanti e le loro relazioni in un dominio.
§ definisce gli standard tecnici per l’esposizione dei dati e dei servizi informatici;
§ promuove l’utilizzo innovativo del patrimonio informativo pubblico e la realizzazione di nuovi servizi attraverso iniziative specifiche quali concorsi, eventi e attività formative.
In relazione alla costruzione della piattaforma, il comma 14, come sostituito nel corso dell’iter al Senato, prevede che l'agenzia per l'Italia Digitale potrà riutilizzare basi informative e servizi previsti per analoghe finalità, compresi quelli previsti nell'ambito del sistema pubblico di connettività di cui all’articolo 72 del codice dell’amministrazione digitale (D. Lgs. N. 82/2005)[178].
In realtà l’articolo 72 si limita a recare alcune definizioni in relazione al sistema pubblico di connettività, mentre la definizione del sistema pubblico di connettività è rinvenibile all’articolo 73 che infatti lo qualifica come “l'insieme di infrastrutture tecnologiche e di regole tecniche, per lo sviluppo, la condivisione, l'integrazione e la diffusione del patrimonio informativo e dei dati della pubblica amministrazione, necessarie per assicurare l'interoperabilità di base ed evoluta e la cooperazione applicativa dei sistemi informatici e dei flussi informativi.
Nel testo originario, il comma 14 prescriveva che, in prima applicazione, i dati presenti nel catalogo di cui all’articolo 67 del Codice dell'amministrazione digitale trovassero collocazione all’interno del catalogo del riuso. Tuttavia l’articolo 67 del codice non fa riferimento a “dati” (che sono semmai definiti dal successivo articolo 68 al comma 3), bensì alle modalità di selezione delle proposte per progetti finalizzati ad appalti di lavori e servizi ad alto contenuto di innovazione tecnologica.
Il commi 13 e da 16 a 19 contengono alcune prescrizioni per le pubbliche amministrazioni, volte a garantire la promozione delle comunità intelligenti.
In particolare, il comma 13 prevede che l’accesso ai bandi per progetti di promozione delle comunità intelligenti sia precluso, attraverso clausole limitative da inserire nei bandi medesimi, per quelle amministrazioni pubbliche che:
a) non inseriscono nel catalogo del riuso le specifiche tecniche e le funzionalità delle applicazioni sviluppate. Si prescrive inoltre alle amministrazioni la condivisione dei riferimenti necessari nel caso siano nelle disponibilità del codice sorgente e l’applicazione sia rilasciata con licenza aperta
Per codice sorgente si intende la “versione di un algoritmo scritta in un linguaggio di programmazione ad alto livello (ossia più vicino al linguaggio umano, tipicamente in pseudo inglese), le cui istruzioni sono poi eseguite dalla macchina mediante appositi programmi (compilatori, assemblatori o interpreti). L’impiego di un codice sorgente è finalizzato all’esecuzione, sull’insieme dei dati di ingresso, di azioni definite nel linguaggio di programmazione scelto tramite un numero limitato di istruzioni”
Un’applicazione informatica si intende a “licenza aperta” quando il codice sorgente è mantenuto disponibile per eventuali modifiche ed integrazioni[179].
b) non pubblicano i dati e le informazioni relative ai servizi nel catalogo dei dati
c) non partecipano al sistema di monitoraggio.
Il comma 16 rinvia ad un D.P.C.M. (o in alternativa ad un decreto del ministro delegato all’innovazione tecnologica) la definizione dei criteri di “inclusione intelligente”. Il concetto di inclusione intelligente è definito come la capacità, nelle forme e nei limiti consentiti dalle conoscenze tecnologiche, di offrire informazioni nonché progettare ed erogare servizi fruibili senza discriminazioni per i soggetti appartenenti a categorie deboli o svantaggiate funzionali alla partecipazione alle attività delle comunità intelligenti.
Il comma 17 individua come principi fondanti del piano nazionale per le comunità intelligenti di cui al comma 1:
§ l’accessibilità dei sistemi informatici come definita dall’articolo 2 della legge n. 4/2004[180] (Disposizioni per favorire l'accesso dei soggetti disabili agli strumenti informatici);
Tale articolo definisce, al comma 1, lettera a) l’accessibilità come “la capacità dei sistemi informatici, nelle forme e nei limiti consentiti dalle conoscenze tecnologiche, di erogare servizi e fornire informazioni fruibili, senza discriminazioni, anche da parte di coloro che a causa di disabilità necessitano di tecnologie assistive o configurazioni particolari”
§ l’inclusione digitale come definita dal comma 16.
Il comma 18 prevede che nelle procedure di appalto per l’acquisto di beni e per la fornitura di servizi informatici svolte dalle amministrazioni pubbliche che aderiscono allo statuto delle comunità intelligenti il rispetto dei criteri di inclusione intelligenti definiti dal comma 16 (e non dal “comma 4” richiamato dalla disposizione) sia oggetto di apposita voce di valutazione nell’ambito dell’attribuzione del punteggio dell’offerta tecnica, attribuendo compiti di vigilanza al riguardo all’Agenzia, anche su segnalazione degli interessati.
Il comma 19 prevede che il mancato rispetto di quanto previsto dai commi 16, 17 e 18 risulta rilevante ai fini della misurazione e della valutazione della performance individuale dei dirigenti responsabili e costituisce responsabilità dirigenziale e disciplinare ai sensi degli articoli 21 e 55 del D. Lgs. 165/2001.
L’articolo 9 del D.Lgs. n. 150/2009[181] prevede che “la prestazione individuale dei dirigenti è valutata annualmente in base «a) agli indicatori di performance relativi all’ambito organizzativo di diretta responsabilità; b) al raggiungimento di specifici obiettivi individuali; c) alla qualità del contributo assicurato alla performance generale della struttura, alle competenze professionali e manageriali dimostrate; d) alla capacità di valutazione dei propri collaboratori, dimostrata tramite una significativa differenziazione dei giudizi”. Ai sensi del successivo articolo 10, gli indicatori, sulla base dei quali parametrare o meno il raggiungimento degli obiettivi prefissati sono individuati, per ciascuna amministrazione dal Piano della performance triennale.
L’articolo 21 del D. Lgs. 165/2001 prevede che Il mancato raggiungimento degli obiettivi accertato attraverso le risultanze del sistema di valutazione di cui alla legge n. 15/2009, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni ovvero l'inosservanza delle direttive imputabili al dirigente comportano, previa contestazione e ferma restando l'eventuale responsabilità disciplinare secondo la disciplina contenuta nel contratto collettivo, l'impossibilità di rinnovo dello stesso incarico dirigenziale.
L’articolo 55 del medesimo D.Lgs. 165/2001 reca la definizione della responsabilità disciplinare del dirigente.
I commi 20-bis e 20-ter, introdotti nel corso dell’esame al Senato prevedono che l’Agenzia per l’Italia digitale, nello svolgimento di alcune sue funzioni, si avvalga dell’Istituto superiore delle comunicazioni del Ministero dello sviluppo economico (comma 20-bis), stabilendo altresì che il personale di tale Istituto possa optare per l’impiego presso l’Agenzia per l’Italia digitale (comma 20-ter).
L’Istituto Superiore delle Comunicazioni e delle
Tecnologie dell’Informazione, la cui istituzione risale alla legge n. 111/1907,
opera nell’ambito del Ministero dello Sviluppo Economico - Comunicazioni in
qualità di organo tecnico-scientifico.
Le funzioni di tale di organismo tecnico scientifico sono volte a favorire lo sviluppo delle telecomunicazioni semplificando l’immissione sul mercato di nuovi prodotti e l’applicazione di tecnologie innovative. Attualmente l'Istituto si articola in quattro Divisioni:
§
Divisione
I – Attività tecnica, amministrativa, contabile, formazione;
§
Divisione
II – Tecnologie dell’informazione e sviluppo delle reti;
§
Divisione
III – Internet, sicurezza delle informazioni e delle reti e qualità dei servizi
ICT;
§
Divisione
IV – Comunicazioni elettroniche, sistemi e servizi.
Il personale, formato da circa 200 unità, è
composto per il 70% da tecnici ed ingegneri dotati di esperienza professionale
nei vari settori delle telecomunicazioni.
Il comma 20-bis prevede che gli studi e le analisi effettuate dall'Istituto superiore delle comunicazioni siano assunte a base per la definizione, da parte dell’Agenzia per l’Italia digitale di indirizzi, regole tecniche e linee guida in materia di sicurezza informatica e di omogeneità dei linguaggi, delle procedure e degli standard, anche di tipo aperto, ai sensi dell’articolo 20, comma 3, lettera b) del più volte citato DL n. 83/2012
Il medesimo comma prevede altresì che le iniziative di alfabetizzazione informatica rivolte ai cittadini, nonché di formazione e addestramento professionale destinate ai pubblici dipendenti di cui al medesimo articolo 20, comma 3, lettera f) siano promosse e diffuse dall’Agenzia per l’Italia digitale, oltre che attraverso intese con la Scuola superiore della pubblica amministrazione e il Formez anche attraverso intese con l’Istituto superiore delle comunicazioni.
Si ricorda che il comma 3 dell’art. 20 cit. elenca in maniera particolareggiata le funzioni spettanti all'Agenzia per l'Italia digitale. Si tratta di funzioni di carattere generale allo scopo di promuovere la diffusione delle tecnologie digitali accanto alla razionalizzazione della spesa pubblica. In breve, l’Agenzia ha tra i suoi compiti istituzionali la promozione dell’utilizzo delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, allo scopo di favorire l'innovazione e la crescita economica, anche mediante l'accelerazione della diffusione delle Reti di nuova generazione (NGN); le altre funzioni, che riguardano prevalentemente l’informatizzazione della pubblica amministrazione, sono state fin qui svolte dalla DigitPA. Tra queste si segnalano:
§ la disciplina in materia di omogeneità dei linguaggi, delle procedure e degli standard per la interoperabilità tra i sistemi informatici della pubblica amministrazione e tra questi e i sistemi dell'Unione Europea;
§ la disciplina in materia di sicurezza informatica;
§ l'uniformità tecnica dei sistemi informativi pubblici destinati ad erogare servizi ai cittadini ed alle imprese;
§ la diffusione di iniziative in materia di digitalizzazione dei flussi documentali delle amministrazioni;
§ la vigilanza sulla qualità dei servizi e sulla razionalizzazione della spesa in materia informatica, in collaborazione con CONSIP Spa - nonché con Sogei Spa;
§ la promozione dell’alfabetizzazione informatica dei cittadini e dei pubblici dipendenti, anche mediante intese con la Scuola Superiore della pubblica amministrazione e il Formez (nell'ambito delle dotazioni finanziarie disponibili e senza maggiori oneri);
§ il monitoraggio dell'attuazione dei piani di Information and Communication Technology (ICT) delle pubbliche amministrazioni - segnalando misure correttive nonché alla Corte dei conti casi di possibile danno erariale.
§ la progettazione (e il coordinamento) delle iniziative strategiche e di preminente interesse nazionale, per la più efficace erogazione di servizi in rete della pubblica amministrazione;
§ la formulazione di indirizzi e (facoltativi) pareri alle amministrazioni sulla congruità tecnica ed economica dei contratti relativi all'acquisizione di beni e servizi telematici:
§ promozione di accordi volti a creare strutture tecniche condivise per aree omogenee o per aree geografiche.
Il comma 20-ter estende al personale dell’Istituto superiore delle comunicazioni il diritto di opzione per l’impiego presso l’Agenzia per l’Italia digitale previsto dall’articolo 22, comma 3, per il personale del Dipartimento per la digitalizzazione della pubblica amministrazione e l'innovazione tecnologica della Presidenza del Consiglio dei ministri
Il citato articolo
22 ha disposto
la soppressione di DigitPA e
dell'Agenzia per la diffusione delle tecnologie per l'innovazione. Il comma 3, in particolare, stabilisce che
il personale di ruolo delle
amministrazioni soppresse è trasferito all’Agenzia digitale, così come le risorse finanziarie e strumentali,
compresi i connessi rapporti giuridici attivi e passivi, senza che sia esperita
alcuna procedura di liquidazione, neppure giudiziale; per il solo personale in servizio a tempo indeterminato presso il
Dipartimento per la digitalizzazione della pubblica amministrazione e
l'innovazione tecnologica della Presidenza del Consiglio, resta salvo il diritto di opzione mentre per i
restanti rapporti di lavoro, l'Agenzia subentra nella titolarità del rapporto
fino alla naturale scadenza.
Articolo 20-bis
(Informatizzazione delle attività di
controllo e giurisdizionali
della Corte dei Conti)
L’articolo
20-bis, introdotto dal Senato, disciplina l'adozione delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione da
parte della Corte dei conti nelle attività di controllo e nei giudizi che
si svolgono innanzi a essa.
In particolare, il comma 1 rimette a un decreto
del Presidente della Corte dei conti la
fissazione delle regole tecniche ed operative per l'adozione delle
tecnologie dell'ICT nelle attività di cui sopra, in attuazione dei principi
previsti dal CAD.
Le Tecnologie dell'informazione e della comunicazione, (ICT), rappresentano l'insieme dei metodi e delle tecnologie che realizzano i sistemi di trasmissione, ricezione ed elaborazione di informazioni (tecnologie digitali comprese).
A tal proposito merita segnalare che L’articolo 15 del CAD, prevede che la riorganizzazione strutturale e gestionale delle pubbliche amministrazioni volta al perseguimento degli obiettivi di efficienza, efficacia, economicità, imparzialità, trasparenza, semplificazione e partecipazione avviene anche attraverso il migliore e più esteso utilizzo delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione (ICT).
A tal fine, le pubbliche amministrazioni provvedono in particolare a razionalizzare e semplificare i procedimenti amministrativi, le attività gestionali, i documenti, la modulistica, le modalità di accesso e di presentazione delle istanze da parte dei cittadini e delle imprese, assicurando che l'utilizzo delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione avvenga in conformità alle prescrizioni tecnologiche definite nelle regole tecniche dettate con DPCM. Nella valutazione dei progetti di investimento in materia di innovazione tecnologica, le pubbliche amministrazioni, tengono conto degli effettivi risparmi derivanti dalla razionalizzazione, nonché dei costi e delle economie che ne derivano. Si prevede, altresì, che le pubbliche amministrazioni quantificano annualmente i risparmi effettivamente conseguiti in attuazione delle disposizioni di cui sopra. Tali risparmi sono utilizzati, per due terzi secondo quanto previsto dall’articolo 27, comma 1, del D.Lgs. n. 150 del 2009, relativamente al premio di efficienza, e in misura pari ad un terzo per il finanziamento di ulteriori progetti di innovazione.
Con particolare riferimento, poi, alla organizzazione interna della Corte dei conti, si ricorda che l'art. 4 della L. n. 20/1994 stabilisce che la Corte dei conti delibera con proprio regolamento le norme concernenti l'organizzazione, il funzionamento, la struttura dei bilanci e la gestione delle spese. Il potere di autonomia organizzativa è stato, poi, rafforzato ed ampliato dall'art. 3, comma 2, del D.Lgs. n. 286/1999[182].
In merito al trend percorso anche dalla disposizione in commento, si segnala che, nell’ambito delle più recenti riforme volte a potenziare il sistema dei controlli facente capo all’organo supremo della magistratura contabile, la L. n. 15/2009 (cd. Legge Brunetta), con un intervento di vasta portata, ha inciso, oltreché sulle funzioni della Corte, anche sull’ordinamento interno di essa modificando la composizione del Consiglio di presidenza, in modo da attuare un livellamento tra la componente togata e quella di estrazione politica e realizzando un significativo potenziamento dei poteri del Presidente della Corte dei conti (con conseguente riduzione della collegialità dell’organo).
Ai sensi del comma 2, il D.P.C.M. di cui sopra disciplina le modalità per la tenuta informatica dei registri previsti
nell'ambito delle attività giurisdizionali e di controllo preventivo di
legittimità, nonché le regole e le modalità di effettuazione delle
comunicazioni e notificazioni mediante posta elettronica certificata.
Si prevede, altresì, che fino alla data
fissata con il decreto, le notificazioni e le comunicazioni sono effettuate nei
modi e nelle forme previste dalle disposizioni vigenti.
Il comma
3 fissa al sessantesimo giorno successivo a quello della sua pubblicazione
in Gazzetta Ufficiale, il momento di acquisizione di efficacia del DPCM. Da
tale momento cessano di avere efficacia le disposizioni in tema di
informatizzazione del processo amministrativo e contabile di cui all'art. 18
del DPR n. 123/2001 (comma 4).
Ai sensi dell’art. 18 del D.P.R. 13 febbraio 2001 n. 123 (Regolamento recante disciplina sull'uso di strumenti informatici e telematici nel processo civile, nel processo amministrativo e nel processo dinanzi alle sezioni giurisdizionali della Corte dei conti) le disposizioni recate da tale regolamento si applicano, in quanto compatibili, anche al processo amministrativo e ai processi innanzi alle sezioni giurisdizionali della Corte dei conti. Con D.P.C.M. sono stabilite le regole tecnico-operative per il funzionamento e la gestione del sistema informatico della giustizia amministrativa e contabile.
Il comma 5 reca la clausola di invarianza finanziaria.
Articolo 20-ter
(Interventi urgenti connessi all’attività
di protezione civile)
L’articolo aggiuntivo, introdotto durante l’esame al Senato, autorizza l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (INGV) a prorogare, anche oltre i sessanta mesi, i contratti a tempo determinato del personale ricercatore e tecnologo in servizio e, comunque, non oltre il 30 giugno 2013.
Per far fronte agli interventi urgenti connessi all’attività di protezione civile, concernenti la sorveglianza sismica e vulcanica e la manutenzione delle reti strumentali di monitoraggio, l’articolo aggiuntivo, introdotto durante l’esame al Senato, autorizza l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (INGV), nei limiti delle risorse che verranno assegnate nell’anno 2013 al Dipartimento della protezione civile e sulla base dell’accordo quadro decennale, a prorogare, anche oltre i sessanta mesi e in deroga alla legislazione vigente (art. 5 del D.lgs. n. 368 del 2001) i contratti a tempo determinato del personale ricercatore e tecnologo in servizio, in attesa del contratto collettivo nazionale in corso di elaborazione dal Dipartimento della funzione pubblica e, comunque, non oltre il 30 giugno 2013.
Si segnala al riguardo, che il testo fa riferimento ad un non meglio
specificato “contratto collettivo nazionale in corso di elaborazione dal
Dipartimento della funzione pubblica”.
Si ricorda che il richiamato il D.Lgs. 368/2001, recante ”Attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall'UNICE, dal CEEP e dal CES” reca, all’articolo 5 disposizioni relative alla scadenza del termine e sanzioni.
L’articolo 5 prevede che se il rapporto di lavoro continua dopo la scadenza del termine inizialmente fissato o successivamente prorogato ai sensi dell'articolo 4, il datore di lavoro è tenuto a corrispondere al lavoratore una maggiorazione della retribuzione per ogni giorno di continuazione del rapporto pari al 20% fino al decimo giorno successivo, al 40% per ciascun giorno ulteriore. Se il rapporto di lavoro continua oltre il trentesimo giorno in caso di contratto di durata inferiore a sei mesi ovvero oltre il cinquantesimo giorno negli altri casi, il contratto si considera a tempo indeterminato dalla scadenza dei predetti termini. E’ altresì previsto l’obbligo per il datore di lavoro di comunicare al Centro per l'impiego territorialmente competente (secondo modalità definite con specifico decreto del Ministro della lavoro), entro la scadenza della durata del rapporto prevista dal contratto, che il rapporto continuerà, indicando anche la durata della prosecuzione.
Qualora il lavoratore venga riassunto a termine, ai sensi dell'articolo 1, entro sessanta giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata fino a sei mesi, ovvero entro novanta giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata superiore ai sei mesi, il secondo contratto si considera a tempo indeterminato. Peraltro, nell’ambito di particolari processi produttivi (determinati dall’avvio di una nuova attività, dal lancio di un prodotto o di un servizio innovativo; dall’implementazione di un rilevante cambiamento tecnologico; dalla fase supplementare di un significativo progetto di ricerca e sviluppo; dal rinnovo o dalla proroga di una commessa consistente), i contratti collettivi possono prevedere, stabilendone le condizioni, la riduzione di tali intervalli di tempo (fino a 20 giorni in caso di contratti di durata inferiore a 6 mesi; fino a 30 giorni in caso di contratti di durata superiore). In assenza dell’intervento della contrattazione collettiva entro 6 mesi dalla data di entrata in vigore della legge, a stabilire le suddette condizioni provvede (sentite le OO.SS. più rappresentative sul piano nazionale) Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali
Quando si tratta di due assunzioni successive a termine, intendendosi per tali quelle effettuate senza alcuna soluzione di continuità, il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato dalla data di stipulazione del primo contratto.
Il comma 4-bis dell’articolo 5[183] prevede poi che, ferma restando la disciplina della successione di contratti di cui ai commi precedenti e fatte salve diverse disposizioni di contratti collettivi stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, qualora per effetto di successione di contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti il rapporto di lavoro fra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore abbia complessivamente superato i trentasei mesi comprensivi di proroghe e rinnovi, indipendentemente dai periodi di interruzione che intercorrono tra un contratto e l’altro, il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato. Ai fini del calcolo del limite complessivo di 36 mesi (superato il quale, anche per effetto di proroghe o rinnovi di contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti, il rapporto a termine si considera comunque a tempo indeterminato) si deve tenere conto anche dei periodi di missione nell'ambito di contratti di somministrazione (a tempo determinato o indeterminato) aventi ad oggetto mansioni equivalenti e svolti tra gli stessi soggetti. In deroga a quanto disposto dalla sopracitata disposizione, tuttavia, un ulteriore successivo contratto a termine fra gli stessi soggetti può essere stipulato per una sola volta, a condizione che la stipula avvenga presso la direzione provinciale del lavoro competente per territorio e con l’assistenza di un rappresentante di una delle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale cui il lavoratore sia iscritto o conferisca mandato. Le organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale stabiliscono con avvisi comuni la durata del predetto ulteriore contratto. In caso di mancato rispetto della descritta procedura, nonché nel caso di superamento del termine stabilito nel medesimo contratto, il nuovo contratto si considera a tempo indeterminato.
Il comma 4-quater,infine, dispone che lavoratore il quale, nell’esecuzione di uno o più contratti a termine presso la stessa azienda, abbia prestato attività lavorativa per un periodo superiore a sei mesi ha (fatte salve diverse disposizioni di contratti collettivi stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale) diritto di precedenza nelle assunzioni a tempo indeterminato effettuate dal datore di lavoro entro i successivi dodici mesi con riferimento alle mansioni già espletate in esecuzione dei rapporti a termine.
Si ricorda, inoltre, che ai sensi dell’art. 24, comma 3, della L. 240/2010, contenente disposizioni in materia di organizzazione ed efficienza universitaria, sono individuate due tipologie di contratti per i ricercatori e tecnologi.
La prima consiste in contratti di durata triennale, prorogabili per due anni (3+2), per una sola volta, previa positiva valutazione delle attività didattiche e di ricerca svolte, effettuata sulla base di modalità e criteri specificamente definiti. I contratti possono essere stipulati con lo stesso soggetto anche in sedi diverse. Tali contratti possono prevedere il regime di tempo pieno o di tempo definito, con un impegno annuo complessivo per lo svolgimento di attività di didattica, didattica integrativa e servizio agli studenti pari, rispettivamente, a 350 e a 200 ore.
La seconda è riservata a candidati che hanno usufruito dei contratti di cui alla lettera a), oppure, per almeno tre anni anche non consecutivi, di assegni di ricerca o di borse post-dottorato, oppure di contratti, assegni o borse analoghi in università straniere - nonché a candidati che hanno usufruito per almeno 3 anni di contratti a tempo determinato stipulati ai sensi dell’articolo 1, comma 14, della L. 230/2005[184] - e consiste in contratti triennali non rinnovabili. Tali contratti sono stipulati esclusivamente in regime di tempo pieno.
In merito agli stanziamenti per la Protezione civile, nella tabella C del disegno di legge di stabilità per il 2013, e precisamente nell’ambito della missione Soccorso civile, programma Protezione civile, sono esposti stanziamenti di competenza del Ministero dell’economia e delle finanze (MEF) per complessivi circa 75,6 milioni di euro per il 2013, 81,6 milioni di euro per il 2014 e 83,4 milioni di euro per il 2015.
Si tratta di finanziamenti finalizzati:
§ al reintegro del Fondo di protezione civile (cap. 7446) la cui determinazione annuale, a decorrere dal 1994, viene disposta nella Tabella C, ai sensi dell’art. 6, comma 1, del decreto legge 142/1991, per il quale è previsto uno stanziamento pari a 73,2 milioni di euro per il 2013, circa 79 milioni di euro per il 2014 e 80,8 milioni di euro per il 2015;
§ per il Servizio nazionale della protezione civile (cap. 2184), ai sensi dell’art. 4, comma 1, del decreto legge 90/2005, con 2,4 milioni di euro per il 2013, 2,6 milioni di euro per ciascuno degli anni del biennio 2014 e 2015.
A tali finanziamenti occorre aggiungere anche quelli previsti, nella Tabella 2 del ddl di bilancio del MEF, all’interno della missione 8 (Soccorso civile), nel programma 8.5 (Protezione civile) nel capitolo 2179 “Spese di natura obbligatoria del dipartimento della protezione civile” ove sono confluite le spese obbligatorie dal citato capitolo 2184 e su cui insistono 40 milioni di euro per ciascuno degli anni 2013-2015. Si ricorda anche il capitolo 7447 ove sono previsti gli oneri di conto capitale per attività e compiti di protezione civile (art. 3 della legge 225/1992) con 391,3 milioni di euro per ciascuno degli anni del triennio, con uno stanziamento invariato rispetto all’anno precedente.
Articolo 21
(Misure per l'individuazione ed il
contrasto delle frodi assicurative)
L’articolo 21 assegna all’IVASS il compito di curare la prevenzione amministrativa delle frodi nel settore r.c. auto, con riguardo alle richieste di risarcimento e di indennizzo e all’attivazione di sistemi di allerta preventiva contro i rischi di frode. A tal fine l’IVASS mette in correlazione le banche dati gestite da enti diversi e si avvale di un archivio informatico integrato: i risultati delle analisi svolte sono segnalati alle imprese assicurative e all’autorità giudiziaria. È prevista una relazione annuale sull’attività svolta a fini di prevenzione e contrasto delle frodi.
Il comma 1 prevede che l’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private e di interesse collettivo (IVASS) curi la prevenzione amministrativa delle frodi nel settore dell’assicurazione della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore, con riguardo alle richieste di risarcimento e di indennizzo e all’attivazione di sistemi di allerta preventiva contro i rischi di frode.
L'articolo 13 del decreto legge n. 95/2012 ha previsto la soppressione dell'ISVAP (Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private e di interesse collettivo) e la contestuale costituzione dell'Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni (IVASS). Il nuovo Istituto - avente personalità giuridica di diritto pubblico e con sede legale in Roma - ha la finalità di assicurare la piena integrazione dell’attività di vigilanza nel settore assicurativo, anche attraverso un più stretto collegamento con la vigilanza bancaria.
Per favorire questa maggiore integrazione tra funzioni, la legge – pur mantenendo un’autonoma soggettività giuridica dell’ente di supervisione assicurativa – ha previsto una condivisione degli organi di vertice delle due autorità: il Presidente dell’IVASS è individuato nel Direttore Generale della Banca d’Italia; al Direttorio, integrato con due elementi esperti del campo delle assicurazioni nominati su proposta del Governatore, sono attribuiti i poteri di indirizzo e di direzione strategica dell’IVASS nonché la competenza ad assumere i provvedimenti a rilevanza esterna in materia di vigilanza assicurativa. Il Presidente e i due esperti in materia assicurativa compongono il Consiglio dell’IVASS, al quale spetta l’amministrazione generale dell’Istituto. Le norme delineano un assetto istituzionale volto ad accrescere sia l’efficacia della complessiva funzione di supervisione prudenziale, sia l’efficienza delle autorità responsabili del suo esercizio, in linea con gli obiettivi legislativi di contenimento dei costi. In tale prospettiva la legge prefigura specifiche forme di raccordo operativo, quali l’utilizzo da parte dell’IVASS delle infrastrutture tecnologiche della Banca d’Italia e i distacchi di personale tra le due Autorità.
Come segnalato nel corso dell’audizione presso la Commissione finanze della Camera il 22 novembre 2012 dal Direttore centrale per l’area vigilanza bancaria della Banca d’Italia, Luigi Federico Signorini, il Direttorio della Banca d’Italia ha deliberato il 31 ottobre scorso lo Statuto, che è stato trasmesso al Presidente del Consiglio dei Ministri e, dopo l’esame in sede consiliare, inviato al Presidente della Repubblica per la definitiva approvazione. Nella stessa data, il Governatore ha proposto, di concerto con il Ministro dello Sviluppo economico, i nomi dei due esperti – Alberto Corinti e Riccardo Cesari – che, al momento dell’entrata in vigore dello statuto, affiancheranno il Presidente nel Consiglio dell’IVASS. Sono stati riaffermati i principi di autonomia, indipendenza e trasparenza applicabili all’Istituto e ai componenti dei suoi organi; definite le competenze degli organi e le loro essenziali regole di funzionamento; stabiliti i principi di fondo che disciplinano le deleghe conferibili dagli organi, individuando le materie non delegabili; precisati obblighi, doveri e incompatibilità dei membri degli organi e del personale, prevedendo l’adozione di codici etici per gli uni e per gli altri. Lo Statuto attribuisce al Consiglio dell’IVASS l’individuazione di forme di collaborazione con la Banca d’Italia ulteriori rispetto all’utilizzo delle infrastrutture tecnologiche; come richiesto dalla legge, inoltre, esso specifica criteri per una gestione efficiente del nuovo Istituto, che perseguirà l’obiettivo del contenimento dei costi attraverso l’ottimizzazione dell’utilizzo delle risorse e avvalendosi di strumenti di controllo di gestione e di valutazione delle performance.
Resta la disciplina in materia di poteri di vigilanza regolamentare, informativa, ispettiva e sanzionatori esercitati dalla CONSOB sui soggetti abilitati e sulle imprese di assicurazione nonché sui prodotti finanziari emessi dalle medesime imprese, come definiti dall'articolo 1 comma lettera w-bis) del D. Lgs. N. 58 del 1998 (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria - TUF). Una fase transitoria precede l'approvazione dello statuto, dalla cui entrata in vigore (prevista per il 1° gennaio 2013) l'ISVAP è soppresso, con il contestuale trasferimento all'IVASS della titolarità di tutti i rapporti giuridici, attivi e passivi, delle risorse finanziarie e strumentali e del personale[185].
L’IVASS opera sulla base di principi di autonomia organizzativa, finanziaria e contabile e di trasparenza e di economicità e mantiene i contributi di vigilanza annuali previsti dal Codice delle assicurazioni private. Inoltre, nell'esercizio delle funzioni, l’IVASS non è sottoposto alle direttive di altri soggetti pubblici o privati. L’Istituto può fornire dati, esclusivamente in forma aggregata, al Ministro dello sviluppo economico nonché al Ministro dell’economia e delle finanze e trasmette annualmente al Parlamento e al Governo una relazione sulla propria attività. Al nuovo Istituto sono attribuite tutte le funzioni già spettanti all’ente soppresso.
Si ricorda che, ai sensi dell’articolo 5 del D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 209 (Codice delle assicurazioni private), l'ISVAP: svolge le funzioni di vigilanza sul settore assicurativo mediante l'esercizio dei poteri di natura autorizzativa, prescrittiva, accertativa, cautelare e repressiva previsti dalle disposizioni del presente codice; adotta ogni regolamento necessario per la sana e prudente gestione delle imprese o per la trasparenza e la correttezza dei comportamenti dei soggetti vigilati ed allo stesso fine rende nota ogni utile raccomandazione o interpretazione; effettua le attività necessarie per promuovere un appropriato grado di protezione del consumatore e per sviluppare la conoscenza del mercato assicurativo, comprese le indagini statistiche ed economiche e la raccolta di elementi per l'elaborazione delle linee di politica assicurativa. Un regolamento prevederà poi l'istituzione di un'associazione, avente personalità giuridica di diritto privato e sottoposta alla vigilanza dell'IVASS, a cui siano trasferite (dall'IVASS medesimo) le competenze in materia di tenuta del registro unico degli intermediari assicurativi e riassicurativi nonché la funzione di vigilanza sui soggetti iscritti nel registro; il regolamento potrà prevedere, nel rispetto dei principii di semplificazione e di proporzionalità, una revisione delle categorie di soggetti tenuti all’iscrizione nel registro.
Si segnala che la norma in commento recepisce il dispositivo della risoluzione in Commissione finanze della Camera n. 8/00210 (firmatari Barbato, Cesario, Pugliese e Ventucci), approvata il 26 settembre 2012, con la quale si impegna il Governo ad adottare misure più incisive per favorire la diminuzione del costo dei premi relativi alla copertura assicurativa dei rischi derivanti dalla circolazione dei veicoli a motore su strada a carico degli assicurati, segnatamente per quanto riguarda il contrasto alle frodi nel settore, in particolare attraverso la creazione di una struttura pubblica appositamente dedicata alla repressione e prevenzione del fenomeno delle frodi nel settore delle assicurazioni RC auto che si affianchi in tale opera alle stesse compagnie assicurative, all'autorità di vigilanza sul comparto, nonché alle forze di polizia ed alla magistratura, fermo restando il diretto impegno delle strutture liquidative delle compagnie assicurative nell'azione di contrasto delle frodi.
Si ricorda, peraltro, che la Commissione finanze della Camera dei deputati il 30 giugno 2011 ha approvato in sede legislativa il testo unificato delle proposte di legge C. 2699-ter, C. 1964 Barbato, C. 3544 Pagano e C. 3589 Bragantini, recante istituzione di un sistema di prevenzione delle frodi nel settore dell'assicurazione della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore. Diverse norme contenute in tale atto parlamentare sono peraltro confluite nel D.L. n. 1 del 2012, recante disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività.
Il comma 2 per favorire la prevenzione e il contrasto delle frodi nel settore r.c. auto, per migliorare l’efficacia dei sistemi di liquidazione dei sinistri e per individuare i fenomeni fraudolenti attribuisce all’IVASS una serie di compiti. In particolare l’Istituto ha specificamente il compito di mettere in correlazione banche dati gestite da soggetti diversi, e realizzare un archivio informatico integrato in grado di evidenziare indici di anomalia che possano formare oggetto di successivo approfondimento da parte delle Autorità preposte e possano stimolare azioni di vigilanza sulle imprese di assicurazione e la rete dei fiduciari collegati (intermediari, consulenti, periti, liquidatori). La relazione governativa afferma che banche dati da correlare restano di proprietà e in gestione di soggetti pubblici distinti.
Nel dettaglio l’IVASS:
a) analizza, elabora e valuta le informazioni desunte dall’archivio informatico integrato, nonché le informazioni e la documentazione ricevute dalle compagnie assicuratrici e dagli intermediari, al fine di individuare i casi di sospetta frode e di stabilire un meccanismo di allerta preventiva contro le frodi;
b) richiede informazioni e documenti alle imprese assicurative e agli intermediari; tali informazioni sono volte anche a conoscere le iniziative assunte dalle compagnie per la prevenzione e il contrasto del fenomeno delle frodi;
c) segnala alle imprese di assicurazione e all’Autorità giudiziaria i profili di anomalia riscontrati, invitandole a fornire informazioni in ordine alle indagini avviate al riguardo, ai relativi risultati e alle querele eventualmente presentate;
d) fornisce collaborazione alle imprese assicurative, alle forze di polizia e all’autorità giudiziaria ai fini dell’esercizio dell’azione penale per il contrasto alle frodi assicurative;
e) promuove ogni altra iniziativa nell’ambito della propria competenza per la prevenzione e il contrasto delle frodi assicurative;
f) elabora una relazione annuale sull’attività svolta, formula i criteri e le modalità di valutazione delle imprese di assicurazione in relazione all'attività di contrasto delle frodi e rende pubblici i risultati delle valutazioni effettuate a fini di prevenzione e contrasto delle frodi e sulle iniziative assunte al riguardo dalle compagnie assicurative; formula proposte di modifica della disciplina in esame.
Si ricorda che l’articolo 30 del D.L. n. 1 del 2012 (decreto liberalizzazioni) ha introdotto l’obbligo per le imprese operanti nel ramo r.c. auto di trasmettere all'ISVAP una relazione annuale, predisposta secondo un modello (predisposto con provvedimento dell’ISVAP del 9 agosto 2012, n. 44), contenente informazioni sul numero dei sinistri per i quali la compagnia ha ritenuto di svolgere approfondimenti in relazione al rischio di frodi, il numero delle querele o denunce presentate all'autorità giudiziaria, l'esito dei conseguenti procedimenti penali, nonché le misure organizzative interne adottate per contrastare i fenomeni fraudolenti. Sulla base della relazione l’ISVAP esercita i suoi poteri di vigilanza al fine di assicurare l’adeguatezza dell’organizzazione aziendale e dei sistemi di liquidazione dei sinistri rispetto all’obiettivo di contrastare le frodi nel settore. Il mancato invio della relazione è sanzionato dall’ISVAP con un minimo di 10.000 ed un massimo di 50.000 euro.
Le imprese sono inoltre tenute a
indicare in bilancio e a pubblicare sui propri siti internet una stima circa la
riduzione degli oneri per i sinistri conseguente alla attività di controllo e
repressione delle frodi autonomamente svolta.
L'archivio informatico integrato è disciplinato dal comma 3. In particolare si prevede che esso sia connesso con:
§ la banca dati degli attestati di rischio (prevista dall'articolo 134 del D.L.gs. n. 209 del 2005, Codice delle Assicurazioni Private);
§ la banca dati sinistri e le banche dati anagrafe testimoni e anagrafe danneggiati (istituite dall'articolo 135 del medesimo CAP);
§ l'archivio nazionale dei veicoli e l'anagrafe nazionale degli abilitati alla guida (istituiti dall'articolo 226 del codice della strada);
§ il Pubblico Registro Automobilistico, istituito presso l’ACI;
§ i dati a disposizione della CONSAP[186] per la gestione del fondo di garanzia per le vittime della strada (di cui all'articolo 283 del CAP) e per la gestione della liquidazione dei danni a cura dell'impresa designata (di cui all'articolo 286 del CAP)
§ i dati a disposizione per i sinistri con veicoli immatricolati in Stati esteri gestiti dall'Ufficio centrale italiano (di cui all’articolo 126 del CAP);
§ ulteriori archivi e banche dati pubbliche e private, individuate con decreto interministeriale.
Con decreto del Ministro dello sviluppo economico e del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sentiti i Ministeri competenti, l'IVASS e il Garante per la protezione dei dati, sono stabilite le modalità di connessione delle banche dati descritte, i termini, le modalità e le condizioni per la gestione e conservazione dell'archivio e per l'accesso al medesimo da parte delle pubbliche amministrazioni, dell'autorità giudiziaria, delle forze di polizia, delle imprese di assicurazione e di soggetti terzi, nonché gli obblighi di consultazione dell'archivio da parte delle imprese di assicurazione in fase di liquidazione dei sinistri.
Il comma 4 dispone che il decreto interministeriale appena citato stabilisce anche le modalità e i termini con cui le imprese di assicurazione garantiscono all’IVASS, per l’alimentazione dell’archivio informatico integrato, l’accesso ai dati relativi ai contratti assicurativi contenuti nelle proprie banche dati, forniscono la documentazione richiesta ai sensi del comma 2 lettera b), e comunicano all’archivio nazionale dei veicoli gli estremi dei contratti di assicurazione per la responsabilità civile stipulati o rinnovati.
Il comma 5 prevede che la trasmissione dei dati di cui al precedente comma 4 avvenga secondo le modalità di cui al decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, previsto dall’articolo 31, comma 1, del D.L. n. 1 del 2012.
L’articolo 31 del D.L. n. 1 del 2012, al fine di contrastare la contraffazione dei contrassegni relativi alla r.c. auto, demanda ad un regolamento ministeriale il compito di definire la dematerializzazione dei contrassegni e la loro sostituzione con sistemi elettronici. Il Ministero dei trasporti, inoltre, è chiamato a formare un elenco dei veicoli non coperti da assicurazione e a comunicare ai proprietari le conseguenze a loro carico nel caso in cui i veicoli siano posti in circolazione. La violazione dell’obbligo di assicurazione può essere rilevata anche attraverso i dispositivi di controllo del traffico.
Si osserva che il compito di definire le modalità di trasmissione dei
dati predetti è già stata attribuita dallo stesso comma 4 al decreto interministeriale
di cui al comma 3.
Il comma 6 attribuisce all’IVASS il compito di evidenziare i picchi e le anomalie statistiche anche relativi a imprese, agenzie, agenti e assicurati: sarà un ruolo proattivo sia verso le imprese interessate (che, con cadenza mensile, comunicano le indagini avviate, i relativi risultati e le querele eventualmente presentate), sia verso le Autorità giudiziarie, in caso di evidenza di reato: ciò per segnalare i parametri di anomalia e incentivare azioni di indagine utilizzando il veicolo della vigilanza assicurativa, eventualmente con la collaborazione delle stesse compagnie coinvolte e vittime dell’ipotesi di frode assicurativa.
Il comma 7 reca la clausola di invarianza: agli adempimenti previsti si provvede con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente. Va peraltro ricordato che il D.L. n. 95/2012 prevedeva che, per l'esercizio delle proprie funzioni, l’IVASS potesse avvalersi delle infrastrutture tecnologiche della Banca d’Italia.
Il comma 7-bis, inserito nel corso dell’esame in sede referente, nell’ambito della procedura di liquidazione del danno a cose per le assicurazioni obbligatorie della r.c. auto, eleva da due a cinque i giorni non festivi in cui le cose danneggiate devono essere disponibili per l'ispezione diretta ad accertare l'entità del danno.
Articolo 22
(Misure
a favore della concorrenza e della tutela del consumatore nel mercato
assicurativo)
L’articolo 22 contiene una serie di misure a favore della concorrenza e della tutela del consumatore nel mercato assicurativo. In particolare si prevede: l’abolizione del tacito rinnovo del contratto di assicurazione obbligatoria per r.c. auto; la definizione, con decreto ministeriale, di uno schema di “contratto base” r.c. auto, nel quale prevedere tutte le clausole necessarie ai fini dell'adempimento di assicurazione obbligatoria; l’obbligo per le compagnie di assicurazione di garantire una corretta e aggiornata informativa on line ai propri clienti; la possibilità per gli intermediari di collaborare con altri soggetti iscritti al registro degli intermediari assicurativi e riassicurativi, garantendo piena informativa e trasparenza nei confronti dei consumatori; la definizione di una piattaforma di interfaccia comune tra le compagnie assicurative per la gestione dell'intero ciclo del prodotto assicurativo; l’aumento del termine prescrizionale delle polizze vita cd “dormienti” da 2 a 10 anni.
Il comma 1, mediante l'inserimento del nuovo articolo 170-bis nel D.Lgs. n. 209 del 2005 (Codice delle assicurazioni private), al fine di escludere il rinnovo tacito delle polizze assicurative, dispone che il contratto di assicurazione obbligatoria r.c. auto (responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti) abbia durata annuale o, su richiesta dell’assicurato, di anno più frazione; è altresì vietato il rinnovo tacito, in deroga all'articolo 1899, primo e secondo comma, del codice civile (in tema di durata dell’assicurazione).
L'impresa di assicurazione è tenuta ad avvisare il contraente della scadenza del contratto con preavviso di almeno trenta giorni. Inoltre la garanzia prestata con il contratto scaduto deve essere mantenuta operante fino a non oltre il quindicesimo giorno successivo alla scadenza del contratto, fino all'effetto della nuova polizza.
Il testo originario del decreto legge n. 179/2012, modificato nel corso dell’esame in sede referente, prevedeva che la durata annuale e il divieto di rinnovo tacito si applicassero anche agli altri contratti assicurativi eventualmente stipulati in abbinamento a quello di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli, nel rispetto del disposto dell'articolo 170, comma 3, secondo il quale la stipula abbinata è legittima a condizione che le relative proposte non costituiscano l'unica offerta dell'impresa e siano osservate le disposizioni previste dal testo unico bancario e dal testo unico dell'intermediazione finanziaria per l'offerta dei contratti dai medesimi disciplinati.
Era previsto, inoltre, che le clausole in contrasto con le previsioni così introdotte fossero nulle, e che la nullità operasse soltanto a vantaggio dell'assicurato. In altri termini, la nullità delle clausole che prevedano una durata pluriannuale del contratto o un rinnovo tacito dello stesso poteva essere eccepita solo da parte dell’assicurato.
Il comma 2 contiene la disciplina transitoria per i contratti in essere che contengono clausole di tacito rinnovo. Le clausole di tacito rinnovo contenute nei contratti stipulati prima del 20 ottobre 2012 (data di entrata in vigore del decreto in esame) sono sottoposte alla disciplina prevista dal comma 1 a decorrere dal 1° gennaio 2013. Conseguentemente gli utenti che vorranno rinnovare i contratti che contenevano la clausola di tacito rinnovo, a decorrere dal 1° gennaio 2013 dovranno procedere ad una nuova stipula. Con riferimento contratti in corso di validità al 20 ottobre 2012 dotati di clausola di tacito rinnovo, il comma 3 prevede l’obbligo per le imprese di assicurazione di comunicare per iscritto ai contraenti la perdita di efficacia delle clausole, con congruo anticipo rispetto alla scadenza del termine originariamente pattuito per l’esercizio della disdetta.
Si evidenzia che i commi 2 e 3 risultano superati dalla nuova
formulazione del comma 1, apportata nel corso dell’esame in sede referente.
Appare pertanto necessario effettuare un opportuno coordinamento.
I commi dal 4 al 7 prevedono la definizione con decreto ministeriale di uno schema di “contratto di base” di assicurazione per la r.c. auto, nel quale prevedere tutte le clausole necessarie ai fini dell’adempimento dell’assicurazione obbligatoria. Ogni compagnia assicurativa, nell’offrirlo obbligatoriamente al pubblico anche attraverso internet, dovrà definirne il costo complessivo individuando separatamente ogni eventuale costo per eventuali servizi aggiuntivi.
La relazione illustrativa afferma che attraverso tale standardizzazione diventa più agevole per il consumatore la comparazione del prezzo fra contratti con garanzie e clausole identiche offerte dalle varie imprese di assicurazione.
Il comma 4 prevede, in particolare, al fine di favorire una scelta contrattuale maggiormente consapevole da parte del consumatore, entro 60 giorni dall’entrata in vigore del decreto in esame (20 ottobre 2012), il Ministro dello sviluppo economico (sentiti l’IVASS, l’Associazione nazionale tra le imprese assicuratrici-ANIA le principali associazioni rappresentative degli intermediari assicurativi, le principali associazioni rappresentative degli intermediari assicurativi e, a seguito di una modifica in sede referente, le associazioni dei consumatori maggiormente rappresentative), definisca con decreto uno schema di “contratto base” di assicurazione responsabilità civile auto, nel quale siano previste le clausole minime necessarie per ai fini dell’adempimento di assicurazione obbligatoria. Il “contratto base” r.c. auto è articolato secondo classi di merito e tipologie di assicurato. Il decreto ministeriale definisce altresì i casi di riduzione del premio e di ampliamento della copertura applicabili allo stesso “contratto base”.
Il comma 5 lascia ad ogni compagnia assicurativa la libera determinazione del prezzo del “contratto di base” e delle ulteriori garanzie e clausole. Le compagnie sono tenute ad offrirlo al pubblico obbligatoriamente anche attraverso internet, eventualmente mediante link ad altre società del medesimo gruppo. Resta ferma la possibilità di offrire separatamente qualunque tipologia di garanzia aggiuntiva o di diverso servizio assicurativo.
L’offerta del “contratto di base” deve essere proposta, ai sensi del comma 6, utilizzando il modello elettronico predisposto dal Ministero dello sviluppo economico, sentita l’IVASS, in modo che ciascun consumatore possa ottenere un unico prezzo complessivo annuo, facilmente comparabile, ferma restando la separata evidenza delle singole voci di costo.
La disciplina dell’offerta del “contratto di base” tramite il modello elettronico (commi 5 e 6) dovrà essere applicata decorsi 180 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto legge in esame (comma 7).
Il comma 8 prevede che le compagnie di assicurazione debbano garantire una corretta e aggiornata informativa on line ai propri clienti mediante predisposizione sui relativi siti internet di aree riservate, accessibili mediante sistemi di riconoscimento che tutelino la privacy (user-id, password, sistemi di accesso controllato). In tali aree i clienti devono poter verificare lo stato delle proprie coperture assicurative, le scadenze, i termini contrattuali sottoscritti, la regolarità dei pagamenti di premio, i valori di riscatto ovvero le valorizzazioni delle polizze vita, , secondo procedure simili agli attuali sistemi di home banking. La possibilità di effettuare rinnovi e pagamenti in tali aree riservate on line, inizialmente prevista dal testo originario del decreto, è stata espunta nel corso dell’esame in sede referente.
La norma demanda ad un regolamento dell’IVASS, sentiti l’Associazione nazionale tra le imprese assicuratrici-ANIA e le principali associazioni rappresentative degli intermediari assicurativi, da emanare entro 90 giorni dall’entrata in vigore del decreto in esame (20 ottobre 2012), il compito di stabilire le modalità attuative a cui le imprese assicurative devono adeguarsi entro i successivi 60 giorni nell’ambito dei requisiti organizzativi previsti dall’articolo 30 del D.Lgs. n. 209 del 2005.
Si ricorda che già
attualmente sono richiesti determinati requisiti organizzativi dall’articolo 30
del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, soprattutto alla luce
dell'articolo 6 (Caratteristiche tecniche delle attrezzature) del Regolamento concernente i
requisiti del personale e le caratteristiche tecniche delle attrezzature per la
gestione dei sinistri del ramo assistenza (di cui al Provvedimento dell'ISVAP 9
gennaio 2008, n. 12). Per esso, la
struttura organizzativa deve disporre:
a)
di sistemi che
consentono l'agevole accesso da parte degli assicurati al servizio di
assistenza, per via telefonica e telematica;
b)
di sistemi
informativi dedicati:
1)
alla gestione dei
flussi in entrata e in uscita dei dati relativi alle prestazioni ed ai servizi
di assistenza;
2)
alla
registrazione delle chiamate e del diario di trattazione a garanzia della
continuità degli interventi anche in occasione del succedersi degli operatori
di turno;
3)
alla gestione di
banche dati per la raccolta, l'archiviazione e la ricerca rapida dei componenti
della rete di collaboratori indipendenti (...);
c)
al proprio
interno o nell'ambito della rete di collaboratori indipendenti (...), di
presidi medici e sanitari adeguati alle garanzie di assistenza sanitaria
offerte dall'impresa e, con specifico riguardo alla garanzia di trasporto
sanitario, dei mezzi per il trasporto stesso, delle apparecchiature, del
materiale medico e dei farmaci necessari per gli interventi.
Coerentemente, la previsione del comma 9 intende rafforzare i requisiti professionali degli intermediari assicurativi favorendone la formazione per via telematica, anche in considerazione della crescente diffusione dei rapporti assicurativi da gestire on line. A tal fine l’IVASS determinerà con apposito regolamento (da emanare entro 90 giorni dall’entrata in vigore del decreto in esame) specifiche tecnico-funzionali degli interventi resi in modalità e-learning, caratteristiche e standard dei prodotti e contenuti formativi, requisiti dei soggetti formatori e modalità più rigorose per il loro accreditamento.
Il richiamato articolo 111 del D.Lgs. n. 209 del 2005 richiede per i produttori diretti e per i soggetti addetti all'intermediazione (quali i dipendenti, i collaboratori, i produttori e gli altri incaricati degli intermediari) una formazione adeguata in rapporto ai prodotti intermediati ed all'attività complessivamente svolta e cognizioni e capacità professionali adeguate all'attività ed ai prodotti sui quali operano, accertate mediante attestato con esito positivo relativo alla frequenza a corsi di formazione professionale a cura delle imprese o dell'intermediario assicurativo.
La relazione illustrativa afferma che anche al fine di pervenire ad una maggiore trasparenza ed omogeneità del mercato dell’offerta formativa nel settore, tra le suddette specifiche tecniche dovrebbe essere specificatamente regolata la fruizione dell’attività didattica tramite formazione a distanza e, più in generale, garantita l’interattività dell’attività didattica e la tracciabilità dei tempi di erogazione della formazione, mediante meccanismi che, ad esempio, inibiscano l’accelerazione del corso e garantiscano la presenza fisica del deiscente per il tempo previsto.
Il comma 9-bis,
inserito nel corso dell’esame in sede referente, inserisce un nuovo comma 1-ter all’articolo 12 del D.Lgs. 141 del
2010 (il quale, oltre alla disciplina di recepimento della direttiva in materia
di credito al consumo ha operato
specifiche innovazioni all’interno del Testo Unico Bancario in materia
creditizia riguardante gli operatori del settore). In particolare, al fine
dichiarato di favorire la liberalizzazione e la concorrenza a favore dei
consumatori e degli utenti, si prevede che non
costituisce esercizio di agenzia in attività finanziaria la promozione e il collocamento, su mandato
diretto di banche e intermediari finanziari, di contratti relativi alla
concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma da parte degli agenti di
assicurazione regolarmente iscritti nel Registro unico degli intermediari.
Si prevede, inoltre, che il soggetto mandante debba curare l'aggiornamento
professionale degli agenti assicurativi mandatari e assicurare il rispetto da
parte loro della disciplina in tema di trasparenza delle condizioni
contrattuali e dei rapporti con i clienti (prevista ai
sensi del titolo VI del decreto legislativo 1º settembre 1993, n. 385); il
soggetto mandante, infine, risponde per i danni cagionati dagli agenti
assicurativi mandatari nell'esercizio dell'attività prevista dal presente
comma, anche se conseguenti a responsabilità accertata in sede penale.
Tale nuovo comma 1-ter ricalca la disciplina prevista per i promotori finanziari dal comma 1-bis dell’articolo 12 del D.Lgs. n. 141 del 2012, i quali nel proporre contratti di finanziamento o di servizi di pagamento per conto del soggetto abilitato che ha conferito loro l’incarico non sono qualificati come agenti in attività finanziaria (il comma 1-bis è stato introdotto dall’articolo 7 del D.Lgs. n. 169 del 2012).
I commi dal 10 al 13 consentono agli intermediari assicurativi di poter collaborare tra loro, anche mediante l’utilizzo dei rispettivi mandati, garantendo piena informativa e trasparenza nei confronti dei consumatori. Ogni patto contrario tra compagnia assicurativa e intermediario mandatario è nullo. All’IVASS è attribuita la vigilanza in materia ed è data inoltre la possibilità di adottare le più opportune direttive per la corretta applicazione della norma. L’intento dichiarato della norma è quello di favorire il superamento dell'attuale segmentazione del mercato assicurativo ed accrescere il grado di libertà dei diversi operatori.
La disciplina così introdotta si pone in linea di continuità con quanto previsto dai c.d. decreti Bersani (articolo 8 del D.L. n. 233/2006 e articolo 5, comma 1, del D.L. n. 7 del 2007), i quali hanno disposto il divieto di clausole di esclusiva tra agente assicurativo e compagnia, in funzione dello sviluppo di reti di plurimandato. Il plurimandato nel settore assicurativo è stato più volte auspicato dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato.
Da ultimo, nella segnalazione inviata al Parlamento il 2 ottobre 2012 (Proposte di riforma concorrenziale ai fini della Legge annuale per il mercato e la concorrenza anno 2013) l’Antitrust ha sottolineato l’importante effetto di incentivo alla mobilità della clientela derivante dallo sviluppo di reti in plurimandato e quindi dal divieto delle clausole di esclusiva nella distribuzione assicurativa. Tale divieto persegue l’obiettivo di innescare la concorrenza tra le compagnie attraverso le reti agenziali, incentivando l’apertura delle reti distributive. La medesima ratio sembra sottesa anche alle nuove disposizioni in tema di obblighi di confronto delle tariffe RC auto di cui all’articolo 34 D.L. n. 1/2012. Tali disposizioni, tuttavia, possono essere efficacemente attuate solo rimuovendo le difficoltà derivanti dai vari divieti di collaborazione tra reti distributive, diretti e indiretti, che ancora risultano presenti nei contratti di agenzia. L’Autorità, infatti, ha constatato che in vari casi, il divieto di plurimandato è aggirato attraverso clausole che, di fatto, rendono quasi impossibile (o comunque estremamente oneroso) per l’agente assumere altri incarichi. Nell’ottica di favorire l’efficace applicazione dell’articolo 34 del d.l. n. 1/2012 dovrebbero essere vietate le clausole che ostacolano i rapporti con compagnie/reti distributive concorrenti al fine di consentire all’agente di fornire al proprio cliente non solo tre preventivi, ma anche più alternative contrattuali alla polizza della compagnia rappresentata.
In particolare il comma 10, consente agli intermediari assicurativi iscritti al Registro unico degli intermediari di assicurazione e di riassicurazione (R.U.I.) di adottare forme di collaborazione reciproca nello svolgimento della propria attività anche mediante l’utilizzo dei rispettivi mandati. Detta collaborazione è consentita sia tra gli intermediari iscritti nella stessa sezione del R.U.I. o nell’elenco annesso sia tra di loro reciprocamente (si tratta di: agenti di assicurazione, broker, banche, SIM, istituti finanziari, Poste italiane e gli intermediari con residenza o sede legale in altri Stati membri), a condizione che sia fornita piena informativa e trasparenza nei confronti dei consumatori, in relazione al fatto che l'attività di intermediazione viene svolta in collaborazione tra più intermediari, nonché l'indicazione dell'esatta identità, della sezione di appartenenza e del ruolo svolto dai medesimi nell'ambito della forma di collaborazione adottata. L'IVASS vigila sulla corretta applicazione della norma in esame e può adottare disposizioni attuative anche al fine di garantire adeguata informativa ai consumatori.
Il comma 11 prevede la responsabilità solidale degli intermediari assicurativi che svolgono attività di intermediazione in collaborazione tra di loro ai sensi del comma 10 per i danni sofferti dal cliente nello svolgimento di tale attività. Sono fatte salve le reciproche rivalse nei rapporti interni.
Il comma 12 dispone, a decorrere dal 1° gennaio 2013, la nullità delle clausole fra mandatario e impresa assicuratrice incompatibili con la normativa prevista dal comma 10. Il riferimento è a quelle clausole contrattuali accessorie al mandato che, nel prevedere l’esclusiva (peraltro vietata dai citati articoli 8 del D.L. n. 233/2006 e 5, comma 1, del D.L. n. 7 del 2007), impediscono una collaborazione con altri intermediari. Al riguardo si demanda all’IVASS di vigilare e di adottare eventuali direttive per l’osservanza della norma, garantendo un adeguata informativa ai consumatori.
La relazione illustrativa afferma che la disciplina in esame supera la corrente interpretazione dell’attuale trasposizione in legge nazionale (art. 109 D.Lgs. 209/2005) della direttiva in materia di intermediazione assicurativa (2002/92/CE) che impedisce numerose forme di collaborazione tra intermediari, mediante divieti non previsti in ambito europeo dalla direttiva e, per ciò stesso, forieri di disparità di trattamento rispetto agli altri operatori europei cui tali divieti non sono applicati. La relazione governativa ricorda che il ruolo della cooperazione tra intermediari, nell’assolvere in modo adeguato all’incarico ricevuto dal cliente, fu riconosciuto dalla Commissione Europea nell’Interim Report – Business Insurance Sector Inquiry del gennaio 2007, che ammette la presenza contemporanea di più intermediari nella distribuzione assicurativa.
Nel corso delle audizioni al Senato sul disegno di legge di conversione del decreto in esame, sulla questione si sono registrate le opposte posizioni del Sindacato nazionale agenti di assicurazione e dell’ANIA. Da un lato, lo SNIA ha sottolineato come la normativa in esame rappresenta un atto coerente con la volontà di stimolare la concorrenza, attraverso la diffusione di formule organizzative rimesse all’autonomia negoziale dell’agente e sottratte alla volontà delle imprese di assicurazione. Da un altro lato l’Associazione fra queste ultime (ANIA) considera contrario alla logica di un mercato libero e concorrenziale che un’impresa debba accettare per imposizione di legge che un proprio agente le faccia concorrenza, segnalando la possibilità di concludere un contratto con un altro concorrente.
Si segnala, peraltro, come sopra ricordato, che l’articolo 34 del D.L. n. 1 del 2012 ha previsto l’obbligo per gli intermediari che distribuiscono servizi e prodotti assicurativi del ramo r.c. auto prima della sottoscrizione del contratto (a pena di nullità dello stesso), di informare il cliente, in modo corretto, trasparente ed esaustivo, sulla tariffa e sulle altre condizioni contrattuali proposte da almeno tre diverse compagnie assicurative non appartenenti a medesimi gruppi, anche avvalendosi delle informazioni obbligatoriamente pubblicate dalle imprese di assicurazione sui propri siti internet. La violazione di tale obbligo comporta altresì la comminazione di una sanzione amministrativa da parte dell’ISVAP.
Il comma 13 prescrive la definizione di standard tecnici uniformi ai fini di una piattaforma di interfaccia comune per la gestione e conclusione dei contratti assicurativi, anche con riferimento alle attività di preventivazione, monitoraggio e valutazione che dovrà essere operata dall’IVASS (sentite l’Ania e le associazioni rappresentative degli intermediari) entro 90 giorni dall’entrata in vigore del decreto in esame, al fine di incentivare lo sviluppo delle forme di collaborazione tra intermediari e la concorrenza attraverso l'eliminazione di ostacoli di carattere tecnologico.
La piattaforma quindi, secondo la relazione governativa, dovrà essere in grado di colloquiare con i sistemi proprietari delle compagnie per assicurare un’adeguata integrazione e confronto sulle informazioni inerenti i prodotti assicurativi nel corso delle consuete funzionalità di gestione.
Il comma 14, con una modifica al secondo
comma dell’articolo 2952 del codice civile (Prescrizione in materia di assicurazione), eleva da due a dieci anni il termine prescrizionale per i diritti derivanti dalle
polizze vita (c.d. “dormienti”). Nel corso dell’esame in sede referente è
stato lasciato a due anni il termine prescrizionale per gli altri diritti derivanti dal contratto di
assicurazione e dal contratto di riassicurazione.
Il termine di prescrizione di due anni, per i diritti derivanti sia dal contratto di assicurazione che dal contratto di riassicurazione, era stato precedentemente disposto dal D.L. n. 134 del 2008.
La relazione illustrativa afferma che il riallineamento al termine prescrizionale ordinario (dieci anni) è volto a garantire maggiormente gli eredi che devono riscuotere le polizze vita e ad evitare possibili eccezioni di legittimità costituzionale per disparità di trattamento, ex articolo 3 della Costituzione, ad esempio rispetto alle polizze c.d. “dormienti” dei conti correnti bancari".
Il comma 15 ribadisce l'obbligo dell'IVASS di garantire, anche mediante internet, un'adeguata informazione ai consumatori sulle misure introdotte dall’articolo 22 in esame e di valutare il loro impatto economico-finanziario e tecnologico-organizzativo.
Il comma 15-bis demanda all’IVASS il
compito di definire, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della
legge di conversione del decreto in esame, misure di semplificazione delle procedure e degli adempimenti burocratici
limitatamente al ramo assicurativo danni,
con particolare riferimento alla riduzione
degli adempimenti cartacei e della modulistica nei rapporti contrattuali
fra imprese di assicurazione, gli intermediari e clientela, anche favorendo le
relazioni digitali, l'utilizzo della posta elettronica certificata, la firma
digitale e i pagamenti elettronici e i pagamenti on line.
Il comma 15-ter prevede, inoltre, che
l'IVASS rende conto alle competenti
commissioni parlamentari con relazioni annuali sulle misure di semplificazione adottate e sui risultati conseguiti
in relazione a tale attività.
I commi dal 15-quater al 15-septies dispongono in materia di estinzione anticipata e di portabilità dei mutui ai quali sono connessi contratti di assicurazione. In particolare il comma 15-quater prevede che qualora l’assicurato abbia versato un premio unico, nel caso di estinzione anticipata o di trasferimento del mutuo o del finanziamento, le imprese restituiscono al debitore/assicurato la parte di premio pagato relativo al periodo residuo rispetto alla scadenza originaria, calcolata per il premio puro in funzione degli anni e della frazione di anno mancanti alla scadenza della copertura nonché del capitale assicurato residuo.
Nel contratto di assicurazione devono essere indicati i criteri e le modalità per la definizione del predetto rimborso. Le imprese possono trattenere dall'importo dovuto le spese amministrative effettivamente sostenute per l'emissione del contratto e per il rimborso del premio, a condizione che le stesse siano state indicate nella proposta di contratto, nella polizza ovvero nel modulo di adesione alla copertura assicurativa. Tali spese amministrative non possono però costituire un limite alla portabilità dei mutui ovvero un onere ingiustificato in caso di rimborso.
In caso di estinzione anticipata o di trasferimento del mutuo, in alternativa al rimborso del premio pagato relativo al periodo residuo, le imprese su richiesta del debitore/assicurato forniscono la copertura assicurativa fino alla scadenza contrattuale a favore del nuovo beneficiario designato.
Tale nuova disciplina si applica a tutti i contratti, compresi quelli commercializzati precedentemente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto in esame.
Documenti all’esame delle
Istituzioni dell’UE
(a cura
dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)
Il 3 luglio 2012 la Commissione europea ha presentato una proposta di modifica della direttiva 2002/92/CE sulla intermediazione assicurativa (IMD) (COM(2012)360).
La
proposta fa parte di un pacchetto di misure in materia di servizi finanziari,
comprendente anche:
Una proposta di regolamento sui principali documenti informativi per prodotti di investimento al dettaglio preassemblati (PRIPS), che rende obbligatorio fornire ai consumatori un documento denominato "Informazioni chiave per gli investitori" (Key Information Document – KID), contenente tutte le informazioni sulle caratteristiche principali del prodotto, compresi i rischi e i costi connessi all'investimento.
Una proposta di modifica della direttiva 2009/65/CE sugli organismi d'investimento collettivo in valori mobiliari, OICVM, che definisce compiti e responsabilità dei depositari che agiscono per conto di un fondo OICVM, stabilisce nuove norme sulle retribuzioni dei gestori degli OICVM e introduce un quadro comune relativo alle sanzioni.
La proposta mira a migliorare la regolamentazione nel mercato assicurativo al dettaglio, garantendo condizioni paritarie tra tutti i soggetti che partecipano alla vendita di prodotti assicurativi e rafforzando la protezione degli assicurati. In particolare, la Commissione propone di:
§ ampliare il campo di applicazione dell’IMD a tutti i canali di distribuzione (ad esempio, i cosiddetti direct writer (sottoscrittori diretti), gli autonoleggi, ecc.);
§ individuare, gestire e attenuare i conflitti di interesse;
§ aumentare il livello di armonizzazione delle sanzioni e misure amministrative previste in caso di violazione delle principali disposizioni dell’attuale direttiva;
§ garantire che le qualifiche professionali dei venditori siano commisurate alla complessità dei prodotti venduti;
§ semplificare e fare convergere le procedure per l’accesso transfrontaliero ai mercati assicurativi in tutta l’UE.
La proposta sarà esaminata secondo la procedura legislativa ordinaria (già procedura di codecisione). La prima lettura del Parlamento europeo è attesa per la sessione del 21 maggio 2013.
Articolo 23,
commi 1-12
(Misure per le società cooperative e di
mutuo soccorso)
L’articolo 23 è volto a modificare la disciplina delle società di mutuo soccorso (SMS) per adeguarne la normativa rispetto alla formulazione del 1886 e per ampliare il loro campo di attività. Viene, aggiunta, tra l’altro, la possibilità di svolgere “mutualità mediata”, vale a dire la possibilità di aderire in qualità di socio ad un’altra SMS.
Le Società di Mutuo Soccorso (SMS) sono associazioni nate per sopperire alle carenze dello stato sociale ed aiutare così i lavoratori a darsi un primo apparato di difesa, trasferendo il rischio di eventi dannosi (come gli incidenti sul lavoro, la malattia o la perdita del posto di lavoro). Esse sono attualmente disciplinate dalla legge n. 3818 del 1886, che ha riconosciuto alle società di mutuo soccorso la possibilità di acquisire la personalità giuridica. Ai sensi dell’articolo 1 della predetta legge, le società di mutuo soccorso assicurano ai soci un sussidio nei casi di malattia, di impotenza al lavoro o di vecchiaia e vengono in aiuto alle famiglie dei soci defunti. Esse possono inoltre cooperare all’educazione dei soci e delle loro famiglie; dare aiuto ai soci per l’acquisto di beni strumentali ed esercitare altri uffici propri delle istituzioni di previdenza economica (articolo 2).
Più in dettaglio, il comma 1 prevede l’iscrizione delle società di mutuo soccorso al Registro delle imprese secondo criteri e modalità che verranno stabilite con decreto del Ministro dello sviluppo economico, al fine di superare l’opposizione di alcune CCIAA che considera tali società enti non commerciali. L'iscrizione avviene nella sezione "imprese sociali", con l’ulteriore automatica iscrizione presso l’Albo delle società cooperative, analogamente a quanto previsto dal comma 2, dell’articolo 10, della legge n. 99 del 2009 per le imprese cooperative.
Si ricorda che ai sensi del codice civile (sezione I del capo III del titolo II del Libro V), in Italia vige per gli imprenditori commerciali l'obbligo di iscrizione in un registro delle imprese, indipendentemente dal fatto che si tratti di imprenditori individuali ovvero collettivi. L'articolo 8 della legge 29 dicembre 1993, n. 580 in materia di riordino delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, ha reso operativo il registro delle imprese attribuendone la tenuta alle camere di commercio (CCIAA); la stessa disposizione ha esteso l'obbligo di iscrizione alle società semplici, agli artigiani, agli imprenditori agricoli ed ai piccoli imprenditori, in apposite sezioni speciali (parte delle quali assorbite, in virtù del d.P.R. n. 558 del 1999, in un'unica sezione speciale del registro, cui si sono aggiunte quelle delle società tra professionisti e delle imprese artigiane).
Con il comma 2 si sostituisce l’articolo 1 della legge 15 aprile 1886, n. 3818, riconducendo anzitutto l'assenza di finalità di lucro al perseguimento della finalità di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà che qui va inteso in senso orizzontale, ai sensi dell'articolo 118 ultimo comma Cost..
Nel testo si ampliano le attività che le società di mutuo soccorso possono svolgere in esclusivo favore dei soci e dei loro familiari conviventi (erogazione di trattamenti e prestazioni socio-sanitari nei casi di infortunio, malattia ed invalidità al lavoro, nonché in presenza di inabilità temporanea o permanente; erogazione di servizi di assistenza familiare o di contributi economici ai familiari dei soci deceduti; erogazione di sussidi in caso di spese sanitarie sostenute dai soci per la diagnosi e la cura delle malattie e degli infortuni; erogazione di contributi economici e di servizi di assistenza ai soci che si trovino in condizione di gravissimo disagio economico a seguito dell'improvvisa perdita di fonti reddituali personali e familiari e in assenza di provvidenze pubbliche), stabilendo inoltre che le prime due attività potranno essere svolte anche attraverso l’istituzione o la gestione dei fondi sanitari integrativi.
Tale istituzione e gestione (di cui al Decreto Legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, recante Riordino della disciplina in materia sanitaria) sfugge, ai sensi del terzo comma del nuovo articolo 2 al vincolo di destinazione per il quale le attività, ad eccezione dei casi previsti da disposizioni di leggi speciali, possono essere svolte nei limiti delle proprie disponibilità finanziarie e patrimoniali (il vincolo previgente era diverso, trattandosi di un obbligo di specificare la spesa e il modo di farvi fronte nell'annuo bilancio, dal quale non si poteva erogare il danaro sociale a fini diversi da quelli tipici, eccettuate le spese di amministrazione).
Il nuovo articolo 2 della legge del 1886, introdotto dal comma 3 dell’articolo in commento, dà la possibilità alle società in questione di promuovere attività di carattere educativo e culturale ai fini della prevenzione sanitaria e della diffusione dei valori mutualistici, limitando peraltro la loro azione alle attività espressamente previste ed escludendo espressamente lo svolgimento di attività d’impresa; si tratta di attività che sostituiscono il precedente fine di "cooperare all'educazione dei soci e delle loro famiglie" e di "dare aiuto ai soci per l'acquisto degli attrezzi del loro mestiere ed esercitare altri uffici propri delle istituzioni di previdenza economica".
Con il comma 4 si aggiunge un terzo comma all’articolo 3 della legge fondamentale, che rende possibile la “mutualità mediata”, in virtù della quale anche una di tali società può - oltre ad avere soci sostenitori, anche persone giuridiche - divenire socia ordinaria di altre società di mutuo soccorso; ciò a condizione che lo statuto lo preveda espressamente e che i membri persone fisiche di tali enti giuridici siano destinatari di una delle attività istituzionali delle medesime società di mutuo soccorso; la possibilità di aderire in qualità di socio è prevista anche per i Fondi sanitari integrativi in rappresentanza dei lavoratori iscritti.
La norma è volta, tra l’altro a recepire il dettato del Regolamento (CE) n. 1435/2003 del 22 luglio 2003 relativo allo statuto della Società cooperativa europea (SCE).
Ai sensi del Regolamento, la SCE ha per oggetto principale il soddisfacimento dei bisogni e/o la promozione delle attività economiche e sociali dei propri soci, in particolare mediante la conclusione di accordi con questi ultimi per la fornitura di beni o di servizi o l’esecuzione di lavori nell’ambito dell’attività che la SCE esercita o fa esercitare. La SCE può inoltre avere per oggetto il soddisfacimento dei bisogni dei propri soci, promovendone nella stessa maniera la partecipazione ad attività economiche di una o più SCE e/o di cooperative nazionali. La SCE può svolgere le sue attività attraverso una succursale. Ai sensi dell’articolo 14, la qualità di socio di una SCE può essere acquistata da persone fisiche o da entità giuridiche.
La possibilità di
accedere alla mutualità mediata era stata già confermata dal parere unanime
espresso dalla Commissione centrale per
le cooperative del Ministero dello sviluppo economico ha, nella seduta del
7 dicembre 2011.
Tale meccanismo consentirà ai lavoratori interessati di aderire in forma collettiva (tramite gli stessi fondi) alla SMS affidataria della gestione del Fondo sanitario integrativo, rendendo cosi possibile: a) una semplificazione complessiva degli adempimenti procedurali tra SMS, Fondo e lavoratori; b) una governance più coerente nelle SMS, altrimenti distorta da soci “provvisori”; c) la partecipazione dell’ente aderente ai processi decisionali della SMS a tutela degli interessi dei lavoratori. Il meccanismo della mutualità mediata potrebbe consentire alle SMS di piccole dimensioni, interessate a sviluppare la loro attività socio-sanitaria ed assistenziale in favore dei soci, di ricorrere ai servizi erogati da altre SMS più strutturate, evitando cosi ai propri iscritti di procedere ad una doppia adesione. In tal modo la SMS minore avrebbe la possibilità di agire in rappresentanza dei propri associati nei confronti della SMS più strutturata.
La norma inoltre ammette la categoria dei soci sostenitori, i quali possono essere anche persone giuridiche. I soci sostenitori possono designare fino ad un terzo degli amministratori, che vanno comunque scelti tra i soci ordinari.
Con il comma 5 si aggiunge un comma all’articolo 8 della legge fondamentale, prescrivendo la devoluzione patrimoniale della società in liquidazione o trasformata: ne beneficiano altre S.M.S. ovvero i fondi mutualistici ovvero il corrispondente capitolo di bilancio dello Stato ai sensi degli articoli 11 e 20 della legge 31 gennaio 1992, n. 59 in materia di società cooperative.
Ai sensi dell’articolo 11 della legge n. 59 del 1992, le società cooperative e i loro consorzi, aderenti alle associazioni nazionali di rappresentanza, assistenza e tutela del movimento cooperativo, devono devolvere il patrimonio residuo delle cooperative in liquidazione ai fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione. Le società cooperative e i loro consorzi non aderenti alle associazioni riconosciute, o aderenti ad associazioni che non abbiano costituito fondi, versano tale patrimonio all’entrata del bilancio dello Stato per le spese relative alle ispezioni ordinarie (articolo 20).
Il comma 6 modifica la rubrica dell’articolo 18 del decreto legislativo 2 agosto 2002, n. 220, in materia di riordino della vigilanza sugli enti cooperativi uniformandolo ai contenuti aggiunti al medesimo articolo 18 dal comma 7 dell’articolo in commento: quest'ultimo conferma l’attuale sistema di vigilanza posto in capo al Ministero dello Sviluppo Economico ed alle Associazioni nazionali di rappresentanza, assistenza e tutela del movimento cooperativo, aggiungendo in capo a queste (nei confronti delle SMS aderenti) la possibilità di essere delegatarie dei poteri di revisione del MiSE (nuovo comma 2-bis dell’articolo 18 della legge del 1886).
Il nuovo comma 2-ter demanda ad un decreto del MiSE (che in base al comma 8 dovrà essere adottato entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione) la definizione dei modelli di verbale di revisione e di ispezione straordinaria, mentre il nuovo comma 2-quater precisa l’ambito di applicazione delle attività di vigilanza, le quali hanno lo scopo di accertare la conformita' dell'oggetto sociale alle attività previste dagli articoli 1 e 2. .
Resta comunque in capo al solo MiSE, ai sensi del nuovo comma 2-quinquies, il potere, in caso di accertata violazione delle suddette disposizioni, di disporre la perdita della qualifica di società di mutuo soccorso e la cancellazione dal Registro delle Imprese e dall'Albo delle società cooperative.
Il comma 9 reca un'interpretazione autentica in tema di vigilanza sugli enti cooperativi e loro consorzi, con riferimento all’articolo 4 del d.lgs. n. 220 del 2002.
Si ricorda che l'articolo 4 del D.Lgs. 2 agosto 2002, n. 220 stabilisce che l’attività di vigilanza è finalizzata a fornire agli organi di direzione e di amministrazione degli enti "suggerimenti e consigli" per migliorare la gestione ed il livello di democrazia interna, al fine di promuovere la reale partecipazione dei soci alla vita sociale, nonché ad accertare, anche attraverso una verifica della gestione amministrativo-contabile, la natura mutualistica dell'ente (verificando l'effettività della base sociale, la partecipazione dei soci alla vita sociale ed allo scambio mutualistico con l'ente, la qualità di tale partecipazione, l'assenza di scopi di lucro dell'ente, nei limiti previsti dalla legislazione vigente, e la legittimazione dell'ente a beneficiare delle agevolazioni fiscali, previdenziali e di altra natura).
Ai sensi del comma 9, tale norma si interpreta quindi nel senso che la vigilanza esplica effetti ed è diretta nei soli confronti delle pubbliche amministrazioni ai fini della legittimazione a beneficiare delle agevolazioni fiscali, previdenziali e di altra natura, nonché per l'adozione di eventuali provvedimenti sanzionatori (contenuti all’articolo 12 del predetto d.lgs. n. 220).
Con il comma 10, si sopprime la previsione di cui all'articolo 17, comma 3, della legge 27 febbraio 1985, n. 49, in materia di credito alla cooperazione, che recava l'obbligo, per il Ministero, di escludere dalla ripartizione delle risorse del Fondo per la salvaguardia dei livelli di occupazione le società finanziarie che non hanno effettuato erogazioni pari ad almeno l'80 per cento delle risorse conferite, decorsi due anni dal conferimento delle stesse.
Mediante una modifica al comma 4 del medesimo articolo 17, è inoltre soppresso (comma 11), per le società finanziarie che assumono la natura di investitori istituzionali, l'obbligo d’iscrizione nell'elenco degli intermediari finanziari (previsto dall'articolo 106 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, testo unico bancario).
Con il comma 12, infine, si integra il comma 5 dell’articolo 17, al fine di consentire che con le risorse apportate dal citato Fondo le società finanziarie possono assumere partecipazioni temporanee di minoranza nelle cooperative, anche in più soluzioni, e sottoscrivere, anche successivamente all’assunzione delle partecipazioni, strumenti finanziari emessi secondo la disciplina prevista per le società per azioni (di cui all’articolo 2526 del codice civile ).
Articolo 23,
comma 10-bis
(Fondo comune Ente nazionale
microcredito)
Il comma 10-bis, introdotto durante l’esame del provvedimento al Senato, reca disposizioni sull’alimentazione del fondo comune attributo all’Ente nazionale per il microcredito e sulla destinazione del contributo annuo stanziato in favore dell’Ente: per effetto delle norme in esame a detto fondo comune potranno affluire anche (oltre ai contributi volontari, ai beni attribuiti ex lege, ai contributi erogati da organismi nazionali od internazionali e ad ogni altro provento derivante dall’attività del Comitato) le risorse, pari a 1,8 milioni di euro annui, destinate all’Ente e poste a carico del bilancio dello Stato.
L’Ente nazionale per il microcredito è così stato denominato dall’articolo 8, comma 4-bis del D.L. 70 del 2011, ad esito del riordino del Comitato nazionale italiano permanente per il microcredito; esso è stato dunque costituito nella forma di ente pubblico non economico e dotato di ampie forme di autonomia; svolge funzioni di coordinamento nazionale in materia con compiti, tra l’altro, di valutazione e monitoraggio degli strumenti microfinanziari promossi in sede europea. L’ente è dotato di autonomia amministrativa, organizzativa, patrimoniale, contabile e finanziaria.
Il D:L. 70 stabilisce altresì che lo statuto dell'Ente sia approvato dal proprio consiglio di intesa con la Presidenza del Consiglio dei ministri; eventuali modifiche vanno trasmesse al Ministero per lo sviluppo economico. Sono previsti dei limiti agli emolumenti spettanti agli organi attualmente in vigore, diminuiti in coerenza con le norme del decreto legge n. 78 del 2010, che non potranno essere aumentati nei due esercizi contabili successivi al 13 luglio 2011.
Si ricorda che il Comitato nazionale italiano permanente per il microcredito era nato dalla trasformazione, ad opera dell'articolo 4-bis, comma 8, del decreto-legge n. 2 del 2006, del Comitato nazionale italiano per il 2005 - anno internazionale del Microcredito, senza oneri aggiuntivi per l'erario.
La legge finanziaria 2008 (articolo 2, commi 185, 186 e 187 della legge n. 244 del 2007) aveva attribuito al Comitato personalità giuridica di diritto pubblico, consentendo ad esso di svolgere la propria attività presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, anche per agevolare l’esecuzione tecnica dei progetti di cooperazione a favore dei Paesi in via di sviluppo, d’intesa con il Ministero degli affari esteri.
In particolare, il comma 186 aveva dotato il Comitato di un fondo comune, unico ed indivisibile, attraverso cui esercitare autonomamente ed in via esclusiva le attribuzioni istituzionali. La gestione patrimoniale e finanziaria del Comitato è stata disciplinata dal regolamento di contabilità richiamato dalle disposizioni in esame (D.P.C.M. 27 novembre 2008), approvato su proposta del presidente del Comitato.
Il fondo comune è costituito da contributi volontari degli aderenti o di terzi, donazioni, lasciti, erogazioni conseguenti a stanziamenti deliberati dallo Stato, dagli enti territoriali e da altri enti pubblici o privati, da beni e da somme di danaro o crediti che il Comitato ha il diritto di acquisire a qualsiasi titolo secondo le vigenti disposizioni di legge. Rientrano anche nel fondo i contributi di qualunque natura erogati da organismi nazionali od internazionali, governativi o non governativi, ed ogni altro provento derivante dall’attività del Comitato.
Successivamente, il comma 4-bis dell'articolo 2 del decreto legge n. 78 del 2009 ha autorizzato – a decorrere dall’anno 2010 - la spesa annua di 1,8 milioni di euro in favore del Comitato nazionale italiano permanente per il microcredito, al fine di consentire la promozione, la prosecuzione e il sostegno di programmi di microcredito e microfinanza finalizzati allo sviluppo economico e sociale del Paese e di favorire la lotta alla povertà, nonché per il funzionamento del Comitato medesimo.
Il comma 31 dell'articolo 7 del decreto legge n. 78 del 2010 ha poi disposto il trasferimento della vigilanza sul Comitato nazionale permanente per il microcredito al Ministero per lo sviluppo economico.
Con il richiamate disposizioni del D.L. 70/2011 sono state trasferite all'Ente nazionale per il microcredito le risorse iscritte nello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico per interventi a favore del Comitato nazionale italiano permanente per il microcredito.
Per effetto delle norme in commento, potranno confluire al fondo comune dell’Ente nazionale per il microcredito (unico ed indivisibile), destinato ex lege all’esercizio autonomo ed in via esclusiva delle attribuzioni istituzionali, anche le risorse stanziate dal citato D.L. 78/2009 (1,8 milioni di euro annui) per la promozione, la prosecuzione e il sostegno di programmi di microcredito e microfinanza volti allo sviluppo economico e sociale del Paese e al contrasto alla povertà, nonché stanziati per il funzionamento del Comitato medesimo.
Il contributo annuo di cui al D.L. 78/2009 viene dunque qualificato onere inderogabile (per effetto del rinvio all’articolo 10, comma 15, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98) categoria tra cui rientrano esclusivamente le spese cosiddette obbligatorie, ossia le spese relative al pagamento di stipendi, assegni, pensioni e altre spese fisse, le spese per interessi passivi, le spese derivanti da obblighi comunitari e internazionali, le spese per ammortamento di mutui, nonché quelle vincolate a particolari meccanismi o parametri, determinati da leggi che regolano la loro evoluzione.
Si rammenta che ai sensi della legge di contabilità e finanza pubblica (articolo 21, comma 6 della legge n. 196/2009) sono spese non rimodulabili quelle per le quali l'amministrazione non ha la possibilità di esercitare un effettivo controllo, in via amministrativa, sulle variabili che concorrono alla loro formazione, allocazione e quantificazione; esse corrispondono alle spese definite “oneri inderogabili”.
Infine, si dispone che il citato contributo possa essere destinato anche alla costituzione di fondi di garanzia e fondi rotativi dedicati ad attività di microcredito e microfinanza in campo nazionale ed internazionale.
Articolo 23-bis
(Termine per la surrogazione nei contratti
di finanziamento)
L'articolo 23-bis, inserito durante l’esame in sede referente, modifica la disciplina del danno risarcibile per ritardato perfezionamento della surrogazione dei finanziamenti bancari (c.d. “portabilità” di finanziamenti e mutui). In particolare sono elevati i termini utili al tempestivo perfezionamento della surrogazione.
L'articolo 23-bis, mediante la modifica dell'articolo 120-quater, comma 7, del D. Lgs. n. 385 del 1993 (TUB) eleva da dieci a trenta giorni il termine entro il quale deve perfezionarsi la surrogazione, onde evitare il risarcimento per ritardato perfezionamento delle procedure di surrogazione dei finanziamenti bancari (c.d. “portabilità” di finanziamenti e mutui).
Il vigente comma 7 (modificato da ultimo dall’articolo 27-quinquies del D.L. n. 1 del 2012) prevede la risarcibilità al cliente bancario del danno da ritardato perfezionamento della surrogazione dei contratti di finanziamento. In particolare, ove tale surrogazione non si perfezioni entro il termine di dieci giorni lavorativi dalla data della richiesta, formulata dall’intermediario surrogato al finanziatore originario, di avviare le opportune procedure di collaborazione, il finanziatore originario è tenuto a risarcire il cliente con una somma pari all'uno per cento del valore del finanziamento, per ciascun mese o frazione di mese di ritardo. Resta ferma la possibilità per il finanziatore originario di rivalersi sul mutuante surrogato, nel caso in cui il ritardo sia dovuto a cause allo stesso imputabili.
Si segnala che l’articolo 27-quinquies del D.L. n. 1 del 2012 aveva ridotto il termine in esame a dieci giorni, rispetto ai trenta precedentemente previsti dall’articolo 8, comma 8, del D.L. n. 70 del 2011. Per effetto delle modifiche apportate dalla disposizione in commento, i termini utili al perfezionamento tempestivo della surrogazione sono riportati a trenta giorni.
Articolo 23-ter
(Fondi
di solidarietà bilaterali alternativi)
L’articolo 23-ter, introdotto al Senato, sostituisce l’articolo 3, comma 14, della legge n.92 del 2012 (riforma del mercato del lavoro) in materia di fondi bilaterali alternativi.
I commi da 14 a 18 dell’articolo 3 della L. 92/2012 hanno introdotto un modello di costituzione dei fondi di solidarietà alternativo a quello dei fondi di solidarietà bilaterali previsto dai precedenti commi 4-13[187].
Più specificamente, il comma 14 ha previsto la facoltà, per le organizzazioni sindacali e imprenditoriali, nei settori non coperti dalla normativa in materia di integrazione salariale, nei quali siano operanti, alla data di entrata in vigore del provvedimento in esame, consolidati sistemi di bilateralità, nonché in considerazione delle peculiari esigenze dei predetti settori, quale quello dell’artigianato, di adeguare le fonti istitutive dei rispettivi fondi bilaterali alle finalità perseguite dai precedenti commi 4-13, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della L. 92/2012 (cioè, in questo caso, entro il 18 gennaio 2013). L’adeguamento deve in ogni caso prevedere misure intese ad assicurare ai lavoratori una tutela reddituale in costanza di rapporto di lavoro, in caso di riduzione o sospensione dell’attività lavorativa, correlate alle caratteristiche delle attività produttive interessate.
Il nuovo comma 14 prevede:
§ che l’adeguamento per i settori interessati debba tener conto anche delle fonti normative - oltre che quelle istitutive – dei fondi bilaterali operanti;
§ che l’adeguamento debba essere compiuto anche riguardo ai fondi paritetici interprofessionali per la formazione continua, di cui all’articolo 118 della legge finanziaria per il 2001 (L. 388/2000);
§ che, nel caso in cui a seguito della trasformazione dei fondi si verifichi una confluenza, totale o parziale, di un fondo interprofessionale in un unico fondo bilaterale, restino fermi gli obblighi contributivi previsti dallo stesso articolo 118 e le risorse derivanti da tali obblighi siano vincolate alle finalità formative.
I fondi paritetici interprofessionali, introdotti dall’articolo 118 della L 388/2000, sono costituiti, sulla base di accordi interconfederali stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori e dei lavoratori “maggiormente rappresentative sul piano nazionale”, per ciascuno dei seguenti settori economici (salva la possibilità che gli stessi accordi prevedano la costituzione di fondi anche per settori diversi): industria; agricoltura; terziario; artigianato[188].
I fondi finanziano, in
tutto o in parte, piani formativi aziendali, territoriali, settoriali o
individuali, concordati tra le parti sociali, "nonché eventuali ulteriori
iniziative propedeutiche e comunque direttamente connesse a detti piani
concordate tra le parti".
I fondi - che, previo accordo tra le parti, si possono articolare su scala regionale o, in ogni caso, territoriale - sono attivati previa autorizzazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali (attualmente Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali), il quale esercita altresì la vigilanza sulla gestione. L'autorizzazione è subordinata alla verifica della conformità dei criteri di gestione, degli organi, delle strutture di funzionamento e della professionalità dei gestori rispetto alle finalità dei fondi.
Si ricorda che a decorrere dal 2001[189] la quota del gettito complessivo da destinare ai fondi è stabilita al 20% a valere sul terzo delle risorse derivanti dal contributo integrativo di cui all’articolo 25 della L. 845/1978, destinato al Fondo di cui all'articolo medesimo (fondo di rotazione per la Per favorire l'accesso al Fondo sociale europeo e al Fondo regionale europeo dei progetti di formazione professionale). Tale quota è stata poi portata al 30% per il 2002 e al 50% per il 2003.
Con riferimento ai datori che aderiscono ai medesimi fondi, le entrate derivanti dall'addizionale contributiva dello 0,30%[190] - addizionale destinata, in via generale, al finanziamento del sistema della formazione professionale - sono trasferite, da parte dell'INPS, al fondo indicato dal datore, nei seguenti termini e limiti:
§ le entrate corrispondenti alla quota - pari ad un terzo (cioè, a 0,1 punti percentuali) - dell'addizionale che spetterebbe, in via ordinaria[191], al Fondo di rotazione per la formazione professionale e per l'accesso al Fondo sociale europeo[192] sono attribuite in misura integrale al fondo indicato dal datore - in caso, ovviamente, di adesione da parte del medesimo -;
§ le entrate corrispondenti alla restante quota (cioè, ai due terzi) sono anch'esse destinate al fondo prescelto, nel limite, tuttavia, di un importo pari a circa 103,291 milioni di euro[193]. Si ricorda che tale quota spetta, in assenza di adesione - nonché, in ogni caso, per la misura eccedente il suddetto importo - al Fondo di rotazione per l'attuazione delle politiche comunitarie[194] (ai fini del cofinanziamento degli interventi del Fondo sociale europeo).
Le suddette norme finanziarie trovano applicazione a decorrere dal 2004, mentre per il precedente triennio 2001-2003 era prevista una disciplina transitoria, che contemplava una progressiva attribuzione ai fondi delle summenzionate risorse, ai sensi dei commi 10 e 12 dell'art. 118 della L. n. 388[195].
Da ultimo, si ricorda che l’articolo 1, comma 151, della legge finanziaria per il 2005 (L. 311/2004) ha introdotto, tra gli altri, una parziale revisione della disciplina relativa ai citati fondi. In particolare, le modifiche attengono eminentemente ai profili del finanziamento dei fondi nonché, in generale, alla destinazione del gettito proveniente dalla suddetta addizionale.
Articolo 23-quater
(Banche popolari)
L’articolo 23-quater, introdotto durante l’esame del provvedimento al Senato, intende modificare le disposizioni concernenti la governance e la struttura delle banche popolari e delle società cooperative quotate.
Più in dettaglio, viene è elevata dallo 0,5 all’1 per cento la quota massima di partecipazione al capitale sociale delle banche popolari, prevedendo specifiche deroghe a tali limiti in favore delle fondazioni bancarie. Si affida allo statuto la possibilità di subordinare l’ammissione a socio, oltre che a requisiti soggettivi, al possesso di un numero minimo di azioni.
Le norme in commento modificano poi la speciale disciplina delle società cooperative quotate contenuta nel Testo Unico Finanziario, al fine di affidare all’autonomia statutaria la determinazione delle quote di capitale rilevanti ai fini dell’esercizio di specifici diritti azionari (relativi all’ordine del giorno in assemblea e all’elezione con voto di lista del CdA).
L’attenzione del legislatore si sofferma da tempo su una riforma delle banche popolari: sono attualmente all’esame della 6° Commissione (Finanze) del Senato i disegni di legge nn. 437, 709, 799, 926, 940 e 1084. Le Autorità di vigilanza operanti nel settore (Banca d’Italia e Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato) hanno in proposito rilevato la necessità di una riforma, in relazione alle caratteristiche di tali enti e al loro impatto sul territorio.
In particolare, nel corso dell’Audizione tenutasi presso la Commissione 6° del Senato il 22 giugno 2011, il Vice Direttore Generale della Banca d’Italia ha suggerito alcune linee di intervento normative, finalizzate a contemperare le esigenze di maggior controllo sul management e di rafforzamento patrimoniale con i tratti essenziali del modello cooperativo. In sintesi, è stata rilevata:
§ l’opportunità di innalzare i vigenti limiti al possesso azionario, specialmente per le popolari quotate; si suggeriva di rimettere allo statuto la definizione del limite, entro un range indicato dalla legge (ad esempio, dal minimo dello 0,5 per cento attualmente previsto dal Testo Unico Bancario sino a un massimo del 3 per cento), con maggiori possibilità di possesso azionario andrebbero riconosciute agli investitori istituzionali;
§ riconoscimento agli investitori istituzionali strumenti idonei a proteggere il valore del capitale da essi apportato, ad esempio riservando loro la nomina di uno o più esponenti degli organi di amministrazione e controllo della banca;
§ definitiva affermazione della libera trasferibilità delle azioni e da una semplificazione dell’iter procedurale di ammissione a socio.
L’Autorità ha rilevato altresì di non essere contraria alle proposte che permettono la trasformazione volontaria da banca popolare a società per azioni (ora possibile solo per finalità di vigilanza), soprattutto nel caso di banche popolari grandi e quotate, in quanto – ha affermato – si tratta di ammettere la possibilità di trasformazione in S.p.A. come previsto dal codice civile per la generalità delle cooperative; in tal caso, andrebbero modificati gli attuali quorum che non tengono conto della numerosità della compagine proprietaria delle popolari.
Un profilo critico rilevato dalle analisi della Banca d’Italia è stata la scarsa partecipazione dei soci in assemblea, tema comune a tutte le società con azionariato diffuso. Sono stati suggerite al riguardo diverse soluzioni, tra cui l’accrescimento della possibilità per un socio di farsi rappresentare attraverso il conferimento di una delega, affidando allo statuto delle banche popolari la possibilità di attestarsi su un numero di deleghe superiore a quello in media rilevato dalle analisi dell’Autorità stessa. Un ulteriore strumento condivisibile è stato individuato nella possibilità di tenere l’assemblea contestualmente in luoghi diversi, attraverso l’utilizzo di mezzi di telecomunicazione; ciò è utile soprattutto quando la base sociale è ampia e ubicata in aree territoriali geograficamente distanti.
La Banca d’Italia ha inoltre rilevato che, in sede di recepimento della direttiva sui diritti degli azionisti (direttiva 2007/36/CE recepita con il decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 27 e successive modifiche), le banche popolari quotate sono state escluse dalle novità introdotte per le S.p.A. e volte a rimuovere i vincoli alla partecipazione dei soci all’assemblea e, più in generale, ad accrescere il loro livello di tutela; si è rilevato come tale scelta abbia determinato un “doppio binario” normativo tra S.p.A. e cooperative quotate su molti aspetti (raccolta e della sollecitazione delle deleghe di voto; designazione del rappresentante comune degli azionisti; innovazioni introdotte in tema di convocazione, informativa preassembleare, diritti di intervento e voto in assemblea, disclosure di informazioni da parte della società). Con riferimento a questi aspetti, la Banca d'Italia ha sottolineato come la mancata applicazione alle cooperative della nuova disciplina non sembra giustificata e ha portato all’inopportuna coesistenza di regole differenziate su profili per i quali non rilevano le specificità del modello cooperativo.
Le disposizioni in esame anzitutto modificano (comma 1) in più punti il Testo Unico Bancario – TUB (D.Lgs. n. 385 del 1993):
In particolare, il comma 1, lettera a), n. 1 modifica l’articolo 30 del TUB, sostituendo il primo periodo del comma 2: viene dunque vietata la detenzione, in via diretta o indiretta, di azioni rappresentative del capitale sociale delle banche popolari in misura eccedente l’1 per cento del capitale sociale stesso. In sostanza, per effetto delle norme in esame il limite del possesso azionario è elevato dallo 0,5 (previsto dalla norma vigente) all’1 per cento, chiarendo altresì che tale limite è operativo anche per le partecipazioni detenute indirettamente. Le disposizioni in commento fanno salva la facoltà prevedere nello statuto limiti più contenuti, comunque non inferiori allo 0,5 per cento.
Il n. 2 della lettera a) inserisce il comma 2-bis all’articolo 30 ai sensi del quale, in deroga ai limiti così previsti, gli statuti possono fissare al 3 per cento la partecipazione delle fondazioni di origine bancaria (di cui al decreto legislativo n. 153/1999). Tale deroga è consentita a condizione che le fondazioni, alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto in esame, detengano una partecipazione al capitale sociale superiore all’1 per cento se il superamento del limite deriva da operazioni di aggregazione e fermo restando che tale partecipazione non può essere ulteriormente incrementata. Sono fatti salvi i limiti più stringenti previsti dalla disciplina propria delle fondazioni bancarie e le autorizzazioni richieste ai sensi di norme di legge.
Il n. 3 della lettera a) inserisce poi un comma 5-bis al richiamato articolo 30, che consente – con finalità di favorire la patrimonializzazione della società - allo statuto delle Banche Popolari di subordinare l’ammissione a socio, oltre che a requisiti soggettivi, al possesso di un numero minimo di azioni, il cui venir meno comporta la decadenza dalla qualità così assunte.
La lettera b) introduce il comma 2-bis all’articolo 150-bis del TUB affidando agli statuti delle Banche Popolari la determinazione del numero massimo di deleghe che possono essere conferite ad un socio, fermo restando il limite di 10 deleghe previsto dall’articolo 2539, comma 1, del codice civile.
Ai sensi del richiamato articolo 2539, comma 1, nelle società cooperative disciplinate dalle norme sulla società per azioni, in assemblea ciascun socio può rappresentare sino ad un massimo di dieci soci.
Le disposizioni in esame apportano infine (comma 2) modifiche al testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (D.Lgs. n. 58 del 1998).
In particolare (comma 2, lettera a)) viene modificato l'articolo 126-bis comma 1, concernente le disposizioni in materia di integrazione dell'ordine del giorno dell'assemblea e di presentazione di nuove proposte di delibera delle società quotate.
Ai sensi della richiamata disposizione, i soci che rappresentino almeno un quarantesimo del capitale sociale possono chiedere, entro dieci giorni dalla pubblicazione dell'avviso di convocazione dell'assemblea, (ovvero entro cinque giorni nei casi specificamente previsti dalla legge) l'integrazione dell'elenco delle materie da trattare, indicando nella domanda gli ulteriori argomenti da essi proposti ovvero presentare proposte di deliberazione su materie già all'ordine del giorno. Le domande, unitamente alla certificazione attestante la titolarità della partecipazione, sono presentate per iscritto, anche per corrispondenza ovvero in via elettronica, nel rispetto degli eventuali requisiti strettamente necessari per l'identificazione dei richiedenti indicati dalla società. Colui al quale spetta il diritto di voto può presentare individualmente proposte di deliberazione in assemblea.
Per effetto delle norme in esame, si dispone che per le società cooperative quotate la misura rilevante del capitale ai fini dell’applicazione di tali disposizioni in materia di assemblea venga determinata dagli statuti, anche in deroga alle disposizioni (articolo 135 del TUF) che impongono, per le società cooperative quotate, che le percentuali di capitale individuate nel codice civile e medesimo TUF siano rapportate al numero complessivo dei soci stessi.
Un’analoga norma in materia di autodeterminazione statutaria viene poi introdotta (comma 2, lettera b)) novellando l'articolo 147-ter del TUF, comma 1, primo periodo, che disciplina l’elezione e la composizione del consiglio di amministrazione.
In particolare, la richiamata norma affida allo statuto il compito di prevedere che i componenti del consiglio di amministrazione siano eletti sulla base di liste di candidati e di determinare la quota minima di partecipazione richiesta per la presentazione di esse, in misura non superiore a un quarantesimo del capitale sociale o alla diversa misura stabilita dalla Consob con regolamento tenendo conto della capitalizzazione, del flottante e degli assetti proprietari delle società quotate. Per effetto delle norme in commento, ove la società abbia forma di cooperativa, la misura è stabilita dagli statuti anche in deroga alle richiamate disposizioni dell’articolo 135 le quali impongono, per le società cooperative quotate, che le percentuali di capitale individuate nel codice civile e medesimo TUF siano rapportate al numero complessivo dei soci stessi.
Per completezza, si rammenta che nella segnalazione inviata al Parlamento dall’Autorità Garante della
Concorrenza e del Marcato (ai sensi degli artt. 21 e 22 della legge 10
ottobre 1990, n. 287) in merito alle proposte di riforma concorrenziale ai fini
della Legge annuale per il mercato e la concorrenza 2013, l’Autorità segnalava
i profili problematici attinenti agli a governance
e struttura delle banche popolari, con particolare riferimento al nucleo
circoscritto delle popolari quotate.
Da un lato, l’Antitrust segnala che lo status giuridico di detti enti
(il voto per testa, la clausola di gradimento, il limite alle deleghe e il
limite al possesso azionario) dovrebbe essere funzionale ad assicurare lo scopo
mutualistico, che la banca “rimanga in mano ai soci” e un forte legame di
appartenenza con il territorio di riferimento, mentre la realtà appare diversa
in quanto le banche popolari quotate appiano sempre più operatori di dimensione
nazionale articolati in complessi gruppi societari con al vertice la banca
popolare/holding finanziaria che
controlla numerose società per azioni e beneficia degli utili delle
controllate. Il perseguimento dello scopo degli utili, segnala l’Autorità,
appare prevalente rispetto allo spirito mutualistico. Inoltre, la disciplina
legale agevola assetti societari che favoriscono la gestione, di fatto, da
parte di un ristretto numero di soci che sostanzialmente controlla la holding
popolare, senza però rappresentare in alcun modo la maggioranza del capitale
sociale. Vi è dunque per le popolari, in particolare quelle quotate, una
separazione tra potere di controllo di una società e rischio assunto mediante
investimento del capitale. Nel contempo, quello stesso regime legale (voto per
testa/limite possesso azionario) rende tali banche sostanzialmente non
contendibili, pregiudicando gli incentivi ai guadagni di efficienza che
normalmente conseguono ad un mercato del controllo aperto.
Di conseguenza viene rilevato come il regime legale delle banche
popolari - e in particolare le banche quotate – consenta assetti societari che
ne limitano la contendibilità senza che sia garantito il rispetto dello spirito
mutualistico.
Viene dunque prospettata la necessità di una riforma normativa, con
specifico riferimento alle banche popolari quotate, che le renda sempre più
assimilabili alle società per azioni come nei fatti già sono. Si potrebbe
quindi ipotizzare l’eliminazione della clausola di gradimento, nonché
l’abolizione del limite all’uso delle deleghe. Infine, sarebbe necessario una
maggiore simmetria tra partecipazione alla vita sociale e quote di capitale
detenute attraverso un ripensamento del voto per testa e dei limiti alla
partecipazione azionaria.
Articolo 24,
commi 1 e 2
(Vendite allo scoperto di strumenti
finanziari)
I commi 1 e 2 dell'articolo 24 modificano il D. Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria - TUF) al fine di recepire le innovazioni apportate dal Regolamento n. 236/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio in materia di vendite allo scoperto di strumenti finanziari e di contratti derivati.
Per effetto delle norme in esame, si individuano il Ministero dell’economia e delle finanze, la Banca d’Italia e la Consob quali autorità competenti all’espletamento delle funzioni ed allo svolgimento dei compiti previsti dal regolamento, in base alle rispettive competenze. Le disposizioni modificano inoltre l’assetto sanzionatorio, in particolare per quanto concerne gli obblighi relativi alle vendite allo scoperto e ai credit default swap.
Il Regolamento (UE) n. 236/2012 sulle vendite allo scoperto, pubblicato il 24 marzo 2012 nella Gazzetta ufficiale e che si applica a decorrere dal 1° novembre 2012, ha due obiettivi principali:
§ stabilire un quadro normativo comune in materia di obblighi e di poteri relativi alle vendite allo scoperto e ai credit default swap, in particolare per quanto riguarda le situazioni in assenza della disponibilità di titoli;
§ assicurare un approccio più coordinato e uniforme degli Stati membri sull'adozione di misure in circostanze eccezionali.
Per vendita allo scoperto si intende un'operazione finanziaria che consiste nella vendita di titoli non posseduti dal cedente e per i quali, al momento della vendita, non è stato raggiunto un accordo sul procacciamento dei titoli in favore del compratore. Chi compie una vendita allo scoperto è però obbligato, entro una certa scadenza, ad acquistare e consegnare i titoli ceduti al compratore.
Il credit default swap (CDS) è un contratto con il quale il detentore di un credito (protection buyer) si impegna a pagare una somma fissa periodica, in genere espressa in basis point rispetto a un capitale nozionale, a favore della controparte (protection seller) che, di converso, si assume il rischio di credito gravante su quella attività nel caso in cui si verifichi un evento di default futuro ed incerto (credit event).
Il Regolamento sulle vendite allo scoperto impone alla Commissione di specificare con un atto delegato taluni elementi che faciliteranno la conformità al Regolamento da parte dei partecipanti al mercato e il controllo della sua osservanza da parte delle autorità competenti.
Più in generale il Regolamento, come ricordato anche dalla Relazione illustrativa, con riferimento alle predette tipologie di operazioni:
§ prevede stringenti obblighi di notifica ovvero di comunicazione al pubblico, al fine di garantire un più elevato livello di trasparenza e una maggiore protezione degli investitori e dei consumatori;
§ attribuisce alle autorità nazionali competenti i poteri di intervento necessari per far fronte, in circostanze eccezionali, a quelle situazioni di rischio che possono minacciare la stabilità finanziaria dell'Unione europea;
§ demanda gli Stati membri l’adozione di sanzioni e misure amministrative per le violazioni del regolamento nonché di tutte le misure necessarie a garantirne l'applicazione.
In particolare, per i titoli di Stato e i credit default swap sul debito sovrano il predetto Regolamento introduce l'obbligo di segnalazione alle autorità competenti di posizioni nette corte individuali su debito sovrano di importo rilevante; il divieto di effettuare vendite allo scoperto in assenza della disponibilità dei titoli, nonché il divieto di assumere posizioni uncovered su credit default swap su emittenti sovrani; l'esenzione dalle predette regole per le attività svolte dai market maker e dai primary dealer in titoli di Stato, previa notifica alle autorità competenti.
Il comma 1 dell’articolo in esame apporta le necessarie modifiche al TUF in ottemperanza all’emanazione del predetto Regolamento (UE) N. 236/2012
In particolare, la lettera a) del comma 1 inserisce nel TUF l'articolo 4-bis, al fine di individuare quali autorità nazionali competenti ai sensi del regolamento n. 236/2012 il Ministero dell’economia e delle finanze, la Banca d’Italia e la Consob.
In proposito, ricorda che l'articolo 32 del regolamento n. 236/2012 prescrive che ogni Stato membro designi una o più autorità competenti e che ne specifichi chiaramente i rispettivi ruoli, designando l’autorità responsabile per il coordinamento della cooperazione e dello scambio di informazioni con la Commissione, l’AESFEM (Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati, istituita con regolamento n. 1095/2010) e le autorità competenti degli altri Stati membri.
Specificamente, ai sensi del nuovo articolo 4-bis:
§ la Consob viene individuata (comma 2 dell’articolo 4-bis) quale autorità competente per ricevere le notifiche, attuare le misure ed esercitare le funzioni e i poteri previsti dal citato regolamento con riferimento a strumenti finanziari diversi dai titoli del debito sovrano e ai credit default swap su emittenti sovrani;
§ la Banca d’Italia e la Consob - nell’ambito delle rispettive attribuzioni - sono individuate quali autorità competenti per ricevere le notifiche, attuare le misure e esercitare le funzioni e i poteri previsti dal regolamento citato con riferimento ai titoli del debito sovrano e ai credit default swap su emittenti sovrani (comma 3 dell’articolo 4-bis), fatti salvi i poteri attribuiti al MEF (cfr. infra);
§ il Ministero dell’economia e delle finanze (comma 4 dell’articolo 4-bis), su proposta della Banca d’Italia, sentita la Consob, esercita infatti i poteri di temporanea sospensione delle restrizioni e di intervento in circostanze eccezionali previsti dal regolamento sempre con riferimento al debito sovrano e ai credit default swap su emittenti sovrani;
§ la Consob è altresì individuata quale autorità responsabile per la cooperazione e lo scambio di informazioni con la Commissione europea, l’AESFEM e le autorità competenti degli altri Stati membri.
Per facilitare il coordinamento tra le autorità è prevista la stipula di un protocollo di intesa tra le autorità competenti per la definizione delle modalità della cooperazione e lo scambio di informazioni rilevanti per l’esercizio delle rispettive funzioni. Il coordinamento deve concernere, tra l'altro, le irregolarità rilevate, le misure adottate nell’esercizio delle rispettive competenze, le modalità di ricezione delle notifiche, nell'esigenza di ridurre al minimo gli oneri gravanti sugli operatori.
Per adempiere alle rispettive competenze come sopra individuate, sono altresì attribuiti alla Banca d’Italia e alla Consob i poteri attualmente attribuiti alla Consob (previsti dall’articolo 187-octies del TUF) in materia di abuso di informazioni privilegiate e manipolazione del mercato.
Si ricorda che il regolamento n. 236/2012 prevede, tra l'altro, che le autorità competenti, per adempiere ai propri obblighi a norma del regolamento, dispongano di tutti i poteri di vigilanza e di indagine necessari per l’esercizio delle loro funzioni. Vengono dettate disposizioni in materia di segreto professionale e si prevede un obbligo di cooperazione tra autorità e di collaborazione con l’AESFEM; l’autorità competente di uno Stato membro può richiedere l’assistenza dell’autorità competente di un altro Stato membro ai fini di ispezioni o indagini in loco.
A fini di coordinamento con quanto previsto dalla lettera a), la lettera b) del comma 1 modifica l'articolo 170-bis del TUF, dedicato alle sanzioni previste nel caso di ostacolo alle funzioni di vigilanza, al fine di enumerare, accanto alla Consob, anche la Banca d'Italia come soggetto che esercita funzioni di vigilanza.
Analogamente la lettera c) modifica l'articolo 187-quinquiesdecies del TUF, concernente le sanzioni amministrative a tutela dell’attività di vigilanza, sempre aggiungendo, accanto alla Consob, la Banca d'Italia come soggetto che esercita funzioni di vigilanza.
La lettera d) del comma 1 inserisce nel TUF l'articolo 193-ter, specificamente dedicato alle sanzioni amministrative pecuniarie per le violazioni di quanto previsto dal regolamento n. 236/2012.
Si ricorda che, ai sensi dell'articolo 41 del regolamento n. 236/2012, gli Stati membri definiscono le norme in materia di sanzioni e misure amministrative applicabili alle violazioni del regolamento stesso e adottano tutte le misure necessarie a garantirne l’applicazione. Tali sanzioni e misure amministrative sono effettive, proporzionate e dissuasive.
Più in dettaglio, il nuovo articolo 193-ter del TUF prevede anzitutto la sanzione amministrativa pecuniaria, consistente nel pagamento di una somma da 25.000 a 2.500.000 euro per chi:
§ non osservi le disposizioni previste dagli articoli 5, 6, 7, 8, 9, 15, 17, 18 e 19 del regolamento n. 236/2012.
Si tratta, rispettivamente, degli obblighi relativi a: notifiche alle autorità competenti di importanti posizioni corte nette in titoli azionari e comunicazione al pubblico di importanti le predetti posizioni; notifica alle autorità competenti di importanti posizioni corte nette in debito sovrano e di posizioni scoperte nei credit default swap su emittenti sovrani; concernenti i metodi di notifica e comunicazione al pubblico; procedure di esecuzione coattiva; esenzione per attività di supporto agli scambi e operazioni di mercato primario; notifica e comunicazione al pubblico in circostanze eccezionali; notifica da parte dei prestatori in circostanze eccezionali;
§ violi le disposizioni di cui agli articoli 12, 13 e 14 del medesimo regolamento (concernenti rispettivamente le restrizioni alle vendite allo scoperto di titoli azionari, di titoli di debito sovrano e di CDS su emittenti sovrani in assenza della disponibilità dei titoli medesimi);
§ violi le misure adottate dalle autorità competenti di cui all’articolo 4-ter, ai sensi degli articoli 20, 21 e 23 del medesimo regolamento (rispettivamente relativi alle restrizioni alle vendite allo scoperto e operazioni analoghe in circostanze eccezionali; alle restrizioni alle operazioni relative a CDS su emittenti sovrani in circostanze eccezionali e al potere di restringere temporaneamente la vendita allo scoperto di strumenti finanziari in caso di una diminuzione significativa del prezzo).
Dette sanzioni sono aumentate fino al triplo o fino al maggiore importo di dieci volte il prodotto o il profitto conseguito dall'illecito quando, per le qualità personali del colpevole, per l'entità del prodotto o del profitto conseguito dall'illecito ovvero per gli effetti prodotti sul mercato, esse appaiono inadeguate anche se applicate nel massimo;
E’ inoltre prevista la confisca del prodotto o del profitto dell’illecito accanto alle sanzioni suddette. Qualora non sia possibile eseguire la confisca, la stessa può avere ad oggetto somme di denaro, beni o altre utilità di valore equivalente;
A tali sanzioni non si applica l’articolo 16 della legge n. 689 del 1981, che consente in specifiche ipotesi di pagare le sanzioni in misura ridotta.
Il comma 2 reca infine la clausola di invarianza finanziaria, secondo cui dall’attuazione delle disposizioni in esame non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
Viene, inoltre, stabilito che le autorità interessate provvedono agli adempimenti previsti dalle norme in commento con le risorse disponibili a legislazione vigente.
Documenti all’esame delle
Istituzioni dell’UE
(a cura
dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)
Il 20 ottobre 2011 la Commissione europea ha presentato un pacchetto di revisione della direttiva 2004/39/CE sui mercati degli strumenti finanziari (MIFID) comprendente:
§ una proposta di direttiva relativa ai mercati degli strumenti finanziari, che abroga la direttiva 2004/39/CE (COM(2011)656);
§ una proposta di regolamento sui mercati degli strumenti finanziari e che modifica il regolamento sugli strumenti derivati over the counter (OTC), le controparti centrali e i repertori di dati sulle negoziazioni (COM(2011)652).
In particolare, la prima prevede, tra l’altro:
§ il conferimento di maggiori poteri alle autorità di regolamentazione;
§ regole di funzionamento chiare per tutte le attività di negoziazione;
§ l’introduzione di una nuova sede di negoziazione (i sistemi di negoziazione organizzati - OTF);
§ la creazione di un "marchio di qualità" specifico per i mercati delle PMI;
§ nuove tutele per quanto riguarda le attività di trading effettuate mediante le nuove tecnologie;
§ migliori condizioni di concorrenza per alcuni servizi post-negoziazione essenziali, come la compensazione;
§ una maggiore trasparenza delle attività di negoziazione sui mercati dei capitali e per i mercati non azionari.
La proposta di regolamento mira invece a definire nuovi requisiti in materia di:
§ comunicazione al pubblico dei dati relativi alla trasparenza delle negoziazioni e alle autorità competenti dei dati sulle operazioni;
§ rimozione degli ostacoli all'accesso non discriminatorio ai servizi di compensazione, e negoziazione obbligatoria degli strumenti derivati in sedi organizzate;
§ specifiche azioni di sorveglianza degli strumenti finanziari e delle posizioni in strumenti derivati e di prestazione di servizi da parte di imprese di Paesi terzi senza una succursale nell'UE.
L’obiettivo della proposta è garantire che tutte le negoziazioni organizzate siano condotte in sedi di negoziazione regolamentate: mercati regolamentati, sistemi multilaterali di negoziazione (MTF) e sistemi organizzati di negoziazione (OTF). A tutte le suddette sedi saranno applicati i medesimi requisiti di trasparenza pre- e post-negoziazione. I requisiti di trasparenza sarebbero tuttavia calibrati in base alle molteplici tipologie di strumenti, quali azioni, obbligazioni e derivati, e alle diverse tipologie di negoziazioni, tra cui portafoglio ordini e sistemi basati sulla quotazione.
Le due proposte vengono esaminate secondo la procedura legislativa ordinaria (già procedura di codecisione). Il 26 ottobre 2012 il Parlamento europeo ha approvato a larga maggioranza una risoluzione legislativa che reca emendamenti alle due proposte.
Articolo 24,
commi 3-6
(Partecipazione italiana all’aumento di
capitale della Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo)
I commi da 3 a 6 dell'articolo 24 autorizzano la partecipazione italiana all’aumento di capitale della Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo.
Più in dettaglio, il comma 3 autorizza la partecipazione italiana all’aumento generale e all’aumento selettivo di capitale della Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo.
Si ricorda che la Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo (International Bank for Reconstruction and Development - IBRD) è un organismo internazionale facente parte del gruppo della Banca Mondiale[196].
L'IBRD è stata creata nel 1945, nell’ambito degli accordi di Bretton Woods, con lo scopo di sostenere la ricostruzione dei paesi colpiti dalla Seconda guerra mondiale. L’adesione italiana è avvenuta con la legge 23 marzo 1947, n. 132. Conta 187 Paesi membri (per essere membro dell’IBRD è necessario essere membri del FMI).
La sua funzione è oggi quella di ridurre la povertà e sostenere lo sviluppo sostenibile nei Paesi a reddito medio. A tal fine, concede crediti ordinari, ovvero con tassi di interesse vicini a quelli di mercato. In genere i crediti IBRD hanno un periodo di grazia di 5 anni e un periodo di rimborso di 15-20 anni.
I principali settori d’intervento includono il miglioramento della capacità di gestione amministrativa, i trasporti, la salute e gli altri servizi sociali di base. I finanziamenti sono accompagnati da servizi di assistenza per utilizzare al meglio i fondi erogati. In alcuni casi i programmi sono co-finanziati da altre istituzioni.
Il capitale dell’IBRD è costituito solo per una minima parte dalle quote sottoscritte dai Paesi membri al momento dell’adesione (circa il 5 per cento). I crediti IBRD sono finanziati principalmente attraverso l’emissione di obbligazioni sui mercati internazionali[197].
Secondo quanto si legge nella Relazione tecnica, l'aumento di capitale viene effettuato in base alla risoluzione approvata dal Consiglio dei Governatori del 16 marzo 2011.
I commi 4 e 5 autorizzano la sottoscrizione, rispettivamente, dell’aumento generale di capitale e dell’aumento selettivo di capitale.
La sottoscrizione dell’aumento generale di capitale autorizzata è pari a 13.362 azioni per complessivi 1.611.924.870 dollari statunitensi, di cui 96.715.492,2 da versare.
La sottoscrizione dell’aumento selettivo di capitale autorizzata è pari a 5.215 azioni per complessivi 629.111.525 dollari statunitensi, di cui 37.746.691,5 da versare.
La Relazione precisa che i pagamenti possono avvenire in una o più rate secondo le modalità e nel rispetto delle scadenze temporali previste dalla sopra citata risoluzione. In particolare:
§ l’aumento di capitale generale sarà sottoscritto in cinque rate tra il 2012 e il 2016, sottoscrivendo, rispettivamente, 2.422 azioni nel 2012, nel 2013, nel 2014 e nel 2015 e 3.674 azioni nel 2016;
§ l’aumento di capitale selettivo sarà sottoscritto in quattro rate tra il 2012 e il 2015 sottoscrivendo, rispettivamente, 1.300 azioni nel 2012, nel 2013 e nel 2014, e 1.315 azioni nel 2015.
Il comma 6 provvede alla copertura dei relativi oneri, quantificati in:
§ euro 20.409.249 per gli anni 2012, 2013, e 2014;
§ euro 20.491.500 per l'anno 2015;
§ euro 20.146.045 per l'anno 2016.
A detti oneri si provvede a valere sulle risorse individuate dall’articolo 7, comma 3, del decreto-legge n. 201 del 2011[198] già destinate al finanziamento della partecipazione al capitale delle banche multilaterali di sviluppo (tra cui la Banca Mondiale - IBRD), con le medesime modalità ivi indicate.
Si ricorda che il comma 3 dell'articolo 7 citato dispone, al fine di consentire la partecipazione italiana agli aumenti di capitale delle banche multilaterali di sviluppo, l’utilizzo di 226 milioni di euro nel periodo 2012-2017 a valere sulle disponibilità del conto corrente di tesoreria di cui all'articolo 7, comma 2-bis, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 143.
La partecipazione italiana alle banche e fondi di sviluppo a carattere multilaterale è regolata dalla legge 26 febbraio 1987, n. 49[199]. Questa prevede, in generale, che la cooperazione allo sviluppo sia realizzata attraverso due modalità: il dono ed il credito d'aiuto. Ciascuna di queste modalità viene poi attuata tramite due canali: quello bilaterale e quello multilaterale.
La gestione degli aiuti a dono è affidata alla Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo del Ministero degli Affari esteri, che la attua sia attraverso la cura dei rapporti bilaterali con i singoli Paesi, sia partecipando alla cooperazione multilaterale con contributi obbligatori o volontari agli organismi delle Nazioni Unite, nonché con contributi finalizzati ai progetti a dono attuati da organismi sovranazionali (cooperazione multi-bilaterale).
La gestione del credito d'aiuto è invece affidata al Ministero dell’economia e delle finanze, che la attua attraverso il Fondo rotativo del Mediocredito centrale, per quanto riguarda i rapporti bilaterali, e attraverso la partecipazione a banche e fondi di sviluppo per il canale multilaterale, versando contributi che vanno a costituire il capitale di tali istituti.
La partecipazione finanziaria al capitale di banche e fondi di sviluppo rappresenta pertanto uno degli strumenti attraverso i quali il nostro Paese partecipa alla cooperazione internazionale allo sviluppo. La gestione dei rapporti con tali organismi è stata a suo tempo affidata al Ministero del Tesoro, in forza dell’articolo 4 della legge 49 del 1987, in considerazione del loro carattere di istituzioni finanziarie. Per il perseguimento dei loro fini, tali enti si avvalgono dei fondi messi a disposizione dagli Stati membri e dei fondi raccolti sui mercati finanziari.
L’articolo
24-bis, introdotto durante l’esame del provvedimento al Senato, modifica in più punti la
disciplina dell’attività di bancoposta svolta da Poste italiane S.p.a..
Le norme in esame, accanto al recepimento di alcune novità intervenute nel corso del tempo nella legislazione bancaria (tra l’altro in materia di servizi di pagamento e tutela dei consumatori):
§ precisano che i bollettini di conto corrente postale possono essere emessi anche in forma elettronica;
§ includono
tra le attività di bancoposta l’esercizio in via professionale del
commercio di oro;
§ consentono a Poste Italiane di stabilire
succursali negli altri Stati comunitari ed extracomunitari per l’esercizio
di attività di bancoposta;
§ dispongono
che la comunicazione ai clienti
delle variazioni contrattuali unilaterali sfavorevoli sia effettuata, in luogo
della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale o avviso inviato ai correntisti, con
le medesime garanzie e tutele previste dal testo unico bancario in materia di contratti di durata e di
servizi di pagamento.
§ autorizzano
Poste a svolgere nei confronti del pubblico il servizio di collocamento di strumenti finanziari senza assunzione a fermo né
assunzione di garanzia nei confronti dell'emittente.
Ai sensi della normativa vigente, l’attività di bancoposta (articolo 2 del D.P.R. n. 144/2001) comprende: la raccolta di risparmio tra il pubblico e le attività connesse o strumentali; la raccolta del risparmio postale; i servizi di pagamento, comprese l'emissione, la gestione e la vendita di carte prepagate; il servizio di intermediazione in cambi; la promozione e collocamento presso il pubblico di finanziamenti concessi da banche ed intermediari finanziari abilitati; i servizi di investimento ed accessori.
In particolare, la lettera a) del comma 1 apporta modifiche all’articolo 1 del citato D.P.R.
n. 144 del 2011, in primo luogo al
fine di includere tra le definizioni ivi recate anche quella di “Patrimonio
Bancoposta”, ovvero il patrimonio destinato attraverso cui Poste Italiane
esercita le attività di bancoposta, ai sensi dell'articolo 2, commi da 17-octies
a 17-undecies del D.L. n. 225 del 2010.
Il citato comma 17-octies ha disposto la costituzione da parte di Poste italiane di un patrimonio esclusivamente destinato all’esercizio della predetta attività, il cui valore potrà essere anche superiore al dieci per cento del patrimonio netto della società, in deroga alle disposizioni del codice civile[200] in materia di patrimonio separato. La delibera individua i beni e i rapporti giuridici compresi nel patrimonio e le regole di organizzazione e gestione dello stesso.
A seguito della delibera assembleare del 14 aprile 2011 è stato costituito il predetto patrimonio, al fine di applicare gli istituti di vigilanza prudenziale di Banca d'Italia e a garanzia delle obbligazioni assunte nell'esercizio dell'attività di BancoPosta. Nel corso della stessa seduta assembleare è stato altresì approvato il "Regolamento del Patrimonio BancoPosta" che contiene le regole di organizzazione, gestione e controllo che disciplinano il funzionamento del Patrimonio BancoPosta.
I beni e i rapporti individuati secondo le norme del codice civile (comma 17-novies) sono destinati esclusivamente alle obbligazioni sorte sulla base delle attività di bancoposta, e formano un patrimonio separato da quello di Poste italiane. Di tali obbligazioni la società risponde nei limiti del patrimonio stesso, ferma restando la responsabilità illimitata per obbligazioni derivanti da fatto illecito. Inoltre, ogni modifica delle regole organizzative e di gestione del patrimonio, nonché il trasferimento di beni o rapporti giuridici compresi nel restante patrimonio di Poste italiane, deve essere oggetto di delibera dell’assemblea (comma 17-decies). Infine, il comma 17-undecies detta norme per la gestione contabile del patrimonio destinato alle attività di bancoposta, precisando che i beni e i rapporti ivi compresi devono essere indicati nello stato patrimoniale della società. Si prevede inoltre che il rendiconto separato debba essere redatto secondo i principi contabili internazionali.
La medesima lettera a), accanto a
disposizioni di coordinamento formale, intende specificare la definizione di “bollettino di conto corrente postale”
recata dall’articolo 1, comma 1, lettera g)
del DPR 144 del 2001, precisando che si intende per tale sia il modulo
emesso da Poste per il versamento di fondi su un conto corrente postale sia in
forma cartacea che elettronica.
La lettera
b) del comma 1 modifica in più punti l’articolo 2 del citato D.P.R.
144/2001.
In primo luogo (sostituendo la lettera c) dell’articolo 2, comma 1 del D.P.R. 144/2001) si intende allineare la disciplina ivi prevista, secondo la quale tra le attività di bancoposta vi è la prestazione di servizi di pagamento, alla disciplina dei servizi di pagamento contenuta nel D.Lgs. n. 11 del 2010.
Si rammenta che la legge comunitaria 2008 (articolo 32 della legge 7 luglio 2009, n. 88) ha recato princìpi e criteri per il recepimento della direttiva 2007/64/CE sui servizi di pagamento nel mercato interno, per definire il quadro giuridico per realizzare l’Area unica dei pagamenti in euro (SEPA). Il progetto SEPA intende estendere il processo d'integrazione europea ai pagamenti in euro con strumenti diversi dal contante, per favorire l'efficienza e la concorrenza. Nell'area SEPA tutti i pagamenti al dettaglio in euro sono considerati "domestici"; viene meno la distinzione fra pagamenti nazionali e transfrontalieri. Dal gennaio 2008 è possibile effettuare pagamenti conformi agli standard SEPA mediante carte di pagamento e bonifici. In particolare, sono stati introdotti nell'ordinamento nazionale gli “istituti di pagamento abilitati alla prestazione di servizi di pagamento”: la Banca d’Italia è stata individuata quale l'Autorità competente ad autorizzare l’avvio dell’attività, a esercitare il controllo sugli istituti di pagamento, a verificare il rispetto delle condizioni previste dalla direttiva per l’esecuzione delle operazioni di pagamento e, infine, a specificare le regole che disciplinano l’accesso ai sistemi di pagamento. La direttiva 2007/64/CE è stata recepita nell'ordinamento interno con il D.Lgs. 22 gennaio 2010, n. 11.
In particolare si precisa che la prestazione di servizi di pagamento in seno all’attività di bancoposta comprende l’emissione di moneta elettronica e di altri mezzi di pagamento, in luogo di comprendere l’emissione, la gestione e la vendita di carte prepagate e di altri mezzi di pagamento (come previsto dalla formulazione vigente della lettera c)).
Inoltre, aggiungendo la lettera f-bis)
all’articolo 2, comma 1 del D.P.R. 144/2001, tra le attività di bancoposta viene incluso l’esercizio in via professionale del commercio di oro, per conto proprio
o per conto terzi, secondo quanto disciplinato dalla legge 17 gennaio 2000, n.
7.
In proposito, si segnala che presso la X Commissione della Camera dei Deputati è in corso l'esame della proposta di legge A.C. 4281 in materia di "Disposizioni concernenti la tracciabilità delle compravendite di oro e di oggetti preziosi usati e l'estensione delle disposizioni antiriciclaggio, nonché istituzione del borsino dell'oro usato e misure per la promozione del settore orafo nazionale".
La medesima lettera b) prescrive poi
che venga aggiunto il comma 2-bis all’articolo 2 del D.P.R. 144/2001.
Ai sensi dell’introdotto comma 2-bis si
consente a Poste Italiane di stabilire succursali negli altri Stati
comunitari ed extracomunitari per l’esercizio di attività di bancoposta, nonché
di esercitare le attività di bancoposta ammesse al mutuo riconoscimento in uno
Stato comunitario senza stabilirvi succursali ed operare in uno Stato
extracomunitario senza stabilirvi succursali.
Viene disposta anche l’integrale sostituzione dell’articolo 2, comma 3 del D.P.R. 144/2001, che prevede l’applicazione all’attività di bancoposta di numerose disposizioni del Testo Unico Bancario (TUB, di cui al D.Lgs. n. 385 del 1993), in quanto compatibili.
Nella sua formulazione vigente, il comma 3 dispone che alle attività di raccolta di risparmio e alle attività connesse o strumentali svolte in seno all’attività di bancoposta siano applicabili le disposizioni in materia di vigilanza (articolo 5 TUB), di emissioni di obbligazioni e titoli (articolo 12 TUB), di partecipazioni nelle banche (articoli da 20 a 23, 24, commi 1 e 2), di requisiti di professionalità e di onorabilità dei vertici (articoli 25 e 26 TUB), di esercizio della vigilanza, con l’esclusione delle norme sui controlli sulle succursali in Italia di banche comunitarie (articoli 50, 51, 52, 53, commi 1, 2 e 3, 54, comma 1, da 56 a 58, da 65 a 67, 68 comma 1 TUB), di provvedimenti straordinari in relazione a banche autorizzate in Italia, nel caso di crisi (articolo 78 TUB). Si applicano inoltre alcune disposizioni di trasparenza, in particolare quelle relative a operazioni e servizi bancari e finanziari (articoli da 115 a 120 TUB) e alle modalità di calcolo del Tasso Annuo Effettivo Globale – TAEG per la concessione di finanziamenti (articolo 121, comma 3 TUB), a regole generali, spese addebitabili, controlli, contenzioso (articoli da 127 a 129 del TUB).
Infine, si applicano le norme che sanzionano l’omissione delle comunicazioni relative alle partecipazioni in banche, in società appartenenti ad un gruppo bancario ed in intermediari finanziari (articolo 140 TUB) e le disposizioni sanzionatorie contenute negli articoli da 143 a 145 del citato TUB.
Coerentemente alle
modifiche proposte dalle disposizioni in esame, si prevede l’applicazione alle attività di raccolta del risparmio svolte da
bancoposta delle norme del TUB in
materia di succursali estere (articolo 15 commi 1, 2 e 16 commi 1, 2 e 5 TUB) e di tutte le norme relative
alle partecipazioni nelle banche
(dunque articoli da 19 a 24 TUB).
Non è più prevista l’applicazione dei requisiti di onorabilità dei titolari di partecipazioni rilevanti o di controllo (articolo 25 TUB), mentre persistono i requisiti di professionalità, onorabilità e indipendenza posti a carico degli esponenti aziendali (articolo 26 TUB).
Le modifiche prevedono inoltre l’applicazione integrale - non dunque parziale - delle norme in tema di vigilanza ispettiva sull’attività (articolo 68 del TUB) svolta dalla Banca d’Italia, delle norme sull’emissione e sul rimborso della moneta elettronica (articoli 114-bis e 114-ter del TUB).
Saranno applicabili
anche le disposizioni in materia di diritto
di recesso (articolo 120-bis del
TUB), e le tutele previste in
materia di credito al consumo (articoli da 121, comma 3, a 126 del TUB), con esclusivo riferimento
all'attività di intermediario svolta da Poste Italiane in seno all’attività di
bancoposta; si precisa inoltre che saranno altresì operative le disposizioni
introdotte nel Testo Unico a seguito del recepimento della richiama disciplina
europea dei servizi di pagamento
(articoli da 126-bis a 128-quater del TUB).
Per quanto concerne le norme applicabili
all’attività di prestazione servizi di
investimento, modificando il comma 4 dell’articolo 2 del D.P.R. 144/2011 si
prevede una più ampia applicazione dei poteri di vigilanza regolamentare della
Banca d’Italia e della Consob su tali servizi e l’integrale applicazione dei
poteri di vigilanza ispettiva; sarà integrale anche l’applicazione delle regole
concernenti l’autorizzazione di Poste Italiane a operare nei mercati
regolamentati, non più dunque limitandole a quelli italiani. Inoltre, ai
servizi di investimento prestati da Poste Italiane si applicheranno le
disposizioni in materia di tutela degli interessi collettivi degli investitori
e di risoluzione stragiudiziale di controversie (articoli 32-bis e 32-ter del TUF).
Modificando il successivo comma 6
dell’articolo 2 si includono, tra le norme applicabili al risparmio postale,
anche quelle del D.M. 6 ottobre 2004 (che disciplina raccolta di fondi, con
obbligo di rimborso assistito dalla garanzia dello Stato, effettuata dalla
Cassa Depositi e Prestiti S.p.a. avvalendosi di Poste italiane S.p.a, ai sensi
dell’articolo 5 del D.L. n. 269 del 2003).
Con l’introduzione del comma 9-bis
all’articolo 2 del D.P.R. 144/2001 si consente a Poste, nell'esercizio
dell'attività di bancoposta, di svolgere attività di promozione e collocamento
di prodotti e servizi bancari e finanziari fuori
sede.
La Relazione tecnica all’emendamento 1.800 del Governo precisa che tale norma di rango primario rende possibile lo svolgimento fuori sede di attività di bancoposta, così allineandola a quella svolta dalle banche. Ciò eviterebbe le disparità di trattamento con gli istituti bancari (che possono avvalersi di dipendenti, promotori, agenti etc.), mentre Poste Italiane può utilizzare agenti in attività finanziaria in relazione ai servizi di pagamento e alla concessione di finanziamenti, e dei promotori per quanto riguarda i servizi di investimento.
La lettera
c) del comma 1 intende sostituire il comma 2 dell'articolo 3 del
D.P.R. 144/2001,
In particolare si
dispone che la comunicazione ai
clienti delle variazioni contrattuali unilaterali sfavorevoli eventualmente
apportate ai tassi di interesse, ai prezzi o alle altre condizioni previsti nei
contratti a tempo indeterminato sia effettuata, in luogo della pubblicazione in
Gazzetta Ufficiale o avviso inviato ai correntisti, con le medesime garanzie e tutele previste dagli articoli 118 e 126-sexies del testo unico bancario in materia di contratti di durata e di
servizi di pagamento.
Ai sensi dell’articolo 118 del TUB (comma 2), qualunque modifica unilaterale delle condizioni contrattuali deve essere comunicata espressamente al cliente secondo modalità contenenti in modo evidenziato la formula: “Proposta di modifica unilaterale del contratto”, con preavviso minimo di due mesi, in forma scritta o mediante altro supporto durevole preventivamente accettato dal cliente. Nei rapporti al portatore la comunicazione è effettuata secondo le modalità stabilite dal CICR. La modifica si intende approvata ove il cliente non receda, senza spese, dal contratto entro la data prevista per la sua applicazione. In tale caso, in sede di liquidazione del rapporto, il cliente ha diritto all'applicazione delle condizioni precedentemente praticate.
Se il cliente non è un consumatore né una micro-impresa, nei contratti di durata essere inserite clausole, espressamente approvate dal cliente, che prevedano la possibilità di modificare i tassi di interesse al verificarsi di specifici eventi e condizioni, predeterminati nel contratto.
Le variazioni contrattuali per le quali non siano state osservate le prescrizioni del presente articolo sono inefficaci, se sfavorevoli per il cliente (comma 3)
Le variazioni dei tassi di interesse adottate in previsione o in conseguenza di decisioni di politica monetaria riguardano contestualmente sia i tassi debitori che quelli creditori, e si applicano con modalità tali da non recare pregiudizio al cliente.
L’articolo 126-sexies disciplina la modifica unilaterale del contratto quadro (o delle condizioni e informazioni a esso relative) in relazione alla prestazione di servizi di pagamento. Le modifiche sono proposte dal prestatore dei servizi di pagamento secondo le modalità stabilite dalla Banca d'Italia, con almeno due mesi di anticipo rispetto alla data di applicazione prevista.
Il contratto quadro può prevedere che la modifica delle condizioni contrattuali si ritiene accettata dall’utilizzatore a meno che questi non comunichi al prestatore dei servizi di pagamento, prima della data prevista per l’applicazione della modifica, che non intende accettarla. In questo caso, la comunicazione di cui al comma 1, contenente la proposta di modifica, specifica che in assenza di espresso rifiuto la proposta si intende accettata e che l’utilizzatore ha diritto di recedere senza spese prima della data prevista per l’applicazione della modifica.
Le modifiche dei tassi di interesse o di cambio possono essere applicate con effetto immediato e senza preavviso; tuttavia, se sono sfavorevoli per l’utilizzatore, è necessario che ciò sia previsto nel contratto quadro e che la modifica sia la conseguenza della variazione dei tassi di interesse o di cambio di riferimento convenuti nel contratto. L’utilizzatore è informato della modifica dei tassi di interesse nei casi e secondo le modalità stabilite dalla Banca d'Italia.
Infine, le modifiche dei tassi di interesse o di cambio utilizzati nelle operazioni di pagamento sono applicate e calcolate in una forma neutra tale da non creare discriminazioni tra utilizzatori, secondo quanto stabilito dalla Banca d'Italia.
La lettera d) del comma 1 dispone la
sostituzione dei commi 1 e 4 dell'articolo 4 del D.P.R. 144/2001 (che reca la
disciplina del bollettino di conto corrente postale), al fine di precisare che il bollettino possa essere emesso
anche in formato elettronico, in
luogo del solo formato cartaceo.
La lettera e) del comma 1 infine sostituisce il comma 1 dell'articolo 12 del D.P.R. 144/2001, al fine di precisare che, tra i servizi e le attività di investimento che Poste può svolgere nei confronti del pubblico vi è quello di collocamento di strumenti finanziari senza assunzione a fermo né assunzione di garanzia nei confronti dell'emittente, prevista dall'articolo 1, comma 5, lettera c-bis del testo unico finanza (D.Lgs. n. 58/1998).
Si rammenta preliminarmente che l’Autorità Garante per la Concorrenza e il Mercato, nella segnalazione inviata al Parlamento e al Governo ai sensi degli artt. 21 e 22 della legge 10 ottobre 1990, n. 287 (disciplina della concorrenza) relativa alle proposte di riforma concorrenziale ai fini della Legge annuale per il mercato e la concorrenza (anno 2013) ha segnalato alcune problematiche inerenti lo status giuridico ed economico di BancoPosta.
L’Antitrust infatti, per aumentare il grado di concorrenza nel settore bancario e di garantire maggior trasparenza nel settore postale tradizionale, ritiene necessaria la separazione societaria dell’attività di BancoPosta dalle attività postali tradizionali. A parere dell’Autorità, tale separazione societaria di BancoPosta da Poste Italiane (con la conseguente acquisizione di tutti i necessari requisiti di un operatore bancario) consentirebbe due rilevanti effetti pro-concorrenziali:
§ la nascita di una vera e propria banca in condizioni di competere come nuovo operatore sui mercati bancari tradizionali, assoggettato alle stesse regole di vigilanza e pienamente integrato a livello di sistema di pagamenti e interoperabilità delle reti;
§ la presenza di un operatore postale che, in quanto separato dall’attività bancaria, compete in modo più trasparente sul mercato dei servizi postali, con minori rischi di distorsione in termini di imputazione dei costi e uso della rete.
Attraverso una chiara collocazione delle risorse tra le due attività si eviterebbero i rischi di sussidi incrociati e di offerte economiche non replicabili perché basate su non chiare attribuzioni di costi comuni, creando altresì un contesto concorrenziale più ampio e meno esposto a condotte potenzialmente in violazione della legge n. 287/90.
Articolo 24-ter
(Modifiche TUB: obbligazioni degli
esponenti bancari)
L’articolo 24-ter, introdotto nel corso dell’esame in sede referente, mediante una modifica al D.Lgs. n. 385/1993 (TUB), consente all’organo di amministrazione di una banca di delegare l’approvazione delle operazioni assunte da esponenti bancari in potenziale conflitto di interessi.
Vengono abrogate le disposizioni che prevedono l’applicazione al gruppo bancario dei limiti al’acquisto di obbligazioni da parte degli esponenti della società.
L’articolo 136 del TUB, in tema di obbligazioni degli esponenti bancari, si colloca nell’ambito della disciplina del conflitto di interessi tra società e propri amministratori. La norma vigente stabilisce, infatti, che chi svolge funzioni di amministrazione, direzione e controllo presso una banca non può contrarre obbligazioni di qualsiasi natura o compiere atti di compravendita, direttamente od indirettamente, con la banca che amministra, dirige o controlla, se non previa deliberazione dell'organo di amministrazione presa all'unanimità e col voto favorevole di tutti i componenti dell'organo di controllo, fermi restando gli obblighi previsti dal codice civile in materia di interessi degli amministratori e di operazioni con parti correlate.
L’articolo 24-ter aggiunge alla fine del comma 1 dell’articolo 136 del TUB una
norma che prevede la facoltà del
consiglio di amministrazione di delegare l'approvazione delle operazioni assunte
da esponenti bancari in potenziale conflitto di interessi, nel rispetto delle modalità previste.
Si
osserva in proposito che la disposizione in commento non indica a quali organi
sociali o, più in generale, a quali soggetti sia delegato il potere di
approvazione delle operazioni assunte da esponenti bancari.
Sono soppressi, inoltre, i commi 2 e 2-bis dell’articolo 136, i quali prevedono l’applicazione della suddetta norma anche a chi svolge funzioni di amministrazione, direzione e controllo, presso una banca o società facenti parte di un gruppo bancario, per le obbligazioni e per gli atti posti in essere con la società medesima o per le operazioni di finanziamento poste in essere con altra società o con altra banca del gruppo. In tali casi l'obbligazione o l'atto sono deliberati, con le modalità previste dal comma 1, dagli organi della società o banca contraente e con l'assenso della capogruppo (comma 2).
Il comma 2-bis vigente stabilisce che rilevano anche le obbligazioni intercorrenti con società controllate dai soggetti previsti dai commi 1 e 2 presso le quali gli stessi soggetti svolgono funzioni di amministrazione, direzione o controllo, nonché con le società da queste controllate o che le controllano. Peraltro l’articolo 1, comma 8, del D.Lgs. n. 303 del 2006 ha specificato che tale disposizione non si applica alle obbligazioni contratte tra società appartenenti al medesimo gruppo bancario, ovvero tra banche, in relazione alle operazioni sul mercato interbancario.
Articolo 25
(Start-up innovativa e incubatore certificato:
finalità, definizione e pubblicità)
L’articolo 25, modificato dal Senato, introduce la definizione di start up innovativa e ne stabilisce i requisiti soggettivi e oggettivi tra cui: maggioranza del capitale detenuta da persona fisica, 20% della spesa destinato a R&S, infine, occupazione di ricercatori pari a un terzo del personale. Le misure previste dalla predetta sezione possono essere concesse anche a società costituite anteriormente, se rientranti nella definizione di start up innovativa. E’ disciplinata la specifica categoria della start-up a vocazione sociale caratterizzata per operare in via esclusiva in alcuni settori particolari, tra cui: assistenza sociale e sanitaria, educazione, istruzione e formazione, tutela dell’ambiente, valorizzazione del patrimonio culturale, turismo sociale e, infine, formazione universitaria e post-universitaria. Inoltre è disciplinata la definizione di incubatori certificati. Tali sono le società che offrono servizi per sostenere la nascita e lo sviluppo di start-up innovative. Presso le Camere di commercio, industria e artigianato, è istituita un’apposita sezione speciale del registro delle imprese per le start up innovative e per gli incubatori certificati. Infine sono previste forme di pubblicità delle informazioni inerenti la vita e l’attività delle start up e degli incubatori che operano nello speciale regime giuridico previsto dal decreto in esame.
Il comma 1, modificato dal Senato, enuncia le finalità della disciplina sulla impresa start-up, tra cui la crescita sostenibile, lo sviluppo tecnologico, la nuova imprenditorialità e l'occupazione, in particolare giovanile, considerando la stessa start up come modello imprenditoriale atto a veicolare l'innovazione all'interno di un sistema economico.
Il Consiglio dei Ministri dell’UE, sulla base del Programma Nazionale di Riforma 2012[201] - pubblicato in allegato al Documento di Economia e Finanza (DEF) del 2012 – ha rivolto all’Italia, per il periodo 2012-2013, invita a promuovere l’innovazione imprenditoriale anche utilizzando lo strumento delle start up.
Il comma 2, modificato dal Senato, prevede che per “start-up innovativa” si intenda una società di capitali non quotata, costituita anche in forma cooperativa, di diritto italiano, ovvero una Societas Europaea[202], residente in Italia ai sensi dell'articolo 73 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917[203], cioè soggetta a tassazione in Italia, che:
§ sia posseduta, al momento della costituzione e per i successivi 24 mesi, da persone fisiche che detengono la maggioranza delle quote o azioni;
§ sia in attività da non più di 48 mesi;
§ abbia sede principale dei propri affari e interessi in Italia;
§ a partire dal secondo anno di attività abbia un fatturato non superiore a 5 milioni di euro;
§ non distribuisca utili;
§ abbia per oggetto sociale esclusivo o prevalente lo sviluppo di prodotti o servizi innovativi, ad alto valore tecnologico;
§ non sia costituita da una fusione, scissione societaria o a seguito di cessione di azienda o di ramo di azienda;
Inoltre possegga almeno uno dei seguenti altri requisiti:
destini almeno il 20% della spesa ad attività qualificate di ricerca e sviluppo (prima della modifica del Senato erano pari al 30%); dal computo della percentuale sono escluse le spese per l'acquisto e la locazione di beni immobili. Sono da annoverarsi tra le spese in ricerca e sviluppo:le spese relative alla sperimentazione, prototipazione e sviluppo del business plan, ai servizi di incubazione forniti da incubatori certificati, i costi lordi di personale interno e consulenti esterni impiegati nelle attività di ricerca e sviluppo, inclusi soci ed amministratori, le spese legali per la registrazione e protezione di proprietà intellettuale, termini e licenze d’uso (parte aggiunta dal Senato);
abbia un terzo della forza lavoro costituito da personale qualificato in particolare in possesso di dottorato di ricerca, o dottorandi o laureati con attività almeno triennale di ricerca;
sia titolare, depositaria o licenziataria di almeno una privativa industriale relativa a una invenzione industriale (brevetti marchi, modelli, ecc.), biotecnologica, a una topografia di prodotto a semiconduttori o a una nuova varietà vegetale[204] direttamente afferenti all'oggetto sociale e all’attività d'impresa.
Si rileva, al riguardo, che taluni dei requisiti previsti sembrano
poter risultare di difficile applicazione nel caso di iniziativa
imprenditoriale che voglia assumere ab origine la veste di “start up” (per es.
la destinazione di una quota pari al 20% delle spese in attività di ricerca e
sviluppo può essere verificata esclusivamente ex post nel bilancio
consolidato).
Il comma 3, prevede che le società già costituite anteriormente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto in esame, possano esser considerate sturt up innovative subordinatamente al deposito presso il registro delle imprese, entro il termine di sessanta giorni, di una dichiarazione sottoscritta dal rappresentante legale il quale accerta il possesso dei requisiti previsti al comma 2. In dipendenza dell’anteriorità della costituzione della società, la disciplina speciale introdotta trova applicazione: per un periodo di quattro anni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, se la start-up innovativa è stata costituita entro i due anni precedenti; di tre anni, se è stata costituita entro i tre anni precedenti; di due anni, se è stata costituita entro i quattro anni precedenti.
Il comma 4 individuata la specifica categoria della start-up a vocazione sociale caratterizzata per operare in via esclusiva nei settori indicati all’articolo 2 comma 1 del decreto legislativo 24 marzo 2006, n. 155 (assistenza sociale, assistenza sanitaria, assistenza socio sanitaria, educazione istruzione e formazione, tutela dell’ambiente, valorizzazione del patrimonio culturale, turismo sociale, formazione universitaria e post-universitaria, servizi culturali, formazione extra-scolastica, servizi strumentali alle imprese sociali di enti composti al 70% da imprese sociali).
Il comma 5, modificato dal Senato, prevede che per “incubatori certificati” si intenda una società di capitali, costituita anche in forma cooperativa, di diritto italiano, ovvero una Societas Europaea, residente in Italia ai sensi dell'articolo 73 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, cioè soggetta a tassazione in Italia, che offra servizi per sostenere la nascita e lo sviluppo di start-up innovative e che sia in possesso dei seguenti requisiti:
§ disponga di strutture, anche immobiliari, adeguate ad accogliere start-up innovative, quali spazi riservati per poter installare attrezzature di prova, test, verifica o ricerca;
§ disponga di attrezzature adeguate all'attività delle predette start-up innovative, quali sistemi di accesso in banda ultralarga (come specificato dal Senato) alla rete internet, sale riunioni, macchinari per test, prove o prototipi;
§ sia amministrata o diretta da persone di riconosciuta competenza in materia di impresa e innovazione e che hanno a disposizione una struttura tecnica e di consulenza manageriale permanente;
§ abbia regolari rapporti di collaborazione con università, centri di ricerca, istituzioni pubbliche e partner finanziari che svolgono attività e progetti collegati a start-up innovative;
§ abbia adeguata e comprovata esperienza nell'attività di sostegno a start-up innovative.
La relazione illustrativa precisa che l’incubatore è il soggetto che spesso accompagna il processo di avvio e di crescita della start up, soprattutto nella fase che va dal concepimento dell’idea imprenditoriale fino ai primi anni di vita, e, inoltre, lavora al suo sviluppo formando e affiancando i fondatori sui temi salienti della gestione.
I commi 6 e 7 prevedono che, ai fini dell’iscrizione nel registro delle imprese, l’incubatore, tramite il rappresentante legale, sia obbligato ad autocertificare i requisiti previsti dal comma 5 sulla base di indicatori e valori minimi che saranno definiti successivamente con decreto del Ministero dello sviluppo economico. Per il requisito relativo alla comprovata esperienza nell’attività di sostegno alla start up [comma 5, lettera e)], gli indicatori sono forniti direttamente dalla norma in esame e sono riferiti al:
§ numero di candidature di progetti di costituzione e/o incubazione di start-up innovative ricevute e valutate nel corso dell'anno;
§ numero di start-up innovative avviate e ospitate nell'anno;
§ numero di start-up innovative uscite nell'anno;
§ numero complessivo di collaboratori e personale ospitato;
§ percentuale di variazione del numero complessivo degli occupati rispetto all'anno, precedente;
§ tasso di crescita media del valore della produzione delle start-up innovative incubate;
§ capitale di rischio ovvero finanziamenti, messi a disposizione dall’Unione europea, dallo Stato e dalle Regioni, raccolti a favore delle start-up innovative incubate;
§ numero di brevetti registrati dalle start-up innovative incubate, tenendo conto del relativo settore merceologico di appartenenza.
Il comma 8 prevede, inoltre, l’istituzione, da parte delle CCIAA, di una apposita sezione speciale del registro delle imprese (articolo 2188 c.c.) stabilendo per le start-up innovative e per gli incubatori certificati l’obbligo di iscrizione e di aggiornamento, pena la decadenza dai benefici della disciplina introdotta dal decreto in esame.
La relazione illustrativa precisa che l’istituzione di una apposita sezione risponde alla logica di maggior trasparenza delle informazioni inerenti la vita e l’attività delle start up e degli incubatori, garantita con la pubblicità delle notizie relative alle imprese che godono dello speciale regime giuridico previsto dal decreto in esame.
Il comma 9 prevede che, ai fini dell’iscrizione a tale sezione, la sussistenza dei requisiti, sia per la start up che per l’incubatore, debba essere attestata con apposita autocertificazione da parte del legale rappresentante, depositata presso l’ufficio del registro delle imprese.
Il comma 10 dispone che l’iscrizione all’apposita sezione del registro delle imprese consente la condivisione - nel rispetto della normativa sulla tutela dei dati personali[205] - di una serie di informazioni, tra cui, per le start up quelle relative ai dati anagrafici, all’attività svolta, ai soci fondatori e agli altri collaboratori, al bilancio, ai rapporti con gli altri attori della filiera quali incubatori o investitori; mentre per gli incubatori quelle relative ai dati anagrafici, all’attività svolta, al bilancio, nonché ai requisiti di cui al comma 5.
Il comma 11 prevede che le informazioni di cui al comma 12 e13 saranno rese disponibili secondo modalità operative improntate alla massima trasparenza e accessibilità (con loro elaborazione e ripubblicazione gratuita da parte di soggetti terzi). Inoltre è previsto che le start-up e gli incubatori assicurino l'accesso informatico alle suddette informazioni dalla home page del proprio sito Internet tratta, quindi, di una directory pubblica on line che permette un’osservazione diffusa sul numero di start up, sulle iniziative intraprese dalle stesse e sul loro ciclo di vita.
I commi 12 e 13 prevedono che l’iscrizione alla sezione del registro avviene a seguito della compilazione e presentazione della domanda in formato elettronico, corredata da alcune informazioni.
Per la start up le informazioni sono:
§ data e luogo di costituzione, nome e indirizzo del notaio;
§ sede principale ed eventuali sedi periferiche;
§ oggetto sociale;
§ breve descrizione dell'attivita' svolta, comprese l'attivita' e le spese in ricerca e sviluppo;
§ elenco dei soci, con trasparenza rispetto a fiduciarie, holding, con autocertificazione di veridicita';
§ elenco delle societa' partecipate;
§ indicazione dei titoli di studio e delle esperienze professionali dei soci e del personale che lavora nella start-up innovativa, esclusi eventuali dati sensibili;
§ indicazione dell'esistenza di relazioni professionali, di collaborazione o commerciali con incubatori certificati, investitori istituzionali e professionali, universita' e centri di ricerca;
§ ultimo bilancio depositato, nello standard XBRL;
§ elenco dei diritti di privativa su proprieta' industriale e intellettuale.
Mentre per l’incubatore sono:
§ data e luogo di costituzione, nome e indirizzo del notaio;
§ sede principale ed eventuali sedi periferiche;
§ oggetto sociale;
§ breve descrizione dell'attivita' svolta;
§ elenco delle strutture e attrezzature disponibili per lo svolgimento della propria attivita';
§ indicazione delle esperienze professionali del personale che amministra e dirige l'incubatore certificato, esclusi eventuali dati sensibili;
§ indicazione dell'esistenza di collaborazioni con universita' e centri di ricerca, istituzioni pubbliche e partner finanziari;
§ indicazione dell'esperienza acquisita nell'attivita' di sostegno a start-up innovative.
Il comma 14 dispone l'aggiornamento periodico di tali informazioni, con cadenza non superiore ai sei mesi.
Il comma 15, prevede in capo al rappresentante legale della start up e dell’incubatore, di depositare presso l’ufficio del registro delle imprese la dichiarazione che attesti il mantenimento del possesso dei requisiti previsti dal presente articolo (commi 2 e 5). Tale obbligo deve esser formalizzato entro 30 giorni dall’approvazione del bilancio e comunque entro sei mesi dalla chiusura di ciascun esercizio.
Il comma 16 stabilisce che il conservatore
del registro procede alla cancellazione d’ufficio (articolo 3 del D.P.R.
247/2004)[206] dalla sezione speciale del Registro delle
imprese entro 60 giorni dalla perdita dei requisiti di cui ai commi 2 e 5 e al
mancato deposito della dichiarazione di cui al comma 15.
Il comma 17 prevede la clausola di invarianza finanziaria.
La relazione tecnica allegata all’A.S. 3533 precisa che le CCIAA provvedono alle predette attività nell’ambito delle risorse finanziarie, umane e strumentali disponibili a legislazione vigente, trattandosi di funzioni che rientrano nelle loro competenze istituzionali.
Articolo 26
(Deroga al diritto societario e riduzione
degli oneri per l’avvio)
L’articolo 26 reca norme volte a semplificare alcune procedure per le imprese start-up innovative in materia di reintegro delle perdite, diritti attribuiti ai soci, disapplicazione della disciplina delle società di comodo e in perdita sistemica, offerta al pubblico, divieto di operazioni sulle proprie partecipazioni, emissione di strumenti finanziari forniti di diritti patrimoniali o di diritti amministrativi, nonché l’esonero dal versamento di alcuni diritti di bollo e di segreteria.
In dettaglio, il comma 1 disciplina l’estensione di dodici mesi del periodo di c.d. “rinvio a nuovo” delle perdite (dalla chiusura dell’esercizio successivo alla chiusura del secondo esercizio successivo), così da consentire alla impresa start-up innovativa di completare l’avvio e di rientrare fisiologicamente dalle perdite maturate nelle primissime fasi.
Si ricorda che ai sensi dell’articolo 2446 del codice civile, quando risulta che il capitale di una società a responsabilità limitata è diminuito di oltre un terzo in conseguenza di perdite, gli amministratori o il consiglio di gestione, e nel caso di loro inerzia il collegio sindacale ovvero il consiglio di sorveglianza, devono senza indugio convocare l'assemblea per gli opportuni provvedimenti. All'assemblea deve essere sottoposta una relazione sulla situazione patrimoniale della società, con le osservazioni del collegio sindacale o del comitato per il controllo sulla gestione. Se entro l'esercizio successivo la perdita non risulta diminuita a meno di un terzo, l'assemblea ordinaria o il consiglio di sorveglianza che approva il bilancio di tale esercizio deve ridurre il capitale in proporzione delle perdite accertate. Analoghe previsioni sono contenute all’articolo 2482-bis per le società di capitali.
Nei casi di riduzione al di sotto del minimo legale (articolo 2447 del codice civile per le Spa e 2482-ter per le srl), si consente anche il differimento della decisione sulla ricapitalizzazione entro la chiusura dell’esercizio successivo; pertanto fino a tale data non opera la causa di scioglimento della società per riduzione o perdita del capitale sociale (ai sensi degli articoli di cui agli articoli 2484, primo comma, punto n. 4), e 2545-duodecies del codice civile); se però entro l’esercizio successivo il capitale non risulta reintegrato al di sopra del minimo legale, l’assemblea che approva il bilancio di tale esercizio deve deliberare ai sensi della disciplina codicistica.
I commi 2 e 3 estendono anche alle imprese start-up innovative costituite in forma di S.r.l. - in deroga all’articolo 2468, commi secondo e terzo, e 2479, comma 5, del codice civile - la libera determinazione dei diritti attribuiti ai soci, attraverso la creazione di categorie di quote anche prive di diritti di voto o con diritti di voto non proporzionali alla partecipazione ovvero diritti di voto limitati a particolari argomenti o subordinati al verificarsi di particolari condizioni non meramente potestative. Si tratta di istituti previsti in via ordinaria per le s.p.a., ma la cui estensione qui risponde alla ratio di consentire una diversificazione delle opzioni di investimento per gli investitori interessati ad entrare nel capitale della impresa start-up innovativa, favorendone la crescita.
Si ricorda che l'articolo 2468, commi secondo e terzo, del codice civile, dispone che i diritti sociali spettano ai soci in misura proporzionale alla partecipazione da ciascuno posseduta. Se l'atto costitutivo non prevede diversamente, le partecipazioni dei soci sono determinate in misura proporzionale al conferimento. Resta salva la possibilità che l'atto costitutivo preveda l'attribuzione a singoli soci di particolari diritti riguardanti l'amministrazione della società o la distribuzione degli utili.
L’articolo 2479, quinto comma, stabilisce, inoltre che ogni socio ha diritto di partecipare alle decisioni dei soci (quali, ad esempio, l'approvazione del bilancio e la distribuzione degli utili; la nomina degli amministratori, dei sindaci e del presidente del collegio sindacale o del revisore; le modificazioni dell'atto costitutivo; la decisione di compiere operazioni che comportano una sostanziale modificazione dell'oggetto sociale) ed il suo voto vale in misura proporzionale alla sua partecipazione.
Il comma 4 prevede per la start-up innovativa la disapplicazione della disciplina in materia di società di comodo e in perdita sistemica, di cui all’articolo 30 della legge 23 dicembre 1994, n. 724 e all’articolo 2, commi da 36-decies a 36-duodecies del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138.
In estrema sintesi, si ricorda che per società non operative (ovvero “società di comodo”) si intendono quelle che non sono preposte a svolgere un’attività economica o commerciale, ma soltanto a gestire un patrimonio mobiliare o immobiliare. L’ordinamento tributario prevede una disciplina di contrasto di tali società, volta ad evitarne l’utilizzo a fini antielusivi. La disciplina delle società di comodo è recata dall’articolo 30 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, ai sensi del quale le società con stabile organizzazione nel territorio dello Stato, si considerano, salvo prova contraria, non operativi se l’ammontare complessivo dei ricavi, degli incrementi delle rimanenze e dei proventi, esclusi quelli straordinari, risultanti dal conto economico, ove prescritto, è inferiore alla somma degli importi che risultano applicando una serie di percentuali.
Da ultimo, i commi da 36-quinquies a 36-duodecies dell’articolo 2 del decreto-legge n. 138 del 2011 sono intervenuti in materia di società di comodo disponendo, da una parte, una maggiorazione di 10,5 punti percentuali sull'imposta sul reddito delle società (IRES) e, dall’altra, estendendo l’applicazione della maggiorazione alle società che presentano dichiarazioni in perdita fiscale per tre periodi d'imposta consecutivi.
Il comma 5 deroga al regime ordinario che vieta l’offerta al pubblico, ammettendo quindi che le quote di partecipazione in Start-up innovative costituite in forma di S.r.l. possano essere oggetto di offerta al pubblico di prodotti finanziari nei limiti previsti dalle leggi speciali (incluso attraverso l’impiego di funding portal).
La relazione illustrativa lo ricollega all’obiettivo di facilitare l’accesso al capitale per le imprese start-up innovative, indipendentemente dalla forma giuridica prescelta: secondo la relazione, il divieto di far ricorso al pubblico risparmio costituisce un forte limite allo sviluppo di start-up che non dispongono, nella loro fase iniziale, di una dotazione di capitale sufficiente per costituirsi in forma di S.p.A. (capitale minimo pari a 120.000 Euro), o che intendono crescere senza doversi necessariamente trasformare in S.p.A. Inoltre, il finanziamento delle start-up attraverso capitale di rischio contribuirebbe a contrastare il cronico problema della sottocapitalizzazione delle imprese italiane e a ridurre la strutturale dipendenza dal finanziamento bancario attraverso una benefica diversificazione delle fonti di approvvigionamento del capitale.
Il comma 6 opera una deroga al divieto assoluto di operazioni sulle proprie partecipazioni (stabilito dall’art. 2474 del codice civile) qualora l’operazione sia effettuata dall’impresa start-up innovativa costituita in forma di S.r.l. in attuazione di piani di incentivazione che prevedano l’assegnazione di quote di partecipazione a dipendenti, collaboratori, componenti dell’organo amministrativo o prestatori di opere o servizi, anche professionali.
In parziale sovrapposizione col principio della libera determinazione dei diritti attribuiti ai soci, già affermato ai commi 2 e 3, il comma 7 estende all’impresa start-up innovativa e agli incubatori certificati anche l'istituto, ammesso nelle S.p.A., dell’emissione di strumenti finanziari forniti di diritti patrimoniali o anche di diritti amministrativi, escluso il voto nelle decisioni dei soci: ciò a seguito dell’apporto da parte dei soci o di terzi anche di opera o servizi, trattandosi di strumenti partecipativi (non imputati a capitale) volti a consentire la diffusione di pratiche di work-for-equity attraverso l’assegnazione di strumenti finanziari.
Il comma 8 stabilisce l’esonero dal versamento dei diritti di bollo e di segreteria dovuti agli adempimenti per l’iscrizione al Registro delle Imprese, nonché del pagamento del diritto annuale dovuto in favore delle Camere di commercio (ai sensi dell'articolo 18 della legge 29 dicembre 1993, n. 580).
L’esenzione è dipendente dal mantenimento dei requisiti previsti dalla legge per l’acquisizione della qualifica di start-up innovativa e di incubatore certificato e dura comunque non oltre il quarto anno di iscrizione.
Articolo 27
(Remunerazione con strumenti finanziari
della start-up innovativa e dell’incubatore certificato)
L'articolo 27 introduce agevolazioni
fiscali in favore di alcuni soggetti che intrattengono rapporti, a diverso
titolo, con start-up innovative e incubatori
certificati.
In primo luogo, è previsto un regime vantaggioso per gli amministratori, i dipendenti e i collaboratori delle imprese qualificate come start-up innovative e dei cd. “incubatori certificati”. Per tali soggetti, non concorre a formare l’imponibile a fini fiscali e contributivi quella parte di reddito di lavoro che deriva dall'attribuzione di azioni, quote, strumenti finanziari partecipativi o diritti (anche di opzione).
Viene poi precisato il regime fiscale applicabile alle azioni, alle quote e agli strumenti finanziari partecipativi emessi a titolo di corrispettivo per l’apporto di opere e servizi in favore di start-up innovative o di incubatori certificati; fermo restando che i predetti strumenti finanziari – secondo le regole generali - non sono sottoposti a tassazione in capo al soggetto apportante, nel caso delle start-up e degli incubatori detti strumenti non concorrono a formare l’imponibile fiscale anche se emessi a fronte di crediti maturati per la prestazione di opere e servizi, ivi inclusi quelli professionali.
La norma introduce pertanto un regime fiscale e contributivo di favore per i piani di incentivazione basati sull’assegnazione di strumenti finanziari, al fine di dotare le start-up innovative e gli incubatori certificati di uno strumento di fidelizzazione e incentivazione del management.
La definizione di “start-up innovative” e di “incubatori certificati” è recata dall’articolo 25 del decreto in esame, alla cui scheda di lettura si rinvia per approfondimenti.
In particolare (comma 2 dell’articolo 25), per “start-up” si intendono le società di capitali non quotate e residenti o soggette a tassazione in Italia, che:
§ sono detenute direttamente e almeno al 51 per cento da persone fisiche;
§ sono in attività da non più di 48 mesi;
§ hanno sede principale dei propri affari e interessi in Italia;
§ hanno un fatturato non superiore a 5 milioni di euro;
§ non distribuiscono utili;
§ hanno per oggetto sociale lo sviluppo di prodotti o servizi innovativi, ad alto valore tecnologico;
§ non sono costituite da una fusione, scissione societaria o a seguito di cessione di azienda o di ramo di azienda;
§ destinano almeno il 30% della spesa ad attività qualificate di ricerca e sviluppo;
§ hanno un terzo della forza lavoro costituito da personale con dottorato di ricerca, o dottorandi o laureati con attività almeno triennale di ricerca;
§ sono titolari o licenziatarie di almeno una privativa industriale relativa a una invenzione industriale, biotecnologica, a una topografia di prodotto a semiconduttori o a una nuova varietà vegetale direttamente afferenti all'oggetto sociale e all’attività d'impresa.
Per “incubatori certificati” si intendono (comma 5 dell’articolo 25) le società di capitali (nel silenzio della norma, anche quotate), residenti e soggette a tassazione in Italia che offrono servizi per sostenere la nascita e lo sviluppo di start-up innovative e sono in possesso dei seguenti requisiti:
§ dispongono di strutture, anche immobiliari, adeguate ad accogliere start-up innovative, quali spazi riservati per poter installare attrezzature di prova, test, verifica o ricerca;
§ dispongono di attrezzature adeguate all'attività delle predette start-up innovative, quali sistemi di accesso alla rete internet, sale riunioni, macchinari per test, prove o prototipi;
§ sono amministrate o dirette da persone di riconosciuta competenza in materia di impresa e innovazione e hanno a disposizione una struttura tecnica e di consulenza manageriale permanente;
§ hanno regolari rapporti di collaborazione con università, centri di ricerca, istituzioni pubbliche e partner finanziari che svolgono attività e progetti collegati a start-up innovative;
§ hanno adeguata e comprovata esperienza nell'attività di sostegno a start-up innovative.
Nel dettaglio, il comma 1 esenta da imposizione fiscale e da oneri contributivi parte del reddito di lavoro derivante agli amministratori, ai dipendenti e ai collaboratori continuativi di start-up o di incubatori certificati.
Non concorre quindi alla formazione dell’imponibile fiscale e contributivo il reddito di lavoro derivante dall’attribuzione a tali soggetti di strumenti finanziari o di ogni altro diritto o incentivo che preveda l'attribuzione di strumenti finanziari o diritti similari, nonché dall'esercizio di diritti di opzione attribuiti per l'acquisto di tali strumenti finanziari.
Come specifica il comma 2 dell’articolo in esame, tale agevolazione opera con riferimento all'attribuzione di azioni, quote, strumenti finanziari partecipativi o diritti emessi dalla start-up innovativa e dall'incubatore certificato con la quale i soggetti suddetti intrattengono il proprio rapporto di lavoro, nonché di quelli emessi da società direttamente controllate da una start-up innovativa o da un incubatore certificato.
Il citato comma 1 prevede specifiche condizioni per fruire dell'agevolazione (come precisa al riguardo la relazione illustrativa, allo scopo di evitare l’utilizzo dell’esenzione a fini meramente elusivi), è tuttavia necessario che detti strumenti finanziari o diritti assegnati non siano riacquistati:
§ né dalla start-up innovativa o dall’incubatore certificato con cui gli amministratori, i dipendenti e i collaboratori intrattengono il proprio rapporto di lavoro o collaborazione;
§ né dalla società emittente (se diversa dalla start-up innovativa o dall’incubatore certificato);
§ né dai soggetti che direttamente controllano o sono controllati da tale start-up innovativa o incubatore certificato e dai soggetti controllati dallo stesso soggetto che controlla la start-up innovativa o incubatore certificato.
Qualora gli strumenti finanziari e i diritti vengano ceduti non rispettando la suddetta condizione, si prevede che il loro valore - non tassato al momento dell’assegnazione o dell’esercizio del relativo diritto - sia assoggettato a tassazione quale reddito di lavoro nel periodo di imposta in cui avviene la cessione.
Secondo quanto specificato dalla relazione, a tale fine rileverà il valore degli strumenti finanziari e diritti al momento dell’assegnazione o dell’esercizio e non il diverso valore che tali strumenti finanziari e diritti avevano al momento della cessione.
Possono fruire dell'agevolazione:
§ gli amministratori della start-up innovativa e dell’incubatore certificato;
§ i lavoratori dipendenti di tali soggetti (nel silenzio della norma in esame, sembrano doversi includere anche quelli a tempo determinato o part-time, non essendo previste specificazioni);
§ i collaboratori continuativi.
Si tratta - secondo quanto specificato dalla relazione - di quei soggetti, ivi inclusi i lavoratori a progetto, il cui reddito viene normalmente qualificato come reddito assimilato a quello di lavoro dipendente ai fini fiscali.
La medesima relazione ritiene che l’agevolazione riguardi tutti gli incentivi attribuiti mediante l’assegnazione di diritti e strumenti finanziari aventi la già commentate caratteristiche; in tali contesti sono da ritenersi inclusi i cd. “piani di incentivazione” che operano mediante diretta assegnazione di strumenti finanziari, attribuzione di opzioni di sottoscrizione o acquisto di strumenti finanziari o promessa di assegnazioni future di strumenti finanziari.
Come già specificato sopra, gli strumenti finanziari e diritti che non concorrono alla formazione del reddito a fini fiscali e contributivi ricomprendono tutti gli incentivi attribuiti mediante assegnazione di azioni, quote, strumenti finanziari partecipativi o diritti emessi dalle start-up innovative e dagli incubatori certificati.
L'agevolazione trova applicazione con riferimento ai soli strumenti finanziari e diritti attribuiti e assegnati ovvero ai diritti di opzione attribuiti e esercitati successivamente alla data di conversione in legge del decreto in esame (comma 3).
Il comma 4 reca il regime fiscale dell’apporto di opere e di servizi resi in favore di start-up innovative o di incubatori certificati.
In particolare, si
precisa non concorrono a formare l’imponibile fiscale le azioni, le quote e gli
strumenti finanziari partecipativi emessi a titolo di corrispettivo per
l’apporto di opere e servizi in favore di start-up
innovative o di incubatori certificati, ovvero a fronte di crediti maturati per
la prestazione di opere e servizi, ivi
inclusi quelli professionali.
Azioni, quote e strumenti finanziari relativi non concorrono pertanto alla formazione del reddito complessivo del soggetto che effettua l'apporto (anche in deroga all'articolo 9 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi, TUIR - D.P.R. n. 917 del 1986, che reca le modalità di determinazione dei redditi e delle perdite), al momento della loro emissione o al momento in cui è operata la compensazione che tiene luogo del pagamento.
L’Agenzia delle Entrate (circolare n. 10 del 2005 e risoluzione n. 138 del 2005) ha chiarito in passato il regime fiscale degli apporti di opere e servizi in una società, a fronte dell'emissione di speciali strumenti finanziari (privi del diritto di voto in assemblea, ai sensi dell'articolo 2346, sesto comma, del Codice civile). In particolare, l'Agenzia delle Entrate ha ravvisato la non tassabilità in capo all'apportante, al momento dell'apporto delle opere e servizi alla società emittente lo strumento finanziario. L’Agenzia ha fondato tale affermazione sia sulla lettera del citato articolo 9 del TUIR il quale, al comma 2, disciplina le modalità di tassazione dell’apporto di "beni" e "crediti"; sia sulla ratio legis sottostante, che consiste nell’evitare “salti d'imposta” che rischierebbero di verificarsi ove fosse riconosciuto, alla società conferitaria, un maggiore valore fiscale derivante dall’apporto. La mancanza di tale rischio non discende da ragioni di carattere fiscale, ma dal divieto - posto dalla disciplina europea - di imputare a capitale le opere e servizi apportati in società per azioni. Dunque, in carenza di un elemento dell’attivo patrimoniale che andrebbe a costituirsi a seguito dell'apporto, e su cui la società emittente potrebbe in futuro avanzare pretese di deducibilità di costi, spese o perdite, il rischio del salto d'imposta è scongiurato e gli interessi erariali sono garantiti.
La norma in esame consente alle start-up innovative e agli incubatori certificati di accedere a servizi di consulenza altamente qualificati, ivi compresi quelli professionali, codificando il regime di non imponibilità degli apporti di opere e servizi già contemplata dall'Agenzia delle entrate e estendendolo anche all'ipotesi in cui gli apporti abbiano ad oggetto crediti maturati.
Tali apporti sarebbero pertanto esenti da imposizione, non assumendo rilevanza fiscale in capo ai soggetti che li effettuano né al momento dell'ultimazione dell'opera o del servizio né al momento della emissione delle azioni, quote ovvero degli strumenti finanziari.
Ai sensi del comma 5, ove tali strumenti vengano successivamente ceduti a titolo oneroso, si precisa che resta fermo in ogni caso il regime fiscale ordinario applicabile alle plusvalenze realizzate mediante la cessione medesima(comma 5).
Per completezza si ricorda che ulteriori agevolazioni fiscali sono previste dall’articolo 29 del D.L. in esame (sotto forma di detrazioni e deduzioni) per quanto concerne gli investimenti nel capitale sociale di imprese start-up innovative. Si rinvia alla scheda di lettura per ulteriori approfondimenti.
Articolo 27-bis
(Misure
di semplificazione per l’accesso alle agevolazioni per le assunzioni di
personale nelle start-up innovative e negli incubatori certificati)
L’articolo 27-bis prevede l’applicazione del credito di imposta per le nuove assunzioni di profili altamente qualificati - previsto dall’articolo 24 del D.L. n. 83/2012 - alle start-up innovative e agli incubatori certificati come definite, rispettivamente, dai commi 2 e 5 del precedente articolo 25 (cfr. infra) secondo modalità semplificate.
In particolare:
a) il credito d’imposta è concesso al personale altamente qualificato assunto a tempo indeterminato, compreso quello assunto attraverso i contratti di apprendistato. Ai fini della concessione del credito d’imposta, non si applicano le disposizioni di cui ai commi 8, 9 e 10 del citato articolo 24;
I controlli, secondo quanto disposto dai richiamati commi 8 e 9, avvengono sulla base di apposita documentazione contabile certificata da un revisore iscritto nel registro dei revisori dei conti o dal collegio sindacale. La certificazione viene allegata al bilancio. Le imprese non soggette a revisione contabile e prive di collegio sindacale devono avvalersi per la certificazione delle spese di un consulente tecnico indipendente (che non abbia avuto nei tre anni precedenti un rapporto di collaborazione o dipendenza con l’impresa) e iscritto al registro dei revisori contabili. La spesa sostenuta per la certificazione contabile è ammessa a contributo nel limite di 5.000 euro.
Nel caso di colpa grave nell'esecuzione degli atti di certificazione al revisore si applicano le sanzioni previste dall'articolo 64 del codice di procedura civile: il consulente tecnico che incorre in colpa grave nell'esecuzione degli atti che gli sono richiesti, è punito con l'arresto fino a un anno o con la ammenda fino a euro 10.329. Si applica inoltre la sospensione dall’esercizio della professione (ai sensi dell'articolo 35 del codice penale). In ogni caso è dovuto il risarcimento dei danni causati alle parti.
b) il credito d’imposta è concesso alle start-up innovative e agli incubatori certificati in via prioritaria rispetto alle altre imprese, fatta salva la quota (2 milioni per il 2012 e 3 milioni annui a decorrere dal 2013) riservata dal comma 13-bis del predetto articolo 24 in favore delle assunzioni in oggetto da parte di imprese che abbiano la sede o unità locali nei territori dei comuni delle province di Bologna, Modena, Ferrara, Mantova, Reggio Emilia e Rovigo, interessati dagli eventi sismici dei giorni 20 e 29 maggio 2012.
L’istanza per fruire del contributo, prevista dal comma 6 del medesimo articolo, è redatta in forma semplificata secondo le modalità stabilite con il decreto applicativo previsto dal successivo comma 11 (che alla data odierna non risulta ancora emanato).
L’articolo 24 del D.L. n. 83 istituisce un contributo, in forma di credito d'imposta, in favore di tutte le imprese che effettuino nuove assunzioni a tempo indeterminato di soggetti con profili "altamente qualificati". Il credito d'imposta è pari al 35% del costo aziendale sostenuto per l'assunzione; l'importo del credito non può superare i 200.000 euro annui (per impresa).
Il nuovo personale deve costituire un incremento rispetto al numero complessivo dei dipendenti del periodo di imposta precedente. Inoltre, i nuovi posti di lavoro devono essere conservati per almeno tre anni (due anni, nel caso di PMI).
Sono destinati alla misura 25 milioni di euro per il 2012 e 50 milioni annui a decorrere dal 2013, rinvenienti dalle risorse che provengono annualmente dalla riscossione delle tasse sui diritti brevettali.
In dettaglio, i commi 1 e 1-bis prevedono che il credito d'imposta del 35%, con un limite massimo di 200.000 euro annui per impresa, sia riservato alle assunzioni relative a:
1) dottori di ricerca con titolo conseguito presso una università italiana o estera se riconosciuta equipollente in base alla legislazione vigente in materia;
2) in possesso di una laurea magistrale in discipline di ambito tecnico o scientifico, impiegato nelle attività di ricerca e sviluppo specificatamente descritte nel successivo comma 3.
Possono usufruire dell’agevolazione tutte le imprese, indipendentemente dalla forma giuridica, dalle dimensioni aziendali, dal settore economico in cui operano e dal regime contabile adottato.
Il credito d’imposta (comma 2) deve essere indicato nella relativa dichiarazione dei redditi e non concorre alla formazione della base imponibile ai fini delle imposte sul reddito e dell’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP). Il credito d’imposta non rileva, inoltre, ai fini della determinazione della percentuale di deducibilità degli interessi passivi, di cui all’articolo 61 del TUIR, né rispetto ai criteri di inerenza per la deducibilità delle spese, di cui all’articolo 109, comma 5, del medesimo TUIR.
Il credito d’imposta è utilizzabile esclusivamente in compensazione, secondo le norme generali in materia di compensazione dei crediti tributari dettate dall'articolo 17 del D.Lgs. n. 241 del 1997.
Per fruire del contributo, le imprese presentano un'istanza al Ministero dello sviluppo economico, secondo le modalità definite con decreto del Ministro dello sviluppo economico, da emanarsi, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, entro 60 giorni dall’entrata in vigore del decreto-legge in esame (commi 6 e 11). Il credito d'imposta è concesso, da parte del Ministero dello sviluppo economico, nel rispetto dei limiti di risorse di cui ai commi 12, 13 e 13- bis.
Al riguardo la relazione illustrativa al disegno di legge di conversione (A.C. 5312) anticipava che l’istanza sarà di tipo telematico: sarà costituita, infatti, un'apposita piattaforma informatica per la ricezione e la gestione delle istanze telematiche presentate dalle imprese e per il monitoraggio sia economico in riferimento all'agevolazione, sia tecnico scientifico per analizzare l'orientamento degli investimenti in ricerca e sviluppo.
Il comma 5 prevede che per la gestione del credito di imposta in esame, il Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, potrà avvalersi, sulla base di apposita convenzione, di società in house ovvero di società o enti in possesso dei necessari requisiti tecnici, organizzativi e di terzietà scelti, sulla base di un'apposita gara, secondo le modalità e le procedure previste dal Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. n. 163 del 2006).
Il diritto a fruire del credito d'imposta decade al verificarsi delle seguenti condizioni:
a) se il numero complessivo dei dipendenti, è
inferiore o pari a quello indicato nel bilancio presentato nel periodo di
imposta precedente all'applicazione del presente beneficio fiscale; deve,
pertanto, trattarsi di assunzioni
aggiuntive;
b) se i posti di lavoro creati non sono conservati per un periodo minimo di tre anni, ovvero di due anni nel caso delle piccole e medie imprese;
b-bis) qualora l'impresa beneficiaria trasferisca, in tutto o in parte, le attività produttive in un Paese non appartenente all’Unione europea, con un effetto di riduzione di quelle ubicate in Italia, nei tre anni successivi al periodo di imposta in cui abbia fruito dell'incentivo. Tale fattispecie è stata inserita nel corso dell’esame parlamentare;
c) nei casi in cui vengano definitivamente accertate violazioni non formali, sia alla normativa fiscale che a quella contributiva in materia di lavoro dipendente per le quali sono state irrogate sanzioni di importo non inferiore a euro 5.000, oppure violazioni alla normativa sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori previste dalle vigenti disposizioni, nonché nei casi in cui siano emanati provvedimenti definitivi della magistratura contro il datore di lavoro per condotta antisindacale.
Qualora sia accertata l'indebita fruizione, anche parziale, del contributo, il Ministero dello sviluppo economico procede al recupero del relativo importo, maggiorato di interessi e sanzioni secondo legge.
Articolo 28
(Disposizioni in materia di rapporto di
lavoro subordinato
per le società start-up innovative)
L'articolo 28 reca alcune norme relative ai rapporti di lavoro subordinato a termine e di somministrazione per le società start-up innovative (di seguito start-up), così come definite nel precedente articolo 25, comma 2, introducendo una disciplina speciale rispetto alla normativa generale vigente in materia.
In particolare, le disposizioni in esame trovano applicazione, ai sensi del comma 1, per il periodo di 4 anni dalla data di costituzione della società, oppure, per le società già costituite, per il limitato periodo determinato dallo stesso comma 2.
Si segnala, sotto il profilo della tecnica legislativa, che le
disposizioni concernenti le società già costituite alla data di conversione in
legge del decreto-legge in esame sono contenute nel comma 3 dell’articolo 25,
il quale prevede che la disciplina in oggetto trovi applicazione: per un
periodo di 4 anni dalla data di entrata in vigore del provvedimento, se la
società è stata costituita entro i 2 anni precedenti, di 3 anni, se è stata
costituita entro i 3 anni precedenti; di 2 anni, se è stata costituita entro i
4 anni precedenti.
Più specificamente:
§ i commi da 2 a 6 ed il comma 9 recano una specifica disciplina per le assunzioni effettuate da parte delle start-up con contratti a tempo determinato, anche in somministrazione, come specificato nel corso dell’esame al Senato;
§ i commi 7 ed 8 concernono la retribuzione dei lavoratori assunti dalle start-up ;
§
il comma
10 prevede il monitoraggio
sull’effettività degli interventi in esame.
La disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato è contenuta nel D.Lgs. 368/2001 (adottato in attuazione della direttiva 1999/70/CE), recentemente modificato dall’articolo 1, commi 9-13, della L. 92/21012, di riforma del mercato del lavoro.
L’articolo 1, pur ribadendo che il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro, consente l'apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili alla ordinaria attività del datore di lavoro. L'apposizione del termine è priva di effetto se non risulta, direttamente o indirettamente, da atto scritto nel quale sono specificate le ragioni.
Il nuovo comma 1-bis ha comunque disposto che l’esclusione del requisito della sussistenza di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo (riferibili anche all'ordinaria attività del datore di lavoro) (c.d. a causalità) ai fini della stipulazione di un primo contratto di lavoro a termine, purché esso sia di durata non superiore a 1 anno; in tali casi il contratto non può comunque essere oggetto di proroga. Una ulteriore ipotesi di esclusione del requisito della sussistenza di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, opera nei casi, previsti dalla contrattazione collettiva (a livello interconfederale o di categoria ovvero, in via delegata, ai livelli decentrati), in cui l’assunzione avvenga nell’ambito di particolari processi produttivi (determinati dall’avvio di una nuova attività, dal lancio di un prodotto o di un servizio innovativo; dall’implementazione di un rilevante cambiamento tecnologico; dalla fase supplementare di un significativo progetto di ricerca e sviluppo; dal rinnovo o dalla proroga di una commessa consistente).
L'articolo 3 vieta l’apposizione del termine alla durata di un contratto di lavoro subordinato per la sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero; presso unità produttive nelle quali si sia proceduto, entro i sei mesi precedenti, a licenziamenti collettivi che abbiano riguardato lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro a tempo determinato, salvo che tale contratto sia concluso per provvedere a sostituzione di lavoratori assenti; presso unità produttive nelle quali sia operante una sospensione dei rapporti o una riduzione dell'orario, con diritto al trattamento di integrazione salariale, che interessino lavoratori adibiti alle mansioni cui si riferisce il contratto a termine; da parte delle imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi.
L’articolo 4 prevede che il termine del contratto a tempo determinato può essere, con il consenso del lavoratore, prorogato solo quando la durata iniziale del contratto sia inferiore a tre anni. In questi casi la proroga è ammessa una sola volta e a condizione che sia richiesta da ragioni oggettive e si riferisca alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto è stato stipulato a tempo determinato. Con esclusivo riferimento a tale ipotesi la durata complessiva del rapporto a termine non potrà essere superiore ai tre anni. Il contratto di cui al comma 1-bis dell’articolo 1, inoltre, non può essere oggetto di proroga.
L’articolo 5 prevede che se il rapporto di lavoro continua dopo la scadenza del termine inizialmente fissato o successivamente prorogato ai sensi dell'articolo 4, il datore di lavoro è tenuto a corrispondere al lavoratore una maggiorazione della retribuzione per ogni giorno di continuazione del rapporto pari al 20% fino al decimo giorno successivo, al 40% per ciascun giorno ulteriore. Se il rapporto di lavoro continua oltre il trentesimo giorno in caso di contratto di durata inferiore a sei mesi ovvero oltre il cinquantesimo giorno negli altri casi, il contratto si considera a tempo indeterminato dalla scadenza dei predetti termini. E’ altresì previsto l’obbligo per il datore di lavoro di comunicare al Centro per l'impiego territorialmente competente (secondo modalità definite con specifico decreto del Ministro della lavoro), entro la scadenza della durata del rapporto prevista dal contratto, che il rapporto continuerà, indicando anche la durata della prosecuzione.
Qualora il lavoratore venga riassunto a termine, ai sensi dell'articolo 1, entro sessanta giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata fino a sei mesi, ovvero entro novanta giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata superiore ai sei mesi, il secondo contratto si considera a tempo indeterminato. Peraltro, nell’ambito di particolari processi produttivi (determinati dall’avvio di una nuova attività, dal lancio di un prodotto o di un servizio innovativo; dall’implementazione di un rilevante cambiamento tecnologico; dalla fase supplementare di un significativo progetto di ricerca e sviluppo; dal rinnovo o dalla proroga di una commessa consistente), i contratti collettivi possono prevedere, stabilendone le condizioni, la riduzione di tali intervalli di tempo (fino a 20 giorni in caso di contratti di durata inferiore a 6 mesi; fino a 30 giorni in caso di contratti di durata superiore). In assenza dell’intervento della contrattazione collettiva entro 6 mesi dalla data di entrata in vigore della legge, a stabilire le suddette condizioni provvede (sentite le OO.SS. più rappresentative sul piano nazionale) Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali
Quando si tratta di due assunzioni successive a termine, intendendosi per tali quelle effettuate senza alcuna soluzione di continuità, il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato dalla data di stipulazione del primo contratto.
Il comma 4-bis dell’articolo 5[207] prevede poi che, ferma restando la disciplina della successione di contratti di cui ai commi precedenti e fatte salve diverse disposizioni di contratti collettivi stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, qualora per effetto di successione di contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti il rapporto di lavoro fra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore abbia complessivamente superato i trentasei mesi comprensivi di proroghe e rinnovi, indipendentemente dai periodi di interruzione che intercorrono tra un contratto e l’altro, il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato. Ai fini del calcolo del limite complessivo di 36 mesi (superato il quale, anche per effetto di proroghe o rinnovi di contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti, il rapporto a termine si considera comunque a tempo indeterminato) si deve tenere conto anche dei periodi di missione nell'ambito di contratti di somministrazione (a tempo determinato o indeterminato) aventi ad oggetto mansioni equivalenti e svolti tra gli stessi soggetti. In deroga a quanto disposto dalla sopracitata disposizione, tuttavia, un ulteriore successivo contratto a termine fra gli stessi soggetti può essere stipulato per una sola volta, a condizione che la stipula avvenga presso la direzione provinciale del lavoro competente per territorio e con l’assistenza di un rappresentante di una delle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale cui il lavoratore sia iscritto o conferisca mandato. Le organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale stabiliscono con avvisi comuni la durata del predetto ulteriore contratto. In caso di mancato rispetto della descritta procedura, nonché nel caso di superamento del termine stabilito nel medesimo contratto, il nuovo contratto si considera a tempo indeterminato.
Il comma 4-quater,infine, dispone che lavoratore il quale, nell’esecuzione di uno o più contratti a termine presso la stessa azienda, abbia prestato attività lavorativa per un periodo superiore a sei mesi ha (fatte salve diverse disposizioni di contratti collettivi stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale) diritto di precedenza nelle assunzioni a tempo indeterminato effettuate dal datore di lavoro entro i successivi dodici mesi con riferimento alle mansioni già espletate in esecuzione dei rapporti a termine.
Il comma 2 prevede che le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo - le quali, secondo la disciplina generale di cui all’articolo 1, comma 1, del D.L. 368/2001, nonché di quella attinente alla somministrazione di lavoro a tempo determinato[208], giustificano l'apposizione di un termine al contratto di lavoro subordinato - sussistano nel caso in cui il contratto a tempo determinato, anche in somministrazione (come specificato nel corso dell’esame al Senato), sia stipulato da una start-up per lo svolgimento di attività inerenti o strumentali all'oggetto sociale della stessa.
Il primo periodo del comma 3 introduce un limite minimo ed uno massimo di durata (pari, rispettivamente, a 6 mesi ed a 36 mesi) del contratto stipulato ai sensi del precedente comma 2.
Nel corso dell’esame al Senato, è stata prevista la possibilità, in
raccordo alla disciplina generale sul contratto a termine che non prevede un
limite minimo di durata, che la start-up
possa stipulare un contratto a tempo determinato di durata inferiore a 6 mesi,
ai sensi della normativa vigente.
Il secondo periodo del comma 3 consente di poter stipulare successivi contratti a termine entro il richiamato limite di durata massima di 36 mesi, per lo svolgimento delle attività inerenti o strumentali all’oggetto sociale delle start-up (attività di cui al comma 2 della disposizione in esame, anche se il testo erroneamente fa riferimento al comma 1), senza l’osservanza dei termini di 60 e 90 giorni previsti dalla normativa (articolo 5, comma 3, del D.Lgs. 368, vedi sopra), o anche senza soluzione di continuità.
Il terzo periodo del comma 3, infine, prevede che, in deroga al limite di 36 mesi, possa essere stipulato un ulteriore contratto a termine tra gli stessi soggetti e sempre per attività inerenti o strumentali all’oggetto sociale delle start-up per una durata residua rispetto al periodo di 4 anni (o durata inferiore per le start-up già costituite alla data di conversione in legge del provvedimento in esame), a condizione che quest'ultimo sia stipulato presso la direzione territoriale del lavoro ed esclusivamente nell'ambito dell'arco temporale richiamato.
Dal momento che anche la disciplina generale prevede una possibilità di
deroga al limite complessivo di trentasei mesi[209], sarebbe
forse opportuno chiarire se e a quali condizioni la start-up possa ricorrere a tale normativa, ai fini
di derogare anche al diverso limite temporale di cui al comma 1.
Inoltre, sotto il profilo della tecnica legislativa, appare opportuno
esplicitare se (come sembra) il livello della direzione territoriale in oggetto
sia quello provinciale.
Nel corso dell’esame al Senato, è stato precisato che i contratti a
termine stipulati ai sensi delle disposizioni in esame siano in ogni caso
esenti dalle limitazioni quantitative ai sensi dell’articolo 10, comma 7, del
D.Lgs. 368/2001.
L’articolo 10, comma 7, del D.Lgs. 368/2001 ha stabilito che l’individuazione, anche in misura non uniforme, di limiti quantitativi di utilizzazione del contratto a termine stipulato nel rispetto della disciplina attinente alla possibilità di apporre il termine, è affidata ai contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi.
In ogni caso, sono esenti da limitazioni quantitative i contratti a tempo determinato conclusi:
§ nella fase di avvio di nuove attività per i periodi che saranno definiti dai contratti collettivi nazionali di lavoro anche in misura non uniforme con riferimento ad aree geografiche e/o comparti merceologici;
§ per ragioni di carattere sostitutivo, o di stagionalità, ivi comprese le attività già previste nell'elenco allegato al decreto del Presidente della Repubblica 7 ottobre 1963, n. 1525 (concernente il lavoro a termine nelle attività stagionali);
§ per specifici spettacoli ovvero specifici programmi radiofonici o televisivi;
§ con lavoratori di età superiore a 55 anni.
Si segnala, sotto il profilo della tecnica legislativa, l’opportunità
di inserire la nuova fattispecie di esenzione come novella al richiamato comma
7.
Il comma 4 dispone la trasformazione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato nel caso in cui, per effetto di successione di contratti a termine stipulati secondo le disposizioni in esame, o comunque ai sensi del D.Lgs. 368/2001 o di altre disposizioni di legge, il rapporto di lavoro tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore abbia complessivamente superato i 36 mesi, comprensivi di proroghe o rinnovi, o la diversa maggiore durata stabilita a norma del precedente comma 3, ed indipendentemente dagli eventuali periodi di interruzione tra un contratto e l'altro.
La prosecuzione o il rinnovo dei contratti a termine secondo la disciplina in esame oltre la durata massima considerata, ovvero la loro trasformazione in contratti di collaborazione privi delle caratteristiche di prestazione d’opera o professionale, determinano la trasformazione degli stessi in contrati a tempo indeterminato (comma 5).
Si valuti l’opportunità, al riguardo, di chiarire se la trasformazione
comprenda solamente i casi in cui il rapporto di collaborazione determini il
superamento dei limiti complessivi considerati.
Ai sensi del comma 6 per i contratti a termine, fatte salve le diverse previsioni di cui ai commi precedenti, si stabilisce l’applicazione della normativa generale sui contratti a tempo determinato e di somministrazione di lavoro (come specificato nel corso dell’esame al Senato).
Infine, il comma 9 dispone che nel caso in cui la società abbia stipulato un contratto a termine non possedendo i requisiti richiesti ai fini della classificazione come start-up innovativa (così come risulta dall’articolo 25, commi 2 e 3, come precisato nel corso dell’esame al Senato), il contratto si considera stipulato a tempo indeterminato, trovando applicazione le norme oggetto di deroga da parte della disposizione in esame.
Si segnala, in proposito, che la previsione della trasformazione del
contratto a termine in contratto a tempo indeterminato in mancanza dei
requisiti richiesti non appare del tutto coerente, in quanto la società
potrebbe avere comunque stipulato tali contratti nel rispetto della normativa
generale in materia.
Il comma 7 prevede che la retribuzione dei lavoratori assunti da una start-up sia obbligatoriamente costituita:
§ da una parte (si suppone fissa) pari, o superiore, al minimo tabellare, stabilito, per il rispettivo livello di inquadramento, dal contratto collettivo applicabile;
§ da una parte variabile, consistente in trattamenti collegati all'efficienza o alla redditività dell’impresa, alla produttività del lavoratore o del gruppo di lavoro, o ad altri obiettivi o parametri di rendimento concordati tra le parti, incluse l’assegnazione di opzioni per l’acquisto di quote o azioni della società e la cessione gratuita delle medesime quote o azioni.
Ai sensi del comma 8, i contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale possono definire, in via diretta o in via delegata ai livelli decentrati con accordi interconfederali, o di categoria, o avvisi comuni, come disposto nel corso dell’esame al Senato (il testo originario faceva riferimento ad accordi interconfederali o avvisi comuni):
§ criteri per la determinazione dei minimi tabellari specifici richiamati in precedenza, funzionali alla promozione dell’avvio delle start-up, nonché criteri per la definizione della parte variabile richiamata dal precedente comma (lettera a));
§ disposizioni intese all'adattamento delle regole di gestione del rapporto di lavoro alle esigenze delle start-up, nella prospettiva di rafforzarne lo sviluppo e stabilizzarne la presenza nella realtà produttiva (lettera b)).
Infine, il comma 10 dispone il monitoraggio sugli interventi e le misure di cui alla disposizione in esame, ai sensi dell'articolo 1, commi 2 e 3, della L. 92/2012, con specifico riferimento alla loro effettiva funzionalità di promozione delle società, in coerenza con quanto previsto dal successivo articolo 32, alla cui scheda si rimanda.
I commi da 2 a 6 dell’articolo 1 della L. 92/2012 hanno stabilito l’istituzione (senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica) di un sistema permanente di monitoraggio e valutazione, basato su dati forniti dall'ISTAT e da altri soggetti del Sistema statistico nazionale (SISTAN), volto a verificare lo stato di attuazione degli interventi e a valutarne gli effetti sull’efficienza del mercato del lavoro, sull’occupabilità dei cittadini e sulle modalità di entrata e di uscita nell’impiego. Al sistema di monitoraggio e valutazione, istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali in collaborazione con le altre Istituzioni competenti, concorrono le parti sociali (attraverso le organizzazioni maggiormente rappresentative a livello nazionale dei lavoratori e dei datori di lavoro), nonché l’INPS e l’ISTAT, chiamati ad organizzare una banche dati informatizzate anonime (contenente i dati individuali anonimi, relativi ad età, genere, area di residenza, periodi di fruizione degli ammortizzatori sociali con relativa durata ed importi corrisposti, periodi lavorativi e retribuzione spettante, stato di disoccupazione, politiche attive e di attivazione ricevute), aperta ad enti di ricerca e università. Il sistema permanente di monitoraggio e valutazione è chiamato a produrre rapporti annuali sullo stato di attuazione delle singole misure, da cui potranno essere desunti elementi per successivi interventi di implementazione o correzione delle norme introdotte.
Articolo 29
(Incentivi all’investimento in start-up
innovative)
L'articolo 29 introduce una serie di incentivi fiscali per gli anni 2013-2015, in favore di persone fisiche e persone giuridiche che intendono investire nel capitale sociale di imprese “start-up innovative”.
Le persone fisiche potranno detrarre dall’IRPEF una percentuale delle somme investite nel capitale sociale delle predette imprese, sia per gli investimenti effettuati direttamente che per tramite di organismi di investimento collettivo del risparmio o di altre società che investono prevalentemente in start-up innovative.
Per i soggetti IRES è invece prevista la possibilità di dedurre dall’imponibile parte delle predette somme investite nel capitale sociale di imprese start-up innovative. Tali somme saranno dunque esenti da imposizione.
La definizione di “start-up innovative” è recata dall’articolo 25 del decreto in esame, alla cui scheda di lettura si rinvia per approfondimenti.
In particolare (comma 2), per “start-up” si intendono le società di capitali non quotate e residenti o soggette a tassazione in Italia, che:
§ sono detenute direttamente e almeno al 51 per cento da persone fisiche;
§ sono in attività da non più di 48 mesi;
§ hanno sede principale dei propri affari e interessi in Italia;
§ hanno un fatturato non superiore a 5 milioni di euro;
§ non distribuiscono utili;
§ hanno per oggetto sociale lo sviluppo di prodotti o servizi innovativi, ad alto valore tecnologico;
§ non sono costituite da una fusione, scissione societaria o a seguito di cessione di azienda o di ramo di azienda;
§ destinano almeno il 30% della spesa ad attività qualificate di ricerca e sviluppo;
§ hanno un terzo della forza lavoro costituito da personale con dottorato di ricerca, o dottorandi o laureati con attività almeno triennale di ricerca;
§ sono titolari o licenziatarie di almeno una privativa industriale relativa a una invenzione industriale, biotecnologica, a una topografia di prodotto a semiconduttori o a una nuova varietà vegetale direttamente afferenti all'oggetto sociale e all’attività d'impresa.
Più in dettaglio, il comma 1 dell’articolo in esame dispone che, per gli anni 2013, 2014 e 2015, i soggetti passivi IRPEF possono fruire di una detrazione d’imposta pari al 19 per cento delle somme investite nel capitale sociale di una o più start-up innovative. Tale percentuale si innalza al 25 per cento per le start-up a vocazione sociale o operanti in ambito energetico (ai sensi del successivo comma 7).
Ai fini dell'agevolazione, le somme possono essere investite sia direttamente sia per il tramite di organismi di investimento collettivo del risparmio (OICR) che investano prevalentemente in start-up innovative.
Si ricorda che, ai sensi dell'articolo 1, comma 1, lettera m), del
decreto legislativo n. 58 del 1998 (TUF), gli organismi di investimento collettivo del risparmio (OICR) sono i
fondi comuni di investimento e le SICAV. Il fondo comune di investimento è il
patrimonio autonomo raccolto, mediante una o più emissioni di quote, tra una
pluralità di investitori con la finalità di investire lo stesso sulla base di
una predeterminata politica di investimento; è suddiviso in quote di pertinenza
di una pluralità di partecipanti, gestito in monte, nell'interesse dei
partecipanti e in autonomia dai medesimi. La società di investimento a capitale
variabile (SICAV) è la società per azioni a capitale variabile con sede legale
e direzione generale in Italia avente per oggetto esclusivo l'investimento
collettivo del patrimonio raccolto mediante l'offerta al pubblico di proprie
azioni.
Il comma 2 prevede anzitutto che non si tiene conto delle altre detrazioni eventualmente spettanti al contribuente.
La parte di detrazione non fruita (in tutto o in parte) nel periodo di imposta di riferimento può essere portata in detrazione nei 3 anni successivi.
La disposizione appare diretta ad aumentare la capacità di attrazione dei capitali privati delle imprese start-up innovative con il ricorso alla leva fiscale, come accade, ad esempio, nel Regno Unito dove, pur con alcune limitazioni, è possibile investire in determinati prodotti mobiliari beneficiando di agevolazioni fiscali per il costo sostenuto per l’investimento.
L’investimento massimo detraibile non può eccedere l'importo di 500.000 euro per ciascun periodo d’imposta, con il vincolo che deve essere mantenuto per almeno 2 anni.
Qualora l'investimento venga ceduto, anche parzialmente, prima del decorso di tale termine, il contribuente decade dal beneficio con l’obbligo di restituire l’importo detratto, unitamente agli interessi legali (comma 3)
I commi 4 e 5 introducono incentivi in favore delle persone giuridiche soggetti IRES.
In particolare il comma 4 prevede che, per i periodi d’imposta 2013, 2014 e 2015, il 20 per cento della somma investita nel capitale sociale di una o più imprese start-up innovative, direttamente ovvero per il tramite di OICR o altre società che investano prevalentemente in imprese start-up innovative, non concorra alla formazione del reddito dei soggetti passivi dell’imposta sul reddito delle società (IRES) diversi da imprese start-up innovative.
La suddetta deduzione sale al 27 per cento per le start-up a vocazione sociale o operanti in ambito energetico, ai sensi del successivo comma 7.
Analogamente a quanto previsto per le persone fisiche, per poter fruire dell'agevolazione l'investimento deve essere mantenuto per almeno due anni e in caso di cessione, anche parziale, dell’investimento prima di tale termine il beneficio decade e va recuperato a tassazione l’importo dedotto, maggiorato degli interessi legali.
In ogni caso l'importo massimo deducibile non può superare, in ciascun periodo d’imposta, 1.800.000 euro (comma 5).
Al comma 6 viene espressamente previsto che la predetta agevolazione (deduzione del 20 per cento) non si applica né agli OICR né alle altre società che investano prevalentemente in imprese start-up innovative. Il comma 4, peraltro, prevede, come detto, l'inapplicabilità dell'agevolazione anche alle stesse start-up innovative (che pertanto possono essere solo destinatarie di risorse per le quali altri contribuenti invocano l'agevolazione ma non possono esse stesse beneficiare direttamente dell'agevolazione).
Come anticipato, il comma 7 incrementa l'entità del beneficio fiscale per le persone fisiche (detrazione innalzata dal 19 al 25 per cento) e giuridiche (deduzione dal 20 al 27 per cento) nell'ipotesi di investimento in:
§ imprese start-up a vocazione sociale;
§ imprese start-up che sviluppano e commercializzano esclusivamente prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico in ambito energetico.
Il comma 8 affida a un decreto del Ministero dell’economia e delle finanze, di concerto col Ministero dello sviluppo economico, l’individuazione delle modalità attuative delle predette agevolazioni. Il provvedimento deve essere emanato entro 60 giorni dall'entrata in vigore del provvedimento in esame (20 ottobre 2012), ovvero entro il 19 dicembre 2012.
Il comma 9 subordina infine l’efficacia
delle disposizioni recate dall'articolo in commento all’autorizzazione della
Commissione europea ai sensi dell’articolo 108, paragrafo 3, del Trattato sul
funzionamento dell’Unione europea (TFUE), richiesta dal Ministero dello
sviluppo economico.
Si ricorda che l'articolo
108, paragrafo 3 del TFUE (ex articolo 88, paragrafo 3, del trattato che
istituisce la Comunità europea, TCE) contempla l'obbligo di notificare gli
aiuti di Stato alla Commissione europea al fine di stabilirne la compatibilità
con il mercato comune sulla base dei criteri dell'articolo 107, paragrafo
1 del TFUE.
Conseguentemente, le agevolazioni in esame non saranno immediatamente efficaci; si dovrà attendere l’adozione dei provvedimenti attuativi di cui al comma 8, nonché l’assenso della Commissione europea sulla compatibilità della misura con i principi in materia di mercato comune ed aiuti di stato.
Si ricorda che l’articolo 35 del Regolamento (CE) n. 800/2008, nel quale sono indicate le misure qualificabili come aiuti di stato e, tuttavia, di diritto considerate compatibili con il mercato comune, contiene una disciplina specifica degli aiuti a “nuove imprese innovative” (articolo 35).
Detti aiuti sono compatibili con il mercato comune - e pertanto esenti dall'obbligo di notifica alla Commissione – alle seguenti condizioni.
§ il beneficiario deve essere una piccola impresa esistente da meno di sei anni al momento della concessione dell'aiuto;
§ i costi di ricerca e sviluppo del beneficiario devono rappresentare almeno il 15% del totale dei suoi costi operativi in almeno uno dei tre anni precedenti la concessione dell'aiuto oppure, nel caso di una start-up senza antefatti finanziari, nella revisione contabile del suo periodo fiscale corrente, quale certificato da un revisore dei conti esterno;
§ tali aiuti non devono superare 1 milione di euro, salvo in alcune regioni per cui è posto un limite più elevato (1,5 o 1,25 milioni di euro);
§ il beneficiario può fruire di aiuti una sola volta nel periodo in cui corrisponde alla definizione di nuova impresa innovativa.
L’obbligo di notifica di cui alle disposizioni in commento discende dalle caratteristiche delle start-up innovative fissate dall’articolo 25 del provvedimento in esame, dal momento che il legislatore nazionale non ha fissato limiti dimensionali alla qualifica di un’impresa come start-up.
Ulteriori agevolazioni fiscali in materia di start-up innovative sono contenute nell’articolo 27 del provvedimento in esame (detassazione del reddito di lavoro derivante dall'attribuzione di azioni, quote, strumenti finanziari partecipativi o diritti), alla cui scheda di lettura si rinvia per approfondimenti.
Articolo 30
(Raccolta di capitali di rischio tramite
portali on line e altri interventi di sostegno per le start-up innovative)
L’articolo 30 reca disposizioni in materia di raccolta di capitale di rischio da parte
delle imprese start-up innovative,
consentendo che essa avvenga mediante portali online (c.d. crowdfunding); sono a tal fine individuati i
soggetti autorizzati all’esercizio di tali attività, disciplinandone i
requisiti, il funzionamento e le modalità operative, nonché individuando nella
Consob l’organo deputato alla loro vigilanza.
Si prevede infine che le imprese start-up innovative operanti in Italia
tra le imprese destinatarie dei servizi (assistenza in materia normativa,
societaria, fiscale, immobiliare, contrattualistica e creditizia) messi a
disposizione dall'ICE-Agenzia per la promozione all'estero e
l'internazionalizzazione delle imprese italiane e da Desk Italia.
Per “crowdfunding” si intende un processo collaborativo di un gruppo di persone che utilizzano il proprio denaro in comune per sostenere gli sforzi di persone ed organizzazioni. Le piattaforme di crowdfunding sono siti web che facilitano l’incontro tra la domanda di finanziamenti da parte di chi promuove dei progetti e l’offerta di denaro da parte degli utenti. Esse sono generaliste (che raccolgono progetti di ogni area di interesse), e verticali (o tematiche), specializzate in progetti di particolari settori.
Più in dettaglio il comma 1 modifica l’articolo 1 del decreto legislativo 24 febbraio
1998, n. 58 (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione
finanziaria), al fine di inserirvi (comma 5-novies)
la definizione di portale per la
raccolta di capitali per le start-up innovative, intendendosi per tale una
piattaforma online che abbia come
finalità esclusiva la facilitazione della raccolta di capitale di rischio da
parte delle start-up innovative,
comprese le start-up a vocazione
sociale. La definizione di "start-up innovativa" è quella contenuta
nell’articolo 25, comma 2, del provvedimento in esame.
La definizione di “start-up innovative” e di “incubatori certificati” è recata dall’articolo 25 del decreto in esame, alla cui scheda di lettura si rinvia per approfondimenti.
In particolare (comma 2 dell’articolo 25), per “start-up” si intendono le società di capitali non quotate e residenti o soggette a tassazione in Italia, che:
§ sono detenute direttamente e almeno al 51 per cento da persone fisiche;
§ sono in attività da non più di 48 mesi;
§ hanno sede principale dei propri affari e interessi in Italia;
§ hanno un fatturato non superiore a 5 milioni di euro;
§ non distribuiscono utili;
§ hanno per oggetto sociale lo sviluppo di prodotti o servizi innovativi, ad alto valore tecnologico;
§ non sono costituite da una fusione, scissione societaria o a seguito di cessione di azienda o di ramo di azienda;
§ destinano almeno il 30% della spesa ad attività qualificate di ricerca e sviluppo;
§ hanno un terzo della forza lavoro costituito da personale con dottorato di ricerca, o dottorandi o laureati con attività almeno triennale di ricerca;
§ sono titolari o licenziatarie di almeno una privativa industriale relativa a una invenzione industriale, biotecnologica, a una topografia di prodotto a semiconduttori o a una nuova varietà vegetale direttamente afferenti all'oggetto sociale e all’attività d'impresa.
Il comma
2 introduce alla parte II del titolo III TUF il Capo III-quater, dedicato alla disciplina della gestione di portali per la
raccolta di capitali per start-up innovative (introducendo in
particolare l’articolo 50-quinquies).
In primo luogo, lo svolgimento di tale
attività viene riservata:
§ alle imprese di investimento;
§ alle banche autorizzate ai relativi servizi
di investimento;
§ ai soggetti iscritti in un apposito registro,
tenuto dalla Consob, purché questi ultimi trasmettano gli ordini riguardanti la
sottoscrizione e la compravendita di strumenti finanziari rappresentativi di
capitale esclusivamente a banche e imprese di investimento.
Per i soggetti iscritti in tale registro sono previsti oneri autorizzativi e regolamentari semplificati rispetto a quelli generalmente applicabili per i soggetti che svolgono servizi di investimento (né si applica la disciplina regolamentare Consob in materia di promozione e collocamento a distanza di servizi e attività di investimento e strumenti finanziari).
Le disposizioni subordinano l'iscrizione nel registro
dei soggetti abilitati al crowdfunding al
ricorrere dei seguenti requisiti:
§
forma di società
per azioni, di società in accomandita per azioni, di società a responsabilità
limitata o di società cooperativa;
§
sede legale e
amministrativa o, per i soggetti comunitari, stabile organizzazione nel
territorio della Repubblica;
§
oggetto sociale
conforme all’attività di raccolta fondi;
§
possesso da parte
di coloro che detengono il controllo e dei soggetti che svolgono funzioni di
amministrazione, direzione e controllo dei requisiti di onorabilità stabiliti
dalla Consob;
§
possesso da parte
dei soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo,
di requisiti di professionalità stabiliti dalla Consob.
E’ fatto divieto ai soggetti iscritti nel registro di detenere somme di denaro o strumenti finanziari di pertinenza di terzi. Inoltre, si affida alla Consob il compito di determinare con regolamento i principi e i criteri relativi:
§ alla formazione del registro e alle relative forme di pubblicità;
§ alle eventuali ulteriori condizioni per l'iscrizione nel registro, alle cause di sospensione, radiazione e riammissione e alle misure applicabili nei confronti degli iscritti nel registro;
§ alle eventuali ulteriori cause di incompatibilità;
§ alle regole di condotta che i gestori di portali devono rispettare nel rapporto con gli investitori, prevedendo un regime semplificato per i clienti professionali.
Alla Consob è altresì affidata la vigilanza sui gestori di portali per verificare l'osservanza delle disposizioni di cui al presente articolo e della relativa disciplina di attuazione. A tal fine l’Autorità ha il potere di richiedere la comunicazione di dati e di notizie e la trasmissione di atti e di documenti, fissando i relativi termini, nonché effettuare ispezioni.
Sono infine previste particolari misure sanzionatorie nei confronti di gestori di portali che violano le norme così introdotte, ovvero le disposizioni attuative emanate dalla Consob: in base alla gravità della violazione e tenuto conto dell'eventuale recidiva si prevede una sanzione amministrativa pecuniaria da 500 a 25.000 euro.
Per i soggetti iscritti nell’apposito registro può altresì essere disposta la sospensione da uno a quattro mesi o la radiazione dal registro. Si prevede infine che le sanzioni siano applicate dalla CONSOB con provvedimento motivato, previa contestazione degli addebiti agli interessati, da effettuarsi entro centottanta giorni dall'accertamento ovvero entro trecentosessanta giorni se l'interessato risiede o ha la sede all'estero, e valutate le deduzioni da essi presentate nei successivi trenta giorni. Nello stesso termine gli interessati possono altresì chiedere di essere sentiti personalmente. A tali sanzioni si applicano le disposizioni contenute nella disciplina generale delle sanzioni amministrative (di cui alla legge 24 novembre 1981, n. 689, ad eccezione dell'articolo 16 che prevede il pagamento delle sanzioni in misura ridotta). Resta fermo quanto previsto dalle norme in materia di provvedimenti ingiuntivi emanati nei confronti di imprese di investimento, alle banche, alle SGR e alle società di gestione armonizzate.
Il comma
3 dell’articolo in esame, al fine di coordinare la normativa in materia di
offerta al pubblico di prodotti finanziari con le offerte condotte
esclusivamente attraverso i portali per la raccolta di capitali, introduce nel
TUF l’articolo 100-ter . Ai sensi
delle nuove norme, le offerte al pubblico condotte esclusivamente attraverso
uno o più portali per la raccolta di capitali possono avere ad oggetto soltanto
la sottoscrizione di strumenti finanziari emessi dalle start-up innovative e devono avere un corrispettivo totale
inferiore a quello determinato dalla Consob con regolamento (ai sensi
dell'articolo 100, comma 1, lettera c)
del TUB). Inoltre, è affidata alla Consob la determinazione della disciplina
applicabile alle predette offerte, al fine di assicurare la sottoscrizione da
parte di investitori professionali o particolari categorie di investitori dalla
stessa individuate di una quota degli strumenti finanziari offerti, quando
l'offerta non sia riservata esclusivamente a clienti professionali, e di
tutelare gli investitori diversi dai clienti professionali nel caso in cui i
soci di controllo della start-up innovativa cedano le proprie partecipazioni a
terzi successivamente all'offerta.
Il comma
4, modificando l’articolo 190, comma 1, del citato testo unico delle
disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, prevede che siano
puniti con la sanzione amministrativa pecuniaria anche coloro che esercitino
l'attività di gestore di portali in assenza dell'iscrizione nell’apposito
registro.
Il termine entro cui la CONSOB detta le
disposizioni attuative è di 90 giorni,
decorrenti dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del
decreto in esame, ai sensi del comma 5.
Il comma
6 reca infine modalità
semplificate e gratuite, in favore delle start-up
innovative e degli incubatori certificati (di cui all'articolo 25, comma 5 del
provvedimento in esame) di intervento da parte del Fondo centrale di garanzia per le piccole e medie imprese.
Le modalità di intervento e i relativi criteri sono individuati con decreto di natura non regolamentare del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, da adottarsi entro 60 giorni dalla data di conversione in legge del decreto in esame; le modifiche riguardanti il funzionamento del Fondo devono complessivamente assicurare il rispetto degli equilibri di finanza pubblica.
Il comma
7 include anche le imprese start-up innovative operanti in Italia tra le imprese destinatarie dei
servizi (assistenza in materia normativa, societaria, fiscale, immobiliare,
contrattualistica e creditizia) messi a disposizione dall'ICE-Agenzia per la promozione all'estero e
l'internazionalizzazione delle imprese italiane (di cui articolo 14, comma
18, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla
legge 15 luglio 2011, n. 111, e successive modificazioni).
Si ricorda che l’articolo 14, commi da 17 a 26-decies del D.L. 98/2011, convertito con modificazioni, dalla L. 111/2011, poi modificato dall'art. 22, comma 6, del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201[210], ha abolito l’ICE ed ha istituito l'ICE-Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane - attualmente in gestione transitoria.
L’ente è dotato di
personalità giuridica di diritto pubblico, sottoposto ai poteri di indirizzo e
vigilanza del Ministero dello sviluppo economico
che li esercita sentiti, per le materie di rispettiva competenza, il Ministero degli affari esteri ed il Ministero dell'economia e delle finanze.
L'Agenzia ha il compito di sviluppare, agevolare e promuovere i rapporti economici e commerciali italiani con l'estero, con particolare attenzione alle esigenze delle piccole e medie imprese, dei loro consorzi e raggruppamenti. L'Agenzia svolge le attività utili al perseguimento dei compiti ad essa affidati e, in particolare, offre servizi di informazione, assistenza e consulenza alle imprese italiane che operano nel commercio internazionale e promuove la cooperazione nei settori industriale, agricolo e agro-alimentare, della distribuzione e del terziario, al fine di incrementare la presenza delle imprese italiane sui mercati internazionali. Nello svolgimento delle proprie attività, l'Agenzia opera in stretto raccordo con le regioni, le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, le organizzazioni imprenditoriali e gli altri soggetti pubblici e privati interessati, ai sensi di linee guida e di indirizzo strategico in materia di promozione ed internazionalizzazione delle imprese che verranno assunte da una Cabina di regia istituzionale.
L’articolo 41 del D.L. 83/2012 ha successivamente recato disposizioni
volte a razionalizzare l’organizzazione dell’ICE, in particolare per quanto
riguarda la composizione della cabina di regia e l’organizzazione del
personale.
Anche il Desk
Italia- Sportello unico attrazione investimenti esteri dovrà essere
funzionale alle imprese in questione; esso, istituito dall’articolo 35 del
provvedimento in esame (alla cui scheda di lettura si rinvia) all’interno del
Ministero dello sviluppo economico, è inteso come il principale soggetto
pubblico di coordinamento territoriale nazionale per gli investitori esteri che
intendano realizzare in Italia significativi investimenti reali. Il Desk
costituisce il punto di accesso per l'investitore estero in relazione a tutte
le vicende amministrative riguardanti il relativo progetto di investimento,
fungendo da raccordo fra le attività svolte dall'Agenzia – ICE, e dall'Agenzia
nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa –
Invitalia.
L’ICE-Agenzia per la promozione all'estero e
l'internazionalizzazione delle imprese italiane
fornirà alle start-up assistenza in
materia normativa, societaria, fiscale, immobiliare, contrattualistica e
creditizia; provvederà a individuare le principali fiere e manifestazioni
internazionali dove ospitare gratuitamente le start-up innovative, tenendo
conto dell'attinenza delle loro attività all'oggetto della manifestazione;
svilupperà iniziative per favorire l'incontro delle start-up innovative con investitori potenziali per le fasi di early stage capital e di capitale di
espansione.
Il comma
8 reca la clausola di invarianza finanziaria, stabilendo che l'ICE-Agenzia
per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane
svolga le predette attività con le risorse umane, strumentali e finanziarie
previste a legislazione vigente.
Documenti all’esame delle
Istituzioni dell’UE
(a cura
dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)
Il 7 dicembre 2011 la Commissione ha presentato un piano d’azione (COM(2011)870) inteso a migliorare l’accesso delle PMI europee ai mercati dei capitali e a mantenere costante il flusso di credito nei loro confronti attraverso una strategia che prevede un maggiore sostegno finanziario da parte del bilancio dell'UE e della BEI.
Una proposta di regolamento
(COM(2011)860) intende definire una nuova
disciplina per la commercializzazione di fondi
denominati come ""Fondo
europeo di venture capital",
che dovrebbe consentire a tali organismi finanziari di incrementare le proprie
dimensioni e, di conseguenza, la quantità di capitali da mettere a disposizione
delle singole PMI, soprattutto nelle
fasi di start-up.
La proposta prevede che:
§ il regolamento si applichi ai gestori di organismi di investimento collettivo stabiliti nell'Unione, registrati presso l'autorità competente dello Stato membro d'origine ai sensi della direttiva 2011/61/UE e che gestiscono portafogli di fondi di venture capital qualificati, le cui attività in gestione non superino complessivamente la soglia di 500 milioni di EUR;
§ i gestori di fondi di venture capital commercializzino le quote e le azioni dei fondi di venture capital esclusivamente presso gli investitori che sono considerati investitori professionali in conformità alla direttiva 2004/39/CE (direttiva (MiFID) o alle categorie di investitori specificamente individuate;
§ un fondo di venture capital qualificato come “europeo” investa almeno il 70% del capitale nelle PMI che emettono strumenti rappresentativi di equity o quasi-equity direttamente a beneficio dell'investitore in venture capital ("obiettivi d'investimento") e non ricorre all'indebitamento
§ tutti i fondi di capitale di rischio “europei” rispettino le norme uniformi e gli standard di qualità (incluse le disposizioni in materia di informativa agli investitori e in materia di requisiti operativi) nella loro attività di raccolta di fondi nell'UE. Il "complesso normativo" farà in modo che gli investitori sappiano esattamente quale sia la redditività dell'investimento associato a un fondo di capitale di rischio europeo.
Il 13 settembre 2012 il
Parlamento europeo ha esaminato la proposta in prima lettura approvando un
insieme di emendamenti alla proposta della Commissione.
Oltre a tali misure, il 5 dicembre 2011 la Commissione e la BEI hanno lanciato un nuovo meccanismo di garanzia (SME risk-sharing instrument (RSI)), inteso ad accrescere le possibilità per le banche di finanziare le PMI innovative.
Sempre il 7 dicembre 2011, la Commissione ha presentato una proposta di regolamento (COM(2011)862) intesa a rendere più facile il finanziamento delle imprese europee a carattere sociale. In particolare, la proposta lega al concetto di “Fondo europeo per l’imprenditoria sociale” (FEIS) la creazione di una nuova denominazione fissando i requisiti per ottenerlo, ad esempio, dimostrare che almeno il 70% del capitale versato dagli investitori sia destinata ad imprese sociali. Inoltre, la proposta stabilisce norme uniformi per: la commercializzazione dei FEIS, da parte dei loro gestori, a investitori idonei in tutta l’Unione; la composizione del portafoglio dei FEIS; gli strumenti e le tecniche d’investimento ammissibili; nonché norme su organizzazione, trasparenza e condotta dei gestori di FEIS che commercializzano i FEIS in tutta l’Unione.
Articolo 31
(Composizione e gestione della crisi
nell’impresa start-up innovativa)
L’articolo 31 afferma che alle start-up innovative, nei primi quattro anni dalla costituzione, non si applicano né l’istituto del fallimento né le altre procedure concorsuali disciplinate dalla legge fallimentare (R.D. n. 267/1942). In caso di crisi, a queste imprese si applicherà esclusivamente la procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento disciplinata dalla legge n. 3 del 2012, come modificata dall’art. 18 del decreto-legge in esame.
Il comma 1 stabilisce che la start-up innovativa – come definita dall’art. 25 del decreto-legge in esame – non è soggetta alle procedure fallimentari disciplinate dal RD n. 267/1942, ma soltanto alle procedure di composizione delle crisi disciplinate dalla legge n. 3 del 2012.
Si ricorda che in base al comma 2 dell’articolo 25 per “start-up” si intendono le società di capitali non quotate e residenti o soggette a tassazione in Italia, che:
§ sono detenute direttamente e almeno al 51 per cento da persone fisiche;
§ sono in attività da non più di 48 mesi;
§ hanno sede principale dei propri affari e interessi in Italia;
§ hanno un fatturato non superiore a 5 milioni di euro;
§ non distribuiscono utili;
§ hanno per oggetto sociale lo sviluppo di prodotti o servizi innovativi, ad alto valore tecnologico;
§ non sono costituite da una fusione, scissione societaria o a seguito di cessione di azienda o di ramo di azienda;
§ destinano almeno il 20% della spesa ad attività qualificate di ricerca e sviluppo;
§ hanno un terzo della forza lavoro costituito da personale con dottorato di ricerca, o dottorandi o laureati con attività almeno triennale di ricerca;
§ sono titolari o licenziatarie di almeno una privativa industriale relativa a una invenzione industriale, biotecnologica, a una topografia di prodotto a semiconduttori o a una nuova varietà vegetale direttamente afferenti all'oggetto sociale e all’attività d'impresa.
L’obiettivo perseguito - secondo la relazione governativa che accompagnava l’originario disegno di legge di conversione - è quello di contrarre i tempi della liquidazione giudiziale della start-up in crisi, approntando un procedimento semplificato rispetto a quelli previsti dalla legge fallimentare e fondato non sulla perdita di capacità dell’imprenditore ma, piuttosto, sulla mera segregazione del patrimonio destinato alla soddisfazione dei creditori concorsuali.
Per questa ragione, ai sensi del comma 2, trascorsi 12 mesi dall’iscrizione nel registro delle imprese del decreto di apertura della procedura liquidatoria prevista dalla legge n. 3/2012 (per la quale si rinvia al commento all’art. 18 del decreto-legge), i dati relativi ai soci della start-up innovativa non saranno più accessibili al pubblico ma esclusivamente all’autorità giudiziaria e alle autorità di vigilanza. Naturalmente restano pubblici i dati relativi alla società di capitali assoggettata alla procedura.
Per ostacolare condotte elusive, il comma 3 prevede che la predetta disposizione si applica anche a chi organizza in banche dati le medesime informazioni relative ai soci.
Per il comma 4, la disciplina liquidatoria di favore viene meno quando:
§ la start-up innovativa perde uno dei requisiti richiesti prima della scadenza dei quattro anni dalla data di costituzione o del diverso termine previsto per il diritto intertemporale: a tal fine faranno fede le risultanze derivanti dal periodico aggiornamento della apposita sezione del registro delle imprese;
§ sono trascorsi quattro anni dalla costituzione dell’impresa.
Resta però ferma l’efficacia dei contratti a tempo determinato stipulati, sino alla scadenza del relativo termine. Per quella costituita in forma di società a responsabilità limitata, le clausole eventualmente inserite nell’atto costitutivo mantengono efficacia, ma limitatamente alle quote di partecipazione già sottoscritte e agli strumenti finanziari partecipativi già emessi.
Il comma 5 dispone che, al fine di vigilare sul corretto utilizzo delle agevolazioni e sul rispetto della disciplina sulle start-up, il Ministero dello sviluppo economico possa avvalersi del Nucleo speciale spesa pubblica e repressione frodi comunitarie della Guardia di finanza, secondo le modalità previste dall’articolo 25 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito in legge con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 134.
Il richiamato articolo 25 del D.L. n. 83/2012 ha consentito al Ministero dello sviluppo economico di avvalersi del Nucleo speciale spesa pubblica e repressione frodi comunitarie della Guardia di Finanza nell’attività di controllo sulle agevolazioni contenute nel medesimo D.L. 83. Il Nucleo in tal senso può avvalersi dei poteri e delle facoltà connesse alle attività antiriciclaggio, nonché accedere alle opportune banche dati. Il Corpo della GdF in tal senso svolge, anche d'iniziativa, analisi, ispezioni e controlli sui programmi di investimento ammessi alle agevolazioni.
È previsto a tal fine che il Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sottoscriva un protocollo d'intesa con il Comandante della Guardia di Finanza.
Fermi restando i compiti istituzionali della Guardia di Finanza (enumerati dall‘articolo 2 del decreto legislativo 19 marzo 2001, n. 68), per l’esecuzione delle attività di monitoraggio gli appartenenti al citato Nucleo potranno:
§ esercitare anche i poteri e le facoltà specificamente previsti dalla normativa antiriciclaggio (in particolare dall'articolo 8, comma 4, lettere a) e b) del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231), in particolare avvalendosi dei dati contenuti nell’anagrafe tributaria (ai sensi dell'articolo 7, sesto e undicesimo comma del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 605, i membri del Nucleo Speciale si avvalgono dei dati comunicati da banche, Poste italiane, intermediari finanziari, imprese di investimento, organismi di investimento collettivo del risparmio, società di gestione del risparmio e altri operatori finanziari, relativi ai clienti e ai soggetti con cui intrattengono rapporti, che sono archiviati in apposita sezione dell'anagrafe tributaria) ed esercitando i poteri attribuiti dalla normativa valutaria, che verranno estesi ai militari appartenenti ai reparti della Guardia di finanza, con possibilità di delega di compiti;
§ accedere, anche per via telematica, alle informazioni detenute nelle banche dati in uso al Ministero dello sviluppo economico, agli Enti previdenziali ed assistenziali, nonché, in esenzione da tributi e oneri, ai soggetti pubblici o privati che, su mandato del Ministero dello sviluppo economico, svolgono attività istruttorie e di erogazione di fondi pubblici.
Articolo 32
(Pubblicità e valutazione dell'impatto
delle misure)
L'articolo 32 prevede che la Presidenza del Consiglio dei ministri promuova una campagna di sensibilizzazione a livello nazionale per diffondere una maggiore consapevolezza pubblica sulle opportunità imprenditoriali legate all’innovazione e alla nascita e allo sviluppo di imprese start-up innovative.
Un sistema permanente di monitoraggio e valutazione, istituito presso il Ministero dello sviluppo economico, verificherà l’impatto delle misure volte a favorire la nascita e lo sviluppo di tali imprese, avvalendosi anche dei dati forniti da soggetti del Sistema statistico nazionale. A favore dell’Istat è previsto uno stanziamento di 150 mila euro per ciascuno degli anni 2013, 2014 e 2015 per la raccolta dei dati.
Il Ministro dello sviluppo economico presenterà annualmente una relazione sullo stato di attuazione delle disposizioni in materia di start-up innovative, mettendo in rilievo l’impatto di tali norme sulla crescita e l’occupazione.
Il comma 1 prevede che la Presidenza del Consiglio dei ministri (su proposta del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e del Ministero dello sviluppo economico) promuova un concorso - nell'ambito delle risorse disponibili a legislazione vigente - per sviluppare una campagna di sensibilizzazione a livello nazionale, al fine di promuovere una maggiore consapevolezza sulle opportunità imprenditoriali legate all'innovazione, in particolare presso i giovani. Tale iniziativa è promossa entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.
Il comma 2 istituisce presso il Ministero dello sviluppo economico un sistema permanente di monitoraggio e valutazione - volto a verificare lo stato di attuazione delle misure relative alle start-up innovative -, che si avvale anche dei dati forniti dall'ISTAT e da altri soggetti del Sistema statistico nazionale (Sistan).
In breve si ricorda che il Sistema statistico nazionale (Sistan), istituito con il D.Lgs. 6 settembre 1989, n. 322, emanato in attuazione della delega contenuta nell'articolo 24 della legge 400/88, è la rete di soggetti pubblici e privati che fornisce l'informazione statistica ufficiale. Del Sistema fanno parte: l'Istituto nazionale di statistica (Istat); gli enti ed organismi pubblici d'informazione statistica (Inea, Isfol); gli uffici di statistica delle amministrazioni dello Stato e delle aziende autonome; gli uffici di statistica delle amministrazioni ed enti pubblici individuati con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri; gli uffici di statistica degli Uffici territoriali del Governo; gli uffici di statistica di regioni e province autonome; gli uffici di statistica di province, comuni (singoli o associati), aziende sanitarie locali, camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura; gli uffici di statistica di soggetti privati che svolgono funzioni o rendono servizi di interesse pubblico che si configurano come essenziali per il raggiungimento degli obiettivi del Sistema stesso.
Del Sistan fanno, altresì, parte:
§ il Comitato di indirizzo e coordinamento dell'informazione statistica: organo di governo del Sistema statistico nazionale che esercita funzioni direttive nei confronti degli uffici di statistica e delibera il Programma statistico nazionale;
§ la Commissione per la garanzia dell'informazione statistica: organo esterno, autonomo e indipendente al quale sono affidati compiti di vigilanza sulle attività del Sistan.
Il comma 3 prevede che I rapporti sullo stato di attuazione delle singole misure siano assicurati con cadenza almeno annuale.
I commi 4, 5 e 6 prevedono che l'ISTAT organizzi delle banche dati informatizzate e pubbliche, rendendole disponibili gratuitamente, col fine di assicurare il monitoraggio e la valutazione indipendenti dell'attuazione delle misure in materia di start up innovative (comma 4). Per provvedere alla raccolta e all'aggiornamento regolare dei dati necessari alla valutazione sono destinate all'ISTAT risorse pari a 150.000 euro[211] per ciascuno degli anni 2013, 2014 e 2015 (comma 5). L'ISTAT assicura la piena disponibilità dei dati, assicurandone la massima trasparenza e accessibilità, e la possibilità di elaborazione e ripubblicazione gratuita e libera da parte di soggetti terzi (comma 6).
Il comma 7 prevede che il Ministro dello sviluppo economico, avvalendosi anche del citato sistema permanente di monitoraggio e valutazione, presenti annualmente una relazione alle Camere sull'attuazione delle disposizioni relative alle start up innovative indicandone in particolare l'impatto sulla crescita e l'occupazione e formulando una valutazione comparata dei benefici per il sistema economico nazionale in relazione agli oneri derivanti dalle stesse disposizioni, anche ai fini di eventuali modifiche normative. La prima relazione dovrà essere presentata entro il 1° marzo 2014.
Articolo 33,
commi 1-2-quater e 3
(Disposizioni
per incentivare la realizzazione di nuove infrastrutture)
I commi 1 e 2 dell’articolo 33 recano una disciplina sperimentale per il riconoscimento di un credito d’imposta per la realizzazione di nuove opere infrastrutturali con contratti di partenariato pubblico privato (PPP).
I commi da 2-bis 2-quater, inseriti nel corso dell’esame al Senato, oltre a prevedere l’attestazione del credito d’imposta per le opere infrastrutturali, ampliano le misure agevolative a favore delle imprese che realizzano nuove opere infrastrutturali con contratto di partenariato pubblico privato (PPP), attraverso l'esenzione dal pagamento del canone di concessione.
Il comma 3 modifica l’ambito di applicazione della disciplina in materia di finanziamento di infrastrutture mediante defiscalizzazione contenuta nell’articolo 18 della legge di stabilità 2012 (legge n. 183 del 12 novembre 2011).
In particolare, al fine di agevolare la realizzazione di nuove opere infrastrutturali, il comma 1 riconosce, in via sperimentale, ai soggetti titolari di contratti di PPP, ivi comprese le società di progetto di cui all’art. 156 del D.lgs. n. 163 del 2006[212], un credito di imposta a valere sull’IRES e sull’IRAP generate in relazione alla costruzione e gestione dell’opera stessa.
Tali opere devono comunque rispondere ad una serie di requisiti, quali:
§ essere di importo superiore a 500 milioni di euro e realizzate mediante l’utilizzazione dei contratti di PPP di cui all’art. 3, comma 15-ter, del D.Lgs. n. 163 del 2006 (Codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture);
§ essere approvate – in relazione alla progettazione definitiva - entro il 31 dicembre 2015;
§ non usufruire di contributi pubblici a fondo perduto;
§ ne deve essere, infine, accertata, in esito alla procedura di cui al successivo comma 2, la non sostenibilità del piano economico finanziario (PEF).
Il comma prevede, altresì, che il credito di imposta deve essere stabilito per ciascun progetto:
§ nella misura necessaria al raggiungimento dell’equilibrio del PEF;
§ comunque entro il limite massimo del 50% del costo dell’investimento.
Viene inoltre stabilito che il credito di imposta non costituisce ricavo ai fini delle imposte dirette e dell’IRAP e viene previsto che esso venga posto a base di gara per l’individuazione dell’affidatario del contratto di PPP e successivamente dovrà essere riportato anche nel contratto.
Si ricorda che l’art. 3, comma 15-ter, del D.lgs. n. 163 del 2006 (Codice dei contratti pubblici) reca la definizione dei «contratti di partenariato pubblico privato» (PPP) ovvero di quei contratti aventi per oggetto una o più prestazioni quali la progettazione, la costruzione, la gestione o la manutenzione di un'opera pubblica o di pubblica utilità, oppure la fornitura di un servizio, compreso in ogni caso il finanziamento totale o parziale a carico di privati, anche in forme diverse, di tali prestazioni, con allocazione dei rischi ai sensi delle prescrizioni e degli indirizzi comunitari vigenti. Rientrano, a titolo esemplificativo, tra i contratti di partenariato pubblico privato (PPP), la concessione di lavori, la concessione di servizi, la locazione finanziaria, il contratto di disponibilità - introdotto dalla lett. b) del comma 1 dell’art. 44, D.L. n. 1 del 2012 - l'affidamento di lavori mediante finanza di progetto, le società miste. Possono rientrare altresì tra le operazioni di PPP l'affidamento a contraente generale ove il corrispettivo per la realizzazione dell'opera sia in tutto o in parte posticipato e collegato alla disponibilità dell'opera per il committente o per utenti terzi. Fatti salvi gli obblighi di comunicazione previsti dall'art. 44, co. 1-bis, del decreto-legge 248/2007, alle operazioni di PPP si applicano i contenuti delle decisioni Eurostat.
Il comma 2 prevede che spetti al CIPE, con propria delibera, adottata su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, verificare la non sostenibilità del PEF e l’entità del credito di imposta entro il predetto limite, al fine di conseguire l’equilibrio del PEF stesso, anche attraverso il mercato.
Il CIPE, in tale
attività di verifica, deve richiedere il previo
parere del Nucleo di consulenza per l'Attuazione e Regolazione dei Servizi di
pubblica utilità (NARS), allo scopo integrato con due ulteriori componenti
designati rispettivamente dal Ministro dell’economia e delle finanze (MEF) e
dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti (MIT).
Con la stessa delibera dovranno altresì essere definiti i criteri e le modalità per l’accertamento, la determinazione e il monitoraggio del credito d’imposta, nonché la rideterminazione della misura in caso di miglioramento dei parametri posti a base del PEF.
Il nuovo comma 2-bis - con una modifica all’articolo 10 del D.L. 30 settembre 2003, n. 269 - introduce, tra i crediti che l'Agenzia delle entrate è autorizzata a certificare, il credito di imposta per le opere infrastrutturali.
Si ricorda che l’articolo 10 del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, stabilisce che su richiesta dei creditori d'imposta intestatari del conto fiscale, l'Agenzia delle entrate è autorizzata ad attestare la certezza e la liquidità del credito, nonché la data indicativa di erogazione del rimborso.
Il conto fiscale – istituito dall’articolo 78, comma 27 della legge 30 dicembre 1991, n. 413, - è uno speciale conto individuale virtuale, che registra crediti e debiti con il fisco. Viene aperto per i titolari di partita IVA presso il concessionario del servizio di riscossione competente per territorio, generalmente presso gli Agenti della riscossione di Equitalia. Si tratta di un sistema studiato per facilitare i rapporti con il fisco e per monitorare facilmente lo stato di riscossione dei tributi e quello dei rimborsi. Tramite il conto fiscale, infatti, vengono registrati i versamenti ed i rimborsi relativi alla imposte sui redditi, incluse le ritenute alla fonte (d'acconto o d'imposta); le imposte sostitutive; le imposte versate in base a dichiarazioni integrative; IRAP e IVA.
Ai sensi del nuovo comma 1-bis del predetto articolo 10, l'attestazione del credito di imposta chiesto a rimborso deve essere rilasciata dall'Agenzia delle Entrate entro 40 giorni dalla richiesta del contribuente, decorsi i quali l’attestazione si intende rilasciata.
Ai sensi del nuovo comma 2-ter, per la realizzazione di nuove opere infrastrutturali di importo superiore a 500 milioni di euro previste in piani o programmi di amministrazioni pubbliche, da realizzare mediante l'utilizzazione dei contratti di partenariato pubblico-privato per le quali è accertata la non sostenibilità del piano economico finanziario, è riconosciuta al soggetto titolare del contratto l'esenzione dal pagamento del canone di concessione nella misura necessaria al raggiungimento dell'equilibrio del piano economico finanziario.
Si rammenta che l’art. 1, comma 1020, della legge n. 296 del 2006 è intervenuto sulla disciplina del canone annuo a carico degli enti concessionari (disciplinato dall’art. 10 della legge n. 537 del 1993), sotto due profili:
a) sotto il profilo dell’entità del canone, che è stato incrementato dall’1 al 2,4 per cento dei proventi netti dei pedaggi di competenza dei concessionari;
b) sotto il profilo della destinazione di tali somme, prevedendo che una parte delle medesime, pari al 42 per cento, sia corrisposta direttamente all’ANAS, che a sua volta provvede a destinarla alle sue attività di vigilanza e controllo sui concessionari, secondo direttive impartite dal Ministero delle infrastrutture.
Con la delibera CIPE che determina l'importo del contributo pubblico necessario per il riequilibrio del piano economico finanziario (come disciplinata dal comma 2) sono individuati i criteri e le modalità per l'accertamento, la determinazione e il monitoraggio dell'esenzione, nonché per la rideterminazione della misura in caso di miglioramento dei parametri posti a base del piano economico finanziario.
La norma prevede quindi che la misura sia riconosciuta in conformità alla disciplina comunitaria in materia di aiuti di Stato. La norma fa riferimento genericamente alla disciplina comunitaria, il che potrebbe implicare la necessità di acquisire ai sensi degli articoli 107 e 108 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) la preventiva autorizzazione della Commissione europea ai fini dell’effettiva applicazione dell’esenzione. La necessità di acquisire tale autorizzazione preventiva sarebbe esclusa laddove l’agevolazione rientrasse, caso per caso, nel campo di applicazione della disciplina de minimis (200.000 euro per ciascuna impresa per tre anni).
Al fine di assicurare la sostenibilità economica dell'operazione di partenariato pubblico-privato, la predetta esenzione può essere utilizzata anche cumulativamente al credito d’imposta di cui al comma 1. Nel complesso le due misure non potranno superare il 50 per cento del costo dell'investimento, tenendo conto anche del contributo pubblico a fondo perduto (comma 2-quater).
Il comma 3 introduce alcune modifiche all’art. 18 della legge n. 183 del 2011 (legge di stabilità 2012) relativo al finanziamento di infrastrutture mediante defiscalizzazione.
La prima modifica è volta a chiarire l’ambito oggettivo e soggettivo di applicazione dell’art. 18, che prevede misure di defiscalizzazione in sostituzione totale o parziale del contributo pubblico a fondo perduto, per favorire la realizzazione di nuove infrastrutture con contratti di PPP previste in piani o programmi di amministrazioni pubbliche. Viene precisato che tali infrastrutture devono essere incluse in piani o programmi di amministrazioni pubbliche previsti a legislazione vigente e che, tra i soggetti interessati, sono inclusi anche i soggetti concessionari.
Si ricorda che l’ambito applicativo dell’art. 18 della legge n. 183 del 2011 è stato da ultimo modificato dall’art. 2, comma 1, lett. a), del decreto legge n. 83 del 2012, estendendolo alla realizzazione di tutte le nuove infrastrutture in partenariato pubblico-privato (PPP), in luogo della limitazione di tali agevolazioni al project financing in determinati settori e con precisi limiti temporali. Viene altresì reso flessibile, in coerenza con le predette modifiche, anche il novero dei destinatari delle misure agevolative, che vengono rese applicabili – oltre alle società di progetto – più in generale al soggetto interessato, a seconda delle diverse tipologie di contratto.
Nella sua formulazione antecedente, il comma 1 dell’art. 18 (già oggetto di numerose modifiche nel corso del tempo ad opera, in particolare, del D.L. n. 201 del 2011, del D.L. n. 1 del 2012 e del D.L. n. 16 del 2012) contemplava la possibilità di prevedere agevolazioni fiscali in favore delle società di progetto, finalizzate a:
§ realizzare nuove infrastrutture stradali e autostradali, anche di carattere regionale, con il sistema del project financing, purché le relative procedure fossero state avviate ai sensi della normativa vigente, e non fossero state ancora definite al 1° gennaio 2012 (data di entrata in vigore della medesima legge di stabilità 2012);
§ realizzare nuove opere di infrastrutturazione ferroviaria metropolitana e di sviluppo ed ampliamento dei porti e dei collegamenti stradali e ferroviari inerenti i porti nazionali appartenenti alla rete strategica transeuropea di trasporto essenziale (CORE TEN-T NETWORK).
L’agevolazione consiste nella possibilità di compensare l’ammontare dovuto a titolo di specifiche imposte, in via totale o parziale, con le somme da versare al concessionario a titolo di contributo pubblico a fondo perduto per la realizzazione dell’infrastruttura, mediante riduzione o azzeramento di quest’ultimo.
In particolare:
§ si consente di compensare parzialmente o integralmente le imposte sui redditi e l’IRAP generati durante il periodo di concessione con la riduzione o l’azzeramento del contributo a fondo perduto;
§ si consente di assolvere agli obblighi di versamento IVA mediante compensazione parziale o integrale con il predetto contributo (nel rispetto delle disposizioni europee in materia di versamenti IVA recati dalla direttiva 2006/112/CE e di risorse proprie del bilancio UE);
§ limitatamente alle grandi infrastrutture portuali, per un periodo non superiore ai 15 anni, la suddetta compensazione è consentita anche con il 25% dell'incremento del gettito IVA relativa alle operazioni di importazione riconducibili all'infrastruttura oggetto dell'intervento.
§ la possibilità di riconoscere come contributo in conto esercizio l’ammontare del canone annuo di concessione previsto dall’art. 1, comma 1020, della legge n. 296 del 2006 (legge finanziaria 2007) nonché l’integrazione della misura del canone annuo prevista dall’art. 19, comma 9-bis, del decreto-legge n. 78/2009. Il riconoscimento del contributo in conto esercizio si traduce di fatto in un beneficio per le imprese a fronte delle spese di gestione/funzionamento dalle stesse sostenute.
Si prevede quindi che il contributo a fondo perduto, nonché le modalità e i termini delle misure fiscali precedentemente descritte, utilizzabili anche cumulativamente, sono posti a base di gara per l’individuazione del concessionario e sono riportate nel contratto di concessione che deve essere approvato con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze. La misura del contributo pubblico, comprese le agevolazioni fiscali di cui al comma 1, non può, comunque, eccedere il 50 per cento del costo dell’investimento e deve essere conforme alla normativa nazionale e comunitaria (comma 2).
La seconda modifica, attraverso l’inserimento di alcuni periodi al comma 2 del predetto art. 18 della legge n. 183 del 2011, estende le misure di defiscalizzazione ivi previste anche alle infrastrutture strategiche già affidate o in corso di affidamento con contratti di PPP di cui all'art. 3, comma 15-ter del Codice, qualora risulti necessario ripristinare l'equilibrio del piano economico finanziario, secondo i criteri e le modalità stabiliti da un’apposita delibera del Cipe che dovrà essere adottata su proposta del MIT, di concerto con il MEF. La delibera CIPE dovrà essere adottata previo parere del NARS che è allo scopo integrato con due componenti rispettivamente designati dal MEF e dal MIT.
La relazione illustrativa precisa si tratta di un “numero chiuso” di opere delimitato a quelle che, per variazioni intervenute (quali la diminuzione dei volumi di traffico, l’aumento degli oneri finanziari relativi agli investimenti), potrebbero richiedere la necessità di ripristinare l’equilibrio del piano.
Viene, inoltre, indicato il contenuto della delibera del Cipe che deve determinare:
§ l’importo del contributo pubblico a fondo perduto e di quello necessario per il riequilibrio del PEF;
§ l’ammontare delle risorse disponibili a legislazione vigente utilizzabili;
§ le misure di defiscalizzazione da riconoscere a compensazione della quota di contributo mancante;
§ l’eventuale rideterminazione della misura delle agevolazioni in caso di miglioramento dei parametri posti a base del piano economico finanziario.
In sintesi, si delineano quindi tre distinte modalità di sostegno alla realizzazione di nuove opere infrastrutturali, le cui procedure sembrano essere sostanzialmente analoghe:
1. in via sperimentale, il credito d’imposta per nuove opere di importo superiore a 500 milioni di euro (di cui al comma 1 dell’articolo 33 in commento);
2. l’esenzione dal pagamento del canone di concessione, sempre per nuove opere di importo superiore a 500 milioni di euro (di cui al comma 2-ter dell’articolo 33), che è cumulabile con la misura precedente;
3. la defiscalizzazione per nuove opere incluse in piani o programmi di amministrazioni pubbliche previsti a legislazione vigente (di cui all’articolo 18 della legge n. 183 del 2011).
Documenti all’esame delle
Istituzioni dell’UE
(a cura
dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)
L’estensione del ricorso agli strumenti finanziari innovativi per il finanziamento, tra l’altro, di infrastrutture costituisce uno dei elementi centrali del prossimo quadro finanziario pluriennale (QFP) dell’UE per 2014-2020, quale prospettato dalla Commissione europea nella comunicazione “Un bilancio per la strategia Europa 2020” (COM(2011)500) del 29 giugno 2011.
La comunicazione fissa, in particolare, l’obiettivo di aumentare gli stanziamenti complessivi del bilancio europeo destinati all’emissione di strumenti finanziari innovativi dall’1%, previsto nell’attuale periodo di programmazione 2007-2013, al 2%, nel 2014-2020.
Alla base di tale scelta si pone, per un verso, l’esigenza di reperire sul mercato, tenuto conto del volume ridotto del bilancio europeo, consistenti finanziamenti per investimenti strategici nei settori dei trasporti, ambiente, energia e tecnologie digitali. Per altro verso, si intende porre rimedio alla ridotta disponibilità di capitale di rischio, determinata dalla crisi economica e finanziaria, per investimenti nei settori sopra indicati, che sono considerati essenziali per la ripresa dell’economia europea e, più in generale, per il perseguimento degli obiettivi di crescita e occupazione previsti dalla Strategia Europa 2020.
Nel quadro più vasto volto a promuovere il
ricorso agli strumenti finanziari
innovativi, si inserisce il progetto
pilota relativo ai project bond,
relativo al periodo 2012-2013,
avviato con l’adozione del regolamento (UE) n. 670/2012 al fine di contribuire
alla realizzazione delle infrastrutture
necessarie nei settori dei trasporti, dell'energia e delle tecnologie per
l’informazione e la comunicazione (TIC).
Il 7 novembre 2012 la Commissione europea e la BEI hanno sottoscritto un accordo di cooperazione che, attraverso una base finanziaria di 230 milioni di euro, consente di avviare la fase pilota.
Il ricorso ai project
bond è strettamente connesso all’istituzione, nell’ambito del QFP
dell’UE per il 2014-2020, del nuovo meccanismo
per collegare l'Europa (Connecting
Europe Facility - CEF) con il quale l’UE intende promuovere
il finanziamento di determinate infrastrutture prioritarie che rispettino i
criteri di sviluppo sostenibile definiti dalla Strategia Europa 2020 (COM(2011)665)[213].
Il CEF si avvarrebbe sia di sovvenzioni sia di strumenti finanziari che comprenderebbero, oltre a strumenti di capitale proprio, anche strumenti con ripartizione del rischio tra cui project bond. Pertanto, il progetto pilota – che sarà oggetto, entro la seconda metà del 2013 di una revisione - si configura come una fase sperimentale in vista dell’emissione a regime, a partire dal 2014, di project bond nell’ambito del CEF. A partire da tale data, inoltre, lo strumento potrebbe essere aperto a finanziamenti in altri settori come, per esempio, le infrastrutture sociali, le energie rinnovabili e determinati progetti spaziali.
Nell’ambito dei negoziati in corso sul nuovo quadro finanziario dell’UE per il periodo 2014-2020, sembra prospettarsi una riduzione complessiva della dotazione complessiva del bilancio europeo, con notevoli tagli anche per gli stanziamenti destinati al CEF.
In base all’ultima proposta di compromesso presentata dal Presidente Van Rompuy al Consiglio europeo del 21-22 novembre scorso, tali ultimi stanziamenti dovrebbero passare da 50 miliardi di euro previsti inizialmente dalla Commissione europea, a 41,249 miliardi, di cui 26,948 destinati alle infrastrutture di trasporto (rispetto ai 31,7 proposti dalla Commissione); di questi, 10 miliardi dovranno provenire dal Fondo di coesione (e quindi riservati ai Paesi con PIL pro capite inferiore al 90% della media UE-27; l’Italia non potrà pertanto beneficiarne).
Articolo 33,
comma 3-bis
(Emissione di obbligazioni e titoli di da
parte di società operanti nei servizi pubblici locali)
Il comma 3-bis dell’articolo 33, introdotto nel corso dell’esame presso il Senato, estende la disciplina concernente l’emissione di obbligazioni e di titoli di debito da parte delle società di progetto di cui all’articolo 157 del decreto legislativo n. 163 del 2006[214] anche alle società operanti nella gestione dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica.
La norma, infatti, mediante una novella all’articolo 157, comma 4, del Codice dei contratti prevede che le disposizioni di cui ai commi 1, 2 e 3 del predetto articolo 157 si applichino anche alle società operanti nella gestione dei servizi di cui all’articolo 3-bis del decreto legge n. 138 del 2011, ossia alle società operanti nella gestione dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica.
L’articolo 157 del Codice dei contratti reca la disciplina per l’emissione di obbligazioni da parte delle società di progetto di cui all’articolo 156 del Codice. La disciplina di tali strumenti è stata oggetto di modifica con l’articolo 41 del D.L. n. 1 del 2012 che, novellando tra l’altro l’articolo 157, ha consentito alle società di progetto e alle società titolari di un contratto di partenariato pubblico-privato di emettere, oltre alle obbligazioni, anche titoli di debito, con lo scopo di realizzare una singola infrastruttura o un nuovo servizio di pubblica utilità, anche in deroga ai limiti previsti dal Codice civile. I commi 1, 2 e 3 recano la disciplina per l’emissione di obbligazioni e titoli di debito, mentre il comma 4 prevede che tali disposizioni si applicano anche alle società titolari delle autorizzazioni alla costruzione di infrastrutture di trasporto di gas e delle concessioni di stoccaggio di cui agli articoli 9 e 11 del decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164, alle società titolari delle autorizzazioni alla costruzione di infrastrutture facenti parte del Piano di sviluppo della rete di trasmissione nazionale dell'energia elettrica, nonché a quelle titolari delle autorizzazioni di cui all'articolo 46 del decreto-legge 1° ottobre 2007, n. 159, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 2007, n. 222.
L’articolo 3-bis del decreto legge n. 138 del 2011, introdotto dall’articolo 25, comma 1, del decreto legge n. 1 del 2012, disciplina l’organizzazione per ambiti territoriali ai fini dell’organizzazione dello svolgimento dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica.
Articolo 33,
comma 3-ter
(Soggetto destinatario dei fondi
per la realizzazione di interventi ferroviari)
Il comma 3-ter detta disposizioni per l’individuazione del soggetto destinatario delle risorse per le attività progettuali e per la realizzazione di interventi ferroviari compresi nella legge obiettivo, qualora il soggetto aggiudicatore non sia R.F.I., ma un soggetto da questa direttamente o indirettamente partecipato.
Il comma 3-ter dell’articolo 33, introdotto nel corso dell’esame presso il Senato, novella l’articolo 163 del D.Lgs. n. 163/2006,[215] relativo alle attività del Ministero delle infrastrutture occorrenti per la progettazione e approvazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi.
Il comma in esame interviene in particolare sulla lettera f) del comma 2, la quale prevede che il Ministero delle infrastrutture assegna ai soggetti aggiudicatori le risorse finanziarie integrative necessarie alle attività progettuali e, d'intesa con il Ministero dell'economia e delle finanze, propone al CIPE l’assegnazione, agli stessi soggetti, delle risorse finanziarie integrative necessarie alla realizzazione delle infrastrutture, previa approvazione del progetto preliminare e nei limiti delle risorse disponibili. In entrambi i casi le risorse sono poste a carico dei fondi.
Si ricorda che con il termine “fondi” la lettera f) fa riferimento alla definizione recata dall’art. 162, comma 1, lett. e), vale a dire alle “risorse finanziarie - integrative dei finanziamenti pubblici, anche comunitari e privati allo scopo stimati disponibili - che la legge finanziaria annualmente destina alle attività di progettazione, istruttoria e realizzazione delle infrastrutture inserite nel programma”.
Il comma 3-ter in esame prevede che, per gli interventi ferroviari di cui alla legge n. 443/2001 (c.d. legge obiettivo), se il soggetto aggiudicatore non è Rete ferroviaria italiana - R.F.I., ma un soggetto da questa direttamente o indirettamente partecipato, il destinatario dei fondi da assegnare deve essere individuato dal Ministero delle infrastrutture nella stessa R.F.I..
Articolo 33,
comma 4
(Disposizioni
concernenti l’autostrada Livorno Civitavecchia)
Il comma 4 reca disposizioni in merito alla gestione della nuova tratta Cecina-Civitavecchia dell’autostrada Livorno-Civitavecchia.
Viene previsto che, per i primi dieci anni di gestione della nuova tratta Cecina-Civitavecchia, venga trasferito alla Regione Toscana una quota fino al 75% del canone annuo che viene versato ai sensi dell’art. 1, comma 1020, legge n. 296 del 2006 (finanziaria 2007).
Come indicato anche nella relazione illustrativa, con tale trasferimento lo Stato concorre al finanziamento da parte della regione di misure di agevolazione tariffaria per i residenti dei comuni interessati. La relazione illustrativa precisa inoltre che tale norma comporta un trasferimento dell’ammontare massimo di 15 milioni di euro all’anno, tenuto conto che il 2,4% dei proventi netti da pedaggio per la tratta Cecina-Civitavecchia è stimato pari a complessivi 20 milioni di euro l’anno. L’importo di 15 milioni di euro corrisponde infatti al 75% dei predetti 20 milioni corrispondenti al canone fissato dall’art. 1, comma 1020, legge n. 296 del 2006.
Si rammenta che l’art. 1, comma 1020, della legge n. 296 del 2006 è intervenuto sulla disciplina del canone annuo a carico degli enti concessionari (disciplinato dall’art. 10 della legge n. 537 del 1993), sotto due profili:
a) sotto il profilo dell’entità del canone, che è stato incrementato dall’1 al 2,4 per cento dei proventi netti dei pedaggi di competenza dei concessionari;
b) sotto il profilo della destinazione di tali somme prevedendo che una parte delle medesime, pari al 42 per cento, sia corrisposta direttamente all’ANAS, che a sua volta provvede a destinarla alle sue attività di vigilanza e controllo sui concessionari, secondo direttive impartite dal Ministero delle infrastrutture.
Successivamente tale comma 1020 è stato modificato dall’art. 1-bis del decreto legge n. 162 del 2008 in relazione alle modalità di destinazione dello stesso canone.
Si segnala, infine, che l’asse autostradale Cecina-Civitavecchia è compreso nel Programma delle infrastrutture strategiche di cui all’articolo 1 della legge n. 443/2001. Il 10° Allegato infrastrutture, trasmesso al Parlamento il 1° ottobre 2012 in occasione della presentazione della Nota di aggiornamento del DEF 2012, espone un costo dell’opera pari a 2.004,18 milioni di euro e una disponibilità di 2.005,97 milioni.
Articolo 33,
comma 4-bis
(Emissione di obbligazioni per la
realizzazione di reti di comunicazione elettronica e di telecomunicazioni
pubbliche)
Il comma 4-bis dell’articolo 33 estende la possibilità di emissione di obbligazioni e di titoli di debito per la realizzazione di specifici progetti infrastrutturali alle società titolari delle autorizzazioni per la realizzazione di reti di comunicazione elettronica e a quelle titolari delle licenze individuali per l’istallazione e la fornitura di reti di telecomunicazioni pubbliche.
In particolare si novella l’articolo 157, comma 4, del D.Lgs. n. 163/2006[216], il quale disciplina l’emissione di obbligazioni e titoli di debito volti alla realizzazione di specifici progetti infrastrutturali.
I suddetti obbligazioni e titoli sono destinati alla sottoscrizione da parte di investitori qualificati e possono essere garantiti, sino all'avvio della gestione dell'infrastruttura da parte del concessionario, dal sistema finanziario, da fondazioni e da fondi privati.
Il vigente comma 4 del citato articolo 157 consente l’emissione dei menzionati strumenti finanziari, oltre che alle società di progetto e dalle società titolari di un contratto di partenariato pubblico privato, come previsto dal comma 1 dello stesso articolo, anche ai seguenti soggetti:
§ società titolari delle autorizzazioni alla costruzione di infrastrutture di trasporto di gas e delle concessioni di stoccaggio;
§ società titolari delle autorizzazioni alla costruzione di infrastrutture facenti parte del Piano di sviluppo della rete di trasmissione nazionale dell'energia elettrica;
§ società titolari delle autorizzazioni per la costruzione e l’esercizio di terminali di rigassificazione di gas naturale liquefatto.
Il comma in esame estende ora la possibilità di emettere tali obbligazioni e titoli di debito ai seguenti soggetti:
§ società titolari delle autorizzazioni per la realizzazione di reti di comunicazione elettronica, di cui al D.Lgs. n. 259/2003;[217]
§ società titolari delle licenze individuali per l’istallazione e la fornitura di reti di telecomunicazioni pubbliche, di cui all’articolo 6 del D.P.R. n. 318/1997[218].
Il citato articolo 6 prevede, al comma 6, che la licenza individuale è concessa per l'offerta di servizi diversi da quelli per i quali è prevista l'autorizzazione generale (individuati dal comma 1 dello stesso articolo) e di quelli che richiedano l'uso di risorse scarse, fisiche o di altro tipo, o che siano soggetti ad obblighi particolari. La disposizione elenca poi una serie, non esaustiva, di casi per i quali è richiesta la licenza individuale:
a) prestazione di servizi di telefonia vocale;
b) installazione e fornitura di reti di telecomunicazioni pubbliche, comprese quelle che prevedono l'utilizzo delle frequenze radio;
c) prestazioni di servizi di comunicazione mobili e personali;
d) assegnazione di frequenze radio o di specifiche numerazioni;
e) imposizione di oneri e di condizioni inerenti alla fornitura obbligatoria di servizi e reti di telecomunicazioni pubblici, tra i quali gli obblighi previsti per il servizio universale;
f) imposizione di obblighi specifici alle imprese che detengono una notevole forza di mercato per quanto riguarda l'offerta, su tutto il territorio nazionale, di linee affittate o di servizi pubblici di telecomunicazioni.
Articolo 33,
comma 4-ter
(Delegazione di pagamento a garanzia del
pagamento delle rate di ammortamento di mutui e prestiti delle università)
Il comma 4-ter, introdotto nel corso dell’esame al Senato, prevede che, a garanzia del pagamento delle rate di ammortamento dei mutui e dei prestiti, le università possono rilasciare delegazione di pagamento a valere sulle entrate proprie e da trasferimenti, ovvero sui corrispondenti proventi risultanti dal conto economico.
A tal fine, l'atto di delegazione, non soggetto ad accettazione, è notificato al tesoriere da parte delle università e costituisce titolo esecutivo.
Dal punto di vista giuridico, la delegazione di pagamento, nell’ambito della finanza pubblica, è lo strumento giuridico attraverso il quale l’ente pubblico garantisce mutui o prestiti da esso contratti vincolando alla loro estinzione alcuni cespiti delle proprie entrate. Tale strumento, dal punto di vista contabile, implica che l’ente mutuatario rilasci delega di pagamento indicante: ente delegante, delegatario, agente della riscossione delegato, entrata delegata, importo e scadenza di ogni annualità.
Con il comma in esame si estende alle università, con disciplina sostanzialmente analoga, il particolare meccanismo di garanzia già vigente nel nostro ordinamento con riferimento ai contratti di finanziamento a favore degli enti territoriali.
In particolare, il rilascio della delegazione di pagamento quale forma di garanzia per il pagamento delle rate di ammortamento di mutui e prestiti è disciplinato dall’articolo 206 del Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali (TUEL), di cui al D.Lgs. n. 267/2000, nell’ambito del CAPO III, denominato Garanzie per mutui e .prestiti.
L’articolo 206 del TUEL prevede che, quale garanzia del pagamento delle rate di ammortamento dei mutui e dei prestiti, gli enti locali possono rilasciare delegazione di pagamento a valere sulle entrate afferenti ai primi tre titoli del bilancio annuale (entrate correnti). L'atto di delega, non soggetto ad accettazione, è notificato al tesoriere da parte dell'ente locale e costituisce titolo esecutivo.
In sostanza, in forza di tale disposizione, l’ente (delegante) ordina al proprio tesoriere (delegato) di costituire una provvista destinata al soddisfacimento del debito assistito dalla delegazione, alimentata mediante accantonamenti sulle entrate dell’ente afferenti i primi tre titoli del bilancio annuale (vale a dire su entrate tributarie, extratributarie e da trasferimenti).
Tale sistema di garanzia, così come previsto dall’articolo 220 del TUEL, prevede che “a seguito della notifica degli atti di delegazione di pagamento di cui all'articolo 206 il tesoriere è tenuto a versare l'importo dovuto ai creditori alle scadenze prescritte, con comminatoria dell'indennità di mora in caso di ritardato pagamento”. Si tratta, in pratica, di un vincolo di destinazione che implica che le somme derivanti dall’entrata oggetto di delegazione di pagamento non possano essere destinate dall’ente che al pagamento delle rate di ammortamento del mutuo.
Il sistema della delegazione di pagamento si sostanzia, dunque, nella concessione, da parte dell’ente pubblico ai soggetti finanziatori, di un titolo giuridico esecutivo per la soddisfazione del proprio credito, il quale, peraltro, prevede procedure più snelle per il pagamento delle rate di ammortamento.
L’utilizzo di tale istituto, valevole anche in caso di dissesto, di fatto, azzera il rischio di insoluto per le banche.
In considerazione di quanto sopra detto, l’ultimo periodo del comma dispone che le somme di competenza delle università destinate al pagamento delle rate in scadenza dei mutui e dei prestiti non possono essere comprese nell'ambito di procedure cautelari, di esecuzione forzata e concorsuali, anche straordinarie, e non possono essere oggetto di compensazione, a pena di nullità rilevabile anche d'ufficio dal giudice.
Il comma 4-bis mantiene inoltre fermo il rispetto del limite massimo alle spese di indebitamento, secondo quanto disposto dagli articoli 6 e 7 del decreto legislativo 29 marzo 2009, n. 49.
Si ricorda, con
riferimento all’indebitamento delle università, che l’articolo 6 del D.Lgs. n. 49/2012 - che, in attuazione della delega prevista dall’art. 5 della L. n. 240/2010[219], reca la disciplina per la programmazione, il monitoraggio e la
valutazione delle politiche di bilancio e reclutamento degli atenei – stabilisce,
preliminarmente, che le università statali
possono contrarre mutui ed altre forme
di indebitamento esclusivamente per
finanziare le spese di investimento, come definite dall’articolo 3, comma
18, della L. n. 350 del 2003 (legge finanziaria 2004)[220].
Il limite massimo alle
spese per l’indebitamento è fissato nella misura del 15% dell’indicatore di indebitamento degli atenei.
Tale indicatore è calcolato rapportando l’onere complessivo di ammortamento annuo[221] - computato al netto dei relativi contributi statali per investimento ed edilizia[222] - alla “somma algebrica” dei contributi statali per il funzionamento[223] e delle tasse, soprattasse e contributi universitari[224] (rispettivamente, assegnati o riscossi nell’anno di riferimento), al netto delle spese di personale e delle spese per fitti passivi[225].
L'indicatore di indebitamento è calcolato annualmente
dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca con riferimento
ai dati relativi all'esercizio finanziario precedente e, entro il mese di marzo
di ogni anno, ne comunica gli esiti alle università ed al Ministero
dell'economia e delle finanze.
Al fine di assicurare il rispetto dei suddetti limiti, l’articolo 7 del D.Lgs. n. 49/2012 prevede che gli atenei, che presentano un valore dell'indicatore per spese di indebitamento pari o superiore al 15 per cento non possono contrarre nuovi mutui e altre forme di indebitamento con oneri a carico del proprio bilancio. Se il valore dell'indicatore è superiore al 10 per cento, gli atenei possono contrarre ulteriori forme di indebitamento a carico del proprio bilancio, ma solo subordinatamente all'approvazione del bilancio unico d'ateneo di esercizio e alla predisposizione di un piano di sostenibilità finanziaria.
Il piano è redatto secondo modalità definite con decreto del Ministero, corredato dalla relazione del collegio dei revisori dei conti ed approvato dal consiglio di amministrazione. Il piano, che tiene anche conto anche della situazione di indebitamento degli enti e delle società partecipate, è inviato, entro 15 giorni dalla delibera, al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e al Ministero dell'economia e finanze per l'approvazione.
La contrazione di spese per indebitamento in difformità da quanto previsto determinano responsabilità per danno erariale nei confronti dei componenti degli organi dell'ateneo che le hanno disposte e penalizzazioni nelle assegnazioni del FFO da corrispondere all'ateneo nell'anno successivo a quelle in cui si verificano.
E’ chiaramente, in ogni caso, consentita la contrazione di forme di indebitamento con oneri integralmente a carico di finanziamenti esterni.
Articolo 33,
commi 5-7
(Disposizioni sul contrasto alla
pirateria)
I commi da 5 a 7 del presente articolo recano disposizioni in materia di contrasto alla pirateria, autorizzando la spesa per apprestamenti e dispositivi info-operativi e di sicurezza.
In particolare, il comma 5 autorizza la spesa di 3,7 milioni di euro per l'anno 2012 e di 2,6 milioni di euro annui fino all'anno 2020 al fine di assicurare il supporto e la protezione del personale impiegato nelle attività internazionali di contrasto alla pirateria ed assicurare una maggior tutela della libertà di navigazione del naviglio commerciale nazionale. Il medesimo comma 5 limita l’ambito di operatività della disposizione alle attività di protezione che si svolgono in uno o più degli Stati le cui acque territoriali confinano con gli spazi marittimi internazionali a rischio di pirateria, individuati con il decreto del Ministro della difesa di cui all'articolo 5, comma 1, del decreto legge 12 luglio 2011, n. 107[226].
Al riguardo, si ricorda che il richiamato articolo 5
ha introdotto alcune misure di contrasto al fenomeno della pirateria in acque
internazionali, incentrate sulla possibilità di ricorrere a forme di autodifesa
a bordo delle imbarcazioni private destinate ad attraversare zone a rischio,
mediante il dispiegamento di Nuclei
militari di protezione (NMP) della Marina militare o di servizi di
vigilanza privata[227].
In particolare, il comma 1 del richiamato articolo 5,
prevede che il Ministero della difesa possa stipulare con l'armatoria privata
italiana e con altri soggetti aventi analogo potere di rappresentanza, convenzioni per la protezione delle navi
battenti bandiera italiana che debbano attraversare spazi marittimi
internazionali a rischio di episodi di pirateria, mediante l'imbarco a titolo oneroso e a richiesta degli
armatori, di Nuclei militari di protezione (NMP) della Marina, composti
eventualmente anche di personale delle altre Forze armate, dotati di armamento
previsto per l'espletamento del servizio.
Il medesimo comma specifica, inoltre, come
l'individuazione degli spazi marittimi internazionali a rischio di pirateria
avvenga tramite decreto del Ministero della difesa, sentiti i Ministri degli
affari esteri e delle infrastrutture e dei trasporti, valutate le indicazioni
periodiche dell'International Maritime
Organization (IMO)[228].
In attuazione di quanto disposto dal richiamato
articolo 5 comma 1, è stato emanato il decreto del Ministro della Difesa 1°
settembre 2011 recante l’individuazione degli spazi marittimi internazionali a
rischio di pirateria nell'ambito dei quali può essere previsto l'imbarco dei Nuclei
militari di protezione (NMP)[229]
Nel decreto, all'articolo 2, comma 1, gli spazi
marittimi internazionali a rischio di pirateria e rispetto ai quali è previsto
l’intervento dei Nuclei militari di protezione, vengono individuati dalla
porzione dell'Oceano Indiano delimitata a nord ovest dallo Stretto di Bab El
Mandeb, a nord dallo Stretto di Hormuz, a sud dal Parallelo 12°S e a est dal
Meridiano 78°E.
Il secondo comma dell'articolo 2 del citato decreto
ministeriale precisa che la medesima protezione delle navi battenti bandiera
italiana da parte di Nuclei militari di protezione è assicurata anche negli
spazi marittimi internazionali esterni a quelli di cui al comma 1, per la
durata della permanenza dei Nuclei militari di protezione a bordo delle navi
resa necessaria da esigenze di natura tecnica od operativa connesse alle zone
di possibile imbarco e sbarco sul e dal medesimo naviglio.
Il comma 6 provvede alla copertura dei richiamati oneri pari a 3,7 milioni di euro per l'anno 2012 e 2,6 milioni di euro annui per gli anni dal 2013 al 2020:
a) quanto a 3,7 milioni di euro per l'anno 2012 mediante utilizzo delle somme relative ai rimborsi ONU per le missioni di peacekeeping versate nell'anno 2012 e non ancora riassegnate al fondo missioni internazionali;
b) quanto a 2,6 milioni di euro annui dal 2013 al 2020, mediante corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa per il rifinanziamento del fondo missioni, di cui all'articolo 55, comma 5, del DECRETO LEGGE 31 maggio 2010, n. 78[230].
Per quanto concerne la lettera a) si tratta dei rimborsi corrisposti dall'Organizzazione delle Nazioni Unite quale corrispettivo per il contributo degli Stati membri, in termini di personale, di mezzi e di servizi di supporto, alle missioni di peacekeeping.
Il sistema dei rimborsi delle Nazioni Unite per i Paesi partecipanti ai contingenti militari e di polizia dell'ONU si basa dal 1996 sul sistema del Contingent Owned Equipment (COE), il quale risulta sua volta accentrato sul Memorandum d'intesa, accordo formale e vincolante, negoziato tra l'ONU e il Paese che fornisce il contributo, che stabilisce le responsabilità e i requisti del personale, dei mezzi e dei servizi di supporto da fornire alla missione. Il Memorandum d'intesa viene sottoscritto dai rappresentanti del Department of Field Support dell'ONU e della missione permanente presso le Nazioni Unite del paese contribuente.
I coefficienti di rimborso vengono rivisti ogni tre anni da un gruppo di lavoro COE presso l'Assemblea Generale dell'ONU. La prossima revisione è prevista per l'inizio del 2011.
Dopo il dispiegamento del contingente, hanno luogo ispezioni di verifica da parte del personale COE in teatro e la relazione, inviata ai quartieri generali, viene confrontata con il Memorandum d'intesa. Solo previa verifica, si procede al calcolo del rimborso che viene erogato nei mesi di marzo, giugno, settembre e dicembre di ogni anno.
Si ricorda che la legge finanziaria 2007 (n. 296 del
2006), all'articolo 1, comma 1238, ha istituito, nello stato di previsione del
Ministero della difesa, un fondo,
con la dotazione di 350 milioni di euro per l'anno 2007 e di 450 milioni di
euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009, in conto spese per il funzionamento,
con particolare riguardo alla tenuta in efficienza dello strumento militare,
mediante interventi di sostituzione, ripristino e manutenzione ordinaria e
straordinaria di mezzi, materiali, sistemi, infrastrutture, equipaggiamenti e
scorte, assicurando l'adeguamento delle capacità operative e dei livelli di
efficienza ed efficacia delle componenti militari, anche in funzione delle
operazioni internazionali di pace. Il medesimo comma disponeva che i suddetto
fondo fosse altresì alimentato con i
pagamenti a qualunque titolo effettuati da Stati od organizzazioni
internazionali, ivi compresi i rimborsi corrisposti dall'Organizzazione
delle Nazioni Unite, quale corrispettivo di prestazioni rese dalle Forze armate
italiane nell'ambito delle citate missioni di pace.
Il comma 11 dell'articolo
8 del decreto legge n. 78/2010 provvede a destinare i rimborsi onu al fondo per
le missioni internazionali di pace, istituito nell'ambito dello stato di
previsione della spesa del Ministero dell'economia e delle finanze, di cui alla
lettera b) del comma 6 in commento.
Giova, altresì, ricordare che l'articolo 1, comma 1240, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (finanziaria per il 2007) ha istituito il Fondo per le missioni internazionali di pace all’interno dello stato di previsione del Ministero dell’Economia e delle Finanze (capitolo 3004).
Il comma 5 dell’articolo 55 del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, recante misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica[231], ha disposto l'integrazione del medesimo Fondo rispettivamente nella misura di 320 milioni di euro per il 2010; di 4,3 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2011 al 2014; di 64,2 milioni di euro per l’anno 2015 e di 106,9 milioni di euro per gli anni dal 2016 al 2020.
Successivamente, il comma 18 dell’articolo 33 della legge di stabilità 2012-2014 (legge 12 novembre 2011, n. 183) ha disposto per il 2012 un incremento di 700 milioni di euro dello stanziamento del Fondo per il finanziamento delle missioni di pace, finalizzato al proseguimento della partecipazione italiana a missioni internazionali fino al 30 giugno 2012.
Inoltre, il comma 1 dell’articolo 30 del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201 (recante disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici)[232], mediante novella del citato articolo 33, comma 18, della legge di stabilità per il triennio 2012-2014, ha operato un’ulteriore proroga, fino al 31 dicembre 2012, degli stanziamenti per le missioni internazionali di pace cui l’Italia partecipa, apprestando nel contempo le necessarie risorse, nella misura di 700 milioni di euro aggiuntivi a favore del Fondo per il finanziamento delle missioni di pace. La norma in commento sostituisce, infatti, nelle previsioni del citato comma 18 la data del 30 giugno 2012 con quella del 31 dicembre 2012 e la somma di 700 milioni con l’importo di 1.400 milioni di euro.
L’articolo 10 dell'ultimo decreto di proroga missioni, recante la norma di copertura finanziaria per il 2012 delle disposizioni del medesimo decreto-legge, ne valuta l'onere complessivo per il 2012 in 1.403.430.465 euro: tale importo è reperito mediante corrispondente riduzione della dotazione del richiamato fondo per le missioni internazionali di cui all’articolo 1, comma 1240, della legge finanziaria 2007 (legge 27 dicembre 2006, n. 296).
Infine, il comma 6 dell'articolo 23 del decreto legge sulla spending review[233] provvede al rifinanziamento del fondo missioni internazionali per 1.000 milioni di euro per l'anno 2013, al fine di consentire la proroga per l’anno 2013 della partecipazione italiana a missioni internazionali.
Il comma 7 autorizza il Ministro dell'economia e delle finanze ad apportare, con propri decreti, le variazioni di bilancio conseguenti all'applicazione dei commi 5 e 6.
Articolo 33,
comma 6-bis
(Procedura per la realizzazione di nuovi
istituti penitenziari)
Il comma 6-bis prevede la facoltà - e non più l’obbligo - per il Ministero della giustizia di affidare a società integralmente partecipata dal MEF le procedure per la realizzazione di nuovi istituti penitenziari.
Più in dettaglio, il comma 11 dell’art. 27 del decreto-legge 201/2011 stabilisce che il Ministero della giustizia affida a una società partecipata al 100% dal Ministero dell’economia e delle finanze, in qualità di centrale di committenza, secondo quanto previsto dal codice dei contratti pubblici, il compito di provvedere alla stima dei costi, alla selezione delle proposte per la realizzazione delle nuove infrastrutture penitenziarie, presentate dai soggetti di cui al comma 9, con preferenza per le proposte conformi alla disciplina urbanistico - edilizia vigente.
In base al richiamato comma 9, per fronteggiare l'eccessivo affollamento degli istituti penitenziari presenti sul territorio nazionale, il Ministero della giustizia può individuare beni immobili statali, comunque in uso all'Amministrazione della giustizia, suscettibili di valorizzazione e dismissione in favore di soggetti pubblici e privati, mediante permuta, anche parziale, con immobili già esistenti o da edificare e da destinare a nuovi istituti penitenziari. Nel caso in cui gli immobili da destinare a nuovi istituti penitenziari siano da edificare i soggetti di cui al precedente periodo non devono essere inclusi nella lista delle Amministrazioni Pubbliche redatta dall'ISTAT. Le procedure di valorizzazione e dismissione sono effettuate dal Ministero della giustizia, sentita l'Agenzia del demanio, anche in deroga alle norme in materia di contabilità generale dello Stato, nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico-contabile.
La disposizione in commento sostituisce con la facoltà l’obbligo previsto per il Ministero della giustizia di affidare alla predetta società partecipata le procedure per la realizzazione di nuovi istituti penitenziari.
Articolo 33,
comma 7-bis
(Sistema digitale Forze di Polizia)
Il comma 7-bis istituisce presso il Ministero dell'interno, la Commissione per la pianificazione ed il coordinamento della fase esecutiva del programma di interventi per il completamento della rete nazionale standard Te.T.Ra., necessaria per le comunicazioni sicure della Polizia di Stato, dell'Anna dei Carabinieri, del Corpo di Guardia finanza, della Polizia Penitenziaria e del Corpo Forestale dello Stato, con il compito di formulare pareri, sul suo coordinamento e integrazione interforze e, nella fase di attuazione del programma, su ciascuna fornitura o progetto.
Si ricorda che il decreto-legge sulla cd. spending review ha previsto la soppressione degli organi collegiali operanti presso le pubbliche amministrazione, a decorrere dalla scadenza dei medesimi (art. 12, comma 20, DL 95/2012).
Il sistema TETRA (TErrestrial Trunked RAdio,) rappresenta uno standard di comunicazione a onde radio per uso professionale, con sistemi veicolari e portatili, usato principalmente dalle forze di pubblica sicurezza e militari e dai servizi di emergenza oltre che dai servizi privati civili. Il sistema garantisce un particolare grado di riservatezza o confidenzialità delle comunicazioni ottenuta mediante cifratura delle trasmissioni in aria usando una unica chiave comune a tutti gli utenti, oppure chiavi individuali e di gruppo rigenerate su base sessione.
La Commissione è presieduta dal Direttore centrale dei servizi tecnico-Iogistici e della gestione patrimoniale del Dipartimento della pubblica sicurezza, ed è composta:
§ dal Direttore dell'ufficio per il coordinamento e la pianificazione;
§ da un rappresentante della Polizia di Stato;
§ da un rappresentante del Comando generale dell'Arma dei carabinieri;
§ da un rappresentante del Comando generale della Guardia di finanza;
§ da un rappresentante del Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria;
§ da un rappresentante del Corpo forestale dello Stato;
§ da un dirigente della Ragioneria generale dello Stato.
Per i componenti della Commissione non è previsto alcun compenso.
La commissione, senza oneri per la finanza pubblica, può decidere di chiedere specifici pareri anche ad estranei all'Amministrazione dello Stato, che abbiano particolare competenza tecnica.
Articolo 33-bis
(Modifica al Regolamento di attuazione
del Codice dei contratti con riguardo al requisito della cifra d’affari
realizzata)
L’articolo 33-quater,
introdotto durante l’esame al Senato, prevede che, fino al 31 dicembre 2015, ai
fini della qualificazione degli esecutori dei lavori, per la dimostrazione, da parte dell’impresa, del requisito della cifra di affari realizzata con lavori svolti
mediante attività diretta ed indiretta, il
periodo di attività documentabile è quello relativo ai migliori cinque anni
del decennio antecedente la data di
pubblicazione del bando.
L’articolo in commento, introdotto durante
l’esame al Senato, aggiunge il comma 19-bis all’art. 357 del D.P.R. n. 207
del 2010 (Regolamento di esecuzione ed attuazione del Codice dei contratti
pubblici), disponendo che, in relazione all’art. 61, comma 6, dello stesso D.P.R.
e fino al 31 dicembre 2015, ai fini
della qualificazione degli esecutori dei lavori, per la dimostrazione, da parte dell’impresa, del requisito della cifra di affari realizzata con lavori svolti
mediante attività diretta ed indiretta, il
periodo di attività documentabile è quello relativo ai migliori cinque anni
del decennio antecedente la data di
pubblicazione del bando.
Si ricorda che l’art. 61, comma 6, del D.P.R. n. 207 del 2010 dispone che per gli appalti di importo a base di gara superiore a euro 20.658.000 (classifica VIII di importo illimitato) l'impresa, oltre alla qualificazione conseguita nella classifica VIII, deve aver realizzato, nel quinquennio antecedente la data di pubblicazione del bando, una cifra di affari, ottenuta con lavori svolti mediante attività diretta ed indiretta, non inferiore a 2,5 volte l'importo a base di gara. Tale requisito deve essere comprovato secondo quanto previsto all'art. 79, commi 3 e 4[234], ed è soggetto a verifica da parte delle stazioni appaltanti. Da ultimo si ricorda che l’articolo 357 del D.P.R. n. 207 del 2010 reca le norme transitorie del Regolamento.
Si segnala che la circolare sulla formulazione tecnica dei testi
legislativi raccomanda di non ricorrere “all’atto legislativo per apportare
modifiche frammentarie ad atti non aventi forza di legge, al fine di evitare
che questi ultimi presentino un diverso grado di resistenza ad interventi
modificativi successivi”[235].
Articolo 33-ter
(Anagrafe unica delle stazioni
appaltanti)
L’articolo 33-bis, introdotto durante l’esame al Senato, disciplina l’istituzione, presso l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, dell’Anagrafe Unica delle stazioni appaltanti.
In particolare, il comma 1 dispone l’istituzione dell’Anagrafe Unica delle stazioni appaltanti
Le stazioni appaltanti di contratti pubblici di lavori, servizi e forniture hanno l’obbligo:
§ di richiedere l’iscrizione all’Anagrafe Unica presso la Banca Dati Nazionale dei Contratti Pubblici (BDNCP) istituita dall’art. 62-bis del decreto legislativo n. 82 del 2005;
§ di aggiornare annualmente i dati identificativi.
Si ricorda che la disciplina relativa alla Banca Dati Nazionale dei Contratti Pubblici, istituita dall’art. 62-bis del D.lgs. n. 82 del 2005 del codice dell’amministrazione digitale, è stata introdotta dall’art. 20 del decreto legge n. 5 del 2012 con un articolo aggiuntivo – l’art. 6-bis – al Codice dei contratti pubblici. La Banca Dati Nazionale dei Contratti Pubblici sarà operativa a decorrere dal 1° gennaio 2013.
Dall’inadempimento di uno dei due obblighi prescritti deriva sia la nullità degli atti adottati che la responsabilità amministrativa e contabile dei funzionari responsabili.
Il comma 2 demanda all’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici la definizione, con propria delibera, delle modalità operative e di funzionamento della Anagrafe Unica.
Documenti all’esame delle
Istituzioni dell’UE
(a cura
dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)
Il 20 dicembre 2011 la
Commissione europea ha presentato un pacchetto di misure volte ad effettuare una revisione organica della
normativa UE in materia di appalti pubblici. Il pacchetto comprende due proposte di direttive
riguardanti rispettivamente gli appalti nei cosiddetti “settori speciali”, vale a dire acqua, energia, trasporti e servizi
postali (COM(2011)895), e gli appalti nei “settori
ordinari” (COM(2011)896), allo scopo di avvicinare, per quanto possibile, le due discipline. Del pacchetto
fa parte anche una specifica proposta di direttiva sulle concessioni
(COM(2011)897).
Le due proposte di direttiva sono attualmente all’esame del Parlamento
europeo e del Consiglio secondo la procedura legislativa ordinaria. Il PE
dovrebbe esaminarle in prima lettura in occasione della plenaria di febbraio.
In vista della prima lettura del Consiglio, la Presidenza cipriota ha
presentato alcune proposte di compromesso con le quali, recependo anche parte
delle osservazioni del Governo italiano, si prospettano una serie di modifiche al testo iniziale delle proposte.
Le due proposte in oggetto sono state esaminate dall’VIII Commissione ambiente della Camera
che, in esito all’esame ai sensi dell’articolo 127 del Regolamento della Camera
ha adottato un documento finale il
28 novembre 2012. La XIV Commissione
Politiche dell’Unione europea ha approvato il parere sulle proposte nella stessa data.
Articolo 33-quater
(Disposizioni in materia di svincolo
delle garanzie di buona esecuzione)
L’articolo aggiuntivo, introdotto nel corso dell’esame al Senato, reca alcune modifiche alle norme riguardanti le garanzie di buona esecuzione previste dal D.Lgs. n. 163 del 2006 (Codice dei contratti pubblici).
La prima modifica, novellando il comma 3 dell’art. 113 del D.lgs. m. 163 del 2006 (Codice dei contratti pubblici), dispone la riduzione dal 25 al 20 per cento della quota dell’importo della garanzia non svincolabile in corso di esecuzione del contratto e, conseguentemente, l’incremento dal settantacinque all’ottanta per cento di quella svincolabile.
Si ricorda che l’art. 113, comma 1, del D.lgs. n. 163 del 2006 (Codice dei contratti pubblici) obbliga l'esecutore del contratto a costituire una garanzia fideiussoria del 10 per cento dell'importo contrattuale. Viene, inoltre, previsto che, in caso di aggiudicazione con ribasso d'asta superiore al 10 per cento, la garanzia fideiussoria venga aumentata di tanti punti percentuali quanti sono quelli eccedenti il 10 per cento; ove il ribasso sia superiore al 20 per cento, l'aumento è di due punti percentuali per ogni punto di ribasso superiore al 20 per cento. Da ultimo, l’art. 1, comma 2-bis del D.L. n. 95 del 2012 ha inserito, al comma 1, una disposizione relativa all’importo della garanzia fideiussoria per procedure di gara realizzate in forma aggregata da centrali di committenza. Il comma 3, ora novellato, dispone in merito allo svincolo della garanzia prevedendo che essa venga progressivamente svincolata a misura dell'avanzamento dell'esecuzione, nel limite massimo del 75 per cento dell'iniziale importo garantito. Lo svincolo, nei termini e per le entità anzidetti, è automatico, senza necessità di benestare del committente, con la sola condizione della preventiva consegna all'istituto garante, da parte dell'appaltatore o del concessionario, degli stati di avanzamento dei lavori o di analogo documento, in originale o in copia autentica, attestanti l'avvenuta esecuzione. L'ammontare residuo, pari al 25 per cento dell'iniziale importo garantito, è svincolato secondo la normativa vigente. Sono nulle le eventuali pattuizioni contrarie o in deroga. Il mancato svincolo nei quindici giorni dalla consegna degli stati di avanzamento o della documentazione analoga costituisce inadempimento del garante nei confronti dell'impresa per la quale la garanzia è prestata. Da ultimo si ricorda anche il comma 5 che chiarisce che la funzione di tale garanzia è quella di coprire gli oneri per il mancato od inesatto adempimento e, pertanto, cessa di avere effetto solo alla data di emissione del certificato di collaudo provvisorio o del certificato di regolare esecuzione.
La seconda modifica introduce, con un nuovo Capo IV-bis “Opere in esercizio” e l’art. 237-bis, rubricato con lo stesso titolo, una procedura specifica volta allo svincolo della garanzia laddove, qualora l’opera sia concretamente messa in esercizio, non intervenga lo svincolo a causa della mancata approvazione formale del collaudo.
Nello specifico, il comma 1 del nuovo art. 237-bis prevede lo svincolo automatico delle garanzie di buona esecuzione – per la parte corrispondente alle opere poste in esercizio - nei casi di esercizio protratto per oltre un anno delle opere realizzate nell’ambito dell’appalto poste, in tutto o in parte, in esercizio prima della relativa collaudazione tecnico-amministrativa.
Si dispone poi che una quota massima del 20% sia svincolabile solo all’emissione del certificato di collaudo ed alle condizioni di cui al successivo comma 2, oppure decorso il termine contrattualmente previsto per l’emissione del certificato di collaudo nel caso in cui non venga emesso entro tale termine per motivi non ascrivibili a responsabilità dell’appaltatore.
Resta altresì fermo il mancato svincolo dell’ammontare delle garanzie relative alle parti non in esercizio.
Il comma 2 introduce una clausola a garanzia della committenza con la quale si prevede che, nell’ipotesi di vizi o difformità dell’opera non rimossi dall’appaltatore entro un anno dall’esercizio delle opere, l'ente aggiudicatore, che ha rilevato e contestato tali vizi o difformità, comunica all’istituto garante - entro il predetto termine di un anno dall'entrata in esercizio delle opere - l'entità delle somme, corrispondenti al valore economico dei vizi o difformità rilevati, per le quali, in aggiunta alla quota del venti per cento prevista al comma 1 e fino alla concorrenza dell'intero importo corrispondente alla parte posta in esercizio, non interviene lo svincolo automatico delle garanzie.
Da ultimo il comma 3 dispone in merito all’applicabilità delle nuove norme:
§ in relazione all’art. 113, comma 3, relativo alla riduzione della quota dell’importo della garanzia non svincolabile ed all’incremento di quella svincolabile, esso si applica ai contratti i cui bandi o avvisi con cui si indice una gara siano pubblicati successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto in esame, nonché, in caso di contratti senza pubblicazione di bandi o avvisi, ai contratti in cui, alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto in esame non siano ancora stati inviati gli inviti a presentare le offerte;
§ in merito alle norme recate dal nuovo art. 237-bis sulle opere in esercizio esse si applicano ai contratti già affidati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto per i quali, alla medesima data, è spirato il termine previsto dal nuovo art. 237-bis, comma 1. Il termine per lo svincolo automatico comincia a decorrere da tale data e ha durata di centottottanta giorni.
In relazione alla formulazione del comma 3, si osserva che esso
richiama le lettere a) e b) del comma 1 che non sono state indicate all’interno
del comma 1. pertanto occorrerebbe premettere alla prima modifica relativa
all’art. 113, comma 3, la lettera a) e alla seconda modifica relativa all’art.
237, la lettera b).
Articolo 33-quinquies
(Disposizioni in materia di revisione triennale dell'attestato SOA)
L’articolo 33-quinquies,
introdotto durante l’esame al Senato, proroga
fino al 31 dicembre 2013, in sede di
verifica triennale dell’attestazione SOA, la disposizione che prevede una maggiore tolleranza (dal 25% al 50%) nella verifica dell’attestato SOA relativamente alla congruità
(prevista dall’art. 77, comma 6, del D.P.R. n. 207 del 2010) tra cifra di
affari in lavori, costo delle attrezzature tecniche e costo del personale
dipendente.
L’articolo in commento, introdotto durante
l’esame al Senato, proroga di un anno
– ovvero fino al 31 dicembre 2013 –
il termine previsto dall’art. 1, comma 3, lett. d) del decreto legge n. 73 del
2012, che prevedeva, in sede di verifica
triennale dell’attestazione SOA, una maggiore
tolleranza (dal 25% al 50%) delle percentuali indicate nell’articolo 77,
comma 6, del Regolamento, relativamente alla congruità tra cifra di affari in
lavori, costo delle attrezzature tecniche e costo del personale dipendente.
Si rammenta che l’art. 1, comma 3, lett. d), del decreto
legge n. 73 del 2012 recante “Disposizioni urgenti in materia di
qualificazione delle imprese e di garanzia globale di esecuzione”, ha
introdotto un comma 21-bis all’art.
357 del D.P.R. n. 207 del 2010 (Regolamento di esecuzione ed attuazione del
Codice dei contratti pubblici) in base al quale, in sede di verifica triennale dell’attestazione SOA, si prevede, in via transitoria fino al 31 dicembre 2012,
una maggiore tolleranza (dal 25% al 50%)
nella verifica dell’attestato SOA relativamente alla congruità (prevista
dall’art. 77, comma 6) tra cifra di affari in lavori, costo delle attrezzature
tecniche e costo del personale dipendente.
In dettaglio, l’articolo 77,
comma 6, del Regolamento dispone che la verifica di congruità tra cifra di
affari in lavori, costo delle attrezzature tecniche e costo del personale
dipendente, di cui all'articolo 79, comma 15, è effettuata con riferimento al
rapporto tra costo medio del quinquennio fiscale precedente la scadenza del
termine triennale e importo medio annuale della cifra di affari in lavori
accertata in sede di attestazione originaria, come eventualmente rideterminata
figurativamente ai sensi dell'articolo 79, comma 15, con una tolleranza del
venticinque per cento. La cifra di affari è ridotta in proporzione alla quota
di scostamento superiore al venticinque per cento, con conseguente eventuale
revisione della attestazione. Le categorie in cui deve essere effettuata la
suddetta revisione sono indicate dalla impresa in sede di contratto di verifica
triennale.
Articolo 33-sexies
(Risorse per la proroga della convenzione
con Radio radicale)
L’articolo
33-sexies, introdotto durante
l’esame al Senato, autorizza, per l’anno 2013,
la spesa di 10 milioni di euro per
le finalità di cui all’articolo 2, co. 3, del
D.L. 194/2009 (L. 25/2010). Si tratta, sostanzialmente, della proroga, per un
ulteriore anno, della convenzione
stipulata tra il Ministero dello sviluppo economico e il Centro di produzione
S.p.A., titolare dell’emittente Radio radicale, per la trasmissione radiofonica delle sedute
parlamentari.
Si ricorda che la predetta convenzione è stata stipulata ai sensi
dell’art. 1, comma 1, della legge n. 224 del 1998. Tale disposizione,
confermando lo strumento della convenzione da stipulare a seguito di gara
pubblica, i cui criteri dovevano essere definiti nel quadro dell’approvazione
della riforma generale del sistema delle comunicazioni[236], ha disposto, in via transitoria, il rinnovo per un triennio, con
decorrenza 21 novembre 1997, della convenzione
a suo tempo stipulata[237] tra il Ministero delle
comunicazioni e il Centro servizi Spa, per la trasmissione radiofonica dei
lavori parlamentari, quantificando un onere annuo di 11,5 mld. di lire.
Le successive proroghe sono state autorizzate e
finanziate, prima per trienni di spesa, poi per singole annualità, con leggi
finanziarie[238], ovvero con i c.d. decreti “proroga termini”.
In particolare, con riferimento all’ultimo periodo:
§
per ciascuno degli anni 2010 e il 2011, il citato D.L. n. 194/2009,
all’art. 2, co. 3, ha stanziato 9,9 milioni di euro, esplicitamente per la
proroga della convenzione;
§
per il 2012, l’art. 33, co. 38, della legge di stabilità 2012 (L.
183/2011) ha sostanzialmente prorogato di un ulteriore anno la disposizione del
richiamato articolo 2, co. 3, del D.L. n. 194, stabilendo, per le finalità
previste dalla stessa, un’autorizzazione di spesa di 3 milioni.
Successivamente, l’art. 28, co. 1, del D.L. 216/2011 (L. 14/2012), al
fine esplicito di consentire la proroga per tutto lo stesso anno della predetta
convenzione, ha autorizzato la spesa di 7
milioni di euro. Dunque, la complessiva autorizzazione di spesa per il 2012
è stata di10 milioni di euro.
Dal punto di vista della formulazione del
testo, sembrerebbe opportuno utilizzare la seguente formulazione, analoga -
mutatis mutandis - a quella recata dall’art. 2, co. 3, del D.L. 194/2009: “E’
autorizzata la spesa di 10 milioni di euro per l’anno 2013 per la proroga della
convenzione tra il Ministero dello sviluppo economico e il Centro di produzione
S.p.a., stipulata ai sensi dell'articolo
1, comma 1, della legge 11 luglio 1998, n. 224”.
Non appare, infatti, corretto il richiamo
delle finalità dell’art. 2, co. 3, dello stesso D.L. 194/2009, poiché esso
riguarda la proroga della convenzione fino al 31 dicembre 2011.
Articolo 33-septies
(Infrastrutture digitali)
La disposizione incarica l’Agenzia per l’Italia digitale di effettuare un censimento dei centri per l’elaborazione delle informazioni della pubblica amministrazione e di elaborare linee guida per la diffusione di standard comuni di interoperabilità, per raggiungere crescenti livelli di efficienza. Dalla disposizione risultano escluse le informazioni coperte da segreto di Stato.
Il comma 2 definisce i CED come i siti che ospitano un impianto informatico atto alla erogazione dei servizi interni alle amministrazioni pubbliche e servizi erogati esternamente dalle amministrazioni pubbliche che al minimo comprende apparati di calcolo, apparati di rete per la connessione e apparati di memorizzazione di massa
Con riferimento all’esclusione delle informazioni coperte dal segreto di Stato il comma 3 precisa che sono esclusi dal censimento i CED soggetti alla gestione di dati classificati secondo la normativa in materia di tutela amministrativa delle informazioni coperte da segreto di Stato e di quelle classificate nazionali secondo le direttive dell'Autorità nazionale per la Sicurezza (ANS) che esercita le sue funzioni tramite l'Ufficio centrale per la segretezza (UCSe) del Dipartimento informazioni per la sicurezza (DIS).
Si ricorda che
l’articolo 39 della L. 124/2007 di disciplina dei servizi di informazione e del
segreto di Stato, stabilisce il ricorso alla copertura del segreto di Stato nei
confronti degli atti la cui conoscenza potrebbe danneggiare l’integrità
della Repubblica, la difesa delle istituzioni poste dalla Costituzione a fondamento
della Repubblica, l’indipendenza dello Stato o la difesa
militare dello Stato.
L’obbligo di segretezza deve essere fatto valere nei confronti di
chiunque, prevedendo che gli atti coperti dal segreto di Stato possono essere
posti a conoscenza esclusivamente di coloro che sono chiamati a svolgere
rispetto ad essi funzioni essenziali: in sostanza degli operatori degli
organismi di sicurezza e, tra questi, solamente di quelli investiti di un
compito specifico che implichi la conoscenza di tali atti.
La responsabilità e la competenza per l’apposizione del segreto di Stato
spetta al Presidente del Consiglio, in quanto Autorità nazionale per la
sicurezza, il quale, con proprio regolamento, stabilisce i criteri per
l’individuazione degli atti suscettibili di essere oggetto di segreto di Stato.
Un’apposita struttura del sistema dei servizi di informazione, denominata Ufficio centrale per la segretezza (UCSe), svolge funzioni direttive e di coordinamento, di consulenza e di controllo sull’applicazione delle norme sulla tutela amministrativa del segreto di Stato e alle classifiche di segretezza, ferma restando la responsabilità generale in capo al Presidente del Consiglio - Autorità nazionale per la sicurezza.
Compete all’UCSe, tra l’altro, lo studio e la predisposizione delle disposizioni volte a garantire la sicurezza di quanto è coperto dalle classifiche di segretezza (atti, documenti , materiali ecc.).
La classifica di segretezza è l’indicatore del livello di segretezza attribuito in ambito nazionale ad una determinata informazione. Secondo la legge 127 le classifiche sono quattro: segretissimo, segreto, riservatissimo, riservato e sono attribuite dall’originatore dell’informazione a seconda della gravità del danno che la rivelazione non autorizzata della stessa causerebbe alla sicurezza dello Stato.
Il comma 4 prevede che entro il 30 settembre 2013 l’Agenzia per l’Italia digitale trasmette al presidente del Consiglio, dopo una consultazione pubblica, i risultati del censimento. Si prevede inoltre che entro i successivi novanta giorni venga adottato con DPCM e previa intesa in Conferenza unificata un piano di razionalizzazione dei CED delle pubbliche amministrazioni.
Il comma 5 contiene una clausola di invarianza finanziaria.
Articolo 33-octies
(Conferenza dei servizi)
L’articolo 33-octies, introdotto dal Senato, rece norme in merito al superamento del dissenso espresso in sede di conferenza dei servizi da una regione o provincia autonoma in una materia di propria competenza.
La disposizione interviene a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 179 2012, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della disciplina della conferenza di servizi nella parte in cui prevede che, in caso di dissenso espresso in sede di conferenza di servizi da una Regione o da una Provincia autonoma in una delle materie di propria competenza, ove non sia stata raggiunta, entro trenta giorni, l’intesa richiesta, il Consiglio dei ministri delibera in esercizio del proprio potere sostitutivo con la partecipazione dei Presidenti delle Regioni o delle Province autonome interessate.
Secondo la Corte, la previsione dell'intervento unilaterale dello Stato come mera conseguenza automatica del mancato raggiungimento dell'intesa costituisce una violazione del principio di leale collaborazione, con conseguente sacrificio delle sfere di competenza regionale. In particolare, la previsione di un termine esiguo (30 giorni) rende complesso e difficoltoso lo svolgimento di una qualsivoglia trattativa, attribuendo automaticamente al Governo il potere di deliberare, senza che siano previste le necessarie «idonee procedure per consentire reiterate trattative volte a superare le divergenze» (cfr. ex plurimis, sentenze n. 121 del 2010, n. 24 del 2007, n. 339 del 2005).
L’articolo in esame - sostituendo la disciplina dichiarata incostituzionale contenuta nell’art. 14-quater, comma 3, ultimo periodo, L. 241/1990 – introduce dunque una procedura volta a superare le divergenze tra Stato e regione attraverso le reiterate trattative richieste dalla Corte costituzionale.
L’art. 14-quater della legge n.
241/1990 disciplina gli effetti del dissenso espresso in sede di conferenza di servizi.
Esso prevede che il dissenso di uno o più rappresentanti delle amministrazioni vi comprese quelle preposte alla tutela ambientale (fermo restando quanto previsto in materia di valutazione di impatto ambientale), del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumità, regolarmente convocate alla conferenza di servizi, a pena di inammissibilità, deve essere manifestato nella conferenza di servizi e congruamente motivato, non può riferirsi a questioni connesse che non costituiscono oggetto della conferenza e deve recare le specifiche indicazioni delle modifiche progettuali necessarie ai fini dell'assenso.
Ove venga espresso motivato dissenso da parte di un'amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumità, la questione, in attuazione del principio di leale collaborazione e dell'articolo 120 Cost. sull’esercizio del potere sostitutivo dello Stato, è rimessa dall'amministrazione procedente alla deliberazione del Consiglio dei Ministri. Fanno eccezione: a) i casi di cui all’art. 117, ottavo comma, Cost, relativo alle intese tra regioni per il migliore esercizio delle funzioni, da ratificare con legge regionale; b) i procedimenti relativi alle opere della cd. legge obiettivo (artt. 161 e ss. D.Lgs. 163/2006), che presentano un’autonoma disciplina sul dissenso c) i procedimenti in tema di localizzazione di opere statali).
Il Consiglio dei ministri si pronuncia entro sessanta giorni, previa intesa con la Regione o le Regioni e le Province autonome interessate, in caso di dissenso tra un'amministrazione statale e una regionale o tra più amministrazioni regionali, ovvero previa intesa con la Regione e gli enti locali interessati, in caso di dissenso tra un'amministrazione statale o regionale e un ente locale o tra più enti locali.
Se l'intesa non è raggiunta entro trenta giorni, la deliberazione del Consiglio dei Ministri può essere comunque adottata. Tale disposizione, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 179/2012, non può peraltro applicarsi in caso di motivato dissenso di una Regione o una Provincia autonoma in una materia di propria competenza (la disciplina dichiarata incostituzionale prevedeva che in tal caso il Consiglio dei Ministri deliberasse in esercizio del proprio potere sostitutivo con la partecipazione dei Presidenti delle Regioni o delle Province autonome interessate).
La disciplina introdotta dall’articolo in esame prevede dunque che qualora il motivato dissenso sia espresso da una Regione o da una Provincia autonoma in una delle materie di propria competenza, ai fini del raggiungimento dell’intesa, entro trenta giorni dalla rimessione della questione alla delibera del Consiglio dei Ministri, viene indetta una riunione dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri con la partecipazione della medesima Regione o Provincia autonoma, degli enti locali e delle amministrazioni interessate, attraverso un unico rappresentante legittimato, dall’organo competente, ad esprimere in modo vincolante la volontà dell’amministrazione sulle decisioni di competenza. In tale riunione i partecipanti debbono formulare le specifiche indicazioni necessarie alla individuazione di una soluzione condivisa, anche volta a modificare il progetto originario.
Se l’intesa non è raggiunta nel termine di ulteriori trenta giorni, è indetta una seconda riunione dalla Presidenza del Consiglio con le medesime modalità della prima, per concordare interventi di mediazione, valutando anche le soluzioni progettuali alternative a quella originaria.
Ove non sia comunque raggiunta l’intesa, in un ulteriore termine di trenta giorni, le trattative, con le medesime modalità delle precedenti fasi, sono finalizzate a risolvere e comunque a individuare i punti di dissenso.
Questa fase procedurale non appare chiaramente scandita dalla
disposizione in esame. In particolare non risulta chiaro se il termine di 30 giorni
sia riferito al raggiungimento dell’intesa (come sembrerebbe per simmetria con
la disposizione sull’esito della prima riunione) o allo svolgimento delle
trattative; inoltre il riferimento allo svolgimento delle trattative con le
medesime modalità delle precedenti fasi sembrerebbe rendere necessaria
l’indizione di una o più riunioni.
Se all’esito delle predette trattative l’intesa non è raggiunta, la deliberazione del Consiglio dei Ministri può essere comunque adottata con la partecipazione dei Presidenti delle Regioni o delle Province autonome interessate.
Si segnalano i
precedenti di norme che prevedono
l’intervento dei Presidenti delle Regioni alle riunioni del Consiglio dei
ministri.
Tra questi, in modo particolare, si ricorda:
§ l’art 8, comma 1, della Legge 5 giugno 2003, n.131, in tema di esercizio del potere sostitutivo;
§ l’arti. 1-sexies, comma 4-bis, del D.L. 29 agosto 2003, n. 239, in tema di Semplificazione dei procedimenti di autorizzazione per le reti nazionali di trasporto dell'energia e per gli impianti di energia elettrica;
§ l’art. 2, comma 1, D.Lgs. 156/2010 recante norme su Roma capitale ("Ulteriori disposizioni recanti attuazione dell'articolo 24 della legge 5 maggio 2009, n. 42, in materia di ordinamento di Roma Capitale");
§ l’art. 14, comma 3, D.Lgs. 61/2012 che istituisce presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri un tavolo di raccordo interistituzionale tra Stato, Regione Lazio, Provincia di Roma e Roma capitale con funzioni di coordinamento per il trasferimento delle funzioni sopra individuate e di monitoraggio, con il concorso delle amministrazioni coinvolte, delle relazioni sindacali previste sulla base della normativa vigente.
La conferenza di servizi è uno strumento organizzativo attivabile dalle pubbliche amministrazioni nella fase decisoria di procedimenti amministrativi complessi al fine di accelerare l’espressione dei consensi delle amministrazioni coinvolte. L’istituto della conferenza di servizi, la cui disciplina generale è stata fissata dalla legge 241/1990[239] (artt. 14-15), è stato in seguito modificato più volte e parzialmente riformato dalla legge 127/1997[240]. Una completa riforma è stata operata dalla legge di semplificazione per il 1999, la legge 340/2000[241] (artt. 9-15) che ha novellato la legge 241/1990. Successivamente, modifiche di rilievo sono state apportate dalla legge 15/2005[242] (artt. 8-13), dalla legge 69/2009 (art. 9)[243] e, da ultimo, dal D.L: 78/2010 (art. 49).
In basa alla disciplina vigente, quando risulti opportuno esaminare contestualmente più interessi pubblici ovvero sia necessario acquisire una pluralità di atti di intesa (concerti, nulla osta, pareri, etc.) l’amministrazione procedente indice una conferenza di servizi, le cui decisioni sostituiscono, a tutti gli effetti, ogni atto di tutte le amministrazioni partecipanti.
Al di fuori di questa ipotesi, le amministrazioni pubbliche possono comunque concludere tra loro accordi volti a disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune.
La legge prevede tre tipi di conferenza dei servizi:
§
conferenza istruttoria;
§
conferenza su istanze o progetti preliminari;
§
conferenza decisoria.
La legge 241/1990 (art. 14-quater) disciplina l’espressione di eventuali dissensi in seno alla conferenza da parte di rappresentanti di una o più amministrazioni, ivi comprese le amministrazioni preposte alla tutela ambientale (la Presidenza del consiglio dei ministri, Dipartimento per il coordinamento amministrativo, con un comunicato in materia di conferenza di servizi, ha precisato le linee guida operative per la fase di remissione al Consiglio dei Ministri). In questi casi il dissenso deve essere espresso in sede di conferenza, deve essere motivato, deve riferirsi a questioni connesse al procedimento e, soprattutto, deve indicare le modifiche necessarie per l’ottenimento dell’assenso. Ove il dissenso venga espresso da parte di amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumità la decisione finale è rimessa al Consiglio dei Ministri (art. 14-quater, co. 3, come ampiamente riformato dall’art. 49, D.L. 78/2010).
Ciò ad eccezione dei casi in cui la questione sia oggetto di:
a) intese raggiunte tra le Regioni, ex art. 117, comma 8, della Costituzione, ratificate con legge regionale per disciplinare appositamente il dissenso;
b) specifici
Il Consiglio dei Ministri delibera entro sessanta giorni
§ previa intesa con la Regione o le Regioni e le Province autonome interessate, in caso di dissenso tra un'amministrazione statale e una regionale o tra più amministrazioni regionali;
§ previa intesa con la Regione e gli enti locali interessati, in caso di dissenso tra un'amministrazione statale o regionale e un ente locale o tra più enti locali.
Il Consiglio dei ministri può prescindere dall’intesa, assumendo la decisione finale qualora l’intesa non venga raggiunta entro trenta giorni, restando comunque fermo che il dissenso qualificato deve essere superato con decisione del Consiglio dei ministri che deve intervenire entro 60 giorni, nell’ambito dei quali si può prescindere dall’intesa con le competenti amministrazioni, ove questa non sia raggiunta entro trenta giorni.
Se il motivato dissenso è espresso da una Regione o da una Provincia autonoma in una delle materie di propria competenza, il Consiglio dei Ministri delibera in esercizio del proprio potere sostitutivo con la partecipazione dei Presidenti delle Regioni o delle Province autonome interessate.
Da ultimo, si ricorda che l’articolo 29, comma 2-ter, della legge 241/1990, inserisce le norme sulla conferenza di servizi tra i livelli essenziali delle prestazioni di cui all’art. 117, comma 2, lettera m), della Costituzione, al pari della segnalazione certificata di inizio attività e al silenzio assenso.
Articolo 34,
comma 1
(Concessione integrata per la gestione
della miniera del Sulcis)
Il comma 1 proroga di un anno (alla fine del 2013) il termine della procedura di assegnazione da parte della regione Sardegna di una concessione integrata per la gestione della miniera di carbone del Sulcis. Il secondo periodo dispone la proroga di tre anni della scadenza del servizio di interrompibilità per la sicurezza del sistema elettrico nazionale nelle isole maggiori.
In particolare, il primo periodo reca una novella dell'articolo 11, comma 14, alinea, del decreto-legge n. 35/2005[244], che prevede l’assegnazione tramite gara da parte della regione Sardegna di una concessione integrata per la gestione della miniera di carbone del Sulcis e la produzione di energia elettrica con la cattura e lo stoccaggio dell’anidride carbonica prodotta, assicurando al concessionario l'acquisto da parte del Gestore della rete di trasmissione nazionale S.p.a. dell'energia elettrica prodotta ai prezzi e secondo le modalità previste dal decreto del Presidente della Repubblica 28 gennaio 1994. La norma in esame proroga di un anno (dal 31 dicembre 2012 al 31 dicembre 2013) il termine finale di tale procedura di assegnazione.
Secondo la relazione illustrativa, la proroga si rende necessaria per garantire il tempo indispensabile per la conclusione dell’esame da parte della Commissione europea della compatibilità dell’aiuto di Stato previsto. La possibilità di realizzare un intervento di elevata valenza tecnologica ed industriale in ambito europeo, permetterà di sperimentare la filiera corta miniera-centrale termoelettrica- impianto di cattura e stoccaggio della CO2 con l’utilizzo di carbone di basso rango che rappresenta un modello di sistema di gestione energetica che potrà essere replicato in altre situazioni analoghe con rilevanti implicazioni commerciali. In particolare il successo del progetto potrà fornire alle imprese europee un forte vantaggio competitivo sulla concorrenza mondiale nei paesi, come la Cina, con ampie riserve di lignite.
Il secondo periodo dispone, ai sensi di una recente pronuncia della Commissione europea, la proroga di tre anni della scadenza del servizio di interrompibilità per la sicurezza del sistema elettrico nazionale nelle isole maggiori (cosiddetta «super interrompibilità»). L’Autorità per l’energia elettrica e il gas aggiornerà le condizioni del servizio per il nuovo triennio. Durante l’esame al Senato si è precisato che l’AEEG procede a tale aggiornamento nel rispetto della disponibilità del servizio anche tramite procedure concorrenziali organizzate mensilmente.
Si ricorda che il decreto-legge
3/2010, convertito dalla legge 41/2010, reca misure necessarie per porre
rimedio alle crescenti criticità di funzionamento del sistema elettrico
nazionale sulle isole maggiori Sicilia e Sardegna e garantire la sicurezza di
approvvigionamento di energia elettrica nelle due isole. Tale necessità
permarrà fino all’apprestamento e alla messa in esercizio delle nuove
infrastrutture di rete programmate, che porranno una soluzione strutturale a
tali criticità. L’articolo 1 del decreto ha istituito un servizio di riduzione
istantanea dei prelievi di energia elettrica in Sicilia e in Sardegna, per il
triennio 2010-2012, al fine di garantire la sicurezza del sistema elettrico
nelle due isole. Il nuovo servizio per la sicurezza garantisce la possibilità
di ridurre la domanda elettrica nelle isole maggiori secondo le istruzioni
della società Terna Spa. Viene attribuita all'Autorità per l'energia elettrica
e il gas la definizione delle condizioni del nuovo servizio per la sicurezza,
con propri provvedimenti adottati, sentito il Ministero dello sviluppo
economico, sulla base di specifici principi e criteri stabiliti dall
decreto-legge. L'Autorità ha dato attuazione a tale previsione con
deliberazione ARG/elt 15/10. L’articolo 2-bis, 1. Al fine di garantire la
sicurezza del sistema energetico e la continuità del servizio di trasmissione
di energia elettrica, quale attività di preminente interesse statale, sono
autorizzate in via definitiva le opere facenti parte della rete elettrica di
trasmissione nazionale, come individuata con decreto del Ministro
dell'industria, del commercio e dell'artigianato 25 giugno 1999, pubblicato nel
supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 151 del 30 giugno 1999, che siano
già in esercizio alla data di entrata in vigore della legge di conversione del
presente decreto e per le quali non sia ad oggi accertabile il titolo di
autorizzazione.
Si segnala che il tema del sostegno alla ripresa produttiva dell'intero
comparto industriale del Sulcis è stato affrontato il 6 novembre 2012 dalla
Camera dei Deputati con l’interpellanza n. 2-01729. In quella sede il Governo
ha trattato, tra l’altro, le problematiche affrontate dall’articolo in esame.
Per quanto riguarda il progetto integrato CCS Sulcis (primo
periodo del comma 1), il Governo ha evidenziato che lo stesso è ancora in
fase di valutazione da parte della Commissione europea sotto il profilo della
compatibilità con la disciplina sugli aiuti di Stato. Il Ministero dello sviluppo
economico in ottemperanza a tale disciplina ha notificato alla Commissione
europea il progetto integrato sostenendo l'ammissibilità degli aiuti, dato il
contenuto innovativo del progetto e la sua inidoneità a produrre restrizioni
della concorrenza nel mercato comunitario. È previsto che il progetto si
realizzi previa indizione di una gara internazionale e conseguente affidamento
della concessione per la costruzione e la gestione del sistema integrato
miniera centrale - impianto CCS. A far data dalla notifica, si è avviata una
intensa e complessa interlocuzione con i servizi della Commissione europea,
tuttora in corso. La Commissione ha avanzato più di una richiesta di
chiarimenti e di integrazioni relativamente ai profili tecnici specifici del
progetto e del suo finanziamento. A questo riguardo, il Governo ha segnalato di
aver contestato la presunta idoneità della misura di aiuto ad operare una
effettiva distorsione del mercato, fornendo numerose argomentazioni a supporto
del progetto. Tuttavia le reazioni della Commissione indicano che il buon esito
dell'istruttoria si potrebbe raggiungere solo previa individuazione di un nuovo
meccanismo di finanziamento che richiederebbe l'approvazione di una nuova norma
che individui un diverso canale per la raccolta di risorse necessarie e
l'impegno del Governo a non concedere i finanziamenti al progetto in questione
prima della realizzazione della modifica normativa, modifica su cui il Governo
sta lavorando in modo da poter sbloccare l'aspetto del finanziamento. L'istruttoria
della Commissione europea non si è limitata all'elemento del finanziamento,
concentrandosi anche sulla verifica della necessità e proporzionalità
dell'aiuto da erogare alla centrale elettrica, nonché all'accertamento della
inesistenza di alcun tipo di aiuto all'attività mineraria, come prescritto
dalla disciplina comunitaria più recente in materia. In particolare, gli ultimi
rilievi sollevati dalla Commissione, vanno nella direzione di accertare
l'impossibilità di ricorrere a misure alternative agli aiuti di Stato per
conseguire gli obiettivi di interesse comune perseguiti con la realizzazione
del progetto integrato miniera-centrale, ovvero la sperimentazione di
tecnologie per la produzione di energia a basso impatto ambientale e
miglioramento dell'approvvigionamento energetico della regione Sardegna. Anche
da questo punto di vista il Governo sta procedendo, nel confronto con la
Commissione, per dimostrare l'importanza del progetto miniera-centrale. Dato
che il termine previsto dalla legge per l'indizione della gara internazionale
volta all'individuazione del concessionario cui affidare il progetto integrato
sarebbe venuto a scadere il 31 dicembre 2012, il Governo ha provveduto ad
inserire nel decreto in esame la proroga di un anno a tale termine - che,
quindi, verrà a scadere il 31 dicembre 2013.
Per quanto concerne la cd. super-interrompibilità (secondo
periodo del comma 1), il Governo ha ricordato che, ottenuto il via libera
dalla Commissione europea, il decreto in esame ha provveduto al rinnovo per
ulteriori tre anni (2013-2015) della misura di interrompibilità speciale per le
isole maggiori, che prevede una remunerazione raddoppiata per i clienti che
prestano tale servizio rispetto a quanto corrisposto nel resto del Paese. Dopo
il 2015, il Governo ha accennato alla prospettiva della combinazione di interconnector
più interrompibilità semplice, tramite la quale è possibile garantire allo
stabilimento di Portovesme, oggi ancora Alcoa, una prospettiva di prezzo
dell'energia a lungo termine intorno ai 35 euro a megawattora, inferiore alla
media dei prezzi che pagano gli smelter in Europa.
Documenti all’esame delle
Istituzioni dell’UE
(a cura
dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)
Il 20 novembre 2012 la Commissione europea ha
annunciato di aver avviato due distinte
indagini per verificare la compatibilità con le norme UE sugli aiuti di Stato di alcune misure di sostegno
concesse dall’Italia alla regione del Sulcis-Iglesiente tra il 1998 e il 2010.
In primo luogo, la Commissione valuterà le misure
di sostegno superiori a 400 milioni di euro concesse dal 1998 sotto forma di
aiuti all'investimento e al funzionamento nonché ad obiettivi di formazione,
R&S e protezione ambientale a favore di Carbosulcis S.p.A., l'impresa che
gestisce la miniera di carbone di Nuraxi Figus.
In secondo luogo, la Commissione verificherà se le sovvenzioni che l'Italia intende concedere al "progetto Sulcis" finalizzato alla costruzione di un impianto alimentato a carbone con una sezione dimostrativa di cattura e confinamento di anidride carbonica (CCS), siano la forma più adatta per garantire la sicurezza dell'approvvigionamento in Sardegna al costo minore per lo Stato e se l'aiuto previsto si limiti al minimo necessario per conseguire tale obiettivo, o se il progetto non possa costituire una forma di sovvenzione indiretta per lo sfruttamento della miniera di carbone locale.
Articolo 34,
comma 2
(Destinazione delle somme da restituire alla
Cassa conguaglio per il settore elettrico)
Il comma 2, introdotto dal Senato, dispone che le somme ancora da restituire alla Cassa conguaglio per il settore elettrico - in attuazione di alcune decisioni della Commissione europea in merito ad aiuti di Stato erogati con regimi tariffari speciali per l’energia elettrica (tariffa Alcoa) - siano destinate ad interventi del Governo a favore dello sviluppo e dell'occupazione nelle Regioni ove hanno sede le attività produttive oggetto della restituzione.
Più nel dettaglio, tali somme sono versate dalla stessa Cassa Conguaglio all'entrata del bilancio dello Stato entro tre mesi dal ricevimento da parte dei soggetti obbligati, per essere riassegnate, nel medesimo importo, ad un apposito capitolo dello stato di previsione della spesa del Ministero dello sviluppo economico e destinate ad interventi del Governo a favore dello sviluppo e dell'occupazione nelle Regioni ove hanno sede le attività produttive oggetto della restituzione.
Si ricorda che con le citate decisioni[245]:
§ decisione[246] del 19 novembre 2009 relativa agli aiuti di Stato n. C 38/A/2004 (ex NN 58/2004) e n. C 36/B/2006 (ex NN 38/2006) a favore di Alcoa Trasformazioni,
§ decisione[247] 2011/746/UE del 23 febbraio 2011 relativa agli aiuti di Stato C/38/B/2004 e C13/2006, a favore di Portovesme Srl, ILA SpA, Eurallumina SpA e Syndial SpA,
la Commissione europea ha stabilito che la “seconda proroga[248]” degli aiuti sotto forma di tariffe elettriche agevolate[249] rappresenta una violazione della normativa comunitaria in materia di aiuti di Stato e che quindi lo Stato italiano deve recuperare le somme indebitamente impegnate.
Le citate società hanno beneficiato della cd “tariffa Alcoa” di cui al decreto del Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato 19 dicembre 1995[250]. Il produttore di alluminio Alcoa fruisce dal 1996 di una tariffa agevolata per l'energia elettrica per i suoi due smelter di alluminio primario situati in Sardegna (Portovesme) e in Veneto (Fusina). La tariffa era stata inizialmente introdotta per un periodo di dieci anni (scaduto il 31 dicembre 2005) nel contesto di un'operazione di privatizzazione. Quella tariffa era stata autorizzata in base alle norme sugli aiuti di Stato dalla Commissione; in una decisione era stato considerato che tale regime non configurava come un aiuto di Stato. Tuttavia, la natura di tale tariffa è stata modificata nel tempo e prorogata due volte, prima nel 2004[251] e nuovamente nel 2005. La tariffa agevolata è sovvenzionata mediante un pagamento in contanti da parte della Cassa Conguaglio, a riduzione del prezzo fissato contrattualmente tra Alcoa e il suo fornitore di elettricità ENEL. Le risorse necessarie sono raccolte mediante un prelievo parafiscale applicato alla generalità delle utenze elettriche mediante la componente A4 della tariffa elettrica.
Si ricorda che il comma 13-bis dell’articolo 3 del D.L. 16/2012 e il comma 4 dell’articolo 39 del D.L. 83/2012 (cd. “decreto Crescita”) sono intervenuti in merito alla questione dei clienti finali di energia elettrica destinatari di regimi tariffari speciali (compresa la tariffa Alcoa), pur facendo salvi gli effetti delle decisioni della Commissione europea in materia.
Articolo 34,
comma 3, lettera a)
(Esclusione dalla riduzione dei canoni
per locazioni passive)
La lettera a) del comma 3, è volta ad escludere dalla riduzione dei canoni per locazioni passive delle pubbliche amministrazioni gli immobili conferiti ai fondi immobiliari e successivamente trasferiti a terzi aventi causa.
Si ricorda che l'articolo 3, commi 1-10 e 12-18, del decreto-legge n. 95 del 2012 ha dettato disposizioni volte a ridurre e razionalizzare gli spazi utilizzati dalle pubbliche amministrazioni per scopi istituzionali, nonché a contenere la spesa per locazioni passive. In particolare, per i contratti di locazione passiva delle pubbliche amministrazioni, è disposta la riduzione del 15 per cento del canone e la sospensione per un triennio degli adeguamenti Istat. È introdotto, inoltre, un parametro di riferimento per gli spazi ad uso ufficio e addetti a cui le pubbliche amministrazioni devono adeguarsi. Sono previste norme finalizzate a ridurre le locazioni passive, favorendo l’utilizzo da parte delle amministrazioni pubbliche di immobili di regioni ed enti locali a titolo gratuito, in condizione di reciprocità, e di enti pubblici non territoriali a canoni agevolati.
Il comma 8 del medesimo articolo 3 del decreto-legge n. 95 – modificato dalla norma in commento - esclude dalla riduzione dei canoni di locazione passiva gli immobili di proprietà dei fondi comuni di investimento immobiliare già costituiti ai sensi dell'articolo 4 del D.L. n. 351 del 2001, il quale ha autorizzato il Ministro dell'economia a promuovere la costituzione di fondi comuni di investimento immobiliare, conferendo o trasferendo beni immobili a uso diverso da quello residenziale dello Stato, dell'Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato e degli enti pubblici non territoriali, individuati con uno o più decreti che disciplinano le procedure per l'individuazione o l'eventuale costituzione della società di gestione, per il suo funzionamento e per il collocamento delle quote del fondo e i criteri di attribuzione dei proventi derivanti dalla vendita delle quote.
In attuazione della norma citata negli anni 2004 e 2005 sono stati costituiti due fondi comuni d’investimento immobiliare di tipo chiuso promossi dal MEF (FIP e Patrimonio Uno-FPU), cui sono stati trasferiti due portafogli immobiliari composti da complessivi 428 immobili ad uso governativo (Agenzie fiscali, sedi del Ministero dell’Economia e delle Finanze, sedi del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, sedi del Ministero del Lavoro, Caserme della Guardia di Finanza e della Polizia, etc.) e da immobili strumentali degli enti previdenziali (INPS, INAIL, INPDAP). Contestualmente al trasferimento degli immobili, l’Agenzia del Demanio ha sottoscritto con i Fondi due contratti di locazione relativi ai beni dismessi, che sono stati riassegnati in uso agli originari utilizzatori.
Al riguardo la relazione illustrativa specificava che il comma 8 non includeva i beni dei fondi ceduti a terzi e che continuano ad essere utilizzati dall’amministrazione: pertanto, per essi trovava applicazione la riduzione imperativa del canone di locazione.
La modifica in esame è volta quindi a integrare la norma, includendo gli aventi causa da detti Fondi per il limite di durata del finanziamento degli stessi Fondi tra i soggetti esclusi dalla riduzione del canone.
Secondo quanto emerge dalla relazione tecnica, ai sensi degli accordi contrattuali intercorsi tra il MEF e i Fondi immobiliari FIP e FPU citati, lo Stato è tenuto a garantire ai Fondi e agli aventi causa i proventi generati dal compendio immobiliare in virtù del contratto di locazione con gli stessi sottoscritto.
Articolo 34,
comma 3, lettera b)
(Trasferimento di parte dell’Arsenale al
Comune di Venezia )
La lettera b) del comma 3, introdotta nel corso dell’esame al Senato, trasferisce, a titolo gratuito, parte dell’Arsenale di Venezia al Comune di Venezia che dovrà anche garantire l’uso gratuito dell'area Nord per la realizzazione del Centro Operativo di gestione del MOSE e per gli utilizzi della fondazione La Biennale di Venezia, del CNR e degli altri soggetti pubblici che svolgono funzione istituzionali e che sono ubicati nelle aree trasferite.
In particolare, la lettera b) del comma 3 trasferisce in proprietà, nello stato di fatto e di diritto in cui si trova, a titolo gratuito, parte del Compendio dell’Arsenale al Comune di Venezia, il quale ne deve assicurare l'inalienabilità, la valorizzazione, il recupero e la riqualificazione. Tale trasferimento viene operato attraverso alcune novelle all’art. 3, comma 19-bis, del decreto-legge 95/2012, con il quale è stata trasferita la proprietà del complesso dell’Arsenale di Venezia al Comune di Venezia, con esclusione delle porzioni utilizzate dal Ministero della difesa per i suoi specifici compiti istituzionali. Tale comma è stato modificato dal comma 2 dell’articolo 34 del decreto legge nel testo originario presentato dal Governo.
Si ricorda che il comma 19-bis dell’art. 3 del decreto-legge 95/2012 ha previsto che il Comune, cui è trasferita la proprietà dell’Arsenale, ad esclusione delle porzioni utilizzate dal Ministero della difesa per i propri compiti istituzionali, ne assicuri l'inalienabilità, l'indivisibilità e la valorizzazione attraverso l'affidamento della gestione e dello sviluppo alla Società Arsenale di Venezia S.p.A. che avrebbe dovuto trasformarsi ai sensi dell’art. 33-bis del decreto legge n. 98 del 2011 che prevede la costituzioni di nuovi veicoli societari e finanziari per l’attuazione di obiettivi condivisi da parte dello Stato e degli enti locali per la valorizzazione, trasformazione, gestione e alienazione del patrimonio immobiliare pubblico, affidando all’Agenzia del demanio un ruolo propositivo e di coordinamento[252]. Ai sensi del citato articoli i beni costituenti il compendio immobiliare dell’Arsenale avrebbero dovuto essere consegnati alla citata Società dell’Agenzia del demanio, previa perimetrazione e delimitazione, da effettuarsi da parte della stessa agenzia, d’intesa con il Ministero della difesa. L’Arsenale è inoltre sottoposto agli strumenti urbanistici previsti per la città di Venezia e al Codice dei beni culturali e del paesaggio (D.Lgs. n. 42 del 2004).
La nuova formulazione del comma 19-bis prevede, inoltre che, al fine di assicurare l’inalienabilità, la valorizzazione, il recupero e la riqualificazione, il Comune dovrà garantire:
a) l'uso gratuito, per le porzioni dell'Arsenale utilizzate per la realizzazione del Centro Operativo e servizi accessori del Sistema MOSE, al fine di completare gli interventi previsti dal piano attuativo per l'insediamento delle attività di realizzazione, gestione e manutenzione del Sistema MOSE sull'area Nord dell'Arsenale di Venezia ed assicurare la gestione e manutenzione dell'opera, una volta entrata in esercizio e per tutto il periodo di vita utile del Sistema MOSE.
Resta salva la possibilità per il Comune, compatibilmente con le esigenze di gestione e manutenzione del Sistema MOSE e d'intesa con il MIT- Magistrato delle Acque di Venezia, di destinare, a titolo oneroso, ad attività non esclusivamente finalizzate alla gestione e manutenzione del Sistema MOSE, fabbricati o parti di essi insistenti sulle predette porzioni. Le somme ricavate per effetto dell'utilizzo del compendio, anche a titolo di canoni di concessione richiesti a operatori economici o istituzionali, versati direttamente al Comune di Venezia, sono esclusivamente impiegate per il recupero, la salvaguardia, la gestione e la valorizzazione dell'Arsenale;
Il testo originario dell’art. 34, comma 2, del decreto legge in esame assegnava parte dell’Arsenale al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti - Magistrato alle Acque di Venezia - per le esigenze del Centro operativo di gestione del sistema di regolazione delle maree – Mo.S.E., motivando, nella relazione illustrativa tale disposizione con il fatto che nel decreto legge n. 95 del 2012 erano state adeguatamente considerate le esigenze dell’amministrazione militare, ma non si era tenuto conto della circostanza che parte dell’Arsenale Nord è destinata ad ospitare il Centro Operativo per la manutenzione e gestione delle opere di regolazione delle maree (Sistema Mo.S.E.). Da qui l’esigenza di escludere, dai beni oggetto di trasferimento, quelli direttamente asserviti alla gestione e manutenzione del sistema Mo.S.E. La nuova formulazione che riscrive l’art. 19-bis, recepisce, pertanto, come sottolinea anche la relazione tecnica, le criticità sorte a seguito dell’originaria formulazione del decreto legge oggetto di conversione, tenendo altresì in debito conto le legittime aspettative del Comune che dovrà garantire l'uso gratuito dell'area Nord dell'Arsenale di Venezia utilizzata per la realizzazione del Centro Operativo e servizi accessori del Sistema MOSE.
b) l'uso gratuito, per gli utilizzi posti in essere dalla Fondazione "La Biennale di Venezia, dal CNR e da tutti i soggetti pubblici ivi attualmente allocati che espletano funzioni istituzionali.
Si ricorda che il complesso dell’Arsenale di Venezia copre una superficie di 478.000 mq, di cui 361.000 mq di superficie terrestre (136.380 coperta e 224.620 scoperta) e 117.000 mq di spazi acquei: l’Arsenale Nord occupa circa 208.850 mq (56.350 mq coperti e 2.500 mq scoperti) mentre l’Arsenale Sud sorge su circa 152.150 mq (80.030 mq coperti e .120 mq scoperti). I 117.000 mq di superficie acquea comprendono la Darsena Grande e la Darsena e Vasca delle Galezze. Il complesso appartiene al demanio dello Stato, con la seguente suddivisione:
§ Ministero della difesa - Marina militare: 296.161 mq (62%);
§ MIT - Magistrato alle acque di Venezia: 9.350 mq (2%);
§ Demanio pubblico dello Stato - ramo storico artistico: 172.489 mq (36%).
Attualmente l’area dell'Arsenale è occupata, oltre che dalla Marina militare, da soggetti che operano nei settori della ricerca e produzione artistico-culturale e scientifico-tecnologica applicata alla salvaguardia degli ambienti marini: la Arsenale di Venezia S.p.A., società creata nel 2003 per il restauro del patrimonio storico dell'Arsenale e costituita per il 51% dall’Agenzia del Demanio e per il 49% dal Comune[253]; il Consorzio Venezia Nuova (area di pertinenza del MIT), che dal 2006 ha avuto in concessione una parte dell'area nord quale sede per la gestione e la manutenzione del MOSE; l’Azienda Comunale dei Trasporti di Venezia (ACTV) che esercita l'attività di manutenzione della propria flotta nell'area dei bacini di carenaggio; la Thetis S.p.A., insediata nell’area dei lamierini dal 1997, che opera nel campo dell'ingegneria civile ed ambientale ed ha per prima recuperato alcuni edifici degradati; il C.N.R. che è concessionario di 4 tese della Nuovissima nell'area Nord; la Biennale di Venezia che occupa un’area, di proprietà del demanio del Ministero della difesa concessa in uso al Comune di Venezia ed personale della Capitaneria di Porto.
Si ricorda, da ultimo, che il Complesso dell’Arsenale, già soggetto dal 1986 a vincolo architettonico ai sensi della legge n. 1089/1939, il 9 giugno 2010 è stato dichiarato di “interesse culturale” in esito alla procedura di verifica di cui all’art. 12 del D.Lgs. 42/2004 (Codice dei Beni culturali). Tale dichiarazione comporta la sottoposizione del bene culturale alle disposizioni di tutela del Codice, in particolare alle misure di vigilanza, ispezione, protezione ed alle limitazioni in materia di alienazione. Come tutta l’area di Venezia e della Laguna, il Complesso dell’Arsenale è sottoposto anche a vincolo paesaggistico.
La nuova formulazione del comma 19-bis introduce un termine di trenta giorni dalla data di entrata in vigore delle predette disposizioni entro il quale l'Agenzia del demanio, d'intesa con il Ministero della difesa e con l’aggiunta del MIT - Magistrato delle Acque di Venezia, dovrà procedere alla perimetrazione e delimitazione del compendio alla consegna di quanto trasferito al Comune, anziché alla società Arsenale di Venezia S.p.A., come stabilisce il vigente comma 19-bis. La nuova formulazione del comma 19-bis, infatti, non prevede più che per assicurare le finalità alla base del trasferimento di parte dell’Arsenale al comune si proceda all’affidamento della gestione e dello sviluppo alla società Arsenale S.p.A.
Da ultimo, per garantire l’invarianza economica del trasferimento, come sottolinea la relazione tecnica, un decreto del MEF dovrà definire, a decorrere dalla data del trasferimento, la riduzione delle risorse spettanti a qualsiasi titolo spettanti al Comune di Venezia, che viene determinata, anziché in misura equivalente alla riduzione delle entrate erariali conseguenti al trasferimento, in misura pari al 70 per cento della riduzione delle entrate erariali conseguenti al trasferimento, essendo il restante 30 per cento vincolato alla destinazione per le opere di valorizzazione da parte del Comune di Venezia.
La relazione tecnica precisa, da ultimo che, costituendo tale ultima disposizione una misura di carattere meramente procedimentale, non comporta nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
Per una più agevole lettura delle modifiche apportate durante l’esame al Senato si veda il seguente testo a fronte.
Art. 3,
comma 19-bis, del D.L. 95/2012 come modificato dall'art. 34, comma 2, lett.
b), del D.L. 179/2012. |
Art. 3,
comma 19-bis, del D.L. 95/2012 come modificato dall'art. 34, comma 6, lett.
b), del D.L. 179/2012, a seguito delle modifiche introdotte dal Senato. |
19-bis.
Il compendio costituente l'Arsenale di Venezia, con esclusione delle porzioni
utilizzate dal Ministero della difesa per i suoi specifici compiti
istituzionali e di quelle destinate
alle finalità del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti - Magistrato
alle Acque di Venezia, in ragione delle caratteristiche storiche e
ambientali, è trasferito in proprietà al comune, che ne assicura
l'inalienabilità, l'indivisibilità
e la valorizzazione attraverso
l'affidamento della gestione e dello sviluppo alla Società Arsenale di Venezia
S.p.A., da trasformarsi ai sensi dell'articolo 33-bis del decreto-legge 6
luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio
2011, n. 111. Le somme ricavate per effetto dell'utilizzo del compendio sono esclusivamente impiegate per la gestione e per la valorizzazione dell'Arsenale tramite la suddetta società. L'Arsenale è sottoposto agli strumenti
urbanistici previsti per la città di Venezia e alle disposizioni di cui al
decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42. Per le finalità del presente
comma, l'Agenzia del demanio, d'intesa con il Ministero della difesa e con il
Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, procede alla perimetrazione e
delimitazione del compendio e alla consegna dello stesso alla società Arsenale di Venezia S.p.A.. Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze è definita, a decorrere dalla data del trasferimento, la riduzione delle risorse a qualsiasi titolo spettanti al comune di Venezia in misura equivalente alla riduzione delle entrate erariali conseguenti al trasferimento. |
19-bis. Il compendio costituente l'Arsenale di Venezia, con esclusione delle porzioni utilizzate dal Ministero della difesa per i suoi specifici compiti istituzionali, in ragione delle caratteristiche storiche e ambientali, è trasferito a titolo gratuito in proprietà, nello stato di fatto e di diritto in cui si trova, al Comune di Venezia, che ne assicura l'inalienabilità, la valorizzazione, il recupero e la riqualificazione. A tal
fine il Comune garantisce: a) l'uso gratuito, per le porzioni dell'Arsenale utilizzate per la realizzazione del Centro Operativo e servizi accessori del Sistema MOSE, al fine di completare gli interventi previsti dal Piano Attuativo per l'insediamento delle attività di realizzazione, gestione e manutenzione del Sistema MOSE sull'area Nord dell'Arsenale di Venezia ed assicurare la gestione e manutenzione dell'opera, una volta entrata in esercizio e per tutto il periodo di vita utile del Sistema MOSE. Resta salva la possibilità per l'Ente municipale, compatibilmente con le esigenze di gestione e manutenzione del Sistema MOSE e d'intesa con il Ministero delle infrastrutture e trasporti — Magistrato delle Acque di Venezia, di destinare, a titolo oneroso, ad attività non esclusivamente finalizzate alla gestione e manutenzione del Sistema MOSE, fabbricati o parti di essi insistenti sulle predette porzioni. Le somme ricavate per effetto dell'utilizzo del compendio, anche a titolo di canoni di concessione richiesti a operatori economici o istituzionali, versati direttamente al Comune di Venezia, sono esclusivamente impiegate per il recupero, la salvaguardia, la gestione e la valorizzazione dell'Arsenale; b) l'uso gratuito, per gli utilizzi posti in essere dalla Fondazione "La Biennale di Venezia", in virtù della natura e delle funzioni assolte dall'Ente, dal CNR e comunque da tutti i soggetti pubblici ivi attualmente allocati che espletano funzioni istituzionali. L'Arsenale è sottoposto agli strumenti urbanistici previsti per la città di Venezia e alle disposizioni di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42. L'Agenzia del demanio, d'intesa con il Ministero della difesa e con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti — Magistrato delle Acque di Venezia, procede, entro il termine di trenta giorni dalla data di entrata in vigore delle presenti disposizioni, alla perimetrazione e delimitazione del compendio alla consegna di quanto trasferito al Comune. Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze è definita a decorrere dalla data di trasferimento, la riduzione delle risorse a qualsiasi titolo spettanti al Comune di Venezia, in misura pari al 70 per cento della riduzione delle entrate erariali conseguenti al trasferimento, essendo il restante 30 per cento vincolato alla destinazione per le opere di valorizzazione da parte del Comune di Venezia". |
Articolo 34,
comma 4
(Procedure per la valutazione di impatto
ambientale
delle grandi opere)
Il comma 4 dell’articolo 34, introdotto nel corso dell’esame al Senato, introduce nella procedura di VIA delle grandi opere, un termine di trenta giorni entro i quali i soggetti pubblici ed i privati interessati possono rimettere eventuali osservazioni al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio.
La disposizione, inserita quale novella al comma 4 dell’art. 183 del D.lgs. n. 163 del 2006 (Codice dei contratti pubblici) durante l’esame al Senato, introduce nella procedura per la valutazione di impatto ambientale (VIA) delle grandi opere, un termine di trenta giorni - dalla data di presentazione della documentazione da parte del soggetto aggiudicatore o dell'autorità proponente - entro i quali i soggetti pubblici ed i privati interessati possono rimettere eventuali osservazioni al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio ai fini delle valutazioni di propria competenza.
La relazione tecnica motiva tale modica con il fatto che il nuovo termine diventa compatibile con la riduzione già operata dal decreto legge n. 70 del 2011 per i termini stabiliti per la conclusione della conferenza di servizi propedeutica all’approvazione del progetto preliminare.
Si ricorda che la disciplina relativa alle procedure per la valutazione di impatto ambientale delle grandi opere è contenuta nella Parte II, Titolo III, Capo IV, sezione II, del D.lgs. n. 163 del 2006, agli articoli 182-185. L’art. 182 disciplina il campo di applicazione, l’art. 183 le procedure, l’art. 184 il contenuto della VIA e l’art. 185 i compiti della commissione speciale VIA. Nello specifico l’art. 183, comma 1, dispone che l’istruttoria sui progetti relativi alle opere di cui all'art. 182, comma 1, venga eseguita al fine di individuare, descrivere e valutare, in modo appropriato, per ciascun caso particolare, gli effetti diretti e indiretti di un progetto sui seguenti fattori: l'uomo, la fauna e la flora; il suolo, l'acqua, l'aria, il clima e il paesaggio; i beni materiali e il patrimonio culturale; l'interazione tra i predetti fattori. A tal fine, il soggetto proponente predispone a proprie spese lo studio di impatto ambientale che dovrà avere un contenuto minimo descritto nel comma 2 dello steso art. 183. Il soggetto aggiudicatore deve redigere una relazione sui metodi di previsione utilizzati per la valutazione dell'impatto ambientale e delle misure previste per evitare, ridurre ed eventualmente compensare effetti negativi rilevanti del progetto sull'ambiente, nonché consegnare un riassunto non tecnico delle informazioni trasmesse e indicare le eventuali difficoltà riscontrate. Il progetto comprendente lo studio di impatto ambientale, relativo ad una delle opere di cui all'art. 182, comma 1, è quindi trasmesso dal soggetto proponente al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio (comma 3).Il comma 4 (ora novellato) dispone che il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio tiene conto, ai fini delle valutazioni di propria competenza, delle eventuali osservazioni ad esso rimesse dai soggetti pubblici e dai privati interessati, nei modi e termini di cui all'art. 6 della legge 8 luglio 1986, n. 349 (inciso che viene ora novellato dal comma in esame. Inoltre tale art. 6 della legge m. 349 del 1986 è stato abrogato dall'art. 48 del D.lgs. n. 152 del 2006). Il comma 5 reca alcune norme per le opere incidenti su aree sottoposte a vincolo di tutela culturale o paesaggistica. Da ultimo il comma 6 dispone che il provvedimento di compatibilità ambientale venga adottato dal CIPE, contestualmente all'approvazione del progetto preliminare. In caso di motivato dissenso del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio o del Ministro per i beni e le attività culturali, l'adozione del provvedimento di compatibilità ambientale è demandata al Consiglio dei Ministri, che vi provvede nella prima riunione utile successiva. E’ prevista, infine, la verifica di ottemperanza ai sensi dell'art. 185, comma 4, sul progetto definitivo.
Articolo 34,
comma 5
(Completamento degli interventi per la
discarica abusiva di Bussi)
Il comma 5 dell’articolo 34, introdotto durante l’esame al Senato, reca norme volte al completamento degli interventi previsti per il superamento del contesto critico relativo alla discarica abusiva di Bussi.
La norma, introdotta prevede che il Commissario delegato di cui all’art. 2, comma 3-octies del decreto legge n. 225 del 2010, prosegua la propria attività fino al completamento degli interventi previsti per il superamento del contesto critico relativo alla discarica abusiva di Bussi.
Si
ricorda che il comma 3-octies dell’art. 2 del decreto legge n.
225 del 2010, dispone l'avvio della bonifica del sito "Bussi sul Tirino" in Abruzzo, come
individuato e perimetrato dal D.M.
Ambiente 29 maggio 2008. Si prevede l’avvio dei lavori di bonifica entro il
30 giugno 2011 dal Commissario delegato per il superamento della situazione di
emergenza socio-economico-ambientale determinatasi nell'asta fluviale del
bacino del fiume Aterno. A tale proposito si ricorda che, ai sensi
dell'O.P.C.M. 4 ottobre 2007, n. 3614, lo stesso Commissario è stato chiamato a
porre in essere ogni utile iniziativa volta al superamento del contesto critico
relativo alla discarica abusiva di Bussi. Si ricorda, altresì, che
con il D.P.C.M. 13 dicembre 2011 (G.U. 27 dicembre 2011, n. 300) lo stato di
emergenza relativo alla crisi socio-economico-ambientale determinatasi
nell'asta fluviale del bacino del fiume Aterno è stato prorogato fino al 31
dicembre 2012. Le opere di
bonifica, che dovranno consentire la reindustrializzazione delle aree
industriali dismesse e dei siti ad esse limitrofi, sono finalizzate alla
ripresa economica ed occupazionale delle zone colpite dal sisma dell'aprile
2009. Il comma 3-octies dispone,
infine, che agli oneri, valutati in complessivi 50 milioni di euro (15 milioni di euro per il 2011, 20 milioni per
il 2012 e 15 milioni per il 2013), si provvede a valere sulle risorse finanziarie individuate dall'art. 14, comma 1, del D.L. 39/2009
(recante interventi urgenti per il sisma in Abruzzo).
Articolo 34,
comma 6
(Expo 2015)
Il comma 6
dell’articolo 34, introdotto durante
l’esame al Senato, reca una modifica
ad un procedura attuativa dell’art. 32, comma 17, del decreto legge n. 98
del 2011 sull’Expo Milano 2015.
La norma, introdotta durante l’esame al Senato, reca una modifica alla procedura recata dall’art. 32, comma 17, del decreto legge n. 98 del 2011 che prevede l’emanazione di un apposito decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per l’individuazione dei tratti stradali oggetto di deroga con riguardo ai limiti di distanza minima dal ciglio stradale con riferimento alle opere di preparazione e di realizzazione dell’Expo Milano 2015. La modifica riguarda l’autorità preposta all’emanazione del richiamato decreto che, facendo riferimento a un atto di natura gestionale, come sottolinea la relazione tecnica, viene individuata nella struttura amministrativa, ovvero nello stesso Ministero anziché nel Ministro.
Si ricorda che l’art. 32, comma 17, del decreto legge n. 98 del 2011, al fine di permettere la realizzazione delle opere “essenziali” dell’Expo 2015 indicate nell’Allegato 1 del D.P.C.M. 22 ottobre 2008, sostituito dall’Allegato 1 del D.P.C.M. 1 marzo 2010, consente una deroga, per determinati tratti ove particolari circostanze lo richiedano, alla disciplina delle distanze minime per l’edificazione del nastro stradale e per l’edificazione nei centri abitati previste dalla normativa vigente. Il comma prevede, infine, che tali deroghe vengano concesse su richiesta degli interessati, con provvedimento del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti (ora sostituito, con la modifica in commento, dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti), sentita l’ANAS.
Articolo 34,
commi 7-10
(Piloti dell’Ente nazionale
dell’aviazione civile)
L’articolo 34, commi 7-10, autorizza l’ Ente nazionale per l’aviazione civile ad assumere, in via transitoria, venti piloti, in attesa dell'emanazione dei provvedimenti di autorizzazione per l'assunzione di ispettori di volo.
In particolare, il comma 7 autorizza l’Ente nazionale per l’aviazione civile ad assumere, a partire dalla data di entrata in vigore del presente decreto-legge venti piloti professionisti con contratto a termine annuale, rinnovabile di anno in anno sino ad un massimo di tre anni.
Le finalità della norma, indicate nel comma 7, chiariscono che l’autorizzazione è concessa al fine di garantire il rispetto, da parte di tutti gli operatori del sistema dell’aviazione civile, degli standard di sicurezza stabiliti dalla normativa internazionale e comunitaria.
La relazione governativa illustra le carenze di organico dell’ente relativamente agli ispettori di volo che necessitano del provvedimento in esame.
Si ricorda che l’Ente nazionale per l’aviazione civile (ENAC), istituito con D.Lgs. 25 luglio 1997, n. 250, è un ente pubblico economico dotato di autonomia regolamentare, organizzativa, amministrativa, patrimoniale, contabile e finanziaria, ed è posto sotto la vigilanza del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
L’articolo 2 del decreto attribuisce all’ENAC funzioni in materia di:
a) regolamentazione tecnica ed attività ispettiva, sanzionatoria, di certificazione, di autorizzazione, di coordinamento e di controllo, nonché tenuta dei registri e degli albi nelle materie di competenza;
b) razionalizzazione e modifica delle procedure attinenti ai servizi aeroportuali, secondo la normativa vigente ed in relazione ai compiti di garanzia, di indirizzo e programmazione esercitati;
c) attività di coordinamento con l'Ente nazionale di assistenza al volo e con l'Aeronautica militare, nell'ambito delle rispettive competenze per le attività di assistenza al volo;
d) rapporti con enti, società ed organismi nazionali ed internazionali che operano nel settore dell'aviazione civile e rappresentanza presso gli organismi internazionali, anche su delega del Ministro dei trasporti e della navigazione;
e) istruttoria degli atti concernenti tariffe, tasse e diritti aeroportuali per l'adozione dei conseguenti provvedimenti del Ministro dei trasporti e della navigazione;
f) definizione e controllo dei parametri di qualità dei servizi aeroportuali e di trasporto aereo nei limiti previsti dal regolamento di cui all'articolo 10, comma 13, della legge 24 dicembre 1993, n. 537 ;
g) regolamentazione, esame e valutazione dei piani regolatori aeroportuali, dei programmi di intervento e dei piani di investimento aeroportuale, nonché eventuale partecipazione all'attività di gestione degli aeroporti di preminente interesse turistico e sociale, ovvero strategico-economico.
Il comma 8 demanda l’Enac la determinazione del contingente dei posti da destinare alle singole categorie di impiego nonché i requisiti minimi di cui i piloti da assumere devono essere in possesso.
Il comma 9 prevede che ai piloti assunti secondo quanto previsto dai commi 7 e 8 sia corrisposta la remunerazione prevista per tale tipologia di personale in base al CCNL per il personale non dirigente dello stesso Ente.
L’articolo 50 del CCNL del 19 dicembre 2001 (CCNL normativo 1998 - 2001 economico 1998 - 1999 personale non dirigenziale ENAC), recante disposizioni sull’ordinamento professionale del personale dell’Ente, stabilisce che il personale sia organizzato nelle seguenti aree professionali:
§ area tecnica, economica ed amministrativa, che ricomprende i dipendenti che, nell’esercizio dei compiti correlati all’area e al profilo rivestito, svolgono attività inerenti ai servizi amministrativi, organizzativi, ispettivi, patrimoniali, contabili, di assistenza tecnica secondo la specifica disciplina prevista dallo stesso CCNL;
§ area operativa, che ricomprende gli ispettori di volo e i dipendenti che svolgono effettivamente attività di natura operativa, di ispezione, vigilanza e controllo in ambito aeroportuale, secondo la disciplina prevista dall’articolo 60.
Tale articolo ha disposto che all’area operativa appartengano, secondo le norme statutarie, gli ispettori di volo ed il personale che esplica attività di natura operativa, di ispezione, vigilanza e controllo in ambito aeroportuale per l’espletamento dei compiti istituzionali, nell’ambito della legislazione e delle norme – nazionali ed internazionali – che regolano le operazioni direttamente o indirettamente connesse all’attività della navigazione aerea. Il sistema di classificazione del personale dell'area operativa si articola in due famiglie professionali; la prima ricomprende le attività di natura operativa, di ispezione, vigilanza e controllo in ambito aeroportuale, la seconda ricomprende gli ispettori di volo.
All’area operativa appartiene il personale che svolge attività di certificazione, vigilanza, controllo e di natura operativa, nell’ambito della legislazione e delle norme – nazionali ed internazionali – che regolano le operazioni direttamente o indirettamente connesse all’attività della navigazione aerea. Il personale dell’area operativa è ricompreso nella categoria dei Funzionari (CCNL 19 febbraio 2007, per il personale non dirigente dell’ENAC - quadriennio normativo 2002-2005 e biennio economico 2002-2003, Allegato A,declaratorie delle categorie). Più specificamente, gli ispettori di volo appartengono alla categoria dei profili professionali che svolgono attività di certificazione, vigilanza e controllo sugli operatori aerei, sulle organizzazioni aeronautiche, sui fornitori di servizi del traffico aereo, ed organizzazioni connesse (profili con accesso in C3).
Per quanto attiene la retribuzione, la Tabella 2 allegata al CCNL del 30 novembre 2009 (personale non dirigente dell’ENAC -quadriennio normativo 2006 – 2009 biennio economico 2006 – 2007) è pari, a decorrere dal 1° gennaio 2003 per i funzionari con profili di accesso in C3, a 26.518,41 euro. A tale somma vanno aggiunte le rideterminazioni contenute nella Tabella 1 allegata al CCNL del 18 marzo 2010[254] (biennio economico 2008-2009 personale non dirigente dell’Ente).
Il comma 10 provvede alla copertura finanziaria dell’onere derivante dall’attuazione dei commi da 7 a 9, stimata in 1 milione di euro per l’anno 2012 ed in 2 milioni di euro per ciascuno degli anni 2013 e 2014, mediante risorse proprie dell’Enac.
Per quanto riguarda la compensazione dei conseguenti effetti finanziari in termini di indebitamento netto pari a 500.000 euro per l’anno 2012 ed 1 milione di euro per ciascuno degli anni 2013 e 2014 si provvede mediante corrispondente utilizzo del Fondo di cui all’articolo 6, comma 2, del decreto-legge 154/2008[255]: fondo per la compensazione degli effetti finanziari non previsti a legislazione vigente conseguenti all'attualizzazione di contributi pluriennali.
Articolo 34,
commi 11-12
(Disposizioni riguardanti ANAS)
I commi 11 e 12 dell’articolo 34 sono finalizzati a rendere disponibili risorse per l’ANAS S.p.A., da un lato autorizzando la società ad utilizzare le giacenze dell’ex Fondo centrale di garanzia nel limite di 400 milioni di euro, dall’altro autorizzando il Ministero dell’economia e delle finanze a corrispondere ad ANAS somme conservate in bilancio, nel conto dei residui, per l’anno 2012.
Le disposizioni contenute nei commi 11 e 12 sono volte – secondo quanto evidenziato nella relazione illustrativa – a far fronte alle difficoltà finanziarie di ANAS, al fine di ridurre l’esposizione debitoria nei confronti delle imprese.
Il comma 11 autorizza l’ANAS, per far fronte ai pagamenti per lavori e forniture già eseguiti, ad utilizzare, in via transitoria e di anticipazione, le disponibilità finanziarie giacenti sul conto di tesoreria n. 23617 intestato alla stessa Società (ex Fondo centrale di garanzia), ai sensi dell’art. 1, comma 1025, della L. 296/2006, nel limite di 400 milioni di euro.
Lo stesso comma prevede altresì l’obbligo di corrispondente reintegro entro il 2012 mediante utilizzo delle risorse che verranno erogate ad ANAS dallo Stato a fronte di crediti già maturati dalla data di entrata in vigore del presente decreto.
Si ricorda che il comma 1025 dell’art. 1 della L. 296/2006 ha soppresso il Fondo centrale di garanzia per le autostrade e ferrovie metropolitane (istituito dall’art. 6 della L. 382/1968) e disposto il subentro dell’ANAS nella mera gestione dell'intero patrimonio del Fondo, nei crediti e nei residui impegni nei confronti dei concessionari autostradali, nonché nei rapporti con il personale dipendente. Lo stesso comma ha disciplinato l’utilizzo da parte di ANAS delle disponibilità nette presenti nel patrimonio del Fondo alla data della sua soppressione.
Alla gestione dell’ex Fondo centrale di garanzia è dedicato il paragrafo 9.2.4 della relazione della Corte dei conti sul risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria di ANAS S.p.A. per l’esercizio finanziario 2010, allegata alla delibera n. 21 del 16 marzo 2012.
Il comma 12 - nelle more del completamento dell’iter delle procedure contabili relative alle spese di investimento sostenute da ANAS S.p.A. nell’ambito dei contratti di programma per gli anni 2007, 2008 e 2009 - autorizza il Ministero dell’economia e delle finanze a corrispondere ad ANAS le somme all’uopo conservate nel conto dei residui, per l’anno 2012, del pertinente capitolo del bilancio di previsione dello Stato.
Si segnala, in proposito, che il ddl di stabilità 2013 (A.S. 3584) all’art. 2, comma 5, autorizza la spesa di 300 milioni di euro per il 2013, al fine di assicurare la prosecuzione dei lavori in corso e la continuità della manutenzione straordinaria della rete stradale inseriti nel contratto di programma tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (MIT) e ANAS S.p.A[256].
Il CIPE, con delibera n. 32/2012 del 23 marzo 2012, ha assegnato all’ANAS, per il finanziamento del Contratto di programma, annualità 2012, 300 milioni di euro, da imputare a carico delle risorse di cui all'art. 32, comma 1, del D.L. 98/2011, ossia alle risorse del Fondo per le infrastrutture ferroviarie, stradali e relative ad opere di interesse strategico, secondo la seguente articolazione temporale: 100 milioni per il 2012, 62 milioni per il 2013, 40 milioni per il 2014, 50 milioni per il 2015, 48 milioni per il 2016. L'efficacia dell’assegnazione è subordinata alla stipula del relativo Contratto di programma per l'annualità 2012.
Nella seduta dell’11 luglio 2012 lo stesso CIPE ha espresso parere favorevole sull’atto aggiuntivo al Contratto di programma MIT-ANAS 2011 “Parte investimenti”, che prevede 33,7 milioni di euro per interventi di manutenzione straordinaria, nonché sul Contratto di programma MIT-ANAS 2011 “Parte servizi”, che prevede 608,5 milioni di euro per interventi di manutenzione ordinaria, sicurezza, vigilanza, monitoraggio strade e infomobilità. Nella stessa seduta il CIPE ha altresì espresso parere favorevole sul Contratto di programma MIT-ANAS 2012, che prevede 315 milioni per la “Parte investimenti” e 629 milioni di euro per la “Parte servizi”.
Relativamente al Contratto di programma 2011 il CIPE, con la delibera n. 84/2011 del 6 dicembre 2011, ha previsto l'assegnazione di 598 milioni di euro a favore del Contratto di programma ANAS 2010 e 2011 a valere sulle risorse del citato Fondo infrastrutture ferroviarie, stradali e relativo a opere di interesse strategico. Con le delibere n. 12 e n. 13 del 2011 il CIPE aveva precedentemente approvato il Contratto di programma ANAS 2011 (e in tale sede prescritto al MIT di trasmettere un quadro complessivo dei Contratti di programma 2007, 2008, 2009, 2010 e 2011, in relazione agli investimenti realizzati e alle risorse percepite da ANAS S.p.A. anche a seguito dei provvedimenti normativi: legge n. 296/2006, decreto-legge n. 78/2009 e decreto-legge n. 78/2010) e assegnato, a carico delle residue disponibilità del Fondo infrastrutture di cui all'art. 6-quinquies del D.L. 112/2008, 330 milioni di euro ad ANAS per il finanziamento del Contratto di programma 2011.
Si segnala che, nel corso dell’esame al Senato è stata soppressa la disposizione che prevedeva il trasferimento al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (MIT) delle risorse afferenti ai compiti di autorità concedente e vigilante in tema di concessioni autostradali che avrebbero dovuto essere trasferiti all’agenzia per le infrastrutture stradali e autostradali, ora soppressa, essendo venute meno le condizioni ed i termini temporali per il perfezionamento della sua istituzione (comma 7 dell’articolo 34 del decreto legge vigente)-
Si ricorda che il D.L. 98/2011, recante disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria, all'articolo 36, commi 1-10, aveva previsto, nell’ambito di un riassetto delle funzioni in materia di gestione della rete stradale e autostradale di interesse nazionale, l’istituzione, a decorrere dal 1° gennaio 2012, dell’Agenzia per le infrastrutture stradali e autostradali presso il MIT. Nelle more dell’adozione dello statuto della nuova Agenzia, l’art. 11, comma 5, del D.L. 216/2011 s.m.i. ha previsto, in caso di mancata adozione entro il 30 settembre 2012 dello statuto e del D.P.C.M. di individuazione delle unità di personale da trasferire all'Agenzia, la soppressione dell'Agenzia stessa e il trasferimento al MIT, a decorrere dal 1° ottobre 2012, delle attività e dei compiti già attribuiti alla medesima. La stessa norma dispone altresì che al MIT siano contestualmente trasferite le risorse finanziarie umane e strumentali relative all'Ispettorato di vigilanza sulle concessionarie autostradali (IVCA) che, ai sensi del comma 5 dell’art. 36 del D.L. 98/2011, sarebbero dovute transitare all’Agenzia. La disposizione in esame, soppressa nel corso dell’iter al Senato, prevedeva che, unitamente alle predette funzioni venissero trasferite al MIT, oltre alle risorse strumentali, umane e finanziarie relative all’IVCA (struttura dell’ANAS deputata a compiti di ispezione e vigilanza sulle concessionarie autostradali), anche le risorse delle strutture di ANAS attualmente impiegate nelle funzioni proprie del concedente che consistono in compiti e attività ulteriori rispetto a quelli di vigilanza (lettere da b) ad f) del comma 2 dell’art. 36, del D.L. 98/2011).
Si fa notare che il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, con il decreto 1 ottobre 2012, n. 341, ha provveduto all’istituzione della Struttura di vigilanza sulle concessionarie autostradali, cui sono state affidate (art. 2) le medesime funzioni indicate dalle lettere b)-f) del comma 2 dell’art. 36, del D.L. 98/2011.
Articolo 34,
comma 13
(Patenti di guida)
Il comma 13 dell’articolo 34, introdotto nel corso dell’esame presso il Senato, autorizza la spesa di 4 milioni di euro per il 2012 per garantire le procedure centralizzate di conferma della validità della patente di guida.
La patente di guida, alla scadenza della sua validità, può essere confermata dal competente ufficio centrale del Dipartimento per i trasporti, la navigazione ed i sistemi informativi e statistici del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, previo accertamento della permanenza dei requisiti fisici e psichici di idoneità alla guida (articolo 126 del D.Lgs. n. 285/1992, Codice della strada).
Alla copertura della spesa si provvede mediante parziale utilizzo della quota delle entrate riassegnabili previste, per l’anno 2012, dall’articolo 1, comma 238, secondo periodo, della legge n. 311/2004 (legge finanziaria 2005).
Si ricorda che l’articolo 1, comma 238, della legge finanziaria per il 2005 dispone un incremento delle tariffe per operazioni in materia di motorizzazione, quantificando le maggiori entrate derivanti da tale misura in 24 milioni di euro a decorrere dall'anno 2005. Il comma prevede che una quota delle predette maggiori entrate, pari a 20 milioni di euro per l'anno 2005, e a 12 milioni di euro a decorrere dall'anno 2006, è riassegnata allo stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti a copertura della svolgimento delle attività svolte dal predetto Ministero, relativamente alla realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici e di interesse nazionale, ai sensi dell’articolo 2, commi 3-5, del D.Lgs. n. 190/2002, il cui contenuto è successivamente confluito nel D.Lgs. n. 163 del 2006 (Codice dei contratti pubblici).
Articolo 34,
comma 14
(Risorse finanziarie rivenienti da
finanziamenti revocati per opere infrastrutturali)
L’articolo 34, comma 14[257], lettera a), disciplina l’assegnazione, al fondo ove affluiscono i finanziamenti per la realizzazione delle opere ricomprese nel Programma delle infrastrutture strategiche (PIS), che sono stati revocati, delle somme iscritte in conto residui. La successiva lettera b) sopprime i commi 7 e 7-bis dell’art. 36 del D.L. 98/2011 che prevedevano il trasferimento, dall’ANAS a Fintecna, di tutte le partecipazioni detenute dall’ANAS in società co-concedenti.
In particolare, il comma 14, lettera a), aggiunge un nuovo comma 6-bis dopo il comma 6, dell’articolo 32 del D.L. 98/2011 che, ai commi 2-7, disciplina i criteri e la procedura per la revoca di finanziamenti destinati alle infrastrutture strategiche assegnati dal CIPE.
Il comma 2 dispone la revoca dei finanziamenti assegnati dal CIPE entro il 31 dicembre 2008 per la realizzazione delle opere ricomprese nel PIS di cui alla L. 443/2001 per le quali, alla data di entrata in vigore del D.L. 98/2011 (vale a dire il 6 luglio 2011) non sia stato emanato il decreto interministeriale previsto dall'art. 1, comma 512, della L. 296/2006 e non sia stato pubblicato il relativo bando di gara. Il comma 3 revoca i finanziamenti assegnati dal CIPE per la realizzazione delle opere ricomprese nel PIS, i cui soggetti beneficiari, autorizzati alla data del 31 dicembre 2008 all'utilizzo dei limiti di impegno e dei contributi pluriennali con il decreto interministeriale previsto dal citato comma 512 che, alla data di entrata in vigore del D.L. 98/2011, non abbiano assunto obbligazioni giuridicamente vincolanti, non abbiano bandito la gara per l’aggiudicazione del relativo contratto di mutuo, ovvero, in caso di loro utilizzo mediante erogazione diretta, non abbiano chiesto il pagamento delle relative quote annuali al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (MIT) e non sia stato pubblicato il relativo bando di gara. Il comma 4, analogamente ai commi precedenti, reca i criteri per la revoca dei finanziamenti assegnati per la progettazione delle opere ricomprese nel PIS. Il comma 5 prevede che con decreti, di natura non regolamentare, aventi carattere ricognitivo, siano individuati i finanziamenti revocati ai sensi dei commi 2, 3 e 4. Il comma 6 dispone che le quote annuali dei limiti di impegno e dei contributi revocati e iscritte in bilancio ai sensi dei commi 2, 3 e 4, affluiscono al Fondo appositamente istituito nello stato di previsione del MIT. Il comma 7 demanda al CIPE, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, di stabilire, fatta eccezione per i finanziamenti delle opere già deliberati da detto Comitato, ove confermati dal MIT, la destinazione delle risorse che affluiscono al fondo di cui al comma 6 per la realizzazione del PIS.
Il nuovo comma 6-bis dispone che le somme relative ai finanziamenti revocati ai sensi dei commi 2, 3 e 4 iscritte in conto residui dovranno essere versate all’entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnate, compatibilmente con gli equilibri di finanza pubblica, al Fondo di cui al comma 6.
La relazione illustrativa sottolinea che lo scopo della norma in esame è quello di consentire l'attuazione del comma 6 dell'art. 32 del D.L. 98/2011 prevedendo il meccanismo per far affluire al Fondo di cui al medesimo comma, le risorse derivanti dalla revoca dei finanziamenti per i quali ricorrono i requisiti di cui ai commi 2, 3 e 4 del citato articolo 32 al fine di poter utilizzare tutte le quote annuali disponibili dei contributi pluriennali oggetto dei medesimi finanziamenti. La norma - sempre secondo la relazione - mira a «rimuovere l'ostacolo alla riassegnabilità delle somme in argomento rappresentato dalla mancata previsione della procedura tecnica di versamento in conto entrata del bilancio dello Stato per il trasferimento dei residui di lettera C e di lettera F dal capitolo di bilancio afferente gli interventi revocati, ricompresi nel Programma delle Infrastrutture Strategiche, al capitolo in corso di istituzione "Fondo per la ripartizione delle quote annuali di limiti di impegno e di contributi pluriennali revocati"».
La successiva lettera b), inserita nel corso dell’esame al Senato, sopprime i commi 7 e 7-bis dell’art. 36 del D.L. 98/2011 che prevedevano il trasferimento, dall’ANAS a Fintecna, di tutte le partecipazioni detenute dall’ANAS in società co-concedenti, entro il 30 settembre 2012.
La relazione tecnica evidenzia che nelle more dell’attuazione dei predetti commi, la Cassa Depositi e Prestiti “ha comunicato al MEF l’esercizio del diritto di opzione per l’acquisto dell’intero capitale sociale di Fintecna ai sensi dell’articolo 23-bis del decreto legge n. 95 del 2012 ed ha versato un acconto del corrispettivo previsto per tale cessione. Pertanto, l’abrogazione dei commi 7 e 7-bis si rende necessaria al fine di evitare che l’eventuale trasferimento delle società co-concedenti da Anas a Fintecna possa incidere sulla determinazione del corrispettivo definito e quindi sull’esito dell’operazione”.
Si ricorda che la cessione delle partecipazioni dell’ANAS è stata prevista nell’ambito della disciplina introdotta dall’art. 36, comma 1, del D.L. 98/2011 (convertito dalla legge 111/2011), finalizzata a far cessare – secondo quanto evidenziato nella relazione illustrativa al medesimo decreto legge n. 98/2011 - la commistione, in ANAS, dei ruoli e delle funzioni, da un lato, di concedente della rete autostradale in concessione a terzi e, dall’altro, di concessionario ex lege della rete stradale di interesse nazionale. Tale disciplina ha previsto, per un verso, l’istituzione dell’Agenzia per le infrastrutture stradali e autostradali presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (MIT) e, per l’altro, la trasformazione di ANAS S.p.A. in società in house del Ministero dell’economia e delle finanze (MEF) e del MIT.
L’espressione “società co-concedenti” sembra essere riferito alle sole società regionali partecipate al 50% dall’Anas e costituite (nella forma della S.p.A.) in attuazione delle norme sul federalismo infrastrutturale introdotto dal comma 289 dell’art. 2 della L. 244/2007 (finanziaria 2008). Si tratta delle seguenti società che, in forza del citato comma 289, esercitano “le funzioni e i poteri di soggetto concedente e aggiudicatore”: Autostrade del Lazio, Concessionarie Autostradali Lombarde (CAL), Concessionarie Autostradali Piemontesi (CAP), Concessionarie Autostradali Venete (CAV) e Autostrade del Molise. Si fa notare che la società CAV non è attualmente soggetto concedente, in quanto il testo del comma 290 della L. 244/2007 s.m.i., prevede che il trasferimento delle funzioni e dei poteri di soggetto concedente e aggiudicatore avvenga a partire dal 1° aprile 2017. Non rientra, invece, tra le società co-concedenti la società Stretto di Messina S.p.A.
Articolo 34,
comma 15
(Valutazione degli investimenti relativi
ad opere pubbliche)
Il comma 15 dell’articolo 34, introdotto durante l’esame al Senato, reca alcune modifiche al decreto legislativo n. 228 del 2011 recante “Attuazione dell'articolo 30, comma 9, lettere a), b), c) e d) della legge 31 dicembre 2009, n. 196, in materia di valutazione degli investimenti relativi ad opere pubbliche”.
La modifica recata dalla lettera a) abroga il comma 8 dell’art. 2 in base al quale le disposizioni del predetto decreto non si applicano alla programmazione degli interventi speciali per la rimozione degli squilibri economici e sociali attuata attraverso il Fondo per lo sviluppo e la coesione (ex FAS) per i quali resta fermo quanto previsto dal D.Lgs. 88/2011 relativamente. In conseguenza di tale modifica nel Documento Pluriennale di Pianificazione, come esplicitato nella relazione tecnica, devono rientrare i progetti di opera pubblica finanziati come interventi speciali ai sensi del decreto legislativo n. 88 del 2011.
Si ricorda, in estrema sintesi, che l’art. 2, comma 8, del D.lgs. n. 228 del 2011 impone ai Ministeri di elaborare un nuovo documento, il Documento Pluriennale di Pianificazione allo scopo di migliorare la qualità della programmazione e ottimizzare il riparto delle risorse di bilancio. Il Documento dovrà essere redatto secondo uno schema tipo e linee guida indicate al successivo art. 8 e anche tenendo conto di alcuni dei criteri previsti dall’art. 40, comma 2, della L. 196/2009. Il Documento deve essere articolato in tre Sezioni: la Prima Sezione con la valutazione ex ante dei fabbisogni infrastrutturali; la Seconda Sezione dedicata alla metodologia adottata ed all’indicazione delle priorità individuate; la Terza Sezione con i criteri per la valutazione ex post degli interventi selezionati. Sul piano procedurale il Documento deve essere predisposto dai singoli Ministeri con cadenza triennale e trasmesso, entro il 31 ottobre dell'anno precedente il triennio di riferimento, al CIPE per il relativo esame, mentre la relazione sullo stato di attuazione del Documento - che riporti eventuali aggiornamenti o modifiche - dovrà essere presentata entro il 31 dicembre di ogni anno. Viene contemplata quindi sia una procedura per l’approvazione del Documento entro tempi certi da parte del CIPE, che una procedura sostitutiva da parte dei Ministri competenti qualora la delibera del CIPE non venga adottata nei tempi previsti.
La modifica della lettera b), attraverso un periodo aggiuntivo all’art. 5, comma 2, lett. c), integra i contenuti da includere nella Seconda Sezione del Documento Pluriennale di Pianificazione, prevedendo, oltre all’elencazione delle opere da realizzare nei diversi settori di competenza di ciascun Ministero, con l'indicazione sia dell'ordine di priorità e dei criteri utilizzati per definire tale ordine, sia dei risultati attesi e dei relativi indicatori di realizzazione e di impatto, anche che ciascuna di tali opere sia corredata del relativo codice unico di progetto (CUP) previsto dall'art. 11 della legge n. 3 del 2003 e che l'elenco sia trasmesso a cura del Ministero competente alla banca dati delle amministrazioni pubbliche istituita dall'art. 13 della n. 196 del 2009, contestualmente alla trasmissione del Documento al Cipe, ai sensi del precedente art. 2, commi 5 e 6.
Articolo 34,
commi 16-19
(Misure urgenti in materia di
energia)
Il comma 16 riproduce il comma 11 del decreto-legge prevedendo l’adozione - entro sei mesi - di un decreto interministeriale che garantisca uniformità nell’applicazione delle norme riguardanti le compensazioni ambientali.
L’intervento è volto a porre rimedio alle incertezze e divergenze nell’applicazione dell’articolo 1, comma 5, della legge 23 agosto 2004, n. 239 (legge di riordino del settore energetico), in cui si prevedeva il diritto - per le Regioni e gli enti locali territorialmente interessati dalla localizzazione di nuove infrastrutture energetiche ovvero dal potenziamento o trasformazione di infrastrutture esistenti - di stipulare, con i soggetti proponenti, accordi di compensazione e riequilibrio ambientale, coerenti con gli obiettivi generali di politica energetica nazionale. Poiché mancavano indicazioni in merito ai criteri e alle modalità di individuazione delle misure compensative, nonché ai tempi di erogazione delle stesse, negli anni tale incertezza ha inciso sui termini di conclusione di procedimenti amministrativi relativi alle infrastrutture energetiche, allungandone i tempi di realizzazione e vanificando l’obiettivo delle compensazioni ambientali, strettamente connesso con l’accettazione da parte delle popolazioni residenti degli impianti energetici.
Per tale motivo, il comma 16 in esame prevede l’adozione - entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto - di un decreto interministeriale che garantisca uniformità, congruenza e oggettività nell’applicazione della norma. Trattandosi di norma di principio su materia legislativa concorrente, è comunque assicurata la partecipazione degli enti territoriali attraverso la Conferenza unificata, nella forma del parere.
In relazione al coinvolgimento degli enti territoriali, si segnala peraltro che con la sentenza n. 165 del 2011 la Corte costituzionale dichiarò fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 4, del d.l. n. 78 del 2009 affermando che, "nei casi di attrazione in sussidiarietà di funzioni relative a materie rientranti nella competenza concorrente di Stato e Regioni, è necessario, per garantire il coinvolgimento delle Regioni interessate, il raggiungimento di un’intesa, in modo da contemperare le ragioni dell’esercizio unitario di date competenze e la garanzia delle funzioni costituzionalmente attribuite alle Regioni (ex plurimis, sentenze n. 383 del 2005 e n. 6 del 2004). La previsione dell’intesa, imposta dal principio di leale collaborazione, implica che non sia legittima una norma contenente una «drastica previsione» della decisività della volontà di una sola parte, in caso di dissenso, ma che siano necessarie «idonee procedure per consentire reiterate trattative volte a superare le divergenze» (ex plurimis, sentenze n. 121 del 2010, n. 24 del 2007, n. 339 del 2005). Solo nell’ipotesi di ulteriore esito negativo di tali procedure mirate all’accordo, può essere rimessa al Governo una decisione unilaterale (sentenza n. 33 del 2011).
Il comma 17, introdotto dal Senato, interviene su norme che autorizzano in via definitiva alcune opere facenti parte della rete elettrica di trasmissione nazionale per garantire la sicurezza di approvvigionamento di energia elettrica nelle isole maggiori.
In particolare viene modificato l’articolo 2-bis del D.L. n. 3/2010:, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 22 marzo 2010, n. 41, apportando le seguenti modifiche:
a) invece del riferimento diretto al decreto del Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato 25 giugno 1999 di determinazione dell'ambito della rete elettrica di trasmissione nazionale, si rinvia più genericamente all’articolo 3, comma 7, del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79 (cd. decreto Bersani), sulla base del quale il citato decreto ministeriale era stato emanato;
b) sono soppresse le parole: ’’e per la quali non sia ad oggi accertabile il titolo di autorizzazione’’.
Si ricorda che il decreto-legge 3/2010, convertito dalla legge 41/2010, reca misure necessarie per porre rimedio alle crescenti criticità di funzionamento del sistema elettrico nazionale sulle isole maggiori Sicilia e Sardegna e garantire la sicurezza di approvvigionamento di energia elettrica nelle due isole. Tale necessità permarrà fino all’apprestamento e alla messa in esercizio delle nuove infrastrutture di rete programmate, che porranno una soluzione strutturale a tali criticità. L’articolo 1 del decreto ha istituito un servizio di riduzione istantanea dei prelievi di energia elettrica in Sicilia e in Sardegna, per il triennio 2010-2012, al fine di garantire la sicurezza del sistema elettrico nelle due isole. Il nuovo servizio per la sicurezza garantisce la possibilità di ridurre la domanda elettrica nelle isole maggiori secondo le istruzioni della società Terna Spa. L’articolo 2-bis, al fine di garantire la sicurezza del sistema energetico e la continuità del servizio di trasmissione di energia elettrica, autorizza in via definitiva le opere facenti parte della rete elettrica di trasmissione nazionale, come individuata con decreto del Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato 25 giugno 1999, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 151 del 30 giugno 1999, che siano già in esercizio al 28 marzo 2010 e per le quali non sia ad oggi accertabile il titolo di autorizzazione.
Il comma 18, come già il comma 12 del decreto, interviene sulla durata delle concessioni di stoccaggio di gas naturale in sotterraneo, prevedendo che esse abbiano una durata non superiore a trenta anni, prorogabile non più di una volta e per 10 anni (30+10).
Pur mantenendo la durata massima della concessione a 40 anni, la norma in esame altera la scansione oggi vigente (20+10+10).
Si ricorda che il decreto legislativo n. 164/2000 (cd. decreto Letta), di attuazione della direttiva n. 98/30/CE, recante norme comuni per il mercato interno del gas naturale, all'articolo 11, comma 1, prevede che l'attività di stoccaggio del gas naturale in giacimenti o unità geologiche profonde e' svolta sulla base di concessione, di durata non superiore a venti anni, rilasciata dal Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato, attualmente Ministero dello sviluppo economico.
Il comma 61 dell’unico articolo della legge n. 239/2004 (legge di riordino del settore energetico) stabilisce che i titolari di concessioni di stoccaggio di gas naturale in sotterraneo possono usufruire di non più di due proroghe di dieci anni, qualora abbiano eseguito i programmi di stoccaggio e adempiuto a tutti gli obblighi derivanti dalle concessioni medesime.
Si valuti l’opportunità di formulare la disposizione normativa
novellando l’articolo 11, comma 1, del D.Lgs. 164/2000 e l’articolo 1, comma
61, della legge 239/2004.
Secondo la relazione illustrativa, tale previsione si pone in linea con le disposizioni vigenti negli altri Paesi dell’Unione europea, quali la Spagna (30 anni estendibile per due periodi di 10 anni ciascuno), il Regno Unito e la Francia (rispettivamente 31 anni o al massimo 50 con proroga senza limiti), la Germania (durata massima 20 anni estensibile fino 50 anni).
Si intende così favorire la possibilità di accesso al credito aumentando la durata certa del primo periodo della concessione: si modifica il periodo di prima vigenza, estendendolo a 30 anni e nel contempo si riduce ad uno solo, anziché i due oggi previsti, il periodo di proroga di dieci anni. Il secondo periodo dispone la relativa disciplina transitoria, applicando la nuova previsione ai procedimenti concessori in corso ed alle concessioni in essere quanto al primo periodo (presumibilmente non vi sono ancora concessioni di stoccaggio che versano in secondo o terzo periodo, essendo il decreto istitutivo del 23 maggio 2000).
Vengono fatte salve, secondo la precisazione introdotta dal Senato, le concessioni rilasciate prima del 21 giugno 2000.
Il comma 19, introdotto dal Senato, proroga l’esercizio dei terminali di rigassificazione di gas naturale liquefatto e degli impianti di ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi attualmente in funzione fino al completamento delle procedure autorizzative in corso.
La norma è finalizzata alla piena attuazione dei piani e dei programmi relativi allo sviluppo e alla sicurezza dei sistemi energetici di cui al decreto legislativo 1º giugno 2011, n. 93[258].
A tal fine si permette di continuare fino al completamento delle procedure autorizzative in corso previste sulla base dell’originario titolo abilitativo (la cui scadenza viene dunque prorogata fino a tale completamento) l’esercizio degli impianti attualmente in funzione:
§ di cui all’articolo 46 del D.L. n. 159/2007[259], riguardante le procedure di autorizzazione per la costruzione e l’esercizio di terminali di rigassificazione di gas naturale liquefatto;
§ e
di cui agli articoli 6 e 9 della legge 9 gennaio 1991, n. 9[260], relativi al permesso di ricerca e alla concessione di coltivazione di
idrocarburi liquidi o gassosi.
Articolo 34,
commi 20-25
(Servizi pubblici locali)
I commi da 20 a 25 contengono
disposizioni in tema di servizi pubblici locali (SPL), prevedendo l’affidamento
degli stessi servizi in base a relazione dell’ente affidante (comma 20);
l’adeguamento entro il 31 dicembre 2013 degli
affidamenti in essere non conformi alla normativa comunitaria, nonché
l’introduzione di una scadenza degli affidamenti stessi, se non stabilita,
nello stesso termine (comma 21); la cessazione al il 31 dicembre 2020
degli affidamenti diretti assentiti alla data del 1º ottobre 2003 se privi di
scadenza (comma 22); una riserva esclusiva di funzioni per gli enti di governo
degli ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei per servizi pubblici
locali a rete di rilevanza economica(comma 23); l’abrogazione di disposizioni
che concorrevano al precedente assetto dei SPL oggetto di declaratoria di
illegittimità costituzionale (comma 24); l’esclusione dell’applicazione delle
disposizioni stabilite dai commi precedenti per i settori del gas, dell’energia
elettrica e delle farmacie comunali (comma 25);
Tali disposizioni costituiscono l’ultimo intervento normativo, effettuato nel corso della legislatura, nel comparto dei servizi pubblici locali che, dal 2008, è stato oggetto di una serie di interventi normativi, nella cui successione temporale si sono inserite sia abrogazione referendaria sia una pronuncia di illegittimità costituzionale.
Per effetto della successione in un ristretto contesto temporale di interventi, adottati, per lo più, con provvedimenti d’urgenza, e della richiamata pronuncia, l’assetto del comparto non ha ancora assunto una connotazione stabile.
La disciplina dei servizi pubblici locali, contenuta principalmente nell’articolo 113 del testo unico degli enti locali (TUEL) del 2000[261], è stata profondamente modificata all’inizio della legislatura dall’articolo 23-bis del D.L. n. 112 del 2008[262] che, con il comma 11, ne ha disposto l’abrogazione.
L’articolo 23-bis del D.L. n. 112 del 2008 aveva disposto una disciplina di (parziale) liberalizzazione del settore, con incentivazione della gestione in concorrenza dei servizi;
Tale articolo aveva sostituito la normativa precedente, anche settoriale poiché, ai sensi del comma 1, le disposizioni in esso contenute si applicavano a tutti i servizi pubblici locali prevalendo sulle relative discipline di settore con esse incompatibili.
Le disposizioni in questione ponevano, come regola generale, il principio della gara e regolavano anche le situazioni in deroga, per le fattispecie che "non permettono un efficace ed utile ricorso al mercato". Lo stesso articolo, con il comma 10, aveva previsto un'ampia delegificazione del settore.
Quindi, l'art.23 bis stabiliva le regole per l'affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, il regime transitorio degli affidamenti non conformi e la previsione di una disciplina regolamentare di attuazione di obiettivi specifici (anche di liberalizzazione) previsti dall'articolo stesso.
L’abrogazione delle disposizioni del TUEL era disposta dal comma 11 con una formula di abrogazione esplicita innominata: “é abrogato nelle parti incompatibili con le disposizioni del presente articolo”, e rinviando (comma 10, lettera m)) al regolamento di delegificazione l’individuazione puntuale delle norme abrogate. Quindi non necessariamente solo (ma presumibilmente anche) quelle dell’art. 113.
Certamente va ritenuto abrogato il comma 5 dell'art. 113 TUEL, in conformità a quanto affermato in merito dalla Corte costituzionale con la sent. 325/2010 che l’ha ritenuto palesemente incompatibile con i commi 2, 3 e 4 dell'art. 23- bis.
L’impianto della
disciplina dettata dall’art. 23 bis
era passato indenne dallo scrutinio di legittimità effettuato dalla sent.
325/2010 che ha ritenuto che l'ordinamento comunitario, in tema di affidamento
della gestione dei servizi pubblici, costituisce solo un minimo inderogabile
per i legislatori degli Stati membri e, pertanto, non osta a che la
legislazione interna disciplini piú rigorosamente, nel senso di favorire
l'assetto concorrenziale di un mercato, le modalità di tale affidamento;
Tale disciplina è stata poi novellata, in vari punti, dall’articolo 15 del decreto-legge 135/2009, convertito dalla legge 166/2009 e, successivamente completata, dal regolamento di delegificazione adottato con D.P.R. 168/2010 ai sensi del citato comma 10 dell’art. 23 bis.
L’intera disciplina prevista dall’art. 23 bis, come successivamente modificato, integrata dal regolamento di delegificazione, è stata travolta dall’esito delle consultazioni referendarie del 12 e 13 giugno 2011, aventi ad oggetto quattro quesiti, tra cui uno di abrogazione dell'art. 23-bis del D.L. 112/2008 sui servizi pubblici locali. La partecipazione al voto di quasi il 55% degli elettori ha consentito il raggiungimento del quorum necessario per la validità del referendum, e oltre il 95% dei votanti si è espresso in senso favorevole all'abrogazione.
Per colmare il vuoto normativo lasciato dall’abrogazione dell’articolo 23-bis, è quindi intervenuto sulla materia l’articolo 4 del D.L. 138/2011[263], prevedendo una nuova disciplina generale dei servizi pubblici locali che, tuttavia, a differenza della precedente - per tenere conto dell'esito di uno dei quesiti della consultazione popolare - escludeva espressamente il settore idrico.
Quanto al campo di applicazione delle nuove regole si prevedeva una clausola di generale applicazione ai servizi pubblici locali di rilevanza economica, con prevalenza sulle relative discipline di settore incompatibili. Accanto a ciò si stabiliva l’esclusione, oltre al servizio idrico integrato, dei seguenti servizi, disciplinati da normative di settore:
§ servizio di distribuzione di gas naturale;
§ servizio di distribuzione di energia elettrica;
§ servizio di trasporto ferroviario regionale;
§ gestione delle farmacie comunali.
Le linee portanti del nuovo impianto normativo riprendevano quelle della disciplina varata nel 2008, successivamente modificata e integrata in sede di delegificazione.
Tale impianto è stato
oggetto di ulteriori parziali modifiche per effetto dell’articolo 9, co. 2,
della legge 183/2011, legge di stabilità
2012.
Anche l’art. 25, comma 1, del decreto-legge 1/2012[264] (c.d. D.L. Liberalizzazioni) è intervenuto sulla materia dei servizi pubblici locali con l'art. 3 bis,[265] per disciplinare gli ambiti territoriali e i criteri di organizzazione dei servizi pubblici locali prevedendo:
§ obbligo delle regioni e delle le province autonome di Trento e di Bolzano di organizzare i servizi per ambiti territoriali almeno provinciali istituendo o designando gli enti di governo degli stessi, entro il termine del 30 giugno 2012;sono fatti salvi gli ambiti già organizzati e, in caso di inutile decorso del termine, per quelli da organizzare, è previsto l’intervento sostitutivo del Governo;
§ meccanismi premiali per gli affidamenti mediante gara stabilendone la rilevanza come parametro di virtuosità dell’ente, nonché associandovi la destinazione dei finanziamenti a qualsiasi titolo concessi a valere su risorse pubbliche statali ai sensi dell'articolo 119, quinto comma, della Costituzione; tali finanziamenti sono infatti prioritariamente attribuiti agli enti di governo degli ambiti o dei bacini territoriali ottimali ovvero ai relativi gestori del servizio selezionati tramite procedura ad evidenza pubblica o di cui comunque l'Autorità di regolazione competente abbia verificato l'efficienza gestionale e la qualità del servizio reso sulla base dei parametri stabiliti dall'Autorità stessa;
§ parere preventivo obbligatorio dell’Autorità garante del mercato;
§ l'adozione di strumenti di tutela dell'occupazione come elemento di valutazione dell'offerta per l’ affidamento del servizio con procedura ad evidenza pubblica;
§ economie di gestione tali da riflettersi sulle tariffe o sulle politiche del personale;
§ riduzione a 200.000 euro del valore economico dei servizi che è possibile affidare in house;
§ proroga dei termini di scadenza degli affidamenti in house non conformi;
§ assoggettamento delle società affidatarie in house: al patto di stabilità interno; all’obbligo di effettuare acquisti di beni e servizi in conformità al Codice dei contratti pubblici; a criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi di cui al comma 3 dell'articolo 35 del D.lgs. 165/2001, nonché delle disposizioni che stabiliscono a carico degli enti locali divieti o limitazioni alle assunzioni di personale, contenimento degli oneri contrattuali e delle altre voci di natura retributiva o indennitarie e per le consulenze anche degli amministratori.;
§
estensione della normativa sui
servizi pubblici locali al trasporto ferroviario regionale.
Le novelle
all’art. 4 del D.L. 138/2011disposte dall’art. 25 del decreto-legge 1/2012 si ponevano
l’obiettivo di limitare ulteriormente le possibilità di ricorrere alle gestioni
dirette, incentivando le gestioni concorrenziali nei diversi segmenti del
comparto.
Quanto poi alla novella che ha introdotto
l’art. 3 bis, essa ha stabilito il
termine del 30 giugno 2012 per l’individuazione
degli ambiti da parte delle Regioni e delle Province autonome di Trento e
Bolzano. Decorso inutilmente tale termine, il Consiglio dei Ministri è
autorizzato ad esercitare i poteri
sostitutivi di cui all’art. 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131[266], a
tutela dell'unità giuridica ed economica.
L’art. 8 della legge 131/2003 prevede, al comma 1, che, nei casi e per le finalità previsti dall'articolo 120, secondo comma, della Costituzione, il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro competente per materia, anche su iniziativa delle Regioni o degli enti locali, assegna all'ente interessato un congruo termine per adottare i provvedimenti dovuti o necessari; decorso inutilmente tale termine, il Consiglio dei ministri, sentito l'organo interessato, su proposta del Ministro competente o del Presidente del Consiglio dei ministri, adotta i provvedimenti necessari, anche normativi, ovvero nomina un apposito commissario. Alla riunione del Consiglio dei ministri partecipa il Presidente della Giunta regionale della Regione interessata al provvedimento.
Sull’assetto del comparto normativo dei servizi pubblici locali è poi intervenuto l’art. 53 del decreto-legge 83/2012 (c.d. D.L. Crescita del Paese) che ha ulteriormente novellato i citati articoli 3 bis e 4 del decreto legge 138/2011.
La sentenza 199/2012 della Corte costituzionale, depositata il 19 luglio 2012, ha poi dichiarato l’illegittimità delle disposizioni adottate, dopo il referendum del giugno 2011, con l’art. 4 del decreto legge 138/2011, in quanto dirette a ripristinare norme abrogate dalla volontà popolare, col suddetto referendum e così in contrasto con il divieto desumibile dall’art. 75 Cost..
Nonostante il titolo «Adeguamento della disciplina dei servizi pubblici locali al referendum popolare e alla normativa dall’Unione europea», la disciplina contenuta nell’art. 4 ha, ad avviso della Corte, la stessa ratio di quella abrogata: vale a dire una ratio di drastica riduzione delle ipotesi di affidamenti in house al di là di quanto prescritto in sede comunitaria, e riproduce alla lettera, in buona parte, svariate disposizioni dell’art. 23-bis del D.L. 112/2008 (e del relativo regolamento attuativo D.P.R. n. 168 del 2010) abrogate col suddetto referendum 11.13 giugno 2011.
Con tale referendum, pertanto, secondo tale sentenza, si è realizzato “l’intento referendario di «escludere l’applicazione delle norme contenute nell’art. 23-bis che limitano, rispetto al diritto comunitario, le ipotesi di affidamento diretto e, in particolare, quelle di gestione in house di pressoché tutti i servizi pubblici locali di rilevanza economica (ivi compreso il servizio idrico)» (sentenza n. 24 del 2011) e di consentire, conseguentemente, l’applicazione diretta della normativa comunitaria conferente”. La sentenza ribadisce il principio già affermato in precedenti pronunce per cui il legislatore “conserva il potere di intervenire nella materia oggetto di referendum senza limiti particolari che non siano quelli connessi al divieto di far rivivere la normativa abrogata
La declaratoria di illegittimità ha riguardato non solo l’art. 4, ma anche le successive modificazioni dello stesso articolo disposte dalle seguenti fonti sopra illustrate:
§ art. 9, co. 2, della legge 183/2011, legge di stabilità 2012;
§
art.
25 del decreto-legge 1/2012;
§ art. 53 del decreto-legge 83/2012,
Invece, non risulta incluso nel perimetro
dell’illegittimità l’art. 3 bis, introdotto dall’art. 25
del D.L. 1/12.
Caducata tutta la normativa adottata con l’art. 4 del d.l. 138/2011 e le successive modifiche, il settore dei servizi pubblici locali risulta disciplinato come segue.
In primo luogo trova applicazione quanto stabilito in sede comunitaria, sia nel Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (di seguito TFUE) sia dalla giurisprudenza comunitaria.
Quanto alla prima fonte, l’articolo 14 TFUE (ex articolo 16 del TCE) sottolinea l’importanza dei servizi di interesse economico generale nell'ambito dei valori comuni dell'Unione del loro ruolo nella promozione della coesione sociale e territoriale. Da ciò discende un obbligo per gli Stati membri e l’Unione di garantirne lo svolgimento, prevedendone principi e condizioni, in particolare economiche e finanziarie. Perciò la disciplina comunitaria in tema di aiuti dichiara compatibili con i trattati gli aiuti richiesti dalle necessità del coordinamento dei trasporti ovvero corrispondenti al rimborso di talune servitù inerenti alla nozione di pubblico servizio (art. 93 TFUE), in tema di diritti speciali o esclusivi sottopone le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale alle norme dei trattati, e in particolare alle regole di concorrenza, solo nei limiti in cui l'applicazione di tali norme non osti all'adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata (art. 106 TFUE).
Si può notare che l’art. 14 TFUE fa riferimento a servizi di interesse economico generale e non a servizi pubblici locali, ma, come rilevato dalla Corte costituzionale, sent. 325/2010, “in àmbito comunitario non viene mai utilizzata l’espressione «servizio pubblico locale di rilevanza economica», ma solo quella di «servizio di interesse economico generale» (SIEG), rinvenibile, in particolare, negli artt. 14 e 106 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE). Detti articoli non fissano le condizioni di uso di tale ultima espressione, ma, in base alle interpretazioni elaborate al riguardo dalla giurisprudenza comunitaria (ex multis, Corte di giustizia UE, 18 giugno 1998, C-35/96, Commissione c. Italia) e dalla Commissione europea (in specie, nelle Comunicazioni in tema di servizi di interesse generale in Europa del 26 settembre 1996 e del 19 gennaio 2001; nonché nel Libro verde su tali servizi del 21 maggio 2003), emerge con chiarezza che la nozione comunitaria di SIEG, ove limitata all’àmbito locale, e quella interna di SPL di rilevanza economica hanno «contenuto omologo»” (conf. sentenza n. 272 del 2004).
La natura meramente terminologica della differenza tra la nozione comunitaria e quella nazionale dei servizi in questione è evidenziata dalla richiamata sentenza 325/2010 rilevando che entrambe le nozioni “fanno riferimento infatti ad un servizio che: a) è reso mediante un’attività economica (in forma di impresa pubblica o privata), intesa in senso ampio, come «qualsiasi attività che consista nell’offrire beni o servizi su un determinato mercato» (come si esprimono sia la citata sentenza della Corte di giustizia UE, 18 giugno 1998, C-35/96, Commissione c. Italia, sia le sentenze della stessa Corte 10 gennaio 2006, C-222/04, Ministero dell’economia e delle finanze, e 16 marzo 2004, cause riunite C-264/01, C-306/01, C-354/01 e C-355/01, AOK Bundesverband, nonché il Libro verde sui servizi di interesse generale del 21 maggio 2003, al paragrafo 2.3, punto 44); b) fornisce prestazioni considerate necessarie (dirette, cioè, a realizzare anche “fini sociali”) nei confronti di una indifferenziata generalità di cittadini, a prescindere dalle loro particolari condizioni (Corte di giustizia UE, 21 settembre 1999, C-67/96, Albany International BV)”.
In particolare nella citata pronuncia la Consulta afferma che “le due nozioni, inoltre, assolvono l’identica funzione di identificare i servizi la cui gestione deve avvenire di regola, al fine di tutelare la concorrenza, mediante affidamento a terzi secondo procedure competitive ad evidenza pubblica”
Per effetto delle disposizioni comunitarie ricordate, secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia, la gestione diretta del SPL da parte dell’ente pubblico è ammessa se lo Stato membro ritiene che l’applicazione delle regole di concorrenza sia un ostacolo, in diritto od in fatto, alla speciale missione del servizio pubblico restando riservato all’ordinamento comunitario il sindacato sull’eventuale “errore manifesto” alla base della decisione dello Stato.
In tal senso, e plurimis, può ricordarsi la sentenza della Corte di giustizia UE 11 gennaio 2005, C-26/03, Stadt Halle, punti 48 e 49, e 10 settembre 2009, C-573/07, Sea s.r.l.),.che ha riconosciuto che rientra nel potere organizzativo delle autorità pubbliche “autoprodurre” beni, servizi o lavori mediante il ricorso a soggetti che, ancorché giuridicamente distinti dall'ente conferente, siano legati a quest'ultimo da una “relazione organica” (c.d. affidamento in house).
Il meccanismo dell'affidamento diretto a soggetti in house, deve, però, essere strutturato in modo da evitare che esso possa risolversi in una ingiustificata compromissione dei principi che presiedono al funzionamento del mercato e, dunque, in una violazione delle prescrizioni contenute nel Trattato a tutela della concorrenza. In altri termini, il modello operativo in esame non deve costituire il mezzo per consentire alle autorità pubbliche di svolgere, mediante la costituzione di apposite società, attività di impresa in violazione delle regole concorrenziali, che richiedono che venga garantito il principio del pari trattamento tra imprese pubbliche e private (art. 345 TFUE).
La giurisprudenza della Corte di giustizia – proprio al fine di assicurare il rispetto di tali regole e sul presupposto che il sistema dell'affidamento in house costituisca un'eccezione ai principi generali del diritto comunitario – ha imposto l'osservanza di talune condizioni legittimanti l'attribuzione diretta della gestione di determinati servizi a soggetti “interni” alla compagine organizzativa dell'autorità pubblica.
Dal canto suo, la Commissione UE, con il Libro verde del 30 aprile 2004, ha rilevato che la normativa comunitaria consente l’affidamento diretto del servizio, senza gara, alle società miste, cioè con capitale in parte pubblico ed in parte privato (PPP, partenariato pubblico e privato) costituite a seguito di gara ad evidenza pubblica per la scelta del socio privato; tuttavia la medesima normativa richiede, ad avviso della Commissione, che tale socio sia un socio «industriale» e non meramente «finanziario» senza prescrivere un limite, minimo o massimo, alla sua partecipazione al capitale.
Con la sentenza Teckal 18 novembre 1999 (C-107/98) la V Sezione della Corte di giustizia ha ritenuto applicabile la direttiva del Consiglio 14 giugno 1993, 93/36/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture, ad amministrazioni aggiudicatrici, quali gli enti locali, che stipulino con enti formalmente distinti con autonomia decisionale, contratti a titolo oneroso aventi ad oggetto la fornitura di prodotti, “indipendentemente dal fatto che tale ultimo ente sia a sua volta un'amministrazione aggiudicatrice o meno”.
Con la sentenza 6 aprile 2006 (C-410/04), la I Sezione della Corte di giustizia ha ritenuto che “gli artt. 43 CE, 49 CE e 86 CE, nonché i principi di parità di trattamento, di non discriminazione sulla base della nazionalità e di trasparenza non ostano a una disciplina nazionale che consente ad un ente pubblico di affidare un servizio pubblico direttamente ad una società della quale esso detiene l'intero capitale, a condizione che l'ente pubblico eserciti su tale società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi, e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente che la detiene”.
In altri termini, quando un contratto sia stipulato tra un ente locale ed una persona giuridica distinta, l’applicazione delle direttive comunitarie sulla concorrenza può essere esclusa nel caso in cui l’ente locale eserciti sulla persona giuridica un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e la persona giuridica realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o con gli enti locali che la controllano. Segnatamente, ad avviso delle istituzioni comunitarie per controllo analogo s’intende un rapporto equivalente, ai fini degli effetti pratici, ad una relazione di subordinazione gerarchica; tale situazione si verifica quando sussiste un controllo gestionale e finanziario stringente dell’ente pubblico sull’ente societario. In detta evenienza, pertanto, l’affidamento diretto della gestione del servizio è consentito senza ricorrere alla procedure di evidenza pubblica prescritte dalle disposizioni comunitarie innanzi citate. Al contrario, ove non ricorra un siffatto controllo gestionale ed economico dell’ente pubblico sul soggetto gestore ma l’affidamento riguardi un servizio in cambio della gestione dello stesso come corrispettivo (e dunque configuri, secondo l’interpretazione della commissione, una concessione di servizi) l’aggiudicazione del servizio deve in ogni caso avvenire nel rispetto dei principi comunitari di trasparenza e di parità di trattamento che impongono la necessità di seguire procedure di evidenza pubblica”.
Secondo la citata sentenza Stadt Halle dell'11 gennaio 2005, il controllo analogo non sussiste quando la società sia partecipata da privati, perchè «qualunque investimento di capitale privato in un'impresa obbedisce a considerazioni proprie degli interessi privati», rifuggendo da «considerazioni ed esigenze proprie del perseguimento di obiettivi di interesse pubblico» che devono caratterizzare «il rapporto tra un'autorità pubblica (…) ed i suoi servizi».
La giurisprudenza costituzionale ha ripreso tale orientamento giurisprudenziale comunitario in alcune pronunce quali la sent. 439/2008 e la sent. 325/2010.
Quest’ultima sentenza, con riferimento all’art. 23 bis del D.L. 112/2008, ha evidenziato che: “a) la normativa comunitaria consente, ma non impone, agli Stati membri di prevedere, in via di eccezione e per alcuni casi determinati, la gestione diretta del servizio pubblico da parte dell’ente locale; b) lo Stato italiano, facendo uso della sfera di discrezionalità attribuitagli dall’ordinamento comunitario al riguardo, ha effettuato la sua scelta nel senso di vietare di regola la gestione diretta dei SPL ed ha, perciò, emanato una normativa che pone tale divieto”; inoltre, per le società in house, ha rilevato che “secondo la normativa comunitaria, le condizioni integranti tale tipo di gestione ed alle quali è subordinata la possibilità del suo affidamento diretto (capitale totalmente pubblico; controllo esercitato dall’aggiudicante sull’affidatario di ««contenuto analogo» a quello esercitato dall’aggiudicante stesso sui propri uffici; svolgimento della parte piú importante dell’attività dell’affidatario in favore dell’aggiudicante) debbono essere interpretate restrittivamente, costituendo l’in house providing un’eccezione rispetto alla regola generale dell’affidamento a terzi mediante gara ad evidenza pubblica. Tale eccezione viene giustificata dal diritto comunitario con il rilievo che la sussistenza delle suddette condizioni esclude che l’in house contract configuri, nella sostanza, un rapporto contrattuale intersoggettivo tra aggiudicante ed affidatario, perché quest’ultimo è, in realtà, solo la longa manus del primo. Nondimeno, la giurisprudenza comunitaria non pone ulteriori requisiti per procedere a tale tipo di affidamento diretto, ma si limita a chiarire via via la concreta portata delle suddette tre condizioni”.
La stessa sentenza ha rilevato che il legislatore nazionale, richiedendo espressamente, per l’affidamento diretto in house, non solo la sussistenza delle suddette tre condizioni poste dal diritto comunitario, ma anche ulteriori condizioni (di pubblicità e motivazione della scelta, con analisi di mercato, trasmissione di relazione dall’ente affidante all’ autorità di settore per il parere, sussistenza di situazioni peculiari di contesto, che non permettono un efficace ed utile ricorso al mercato) che restringono la possibilità di derogare alla regola comunitaria concorrenziale dell’affidamento del servizio stesso mediante gara pubblica, ha fatto una precisa scelta che “ reca una disciplina pro concorrenziale piú rigorosa rispetto a quanto richiesto dal diritto comunitario”, non in contrasto “con la normativa comunitaria, che, in quanto diretta a favorire l’assetto concorrenziale del mercato, costituisce solo un minimo inderogabile per gli Stati membri”. È infatti innegabile, ad avviso della Corte, “l’esistenza di un “margine di apprezzamento” del legislatore nazionale rispetto a princípi di tutela, minimi ed indefettibili, stabiliti dall’ordinamento comunitario con riguardo ad un valore ritenuto meritevole di specifica protezione, quale la tutela della concorrenza “nel” mercato e “per” il mercato. Ne deriva, in particolare, che al legislatore italiano non è vietato adottare una disciplina che preveda regole concorrenziali – come sono quelle in tema di gara ad evidenza pubblica per l’affidamento di servizi pubblici – di applicazione piú ampia rispetto a quella richiesta dal diritto comunitario.”
In secondo luogo trova applicazione quanto stabilito in via generale dall’art. 3 bis, del D.L. 138/2011 e successive modificazioni, sopra illustrato.
Non si risulta invece riferita ai servizi pubblici locali la disciplina dell’articolo 4, commi 1-5, d.l. 95/2012 che prevede per le società controllate direttamente o indirettamente da pubbliche amministrazioni, che abbiano conseguito nell'anno 2011 un fatturato da prestazione di servizi a favore di pubbliche amministrazioni superiore al 90 per cento dell'intero fatturato, :
§ lo scioglimento o, in alternativa, la privatizzazione: in mancanza di tali interventi, a decorrere dal 1° gennaio 2014 le predette società non possono comunque ricevere affidamenti diretti di servizi, né possono fruire del rinnovo di affidamenti di cui sono titolari e i servizi già prestati, ove non vengano prodotti nell'ambito dell'amministrazione, devono essere acquisiti nel rispetto della normativa comunitaria e nazionale:
§ la riduzione del numero dei componenti del CDA delle delle società a totale partecipazione pubblica diretta ed indiretta.
§ la predisposizione di piani di ristrutturazione e razionalizzazione delle società controllate.
Infatti, il comma 3 dello stesso articolo ne esclude l’applicazione alle società che svolgono servizi di interesse generale, anche aventi rilevanza economica. Tale denominazione infatti è riferibile ai servizi pubblici locali come rilevato dalla Corte costituzionale con la sent. 325/2010 con riferimento all’analoga denominazione contenuta negli articoli 14 e 106 TFUE.
Inoltre, sembra potersi ritenere che con la locuzione “società che prestano servizi nei confronti delle pubbliche amministrazioni” si intenda fare riferimento alle cd. “società strumentali” delle P.A., cioè a quelle società che producono beni e servizi strumentali alla pubblica amministrazione [267].
La giurisprudenza del Consiglio di Stato (Consiglio di Stato, Sez. V, 12/6/2009 n. 3766) ha chiarito che possono definirsi strumentali tutti quei beni e servizi erogati da società a supporto di funzioni amministrative di natura pubblicistica di cui resta titolare l'ente pubblico di riferimento (nel caso di specie, la pronuncia del Consiglio faceva riferimento alle amministrazioni regionali e locali), e con i quali l'ente provvede al perseguimento dei suoi fini istituzionali.
Le società strumentali – afferma il Consiglio di Stato - sono, quindi, strutture costituite per svolgere attività strumentali rivolte essenzialmente alla pubblica amministrazione e non al pubblico, come invece quelle costituite per la gestione dei servizi pubblici locali che mirano a soddisfare direttamente ed in via immediata esigenze generali della collettività.
Va ricordata inoltre la disposizione introdotta nell’art. 3 del D.L. 174/2012, in corso di conversione, che all'articolo 243 TUEL, aggiunge un comma 3-bis in base al quale “i contratti di servizio, stipulati dagli enti locali con le società controllate, con esclusione di quelle quotate in borsa, devono contenere apposite clausole volte a prevedere, ove si verifichino condizioni di deficitarietà strutturale, la riduzione delle spese di personale delle società medesime, anche in applicazione di quanto previsto dall'articolo 18, comma 2-bis, del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008”.
La disciplina in esame basa l’affidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza economica su una relazione dell’ente affidante da rendere pubblica sul sito internet dell’ente stesso.
Infatti, ai sensi del comma 20, il cui tenore non è stato modificato dal Senato, costituisce contenuto necessario della relazione:
§ l’indicazione delle ragioni e della sussistenza dei requisiti previsti dall’ordinamento europeo per la forma di affidamento prescelta;
§ la definizione dei contenuti specifici degli obblighi di servizio pubblico e di servizio universale.
Costituisce invece contenuto eventuale della stessa relazione:
§ l’indicazione di compnsazioni economiche a fronte dei suddetti obblighi.
Obiettivo dell’obbligo di pubblicare la relazione sono:
§ il rispetto della disciplina europea;
§ la parità tra gli operatori;
§ l’economicità della gestione;
§ l’adeguata informazione della collettività di riferimento.
Dalla disposizione risulta rimessa alla valutazione dell’ente affidante la scelta della modalità di affidamento, nel presupposto che la discrezionalità in merito vada esercitata nel rispetto dei “paletti” comunitari sopra illustrati.
Il vincolo della pubblicazione della relazione è esteso dal comma 21, il cui tenore è stato modificato dal Senato, anche agli affidamenti già effettuati e tuttora in corso, con prescrizione di renderli conformi ai requisiti previsti dalla normativa europea a carico degli enti affidanti.
Uno specifico adeguamento per gli affidamenti in essere è costituito dalla previsione di un termine di scadenza, in mancanza del quale, alla stessa data del 31 dicembre 2013, si determina, di diritto, la cessazione dell’affidamento.
La fissazione della scadenza non è rimessa interamente alla discrezionalità dell’affidante, perché il comma 22, il cui tenore non è stato modificato dal Senato, limita la discrezionalità dell’affidante in caso di affidamenti “diretti”, cioè senza gara, se:
§ siano stati assentiti alla data del 1º ottobre 2003;
§ riguardino società a partecipazione pubblica già quotate in borsa a tale data, nonchè quelle da esse controllate ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile[268].
In tale caso, infatti - fermo restando che se la scadenza è in atti l’affidamento diretto cessa a quella data - in mancanza di scadenza, l’affidamento diretto cessa, improrogabilmente e senza necessità di apposita deliberazione dell’ente affidante, il 31 dicembre 2020.
Tale limitazione dovrebbe riguardare il termine massimo dell’affidamento, restando impregiudicata la discrezionalità dell’affidante nello stabile un termine diverso e più ristretto.
Ai sensi del comma 25, le disposizioni illustrate (commi 20-22) non si applicano a i seguenti servizi:
§ servizio di distribuzione di gas naturale, di cui al decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164;
§ servizio di distribuzione di energia elettrica, di cui al decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79 e alla legge 23 agosto 2004, n. 239,;
§ gestione delle farmacie comunali, di cui alla legge 2 aprile 1968, n. 475.
Restano inoltre ferme le disposizioni di cui all’articolo 37 del decreto legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134 in tema di disciplina delle gare per la distribuzione di gas naturale e nel settore idroelettrico.
Tale articolo, con il comma 1, lettera a), interviene sulle norme che disciplinano le gare per la distribuzione gas, contenute nel D.Lgs. n. 164/2000, prevedendo che alle gare per ambito territoriale siano ammessi tutti i soggetti, con la sola esclusione di quelli che, a livello di gruppo societario, gestiscono al momento della gara servizi pubblici locali in virtù di affidamento diretto o di una procedura non ad evidenza pubblica; si specifica altresì che tale divieto non vale per le società quotate in mercati regolamentati e per le società da queste direttamente o indirettamente controllate, nonché al socio selezionato ed alle società a partecipazione mista, pubblica e privata. Con il comma 2 si chiarisce che la generale disciplina degli ambiti, individuati a livello provinciale dall’art. 25 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito con legge 24 marzo 2012, n. 27, non si applica agli ambiti già determinati per le gare per la distribuzione del gas. Il comma 3 prescrive che per le gare per la distribuzione del gas resta fermo l’obbligo di assumere una quota parte del personale del distributore uscente, in deroga alla nuova normativa recata dall’art. 25 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito con legge 24 marzo 2012, n. 27. Al comma 4 si modificano la tempistica ed i criteri di aggiudicazione delle gare per le concessioni idroelettriche: si contempla la possibilità che la durata delle concessioni per grandi derivazioni idroelettriche salga dai 20 anni previsti dal testo originario a 30 anni, a seconda dell’entità degli investimenti ritenuti necessari. I commi 5 e 6 disciplinano il trasferimento del ramo d’azienda dal concessionario uscente al nuovo aggiudicatario per garantire la continuità gestionale della concessione: i rapporti giuridici contemplati sono decadenza, rinuncia o termine dell'utenza idroelettrica; il rientro degli investimenti effettuati, inoltre, avviene con riferimento al valore di mercato, per i beni materiali diversi da quelli pubblici identificati dall'articolo 25, comma 1, del Testo Unico e non ammortizzati alla scadenza della concessione. In relazione a tale nuova disciplina il comma 8 abroga i commi 489 e 490 dell’articolo 1 della legge 266/2005 (finanziaria 2006). Il comma 7 prevede un decreto ministeriale, d’intesa con la Conferenza permanente, per stabilire i criteri generali per la determinazione e l’aggiornamento da parte delle regioni di valori massimi dei canoni di concessione ad uso idroelettrico, secondo criteri di economicità e ragionevolezza: con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare sono fissate le modalità mediante le quali le regioni e le province autonome possono destinare una percentuale di valore non inferiore al 20 per cento del canone di concessione pattuito alla riduzione dei costi dell'energia elettrica a beneficio dei clienti finali.
Il comma 23, modificato dal Senato, introduce una nuova disposizione dopo il comma 1 dell'articolo 3-bis del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, e successive modificazioni.
In particolare la disposizione riserva esclusivamente agli enti di governo degli ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei, per tutti i servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica, compresi quelli del settore dei rifiuti urbani, le funzioni seguenti:
§ organizzazione del servizio;
§ scelta della forma di gestione;
§ affidamento della gestione;
§ controllo della gestione;
§ determinazione delle tariffe all'utenza.
Il comma 24, non modificato dal Senato, abroga l’articolo 53, comma 1, lettera b) del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, che aveva introdotto modifiche nell’art. 4 del D.L. 138/2011 che la richiamata sentenza 199/2012 ha dichiarato illegittimo.
Poiché, come sopra evidenziato, la declaratoria di illegittimità ha compreso le successive modifiche dell’art. 4, anche le disposizioni dell’art. 53 cui si riferisce il comma 25 devono ritenersi investite dalla pronuncia di illegittimità.
Alla luce dell’art. 136 Cost., secondo il quale la norma dichiarata incostituzionale “cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione” e dell’art. 30, terzo comma della L. 87/1953[269]., “le norme dichiarate incostituzionali non possono avere applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione”, la Corte costituzionale ha evidenziato l'efficacia retroattiva delle declaratorie d'illegittimità costituzionale, con il limite “nei rapporti ormai esauriti, la cui definizione - nel rispetto del principio di uguaglianza e di ragionevolezza - spetta solo al legislatore di determinare” (sent. 3/1996).
La sostanziale diversità delle situazioni, illegittimità e abrogazione, è stata già posta in luce dalla giurisprudenza della Corte in varie sentenze (nn. 1 del 1956, 43 del 1957, 4 del 1959, 11 e 12 del 1960, 1 del 1962, 77 del 1963 e 38 del 1965), che ha rilevato (sentenza n. 1 del 1956) che "i due istituti dell'abrogazione e della illegittimità costituzionale non sono identici fra loro, si muovono su piani diversi con effetti diversi e con competenze diverse". Principi questi, secondo la sent. n. 127 del 1966 “che hanno indotto questa Corte ad ammettere il controllo di costituzionalità anche rispetto a norma già abrogata, quando ne permanessero gli effetti nel vigore della nuova Costituzione. Da ciò e dal carattere sostanzialmente invalidante della dichiarazione di illegittimità deriva la conseguenza (pure accolta dalla dottrina quasi unanime) che la dichiarazione stessa produce conseguenze assimilabili a quelle dell'annullamento. Con incidenza quindi, in coerenza con gli effetti di tale istituto, anche sulle situazioni pregresse, verificatesi nello svolgimento del giudizio nel quale è consentito sollevare, in via incidentale, la questione di costituzionalità, salvo il limite invalicabile del giudicato, con le eccezioni espressamente prevedute dalla legge, e salvo altresì il limite derivante da situazioni giuridiche comunque divenute irrevocabili.”
Alla luce della giurisprudenza
costituzionale andrebbe verificato il presupposto dell’abrogazione prevista dal
comma 25, che riguarda disposizione modificativa di altra già dichiarata
incostituzionale .
La disciplina illustrata contenuta nei commi 20-25 dell’art. 34 è completata dal comma 3-bis dell’articolo 33 (v. supra), introdotto nel corso dell’esame presso il Senato, che estende alle società operanti nella gestione dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica la disciplina concernente l’emissione di obbligazioni e di titoli di debito da parte delle società di progetto di cui all’articolo 157 del decreto legislativo n. 163 del 2006[270].
Documenti all’esame delle
Istituzioni dell’UE
(a cura
dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)
Il 20 dicembre 2012 la Commissione europea ha presentato un pacchetto di misure che comprende due proposte di direttiva riguardanti rispettivamente gli appalti nei cosiddetti “settori speciali”, vale a dire acqua, energia, trasporti e servizi postali (COM(2011)895), e gli appalti nei “settori ordinari” (COM(2011)896), nonché una proposta di direttiva sull’aggiudicazione dei contratti di concessione (COM(2011)897).
Dal campo di applicazione delle proposte sono espressamente esclusi, tra gli altri, gli appalti e le concessioni aggiudicati da un’amministrazione aggiudicatrice ad un’altra persona giuridica qualora:
§
l’amministrazione aggiudicatrice eserciti
sulla persona giuridica in questione un controllo analogo a quello da essa
esercitato sui propri servizi;
§
almeno il 90% delle attività della persona giuridica
siano esercitate per l’amministrazione aggiudicatrice che la
controlla;
§
nella persona
giuridica controllata non vi è alcuna
partecipazione privata.
Si stabilisce altresì che un accordo concluso tra due o più amministrazioni aggiudicatrici non dovrà essere considerato un
appalto pubblico o una concessione nel caso in cui:
§
l’accordo in
questione stabilisca un'autentica
cooperazione tra le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti, che mira a
far sì che esse svolgano congiuntamente i loro compiti di servizio pubblico e
che implica diritti e obblighi reciproci delle parti;
§
l'accordo sia
retto esclusivamente da considerazioni
inerenti all'interesse pubblico;
§
le amministrazioni aggiudicatrici
partecipanti non svolgano sul mercato aperto più del 10% in termini di
fatturato delle attività pertinenti all'accordo;
§
l'accordo non comporti trasferimenti finanziari tra
le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti diversi da quelli
corrispondenti al rimborso dei costi effettivi dei lavori, dei servizi o delle
forniture;
§
nelle
amministrazioni aggiudicatrici non vi
sia alcuna partecipazione privata.
Al fine di favorire un accordo con il Parlamento europeo che consenta l’adozione delle due direttive in prima lettura, la Presidenza cipriota del Consiglio dell’UE ha predisposto, in vista dell’adozione dell’orientamento generale da parte del Consiglio competitività del 10 dicembre 2012, proposte di compromesso che prospettano una serie di modifiche ai testi iniziali della Commissione europea.
Per quanto riguarda gli appalti aggiudicati da un’amministrazione aggiudicatrice ad un’altra persona giuridica, il testo di compromesso propone che almeno l’80% (anziché il 90% come previsto dalla proposta iniziale) delle attività di tale organismo siano svolte nell’esecuzione di contratti che gli sono stati aggiudicati dall’amministrazione aggiudicatrice controllante o da altri organismi giuridici controllati dall’amministrazione aggiudicatrice in questione. Con riferimento alle concessioni, invece, si prospetta un abbassamento di tale soglia all’85%.
Sia per gli appalti che per le concessioni, al fine di calcolare la percentuale delle attività, si dovrà prendere in considerazione la media del fatturato complessivo dell’entità controllata in relazione ai servizi, alle forniture ed ai lavori per i tre anni precedenti l’aggiudicazione dell’appalto o della concessione in questione. Qualora a causa della data in cui l’organismo è stato creato o ha avviato la propria attività o a causa della riorganizzazione della sua attività, il fatturato riferito ai tre anni precedenti non sia disponibile o non sia più rilevante, sarà sufficiente dimostrare che il fatturato è credibile in particolare mediante progetti finanziari.
Inoltre, in relazione al controllo che un'amministrazione aggiudicatrice dovrà esercitare su una persona giuridica, analogamente a quello esercitato sui propri servizi, qualora essa eserciti un'influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni significative della persona giuridica controllata, il testo di compromesso propone di precisare che tale controllo potrà essere effettuato anche da un’altra entità a sua volta soggetta allo stesso tipo di controllo da parte dell’autorità aggiudicatrice.
Infine, i testi di compromesso propongono che un accordo concluso tra due o più amministrazioni aggiudicatrici non sia considerato un appalto pubblico o una concessione qualora, tra l’altro, le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti non svolgano più del 15% delle attività interessate dalla cooperazione sul mercato (anziché più del 10% - in termini di fatturato - delle attività pertinenti all'accordo, come previsto dalle proposte iniziali).
Il pacchetto è attualmente all’esame del Parlamento europeo e del
Consiglio secondo la procedura legislativa ordinaria. Il PE dovrebbe esaminarle
in prima lettura in occasione della plenaria di febbraio. Il Consiglio
competitività dovrebbe adottare un orientamento generale il 10 dicembre 2012.
Articolo 34,
comma 26
(Illuminazione votiva)
Il comma 26, introdotto dal Senato, interviene sulla normativa riguardante le procedure di affidamento in concessione del servizio di illuminazione votiva, al fine di aumentarne la concorrenza.
Vengono dunque sottratte le illuminazioni votive all’ambito di applicazione del decreto ministeriale 31 dicembre 1983, che individua le categorie dei servizi pubblici locali a domanda individuale, per ricondurre l’affidamento del servizio di illuminazione votiva da parte dei Comuni alle disposizioni del Codice dei contratti pubblici (decreto legislativo n. 163/2006), e in particolare all’art. 30 (riguardante la concessione di servizi) e, qualora ne ricorrano le condizioni, all’art. 125 (sui lavori, servizi e forniture in economia).
Si ricorda che l’art. 30 del Codice dei contratti pubblici sulle concessioni di servizi dispone che le norme del Codice non si applicano alle concessioni di servizi, salvo quanto previsto dallo stesso art. 30 che dispone che nella concessione di servizi la controprestazione a favore del concessionario consiste unicamente nel diritto di gestire funzionalmente e di sfruttare economicamente il servizio. Il soggetto concedente stabilisce in sede di gara anche un prezzo, qualora al concessionario venga imposto di praticare nei confronti degli utenti prezzi inferiori a quelli corrispondenti alla somma del costo del servizio e dell’ordinario utile di impresa, ovvero qualora sia necessario assicurare al concessionario il perseguimento dell’equilibrio economico - finanziario degli investimenti e della connessa gestione in relazione alla qualità del servizio da prestare. Inoltre, la scelta del concessionario deve avvenire nel rispetto dei principi desumibili dal Trattato e dei principi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, dei principi di trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento, proporzionalità, previa gara informale a cui sono invitati almeno cinque concorrenti, se sussistono in tale numero soggetti qualificati in relazione all’oggetto della concessione, e con predeterminazione dei criteri selettivi. Sono fatte salve discipline specifiche che prevedono forme più ampie di tutela della concorrenza e restano ferme, purché conformi ai principi dell’ordinamento comunitario, le discipline specifiche che prevedono, in luogo delle concessione di servizi a terzi, l’affidamento di servizi a soggetti che sono a loro volta amministrazioni aggiudicatrici. Si applicano, infine, alle concessioni le disposizioni della parte IV relativa al contenzioso e, in quanto compatibile, l’art. 143, comma 7, relativo al contenuto dell’offerta e del contratto relativi alle concessioni di lavori pubblici.
Per quanto riguarda l’art. 125, esso reca la disciplina dei lavori, servizi e forniture in economia, prevedendo che le acquisizioni in economia di beni, servizi, lavori, possono essere effettuate: a) mediante amministrazione diretta; b) mediante procedura di cottimo fiduciario. Nell’amministrazione diretta le acquisizioni sono effettuate con materiali e mezzi propri o appositamente acquistati o noleggiati e con personale proprio delle stazioni appaltanti, o eventualmente assunto per l’occasione, sotto la direzione del responsabile del procedimento. Il cottimo fiduciario è, invece, una procedura negoziata in cui le acquisizioni avvengono mediante affidamento a terzi. Per quanto riguarda le forniture e i servizi in economia, essi sono ammessi per importi inferiori a 130.000 euro per le amministrazioni aggiudicatrici di cui all’art. 28, comma 1, lett. a) - ossia le amministrazioni aggiudicatrici che sono autorità governative centrali - e per importi inferiori a 200.000 euro per tutte le altre stazioni appaltanti. L’acquisizione in economia di beni e servizi è ammessa in relazione all’oggetto e ai limiti di importo delle singole voci di spesa, preventivamente individuate con provvedimento di ciascuna stazione appaltante, con riguardo alle proprie specifiche esigenze. Vengono quindi indicati ulteriori casi in cui è consentito il ricorso all’acquisizione in economia. Per servizi o forniture di importo pari o superiore a 40.000 euro e fino alle soglie sopraindicate, l’affidamento mediante cottimo fiduciario avviene nel rispetto dei principi di trasparenza, rotazione, parità di trattamento, previa consultazione di almeno cinque operatori economici, se sussistono in tale numero soggetti idonei, individuati sulla base di indagini di mercato ovvero tramite elenchi di operatori economici predisposti dalla stazione appaltante. Per servizi o forniture inferiori a 40.000 euro è consentito l’affidamento diretto da parte del responsabile del procedimento. Vengono quindi indicati i requisiti richiesti per l’affidatario di lavori, servizi, forniture in economia e viene, da ultimo, disposto che nessuna prestazione di beni, servizi, lavori, ivi comprese le prestazioni di manutenzione, periodica o non periodica, che non ricade nell’ambito di applicazione dello stesso art. 125, può essere artificiosamente frazionata allo scopo di sottoporla alla disciplina delle acquisizioni in economia.
Articolo 34,
comma 27
(Servizi strumentali delle pubbliche
amministrazioni)
Il comma 27 dispone la soppressione della
condizione del valore economico complessivamente pari o inferiore a 200.000
euro annui stabilita per l’affidamento diretto da parte di pubbliche
amministrazioni dell’acquisizione di beni e servizi strumentali dall’art. 4 del
decreto-legge n. 95 del 2012, convertito con modificazioni, dalla legge 135 del
2012.
Il comma 27, inserito nel corso dell’esame presso il Senato, novella l’articolo 4, comma 8, del decreto-legge, n. 95[271], espungendo una condizione ivi prevista per l’affidamento diretto da parte di pubbliche amministrazioni dell’acquisizione di beni e servizi strumentali. La condizione soppressa riguarda il valore economico del servizio o dei beni oggetto dell’affidamento complessivamente pari o inferiore a 200.000 euro annui.
Il comma 7 del citato art. 4 ha previsto che le pubbliche amministrazioni acquisiscono sul mercato i beni e servizi strumentali alla propria attività mediante le procedure concorrenziali e ha ammesso l'acquisizione in via diretta di beni e servizi tramite convenzioni . Ai sensi del comma 8, a decorrere dal 1° gennaio 2014 l'affidamento diretto può avvenire solo a favore di società a capitale interamente pubblico, nel rispetto dei requisiti richiesti dalla normativa e dalla giurisprudenza comunitaria per la gestione in house e a condizione che il valore economico del servizio o dei beni oggetto dell'affidamento sia complessivamente pari o inferiore a 200.000 euro annui. Sono fatti salvi gli affidamenti in essere fino alla scadenza naturale e comunque fino al 31 dicembre 2014. Sono altresì fatte salve le acquisizioni in via diretta di beni e servizi il cui valore complessivo sia pari o inferiore a 200.000 euro in favore di associazioni di promozione sociale, enti di volontariato e organizzazioni non governative specificamente indicati.
La giurisprudenza del Consiglio di Stato (Consiglio di Stato, Sez. V, 12/6/2009 n. 3766) ha chiarito che possono definirsi strumentali tutti quei beni e servizi erogati da società a supporto di funzioni amministrative di natura pubblicistica di cui resta titolare l'ente pubblico di riferimento (nel caso di specie, la pronuncia del Consiglio faceva riferimento alle amministrazioni regionali e locali), e con i quali l'ente provvede al perseguimento dei suoi fini istituzionali.
Le società strumentali – afferma il Consiglio di Stato - sono, quindi, strutture costituite per svolgere attività strumentali rivolte essenzialmente alla pubblica amministrazione e non al pubblico, come invece quelle costituite per la gestione dei servizi pubblici locali che mirano a soddisfare direttamente ed in via immediata esigenze generali della collettività.
Per effetto del venir meno della condizione, a decorrere dal 1° gennaio 2014, l'affidamento diretto può avvenire a favore di società a capitale interamente pubblico, sulla base della sola condizione del rispetto dei requisiti richiesti dalla normativa comunitaria in materia di gestione in house .
Articolo 34,
comma 28
(Impianti geotermici)
Il comma 28, introdotto dal Senato, introduce una precisazione riguardante la potenza nominale installata negli impianti pilota all’interno del decreto legislativo di riassetto della normativa in materia di risorse geotermiche,
In particolare, integra l’articolo 1 del decreto legislativo 11 febbraio 2010, n. 22[272], inserendo, dopo il comma 3-bis, un nuovo comma secondo cui per gli impianti pilota che, per il migliore sfruttamento ai fini sperimentali del fluido geotermico, necessitano di una maggiore potenza nominale installata al fine di mantenere il fluido geotermico allo stato liquido, il limite di 5 MW verrà determinato in funzione dell’energia immessa nel sistema elettrico.
Si ricorda che il comma 3-bis dell’articolo 1 del D.Lgs. 22/2010, al fine di promuovere la ricerca e lo sviluppo di nuove centrali geotermoelettriche a ridotto impatto ambientale, qualifica “di interesse nazionale” i fluidi geotermici a media ed alta entalpia finalizzati alla sperimentazione, su tutto il territorio nazionale, di impianti pilota con reiniezione del fluido geotermico nelle stesse formazioni di provenienza, e comunque con emissioni nulle, con potenza nominale installata non superiore a 5 MW per ciascuna centrale, per un impegno complessivo autorizzabile non superiore ai 50 MW. Per ogni proponente non possono in ogni caso essere autorizzati più di tre impianti, ciascuno di potenza nominale non superiore a 5 MW.
In relazione alla formulazione del testo, si segnala che, in luogo del riferimento “di cui al comma 1” occorre sostituire “di cui al comma 3-bis”.
Articolo 34,
comma 29
(Tariffa del servizio idrico)
Il comma 29 sostituisce il comma 4 dell’art. 154 del dlgs 152/2006 relativo alla determinazione della tariffa base del servizio idrico integrato, al fine di aggiornare la disposizione al mutato quadro delle competenze delineatosi nel corso degli ultimi anni.
Il testo vigente del comma 4 fa infatti ancora riferimento all’Autorità d’ambito (AATO) di cui è prevista la soppressione a decorrere dal 1° gennaio 2013 (ai sensi del comma 186-bis dell’art. 2 della L. 191/2009, come prorogato, da ultimo, dall'art. 13, comma 2, del D.L. 216/2011) e non tiene conto delle nuove competenze attribuite, in materia di determinazione della tariffa, all’Autorità per l’energia elettrica e il gas (AEEG).
Si ricorda che l’art. 10, comma 14, del D.L. 70/2011 aveva attribuito all'Agenzia nazionale per la regolazione e la vigilanza in materia di acqua una serie di funzioni, tra cui quella (indicata alla lettera d) del medesimo comma) di predisporre “il metodo tariffario per la determinazione, con riguardo a ciascuna delle quote in cui tale corrispettivo si articola, della tariffa del servizio idrico integrato, sulla base della valutazione dei costi e dei benefici dell'utilizzo delle risorse idriche …”.
Successivamente il D.L. 201/2011 ha soppresso la citata Agenzia e trasferito le relative funzioni al Ministero dell'ambiente, fatta eccezione per le funzioni attinenti alla regolazione e al controllo dei servizi idrici che sono attribuite all'Autorità per l'energia elettrica e il gas.
Il seguente testo a fronte mostra quanto evidenziato:
Testo vigente |
Testo novellato |
L'Autorità
d'ambito, al fine della
predisposizione del Piano finanziario di cui all'articolo 149, comma 1,
lettera c), determina la tariffa di base, nell'osservanza delle disposizioni
contenute nel decreto di cui al comma 2, comunicandola all'Autorità di
vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti ed al Ministro dell'ambiente e
della tutela del territorio. |
Il soggetto competente, al fine della
redazione del Piano finanziario di cui all’articolo 149, comma 1, lettera d),
predispone la tariffa di base,
nell’osservanza del metodo tariffario
di cui all’articolo 10, comma 14, lettera d), del decreto legge 13 maggio
2011, n. 70, convertito con modificazioni in legge 12 luglio 2011 n. 106, e
la trasmette per l’approvazione all’Autorità per l’energia elettrica e il gas. |
Articolo 34,
comma 30
(Sanzioni in materia di
commercializzazione di sacchi per asporto merci nel rispetto dell’ambiente)
L'articolo 34, comma 30, dispone che a decorrere dal sessantesimo giorno dall’emanazione dei decreti non regolamentari di cui all’art. 2, comma 2, del D.L. 2/2012, si applichi la sanzione ai casi di commercializzazione dei sacchi per trasporto merci (cd. shoppers) non conformi alle prescrizioni ivi previste.
In particolare, l'articolo 34, comma 30[273], modifica il termine del 31 dicembre 2013 previsto all’art. 2, comma 4, del decreto-legge n. 2 del 2012 a decorrere dal quale è disposta l’applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria per la commercializzazione dei sacchi per trasporto merci (cd. shoppers) realizzati in modo non conforme alle prescrizioni del citato articolo 2.
Nel testo iniziale del presente decreto il termine di cui al comma 4 veniva anticipato di un anno, ovvero al 31 dicembre 2012.
Nel corso dell’esame al Senato il comma in esame è stato modificato al fine di considerare quale nuovo termine di decorrenza delle sanzioni il sessantesimo giorno dall’emanazione del decreto di natura non regolamentare di cui all’art. 2, comma 2, del D.L. 2/2012.
Si ricorda che l’art. 2 del decreto legge n. 2 del 2012 reca la proroga del termine relativo all’entrata in operatività del divieto definitivo di commercializzazione dei sacchi non biodegradabili per l’asporto merci. In particolare, il comma 1 dispone un’ulteriore proroga del termine previsto dall’art. 1, comma 1130, della L. 296/2006 e differito al 1° gennaio 2011 dall’art. 23, comma 21-novies, del D.L. 78/2009, relativo al divieto definitivo di commercializzazione dei sacchi monouso per l’asporto merci non biodegradabili che non rispondano ai criteri fissati dalla normativa comunitaria, fino all’emanazione (entro il 31 dicembre 2012) del decreto interministeriale di natura non regolamentare previsto al successivo comma 2 con cui potranno essere individuate le eventuali ulteriori caratteristiche tecniche dei sacchi che possono essere commercializzati. Il comma 1 precisa, inoltre, che la disposizione è limitata alla commercializzazione delle seguenti tipologie di sacchi: a) i sacchi monouso per l’asporto merci realizzati con polimeri conformi alla norma armonizzata UNI EN 13432:2002, secondo certificazioni rilasciate da organismi accreditati; b) i sacchi riutilizzabili realizzati con altri polimeri che abbiano maniglia esterna alla dimensione utile del sacco e spessore superiore a 200 micron se destinati all’uso alimentare e 100 micron se destinati ad altri usi; c) i sacchi riutilizzabili realizzati con altri polimeri che abbiano maniglia interna alla dimensione utile del sacco e spessore superiore ai 100 micron se destinati all’uso alimentare e 60 micron se destinati agli altri usi.
Il comma 4, oggetto della modifica in esame, introduce, un regime sanzionatorio nei confronti di coloro che violano il divieto di commercializzazione dei sacchi non conformi alle disposizioni dell’articolo, che sarebbe entrato in vigore a decorrere dal 31 dicembre 2013. Viene prevista l’irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria consistente nel pagamento di una somma che va da 2.500 euro a 25.000 euro, aumentabile fino al quadruplo del massimo edittale qualora la violazione del divieto riguardi quantità ingenti di sacchi per l’asporto o un valore della merce superiore al 20 per cento del fatturato del trasgressore.
Procedure di contenzioso
(a cura
dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)
Il 24 ottobre 2012 la Commissione europea ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora complementare con la quale estende l’oggetto della procedura d’infrazione 2011_4030 in materia di commercializzazione dei sacchetti di plastica contestando, in particolare:
§ la violazione del divieto per gli Stati membri di ostacolare l’immissione sul mercato di imballaggi conformi ai requisiti essenziali specificati nell’allegato II della direttiva, ovvero di condizionarne la commerciabilità alla conformità a norme armonizzate (come la norma UNI EN 13432:2002) o a requisiti determinati (ad esempio, lo spessore minimo o la presenza di una percentuale di plastica riciclata) (articolo 18, paragrafo 1, terzo comma della direttiva 94/62/CE sugli imballaggi).
La Commissione considera contrari all’articolo 18 della direttiva 94/62/CE sia il divieto di commercializzare sacchetti di plastica non biodegradabili imposto dalla legge 296/2006 (legge finanziaria 2007) - la cui decorrenza è stata successivamente modificata fino al 1° gennaio 2011 dal D.L. 78/2009 - sia la sospensione di tale divieto relativamente ad alcune categorie di sacchetti di plastica con determinate caratteristiche introdotta dall’articolo 2 del D.L. 2/2012, come recepito dalla legge 28/2012;
§ il permanere del mancato rispetto dell’obbligo di notifica preventiva di progetti di misure tecniche in relazione al sopra citato divieto di commercializzazione introdotto dalla legge 296/2006 (combinato disposto dall’articolo 16 della direttiva 94/62/CE e dall’articolo 8, paragrafo 1, primo e secondo comma della direttiva 98/34/CE, che disciplina le procedure d’informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche) già contestato nella lettera di messa in mora del 6 aprile 2011.
Nell’avviso
della Commissione, la contestazione discende dalla natura di tale divieto che,
da un lato, si configurerebbe come “regola tecnica” (di cui all’art. 1, co. 11
dir. 98/34/CE) e, dall’altro, come “norma” (di cui all’art. 16 dir. 94/62/CE)
rendendo così obbligatoria la notifica del provvedimento in forma di
progetto da parte dello Stato membro.
Nel rilevare la natura tecnica della disposizione introdotta dall’articolo 2, DL 2/2012 relativa all’introduzione di un contenuto minimo di plastica riciclata per i sacchi non conformi alla norma armonizzata UNI EN 13432:2002, la Commissione contesta anche la mancata notifica preventiva, sottolineando che si tratta di una disposizione che apporta modifiche importanti ad un progetto di norma già notificato dall’Italia e che, pertanto, rende necessaria una seconda notifica alla Commissione (articolo 8, paragrafo 1, terzo comma della direttiva 98/34/CE) prima della sua approvazione ed entrata in vigore.
Articolo 34,
commi 31-33
(Interventi per Pescara)
Il comma 31 dell’articolo 34 individua nel Provveditorato interregionale alle opere pubbliche per il Lazio, l'Abruzzo e la Sardegna l’amministrazione competente, in regime ordinario, per il coordinamento delle attività, al fine di consentire l’esecuzione di interventi indifferibili ed urgenti volti a rimuovere i rischi di esondazione del fiume Pescara e ristabilire le condizioni minime di agibilità e fruibilità del porto-canale di Pescara. Il comma 32 stanzia 3 milioni di euro per il 2013 per il pagamento degli indennizzi agli operatori della pesca del Porto canale di Pescara.
Il comma 33 stanzia 12 milioni di euro per il 2013 per il compimento delle attività di cui ai commi 31 e 32.
In particolare, il comma 31 individua nel Provveditorato interregionale alle opere pubbliche per il Lazio, l'Abruzzo e la Sardegna l’amministrazione competente, in regime ordinario, per il coordinamento delle attività di dragaggio, rimozione, trattamento e relativo conferimento in discarica di sedimenti.
La finalità della norma è quella di consentire l’esecuzione di interventi indifferibili ed urgenti volti a:
§ rimuovere i rischi di esondazione del fiume Pescara;
§ ristabilire le condizioni minime di agibilità e fruibilità del porto-canale di Pescara.
Il comma 32 provvede a stanziare 3 milioni di euro per il 2013 in favore della Regione Abruzzo, per il pagamento degli indennizzi agli operatori della pesca del Porto canale di Pescara.
Il comma 33 prevede lo stanziamento, per il compimento delle attività di cui ai commi precedenti, di 12 milioni di euro per il 2013, a valere sul fondo per interventi strutturali di politica economica di cui all'art. 10, comma 5, del D.L. 282/2004 (convertito dalla L. 307/2004). Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare con proprio decreto le occorrenti variazioni di bilancio.
In proposito si segnala che il Provveditorato interregionale alle opere pubbliche per il Lazio, l'Abruzzo e la Sardegna ha emanato, in data 3 ottobre 2012, un avviso di preinformazione[274] relativamente all’esecuzione “di interventi indifferibili ed urgenti volti a rimuovere i rischi di esondazione del fiume Pescara e a ristabilire le condizioni minime di agibilità e fruibilità del porto canale di Pescara consistenti nei lavori di dragaggio, rimozione, trattamento e relativo conferimento in discarica di circa 200.000 m.c. di sedimenti (CPV 45.240.000 – 90.510.000-5)” per un importo presunto di 13 milioni di euro.
Relativamente allo stanziamento di 3 milioni di euro recato dal comma 32 per il pagamento degli indennizzi agli operatori della pesca del Porto canale di Pescara, tale stanziamento sembra destinato ad indennizzare gli operatori per il fermo dell’attività di pesca causato dal mancato avvio delle attività di dragaggio di cui al comma 31.
Tale circostanza viene confermata dalla relazione tecnica, ove si legge che “il porto-canale di Pescara sta vivendo una difficile fase operativa dovuta all’insabbiamento dei fondali da cui derivano continui rischi per la sicurezza della navigazione. Affinché non venga pregiudicata detta sicurezza, la locale Capitaneria di porto sta disciplinando l’utilizzo dello scalo marittimo pescarese mediante disposizioni molto restrittive che, ovviamente, limitano le attività commerciali nel porto stesso, in particolare quelle della marineria peschereccia”. In particolare “l’arteria portuale, a seguito di significativi eventi atmosferici che interessano il bacino Aterno-Pescara, soffre di frequenti sclerosi che ne pregiudicano il funzionamento fino a causare patologie ischemiche negli assetti socio-economici connessi al porto […] l’oggettiva situazione emergenziale ha indotto il Governo ad attivare lo scorso anno lo strumento del Commissario delegato di protezione civile. Con l’ordinanza del 7 aprile 2011, n. 3932, il Presidente del Consiglio dei Ministri ha quindi delegato il Commissario già incaricato nel 2006 per fronteggiare la crisi di natura socio-economico-ambientale determinatasi nell’asta fluviale del bacino del fiume Aterno, a provvedere anche alla caratterizzazione dell’intera area della darsena portuale e del porto canale di Pescara e al completamento del dragaggio”.
Quanto alla competenza dello Stato ad intervenire sulla materia, la relazione ricorda che “l’amministrazione del porto di Pescara è riservata allo Stato, in quanto ritenuto di rilevanza economica internazionale e nazionale e, per questo, inserito nell’elenco di cui al D.P.C.M. 21 dicembre del 1995, nonché nella circolare della Direzione generale per i porti n. 4520 del 17 aprile 2008. […] In particolare la legge n. 84 del 1994 stabilisce, all’art. 5, che per i porti della categoria II, classi I e II, cioè di rilevanza economica nazionale e internazionale, gli oneri per i dragaggi spettino allo Stato … Il Codice della navigazione prevede inoltre che spetta, in termini generali, al comandante del porto assicurare la navigabilità del porto e l’accesso a questo. Ne consegue che deve, da parte del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, essere garantita in via permanente la fruibilità, in sicurezza, dello scalo portuale pescarese”.
Articolo 34,
comma 34
(Introiti derivanti dalla vendita dei
biglietti d’ingresso
ad alcuni luoghi della cultura)
Il comma 34 dispone, dal 2013, il
versamento all’entrata del bilancio dello Stato, per la riassegnazione al
Mibac, degli introiti derivanti
dalla vendita dei biglietti relativi ad alcuni luoghi della cultura.
In particolare,
dispone che gli introiti derivanti
dalla vendita dei biglietti
d’ingresso al sistema museale dedicato a
Giuseppe Garibaldi, sito nell’isola di Caprera
– comprendente il Museo del compendio garibaldino e il memoriale custodito
nell’ex forte Arbuticci –, nonché quelli derivanti dalla vendita dei biglietti degli ascensori
esterni panoramici del Monumento a Vittorio Emanuele II in Roma, a decorrere dall’anno 2013 sono
versati all’entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnati allo stato
di previsione del Ministero per i beni e le attività culturali: lo scopo è
quello di assicurare la gestione, la manutenzione e il restauro conservativo
del sistema museale e del monumento indicati, per la migliore valorizzazione e
fruizione degli stessi.
Si tratta,
sostanzialmente, di una deroga alle limitazioni alla riassegnazione delle somme
derivanti dagli ingressi nella generalità dei luoghi della cultura – regolata, in primis, dall’art. 110 del Codice dei
beni culturali e del paesaggio (D.lgs. 42/2004) - , recate dall’art. 2,
co. 615-617, della L. finanziaria 2008 (v. infra).
L’art. 110
del D.lgs. 42/2004 prevede – nei
casi di gestione diretta[275] delle attività
di valorizzazione dei beni culturali di appartenenza pubblica – che tali somme
sono versate alla sezione di tesoreria provinciale dello Stato[276] [277]. Il Ministro dell'economia e delle finanze
riassegna le somme incassate alle competenti unità previsionali di base
dello stato di previsione della spesa del
MIBAC, secondo i criteri e nella misura fissati dal Ministero medesimo. Le
somme sono destinate alla realizzazione di interventi per la sicurezza e la
conservazione dei luoghi medesimi, nonché all’espropriazione e all’acquisto di
beni culturali, anche mediante esercizio della prelazione.
In materia, inoltre, l’art.
2 del D.M. 11 dicembre 1997, n. 507
- come modificato dal DM 28 settembre 2005, n. 222, emanato successivamente
all’entrata in vigore del Codice - dispone, fra l’altro, che il direttore
regionale per i beni culturali e paesaggistici può affidare in concessione,
mediante convenzioni con soggetti pubblici o privati, i servizi di
biglietteria. Le convenzioni stabiliscono il versamento da parte del concessionario – entro un termine comunque
non superiore a 30 giorni – di una parte
degli incassi ricavati dalla vendita dei biglietti non inferiore al 70 per
cento degli incassi medesimi. Il compenso spettante al concessionario non può essere
superiore al 30 per cento degli incassi ed è definito mediante parametri che
tengono conto dell’ammontare complessivo degli incassi dell’anno precedente,
dei costi di gestione dei servizi e degli interventi proposti dal
concessionario per il miglioramento dei servizi medesimi e per l’attivazione o
l’implementazione di strumenti informatici e telematici.
Successivamente, peraltro, l'art. 2, co. 615-617, della L. n. 244 del 2007 (L. finanziaria
2008) ha disposto, a decorrere dal 2008, il divieto di riassegnazione delle
somme versate all’entrata del bilancio dello Stato ai sensi, tra gli altri[278], dell’art. 110 del D.lgs. 42/2004.
In relazione a ciò, è stata prevista l’istituzione,
nello stato di previsione di ciascun ministero interessato al divieto, di
appositi Fondi da ripartire, la cui dotazione è stata determinata nella misura del 50% dei versamenti riassegnabili nel 2006 ai pertinenti capitoli
dell’entrata del bilancio dello Stato. E’ stato, altresì, previsto che tale dotazione
è rideterminata annualmente, in base
all’andamento dei versamenti riassegnabili effettuati entro il 31 dicembre dei
due esercizi precedenti, in modo da assicurare in ciascun anno un risparmio in termini di indebitamento
netto pari a 300 milioni di euro[279].
L’utilizzazione dei fondi è effettuata dal Ministro competente, di concerto con
il Ministro dell’economia e finanze, in considerazione dell’andamento delle
entrate versate.
Alla copertura
delle minori entrate derivanti dalla previsione introdotta per i due luoghi
della cultura indicati, per un onere pari a 1.770.000 euro annui a decorrere dal 2013, si provvede ai sensi
dell’articolo 38.
Al riguardo, si evidenzia, preliminarmente, che il comma 3 dell’art. 38
quantifica complessivamente gli oneri recati da varie disposizioni – fra le
quali l’art. 34, co. 20 – individuando varie tipologie di copertura (si veda, infra, scheda apposita).
Si evidenzia, altresì, che
la relazione tecnica all’A.S. 3533
chiariva che l’onere corrisponde ad una stima dei proventi annui – da riassegnare interamente al MIBAC
– calcolata considerando l’ammontare degli introiti incassati nell’ultimo
triennio.
Sembrerebbe peraltro ferma la previsione
recata dal testo vigente del DM 507/1997, relativa alla percentuale del compenso riservata all’eventuale concessionario dei servizi di
biglietteria.
Sul punto, si valuti, comunque,
l’opportunità di un chiarimento.
Dal punto di vista della formulazione del testo,
sembrerebbe opportuno esplicitare che il riferimento è al comma 3 dell’art. 38.
Il Compendio Garibaldino è luogo della cultura statale[280] ed è gestito dalla Soprintendenza per i Beni Storici Artistici ed
Etnoantropologici della Sardegna[281].
Esso è stato aperto al pubblico nel 1976 ed è costituito da una vasta
area che racchiude l’insieme degli edifici e dei cimeli appartenuti a Giuseppe
Garibaldi, che qui trascorse gli ultimi 25 anni della sua vita, o acquisiti
dopo la morte.
In base ai dati relativi al 2011, elaborati dall’ufficio di statistica
del Mibac, i visitatori del Compendio sono stati 109.116[282], determinando introiti lordi[283] pari ad euro 275.632,50[284].
Il memoriale di Garibaldi, allestito
nell'ex Forte Arbuticci, è stato inaugurato il 3 luglio 2012, a conclusione
delle celebrazioni per i 150 anni dell'Unità d'Italia e in coincidenza con il
205° anniversario della sua nascita, avvenuta a Nizza il 4 luglio 1807.
L’iniziativa - promossa dal Comitato per le celebrazioni dei 150 anni
dell’unità d’Italia e la cui realizzazione è stata gestita dall'Unità Tecnica
di Missione per i 150 Anni dell'unità d'Italia della Presidenza del Consiglio
dei Ministri nell'ambito del Progetto "I luoghi della Memoria" - ha permesso di inglobare in un unico organico contesto anche il Museo
della Casa di Garibaldi: essa
è stata sostenuta dallo Stato e, con un contributo pari a oltre il 30%
dell’intervento, dalle Fondazioni bancarie[285].
Il memoriale è stato aperto al pubblico, con accesso gratuito, dal 15
luglio al 4 novembre 2012[286]. L’apertura con accesso gratuito è stata, da ultimo, prorogata al 31
dicembre 2012, data la notevole affluenza di pubblico[287].
Il monumento nazionale a Vittorio Emanuele II,
il primo re d'Italia, venne inaugurato da Vittorio Emanuele III il 4 giugno
1911. Fu il momento culminante dell'Esposizione Internazionale che celebrava i
cinquanta anni dell'Italia unita[288]. Dal 2007 è possibile salire alla “Terrazza delle
Quadrighe usufruendo di due ascensori panoramici, previo acquisto del biglietto di ingresso[289]. La gestione degli spazi espositivi e dei servizi aggiuntivi del
complesso monumentale è affidata a una società[290].
Articolo 34,
comma 35
(Spese per la pubblicazione dei bandi)
Il comma 35 dell’articolo 34, introdotto nel corso dell’esame al Senato, pone a carico dell’aggiudicatario dei contratti pubblici le spese per la pubblicazione dei bandi e degli avvisi sui quotidiani.
Le disposizioni del comma in esame prevedono che, per i bandi e gli avvisi delle stazioni appaltanti pubblicati successivamente al 1° gennaio 2013, le spese per la pubblicazione di cui al secondo periodo del comma 7 dell'art. 66 e al secondo periodo del comma 5 dell'art. 122 del D.lgs. n. 163 del 2006 (Codice dei contratti pubblici) siano rimborsate dall'aggiudicatario alla stazione appaltante entro sessanta giorni dall'aggiudicazione.
Si ricorda che le disposizioni recate dal secondo periodo del comma 7 dell’art. 66 del Codice dei contratti pubblici, dispongono che gli avvisi e i bandi devono essere pubblicati dalle stazioni appaltanti (oltre che sulla G.U. serie speciale relativa ai contratti pubblici, sul «profilo di committente» della stazione appaltante, sul sito informatico del MIT e sul sito informatico presso l’Osservatorio) anche per estratto su almeno due dei principali quotidiani a diffusione nazionale e su almeno due a maggiore diffusione locale nel luogo ove si eseguono i contratti. Il secondo periodo del comma 5 dell'art. 122 prevede che gli avvisi ed i bandi relativi ai contratti di lavori pubblici sotto soglia di importo pari o superiore a cinquecentomila euro siano pubblicati, (oltre che sulla G.U. serie speciale relativa ai contratti pubblici, sul «profilo di committente» della stazione appaltante, sul sito informatico del MIT e sul sito informatico presso l’Osservatorio) per estratto, a scelta della stazione appaltante, su almeno uno dei principali quotidiani a diffusione nazionale e su almeno uno dei quotidiani a maggiore diffusione locale nel luogo ove si eseguono i lavori.
Articolo 34,
commi 36 e 37
(Riduzione di somme da recuperare al bilancio
dello Stato)
L'articolo
34, ai commi 36 e 37 - già
contenuti nel testo originario del provvedimento -
prevede una riduzione di 120 milioni di euro per l’anno 2012 delle somme da
recuperare al bilancio dello Stato ai sensi dell'articolo 13, comma 17, del
decreto-legge c.d. "salva Italia" n. 201 del 2011[291]; a tal
fine restano acquisite al bilancio dello Stato una serie di somme - individuate
nell'allegato 1 al testo in esame - versate e non riassegnate.
Il comma 36 dell’articolo 34 prevede che restino acquisite all’entrata del bilancio dello Stato le somme versate entro il 9 ottobre 2012 ai sensi delle norme indicate nell’allegato 1, le quali - alla data di entrata in vigore del presente decreto legge (20 ottobre 2012) - non sono state riassegnate alle pertinenti unità previsionali.
Le disposizioni individuate dall'allegato 1 sono le seguenti:
§ articolo 1, comma 851, della legge n. 296/2009[292]
Il comma 851 prevede che le somme derivanti dal pagamento dei diritti su titoli di proprietà industriale, di cui al medesimo comma, siano versate all'entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnate, per la parte eccedente l'importo di 25 milioni di euro per l'anno 2012 e di 50 milioni di euro a decorrere dal 2013, allo stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico, anche al fine di potenziare le attività del medesimo Ministero di promozione, di regolazione e di tutela del sistema produttivo nazionale, di permettere alle piccole e medie imprese la piena partecipazione al sistema di proprietà industriale, di rafforzare il brevetto italiano, anche con l'introduzione della ricerca di anteriorità per le domande di brevetto per invenzione industriale;
§ articolo 148, comma 1, della legge n. 388/2000[293]
La norma destina le entrate derivanti dalle sanzioni amministrative irrogate dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato ad iniziative a vantaggio dei consumatori;
§ articolo 10, comma 1, lettera c), D.P.R. n. 634/1994[294].
Il citato comma prevede che la concessione dell’utenza del servizio di informatica del centro di elaborazione dati della Direzione generale della motorizzazione civile è concessa dietro il pagamento di una serie di oneri, tra i quali, il pagamento di corrispettivi, da addebitarsi a consuntivo, per le informazioni ricevute nel trimestre precedente in base alle tariffe unitarie in vigore o in base al costo stabilito per la fornitura di informazioni con particolari stati di aggregazione.
La disposizione del comma in esame, determina, secondo quanto indicato dalla Relazione tecnica, un recupero di risorse pari a 121,7 milioni di euro nel 2012.
Tali risorse costituiscono la copertura finanziaria degli oneri recati dalle misure di cui al successivo comma 37 dell’articolo 34 in esame – già presente nel testo originario del provvedimento – che dispone la riduzione di 120 milioni di euro, per l’anno 2012, del recupero al bilancio statale del maggior gettito derivante dalla nuova disciplina dell’IMU, di cui all'articolo 13, comma 17, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, a valere sulle risorse dei comuni.
Si ricorda che il comma 17 dell’articolo 13 citato prevede in sostanza che il maggior gettito dell'imposta municipale propria comunale è acquisito al bilancio dello Stato attraverso la corrispondente riduzione del fondo sperimentale di riequilibrio dei comuni delle regioni a statuto ordinario – ovvero, per i comuni delle Regioni Siciliana e della Sardegna attraverso una riduzione dei trasferimenti erariali, nonché, per i comuni delle restanti autonomie speciali, con la procedura prevista dall’articolo 27 della legge n. 42/2009[295] (fino al perfezionamento della stessa, si provvede con accantonamenti a valere sulle quote di compartecipazione a tributi erariali delle Autonomie nei cui territori ricadono i comuni in questione).
L'importo complessivo del recupero di cui al comma 17 è pari per l'anno 2012 a 1.627,4 milioni di euro, per l'anno 2013 a 1.762,4 milioni e per l'anno 2014 a 2.162 milioni di euro.
Articolo 34,
comma 38
(Definizione di società quotate partecipate da P.A.)
Il comma 38, introdotto nel corso dell’esame al Senato, prevede che – ai fini della corretta applicazione delle disposizioni in materia di contenimento della spesa pubblica riguardanti le società partecipate dalle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, della legge n. 196/2009 - si intendono per società quotate le società emittenti strumenti finanziari quotati in mercati regolamentati.
L’articolo 1, comma 2, della legge di
contabilità e finanza pubblica (legge n.
196/2009) – come sostituito dall'articolo 5, comma 7, del D.L. n. 16/2012
(legge n. 4/2012)[296]– dispone che ai
fini della applicazione delle disposizioni in materia di finanza pubblica, per amministrazioni pubbliche si intendono, a decorrere dall'anno 2012:
§ gli enti e i
soggetti appartenenti al conto economico consolidato della
pubblica amministrazione, indicati a fini statistici dall’ISTAT nell'elenco
oggetto del comunicato del 30 settembre 2011 e successivi aggiornamenti,
effettuati annualmente dal medesimo Istituto.
Le
amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato sono state
individuate da ultimo, nel Comunicato 28 settembre 2012. Nell’elenco, sono
compresi, tra gli altri, gli Organi costituzionali e di rilievo costituzionale,
la Presidenza del Consiglio dei Ministri e i Ministeri, le Agenzie, gli enti di
regolazione dell'attività economica, le Autorità amministrative indipendenti,
le Amministrazioni locali (Regioni e province autonome, Province, Comuni,
Comunità montane, Unioni di comuni), gli enti previdenziali e numerosi altri
organismi, anche con veste giuridica privata, sulla base delle definizioni di
cui ai citati regolamenti dell'Unione europea (SEC95).
§ le Autorità
indipendenti e, comunque, le amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto
legislativo 30 marzo 2001, n. 165[297], e ss.
modificazioni.
Con riferimento
alle società pubbliche, si ricorda che - sulla base degli interventi
legislativi più recenti - si è assistito ad una sempre maggiore sottoposizione di tali società a specifiche misure di contenimento
della spesa, attraverso la previsione di
norme specificamente rivolte ad esse, nella misura in cui esse possono
configurarsi come soggetto, formalmente privato, ma “sostanzialmente” pubblico,
in quanto interamente partecipato o controllato dalla pubblica amministrazione
o in quanto ente per l’esercizio di funzioni pubblicistiche sotto forma
privatistica, e dunque, nella gran parte dei casi, tali norme hanno escluso dal
loro ambito di applicazione le “società quotate”.
Ai sensi di
legge (articolo 1, comma 1, lettera w) del
Testo Unico Finanziario, di cui al D.Lgs. n. 58 del 1998) sono "emittenti
quotati" i soggetti - italiani o esteri - che emettono strumenti
finanziari quotati nei mercati regolamentati italiani. La quotazione sui
mercati regolamentati assolve precipuamente a finalità di reperimento di
risorse; essa tuttavia comporta la possibile diffusione presso il pubblico di
strumenti finanziari rappresentativi del capitale sociale e, dunque, della
proprietà dell’emittente.
Si ricorda, ad
esempio, le disposizioni di contenimento contenute negli articoli 3, commi da
12 a 18 della legge n. 244/2007, in materia di composizione degli organi
sociali e remunerazione di deleghe operative, e l’articolo 3, commi da 27 a 31
e 44 della medesima legge, in materia di limiti alla costituzione e al
mantenimento di partecipazioni societarie da parte di amministrazioni pubbliche
e di tetti retributivi.
Si ricorda, inoltre, recentemente, la normativa,
parzialmente implicitamente modificativa di quella sopra citata, contenuta
nell’articolo 23-bis del D.L. n.
201/2011(legge n. 214/2011) in materia di compensi per gli amministratori e per
i dipendenti delle società controllate dalle pubbliche amministrazioni, e
nell’articolo 4 del D.L. n. 95/2012 (legge 135/2012) che reca disposizioni
varie in materia di messa in liquidazione o alienazione di società pubbliche
strumentali (commi 1-3, 3-sexies, 4 e
5) e di contenimento della spesa di personale delle società pubbliche
(commi 9-13).
Tutte le norme citate escludono dal loro ambito
soggettivo di applicazione le società quotate, utilizzando solo in alcuni
sporadici casi una locuzione più precisa volta ad escludere le società
emittenti strumenti finanziari quotati nei mercati regolamentati (vedasi il
solo comma 32-ter dell’articolo 3
della legge n. 244/2007).
Con riferimento alla formulazione del comma - volto a definire le
società quotate ai fini della corretta applicazione delle disposizioni in
materia di contenimento della spesa pubblica riguardanti le società partecipate
dalle amministrazioni pubbliche - non ne risulta chiara la portata applicativa,
ed in particolare, andrebbe chiarito se il comma fa a tutte le disposizioni di
contenimento della spesa attualmente vigenti per le società pubbliche non
quotate, al fine di definirne, “a contrario”, l’abito applicativo riferimento –
come sembrerebbe presumibile - ovvero se esso intenda estendere le disposizioni
di contenimento anche alle società quotate, come nel medesimo comma 36-ter
definite.
Articolo 34,
comma 39
(Modifiche D.L. liberalizzazioni)
Il comma 39, introdotto dal Senato, abroga il comma 6 dell’art. 21 del D.L:.
1/2012 (cd. decreto liberalizzazioni) secondo il quale l’Autorità per l'energia
elettrica e il gas determina la remunerazione relativa alla cessione da parte
dei concessionari di reti elettriche di rami d'azienda ovvero di quote di
flussi di cassa derivanti dai ricavi tariffari regolati.
Viene abrogato il comma 6 dell'articolo 21, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1[298], in cui, al fine di facilitare ed accelerare la realizzazione delle infrastrutture di rete di interesse nazionale, si attribuisce all'Autorità per l'energia elettrica e il gas il compito di definire la remunerazione relativa a specifici asset regolati, entro 90 giorni dal ricevimento della richiesta motivata da parte dei Concessionari.
L’AEEG, nella memoria del 2 febbraio 2012 per l’audizione presso la Commissione industria del Senato per la conversione del cd. decreto Liberalizzazioni, aveva espresso alcune perplessità su tale comma 6. Il caso della cessione di rami di azienda appare in contrasto con il disegno di governance del gestore delle rete di trasmissione nazionale prescelto con il D.Lgs. 93/2011[299], di recepimento del c.d. “terzo pacchetto energia” della UE, che individua appunto un unico gestore di sistemi di trasmissione in condizione di separazione proprietaria; tale assetto rende necessario che il gestore sia anche proprietario delle reti gestite. Lo stesso decreto legislativo n. 93/11, al fine di favorire la gestione unificata della rete di trasmissione nazionale, ha dato mandato all'Autorità, affinché individui strumenti che favoriscano la completa unificazione della proprietà delle porzioni di rete, attualmente di proprietà di soggetti terzi. Anche la seconda ipotesi, ossia la cessione di flussi di cassa, presenta profili di criticità in quanto vincola l’azione futura del regolatore.
La regolazione tariffaria delle attività regolate - di competenza dell’AEEG - tra cui si colloca la trasmissione di energia elettrica sulla rete nazionale, si basa su remunerazioni per l’erogazione di servizi e non su remunerazioni specifiche di singoli asset, quali possono essere dei tratti di rete.
Articolo 34,
comma 40
(installazione sistemi ABS)
Il comma 40 dell’articolo 34, introdotto al Senato, introduce l’obbligo, per tutti i veicoli a due o tre ruote di nuova immatricolazione e aventi cilindrata superiore a 125 c.c., di avere la possibilità, come dotazione opzionale a disposizione dell’acquirente, dei sistemi di sicurezza e di frenata avanzati (ABS).
Occorre osservare che la formulazione della disposizione non chiarisce
a partire da quale momento i motoveicoli dovranno essere prodotti con tali
caratteristiche e questo potrebbe creare difficoltà applicative in quanto, al
momento dell’entrata in vigore della norma in commento, dall’entrata in vigore
quindi della legge di conversione del presente decreto, saranno immatricolati
motoveicoli che sono stati prodotti in precedenza e per i quali potrebbe non
essere disponibile la dotazione opzionale ABS o similare.
La disposizione sembra interessare alcune delle tipologie di motoveicoli definite nell’art. 53 del Codice della Strada. Si tratterebbe dei seguenti veicoli:
a) motocicli: veicoli a due ruote destinati al trasporto di persone, in numero non superiore a due compreso il conducente;
b) motocarrozzette: veicoli a tre ruote destinati al trasporto di persone, capaci di contenere al massimo quattro posti compreso quello del conducente ed equipaggiati di idonea carrozzeria;
c) motoveicoli per trasporto promiscuo: veicoli a tre ruote destinati al trasporto di persone e cose, capaci di contenere al massimo quattro posti compreso quello del conducente;
d) motocarri: veicoli a tre ruote destinati al trasporto di cose;
e) mototrattori: motoveicoli a tre ruote destinati al traino di semirimorchi;
f) motoveicoli per trasporti specifici: veicoli a tre ruote destinati al trasporto di determinate cose o di persone in particolari condizioni e caratterizzati dall'essere muniti permanentemente di speciali attrezzature relative a tale scopo;
g) motoveicoli per uso speciale: veicoli a tre ruote caratterizzati da particolari attrezzature installate permanentemente sugli stessi.
Sono, altresì, considerati motoveicoli i motoarticolati: complessi di veicoli, costituiti da un mototrattore e da un semirimorchio, destinati al trasporto di cui alle lettere d), f) e g).
Restano esclusi dall’applicazione della norma i motoveicoli aventi quattro ruote, cioè i quadricicli a motore (c.d. minicar) nonché i ciclomotori in quanto si tratta di veicoli a motore a due o tre ruote con motore di cilindrata non superiore a 50 cc. .
Si ricorda che l’omologazione dei veicoli a due e tre ruote è regolata a livello comunitario; in particolare, la direttiva n. 2002/24/CEE[300], recepita con D.M. 31/1/2003, e successive modificazioni, prevede espressamente, all’art. 15, che gli Stati membri non possano vietare l'immissione sul mercato, la vendita, la messa in circolazione e l'uso di veicoli nuovi che siano conformi alla direttiva stessa. La procedura comunitaria di omologazione consente infatti a ciascuno Stato membro di constatare che ogni tipo di veicolo è stato sottoposto alle verifiche prescritte dalle direttive particolari ed indicate su un certificato di omologazione. Essa del pari consente ai costruttori di redigere un certificato di conformità per tutti i veicoli conformi al tipo omologato. Quando un veicolo è accompagnato da detto certificato esso potrà essere immesso sul mercato, venduto e immatricolato per essere utilizzato in tutto il territorio comunitario.
Andrebbe pertanto valutata la coerenza della
disposizione in commento con la disciplina dell’Unione europea in materia di
omologazione dei veicoli (al riguardo cfr. anche, però, la proposta di
regolamento in corso di esame da parte delle istituzioni dell’Unione europea
richiamata nella sezione “Documenti all’esame dell’Unione europea”)
Si ricorda inoltre che, in base all’art. 71, co. 1 dello stesso Codice, le caratteristiche generali costruttive e funzionali dei veicoli a motore e loro rimorchi che interessano sia i vari aspetti della sicurezza della circolazione sia la protezione dell'ambiente da ogni tipo di inquinamento, compresi i sistemi di frenatura, sono soggette ad accertamento e sono indicate nel regolamento di attuazione del Codice della strada (D.P.R. n. 495/1992).
Occorre inoltre rilevare inoltre che il fatto che la norma preveda tra
le dotazioni opzionali da offrire obbligatoriamente genericamente “sistemi di
sicurezza e di frenata avanzati”, citando poi espressamente il solo sistema
ABS, potrebbe interpretarsi come riferibile alternativamente o ai soli sistemi
di frenata denominati ABS, ovvero anche ad altri non meglio specificati
“sistemi di sicurezza avanzati”.
Si ricorda che il sistema ABS (Anti Brake-locking System) è un dispositivo che, in frenata, impedisce il bloccaggio di una ruota mentre le altre ancora girano, aumentando pertanto il livello di sicurezza della frenata. Esistono altri sistemi di sicurezza c.d. “attiva”, il cui livello di diffusione è al momento inferiore rispetto all’ABS, ad esempio i sistemi di comunicazione e di allarme per pericoli od ostacoli, i sistemi per la rilevazione delle condizioni del conducente o per la correzione automatica di errori di guida nonché i sistemi di rilevazione automatica delle condizioni psico-fisiche dei conducenti.
Dal punto di vista della redazione del testo il comma 38 dell’art. 34
non è formulato come novella al Capo III, Sezione I, del Codice della strada,
recante “Norme costruttive e di equipaggiamento e accertamenti tecnici per la
circolazione”.
Documenti all’esame delle
Istituzioni dell’UE
(a cura dell’Ufficio
rapporti con l’Unione Europea)
In seguito ad un accordo con
il Consiglio, il 20 novembre 2012 il Parlamento europeo ha approvato in via
definitiva la proposta di
regolamento relativo all'omologazione
dei veicoli a motore a due o tre ruote e dei quadricicli (COM(2010)542). Le
nuove norme stabiliscono requisiti più rigorosi in termini di sicurezza tra cui
l’installazione dei sistemi
antibloccaggio delle ruote (ABS) per i motocicli
a due ruote (sottocategoria L3e).
Per i veicoli nuovi immessi sul mercato, tale installazione sarà obbligatoria a
partire dal 1° gennaio 2016, mentre
per i veicoli esistenti dal 1° gennaio
2017.
Il nuovo regolamento dovrà essere
approvato formalmente anche dal Consiglio. In esito all’esame della proposta ai
sensi dell’articolo 127 del Regolamento della Camera, il 31 maggio 2011 la
Commissione trasporti aveva approvato un documento finale successivamente
trasmesso alle istituzioni dell’UE.
Articolo 34,
comma 41
(Sconti sulla merce venduta dagli
edicolanti)
Il comma 41, introdotto durante l’esame al Senato, innova parzialmente la disposizione attualmente in vigore in materia di facoltà, da parte degli edicolanti, di praticare sconti “sulla merce venduta”, a tal fine sostituendo la lett. d-ter) del co. 1 dell’art. 5 del D.Lgs. 170/2001.
Al riguardo, si ricorda che la disciplina delle
modalità e condizioni di vendita della stampa quotidiana e periodica è recata
principalmente dal D.lgs. n. 170 del 2001 che all’art. 1 ha disposto che,
su tutto il territorio nazionale, il sistema di vendita è articolato in punti vendita esclusivi (esercizi tenuti alla vendita generale di
quotidiani e periodici) e non esclusivi
(esercizi che, in aggiunta ad altre merci, sono autorizzati alla vendita di
quotidiani o periodici)[301] e ha previsto
per essi l’obbligo di assicurare il principio della parità di trattamento delle
diverse testate che, per i punti vendita non esclusivi riguarda l’ambito della
tipologia di quotidiani e periodici dagli stessi scelta per la vendita (art. 4)[302].
Nello specifico, il comma in esame dispone due modifiche alla lett. d-ter) del co. 1 dell’art. 5 del D.Lgs. n. 170/2001:
§ in base alla prima, la possibilità, per gli edicolanti, di praticare sconti sulla “merce venduta” è finalizzata a defalcare il valore del materiale fornito in conto vendita e successivamente restituito, a compensazione delle successive anticipazioni al distributore.
A legislazione vigente, la suddetta facoltà di praticare sconti sulla “merce venduta” si affianca a quella di defalcare il valore del materiale fornito in conto vendita e restituito, a compensazione delle successive anticipazioni al distributore;
§
in base alla seconda, la restituzione del
materiale fornito in conto vendita deve essere effettuata nel rispetto del periodo di permanenza in
vendita stabilito dall’editore.
Al riguardo, si ricorda che, in base a quanto
stabilito dall’art. 13 dell’Accordo Nazionale sulla vendita dei
giornali quotidiani e periodici[303], in nessun caso il rivenditore può
effettuare la resa prima del termine di permanenza del prodotto editoriale.
Tale possibilità è prevista solo in caso di richiamo in resa anticipata da
parte del distributore o dietro richiesta dell’editore.
La permanenza dei prodotti nei punti vendita è
disciplinata, con riferimento alle diverse ipotesi, nell’art. 13 dell’Accordo.
Sulla base della seconda modifica, che fa
riferimento al periodo di permanenza in vendita “stabilito dall’editore” sembrerebbe derivare che per “merce
venduta” si debbano intendere i soli prodotti editoriali (laddove,
peraltro, si ricorda che la lett. d-bis)
del co. 1 dell’art. 5 del d.lgs. 170/2001, introdotta dall’art. 39, co. 1, del
D.L. 1/2012, ha disposto che gli edicolanti possono vendere presso la propria
sede qualunque altro prodotto secondo la vigente normativa).
Al riguardo, si ricorda, che, nel parere reso il 14
marzo 2012 in ordine al D.L. 1/2012, la VII Commissione della Camera[304] aveva osservato
che occorreva valutare l’opportunità di specificare se per “merce venduta” si intendevano solo i prodotti diversi dalla stampa
quotidiana e periodica, che l’edicolante può vendere, ovvero anche la stampa
quotidiana e periodica, rilevando che, in tale seconda ipotesi, era necessario
coordinare la disposizione con l’art. 5, co. 1, lett. a), del d.lgs. 170/2001, in base al quale il prezzo stabilito dal
produttore non può subire variazioni.
Per completezza si ricorda, peraltro, che la
determinazione del prezzo di vendita dei
libri - che, ovviamente, si qualificano quali prodotti editoriali e possono
essere venduti anche presso le edicole -
è ora disciplinata dalla L. 27 luglio 2011, n. 128, che si applica dal 1°
settembre 2011. In particolare, la legge ha fissato il principio che il prezzo
al consumatore finale dei libri è liberamente fissato dall’editore o
dall’importatore e ha disciplinato le ipotesi di sconto applicabile per il
consumatore finale[305].
L’esigenza del coordinamento
con l’art. 5, co. 1, lett. a), del d.lgs. 170/2001 sembrerebbe dunque
permanere, anche a seguito delle modifiche ora proposte. Si potrebbe altresì
valutare l’opportunità di un chiarimento sul raccordo fra la disciplina del
prezzo di vendita dei libri e quanto previsto dal comma in esame.
Articolo 34,
comma 42
(Esonero dall’obbligo di tenere i
registri di carico e scarico)
Il comma 42 esonera i commercianti al dettaglio che utilizzino saccarosio (escluso lo zucchero a velo), glucosio e isoglucosio (anche in soluzione) dall’obbligo di tenere i registri di carico e scarico di cui all’art. 28 della legge n. 82/06, di attuazione della normativa comunitaria che regola la OCM del vino.
Il menzionato articolo 28, per evitare pratiche fraudolente nella produzione di vino, in particolare attraverso lo zuccheraggio del prodotto allo scopo di aumentarne la gradazione alcolica, impone a tutti i produttori, gli importatori ed i grossisti, delle menzionate sostanze zuccherine, di tenere aggiornato un registro di carico e scarico - con fogli progressivamente numerati e vidimati prima dell'uso – nel quale debbono essere annotate tutte le introduzioni e le estrazioni all'atto in cui si verificano.
Per i grossisti che effettuino la vendita al minuto peraltro, il secondo comma aggiunge l’obbligo di precisare il nominativo e il recapito dell'acquirente.
Articolo 34,
comma 43
(Bolla di accompagnamento merci
viaggianti)
Il comma 43, introdotto durante l’esame del provvedimento al Senato, limita l’obbligo di emissione della bolla di accompagnamento per i prodotti sottoposti ad accisa alla sola fase di prima immissione in commercio del prodotto medesimo.
In estrema sintesi si ricorda che l'articolo 3, comma 147, lettera d), della L. 28 dicembre 1995, n. 549 ha delegato il Governo ad adottare un regolamento volto a sopprimere l'obbligo della bolla di accompagnamento delle merci viaggianti (di cui al D.P.R. 6 ottobre 1978, n. 627) ed alla sostituzione del documento stesso "con norme similari a quelle vigenti nell'Unione europea": rilevato che nei Paesi dell'Unione europea non è attualmente previsto alcun documento fiscale analogo alla "bolla di accompagnamento" per il controllo delle merci in itinere, con la conseguente impossibilità di sostituire il suddetto documento con una normativa di tale natura, il D.P.R. 14 agosto 1996, n. 472 ha dunque abrogato le disposizioni contenute nel citato D.P.R. n.627 del 1978.
In particolare, il comma 1 dell'articolo unico del D.P.R. n. 472 del 1996 prevede la cessazione di efficacia delle norme concernenti la “bolla di accompagnamento”, fatta eccezione per la circolazione dei tabacchi e dei fiammiferi nonché di particolari beni soggetti al regime delle accise e a imposta di consumo, nonché prodotti sottoposti al regime di vigilanza fiscale previsto dal Testo Unico Accise: oli minerali, alcole e bevande alcoliche, vino, birra, profumerie alcoliche ed altri similari. Per tali tipologie di beni l’obbligo di emissione della bolla di accompagnamento continua ad avere efficacia, in via eccezionale.
Per effetto delle disposizioni in commento, che inseriscono il comma 1-bis al richiamato articolo 1 del D.P.R. n. 472 del 1996, tale obbligo viene limitato alla sola fase di prima immissione in commercio dei predetti prodotti.
La necessità di emissione del documento di trasporto nasce da esigenze commerciali di tipo diverso, legate al trasporto dei beni e alla loro documentazione: ciò si verifica per il trasporto di beni con fatturazione immediata o con fatturazione differita (il documento di accompagnamento è idoneo per avvalersi della cosiddetta "fatturazione differita": nel caso di cessioni di beni la cui consegna o spedizione risulti da un documento di trasporto o da altro documento idoneo a identificare i soggetti tra i quali è effettuata l'operazione, è possibile emettere la fattura entro il mese successivo a quello della consegna o spedizione dei beni stessi, purché contenga l'indicazione della data e del numero dei documenti medesimi); nel caso di trasporto di beni da consegnare a terzi a titolo non traslativo della proprietà (il documento è idoneo ad attestare che la circolazione dei beni viaggianti non è effettuata a titolo traslativo della proprietà) e nel caso di trasporto di beni per la tentata vendita (in tal caso gli operatori, ai fini della fatturazione immediata possono predisporre il documento di trasporto generale e, all'atto della consegna dei beni, emettere le relative fatture, ovvero possono anche istituire un apposito bollettario a ricalco "a madre e figlia" numerato e bollato; se, invece, gli operatori interessati intendono avvalersi della fatturazione differita possono, prima di intraprendere il viaggio, predisporre il documento di trasporto generale relativo al complesso dei beni viaggianti e, quindi, in occasione di ciascuna vendita, provvederanno a redigere un'apposita nota di consegna).
Articolo 34,
comma 44
(Depositi IVA)
Il comma 44, introdotto durante l’esame del provvedimento in Senato, modifica la disciplina dei depositi fiscali ai fini IVA al fine di chiarire che l’introduzione in deposito si intende realizzata anche negli spazi limitrofi al deposito IVA, e che l’IVA si intende definitivamente assolta all’estrazione della merce dal deposito IVA per la sua immissione in consumo nel territorio dello Stato, qualora risultino correttamente posti in essere gli adempimenti di legge.
Più in dettaglio, la norma aggiunge un periodo all’articolo 16, comma 5-bis, del decreto-legge 29 ottobre 2008, n. 185, il quale ha modificato la disciplina dei depositi fiscali ai fini IVA con una norma interpretativa della lettera h) del comma 4 dell’articolo 50-bis del decreto legge n. 331/1993.
L’articolo 50-bis del decreto legge n. 331/1993 disciplina il regime di deposito Iva, il quale consente alle merci comunitarie introdotte in Italia di fruire della non imponibilità al tributo, rinviando l’imposizione al momento dell'estrazione dei beni, se ed in quanto destinati al consumo nel territorio dello Stato. La sospensione opera solo se i beni non sono destinati alla vendita al minuto nei locali dei depositi. Sono individuati, a tal fine, sia i soggetti che possono essere autorizzati dall’Amministrazione finanziaria a gestire i depositi IVA sia gli adempimenti a carico dei medesimi soggetti.
In particolare, ai sensi del comma 4, lettera h) del citato articolo 50-bis, sono effettuate senza pagamento dell'IVA le prestazioni di servizi, comprese le operazioni di perfezionamento e le manipolazioni usuali, relative a beni custoditi in un deposito IVA, anche se materialmente eseguite non nel deposito stesso ma nei locali limitrofi sempreché, in tal caso, le suddette operazioni siano di durata non superiore a sessanta giorni. In considerazione del fatto che la prestazione di servizi su un bene del deposito non è fisicamente individuabile, l’articolo 16, comma 5-bis, del decreto-legge 29 ottobre 2008, n. 185, ha quindi stabilito che la richiamata lettera h) si interpreta nel senso che le prestazioni di servizio in essa indicate, relative a beni consegnati al depositario, costituiscono ad ogni effetto introduzione nel deposito IVA. Pertanto, il momento di “uscita” dal deposito fiscale del servizio offerto, ossia il momento in cui diviene imponibile ai fini IVA, è determinato in base all’immissione nel mercato del bene sul quale il servizio è stato operato.
Successivamente, l’articolo 8, comma 21-bis del D.L. 16 del 2012 ha chiarito che l’introduzione nel deposito IVA - e quindi la non imponibilità della prestazione di servizi al tributo - avviene indipendentemente dai tempi di giacenza o dallo scarico del mezzo di trasporto. Al riguardo, si ricorda che l’Agenzia delle Dogane, con nota n. 7521/06 aveva già osservato che non è prescritto un tempo minimo di giacenza o che le merci siano necessariamente scaricate dai mezzi di trasporto.
In materia di depositi IVA, si ricorda altresì che il D. L. 70/2011 ha subordinato l'introduzione di merci nei suddetti depositi alla prestazione di idonea e commisurata garanzia, esonerando da tale prestazione i soggetti autorizzati dalle norme doganali e gli operatori economici titolari di apposita certificazione. Sul punto, con la nota 148047/12, l'agenzia delle Dogane ha fornito agli operatori economici nuove precisazioni per ottenere l'esonero dal prestare garanzia in materia di depositi.
La disposizione in esame aggiunge un periodo al richiamato articolo 16, comma 5-bis del D.L. 185/2008, al fine di chiarire che l’introduzione in deposito si intende realizzata anche negli spazi limitrofi al deposito IVA, senza che sia necessaria la preventiva introduzione della merce nel deposito.
Tale operazione consente altresì di ritenere assolte le funzioni di stoccaggio e di custodia, e – secondo il tenore letterale della disposizione in esame - la condizione posta agli articoli 1766 e seguenti del codice civile che disciplinano il contratto di deposito.
In ordine alla formulazione della norma, si segnala che occorrerebbe
chiarire a quale “condizione” (recata dagli articolo 1766 e seguenti del codice
civile) essa si riferisce in relazione al contratto di deposito.
Infine, le norme in commento chiariscono che l’IVA si intende definitivamente assolta all’estrazione della merce dal deposito IVA per la sua immissione in consumo nel territorio dello Stato, qualora risultino correttamente poste in essere le norme dettate al comma 6 dell’articolo 50-bis del DL n. 331/1993.
Il richiamato comma 6 stabilisce che l'estrazione dei beni da un deposito IVA ai fini della loro utilizzazione o in esecuzione di atti di commercializzazione nello Stato può essere effettuata solo da soggetti passivi d'imposta agli effetti dell'IVA e comporta il pagamento dell'imposta; la base imponibile è costituita dal corrispettivo o valore relativo all'operazione non assoggettata all'imposta per effetto dell'introduzione ovvero, qualora successivamente i beni abbiano formato oggetto di una o più cessioni, dal corrispettivo o valore relativo all'ultima di tali cessioni, in ogni caso aumentato, se non già compreso, dell'importo relativo alle eventuali prestazioni di servizi delle quali i beni stessi abbiano formato oggetto durante la giacenza fino al momento dell'estrazione.
I soggetti passivi d’imposta agli effetti dell’IVA che intendono effettuare l'estrazione dei beni da un deposito IVA:
§ devono essere iscritti alla Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura (CCIAA) da almeno un anno;
§
devono
dimostrare una effettiva operatività;
§
devono
attestare la regolarità dei versamenti IVA, con modalità che saranno definite
con un provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate.
Articolo 34,
commi 45 e 46
(Regolamento di contabilità Guardia
costiera)
Il comma 45 dell’articolo 34 prevede l’adozione di un nuovo regolamento di cassa e di contabilità da parte del Corpo capitanerie di porto. Il comma 44 prevede la destinazione degli introiti derivante dalle convenzioni stipulate dal Corpo delle capitanerie di porto per l’implementazione dei servizi d’istituto al Fondo per le esigenze di funzionamento del Corpo delle capitanerie di porto di cui all’articolo 1, comma 1331, della legge finanziaria 2007 (legge n. 296/2006).
Il comma 45, in particolare, prevede che il nuovo regolamento di cassa e contabilità dovrà essere emanato dal Ministro delle infrastrutture e trasporti, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, nel termine di sei mesi dall’entrata in vigore della presente legge (rectius della legge di conversione del presente decreto legge) ed andrà a sostituire il vecchio regolamento, oramai obsoleto, approvato con Regio decreto 6 febbraio 1933, n. 391.
Secondo la Relazione tecnica, il nuovo Regolamento “mirerà a maggiore semplicità, economicità, rapidità e produttività e ….lo scopo che si prefigge la norma è quello …di adozione di un regolamento maggiormente in linea con la normativa generale della contabilità pubblica, tenuto conto inoltre che il Corpo delle Capitanerie di Porto – Guardia Costiera, costituisce, per la spesa, un centro di responsabilità amministrativa del Ministero delle infrastrutture e trasporti”.
Il decreto dovrà essere emanato come regolamento ministeriale ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge n. 400/1988.
Si tratta dei regolamenti che possono essere adottati regolamenti nelle materie di competenza del ministro o di autorità sottordinate al ministro, quando la legge espressamente conferisca tale potere. Per materie di competenza di più ministri, possono essere adottati con decreti interministeriali, ferma restando la necessità di apposita autorizzazione da parte della legge. I regolamenti ministeriali ed interministeriali non possono dettare norme contrarie a quelle dei regolamenti emanati dal Governo. Essi debbono essere comunicati al Presidente del Consiglio dei ministri prima della loro emanazione. Sono adottati previo parere del Consiglio di Stato, sottoposti al visto ed alla registrazione della Corte dei conti e pubblicati nella Gazzetta Ufficiale.
In relazione alle Capitanerie di porto - che sono un Corpo della Marina Militare che svolge compiti e funzioni collegate in prevalenza con l'uso del mare per i fini civili e con dipendenza funzionale da vari ministeri che si avvalgono della loro opera tra cui il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti - occorre ricordare che l’art. 11, comma 6-quater del D.L. n. 216 del 2011, convertito dalla legge n. 14 del 2012 ha prorogato al 31 dicembre 2012 il termine, previsto dall’articolo 26 del decreto-legge n. 207/2008, per l’emanazione del regolamento per il riordino delle norme che disciplinano il Corpo delle capitanerie di porto.
In particolare, l’articolo 26, comma 1, del D.L. n. 207/2008, prevedeva l’emanazione di un regolamento adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge n. 400/1988, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e sentito il Ministro della difesa, per la revisione dell’apparato organizzativo e funzionale del Corpo delle Capitanerie di porto - Guardia costiera, al fine di conformarne l’assetto, in maniera razionale ed efficiente, al primario obiettivo della completa liberalizzazione del settore del cabotaggio marittimo, nonché al mutato quadro ordinamentale.
Il regolamento avrebbe dovuto essere emanato entro il 31 dicembre 2009, termine successivamente spostato al 31 dicembre 2010 dal decreto-legge n. 194/2009 (Proroga termini 2010), poi al 31 marzo 2011 dal decreto-legge n. 225/2010 (Proroga termini 2011), al 31 dicembre 2011 dal D.P.C.M. 25 marzo 2011 e infine al 31 dicembre 2012.
Il comma 46 introduce una norma per consentire l’effettiva disponibilità delle risorse finanziarie derivanti da convenzioni, protocolli o accordi, mediante il versamento all’entrata del bilancio dello Stato e la successiva riassegnazione al Fondo per le esigenze di funzionamento, di cui all’art. 1, comma 1331, della legge finanziaria 2007 (legge n. 296/2006), delle somme introitate e certificate a consuntivo.
Si ricorda che il citato comma 1331 ha istituito, nello stato di previsione del Ministero dei trasporti, un Fondo di parte corrente, da ripartire, per le esigenze di funzionamento del Corpo delle capitanerie di porto - Guardia costiera, con decreti del Ministro dei trasporti, da comunicare, anche con evidenze informatiche, al Ministero dell'economia e delle finanze, tramite l'ufficio centrale del bilancio.
Come evidenzia infatti la Relazione tecnica, il Corpo delle Capitanerie di porto costituisce, per la spesa, un centro di responsabilità amministrativa del Ministero delle infrastrutture, in relazione al programma “sicurezza e controllo nei mari, nei porti e sulle coste” e avrebbe la possibilità in tale ambito di svolgere attività richieste dagli enti territoriali che se ne assumano l’onere economico. Tale possibilità è vanificata dal vincolo posto da una norma, l’art. 2, comma 615 della legge n. 244 del 2007 (legge finanziaria 2008), che impedisce la rassegnazione di somme versate in entrata ad eccezione degli oneri relativi ai redditi da lavoro dipendente.
Il comma 46 in commento, per consentire tale utilizzo, consente pertanto la destinazione degli introiti derivante dalle convenzioni stipulate dal Corpo delle capitanerie di porto per l’implementazione dei servizi d’istituto al Fondo per le esigenze di funzionamento del Corpo delle capitanerie di porto di cui all’articolo 1, comma 1331, della legge finanziaria 2007 (legge n. 296/2006). Autorizza inoltre il Ministro dell’economia e delle finanze ad apportare le occorrenti variazioni in bilancio.
Articolo 34,
comma 47
(Iniziative di promozione turistica
dell’Italia)
Il comma 47, introdotto dal Senato, finalizza allo svolgimento di iniziative di promozione turistica dell’Italia le somme disponibili nel fondo per la riduzione del prezzo alla pompa della benzina e del gasolio per autotrazione nelle regioni confinanti con la Repubblica di San Marino.
L’articolo 41, comma 16-sexiesdecies – 1, del decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 207[306], al fine di ridurre la concorrenzialità delle rivendite di benzina e gasolio utilizzati come carburante per autotrazione situate nella Repubblica di San Marino, istituisce in favore delle regioni confinanti con la Repubblica di San Marino, un fondo per l’erogazione di contributi alle persone fisiche per la riduzione del prezzo della benzina e del gasolio per autotrazione alla pompa.
Tale fondo è istituito nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze, con una dotazione di 2 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2009. Le modalità di erogazione e i criteri di ripartizione del predetto fondo sono stabiliti con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, su proposta del Ministro per i rapporti con le regioni.
Le somme disponibili in tale fondo vengono ora destinate allo svolgimento di iniziative di promozione turistica dell’Italia a cura del Dipartimento degli Affari regionali il turismo e lo sport.
Articolo 34,
comma 48
(Revisione obbligatoria delle macchine
agricole)
Il comma 48 dell’articolo 34, inserito nel corso dell’esame presso il Senato, prevede l’emanazione di un decreto ministeriale che dovrà introdurre l’obbligo di revisione delle macchine agricole soggette ad immatricolazione.
Il comma in esame sostituisce l’articolo 111, comma 1, del D.Lgs. n. 285/1992 (Codice della strada), relativo alla revisione delle macchine agricole.
Il testo vigente del citato comma 1 consente al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro delle politiche agricole e forestali, di disporre, con decreto ministeriale, la revisione generale o parziale delle macchine agricole soggette all'immatricolazione.[307] La revisione è diretta all’accertamento della permanenza dei requisiti minimi di idoneità per la sicurezza della circolazione e lo stato di efficienza delle suddette macchine.
Il nuovo testo del citato comma 1 dell’articolo 111 stabilisce che il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, debba emanare, entro il 28 febbraio 2013 un decreto ministeriale che preveda la revisione obbligatoria delle macchine agricole soggette ad immatricolazione. Lo stesso decreto dovrà disporre, a far data 1° gennaio 2014, la revisione obbligatoria delle macchine agricole, soggette ad immatricolazione, già in circolazione. Nel disporre la revisione delle macchine agricole già in circolazione si dovrà tener conto del loro stato di vetustà e si dovrà dare precedenza alle macchine immatricolate antecedentemente al 1° gennaio 2009.
Il decreto ministeriale, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, dovrà inoltre stabilire criteri, modalità e contenuti della formazione professionale per il conseguimento dell'abilitazione all'uso delle macchine agricole, in attuazione di quanto disposto dall'articolo 73 del D.Lgs. n. 81/2008,[308] il quale disciplina gli obblighi di Informazione, formazione e addestramento del datore di lavoro nei confronti dei lavoratori.
Articolo 34,
comma 49
(Manutenzione degli istituti
penitenziari)
Il comma 49 esclude gli istituti penitenziari dalla disciplina del “manutentore unico” sugli immobili dello Stato in capo all’Agenzia del demanio prevista dall’articolo 12 del D.L. n. 98 del 2011.
L’articolo 12, commi da 2 a 8, del D.L. n. 98 del 2011 ha attribuito all'Agenzia del demanio il compito di gestire in maniera accentrata le decisioni di spesa per la manutenzione ordinaria e straordinaria degli immobili utilizzati dalle pubbliche amministrazioni. ll D.L. n. 201 del 2011 ha spostato al 1° gennaio 2013 il termine a partire dal quale sono attribuiti tali compiti all’Agenzia del demanio.
Il comma 49, con una integrazione al comma 2 dell’articolo 12, esclude dalla disciplina sul manutentore unico gli istituti penitenziari. Con riferimento alle risorse per gli interventi manutentivi di edilizia penitenziaria, sono fatte altresì salve le risorse attribuite al Ministero della giustizia.
Il vigente articolo 12 del decreto-legge n. 98 del 2011, al comma 2, in
particolare, stabilisce che, a decorrere dal 1° gennaio 2013, sono attribuite
all’Agenzia del demanio le decisioni di spesa, sentito il Ministero delle
infrastrutture e dei trasporti, relative agli interventi manutentivi, a
carattere ordinario e straordinario, effettuati negli immobili di proprietà
dello Stato, in uso per finalità istituzionali alle Amministrazioni dello Stato
di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165,
incluse la Presidenza del Consiglio dei Ministri e le Agenzie, anche fiscali.
Sono fatte salve le specifiche previsioni di legge riguardanti il Ministero
della difesa, il Ministero degli affari esteri e il Ministero per i beni e le
attività culturali, nonché il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti
con riferimento a quanto previsto dagli articoli 41 e 42 del decreto
legislativo 30 luglio 1999, n. 300, e successive modificazioni, e dagli
articoli 127 e 128 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e successive
modificazioni, relativamente alle risorse attribuite allo stesso Ministero per
gli interventi relativi agli edifici pubblici statali e agli immobili
demaniali, le cui decisioni di spesa sono assunte, nei limiti delle predette
risorse, dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, sentita l’Agenzia
del demanio.
La modifica apportata al comma 7 dell’articolo 12 esclude il Ministero della giustizia dalla disciplina che prevede che fino alla stipula degli accordi o delle convenzioni quadro per la gestione degli appalti di manutenzione e, comunque, per i lavori già appaltati, gli interventi manutentivi continuano ad essere gestiti dalle amministrazioni interessate; successivamente alla stipula dell'accordo o della convenzione quadro, è prevista la nullità di ogni nuovo contratto di manutenzione ordinaria e straordinaria non affidato dall'Agenzia del demanio.
Da tale disciplina sono già esclusi, ai sensi del comma 7, i contratti stipulati dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e dichiarati indispensabili per la protezione degli interessi della sicurezza dello Stato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri. Sono altresì esclusi i beni immobili riguardanti il Ministero della difesa ed il Ministero per i beni e le attività culturali, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, nonché i beni immobili all'estero riguardanti il Ministero degli affari esteri.
Articolo 34,
commi 50 e 51
(Disposizioni sui concorsi notarili)
Il comma 50 interviene sulla disciplina relativa ai concorsi per notaio, modificando la composizione delle commissioni esaminatrici e le modalità del giudizio di non idoneità. A tal fine novella gli articoli 5 e 11 del decreto legislativo 24 aprile 2006, n. 166. Il comma 51 reca la disciplina transitoria.
Le modificazioni dell’art. 5 del D.Lgs. 166/2006 riguardano la composizione della commissione esaminatrice.
Si prevede in primo luogo che facciano parte delle commissioni esaminatrici:
§ sette (e non più quattro) magistrati con qualifica di magistrato d’appello;
§ sei (e non più tre) professori universitari, ordinari o associati, che insegnino materie giuridiche;
§ nove (e non più sei) notai, anche se cessati dall'esercizio, che abbiano almeno dieci anni di anzianità nella professione.
Non sono invece modificate le disposizioni sul presidente e il vicepresidente della commissione.
Si stabilisce inoltre che i diversi componenti della commissione che rivestano le qualifiche previste possano anche essere in pensione da non più di cinque anni.
Viene altresì abrogata la disposizione in base alla quale la commissione esaminatrice deve sovrintendere anche allo svolgimento della prevista prova di preselezione. L’abrogazione pare essere conseguenza della soppressione della preselezione informatica, già disposta dall’art. 66 della legge 69/2009.
In fine, la modifica dell’art. 11 del D.Lgs. 166/2006 riguarda la motivazione del giudizio di non idoneità.
La previsione sull’obbligo di motivazione del giudizio di non idoneità viene sostituita con l’obbligo di motivazione sintetica con formulazioni standard, predisposte dalla commissione quando definisce i criteri che regolano la valutazione degli elaborati.
Il vigente art. 5 del D.Lgs. 166/2006 prevede (comma 1) che la commissione esaminatrice del concorso per notaio di cui all'articolo 1, primo comma, della legge 6 agosto 1926, n. 1365, da nominarsi almeno dieci giorni prima dell'inizio della prova con decreto del Ministro della giustizia, è unica ed è composta da: a) un magistrato di cassazione dichiarato idoneo ad essere ulteriormente valutato ai fini della nomina alle funzioni direttive superiori, con funzioni di legittimità, che la presiede; b) un magistrato di qualifica non inferiore a quella di magistrato dichiarato idoneo ad essere ulteriormente valutato ai fini della nomina a magistrato di cassazione con funzioni di vice presidente; c) quattro magistrati con qualifica di magistrato di appello; d) tre professori universitari, ordinari o associati, che insegnino materie giuridiche; e) sei notai, anche se cessati dall'esercizio, che abbiano almeno dieci anni di anzianità nella professione.
I notai sono scelti tra diciotto nominativi indicati, per ciascun concorso, dal consiglio nazionale del notariato (comma 2). I commissari che hanno partecipato, anche in parte, alla procedura concorsuale, non possono essere nominati nella commissione dei due concorsi successivi (comma 3). La commissione esaminatrice sovrintende anche allo svolgimento della prova di preselezione di cui agli articoli 5-bis e 5-ter della legge 16 febbraio 1913, n. 89, e successive modificazioni (comma 4). La commissione opera con tre sottocommissioni composte di cinque membri, presiedute rispettivamente dal presidente, dal vicepresidente e da uno dei magistrati di cui alla lettera c) del comma 1, scelto dal presidente (comma 5). I magistrati e i docenti universitari sono esonerati, in tutto o in parte, dal rispettivo carico di lavoro, dall'inizio della prova di preselezione fino alla formazione della graduatoria del concorso da parte della commissione. L'esonero dei magistrati è disposto dal Consiglio Superiore della Magistratura. L'esonero dei docenti universitari è disposto dall'università di appartenenza (comma 6).
Si osserva che all’incremento, per ogni categoria, del numero dei
componenti della commissione esaminatrice non corrisponde: al comma 2, un
incremento del numero dei nominativi dei notai al cui interno sono scelti i
commissari appartenenti a tale professione; al comma 5, un adeguamento del
numero o della composizione delle sottocommissioni attraverso cui opera la
commissione. Analogamente non risulta adeguato, all’articolo 8, comma 1, del
medesimo d.lgs. 166/2006 il numero minimo di componenti per il valido
insediamento della commissione, e, all’articolo 9, il numero minimo di commissari
che deve presenziare al raggruppamento delle buste contenenti le prove scritte.
Il comma 51 reca una disposizione transitoria, in base a cui le nuove disposizioni sui concorsi notarili non si applicano ai concorsi già banditi alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge. Unica eccezione è ovviamente costituita dall’abrogazione dell’obbligo per la commissione di sovrintendere allo svolgimento della prova di preselezione, che ha efficacia immediata in quanto modifica di mero coordinamento rispetto alla soppressione della preselezione, disposta nel 2009.
Articolo 34,
comma 52
(Caratteristiche tecniche degli impianti
termici civili)
Il comma 52 dell’articolo 34 reca modifiche all’art. 285 del D.Lgs. 152/2006 in cui sono disciplinate le caratteristiche tecniche che devono essere rispettate dagli impianti termici civili di potenza termica nominale superiore al valore di soglia (0.035MW).
La nuova disposizione prevede l’adeguamento, entro il 1° settembre 2017, degli impianti termici civili che, prima dell’entrata in vigore della presente disposizione, sono stati autorizzati ai sensi del titolo I della parte V del D.Lgs. 152/2006, e che, a partire da tale data, ricadono nel successivo titolo II.
L’obbligo di adeguamento è escluso qualora i singoli terminali, siano e vengano dotati di elementi utili al risparmio energetico, quali valvole termostatiche e/o ripartitori di calore.
Il titolare dell’autorizzazione produce, quali atti autonomi, le dichiarazioni previste dall’articolo 284, comma 1, della stessa parte V, nei 90 giorni successivi all’adeguamento ed effettua le comunicazioni previste da tale articolo nei tempi ivi stabiliti.
Il titolare dell’autorizzazione è equiparato all’installatore ai fini dell’applicazione delle sanzioni previste dall’art. 288.
Si ricorda che l’art. 284 del D.Lgs. 152/2006 prevede, al comma 1, che nel corso delle verifiche finalizzate alla dichiarazione di conformità prevista dal D.M. 22 gennaio 2008, n. 37, per gli impianti termici civili di potenza termica nominale superiore al valore di soglia, l'installatore verifica e dichiara anche che l'impianto è conforme alle caratteristiche tecniche di cui all'articolo 285 ed è idoneo a rispettare i valori limite di cui all'art. 286. Tali dichiarazioni devono essere espressamente riportate in un atto allegato alla dichiarazione di conformità, messo a disposizione del responsabile dell'esercizio e della manutenzione dell'impianto da parte dell'installatore entro 30 giorni dalla conclusione dei lavori.
In occasione della dichiarazione di conformità, l'installatore indica al responsabile dell'esercizio e della manutenzione dell'impianto l'elenco delle manutenzioni ordinarie e straordinarie necessarie ad assicurare il rispetto dei valori limite di cui all'articolo 286, affinché tale elenco sia inserito nel libretto di centrale previsto dal D.P.R. 26 agosto 1993, n. 412. Se il responsabile dell'esercizio e della manutenzione dell'impianto non è ancora individuato al momento dell'installazione, l'installatore, entro 30 giorni dall'installazione, invia l'atto e l'elenco di cui sopra al soggetto committente, il quale li mette a disposizione del responsabile dell'esercizio e della manutenzione dell'impianto entro 30 giorni dalla relativa individuazione.
Il comma 2 dell’art. 284 dispone che, per gli impianti termici civili di potenza termica nominale superiore al valore di soglia, in esercizio alla data di entrata in vigore della parte V del D.Lgs. 152/2006, il libretto di centrale previsto dall'art. 11 del D.P.R. 412/1993 deve essere integrato, a cura del responsabile dell'esercizio e della manutenzione dell'impianto, entro il 31 dicembre 2012, da un atto in cui si dichiara che l'impianto è conforme alle caratteristiche tecniche di cui all'art. 285 ed è idoneo a rispettare i valori limite di cui all'articolo 286. Entro il 31 dicembre 2012, il libretto di centrale deve essere inoltre integrato con l'indicazione delle manutenzioni ordinarie e straordinarie necessarie ad assicurare il rispetto dei valori limite di cui all'art. 286. Il responsabile dell'esercizio e della manutenzione dell'impianto provvede ad inviare tali atti integrativi all'autorità competente entro 30 giorni dalla redazione.
L’art. 288 prevede una sanzione amministrativa pecuniaria da 516 euro a 2.582 euro in caso di esercizio di un impianto termico civile non conforme alle caratteristiche tecniche di cui all'art. 285.
In considerazione del contenuto della disposizione e della sua
formulazione, non appare chiaro se debba considerarsi integrativa o integralmente
sostitutiva rispetto al testo vigente dell’articolo 285 del decreto legislativo
n. 152/2006.
Articolo 34,
comma 53
(Scarichi degli impianti termici degli
edifici)
Il comma 53 riscrive la norma dettata dal comma 9 dell’art. 5 del D.P.R. 412/1993 relativa all’obbligo, per gli impianti termici siti nei condomini, di collegamento a camini, canne fumarie o sistemi di evacuazione con sbocco sopra il tetto dell'edificio.
In particolare, Il comma 53 riscrive la norma dettata dal comma 9 dell’art. 5 del D.P.R. 412/1993 (“Regolamento recante norme per la progettazione, l'installazione, l'esercizio e la manutenzione degli impianti termici degli edifici ai fini del contenimento dei consumi di energia, in attuazione dell'art. 4, comma 4, della L. 9 gennaio 1991, n. 10”) relativa all’obbligo, per gli impianti termici siti nei condomini, di collegamento a camini, canne fumarie o sistemi di evacuazione dei prodotti di combustione con sbocco sopra il tetto dell'edificio. Rispetto al testo vigente l’obbligo, contemplato per i casi indicati dalla norma, viene reso generale e l’unica eccezione viene ammessa in caso di installazione di generatori di calore a gas a condensazione aventi prestazioni energetiche conformi alla norme tecniche UNI EN 297 e/o UNI EN 483 e/o UNI EN 15502.
In tali casi viene previsto che il posizionamento dei terminali di tiraggio avvenga in conformità alla vigente norma tecnica UNI 7129.
Si ricorda che i generatori di calore conformi alle norme tecniche indicate vengono comunemente indicati come “generatori ecologici a basse emissioni di ossidi di azoto (NOx)”. La norma tecnica UNI EN 15502 ha sostituito, a decorrere dal 22 novembre 2012, la precedente norma UNI EN 483.
La norma tecnica UNI 7129 disciplina invece la posizione dei terminali di scarico e fissa le distanze di rispetto da finestre, balconi e aperture di ventilazione.
Il seguente testo a fronte esplicita quanto evidenziato:
Testo vigente |
Nuovo testo |
9. Gli
impianti termici siti negli edifici costituiti da più unità immobiliari devono
essere collegati ad appositi camini, canne fumarie o sistemi di evacuazione
dei prodotti di combustione, con sbocco sopra il tetto dell'edificio alla
quota prescritta dalla regolamentazione tecnica vigente, nei seguenti
casi: §
nuove
installazioni di impianti termici, anche se al servizio delle singole unità
immobiliari, §
ristrutturazioni
di impianti termici centralizzati, §
ristrutturazioni
della totalità degli impianti termici individuali appartenenti ad uno stesso
edificio, §
trasformazioni
da impianto termico centralizzato a impianti individuali, §
impianti
termici individuali realizzati dai singoli previo distacco dall'impianto
centralizzato. |
1. Gli
impianti termici siti negli edifici costituiti da più unità immobiliari
devono essere collegati ad appositi camini, canne fumarie o sistemi di
evacuazione dei prodotti di combustione, con sbocco sopra il tetto
dell’edificio alla quota prescritta dalla regolamentazione tecnica vigente, fatto salvo quanto previsto dal periodo
seguente. |
Fatte salve
diverse disposizioni normative, ivi comprese quelle contenute nei regolamenti
edilizi locali e loro successive modificazioni, le disposizioni del presente
comma possono non essere applicate in caso di mera sostituzione di generatori
di calore individuali e nei seguenti casi, qualora si adottino generatori di
calore che, per i valori di emissioni nei prodotti della combustione,
appartengano alla classe meno inquinante prevista dalla norma tecnica UNI EN
297: §
singole
ristrutturazioni di impianti termici individuali già esistenti, siti in
stabili plurifamiliari, qualora nella versione iniziale non dispongano già di
camini, canne fumarie o sistemi di evacuazione dei prodotti della combustione
con sbocco sopra il tetto dell'edificio, funzionali ed idonei o comunque
adeguabili alla applicazione di apparecchi con combustione asservita da
ventilatore; §
nuove
installazioni di impianti termici individuali in edificio assoggettato dalla
legislazione nazionale o regionale vigente a categorie di intervento di tipo
conservativo, precedentemente mai dotato di alcun tipo di impianto termico, a
condizione che non esista camino, canna fumaria o sistema di evacuazione fumi
funzionale ed idoneo, o comunque adeguabile allo scopo. Resta ferma
anche per le disposizioni del presente articolo l'inapplicabilità agli
apparecchi non considerati impianti termici in base all'art. 1, comma 1
lettera f), quali: stufe, caminetti, radiatori individuali, scaldacqua
unifamiliari. |
Qualora si installino generatori di calore a gas a
condensazione che, per valori di prestazione energetica e di emissioni nei
prodotti della combustione, appartengano alla classe ad alta efficienza
energetica, più efficiente e meno inquinante, prevista dalla pertinente norma
tecnica di prodotto UNI EN 297 e/o UNI EN 483 e/o UNI EN 15502, il
posizionamento dei terminali di tiraggio avviene in conformità alla vigente
norma tecnica UNI 7129 e successive integrazioni. |
Articolo 34,
comma 54
(Modifiche alla legge 28 giugno 2012, n.
92,
di riforma del mercato del lavoro)
Il comma 54, introdotto nel corso dell’esame al Senato, modifica la legge n. 92 del 2012 di riforma del mercato del lavoro, relativamente alle comunicazioni concernenti il lavoro a chiamata (c.d. job on call) e alle prestazioni rese dal datore di lavoro al fine di incentivare l’esodo dei lavoratori anziani.
La lettera a) interviene in materia di lavoro intermittente, modificando l’articolo 1, comma 21. La norma, in particolare, prevede che la comunicazione preventiva del ricorso alla prestazione lavorativa venga inviata solamente attraverso sms o posta elettronica, non più facendo ricorso al fax.
I commi 21 e 22 dell’articolo 1 della L. 92/2012 sono intervenuti sulla disciplina del lavoro intermittente (c.d. lavoro a chiamata o job on call)[309], di cui agli articoli 33-40 del decreto legislativo n. 276 del 2003.
Il comma 21, in particolare, oltre a modificare i limiti di età del lavoratore entro i quali il contratto di lavoro intermittente può sempre essere concluso (a prescindere, cioè, dal fatto che si tratti di ipotesi individuate dalla contrattazione collettiva), abbassando il limite minimo da 25 a 24 anni (ma a condizione che le prestazioni vengano svolte entro il venticinquesimo anno di età), ed elevando il limite massimo da 45 anni a 55 anni, ha introdotto (articolo 35, nuovo comma 3-bis) l'obbligo di comunicazione preventiva del datore di lavoro, con modalità semplificate, alla Direzione territoriale del lavoro competente - mediante sms, fax o posta elettronica - del ricorso ad una prestazione lavorativa, di durata superiore a 30 giorni, sulla base di un contratto di lavoro intermittente. In caso di inadempimento di tale obbligo è prevista una sanzione amministrativa pecuniaria.
Le lettere b) e c) intervengono sull’articolo 4, commi 1-7, recanti interventi in favore di lavoratori anziani.
L’articolo 4, commi 1-7, della
legge 92/2012, prevede, in caso di eccedenza del personale, la possibilità che con appositi accordi, stipulati tra datori
di lavoro che impieghino mediamente più di 15 dipendenti e le organizzazioni
sindacali maggiormente rappresentative a livello aziendale, venga posto a carico del datore di lavoro
l’erogazione di una prestazione, di
importo pari alla pensione che spetterebbe a legislazione vigente, in favore
dei lavoratori maggiormente anziani,
al fine di incentivarne l’esodo. In tale ipotesi, il datore di lavoro è inoltre
tenuto a corrispondere all’INPS la contribuzione fino al raggiungimento dei
requisiti minimi per il pensionamento dei lavoratori interessati. L'accordo può
concernere esclusivamente lavoratori in grado di raggiungere i requisiti per il
pensionamento entro quattro anni dalla cessazione del rapporto di lavoro.
Le disposizioni sono volte a prevedere che la prestazione resa dal datore di lavoro al fine di incentivare l’esodo dei lavoratori anziani:
§ possa essere anche oggetto di accordi sindacali nell’ambito delle procedure per la dichiarazione di mobilità (di cui agli articoli 4 e 24 della legge n.223/1991) o nell’ambito di processi di riduzione di personale dirigente conclusi con accordo firmato da associazione sindacale stipulante il contratto collettivo nazionale di categoria;
§ trovi applicazione anche nel caso in cui la prestazione spetterebbe a carico di forme sostitutive dell’assicurazione generale obbligatoria.
Nel caso di accordi il datore di lavoro:
§ procede al recupero delle somme pagate ai sensi dell’articolo 5, comma 4, della legge n.223/1991[310] relativamente ai lavoratori interessati (mediante conguaglio con i contributi dovuti all’Inps);
§ non è comunque tenuto a pagare il contributo di licenziamento di cui all’articolo 2, comma 31, della legge n.92/2012[311];
§ può effettuare nuove assunzioni in deroga al diritto di precedenza di cui all’articolo 8 della legge n.223/1991[312].
Alla lettera b) appare opportuno precisare
che può essere oggetto di accordi sindacali, oltre alla prestazione, anche la
connessa contribuzione.
Articolo 34,
comma 55
(Soggetti tenuti alla trasmissione
telematica
dei corrispettivi giornalieri)
Il comma 55 dell’articolo 34 interviene sull’ambito soggettivo delle imprese che possono trasmettere telematicamente all’Agenzia delle entrate l’ammontare complessivo dei corrispettivi giornalieri, estendendolo anche alle imprese che, pur in assenza dei requisiti indicati dal comma 430 dell’art. 1 della legge finanziaria 2004, fanno parte di un gruppo societario che opera con più punti vendita e che realizza un volume d’affari annuo aggregato superiore a 10 milioni di euro.
Si ricorda, in proposito, che il comma 429 dell’art. 1 della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (legge finanziaria 2004) ha previsto che le imprese che operano nel settore della grande distribuzione possono trasmettere telematicamente all'Agenzia delle entrate, distintamente per ciascun punto vendita, l'ammontare complessivo dei corrispettivi giornalieri delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi di cui agli articoli 2 e 3 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633.
Il comma 430 del medesimo articolo ha, inoltre, previsto che, ai fini del comma 429, sono imprese di grande distribuzione commerciale, ai sensi dell'articolo 4, comma 1, lettere e) ed f), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, le aziende distributive che operano con esercizi commerciali definiti media e grande struttura di vendita aventi, quindi, superficie superiore a 150 metri quadri nei comuni con popolazione residente inferiore a 10.000 abitanti, o superficie superiore a 250 metri quadri nei comuni con popolazione residente superiore ai 10.000 abitanti.
Articolo 34,
comma 56
(Permuta per la realizzazione di edifici
giudiziari)
Il comma 56 prevede che le operazioni di permuta di beni del demanio e del patrimonio dello Stato con immobili adeguati all'uso governativo potranno essere effettuate anche per la realizzazione di nuovi edifici giudiziari nelle sedi centrali di Corte d’appello in cui sia previsto l’accorpamento delle soppresse sedi periferiche in base alla revisione della geografia giudiziaria.
In particolare il comma 56 interviene sul decreto-legge n. 138 del 2011[313] per novellare l’art. 6, comma 6-ter, in base al quale l'Agenzia del demanio ha il compito di procedere ad operazioni di permuta di beni del demanio e del patrimonio dello Stato con immobili adeguati all'uso governativo, al fine di rilasciare immobili di terzi condotti in locazione passiva dalle pubbliche amministrazioni, ovvero immobili appartenenti al demanio e al patrimonio dello Stato e ritenuti inadeguati. Se la permuta è effettuata in aree di particolare disagio e con significativo apporto occupazionale, potranno essere ceduti anche immobili “già in uso governativo”.
La disposizione approvata dal Senato aggiunge un ulteriore periodo al comma 6-ter per specificare che tali permute potranno essere effettuate anche per la realizzazione di nuovi edifici giudiziari nelle sedi centrali di Corte d’appello in cui sia previsto l’accorpamento delle soppresse sedi periferiche in base alla revisione della geografia giudiziaria.
Ciò potrà avvenire in deroga alla legge n. 392 del 1941, che dispone in ordine al trasferimento ai Comuni del servizio dei locali e dei mobili degli Uffici giudiziari. Si tratta del provvedimento che rende obbligatorie per i Comuni (con la sola eccezione della Corte di Cassazione, alla quale provvede lo Stato):
§ le spese necessarie per il primo stabilimento degli uffici giudiziari;
§ le spese necessarie per i locali ad uso degli Uffici giudiziari, e per le pigioni, riparazioni, manutenzione, illuminazione, riscaldamento e custodia dei locali medesimi;
§ le spese per la pulizia dei locali.
Le spese sono a carico esclusivo dei Comuni nei quali hanno sede gli Uffici giudiziari, ai quali sarà corrisposto da parte dello Stato un contributo annuo.
Il comma 56 richiama l’art. 1 della legge n. 148 del 2011, di conversione del suddetto decreto-legge n. 138/2011. Si tratta della norma che delega il Governo ad operare una riforma della geografia giudiziaria in particolare attraverso la soppressione di alcuni tribunali e di tutte le sedi distaccate di Tribunale. La delega è stata attuata con il d.lgs. n. 155 del 2012 al quale sarebbe dunque più opportuno fare oggi riferimento (in sede di attuazione sono 31 i tribunali soppressi).
Si sottolinea, inoltre, che la revisione dei circondari di Tribunale
non ha coinvolto le «sedi centrali di Corte d’appello», espressione
quest’ultima che pare riferirsi al capoluogo del distretto. Le sedi distaccate
soppresse sono infatti state “assorbite” dalla sede principale del tribunale
mentre i territori appartenenti al circondario di tribunali soppressi sono
stati riassegnati ad altre sedi di tribunale, generalmente evitando proprio
l’aggravio dei tribunali aventi sede nel capoluogo del distretto di Corte
d’appello.
Pertanto, si sottolinea l’esigenza di chiarire la formulazione e
l’ambito di applicazione della disposizione.
Articolo 34,
comma 57
(Assunzioni CONSOB)
Il comma 57 dell’articolo 34, introdotto durante l’esame del provvedimento al Senato, autorizza la CONSOB ad assumere, mediante nomina per chiamata diretta e con contratto a tempo determinato, non più di cinque persone che, per i titoli professionali o di servizio posseduti, risultino idonee all'immediato svolgimento dei compiti di istituto.
Più in dettaglio la norma in esame prevede che, entro 90 giorni dalla data di pubblicazione della legge di conversione del presente decreto la CONSOB, - nell’ambito dell’autonomia del proprio ordinamento ed al fine di assicurare efficaci e livelli continuativi livelli di vigilanza per l’attuazione di quanto previsto ai sensi del presente articolo e per la tutela degli investitori, la salvaguardia della trasparenza e della correttezza del sistema finanziario - provveda alle “occorrenti iniziative attuative”.
Si osserva che la disposizione in esame non chiarisce a quali
disposizioni o interventi siano riferite le “occorrenti iniziative attuative”
richiamate in norma.
Sebbene la Relazione tecnica all’emendamento 1.800 del Governo rilevi
l’opportunità che la Consob - accanto alle norme regolamentari concernenti la
raccolta di capitali di rischio di imprese start-up innovative (per cui si veda
l’articolo 30 del provvedimento in esame) - proceda all’efficientamento delle
strutture aventi il compito di regolare la predetta attività ed esercitare la
relativa vigilanza, sembra comunque opportuno che sia esplicitato in norma a
quali misure sia riferita la predetta attuazione.
A tale scopo, la CONSOB provvede anche adottando misure di contenimento della spesa ulteriori ed alternative alle vigenti disposizioni in materia di finanza pubblica, purché sia assicurato il conseguimento dei medesimi risparmi previsti a legislazione vigente.
Numerose norme di contenimento della spesa pubblica adottate nell’ultimo anno hanno interessato anche la CONSOB, tra cui si citano in questa sede:
§ le misure di contenimento della spesa per locazioni immobiliari contenute nel D.L. 95/2012;
§ le limitazioni alla spesa per l’acquisto di autovetture, all’utilizzo di auto di rappresentanza e al valore dei buoni pasto del personale, nonché la nuova regolamentazione della fruizione di ferie, riposi e permessi e i divieti di conferimento di incarichi di consulenza (di cui all’articolo 5 del medesimo D.L. 95/2012);
§ le norme che impongono una riduzione spesa consumi intermedi (articolo 8 del citato D.L. 95 del 2012);
Si rammenta infine che trovano applicazione nei confronti della Consob alcune disposizioni contenute nel disegno di legge di stabilità 2013, attualmente all’esame del Senato: in particolare esse riguardano (articolo 1, comma 97 dell’A.S. 3584) limiti all’acquisto di immobili, nonché di mobili, arredi e autovetture (articolo 1, comma 100) e al conferimento di consulenze (articolo 1, commi 105-107).
L’Autorità inoltre può avvalersi anche della facoltà di assunzione di personale previste dal D.L. n. 35 del 2005, in particolare dall’articolo 2, commi 4-undecies e 4-terdecies di tale provvedimento.
Dunque l’Autorità potrà assumere, per ragioni di urgenza derivanti da indifferibili esigenze di servizio, mediante nomina per chiamata diretta e con contratto a tempo determinato, non più di cinque persone che, per i titoli professionali o di servizio posseduti, risultino idonee all'immediato svolgimento dei compiti di istituto (si tratta di un terzo del personale che può essere assunto ai sensi dell’articolo 2, comma 4-undecies del D.L. 35/2005), entro 18 mesi dall’entrata in vigore della legge di conversione del provvedimento in esame.
Gli oneri finanziari derivanti dall'applicazione del comma 4-undecies sono coperti rideterminando l'ammontare annuale del contributo dovuto all’Autorità dai soggetti sottoposti alla sua vigilanza ai sensi dell'articolo 40, comma 3, della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (comma 4-terdecies del D.L. 35/2005).
Le disposizioni affidano infine al collegio dei revisori dei conti il compito di verificare preventivamente che le misure previste siano idonee a garantire comunque i medesimi effetti di contenimento della spesa stabiliti a legislazione vigente ed attesta il rispetto di tale adempimento nella relazione al conto consuntivo. Resta in ogni caso precluso l’utilizzo degli stanziamenti preordinati alle spese in conto capitale per finanziare spese di parte corrente.
In data 24 febbraio 2012 si è insediato in Consob il Collegio dei revisori dei conti, istituito ai sensi dell’art. 2 della delibera n. 17914 del 1° settembre 2011. Ad esso è affidato il controllo di regolarità amministrativo-contabile dell’Istituto; in particolare:
§ effettua il riscontro degli atti della gestione finanziaria, svolge verifiche periodiche di cassa e di bilancio e formula proprie osservazioni;
§ esprime in apposita relazione il proprio parere sul progetto di bilancio di previsione nonché sul conto consuntivo, con particolare riguardo alla concordanza dei risultati esposti nel conto consuntivo stesso con le scritture contabili e alla regolarità delle procedure di gestione nonché su ogni altro documento inerente alla gestione economico-finanziaria dell’Istituto;
§ fornisce, a richiesta, pareri sulle materie di competenza;
§ vigila sull’osservanza delle disposizioni legislative e regolamentari in materia contabile;
§ svolge ogni altra attività connessa o funzionale all’espletamento dei compiti sopra riportati.
I componenti del Collegio dei revisori dei conti restano in carica tre anni e possono essere confermati una sola volta.
Si rileva che la norma in esame sembra attribuire al Collegio dei
revisori compiti ulteriori rispetto a quelli previsti dalla citata delibera n.
17914 del 1° settembre 2011 e, più in generale, dal Regolamento per
l'amministrazione e la contabilità della Consob; sembrerebbe a tal fine
opportuno un coordinamento tra la fonte normativa primaria e le norme di
auto-organizzazione dell’Autorità.
Articolo 34-bis
(Commissione per la valutazione,
trasparenza e integrità delle amministrazioni pubbliche)
L’articolo 34-bis, introdotto al Senato, reca norme concernenti l’elezione del Presidente nonché il funzionamento della Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche (Civit).
Il comma 1, modifica le modalità di elezione del presidente della Civit, quale autorità nazionale anticorruzione, il quale dovrà essere nominato, con le forme e le modalità già previste ex lege, su proposta dei Ministri della pubblica amministrazione, della giustizia e dell'interno, tra persone di notoria indipendenza che hanno avuto esperienza in materia di contrasto alla corruzione e persecuzione degli illeciti nella pubblica amministrazione.
Si segnala che il comma 3 del’art. 13 del D.Lgs. 150/2009[314] (cd. decreto Brunetta), in merito al Presidente della Commissione, prescrive che questo sia eletto dai componenti in occasione della prima seduta, che viene convocata dal componente più anziano di età.
L’art. 13 citato ha istituito la Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche, che opera in posizione di indipendenza di giudizio e di valutazione e in piena autonomia, in collaborazione con la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della funzione pubblica e con il Ministero dell'economia e delle finanze - Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, con il compito di indirizzare, coordinare e sovrintendere all'esercizio indipendente delle funzioni di valutazione, di garantire la trasparenza dei sistemi di valutazione, di assicurare la comparabilità e la visibilità degli indici di andamento gestionale, informando annualmente il Ministro per l'attuazione del programma di Governo sull'attività svolta.
Il comma 3 dell’art. 13 stabilisce che la Commissione sia un organo collegiale composto da cinque componenti, nominati per un periodo di sei anni e confermabili una sola volta, scelti tra esperti di elevata professionalità, anche estranei all'amministrazione con comprovate competenze in Italia e all'estero, sia nel settore pubblico che in quello privato in tema di servizi pubblici, management, misurazione della performance, nonché di gestione e valutazione del personale. I componenti sono nominati, tenuto conto del principio delle pari opportunità di genere, con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, di concerto con il Ministro per l'attuazione del programma di Governo, previo parere favorevole delle Commissioni parlamentari competenti espresso a maggioranza dei due terzi dei componenti. I componenti della Commissione non possono essere scelti tra persone che rivestono incarichi pubblici elettivi o cariche in partiti politici o in organizzazioni sindacali o che abbiano rivestito tali incarichi e cariche nei tre anni precedenti la nomina e, in ogni caso, non devono avere interessi di qualsiasi natura in conflitto con le funzioni della Commissione.
Si ricorda, altresì, che
l’art. 1 della L. 6 novembre 2012 n. 190 (Disposizioni per la prevenzione e la
repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione),
attuando le Convenzioni internazionali in materia di lotta alla corruzione,ha
individuato l’Autorità nazionale
competente a coordinare l’attività di contrasto della corruzione nella
pubblica amministrazione nella Civit, modificando la distribuzione
delle competenze in materia, con la sostituzione della Civit, nel ruolo di
Autorità nazionale anticorruzione, al Dipartimento della funzione pubblica, che
lo ricopriva secondo la normativa previgente.
I compensi del presidente e dei componenti della Commissione sono ridefiniti con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, nel rispetto di quanto previsto ex art. 23-ter del D.L. n. 201/2011 in modo da garantire l'invarianza complessiva della spesa.
L'art. 23-ter del decreto-legge n. 201 del 2011[315] (inserito in sede di conversione dalla legge n. 214 del 2011) prevede la definizione del trattamento economico di chiunque riceva emolumenti o retribuzioni dalle pubbliche amministrazioni attraverso, l’emanazione di un DPCM, previo parere delle Commissioni parlamentari, entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge. Si ricorda che, ai sensi del comma 1 dell’art. 23-ter, tale definizione va effettuata adottando come parametro massimo di riferimento il trattamento economico del Primo presidente della Corte di cassazione che assume, quindi, la funzione di indice di riferimento costante per la definizione del trattamento economico di chiunque riceva a carico delle finanze pubbliche emolumenti o retribuzioni nell’ambito di rapporti di lavoro dipendente o autonomo con amministrazioni statali, compreso il c.d. personale non contrattualizzato[316].
In attuazione di quanto sopra disposto è stato emanato il DPCM 23 marzo 2012[317] che fissa il livello remunerativo massimo omnicomprensivo annuo degli emolumenti spettanti a coloro che hanno un rapporto di lavoro dipendente o autonomo con pubbliche amministrazioni statali in euro 293.658,95, cifra equivalente a quella spettante per la carica al Primo Presidente della Corte di cassazione nell'anno 2011. Va segnalato che tale ammontare sconta un effetto riduttivo derivante da disposizioni contenute nel D.L. 78/2012 - che hanno inciso il trattamento dei magistrati - che dovrebbe essere annullato in conseguenza della declatoria di illegittimità di tali disposizioni contenuta nella sentenza 233/2012 della Corte costituzionale.
Ai sensi del comma 2, la Commissione si avvale, sulla base di intese con il Ministro dell'economia e delle finanze, della Guardia di finanza, che agisce con i poteri di indagine ad essa attribuiti ai fini degli accertamenti relativi all'I.V.A. e all'imposta sui redditi. La Commissione, agli stessi fini, può richiedere indagini, accertamenti e relazioni all'Ispettorato per la funzione pubblica.
Il comma 3 stabilisce, poi, che dall'attuazione dei commi 1 e 2 non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
Il comma 4 precisa che, in sede di prima applicazione, il termine di cui all'art. 1, comma 8, L. n. 190/2012, è differito al 31 marzo 2013.
Il comma 8 citato stabilisce che l'organo di indirizzo politico preposto alle attività volte alla prevenzione e alla repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione entro il 31 gennaio di ogni anno, adotta il piano triennale di prevenzione della corruzione, curandone la trasmissione al Dipartimento della funzione pubblica.
Articolo 34-ter
(Documentazione
di spesa per interventi realizzati
con finanziamenti pubblici )
L’articolo
34-ter, introdotto dal Senato,
specifica che la copia autentica di assegni bancari emessi dal beneficiario a
pagamento di forniture di beni e servizi, purché corredati da relativa fattura
e lettera liberatoria, vale come documentazione di spesa per interventi
realizzati con finanziamenti pubblici.
In particolare si precisa che ai fini delle
rendicontazioni non ancora concluse alla data di entrata in vigore del presente
decreto-legge e per pagamenti già effettuati entro la stessa data relativi ad
interventi realizzati con finanziamenti pubblici, è da intendersi
documentazione di spesa anche l’esibizione di copia autentica di assegni
bancari emessi dal beneficiario a pagamento di forniture di beni e servizi,
purché corredati da relativa fattura e lettera liberatoria.
Al riguardo, si
valuti l’opportunità di meglio precisare la tipologia di interventi a cui la
disposizione fa riferimento.
Articolo 34-quater
(Imprese turistico-balneari)
L’articolo 34-quater, introdotto al Senato, demanda alle Regioni la fissazione degli indirizzi per lo svolgimento delle attività accessorie degli stabilimenti balneari. Più in particolare l’esercizio di somministrazione di alimenti e bevande e gli intrattenimenti musicali e danzanti (attività accessorie), devono esser svolti nel rispetto delle particolari condizioni di tutela dell’ambiente, ivi incluso l’ambiente urbano, nonché dell’ordine pubblico, dell’incolumità e della sicurezza pubblica ed entro gli orari di esercizio cui sono funzionalmente e logisticamente collegate.
In particolare, modifica l’articolo 11 della L. 217/2011 (comunitaria 2010) emanato al fine di chiudere la procedura di infrazione n. 2008/4908[318], nonché al fine di rispondere all'esigenza degli operatori del mercato di usufruire di un quadro normativo stabile che consenta lo sviluppo e l'innovazione dell'impresa turistico-balneare-ricreativa.
Più in particolare l’articolo in esame:
§ sostituisce il comma 6, dell’articolo 11.
Il nuovo comma 6, nel ribadire la definizione di imprese turistico balneari, innova la precedente disposizione in quanto demanda alle Regioni la fissazione degli indirizzi per lo svolgimento delle attività accessorie degli stabilimenti balneari. Si prevede, inoltre, che l’esercizio di somministrazione di alimenti e bevande e gli intrattenimenti musicali e danzanti devono esser svolti nel rispetto delle particolari condizioni di tutela dell’ambiente, ivi incluso l’ambiente urbano, nonché dell’ordine pubblico, dell’incolumità e della sicurezza pubblica. Inoltre tali attività devono essere effettuate entro gli orari di esercizio cui sono funzionalmente e logisticamente collegate e devono svolgersi nel rispetto delle vigenti norme, prescrizioni e autorizzazioni in materia edilizia, urbanistica, igienico-sanitaria e di inquinamento acustico. Infine gli indirizzi regionali sono recepiti a livello comunale con apposita ordinanza del Sindaco, nel rispetto del principio di sussidiarietà e di proporzionalità.
L’attuale comma 6 dell’’art. 11 della legge 217/2011 prevede che si intendono quali imprese turistico-balneari le attività classificate all’articolo 01, comma 1, lettere b), c), d) ed e), del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494, che si svolgono su beni del demanio marittimo, ovvero le attività di stabilimento balneare, anche quando le strutture sono ubicate su beni diversi dal demanio marittimo. La disposizione prevede inoltre che non possono essere poste limitazioni di orario o di attività, diverse da quelle applicate agli altri esercizi ubicati nel territorio comunale, per le attività accessorie degli stabilimenti balneari, quali le attività ludico-ricreative, l'esercizio di bar e ristoranti e gli intrattenimenti musicali e danzanti, nel rispetto delle vigenti norme, prescrizioni e autorizzazioni in materia edilizia, urbanistica, igienico-sanitaria e di inquinamento acustico. Il comma 11 prosegue prevedendo che, fermo restando quanto previsto dall'articolo 6, comma 2-quinquies, del decreto-legge 3 agosto 2007, n. 117, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 ottobre 2007, n. 160, le attività di intrattenimento musicale e di svago danzante ivi previste non sono soggette a limitazioni nel numero degli eventi, nelle modalità di espletamento e nell'utilizzo degli apparati tecnici e impiantistici necessari allo svolgimento delle manifestazioni. Per gli eventi di intrattenimento musicale e danzante si applicano i limiti di rumorosità previsti per le attività a carattere temporaneo stabiliti dalle regioni in attuazione della legge 26 ottobre 1995, n. 447.
Si ricorda che il comma 2-quinquies l’artico 54 della L. 120/2010 prevede che i titolari e i gestori di stabilimenti balneari muniti della licenza di cui ai commi primo e secondo dell'articolo 86 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, e successive modificazioni, sono autorizzati a svolgere nelle ore pomeridiane particolari forme di intrattenimento e svago danzante, congiuntamente alla somministrazione di bevande alcoliche, in tutti i giorni della settimana, nel rispetto della normativa vigente in materia e, ove adottati, dei regolamenti e delle ordinanze comunali, comunque non prima delle ore 17 e non oltre le ore 20. Sono fatte salve le autorizzazioni già rilasciate per lo svolgimento delle forme di intrattenimento e svago di cui al presente comma nelle ore serali e notturne. Per lo svolgimento delle forme di intrattenimento di cui al presente comma non si applica l'articolo 80 del citato testo unico di cui al regio decreto n. 773 del 1931;
§ inserisce tre nuovi commi 6-bis, 6-ter, 6-quater.
In caso di intrattenimenti danzanti, i progetti sottoposti all’esame delle Commissioni di cui all’articolo 141 del regio decreto 6 maggio 1940, n. 635, recante Regolamento per l’esecuzione del TULPS, devono individuare espressamente i luoghi in cui si svolge l’attività di pubblico spettacolo o intrattenimento (comma 6-bis). La disciplina di cui all’articolo 80 del TULPS, di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, si applica esclusivamente ai soli luoghi di pubblico spettacolo individuati nei progetti di cui al comma 6-bis (comma 6-ter)
Si ricorda che l’articolo 80 del TULPS prevede che l'autorità di pubblica sicurezza non può concedere la licenza per l'apertura di un teatro o di un luogo di pubblico spettacolo, prima di aver fatto verificare da una commissione tecnica la solidità e la sicurezza dell'edificio e l'esistenza di uscite pienamente adatte a sgombrarlo prontamente nel caso di incendio
Si ricorda che l’articolo 141 del R.D. 635/1940 ha istituito le commissioni di vigilanza aventi, tra l’altro il compito di esprimere il parere sui progetti di nuovi teatri e di altri locali o impianti di pubblico spettacolo e trattenimento, o di sostanziali modificazioni a quelli esistenti
Non fanno parte dell'intrattenimento danzante e sono quindi sottratte alla disciplina dell’articolo 80 del TULPS, le aree della concessione demaniale circostanti ai locali di pubblico spettacolo individuati nei progetti di cui al comma 6-bis, purché prive di recinzioni di qualsiasi tipo e di strutture specificatamente destinate allo stazionamento del pubblico per assistere a spettacoli, in quanto aventi caratteristiche di locale all’aperto, come descritto all’articolo 1, comma 2, lettera a), del citato decreto ministeriale 30 novembre 1983. (comma 6-quater).
Si segnala che il decreto ministeriale 30 novembre 1983 disciplina
norme in materia di “Termini,
definizioni generali e simboli grafici di prevenzione incendi”.
Articolo 34-quinquies
(Piano strategico di sviluppo del
turismo)
L’articolo
34-quinquies, introdotto al
Senato, istituisce il piano strategico di sviluppo del turismo in Italia,
adottato dal Governo entro il 31 dicembre 2012.
Su proposta del ministro con delega al
turismo, sentita la conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le
regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, il Governo adotta,
previo parere delle competenti commissioni parlamentari, un piano strategico di
sviluppo del turismo in Italia.
Il piano, di durata almeno quinquennale, deve essere adottato entro il 31 dicembre 2012, e poi aggiornato con cadenza biennale utilizzando le medesime procedure
necessarie per la sua adozione.
Annualmente, il Ministro con delega al
turismo adotta un programma attuativo
delle linee strategiche individuate dal piano.
Si segnala che il giorno 24 ottobre 2012 la Commissione Attività Produttive, Commercio e Turismo ha svolto l'audizione del Ministro per gli Affari regionali, turismo e sport, Piero Gnudi, sul piano strategico per il turismo.
Articolo 34-sexies
(Privilegi in materia di accise)
L’articolo 34-sexies, introdotto durante l’esame del provvedimento al Senato, intende riconoscere anche ai crediti vantati dai titolari di licenza per l'esercizio di depositi commerciali di prodotti energetici ad accisa assolta il privilegio generale sui beni mobili dei cessionari dei prodotti, loro debitori, con lo stesso grado del privilegio previsto dall'articolo 2752 del codice civile, cui tuttavia è posposto, per l'ammontare dell'accisa corrisposta, a condizione che essa venga evidenziata separatamente in fattura.
Il richiamato articolo 2752 c.c. prevede che i crediti dello Stato per le imposte e le sanzioni dovute secondo le norme in materia di imposta sul reddito delle persone fisiche, imposta sul reddito delle persone giuridiche, imposta sul reddito delle società, imposta regionale sulle attività produttive ed imposta locale sui redditi hanno privilegio generale sui mobili del debitore; hanno altresì privilegio generale sui mobili del debitore i crediti dello Stato per le imposte, le pene pecuniarie e le soprattasse dovute secondo le norme relative all'imposta sul valore aggiunto. Hanno lo stesso privilegio, subordinatamente a quello dello Stato, i crediti per le imposte, tasse e tributi dei comuni e delle province previsti dalla legge per la finanza locale e dalle norme relative all'imposta comunale sulla pubblicità e ai diritti sulle pubbliche affissioni.
La disposizione in esame innova l’articolo 16 del decreto legislativo n. 504 del 1995 (Testo Unico delle Accise – TUA) ai sensi del quale il credito dell’amministrazione finanziaria ha privilegio, a preferenza di ogni altro, sulle materie prime, sui prodotti, sui serbatoi, sul macchinario e sul materiale mobile esistenti negli opifici di produzione o negli altri depositi fiscali, anche se di proprietà di terzi.
In particolare, il comma 3 dell’articolo 16 prevede che i crediti vantati dai soggetti passivi dell’accisa verso i cessionari dei prodotti per i quali i soggetti stessi hanno assolto tale tributo possano essere addebitati a titolo di rivalsa; essi hanno privilegio generale sui beni mobili del debitore, con lo stesso grado del privilegio generale stabilito all’articolo 2752 del codice civile, il cui privilegio tuttavia è posposto, limitatamente a un importo corrispondente all’ammontare dell’accisa, qualora questa risulti separatamente evidenziata nella fattura relativa alla cessione.
Si rammenta in proposito che con l’interrogazione a risposta immediata in Commissione Finanze n. 5-05648 del 2 novembre 2011 è stata chiesta al Governo la revisione dell’attuale disciplina del privilegio in materia di accise sui prodotti petroliferi disciplinato dal richiamato articolo 16 del TUA. In particolare, la necessità di rivedere tale disciplina è stata ritenuta discriminante nei confronti degli operatori all'ingrosso di tale comparto produttivo. Secondo l’articolo 16, infatti, il privilegio è riconosciuto esclusivamente a favore dei soggetti che materialmente assolvono il tributo (accise) al momento dell'immissione in consumo del prodotto (ad es. compagnie petrolifere), mentre analogo privilegio non è riconosciuto ai rivenditori dei prodotti petroliferi, i quali, pur essendo i soggetti nei confronti dei quali si perfeziona l'immissione in consumo, non possono essere tuttavia considerati consumatori finali.
L’Agenzia delle Dogane in merito ha fatto presente che il vigente articolo 16, comma 3 riconosce il suddetto privilegio ai soggetti passivi dell'accisa verso i cessionari dei prodotti; soggetti passivi sono, di norma, i titolari dei depositi fiscali dai quali avviene l'immissione in consumo dei prodotti, con l'uscita dal regime sospensivo, allorché tali prodotti vengono trasferiti per lo più ad impianti che stoccano il prodotto ad accisa assolta (depositi commerciali, depositi per uso privato, impianti di distribuzione stradale di carburanti) e più raramente ad utilizzatori finali. Quanto richiesto nell'interrogazione presuppone la previsione di un diritto di rivalsa del soggetto cedente nei confronti dei propri cessionari nonché di questi ultimi nei confronti dei propri successivi cessionari.
La modifica del menzionato articolo 16 costituirebbe un'assoluta novità nel settore dell'imposizione indiretta sulla produzione e sui consumi in quanto si verrebbe a codificare il trasferimento dell'imposta con l'istituto della rivalsa laddove finora, fatta eccezione per l'imposizione sul gas naturale e sull'energia elettrica, il trasferimento dell'imposta è avvenuto secondo il meccanismo economico della traslazione.
Il Governo ha successivamente accolto, il 19 aprile 2012, l’ordine del giorno n. 9/05109-AR/087, impegnandosi a valutare l'opportunità di adottare gli opportuni provvedimenti legislativi e/o d'interpretazione autentica volti ad assicurare che il privilegio di cui all'articolo 16, comma 3 del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504 sia applicato altresì ai crediti vantati verso i cessionari dei prodotti dai titolari di licenza per l'esercizio di depositi commerciali di prodotti energetici ad imposta assolta, relativamente all'importo dell'accisa corrispondente ai prodotti ceduti, sempre che tale importo risulti separatamente evidenziato nella fattura relativa alla cessione del prodotto.
Per effetto delle norme in commento sono assistiti da privilegio anche i crediti vantati dai titolari di licenza per l’esercizio di depositi commerciali di prodotti energetici ad imposta assolta, sui beni mobili dei cessionari dei prodotti, loro debitori, ai sensi dell'articolo 2752 del codice civile, alle condizioni di legge.
Articolo 34-septies
(Modifiche al regime del registro delle
imprese di pesca)
L’articolo 34-septies, introdotto al Senato, dispone che nella sezione speciale del registro delle imprese
siano iscritti anche gli imprenditori ittici; le disposizioni attuative sono
demandate ad un decreto del Ministro dell’agricoltura di concerto con quello
dello sviluppo.
Il comma
1 novella l’articolo 2 del DPR n. 558/99 che stabilisce che vadano iscritti
nella sezione speciale del registro
delle imprese i seguenti soggetti: imprenditori agricoli di cui
all'articolo 2135 c.c., i piccoli imprenditori di cui all'articolo 2083 c.c. e
le società semplici. Le norme in commento aggiungono tra gli iscritti della
sezione anche gli imprenditori ittici,
con ciò intendendosi i titolari di licenza di pesca che esercitino
professionalmente - in forma singola, associata o societaria - l'attività di
pesca e quelle ad essa connesse (così l’art. 4 del D.lgs. n. 4/12[319]).
Alla concreta istituzione del registro delle imprese - di cui all'art. 2188 del codice civile - si è provveduto con il DPR n. 581/95 che ha gradualmente unificati i registri e gli elenchi esistenti per le varie attività imprenditoriali[320]. La tenuta del registro, che è automatizzato, è affidata alla Camera di Commercio.
Le funzioni proprie del Registro, che costituisce una vera e propria anagrafe economica in cui sono registrati tutti i fatti salienti di un'impresa, dalla nascita alla cessazione, sono:
§ rilascio di certificati relativi ad atti depositati;
§ rilascio copie di atti depositati o iscritti;
§ bollatura e numerazione dei libri e delle scritture sociali;
§ tenuta del repertorio delle notizie economiche e amministrative (REA);
§ rilascio di elenchi merceologici e di iscritti in albi e ruoli o registri camerali.
L’assetto del registro, inizialmente costituito da una sezione ordinaria e quattro sezioni speciali riguardanti gli imprenditori agricoli, i piccoli imprenditori (compresi i coltivatori diretti), le società semplici, nonché le imprese artigiane, è stato modificato dal DPR n. 558/99[321], che con l'art. 2, ha disposto l'unificazione delle quattro sezioni in un'unica sezione speciale.
Tra i punti qualificanti del DPR di semplificazione è anche la previsione di collegamenti telematici tra le camere di commercio e le pubbliche amministrazioni a partire dal 2000, per permetterne l'accesso agli atti iscritti o depositati e consentire lo scambio di informazioni (art. 5).
Va rammentato infine che con l'articolo 2 del D.lgs. n. 228/01, in materia di orientamento e modernizzazione del settore agricolo, è stato disposto che l'iscrizione nella sezione speciale, cui sono tenuti gli imprenditori agricoli, i coltivatori diretti e le società semplici che esercitano attività agricola, oltre alle funzioni di certificazione anagrafica e di quelle stabilite in leggi speciale, abbia anche l'effetto di rendere opponibili a terzi i fatti per i quali l'articolo 34 c.c. richiede l'iscrizione. In mancanza di iscrizione essi non saranno opponibili a terzi a meno che si provi che questi ne abbiano avuto in ogni caso conoscenza (articolo 2193 c.c.).
Il
comma 2 attribuisce al dicastero
agricolo il compito di adottare le disposizioni attuative, che dovranno
definire le modalità di integrazione
nel registro
delle imprese, di cui all’art. 2188 del codice civile, delle informazioni attualmente
contenute nel registro delle imprese di pesca, di cui all’art. 63 del DPR n.
1639/68, che ha recato il regolamento d’esecuzione della legge 963/65 sulla
pesca marittima.
Il decreto deve essere adottato entro l’anno in corso: le disposizioni prevedono il concerto del Ministro dello sviluppo, in deroga a quanto previsto dall’articolo 10, comma. 1, del D.lgs. n. 153, che prevede il concerto “dei Ministeri competenti per materia e di intesa con le regioni e le provincie Autonome”.
Nelle cinque sezioni del registro delle imprese di pesca, previsto dall’articolo 63 del regolamento n. 1639/68[322], istituito presso ogni Capitaneria di porto, debbono essere iscritte le imprese che esercitano la pesca professionale, distinte per tipologia di attività:
§ pesca costiera, che a sua volta si distingue in
- pesca locale che si esercita nelle acque marittime fino ad una distanza di sei miglia dalla costa, con o senza navi da pesca di quarta categoria, o da terra;
- e pesca ravvicinata, che si esercita nelle acque marittime fino ad una distanza di 40 miglia dalla costa, con navi da pesca di categoria non inferiore alla terza;
§ pesca mediterranea o d'altura, che si svolge nelle acque del mare Mediterraneo, con navi da pesca di categoria non inferiore alla seconda;
§ pesca oltre gli Stretti od oceanica, che si esercita oltre gli Stretti, con navi di prima categoria;
§ nella pesca professionale rientra anche la cattura di specie migratorie, la pescicoltura e la molluschicoltura nonché lo sfruttamento di banchi sottomarini, esercitati mediante lo stabilimento di apprestamenti fissi o mobili, temporanei o permanenti.
Il registro deve contenere le indicazioni di cui all’articolo 66, necessarie ad identificare l’imprenditore, individuare l’impresa, e determinare l’attività svolta.
Articolo 34-octies
(Riordino dei servizi automobilistici
sostitutivi o integrativi dei servizi ferroviari di interesse regionale e
locale)
L’articolo 34-octies, introdotto nel corso dell’esame presso il Senato, disciplina l’affidamento e la gestione dei servizi automobilistici sostitutivi o integrativi dei servizi ferroviari di interesse regionale e locale, prevedendone l’affidamento con gara.
Il comma 1 precisa che si fa riferimento ai servizi sostitutivi dei servizi ferroviari regionali e locali di cui agli articoli 8 e 9 del decreto legislativo n. 422/1997.
L’articolo 8 del decreto legislativo n. 422/1997 demanda alle regioni le competenze in materia di servizi ferroviari di interesse regionale e locale non in concessione a F.S. S.p.a, mentre l’articolo 9 demanda le medesime competenze, a decorrere dal 1999, per i servizi ferroviari di interesse regionale e locale in concessione a F.S. S.p.a.
Il comma 2 esclude dall’applicazione dell’articolo i servizi sostitutivi ed integrativi come definiti dal comma 3, vale a dire i servizi a carattere temporaneo resi necessari dalla provvisoria interruzione della rete ferroviaria o dalla provvisoria sospensione del servizio ferroviario per interventi di manutenzione straordinaria, guasti e altre cause di forza maggiore, nonché i servizi resi necessari da un provvisorio e non programmabile picco della domanda di trasporto e svolti in orari ed itinerari identici al servizio da essi integrato.
Per queste tipologie si continua ad applicare il regio decreto legge n. 1575/1931 che, tra le altre cose, all’articolo 1 autorizza il ministro per le comunicazioni (ora ministro per le infrastrutture e i trasporti) a sostituire parzialmente o totalmente i servizi ferroviari con servizi automobilistici.
Il comma 4 prevede che le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano organizzino, entro il 30 giugno 2013, il servizio in bacini territoriali non inferiori alle province e non superiori all’ambito regionale, organizzati in modo tale da risultare “ottimali” cioè tali da massimizzare l’efficienza e realizzare l’integrazione con i servizi qualificati come minimi ai sensi dell’articolo 16 del decreto legislativo n. 422/1997
L’articolo 16 del decreto legislativo n. 422/1997 prevede che i servizi minimi siano definiti tenendo conto
a) dell'integrazione tra le reti di trasporto;
b) del pendolarismo scolastico e lavorativo;
c) della fruibilità dei servizi da parte degli utenti per l'accesso ai vari servizi amministrativi, sociosanitari e culturali;
d) delle esigenze di riduzione della congestione e dell'inquinamento.
Nel caso le regioni e
le province autonome non provvedano nel termine indicato il Governo può esercitare il potere sostitutivo ai
sensi dell’articolo 8 della legge n. 131/2003[323]
La citata disposizione disciplina l’esercizio del potere sostitutivo di cui all’articolo 120 della Costituzione da parte del Governo nei confronti delle regioni e degli enti locali. In particolare, si prevede che il presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del ministro competente per materia, anche su iniziativa delle Regioni o degli enti locali, assegna all'ente interessato un congruo termine per adottare i provvedimenti dovuti o necessari; decorso inutilmente tale termine, il Consiglio dei ministri, sentito l'organo interessato, su proposta del ministro competente o del presidente del Consiglio dei ministri, adotta i provvedimenti necessari, anche normativi, ovvero nomina un apposito commissario. Alla riunione del Consiglio dei ministri partecipa il presidente della Giunta regionale della Regione interessata al provvedimento.
La disposizione richiama l’articolo 3-bis del decreto-legge n. 138/2011[324] il quale prevede che a tutela della concorrenza e dell'ambiente, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano organizzano lo svolgimento dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica definendo il perimetro degli ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei tali da consentire economie di scala e di differenziazione idonee a massimizzare l'efficienza del servizio.
Il comma 5 prevede che dal 31 dicembre 2013 i servizi oggetto dell’articolo siano affidati con procedure competitive ad evidenza pubblica nel rispetto dei principi del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea e dei principi generali relativi ai contratti pubblici, con riferimento in particolare ai principi di economicità, trasparenza, imparzialità, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento e proporzionalità.
Anche in questo caso decorso il termine, il Consiglio dei ministri può esercitare il potere sostitutivo come definito dall’articolo 8 della legge n. 131/2003.
Il comma 6 definisce alcune caratteristiche dei bandi di gara o delle lettere di invito che devono essere predisposti per le procedure di gara. In particolare si prevede che:
§ i corrispettivi a base d’asta siano quantificati secondo il criterio dei costi standard ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo n. 422/1997
Tale disposizione prevede che le regioni e gli enti locali definiscono gli obblighi di servizio pubblico, prevedendo nei contratti di servizio di cui all'articolo 19, le corrispondenti compensazioni economiche alle aziende esercenti i servizi stessi, determinate secondo il criterio dei costi standard che dovrà essere osservato dagli enti affidanti nella quantificazione dei corrispettivi da porre a base d'asta previsti nel bando di gara o nella lettera di invito, tenendo conto dei proventi derivanti dalle tariffe e di quelli derivanti anche dalla eventuale gestione di servizi complementari alla mobilità.
§ la valutazione delle offerte deve avvenire secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa da parte di una commissione nominata dall’ente affidante e composta da soggetti esperti nella specifica materia.
Nel diritto dei contratti pubblici il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa è indicato come alternativo a quello del prezzo più basso ed implica una valutazione più complessiva del servizio offerto dal partecipante alla procedura di gara.
§ assicura che i criteri di valutazione delle offerte basati su qualità e quantità dei servizi resi e sui progetti di integrazione con i servizi minimi già esistenti prevalgano su quelli riferiti al prezzo unitario dei servizi.
§ indica i criteri per il passaggio dei dipendenti ai nuovi aggiudicatari dei servizi inserendo tra gli elementi per la valutazione dei servizi l’adozione di strumenti di tutela dei livelli occupazionali e dei livelli salariali medi annui relativi alla precedente gestione.
Il comma 7 prevede infine che le regioni e le province autonome destinino le economie di gara eventualmente realizzate alle seguenti finalità:
§ l’acquisto di autobus appartenenti alla classe III o alla classe B come definite dal decreto del ministro delle infrastrutture e dei trasporti 23 dicembre 2003
Il riferimento è in realtà al decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti del 23 dicembre 2003, pubblicato nella “Gazzetta ufficiale” del 6 febbraio 2004. Tale decreto contiene in Allegato una tabella di corrispondenza con le classificazioni del precedente DM 18 aprile 1977 in base alle quali rientrano nella classe III (se il numero dei passeggeri è superiore a 22) o nella classe B (se il numero dei passeggeri è inferiore o uguale a 22): a) gli autobus per uso di terzi, per servizio di linea interurbano senza passeggeri in piedi e gli autobus granturismo; b) i servizi di noleggio con conducente; c) gli autobus per uso proprio privati.
§ l’incremento qualitativo dei servizi minimi automobilistici a domanda elevata;
§ l’adeguamento inflativo (si deve intendere all’inflazione) contrattualmente previsto dei corrispettivi per l’esercizio del servizio;
§ il cofinanziamento regionale ai rinnovi del contratto collettivo nazionale relativo al settore del trasporto pubblico regionale e locale.
Articolo 34-novies
(Definizione dei contributi per programmi
di edilizia residenziale)
L’articolo 34-novies, introdotto durante l’esame al Senato, reca norme volte alla definizione dei contributi per alcuni programmi di edilizia residenziale.
In particolare, la norma è volta alla chiusura delle posizioni debitorie e creditorie che riguardano sostanzialmente una serie di contributi previsti da una serie di leggi sull’edilizia residenziale pubblica (e.r.p.) che hanno agevolato la realizzazione di alloggi di e.r.p. da parte di imprese di costruzione e cooperative di abitazione a proprietà divisa o indivisa. Le leggi richiamate sono[325]:
§ l’art 16, comma 2, della legge n. 166 del 1975 che fa riferimento all’art. 72 della legge n. 865 del 1971 sulle agevolazioni fiscali per l’edilizia agevolata e convenzionata e al titolo secondo del decreto legge n. 1022 del 1965 sulle agevolazioni creditizie per l'edilizia;
§ gli artt. 2 e 10 della legge n. 513 del 1977 che fanno rispettivamente riferimento ai richiamati contributi per i programmi di edilizia agevolata e convenzionata previsti dal punto precedente;
§ il citato art. 72 della legge n. 865 del 1971;
§ l'art. 6 della legge n. 492 del 1975 che fa anch’esso riferimento ai contributi relativi all’art. 72 della legge n. 865 del 1971 sulle agevolazioni fiscali per l’edilizia agevolata e convenzionata e il titolo secondo del decreto legge n. 1022 del 1965 sulle agevolazioni creditizie per l'edilizia. In realtà il riferimento è all’art. 6 del decreto legge n. 376 del 1975 che è stato convertito dalla citata legge n. 492 del 1975.
Il particolare meccanismo di erogazione del contributo agevolativo previsto dalle citate leggi, comportava che questo fosse corrisposto alle banche in via provvisoria, salvo conguaglio (positivo o negativo) all’estinzione del mutuo da effettuarsi sulla base del tasso effettivo dell’operazione stabilito al momento della prima erogazione in relazione alla tipologia del contributo stesso (proprietà indivisa o divisa, 3% / 4% o 5,5% o 9%).
La relazione tecnica ricorda che tali conguagli non sono stati, nella quasi totalità dei casi, eseguiti, a causa della complessa procedura richiesta che, oltre alle banche coinvolge molti operatori (MIT, Provveditorati alle OO:PP:, cooperative edilizie, imprese, IACP, e altri) e che, conseguentemente, non è stato possibile procedere all’emanazione dei provvedimenti ministeriali per la determinazione del contributo agevolativo definito in ragione del “lunghissimo tempo trascorso dal decreto di concessione del mutuo provvisorio e in ragione delle difficoltà di reperire i documenti relativi ai requisiti soggettivi degli assegnatari a trenta anni di distanza”. La stessa relazione sottolinea, infine, come da un recente censimento del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (MIT) sia emerso che le operazioni ancora in essere riguardano 3.400 cooperative/imprese/enti ex IACP e, per ciascuna di esse, un numero di soci non ancora quantificato (e comunque superiore a 70.000). Da ciò, la completa definizione dei mutui che si ritiene necessario estinguere consentirebbe di dare seguito alle richieste di trasformazione delle cooperative da proprietà indivisa a proprietà individuale e di far cessare ogni forma di vigilanza statale.
Per la chiusura di tali situazioni debitorie o creditorie il MIT viene autorizzato a provvedere al pagamento dei conguagli dei contributi di cui alle richiamate leggi sulla base della certificazione fornita dalle banche relativa ai singoli interventi agevolativi e delle autocertificazioni prodotte, ai sensi del D.P.R. n. 445 del 2000 dai singoli beneficiari in ordine alla sussistenza dei requisiti soggettivi.
A sua volta l’'Agenzia delle entrate, anche avvalendosi della collaborazione dei Provveditorati interregionali per le opere pubbliche, può effettuare controlli a campione in relazione alla sussistenza del requisito del reddito. In relazione ai requisiti oggettivi, la cooperativa ovvero l'impresa o il soggetto pubblico dedicato all'edilizia residenziale, deve invece produrre il certificato di agibilità previsto dagli artt. 24 e 25 del D.P.R. n. 380 del 2001 (Testo unico dell’edilizia)[326].
Qualora venga accertata la mancanza anche di uno solo dei requisiti necessari, il beneficiario decade dal diritto al contributo statale ed è tenuto alla restituzione di quanto indebitamente percepito, oltre gli oneri accessori di legge.
Il comma 2 definisce le procedure che le banche dovranno applicare al fine di consentire le compensazioni nei confronti del MIT.
In particolare, le banche sono autorizzate a compensare le posizioni debitorie e creditorie, risultanti dalla certificazione citata, nei confronti del MIT nell'ambito del gruppo bancario di appartenenza.
La certificazione evidenzia le complessive posizioni debitorie e creditorie relative alle leggi sui programmi di edilizia residenziale.
Sono esclusi dalle compensazioni i conguagli relativi alle operazioni oggetto di contenzioso sulla sussistenza dei requisiti oggettivi e soggettivi previsti per la fruizione del contributo pubblico.
Ai sensi del comma 3, infine, le risorse derivanti dalle posizioni di credito del MIT nei confronti degli Istituti bancari mutuanti sono versate all'entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnate, al pertinente capitolo dello stato di previsione del MIT in funzione della predetta chiusura delle posizioni debitorie e creditorie.
La relazione tecnica precisa che le somme rinvenienti dalle posizioni di credito del MIT che ad oggi vengono versate alla Cassa depositi e prestiti sono finalizzate su apposito capitolo del ministero e quindi senza oneri a carico del bilancio dello Stato. L’erogazione delle risorse avverrà in modo graduale nel corso dei prossimi anni e nei limiti degli effetti già considerati negli andamenti tendenziali, di indebitamento netto e fabbisogno.
Da ultimo il comma 4 autorizza il Ministro dell’economia e delle finanze ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.
Articolo 34-decies
(Disposizioni
in materia di collegamento stabile viario e ferroviario tra Sicilia e
continente)
L’articolo 34-decies, introdotto al Senato, traspone nel presente decreto le disposizioni dettate dall’art. 1 del D.L. 2 novembre 2012, n. 187 recante “Misure urgenti per la ridefinizione dei rapporti contrattuali con la Società Stretto di Messina S.p.A. ed in materia di trasporto pubblico locale”, all’esame del Senato (A.S. 3556), che risultano comunque modificate in alcune parti rispetto al testo originariamente presentato dal Governo. Tali disposizioni delineano le procedure da seguire per la citata ridefinizione e prevedono, in mancanza del rispetto delle fasi disciplinate, precisi casi di caducazione di tutti gli atti posti in essere tra concessionario e contraente generale. In tali casi di caducazione viene altresì prevista la liquidazione della società Stretto di Messina S.p.A. Viene inoltre previsto che alla copertura finanziaria degli oneri derivanti dagli eventuali indennizzi conseguenti all'attuazione del presente articolo si provveda a carico delle risorse del Fondo per lo Sviluppo e la Coesione.
Il comma 1 prevede la stipula, tra la società Stretto di Messina S.p.A. ed il contraente generale, di apposito atto aggiuntivo al contratto vigente per l'attuazione delle disposizioni contenute nell’articolo in commento.
Tale disposizione viene giustificata, nel medesimo comma, in considerazione dell’attuale condizione di tensione dei mercati finanziari internazionali che impone, a tutela della finanza pubblica, particolari esigenze di cautela nella verifica della sostenibilità del piano economico finanziario del collegamento stabile viario e ferroviario tra Sicilia e Continente (di seguito Ponte), anche in relazione alle modalità di finanziamento previste.
Il comma in esame prevede altresì la trasmissione dell’atto aggiuntivo alle competenti commissioni parlamentari entro 30 giorni dalla stipula.
Si noti che il termine perentorio per la stipula dell’atto aggiuntivo, viene fissato dal successivo comma 8, che fa dipendere dalla mancata stipula, entro il 1° marzo 2013, la caducazione degli atti concessori (vedi infra).
Per quanto riguarda il Ponte sullo Stretto, si segnala che l’opera è compresa nel Programma delle infrastrutture strategiche (PIS) di cui all’art. 1, comma 1, della L. 443/2001 (“legge obiettivo”). Per una descrizione delle caratteristiche dell’opera e dello stato di attuazione al 30 aprile 2011 si rinvia alla scheda n. 65 tratta dalla sesta edizione del Rapporto sull’attuazione della “legge obiettivo”, curata dal Servizio Studi della Camera e presentata alla Commissione ambiente nel mese di settembre 2011[327]. Si segnala, inoltre, che la tabella E della legge n. 183 del 2011 (legge di stabilità 2012) ha, tra l’altro, integralmente ridotto le risorse di cui art. 2, comma 204, della legge n. 191 del 2009 (finanziaria 2010), pari a 470 milioni di euro per l’anno 2012, quale contributo alla società ANAS Spa per la sottoscrizione e l’esecuzione, negli anni 2012 e seguenti, di aumenti di capitale della società Stretto di Messina S.p.A. per lo studio, la progettazione, la gestione e l'esercizio del solo collegamento viario, a valere sulle risorse del fondo per il finanziamento di interventi urgenti e indifferibili, di cui all'articolo 7-quinquies, comma 1, del D.L. 5/2009. Si fa presente, inoltre, che con la delibera CIPE n. 6 del 20 gennaio 2012 è stato ridefinito il quadro finanziario complessivo del Fondo per lo sviluppo e la coesione (FSC) per il periodo 2012-2015. Per quanto riguarda il Ponte, nella tabella "1 - Quadro delle riduzioni di spesa sul Fondo Infrastrutture" risulta: una riduzione di spesa di 1.287,324 milioni sui 1.300 assegnati con delibera CIPE 102/2009; una riduzione di spesa di 337 milioni (l'intero importo assegnato con Delibera CIPE 121/2009) di cui 330 relativi all'aumento di capitale ANAS e RFI nella Società Stretto di Messina e 7 alla Variante di Cannitello. Questi ultimi sono gli unici riassegnati dalla delibera nella tabella "4 - Assegnazioni a interventi indifferibili e provvisti di titoli giuridici perfezionati (art. 33, comma 3, legge n. 183/2011)". L’aggiornamento del PIS presentato al Parlamento - in data 1° ottobre 2012 - in allegato alla Nota di aggiornamento del DEF 2012 (Doc. LVII, n. 5-bis, Allegato II), e precisamente la Tabella 0 i cui dati sono aggiornati al mese di giugno 2012, espone un costo totale dell’opera di 8.549,90 milioni di euro, di cui 1.227,20 disponibili.
In merito alle vicende procedimentali dell’opera e anche per un’analisi delle norme contenute nel D.L. 187/2012 trasposto nell'articolo in esame, si rinvia all’audizione dell'amministratore unico di ANAS S.p.A. e amministratore delegato di Stretto di Messina S.p.A., Pietro Ciucci, tenutasi presso l’8a Commissione del Senato nella seduta del 6 novembre scorso[328], nell’ambito dell’indagine conoscitiva sulla realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina.
Il comma 2 disciplina la procedura da seguire per l’esame in linea tecnica del progetto definitivo dell’opera.
Per l’avvio di tale procedura viene previsto che, entro 60 giorni dalla stipula dell’atto aggiuntivo, la società Stretto di Messina presenti al CIPE, ai fini di un primo esame in linea tecnica del progetto definitivo dell’opera, unitamente agli elaborati tecnici nonché ai necessari pareri e autorizzazioni, i piani economico finanziari accompagnati da una completa e dettagliata analisi dell’intervento che attesti la sostenibilità dell’investimento, con riguardo sia alle condizioni praticate nel mercato dei capitali sia alle varie ipotesi di finanziamento pubblico.
Il CIPE, in sede di esame tecnico, può valutare parti progettuali dotate di autonoma funzionalità alla cui effettiva realizzazione si potrà procedere sentite le Regioni interessate.
Lo stesso comma dispone che i piani economici e finanziari e le relative analisi che attestano la sostenibilità dell'investimento sono, altresì, trasmessi alle competenti commissioni parlamentari.
Si osserva che non viene fissato un termine finale per il completamento
dell’esame in linea tecnica da parte del CIPE dal quale decorrono i termini
previsti dal secondo e dal terzo periodo del comma 3, nonché dal comma 4
Il comma 3, primo periodo, demanda alla concessionaria (società Stretto di Messina S.p.a.) in esito all'esame in linea tecnica del progetto definitivo, l’avvio delle necessarie iniziative per la selezione della migliore offerta di finanziamento dell'infrastruttura con capitali privati, senza che ciò dia luogo ad impegni contrattuali vincolanti per la concessionaria stessa.
I periodi secondo e terzo del comma 3 disciplinano il caso di mancata individuazione del soggetto finanziatore entro il termine per l'esame del progetto definitivo stabilito dal comma 4 (pari a 540 giorni successivi al completamento dell’esame del progetto in linea tecnica).
In tale eventualità:
§ sono caducati tutti gli atti che regolano i rapporti di concessione, nonché le convenzioni ed ogni altro rapporto contrattuale stipulato dalla concessionaria;
§ a definitiva e completa tacitazione di ogni diritto e pretesa, gli effetti della caducazione dei vincoli contrattuali comportano esclusivamente il riconoscimento di un indennizzo costituito dal pagamento:
- delle prestazioni progettuali contrattualmente previste e direttamente eseguite;
- di una ulteriore somma pari al 10% dell'importo predetto.
La caducazione è un fenomeno di accertamento esterno del venir meno delle condizioni per la sussistenza di obbligazioni contrattuali, solitamente effettuato dall’autorità giurisdizionale. La caducazione ex-lege degli atti contrattuali rappresenta un intervento ablativo esterno alla vicenda concessoria tra concedente e concessionario ed alla vicenda contrattuale tra concessionario e general contractor.
Il comma 4 prevede che, dalla data di entrata in vigore del D.L. 187/2012 (2 novembre 2012[329]) fino all’approvazione del progetto definitivo da parte del CIPE (che dovrà avvenire entro e non oltre i 540 giorni successivi al completamento dell'esame del progetto in linea tecnica), sono sospesi tutti gli effetti dei contratti stipulati dalla società Stretto di Messina con il Contraente generale e gli altri soggetti affidatari dei servizi connessi alla realizzazione dell'opera.
Viene altresì previsto
che per il periodo di sospensione:
§ non potranno essere avanzate dai contraenti pretese risarcitorie o di altra natura a nessun titolo. ;
§ sono sospesi gli adeguamenti economici a qualsiasi titolo previsti.
Il comma in esame prevede altresì che per le parti progettuali non esaminate dal CIPE la sospensione degli effetti contrattuali permane, con le modalità sopra indicate, fino al reperimento dell’integrale copertura finanziaria.
Viene inoltre disposto che le parti dovranno improntare il loro comportamento secondo i princìpi della buona fede.
Relativamente al termine di 540 giorni previsto dal comma in esame, la relazione illustrativa all’A.S. 3556 afferma che esso è stato individuato in coerenza con quanto già previsto dal contratto vigente e consentirebbe di seguire l'eventuale miglioramento della congiuntura economica.
Il comma 5 prevede che la mancata approvazione del progetto definitivo dell’opera da parte del CIPE comporti la caducazione di tutti gli atti che regolano i rapporti di concessione, nonché le convenzioni ed ogni altro rapporto contrattuale stipulato dalla società concessionaria, secondo le modalità e per gli effetti di cui al comma 3.
Si ha quindi l’individuazione di un’ulteriore fattispecie di caducazione degli atti che regolano i rapporti di concessione, nonché le convenzioni ed ogni altro rapporto contrattuale stipulato dalla concessionaria, diversa di quella di cui ai commi 3 (mancata individuazione del soggetto finanziatore) e 8 (mancata stipula dell'atto aggiuntivo di cui al comma 1 entro il termine perentorio del 1° marzo 2013)
Ai sensi del comma 6, la società Stretto
di Messina S.p.A. può essere autorizzata - previa approvazione dei progetti definitivi da parte del CIPE e
d’intesa con le Regioni interessate, ad
eseguire lavori infrastrutturali:
§
funzionali
all’esigenza dell’attuale domanda di
trasporto anche in caso di mancata realizzazione del Ponte;
§
ricompresi nel progetto definitivo generale;
§
a carico del bilancio dello Stato nei
limiti delle risorse che saranno individuate con successivi provvedimenti.
Il comma 7 prevede che con atto di indirizzo interministeriale
(adottato di concerto dai Ministri dell’economia e delle finanze e delle
infrastrutture e dei trasporti) siano impartite direttive finalizzate all’immediato contenimento dei costi di gestione
e di personale della società Stretto di Messina S.p.a.
Il comma 8 prevede un’ulteriore fattispecie di caducazione (diversa da quella di cui ai
commi 3 e 5) di tutti gli atti che regolano i rapporti di concessione, nonché
delle convenzioni ed ogni altro rapporto contrattuale stipulato dalla società
concessionaria, in ragione della mancata
stipula dell'atto aggiuntivo di cui al comma 1 entro il termine perentorio
del 1° marzo 2013.
Anche questa fattispecie di caducazione è prevista secondo le modalità e per gli effetti di cui al comma 3.
Rispetto alle altre fattispecie previste, in tale caso viene specificato che la caducazione ha effetto dalla data di entrata in vigore del D.L. 187/2012 (2 novembre 2012).
Ai sensi del comma 9, nei casi di caducazione previsti dall’articolo (commi 3, 5 e 8), con apposito D.P.C.M., su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, viene posta in liquidazione la società Stretto di Messina S.p.a.
Per lo svolgimento delle attività liquidatorie, è nominato un commissario liquidatore che dovrà concludere le operazioni entro e non oltre un anno dalla nomina.
Il comma 10 reca la copertura finanziaria degli oneri derivanti dagli eventuali indennizzi conseguenti all'attuazione del presente articolo.
A tale copertura si provvede mediante utilizzo dell'autorizzazione di spesa di cui all'art. 61 della L. 289/2002 (finanziaria 2003) e successivi rifinanziamenti, relativa al Fondo per lo Sviluppo e la Coesione.
A tal fine le risorse del FSC sono coerentemente riprogrammate dal CIPE a valere sulle assegnazioni destinate al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
Si ricorda che il citato art. 61 ha istituito il Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS), poi ridenominato in Fondo per lo Sviluppo e la Coesione (FSC) dall’art. 4, comma 1, del D.Lgs. 88/2011.
Si segnala che l’art. 2, comma 12, del ddl di stabilità 2013 (A.S. 3584) assegna al FSC una dotazione finanziaria aggiuntiva di 250 milioni di euro per l'anno 2013 da destinare all'attuazione delle misure urgenti per la ridefinizione dei rapporti contrattuali con la società Stretto di Messina Spa. Ulteriori risorse fino alla concorrenza di 50 milioni di euro sono destinate alla medesima finalità a valere sulle risorse rivenienti dalle revoche di cui all'art. 32, commi 2-4, del D.L. 98/2011.
Il comma 2 dell’art. 32 del D.L. 98/2011 dispone la revoca dei finanziamenti assegnati dal CIPE entro il 31 dicembre 2008 per la realizzazione delle opere ricomprese nel Programma Infrastrutture Strategiche (PIS) di cui alla L. 443/2001 per le quali, alla data di entrata in vigore del D.L. 98/2011 (vale a dire il 6 luglio 2011) non sia stato emanato il decreto interministeriale previsto dall'art. 1, comma 512, della L. 296/2006 e non sia stato pubblicato il relativo bando di gara. Il comma 3 revoca i finanziamenti assegnati dal CIPE per la realizzazione delle opere ricomprese nel PIS, i cui soggetti beneficiari, autorizzati alla data del 31 dicembre 2008 all'utilizzo dei limiti di impegno e dei contributi pluriennali con il decreto interministeriale previsto dal citato comma 512 che, alla data di entrata in vigore del D.L. 98/2011, non abbiano assunto obbligazioni giuridicamente vincolanti, non abbiano bandito la gara per l’aggiudicazione del relativo contratto di mutuo, ovvero, in caso di loro utilizzo mediante erogazione diretta, non abbiano chiesto il pagamento delle relative quote annuali al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (MIT) e non sia stato pubblicato il relativo bando di gara. Il comma 4, analogamente ai commi precedenti, reca i criteri per la revoca dei finanziamenti assegnati per la progettazione delle opere ricomprese nel PIS.
Il successivo comma 6 ha inoltre previsto che le quote annuali dei limiti di impegno e dei contributi revocati e iscritte in bilancio ai sensi dei commi 2, 3 e 4, affluiscono al Fondo appositamente istituito nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
Il comma 11 prevede che gli eventuali indennizzi conseguenti all'attuazione dell’articolo, sono preventivamente comunicati alle competenti commissioni parlamentari con:
§ l’elencazione dei destinatari e delle relative somme loro riconosciute;
§ l'indicazione puntuale delle prestazioni progettuali previste ed eseguite che hanno dato luogo all'indennizzo per ciascuno dei predetti soggetti;
Articolo 34-undecies
(Disposizioni in materia di trasporto
pubblico locale)
L’articolo 34-undecies, introdotto nel corso dell’esame presso il Senato,
stabilisce, al comma 1, che il Fondo per il finanziamento del
trasporto pubblico locale, anche ferroviario, sia ripartito, per il corrente
anno 2012, sulla base del criterio storico. Il comma 2 consente l’utilizzo del Fondo per l'acquisto di veicoli
adibiti al miglioramento dei servizi offerti per il trasporto pubblico locale,
per la prosecuzione degli interventi di potenziamento del trasporto marittimo
di passeggeri nello Stretto di Messina.
Il comma 1 stabilisce che, nelle more del completamento del processo di riordino della disciplina in materia di trasporto pubblico locale, per l'anno 2012 il Fondo di cui agli articoli 21, comma 3, del D.L. n. 98/2011,[330] e 30, comma 3, del D.L. n. 201/2011,[331] è ripartito tra le regioni sulla base del criterio storico. La ripartizione è effettuata con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, da adottare d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.
L’articolo 21, comma 3, del citato D.L. n. 98/2011 ha istituito il Fondo per il finanziamento del trasporto pubblico locale, anche ferroviario, con una dotazione di 400 milioni di euro annui a decorrere dal 2011. L’articolo 30, comma 3, del citato D.L. n. 201/2011 ha incrementato la dotazione del Fondo di 800 milioni di euro annui a decorrere dal 2012.
L’articolo 2, comma 43, dell’A.S. 3584 (disegno di legge di stabilità 2013)[332] sostituisce l’articolo 16-bis del D.L. n. 95/2012[333], relativo al finanziamento del trasporto pubblico locale, anche ferroviario, e istituisce il Fondo nazionale per il concorso finanziario dello Stato agli oneri del trasporto pubblico locale, anche ferroviario, nelle regioni a statuto ordinario, alimentato da una quota di compartecipazione al gettito derivante dalle accise sul gasolio e sulla benzina. L’aliquota di compartecipazione verrà determinata con successivo D.P.C.M. in misura tale che la dotazione del Fondo corrisponda agli attuali stanziamenti, con una maggiorazione di 465 milioni di euro per l’anno 2013, 443 milioni di euro per l’anno 2014 e 507 milioni di euro annui a decorrere dal 2015. La norma detta disposizioni per la ripartizione del Fondo, prevedendo criteri di ripartizione finalizzati alla razionalizzazione e al miglioramento dell’efficienza del servizio.
Il vigente articolo 16-bis del citato D.L. n. 95/2012 demanda a un D.P.C.M., da emanare entro il 31 ottobre 2012, la definizione di criteri e modalità di ripartizione e trasferimento alle regioni a statuto ordinario delle risorse del Fondo per il finanziamento del trasporto pubblico locale, anche ferroviario, di cui all’articolo 21, comma 3, del citato D.L. n. 98/2011 e all’articolo 30, comma 3, del citato D.L. n. 201/2011.
Si evidenzia che il testo del comma 1 in esame riproduce l’articolo 2, comma 1, del D.L. n. 187/2012[334], il quale a sua volta riprende quanto stabilito dall’articolo 9, comma 1, capoverso art. 16-bis, comma 3, dell’A.C. 5534 recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2013)”, stralciato dal Presidente della Camera, ai sensi dell’articolo 120, comma 2, del Regolamento (si veda la comunicazione all’Assemblea del 18 ottobre 2012).
Si segnala che, sulla base di quanto previsto dal sopra citato articolo 2, comma 1, del D.L. n. 187/2012, è stato emanato il decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, 4 dicembre 2012, recante “Riparto delle risorse destinate al finanziamento del trasporto pubblico locale per l’anno 2012 di cui all’articolo 21, comma 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111”[335].
Il comma 2 stabilisce che il Fondo per l'acquisto di veicoli adibiti al miglioramento dei servizi offerti per il trasporto pubblico locale, istituito dall’articolo 1, comma 1031, delle legge n. 296/2006[336], sia utilizzato anche per la prosecuzione, per gli anni 2013, 2014, 2015 e 2016, degli interventi di potenziamento del trasporto marittimo di passeggeri nello Stretto di Messina, previsti dall’articolo 8, comma 4, del D.L. n. 159/2007.[337]
Il citato comma 1031 dell’articolo 1 della legge n. 296/2006 ha istituito il menzionato Fondo, con una dotazione di 100 milioni di euro per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009. Il Fondo, tenendo conto anche delle successive integrazioni del citato comma 1031, è destinato alla concessione di contributi, nella misura massima del 75 per cento, per l’acquisto delle seguenti tipologie di veicoli:
§ veicoli ferroviari da destinare ai servizi di competenza regionale;
§ veicoli destinati a servizi su linee metropolitane, tranviarie e filoviarie,
§ unità navali destinate al trasporto pubblico locale effettuato per via marittima, lagunare, lacuale e fluviale;
§ autobus a minor impatto ambientale o ad alimentazione non convenzionale.
§ elicotteri e idrovolanti destinati ad un servizio minimo di trasporto pubblico locale per garantire collegamenti con isole minori interessate dal fenomeno del pendolarismo;
Per l’acquisto dei veicoli di cui ai primi tre punti è riservato almeno il 50 per cento della dotazione del Fondo.
Gli interventi di potenziamento del trasporto marittimo di passeggeri nello Stretto di Messina, previsti dal citato comma 4 dell’articolo 8 del D.L. n. 159/2007, sono:
§ acquisto e noleggio di navi,
§ adeguamento e potenziamento dei pontili e dei relativi servizi,
§ collegamento veloce dell'aeroporto di Reggio Calabria con Messina ed altri eventuali scali,
§ introduzione di agevolazioni tariffarie nel periodo dell'emergenza, conseguente al trasferimento del traffico, per effetto dei lavori sul tratto Bagnara-Reggio Calabria dell’autostrada A3;
§ istituzione del sistema informativo dei servizi di mobilità nello Stretto.
Per i suddetti interventi il citato comma 4 ha autorizzato una spesa di 40 milioni di euro per il 2007.
Articolo 34-duodecies
(Concessioni demaniali marittime)
L’articolo 34-duodecies, introdotto al Senato, proroga di cinque anni, dal 31 dicembre 2015 al 31 dicembre 2020, la scadenza delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative.
La proroga viene concessa novellando l’art. 1, comma 18 del D.L. n. 194 del 2009, convertito con modificazioni dalla legge n. 25/2010 il quale, in attesa della revisione della legislazione nazionale in materia, ha prorogato sino al 31 dicembre 2015 le concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative che erano in essere al 30 dicembre 2009 (data di entrata in vigore del decreto-legge) e la cui scadenza era fissata entro la suddetta data del 31 dicembre 2015.
L’articolo 1, comma 18, del D.L. n. 194 del 2009, stabilisce che, ferma restando la disciplina relativa all'attribuzione di beni a regioni ed enti locali, nelle more del procedimento di revisione del quadro normativo in materia di rilascio delle concessioni di beni demaniali marittimi con finalità turistico-ricreative, da realizzarsi, quanto ai criteri e alle modalità di affidamento di tali concessioni, sulla base di intesa in sede di Conferenza Stato-regioni, che è conclusa nel rispetto dei principi di concorrenza, di libertà di stabilimento, di garanzia dell'esercizio, dello sviluppo, della valorizzazione delle attività imprenditoriali e di tutela degli investimenti, nonché in funzione del superamento del diritto di insistenza di cui all'articolo 37, secondo comma, secondo periodo, del codice della navigazione, il termine di durata delle concessioni in essere alla data di entrata in vigore del presente decreto e in scadenza entro il 31 dicembre 2015 è prorogato fino a tale data.
Il termine di durata delle concessioni in essere viene pertanto prorogato, dall’articolo 34-duodecies in commento, al 31 dicembre 2020.
Lo stesso articolo 18, mediante un richiamo all’articolo 03, comma 4-bis, del decreto-legge. n. 400 del 1993, aveva espressamente confermate le scadenze delle concessioni fissate in una data successiva al 31 dicembre 2015. Il comma 18 aveva inoltre previsto l'abrogazione del secondo periodo del secondo comma dell'articolo 37 del Codice della navigazione che dava preferenza al concessionario uscente in occasione del rinnovo delle concessioni.
Si ricorda che il codice della navigazione, all’art. 37, comma 2, stabiliva che per il rilascio di nuove concessioni demaniali marittime per attività turistico-ricreative, fosse data preferenza alle richieste che comportano attrezzature non fisse, amovibili, nonché, in caso di rinnovo, fosse data preferenza, rispetto alle nuove, alle concessioni già rilasciate precedentemente.
La necessità di procedere alla revisione della normativa in materia di concessioni demaniali marittime era stata sollevata dall'apertura di una procedura di infrazione comunitaria (n. 2008/4908) nei confronti dell'Italia circa la disciplina che prevedeva il rinnovo automatico delle concessioni e la preferenza accordata al concessionario uscente.
Il legislatore italiano è dapprima intervenuto, come detto, con l’art. 1, co. 18, del D.L. 194/2009[338], abrogando il secondo comma dell'articolo 37 del Codice della navigazione, che dava preferenza al concessionario uscente in occasione del rinnovo delle concessioni. La Commissione europea, con un atto successivo (messa in mora complementare 2010/2734 del 5 maggio 2010), ha però evidenziato ulteriori profili di illegittimità della normativa italiana.
In seguito agli ulteriori rilievi, con l’art. 11 della legge n. 217/2011 (legge comunitaria 2010), è stato abrogato il co. 2 dell’art. 01 del D.L. n. 400/1993, il quale fissava in sei anni la durata delle concessioni demaniali marittime e prevedeva il loro rinnovo automatico alla scadenza per la stessa durata.
L’articolo 11 della legge comunitaria 2010 ha infine delegato il Governo ad emanare, entro il 17 aprile 2013, un decreto legislativo avente ad oggetto la revisione e il riordino della legislazione relativa alle concessioni demaniali marittime.
In conseguenza di questi interventi legislativi, la procedura di infrazione è stata chiusa in data 27 febbraio 2012.
La disposizione andrebbe quindi valutata alla luce del contenuto dei
rilievi di compatibilità con il diritto dell’Unione europea oggetto della
procedura di infrazione richiamata.
Procedure di contenzioso
(a cura
dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)
Il 27 febbraio 2012 la Commissione europea ha archiviato la procedura di infrazione n. 2008/4908, che aveva avviato il 29 gennaio 2009, rilevando l’incompatibilità con l’ordinamento dell’UE di alcuni profili della normativa italiana riguardante le concessioni demaniali marittime.
La Commissione ha proceduto all’archiviazione ritenendo che le disposizioni di cui all’articolo 11 della legge comunitaria per il 2010 (legge 15 dicembre 2011, n. 217) rendano conforme la normativa italiana in materia a quella dell’Unione europea.
Con la lettera di messa in mora, con cui era stata
avviata la procedura di infrazione, la Commissione europea contestava la
compatibilità con l’ordinamento dell’UE dell’art. 37, comma 2, del codice della navigazione, e dell’art.
9, comma 4, della legge regionale
Friuli Venezia Giulia 13 novembre 2006, n. 22, che, prevedendo una preferenza per il concessionario uscente
nell’ambito della procedura di attribuzione delle concessioni del demanio
pubblico marittimo, risultavano a suo avviso discriminatorie per le imprese
provenienti da altri Stati membri.
Facendo seguito all’avvio della procedura di infrazione, il 21 gennaio 2010 il Governo italiano aveva notificato alla Commissione il decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194 (convertito in legge 26 febbraio 2010, n. 25), volto ad adeguare le disposizioni del Codice della navigazione oggetto di rilievi, eliminando, in particolare, la preferenza in favore del concessionario uscente nell’ambito della procedura di attribuzione delle concessioni.
Dopo aver esaminato tali disposizioni, la Commissione tuttavia aveva tenuto ferma la procedura di infrazione formulando ulteriori contestazioni all’Italia.
In particolare, la Commissione aveva rilevato alcune discrepanze tra il testo originario del decreto-legge n. 194/2009 e quello della relativa legge di conversione la quale, in particolare, all’articolo 1, comma 18, recava un rinvio - non previsto nel decreto legge n. 194/2009 - all’articolo 1, comma 2, del decreto legge 5 ottobre, 1993, n. 400.[339]
La Commissione aveva ritenuto che i rinvii alle norme in questione, stabilendo esse il rinnovo automatico, di sei anni in sei anni, per le concessioni che giungono a scadenza, privassero nella sostanza di effetto il decreto-legge n. 194/2009, fossero contrari alla normativa UE, in particolare con riferimento:
§ all’articolo 12 della direttiva 2006/123/CE sui servizi nel mercato interno che prevede una procedura di selezione imparziale e trasparente, con un’adeguata pubblicità, nel caso in cui il numero delle autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato a causa della scarsezza delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili. Il paragrafo 2 dell’articolo 12, inoltre, vieta il rinnovo automatico delle autorizzazioni nonché eventuali altri vantaggi al prestatore uscente. La Commissione riteneva che le concessioni di beni pubblici marittimi oggetto della procedura di infrazione costituissero autorizzazioni il cui numero è limitato ai sensi dell’articolo 12 in esame; pertanto l’articolo 01, comma 2, del decreto-legge n. 400/93, violava il citato articolo 12 laddove favoriva l’attribuzione di concessioni marittime a concessionari già titolari di una concessione e quindi già stabiliti in Italia, attribuendo un privilegio ai prestatori uscenti per i quali viene rinnovata la concessione senza applicare una procedura imparziale o trasparente;
§
all’articolo
49 del Trattato sul funzionamento dell’UE che vieta le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini
di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro. A tale riguardo la
Commissione richiamava alla giurisprudenza della Corte di giustizia che ha
sottolineato l’incompatibilità delle
norme nazionali che rendono più difficile l’accesso al mercato di operatori
provenienti dagli altri Stati membri[340]. Sottolineava altresì che nel caso del rinnovo automatico delle concessioni
marittime a favore dell’operatore uscente previsto dalla normativa italiana non
si possano applicare le deroghe previste dagli articoli 51 e 52 del medesimo
Trattato (attività che partecipano all’esercizio di pubblici poteri, motivi di
ordine pubblico, sicurezza pubblica e sanità pubblica).
Articolo 35
(Desk
Italia – Sportello Unico Attrazione Investimenti Esteri)
L’articolo 35, interamente sostituito dal Senato, istituisce, all’interno del Ministero dello sviluppo economico, il Desk Italia - Sportello unico attrazione investimenti esteri, che diviene il principale soggetto pubblico di coordinamento territoriale nazionale per gli investitori esteri che intendano realizzare in Italia significativi investimenti reali. Il Desk costituisce il punto di accesso per l'investitore estero in relazione a tutte le vicende amministrative riguardanti il relativo progetto di investimento, fungendo da raccordo fra le attività svolte dall'Agenzia – ICE, e dall'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa – Invitalia.
Il comma 1 prevede l’istituzione, con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dello Sviluppo economico, del Desk Italia – Sportello Unico Attrazione Investimenti Esteri, come principale soggetto pubblico di coordinamento territoriale nazionale per gli investitori esteri che manifestino un interesse reale e concreto alla realizzazione in Italia di investimenti di natura non strettamente finanziaria e di rilevante impatto economico e significativo interesse per il Paese. L’intenzione è quella di rilanciare la politica di attrazione degli investimenti dall’estero.
Il comma 2, elenca compiti e funzioni del Desk, che:
§ costituisce il punto di accesso per l’investitore estero in relazione a tutte le vicende amministrative riguardanti il relativo progetto di investimento;
§ funge da raccordo tra le attività svolte dall’Agenzia–ICE[341] e quelle svolte dall’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa-Invitalia. Nel testo originario del decreto, modificato dal Senato, era indicato come compito del Desk anche quello di coordinare la risposta unica e tempestiva di tutte le amministrazioni pubbliche e di tutti i soggetti pubblici comunque coinvolti nei procedimenti riguardanti la realizzazione dell’investimento proveniente dall’estero;
§ convoca apposite conferenze di servizi (nel testo originario del decreto, modificato dal Senato, tali conferenze di servizi erano anche presiedute dal Desk) nonché quelle indette dal Ministero dello sviluppo economico per le ipotesi di crisi industriale complessa (espressamente previste dall’articolo 27, comma 4, del decreto-legge n. 83/2012[342]);
§ propone la sostituzione di procedimenti amministrativi con accordi integrativi o sostitutivi dei relativi provvedimenti (articolo 15 della legge 241/1990). Tale punto è stato introdotto dal Senato.
Secondo il comma 3, modificato dal Senato, il Desk concorda con ICE-Agenzia e con Invitalia le modalità e le procedure attraverso le quali realizzare gli indirizzi della cabina di regia di cui all’articolo 14, comma 18-bis, del decreto-legge n. 98 del 2011, cioè di quell'organo[343] cui viene demandata la formulazione delle linee guida e di indirizzo strategico in materia di internazionalizzazione, anche per quanto riguarda la programmazione delle risorse.
Il Desk è un soggetto interno al Ministero dello Sviluppo economico, che opera in raccordo col Ministero degli affari esteri, avvalendosi del personale del ministero stesso, senza ulteriori oneri per la finanza pubblica.
L’ultimo periodo del comma 3 mira ad associare lo specifico processo di riorganizzazione del Ministero conseguente alla soppressione dell’ICE al quadro del più ampio processo di riorganizzazione coinvolgente tutte le Amministrazioni centrali, previsto dal decreto legge 6 luglio 2012 n. 95 quale conseguenza delle riduzioni delle dotazioni organiche delle amministrazioni: ciò giustificherebbe l'emanazione di regolamenti in deroga ai termini previsti dal decreto legge 6 luglio 2012 n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135. COMMA 3 fare con dip lavoro
Ai sensi del comma 4 le Regioni provvederanno ad individuare l’ufficio interno al quale attribuire le funzioni di raccordo con il Desk, a fini di coordinamento con le iniziative di investimento estere localizzate in ambito regionale e con potere, all’occorrenza, di convocare e presiedere conferenze di servizi per gli investimenti esteri di esclusivo interesse regionale. L'ufficio dovrà essere scelto tra quelli già operativi nell’ambito delle rispettive articolazioni e, dunque, senza oneri ulteriori per la finanza pubblica.
La relazione illustrativa precisa che l’individuazione da parte delle Regioni, entro un breve termine, di questi uffici di raccordo è necessaria al fine di scongiurare che significativi investimenti provenienti dall’estero e approdati al Desk subiscano battute d’arresto a livello di attuazione locale.
Il comma 5, introdotto dal Senato, prevede che all’ufficio interno di cui al comma 4 sono prioritariamente adibiti i dipendenti a tempo indeterminato del soppresso ICE (Istituto per il commercio estero), dei quali sia avvenuto il trasferimento alle Regioni in conformità con le intese di cui all’articolo 14, comma 26-sexies, lettera a), del decreto-legge n.98/2011.
Si ricorda che l’articolo 14, commi da 17 a 27, del DL 98/2011 (come modificato dall’articolo 22 del DL n.201/2011) ha soppresso l’Istituto nazionale del commercio estero (ICE), e istituito l’Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane», ente dotato di personalità giuridica di diritto pubblico, sottoposta ai poteri di indirizzo e vigilanza del Ministero dello sviluppo economico, che li esercita, per le materie di rispettiva competenza, d’intesa con il Ministero degli affari esteri e sentito il Ministero dell’economia e delle finanze.
In particolare, l’articolo 14, comma 26-sexies, lettera a), prevede che sulla base delle linee guida e di indirizzo strategico determinate dalla cabina di regia[344] , l’Agenzia provvede (entro sette mesi dalla costituzione) a una riorganizzazione degli uffici all’estero mantenendo in Italia soltanto gli uffici di Roma e Milano. Il Ministero dello sviluppo economico, l'Agenzia, le regioni e le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura possono definire opportune intese per individuare la destinazione delle risorse umane, strumentali e finanziarie assegnate alle sedi periferiche soppresse.
Il comma 6 integrato dal Senato, assegna al Desk il potere di formulare annualmente proposte di semplificazione normativa ed amministrativa sul tema dell’attrazione degli investimenti esteri. Secondo l’integrazione apportata dal Senato, il Desk deve garantire che gli indirizzi per l’operatività dello Sportello non vengano modificati per un periodo di tempo necessario ad assicurare la realizzazione degli investimenti in Italia da parte degli investitori esteri.
Si provvede infine, col comma 7, ad una revisione della disposizione che disciplina le competenze degli organi di vertice dell’Agenzia – ICE. In particolare, si interviene sul D.L. 98/2011, articolo 14, comma 22, per introdurre alcuni limiti alle funzioni del direttore generale. Secondo le modifiche introdotte, il direttore generale svolge sempre funzioni di direzione, coordinamento e controllo della struttura dell'Agenzia, ma con la precisazione “secondo le modalità ed i limiti previsti dallo statuto”. Egli continuerà a formulare proposte al consiglio di amministrazione, ma d'ora in poi d’intesa con il Presidente, e a dare attuazione ai programmi e alle deliberazioni approvate dal consiglio di amministrazione, ma anche alle disposizioni operative del presidente, assicurando altresì gli adempimenti di carattere tecnico-amministrativo relativi alle attività dell'Agenzia ed al perseguimento delle sue finalità istituzionali.
Articolo 36,
commi 1 e 2
(Misure
in materia di confidi)
L'articolo 36, ai commi 1 e 2, mira a rafforzare patrimonialmente i confidi consentendo di imputare al fondo consortile, al capitale sociale o ad apposita riserva, i fondi rischi e gli altri fondi o riserve patrimoniali o finanziamenti per la concessione delle garanzie costituiti da contributi dello Stato, delle regioni e di altri enti pubblici esistenti alla data del 31 dicembre 2012. Nel corso dell’esame al Senato, è stato consentito altresì di accantonare i predetti contributi per la copertura dei rischi.
Più in dettaglio, il comma 1 consente ai confidi di imputare al fondo consortile, al capitale sociale o ad apposita riserva i fondi rischi e gli altri fondi o riserve patrimoniali o finanziamenti per la concessione delle garanzie costituiti da contributi dello Stato, delle regioni e di altri enti pubblici; deve trattarsi di fondi esistenti alla data del 31 dicembre 2012 (data inserita nel corso dell’esame in sede referente, in luogo della data di entrata in vigore del decreto-legge in esame).
Come specificato dalla relazione illustrativa, le risorse interessate dalla disposizione in esame farebbero già parte dei mezzi propri dei confidi ma su di esse potrebbero gravare dei vincoli di destinazione (per esempio territoriali) che non consentono il loro utilizzo a presidio dei rischi complessivamente assunti. Attraverso la destinazione di tali contributi al fondo consortile o al capitale sociale tali vincoli verrebbero pertanto fatti cadere ope legis.
La norma mira in sostanza a rafforzare patrimonialmente i confidi senza porre oneri aggiuntivi a carico del bilancio dello Stato (secondo quanto affermato dalla relazione tecnica).
Si ricorda che i confidi, soggetti operanti nella catena finanziaria a sostegno delle imprese, sono definiti dall'articolo 13 del decreto-legge n. 269 del 2003 come i consorzi con attività esterna, le società cooperative, le società consortili per azioni, a responsabilità limitata o cooperative che svolgono l'attività di garanzia collettiva dei fidi, intendendosi per tale attività "l'utilizzazione di risorse provenienti in tutto in parte dalle imprese consorziate o socie per la prestazione mutualistica e imprenditoriale di garanzie volte a favorirne il finanziamento da parte delle banche e degli altri soggetti operanti nel settore finanziario".
La nuova formulazione dell’articolo 112 del D.Lgs. n. 385 del 1993 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia - TUB), dedicato agli altri soggetti operanti nell'attività di concessione di finanziamenti, distingue tra i confidi che svolgono esclusivamente l'attività di garanzia collettiva dei fidi (iscritti nell'elenco tenuto da apposito Organismo previsto dall'articolo 112-bis) e i confidi che esercitano in via prevalente l'attività di garanzia collettiva dei fidi (iscritti nell'Albo previsto dall’articolo 106 del TUB).
Nel corso dell’esame al Senato, è stato consentito altresì di accantonare i predetti contributi per la copertura dei rischi.
Le risorse vengono attribuite unitariamente al patrimonio, anche a fini di vigilanza, dei relativi confidi, senza vincoli di destinazione, nel caso siano destinati ad incrementare il patrimonio; la relativa delibera è di competenza dell’assemblea ordinaria.
Viene poi precisato che le eventuali azioni o quote corrispondenti costituiscono azioni o quote proprie dei confidi e non attribuiscono alcun diritto patrimoniale o amministrativo, né sono computate nel capitale sociale o nel fondo consortile ai fini del calcolo delle quote richieste per la costituzione e per le deliberazioni dell’assemblea.
La disposizione si applica:
§ ai confidi sottoposti entro il 31 dicembre 2013 a vigilanza diretta da parte della Banca d’Italia (comma 1);
Si tratta dei confidi attualmente iscritti nell’elenco di cui all’articolo 107 del TUB e, alla luce delle modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 141 del 2010, nell’albo degli intermediari finanziari di cui all’articolo 106 del TUB.
§ ai confidi che si sono rafforzati patrimonialmente e organizzativamente a seguito di (comma 2):
- operazioni di fusione realizzate a partire dal 1° gennaio 2007;
- operazioni di fusione che verranno realizzate entro il 31 dicembre 2013.
Con riferimento a tale ultima ipotesi (confidi interessati da processi di aggregazione) viene specificato che la delibera assembleare con cui vengono imputate le risorse potrà essere adottata entro il 30 giugno 2014.
Con riguardo alla materia disciplinata dall'articolo in commento, si ricorda che già l’articolo 13 del decreto legge 30 settembre 2003 n. 269, in tema di disciplina dell'attività di garanzia collettiva dei fidi, aveva disposto al comma 33 una disciplina speciale per l'imputazione a riserve patrimoniali dei fondi rischi di origine pubblica.
L’articolo 1, comma 881, della legge n. 296 del 2006 aveva poi consentito ai confidi, entro il 30 giugno 2007, di imputare al fondo consortile o al capitale sociale le risorse proprie costituite da fondi rischi o da altri fondi o riserve patrimoniali derivanti da contributi dello Stato, degli enti locali o territoriali o di altri enti pubblici.
Successivamente anche l'articolo 1, comma 134, della legge n. 244 del 2007 ha permesso alle banche di garanzia collettiva dei fidi ed ai confidi di imputare al fondo consortile, al capitale sociale o ad apposita riserva i fondi rischi e gli altri fondi o riserve patrimoniali costituiti da contributi dello Stato, delle regioni e di altri enti pubblici esistenti alla data del 30 giugno 2007.
Riguardo a tale ultima disposizione, secondo la relazione illustrativa essa avrebbe avuto un impatto di rilievo su molti confidi, favorendone un significativo rafforzamento proprio alla vigilia della crisi. Tuttavia, a causa di perplessità applicative, non tutti gli intermediari si sarebbero avvalsi dell’opportunità offerta dalla legge finanziaria 2008.
Articolo 36,
commi 2-bis e 2-ter
(Fondi mutualistici in agricoltura)
Le disposizioni dell’articolo 36, commi 2-bis e 2-ter, sono dirette a consentire la nascita di fondi mutualistici che attenuino i rischi in agricoltura, in particolare per la stabilizzazione dei redditi, e per stabilizzare le relazioni contrattuali tra gli imprenditori che sottoscrivano contratti di rete.
Per una gestione condivisa del rischio, il comma 2-bis dispone l’istituzione presso ISMEA di un fondo mutualistico nazionale, alimentato con i contributi volontari degli agricoltori, la cui finalità deve essere la stabilizzazione dei redditi. Va detto in merito che rischi di reddito non sono contemplati dalle norme sul Fondo di solidarietà nazionale (D.lgs. n. 102/2004) che ha l'obiettivo di tutelare produzioni agricole e zootecniche da eventi che, per la loro entità e imprevedibilità, assumono la veste di calamità naturali.
Le entrate del Fondo potranno essere costituite anche da contributi dello Stato, purché compatibili con le disposizioni comunitarie.
Il settore primario ha tradizionalmente posto in essere strategie per tutelarsi dai rischi atmosferici, assumendo iniziative per azioni di mutualità e solidarietà. Il D.M. 31 luglio 2002[345] ha consentito ai consorzi di difesa, ed alle cooperative (e loro consorzi), previo adeguamento degli statuti e su autorizzazione della regione, di istituire fondi rischi che possono intervenire sia per il risarcimento dei danni sulle produzioni agricole degli associati, sia facendo ricorso alla copertura assicurativa.
L'adesione al fondo è volontaria ed aperta a tutti i soci dell'organismo associativo, che possono sempre ricorrere singolarmente alla copertura assicurativa.
Nel regolamento dell'organismo associativo, approvato dalla regione territorialmente competente, debbono essere definiti modalità e limiti di copertura dei rischi con le risorse finanziarie del fondo, che può porre a proprio carico tutti i rischi assunti in garanzia, oppure cedere parte di essi a una o più imprese di assicurazione, o partecipare a fondi rischi regionali, interregionali o nazionali, che concorrono al pagamento dei risarcimenti. La contabilità del fondo deve essere tenuta separata dalle altre attività.
Il comma 3-bis dispone che un fondo di mutualità possa anche essere previsto con i contratti di rete sottoscritti da imprenditori del comparto agricolo con l’assistenza delle organizzazioni professionali di categoria (per i quali si veda al successivo comma 5), allo scopo di stabilizzare le relazioni contrattuali tra i contraenti. In tal caso si applicano le disposizioni definite per l’istituzione con i contratti di rete di fondi patrimoniali comuni. Tali norme sono scritte all’art. 3, comma 4-ter del D.L. n. 5/09.
L’ultimo periodo stabilisce che il fondo per la stabilizzazione delle relazioni contrattuali, di cui al presente comma, partecipi al fondo nazionale per la stabilizzazione dei redditi, di cui al precedente comma.
Si ricorda che l’articolo 3 del D.L. 5/2009[346] riguarda i distretti produttivi e le reti di imprese. Ai sensi del comma 4-ter, con il contratto di rete più imprenditori perseguono lo scopo di accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato e a tal fine si obbligano, sulla base di un programma comune di rete, a collaborare in forme e in ambiti predeterminati attinenti all’esercizio delle proprie imprese ovvero a scambiarsi informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica ovvero ancora ad esercitare in comune una o più attività rientranti nell’oggetto della propria impresa. Il contratto può anche prevedere l’istituzione di un fondo patrimoniale comune e la nomina di un organo comune incaricato di gestire, in nome e per conto dei partecipanti, l’esecuzione del contratto o di singole parti o fasi dello stesso.
Il successivo D.L. n. 83/12 con l’art. 45 ha stabilito che al fondo patrimoniale comune si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui agli articoli 2614 e 2615, secondo comma, del codice civile: l'articolo 2614, che disciplina l'autonomia patrimoniale del consorzio[347], prevede che il fondo, costituito dai contributi dei consorziati e dai beni acquistati medianti tali contributi, non sia divisibile per tutta la durata del consorzi, e che i creditori particolari dei consorziati non possano far valere i loro diritti sul fondo; il secondo comma dell'articolo 2615 stabilisce che i singoli consorziati rispondano solidalmente tramite il fondo per le obbligazioni assunte dagli organi del consorzio per loro conto, e in caso di insolvenza nei rapporti tra i consorziati il debito dell'insolvente sia ripartito tra tutti in proporzione delle quote.
Articolo 36,
comma 3
(Modifiche
alla disciplina degli strumenti
di finanziamento per le imprese)
L'articolo 36, al comma 3, reca una serie di modifiche all'articolo 32 del decreto-legge n. 83 del 2012, concernente gli strumenti di finanziamento per le imprese e le cambiali finanziarie, a fini di coordinamento con altre disposizioni ivi contenute.
Si ricorda che le cambiali finanziarie - definite dalla legge 13 gennaio 1994, n. 43 (come modificata dal citato articolo 32 del decreto-legge n. 83 del 2012) - sono titoli di credito all'ordine emessi in serie ed aventi una scadenza non inferiore a un mese e non superiore a trentasei mesi dalla data di emissione; esse sono equiparate per ogni effetto di legge alle cambiali ordinarie, sono girabili esclusivamente con la clausola «senza garanzia» o equivalenti e contengono, oltre alla denominazione di «cambiale finanziaria» e gli altri elementi specificati, l'indicazione dei proventi in qualunque forma pattuiti.
Più in dettaglio, il comma 3 dell'articolo in esame alla lettera a) novella il comma 8 dell'articolo 32 del decreto-legge n. 83 del 2012.
Il comma 8 citato, concernente il trattamento fiscale delle obbligazioni e delle cambiali finanziarie, viene modificato anzitutto prevedendo che le disposizioni dell'articolo 3, comma 115, della legge n. 549 del 1995, sulla parziale indeducibilità degli interessi, non si applichi alle obbligazioni e titoli similari e alle cambiali finanziarie, emesse da società non emittenti strumenti finanziari rappresentativi del capitale quotati in mercati regolamentati o in sistemi multilaterali di negoziazione, diverse dalle banche e dalle micro-imprese.
La disciplina suddetta viene pertanto estesa anche ai titoli similari alle obbligazioni.
In secondo luogo viene specificato il riferimento normativo relativo alla definizione di investitore qualificato che sottoscrive obbligazioni e cambiali finanziarie, ossia l’articolo 100 del decreto legislativo n. 58 del 1998 (TUF).
Viene quindi introdotta una soglia di rilevanza del 2 per cento del capitale o del patrimonio della società emittente sotto la quale non è necessario verificare che l’investitore qualificato non sia socio.
Nel corso dell’esame al Senato, sono state introdotte due ulteriori condizioni per la non applicabilità della norma sull’indeducibilità degli interessi:
a) in primo luogo gli strumenti finanziari in commento devono essere negoziati in mercati regolamentati o sistemi multilaterali di negoziazione di Paesi della Unione europea o di Paesi aderenti all'Accordo sullo spazio economico europeo inclusi nella cd. white list, vale a dire i paesi che consentono un adeguato scambio di informazioni;
b) inoltre,
il beneficiario effettivo dei
proventi deve essere residente in Italia o in Stati e territori
che consentono un adeguato scambio
di informazioni.
E’ stato, infine, precisato che le nuove disposizioni si applicano con riferimento agli strumenti emessi a partire dalla data di entrata in vigore del decreto-legge in esame (vale a dire il 20 ottobre 2012).
La lettera b) del comma 3 novella il comma 9 dell'articolo 32 del decreto-legge n. 83 del 2012, al fine di rendere applicabile anche alle cambiali finanziarie il regime di esenzione dalla ritenuta del 20 per cento di cui al comma 1 del decreto legislativo n. 239 del 1996 (prevista per le obbligazioni emesse dai c.d. "grandi emittenti", ossia banche e società quotate), anche nel caso di emittenti non quotati.
La lettera c) sopprime il comma 16 dell'articolo 32 del decreto-legge n. 83 del 2012, con cui si prevede che lo sponsor mantenga nel proprio portafoglio, fino alla naturale scadenza, una quota dei titoli emessi.
Si ricorda che, ai sensi dell'articolo 1 della legge n. 43 del 1994, lo sponsor - rappresentato da una banca, da un’impresa di investimento, da una società di gestione del risparmio (SGR), da una società di gestione armonizzata, da una società di investimento a capitale variabile (SICAV), purché con succursale costituita nel territorio della Repubblica - è un soggetto che collabora con l'emittente nella procedura di emissione e collocamento delle cambiali finanziarie.
Tale soppressione si rende necessaria in quanto la norma è identica ad altra disposizione contenuta nel comma 5-bis dello stesso articolo 32 (con la quale è stato inserito all'articolo 1 della legge n. 43 del 1994 il comma 2-bis, lettera b)).
La lettera d) modifica il comma 19 dell'articolo 32 del decreto-legge n. 83 del 2012, al fine di consentire alle società non emittenti strumenti finanziari rappresentativi del capitale quotati in mercati regolamentati o in sistemi multilaterali di negoziazione, diverse dalle banche e dalle micro-imprese, di emettere, oltre che obbligazioni, anche titoli similari con clausole di partecipazione agli utili di impresa e di subordinazione purché con scadenza iniziale uguale o superiore a 36 mesi
La lettera e) modifica il comma 21 dell'articolo 32 del decreto-legge n. 83 del 2012, concernente la clausola di partecipazione.
Si ricorda che, ai sensi del comma 21 citato, la clausola di partecipazione regola la parte del corrispettivo spettante al portatore del titolo obbligazionario, commisurandola al risultato economico dell'impresa emittente. Il tasso di interesse riconosciuto al portatore del titolo (vale a dire, la parte fissa del corrispettivo) non può essere inferiore al tasso ufficiale di riferimento. La società emittente titoli partecipativi si obbliga a versare annualmente al soggetto finanziatore, entro trenta giorni dall'approvazione del bilancio, una somma commisurata al risultato economico dell'esercizio, nella percentuale indicata all'atto dell'emissione (parte variabile del corrispettivo).
La norma in esame modifica il criterio di computo della componente variabile del corrispettivo, precisando che tale somma è proporzionale al rapporto tra il valore nominale delle obbligazioni partecipative e la somma del capitale sociale, aumentato della riserva legale e delle riserve disponibili risultanti dall'ultimo bilancio approvato, e del medesimo valore delle predette obbligazioni.
Secondo la relazione illustrativa tale modifica - per effetto della quale il rapporto fra obbligazioni partecipative e capitale sociale deve tener conto anche al denominatore delle obbligazioni - sarebbe finalizzata ad evitare che i soci siano esclusi dalla partecipazione agli utili.
La lettera f) modifica il comma 24 dell'articolo 32 del decreto-legge n. 83 del 2012, prevedendo che qualora l'emissione con clausole partecipative contempli anche la clausola di subordinazione e comporti il vincolo di non ridurre il capitale sociale se non nei limiti dei dividendi sull'utile dell'esercizio, la componente variabile del corrispettivo costituisce oggetto di specifico accantonamento per onere nel conto dei profitti e delle perdite della società emittente, rappresenta un costo e, ai fini dell'applicazione delle imposte sui redditi, è computata in diminuzione del reddito dell'esercizio di competenza, a condizione che il corrispettivo non sia costituito esclusivamente da tale componente variabile.
In sostanza, rispetto al testo previgente si prevede che la componente variabile del corrispettivo sia deducibile nella misura in cui sia prevista anche una quota di remunerazione fissa.
La lettera g) infine inserisce nell'articolo 32 del decreto-legge n. 83 del 2012 il nuovo comma 24-bis, al fine di prevedere anche con riferimento alla disposizione recata dal comma 24 la verifica in capo agli investitori delle stesse condizioni previste dal comma 8 per la disapplicazione dell'articolo 3, comma 115, della legge n. 549 del 1995 sulla parziale indeducibilità degli interessi (su cui vedi supra).
Articolo 36,
commi 3-bis–3-decies
(Partecipazione delle fondazioni bancarie
in Cassa Depositi e Prestiti)
I commi da 3-bis a 3-decies, introdotti al Senato, recano disposizioni concernenti il futuro assetto azionario di Cassa Depositi e Prestiti S.p.A. In particolare, le norme individuano i meccanismi per la conversione in azioni ordinarie delle azioni privilegiate in circolazione, attualmente in possesso delle Fondazioni bancarie e disciplinano, in alternativa, le modalità di esercizio del diritto di recesso da parte degli azionisti privati.
L’assetto azionario di CDP e la conversione delle azioni privilegiate
in possesso dell’azionista privato
Si ricorda che Cassa depositi e prestiti (CDP) S.p.A. è una società per azioni non quotata, costituita in tale forma giuridica ex lege ai sensi dell’articolo 5 del decreto-legge 30 settembre 2003 n. 269. Essa è controllata dallo Stato, che possiede il 70% del capitale, mentre il restante 30% è posseduto da 66 Fondazioni di origine bancaria., Tale assetto azionario è frutto dell’operazione di dismissione effettuata nel dicembre 2003, all’atto della trasformazione della Cassa in società per azioni. Il citato articolo 5 del D.L. n. 269 del 2003, oltre alla trasformazione di CdP in società per azioni, ha infatti disposto l’attribuzione delle relative quote azionarie allo Stato, con esercizio dei diritti dell’azionista da parte del MEF, consentendo a fondazioni bancarie ed altri soggetti pubblici o privati di detenere quote complessivamente di minoranza del capitale della società.
In attuazione della legge citata, il capitale sociale è stato determinato (D.M. del 5 dicembre 2003) in 3,5 milioni di euro, suddiviso in 350.000.000 di azioni del valore nominale di 10 euro, di cui 245.000.000 di azioni ordinarie (70% del capitale sociale) e 105.000.000 di azioni privilegiate (30% del capitale sociale).
In data 5 dicembre 2003 sono stati poi emanati due d.P.C.M. che, rispettivamente, disponevano: a) l’approvazione dello Statuto di CDP contenente, tra l’altro, la trasferibilità delle azioni a favore di fondazioni bancarie nonché di banche ed intermediari finanziari vigilati e le regole per la conversione delle azioni privilegiate in azioni ordinarie a far data dal 1° gennaio 2010; b) la cessione e le modalità di alienazione delle azioni privilegiate ai sensi della disciplina di legge. A tal fine il MEF ha perfezionato la dismissione del 30% del capitale della società a 65 Fondazioni bancarie, cedendo 105.000.000 azioni privilegiate del valore nominale complessivo di euro 1,05 ad un prezzo di vendita corrispondente al valore nominale delle azioni.
I contratti di compravendita sono stati stipulati con le singole fondazioni con accettazione da parte delle stesse dell’information memorandum e dello Statuto di CDP. La fissazione del prezzo di vendita delle azioni privilegiate è stata effettuata, ai sensi della legge n. 474 del 1994, sulla base di valutazione delle stesse azioni privilegiate rilasciate dai consulenti finanziari del Ministero, JP Morgan e Deutsche Bank. Le analisi svolte dai valutatori costituivano un parere sulla congruità del prezzo delle azioni privilegiate, al loro valore nominale, tenuto conto anche delle norme statutarie che attribuivano particolari diritti alle stesse. Tali pareri, pertanto, non rappresentavano una perizia di stima del patrimonio effettivo di CDP.
Lo statuto di CDP, nel 2003, prevedeva alcune specifiche caratteristiche delle azioni privilegiate. Ad esse erano infatti attribuiti particolari diritti di governance (tra cui il potere di blocco per l’approvazione delle delibere da assumere in assemblea, la nomina di un terzo dei componenti degli Organi sociali e la designazione di tutti i componenti del Comitato di supporto degli azionisti privilegiati) Venivano altresì riconosciuti peculiari diritti economici, in particolare:
§ un “dividendo preferenziale”, ragguagliato al valore nominale e commisurato al tasso di inflazione più il 3% e la postergazione nelle perdite;
§ la conversione automatica delle azioni privilegiate a decorrere dal 1° gennaio 2010 secondo un “rapporto di conversione determinato dal Consiglio di amministrazione sulla base di una perizia del valore effettivo del patrimonio netto della società redatto da un esperto nominato dal Consiglio di amministrazione d’intesa con il Comitato di supporto degli azionisti privilegiati” e sulla base della valorizzazione delle azioni privilegiate come illustrata al punto successivo (articolo 7, comma 10 dello Statuto);
§ specifiche modalità di determinazione del valore delle azioni privilegiate nei casi di recesso, conversione ovvero liquidazione della società;
§ la facoltà di recesso convenzionale, accanto a quelle già previste ex lege, limitatamente al periodo tra il 1 gennaio 2005 ed il 31 dicembre 2009, nel caso in cui il dividendo spettante alle azioni privilegiate fosse stato inferiore, anche per un solo esercizio, al dividendo preferenziale, esercitabile per l’intera partecipazione.
Nell’imminente scadenza del termini per la conversione automatica delle azioni privilegiate, le fondazioni hanno prospettato al Ministro dell’economia e delle finanze l’opportunità di posticipare di tre anni il termine di conversione delle azioni privilegiate, dal 1° gennaio 2010 al 1° gennaio 2013, con la contestuale eliminazione del privilegio di rendimento per le fondazioni previsto dalla Statuto (pari al dividendo preferenziale del 3%, maggiorato dell’inflazione del periodo).
Pertanto, nel corso del 2009, l’assemblea di CDP – fermo restando il meccanismo di calcolo del valore delle azioni privilegiate in caso di conversione o di recesso – ha modificato lo statuto nel senso di rinviare di tre anni il termine di conversione delle azioni privilegiate, dal 1° gennaio 2010 al 1° gennaio 2013; di eliminare il diritto al dividendo preferenziale e diritto di recesso ad esso connesso ed attribuire la facoltà di recesso in caso di mancata percezione di utili per due esercizi consecutivi.
Con lettera del 14 settembre 2012, indirizzata al Ministero dell’economia e delle finanze, il Presidente di CDP ha comunicato l’affidamento, in relazione all’imminente avvio delle procedure per la conversione, da parte del CdA della società del mandato di redigere una valutazione del patrimonio netto effettivo di CDP a Deloitte & Touche, successivamente depositata presso CDP.
Ha comunicato, inoltre, che le fondazioni bancarie hanno manifestato alla CDP dubbi sulla legittimità della clausola statutaria concernente la determinazione del valore delle azioni privilegiate da applicarsi in caso di conversione o recesso (articolo 9, comma 3), ritenendo che la valorizzazione delle proprie quote debba essere effettuata non a termini di statuto (valore nominale decurtato dell’extradividendo) ma a valori patrimoniali secondo quanto previsto dall’articolo 2437-ter del codice civile, così come modificato dalla riforma del diritto societario entrata in vigore dal 2004 (legge sopravvenuta rispetto al quadro normativo vigente al momento della trasformazione di CDP in S.p.A. ed al momento di approvazione dello statuto di CDP), relativo ai criteri di determinazione del valore delle azioni.
Nella medesima comunicazione il Presidente rendeva noto che le fondazioni, a supporto delle proprie tesi, hanno fatto pervenire un parere legale rilasciato dal prof. Giuseppe Portale, condiviso dal Comitato di supporto degli azionisti privilegiati (come detto, composto esclusivamente da membri designati dalle fondazioni bancarie azioniste) che “propone dubbi sulla legittimità delle clausole dello statuto che regolano la valorizzazione delle azioni privilegiate ai fini della conversione o del recesso” e che ritiene “opportuno, in linea con i principi generali dettati dal codice civile, interpretare la frazione del capitale sociale come la corrispondente quota del capitale economico di CDP”.
Le opzioni riservate alle fondazioni, nel caso della conversione delle azioni privilegiate in azioni ordinarie e ipotizzando l’adesione di tutte le fondazioni alla medesima opzione per l’intera loro partecipazione, sono state ipotizzate nella relazione trasmessa il 27 settembre 2012 al Consiglio di Stato dal Ministro dell’economia e delle finanze, con la quale è stato richiesto un parere sulla legittimità delle clausole statutarie della Cassa Depositi e Presititi S.p.A. relative alla conversione delle azioni privilegiate in azioni ordinarie.
In particolare, sono previste le seguenti possibilità:
§ conversione alla pari: le fondazioni mantengono la partecipazione al 30% del capitale sociale di CDP, versando il conguaglio che dipende dalla perizia sul valore effettivo del patrimonio netto. Assumendo, a titolo esemplificativo, quale valore effettivo del patrimonio netto il valore del patrimonio netto contabile al 2011 pari a 14,5 miliardi di euro, il Ministero ha prospettato un conguaglio superiore a 5 miliardi di euro, tenuto conto della decurtazione dell’extradividendo pari a circa 388 milioni di euro;
§ conversione non alla pari delle azioni privilegiate in azioni ordinarie: le fondazioni non versano alcun conguaglio con diluizione della partecipazione ad una percentuale inferiore al 30%. A titolo sempre esemplificativo, sempre assumendo come riferimento il valore contabile del patrimonio netto al 2011, la quota di spettanza delle fondazioni bancarie sarebbe il 45% del capitale;
§ esercizio del diritto di recesso con uscita dalla compagine azionaria previa liquidazione delle quote da parte di CDP. In questo caso le fondazioni riceverebbero 662 milioni di euro, calcolati a norma di statuto, come differenza tra il valore nominale della partecipazione (1.050 milioni) e l’extradividendo percepito (388 milioni).
La facoltà di conversione alla pari con conguaglio e la facoltà di recedere potranno essere esercitate nel periodo dal 1° ottobre 2012 al 15 dicembre 2012.
Il Ministero ha chiesto dunque l’avviso del Consiglio di Stato in relazione alla legittimità delle clausole statutarie e su una possibile soccombenza del Ministero/CDP in sede di eventuale contenzioso civile con le fondazioni bancarie.
Nel caso di dubbi di legittimità dello Statuto o sulla eventuale soccombenza, è stato chiesto al Consiglio di Stato di individuare un percorso alternativo per la determinazione del corretto criterio di valorizzazione delle azioni privilegiate in sede di conversione o di recesso, anche mediante modifiche statutarie.
Con decreto del 4 ottobre 2012 è stata costituita una Commissione speciale, presieduta dal Presidente del Consiglio di Stato, al fine di rendere tale parere.
In estrema sintesi, la Commissione ha ritenuto che, al fine di scongiurare un eventuale contenzioso tra CdP e l’azionariato delle Fondazioni, potrebbe essere ritenuto equo e quindi meritevole di tutela l’interesse a conseguire quote del patrimonio nel caso di exit: l’interesse tutelabile sarebbe in particolare quello al conseguimento da parte delle fondazioni di una quota – corrispondente alla frazione detenuta del capitale sociale – degli incrementi patrimoniali (e solo di tali incrementi patrimoniali) conseguiti da CDP dal momento dell’ingresso delle fondazioni al momento dell’esercizio del diritto di recesso. In ordine agli interventi coi quali si possa prefigurare tale risultato, la Commissione non ha ravvisato utile la modifica statutaria, atteso che a fronte di modifiche statutarie di tale fatta, ove i soci di minoranza non fossero soddisfatti, potrebbero invocare il diritto di recesso (di cui all’art. 2437 comma 1 lett. f) del codice civile). Né il CdS ha valutato utile un intervento arbitrale, in quanto lo si reputa limitato alla mera (e non facilmente prevedibile) determinazione dei valori economici delle partecipazioni, sganciata da tutte le complesse variabili di contesto che sono state evidenziate in questo parere. Il Consiglio di Stato ha dunque rinvenuto una possibile soluzione in un intervento normativo, tale da determinare il valore di concambio delle azioni privilegiate e di liquidazione in modo da tener conto della necessità di circoscrivere la meritevolezza della partecipazione delle fondazioni agli incrementi patrimoniali conseguiti successivamente al loro ingresso nell’azionariato CdP.
Il comma 3-bis dispone le modalità con le quali CDP provvederà entro il 31 dicembre 2012 a
determinare il rapporto di conversione
delle azioni privilegiate in azioni ordinarie.
La conversione avverrà in particolare secondo i seguenti passaggi:
§ in primo luogo (lettera a)) sarà determinato il valore di CDP in due momenti diversi: alla data di trasformazione in società per azioni (ovvero al 12 dicembre 2003, secondo il combinato disposto del richiamato D.L. 269/2003 e del DM del 5 dicembre 2003).e alla data 31 dicembre 2012. Tale determinazione avverrà sulla base di perizie giurate di stima che dovranno tenere conto, tra l’altro, della presenza della garanzia dello Stato sulla raccolta del risparmio postale.
Si ricorda infatti che l’articolo 5, comma 7, lettera a) del decreto-legge n. 269 del 2003 consente a CDP S.p.A. di utilizzare i fondi derivanti dalla raccolta del risparmio postale (fondi rimborsabili sotto forma di libretti di risparmio postale e di buoni fruttiferi postali, assistiti dalla garanzia dello Stato e distribuiti attraverso Poste italiane S.p.A. o società da essa controllate) per finanziare, sotto qualsiasi forma, lo Stato, le regioni, gli enti locali, gli enti pubblici e gli organismi di diritto pubblico. Il secondo periodo della lettera a) consente l’utilizzo delle suddette risorse anche per il compimento di ogni altra operazione di interesse pubblico prevista dallo statuto sociale di CDP S.p.A., nei confronti dei suindicati soggetti o dai medesimi promossa, tenuto conto della sostenibilità economico-finanziaria di ciascuna operazione;
§ successivamente (lettera b)), verrà calcolato il rapporto tra il valore nominale delle azioni privilegiate e il valore di CDP alla data del 12 dicembre 2003 (data di trasformazione di CDP in società per azioni), come sopra determinato;
§ infine (lettera c)), dovrà calcolarsi il valore riconosciuto alle azioni privilegiate ai fini della conversione, come una quota - corrispondente alla predetta percentuale - del valore di CDP al 31 dicembre 2012.
Ai sensi del comma 3-ter, ove il rapporto di conversione delle azioni privilegiate in azioni ordinarie come sopra determinato non risultasse alla pari, i titolari delle azioni privilegiate potranno beneficiare di un rapporto di conversione alla pari (nel quale il valore nominale delle azioni privilegiate coinciderà col valore nominale delle azioni ordinarie) versando alla CDP un conguaglio di importo pari alla differenza tra il valore di una azione ordinaria e il valore di una azione privilegiata.
Ove i titolari delle azioni privilegiate non esercitano il diritto di recesso (comma 3-quater) entro il termine previsto dal successivo comma 3-sexies, ovvero nella finestra temporale compresa tra il 15 febbraio 2013 e il 15 marzo 2013, essi dovranno versare al Ministero dell’economia e delle finanze, a titolo di compensazione, un importo forfetario pari al 50 per cento dei maggiori dividendi corrisposti da CDP dal 12 dicembre 2003 per le azioni privilegiate per cui avviene la conversione, rispetto a quelli che sarebbero spettati per una partecipazione azionaria corrispondente alla percentuale di concambio delle azioni privilegiate in ordinarie (ovvero per una partecipazione azionaria corrispondente alla percentuale di concambio).
Si prevede che (comma 3-quinquies) il predetto importo forfettario possa essere versato ratealmente: in una quota non inferiore al 20 per cento entro il 1° aprile 2013, e per la quota residua (l’80 per cento o una quota inferiore) in quattro rate uguali alla data del 1° aprile dei quattro anni successivi, con applicazione degli interessi legali.
Il periodo per l’esercizio del diritto di recesso (comma 3-sexies) decorre dal 15 febbraio 2013 e termina il 15 marzo 2013. Le azioni privilegiate sono automaticamente convertite in azioni ordinarie a far data dal 1° aprile 2013.
Le condizioni economiche (comma 3-septies) per la conversione di cui ai commi precedenti sono riconosciute al fine di consolidare la permanenza di soci privati nell’azionariato di CDP. Esse opereranno dunque solo ove i soci privati (le Fondazioni bancarie) decidano di mantenere la propria partecipazione in CDP.
Di conseguenza, le norme precisano che i soggetti che esercitino il diritto di recesso vedranno applicate, quanto alla determinazione del valore di liquidazione delle azioni privilegiate, le vigenti disposizioni dello statuto della CDP.
Si rammenta che l’articolo 9, comma 3 dello Statuto prevede che, in tutti i casi di esercizio del diritto di recesso, il valore di liquidazione delle azioni privilegiate risulta pari alla differenza tra la quota del capitale sociale per cui è esercitato il recesso (ovvero il valore nominale della partecipazione) e - con riferimento agli utili degli esercizi sociali chiusi sino al 31 dicembre 2008 compreso - e “l’extradividendo” percepito dalle azioni privilegiate (la differenza fra il dividendo effettivamente percepito e il “dividendo preferenziale”, che in origine spettava per le azioni privilegiate in base al vecchio testo del'articolo 30, comma 2, dello Statuto, come già esposto supra).
Si prevede inoltre (comma 3-octies) che dal 1° aprile 2013 e fino alla data di approvazione da parte dell’assemblea degli azionisti CDP del bilancio d’esercizio al 31 dicembre 2012, a ciascuna fondazione bancaria azionista di CDP sia concessa la facoltà di acquistare dal Ministero dell’economia e delle finanze, che è obbligato a vendere, un certo numero di azioni ordinarie di CDP; esso non può risultare superiore alla differenza tra il numero di azioni privilegiate già detenuto e il numero di azioni ordinarie ottenuto ad esito della conversione. Tale facoltà di acquisto è trasferibile a titolo gratuito tra le fondazioni bancarie azioniste di CDP.
La facoltà di acquisto (comma 3-novies) di cui al comma precedente viene esercitata al prezzo corrispondente al valore di CDP al 31 dicembre 2012 (come calcolato ai sensi delle norme in commento).
Tale importo può essere corrisposto al Ministero dell’economia e delle finanze in più soluzioni: una quota non inferiore al 20 per cento è versata entro il 1° luglio 2013, mentre la quota residua è corrisposta in quattro rate uguali, alla data del 1° luglio dei quattro anni successivi, con applicazione dei relativi interessi legali.
Le dilazioni (comma 3-decies) di cui ai commi 4 e 8 sono è accordate dal MEF su richiesta dell’azionista e a fronte della costituzione in pegno di azioni ordinarie a favore del Ministero, fino al completamento dei pagamenti dovuti. Il numero delle azioni da costituire in pegno è determinato sulla base degli importi dovuti per i pagamenti dilazionati comprensivi degli interessi, tenendo conto del valore delle azioni ordinarie corrispondente al valore di CDP al 31 dicembre 2012. Il pegno di azioni non implica la sospensione del diritto di voto e del diritto agli utili, che comunque spettano alla fondazione concedente garanzia. In caso di inadempimento delle obbligazioni assunte, il Ministero dell’economia e delle finanze acquisisce a titolo definitivo le azioni corrispondenti all’importo del mancato pagamento.
Articolo 36,
commi 4 e 5
(Contratti
di rete)
Il comma 4 introduce nelle norme
riguardanti il contratto di rete la precisazione che il contratto di
rete che prevede l'organo comune e il fondo patrimoniale non e' dotato di
soggettività giuridica, salva la facoltà di acquisto della stessa su base
volontaria con l’iscrizione nel registro delle imprese.
In particolare, si
dispone che in generale il contratto di rete che preveda l'organo comune e il
fondo patrimoniale non è dotato di
soggettività giuridica, a meno che la rete non si iscriva nella sezione
ordinaria del registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la
sua sede. Con l'iscrizione nel registro delle imprese la rete acquista
soggettività giuridica. L'organo comune agisce in rappresentanza
§ della rete,
quando essa acquista soggettività giuridica,
§ degli imprenditori, anche individuali, partecipanti al contratto
(salvo che sia diversamente disposto nello stesso), in assenza della
soggettività,
nelle procedure di
programmazione negoziata con le pubbliche amministrazioni, nelle procedure
inerenti ad interventi di garanzia per l'accesso al credito e in quelle
inerenti allo sviluppo del sistema imprenditoriale nei processi di
internazionalizzazione e di innovazione previsti dall'ordinamento, nonché
all'utilizzazione di strumenti di promozione e tutela dei prodotti e marchi di
qualità o di cui sia adeguatamente garantita la genuinità della provenienza
Secondo la relazione
illustrativa, si intende in tal modo chiarire la portata della norma contenuta
nel decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83[348] (articolo 45), che, modificando le disposizioni in
materia di cui all'articolo 3 del decreto-legge n. 5 del 2009[349], ha introdotto il principio della soggettività
giuridica dei contratti di rete. Secondo la relazione illustrativa, infatti,
l'assetto normativo previgente alle modifiche introdotte dal decreto legge in
esame avrebbe rischiato di paralizzare il processo di diffusione dei contratti
di rete, a causa di alcune incertezze nell’impianto normativo.
Il comma 5 dispone che per gli adempimenti pubblicitari richiesti dal D.L. n. 5/09 (comma 4-quater dell’art. 3) il contratto di rete nel settore agricolo può essere sottoscritto dalle parti con l'assistenza di una o più organizzazioni professionali agricole.
Più precisamente le norme dispongono che il contratto di rete sottoscritto da imprenditori del comparto agricolo possa godere dell’assistenza di una, o più, delle organizzazioni professionali agricole maggiormente rappresentative a livello nazionale, che abbiano partecipato alla redazione finale dell’accordo. Detta assistenza sarebbe ammessa “ai fini degli adempimenti pubblicitari” di cui al comma 4-quater dell’articolo 3 del decreto legge n. 5/09.
In merito, il comma 4-quater dispone che il contratto di rete è soggetto a iscrizione nella sezione del registro delle imprese presso cui è iscritto ciascun partecipante, e l’efficacia del contratto inizia a decorrere da quando è stata eseguita l’ultima delle iscrizioni prescritte a carico di tutti coloro che ne sono stati sottoscrittori originari. Le disposizioni si applicano anche alle modifiche al contratto, che saranno iscritte presso la sezione del registro in cui è iscritta l'impresa indicata nell'atto modificativo.
Ad un diverso regime pubblicitario, riservato al settore agricolo, fa riferimento la relazione illustrativa, secondo la quale con il comma 5 “viene prevista come ulteriore modalità idonea a soddisfare le formalità prescritte dalla legge per rendere opponibili ai terzi l’accordo, quello della redazione nel settore agricolo, dello stesso con l’assistenza delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative…”.
La medesima relazione richiama poi la “particolare esperienza” acquisita dalle organizzazioni agricole in sede negoziale in applicazione dell’articolo 45 della legge n. 203/82, con la quale è stata rigidamente disciplinata la stipula dei contratti agrari, e sono ope legis stati convertiti i precedenti contratti associativi (il più importante erano quelli di mezzadria).
Detto articolo 45, novellando la legge n. 11/71 sull’affitto dei fondi rustici, ha previsto la possibilità di concludere accordi in deroga alla disciplina vincolistica in materia di contratti agrari, a condizione che le parti siano assistite dalle “rispettive organizzazioni professionali agricole maggiormente rappresentative a livello nazionale, tramite le loro organizzazioni provinciali.”. La presenza quindi di organizzazioni rappresentative dei contrapposti interessi sarebbe l’elemento che consente di deviare dalla disciplina statuita per legge, “modellando” il contratto d’affitto alle specifiche esigenze delle parti; la rilevanza che assume tale presenza ha indotto peraltro taluni a dubitare che le parti possano ricevere assistenza dalla medesima organizzazione professionale.
Si osserva che non sembra risultare con chiarezza se l’assistenza delle
organizzazioni professionali nella stipula del contratto di rete debba
intendersi come sostitutivo dell’atto di iscrizione nel registro delle imprese.
Articolo 36,
comma 4-bis
(Soggettività giuridica della rete di
imprese)
Il comma
4-bis, introdotto dal Senato, interviene sulle modalità e le forme
con cui la rete di imprese acquista la soggettività giuridica.
In particolare, si prevede che per
acquistare la soggettività giuridica il contratto debba essere stipulato
§ per atto pubblico;
§ per scrittura privata autenticata;
§ per atto firmato digitalmente.
Al riguardo si segnala che, probabilmente per un refuso, la norma
sostituisce tutto l’ultimo periodo
del comma 4-quater dell’articolo 3 del D.L. 5/2009 e non solo le parole finali
“con l'iscrizione nel registro delle imprese la rete acquista soggettività
giuridica”.
Occorre dunque valutare l’impatto della sostituzione di tutto l’ultimo periodo del comma
4-quater dell’articolo 3 del D.L. 5/2009 ad opera del comma 4-bis in esame,
alla luce delle osservazioni della relazione illustrativa circa le incertezze
normative in merito all’acquisto della soggettività giuridica, in particolare
nel caso in cui sia costituito il fondo comune (nel qual caso veniva data la
facoltà alla rete di iscriversi nel registro delle imprese e quindi di
acquistare la soggettività giuridica), richiamate nel commento al precedente
comma 4. Con la sostituzione di tutto l’ultimo periodo, e non solo delle parole
“con l'iscrizione nel registro delle imprese la rete acquista soggettività
giuridica”, infatti, tale distinzione viene meno.
Articolo 36,
commi 5-bis e 5-ter
(Contratto di rete e contenuto degli atti
notarili)
Durante l’esame al Senato sono stati aggiunti il comma 5-bis ed il comma 5-ter recanti, rispettivamente, alcune modifiche al D.Lgs. n. 163 del 2006 (Codice dei contratti pubblici) relative alle aggregazioni tra imprese aderenti al contratto di rete, nonché disposizioni di semplificazione degli atti notarili.
La prima modifica, indicata alla lettera a), aggiunge un’ulteriore tipologia ai soggetti ammessi a partecipare alle procedure di affidamento dei contratti pubblici ai sensi dell’art. 34 del Codice, ovvero le aggregazioni tra le imprese aderenti al contratto di rete ai sensi dell'art. 3, comma 4-ter, del decreto-legge n. 5 del 2009,
La seconda modifica, prevista dalla lettera b), inserisce un comma aggiuntivo, il comma 15-bis all’art. 37, in base al quale le disposizioni recate da tale articolo, concernenti i raggruppamenti temporanei e i consorzi ordinari di concorrenti, sono applicate, in quanto compatibili, alle procedure di affidamento delle aggregazioni tra le imprese aderenti al contratto di rete.
L’art. 37 del D.lgs. n. 163 del 2006 , come da ultimo modificato dal decreto legge n. 95 del 2012, reca la disciplina sui raggruppamenti temporanei e consorzi ordinari di concorrenti. Si rammenta, in estrema sintesi, che, nel caso di lavori, per raggruppamento temporaneo di tipo verticale si intende una riunione di concorrenti nell'ambito della quale uno di essi realizza i lavori della categoria prevalente; per lavori scorporabili si intendono lavori non appartenenti alla categoria prevalente e così definiti nel bando di gara, assumibili da uno dei mandanti; per raggruppamento di tipo orizzontale si intende una riunione di concorrenti finalizzata a realizzare i lavori della stessa categoria. Invece, nel caso di forniture o servizi, per raggruppamento di tipo verticale si intende un raggruppamento di concorrenti in cui il mandatario esegua le prestazioni di servizi o di forniture indicati come principali anche in termini economici, i mandanti quelle indicate come secondarie; per raggruppamento orizzontale quello in cui gli operatori economici eseguono il medesimo tipo di prestazione; le stazioni appaltanti indicano nel bando di gara la prestazione principale e quelle secondarie. L’articolo disciplina quindi i requisiti e le modalità di partecipazione alle gare per i diversi raggruppamenti temporanei e consorzi ordinari di concorrenti.
Il comma 5-ter novella la legge notarile (legge n. 89 del 1923) per quanto attiene al contenuto dell’atto del notaio (art. 51).
Attualmente, il secondo
comma dell’art. 51 dispone che le parti intervengono all'atto notarile per
mezzo di un rappresentante, occorre che l’atto stesso dia conto dei dati
anagrafici non solo della parte ma anche del suo rappresentante intervenuto. Il
secondo periodo aggiunge che la procura deve essere allegata all'atto in
originale o in copia, a meno che l'originale o la copia non si trovi già negli atti del notaio
che procede.
La modifica introdotta dal disegno di legge di conversione esclude che la procura debba essere allegata all’atto notarile anche quando la procura stessa risulti già iscritta nel registro delle imprese.
Articolo 36,
comma 6
(Valorizzazione
e commercializzazione all'estero dei prodotti italiani)
Il comma 6 autorizza la Simest S.p.A. a partecipare, solo con quote di minoranza, a società commerciali, anche con sede in Italia, specializzate nella valorizzazione e commercializzazione all’estero dei prodotti italiani.
A tal fine la norma provvede ad integrare le funzioni di Simest S.p.a., fissate all’articolo 1, comma 2, della legge 24 aprile 1990, n. 100[350].
Si ricorda che il comma 1 del citato articolo 1 autorizzava l’allora Ministro del commercio con l'estero a promuovere la costituzione di una Società finanziaria per azioni, denominata «Società italiana per le imprese all'estero - SIMEST S.p.a», con sede in Roma, avente per oggetto la partecipazione ad imprese e società all'estero promosse o partecipate da imprese italiane ovvero da imprese aventi stabile organizzazione in uno Stato dell'Unione europea, controllate da imprese italiane, nonché la promozione ed il sostegno finanziario, tecnico-economico ed organizzativo di specifiche iniziative di investimento e di collaborazione commerciale ed industriale all'estero da parte di imprese italiane, con preferenza per quelle di piccole e medie dimensioni, anche in forma cooperativa, comprese quelle commerciali, artigiane e turistiche
Il successivo comma 2 elenca le funzioni della Simest, tra cui la lettera b) che prevede la partecipazione, con quote di minoranza non superiori al 25 per cento del capitale e non cedibili prima di 8 anni (salvo eccezioni approvate dal CIPE), a società ed imprese all'estero, anche già costituite.
Viene dunque inserita un’ulteriore lettera b-bis che autorizza la Simest a partecipare a società commerciali, anche con sede in Italia, specializzate nella valorizzazione e commercializzazione all’estero dei prodotti italiani. Ciò dovrà avvenire solo con quote di minoranza e nei limiti di cui all’articolo 1, comma 6, del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80, secondo cui il limite massimo di intervento della Simest S.p.a. è elevato al 49 per cento per gli investimenti all'estero che riguardano attività aggiuntive delle imprese, derivanti da acquisizioni di imprese, «joint-venture» o altro e che garantiscano il mantenimento delle capacità produttive interne.
Si ricorda inoltre che il Governo italiano detiene il 76% del pacchetto azionario della Simest S.p.A.. La legge n. 84/01 (Disposizioni per la partecipazione italiana alla stabilizzazione, alla ricostruzione e allo sviluppo di Paesi dell'area balcanica), all’articolo 5, co. 2,lettera c), prevede, l'istituzione presso la SIMEST Spa di un fondo autonomo e distinto dal patrimonio della società medesima con finalità di capitale di rischio (venture capital), per l'acquisizione, da parte di quest'ultima, di partecipazioni societarie fino al 40 per cento del capitale o fondo sociale delle società o imprese partecipare. Ciascun intervento non può essere superiore ad 1 miliardo delle vecchie lire e, comunque, le partecipazioni devono essere cedute, a prezzo non inferiore a valori correnti, entro otto anni dall'acquisizione. Analogamente l’articolo 46 della legge 273/2002 (“Misure per favorire l'iniziativa privata e lo sviluppo della concorrenza”) ha autorizzato l’allora Ministero delle attività produttive a costituire, ai sensi e per le finalità della legge n. 100 del 24 aprile 1990, e successive modificazioni, fondi rotativi per la gestione delle risorse deliberate dal CIPE per il sostegno degli investimenti delle piccole e medie imprese nella Repubblica Federale di Jugoslavia, per il finanziamento di operazioni venture capital nei Paesi del Mediterraneo e per favorire il processo di internazionalizzazione delle imprese italiane.
Articolo 36,
comma 6-bis
(Disciplina delle relazioni commerciali
in materia di cessione dei prodotti agricoli)
Il comma 6-bis dell’articolo 36 esclude i contratti conclusi fra imprenditori agricoli dagli obblighi previsti dall’art. 62 del D.L. n. 1/12[351]. Tale norma disciplina i contratti di cessione di prodotti agricoli e alimentari, con la sola esclusione di quelli conclusi con il consumatore finale: a pena di nullità è imposta la forma contrattuale scritta ed è indicato il contenuto obbligatorio. Il provvedimento individua anche, vietandole, talune pratiche commerciali ritenute sleali.
L’articolo 36-bis modifica in modo significativo il primo comma dello stesso articolo 62, abrogando le disposizioni che sanzionano con la “nullità” la mancanza nel contratto degli elementi che il medesimo primo comma rende obbligatori
Il comma 6-bis dell’articolo 36 in esame prevede, quindi, che tale disciplina, introdotta allo scopo di garantire maggiore trasparenza nei rapporti tra i diversi operatori della filiera agroalimentare ed assicurare una migliore tutela della parte agricola, non si applicherà alle relazioni tra imprenditori agricoli, perché i contratti tra gli stessi conclusi “non costituiscono cessioni ai sensi dell’articolo 62”.
Il decreto interministeriale di applicazione dell'articolo 62 sulla cessione dei prodotti agricoli e alimentari è stato adottato il 19 novembre (G.U. n. 274/12). Sulla base del D.M. n. 199/12 non si considerano cessione (e quindi ad essi non si applica l’art. 62) i conferimenti effettuate dagli imprenditori alle cooperative o alle organizzazioni di produttori - se gli imprenditori risultano soci delle cooperative stesse, e i conferimenti tra imprenditori ittici (compresi gli acquacoltori). Le cessioni di prodotti agricoli e alimentari istantanee, con contestuale consegna e pagamento del prezzo pattuito, invece, sono evidentemente sottratte alle norme sul contratto scritto, e sulle modalità di versamento del corrispettivo (commi 1 e 3 dell’art. 62).
Meglio sarebbe introdurre le nuove
disposizioni nella forma di novella dell’articolo 62 del decreto legge n. 1/12.
Nella forma di novella dell’articolo 62 interviene invece l’articolo 36-bis che modifica in modo significativo il primo comma, abrogando le disposizioni che sanzionano con la “nullità” - rilevabile anche d’ufficio – la mancanza nel contratto degli elementi che il medesimo primo comma rende obbligatori. Le indicazioni necessarie, da inserire all’atto della stipula, sono: la durata, le quantità e le caratteristiche del prodotto venduto, il prezzo, le modalità di consegna e di pagamento.
Articolo 36,
comma 7 e 7-bis
(Impianti sottoposti alla Valutazione
di Impatto Ambientale)
Il comma 7 dell’articolo 36, modificato nel corso dell’esame al Senato, reca una serie di novelle agli allegati alla Parte II del D.Lgs. 152/2006 (Codice dell’ambiente) che elencano gli impianti assoggettati alla valutazione di impatto ambientale.
La prima novella riguarda l’Allegato IV, che elenca gli impianti sottoposti alla verifica di assoggettabilità alla valutazione di impatto ambientale di competenza delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano (VIA regionale). Nel dettaglio, la novella riguarda il punto 2, lettera m), in cui si introducono sostanzialmente due modifiche.
Innanzi tutto vengono inseriti nella lettera m) anche gli impianti idroelettrici con potenza nominale di concessione superiore a 250 kW, purché si tratti di impianti per la produzione di energia idroelettrica realizzati:
§ dai consorzi di bonifica ed irrigazione utilizzando le acque dei canali consortili, come stabilito dall'articolo 166 del decreto legislativo n. 152 del 2006;
§ su canali o condotte esistenti, senza incremento di portata derivata, come previsto dal decreto Ministero dello sviluppo economico del 6 luglio 2012[352].
In tal modo viene adeguato il limite di potenza di concessione per la quale non è richiesta la VIA da 100 a 250 kW per gli impianti suddetti.
Secondo la relazione illustrativa, la modifica risponde "allo scopo di semplificare la procedura per l’installazione di piccoli impianti complementari ad opere che già dispongono di una concessione di derivazione per uso irriguo e di bonifica". La relazione precisa inoltre che "si tratta di piccoli impianti, senza alcun impatto di carattere ambientale, tenuto conto che la compatibilità da questo punto di vista è comunque assicurata dal Genio Civile o dall’Autorità di bacino, come previsto dal T.U. 1775 del 1933".
La seconda modifica è di carattere terminologico: si sostituisce l'espressione “potenza installata”, che si riferisce alla potenza effettivamente utilizzata, con “potenza di concessione”.
Secondo la relazione illustrativa tale modifica si rende opportuna "dal momento che ci si trova nella fase del procedimento di concessione, preventivo all’effettivo sfruttamento".
Si ricorda che il punto 2) dell’Allegato IV attiene all’Industria energetica ed estrattiva, mentre la lettera m) riguardava, nel testo previgente, esclusivamente, gli impianti per la produzione di energia idroelettrica con potenza installata superiore a 100 kW.
L'articolo 166 del decreto legislativo n. 152 del 2006 stabilisce che i consorzi di bonifica ed irrigazione, nell'ambito delle loro competenze, hanno facoltà di realizzare e gestire le reti a prevalente scopo irriguo, gli impianti per l'utilizzazione in agricoltura di acque reflue, gli acquedotti rurali e gli altri impianti funzionali ai sistemi irrigui e di bonifica e, previa domanda alle competenti autorità corredata dal progetto delle opere da realizzare, hanno facoltà di utilizzare le acque fluenti nei canali e nei cavi consortili per usi che comportino la restituzione delle acque e che siano compatibili con le successive utilizzazioni, ivi compresi la produzione di energia idroelettrica e l'approvvigionamento di imprese produttive.. L'Autorità di bacino esprime entro centoventi giorni la propria determinazione. Trascorso tale termine, la domanda si intende accettata.
Si ricorda che con il decreto-legge n. 171 del 2008[353], articolo 3, comma-5 bis, viene stabilita per agli enti pubblici irrigui nazionali per le società da loro partecipate la facoltà di realizzare e gestire impianti per la produzione di energia idroelettrica. A tale fine si applicano le procedure di cui all'articolo 166, comma 1, del decreto legislativo n. 152 del 2006, e i termini decorrono dalle date di presentazione delle domande.
Secondo quanto stabilito dal citato decreto Ministero dello sviluppo economico del 6 luglio 2012 recante incentivazione della produzione di energia elettrica da impianti a fonti rinnovabili diversi dai fotovoltaici, non sono soggetti ad ulteriori procedure (procedure di cui ai commi 1 e 2, riguardanti iscrizione in appositi registri e partecipazione a procedure competitive di aste al ribasso) ed accedono direttamente ai meccanismi di incentivazione previsti dal decreto, tra gli altri, gli impianti idroelettrici di potenza nominale di concessione fino a 50 kW, la cui soglia è elevata a 250 kW se trattasi di impianti realizzati su canali o condotte esistenti, senza incremento di portata derivata.
Il comma 7-bis, aggiunto nel corso dell’esame al Senato ha introdotto ulteriori novelle agli allegati alla parte II del D.Lgs. 152/2006.
L’Allegato II, che elenca i progetti sottoposti a valutazione di impatto ambientale di competenza statale (VIA statale) viene integrato con l’aggiunta dei seguenti tipi di elettrodotti aerei:
§ elettrodotti aerei per il trasporto di energia elettrica, facenti parte della rete elettrica di trasmissione nazionale, con tensione nominale superiore a 100 kV e con tracciato di lunghezza superiore a 10 Km ed elettrodotti in cavo interrato in corrente alternata, con tracciato di lunghezza superiore a 40 chilometri, facenti parte della rete elettrica di trasmissione nazionale (nuova lettera 4-bis);
§ elettrodotti aerei esterni per il trasporto di energia elettrica, facenti parte della rete elettrica di trasmissione nazionale, con tensione nominale superiore a 100 kV e con tracciato di lunghezza superiore a 3 Km, qualora disposto all'esito della verifica di assoggettabilità di cui all'art. 20 (nuova lettera 4-ter);
Tali tipologie di elettrodotti si aggiungono agli elettrodotti attualmente contemplati dall’Allegato II, vale a dire gli elettrodotti aerei con tensione nominale di esercizio superiore a 150 kV e con tracciato di lunghezza superiore a 15 km ed elettrodotti in cavo interrato in corrente alternata, con tracciato di lunghezza superiore a 40 chilometri.
All’Allegato III, che elenca i progetti sottoposti a valutazione di impatto ambientale di competenza regionale (VIA regionale), la lettera z) viene novellata al fine di precisare che non tutti gli elettrodotti aerei per il trasporto di energia elettrica con tensione nominale superiore 100 kV e con tracciato di lunghezza superiore a 10 km (attualmente contemplati dalla lettera z) sono sottoposti a VIA regionale, ma solo quelli non facenti parte della rete elettrica di trasmissione nazionale.
Analoga modifica viene apportata al punto 7, lettera z), dell’Allegato IV, al fine di chiarire che sono sottoposti a verifica di assoggettabilità a VIA regionale non tutti gli elettrodotti aerei esterni per il trasporto di energia elettrica con tensione nominale superiore a 100 kV e con tracciato di lunghezza superiore a 3 km (attualmente contemplati dalla lettera z), ma solo quelli non facenti parte della rete elettrica di trasmissione nazionale.
L’ultima novella recata dal comma in esame non riguarda invero gli allegati, almeno in maniera diretta. Viene infatti novellato il comma 8 dell’art. 6 del D.Lgs. 152/2006 relativo alle soglie dimensionali dei progetti elencati negli allegati III e IV.
Il testo vigente del citato comma 8 dispone che per i progetti di cui agli allegati III e IV, ricadenti all'interno di aree naturali protette, le soglie dimensionali, ove previste, sono dimezzate.
La novella in esame integra il disposto del comma 8 prevedendo che le medesime riduzioni si applicano anche per le soglie dimensionali dei progetti di cui all'allegato II, punti 4-bis) e 4-ter), relativi agli elettrodotti facenti parte della rete elettrica di trasmissione nazionale.
Procedure di contenzioso
(a cura
dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)
Il 27 febbraio 2012 la Commissione ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora complementare (p.i. 2009/2086) con la quale contesta la non conformità della normativa italiana alla direttiva 85/337/CEE concernente la valutazione dell’impatto ambientale (VIA), come modificata dalle direttive 97/11/CE, 2003/35/CE e 2009/31/UE[354], con particolare riferimento alle disposizioni contenute nella parte seconda del D.Lgs n. 152/2006 - come modificato dal D.Lgs 4/2008.
In particolare, la Commissione ritiene non correttamente recepite le disposizioni relative alla disciplina del c.d. screening o verifica di assoggettabilità a VIA come definita dall’articolo 4, paragrafi da 1 a 3 della direttiva, in combinato con gli allegati I e II (elenco dei progetti cui si applica la direttiva) e III (criteri di selezione dei progetti cui si applica la procedura di screening)[355].
L’articolo 4, della direttiva VIA prevede che:
§ paragrafo 1: i progetti elencati nell'allegato I siano sottoposti a valutazione d’impatto ambientale (VIA) a norma degli articoli da 5 a 10 della direttiva stessa;
§ paragrafo 2: per i progetti elencati nell’allegato II della direttiva gli Stati membri determinano se il progetto debba essere sottoposto a VIA mediante a) un esame del progetto caso per caso; o b) soglie o criteri fissati dagli Stati membri;
§ paragrafo 3: gli Stati membri tengono conto dei criteri di selezione riportati nell'allegato III nell'esaminare caso per caso o nel fissare soglie o criteri ai fini del paragrafo 2.
Secondo la Commissione, la legislazione italiana[356] (allegati II, III, o IV del D.Lgs 152/2006 modificato) fissa per i progetti cui si applica la direttiva, elencati all’allegato II, soglie dimensionali al di sotto delle quali si presuppone che i progetti siano tali da non avere in nessun caso impatti notevoli sull’ambiente.
Richiamando una consolidata giurisprudenza della Corte di giustizia europea, la Commissione sottolinea al contrario come gli Stati membri, anche nel caso in cui decidano di stabilire soglie per facilitare la determinazione dei progetti da assoggettare a VIA, hanno l’obbligo di considerare tutti i criteri elencati nell’allegato III della direttiva (art 4, para.3 della direttiva) che dunque non possono considerarsi automaticamente assorbiti dalla fissazione di soglie di tipo dimensionale.
Infine, la Commissione osserva come il D.Lgs 152/2006 modificato, in riferimento alla trasposizione degli articoli 4, paragrafi 2 e 3 della direttiva, ha in sostanza mantenuto lo stesso approccio della legislazione da esso abrogata, e di cui la Commissione aveva già segnalato l’incompatibilità nell’ambito di una precedente procedura d’infrazione.
Articolo 36,
comma 7-ter e 7-quater
(Zone vulnerabili da nitrati di origine
agricola)
I commi 7-ter e 7-quater dell’articolo 36 prevedono che le regioni aggiornino, entro novanta giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione del decreto, le zone vulnerabili da nitrati di origine agricola (ZVN), anche sulla base dei criteri contenuti nell’Accordo sull'applicazione della direttiva 91/676/CEE. Viene altresì previsto il potere sostitutivo del Governo dopo un anno, in caso di inerzia delle regioni, e l’applicazione nelle ZVN, nelle more dell’aggiornamento e comunque per un periodo massimo di 12 mesi, delle norme previste per le zone non vulnerabili.
In particolare, il comma 7-ter,
inserito durante l’esame al Senato,
prevede che le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano procedano, entro 90 giorni
dall’entrata in vigore della legge di conversione del decreto, in conformità
all'Accordo sull'applicazione della direttiva 91/676/CEE (relativa alla
protezione delle acque dall'inquinamento da nitrati provenienti da fonti
agricole), all'aggiornamento delle zone
vulnerabili da nitrati di origine agricola, anche sulla base dei criteri
contenuti nel medesimo Accordo.
Qualora le Regioni e le
Province autonome, entro un anno dall’entrata in vigore
della legge di conversione del presente decreto, non abbiano provveduto all’aggiornamento, il Governo esercita il potere sostitutivo in base all'art. 8 della
L. 131/2003.
Ai sensi del comma 7-quater, anch’esso inserito durante l’esame al Senato, nelle more della attuazione del precedente comma 7-bis,
e comunque per un periodo non superiore
a 12 mesi dall’entrata in vigore della legge di conversione del presente
decreto, nelle zone vulnerabili da
nitrati si applicano le norme previste per le zone non vulnerabili.
La “direttiva nitrati” (91/676/CEE) è stata emanata allo scopo di ridurre e prevenire l’inquinamento delle acque e del suolo causato dai nitrati provenienti da fonti agricole. Gli Stati membri sono stati chiamati ad individuare le Zone Vulnerabili da Nitrati (ZVN) di origine agricola, ossia quelle in cui le acque di falda contengono o possono contenere, ove non si intervenga, oltre 50 mg/l di nitrati, a progettare ed attuare i necessari "programmi d'azione" per ridurre l'inquinamento idrico provocato da composti azotati, prevedendo misure intese a limitare l'impiego in agricoltura di tutti i fertilizzanti contenenti azoto e stabilendo restrizioni specifiche nell'impiego di effluenti zootecnici.
La Direttiva 91/676/CEE è stata recepita a livello nazionale con il D.Lgs. 152/99 successivamente sostituito dal D.Lgs. 152/2006 (c.d. Codice dell’ambiente) e a loro volta le singole regioni hanno emanato i provvedimenti necessari per applicare le norme comunitarie e nazionali sui rispettivi territori regionali. Ogni regione ha individuato le zone vulnerabili sul proprio territorio e ha stabilito gli obblighi che ogni azienda deve rispettare per una corretta utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento e dei fertilizzanti azotati.
Ai sensi dell’art. 92 del D.Lgs. 152/2006, nelle zone designate come vulnerabili da nitrati devono essere attuati i programmi di azione obbligatori, nonché le prescrizioni contenute nel codice di buona pratica agricola di cui al D.M. politiche agricole e forestali 19 aprile 1999 (pubblicato nel Supplemento Ordinario alla G.U. n. 102 del 4 maggio 1999).
Con l’Accordo sull'applicazione della direttiva 91/676/CEE[357], siglato in data 5 maggio 2011, le Regioni e le Province autonome e i Ministeri dell’ambiente e delle politiche agricole, hanno convenuto, tra l’altro, di procedere ad uno studio finalizzato all’aggiornamento delle zone vulnerabili da nitrati in relazione ad una serie di indagini indicate nel medesimo accordo. Inoltre con l’Accordo citato i Ministeri e le Regioni si sono impegnati a promuovere l’aggiornamento delle zone vulnerabili e l’adeguamento dei programmi d’azioni ai risultati che emergeranno dallo studio sopracitato ai fini dell’applicazione della direttiva.
Si ricorda che con la decisione 2011/721/UE, l’Unione europea ha concesso alle regioni del bacino padano (Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna), la possibilità di operare in deroga alle disposizioni della “direttiva nitrati”. Tale deroga consente agli allevatori ed agricoltori, che abbiano avanzato specifica richiesta, di distribuire per la fertilizzazione delle colture una quantità di effluenti zootecnici maggiore di quella prevista per le ZVN. La deroga permette di incrementare la quantità di effluenti annualmente distribuita, passando dai 170 kg/ha di azoto di origine zootecnica, come previsto dalla “direttiva nitrati”, a 250 kg/ha nel caso di aziende beneficiarie della deroga, nel rispetto dei criteri stabiliti dall’UE.
Articolo 36,
comma 7-quinquies
(Bacini imbriferi montani)
Il comma 7-quinquies dell’articolo 36, inserito durante l’esame al Senato, modifica le modalità di versamento del sovracanone che, nei bacini imbriferi montani (BIM), deve essere pagato dai concessionari di grandi derivazioni d'acqua per forza motrice.ai comuni istituiti in consorzio obbligatorio.
Viene infatti previsto che, a decorrere dall’esercizio 2012, tale canone sia versato direttamente ai comuni, anziché, come previsto dalle norme vigenti, in un conto corrente fruttifero della Banca d’Italia per essere poi riassegnato ai comuni.
Si ricorda che la legge 959/1953 (recante “Norme modificatrici del T.U. delle leggi sulle acque e sugli impianti elettrici”) prevede, all’art. 1, l’individuazione e la perimetrazione, con decreto interministeriale, dei «bacini imbriferi montani» (BIM) nel territorio nazionale. Ai sensi del comma 2 del medesimo articolo i comuni che in tutto o in parte sono compresi in ciascun BIM sono costituiti in consorzio obbligatorio qualora ne facciano domanda non meno di tre quinti di essi.
L’art. 2, comma 1, dispone inoltre che, qualora non si raggiunga la citata maggioranza dei tre quinti per la costituzione del consorzio obbligatorio, il sovracanone che deve essere pagato dai concessionari di grandi derivazioni d'acqua per forza motrice ai sensi del precedente articolo, sarà versato su di apposito conto corrente fruttifero della Banca d'Italia intestato al Ministero dei lavori pubblici, il quale provvederà con decreto alla ripartizione della somma tra i vari Comuni interessati, in base ai criteri stabiliti nell'articolo stesso.
Articolo 36,
comma 8
(Società agricola professionale)
Il comma 8 novella le disposizioni sulle “società agricole”, consentendo la conservazione della qualifica anche in presenza di redditi derivanti da locazione, affitto o comodato, purché alle stabilite condizioni.
Il comma 8 novella l'articolo 2 del decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 99 - che reca la definizione delle società agricole - introducendo un ultimo periodo al primo comma. La norma in commento stabilisce la piena compatibilità fra l’esercizio delle attività agricole di cui all’art. 2135 cc e il compimento di attività diverse che, ancorché di natura economica, hanno carattere occasionale o marginale e non sono produttrici della perdita da parte della società della propria qualifica di società agricola.
L’articolo 2 del richiamato decreto n. 99/04, nel definire la figura societaria, richiede che l’indicazione di società agricola figuri nella ragione sociale o nella denominazione sociale della società, e richiede altresì l’esercizio esclusivo delle attività di cui all’art. 2135 del codice civile[358]. Al di fuori delle ipotesi previste dal codice, l’attività svolta rientra tra quelle aventi natura commerciale, alle quali non si applicano pertanto i benefici fiscali e contributivi previsti per il comparto agricolo.
La novella stabilisce che non possono snaturare, ovvero sviare, l’attività di impresa agricola in concreto esercitata dalla società:
§ l’attività di locazione, di comodato e l’affitto;
§ che abbiano per oggetto fabbricati ad uso abitativo, terreni e fabbricati ad uso strumentale delle attività di cui all’art. 2135 cc;
§ e purché sia soddisfatta la condizione della “marginalità” dei ricavi, che non possono superare il 10% dei ricavi complessivi.
Conseguentemente la società conserva le caratteristiche di impresa agricola, anche ai fini fiscali, e resta l’assoggettamento dei suoi ricavi alla disciplina recata dal testo unico delle imposte sui redditi di cui al D.P.R. n. 917/86.
Con riferimento invece all’imposizione sui ricavi derivanti dalle locazioni e dagli affitti, l’ultimo periodo della norma in esame rimanda genericamente alle regole del TUIR.
Si segnala in merito che le società agricole possono optare per la tassazione del reddito con i criteri catastali (articolo 1, comma 1093, della legge n. 296 del 2006). In tal caso il reddito agrario è costituito dalla parte del reddito medio ordinario dei terreni imputabile al capitale d'esercizio e al lavoro di organizzazione impiegati, nei limiti della potenzialità del terreno, nell'esercizio di attività agricole su di esso (articolo 32 del D.P.R. n. 917/86 - TUIR).
Al riguardo sembrerebbe opportuno
individuare con maggiore precisione le norme del TUIR applicabili ai redditi da
locazione.
Articolo 36,
comma 8-bis
(IVA prodotti agricoli)
Il comma
8-bis assoggetta i
produttori agricoli esonerati dalla dichiarazione IVA all’obbligo di
comunicazione all’amministrazione finanziaria delle operazioni rilevanti a fini
IVA (c.d. “spesometro”).
La norma in esame, al fine di rendere più efficienti le attività di controllo relative alla rintracciabilità dei prodotti agricoli e alimentari, assoggetta i produttori agricoli esonerati dalla dichiarazione IVA all’obbligo di comunicazione all’amministrazione finanziaria delle operazioni rilevanti a fini IVA (c.d. “spesometro”).
I produttori agricoli che hanno realizzato, o in caso di inizio di attività prevedono di realizzare, un volume d’affari non superiore a 7mila euro sono esonerati dal versamento dell’Iva e da tutti gli obblighi documentali e contabili dall'articolo 34, comma 6, del D.P.R. n. 633 del 1972 (Istituzione e disciplina dell'imposta sul valore aggiunto).
La disciplina dello “spesometro” è prevista dall’articolo 21 del D.L. n. 78 del 2010 (Comunicazioni telematiche alla Agenzia delle Entrate). Da ultimo il D.L. n. 16 del 2012 (articolo 2, comma 6) ha reintrodotto l'obbligo di comunicare all'amministrazione finanziaria tutte le transazioni effettuate con l'obbligo di emissione della fattura (c.d. elenco clienti-fornitori). Per le operazioni senza obbligo di fattura (generalmente giustificate da scontrino o ricevuta fiscale, nei confronti dei privati) la disciplina invece non cambia, in quanto devono essere comunicate solo le operazioni di importo superiore alla soglia di 3.600 euro.
Si ricorda al riguardo che l’articolo 21 del D.L. n. 78 del 2010 ha introdotto l’obbligo di comunicazione telematica delle operazioni rilevanti ai fini IVA, di importo non inferiore a 3.000 euro, demandandone le modalità e i termini attuativi, tali da limitare al massimo l'aggravio per i contribuenti, ad un provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate. La disposizione ha previsto altresì che, nell’ipotesi di omissione delle comunicazioni telematiche, ovvero di una loro effettuazione con dati incompleti o non veritieri, si applichi una sanzione amministrativa compresa tra un minimo di 258 euro e un massimo di 2.065 euro, ai sensi dell'articolo 11 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471 (recante Riforma delle sanzioni tributarie non penali in materia di imposte dirette, di imposta sul valore aggiunto e di riscossione dei tributi ).
Il provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 22 dicembre 2010 ha individuato i soggetti obbligati a tale comunicazione, gli elementi e i dati da comunicare nonché le modalità di effettuazione della comunicazione. In particolare si è previsto che:
§ oggetto della comunicazione sono le cessioni di beni e le prestazioni di servizi rese e ricevute dai soggetti passivi IVA per le quali i corrispettivi dovuti sono di importo pari o superiore a euro tremila al netto dell’imposta sul valore aggiunto. Per le operazioni rilevanti ai fini IVA per le quali non ricorre l’obbligo di emissione della fattura, il predetto limite è elevato a 3.600 euro al lordo dell’imposta applicata (articolo 2 del provvedimento);
§ sono escluse dal predetto obbligo le importazioni, le esportazioni alle condizioni di legge, le cessioni di beni e le prestazioni di servizi nei confronti di operatori economici aventi sede, residenza o domicilio in Paesi cosiddetti “black list” e le operazioni che hanno già costituito oggetto di comunicazione all'Anagrafe tributaria.
§ Il successivo provvedimento del 14 aprile 2011, emanato dall'Agenzia delle entrate, ha peraltro escluso, in fase di prima applicazione, le operazioni rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto per le quali non ricorre l’obbligo di fattura, effettuate fino al 30 giugno 2011 (articolo 3 del provvedimento).
Tra gli elementi da indicare nella comunicazione vi sono, tra l’altro, l’anno di riferimento, la partita IVA o il codice fiscale del cedente, prestatore, cessionario o committente, i corrispettivi dovuti dal cessionario o committente, o al cedente o prestatore, secondo le condizioni contrattuali, e l’importo dell’imposta sul valore aggiunto applicata o la specificazione che trattasi di operazioni non imponibili o esenti; per le operazioni rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto per le quali non ricorre l’obbligo della fattura, i corrispettivi comprensivi dell’imposta sul valore aggiunto applicata.
Gli ultimi chiarimenti in materia sono stati forniti con la Circolare 24/E dell’Agenzia delle Entrate del 30 maggio 2011 e con il successivo Provvedimento del 21 giugno 2011, che ha dettato le specifiche tecniche relative alla comunicazione telematica.
La Circolare 24/E ha chiarito che l’obbligo di comunicazione riguarda non solo le operazioni effettuate tra soggetti IVA (cosiddette operazioni business to business), ma anche quelle in cui cessionario o committente risulti essere il consumatore finale (cosiddette operazioni business to consumer).
La norma in esame fa riferimento alla rintracciabilità dei prodotti agricoli e alimentari prevista dall’articolo 18 del regolamento comunitario n. 178/2002 sulla sicurezza alimentare.
Il regolamento (CE) 28 gennaio 2002 n. 178, del Parlamento europeo e del Consiglio, oltre a istituire l'Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissare procedure nel campo della sicurezza alimentare, stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare. L'articolo 18 del citato regolamento introduce nel diritto alimentare europeo, come prescrizione generale, la "rintracciabilità" degli alimenti e dei mangimi, degli animali destinati alla produzione alimentare in tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione. Gli alimenti o i mangimi che sono immessi sul mercato della Comunità o che probabilmente lo saranno devono essere adeguatamente etichettati o identificati per agevolarne la rintracciabilità, mediante documentazione o informazioni pertinenti secondo i requisiti previsti in materia da disposizioni più specifiche.
Articolo 36,
commi 9 e 10
(Fondo
per la crescita sostenibile)
I commi 9 e 10 dispongono l’immediata cessazione dell’operatività del comitato deputato ad esprimere il parere riguardo agli interventi del Fondo speciale rotativo per l'innovazione tecnologica (FIT), ora divenuto Fondo per la crescita sostenibile.
In particolare, il comma 9 decreta l’immediata cessazione dell’operatività del comitato tecnico previsto dall'articolo 16, comma 2 della legge 17 febbraio 1982, n. 46, che lo investiva di un parere per gli interventi del «Fondo speciale rotativo per l'innovazione tecnologica» istituito presso l'allora Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato.
Si ricorda che l’articolo 14 della L. 46/1982, ha istituito presso il Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato (ora Ministero dello sviluppo economico) il Fondo speciale rotativo per l'innovazione tecnologica, che opera con gestione fuori bilancio ai sensi dell'articolo 9 della legge 25 novembre 1971, n. 1041.
Gli interventi del Fondo hanno per oggetto programmi di imprese destinati ad introdurre rilevanti avanzamenti tecnologici finalizzati a nuovi prodotti o processi produttivi o al miglioramento di prodotti o processi produttivi già esistenti, oppure rilevanti innovazioni di contenuto stilistico e qualitativo del prodotto. Tali programmi riguardano le attività di progettazione, sperimentazione, sviluppo, preindustrializzazione e i processi realizzativi di campionatura innovativa, unitariamente considerati.
Il Fondo speciale rotativo per l'innovazione tecnologica (FIT) è poi stato trasformato dall’articolo 23, comma 2, del D.L. 83/2012[359] nel Fondo per la crescita sostenibile.
Il comma 10, di conseguenza, abroga la disposizione dell'articolo 23 comma 5 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, come convertito in legge, che prevedeva che il comitato in questione permanesse in vita per le sole attività residuali della legge 46/82, e comunque non oltre il 2015.
Secondo la relazione illustrativa, tale scelta è coerente con l’istituzione del Fondo per la crescita sostenibile di cui all’articolo 23 del decreto legge n. 83 del 2012, in base al quale stanno per essere adottate nuove modalità di gestione delle misure per l’innovazione tecnologica per cui il comitato non si palesa più necessario.
Articolo 36,
comma 10-bis
(Spese di funzionamento dell’ISPRA)
Il comma 10-bis dell’articolo 36, introdotto durante l’esame al Senato, prevede che le risorse già assegnate al soppresso ICRAM possano essere utilizzate anche per le spese di funzionamento ISPRA.
La norma prevede che le risorse già assegnate dall’art. 1, comma 50, della legge n. 308 del 2004 per il soppresso Istituto centrale per la ricerca scientifica e tecnologica applicata al mare (ICRAM), possono essere utilizzate, nei limiti delle risorse disponibili e senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, anche per le spese di funzionamento dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca ambientale (ISPRA).
Si ricorda che l’art. 1, comma 50 della legge n. 308 del 2004 recante “Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l'integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione” autorizza, al fine di adeguare le strutture operative ICRAM alle esigenze di una maggiore presenza sul territorio anche a supporto tecnico degli enti locali nel coordinamento delle attività a livello locale nelle aree marine protette, negli scavi portuali e nella pesca, per il triennio 2003-2005, la spesa di 7,5 milioni di euro annui.
In relazione all’ICRAM, con D.M. 21 maggio 2010 n. 123, è stato adottato il Regolamento con cui è stata disposta la fusione dell'ICRAM, dell'APAT e dell'INFS in un unico istituto, denominato ISPRA, in attuazione dell'art. 28, comma 3, del decreto-legge n. 112 del 2008.
In merito agli stanziamenti per l’ISPRA, nel disegno di legge di stabilità per il 2013, in tabella C, Capitolo 3621 sono allocati 5,2 milioni di euro nel 2013, 5,1 milioni di euro nel 2014 e 5 milioni di euro nel 2015. Ulteriori stanziamenti, di natura obbligatoria, sono allocati nel capitolo 3623 con una dotazione di 58,5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2013-2015.
Articolo 36,
comma 10-ter
(Credito agrario)
Il comma 10-ter autorizza l’Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare all’erogazione del credito alle imprese agricole, anche costituendo forme associative con i soggetti autorizzati all’esercizio del credito agrario.
Le norme in commento, novellando la legge n. 350/03, finanziaria 2004, autorizzano Ismea:
§ alla erogazione del credito a condizioni di mercato,
§ alla costituzione di forme associative e consortili - con banche ed altri soggetti autorizzati all’esercizio del credito agrario - per l’esercizio del credito.
Il comma 45 dell’articolo 4, della richiamata legge n. 350, così individua le attività di tipo creditizio e finanziario che l’Istituto può svolgere:
a) prestare garanzie finanziarie per emissioni di obbligazioni sia a breve che a medio e a lungo termine effettuate da piccole e medie imprese operanti nel settore agricolo e agroalimentare;
b) provvedere all'acquisto di crediti bancari sia a breve che a medio e a lungo termine in favore delle piccole e medie imprese operanti nel settore agricolo e agroalimentare e alla loro successiva cartolarizzazione;
c) effettuare anticipazioni dei crediti vantati dagli agricoltori nei confronti degli organismi pagatori a titolo di versamento degli aiuti comunitari della PAC.
Le finalità che l’istituto deve perseguire, nello svolgimento delle menzionate attività, sono quelle a suo tempo attribuite alla Cassa per la formazione della proprietà contadina, accorpata nell’Istituto nel 1999 (D.lgs. n. 419, art. 6, comma 5), ovvero: ridurre i rischi inerenti alle attività produttive e di mercato, favorire il ricambio generazionale in agricoltura, contribuire alla trasparenza e alla mobilità del mercato fondiario rurale.
L’attività dell'Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare (ISMEA), fondamentalmente diretta favorire l'accesso al mercato dei capitali da parte delle imprese agricole, si svolge inoltre sia concedendo la propria garanzia a fronte di finanziamenti a breve, a medio ed a lungo termine concessi dalle banche, che mediante rilascio di controgaranzia e cogaranzia in collaborazione con confidi, altri fondi di garanzia pubblici e privati, anche a carattere regionale (D.lgs. n. 102/04, art. 17).
Da ultimo (D.L. n. 1/12, articolo 64) è stato disposto che l’ISMEA possa intervenire anche con l’erogazione di finanziamenti agevolati nelle modalità definite con la decisione della Commissione Europea C(2011) 2929 del 13 maggio 2011[360]. La decisione richiamata ha considerato compatibile con il trattato sul funzionamento dell’Unione europea l’applicazione del metodo di calcolo dell’ESL (equivalente sovvenzione lordo) ai prestiti erogati dall’Istituto tramite il proprio Fondo credito: tali prestiti potranno pertanto essere concessi a tassi ridotti, applicabili fino al 31 dicembre 2020. L’erogazione dei finanziamenti tuttavia non avviene direttamente ad opera del Fondo ma attraverso il ricorso a banche intermediarie, selezionate con una procedura pubblica. A ciascun beneficiario è rilasciato un finanziamento in parte a carico del Fondo, in parte a carico della banca. La quota di partecipazione del fondo non può superare il 50% ed è rilasciata con un tasso di interesse ridotto, o a tasso zero, mentre la quota bancaria è rilasciata a condizioni di mercato. Il Fondo, come detto, si avvale degli istituti bancari per l’erogazione della propria quota di partecipazione.
Al riguardo, si segnala che l’ordinamento (articolo 106, comma 1, del
Testo Unico Bancario, di cui al D. Lgs. n. 385 del 1993) consente l’esercizio
dell'attività di concessione di finanziamenti nei confronti del pubblico -
sotto qualsiasi forma - agli intermediari finanziari autorizzati, iscritti in
un apposito albo tenuto dalla Banca d'Italia. Dall’iscrizione all’albo
discende, accanto a specifiche regole di condotta, anche la sottoposizione
degli intermediari autorizzati alla vigilanza delle autorità competenti (Banca
d’Italia).
Stante il tenore letterale della disposizione in commento, che
autorizza ISMEA all’esercizio del credito, si valuti l’opportunità di
coordinare quanto in essa previsto con la richiamata disciplina contenuta nel
TU bancario in materia di soggetti autorizzati.
Articolo 36,
comma 10-quater
(Agenzia in attività finanziaria)
Il comma 10-quater, introdotto durante l’esame del provvedimento al Senato, modifica le ipotesi di esclusione di determinate attività dal perimetro dell’agenzia in attività finanziaria.
Per effetto delle norme in esame, non costituisce agenzia in attività finanziaria l’attività di promozione e collocamento di contratti relativi alla concessione di finanziamenti o alla prestazione di servizi di pagamento da parte di promotori iscritti in apposito albo - effettuate per conto del soggetto abilitato che ha conferito l'incarico - anche ove i servizi offerti non intendano consentire agli investitori di effettuare operazioni relative a strumenti finanziari.
Le norme in esame, in particolare, modificano l’articolo 7 (alinea 1-bis), del D.Lgs. n. 169 del 2012, espungendo dalla predetta norma la condizione secondo cui l’attività di promozione e collocamento non era qualificabile come “agenzia in attività finanziaria” a condizione che fosse finalizzata a consentire l’effettuazione di operazioni su strumenti finanziari.
In estrema sintesi si ricorda che la legge comunitaria 2008 (articolo 33 della legge 7 luglio 2009, n. 88) ha delegato il Governo, accanto al recepimento della disciplina europea sul credito al consumo, a revisionare la disciplina delle attività e dei soggetti operanti nel settore finanziario, nonché a dettare nuove regole sull'attività di mediatori creditizi e agenti in attività finanziaria. In ordine a questi ultimi soggetti, è stato previsto che l'attuazione della delega assicuri trasparenza dell’operato e professionalità tramite l’innalzamento dei requisiti professionali, con la creazione di un organismo rappresentativo di tali professionisti, avente il compito di gestire gli elenchi dei mediatori creditizi e degli agenti in attività finanziaria e sottoposto alla vigilanza della Banca d’Italia. In attuazione della delega, il Titolo IV del D.Lgs. n. 141 del 2010 ha ridisegnato l'assetto delle predette professioni. Accanto alle modifiche al Testo Unico Bancario, sono state emanate anche disposizioni in materia di incompatibilità e di requisiti (tecnico-informatici, patrimoniali, di professionalità ed onorabilità) richiesti a mediatori ed agenti; è stato disciplinato l’organismo competente alla gestione degli elenchi. Da ultimo, il richiamato decreto legislativo n. 169 del 2012 ha apportato sostanziose modifiche: tra le novità più rilevanti si ricorda l'ampliamento dell'ambito operativo delle norme poste a tutela dei consumatori, in particolare di quelle relative alla trasparenza delle condizioni contrattuali; sono introdotte norme volte ad accelerare l'avvio del nuovo assetto dei soggetti operanti nel settore finanziario, ivi compresi quelli che esercitano l'attività di microcredito; è recata una disciplina compiuta dei cambiavalute, nei confronti dei quali è modificata la disciplina sull'uso del contante e quella antiriciclaggio.
Articolo 36,
comma 10-quinquies
(Programma SFOP)
L’articolo 36 comma 10-quinquies, introdotto al Senato, è diretto a consentire che le risorse a suo tempo destinate alle iniziative finanziate dallo SFOP per il periodo 1994-1999, siano utilizzate per la realizzazione del Piano triennale della pesca, entrando a far parte del patrimonio dei beneficiari.
Le norme sono dirette ad attribuire una nuova destinazione alle risorse, a suo
tempo assegnate alle cooperative esercenti attività di garanzia collettiva
fidi, che permangono così nel patrimonio dei beneficiari.
Dette risorse erano state erogate per la
realizzazione delle iniziative finanziate dal fondo strutturale della pesca (SFOP), per il periodo di programmazione 1994/1999, e sono ora
riservate – con vincolo di destinazione – agli interventi rientranti negli
obiettivi individuati dal Programma
nazionale triennale della pesca e dell'acquacoltura
Il “Programma nazionale” contiene gli interventi di esclusiva competenza nazionale che, in coerenza con le disposizioni comunitarie, debbono essere indirizzati alla tutela dell’ecosistema marino nonché ad assicurare la concorrenza e competitività delle imprese di pesca nazionali (così il D.L. n. 225/10, comma 5-decies dell’art. 2).
Attualmente è in atto il programma relativo al triennio 2007-2009 (approvato con il D.M. del 3/8/2007), da ultimo prorogato al 31 dicembre del 2012 (decreto legge n. 216/2011, primo comma dell’art. 9).
Quanto ai soggetti che
prestano garanzia nel settore della pesca, nel quinquennio relativo al periodo
di programmazione la cooperativa di maggior rilievo – se non l’unica – era la
società Fidipesca Italia, nata su
iniziativa delle associazioni nazionali di categoria con l’obiettivo di
agevolare il ricorso al credito bancario da parte delle imprese della filiera
ittica. La società cooperativa dispone di un fondo di oltre 20 milioni di euro,
destinato alla costituzione di “fondi di garanzia” presso Banche e Istituti di
credito, riservati ad esclusivo beneficio delle imprese socie. L’attività di rilascio garanzie è rivolta sia ai
progetti di a medio-lungo termine che alle operazioni di finanziamento bancario
a breve.
Le risorse del fondo di garanzia societario, che sono state connesse alla programmazione 1994/1999 dello SFOP - chiusa il 31 marzo 2003[361], entreranno così nella disponibilità patrimoniale della società e potranno essere impiegate per attivate il credito per il comparto della pesca.
Il comma 10-quinquies in commento fa
salvo quanto previsto all'articolo 4 del decreto legge n. 171/08, che pone a
carico del fondo di rotazione per l'attuazione delle politiche comunitarie gli
oneri derivanti dalla chiusura della programmazione 1994-1999, relativamente
agli interventi cofinanziati. La quantificazione di tali oneri è stata di 50,66
milioni per il 2008.
Articolo 36.
comma 10-sexies e 10-septies
(Fondo di garanzia a favore delle piccole
e medie imprese)
I commi 10-sexies e 10-septies, introdotti dal Senato, estendono alle grandi imprese limitatamente ai soli finanziamenti erogati con la partecipazione di Cassa depositi e prestiti, la concessione della garanzia del Fondo di garanzia a favore delle piccole e medie imprese.
In particolare, il comma 10-sexies integra il comma 4 dell’articolo 39, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (cd. Salva Italia), inserendo anche le grandi imprese, limitatamente ai soli finanziamenti erogati con la partecipazione di Cassa depositi e prestiti, secondo quanto previsto e nei limiti di cui all'articolo 8, comma 5, lettera b) del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70[362].
Si ricorda che il citato comma 4 riguarda la concessione della garanzia del Fondo di garanzia a favore delle piccole e medie imprese su portafogli di finanziamenti erogati a piccole e medie imprese da banche e intermediari finanziari.
L'articolo 8, comma 5, lettera b) del D.L. 70/2011 prevede che con decreti del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, possono essere modificati e integrati i criteri e le modalità per la concessione della garanzia e per la gestione del Fondo. In attuazione di quanto disposto, è stato emanato il D.M. 26 giugno 2012 (Modifiche ed integrazioni ai criteri e alle modalità per la concessione della garanzia del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese).
Il comma 10-septies precisa che gli interventi di cui al citato comma 4 sono effettuati nell'ambito della disponibilità di cui all'articolo 39, comma 1, dello stesso decreto.
Il comma 1 dispone che, in materia di fondo di garanzia a favore delle piccole e medie imprese, la garanzia diretta e la controgaranzia possono essere concesse a valere sulle disponibilità del Fondo di garanzia a favore delle piccole e medie imprese fino all'80 per cento dell'ammontare delle operazioni finanziarie a favore di piccole e medie imprese e consorzi ubicati in tutto il territorio nazionale, purché rientranti nei limiti previsti dalla vigente normativa comunitaria.
Articolo 36-bis
(Disciplina delle relazioni commerciali
in agricoltura)
Per il commento al presente articolo 36-bis si rinvia alla scheda dell’articolo 36, co. 6-bis.
Articolo 37
(Finanziamento delle agevolazioni in
favore delle imprese delle Zone Franche Urbane ricadenti nell'Obiettivo
Convergenza)
L’articolo 37 reca disposizioni per il finanziamento di talune agevolazioni in favore delle piccole e medie imprese localizzate nelle zone franche urbane ricadenti nelle regioni Calabria, Campania, Puglia e Sicilia. Tale regime agevolativi viene esteso anche alle aree industriali delle medesime regioni per le quali è stata già avviata una procedura di riconversione industriale, purché siano state precedentemente utilizzate per la produzione di autovetture, nonché ai comuni della provincia di Carbonia – Iglesias nell'ambito dei programmi di sviluppo e degli interventi compresi nell'Accordo di Programma ''Piano Sulcis''.
In particolare il comma 1 stabilisce che le risorse rivenienti dalla riprogrammazione dei programmi cofinanziati dai Fondi strutturali 2007-2013 nell’ambito del Piano di azione coesione, nonché ulteriori risorse regionali (così specificato dal Senato) possono essere destinate anche al finanziamento delle agevolazioni previste alle lettere da a) a d) dell'articolo 1, comma 341, della legge n. 296 del 2006 (esenzione dal pagamento delle imposte sui redditi, dell’IRAP, dell’imposta sugli immobili e dei contributi sulle retribuzioni da lavoro dipendente), nonché in quelle valutate ammissibili nella relazione istruttoria ad essa allegata, in favore delle imprese di micro e piccola dimensione localizzate o che si localizzano entro la data fissata dal decreto previsto dal successivo comma 4 nelle Zone Franche Urbane (ZFU) individuate dalla delibera CIPE n. 14 del 2009, ricadenti nelle regioni ammissibili all'obiettivo «Convergenza».
Il Senato ha stabilito che, oltre alle ZFU già individuate dalla citata delibera n. 14 il CIPE provveda ad individuarne ulteriori entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto-legge, che devono tuttavia rientrare anch’esse nelle regioni dell’obiettivo «Convergenza».
Si segnala che, trattandosi di risorse rivenienti dalla riprogrammazione dei fondi comunitari, la disposizione riguarda soltanto le PMI delle ZFU delle quattro regioni dell'obiettivo Convergenza, vale a dire Calabria, Campania, Puglia e Sicilia, mentre la delibera CIPE n. 14 del 2009 di individuazione delle ZFU (cfr infra) aveva indicato anche le città di Cagliari, Iglesias, Quartu Sant'Elena, Campobasso, Velletri, Sora, Pescara, Ventimiglia, Massa-Carrara e Matera.
Poiché la lettera c) deI richiamato comma 341 fa riferimento all’ICI, il comma 3 specifica che tale esenzione deve intendersi riferita alla imposta municipale propria – IMU.
Il comma 2 rinvia all’applicazione dei parametri dimensionali previsti dalla vigente normativa comunitaria ai fini della classificazione di micro e piccola impresa.
Il comma 4 stabilisce che all'attuazione del presente articolo si provvede nel limite massimo delle risorse destinate a tali interventi come a seguito della riprogrammazione dei programmi cofinanziati dai Fondi strutturali 2007-2013.
Le condizioni, i limiti, le modalità e i termini di decorrenza e durata delle agevolazioni sono stabiliti con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze.
Ai fini della concessione delle agevolazioni il Senato, nel riformulare il comma 1, ha soppresso il richiamo a quanto disposto dal regolamento (CE) n. 1998/2006 della Commissione, del 15 dicembre 2006, relativo all'applicazione degli articoli 87 e 88 del Trattato agli aiuti de minimis.
Il Senato ha introdotto 3 ulteriori commi:
§ il comma 1-bis che ricomprende tra le ZFU previste dall’articolo 1, comma 340, della legge n. 296/2006 le aree industriali ricadenti nelle Regioni dell'Obiettivo convergenza (Calabria, Campania, Puglia e Sicilia) per le quali è stata già avviata una procedura di riconversione industriale, purché siano state precedentemente utilizzate per la produzione di autovetture e abbiano registrato un numero di addetti, precedenti all’avvio delle procedure per la cassa integrazione guadagni straordinaria, non inferiore a mille unità.
§ il comma 1-ter che riduce, a decorrere dal 2013 di 2 milioni la dotazione del Fondo per interventi strutturali di politica economica (Fondo ISPE).
Si ricorda che nel bilancio dello Stato per gli anni 2013-2015, come approvato dalla Camera dei deputati (A.S. 3585/bis), la dotazione del capitolo 3075/Economia ammonta a 14,9 milioni per il 2013, a 12,4 milioni per il 2014 e a 7,4 milioni per il 2015.
§ il comma 4-bis che dispone l’applicazione in via sperimentale delle misure in tema di ZFU ai comuni della provincia di Carbonia – Iglesias, nell'ambito dei programmi di sviluppo e degli interventi compresi nell'Accordo di Programma ''Piano Sulcis''. La relativa copertura è disposta a valere sulle somme destinate alla attuazione del ''Piano Sulcis'' dalla delibera del CIPE n. 93 del 2 agosto 2012 (G.U. n. 272 del 21.11.2012.
La delibera CIPE n. 93 del 2012 concerne la programmazione delle risorse residue del Fondo sviluppo e coesione (ex FAS) riferite ai cicli di programmazione 2000-2006 e 2007-2013 relative alla Regione Sardegna per un importo pari a 427,7 milioni, di cui 127,7 quale assegnazione programmatica al Piano per il Sulcis” (punto 1.2 della delibera).
Le zone franche urbane: normativa
L’articolo 1, comma 340, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007) - così come modificato dall’articolo 2, comma 561, della legge n. 244/2007 (legge finanziaria 2008) e dall’articolo 9, comma 4, del decreto-legge n. 194/2009 - al fine di contrastare i fenomeni di esclusione sociale negli spazi urbani e favorire l’integrazione sociale e culturale delle popolazioni abitanti in circoscrizioni o quartieri delle città caratterizzati da degrado urbano e sociale, ha previsto l’istituzione di Zone Franche Urbane (ZFU) e ha costituito nello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico un apposito Fondo per il finanziamento di programmi di intervento da realizzarsi nelle ZFU.
I successivi commi 341, 341-bis, 341-ter e 341-quater, definiscono le agevolazioni di cui possono beneficiare le ZFU.
In particolare le lettere da a) a d) del citato comma 341 stabiliscono che le piccole e microimprese che iniziano nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2008 e il 31 dicembre 2012 una nuova attività economica nelle zone franche urbane possono fruire:
a)
dell’esenzione
dalle imposte sui redditi per i
primi cinque periodi di imposta. Per i periodi di imposta successivi,
l’esenzione è limitata, per i primi cinque al 60 per cento, per il sesto e
settimo al 40 per cento e per l’ottavo e nono al 20 per cento. L’esenzione
spetta fino a concorrenza dell’importo
di euro 100.000 del reddito derivante dall’attività svolta nella zona
franca urbana, maggiorato, a decorrere dal periodo di imposta in corso al 1°
gennaio 2009 e per ciascun periodo d’imposta, di un importo pari a euro 5.000,
ragguagliato ad anno, per ogni nuovo assunto a tempo indeterminato, residente
all’interno del sistema locale di lavoro in cui ricade la zona franca urbana;
b)
dell’esenzione
dall’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP), per i primi cinque
periodi di imposta, fino a concorrenza di euro 300.000, per ciascun periodo di
imposta, del valore della produzione netta;
c)
dell’esenzione
dall'imposta comunale sugli immobili (ora imposta municipale) a decorrere
dall’anno 2008 e fino all’anno 2012, per i soli immobili siti nelle zone
franche urbane dalle stesse imprese posseduti ed utilizzati per l’esercizio
delle nuove attività economiche;
d)
esonero
dal versamento dei contributi sulle retribuzioni da lavoro dipendente, per
i primi cinque anni di attività, nei limiti di un massimale di retribuzione definito
con decreto del Ministro del lavoro, solo in caso di contratti a tempo
indeterminato, o a tempo determinato di durata non inferiore a dodici mesi, e a
condizione che almeno il 30 per cento degli occupati risieda nel sistema locale
di lavoro in cui ricade la zona franca urbana[363].
Sono, in ogni caso, escluse dal regime agevolativo le imprese operanti nei settori della costruzione di automobili, della costruzione navale, della fabbricazione di fibre tessili artificiali o sintetiche, della siderurgia e del trasporto su strada (comma 341-ter). Si affidava a un decreto del Ministro dell’economia e delle finanze la disciplina di condizioni, limiti e modalità di applicazione delle predette agevolazioni esenzioni fiscali (comma 341-quater).
Il comma 342, così come modificato dall’art. 2, comma 563, della legge n. 244/2007, ha stabilito che il CIPE, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro della solidarietà sociale (ora Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali), provveda alla definizione dei criteri per l’allocazione delle risorse e per la individuazione e selezione delle ZFU, nonché, successivamente, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, alla perimetrazione delle singole ZFU e alla concessione del finanziamento in favore dei relativi programmi di intervento.
Il comma 343 ha disposto che il Nucleo di valutazione e verifica degli investimenti pubblici del Ministero dello sviluppo economico, anche in coordinamento con i Nuclei di valutazione delle Regioni interessate, provveda al monitoraggio ed alla valutazione di efficacia degli interventi e presenta a tal fine al CIPE una relazione annuale sugli esiti delle attività.
Le zone franche urbane: individuazione delle ZFU
Con la delibera 30 gennaio
2008, n. 5 il CIPE ha definito i criteri e gli indicatori per
l’individuazione e la delimitazione delle ZFU, il cui numero è stato
inizialmente determinato in 18, elevato poi a 22 dalla delibera CIPE n. 14
del 2009.
La circolare del Ministero dello sviluppo economico, Dipartimento per le politiche di sviluppo e di coesione, prot. n. 0014180 del 26 giugno 2008 (G.U. n. 155/2008 e G.U. n. 164/2008), ha definito i contenuti e le modalità di presentazione delle proposte progettuali delle amministrazioni comunali, con la quale viene precisato l’anno di riferimento per il calcolo della percentuale di popolazione residente nelle ZFU rispetto al totale della popolazione residente nell’area urbana interessata.
Sulla base dei criteri stabiliti sono stati individuati 63 Comuni e 63 ZFU ammissibili al beneficio.
La dotazione annua è stata attribuita a ciascuna ZFU per il 60% secondo un criterio di dimensione demografica e per il 40% secondo l’intensità di disagio economico e sociale, al netto dell’attribuzione a ciascuna ZFU di un contributo annuo, in misura fissa, pari a 750.000 euro, quale base di accesso al beneficio identica per tutte le ZFU.
Con la delibera CIPE n. 14 del 2009 sono state individuate le 22 zone franche urbane ricadenti nei seguenti comuni (in grassetto quelle rientranti nell’obiettivo Convergenza): Catania, Torre Annunziata, Napoli, Taranto, Cagliari, Gela, Mondragone, Andria, Crotone, Erice, Iglesias, Quartu Sant'Elena, Rossano, Lecce, Lamezia Terme, Campobasso, Velletri, Sora, Pescara, Ventimiglia, Massa - Carrara, Matera. Con l’Allegato alla delibera n. 14 sono stati identificati i confini delle ZFU attraverso l’elenco delle sezioni censuarie.
Le zone franche urbane: finanziamenti
L’articolo 1, comma 340, della legge n. 296 del 2006 ha previsto per il Fondo ZFU una dotazione di 50 milioni per ciascuno degli anni 2008 e 2009 per il finanziamento di programmi di intervento da realizzarsi nelle zone stesse.
Tali risorse sono state iscritte sui capitoli 8352 (15 milioni) e 8430 (35 milioni) dello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico sia nel 2008 che nel 2009, risultando presenti in conto residui anche nell’esercizio 2010 (riunite nel cap. 8430), per poi divenire “economie di bilancio” nel 2011.
Successivamente l’articolo 3, comma 5, della legge n. 99 del 2009
ha disposto che il CIPE, nell’ambito delle risorse disponibili per la
programmazione del Fondo per le aree sottoutilizzate, destini una quota del
Fondo strategico per il Paese a sostegno dell’economia reale (previsto
dall’articolo 18, comma 1, lettera b-bis),
del D.L. n. 185 del 2008), fino al limite
annuale di 50 milioni di euro per le zone franche urbane. In base alla formulazione della norma, non veniva
specificato il periodo temporale del finanziamento: la delibera CIPE n. 30 del
2010 ha specificato tale finanziamento nel triennio 2010-2012 per un importo complessivo di 150 milioni. La delibera CIPE n. 1 del 2011 ha disposto
l’azzeramento del finanziamento di
150 milioni, quale copertura parziale del taglio del 10% delle risorse FAS
disposto dal D.L. n. 78 del 2010.
Le zone franche urbane dell’Abruzzo
A seguito del sisma in Abruzzo dell’aprile 2009, l’articolo 10 del D.L. n. 39/2009 ha affidato al CIPE il compito di individuare, nell’ambito dei territori colpiti dal sisma, le zone franche urbane (ZFU) alle quali si applicano le agevolazioni fiscali e tributarie previste in favore delle piccole e medie imprese.
In deroga alla disciplina generale, la qualificazione di ZFU nei territori d’Abruzzo può essere attribuita anche in presenza di una popolazione superiore al limite minimo di 30.000 abitanti.
Con la delibera n. 39 del 13 maggio 2010 il CIPE ha approvato l’individuazione e la perimetrazione della ZFU del comune de L’Aquila.
La delibera subordina l’attivazione dello strumento ZFU all’autorizzazione della Commissione europea al fine di assicurane l’effettiva compatibilità comunitaria.
Sulla materia è intervenuto l’articolo 70 del D.L. n. 1 del 2012 che ha destinato le risorse per le ZFU Abruzzo anche al finanziamento degli aiuti de minimis nel rispetto del regolamento (CE) n. 1998/2006 della Commissione, del 15 dicembre 2006, a favore delle piccole e micro imprese localizzate nelle aree colpite dal sisma dell’Abruzzo, già costituite o che si costituiranno entro il 31 dicembre 2014. A tali imprese si applicano le tipologie di agevolazioni previste alle lettera da a) a d) del comma 341 dell'articolo 1 della legge n. 296 del 2006.
Con decreto del Ministro dello sviluppo economico del 26 giugno 2012 (G.U. n. 204 del 1° settembre 2012) sono state determinate le condizioni, i limiti e le modalità di applicazione delle agevolazioni di cui ai commi da 341 a 341-ter, dell'articolo 1, della legge n. 296/2006 e successive modifiche e integrazioni, alla Zona franca urbana de L'Aquila.
Sul piano finanziario, è stata prevista l’istituzione, ai sensi dell’articolo 10, del D.L. n. 39/2009, di una prima dotazione di 45 milioni per le ZFU dell’Abruzzo sulle risorse assegnate al CIPE a valere sul Fondo aree sottoutilizzate.
Successivamente il D.L. n. 78/2010 ha precisato - all’articolo 39, comma 4-bis - che le risorse già autorizzate (45 milioni di euro) dal D.L. n. 39/2009 siano poste a valere sulle risorse già assegnate ai sensi dell’articolo 14, comma 1, del decreto n. 39 medesimo. Inoltre con il comma 4-ter ha inoltre incrementato di ulteriori 45 milioni le risorse destinate al Fondo per le zone franche urbane dell’Abruzzo, nella misura di 15 milioni per ciascuna annualità 2011-2013, che sono state appostate sul cap. 7816/Economia.
Il Piano azione e coesione
Nel corso del 2011 è stata avviata, di intesa con la Commissione
Europea, l’azione per accelerare l’attuazione dei programmi cofinanziati dai
fondi strutturali 2007-2013 sulla base di quanto stabilito dalla Delibera CIPE
1/2011 e concordato nel Comitato Nazionale del Quadro Strategico Nazionale
(riunione del 30 marzo 2011) da tutte le Regioni, dalle Amministrazioni
centrali interessate e dal partenariato economico e sociale.
Con l’adozione del Piano
di Azione Coesione, a fine 2011,
il Governo ha disegnato un’azione strategica di rilancio del Sud, che punta
alla concentrazione degli investimenti in quattro ambiti prioritari di
interesse strategico nazionale (Istruzione, Agenda digitale, Occupazione e
Infrastrutture ferroviarie), attingendo ai fondi disponibili nell’ambito dei
programmi operativi delle Regioni Convergenza e, per alcuni interventi, ai
programmi delle altre regioni del Mezzogiorno (Sardegna, Molise e Abruzzo).
Il Piano di Azione Coesione ha l’obiettivo di
colmare i ritardi ancora rilevanti nell’attuazione dei Fondi strutturali
comunitari e, al contempo, rafforzare l’efficacia degli interventi, in
attuazione degli impegni assunti con la lettera del Presidente del Consiglio al
Presidente della Commissione Europea e al Presidente del Consiglio Europeo del
26 ottobre 2011 e in conformità alle Conclusioni del Vertice dei Paesi Euro
dello stesso 26 ottobre 2011.
Una prima fase, varata il 15 dicembre 2011 e aggiornata a febbraio 2012, a seguito di un Accordo
condiviso tra Governo e le Regioni Basilicata, Calabria, Campania, Puglia,
Sardegna e Sicilia per accelerare e riqualificare l’utilizzo dei Fondi
strutturali comunitari, al quale hanno aderito anche Abruzzo e Molise (regioni
dell’Obiettivo Competitività), ha riguardato i fondi gestiti dalle Regioni
(complessivi 3,7 miliardi di riprogrammazione a favore di istruzione, ferrovie,
formazione riformata, agenda digitale e occupazione di lavoratori
svantaggiati).
In particolare,
la riprogrammazione ha riguardato, nell’ambito dei programmi regionali, i
seguenti settori: scuola: circa 1
miliardo di euro; agenda digitale:
oltre 320 milioni di euro; credito per
l’occupazione: 142 milioni di euro. E’ stata inoltre prevista la
costituzione di un Fondo da 1,5 miliardi di euro a favore di investimenti su
reti e nodi ferroviari.
La seconda fase, varata il 15 maggio 2012 (circa 2,3 miliardi) riguarda i fondi gestiti da Amministrazioni
centrali (Programmi operativi nazionali o interregionali) riprogrammati a
favore della cura per l’infanzia e
per gli anziani non autosufficienti,
dei giovani, della competitività e
innovazione delle imprese e delle
aree di attrazione culturale.
Per 1,9
miliardi si tratta di fondi assegnati al Piano di Azione Coesione; per il resto
di riprogrammazioni all’interno dei programmi.
Definizione di microimpresa e piccola impresa
La definizione comunitaria di microimprese[364], piccole e medie imprese è contenuta nella raccomandazione 2003/361/CE, che ha sostituito, a decorrere dal 1º gennaio 2005, la Raccomandazione 96/280/CE, estendendo il concetto d’impresa ad ogni entità che svolga attività economica, a prescindere dalla forma giuridica rivestita, incluse dunque le entità che svolgono attività artigianale o altre attività a titolo individuale o familiare, le società di persone o le associazioni che svolgono con regolarità un’attività economica.
Per essere riconosciuta come PMI l'impresa deve rispettare le soglie relative agli effettivi e quelle relative al totale di bilancio fissate dalla raccomandazione.
I nuovi effettivi e soglie finanziarie che definiscono PMI e microimprese sono i seguenti:
§ media impresa: occupa meno di 250 persone, realizza un fatturato annuo non superiore ai 50 milioni di euro oppure un totale di bilancio annuo non superiore ai 43 milioni di euro;
§ piccola impresa: occupa meno di 50 persone, realizza un fatturato annuo oppure un totale di bilancio annuo non superiore ai 10 milioni di euro;
§ microimpresa: occupa meno di 10 persone e realizza un fatturato annuo oppure un totale di bilancio annuo non superiori a 2 milioni di euro
Sempre a livello comunitario, l’iniziativa intitolata “Small Business Act” (SBA)[365] per l’Europa mira a creare condizioni favorevoli alla crescita e alla competitività sostenibili delle piccole e medie imprese europee, affrontando tutti i temi della vita delle piccole e medie imprese (PMI), dall’accesso al credito alla semplificazione amministrativa, dagli interventi fiscali all’innovazione tecnologica, dall’efficienza energetica all’ambiente, dal sostegno agli investimenti alla formazione, fino alla facilitazione della partecipazione delle PMI agli appalti pubblici. Il Governo italiano ha dato attuazione a tale comunicazione con la direttiva del Presidente del Consiglio del 4 maggio 2010.
Infine, si ricorda che è recentemente stata emanata la legge n. 180/2011, volta a stabilire i principi che concorrono a definire lo Statuto delle imprese, con particolare riferimento alle micro, piccole e medie imprese, anche sulla scorta delle indicazioni contenute nello "Small Business Act ".
Articolo 37-bis
(Zone a burocrazia zero)
L’articolo 37-bis prevede che, nell'ambito delle attività di sperimentazione (art.12, comma 1, del D.L. 5/2012), possono essere individuate "zone a burocrazia zero". Tali zone risultano disciplinate dall’articolo 43 del D.L. 78/2010, che la stessa disposizione sopprime. E’ previsto che in queste zone sia possibile individuare tipi di autorizzazioni che possono essere sostituite da semplici comunicazioni al SUAP. Inoltre è prevista l’applicazione del silenzio assenso per i procedimenti amministrativi inerenti le iniziative produttive avviate dopo l’entrata in vigore della legge di conversione del decreto in esame, ad eccezione di quelli di natura tributaria, di pubblica sicurezza e attinenti all’incolumità pubblica. Infine è previsto che per le aree ubicate nelle Regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia, le risorse previste per tali zone franche urbane siano utilizzate dal Sindaco territorialmente competente per la concessione di contributi diretti alle nuove iniziative produttive avviate nelle zone a burocrazia zero.
Il comma 1 prevede che, nell'ambito delle attività di sperimentazione di semplificazione amministrativa per gli impianti produttivi e le attività di impresa di cui all'articolo 12, comma 1, del D.L. 5/2012[366], che proseguono fino al 31 dicembre 2013, possono essere individuate "zone a burocrazia zero", non soggette a vincolo paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico.
Si ricorda che l’articolo 12, comma 1 prevede che le Regioni, le Camere di commercio, industria, agricoltura e artigianato, i comuni e le loro associazioni, le agenzie per le imprese ove costituite, le altre amministrazioni competenti e le organizzazioni e le associazioni di categoria interessate, comprese le organizzazioni dei produttori, possono stipulare convenzioni, su proposta dei Ministri per la pubblica amministrazione e la semplificazione e per lo sviluppo economico, sentita la Conferenza unificata Stato-regioni ed autonomie locali, per attivare percorsi sperimentali di semplificazione amministrativa per gli impianti produttivi e le iniziative ed attività delle imprese sul territorio, in ambiti delimitati e a partecipazione volontaria, anche mediante deroghe alle procedure ed ai termini per l'esercizio delle competenze facenti esclusivamente capo ai soggetti partecipanti, dandone preventiva ed adeguata informazione pubblica.
Il comma 2 prevede che nelle zone a burocrazia zero di cui al comma 1 i soggetti sperimentatori possono individuare e rendere pubblici i casi in cui il rilascio delle autorizzazioni di competenza necessarie sono sostituite da una comunicazione dell'interessato allo sportello unico per attività produttive.
Per le nuove iniziative produttive, avviate successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, i procedimenti amministrativi sono conclusi con l'adozione del provvedimento conclusivo previa apposita conferenza di servizi telematica ed aperta a tutti gli interessati, anche con modalità asincrona. I provvedimenti conclusivi di tali procedimenti si intendono senz'altro positivamente adottati entro 30 giorni dall'avvio del procedimento, se un provvedimento espresso non è adottato entro tale termine (silenzio-assenso).
Il comma 3 prevede che per le aree ubicate nelle Regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia, ove la zona a burocrazia zero coincida con una delle zone franche urbane di cui all'articolo 37, le risorse previste per tali zone franche urbane, ai sensi dell'articolo 1, comma 340 della legge 27 dicembre 2006, n. 296, sono utilizzate dal Sindaco territorialmente competente per la concessione di contributi diretti alle nuove iniziative produttive avviate nelle zone a burocrazia zero.
Con riferimento alle disposizioni sulle ZFU e il relativo finanziamento si rinvia alla scheda riferita all’articolo 37.
Il comma 4 esclude dalla disciplina ivi prevista i procedimenti amministrativi di natura tributaria, di pubblica sicurezza ed attinenti all'incolumità pubblica. Infine dispone l’abrogazione dell'articolo 43 del D.L. 78/2010[367], in materia di Zone a burocrazia zero.
L’articolo 43 del D.L.
78/2010 ha disposto l’istituzione, con decreto del Presidente del Consiglio
dei ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, di
concerto con il Ministro dell'interno, nel rispetto del principio di
sussidiarietà e dell'articolo 118 della Costituzione, di "zone a burocrazia zero" nel Meridione d'Italia, nelle zone non
soggette a vincolo.
Ove la “zona a burocrazia zero” coincida, nelle Regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia, con una delle zone franche urbane individuate dalla delibera CIPE dell'8 maggio 2009, n. 14, le risorse previste per tali zone franche urbane ai sensi dell'articolo 1, comma 340, della legge n. 296 del 2006, sono utilizzate dal Sindaco territorialmente competente per la concessione di contributi diretti alle nuove iniziative produttive avviate nelle zone a burocrazia zero.
Si ricorda che l’articolo 14, commi 1-6 della legge di stabilità 2012 (legge 183 del 2011) hanno disposto l’applicazione in via sperimentale, fino al 31 dicembre 2013 e su tutto il territorio nazionale, della disciplina delle zone a burocrazia zero.
Il comma 5 prevede la clausola di invarianza finanziaria.
Articolo 38,
comma 1
(Disciplina
fiscale e contributiva dei vettori esteri)
L’articolo 38, comma 1 interviene sulla disciplina fiscale e contributiva dei vettori aerei esteri introducendo una nozione di “base”, di tipo lavorativo, nell’ambito dell'attività di trasporto aereo, per determinare se il vettore aereo estero abbia una stabile organizzazione sul territorio nazionale.
In dettaglio la norma in esame prevede infatti che, ai fini del diritto aeronautico, l’espressione “base” identifichi un insieme di locali ed infrastrutture a partire dalle quali un’impresa esercita in modo stabile, abituale e continuativo un’attività di trasporto aereo, avvalendosi di lavoratori subordinati che hanno in tale base il loro centro di attività professionale, nel senso che vi lavorano, vi prendono servizio e vi ritornano dopo lo svolgimento della propria attività.
La norma prevede conseguentemente che un vettore aereo titolare di una licenza di esercizio rilasciata da uno Stato membro dell’Unione europea diverso dall’Italia sia considerato stabilito sul territorio nazionale quando eserciti in modo stabile o continuativo o abituale un’attività di trasporto aereo a partire da una “base” quale definita nel modo predetto.
Per effetto di tale disposizione, come anche evidenziato dalla Relazione tecnica (A.S. 3533), verrebbero assoggettati alla disciplina fiscale nazionale quei vettori aerei esteri che attualmente si avvalgono di discipline più favorevoli dei paesi UE di provenienza.
A tale proposito occorre ricordare che a livello di normativa dell’Unione europea, esiste già la nozione di “base di servizio”, per gli equipaggi di condotta e di cabina, definita nell’allegato III del regolamento (CEE) n. 3922/91 del Consiglio, del 16 dicembre 1991, un regolamento concernente l'armonizzazione delle regole tecniche e delle procedure amministrative nel settore della sicurezza dell'aviazione civile, relative all'esercizio e alla manutenzione degli aeromobili e alle persone e imprese interessate a tali attività.
In tale allegato III, la “base di servizio” per gli equipaggi di condotta e di cabina viene definita come il luogo designato dall’operatore per ogni membro d’equipaggio[368] dal quale il membro d’equipaggio solitamente inizia e dove conclude un periodo di servizio o una serie di periodi di servizio e nel quale, in condizioni normali, l’operatore non è responsabile della fornitura dell’alloggio al membro d’equipaggio interessato.
La definizione comunitaria di “base di servizio”, che sostanzialmente
richiede che nella base si inizi e termini un “periodo di servizio”, sembra non
coincidere con quella che il comma 1
dell’art. 38 in esame intende introdurre, che invece ritiene che si sia in
presenza di una “base” qualora i lavoratori subordinati abbiano in questa sede
il loro centro di attività professionale, nel senso che è sufficiente che lì
lavorino, prendano servizio e ritornino dopo lo svolgimento della propria
attività (e non che vi inizino e concludano un “periodo di servizio” come
richiesto dalla norma comunitaria).
Su tale definizione è anche intervenuto recentemente il Regolamento (UE) n. 465/2012[369] del 22 maggio 2012, il quale, modificando il Regolamento (CE) n. 883/2004 in materia di sicurezza sociale, ha previsto una norma particolare per la quale il concetto di “base di servizio”, come definito nel citalo Allegato III, diventa il criterio per determinare la normativa applicabile agli equipaggi di condotta e di cabina, proprio con l’obiettivo di facilitare l’applicazione del Regolamento a questi soggetti. Il Regolamento chiarisce che, tuttavia, la normativa applicabile agli equipaggi di condotta e di cabina dovrebbe restare stabile e il principio della “base di servizio” non dovrebbe condurre a cambi frequenti della normativa applicabile a causa dei modelli di organizzazione del lavoro in questo settore o delle domande stagionali.
L’art. 1 del Regolamento n. 465 del 2012 ha pertanto novellato il Regolamento n. 883 del 2004 introducendo[370] all’art. 11, il par. 5, il quale dispone che:
“Un’attività svolta dagli equipaggi di condotta e di cabina addetti a servizi di trasporto aereo passeggeri o merci è considerata un’attività svolta nello Stato membro in cui è situata la base di servizio, quale definita all’allegato III del regolamento (CEE) n. 3922/91”.
Si ricorda che nel corso dell’audizione presso la IX Commissione trasporti della Camera dei deputati del 3 ottobre 2012 sulla situazione del trasporto aereo, il sottosegretario di Stato per le infrastrutture e i trasporti ha sottolineato “l'asimmetria competitiva nei confronti di Ryanair, che con straordinaria abilità opportunistica riesce a coniugare un minor costo del lavoro, vantaggi fiscali e contributivi, incentivi riconosciuti a livello territoriale, sotto forma di tariffe più basse e/o remunerazione per ogni passeggero trasportato sugli scali italiani. (…). In particolare, sull'asimmetria competitiva è stato proposto un intervento normativo che, analogamente a quanto già avvenuto in Francia, mira a meglio definire il concetto di base operativa e di conseguenza, in virtù dell'attività stabile, abituale e continuativa svolta, individua nel complesso della legislazione nazionale il regime giuridico che deve essere rispettato.”
Dal punto di vista della redazione del testo
si segnala che l’art. 38 comma 1 in commento non interviene peraltro novellando
la parte aeronautica del Codice della navigazione, cioè la Parte II del Codice
(artt. da 687 a 1079), bensì recando una norma a sé stante, non inserita in
alcun corpus normativo .
Per quanto riguarda gli aspetti fiscali relativi al concetto di “stabile organizzazione”, si segnala la recente risposta del sottosegretario Ceriani in Commissione Finanze della Camera (seduta del 28 novembre 2012) all’interrogazione Graziano 5/08526, riferita all’attività svolte in Italia dalla società di diritto estero Google Inc. attraverso le società Google Ireland Ltd. E Google Italy Srl.
Nella risposta si evidenzia che le autorità investigative, nella fattispecie, “hanno appurato:
a) l'esistenza in Italia di uno specifico luogo, costituito da un'installazione materiale, attraverso la quale GOOGLE IRELAND Ltd e GOOGLE Inc. hanno svolto in maniera strumentale e non ausiliaria la propria attività;
b) che la disponibilità di tale luogo è stata inequivocabilmente continuativa e tale da integrare il requisito della fissità dell'attività sul territorio nazionale;
c) che l'organizzazione dei mezzi, di concerto con le risorse umane impiegate sul territorio italiano, è stata idonea, prodromica e finalizzata alla produzione dell'intero reddito sviluppato in Italia, attraverso la stipula dei contratti con i clienti italiani;
d) che l'assoggettamento ad imposizione in Italia dei ricavi maturati sul territorio nazionale è stato in realtà eluso sulla base dei contenuti del citato contratto di servizi generali, artatamente posto in essere con la sola finalità di simulare l'esercizio da parte di GOOGLE ITALY S.r.l. di una mera attività ausiliaria e preparatoria, che non ha tuttavia trovato alcun riscontro negli elementi di fatto acquisiti.
Alla luce delle citate risultanze, il Reparto operante ha pertanto ritenuto che la GOOGLE ITALY S.r.l. fosse da considerare la stabile organizzazione della GOOGLE Inc. e della GOOGLE IRELAND Ltd. (per i relativi periodi oggetto di verifica), in aderenza a quanto previsto dall'articolo 162 T.U.I.R. e dall'articolo 5 - paragrafo 5 - del modello di convenzione OCSE, ripreso dalle specifiche convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate tra l'Italia ed i due Paesi di residenza delle società sopra menzionate (USA e Irlanda).”
Si sottolinea inoltre che “nelle sedi multilaterali l'Italia sta prestando un crescente impegno nei lavori trasversali in materia di erosione delle basi imponibili e spostamento artificioso degli utili verso giurisdizioni maggiormente attraenti dal punto di vista fiscale. In sede OCSE, nel settore delle imposte dirette, ed in particolare per ciò che attiene ai lavori relativi al Modello di Convenzione contro le doppie imposizioni è attualmente in fase di elaborazione un documento in materia di stabile organizzazione, disponibile anche sul sito dell'organizzazione internazionale al fine di una consultazione pubblica. Si segnala, inoltre la Commissione Europea si sta occupando della tematica in questione denominata in ambito internazionale «profit shifting» nell'ambito della lotta contro le frodi e l'evasione fiscale. In particolare, si richiama la Comunicazione della Commissione on concrete ways to reinforce the fight agaist tax fraud and tax evasion including in relation to third countries del luglio 2012, presentata all'Ecofin del 13 novembre 2012, all'interno della quale viene reso noto che la Commissione sta predisponendo un «Action Pian» e una Raccomandazione avente ad oggetto i paradisi fiscali e la pianificazione fiscale aggressiva. Tali provvedimenti saranno adottati dall'Esecutivo comunitario entro la fine del 2012 per essere così discussi nell'ambito dei lavori del Consiglio durante il primo semestre 2013 sotto la Presidenza di turno irlandese.“
L’ultimo periodo del comma 1 prevede che la disposizione si applichi a decorrere dal periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2012, quindi già dal 2012 in deroga alle norme dello Statuto del contribuente (articolo 3 della legge n. 212 del 2000) sull'efficacia temporale delle norme tributarie[371].
Secondo la Relazione tecnica la norma produce effetti tributari per maggiori entrate pari a 89,5 milioni di euro nel 2013, e a 50,8 milioni sia per il 2014 che per il 2015 (sia in termini di IRES che di IRAP). Le maggiori entrate contributive non sono state considerate dalla Relazione.
Articolo 38,
comma 2
(Modifiche alla disciplina dell'IVA)
L'articolo 38 al comma 2 reca modifiche agli articoli 4 e 10 del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972 concernenti le operazioni effettuate dallo Stato e altri soggetti pubblici nell'ambito di attività di pubblica autorità e l’esenzione IVA sulle operazioni di versamento delle imposte per conto dei contribuenti.
Più in dettaglio, il comma 2 dell'articolo in esame modifica il D.P.R. n. 633 del 1972.
La lettera a) in particolare ne modifica l'articolo 4, quinto comma, secondo periodo, al fine di prevedere che non sono considerate attività commerciali a fini IVA le operazioni effettuate dallo Stato, dalle regioni, dalle province, dai comuni e dagli altri enti di diritto pubblico nell'ambito di attività di pubblica autorità.
Secondo quanto riportato nella Relazione tecnica, la norma dovrebbe avere sostanzialmente carattere chiarificatorio e non innovativo e non comporterebbe pertanto effetti sul gettito.
La lettera b) novella il n. 5) del primo comma dell'articolo 10 del D.P.R. n. 633 del 1972. Per effetto di tale modifica sono considerate esenti da IVA le operazioni relative ai versamenti di imposte effettuati per conto dei contribuenti, a norma di specifiche disposizioni di legge, da aziende ed istituti di credito.
Poiché l’esenzione IVA viene limitata ai soli servizi di versamento effettuati per i contribuenti da aziende ed istituto di credito (ossia con delega F24), rispetto al testo previgente verrebbe assoggettata ad IVA l’attività di riscossione dei tributi per il cui svolgimento viene corrisposto un aggio.
La Relazione tecnica stima un recupero di gettito IVA di circa 100 milioni di euro l'anno per effetto di tale assoggettamento.
Articolo 38,
commi 3-5
(Copertura
finanziaria)
L'articolo 38, ai commi da 3 a 5, reca norme di copertura finanziaria.
Più in dettaglio, il comma 3 quantifica come segue gli oneri recati dalle disposizioni di cui agli articoli 1, 2, comma 6, 14, comma 1, 26, 27, 29, 32 e 34, comma 20, del provvedimento in esame:
§ 334,52 milioni di euro per l'anno 2013;
§ 246,72 milioni di euro per l'anno 2014;
§ 217,82 milioni di euro per l'anno 2015;
§ 217,67 milioni di euro per l'anno 2016;
§ 180,77 milioni di euro a decorrere dall'anno 2017.
Tali oneri aumentano a 296,72 milioni di euro per l'anno 2014, 287,82 milioni di euro per l'anno 2015 e 227,67 milioni di euro per l'anno 2016, ai fini della compensazione degli effetti in termini di fabbisogno ed indebitamento netto.
Si segnala che la disposizione di cui all’articolo 34, comma 20,
ricompresa tra quelle recanti oneri alla cui copertura provvede il comma 3 in
esame, è ora contenuta, a seguito delle modifiche apportate durante l’esame al
Senato, nel comma 34 del medesimo articolo.
Gli oneri indicati sono collegati agli effetti finanziari derivanti dalle seguenti disposizioni:
§ articolo 1, che autorizza la spesa di 60 milioni di euro per l'anno 2013 e di 82 milioni di euro a decorrere dal 2014 per la realizzazione e il rilascio gratuito del documento digitale unificato (comma 2); la spesa di 18 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2013 per lo svolgimento delle attività istituzionali dell’ISTAT, conseguenti all'attuazione degli obblighi comunitari in materia statistica (comma 3); il rifinanziamento di 22 milioni di euro per il 2013 del Fondo per interventi strutturali di politica economica (comma 4);
§ articolo 2, comma 6, il quale prevede che, in caso di unione di comuni, i sindaci possono delegare, previa apposita convenzione, le funzioni di ufficiale dello stato civile e di anagrafe a personale idoneo dell'unione o di singoli comuni associati;
§ articolo 14, comma 1, che autorizza la spesa di 150 milioni di euro Per il completamento del Piano nazionale banda larga
§ articolo 26, che reca norme volte a semplificare alcune procedure per le imprese start-up innovative
§ articolo 27, che introduce agevolazioni fiscali in favore di alcuni soggetti che intrattengono rapporti, a diverso titolo, con start-up innovative e incubatori certificati;
§ articolo 29, che introduce una serie di incentivi fiscali per gli anni 2013-2015, in favore di persone fisiche e persone giuridiche che intendono investire nel capitale sociale di imprese “start-up innovative”;
§ articolo 32, che dispone a favore dell’Istat uno stanziamento di 150.000 euro per ciascuno degli anni 2013, 2014 e 2015 per la raccolta dei dati necessari per compiere una valutazione dell'impatto delle misure volte a favorire la nascita e lo sviluppo delle imprese start-up innovative;
§ articolo 34, comma 20 (ora 34), che dispone, dal 2013, il versamento all’entrata del bilancio dello Stato, per la riassegnazione al Mibac, degli introiti derivanti dalla vendita dei biglietti relativi ad alcuni luoghi della cultura.
A tali oneri si provvede mediante:
a) le maggiori entrate derivanti dal comma 1 del presente articolo (disciplina fiscale dei vettori aerei), per importi pari a 89,5 milioni di euro per l'anno 2013 e a 50,8 milioni di euro a decorrere dall'anno 2014;
b) le maggiori entrate derivanti dal comma 2 del presente articolo (IVA sugli aggi esattoriali) per un importo pari a 100 milioni a decorrere dall'anno 2013;
c) le maggiori entrate derivanti dall'articolo 29 (detrazione investimenti in start-up innovative) per un importo pari a 28,4 milioni nell'anno 2017;
d) mediante utilizzo delle risorse del fondo istituito presso la Cassa conguaglio per il settore elettrico, di cui all'articolo 32 del decreto legislativo del 3 marzo 2011, n. 28, giacenti sul conto corrente bancario intestato allo stesso Fondo, per importi pari a 145,02 milioni di euro per l'anno 2013, 145,92 milioni di euro per l'anno 2014, 137,02 milioni di euro per l'anno 2015, 76,87 milioni di euro per l'anno 2016, 970.000 euro per l'anno 2017 e 29,37 milioni di euro a decorrere dall'anno 2018.
A tal fine, la Cassa conguaglio per il settore elettrico è tenuta a versare trimestralmente all'entrata del bilancio dello Stato le risorse disponibili sul proprio conto corrente, fino al raggiungimento degli importi annuali predetti.
Si ricorda, al riguardo, che l'articolo 32 del decreto legislativo n. 28 del 2011[372] ha istituito un fondo presso la Cassa conguaglio per il settore elettrico alimentato dal gettito delle tariffe elettriche e del gas naturale in misura pari, rispettivamente, a 0,02 ceuro/kWh e a 0,08 ceuro/Sm3.
Secondo la Relazione tecnica, nel conto corrente bancario intestato alla Cassa Conguaglio per il settore elettrico affluirebbero risorse per circa 100 milioni di euro annui; attualmente vi sarebbe una giacenza di circa 85 milioni, che alla fine del 2012 dovrebbe raggiungere l’importo complessivo di 129 milioni di euro.
In merito all'utilizzo del predetto fondo, la Relazione tecnica precisa che si tratterebbe di risorse già destinate dalla legge ad una finalità (il sostegno e la promozione dell’innovazione in campo industriale, applicata ai settori delle energie rinnovabili e dell’efficienza energetica) molto simile a quella del provvedimento in esame che, in un’ottica di accorpamento e razionalizzazione, il Governo ritiene utile far confluire con particolare riguardo alle misura previste per le start-up innovative. La Relazione precisa altresì che, trattandosi di una copertura proveniente da risorse già previste e in parte già accantonate, non comporterà un aggravio delle tariffe dell’energia elettrica e del gas.
In merito all’utilizzo delle rimanenti risorse del fondo istituito presso la Cassa conguaglio per il settore elettrico, il comma 4 dell’articolo in esame stabilisce che, soltanto a partire dall’anno 2017, le rimanenti risorse del fondo - al netto dei versamenti all’entrata del bilancio dello Stato necessari per la copertura del provvedimento in esame - potranno tornare ad essere destinate al finanziamento delle attività di cui all’articolo 32, comma 1, lettera b), numeri ii) e iv), del predetto decreto legislativo n. 28 del 2011, vale a dire, rispettivamente:
§ al sostegno ai progetti di innovazione dei processi e dell'organizzazione nei servizi energetici,
§ al sostegno ai fondi per la progettualità degli interventi di installazione delle fonti rinnovabili e del risparmio energetico a favore di enti pubblici.
Il comma 5 autorizza infine il Ministro dell'economia e delle finanze ad apportare le necessarie variazioni di bilancio con propri decreti.
[1] Decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, recante Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni e di sviluppo, convertito con modificazioni dalla legge 4 aprile 2012 n. 35
[2] Decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 recante Misure urgenti per la crescita del Paese, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 134
[3] Per
cloud computing s’intende un insieme di tecnologie e risorse
informatiche, accessibili direttamente on-line grazie allo sviluppo
delle reti di comunicazione. E’ possibile distinguere tra “private cloud”
(o “nuvola privata”) e “public cloud” (o “nuvola pubblica”). La “private
cloud” è un’infrastruttura informatica per lo più dedicata alle esigenze di
una singola organizzazione, ubicata nei suoi locali o affidata in gestione ad
un terzo, con la quale sono gestiti in condivisione dei dati, in maniera
analoga ad un data center. Di maggiore rilievo e portata innovativa, in
particolare per le amministrazioni pubbliche, è invece la “public cloud”
(o “nuvola pubblica”) nella quale l’infrastruttura è di proprietà di un
fornitore specializzato nell’erogazione di servizi che mette a disposizione di
utenti, aziende o amministrazioni - e quindi condivide tra di essi - i propri
sistemi attraverso l’erogazione via web di applicazioni informatiche, di
capacità elaborativa e di stoccaggio. Il tema del “cloud computing” è
affrontato dagli articoli 3 e 33 dell’A.C. n. 5093 che, con l'A.C. n. 4891, è
all'ordine del giorno della IX Commissione della Camera dei deputati, che il 10
luglio 2012 ha accolto una proposta di testo base unificato presentata dal
relatore.
[4] Decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 Riforma dell'organizzazione del Governo, a norma dell'articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59.
[5] "Semestre Europeo - Prime disposizioni urgenti
per l'economia",
convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106.
[6] "Disposizioni
urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la
competitività" (cd. 'decreto-legge liberalizzazioni'), convertito, con
modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27.
[7] L. 15 maggio 1997, n. 127, Misure urgenti per lo snellimento
dell’attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo.
[8] L. 16 giugno 1998, n. 191, Modifiche ed integrazioni alle leggi 15
marzo 1997, n. 59, e 15 maggio 1997, n. 127 nonché norme in materia di
formazione del personale dipendente e di lavoro a distanza nelle pubbliche
amministrazioni. Disposizioni in materia di edilizia scolastica.
[9] "Disposizioni
urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti
pubblici", convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre
2003, n. 326.
[10] Si segnala che le disposizioni contenute nei
commi da 1 a 3 dell’articolo 10 riproducono il contenuto dell’articolo 8 del
disegno di legge del Governo AS 2494 “Nuove
disposizioni in materia di sicurezza pubblica” presentato il 13 dicembre
2010 e attualmente all’esame del Senato in sede referente.
[11] "Misure
urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica",
convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122.
[12] Disposizioni
urgenti per l'università e la ricerca, per i beni e le attività culturali, per
il completamento di grandi opere strategiche, per la mobilità dei pubblici
dipendenti, e per semplificare gli adempimenti relativi a imposte di bollo e
tasse di concessione, nonché altre misure urgenti.
[13] Disposizioni
urgenti in materia fiscale e di finanza pubblica.
[14] Disposizioni
urgenti in materia di enti locali.
[15] Decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82.
[16] "Regolamento
del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai censimenti della popolazione
e delle abitazioni".
[17] “Norme sul Sistema statistico nazionale e
sulla riorganizzazione dell’Istituto nazionale di statistica, ai sensi
dell’art. 24 della L. 23 agosto 1988, n. 400”.
[18] Regolamento
recante il riordino dell'Istituto nazionale di statistica.
[19] Per
una descrizione generale della PEC, si veda anche la scheda relativa all'art.
4.
[20] Analoghe misure sono previste nei confronti dei professionisti iscritti in albi o elenchi istituiti con legge dello Stato (obbligo di dotarsi di un indirizzo di posta elettronica certificata e di darne comunicazione al rispettivo ordine o collegio, entro e non oltre il 29 novembre 2009; pubblicazione in elenchi riservati, consultabili in via telematica esclusivamente dalle pubbliche amministrazioni; scioglimento e di commissariamento del collegio o dell'ordine inadempiente).
[21] Il parere è consultabile per intero al
seguente link:
http://www.avcp.it/portal/public/classic/AttivitaAutorita/AttiDellAutorita/PareriSullaNormativa?portal:componentId=6163194&portal:type=render&portal:isSecure=false&action=elencoMassimePerAtto&idAtto=4589
[22] Disposizioni
in materia di atto pubblico informatico redatto dal notaio, a norma
dell'articolo 65 della legge 18 giugno 2009, n. 69.
[23] “Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle
amministrazioni pubbliche”.
[24] Si tratta, non considerando le categorie
individuate dal successivo comma 2 della disposizione in esame, dei magistrati
ordinari, amministrativi e contabili; degli avvocati e procuratori dello Stato;
del personale della carriera diplomatica, della carriera prefettizia e della
carriera dirigenziale penitenziaria; del personale della Banca d'Italia, della
Consob e dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato; dei professori
e ricercatori universitari.
[25] “Testo unico delle disposizioni legislative
e regolamentari in materia di documentazione amministrativa”.
[26] D.Lgs. 28 agosto 1997, n. 281 recante “Definizione ed ampliamento delle
attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le
regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le
materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei
comuni, con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali”.
[27] D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, recante “Codice dell’amministrazione digitale”.
[28] Il testo originario del decreto-legge in esame prevedeva l’utilizzo della bigliettazione elettronica attraverso strumenti di pagamento in mobilità.
[29] Direttiva 2010/40/UE del 7 luglio 2010 sul
quadro generale per la diffusione dei sistemi di trasporto intelligenti nel
settore del trasporto stradale e nelle interfacce con altri modi di trasporto.
[30] Atto Senato n. 3129 “Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza
dell’Italia alle Comunità europee - Legge comunitaria 2011”, approvato
dalla Camera dei deputati il 2 febbraio 2012 ed attualmente all’esame della
14°Commissione permanente del Senato.
[31] Direttiva del Consiglio del 25 luglio 1985,
n. 85/374/CEE relativa al
ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative
degli Stati membri in materia di responsabilità per danno da prodotti
difettosi, recepita con D.M. 24 maggio 1988, n. 224 “Attuazione della direttiva CEE numero 85/374 relativa al ravvicinamento
delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati
membri in materia di responsabilità per danno da prodotti difettosi, ai sensi
dell'art. 15 della L. 16 aprile 1987, n. 183”. Il D.M. è stato successivamente
abrogato dall’articolo 146 del D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206, recante “Codice del consumo, a norma dell'articolo 7
della legge 29 luglio 2003, n. 229” (le relative disposizioni sono
contenute negli articoli da 114 a 127 del codice).
[32] Legge 14 giugno 1949, n. 410, recante “Concorso dello Stato per la riattivazione dei pubblici servizi di trasporto in concessione”.
[33] Legge L. 2 agosto 1952, n. 1221, recante “Provvedimenti per l'esercizio e per il potenziamento di ferrovie e di altre linee di trasporto in regime di concessione”.
[34] Legge 29 dicembre 1969, n. 1042, recante “Disposizioni concernenti la costruzione e l'esercizio di ferrovie metropolitane”.
[35] Legge 26 febbraio 1992, n. 211, recante “Interventi nel settore dei sistemi di trasporto rapido di massa”.
[36] D.L. 4 luglio 2006, n. 223, recante “Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale” e convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248.
[37] Tre anni a decorrere dalla data di entrata in vigore del citato D.P.R. n. 93/2007.
[38] Decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285.
[39] Direttiva abrogata, con decorrenza 1° novembre 2017, dal Regolamento n. 661 del 2009 del Parlamento Europeo e del Consiglio, sui requisiti dell'omologazione per la sicurezza generale dei veicoli a motore, dei loro rimorchi e sistemi, componenti ed entità tecniche ad essi destinati.
[40] Direttiva 2010/40/UE del 7 luglio 2010 sul
quadro generale per la diffusione dei sistemi di trasporto intelligenti nel
settore del trasporto stradale e nelle interfacce con altri modi di trasporto.
[41] La direttiva 2002/59/CE si applica alle navi
di stazza lorda pari o superiore a 300 tonnellate, ad esclusione delle navi da
guerra, delle navi da pesca e dei bunker, fino a 1.000 tonnellate di stazza
lorda.
[42] La direttiva 2002/6/CE è stata recepita in
Italia con il D.Lgs. 24 dicembre 2004, n. 335, recante “Attuazione della direttiva 2002/6/CE sulle formalità di dichiarazione
delle navi in arrivo o in partenza da porti degli Stati membri della Comunità”.
[43] Atto Senato n. 3129 “Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee - Legge comunitaria 2011”, approvato dalla Camera dei deputati il 2 febbraio 2012 ed attualmente all’esame della 14°Commissione permanente del Senato.
[44] D.Lgs. 19 agosto 2005, n. 196, recante “Attuazione della direttiva 2002/59/CE
relativa all'istituzione di un sistema comunitario di monitoraggio e di
informazione sul traffico navale”.
[45] D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, recante “Codice in materia di protezione dei dati personali”.
[46] D.Lgs. 24 dicembre 2004, n. 335, recante “Attuazione della direttiva 2002/6/CE sulle formalità di dichiarazione delle navi in arrivo o in partenza da porti degli Stati membri della Comunità”.
[47] Attuazione
della direttiva 2003/98/CE relativa al riutilizzo di documenti nel settore
pubblico.
[48] Disposizioni
per favorire l'accesso dei soggetti disabili agli strumenti informatici.
[49] Norme per il diritto al lavoro dei disabili.
[50] Nuove
norme per la tutela del lavoro a domicilio.
[51] Le università non statali legalmente
riconosciute - previste originariamente con la dizione di “università libere”
dal R.D. n. 1592 del 1933 - sono
disciplinate essenzialmente dalla L. n. 243/1991 che ha chiarito, all’art. 1,
che anche esse “operano nell’ambito delle norme dell’articolo 33, ultimo comma,
della Costituzione e delle leggi che le riguardano, nonché dei principi
generali della legislazione in materia universitaria in quanto compatibili“. In
tal modo sono state estese a questa categoria di atenei le norme sull’autonomia
statutaria e regolamentare introdotte a partire dalla L. n. 168/1989. Al pari
delle università statali, le università non statali legalmente riconosciute
sono sottoposte “all’indirizzo e al coordinamento” del Ministero, possono
essere soppresse (secondo quanto previsto dall’art. 2, co. 5, del D.P.R. n.
25/1998 e dall’art. 212 del R.D. n. 1592/1933) ove l’attività svolta non sia
coerente con quanto richiesto dall’ordinamento, e sono ricomprese nell’ambito
della programmazione del sistema universitario.
[52] L’art. 11, co. 9, del D.M. 270/2004 ha
affidato a decreti ministeriali l’individuazione dei dati essenziali che devono
essere presenti nei sistemi informativi sulle carriere degli studenti
universitari.
[53] Il diploma
supplement – sviluppato per iniziativa della Commissione Europea, del
Consiglio d'Europa e dell'Unesco/Cepes con l’intento di favorire la mobilità
internazionale di studenti e lavoratori – fornisce la descrizione della natura,
del livello, del contesto, del contenuto e dello status degli studi effettuati
e completati da ciascuno studente.
Da ultimo, l’art. 11, co. 8, del D.M.
270/2004 ha disposto, riprendendo quanto già previsto dal DM 509/1999, che i
regolamenti didattici di ateneo disciplinano le modalità con cui le università
rilasciano, come supplemento al diploma di ogni titolo di studio, un
“certificato” (il termine è poi stato sostituito con la locuzione “relazione
informativa” sulla base del D.M. 28 dicembre 2010, pubblicato nella GU n. 3 del
5 gennaio 2011) che riporta, secondo modelli conformi a quelli adottati dai
Paesi europei, le principali indicazioni relative al curriculum specifico
seguito dallo studente per conseguire il titolo. Al riguardo, l’art. 6 del D.M.
n. 9 del 30 aprile 2004 aveva già disposto che le Università, a partire
dall’anno 2005 rilasciano, in edizione bilingue, il certificato “supplemento al
diploma”. Il modello del supplemento al diploma è stato definito, da ultimo,
con D.M. 26 ottobre 2005, n. 49: http://attiministeriali.miur.it/anno-2005/ottobre/dm-26102005-n-49.aspx.
In particolare, il diploma supplement
è costituito da otto sezioni: dati anagrafici; informazioni sul titolo di
studio; informazioni sul livello del titolo di studio; informazioni sulle
attività formative svolte e su valutazioni e voti conseguiti; informazioni
sull’ambito di utilizzazione del titolo di studio; informazioni aggiuntive;
certificazione; informazioni sul sistema nazionale di istruzione superiore (v.
anche le linee guida emanate dal MIUR
per la compilazione del diploma
supplement, pubblicate in appendice al D.M. n. 49/2005:
http://www.miur.it/UserFiles/2216.pdf).
[54] http://www.istruzione.it/alfresco/d/d/workspace/SpacesStore/a6a7973b-0136-48dd-9721-1699f7ea6bcf/Adozione_Linee_guida_universita_digitale.pdf.
[55] Il documento evidenzia che “dalla
rilevazione condotta nel 2010 tra gli atenei che hanno partecipato
all’iniziativa Università Digitale è risultato che i modelli organizzativi
adottati per la gestione dei processi che riguardano la carriera dello studente
sono profondamente diversi tra loro. Al livello più basso della struttura
organizzativa si trova sempre la segreteria studenti; differiscono invece le
aggregazioni organizzative ai livelli superiori e quelle per la gestione di
specifiche attività (es. immatricolazione, collaborazioni studentesche, etc).
Altrettanto dicasi dei modelli organizzativi per l’archiviazione dei documenti nel
sistema di gestione documentale e per la loro eventuale protocollazione”.
Pertanto, “gli atenei devono mirare alla
semplificazione del processo di apertura e chiusura del fascicolo studente nei
sistemi di gestione documentale in uso presso gli atenei attraverso la
realizzazione di opportuni servizi automatizzati che supportino
l’interoperabilità tra il sistema di gestione delle carriere studenti e quello
documentale”.
[56] Al riguardo, le linee guida precisano,
tuttavia, che ciascun ateneo è comunque libero di stabilire priorità diverse.
In particolare, il documento classifica come OBBLIGATORIO: domanda di
immatricolazione/abbreviazione di corso/trasferimento in ingresso; delibera di
passaggio di corso; delibera di approvazione del piano di studio individuale;
verbali di esame (non necessariamente nel fascicolo studente -conservazione
sostitutiva in presenza di processo de materializzato); decreti di annullamento
esame, contratto collaborazione studentesca, riconoscimento esami, etc.;
diploma supplement/foglio di congedo/rinuncia/decadenza; tesi di laurea (ma non
necessariamente nel fascicolo studente); abilitazione. Sono, invece,
classificati come CONSIGLIATO: attestazione ISEE/ISEU; domanda
esonero/benefici; contratto di Learning Agreement; transcript of records;
domanda di esame di stato. Infine, sono classificati come OPZIONALE: Passaggio
di corso; domanda di piano di studio individuale; istanze; domanda di
laurea/trasferimento.
[57] http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=COM:2010:0245:FIN:IT:PDF
.
[58] Al riguardo, la Commissione, lamentando le
carenze in materia, sottolineava come “per poter costruire una società
realmente digitale occorre un’effettiva interoperabilità tra i prodotti e i
servizi delle tecnologie dell’informazione”.
[59] http://www.agenda-digitale.it/agenda_digitale/
[60] Ai sensi dell’art. 1, la Repubblica assicura
a tutti il diritto all’istruzione e alla formazione per almeno dodici anni o,
comunque, sino al conseguimento di una qualifica di durata almeno triennale
entro il diciottesimo anno di età.
[61] http://www.istruzione.it/web/istruzione/dm74_10.
[62] L’art. 15, co. 1, della richiamata legge n.
183/2011 ha previsto norme in materia di certificati e dichiarazioni
sostitutive - con l’obiettivo di ridurre gli adempimenti a carico dei privati -
novellando in più punti il testo unico sulla documentazione amministrativa (DPR
445/2000). Si veda Dossier n. 567/1, Tomo II, del 29 novembre 2011, pp. 301 e
ss.
[63] Occorre peraltro ricordare che l’istituzione
dell'Anagrafe nazionale degli studenti universitari era stata già prevista, in
attuazione del già citato art. 11, co. 9, del DM 509 del 1999, con nota
ministeriale del 28 luglio 2000, prot. n. 62/V http://attiministeriali.miur.it/anno-2000/luglio/nota-28072000-(2).aspx.
La nota specifica che la
realizzazione dell’Anagrafe è stata programmata nell’ambito del piano triennale
di informatizzazione della pubblica amministrazione per il triennio 2000-2002 e
recentemente avviata in collaborazione con la Conferenza dei Rettori delle
Università Italiane. I dati essenziali
sulle carriere degli studenti e per il rilascio del certificato di supplemento
al diploma sono stati quindi individuati con DM 30 maggio 2001.
[64] L’anagrafe è consultabile, con riferimento a
dati aggregati, all’indirizzo:
http://anagrafe.miur.it/index.php .
[65] L’I.S.E.E. è un indicatore, determinato
sulla base di una dichiarazione sostitutiva unica, che consente ai cittadini di
accedere, a condizioni agevolate, alle prestazioni sociali o ai servizi di
pubblica utilità. Il D.lgs. 130/2000 – modificando il D.lgs. 109/1998 – ha
assegnato all’INPS la costituzione della banca dati per la gestione delle
dichiarazioni di chi richiede le prestazioni sociali agevolate. L’INPS ha
dunque reso operativa la procedura per l’acquisizione delle dichiarazioni
sostitutive uniche e per il rilascio dell’attestato contenente l’indicatore
I.S.E.E. http://www.inps.it/portale/default.aspx?iMenu=1&itemDir=6009.
Peraltro, si ricorda che, ai sensi dell’art. 4-bis, co. 3, del D.lgs. 109/1998 – introdotto dall’art. 5 del D.lgs.
130/2000 –, l’INPS rende disponibili le informazioni analitiche o l’indicatore
della situazione economica equivalente relativi al nucleo familiare, agli enti
utilizzatori della dichiarazione sostitutiva unica presso i quali il
richiedente ha presentato specifica domanda.
[66] La circolare ministeriale n. 18 del 9
febbraio 2012 ha confermato che per l’a.s. 2012/2013 non possono più essere
adottati né mantenuti in adozione testi scolastici esclusivamente cartacei.
http://www.istruzione.it/alfresco/d/d/workspace/SpacesStore/6378aafa-f585-4609-a817-b02ba57c3758/cm18_12.pdf.
[67] La L. n. 4/2004 ha stabilito che la
Repubblica riconosce e tutela il diritto di ogni persona, in particolare della
persona disabile, ad accedere a tutte le fonti di informazione e ai relativi
servizi, compresi quelli che si articolano attraverso gli strumenti informatici
e telematici. In base all’art. 5, le relative disposizioni si applicano anche
al materiale formativo e didattico utilizzato nelle scuole di ogni ordine e
grado. Il regolamento attuativo, adottato con D.P.R. 1° marzo 2005, n. 75, ha,
quindi, demandato ad un decreto interministeriale l’individuazione delle
specifiche regole tecniche che disciplinano l’accessibilità, da parte degli
utenti, agli strumenti didattici e formativi di cui all’articolo 5 sopra
richiamato. Il decreto, intervenuto il 30 aprile 2008, stabilisce, tra l’altro,
che:
§ per strumenti
didattici e formativi si intendono programmi informatici e documenti in formato
elettronico usati nei processi di istruzione e apprendimento. In tale
definizione sono compresi i libri di testo;
§ per software
didattico si intendono i programmi applicativi informatici finalizzati a
supportare gli apprendimenti. Sono tali, ad esempio, i programmi basati
sull’alternanza spiegazione – verifica (tutoriali), quelli basati sullo schema
domanda-risposta-verifica (eserciziari), gli ambienti di simulazione, i giochi
educativi, i corsi interattivi di lingua straniera;
§ i servizi sopra
indicati devono rispondere, fra l’altro, a criteri di facilità e semplicità
d’uso, di efficienza, di rispondenza alle esigenze dell’utenza.
[68] L’art. 156 del D.Lgs. 297/1994 ha previsto
che agli alunni delle scuole elementari (ora, scuole primarie) i libri di testo
sono forniti gratuitamente dai comuni, secondo modalità stabilite dalla legge
regionale. L’art. 27 della L. 448/1998 ha, poi, stabilito che nell’a.s.
1999-2000 i comuni provvedessero a garantire la gratuità, totale o parziale,
dei libri di testo in favore degli alunni che adempivano l’obbligo scolastico, purché
in possesso dei requisiti individuati da uno specifico D.P.C.M. ed ha
autorizzato, a tal fine, la spesa di 100 miliardi di lire. In attuazione, è
intervenuto il D.P.C.M. 5 agosto 1999, n. 320, che, oltre a precisare che per
la fornitura di libri agli alunni delle scuole elementari seguita ad applicarsi
l’art. 156, co. 1, del D.Lgs. n. 297/1994, ha stabilito che beneficiari della
fornitura gratuita o parziale dei libri di testo sono gli alunni appartenenti a
nuclei familiari il cui reddito annuo sia equivalente o inferiore a trenta
milioni di lire. Successivamente, l’art. 53 della L. 488/1999 (finanziaria
2000) ha stabilito che le disposizioni sopra citate continuassero ad applicarsi
anche nell'a.s. 2000-2001, confermando la spesa di lire 100 mld, finanziamento
poi integrato con altri 100 mld dalla tab. D della stessa L. finanziaria. La
fornitura gratuita dei libri di testo è stata quindi rifinanziata per gli anni
seguenti, sempre per l’importo di lire 200 mld - divenuti € 103,3 mln - con la
tabella D di successive leggi finanziarie (per il 2001, L. 388/2000; per 2002,
2003 e 2004, L. 448/2001; per 2005 e 2006, L. 311/2004; per 2007, 2008, 2009,
L. 296/2006).
Nel frattempo, l’art. 1, co.
628, della stessa L. 296/2006, contestualmente all’elevazione dell’obbligo
scolastico ad almeno dieci anni (coincidenti con i sedici di età e con il
secondo anno del percorso successivo al primo ciclo), ha esteso la gratuità
parziale dei libri di testo agli studenti del primo e del secondo anno
dell'istruzione secondaria superiore.
Per gli anni 2010, 2011 e 2012 le risorse
sono state individuate dalle leggi finanziarie (poi, di stabilità) nell’ambito
del Fondo per le esigenze urgenti e indifferibili, istituito dall’art. 7-quinquies, co. 1, del D.L. 5/2009 (L.
33/2009) nello stato di previsione del MEF, sempre nella misura di € 103 mln.
Da ultimo, l’art. 23, co. 5, del D.L. 95/2012 (L. 135/2012) ha autorizzato in
via permanente, a decorrere dal 2013, la spesa di € 103 mln.
[69] Le caratteristiche tecniche dei libri di
testo nella versione a stampa e nella versione on line e mista sono state
definite con DM 8 aprile 2009, n. 41:
http://www.istruzione.it/web/istruzione/dm41_09.
[70] Per l’a.s. 2012/2013, i prezzi di copertina
dei libri di testo della scuola primaria, nella versione on line o mista, sono
stati definiti con DM 11 maggio 2012, n. 42. Il DM specifica che per gli
acquisti effettuati a carico del MIUR e degli enti locali viene praticato uno
sconto non inferiore allo 0,25 per cento sul prezzo di copertina.
http://www.istruzione.it/alfresco/d/d/workspace/SpacesStore/9934d94e-3fe6-4220-bc81-5e71ff5e4509/dm42_12.pdf.
[71] Per l’a.s. 2012/2013, i tetti di spesa
riferiti alla versione on line o mista, entro cui i docenti sono tenuti a
mantenere il costo dell’intera dotazione libraria di ciascuna classe della
scuola secondaria di primo e di secondo grado sono stati definiti con DM 11
maggio 2012, n. 43 http://www.istruzione.it/alfresco/d/d/workspace/SpacesStore/15a03008-f2e2-4387-a4f3-bb508d3deacf/dm43_12.pdf.
[72] L’art. 27 della già citata L. 448/1998 ha
previsto che con decreto del Ministro della pubblica istruzione fossero
individuati i criteri per la determinazione del prezzo massimo complessivo
della dotazione libraria necessaria per ciascun anno della scuola dell’obbligo,
da assumere quale limite all’interno del quale i docenti dovevano collocare le
proprie scelte. A tale previsione ha dato seguito il DM n. 547/1999, che ha
fissato i criteri in questione, a decorrere dall’a.s. 2000-2001. Il medesimo
D.M., inoltre – essendo nel frattempo intervenuta la L. 9/1999 (poi abrogata
dall’art. 7 della L. 53/2003) che elevava l’obbligo di istruzione
a 10 anni prevedendo, però, che fino ad un riordino generale del sistema
scolastico l’obbligo di istruzione avesse durata novennale – ha fissato i
criteri per la determinazione del prezzo massimo complessivo della dotazione
libraria necessaria per le discipline del primo anno di corso della scuola secondaria
superiore. Nel prosieguo, l’art. 1, c. 628, della L. 296/2006 – che, come già
detto, ha esteso agli studenti del primo e secondo anno dell’istruzione
secondaria superiore la gratuità parziale dei testi prevista dall’art. 27 della
L. 448/1998 – ha disposto anche che con decreto del Ministro della pubblica
istruzione fossero stabiliti i criteri per la determinazione del prezzo massimo
complessivo della dotazione libraria per gli anni successivi al secondo
dell’istruzione secondaria superiore.
[73] Come si evince dalla premessa del citato DM
43/2012, la salvaguardia dei diritti patrimoniali dell’autore e dell’editore è
stata assicurata con l’incremento dei prezzi di copertina dei libri di testo in
misura pari al tasso di inflazione programmato.
[74] Per completezza, si ricorda che il co. 4
dell’art. 15 ha previsto che università e istituzioni AFAM, nel rispetto della
propria autonomia, adottano linee di indirizzo ispirate ai principi previsti
per le scuole.
[75] Una definizione analoga è contenuta,
altresì, nella già menzionata C.M. n. 18/2012.
[76] http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=SommComm&leg=16&id=686341
[77] Sull’argomento, l’Ufficio di presidenza
della 10ª Commissione del Senato il 5 novembre 2012 ha svolto l’audizione della
Federazione della filiera della carta e della grafica. Il documento depositato
è disponibile all’indirizzo:
http://www.senato.it/Senato/view_groups/download?file_path=/documento/files/000/026/706/2012_11_05_-_Filiera_carta.pdf.
[78] L’art. 7 del D.lgs. 297/1994 affida
l’adozione dei libri di testo alla competenza del collegio dei docenti, sentiti
i consigli di interclasse (nelle scuole primarie), o di classe (negli istituti
di istruzione secondaria).
[79] Il testo del decreto-legge prevedeva,
invece, che l’adozione di testi nella versione digitale o mista decorreva
dall’a.s. 2013/2014, fatta eccezione per le scuole del primo ciclo, per le
quali l’obbligo decorreva dall’a.s. 2014/2015.
[80] Il testo del decreto-legge disponeva,
infatti, che la delibera fosse assoggettata al controllo preventivo di
regolarità amministrativa e contabile, ai sensi dell’art. 5 del d.lgs.
123/2011, che ha disposto che sono assoggettati al controllo preventivo di
regolarità amministrativa e contabile tutti gli atti dai quali derivino effetti
finanziari per il bilancio dello Stato. Nel caso di specie, la relazione
tecnica all’A.S. 3533 riferiva che l’assoggettamento della delibera al
controllo preventivo dei revisori dei conti intende salvaguardare le finanze
pubbliche con riguardo alla spesa, rimasta a carico delle famiglie ma mediata
dalla gestione amministrativa delle scuole (si ricorda, infatti, che lo Stato
concorre alla spesa per i libri di testo, in attuazione delle norme sulla
gratuità degli stessi). Lo stesso concetto è presente nella relazione tecnica riferita
al maxiemendamento.
[81] http://hubmiur.pubblica.istruzione.it/web/istruzione/libri/adozione_2012_2013.
[82] Ad esempio, da ultimo, la citata circolare
n. 18 del febbraio 2012, ha disposto che “Le adozioni dei testi scolastici (…)
sono deliberate dal collegio dei docenti nella seconda decade di maggio per
tutti gli ordini e gradi di scuola”.
[83] La specifica “connesse con la modifica di
ordinamenti scolastici ovvero con la scelta di testi in formato misto o
scaricabili da internet” è stata introdotta dall’art. 1-ter, co. 1, del D.L. 25 settembre 2009, n. 134 (L. 167/2009).
Sull’argomento, si ricorda che, con ordinanza
7 maggio 2009, n. 2049, il TAR del Lazio aveva accolto la richiesta di
sospensiva della circolare ministeriale n. 16/2009, nella parte in cui prevedeva
che l'assegnazione di altro docente nella classe, a decorrere dal 1° settembre
2009, non consentiva in alcun modo una diversa scelta di libri di testo già
effettuata.
Ad avviso del giudice amministrativo, il
provvedimento ministeriale non era conforme al disposto dell’art. 5 del D.L.
137/2008, in quanto non contemplava la possibilità di derogare alla cadenza
quinquennale o sessennale prescritta per le adozioni nel caso di
"specifiche e motivate esigenze" quale, ad esempio, il cambio di docente;
si configurava, pertanto, la circostanza che con una norma di rango sub
secondario (la circolare), venivano dettati criteri più restrittivi di quelli
stabiliti dalla norma di rango primario (la legge).
Il Consiglio di Stato, con ordinanza 19
maggio 2009, n. 2540, aveva, poi, accolto l'appello presentato dal MIUR per
l'annullamento dell'ordinanza del TAR Lazio, con la seguente motivazione:
“l’impostazione seguita dall’amministrazione nella circolare impugnata, secondo
la quale il trasferimento dell’insegnante non costituisce specifica e motivata
esigenza che consente, ai sensi dall’art. 5 del decreto-legge 1° settembre
2008, n. 137, il cambio di libri di testo prima del decorso del quinquennio,
appare conforme al dettato normativo, che sottolinea l’eccezionalità dei casi
nei quali è consentito il suddetto cambio, e non appare irrazionale, in quanto
le valutazioni del docente subentrante non costituiscono evento obiettivo, tale
da imporsi come eccezione alla volontà del legislatore”.
In relazione a tale decisione, il MIUR, con
nota del 20 maggio 2009, prot. 5361, aveva chiarito che la circolare
ministeriale n. 16 del 10 febbraio 2009 restava in vigore.
In seguito, con sentenza 24 luglio 2009, n.
7528, il TAR del Lazio aveva accolto nel merito il ricorso e, sostanzialmente
ribadendo le argomentazioni già adottate con l'ordinanza, aveva disposto
l'annullamento del punto 3.3., lett. b) e del primo periodo del penultimo comma
della circolare n. 16/2009, nella parte in cui non prevedevano la deroga recata
dall'espressione "Salva la ricorrenza di specifiche e motivate
esigenze" stabilita dal secondo periodo dell'art. 5 del D.L. 137/2008
nella cadenza quinquennale per l'adozione dei libri di testo.
Con ordinanza 25 agosto 2009, n. 4328, il
Consiglio di Stato aveva confermato l'orientamento già espresso in precedenza
sulla questione; pertanto, la piena validità delle circolare n. 16/2009 era
stata confermata dal MIUR con circolare 15 settembre 2009, n. 80.
[84] La vigilanza sul rispetto delle disposizioni
in materia di adozioni è stata affidata al dirigente scolastico.
[85] Per completezza, si evidenzia che vi è anche
un riferimento al limite massimo (che, peraltro, non rileva).
[86] Il testo del decreto-legge prevedeva,
infatti, la possibilità di stipulare convenzioni. In base ad un comunicato
stampa del 4 ottobre 2012, presente sul sito del Governo, con la nuova
previsione normativa, che può trovare attuazione “dall’anno scolastico
2012-2013” (dunque, dall’a.s. già in corso), “in ambiti territoriali
particolarmente isolati (ad esempio piccole isole e comuni montani dove è
presente un numero di alunni insufficiente per la formazione di classi) sarà
possibile istituire centri scolastici digitali tramite apposite convenzioni con
il ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, che consentano
il collegamento multimediale e da remoto degli studenti alle classi
scolastiche”.
http://www.governo.it/Presidente/Comunicati/dettaglio.asp?d=69362&pg=1%2C2259%2C4379%2C6426%2C8528%2C10551%2C12908%2C14966%2C16988%2C19327%2C21327%2C23594%2C25676%2C27875%2C29948%2C32078%2C34352%2C36436%2C39024&pg_c=6
[87] Si tratta della delibera n. 6/2012 del CIPE,
e precisamente delle risorse destinate alla costruzione di nuovi edifici
scolastici riportate nella Tabella 5 della medesima delibera e pari a 100 milioni
di euro.
[88] Regolamento
recante norme per la progettazione, l'installazione, l'esercizio e la
manutenzione degli impianti termici degli edifici ai fini del contenimento dei
consumi di energia, in attuazione dell'art. 4, comma 4, della L. 9 gennaio 1991,
n. 10.
[89] L'articolo 3, comma 15-ter, del decreto
legislativo n. 163 del 2006 (codice dei contratti pubblici) definisce i
«contratti di partenariato pubblico privato» come contratti aventi per oggetto
una o più prestazioni quali la progettazione, la costruzione, la gestione o la
manutenzione di un'opera pubblica o di pubblica utilità, oppure la fornitura di
un servizio, compreso in ogni caso il finanziamento totale o parziale a carico
di privati, anche in forme diverse, di tali prestazioni, con allocazione dei
rischi ai sensi delle prescrizioni e degli indirizzi comunitari vigenti.
[90] Le principali fonti della normativa in materia di diritto d’autore, a livello nazionale, sono costituite dal codice civile, che dedica ai diritti sulle opere dell’ingegno alcune disposizioni di carattere generale (artt. 2575- 2583), e dalla legge speciale 22 aprile 1941, n. 633 sulla protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio, con il relativo regolamento di esecuzione approvato con R.D. 18 maggio 1942, n. 1369. La legge speciale 22 aprile 1941 n. 633 è stata successivamente aggiornata e integrata seguendo l’evoluzione e i progressi della scienza e delle tecnologie: un profondo aggiornamento della legislazione si è avuto con la legge 18 agosto 2000, n. 248 e con il decreto legislativo 68 del 9 aprile 2003 che recepisce la direttiva europea 29/2001/CE. Altra importante fonte normativa è rappresentata dalle convenzioni internazionali per la protezione del diritto d’autore, le cui disposizioni sono state recepite nell’ordinamento giuridico italiano.
[91] A.C. 4274, Disegno di legge presentato dal
Ministro della salute (Fazio) di concerto con il Ministro per i rapporti con le
regioni e per la coesione territoriale (Fitto) e con il Ministro dell’economia
e delle finanze (Tremonti), Delega al
Governo per il riassetto della normativa in materia di sperimentazione clinica
e per la riforma degli ordini delle professioni sanitarie, nonché disposizioni
in materia sanitaria.
[92] Articoli 14 e 16 dell’A.C. 4274-A.
[93] Il progetto europeo eHealth Large Scale Pilot – CIP - Programma per l’innovazione e la
competitività, per l’interoperabilità internazionale del fascicolo sanitario
elettronico;
[94] Le informazioni presentate in questa sezione
sono tratte da: Dipartimento per la digitalizzazione della Pubblica
Amministrazione e l’innovazione tecnologica, Consiglio Nazionale delle Ricerche
- Dipartimento delle Tecnologie dell’Informazione e delle Comunicazioni, Progetto “Infrastruttura Tecnologica del
Fascicolo Sanitario Elettronico”. InFSE: Infrastruttura tecnologica del
Fascicolo Sanitario Elettronico Linee guida, eGov 2012 – Obiettivo Salute,
Luglio 2012.
[95] Sperimentazione di un sistema per
l’Interoperabilità europea e nazionale delle soluzioni di fascicolo sanitario
elettronico: componenti Patient Summary
e ePrescription.
[96] Il Fascicolo sanitario elettronico è uno
degli obiettivi intermedi del Piano e-gov 2012. I dati sopra riportati sono
contenuti nello Stato di attuazione del piano e-gov 2012.
[97] Ministero della salute, Il Fascicolo
sanitario elettronico: Linee guida nazionali, novembre 2010
[98] Garante per la protezione dei dati
personali, Linee guida in tema di
Fascicolo sanitario elettronico (Fse) e di dossier sanitario, 16 luglio
2009 (G.U. n. 178 del 3 agosto 2009)
[99] Di cui alla lettera a) del comma 2 dell’articolo in esame.
[100] Di cui alla lettera b) del comma 2 dell’articolo in esame.
[101] Di cui alla lettera c) del comma 2 dell’articolo in esame.
[102] Ai sensi dell’articolo 154, comma 4, del
decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196
[103] D.L. 6 luglio 2012, n. 95, Disposizioni urgenti per la revisione della
spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di
rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario, convertito,
con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 135.
[104] D.Lgs. 23-6-2011 n. 118, Disposizioni in
materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio
delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli articoli 1
e 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42.
[105] Il Programma nazionale esiti risponde a quanto
disposto dall'art. 15, comma 25-bis,
del D.L. 95/2012, in materia di valutazione delle attività di assistenza di
tutti gli ospedali italiani, pubblici e privati accreditati. Gli obiettivi
principali del Programma sono:valutazione osservazionale dell'efficacia
“teorica” di interventi sanitari per i quali non sono possibili/disponibili
valutazioni sperimentali (RCT); valutazione comparativa tra soggetti erogatori
e/o tra professionisti e tra ASL; valutazione comparativa tra gruppi di
popolazione (per livello socioeconomico, residenza, etc.); individuazione dei
fattori dei processi assistenziali che determinano esiti; auditing interno ed
esterno; monitoraggio livelli di assistenza.
[106] Comitato interministeriale per la
programmazione economica, Deliberazione 9 maggio 2003, Ripartizione delle risorse per interventi nelle aree sottoutilizzate -
Rifinanziamento legge 208/1998 - Triennio 2003-2005 (Legge finanziaria 2003,
art. 61) (Deliberazione n. 17/2003). (G..
U. n. 155 del 7 luglio 2003)
[107] L. 11 marzo 1988, n. 67, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello
Stato (legge finanziaria 1988).
[108] Comitato interministeriale per la
programmazione economica, Deliberazione 18 dicembre 2008 , Modifica delibera CIPE n. 4 /2008 relativa al riparto tra le regioni e
le province autonome di Trento e Bolzano della disponibilita stanziata
dall'articolo 1, comma 796, lettera n) della legge n. 296/2006, per la
prosecuzione del programma pluriennale nazionale straordinario di investimenti
in sanità di cui all'articolo 20 della legge n. 67/1988 e successive
modificazioni. (Deliberazione n. 98/2008). (G.U. n. 63 del 17 marzo 2009)
[109] Ai sensi del D.Lgs. 82/2005, Codice
dell’amministrazione digitale che dedica il Capo VI allo sviluppo, acquisizione
e riuso di sistemi informatici nelle pubbliche amministrazioni. In tal senso,
le pubbliche amministrazioni che siano titolari di programmi informatici
realizzati su specifiche indicazioni del committente pubblico, hanno obbligo di
darli in formato sorgente, completi della documentazione disponibile, in uso
gratuito ad altre pubbliche amministrazioni che li richiedono e che intendano
adattarli alle proprie esigenze, salvo motivate ragioni.
[110] D.Lgs. 24 febbraio 1997, n. 46, Attuazione della direttiva 93/42/CEE,
concernente i dispositivi medici
[111] Decreto Ministero della Sanità 18 maggio 2001,
n. 279, Regolamento di istituzione della
rete nazionale delle malattie rare e di esenzione dalla partecipazione al costo
delle relative prestazioni sanitarie ai sensi dell'articolo 5, comma 1, lettera
b) del decreto legislativo 29 aprile 1998, n. 124. Ai sensi del decreto,
presso l'Istituto Superiore di Sanità è istituito il Registro nazionale che si
articola in una rete per la prevenzione, la sorveglianza, la diagnosi e la
terapia delle malattie rare. La Rete è costituita da presidi accreditati,
appositamente individuati dalle regioni. Nell'ambito di tali presidi,
preferibilmente ospedalieri, con decreto del Ministro della sanità, su proposta
della regione interessata, d'intesa con la Conferenza Stato-Regioni e sulla
base di criteri di individuazione e di aggiornamento concertati con la medesima
Conferenza, sono individuati i Centri interregionali di riferimento per le
malattie rare
[112] Come specificato il regolamento deve essere
adottato ai sensi dell’articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, Disciplina dell'attività di Governo e
ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Il regolamento è
emanato con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del
Consiglio dei ministri, sentito il parere del Consiglio di Stato che deve
pronunziarsi entro novanta giorni dalla richiesta.
[113] De-materializzazione
della ricetta medica cartacea, di cui all'articolo 11, comma 16, del
decreto-legge n. 78 del 2010 (Progetto Tessera Sanitaria).
[114] Decreto legge 30 settembre 2003, n. 269, Disposizioni urgenti per favorire lo
sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici.
[115] Attuazione
dell'articolo 1, comma 810, lettera c), della legge 27 dicembre 2006, n. 296,
in materia di regole tecniche e trasmissione dati di natura sanitaria,
nell'ambito del Sistema pubblico di connettività.
[116] Finora sono stati emessi i seguenti decreti:
§ decreto 14 luglio
2010 fissa al 1 ottobre 2010 la data di entrata a regime della ricetta
elettronica in Lombardia;
§ decreto 21 febbraio
2011 fisa l’avvio della trasmissione telematica dei dati delle ricette del SSN
da parte dei medici prescrittori, presso le regioni Valle d'Aosta (1 aprile
2011), Emilia-Romagna (1 maggio 2011), Abruzzo, Campania, Molise, Piemonte,e la
Provincia autonoma di Bolzano (1 luglio 2011), Calabria, Liguria (dal 1
settembre 2011), Basilicata (dal 1 ottobre 2011);
§ decreto 21 luglio
2011 stabilisce l'avvio a regime anche per le Regioni Toscana e Sardegna (dal
31 dicembre 2011), Puglia (dal 31 gennaio 2012), Provincia autonoma di Trento
(dal 1° ottobre 2011);
§ decreto 2 luglio
2012 indica le date di avvio a regime dell'e-prescription in Veneto, Marche e
Sicilia (dal 30 giugno 2012), Lazio (dal 30 settembre 2012), Friuli Venezia
Giulia (dal 31 ottobre 2012) e Umbria (dal 31 dicembre 2012).
[117] D.Lgs. 30-3-2001, n. 165, Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle
amministrazioni pubbliche. La norma si riferisce all’inadempienza del
medico relativamente all’inosservanza degli obblighi di trasmissione per via
telematica della certificazione medica concernente assenze di lavoratori per
malattia.
[118] Norme
generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni
pubbliche.
[119] Disposizioni
urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti
pubblici.
[120] Informazioni tratte dal sito del Ministero
della salute, sezione dedicata al Monitoraggio del ciclo di vita del farmaco:
http://www.salute.gov.it/tracciabilitaFarmaco/paginaInternaTracciabilitaFarmaco.jsp?id=1373&lingua=italiano&menu=monitoraggio
[121] Disposizioni
urgenti in materia di semplificazione e di sviluppo.
[122] D.L. 13 maggio 2011, n. 70, Semestre Europeo - Prime disposizioni
urgenti per l'economia
[123] Disposizioni
urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai
cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore
bancario, convertito con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135.
[124] Ai sensi dell'articolo 11, comma 12, del
decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge
24 marzo 2012, n. 27, la clausola di non sostituibilità di un farmaco è
condizione contenuta prescrizione del medico al fine di obbligare il farmacista
a fornire il medicinale indicato.
[125] L’art. 11, comma 9, del D.L. 31 maggio 2010 n.
78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, a
decorrere dall’anno 2011, per l’erogazione con rimborso a carico del SSN dei
medicinali equivalenti (di cui all’articolo 7, comma 1, del decreto-legge 18
settembre 2001, n. 347, convertito, con modificazioni, dalla legge 16 novembre
2001, n. 405, e successive modificazioni), collocati in classe A ai fini della
rimborsabilità, l’AIFA, sulla base di una ricognizione dei prezzi vigenti nei
paesi dell’Unione europea, fissa un prezzo massimo di rimborso per confezione,
a parità di principio attivo, di dosaggio, di forma farmaceutica, di modalità
di rilascio e di unità posologiche. La dispensazione, da parte dei farmacisti,
di medicinali aventi le medesime caratteristiche e prezzo di vendita al
pubblico più alto di quello di rimborso è possibile solo su espressa richiesta
dell'assistito e previa corresponsione da parte dell’assistito della differenza
tra il prezzo di vendita e quello di rimborso.
[126] Medicinali aventi uguale composizione in
principi attivi, nonché forma farmaceutica, via di somministrazione, modalità
di rilascio, numero di unità posologiche e dosi unitarie uguali a quelli
coperti da brevetto.
[127] Convertito, con modificazioni, dalla legge 24
giugno 2009, n. 77.
[128] La differenza tra il nuovo prezzo e quello del
corrispondente medicinale equivalente deve essere superiore a 0,50 euro per i
farmaci il cui costo sia inferiore o pari a 5 euro, o se si tratti di
medicinali in confezione monodose, essere superiore a 1 euro per i farmaci il
cui costo sia superiore ai 5 euro e inferiore o pari a 10 euro, essere
superiore a 1,50 euro per i farmaci il cui costo sia superiore a 10 euro.
[129] Legge 18 giugno 2009, n. 69 “Disposizioni per lo sviluppo economico, la
semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile”.
[130] “Obiettivi,
criteri e modalità di programmazione delle risorse per le aree sottoutilizzate
e selezione ed attuazione degli investimenti per i periodi 2000-2006 e
2007-2013” (Deliberazione n. 1/2011).
[131] Decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225, recante Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie, convertito con modificazioni dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10
[132] Il piano nazionale banda larga, cfr. il seguente indirizzo:
http://www.sviluppoeconomico.gov.it/index.php?option=com_content&view=article&viewType=0&id=2019457&idarea1=1699&idarea2=0&idarea3=0&idarea4=0&andor=AND§ionid=0&andorcat=AND&partebassaType=0&idareaCalendario1=0&MvediT=1&showMenu=1&showCat=1&showArchiveNewsBotton=0&idmenu=2511&directionidUser=0
[133] http://ec.europa.eu/competition/state_aid/cases/242381/242381_1352100_94_1.pdf
[134] Fonte www.treccani.it
[135] Lo sviluppo della rete NGN in Italia, Audizione informale di Telecom Italia presso la IX Commissione trasporti della Camera 8 febbraio 2012 documentazione depositata.
[136] Lo sviluppo della rete NGN in Italia, Audizione informale di Telecom Italia presso la IX Commissione trasporti della Camera 8 febbraio 2012 documentazione depositata.
[137] Decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259 “Codice delle comunicazioni elettroniche”.
[138] Decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento, convertito con modificazioni dalla legge 26 aprile 2012, n. 44.
[139] D.P.C.M. 8 luglio 2003, Fissazione dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli
obiettivi di qualità per la protezione della popolazione dalle esposizioni a
campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici generati a frequenze comprese
tra 100 kHz e 300 GHz, pubblicato nella Gazz. Uff. 28 agosto 2003, n. 199.
[140] L. 22 febbraio 2001, n. 36, Legge quadro sulla protezione dalle
esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici.
[141] Recante “Guida per la misura e per la valutazione dei campi elettromagnetici nell´intervallo di frequenza 10 kHz - 300 Ghz, con riferimento all´esposizione umana"”.
[142] D.Lgs. 1 agosto 2003, n. 259, Codice delle comunicazioni elettroniche.
[143] Analisi normativa nazionale vigente: problemi
aperti e criticità (Relazione al convegno “Stato dell'arte della normativa
ambientale sui campi elettromagnetici” del 19 aprile 2012).
[144] Il "valore d'orientamento" corrisponde a un livello di campo nel quale non dovrebbero prodursi effetti nocivi per la salute in normali condizioni di lavoro e per persone che non appartengono a un gruppo soggetto a rischi particolari. Il "valore d'azione" corrisponde al campo massimo direttamente misurabile per il quale è garantita la conformità automatica al valore limite di esposizione. I livelli di esposizione che si trovano tra il "valore d'orientamento" e il "valore d'azione" richiedono valutazioni più approfondite e misure preventive.
[145] Decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144, Misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale, convertito in legge con modificazioni dalla legge 31 luglio 2005, n. 155.
[146] Decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259.
[147] Legge 23 agosto 1988, n. 400 Disciplina
dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei
Ministri.
[148] Decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria, convertito con modificazioni dalla legge 15 luglio 2011, n. 111.
[149] Legge 22 febbraio 2001 n. 36 Legge
quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed
elettromagnetici.
[150] Sono citati, ad esempio, il MAV, il pagamento con bonifico, il pagamento presso reti alternative (come ad esempio Lottomatica, Sisal, ecc.), il pagamento on line con carte di credito ed altri mezzi di pagamento presenti sul mercato.
[151] Il D.P.R. 367/94 ha introdotto le tecnologie
informatiche nelle procedure di spesa, sostituendo le evidenze cartacee con
quelle informatiche e ha previsto l'estinzione dei titoli di spesa mediante
tutti i mezzi di accreditamento o di pagamento disponibili sul circuito
bancario o postale. La prima attuazione del D.P.R. si è concretizzata, a
partire dal 1999, con la realizzazione del mandato informatico. Successivamente
attraverso il progetto del Sistema Informatizzato dei Pagamenti della Pubblica
Amministrazione (SIPA) si è proceduto con l’informatizzazione delle altre
tipologie di titoli.
[152] Si richiamano l’art. 51 del D.L. 112/2008 (L.
133/2008); l’art.4 del D.L. 193/2009 (L. 24/2010); l’art. 25 della L. 183/2011.
[153] Si riporta il testo del richiamato articolo
64: "Art. 64. (Modalità di
accesso ai servizi erogati in rete dalle pubbliche amministrazioni) 1. La carta d'identità elettronica e la
carta nazionale dei servizi costituiscono strumenti per l'accesso ai servizi
erogati in rete dalle pubbliche amministrazioni per i quali sia necessaria
l'identificazione informatica. 2. Le pubbliche amministrazioni possono
consentire l'accesso ai servizi in rete da esse erogati che richiedono
l'identificazione informatica anche con strumenti diversi dalla carta
d'identità elettronica e dalla carta nazionale dei servizi, purché tali
strumenti consentano l'individuazione del soggetto che richiede il servizio.
L'accesso con carta d'identità elettronica e carta nazionale dei servizi è
comunque consentito indipendentemente dalle modalità di accesso predisposte
dalle singole amministrazioni . 3...".
[154] Si tratta delle amministrazioni dello Stato,
ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni
educative, delle aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento
autonomo, di Regioni, Province, Comuni e Comunità montane, e loro consorzi e
associazioni, delle istituzioni universitarie, degli Istituti autonomi case
popolari,delle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro
associazioni, di tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e
locali, delle amministrazioni, aziende ed enti del Servizio sanitario
nazionale, dell'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche
amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 300/1999.
[155] La citata disposizione della legge di
stabilità 2012 prevede che il maggior gettito derivante dall’ aumento del
contributo unificato (aumento della metà per i giudizi di impugnazione e del
doppio per i processi dinanzi alla Corte di cassazione) è versato all'entrata del
bilancio dello Stato, con separata contabilizzazione, per essere riassegnato,
con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, allo stato di
previsione del Ministero della giustizia per assicurare il funzionamento degli
uffici giudiziari, con particolare riferimento ai servizi informatici e con
esclusione delle spese di personale.
[156] Ordinamento
degli ufficiali giudiziari e degli aiutanti ufficiali giudiziari.
[157] Disposizioni
in materia di usura e di estorsione, nonché di composizione delle crisi da sovraindebitamento.
[158] L’iter legislativo che ha condotto
all’approvazione della legge n. 3 del 2012 è iniziato al Senato nel settembre
2008 con l’esame di un d.d.l. (AS 307) di iniziativa parlamentare (Sen. Centaro). Approvato da quel ramo del
Parlamento nell’aprile 2009, il provvedimento è stato modificato dalla
Commissione giustizia in sede legislativa il 26 ottobre 2011, tornando al
Senato. Nelle more della definitiva approvazione del testo, il Governo Monti ha
ritenuto di dover accelerare l’introduzione dell’innovativo procedimento per la
risoluzione delle crisi da sovraindebitamento, emanando il decreto-legge n. 212
del 2011, il cui testo riproduceva sostanzialmente le disposizioni già
approvate dalla Camera. Proprio la consapevolezza dello stato ormai avanzato
dell’iter dell’AS 307-B ha indotto il Senato – chiamato ad esaminare il disegno
di legge di conversione del decreto-legge in prima lettura – ad anteporre alla
conversione l’approvazione del disegno di legge di iniziativa parlamentare. Ed
ecco che è stata velocemente approvata e pubblicata la legge n. 3 del 2012,
destinata ad entrare in vigore il 29 febbraio 2012. Con la legge pubblicata, ma
non ancora entrata in vigore, la Commissione Giustizia del Senato ed il Governo
hanno ritenuto di poter utilizzare l’iter di conversione del decreto-legge per
correggere alcuni aspetti della legge 3/2012. Ciò spiega le ampie modifiche che
il Senato aveva apportato al testo originario del decreto-legge, giunte
all’esame della Camera con l’AC 4933 e da quest’ultima espunte dal disegno di
legge di conversione, a causa dell'eccessiva ristrettezza dei tempi a
disposizione per esaminare novelle così importanti . E' dunque entrato in
vigore il testo della legge 3/2012, senza modifiche.
[159] Il disegno di legge del Governo AC 5117 sul
punto definisce il consumatore come il debitore persona fisica che ha assunto
obbligazioni prevalentemente per
scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale svolta.
[160] Si ricorda che il Codice del consumo (D.Lgs.
n. 206 del 2005) definisce il consumatore come «la persona fisica che agisce
per scopi estranei all'attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o
professionale eventualmente svolta» (art. 3, co. 1, lett. a).
[161] In base all’art. 545 c.p.c., concernente i
crediti impignorabili, non possono essere pignorati i crediti alimentari,
tranne che per cause di alimenti, e sempre con l'autorizzazione del presidente
del tribunale o di un giudice da lui delegato e per la parte dal medesimo
determinata mediante decreto (comma 1). Non possono essere pignorati crediti
aventi per oggetto sussidi di grazia o di sostentamento a persone comprese
nell'elenco dei poveri, oppure sussidi dovuti per maternità, malattie o
funerali da casse di assicurazione, da enti di assistenza o da istituti di beneficenza
(comma 2). Le somme dovute dai privati a titolo di stipendio, di salario o di
altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego comprese quelle
dovute a causa di licenziamento, possono essere pignorate per crediti
alimentari nella misura autorizzata dal presidente del tribunale o da un
giudice da lui delegato (comma 3). Tali somme possono essere pignorate nella
misura di un quinto per i tributi dovuti allo Stato, alle province e ai comuni,
ed in eguale misura per ogni altro credito (comma 4). Il pignoramento per il
simultaneo concorso delle cause indicate precedentemente non può estendersi
oltre alla metà dell'ammontare delle somme predette (comma 5). Restano in ogni
caso ferme le altre limitazioni contenute in speciali disposizioni di legge
(comma 6).
[162] L’art. 28 del Regio decreto 16 marzo 1942, n.
267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione
controllata e della liquidazione coatta amministrativa) individua i soggetti
che possono essere chiamati a svolgere le funzioni di curatore. Si tratta delle
seguenti categorie: a) avvocati,
dottori commercialisti, ragionieri e ragionieri commercialisti; b) studi professionali associati o
società tra professionisti, sempre che i soci delle stesse abbiano i requisiti
professionali di cui alla lettera a);
in tale caso, all'atto dell'accettazione dell'incarico, deve essere designata
la persona fisica responsabile della procedura; c) coloro che abbiano svolto funzioni di amministrazione, direzione
e controllo in società per azioni, dando prova di adeguate capacità
imprenditoriali e purché non sia intervenuta nei loro confronti dichiarazione
di fallimento. Non possono essere nominati curatore il coniuge, i parenti e gli
affini entro il quarto grado del fallito, i creditori di questo e chi ha
concorso al dissesto dell'impresa durante i due anni anteriori alla
dichiarazione di fallimento, nonché chiunque si trovi in conflitto di interessi
con il fallimento.
[163] Orientamento e modernizzazione del settore
agricolo, a norma dell'articolo 7 della L. 5 marzo 2001, n. 57.
[164] Disposizioni urgenti per la stabilizzazione
finanziaria, convertito dalla legge n. 111 del 2011.
[165] Disposizioni
relative all'anagrafe tributaria e al codice fiscale dei contribuenti. Si
tratta della sezione dell'anagrafe tributaria che riporta i dati
identificativi, comprendenti il codice fiscali, di coloro che intrattengono
rapporti di qualsiasi tipo - o effettuino operazioni di natura finanziaria -
con Le banche, la società Poste italiane Spa, gli intermediari finanziari, le
imprese di investimento, gli organismi di investimento collettivo del
risparmio, le società di gestione del risparmio, nonché ogni altro operatore
finanziario.
[166] Misure
urgenti per la crescita del Paese.
[167] Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale europeo e al Comitato delle regioni. “Appalti pre-commerciali: promuovere l’innovazione per garantire servizi pubblici sostenibili e di elevata qualità in Europa”. COM(2007)799 definitivo. La comunicazione si incentra sul concetto di “appalto pre-commerciale”, ossia di appalto relativo alla fase di ricerca e sviluppo (R&S) prima della commercializzazione. Ai fini della presente comunicazione, il termine “appalto pre-commerciale” mira a descrivere un approccio all’aggiudicazione di appalti di servizi di R&S diverso da quelli “i cui risultati appartengono esclusivamente all’amministrazione aggiudicatrice perché li usi nell’esercizio della sua attività, a condizione che la prestazione del servizio sia interamente retribuita da tale amministrazione”5,6 e che non costituisce un aiuto di Stato. Per approfondimenti si rinvia al documento della Presidenza del Consiglio
http://www.comune.torino.it/relint/PPI/pdf/RenzoTuratto.pdf.
[168] Si
ricorda che tra i soci di UIRNet S.p.A. vi sono le società italiane degli
interporti, alcune società operanti nei settori trasporti e telecomunicazioni
quali Telespazio S.p.A., Autostrade per l'Italia S.p.A, Telecom Italia S.p.A.
Selex Elsag S.p.A, Fondazione Slala, nonché associazioni di categoria e
sindacali del settore.
[169] D.L. 24
gennaio 2012, n. 1, recante “Disposizioni
urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività”,
e convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27.
[170] Articolo 23, comma 2, del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83,
convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134 istituisce il
Fondo per la crescita sostenibile. Le principali finalità del Fondo, che
diventa il principale strumento di intervento nel settore, consistono:
§
nella promozione di progetti di ricerca strategica, anche tramite il
consolidamento dei centri di ricerca delle imprese;
§
nel rafforzamento della struttura produttiva;
§
nella promozione della presenza internazionale delle imprese e l’attrazione
di investimenti dall’estero, anche in raccordo con le azioni che saranno
attivate dall’ICE - Agenzia per la promozione all’estero e
l’internazionalizzazione delle imprese italiane.
[171] Il FIRST è stato istituito
dall’art. 1, co. 870–874, della legge finanziaria per il 2007 nello
stato di previsione del Ministero dell'università e della ricerca. In esso confluiscono le risorse del Fondo per le agevolazioni alla ricerca (FAR), del Fondo per gli investimenti della
ricerca di base (FIRB), del Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS), per quanto
di competenza del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, e
le risorse annuali per i progetti di ricerca di interesse nazionale delle
università (PRIN). Inoltre, ai sensi dell’art. 1, co. 758, della predetta legge
finanziaria, il FIRST è finanziato a valere sulle risorse del Fondo per
l’erogazione del trattamento di fine rapporto (TFR), istituito presso l’INPS.
Il Fondo è alimentato in via ordinaria dai conferimenti annualmente disposti
dalla legge finanziaria, dai rientri dei contributi concessi sotto forma di
credito agevolato e dalle risorse assegnate dal CIPE, nell’ambito del riparto
del FAS. Alle novità derivanti dalle novelle apportate nel decreto-legge n. 5
del 2012 ai commi 872 e 873 dell’art. 1 della legge finanziaria 2007 vanno
aggiunte quelle di cui al decreto-legge n. 83 del 2012, per il quale
il FIRST continua ad operare attraverso: la contabilità speciale già esistente,
per l’erogazione di finanziamenti agevolati di cui sono previsti i rientri,
ovvero per interventi, anche di natura non rotativa, che sono cofinanziati
dall’Unione europea o dalle regioni; la gestione ordinaria in bilancio per
tutti gli altri tipi di interventi; inoltre si dispone, a garanzia delle
anticipazioni concesse a favore di progetti di ricerca presentati da soggetti
privati, che, per ciascun intervento, una quota del finanziamento è trattenuta ed
accantonata nella misura massima del 10 per cento dello stesso e nel limite
complessivo del 10 per cento della dotazione annuale del FIRST.
[172] Il Piano di Azione Coesione è lo strumento di riprogrammazione della spesa avviato nel 2011 dal Governo e costantemente aggiornato: un impegno a spendere meglio e più rapidamente i fondi comunitari co-finanziati destinati all’Italia del Sud.
[173] Decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 Misure urgenti per la crescita del Paese, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 134
[174] Legge 31 dicembre 2009, n. 196.
[175] Decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82.
[176] Decreto legislativo 6 settembre 1989, n. 322, Norme sul Sistema statistico nazionale e sulla riorganizzazione
dell'Istituto nazionale di statistica, ai sensi dell'art. 24 della legge 23
agosto 1988, n. 400
[177] Decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche
[178] Decreto legislativo 7 marzo 2005 n. 82
[179] Istituto dell’Enciclopedia italiana, Enciclopedia della scienza e della tecnica, ad vocem, consultato su www.treccani.it
[180] Legge 9 gennaio 2004, n. 4
[181] Decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150 Attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttivita' del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni
[182] Riordino
e potenziamento dei meccanismi e strumenti di monitoraggio e valutazione dei
costi, dei rendimenti e dei risultati dell'attività svolta dalle amministrazioni
pubbliche, a norma dell'articolo 11 della L. 15 marzo 1997, n. 59.
[183] Introdotto
dall’articolo 40 della L. 24 dicembre 2007, n. 247, “Norme di attuazione del
Protocollo del 23 luglio 2007 su previdenza, lavoro e competitività per
favorire l'equità e la crescita sostenibili, nonché ulteriori norme in materia
di lavoro e previdenza sociale”.
[184] Si ricorda che tale comma è stato abrogato
[185] Si ricorda che anche altri
Paesi europei hanno recentemente riformato
l'assetto della vigilanza assicurativa. In particolare, la Francia, con il decreto-legge n.
2010-76, ha previsto la fusione fra le
autorità di controllo dei settori bancario e assicurativo mediante la
costituzione della nuova “Autorité
de contrôle prudentiel” (ACP), presieduta dal Governatore della Banque
de France. Nel Regno Unito è
stata istituita la “Prudential
Regulation Authority” (PRA), dipendente
dalla Bank of England, con il compito di garantire una stabile e
prudente operatività del settore
finanziario nazionale. La PRA adotta un approccio specifico per il settore assicurativo (che, per numero
di imprese e compagnie, rappresenta circa metà dell’intero settore finanziario
del Regno Unito). La nuova architettura normativa e regolamentare diverrà
pienamente operativa entro la fine del 2012. In Germania, vi è un’unica autorità
di vigilanza su banche e assicurazioni (BaFin). Da ultimo, la legge per
il rafforzamento della vigilanza sui mercati finanziari e assicurativi,
approvata il 2 luglio 2009, ha modificato la normativa applicabile alle
assicurazioni, attraverso - tra l’altro - l’intensificazione della vigilanza
sulle holding a capo di gruppi assicurativi; il numero di mandati
assumibili dagli amministratori; la qualifica e i compiti dei componenti il
Consiglio di vigilanza di imprese assicuratrici, fondi pensione, holding e gruppi “misti” di tipo
assicurativo-finanziario; la facoltà per la BaFin di imporre alle imprese
divieti di pagamento di utili.
[186] Si rammenta, peraltro, che il decreto legge n. 95 cit. ha escluso
dal conferimento all'IVASS la tenuta del ruolo dei periti assicurativi e di
ogni altra competenza dell'ISVAP in materia, nonché la gestione del Centro di
informazione italiano per i risarcimenti a seguito di sinistri (derivanti dalla
circolazione dei veicoli a motore) avvenuti all'estero: essi vengono attribuite
proprio alla Consap - Concessionaria servizi assicurativi pubblici S.p.A.; il
trasferimento decorre dalla data di subentro, da parte dell'IVASS, nelle
funzioni svolte dall'ISVAP. Il Centro di informazione italiano è incaricato di
tenere un registro da cui risulta: la targa di immatricolazione di ogni veicolo
che staziona abitualmente nel territorio della Repubblica; i numeri e la data
di scadenza delle polizze di assicurazione che coprono la responsabilità civile
derivante dalla circolazione di detti veicoli; le imprese di assicurazione che
coprono la responsabilità civile derivante dalla circolazione di tali veicoli e
i mandatari per la liquidazione dei sinistri. Con decreto del Ministro dello
sviluppo economico, sentita l'IVASS, è stabilita la quota dei contributi da riconoscere alla Consap Spa a copertura degli oneri sostenuti per l'esercizio delle
funzioni attribuite.
[187] Tali commi hanno istituito specifici fondi di
solidarietà bilaterali per i settori non coperti dalla normativa in materia di
integrazione salariale (ordinaria o straordinaria), al fine di assicurare ai
lavoratori interessati una tutela nei casi di riduzione o sospensione
dell’attività lavorativa per le cause previste dalla normativa in materia di
integrazione salariale ordinaria o straordinaria.
[188] I fondi relativi ai dirigenti possono essere
costituiti mediante accordi stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori
e dei dirigenti comparativamente più rappresentative oppure come apposita
sezione all'interno dei fondi interprofessionali nazionali.
[189] Articolo 25, comma 10, della L. 845/1978.
[190] L'addizionale è posta con riferimento ai
contributi per l'assicurazione contro la disoccupazione.
[191] Per la disciplina in materia, cfr. - oltre al
citato art. 118 della L. n. 388, e successive modificazioni - l'art. 9, comma
5, del D.L. 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, nella L. 19
luglio 1993, n. 236, e l'art. 1, comma 72, della L. 28 dicembre 1995, n. 549.
[192] Tale Fondo è istituito presso il Ministero del
lavoro e delle politiche sociali.
[193] Tale limite è previsto dal combinato disposto
dei commi 3 e 10 del suddetto art. 118 della L. n. 388, e successive
modificazioni.
[194] Tale Fondo è istituito presso il Ministero
dell'economia e delle finanze.
[195] In attuazione dei suddetti commi è stato
emanato il D.M. 23 aprile 2003.
[196] Per Banca Mondiale (World Bank) si intendono
normalmente le istituzioni collegate IBRD, IDA (International Development
Association ), MIGA (Multilateral Investment Guarantee Agency), IFC
(International Finance Corporation), ICSID (International Centre for
Settlement of Investment Disputes).
[197] Alcune informazioni sugli aspetti finanziari, i risultati operativi
e l'attività svolta dalla IBRD (relative all'anno 2010) sono reperibili nella
"Relazione sull’attività di banche e
fondi di sviluppo a carattere multilaterale e sulla partecipazione finanziaria
italiana alle risorse di detti organismi" (doc. LV, n. 5-bis), trasmessa al Parlamento il 28 gennaio 2012.
[198] Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità
e il consolidamento dei conti pubblici.
[199] Nuova
disciplina della cooperazione dell'Italia con i Paesi in via di sviluppo.
[200] Ai sensi dell’articolo 2447-bis del codice civile (recante norme in tema di patrimoni destinati ad uno specifico affare), la società per azioni può a) costituire uno o più patrimoni, ciascuno dei quali destinato in via esclusiva ad uno specifico affare e b) convenire che nel contratto relativo al finanziamento di uno specifico affare al rimborso totale o parziale del finanziamento medesimo siano destinati i proventi dell'affare stesso, o parte di essi. Salvo quanto disposto in leggi speciali, i patrimoni destinati non possono essere costituiti per un valore complessivamente superiore al dieci per cento del patrimonio netto della società e non possono comunque essere costituiti per l'esercizio di affari attinenti ad attività riservate in base alle leggi speciali.
[201] l PNR aveva enunciato l’obiettivo di creare le condizioni per cui i giovani (e i meno giovani) dotati di talento, energia e creatività portassero avanti i loro progetti imprenditoriali.
[202] Provvedimenti approvati dal Consiglio UE sulla Società europea
(designata con il nome latino “Societas Europaea” o “SE”) sono di due
tipi: uno, sotto forma di Regolamento (Regolamento
CE n. 2157/2001), disciplina in dettaglio le regole di costituzione e di
funzionamento delle Società europee e l’altro, sotto forma di Direttiva (Direttiva 2001/86/CE), stabilisce le
regole di partecipazione dei lavoratori alla creazione e allo sviluppo della
società stessa.
[203] l'articolo 73 del D.P.R. n. 917 del 1986 (TUIR) individua i soggetti passivi dell'IRES (imposta sui redditi delle società)
[204] Si ricorda che il D.Lgs. 10-2-2005 n. 30, Codice della proprietà industriale, a norma dell'articolo 15 della legge 12 dicembre 2002, n. 273, ha riordinato la disciplina sui marchi ed altri segni distintivi, indicazioni geografiche, denominazioni di origine, disegni e modelli, invenzioni, modelli di utilità, topografie dei prodotti a semiconduttori, informazioni aziendali riservate e nuove varietà vegetali.
[205] Decreto Legislativo 30 giugno 2003, n. 196 "Codice in materia di protezione dei dati personali”.
[206] Procedura relativa alla cancellazione della società semplice, della società in nome collettivo e della società in accomandita semplice.
[207] Introdotto
dall’articolo 40 della L. 24 dicembre 2007, n. 247, “Norme di attuazione del
Protocollo del 23 luglio 2007 su previdenza, lavoro e competitività per
favorire l'equità e la crescita sostenibili, nonché ulteriori norme in materia
di lavoro e previdenza sociale”.
[208] Di cui all’articolo 20, comma 34, del D.Lgs.
276/2003, come aggiunto nel corso dell’esame al Senato
[209] Art. 5, comma 4-bis, del D.Lgs. n. 368 del 2001, e successive modificazioni.
[210] Convertito, con modificazioni, dalla L. 22 dicembre 2011, n. 214.
[211] Per la copertura di detto onere si veda l'art.
38, comma 3.
[212] Ai sensi dell’articolo 156 del decreto legislativo n. 163 del 2006, il bando di gara per l'affidamento di una concessione per la realizzazione e/o gestione di una infrastruttura o di un nuovo servizio di pubblica utilità deve prevedere che l'aggiudicatario ha la facoltà, dopo l'aggiudicazione, di costituire una società di progetto in forma di società per azioni o a responsabilità limitata, anche consortile. La ragione che sta alla base dell’introduzione della società di progetto è l’esigenza della separazione del rischio correlato al progetto con l’isolamento (c.d. ring fence) dei relativi flussi di cassa, che costituiscono la principale o esclusiva garanzia di rimborso per i finanziatori. In sostanza, si tutela da una parte il concessionario, consentendogli di circoscrivere il rischio del progetto ad una società con una propria autonomia patrimoniale e, dall’altra, l’interesse pubblico alla realizzazione dell’opera mediante uno strumento snello che permette la valorizzazione delle risorse di tutti i soggetti coinvolti. La società così costituita diventa la concessionaria subentrando nel rapporto di concessione all'aggiudicatario senza necessità di approvazione o autorizzazione.
[213] Per un approfondimento si rinvia allo specifico dossier Esame di atti e documenti dell’Unione europea “Revisione degli orientamenti per le reti transeuropee di trasporto, telecomunicazioni ed energia. Connecting Europe facility” n. 114 del 19 gennaio 2012, a cura dell’ufficio Rapporti con l’Unione europea.
[214] D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, recante “Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE”.
[215] D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, recante “Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE”.
[216] D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, recante “Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE”.
[217] D.Lgs. 1° agosto 2003, n. 259, recante “Codice delle comunicazioni elettroniche”.
[218] D.P.R. 19 settembre 1997, n. 318, recante “Regolamento per l'attuazione di direttive comunitarie nel settore delle telecomunicazioni”. Si segnala che tale D.P.R. è stato abrogato dall’articolo 218, comma 3, del sopra citato D.Lgs. n. 259/2003.
[219] Specificamente, dall’art. 5, co. 1, lett. b) e c),
e dai criteri direttivi di cui ai co. 4, lett. b), c), d), e),
f), e 5 del medesimo articolo.
[220] Si ricorda che in base alla disposizione
citata, costituiscono investimenti: l'acquisto, la costruzione, la
ristrutturazione e la manutenzione straordinaria di beni immobili, costituiti
da fabbricati sia residenziali che non residenziali; la costruzione, la
demolizione, la ristrutturazione, il recupero e la manutenzione straordinaria
di opere e impianti; l'acquisto di impianti, macchinari, attrezzature
tecnico-scientifiche, mezzi di trasporto e altri beni mobili ad utilizzo pluriennale;
gli oneri per beni immateriali ad utilizzo pluriennale; l'acquisizione di aree,
espropri e servitù onerose; le partecipazioni azionarie e i conferimenti di
capitale, nei limiti della facoltà di partecipazione concessa ai singoli enti
mutuatari dai rispettivi ordinamenti; i trasferimenti in conto capitale
destinati specificamente alla realizzazione degli investimenti a cura di un
altro ente od organismo appartenente al settore delle pubbliche
amministrazioni; i trasferimenti in conto capitale in favore di soggetti
concessionari di lavori pubblici o di proprietari o gestori di impianti, di
reti o di dotazioni funzionali all'erogazione di servizi pubblici o di soggetti
che erogano servizi pubblici, le cui concessioni o contratti di servizio
prevedono la retrocessione degli investimenti agli enti committenti alla loro
scadenza, anche anticipata; gli interventi contenuti in programmi generali
relativi a piani urbanistici attuativi, esecutivi, dichiarati di preminente
interesse regionale aventi finalità pubblica volti al recupero e alla
valorizzazione del territorio.
[221] Ai sensi del comma 4 dello stesso articolo 6,
per onere complessivo di ammortamento annuo si intende l’onere annuo per
capitale e interessi dei mutui e di altre forme di indebitamento a carico del
bilancio dell’ateneo.
[222] Ai sensi del comma 4 dell’articolo 6, per
contributi statali per investimento ed edilizia si intende il valore delle
somme assegnate dallo Stato per l’edilizia universitaria e per investimento,
nell’anno di riferimento.
[223] Per contributi statali per il funzionamento si
intende la “somma algebrica” delle assegnazioni, nell’anno di riferimento, del
Fondo per il finanziamento ordinario (FFO), del Fondo per la programmazione del
sistema universitario, “per la quota non vincolata nella destinazione”, e di
eventuali ulteriori assegnazioni statali a carattere stabile destinate alle
spese per il personale (articolo 5, comma 3, D.Lgs. n. 49/2012).
[224] Per tasse, soprattasse e contributi
universitari si intende il valore delle riscossioni totali, nell’anno di
riferimento, per qualsiasi forma di tassa, soprattassa e contributo
universitario a carico degli iscritti ai corsi dell’ateneo di qualsiasi
livello, ad eccezione delle tasse riscosse per conto di terzi. Tale valore è
calcolato al netto dei rimborsi effettuati agli studenti nello stesso periodo
(articolo 5, comma 4).
[225] Ai sensi del comma 4 dell’articolo 6, per
spese per fitti passivi si intende l’onere annuo per contratti passivi per
locazione di immobili a carico del bilancio dell’ateneo.
[226] Recante Proroga
delle missioni internazionali delle forze armate e di polizia e disposizioni
per l'attuazione delle Risoluzioni 1970 (2011) e 1973 (2011) adottate dal
Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, nonché degli interventi di
cooperazione allo sviluppo e a sostegno dei processi di pace e di
stabilizzazione. Misure urgenti antipirateria. convertito, con
modificazioni, dalla legge 2 agosto 2011, n. 130.
[227] La disposizione è stata introdotta a seguito delle indicazioni emerse dall'indagine conoscitiva sul possibile contributo delle Forze armate per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno della pirateria in acque internazionali svolta dalla 4° Commissione permanente (Difesa) del Senato della Repubblica dal 5 maggio al 16 giugno scorsi, i cui risultati sono stati poi confluiti in una apposita Risoluzione della Commissione, approvata nella seduta del 22 giugno 2011.
La Risoluzione (DOC. XXIV n. 24), approvata dalla Commissione Difesa ai sensi dell'articolo 50, comma 2, del Regolamento, a conclusione dell'esame dell'affare assegnato sul possibile impiego di personale militare a bordo del naviglio mercantile e da diporto che si trovi a transitare in acque internazionali interessate dalla pirateria, dopo una ricognizione della normativa internazionale e delle caratteristiche del fenomeno e dopo aver offerto una panoramica delle risposte diplomatico-militari poste in essere dalla comunità internazionale, nonché dei punti di vista degli esponenti della Confederazione italiana armatori (CONFITARMA) e della Federazione nazionale imprese di pesca (FEDERPESCA) - auditi dalla Commissione Difesa lo scorso 1 giugno - conclude impegnando il Governo ad adottare misure, fra le altre, atte ad:
"individuare urgentemente soluzioni legislative che consentano di superare le problematiche di natura giuridica connesse alla creazione di un'adeguata strategia di autodifesa, al fine di tutelare nel modo più ampio possibile il naviglio mercantile e da diporto battente bandiera italiana che transita in acque internazionali ad alto rischio pirateria [...];
a predisporre, mediante lo strumento della decretazione d'urgenza, a partire dal prossimo atto di rifinanziamento delle missioni internazionali".
[228] Si ricorda che l'Organizzazione marittima internazionale (IMO) è una delle Agenzie specializzate delle Nazioni Unite aventi sede a Londra, che, sostenuta da 169 Paesi membri e da 3 ulteriori membri associati, è preposta alla sicurezza della navigazione marittima ed alla protezione ambientale marina. Fra le numerose linee guida dettate dall'Agenzia, si ricordano appunto quelle relative all'uso di team armati a bordo delle imbarcazioni al fine di fronteggiare il fenomeno della pirateria nelle acque antistanti la Somalia, nel golfo di Aden e nell'Oceano Indiano, approvate nel maggio 2011 dal Maritime Safety Committee (MSC), l'organismo decisionale dell'IMO
[229] Pubblicato in G.U. 12 settembre 2011, n. 212.
[230] Recante Misure
urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica,
convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122.
[231] Convertito, con modificazioni, dalla legge n. 30 luglio 2010, n. 122.
[232] Convertito con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214.
[233] D.L. 6 luglio 2012 n. 95, recante Disposizioni urgenti per la revisione della
spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di
rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario, convertito
in legge con modificazioni dall'art.1, comma 1 della L. 7 agosto 2012, n. 135.
[234] L’art. 79del D.P.R. n. 207 del 2010, sui requisiti di ordine speciale dispone, al comma 3 che la cifra di affari in lavori relativa all'attività diretta è comprovata: da parte delle ditte individuali, delle società di persone, dei consorzi di cooperative, dei consorzi tra imprese artigiane e dei consorzi stabili con le dichiarazioni annuali IVA e con le relative ricevute di presentazione da parte delle società di capitale con i bilanci riclassificati in conformità delle direttive europee e con le relative note di deposito. Il comma 4 prevede che la cifra di affari in lavori relativa alla attività indiretta è attribuita in proporzione alle quote di partecipazione dell'impresa richiedente ai consorzi di cui all'articolo 34, comma 1, lettere e) ed f), del codice, e alle società fra imprese riunite dei quali l'impresa stessa fa parte, nel caso in cui questi abbiano fatturato direttamente alla stazione appaltante e non abbiano ricevuto fatture per lavori eseguiti da parte di soggetti consorziati. La cifra di affari in lavori relativa alla attività indiretta è comprovata con i bilanci riclassificati in conformità delle direttive europee e le relative note di deposito o con le dichiarazioni annuali IVA e relative ricevute di presentazione qualora i soggetti partecipati non siano obbligati alla redazione e deposito dei bilanci.
[235] Si ricorda che il Regolamento di attuazione ed
esecuzione del Codice dei contratti pubblici è stato già novellato con
decreto-legge: si ricordano, a titolo di esempio, l’articolo 20, comma 3, del
D.L. 5/2012 recante disposizioni in materia di semplificazione e sviluppo e
l’articolo 4, comma 15, del D.L. 70/2011 (Semestre Europeo - Prime disposizioni
urgenti per l'economia), nonché da ultimo il D.L. 73/2012 (Disposizioni urgenti
in materia di qualificazione delle imprese e di garanzia globale di
esecuzione).
[236] La norma faceva implicito riferimento al
disegno di legge A.S. 1138 “Disciplina del sistema delle comunicazioni”
presentato al Senato il 31 luglio 1996 e,
all’epoca, in corso d’esame.
[237] Ai sensi dell’art. 9, co. 1, del D.L. 28
ottobre 1994, n. 602, successivamente decaduto. Essa fu approvata con decreto
del Ministro del 21 novembre 1994. La disposizione di autorizzazione fu poi
riproposta in una serie di D.L., recanti misure di risanamento della RAI,
decaduti per mancata conversione e più volte reiterati; da ultimo, l'art. 1,
co. 3, della L. 650/1996, di conversione del D.L. 545/1996, fece salvi gli
effetti dei provvedimenti adottati sulla base dei decreti-legge reiterati.
Pertanto, la convenzione citata mantenne la sua validità; dopo la scadenza (21
novembre 1997) fu adottata la L. 224/1998 che, come già anticipato sopra, ne
dispose in via transitoria il rinnovo per un triennio.
[238] Per la proroga della convenzione scaduta il 21
novembre 2000, l’art. 145, co. 20, della L. finanziaria 2001 ha autorizzato la
spesa di lire 15 miliardi di lire per ciascuno degli anni 2001, 2002 e 2003;
l’art. 4, co. 7, della L. finanziaria 2004 ha a autorizzato la spesa di 8,5
milioni di euro per gli anni 2004, 2005 e 2006; l’art. 1, co. 1242, della L.
finanziaria 2007 ha autorizzato la spesa di 10 milioni di euro per ciascuno
degli anni 2007, 2008 e 2009.
[239] L. 7 agosto 1990, n. 241, Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di
accesso ai documenti amministrativi.
[240] L. 15 maggio 1997, n. 127, Misure urgenti per lo snellimento
dell'attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo.
[241] L. 24 novembre n. 2000 n. 340 Disposizioni per la delegificazione di norme
e per la semplificazione di procedimenti amministrativi - Legge di
semplificazione 1999.
[242] L. 11 febbraio 2005 n. 15, Modifiche ed integrazioni alla L. 7 agosto
1990, n. 241, concernenti norme generali sull'azione amministrativa.
[243] L. 18 giugno 2009, n. 69, Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la
competitività nonché in materia di processo civile.
[244] Disposizioni urgenti nell'àmbito del Piano di Azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80, e successivamente più volte modificato.
[245] Il 29 ottobre 2008 il caso C38/04 è stato suddiviso nella parte A, che riguarda la misura a favore di Alcoa e nella parte B che concerne Portovesme, ILA e Euroallumina.
[246] Il testo è disponibile al link http://ec.europa.eu/competition/state_aid/register/ii/doc/C38a-04-C36b-06-WLAL-it-19.11.2009.pdf.
[247] Il testo è disponibile al link
http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2011:309:0001:0022:IT:PDF.
[248] L'articolo 11, comma 11, della legge n. 80/2005, di conversione del decreto-legge 35/2005, proroga fino al 2010 entrambe le misure che concedono riduzioni della tariffa generale vigente per la fornitura di energia elettrica e i cui beneficiari sono il produttore di alluminio Alcoa e le tre società ex-Terni.
[249] I regimi tariffari speciali sono condizioni tariffarie favorevoli, praticate a determinate forniture, che costituiscono un onere generale del sistema elettrico (articolo 1, comma 1, lettera c), legge n. 83/03). La differenza tra la tariffa agevolata e la tariffa praticata dall’esercente ai beneficiari della misura viene posta a carico della collettività attraverso un’apposita componente tariffaria parafiscale denominata A4.
[250] Il D.M. 19 dicembre 1995, Prezzi dell'energia elettrica per i settori industriali”, reca invece una nuova determinazione delle tariffe relative alle forniture di energia elettrica per la produzione di alluminio primario.
[251] In particolare, il decreto del presidente del Consiglio dei ministri del 6 febbraio 2004 ha avuto due effetti distinti: a) ha introdotto nuove tariffe elettriche agevolate a favore delle società Portovesme Srl, ILA Spa e Euroallumina Spa, e b) ha prorogato la tariffa agevolata esistente a favore di Alcoa Trasformazioni (produttore di alluminio primario).
[252] La disciplina recata dall’articolo 33-bis prevede inoltre che, qualora sia adottata una forma societaria, l’Agenzia del demanio individua attraverso procedure di evidenza pubblica eventuali soggetti privati partecipanti. Le iniziative realizzate in forma societaria sono soggette al controllo della Corte dei conti sulla gestione finanziaria. I rapporti tra l’Agenzia del demanio e gli altri soggetti partecipanti sono disciplinati dalla legge e da un atto convenzionale, il quale contiene a pena di nullità i diritti e i doveri delle parti, anche per gli aspetti patrimoniali. Il trasferimento alle società non modifica il regime giuridico dei beni demaniali.
[253] A quanto risulta dal sito internet della
società (http://www.arsenaledivenezia.it/public/frames/f-situazione.htm) fino
ad oggi le attività si sono concentrate sul recupero del complesso
storico-monumentale mediante interventi di riqualificazione fisico-funzionale
degli edifici e di riconversione dei medesimi ad uso culturale, scientifico e
produttivo.
[254] CCNL più recente presente sul sito dell’ENAC.
[255] Decreto-legge 7 ottobre 2008, n. 154
“Disposizioni urgenti per il contenimento della spesa sanitaria e in materia di
regolazioni contabili con le autonomie locali”.
[256] Il contratto di programma è l’atto che regola i rapporti tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, amministrazione concedente, e l’ANAS S.p.A., società concessionaria, in ordine agli investimenti per la realizzazione di nuove opere e la manutenzione della rete stradale di interesse nazionale.
[257] Nel testo originario del decreto legge tale disposizione era contenuta nell’art. 34, comma 10.
[258] Attuazione delle direttive 2009/72/CE, 2009/73/CE e 2008/92/CE relative a norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica, del gas naturale e ad una procedura comunitaria sulla trasparenza dei prezzi al consumatore finale industriale di gas e di energia elettrica, nonché abrogazione delle direttive 2003/54/CE e 2003/55/CE.
[259] Interventi urgenti in materia economico-finanziaria, per lo sviluppo e l'equità sociale, convertito in legge 29 novembre 2007, n. 222.
[260] Norme per l'attuazione del nuovo Piano energetico nazionale: aspetti istituzionali, centrali idroelettriche ed elettrodotti, idrocarburi e geotermia, autoproduzione e disposizioni fiscali.
[261] D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, Testo
unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali.
[262] D.L. 25 giugno 2008, n. 112, Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 6 agosto 2008, n. 133.
[263] Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 14 settembre 2011, n. 148.
[264] Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività , convertito in legge , con modificazioni, dalla L. 24 marzo 2012, n. 27.
[265] Modificato dall'art.53, comma 1, lett. a) d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. con modificazioni dalla l. 7 agosto 2012, n. 134.
[266] Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla
L.Cost. 18 ottobre 2001, n. 3.
[267] Cfr. anche Corte Costituzionale, sentenza n.
326/2008 (per la quale, si veda infra).
[268] "Società
controllate e società collegate".
Sono considerate società controllate:
1)
le società in cui un'altra società dispone della
maggioranza dei voti esercitabili nell'assemblea ordinaria;
2)
le società in cui un'altra società dispone di voti
sufficienti per esercitare un'influenza dominante nell'assemblea ordinaria;
3)
le società che sono sotto influenza dominante di
un'altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa.
Ai fini dell'applicazione dei numeri 1) e 2)
del primo comma si computano anche i voti spettanti a società controllate, a
società fiduciarie e a persona interposta: non si computano i voti spettanti
per conto di terzi.
Sono considerate collegate le società sulle
quali un'altra società esercita un'influenza notevole. L'influenza si presume
quando nell'assemblea ordinaria può essere esercitato almeno un quinto dei voti
ovvero un decimo se la società ha azioni quotate in mercati regolamentati .
[269] Ai sensi dell’art. 30, comma 1,della legge 11 marzo 1953, n. 87, Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale, la sentenza che dichiara l'illegittimità costituzionale di una legge o di un atto avente forza di legge dello Stato o di una Regione, entro due giorni dal suo deposito in Cancelleria, è trasmessa, di ufficio, al Ministro di grazia e giustizia od al Presidente della Giunta regionale affinché si proceda immediatamente e, comunque, non oltre il decimo giorno, alla pubblicazione del dispositivo della decisione nelle medesime forme stabilite per la pubblicazione dell'atto dichiarato costituzionalmente illegittimo.
[270] D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, recante “Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE”.
[271] D.L. 6 luglio 2012, n. 95, convertito con modificazioni, dalla
legge 7 agosto 2012, n. 135, recante Disposizioni
urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai
cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore
bancario.
[272] Riassetto della normativa in materia di ricerca e coltivazione delle risorse geotermiche, a norma dell'articolo 27, comma 28, della legge 23 luglio 2009, n. 99.
[273] Nel testo iniziale del decreto legge tale disposizione era recata dal comma 19 dell’art. 34.
[274] http://www.mit.gov.it/mit/mop_all.php?p_id=12963
[275] Secondo le previsioni dell’art. 115 del D.Lgs.
42/2004, le attività di valorizzazione dei beni culturali di appartenenza
pubblica sono gestite in forma diretta o indiretta. La gestione diretta è
svolta attraverso strutture organizzative interne alle amministrazioni, dotate
di autonomia scientifica, organizzativa, finanziaria e contabile, e provviste
di idoneo personale tecnico. La gestione indiretta è attuata tramite
concessione a terzi, da parte delle amministrazioni cui i beni pertengono,
delle attività di valorizzazione, mediante procedure di evidenza pubblica,
sulla base della valutazione comparativa di specifici progetti. Lo Stato, le
regioni e gli altri enti pubblici territoriali ricorrono alla gestione
indiretta al fine di assicurare un miglior livello di valorizzazione dei beni
culturali. La scelta tra le due forme di gestione è effettuata a seguito di una
valutazione comparativa in termini di sostenibilità economico-finanziaria e di
efficacia.
Per completezza, inoltre, si ricorda che, ai
sensi dell’art. 117 del Codice, possono essere gestiti in forma diretta o
indiretta anche i servizi di assistenza culturale e di ospitalità per il
pubblico negli istituti e luoghi di cultura – c.d. servizi aggiuntivi –, che
possono essere gestiti anche in forma integrata con i servizi di pulizia,
vigilanza e biglietteria. Si tratta, in particolare, di: servizi di
accoglienza, informazione, guida e assistenza didattica; servizi di
caffetteria, di ristorazione, di guardaroba; organizzazione di mostre e
manifestazioni culturali; servizi editoriali e di vendita di cataloghi, sussidi
audiovisivi e informatici, riproduzioni di beni culturali; servizi riguardanti
beni librari e archivistici per la fornitura di riproduzioni e recapito del
prestito bibliotecario; gestione di raccolte discografiche, diapoteche e
biblioteche museali; gestione dei punti vendita e utilizzazione commerciale
delle riproduzioni dei beni.
In materia di modalità di affidamento a
privati e di gestione integrata dei servizi aggiuntivi presso istituti e luoghi
della cultura è intervenuto il D.M. 29 gennaio 2008 (pubblicato nella G.U. n.
88 del 14 aprile 2008) il cui art. 6, in particolare, specifica che l’atto di
concessione del servizio è accompagnato da una convenzione accessoria che deve,
tra l’altro contenere gli oneri e le modalità di prestazione del servizio e il
canone di concessione e le relative modalità di pagamento. Successivamente –
anche a seguito delle modifiche intervenute in materia di contratti pubblici di
lavori, forniture e servizi, al Codice degli appalti (D.lgs. n. 163/2006) – il
MIBAC ha emanato apposite linee guida (circolare n. 49 del 23 marzo 2009), a
loro volta aggiornate e integrate nel giugno 2010.
http://www.beniculturali.it/mibac/multimedia/MiBAC/documents/1311256750118_Allegato1_Circolare049.pdf
http://www.beniculturali.it/mibac/multimedia/MiBAC/documents/1277387300729_LineeeGuidaConcessioniAggiornamenti.pdf
[276] Ovvero sul conto corrente bancario aperto da
ciascun responsabile di istituto o luogo della cultura presso un istituto di
credito. In tale ultima ipotesi, l'istituto bancario provvede, non oltre cinque
giorni dalla riscossione, al versamento delle somme affluite alla sezione di
tesoreria provinciale dello Stato.
[277] Nello stato di previsione dell’entrata tali
somme risultano allocate, con riguardo al Mibac, sul cap. 2584, p.g. 1 – Introiti derivanti dalla vendita dei
biglietti d’ingresso per l’accesso ai monumenti, musei, gallerie e scavi
archeologici dello Stato. Il ddl di bilancio 2013 reca, in corrispondenza,
somme per 15,5 milioni di euro.
[278] Le autorizzazioni di spesa interessate dal
divieto sono recate dall’elenco n. 1 allegato alla medesima legge. Con
riferimento al Mibac, tale elenco – come modificato dalle disposizioni
legislative successivamente intervenute – ricomprende anche l’art. 3, co. 83,
della L. n. 662 del 1996, collegata alla manovra finanziaria 1997 (che ha
previsto l'introduzione di nuove estrazioni settimanali del gioco del lotto,
destinando una quota delle risorse così reperite alla tutela e conservazione dei
beni culturali, nonché per interventi di restauro paesaggistico e per attività
culturali) e l’art. 4, co. 3, del DPR n. 240 del 2003 (in materia di
riassegnazione di parte delle entrate delle soprintendenze speciali, al fine di
consentire il riequilibrio finanziario nell'ambito delle soprintendenze
speciali ed autonome).
[279] Con riguardo al Mibac, tali somme sono
allocate sul cap. 2401 – Fondo da
ripartire per le finalità previste dalle disposizioni legislative di cui
all’elenco 1 allegato alla legge finanziaria 2008, per le quali non si dà luogo
alle riassegnazioni delle somme versate all’entrata del bilancio dello Stato.
Il ddl di bilancio 2013 reca, in corrispondenza del citato capitolo, somme per
28,8 milioni di euro. La nota integrativa al bilancio di previsione (A.C. 5535,
Tabella 13, pag. 63) evidenzia che “lo stanziamento, legato all’applicazione
della legge 244/2007, art. 2, commi 615, 616, 617, è in gran parte destinato al
finanziamento della programmazione lotto, mentre la parte restante è destinata
alle riassegnazioni dei versamenti ai sensi delle disposizioni legislative di
cui all’elenco n. 1 allegato alla Legge finanziaria 2008”.
[280] http://www.beniculturali.it/mibac/opencms/MiBAC/sito-MiBAC/Luogo/MibacUnif/Luoghi-della-Cultura/visualizza_asset.html?id=93955&pagename=57
[281] http://www.sardegnacultura.it/j/v/253?s=22330&v=2&c=2487&c1=2130&visb=&t=1
[282] Dei quali, 56.840 paganti e 52.276 non
paganti.
[283] La nota introduttiva del documento evidenzia
che gli introiti sono riportati al lordo della quote spettanti ai concessionari
del servizio di biglietteria, ove presenti.
[284]http://www.statistica.beniculturali.it/rilevazioni/musei/Anno%202011/MUSEI_TAVOLA7_2011.pdf.
[285] Specificamente, le fondazioni bancarie hanno
contribuito con 2 milioni e 281 mila euro, a fronte di un costo totale di circa
6 milioni di euro:
http://www.beniculturali.it/mibac/export/MiBAC/sito-MiBAC/Contenuti/MibacUnif/Comunicati/visualizza_asset.html_1769245669.html.
[286] http://www.governo.it/GovernoInforma/Dossier/memoriale_garibaldi/index.html.
[287] http://www.governo.it/Notizie/Presidenza/dettaglio.asp?d=69624.
[288] http://www.beniculturali.it/mibac/opencms/MiBAC/sito-MiBAC/Luogo/MibacUnif/Luoghi-della-Cultura/visualizza_asset.html?id=26447&pagename=557.
[289] http://www.060608.it/it/cultura-e-svago/beni-culturali/beni-architettonici-e-storici/ascensori-panoramici-e-terrazza-del-complesso-del-vittoriano.html
[290] http://www.comunicareorganizzando.it/com.asp?com=42.
[291] Disposizioni
urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici.
[292] legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007).
[293] Legge 23 dicembre 2000, n. 388, recante Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2001).
[294] D.P.R. 28 settembre 1994, n. 634, Regolamento per l'ammissione all'utenza del
servizio di informatica del centro di elaborazione dati della Direzione
generale della motorizzazione civile e dei trasporti in concessione.
[295] L’articolo 27 prevede che le autonomie
speciali concorrano al nuovo assetto fiscale delineato dalla legge n.42/2009
secondo criteri da stabilire con norme di attuazione dei rispettivi statuti.
[296] D.L. 2 marzo 2012, n. 16, convertito, con
modificazioni, dalla L. 26 aprile 2012, n. 4.
[297] L’articolo 1, comma 2 del D.Lgs. n. 165/2001
definisce amministrazioni pubbliche tutte le amministrazioni dello Stato, ivi
compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni
educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo,
le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e
associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case
popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro
associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e
locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario
nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche
amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo di riforma
dell’organizzazione del Governo, D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300.
[298] Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività, convertito con modificazioni dalla legge 24 marzo 2012, n. 27.
[299] Attuazione delle direttive 2009/72/CE, 2009/73/CE e 2008/92/CE relative a norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica, del gas naturale e ad una procedura comunitaria sulla trasparenza dei prezzi al consumatore finale industriale di gas e di energia elettrica, nonché abrogazione delle direttive 2003/54/CE e 2003/55/CE.
[300] Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 18 marzo 2002, relativa all'omologazione dei veicoli a motore a due o tre ruote e che abroga la direttiva 92/61/CEE del Consiglio- Pubblicata nella G.U.C.E. 9 maggio 2002, n. L 124 ed entrata in vigore il 9 maggio 2002.
[301] Le tipologie di esercizi che possono essere autorizzati alla vendita non esclusiva sono stabilite dall’art. 2, comma 3, del decreto legislativo.
[302] Sempre con riferimento alla parità di trattamento, già l’art. 16, co. 1, della legge n. 416/1981 aveva stabilito che le imprese di distribuzione devono garantire - a parità di condizioni rispetto ai punti vendita serviti e al numero di copie distribuite - il servizio di distribuzione a tutte le testate che ne facciano richiesta.
[303] http://www.sinaginazionale.it/accordo_nazionale.php#. Si ricorda che tale accordo, siglato il 19 maggio 2005, ha validità, a decorrere dal 1° gennaio 2006, sino al 31 dicembre 2009. Alla scadenza del contratto si intende rinnovato tacitamente di anno in anno ove non sia stato disdettato da una delle parti contraenti (art. 18).
[304]http://xvi.intra.camera.it/824?tipo=A&anno=2012&mese=03&giorno=14&view=&commissione=07#data.20120314.com07.allegati.all00020.
[305] In particolare, lo sconto al consumatore finale, compresi i libri venduti per corrispondenza anche nell’ambito di attività di commercio elettronico, non deve essere superiore al 15% del prezzo fissato.
Lo sconto può arrivare fino al 20% per i libri venduti in occasione di manifestazioni fieristiche e per quelli destinati a particolari categorie di consumatori (ONLUS, scuole, centri di formazione, università, istituzioni o centri scientifici e di ricerca, biblioteche, archivi e musei pubblici).
Alcune categorie di libri sono comunque escluse dall’applicazione di tali previsioni (in particolare, libri per bibliofili, libri d’arte, libri antichi, libri usati, libri posti fuori catalogo).
Altre novità riguardano la disciplina delle campagne promozionali: ad eccezione del mese di dicembre, gli editori possono realizzare campagne promozionali distinte fra loro, non reiterabili nel corso dell’anno solare e di durata non superiore a un mese, con sconti fino al 25% del prezzo fissato.
[306] Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni finanziarie urgenti, convertito con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2009, n. 14.
[307] Le tipologie di macchine agricole soggette o e quelle non soggette all’immatricolazione sono indicate nell’articolo 110, comma 1, del citato D.Lgs. n. 285/1992.
[308] D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, recante “Attuazione dell'articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro”.
[309] Si ricorda che il lavoro intermittente (o a
chiamata), così come definito dall’articolo 33 del D.Lgs. 276/2003, è il
contratto di lavoro (anche a tempo determinato) mediante il quale un lavoratore
si pone a disposizione di un datore di lavoro che ne può utilizzare la
prestazione lavorativa secondo determinate modalità e in determinati limiti
(stabiliti dal successivo articolo 34).
[310] L’articolo 5, comma 4, della legge n. 223 del
1991 prevede che per ciascun lavoratore posto in mobilità l'impresa è tenuta a
versare alla gestione degli interventi assistenziali e di sostegno alle
gestioni previdenziali, in trenta rate mensili, una somma pari a sei volte il
trattamento mensile iniziale di mobilità spettante al lavoratore. Tale somma è
ridotta alla metà quando la dichiarazione di eccedenza del personale abbia
formato oggetto di accordo sindacale.
[311] L’articolo 2, comma 31, della legge n. 92/2012
prevede un contributo di licenziamento, erogabile in tutti i casi di
interruzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato (sono inclusi, ai
sensi del successivo comma 8, anche i rapporti di apprendistato) appunto per
cause diverse dalle dimissioni, intervenuti a decorrere dal 1º gennaio 2013, a
carico del datore di lavoro. Il contributo è pari al 50% del trattamento mensile
iniziale dell’ASPI per ogni dodici mesi di anzianità aziendale negli ultimi tre
anni (sono quindi compresi i periodi di lavoro a termine).
[312] L’articolo 8 della legge n. 223 del 1991
prevede che I lavoratori licenziati da un'azienda per riduzione di personale
hanno la precedenza nella riassunzione presso la medesima azienda entro sei
mesi.
[313] D.L. 13 agosto 2011, n. 138, recante ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo e convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, L. 14 settembre 2011, n. 148.
[314] Attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni.
[315] Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici.
[316] Le pubbliche amministrazioni che rientrano nel campo di applicazione della norma sono quelle indicate all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 165/2001, limitatamente a quelle statali; vi rientrano anche quelle il cui personale non è contrattualizzato ai sensi dell’articolo 3 del medesimo decreto legislativo.
[317] Limite massimo retributivo per emolumenti o retribuzioni nell'ambito di rapporti di lavoro dipendente o autonomo con le pubbliche amministrazioni statali.
[318] Avviata ai sensi dell'articolo 258 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea.
[319] “Misure per il riassetto della normativa in materia di pesca e acquacoltura, a norma dell'articolo 28 della legge 4 giugno 2010, n. 96”, che ha modificato il D.lgs. n. 153/04 in materia di pesca marittima.
[320] I soggetti tenuti all'iscrizione sono: gli imprenditori
individuali (art. 2195 C.C.), le società commerciali (art. 2200 C.C.), i
consorzi con attività esterna (art. 2612 C.C.) e le società consortili (art.
2615-ter C.C.), i gruppi europei di interesse economico di cui al D.Lgs. n.
240/1991, gli enti pubblici che hanno per oggetto esclusivo o principale
un'attività commerciale (art. 2201 C.C.), le società che sono soggette alla
legge italiana ai sensi dell'art. 25 della L. n. 218/1995, le società
cooperative (art. 2519 C.C.), le società estere aventi in Italia una o più sedi
secondarie (art. 2506 C.C.), le aziende speciali degli enti locali di cui al
D.L. 31.01.1995 n. 26 convertito nella legge 29.03.1995 n. 95, gli imprenditori
agricoli (art. 2135 C.C.), i piccoli imprenditori tra cui rientrano anche i
coltivatori diretti (art. 2083 C.C.), le società semplici (art. 2251 C.C.). Nel
Registro sono inoltre annotate anche le imprese artigiane.
[321] D.P.R. 14
dicembre 1999, n. 558 "Regolamento
recante norme per la semplificazione della disciplina in materia di registro
delle imprese, nonché per la semplificazione dei procedimenti relativi alla
denuncia di inizio di attività e per la domanda di iscrizione all'albo delle
imprese artigiane o al registro delle imprese per particolari categorie di
attività soggette alla verifica di determinati requisiti tecnici”, che ha
introdotto semplificazioni procedimentali secondo i principi dell’art. 20, co.
8, della legge Bassanini.
[322] Il regolamento n. 1639 ha dato esecuzione alla legge n. 963/65 di regolazione della pesca marittima, in gran parte abrogata dal D.lgs. n. 153/04 che ad essa si è sostituto. Il registro delle imprese marittime è ora previsto dall’art. 3 del decreto n. 153, ma ad esso continua ad applicarsi il regolamento del 1968 in attesa di revisione.
[323] Legge 5 giugno 2003, n. 131 Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.
[324] Decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo, convertito con modificazioni dalla legge 14 settembre 2011, n. 148.
[325] Le leggi richiamate nell’articolo in esame fanno tutte riferimento all’edilizia agevolata e a quella convenzionata, entrambe facenti parte dell’e.r.p., ossia di quel complesso di attività dirette alla provvista di alloggi per i soggetti a basso reddito. Nello specifico, nell’edilizia agevolata lo Stato interviene in modo indiretto, concedendo agevolazioni a cittadini che non possiedono i requisiti per usufruire dei benefici dell'edilizia sovvenzionata. Numerose sono le disposizioni che, a partire dalla legge n. 865 del 1971, hanno previsto il sostegno pubblico alla realizzazione di attività dei privati diretti alla costruzione di nuove abitazioni e al recupero del patrimonio edilizio esistente. L'intervento pubblico a sostegno di tali programmi consiste principalmente nella concessione di mutui agevolati, assistiti dal contributo statale, di agevolazioni fiscali e/o di contributi in conto capitale. I soggetti realizzatori degli interventi sono: i privati che intendano costruire la propria abitazione; le cooperative a proprietà individuale o a proprietà indivisa; le imprese di costruzione; gli enti pubblici che intendono realizzare alloggi da assegnare in proprietà; i comuni e gli Istituti autonomi per le case popolari per la realizzazione di alloggi da assegnare in locazione. Le tipologie di interventi ammessi a finanziamento sono tradizionalmente la costruzione ed il recupero degli immobili. L’edilizia convenzionata prende l’avvio con l’art. 35 della citata legge n. 865 del 1971 (c.d. "legge sulla casa"), che ha previsto, per la realizzazione di interventi nelle aree comprese nei piani di zona la concessione da parte dei comuni o di loro consorzi del diritto di superficie per la costruzione di alloggi e dei relativi servizi urbani e sociali. La concessione è deliberata unitamente alla convenzione, da stipularsi tra ente concedente e soggetti concessionari. E' prevista altresì la possibilità di cessione delle aree in proprietà. In caso di concessione del diritto di superficie, la convenzione può essere stipulata sia con privati, singoli o riuniti in cooperative, che con gli enti pubblici operanti istituzionalmente nel settore dell'edilizia residenziale pubblica. Nel corso del tempo, al regime di convenzionamento degli interventi di edilizia residenziale, si è andato sempre più associando l'assegnazione di contributi per far fronte ai costi di costruzione e per favorire la più rapida esecuzione degli interventi di recupero e di nuova edificazione. In questi casi, si ritiene più corretto qualificare gli interventi in precedenza indicati come attinenti all'edilizia convenzionata-agevolata.
[326] Il Titolo III della Parte I del D.P.R. n. 380 del 2001, agli artt. 24 e 25, disciplina i casi e le modalità di rilascio del certificato di agibilità. Il soggetto titolare del permesso di costruire o che ha presentato la DIA è tenuto a chiedere al comune il rilascio del certificato di agibilità per i seguenti interventi: a) nuove costruzioni; b) ricostruzioni o sopraelevazioni, totali o parziali; c) interventi sugli edifici esistenti che possano influire sulle condizioni previste dallo stesso certificato. Il certificato di agibilità attesta, infatti, la sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti negli stessi installati. La mancata presentazione della domanda comporta l'applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria. Il certificato viene rilasciato entro 30 giorni dalla ricezione della domanda, previa eventuale ispezione dell'edificio e previa verifica della documentazione indicata dall’art. 25.
[327] www.camera.it/temiap/2011scheda%5B065%5D.pdf.
Sull’ iter dell’opera e
http://www.senato.it/application/xmanager/projects/senato/file/repository/commissioni/stenografici/16/comm08/8a-20121106-IC1774_BOZZA.pdf
[328]www.senato.it/application/xmanager/projects/senato/file/repository/commissioni/stenografici/16/comm08/8a-20121106-IC1774_BOZZA.pdf
[329] Il D.L. 187/2012 è stato pubblicato nella G.U. 2 novembre 2012, n. 256 e, ai sensi dell’art. 3 del medesimo decreto, è entrato in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione.
[330] D.L. 6 luglio 2011, n. 98, recante “Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria” e convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111.
[331] D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, recante “Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici” e convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214.
[332] Corrispondente all’articolo 9, comma 1, del disegno di legge originario, presentato alla Camera (A.C. 5534).
[333] D.L. 6 luglio 2012, n. 95, recante “Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario” e convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135.
[334] D.L. 2 novembre 2012, n. 187, recante “Misure urgenti per la ridefinizione dei rapporti contrattuali con la Società Stretto di Messina S.p.A. ed in materia di trasporto pubblico locale”. Il disegno di legge di conversione del decreto-legge è attualmente all’esame del Senato (A.S. 3556). Si veda anche quanto previsto dall’articolo 1, comma 1-bis, del disegno di legge di conversione del decreto-legge in esame.
[335] Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 284 del 5 dicembre 2012.
[336] Legge 27 dicembre 2006, n. 296, Legge finanziaria 2007.
[337] D.L. 1° ottobre 2007, n. 159, recante “Interventi urgenti in materia economico-finanziaria, per lo sviluppo e l'equità sociale” e convertito, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 2007, n. 222.
[338] D.L. 30 dicembre 2009 n. 194, recante “Proroga di termini previsti da disposizioni legislative” e convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2010, n. 25.
[339] Il citato articolo 1, comma 18, della legge n. 25/2010, infatti, stabiliva che il termine di durata delle concessioni in essere alla data di entrata in vigore del decreto-legge n. 194/2009 e in scadenza entro il 31 dicembre 2015 fosse prorogato fino a tale data, fatte salve le disposizioni di cui all’articolo 03, comma 4-bis, del decreto legge 5 ottobre 1993, n. 400 (convertito con modificazioni dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494), in base al quale “le concessioni di cui al presente articolo possono avere durata superiore a sei anni e comunque non superiore a venti anni in ragione dell'entità e della rilevanza economica delle opere da realizzare e sulla base dei piani di utilizzazione delle aree del demanio marittimo predisposti dalle regioni”.
Infine, ai sensi dell’articolo 01, comma 2, del decreto-legge n. 400/93 “Le concessioni di cui al comma 01, indipendentemente dalla natura o dal tipo degli impianti previsti per lo svolgimento delle attività, hanno durata di sei anni. Alla scadenza si rinnovano automaticamente per altri sei anni, e così successivamente ad ogni scadenza, fatto salvo il secondo comma dell’articolo 42 del codice della navigazione. Le disposizioni del presente comma non si applicano alle concessioni rilasciate nell’ambito delle rispettive circoscrizioni territoriali dalle autorità portuali di cui alla legge 28 gennaio 1994, n. 84”.
[340] Causa C-442/02, sentenza del 5 ottobre 2004, Caixabank.
[341] L'Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione
delle imprese italiane, dotata di personalità giuridica di diritto pubblico, è
sottoposta ai poteri di indirizzo e vigilanza del Ministero dello Sviluppo
economico, che li esercita, per le materie di rispettiva competenza, d’intesa
con il Ministero degli Affari esteri, sentito il Ministero dell’Economia e
delle finanze. Essa fu istituita dal decreto-legge n. 201 del 2011, dopo appena
cinque mesi dal decreto-legge n. 98 del 2011 che aveva disposto la soppressione
dell’Istituto per il commercio con l’estero (ICE) trasferendone funzioni,
risorse umane, strumentali e finanziarie, al Ministero dello Sviluppo economico
ed al Ministero degli Affari esteri per le parti di rispettiva competenza.
[342] Misure urgenti per la crescita del Paese; convertito in legge, con modificazioni, in legge n. 134/2012.
[343] Questo organo è copresieduto dai Ministri
degli affari esteri e dello sviluppo economico (con componenti Ministro
dell'economia e delle finanze, o da persona dallo stesso designata, dal
Presidente della Conferenza delle regioni e dai Presidenti, rispettivamente, di
Unioncamere, della Confederazione generale dell'industria italiana, di Rete
Imprese Italia e della Associazione bancaria italiana) cui si aggiunge, in
qualità di copresidente per le materie di propria competenza, anche il Ministro
con delega al turismo; inoltre tra le amministrazioni componenti rientra anche
il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, mentre è presente
anche il presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome ed
il presidente dell’Alleanza delle Cooperative Italiane (tra i rappresentanti
delle imprese).
[344] Si ricorda che ai sensi dell’articolo 14, comma 18, del DL n.98/2011, le linee guida e di indirizzo strategico in materia di promozione e internazionalizzazione delle imprese, anche per quanto riguarda la programmazione delle risorse, sono state devolute ad una cabina di regia, copresieduta dal Ministro degli affari esteri, dal Ministro dello sviluppo economico e, per le materie di propria competenza, dal Ministro con delega al turismo e composta dal Ministro dell’economia e delle finanze, o da persona dallo stesso designata, dal Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, o da persona dallo stesso designata, dal presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome e dai presidenti, rispettivamente, dell’Unione italiana delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, della Confederazione generale dell’industria italiana, di R.E.TE. Imprese Italia, di Alleanza delle Cooperative italiane e dell’Associazione bancaria italiana.
[345] “Modalità operative e gestionali dei fondi di mutualità e solidarietà per la copertura dei rischi climatici in agricoltura”.
[346] Misure urgenti a sostegno dei settori industriali in crisi, nonché disposizioni in materia di produzione lattiera e rateizzazione del debito nel settore lattiero-caseario.
[347] La cui nozione è introdotta dall'articolo 2602 nei termini seguenti: "Con il contratto di consorzio più imprenditori istituiscono un'organizzazione comune per la disciplina o per lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese".
[348] Misure
urgenti per la crescita del Paese.
[349] Misure
urgenti a sostegno dei settori industriali in crisi, nonché disposizioni in
materia di produzione lattiera e rateizzazione del debito nel settore
lattiero-caseario.
[350] Norme sulla promozione della partecipazione a società ed imprese miste all'estero.
[351] “Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività”.
[352] D.M. 6 luglio 2012, Attuazione dell'art. 24 del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28,
recante incentivazione della produzione di energia elettrica da impianti a
fonti rinnovabili diversi dai fotovoltaici, pubblicato nella Gazz. Uff. 10
luglio 2012, n. 159, S.O, emanato dal Ministero dello sviluppo economico.
[353] D.L. 3 novembre 2008, n. 171, Misure urgenti per il rilancio competitivo
del settore agroalimentare, convertito in legge, con modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, L. 30 dicembre 2008, n. 205.
[354] Si ricorda che il 17 febbraio 2012 è entrata in vigore la Direttiva 2011/92/UE che ha codificato, riunendolo in un unico testo, la legislazione UE vigente in materia di valutazione d'impatto ambientale.
[355] La Commissione rileva profili di non conformità anche in relazione all’articolo 1, par. 2 (nozione di progetto) e all’articolo 6, paragrafo 2 (informazione del pubblico) della direttiva VIA.
[356] La Commissione rileva come la determinazione di assoggettabilità a VIA (art. 4 para. 2 e 3) sia regolata nell’ordinamento italiano dall’articolo 6, commi 6,7,8,9 nonché dell’articolo 20 del D.lgs 152/2006 modificato, in collegamento con gli allegati II, III, IV e V della sua parte seconda.
[357] www.unificata.it/dettaglioDoc.asp?idprov=9532&iddoc=31690&tipodoc=2&CONF.
[358] Ai sensi della richiamata norma del codice civile: È imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse.
Per coltivazione del fondo, per selvicoltura e per allevamento di animali si intendono le attività dirette alla cura e allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine.
Si intendono comunque connesse le attività, esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall'allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l'utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell'azienda normalmente impiegate nell'attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge.
[359] Misure urgenti per la crescita del Paese, convertito in legge 134/2012.
[360] Un successivo decreto del Dicastero agricolo dovrà specificare i criteri ei le modalità di erogazione dei finanziamenti.
[361] Per chiusura si intende l'invio all'Unione Europea, da parte dei soggetti responsabili dell'attuazione degli interventi, della richiesta di saldo finale del contributo comunitario.
[362] Semestre Europeo - Prime disposizioni urgenti per l'economia.
[363] Per gli anni successivi l’esonero è limitato per i primi cinque al 60 per cento, per il sesto e settimo al 40 per cento e per l’ottavo e nono al 20 per cento. L'esonero di cui alla presente lettera spetta, alle medesime condizioni, anche ai titolari di reddito di lavoro autonomo che svolgono l’attività all’interno della zona franca urbana.
[364] A questa definizione il legislatore nazionale si è adeguato con il decreto del Ministro delle attività produttive del 18 aprile 2005.
[365] Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni del 25 giugno 2008 “Una corsia preferenziale per la piccola impresa” Alla ricerca di un nuovo quadro fondamentale per la Piccola Impresa (un “Small Business Act” per l’Europa) [COM(2008) 394 def. - Non pubblicata nella Gazzetta ufficiale].
[366] Convertito con modificazioni dalla legge 4 aprile 2012, n. 35.
[367] Convertito con modificazioni dalla legge 30 luglio 2010, n. 122,
[368] In base all’Allegato III, CAPO Q, nell’ambito della responsabilità dell’operatore, si prevede che l’operatore designi una base di servizio per ogni membro dell’equipaggio.
[369] Regolamento del parlamento europeo e del consiglio del 22 maggio 2012 che modifica il regolamento (CE) n. 883/2004 relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale e il regolamento (CE) n. 987/2009 che stabilisce le modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 883/2004.
[370] Modifica di analogo tenore è stata aggiunta al regolamento (CE) n. 987/2009, che reca le modalità applicative del Regolamento n. 883 del 2004.
[371] Si ricorda che secondo l'articolo 3 citato le disposizioni
tributarie non hanno effetto retroattivo. Relativamente ai tributi periodici le
modifiche introdotte si applicano solo a partire dal periodo d'imposta
successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore delle disposizioni
che le prevedono. In ogni caso, le disposizioni tributarie non possono
prevedere adempimenti a carico dei contribuenti la cui scadenza sia fissata
anteriormente al sessantesimo giorno dalla data della loro entrata in vigore o
dell'adozione dei provvedimenti di attuazione in esse espressamente previsti. I
termini di prescrizione e di decadenza per gli accertamenti di imposta non
possono essere prorogati.
[372] Attuazione
della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti
rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive
2001/77/CE e 2003/30/CE.