Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento bilancio
Altri Autori: Servizio Bilancio dello Stato , Servizio Commissioni
Titolo: Le leggi: D.L. 13 agosto 2011, n. 138 'Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo. Delega al Governo per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari', convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148 Schede di lettura
Riferimenti:
L N. 148 DEL 14-SET-11   AC N. 4612/XVI
Serie: Progetti di legge    Numero: 535    Progressivo: 1
Data: 30/09/2011
Descrittori:
CIRCOSCRIZIONI GIUDIZIARIE   DECRETO LEGGE 2011 0138
L 2011 0148   LEGGE DELEGA
UFFICI GIUDIZIARI     
Organi della Camera: V-Bilancio, Tesoro e programmazione
VI-Finanze

 

Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

 

Progetti di legge

 

 

 

Le leggi

D.L. 13 agosto 2011, n. 138

“Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo
sviluppo. Delega al Governo per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari”,
convertito in legge, con modificazioni,
dalla legge 14 settembre 2011, n. 148

Schede di lettura

 

 

 

 

 

 

n. 535/1

 

 

 

30 settembre 2011

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Area finanza pubblica

( 066760-9496 * st_finanze@camera.it
( 066760-9932 * st_bilancio@camera.it

Ha partecipato alla redazione del dossier il seguente Servizio:

Servizio Bilancio dello Stato

Nota di verifica - dossier n. 337

( 066760-2174 / 066760-9455 – * bs_segreteria@camera.it

§      La nota di sintesi e le schede di lettura sono state redatte dal Servizio Studi.

§      Le parti relative ai profili di carattere finanziario sono state curate dal Servizio Bilancio dello Stato, nonché dalla Segreteria della V Commissione per quanto concerne le coperture.

 

 

I dossier dei servizi e degli uffici della Camera sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.

File: D11138a.doc

 


INDICE

 

Sintesi del contenuto. 3

Schede di lettura

§      Legge di conversione, art. 1, commi 2-5 (Delega per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari) 29

§      Articolo 01 (Revisione integrale della spesa pubblica) 38

§      Articolo 1, commi 01 e 02 (Ulteriori interventi di contenimento della spesa e flessibilità di bilancio) 47

§      Articolo 1, comma 03 (Provvedimenti attuativi della legge n. 15/2009) 52

§      Articolo 1, commi 1 e 2 (Riduzione delle spese dei Ministeri) 54

§      Articolo 1, commi 3-5 (Riduzione degli assetti organizzativi delle amministrazioni pubbliche) 61

§      Articolo 1, comma 6 (Anticipo della riduzione delle agevolazioni fiscali) 67

§      Articolo 1, comma 7 (Riduzione del 30% della retribuzione di risultato dei dirigenti pubblici) 70

§      Articolo 1, commi 8 e 9 (Anticipazione del nuovo patto di stabilità interno) 72

§      Articolo 1, comma 10 (Anticipazione della manovrabilità dell'addizionale regionale IRPEF) 80

§      Articolo 1, comma 11 (Cessazione della sospensione concernente la facoltà di modificare l'addizionale comunale IRPEF) 83

§      Articolo 1, comma 12 (Possibile riduzione dell'onere della manovra posto a carico degli enti territoriali - Disciplina dell'imposta provinciale di trascrizione) 87

§      Articolo 1, commi da 12-bis a 12-quater (Partecipazione dei comuni all’accertamento tributario) 91

§      Articolo 1, comma 13 (Trasporto pubblico locale) 99

§      Articolo 1, comma 14 (Bilancio degli enti sottoposti alla vigilanza dello Stato) 101

§      Articolo 1, comma 15 (Garanzia dello Stato in favore della società prevista per la salvaguardia della stabilità finanziaria dell'euro) 105

§      Articolo 1, comma 16 (Facoltà della pubblica amministrazione di risolvere il rapporto di lavoro) 108

§      Articolo 1, comma 17 (Prosecuzione del rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici oltre i limiti di età per il collocamento a riposo) 110

§      Articolo 1, comma 18 (Flessibilità per il personale della carriera prefettizia o con qualifica dirigenziale) 112

§      Articolo 1, comma 19 (Mobilità nel pubblico impiego) 115

§      Articolo 1, comma 20 (Innalzamento dei requisiti anagrafici per i trattamenti pensionistici delle lavoratrici) 117

§      Articolo 1, comma 21 (Decorrenze dei trattamenti pensionistici per il personale del comparto scuola) 120

§      Articolo 1, commi 22 e 23 (Termini temporali per la corresponsione dei trattamenti di fine servizio dei dipendenti pubblici) 123

§      Articolo 1, comma 23-bis (Deroga blocco turn over personale servizio sanitario regionale) 129

§      Articolo 1, comma 24 (Festività) 131

§      Articolo 1, comma 25 (Incremento del fondo per interventi strutturali di politica economica) 136

§      Articolo 1, commi 26, 26-bis, 26-quater e 27 (Roma capitale) 138

§      Articolo 1, commi 26-ter (Finanziamento del Fondo per esigenze urgenti e indifferibili) 145

§      Articolo 1, comma 28 (Integrazione della commissione ISTAT di cui all'articolo 1, comma 3, del decreto-legge n. 98 del 2011) 147

§      Articolo 1, comma 28-bis (Rete imprese Italia) 149

§      Articolo 1, comma 29 (Trasferimento dei dipendenti pubblici) 151

§      Articolo 1, comma 30 (Aspettativa dei componenti di autorità amministrative indipendenti ed Agenzie) 154

§      Articolo 1, comma 32 (Criteri di calcolo delle pensioni e dei trattamenti di fine servizio dei dipendenti pubblici) 157

§      Articolo 1, comma 33 (Livellamento remunerativo Italia-Europa) 159

§      Articolo 1, comma 33-bis (Mantenimento in bilancio residui di stanziamento) 162

§      Articolo 1-bis (Indennità di amministrazione) 165

§      Articolo 1-ter (Calendario del processo civile) 169

§      Articolo 2, commi 1 e 2 (Contributo di solidarietà) 172

§      Articolo 2, commi da 2-bis a 2-quater (Aumento dell’IVA dal 20 al 21 per cento) 181

§      Articolo 2, comma 3 (Maggiori entrate derivanti dai giochi e dall’accisa sui tabacchi) 185

§      Articolo 2, comma 4 (Adeguamento alle disposizioni comunitarie delle limitazioni all'uso del contante e dei titoli al portatore) 192

§      Articolo 2, comma 4-bis (Esclusione sanzioni) 194

§      Articolo 2, comma 5 (Sanzioni per la violazione dell'obbligo di emettere il documento certificativo dei corrispettivi) 196

§      Articolo 2, commi 5-bis e 5-ter (Recupero somme non versate condono 2002) 199

§      Articolo 2, commi 6-12 (Introduzione di una aliquota unica sulle diverse tipologie di strumenti finanziari) 202

§      Articolo 2, commi 12-bis e 12-ter (Modifiche alla disciplina concernente gli interventi di recupero del patrimonio edilizio di cui all'articolo 1 della legge n. 449 del 1997) 219

§      Articolo 2, commi 13-24 (Aliquota unica sulle diverse tipologie di strumenti finanziari: disposizioni varie e di coordinamento) 221

§      Articolo 2, comma 25 (Abrogazioni) 233

§      Articolo 2, comma 26 (Interessi e proventi soggetti all'imposta sostitutiva di cui al decreto legislativo n. 239 del 1996) 235

§      Articolo 2, comma 27 (Tassazione dei redditi compresi nei capitali corrisposti in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita e di capitalizzazione) 237

§      Articolo 2, commi 28-34 (Disposizioni in materia di minusvalenze e plusvalenze) 238

§      Articolo 2, comma 35 (Disposizioni in materia di studi di settore) 244

§      Articolo 2, comma 35-bis (Modifiche alla disciplina del contributo unificato) 249

§      Articolo 2, comma 35-ter (Modifiche al codice di procedura civile) 256

§      Articolo 2, comma 35-quater (Disposizioni relative al processo tributario) 257

§      Articolo 2, comma 35-quinquies (Modifiche alle disposizioni per l'efficienza del sistema giudiziario) 259

§      Articolo 2, comma 35-sexies (Modifica della disciplina in materia di mediazione) 261

§      Articolo 2, comma 35-septies (Giustizia tributaria) 263

§      Articolo 2, comma 35-octies (Imposta di bollo su trasferimenti di denaro all’estero) 266

§      Articolo 2, comma 36 (Destinazione di maggiori entrate) 269

§      Articolo 2, commi 36-bis - 36-quater (Riduzioni agevolazioni cooperative) 271

§      Articolo 2, commi 36-quinquies-36-duodecies (Società di comodo) 274

§      Articolo 2, commi 36-terdecies-36-duodevicies (Normativa antielusione) 285

§      Articolo 2, comma 36-undevicies (Elaborazione di liste di contribuenti da sottoporre a controllo) 291

§      Articolo 2, comma 36-vicies (Obbligo di certificazione dei corrispettivi per gli stabilimenti balneari) 297

§      Articolo 2, commi 36-vicies semel e 36-vicies bis (Reati in materia di imposte sui redditi e IVA) 299

§      Articolo 2, comma 36-vicies ter (Riduzione delle sanzioni amministrative tributarie per esercenti che utilizzano strumenti di pagamento diversi dal contante) 303

§      Articolo 2, comma 36-vicies quater (IVA soggetti iscritti alle Camere di commercio) 306

§      Articolo 3, commi 1-3 (Libertà di iniziativa e attività economica) 308

§      Articolo 3, comma 4 (Parametri di virtuosità) 311

§      Articolo 3, comma 5 (Professioni) 313

§      Articolo 3, commi 6-11 (Accesso ed esercizio delle attività economiche) 319

§      Articolo 3, comma 11-bis (Esclusione per servizi di taxi e noleggio con conducente) 323

§      Articolo 3, comma 12 (Immobili della difesa) 326

§      Articolo 3, comma 12-bis (Cancellazione di segnalazioni di mancato pagamento) 333

§      Articolo 4 (Adeguamento della disciplina dei servizi pubblici locali al referendum popolare e alla normativa dell’Unione europea) 336

§      Articolo 5, comma 1 (Norme in materia di società municipalizzate) 354

§      Articolo 5, comma 1-bis (Messa in sicurezza delle infrastrutture colpite da calamità in Basilicata) 359

§      Articolo 5, comma 1-ter (Versamenti in tesoreria di risorse per potenziamento infrastrutture) 361

§      Articolo 5-bis (Sviluppo delle regioni dell'Obiettivo convergenza e realizzazione del Piano Sud) 362

§      Articolo 6, comma 1 (Liberalizzazione in materia di inizio attività) 367

§      Articolo 6, commi 2-3 e 3-bis (Disposizioni sul SISTRI) 372

§      Articolo 6, commi 5 e 6 (Effettuazione di pagamenti con modalità informatiche) 377

§      Articolo 6, comma 6-bis (Contenzioso per bonus bebé) 380

§      Articolo 6, comma 6-ter (Permuta beni demanio e patrimonio) 382

§      Articolo 6-bis (Accesso ai sistemi informativi) 384

§      Articolo 6-ter (Fondo di rotazione per la progettualità) 386

§      Articolo 7 (Attuazione della disciplina di riduzione delle tariffe elettriche e misure di perequazione nei settori petrolifero, dell’energia elettrica e del gas) 389

§      Articolo 7-bis (Modifiche all’articolo 83-bis del decreto-legge n. 112 del 2008) 397

§      Articolo 8 (Sostegno alla contrattazione collettiva di prossimità) 399

§      Articolo 9 (Collocamento obbligatorio e regime delle compensazioni) 404

§      Articolo 10 (Fondi interprofessionali per la formazione continua) 408

§      Articolo 11 (Livelli di tutela essenziali per l'attivazione dei tirocini) 410

§      Articolo 12 (Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro) 412

§      Articolo 13 (Trattamento economico dei parlamentari e dei membri degli altri organi costituzionali. Incompatibilità. Riduzione delle spese per i referendum) 414

§      Articolo 14 (Riduzione del numero dei consiglieri e assessori regionali e relative indennità. Misure premiali) 422

§      Articolo 15, comma 5 (Dimezzamento dei consiglieri e assessori provinciali) 430

§      Articolo 16, commi 1-26, 29-30 (Riduzione dei costi relativi alla rappresentanza politica nei comuni e razionalizzazione dell'esercizio delle funzioni comunali) 433

§      Articolo 16, commi 27 e 28 (Liquidazione di società partecipate dai comuni) 449

§      Articolo 16, comma 31 (Patto di stabilità interno per i comuni con più di 1.000 abitanti) 452

§      Articolo 17 (Disposizioni relative al Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro) 454

§      Articolo 18 (Voli in classe economica) 459

§      Articolo 19 (Disposizioni finali) 463

§      Articolo 19-bis (Disposizioni finali concernenti le Regioni a statuto speciale e le Province autonome) 465

 

 


Sintesi del contenuto


 

Legge di conversione

 

 

Articolo 1

 

L’articolo 1, commi da 2 a 5, della legge di conversione delega il Governo a riorganizzare la distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari, attraverso la riduzione degli uffici giudiziari di primo grado (tribunali e giudici di pace) e l’accorpamento degli uffici requirenti.

 

 

Decreto-legge n. 138 del 13 agosto 2011

 

TITOLO I

Disposizioni per la stabilizzazione finanziaria

 

 

Articolo 01
(Revisione integrale della spesa pubblica)

 

L'articolo 01 prevede la presentazione al Parlamento, entro il 30 novembre 2011, di un programma per la riorganizzazione della spesa pubblica, diretto anche ad individuare, attraverso la sistematica comparazione di costi e risultati a livello nazionale ed europeo, eventuali criticità nella produzione ed erogazione dei servizi pubblici, nonché a implementare le possibili strategie di miglioramento dei risultati ottenibili con le risorse stanziate. Viene inoltre previsto, a partire dal 2012, l'avvio di un ciclo di “spending review”, mirata alla definizione dei costi standard dei programmi di spesa delle amministrazioni centrali dello Stato.

 

 

Articolo 1
(Disposizioni per la riduzione della spesa pubblica)

 

I commi 01 e 02 recano disposizioni finalizzate a consentire alle Amministrazioni centrali – in coerenza con il programma di riorganizzazione della spesa pubblica di cui all’articolo 01 – di pervenire ad un progressivo contenimento della spesa corrente primaria in rapporto al PIL - attraverso la riduzione delle spesa di funzionamento, interventi, oneri comuni, relative alle missioni di spesa di ciascun Ministero per gli anni 2012 e 2013 – nonché di conseguire gli obiettivi di risparmio previsti dal presente decreto anche attraverso il riconoscimento di una maggiore flessibilità nella variazione delle dotazioni di bilancio.

 

Ai sensi del comma 03 il Governo è tenuto ad adottare le misure volte a consentire che dall’attuazione della legge n. 15/2009 discendano effettivi risparmi di spesa per ogni anno del triennio.

 

Il comma 1 dell'articolo 1 incrementa di 6 miliardi di euro per l'anno 2012 e di 2,5 miliardi di euro per l'anno 2013 gli importi in termini di indebitamento netto delle riduzioni - indicate nell’Allegato C del decreto-legge n. 98/2011 - che le amministrazioni centrali dello Stato sono tenute ad assicurare a decorrere dall’anno 2012. Un successivo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze individuerà la ripartizione delle ulteriori riduzioni di spesa tra i Ministeri.

 

Il comma 2, novellando l’articolo 10, comma 1, del citato decreto-legge n. 98/2011, stabilisce che le proposte di riduzione che sono avanzate dai Ministri competenti in sede di predisposizione del disegno di legge di stabilità 2012-2014, non possono comunque riguardare le risorse destinate alla programmazione regionale nell'ambito del Fondo delle aree sottoutilizzate.

 

I commi da 3 a 5 prevedono che le amministrazioni pubbliche già interessate da analoghi provvedimenti adottati nel 2008 e nel 2009 debbano effettuare ulteriori riduzioni delle dotazioni organiche. In particolare, le amministrazioni dovranno procedere, entro il 31 marzo 2012, alla contrazione degli uffici dirigenziali di livello generale in misura non inferiore al 10%, nonché all’ulteriore riduzione, non inferiore al 10%, della spesa complessiva relativa al numero di posti di organico del personale non dirigenziale. Alle amministrazioni inadempienti è fatto divieto di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo e con qualsiasi contratto.

 

Il comma 6 modifica i commi 1-ter e 1-quater dell’articolo 40 del decreto-legge n. 98 del 2011 (manovra) anticipando, gli effetti finanziari ivi previsti (non inferiori a 4 miliardi di euro per il 2013 ed a 20 miliardi di euro annui a decorrere dal 2014) rispettivamente, al 30 settembre 2012 e a decorrere dal 2013. E’ quindi introdotta una sorta di clausola di salvaguardia, ai sensi della quale, al fine di garantire i predetti effetti finanziari, in alternativa, anche parziale, alla riduzioni citate, può essere disposta la rimodulazione delle aliquote delle imposte indirette, inclusa l’accisa.

 

Il comma 7 stabilisce che, nel caso in cui si registri uno scostamento rilevante rispetto agli obiettivi indicati dal Documento di economia e finanza (DEF) o non siano rispettati gli obiettivi di risparmio stabiliti dall’articolo 1, comma 12, del decreto-legge n. 98 del 2011 per i Ministeri, l'amministrazione competente disponga, nel rispetto degli equilibri di bilancio pluriennale, su comunicazione del Ministero dell'economia e delle finanze, la riduzione della retribuzione di risultato dei dirigenti responsabili nella misura del 30%.

 

I commi 8 e 9 recano modifiche all'articolo 20 del decreto-legge n. 98 del 2011, che ha ridisegnato la disciplina del patto di stabilità interno per le regioni e gli enti locali. In particolare, il comma 8 ridefinisce e anticipa all’anno 2012 la misura aggiuntiva del concorso finanziario imposto agli enti territoriali per il raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica, introdotta dal comma 5 del citato articolo 20 per gli anni 2013 e successivi.

Viene inoltre anticipata all’anno 2012 l’applicazione del meccanismo dei parametri di virtuosità ai fini della distribuzione tra gli enti territoriali degli obiettivi finanziari del Patto, nell’ambito di ciascun livello di governo, secondo la disciplina definita ai commi 2 e 3 del citato articolo 20 (comma 9).

 

Il comma 10 anticipa all'anno 2012 la possibilità per le regioni di modificare l’aliquota di base dell’addizionale regionale all’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF). Le norme inoltre rimodulano le misure degli incrementi alle aliquote di base che possono essere apportati, nel tempo, dalle regioni.

 

Il comma 11 prevede la cessazione, dal 2012, della sospensione del potere, in capo ai comuni, di deliberare aumenti dell’aliquota dell’addizionale comunale all’IRPEF. E’ altresì abrogato l’articolo 5 del decreto legislativo n. 23 del 2011 in materia di federalismo fiscale municipale. Infine si autorizzano i Comuni a stabilire aliquote differenziate dell’addizionale solo in relazione agli scaglioni di reddito corrispondenti a quelli stabiliti dalla legge statale, al fine di assicurare la razionalità del sistema tributario complessivo e salvaguardarne i criteri di progressività.

 

Il comma 12 (primi due periodi) prevede la possibilità di ridurre le misure previste a carico degli enti territoriali dal nuovo patto di stabilità interno, per effetto delle maggiori entrate recate dalle modifiche alla disciplina dell’addizionale IRES per i soggetti operanti nel settore energetico, di cui all’articolo 7 del presente provvedimento. La norma (periodi successivi al secondo) interviene inoltre sulla disciplina dell’imposta provinciale di trascrizione (IPT) stabilendo, sostanzialmente, l’equiparazione della misura di imposta dovuta per gli atti soggetti e non soggetti a IVA, a decorrere dall'entrata in vigore della legge di conversione del decreto in esame.

 

I commi da 12-bis a 12-quater recano disposizioni volte complessivamente ad incentivare la partecipazione dei comuni all’attività di accertamento tributario. In particolare, il comma 12-bis attribuisce ai comuni, per il triennio 2012-2014, l’intero ammontare del maggior gettito ottenuto a seguito dell'intervento degli stessi nell’attività di accertamento.

 

Il comma 12-ter modifica le norme che regolano l’accertamento delle imposte sui redditi al fine di rafforzare i poteri svolti in tale ambito dai Consigli Tributari. Sono inoltre previste nuove modalità di pubblicazione dei dati relativi alle dichiarazioni sul sito del comune.

 

Il comma 12-quater condiziona l’attribuzione ai comuni di risorse derivanti dal gettito fiscale - disposte dai commi 12 e 12-bis – alla costituzione, entro il 31 dicembre 2011, dei Consigli Tributari.

 

Il comma 13 modifica l’articolo 21, comma 3, del decreto-legge n. 98/2011, istitutivo di un fondo per il finanziamento del trasporto pubblico locale, anche ferroviario, nelle regioni a statuto ordinario, al fine di introdurre una più dettagliata disciplina della ripartizione di detto fondo. Si prevede che tale ripartizione venga effettuata sulla base di criteri premiali individuati da un’apposita struttura paritetica, da istituire senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, con possibilità di attribuire il 50% delle risorse a favore degli enti collocati nella classe degli enti più virtuosi.

 

Il comma 14 apporta modifiche alla recente disciplina sulla liquidazione degli enti dissestati, introdotta dal D.L. n. 98 del 2011, prevedendo: la decadenza degli organi (con esclusione del collegio dei revisori o sindacale) degli enti sottoposti alla vigilanza dello Stato, in caso di mancata deliberazione del bilancio consuntivo nel termine stabilito dalla normativa vigente ovvero di realizzazione di disavanzi di competenza per due esercizi consecutivi; la nomina di un commissario, tra le cui attribuzioni vi è quella di risolvere unilateralmente il rapporto di lavoro anche nei confronti del personale che non abbia raggiunto l'anzianità massima contributiva di quaranta anni.

 

Il comma 15 è diretto ad ampliare le ipotesi di prestazione della garanzia da parte dello Stato in favore della società - prevista dall’articolo 17, comma 1, del decreto-legge n. 78 del 2010 - costituita insieme agli altri Stati membri dell’area euro per la salvaguardia della stabilità finanziaria dell’euro, la European Financial Stability Facility (EFSF).

 

Il comma 16 proroga per il triennio 2012-2014 l’applicazione dell’istituto della risoluzione del rapporto di lavoro nelle pubbliche amministrazioni, introdotto dall’articolo 72, comma 11, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 con il quale si consente a queste ultime di risolvere unilateralmente il rapporto di lavoro con i dipendenti che abbiano compiuto l'anzianità massima contributiva di quaranta anni.

 

Il comma 17 modifica l’articolo 16, comma 1, del D.Lgs. n. 503 del 1992, concernente la possibilità di permanenza in servizio dei dipendenti pubblici, per un periodo massimo di un biennio, oltre i limiti di età per il collocamento a riposo. La disposizione, in particolare, è volta a stabilire che la facoltà di trattenimento in servizio viene esercitata unilateralmente dall’amministrazione, sulla base della semplice disponibilità del dipendente e non più su sua richiesta.

 

Il comma 18 consente alle pubbliche amministrazioni di disporre, in relazione a motivate esigenze organizzative, il passaggio ad altro incarico di personale appartenente alla carriera prefettizia ovvero avente qualifica dirigenziale, prima della data di scadenza dell'incarico ricoperto prevista dalla normativa o dal contratto.

 

Il comma 19 modifica la disciplina della mobilità volontaria nel pubblico impiego, di cui all'articolo 30 del D.Lgs. n. 165 del 2001, prevedendo che, a seguito dell'attivazione delle procedure di mobilità, il trasferimento del personale che ne faccia domanda possa essere disposto anche nel caso in cui la vacanza di organico sia presente in area diversa da quella di inquadramento, assicurando comunque la neutralità finanziaria.

 

Il comma 20 modifica la disciplina sul progressivo elevamento del requisito anagrafico delle lavoratrici del settore privato per la pensione di vecchiaia e per il trattamento pensionistico liquidato esclusivamente con il sistema contributivo, prevedendo che l’innalzamento progressivo inizi dal 2014, (anziché dal 2020), con l’entrata a regime della disciplina il 1° gennaio 2026 (anziché il 1° gennaio 2032).

 

Il comma 21 modifica, a decorrere dal 1° gennaio 2012, la disciplina delle decorrenze iniziali (cd. finestre) dei trattamenti pensionistici (di vecchiaia e anzianità) per il personale del comparto scuola, stabilendo che i trattamenti decorrano dall’inizio dell'anno scolastico e accademico che ricade nell'anno solare successivo rispetto a quello di maturazione dei requisiti.

 

I commi 22 e 23 intervengono sui termini per la corresponsione dei trattamenti di fine servizio (comunque denominati) dei dipendenti pubblici, con effetto dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame (e cioè il 13 agosto 2011) e con riferimento ai soggetti che maturano i requisiti per il pensionamento a decorrere dalla medesima data. In particolare, si introduce un posticipo di 6 mesi per i trattamenti di fine servizio riconosciuti per il raggiungimento dei limiti di età o di servizio (per i quali nella normativa previgente non era previsto alcun posticipo) e si incrementa a 24 mesi (rispetto ai 6 mesi previsti dalla legislazione previgente) il posticipo per i trattamenti di fine servizio a seguito di pensionamento anticipato.

 

Il comma 23-bis consente, nel rispetto di determinate procedure, la deroga al blocco del turn-over del personale del servizio sanitario regionale qualora essa sia necessaria al fine di assicurare il mantenimento dei livelli essenziali di assistenza.

 

Il comma 24 stabilisce che, a decorrere dal 2012, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, sono fissate annualmente le date in cui ricorrono le festività introdotte con legge dello Stato non conseguente ad accordi con la Santa Sede, le celebrazioni nazionali e le festività dei Santi patroni, in modo tale che le stesse cadano il venerdì precedente o il lunedì seguente la prima domenica successiva ovvero coincidano con tale data. Sono state espressamente escluse dalla applicazione della disposizione le festività del 25 aprile, festa della liberazione, del 1° maggio, festa del lavoro, e del 2 giugno, festa nazionale della Repubblica.

 

Il comma 25 incrementa di 2 miliardi di euro per l’anno 2012, la dotazione del Fondo per interventi strutturali di politica economica, di cui all’articolo 10, comma 5, del decreto-legge n. 282 del 2004.

 

Il comma 26, che riguarda la gestione commissariale della situazione debitoria di Roma Capitale, stabilisce che per procedere alla liquidazione dei debiti pregressi del Comune di Roma inseriti nel piano di rientro e riferiti ad obbligazioni assunte alla data del 28 aprile 2008, sia sufficiente una determina dirigenziale, assunta con l'attestazione dell'avvenuta assistenza giuridico-amministrativa del Segretario Generale.

 

Il comma 26-bis introduce la possibilità che le attività finalizzate all'attuazione del piano di rientro dall’indebitamento del Comune di Roma possano essere direttamente affidate, con apposita convenzione, a società totalmente controllate, direttamente o indirettamente, dallo Stato.

 

Il comma 26-ter incrementa la dotazione del Fondo per le esigenze urgenti ed indifferibili di 24 milioni di euro per l'anno 2012 e di 30 milioni di euro per l'anno 2013, a valere sulle risorse del Fondo destinato ad agevolare i piani di rientro dei Comuni per i quali sia stato nominato un commissario straordinario. Le risorse saranno ripartite con decreto del Ministro dell'economia e finanze, in coerenza con apposito atto di indirizzo delle Commissioni parlamentari competenti per i profili di carattere finanziario.

 

Il comma 26-quater vieta che il Commissario straordinario di Governo per la gestione del piano di rientro possa essere il sindaco pro-tempore di Roma Capitale.

 

Il comma 27 precisa che il Commissario straordinario del Governo può procedere alla estinzione dei debiti della gestione commissariale verso Roma Capitale soltanto successivamente alla avvenuta deliberazione del bilancio di previsione per gli anni 2011-2013 nonché subordinatamente a specifico motivato giudizio da parte dell’organo di revisione sull’adeguatezza ed effettiva attuazione delle misure occorrenti per il reperimento delle risorse finalizzate a garantire l’equilibrio economico-finanziario della gestione ordinaria.

 

Il comma 28 dispone l’integrazione della commissione che - ai sensi dell’articolo 1, comma 3, del decreto-legge n. 98 del 2011 - è incaricata della ricognizione e dell’individuazione della media dei trattamenti economici dei titolari di cariche elettive e dei vertici di enti e istituzioni con un esperto designato dal Ministro dell’economia e delle finanze. In tal modo, il numero dei membri della Commissione, la cui partecipazione è gratuita sale da quattro a cinque.

 

Il comma 28-bis prevede la partecipazione di un rappresentante di R.ETE Imprese Italia nella cabina di regia, istituita al fine di fissare le linee guida in materia di promozione e internazionalizzazione delle imprese.

 

Il comma 29, al fine di consentire una più razionale allocazione del personale pubblico, prevede che, qualora sussistano motivate esigenze tecniche, organizzative e produttive, i dipendenti delle pubbliche amministrazioni sono tenuti, su richiesta del datore di lavoro, allo svolgimento della prestazione lavorativa in luogo e sedi diverse, secondo criteri ed ambiti regolati dalla contrattazione collettiva di comparto. Nelle more della disciplina contrattuale è obbligatorio far riferimento ai criteri datoriali, che sono oggetto di informativa preventiva, mentre il trasferimento è consentito nell’ambito del territorio regionale di riferimento.

 

Il comma 30 stabilisce che, ai dipendenti pubblici collocati in aspettativa per aver assunto l'incarico di componenti di autorità amministrative indipendenti ed agenzie, indicate nell'Allegato B al decreto-legge 98/2011, il periodo di aspettativa è computato per intero ai fini della progressione della carriera, dell'attribuzione degli aumenti periodici di stipendio e del trattamento di quiescenza e previdenza, nonché ai fini della valutazione dei titoli.

 

Il comma 31 del testo originario (che prevedeva la soppressione degli enti pubblici non economici inclusi nell'elenco delle PA, con una dotazione organica inferiore a 70 unità) è stato soppresso nel corso dell’esame parlamentare.

 

Il comma 32 modifica i criteri di calcolo delle pensioni e dei trattamenti di fine servizio (comunque denominati) nell'ipotesi in cui il dipendente pubblico sia stato titolare di un incarico dirigenziale per un periodo inferiore al minimo generale di tre anni a causa del conseguimento del limite di età per il collocamento a riposo, prevedendo che in tali casi l'ultimo stipendio (ossia il parametro preso come riferimento per la base pensionabile) sia costituito dall'ultima retribuzione percepita prima del conferimento dell'incarico di durata inferiore a tre anni.

 

Il comma 33 precisa l’ambito di applicazione dell’articolo 1, comma 2, del D.L. n. 98 del 2011 - ai sensi del quale il trattamento economico di titolari di cariche elettive e i vertici di enti e istituzioni non può superare la media, ponderata rispetto al PIL, degli analoghi trattamenti economici percepiti dai titolari di omologhe cariche negli altri sei principali Stati dell'area euro – che riguarda anche i dirigenti di prima fascia e i direttori generali degli enti e i titolari degli uffici equiparati delle amministrazioni centrali dello Stato.

 

Il comma 33-bis, sostituendo i commi secondo e terzo dell’articolo 36 del Regio decreto n. 2440/1923, ripristina la disciplina contabile precedente alle novelle apportate dal decreto legge n. 98/2011 in materia di termini di perenzione delle somme stanziate per spese in conto capitale non impegnate alla chiusura dell’esercizio finanziario (cd. residui di stanziamento), consentendo che essi possano essere mantenuti in bilancio per l’esercizio successivo a quello cui si riferiscono.

 

 

Articolo 1-bis
(Indennità di amministrazione)

 

L'articolo 1-bis reca l'interpretazione autentica della vigente disciplina in materia di trattamento economico del personale del Ministero degli esteri in servizio all'estero, chiarendo che il trattamento economico nel periodo di servizio all'estero non include né l'indennità di amministrazione né l'indennità integrativa speciale. Inoltre ribadisce quanto peraltro già previsto all’art. 170, comma 2 del D.P.R. 18/1967 (Ordinamento dell’Amministrazione degli Affari esteri), ovvero che nessun altra indennità ordinaria e straordinaria può essere concessa, a qualsiasi titolo, al personale suddetto in relazione al servizio prestato all'estero in aggiunta al trattamento previsto dal D.P.R. 18/1967 medesimo.

Articolo 1-ter
(Calendario del processo civile)

 

L’articolo 1-ter novella le disposizioni di attuazione del codice di procedura civile prevedendo che il giudice debba programmare le udienze del processo attraverso un calendario dettagliato la cui violazione potrà essere valutata ai fini disciplinari.

 

 

Articolo 2
(Disposizioni in materia di entrate)

 

Il comma 1 conferma l’applicabilità del cd. “contributo di solidarietà” sugli emolumenti dei dipendenti pubblici previsto dall’articolo 2, comma 9 del decreto-legge n. 78/2010 e sui trattamenti pensionistici dall’articolo 18, comma 22-bis, del D.L. n. 98 del 2011.

 

Il comma 2 introduce un contributo di solidarietà a carico di tutti i contribuenti il cui reddito complessivo ai fini IRPEF sia superiore a 300.000 euro lordi annui, per il periodo 1° gennaio 2011 – 31 dicembre 2013. Il contributo è pari al 3 per cento della quota eccedente tale importo.

 

Il comma 2-bis provvede ad aumentare dal 20 al 21 per cento della base imponibile l’aliquota dell’imposta sul valore aggiunto (IVA) di cui all’articolo 16 del DPR n. 633 del 1972. Il comma 2-ter precisa che tale aumento si applica alle operazioni effettuate a partire dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. Il comma 2-quater esclude l’applicazione dell’aumento alle operazioni effettuate nei confronti dello Stato e di determinati enti ed istituti pubblici, per le quali sia stata emessa e registrata la fattura fino al giorno precedente la suddetta data di entrata in vigore, sebbene al medesimo giorno il corrispettivo non sia stato pagato.

 

Il comma 3 attribuisce all'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato - AAMS un'ampia potestà nell'emanazione di disposizioni in materia di giochi pubblici dirette ad assicurare maggiori entrate; viene altresì attribuito al direttore generale dell’AAMS il potere di proporre al Ministro dell’economia e delle finanze l’aumento dell'aliquota di base dell'accisa sui tabacchi.

 

Il comma 4 riduce da 5.000 a 2.500 euro la soglia massima per l’utilizzo del contante e dei titoli al portatore. Il termine entro il quale i libretti di deposito bancari o postali al portatore con saldo pari o superiore a 2.500 euro devono essere estinti ovvero il loro saldo deve essere ridotto entro tale importo è posticipato dal 30 giugno 2011 al 30 settembre 2011.

 

Il comma 4-bis prevede che le sanzioni previste per le violazioni delle disposizioni in tema di divieto dell’utilizzo del denaro contante e dei titoli al portatore non si applichino per le violazioni commesse tra il 13 agosto 2011 al 31 agosto 2011 e riferite ad un importo oltre la soglia massima modificata dal comma 4 (2.500 euro) ed entro la soglia precedentemente in vigore (5.000 euro).

 

Il comma 5 introduce una sanzione accessoria a carico dei professionisti iscritti ad albi ovvero ordini professionali ai quali siano state contestate reiterate violazioni dell’obbligo di emettere il documento certificativo dei corrispettivi, consistente nella sospensione dell’iscrizione all’albo o all’ordine.

 

I commi 5-bis e 5-ter prevedono la possibilità per l'Agenzia delle entrate e le società del gruppo Equitalia e di Riscossione Sicilia di intervenire coattivamente per il recupero delle somme non riscosse con i condoni e le sanatorie previsti dalla legge finanziaria 2003. In caso di mancato pagamento delle somme dovute e iscritte a ruolo entro il 31 dicembre 2011, è prevista l'applicazione di una sanzione pari al 50 per cento delle predette somme nonché la sottoposizione a controllo, da parte dell'Agenzia delle entrate e della Guardia di finanza, entro il 31 dicembre 2012, della posizione del contribuente relativa a tutti i periodi di imposta successivi a quelli condonati. E’ infine previsto che i termini pendenti per l’accertamento ai fini IVA siano prorogati di un anno.

 

I commi da 6 a 12 introducono, a decorrere dal 1° gennaio 2012, una revisione del sistema impositivo dei redditi di natura finanziaria al fine di unificare le attuali aliquote del 12,50 per cento e del 27 per cento, previste sui redditi di capitale e sui redditi diversi, ad un livello intermedio fissato al 20 per cento. Restano esclusi dall’ambito di applicazione della riforma, tra gli altri, i titoli di Stato ed equiparati, i titoli emessi da altri Stati (cd. white list, vale a dire i paesi che consentono un adeguato scambio di informazioni), i titoli di risparmio per l’economia meridionale, i piani di risparmio a lungo termine e le forme di previdenza complementare.

 

I commi 12-bis e 12-ter recano modifiche alla disciplina concernente gli interventi di recupero del patrimonio edilizio di cui all'articolo 1 della legge n. 449 del 1997, consentendo al venditore di continuare ad usufruire delle quote di detrazione rimanenti.

 

I commi da 13 a 21 e 23 contengono una serie di norme di coordinamento rese necessarie dall'introduzione dell'aliquota unica e dirette, in estrema sintesi, a evitare la permanenza in vita di norme basate sulla coesistenza di aliquote differenziate, nonché ad apportare correzioni formali a riferimenti normativi non più attuali. Il comma 22 è invece diretto a disciplinare il regime fiscale dei proventi degli strumenti finanziari rilevanti in materia di adeguatezza patrimoniale emessi da intermediari vigilati dalla Banca d’Italia o da soggetti vigilati dall’ISVAP e diversi da azioni e titoli similari. Ai sensi del comma 24 tutte le suddette disposizioni esplicano la loro efficacia a decorrere dal 1° gennaio 2012.

 

Il comma 25 reca l'abrogazione - a decorrere dal 1° gennaio 2012 - di due disposizioni in materia di ritenuta che i soci persone fisiche versano alle società cooperative e di proventi derivanti da depositi di denaro, di valori mobiliari e di altri titoli diversi dalle azioni e da titoli similari.

 

Il comma 26 reca disposizioni transitorie ai fini dell’applicazione delle disposizioni di cui al precedente comma 11, per gli interessi e altri proventi soggetti all’imposta sostitutiva.

 

Il comma 27 reca una norma transitoria in materia di tassazione dei redditi da contratti di assicurazione sulla vita e di capitalizzazione sottoscritti fino al 31 dicembre 2011, ai sensi della quale sulla parte di redditi riferita al periodo intercorrente tra la data di sottoscrizione o acquisto della polizza ed il 31 dicembre 2011 si applica l’aliquota del 12,50 per cento.

 

I commi da 28 a 34 recano disposizioni in materia di minusvalenze e plusvalenze derivanti dai redditi diversi, consentendo ai contribuenti l’opzione di affrancamento attraverso il versamento di una imposta sostitutiva del 12,50 sui redditi maturati fino al 31 dicembre 2011.

 

Il comma 35 reca disposizioni in materia di studi di settore. Vengono in particolare resi più restrittivi i presupposti affinché il contribuente congruo alle risultanze degli studi di settore, anche a seguito di adeguamento, non sia sottoposto all’accertamento da parte dell’amministrazione finanziaria nei confronti di soggetti passivi; le norme intervengono poi sulla pubblicazione delle integrazioni agli studi di settore, rese possibili anche per aggiornare o istituire gli indicatori da cui desumere gli indicatori di coerenza.

 

Il comma 35-bis apporta modifiche alla disciplina del contributo unificato di iscrizione a ruolo dei processi amministrativo e tributario, prevista dal testo unico delle spese di giustizia (D.P.R. n. 115/2002, art. 13).

 

Il comma 35-ter, modifica gli articoli 125 e 136 del codice di procedura civile per prevedere l’obbligo del difensore di comunicare l’indirizzo di posta elettronica ed il numero di fax sin dai primi atti di parte e per prevedere l’utilizzo di posta elettronica e fax in tutte le comunicazioni rivolte alle parti.

 

Il comma 35-quater modifica le disposizioni che regolano il processo tributario, a tale scopo novellando gli articoli 18 e 22 del D.Lgs. n. 546 del 1992.

In particolare, le disposizioni in esame:

-    obbligano il soggetto ricorrente a indicare, nel ricorso introduttivo del processo, anche l’indirizzo di posta elettronica certificata, precisando che la mancata o incerta indicazione dell’ indirizzo di posta elettronica non è causa di inammissibilità del ricorso;

-    obbligano il ricorrente a depositare, presso la segreteria della commissione tributaria adita, all'atto della costituzione in giudizio, la nota di iscrizione a ruolo contenente l'indicazione delle parti, del difensore che si costituisce, dell'atto impugnato, della materia del contendere, del valore della controversia e della data di notificazione del ricorso.

 

Il comma 35-quinquies modifica le disposizioni del recente decreto-legge 98/2011 relative ai termini per la redazione - da parte dei capi degli uffici giudiziari - del programma per la gestione dei procedimenti civili, amministrativi e tributari pendenti e relative al concorso per la copertura dei posti vacanti presso le commissioni tributarie.

 

Il comma 35-sexies, interviene sulla c.d. mediaconciliazione per sanzionare la parte che, senza giustificato motivo, si rifiuta di partecipare al tentativo di conciliazione. Il giudice potrà condannarla al pagamento di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio.

 

Il comma 35-septies modifica la disciplina delle incompatibilità con la carica di componente delle commissioni tributarie.

In particolare, la lettera a) specifica che l’incompatibilità del personale dipendente, nonché dei soggetti iscritti in ruoli ed albi che consentono l’assistenza tecnica innanzi alle commissioni tributarie, opera se i predetti soggetti svolgono attività di consulenza, assistenza o di rappresentanza nei confronti di contribuenti e/o di enti impositori o preposti alla riscossione di tributi.

La lettera b) stabilisce che non possono essere componenti di commissioni tributarie i coniugi, i conviventi o i parenti fino al secondo grado - in luogo del terzo grado previsto dal testo vigente -di coloro che, iscritti in albi professionali, esercitano le predette attività di consulenza, assistenza e rappresentanza tributaria.

 

Il comma 35-octies introduce un’imposta di bollo sui trasferimenti di denaro all’estero. L’imposta è dovuta in misura pari al 2 per cento dell’importo trasferito per singola operazione, con un misura minima di prelievo pari a 3 euro. Sono soggetti a imposizione i trasferimenti effettuati mediante: istituti bancari, agenzie di “money transfer” e altri agenti in attività finanziaria. Le disposizioni esentano da imposta i trasferimenti effettuati verso i paesi dell’Unione Europea e quelli effettuati da soggetti muniti di matricola INPS e codice fiscale.

 

Il comma 36 prevede che per un periodo di cinque anni le maggiori entrate derivanti dal decreto-legge siano riservate all’Erario, per essere destinate alle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea. A partire dall'anno 2014, il Documento di economia e finanza dovrà peraltro contenere una valutazione delle maggiori entrate permanenti derivanti all'attività di contrasto all'evasione e tali maggiori entrate, al netto di quelle necessarie al mantenimento del pareggio di bilancio ed alla riduzione del debito, confluiranno in un Fondo per la riduzione strutturale della pressione fiscale, finalizzato alla riduzione degli oneri fiscali e contributivi gravanti sulle famiglie e sulle imprese.

 

I commi da 36-bis a 36-quater recano norme in materia di società cooperative disponendo, in anticipazione della riforma del sistema fiscale, la riduzione dei benefici fiscali a loro vantaggio relativamente alle somme destinate a riserve indivisibili. In particolare nella formazione della base imponibile è previsto un aumento del peso degli utili annuali destinati alla riserva minima obbligatoria.

 

I commi da 36-quinquies a 36-novies dispongono, per le cd. società di comodo, una maggiorazione di 10,5 punti percentuali sull'imposta sul reddito delle società (IRES). I successivi commi da 36-decies a 36-duodecies estendono l’applicazione della maggiorazione alle società che presentano dichiarazioni in perdita fiscale per tre periodi d'imposta consecutivi.

 

I commi da 36-decies a 36-duodecies estendono l’applicazione della maggiorazione alle società che presentano dichiarazioni in perdita fiscale per tre periodi d'imposta consecutivi.

 

I commi da 36-terdecies a 36-duodevicies contemplano una nuova ipotesi di tassazione per l’uso di beni intestati fittiziamente a società: viene considerata reddito diverso ai fini IRPEF la differenza tra il valore di mercato e il corrispettivo annuo per la concessione in godimento di beni dell’impresa a soci o familiari dell’imprenditore. Inoltre è prevista l’indeducibilità dei costi relativi ai beni concessi ai soci o ai familiari per un corrispettivo annuo inferiore al valore di mercato. Le norme, infine, prevedono un potenziamento dell’attività di accertamento effettuata dall’Agenzia delle Entrate.

Il comma 36-undevicies autorizza l’Agenzia delle Entrate a elaborare specifiche liste selettive di contribuenti da sottoporre a controllo, basate sulle informazioni relative ai rapporti e alle operazioni oggetto di comunicazione all’Anagrafe tributaria da parte degli operatori finanziari, sentite le associazioni di categoria degli operatori finanziari in rapporto alle tipologie di informazioni da acquisire.

 

Il comma 36-vicies assoggetta all’obbligo di certificazione dei corrispettivi mediante ricevuta o scontrino fiscale anche per le prestazioni rese, sul litorale demaniale, da parte dei titolari dei relativi provvedimenti amministrativi rilasciati dalle autorità competenti.

 

Il comma 36-vicies semel novella il decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, concernente la disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e IVA con l’intento generale di eliminare disposizioni di favore o abbassare la soglia di imposta evasa a partire dalla quale scatta l'applicazione delle sanzioni penali. Ulteriori disposizioni riguardano i termini di prescrizione dei suddetti reati e i presupposti per l’accesso al beneficio della sospensione condizionale della pena. Il comma 36-vicies bis specifica che tali modifiche si applicano ai fatti successivi all'entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge.

 

Il comma 36-vicies ter prevede la riduzione alla metà delle sanzioni previste per la violazione di alcuni obblighi di dichiarazione e documentazione (in materia di imposte dirette e di IVA) in favore di imprese di medio-piccole dimensioni, e cioè per gli esercenti imprese, arti e professioni con ricavi e compensi dichiarati non superiori a 5 milioni di euro, a condizione che:

-    nelle dichiarazioni in materia di imposte sui redditi e di IVA indichino gli estremi identificativi dei rapporti con operatori finanziari in corso nel periodo d’imposta;

-    per tutte le operazioni attive e passive effettuate nell'esercizio dell'attività utilizzino esclusivamente strumenti di pagamento diversi dal denaro contante.

 

Il comma 36-vicies quater prevede alcuni requisiti per i soggetti passivi d’imposta agli effetti dell’IVA che intendono effettuare l'estrazione dei beni da un deposito IVA.


TITOLO II

Liberalizzazioni, privatizzazioni ed altre misure per favorire lo sviluppo

 

 

Articolo 3
(Abrogazione delle indebite restrizioni all'accesso e all'esercizio delle professioni e delle attività economiche)

 

I commi 1 e 2 recano alcune disposizioni di principio preliminare alle disposizioni sostanziali contenute nei commi successivi. In particolare, il comma 1 impone a comuni, province, regioni e Stato di adeguare i rispettivi ordinamenti al principio secondo cui l’iniziativa e l’attività economica privata sono libere ed è permesso tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge, definendo alcune limitazioni di tale principio.

 

Il comma 3 prevede un meccanismo di abrogazione per le disposizioni statali incompatibili con quanto previsto dal comma 1. Inoltre è prevista l’applicazione degli istituti della SCIA e dell’autocertificazione con controlli successivi. Infine il Governo può emanare dei regolamenti al fine di identificare le norme abrogate e adeguare la materia al principio sancito al comma 1.

 

Il comma 4 considera l’adempimento dell’obbligo di adeguamento dei rispettivi ordinamenti da parte di Comuni, Province e Regioni al principio di libertà dell’iniziativa economica come indice di virtuosità degli enti territoriali, cui è collegato il meccanismo di ripartizione degli obiettivi finanziari del patto fra le singole amministrazioni.

 

Il comma 5 individua alcuni principi ai quali dovrà ispirarsi il legislatore nella riforma degli ordinamenti professionali (libero accesso alla professione, formazione continua, tirocinio, assicurazione, tariffe e pubblicità, procedimento disciplinare).

 

I commi da 6 ad 11 affermano il principio della “libertà d’impresa” sia nell’accesso che nell’esercizio dell’attività economica, salvo eventuali restrizioni dettate per ragioni di pubblico interesse tassativamente menzionate ed interpretate restrittivamente.

 

Il comma 11-bis esclude i servizi di taxi e noleggio con conducente non di linea dall’applicazione delle disposizioni dettate dal comma 8 dello stesso articolo 3, che prevedono l’abrogazione, dopo quattro mesi dall’entrata in vigore del decreto legge, delle norme recanti restrizioni all’accesso e all’esercizio di alcune attività economiche.

Il comma 12 modifica le modalità di ripartizione dei proventi delle procedure di valorizzazione degli immobili della difesa, destinando tali proventi nella misura del 55 per cento (e non più in quella massima del 42,5 per cento) al Fondo di ammortamento dei titoli di Stato, nella misura del 35 per cento (e non più in quella massima del 42,5 per cento) al Ministero della difesa e nella misura del 10 per cento (e non più in una percentuale da determinare tra il 5 e il 15 per cento) agli enti territoriali interessati.

 

Il comma 12-bis reca disposizioni in materia di segnalazioni di ritardato pagamento presenti nelle banche dati (pubbliche e private) di informazione creditizia. In particolare, per il caso in cui il pagamento sia successivamente regolarizzato, le norme sostituiscono l’obbligo di estinguere le segnalazioni di ritardo con quello di integrarle con la comunicazione dell’avvenuto pagamento.

 

 

Articolo 4
(Adeguamento della disciplina dei servizi pubblici locali al referendum popolare
e alla normativa dell’Unione europea)

 

Con l’articolo 4 viene sostanzialmente ridefinita la disciplina dell’affidamento dei servizi locali di rilevanza economica a seguito dell’abrogazione dell’art. 23-bis del decreto legge n. 112/2008 conseguente all’esito del referendum del 12 e 13 giugno 2011, privilegiando la loro liberalizzazione e lasciando uno spazio ridotto all'affidamento diretto "in house", possibile solo per servizi di valore economico pari o inferiori a 900.000 euro annui. La regola generale per i servizi “in esclusiva” è invece, conformemente alle norme comunitarie, l’affidamento tramite gara pubblica anche nel caso di conferimento a società a capitale misto pubblico-privato (con almeno il 40% della società in mano privata). L’articolo detta anche norme transitorie per la cessazione delle gestioni in corso che non rispondono alla nuova disciplina che non si applica al servizio idrico.

 

 

Articolo 5
(Norme in materia di società municipalizzate)

 

Il comma 1 destina una quota del Fondo infrastrutture, nel limite delle disponibilità di bilancio a legislazione vigente e fino ad un massimo di 250 milioni di euro per l’anno 2013 e di 250 milioni di euro per l’anno 2014, ad investimenti infrastrutturali effettuati dagli enti territoriali che procedono, rispettivamente, entro il 31 dicembre 2012 ed entro il 31 dicembre 2013, alla dismissione di partecipazioni in società esercenti servizi pubblici locali di rilevanza economica, diversi dal servizio idrico.

 

Il comma 1-bis autorizza una spesa di 7 milioni per il 2011 per ripristinare e mettere in sicurezza le infrastrutture colpite dagli eventi calamitosi verificatisi dal 18 febbraio al 1° marzo 2011 nei territori della regione Basilicata.

 

Il comma 1-ter prevede il versamento in Tesoreria, a richiesta dell'ente interessato, delle disponibilità derivati da specifiche autorizzazioni legislative di spesa relative al potenziamento di infrastrutture contenute nello stato di previsione del Ministero dell'interno.

 

 

Articolo 5-bis
(Sviluppo delle regioni dell'Obiettivo convergenza e
realizzazione del Piano Sud
)

 

L’articolo 5-bis reca una deroga in favore delle regioni ricomprese nell’Obiettivo convergenza ai limiti di spesa introdotti dalla disciplina del patto di stabilità interno per le regioni a statuto ordinario stabiliti dalla legge di stabilità 2011 relativamente alla spesa effettuata da ciascuna regione a valere sulle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione sociale, sui cofinanziamenti nazionali dei fondi comunitari, nonché sulle risorse del Fondo infrastrutture, prevedendo, ai fini del rispetto dei saldi di finanza pubblica, che i maggiori oneri derivanti dalla deroga ai tetti di spesa siano attribuiti in compensazione allo Stato ed alle restanti regioni.

 

 

Articolo 6
(Liberalizzazione in materia di segnalazione certificata di inizio attività,
denuncia e dichiarazione di inizio attività. Ulteriori semplificazioni)

 

Il comma 1 reca alcune modifiche all’art. 19 della legge n. 241/1990 relativo alla SCIA, alla denuncia ed alla dichiarazione di inizio attività. Le modifiche prevedono, tra l'altro, la possibilità da parte dei soggetti interessati di sollecitare l'esercizio delle verifiche spettanti all'amministrazione e, in caso di inerzia, di esperire l'azione avverso il silenzio come disciplinata dal D.Lgs. n. 104/2010 (riordino del processo amministrativo).

 

I commi 2, 3 e 3-bis introducono norme volte ad agevolare la progressiva entrata in operatività del SISTRI (Sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti).

 

Il comma 4 del testo originario (che prevedeva l’ampliamento della liberalizzazione degli orari di apertura degli esercizi commerciali e di somministrazione di alimenti e bevande) è stato soppresso nel corso dell’esame parlamentare.

 

I commi 5 e 6 apportano modifiche al Codice dell'amministrazione digitale (D.Lgs. n. 82/2005), volte a facilitare l’effettuazione di pagamenti dovute alle pubbliche amministrazioni con modalità informatiche.

 

Il comma 6-bis prevede che non si applichino sanzioni penali e amministrative nei confronti dei soggetti che, avendo beneficiato del bonus bebè in assenza dei requisiti reddituali previsti, restituiscano le somme indebitamente percepite entro 90 giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione del decreto in esame. I procedimenti penali ed amministrativi avviati sono sospesi sino alla scadenza di tale termine e si intendono estinti a seguito dell’avvenuta restituzione dell’ammontare corrispondente all’erogazione, pari a un valore di 1.000 euro.

 

Il comma 6-ter attribuisce all'Agenzia del demanio il compito di procedere ad operazioni di permuta di beni del demanio e del patrimonio dello Stato, non più utilizzati e disponibili, con immobili adeguati all'uso governativo, al fine di rilasciare immobili di terzi condotti in locazione passiva dalle pubbliche amministrazioni.

 

 

Articolo 6-bis
(Accesso ai sistemi informativi)

 

L’articolo 6-bis prevede la possibilità di accesso ai sistemi informativi di cui sono titolari soggetti privati, utilizzati a fini di concessione di crediti al consumo o comunque riguardanti l'affidabilità e la puntualità nei pagamenti da parte degli interessati, anche da parte dei soggetti che partecipano al “sistema di prevenzione delle frodi nel settore del credito al consumo e dei pagamenti dilazionati o differiti”.

 

 

Articolo 6-ter
(Fondo di rotazione per la progettualità)

 

L’articolo 6-ter destina le risorse disponibili sul Fondo di rotazione per la progettualità prioritariamente alla progettazione delle opere già inserite nei piani triennali degli enti locali - approvati alla data di entrata della legge di conversione del presente decreto - e ricadenti su terreni demaniali o già di proprietà dell'ente locale interessato.

 

 

Articolo 7
(Attuazione della disciplina di riduzione delle tariffe elettriche e misure di perequazione nei settori petrolifero, dell'energia elettrica e del gas)

 

L’articolo 7 aumenta l’addizionale Ires (portandola dal 6,5% al 10,5%) per le imprese operanti nel settore petrolifero e in quello dell’energia elettrica (c.d. Robin Hood Tax) estendendo la platea delle imprese soggette all’imposta e includendovi quelle operanti nel campo delle energie rinnovabili e delle infrastrutture energetiche. In particolare le nuove disposizioni:

a)   diminuiscono da 25 a 10 milioni di euro la soglia del volume di ricavi oltre la quale si applica la maggiorazione d’imposta nei casi di reddito imponibile superiore a 1 milione di euro;

b)   ampliano il novero delle attività energetiche cui si applica la citata maggiorazione includendovi anche le attività di trasmissione e dispacciamento dell’energia elettrica, trasporto del gas e le attività di distribuzione sia del gas che dell’energia elettrica;

c)   eliminano l’esenzione dall’applicazione dell’addizionale Ires precedentemente previste per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili (biomasse, solare-fotovoltaica, eolica);

d)   incrementano dal 6,5% al 10,5% l’addizionale Ires, da applicarsi nei tre esercizi finanziari successivi a quello in corso al 31 dicembre 2010;

e)   confermano il divieto di traslazione dell’onere sui prezzi/tariffe al consumo la cui vigilanza è posta in capo all’Autorità dell’energia elettrica e del gas.

 

 

Articolo 7-bis
(Modifiche all’articolo 83-bis del decreto-legge n. 112 del 2008)

 

L’articolo 7-bis interviene in materia di autotrasporto, prevedendo che i costi minimi di esercizio relativi ai contratti stipulati in forma scritta, individuati sulla base di accordi di settore fra organizzazioni di vettori rappresentati nella Consulta generale per l'autotrasporto e per la logistica e organizzazioni associative dei committenti, debbano essere previamente sottoposti al parere della Consulta stessa e pubblicati con decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti; inoltre anche in caso di mancata determinazione dei costi minimi da parte dell’Osservatorio sulle attività di autotrasporto, e di conseguente applicazione delle norme sui contratti non stipulati in forma scritta, resta ferma la possibilità di derogare a tali norme sulla base dei predetti accordi di settore.

 

TITOLO III

Misure a sostegno dell’occupazione

 

 

Articolo 8
(Sostegno alla contrattazione collettiva di prossimità)

 

L’articolo 8 reca disposizioni volte al sostegno della contrattazione collettiva di prossimità. In particolare il comma 1 dispone che i contratti collettivi di lavoro aziendali o territoriali, sottoscritti dalle associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale, ovvero dalle rappresentanze sindacali operanti in azienda in base alla legge e agli accordi confederali vigenti (compreso quello del 28 giugno 2011), possano realizzare specifiche intese, con efficacia nei confronti di tutti i lavoratori interessati, a condizione di essere sottoscritte sulla base di un criterio maggioritario di rappresentanza sindacale, finalizzate alla maggiore occupazione, alla qualità dei contratti di lavoro, all’adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, alla emersione del lavoro irregolare, agli incrementi di competitività e di salario, alla gestione delle crisi aziendali e occupazionali, agli investimenti e all’avvio di nuove attività.

 

Il comma 2 elenca le materie inerenti l’organizzazione del lavoro e della produzione che possono essere oggetto delle intese.

 

Il comma 2-bis è volto a specificare che nelle materie di cui al comma 2 le intese possono prevedere deroghe alle norme di fonte pubblica o contrattuale, fermo restando il rispetto della Costituzione e dei vincoli derivanti dalle normative comunitarie e dalle convenzioni internazionali sul lavoro.

 

Il comma 3 stabilisce che tutti i contratti collettivi aziendali vigenti, approvati e sottoscritti prima dell'accordo interconfederale del 28 giugno 2011, siano efficaci nei confronti di tutto il personale delle unità produttive cui il contratto si riferisce, a condizione che il contratto medesimo sia stato approvato con votazione a maggioranza dei lavoratori.

 

Infine, il comma 3-bis prevede che le imprese ferroviarie e le associazioni internazionali di imprese ferroviarie, che espletino sull'infrastruttura ferroviaria nazionale servizi di trasporto di merci o di persone, sono tenuti a rispettare i contratti collettivi nazionali di settore, anche con riferimento alle condizioni di lavoro del personale.

 

 

Articolo 9
(Collocamento obbligatorio e regime delle compensazioni)

 

L'articolo 9 semplifica le procedure in base alle quali i datori di lavoro possono modulare tra le diverse unità produttive ed amministrative le quote obbligatorie di assunzione di categorie protette, prevedendo, in particolare, la semplice comunicazione in via telematica ai servizi provinciali competenti (in luogo dell’autorizzazione su richiesta motivata) e la compensazione anche tra diverse imprese, a condizione che esse abbiano sede in Italia e facciano parte di uno stesso gruppo d'impresa.

 

 

Articolo 10
(Fondi interprofessionali per la formazione continua)

 

L'articolo 10 interviene sulla disciplina sui fondi paritetici interprofessionali nazionali per la formazione continua, prevedendo che possano impiegare parte delle proprie risorse per misure di formazione in favore di apprendisti e di collaboratori a progetto.

 

 

Articolo 11
(Livelli di tutela essenziali per l'attivazione dei tirocini)

 

L'articolo 11 reca alcune norme generali in materia di tirocini formativi e di orientamento, prevedendo, in particolare, che possano essere promossi unicamente da soggetti in possesso degli specifici requisiti determinati dalle regioni e che i tirocini "non curriculari", ad esclusivo beneficio di neodiplomati e neo-laureati, debbano essere attivati entro dodici mesi dal conseguimento del relativo titolo di studio e non possano avere una durata superiore a sei mesi.

 

 

Articolo 12
(Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro)

 

L’articolo 12 inserisce due nuovi articoli nel codice penale attraverso i quali introduce la nuova fattispecie di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro (art. 603-bis c.p.) e individua particolari pene accessorie per i responsabili del delitto (art. 603-ter c.p.).

 

 

 

TITOLO IV

Riduzione dei costi degli apparati istituzionali

 

 

Articolo 13
(Trattamento economico dei parlamentari e dei membri degli altri organi costituzionali. Incompatibilità. Riduzione delle spese per i referendum)

 

L'articolo 13 interviene in materia di riduzione dei costi delle istituzioni prevedendo: la riduzione delle indennità parlamentari (commi 1 e 2); l’incompatibilità della carica di parlamentare e di membro del Governo con cariche pubbliche elettive monocratiche in enti pubblici territoriali (comma 3); l’obbligo di svolgimento dei referendum in una unica data annuale (comma 4).

 

 

Articolo 14
(Riduzione del numero dei consiglieri e assessori regionali
e relative indennità. Misure premiali)

 

L'articolo 14 reca una serie di parametri cui le regioni – ordinarie e speciali - devono adeguare la propria normativa, al fine di accedere alle misure premiali previste dalla disciplina del patto di stabilità per gli enti più virtuosi, in termini di non applicazione o applicazione parziale dei vincoli di spesa.

Le ulteriori misure (rispetto la normativa vigente) riguardano gli organi regionali e sono: la riduzione del numero dei consiglieri e degli assessori regionali; l'adeguamento degli emolumenti percepiti dagli stessi – comunque denominati - entro il limite dell’indennità massima spettante ai membri del Parlamento; la commisurazione del trattamento economico all'effettiva partecipazione alle sedute del consiglio, il passaggio al sistema previdenziale contributivo per i consiglieri regionali; l'istituzione del Collegio dei revisori dei conti quale organo di vigilanza del Consiglio regionale.

 

 

Articolo 15
(Soppressione di Province e dimezzamento dei consiglieri e assessori)

 

L'articolo 15 dispone il dimezzamento del numero dei consiglieri e degli assessori provinciali, a decorrere dal primo rinnovo degli organi di governo delle Province.

 

Articolo 16
(Riduzione dei costi relativi alla rappresentanza politica nei comuni e razionalizzazione dell’esercizio delle funzioni comunali)

 

L’articolo 16, ai commi da 1 a 26 e 29-30, prevede, per la riduzione dei costi relativi alla rappresentanza politica nei comuni e la razionalizzazione dell'esercizio delle funzioni comunali, l’obbligatorio esercizio in forma associata delle funzioni amministrative e dei servizi spettanti a legislazione vigente dei comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti, attraverso lo strumento dell’unione dei comuni previsto dall’art. 32 del D.Lgs. n. 267/2000 (TUEL). Per i comuni con popolazione superiore a tale soglia il ricorso alla forma associata è facoltativo. Pertanto, per comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti, gli organi di governo sono solo il sindaco e il consiglio comunale, composto di sei consiglieri. Per i comuni con popolazione superiore a tale limite, è definito, secondo un sistema di soglie differenti, sia il numero dei consiglieri comunali che degli assessori.

 

Il comma 27 modifica il comma 32 dell’articolo 14 del D.L. n. 78/2010, concernente il divieto per i comuni con popolazione inferiore a 30.000 abitanti di costituire società, anticipando di un anno, al 31 dicembre 2012, il termine entro il quale i comuni citati devono mettere in liquidazione le società da essi partecipate già costituite ovvero cederne le partecipazioni.

 

Il comma 28 affida al Prefetto il potere di accertare che i comuni abbiano adempiuto, entro i termini stabiliti, all’obbligo di soppressione dei consorzi di funzioni tra gli enti locali nonché al divieto di costituzione di società, disposto per i soli comuni con popolazione inferiore a 30.000 abitanti.

 

Il comma 31 estende l’ambito soggettivo di applicazione del patto di stabilità interno, prevedendo che, a decorrere dall'anno 2013, la disciplina vigente in materia si applichi nei riguardi di tutti i comuni con popolazione superiore a 1.000 abitanti.

 

 

Articolo 17
(Disposizioni relative al Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro)

 

L'articolo 17 apporta alcune modifiche alla disciplina del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro (CNEL), tra le quali la riduzione del numero dei componenti da 122 a 72.

 

 

Articolo 18
(Voli in classe economica)

 

L'articolo 18 stabilisce che determinate categorie di soggetti cui sono attribuite funzioni pubbliche che per esigenze di servizio utilizzano il mezzo di trasporto aereo per gli spostamenti nei Paesi del Consiglio d’Europa, debbano viaggiare in classe economica.

 

 

Articolo 19
(Disposizioni finali)

 

L’articolo 19 reca la norma di copertura finanziaria.

 

 

Articolo 19-bis
(Disposizioni finali concernenti le Regioni a statuto speciale
e le Province autonome)

 

L'articolo 19-bis introduce la clausola di compatibilità con l’ordinamento delle regioni a statuto speciale e delle province autonome, nonché il riferimento alle modalità di attuazione del federalismo fiscale.


Schede di lettura


Legge di conversione, art. 1, commi 2-5
(Delega per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio
degli uffici giudiziari)

 


2. Il Governo, anche ai fini del perseguimento delle finalità di cui all'articolo 9 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, è delegato ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi per riorganizzare la distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari al fine di realizzare risparmi di spesa e incremento di efficienza, con l'osservanza dei seguenti princìpi e criteri direttivi:

a) ridurre gli uffici giudiziari di primo grado, ferma la necessità di garantire la permanenza del tribunale ordinario nei circondari di comuni capoluogo di provincia alla data del 30 giugno 2011;

b) ridefinire, anche mediante attribuzione di porzioni di territori a circondari limitrofi, l'assetto territoriale degli uffici giudiziari secondo criteri oggettivi e omogenei che tengano conto dell'estensione del territorio, del numero degli abitanti, dei carichi di lavoro e dell'indice delle sopravvenienze, della specificità territoriale del bacino di utenza, anche con riguardo alla situazione infrastrutturale, e del tasso d'impatto della criminalità organizzata, nonché della necessità di razionalizzare il servizio giustizia nelle grandi aree metropolitane;

c) ridefinire l'assetto territoriale degli uffici requirenti non distrettuali, tenuto conto, ferma la permanenza di quelli aventi sedi presso il tribunale ordinario nei circondari di comuni capoluogo di provincia alla data del 30 giugno 2011, della possibilità di accorpare più uffici di procura anche indipendentemente dall'eventuale accorpamento dei rispettivi tribunali, prevedendo, in tali casi, che l'ufficio di procura accorpante possa svolgere le funzioni requirenti in più tribunali e che l'accorpamento sia finalizzato a esigenze di funzionalità ed efficienza che consentano una migliore organizzazione dei mezzi e delle risorse umane, anche per raggiungere economia di specializzazione ed una più agevole trattazione dei procedimenti;

d) procedere alla soppressione ovvero alla riduzione delle sezioni distaccate di tribunale, anche mediante accorpamento ai tribunali limitrofi, nel rispetto dei criteri di cui alla lettera b);

e) assumere come prioritaria linea di intervento, nell'attuazione di quanto previsto dalle lettere a), b), c) e d), il riequilibrio delle attuali competenze territoriali, demografiche e funzionali tra uffici limitrofi della stessa area provinciale caratterizzati da rilevante differenza di dimensioni;

f) garantire che, all'esito degli interventi di riorganizzazione, ciascun distretto di corte d'appello, incluse le sue sezioni distaccate, comprenda non meno di tre degli attuali tribunali con relative procure della Repubblica;

g) prevedere che i magistrati e il personale amministrativo entrino di diritto a far parte dell'organico, rispettivamente, dei tribunali e delle procure della Repubblica presso il tribunale cui sono trasferite le funzioni di sedi di tribunale, di sezioni distaccate e di procura presso cui prestavano servizio, anche in sovrannumero riassorbibile con le successive vacanze;

h) prevedere che l'assegnazione dei magistrati e del personale prevista dalla lettera g) non costituisca assegnazione ad altro ufficio giudiziario o destinazione ad altra sede, né costituisca trasferimento ad altri effetti;

i) prevedere con successivi decreti del Ministro della giustizia le conseguenti modificazioni delle piante organiche del personale di magistratura e amministrativo;

l) prevedere la riduzione degli uffici del giudice di pace dislocati in sede diversa da quella circondariale, da operare tenendo in specifico conto, in coerenza con i criteri di cui alla lettera b), dell'analisi dei costi rispetto ai carichi di lavoro;

m) prevedere che il personale amministrativo in servizio presso gli uffici soppressi del giudice di pace venga riassegnato in misura non inferiore al 50 per cento presso la sede di tribunale o di procura limitrofa e la restante parte presso l'ufficio del giudice di pace presso cui sono trasferite le funzioni delle sedi soppresse;

n) prevedere la pubblicazione nel bollettino ufficiale e nel sito internet del Ministero della giustizia degli elenchi degli uffici del giudice di pace da sopprimere o accorpare;

o) prevedere che, entro sessanta giorni dalla pubblicazione di cui alla lettera n), gli enti locali interessati, anche consorziati tra loro, possano richiedere e ottenere il mantenimento degli uffici del giudice di pace con competenza sui rispettivi territori, anche tramite eventuale accorpamento, facendosi integralmente carico delle spese di funzionamento e di erogazione del servizio giustizia nelle relative sedi, ivi incluso il fabbisogno di personale amministrativo che sarà messo a disposizione dagli enti medesimi, restando a carico dell'amministrazione giudiziaria unicamente la determinazione dell'organico del personale di magistratura onoraria di tali sedi entro i limiti della dotazione nazionale complessiva nonché la formazione del personale amministrativo;

p) prevedere che, entro dodici mesi dalla scadenza del termine di cui alla lettera o), su istanza degli enti locali interessati, anche consorziati tra loro, il Ministro della giustizia abbia facoltà di mantenere o istituire con decreto ministeriale uffici del giudice di pace, nel rispetto delle condizioni di cui alla lettera o);

q) dall'attuazione delle disposizioni di cui al presente comma non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

3. La riforma realizza il necessario coordinamento con le altre disposizioni vigenti.

4. Gli schemi dei decreti legislativi previsti dal comma 2 sono adottati su proposta del Ministro della giustizia e successivamente trasmessi al Consiglio superiore della magistratura e al Parlamento ai fini dell'espressione dei pareri da parte del Consiglio e delle Commissioni competenti per materia. I pareri, non vincolanti, sono resi entro il termine di trenta giorni dalla data di trasmissione, decorso il quale i decreti sono emanati anche in mancanza dei pareri stessi. Qualora detto termine venga a scadere nei trenta giorni antecedenti allo spirare del termine previsto dal comma 2, o successivamente, la scadenza di quest'ultimo è prorogata di sessanta giorni.

5. Il Governo, con la procedura indicata nel comma 4, entro due anni dalla data di entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi emanati nell'esercizio della delega di cui al comma 2 e nel rispetto dei principi e criteri direttivi fissati, può adottare disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi medesimi.


 

 

Il maxiemendamento del Governo ha sostituito l’articolo 1 del disegno di legge di conversione del D.L. n. 138/2011. In particolare, la sostituzione comporta l’inserimento nella legge di conversione di una delega al Governo per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari (commi da 2 a 5 dell’art. 1).

 

Analiticamente, il comma 2 delega il Governo a emanare, entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione, uno o più decreti legislativi per «riorganizzare la distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari al fine di realizzare risparmi di spesa e incremento dì efficienza», con l'osservanza dei principi e criteri direttivi indicati nelle lettere da a) a q) del medesimo comma.

 

In particolare, nell'esercizio della delega il Governo dovrà, ai sensi della lettera a), ridurre gli uffici giudiziari di primo grado mantenendo comunque sedi di tribunale nei circondari di comuni capoluogo di provincia alla data del 30 giugno 2011.

Il principio di delega fa dunque salvi i tribunali ordinari attualmente esistenti nei comuni capoluogo di provincia, e elimina ogni collegamento tra la revisione delle circoscrizioni giudiziarie ed il processo di riduzione del numero delle province avviato dall’articolo 15 del decreto-legge in esame (v. infra).

 

La lettera b) invita il Governo a ridefinire la geografia giudiziaria, ovvero l’assetto territoriale degli uffici giudiziari, eventualmente anche trasferendo territori dall’attuale circondario a circondari limitrofi, anche al fine di razionalizzare il servizio giustizia nelle grandi aree metropolitane. Nel compiere questa attività il Governo dovrà tener conto di «criteri oggettivi e omogenei» che comprendano i seguenti parametri:

§      estensione del territorio;

§      numero degli abitanti;

§      carichi di lavoro;

§      indice delle sopravvenienze;

§      specificità territoriale del bacino di utenza, anche con riguardo alla situazione infrastrutturale;

§      presenza di criminalità organizzata.

 

Il legislatore delegato provvederà inoltre, in base alla lettera c) a ridefinire l'assetto territoriale degli uffici requirenti. Tale operazione dovrà rispettare i seguenti principi:

       la ridefinizione dell’assetto territoriale non dovrà riguardare le procure distrettuali, ovvero le procure della repubblica presso i tribunali dei capoluoghi dei distretti di corte d'appello;

       la ridefinizione non dovrà comportare la soppressione delle procure presso il tribunale ordinario nei circondari di comuni capoluogo di provincia alla data del 30 giugno 2011;

       possibilità di accorpare più uffici di procura indipendentemente dall'eventuale accorpamento dei rispettivi tribunali. In tali casi, l’ufficio di procura accorpante dovrà poter svolgere le funzioni requirenti in più tribunali. Tale riorganizzazione dovrà consentire una migliore organizzazione delle risorse e dei mezzi, e una più agevole trattazione dei procedimenti.

 

Si segnala che mentre la lettera b) prevede che la ridefinizione dell’assetto territoriale degli uffici giudiziari avvenga in base a parametri oggettivi (abitanti, carichi di lavoro, ecc..), la lettera c) finalizza la riorganizzazione delle procure ad una razionalizzazione di mezzi e risorse, ma non la ancora a criteri specifici (quale, ad esempio, il dato sui delitti denunciati).

Inoltre, il testo della lettera c) fa riferimento alle sole funzioni requirenti (es. quando prevede esplicitamente che l’ufficio di procura accorpante debba svolgere funzioni requirenti anche nel tribunale che ha “perso” la propria procura a seguito di accorpamento) e, ove richiama la più agevole trattazione dei procedimenti, sembra riferirsi ad un ufficio di procura esclusivamente concentrato sulla fase successiva all’esercizio dell’azione penale, senza alcun riferimento esplicito alle funzioni di indagine, inquirenti, dell’ufficio del pubblico ministero.

 

In base alla lettera d), nell’esercizio della delega il Governo potrà procedere alla soppressione ovvero alla riduzione delle attuali 220 sezioni distaccate di tribunale, anche mediante accorpamento ai tribunali limitrofi, tenendo conto dei criteri delineati dalla lettera b).

 

La successiva lettera e) individua quindi come principio e criterio direttivo di carattere generale quello di assumere come prioritaria linea di intervento, nell'attuazione di quanto previsto dalle precedenti lettere a), b), c) e d), il riequilibrio delle attuali competenze territoriali, demografiche e funzionali tra uffici limitrofi della stessa area provinciale caratterizzati da rilevante differenza di dimensioni, mentre la lettera f) impone di garantire che, all'esito degli interventi di riorganizzazione, ciascun distretto di corte d'appello, incluse le sue sezioni distaccate, comprenda non meno di 3 degli attuali tribunali con relative procure della Repubblica.

 

Le successive lettere g), h) ed i) disciplinano la destinazione del personale di magistratura e amministrativo in servizio presso uffici giudiziari di primo grado soggetti alla riorganizzazione territoriale.

In particolare, la lettera g) stabilisce che i magistrati e il personale amministrativo dei tribunali e delle procure soppresse transitino automaticamente negli organici degli uffici cui sono trasferite le funzioni, anche in eventuale sovrannumero riassorbibile con le successive vacanze.

Si osserva che la previsione della lettera g) è di agevole applicazione nell'ipotesi di soppressione di un ufficio giudiziario di primo grado e di integrale trasferimento delle relative funzioni ad un altro ufficio giudiziario. Più problematica, ad una prima lettura, appare invece l'applicazione della disposizione nelle ipotesi in cui si provveda ad esempio, ai sensi della lettera b), solo ad una diversa ripartizione dell'ambito territoriale di circondari limitrofi. In tali casi non è chiaro se non debba verificarsi nessun mutamento nelle assegnazioni del personale di magistratura e di quello amministrativo, ovvero se tale mutamento possa aver luogo in misura parziale. Analogo problema interpretativo parrebbe porsi nel caso in cui la soppressione di un ufficio giudiziario di primo grado determinasse non l'integrale spostamento delle relative competenze a favore di un unico ufficio giudiziario, ma una ripartizione di tali competenze fra diversi uffici giudiziari. In tale diversa ipotesi si potrebbe pensare che l'esito più naturale sia quello della ripartizione del personale fra tutti gli uffici giudiziari che ne ereditano le competenze, ma la delega nulla dice in proposito non fornendo alcun criterio sulla base del quale effettuare tale ripartizione nell'ipotesi da ultimo indicata.

Sotto un distinto profilo, per quanto riguarda le problematiche concernenti il personale di magistratura, si evidenzia che la norma di delega non contiene previsioni specifiche sui magistrati che esercitano funzioni direttive e semidirettive negli uffici giudiziari che verranno soppressi, così come non sono rinvenibili disposizioni specifiche per il personale amministrativo investito di funzioni dirigenziali nei predetti uffici giudiziari.

 

La lettera h) afferma che la suddetta assegnazione dei magistrati e del personale ai nuovi organici non dovrà essere interpretata come assegnazione ad altro ufficio giudiziario o destinazione ad altra sede, né dovrà costituire trasferimento ad altri effetti.

Infine la lettera i) dispone che, con successivi decreti del ministro della giustizia, saranno disposte le conseguenti modificazioni delle piante organiche.

 

Le lettere da l) a p) dettano principi e criteri direttivi per la riorganizzazione territoriale degli uffici del giudice di pace.

In particolare, la lettera l) invita il Governo a prevedere la riduzione degli uffici del giudice di pace dislocati in sede diversa da quella circondariale (per circondario giudiziario si intende l'ambito territoriale di competenza di un tribunale e dunque la sede circondariale è il comune ove ha sede il tribunale). Nell’operare tale riduzione il Governo dovrà tener conto dei criteri delineati dalla lettera b) ed operare un’analisi dei costì rispetto ai carichi di lavoro.

Il personale amministrativo in servizio presso l’ufficio del giudice di pace soppresso dovrà, in base alla lettera m), essere così rassegnato:

§      almeno il 50% dovrà essere assegnato alla sede di tribunale o di procura limitrofa;

§      la restante parte dovrà essere riassegnata all'ufficio del giudice di pace presso cui sono trasferite le funzioni delle sedi soppresse.

 

Le successive lettere prevedono un particolare procedimento per la soppressione degli uffici del giudice di pace:

1)   sul bollettino ufficiale e sul sito internet del Ministero della giustizia dovranno essere pubblicati di elenchi degli uffici che il Governo intende sopprimere e accorpare (lettera n));

2)   entro 60 giorni da tale pubblicazione, gli enti locali interessati, anche consorziati tra loro, potranno richiedere e ottenere il mantenimento degli uffici del giudice di pace con competenza sui rispettivi territori, anche tramite eventuale accorpamento, facendosi integralmente carico delle spese di funzionamento e di erogazione del servizio giustizia (in concreto l’ente locale dovrà garantire le strutture, provvedere all’indennità del giudice di pace, individuare il personale amministrativo e retribuirlo). Il ministero continuerà ad occuparsi esclusivamente del reclutamento dei giudici di pace e della formazione del personale amministrativo (lettera o)). Trascorsi i suddetti 60 giorni, in assenza di richieste specifiche da parte degli enti locali, le sedi del giudice di pace saranno soppresse;

3)   nei successivi 12 mesi gli enti locali, anche consorziati tra loro, potranno decidere di sostenere gli oneri del servizio e dunque chiedere al ministro della giustizia l’istituzione di nuovi uffici del giudice di pace (lettera p)).

 

La lettera q) stabilisce infine che dall'attuazione delle disposizioni di cui al comma 2 non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

 

Il comma 3 prevede quindi che la riforma realizzi il necessario coordinamento con le altre disposizioni vigenti.

Si osserva che la norma di delega non detta disposizioni specifiche su l’emanazione di una disciplina transitoria. Tale disciplina, trattandosi di revisione di circoscrizioni giudiziarie, con conseguente soppressione di uffici, è rilevante per stabilire la sorte dei procedimenti già instaurati e delle indagini in corso.

 

In proposito si rammenta il precedente di cui al comma 2 dell'articolo 1 della legge n. 254 del 1997, recante delega al Governo per l'istituzione del giudice unico di primo grado, che prevedeva espressamente l'adozione di una specifica disciplina transitoria volta ad assicurare la rapida trattazione dei procedimenti pendenti, civili e penali, fissando le fasi oltre le quali i procedimenti non passano ad altro ufficio secondo le nuove regole di competenza e stabilendo le relative condizioni. La previsione di delega da ultimo ricordata è all'origine delle previsioni del decreto legislativo n. 51 del 1998, che prevedevano che l'ufficio del pretore fosse mantenuto per la definizione dei procedimenti pendenti alla data di efficacia del citato decreto. L'assenza di un'analoga previsione di delega nel testo in esame sembrerebbe escludere la possibilità di un'analoga soluzione - o comunque di altre soluzioni ad hoc - per cui l'assegnazione dei procedimenti pendenti dovrebbe essere decisa secondo gli ordinari criteri interpretativi sulla base del nuovo assetto della competenza territoriale.

 

Il comma 4 delinea il procedimento per l’esercizio della delega e prevede che gli schemi dei decreti legislativi siano adottati su proposta del Ministro della giustizia e successivamente trasmessi al Consiglio Superiore della Magistratura e al Parlamento ai fini dell'espressione dei pareri. I pareri delle commissioni parlamentari competenti dovranno essere espressi entro 30 giorni dalla data di trasmissione; in assenza il Governo potrà procedere comunque. Qualora detto termine venga a scadere nei trenta giorni antecedenti allo spirare del termine per l'esercizio della delega previsto dal comma 2, o successivamente, la scadenza di quest'ultimo è prorogata di 60 giorni.

 

Il comma 5 stabilisce infine che il Governo, con la procedura indicata nel comma precedente, possa - entro 2 anni dalla data di entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi emanati nell'esercizio della delega - adottare disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi medesimi, nel rispetto dei principi e criteri direttivi già fissati.

Profili finanziari

 

Il prospetto riepilogativo non ascrive alle norme effetti sui saldi di finanza pubblica.

 

La relazione tecnica, riferita al maxiemendamento approvato dal Senato, afferma che le norme prevedono la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari al fine di realizzare risparmi di spesa e per introdurre nel sistema elementi di efficienza, anche attraverso la riallocazione ottimale del personale, amministrativo e di magistratura, per sopperire a carenze strutturali dell'organico. Le norme mirano, inoltre, a realizzare virtuose economie di scala, grazie alla specializzazione delle funzioni ed alla concentrazione delle sedi.

La norma, secondo la relazione tecnica, prevede:

§       la riduzione e l'accorpamento degli uffici giudiziari di primo grado, individuati in misura pari al 19,4% del totale degli uffici giudicanti e del 24,8% di quelli requirenti;

§       la riduzione e l'accorpamento ai tribunali limitrofi del 50% delle sezioni distaccate di tribunale;

§       la riduzione del 71,9% degli uffici del giudice di pace dislocati in sedi diverse da quelle circondariali.

     La riduzione degli uffici comporta, secondo quanto affermato dalla relazione tecnica, complessivi risparmi di spesa valutabili a consuntivo in circa 60 milioni di euro con riferimento alle sole spese di gestione e di funzionamento delle strutture, con esclusione dei costi incomprimibili del personale dell'amministrazione giudiziaria, per il quale è prevista la riallocazione in uffici di maggiore dimensione.

In particolare, i risparmi complessivi derivano:

§       dai minori contributi ai comuni per le spese di funzionamento degli uffici giudiziari, risparmi stimati sulla base del 90% dei rimborsi erogati annualmente;

§       dalla riduzione delle altre spese di funzionamento sostenute dall' amministrazione, in misura pari all'10% delle spese totali sostenute per l'apparato giudiziario;

§       dalla riduzione delle spese del personale proveniente dagli enti locali e comandato presso gli uffici del giudice di pace.

La relazione tecnica evidenzia che, per gli accorpamenti dei soli uffici di procura, il risparmio sul contributo dovuto ai comuni è stimabile in misura pari al 10% del contributo stesso.

La relazione tecnica chiarisce infine che, per motivi prudenziali, i risparmi non vengono considerati nel prospetto riepilogativo degli effetti finanziari in quanto verificabili solo a consuntivo.

La relazione tecnica riferita al testo definitivo ha riproposto i medesimi dati ed elementi contenuti nella precedente RT.

Si ricorda che una nota tecnica della Ragioneria generale dello Stato, trasmessa nel corso dell’esame in prima lettura presso il Senato[1], afferma che l’ampia portata del processo di riorganizzazione previsto dalle norme avrebbe dovuto essere valutato alla luce di appositi elementi, volti a delineare l’impatto organizzativo sugli uffici e sul personale del Ministero, nonché a certificare l’assenza di nuovi oneri. La nota ha evidenziato la necessità di inserire, tra i principi e criteri direttivi per l’esercizio della delega, una clausola di invarianza ed ha proposto, altresì, la riformulazione del comma 1. In sede di esame in Commissione della proposta emendativa del Governo, il relatore ha presentato i subemendamenti X1.0.1000/12 e X1.0.1000/13, con cui sono state accolte le indicazioni contenute nella nota tecnica della Ragioneria.

 

 

In merito ai profili di quantificazione è stato rilevato che le norme in esame appaiono idonee a conseguire, a regime, risparmi di spesa. Considerata, tuttavia, l’entità degli interventi di riorganizzazione degli uffici che si prevede di realizzare, appare ipotizzabile che, in sede di prima applicazione e nel breve periodo, possano determinarsi maggiori oneri per spese di funzionamento. Su tali aspetti è stata segnalata l’opportunità di acquisire la valutazione del Governo.

In sostanza l’avvio del processo di riorganizzazione potrebbe comportare un aggravio delle spese di funzionamento negli uffici di destinazione, mentre contestualmente potrebbero non venire immediatamente meno le spese sostenute per le sedi oggetto di soppressione. A titolo esemplificativo si rileva, infatti, che:

§       alcune spese delle sedi soppresse continuerebbero a essere comunque sostenute (locazioni e contratti di fornitura a carattere pluriennale);

§       occorrerebbe provvedere al trasferimento fisico del materiale di lavoro da alcune sedi ad altre;

§       gli uffici delle sedi il cui organico si amplia potrebbero non disporre dei locali e di parte delle attrezzature necessari al personale trasferito.

 


 

Articolo 01
(Revisione integrale della spesa pubblica)

 


1. Dato l'obiettivo di razionalizzazione della spesa e di superamento del criterio della spesa storica, il Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con i Ministri interessati, presenta al Parlamento entro il 30 novembre 2011 un programma per la riorganizzazione della spesa pubblica. Il programma prevede in particolare, in coerenza con la legge 4 marzo 2009, n. 15, le linee-guida per l'integrazione operativa delle agenzie fiscali, la razionalizzazione di tutte le strutture periferiche dell'amministrazione dello Stato e la loro tendenziale concentrazione in un ufficio unitario a livello provinciale, il coordinamento delle attività delle forze dell'ordine, ai sensi della legge 1° aprile 1981, n. 121, l'accorpamento degli enti della previdenza pubblica, la razionalizzazione dell'organizzazione giudiziaria civile, penale, amministrativa, militare e tributaria a rete, la riorganizzazione della rete consolare e diplomatica. Il programma, comunque, individua, anche attraverso la sistematica comparazione di costi e risultati a livello nazionale ed europeo, eventuali criticità nella produzione ed erogazione dei servizi pubblici, anche al fine di evitare possibili duplicazioni di strutture ed implementare le possibili strategie di miglioramento dei risultati ottenibili con le risorse stanziate.

2. Nell'ambito della risoluzione parlamentare approvativa del Documento di economia e finanza 2012 o della relativa Nota di aggiornamento, sono indicati i disegni di legge collegati alla manovra finanziaria per il triennio 2013-2015, mediante i quali il Governo viene delegato ad attuare le riorganizzazioni di cui al comma 1.

3. Entro venti giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, il Ministro dell'economia e delle finanze provvede a definire le modalità della predisposizione del programma di cui al comma 1 e della relativa attuazione.

4. Ai fini dell'esercizio delle attività di cui al comma 1, nonché per garantire l'uso efficiente delle risorse, il Ministero dell'economia e delle finanze - Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, a partire dall'anno 2012, d'intesa con i Ministeri interessati, dà inizio ad un ciclo di «spending review» mirata alla definizione dei costi standard dei programmi di spesa delle amministrazioni centrali dello Stato. In particolare, per le amministrazioni periferiche dello Stato sono proposte specifiche metodologie per quantificare i relativi costi, anche ai fini della allocazione delle risorse nell'ambito della loro complessiva dotazione.


 

 

L'articolo 01 prevede la predisposizione di un programma per la riorganizzazione della spesa pubblica diretto anche individuare, attraverso la sistematica comparazione di costi e risultati a livello nazionale ed europeo, eventuali criticità nella produzione ed erogazione dei servizi pubblici, nonché l'avvio di un ciclo di “spending review”, mirato alla definizione dei costi standard dei programmi di spesa delle amministrazioni centrali dello Stato.

 

Più in dettaglio, il comma 1 dell'articolo in esame attribuisce al Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con i Ministeri interessati, il compito di presentare al Parlamento entro il 30 novembre 2011 un programma per la riorganizzazione della spesa pubblica.

Detto programma, dato l'obiettivo di razionalizzazione della spesa e di superamento del criterio della spesa storica, deve prevedere in particolare, in coerenza con la legge 4 marzo 2009, n. 15[2]:

§      le linee-guida per l'integrazione operativa delle agenzie fiscali;

§      la razionalizzazione di tutte le strutture periferiche dell'amministrazione dello Stato e la loro tendenziale concentrazione in un ufficio unitario a livello provinciale;

§      il coordinamento delle attività delle forze dell'ordine, ai sensi della legge 1 aprile 1981, n. 121[3];

§      l'accorpamento degli enti della previdenza pubblica;

§      la razionalizzazione dell'organizzazione giudiziaria civile, penale, amministrativa, militare e tributaria a rete;

§      la riorganizzazione della rete consolare e diplomatica.

 

Con il programma devono comunque essere individuate eventuali criticità nella produzione e nell'erogazione dei servizi pubblici, anche al fine di:

§      evitare possibili duplicazioni di strutture;

§      implementare strategie di miglioramento dei risultati ottenibili a parità di stanziamenti.

 

Il comma 2 stabilisce che con la risoluzione parlamentare approvativa del Documento di economia e finanza 2012 (o della relativa Nota di aggiornamento), siano indicati i disegni di legge collegati alla manovra finanziaria per il triennio 2013-2015, con cui il Governo viene delegato ad attuare le riorganizzazioni elencate dal comma precedente[4].

 

Le modalità per la predisposizione del programma di riorganizzazione della spesa di cui al comma 1 e per la sua attuazione sono definiti dal Ministro dell'economia e delle finanze entro venti giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge in esame (comma 3).

 

Il comma 4, infine, prevede, l'avvio, a partire dall'anno 2012, da parte del Ministero dell'economia e delle finanze - Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, d’intesa con i Ministeri interessati, di un ciclo di “spending review” mirata alla definizione dei costi standard dei programmi di spesa delle amministrazioni centrali dello Stato.

Per quanto concerne invece le amministrazioni periferiche dello Stato sono proposte specifiche metodologie di quantificazione dei costi, anche ai fini della allocazione delle risorse nell'ambito della loro dotazione complessiva.

 

Si segnala l’esigenza di un coordinamento delle norme in esame con quelle, di tenore analogo, che sono state recentemente introdotte dall'articolo 9 del decreto legge n. 98 del 2011[5], che ha già disposto, a decorrere dall’anno 2012, l'avvio di un ciclo di analisi e valutazione della spesa diretto alla definizione dei fabbisogni standard dei programmi di spesa delle amministrazioni centrali dello Stato.

 

Ai sensi del citato articolo 9 del D.L. 98/11, la realizzazione della spending review è affidata al Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato del Ministero dell’economia e delle finanze, sulla base di un atto di indirizzo del Ministro dell’economia e delle finanze e d’intesa con i Ministeri interessati. L'analisi condotta è finalizzata, anche in questo caso, ad individuare:

§       eventuali criticità nella produzione ed erogazione dei servizi pubblici;

§       possibili duplicazioni di strutture;

§       possibili strategie di miglioramento dei risultati ottenibili con le risorse disponibili.

Per le amministrazioni periferiche dello Stato, si prevede la proposizione di specifiche metodologie per quantificarne i fabbisogni standard.

Per la realizzazione dell’attività di spending review mirata alla definizione dei fabbisogni standard dei programmi di spesa delle amministrazioni centrali dello Stato, vengono previsti una serie di adempimenti. In particolare, il Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato del Ministero dell’economia e delle finanze richiede alle amministrazioni centrali i dati e le informazioni che ritiene necessari, che le amministrazioni medesime sono tenute a trasmettere per via telematica, entro un termine stabilito. Le amministrazioni sono, altresì, tenute a facilitare l’accesso ad altri dati di interesse provenienti dal SISTAN[6] (comma 2).

Al fine di dare effettività alla disposizione, è prevista la riduzione del 2 per cento della retribuzione di risultato dei dirigenti responsabili, qualora l’amministrazione competente ometta di trasmettere i dati senza motivata giustificazione entro il termine previsto nella richiesta, su comunicazione del Ministero dell’economia e finanze (comma 3).

A partire dal 2013, i risultati dell’attività di analisi e valutazione della spesa effettuata dalla Ragioneria generale dello Stato sono comunicati dal Ministero dell’economia e finanze alle competenti Amministrazioni centrali dello Stato (comma 4). Sulla base dei suddetti risultati, le Amministrazioni centrali dello Stato propongono, a loro volta, nell’ambito di accordi triennali con il Ministero dell’economia e delle finanze, in coerenza con gli obiettivi indicati nel Documento di economia e finanza (DEF), le misure necessarie a realizzare il superamento della spesa storica e la graduale convergenza verso gli obiettivi di fabbisogno identificati dalla norma in esame.

Le norme proposte dalle amministrazioni centrali dovranno essere inserite nella legge di stabilità oppure dovranno formare oggetto di apposito disegno di legge collegato alla manovra di finanza pubblica (comma 5). Il monitoraggio dell’attuazione e dei risultati attesi dalle misure intraprese è affidato ai Nuclei di analisi e valutazione della spesa, previsti dall’articolo 39 della legge di contabilità n. 196 del 2009, che provvedono, altresì, a segnalare eventuali scostamenti al Ministro dell’economia e delle finanze e al Ministro competente (comma 6). Nel Rapporto sulla spesa delle amministrazioni centrali dello Stato di cui all'articolo 41 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, dovranno infine essere illustrati gli esiti delle attività in oggetto.

 

Si rammenta, inoltre, che una specifica e sistematica attività di analisi e valutazione della spesa è stata recentemente prevista anche ai sensi del decreto legislativo 30 giugno 2011, n. 123, di attuazione della delega di cui all’articolo 49 della legge n. 196/2009, il quale ha dettato norme per la riforma dei controlli di regolarità amministrativa e contabile e il potenziamento e la graduale estensione a tutte le amministrazioni pubbliche dell'attività di analisi e valutazione della spesa. Anche in tal caso possono pertanto riscontrarsi esigenze di coordinamento normativo delle disposizioni che regolano le attività di analisi e revisione della spesa.

 

Il citato decreto legislativo n. 123/2011 pone in risalto la funzione strategica dell’attività di analisi e valutazione della spesa, qualificata come l'attività sistematica di analisi della programmazione e della gestione delle risorse finanziarie e dei risultati conseguiti dai programmi di spesa, finalizzata al miglioramento del grado di efficienza ed efficacia della spesa pubblica anche in relazione al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica.

Essa viene attuata mediante l'elaborazione e l'affinamento di metodologie per la definizione dei fabbisogni di spesa, per la verifica e il monitoraggio dell'efficacia delle misure volte al miglioramento della capacità di controllo della stessa, in termini di quantità e di qualità, nonché la formulazione di proposte dirette a migliorare il rapporto costo-efficacia dell'azione amministrativa. Tali attività sono realizzate avvalendosi anche di metodologie provenienti dall'analisi economica e statistica.

L'analisi e la valutazione della spesa delle amministrazioni centrali dello Stato si svolge nell'ambito dei nuclei di analisi e valutazione, ciascun dei quali è costituito da rappresentanti del Ministero interessato e del Ministero dell'economia e delle finanze - Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, che ne cura il coordinamento. Ai nuclei partecipa anche un rappresentante della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della funzione pubblica.

Il Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato - Ispettorato generale del bilancio - supporta il programma di lavoro dei nuclei di analisi e valutazione della spesa delle amministrazioni centrali e propone strumenti e misure per rafforzare il monitoraggio della spesa e la valutazione delle politiche pubbliche, anche tramite il rapporto triennale sulla valutazione e analisi della spesa delle amministrazioni centrali dello Stato di cui all'articolo 41 della legge del 31 dicembre 2009, n. 196. Le amministrazioni pubbliche diverse da quelle centrali dello Stato svolgono attività di analisi della spesa, di monitoraggio e valutazione degli interventi, nell'ambito della propria autonomia, al fine di ottimizzare l'utilizzo delle risorse e di promuovere una maggiore efficienza ed efficacia della spesa pubblica.

Le attività di analisi e valutazione della spesa

Si ricorda, in via generale, che l’esigenza di un’analisi puntuale dei meccanismi che incidono sull’andamento della spesa pubblica e l’individuazione d’interventi mirati al contenimento e alla sua progressiva riqualificazione, sono divenuti, negli ultimi anni, temi fondamentali della politica finanziaria e di bilancio, resi ancor più stringenti alla luce del percorso di consolidamento dei conti pubblici necessario ai fini del rispetto degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea.

E’ in questa prospettiva che si colloca l’avvio, sin dalla XV legislatura, di un programma straordinario di analisi e valutazione della spesa, comunemente denominato, sulla base di analoghe esperienze internazionali, “spending review”. Tale programma si configura come uno strumento di programmazione economico-finanziaria, volto a fornire una metodologia sistematica per migliorare sia il processo di decisione delle priorità e di allocazione delle risorse, sia la performance delle amministrazioni pubbliche in termini di economicità, qualità ed efficienza dei servizi offerti ai cittadini.

Tra gli obiettivi sottesi ad un programma di analisi e revisione della spesa vi è quello di superare un approccio "incrementale" nelle decisioni di bilancio, in base al quale si tende a concentrarsi sulle nuove iniziative di spesa ovvero sulle risorse (aggiuntive) da destinare ai programmi di spesa già in atto, piuttosto che sulle analisi di efficienza, efficacia e congruità con gli obiettivi della spesa in essere. Attraverso tale metodo s’intende, pertanto, realizzare in via tendenziale il passaggio da un criterio contabilistico di spesa storica al principio, sperimentato in altri ordinamenti, del cosiddetto bilancio a base zero (zero base budgeting). A tale finalità si aggiunge quella di implementare nella Pubblica Amministrazione le attività di misurazione dei risultati raggiunti dall’azione amministrativa e di verifica dell’efficienza dell’organizzazione amministrativa, anche mediante l’individuazione, in relazione agli obiettivi di ciascun programma di spesa, di indicatori verificabili ex post.

Avviato in via sperimentale in base alle disposizioni della legge finanziaria 2007 (legge n. 296 del 2006), il programma di analisi e valutazione della spesa - volto a riesaminare in modo sistematico l’insieme dei programmi di spesa, valutandone efficacia, efficienza ed economicità di gestione - è divenuto permanente con la legge finanziaria per il 2008 (legge n. 244 del 2007), che ne ha previsto la prosecuzione e l’aggiornamento con riferimento alle missioni e ai programmi in cui si articola il bilancio dello Stato, affidandone la realizzazione alla Ragioneria generale dello Stato, con il coordinamento del Servizio studi dipartimentale ivi incardinato.

Il rafforzamento dei meccanismi di controllo quantitativo e qualitativo della spesa pubblica costituisce uno degli elementi centrali nell'impianto legislativo complessivo definito dalla nuova legge di contabilità e finanza pubblica (legge n. 196/2009), la quale ha previsto l’istituzionalizzazione del processo di analisi e valutazione della spesa delle amministrazioni centrali - avviato, come detto, in forma sperimentale a partire dal 2007 - attraverso la costituzione di appositi Nuclei di analisi e valutazione della spesa (articolo 39), disponendo, altresì, la graduale estensione del programma alle altre amministrazioni pubbliche (articolo 49).

In particolare, l’articolo 39 della legge di contabilità dispone l’avvio di una collaborazione del Ministero dell’economia e delle finanze con le amministrazioni centrali dello Stato, per il tramite dei Nuclei di analisi e valutazione della spesa, finalizzata alla verifica dei risultati programmatici rispetto agli obiettivi relativi all’indebitamento netto, al saldo di cassa e al debito delle amministrazioni pubbliche, nonché alla pressione fiscale complessiva. La collaborazione, come già detto, ha lo scopo di garantire il supporto per il monitoraggio dell’efficacia delle misure disposte, sia per il conseguimento dei suddetti obiettivi sia per incrementare il livello di efficienza delle amministrazioni medesime.

La collaborazione tra Ministero dell’economia ed amministrazioni centrali consiste in particolare nel supporto metodologico che il Ministero fornisce ad esse per la definizione delle previsioni di spesa e dei fabbisogni associati ai programmi, con riferimento alla formulazione del bilancio di previsione, nonché per l’individuazione degli indicatori di risultato associati ai predetti obiettivi.

L’attività di collaborazione tra Ministero dell’economia e le amministrazioni centrali nell’ambito degli appositi nuclei di analisi e valutazione della spesa è diretta, in particolare, a svolgere verifiche: sull’articolazione dei programmi che compongono le missioni; sulla coerenza delle norme autorizzatorie rispetto al contenuto dei medesimi programmi e sulla rimodulabilità delle risorse iscritte in bilancio, secondo i previsti meccanismi di flessibilità.

Le attività svolte dai predetti nuclei devono altresì essere funzionali: alla formulazione delle proposte di rimodulazione delle risorse finanziarie tra i diversi programmi di spesa e alla predisposizione del rapporto allegato al rendiconto generale del bilancio dello Stato sui risultati e la realizzazione degli obiettivi indicati nel bilancio di previsione. Per le suesposte attività, il Ministero dell'economia e delle finanze istituisce e condivide con le amministrazioni centrali dello Stato, nell'ambito della banca dati unitaria delle pubbliche amministrazioni prevista dall'articolo 13 della legge di contabilità, una apposita sezione che raccoglie tutte le informazioni che le amministrazioni sono tenute a fornire.

E stata, inoltre, prevista (articolo 41, legge n. 196) la presentazione, ogni tre anni, di uno specifico Rapporto sulla spesa delle amministrazioni dello Stato, volto ad illustrare la composizione e l’evoluzione della spesa, i risultati conseguiti con le misure adottate ai fini del suo controllo e quelli relativi al miglioramento del livello di efficienza delle medesime amministrazioni.

I fabbisogni standard

Per quanto concerne, il concetto di “fabbisogni standard dei programmi di spesa delle amministrazioni centrali”, che dovrebbero essere definiti con la spending review disciplinata dall’articolo in esame, si ricorda che, secondo la definizione contenuta nella legge n. 42 del 2009 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale), il fabbisogno standard “valorizzando l’efficienza e l’efficacia, costituisce l’indicatore rispetto al quale comparare e valutare l’azione pubblica”. Sulla base di tale espressa indicazione legislativa, il fabbisogno standard appare dunque costituire il livello ottimale di un servizio valutato a costi standard. In attuazione di specifiche disposizioni della legge delega sul federalismo fiscale, è stato emanato il D.Lgs. 26 novembre 2010, n. 216 relativo alla individuazione dei fabbisogni standard degli enti locali. I fabbisogni standard costituiscono i nuovi parametri cui ancorare il finanziamento delle spese fondamentali di comuni, città metropolitane e province, al fine di assicurare un graduale e definitivo superamento del criterio della spesa storica. In base al decreto, la metodologia per la determinazione dei fabbisogni costituisce una operazione tecnicamente complessa, per la cui effettuazione il decreto definisce una serie di elementi, quali:

§      individuazione di modelli organizzativi e di livelli quantitativi delle prestazioni, determinati sulla base di un sistema di indicatori in relazione a ciascuna funzione fondamentale e ai relativi servizi;

§      analisi dei costi finalizzata alla individuazione di quelli più significativi e alla determinazione degli intervalli di normalità;

§      enucleazione di un modello di stima dei fabbisogni sulla base di criteri di rappresentatività attraverso la sperimentazione di diverse tecniche statistiche;

§      definizione di un sistema di indicatori per valutare l'adeguatezza dei servizi e consentire agli enti locali di migliorarli.

La procedura per la definizione dei fabbisogni standard è affidata alla Società per gli studi di settore - S.O.S.E. s.p.a., società per azioni che opera per la elaborazione degli studi di settore, che si avvale, per tale finalità, dell’Istituto per la finanza e per l’economia locale IFEL, nonché dell'ISTAT.

Profili finanziari (Art. 01 e art. 1, commi da 01 a 03)

 

Il prospetto riepilogativo, non ascrive effetti alla norma.

 

La relazione tecnica rileva che la disposizione prevede che il Ministro dell’economia e delle finanze, d’intesa con i Ministeri interessati, presenti al Parlamento entro il 30 novembre 2011 un piano di riorganizzazione della spesa pubblica. Tale piano conterrà le linee guida di riorganizzazione e di snellimento della struttura dell’amministrazione dello Stato. Il programma potrà fornire indicazioni per integrare l’operatività delle agenzie fiscali, per razionalizzare le strutture periferiche dello Stato, per migliorare il coordinamento delle attività delle forze dell’ordine, per accorpare gli enti della previdenza pubblica, per razionalizzare l’organizzazione giudiziaria civile, penale, amministrativa, militare e tributaria, nonché per riorganizzare la rete consolare e diplomatica. Le riorganizzazioni delineate nel Programma saranno tradotte in norme di delega al Governo contenute nei disegni di legge collegati alla manovra finanziaria per il triennio 2013-2015. Le attività previste nel piano verranno sostenute anche attraverso un ciclo di «spending review» mirata alla definizione dei fabbisogni dei programmi di spesa delle amministrazioni centrali dello Stato. Saranno, inoltre, definite specifiche metodologie per quantificare i costi per le amministrazioni periferiche dello Stato, ciò per meglio definire l’allocazione efficiente delle risorse in bilancio.

 

Nella misura in cui dalla progressiva riorganizzazione dell’amministrazione si rendessero disponibili risorse finanziarie, si potrà procedere alla riduzione delle spese di funzionamento, interventi e oneri comuni, relative alle missioni di spesa di ciascun Ministero per gli anni 2012 e 2013.

Per gli anni 2014, 2015 e 2016 la spesa primaria del bilancio dello Stato potrà aumentare in termini nominali, ciascun anno, rispetto alla spesa corrispondente registrata nel rendiconto dell’anno precedente, di una percentuale non superiore al 50 per cento dell’incremento del PIL previsto dal Documento di economia e di finanza di cui all’articolo 10 della legge n. 196 del 2009, come approvato nella apposita risoluzione parlamentare.

La norma prevede poi al comma successivo un ampliamento dei margini di flessibilità in deroga alle norme in materia, di cui all’articolo 23 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, limitatamente al quinquennio 2012-2016, nel rispetto dell’invarianza dei saldi di finanza pubblica.

 

La R.T. precisa che i risparmi derivanti dalla norma potranno essere verificati solo a consuntivo. Resta ferma l’effetto rafforzativo della disposizione finalizzata a individuare risparmi aggiuntivi per i Ministeri rispetto a quelli previsti dal testo iniziale del provvedimento.

 

In merito ai profili di quantificazione, con riferimento all’articolo 01, premesso che alle disposizioni in esame non sono imputati effetti finanziari, è stato rilevato che le norme di delega oggetto dei provvedimenti collegati ed i relativi decreti di attuazione dovranno puntualmente dimostrare gli effetti complessivi di tale riorganizzazione, sia in termini dei costi ad essa associati che dei risparmi derivanti dalla razionalizzazione e dall’applicazione del regime dei costi standard.

Con riferimento al comma 01 dell’articolo 1, è stato rilevato il carattere programmatico della norma diretta a recepire, dal 2014, la regola sulla dinamica della spesa delle Amministrazioni pubbliche prevista dalle proposte di regolamento della Commissione europea. E’ stata, tuttavia, sottolineata l’opportunità di un chiarimento circa il coordinamento delle misure in esame con i tagli alle dotazioni dei Ministeri e, più in generale, con le riduzioni di spesa delle Amministrazioni centrali disposte dal decreto n. 138 nonché con le analoghe misure previste dal decreto legge n. 98/2011 e dalle precedenti manovre di finanza pubblica. Secondo quanto precisato dalla R.T., infatti, la prevista riduzione delle spese per funzionamento, interventi e oneri comuni dovrebbe intendersi come aggiuntiva rispetto a quella risultante dai tagli su ricordati.

Con riferimento al comma 02 dell’articolo 1, sostitutivo del comma 14 dell’articolo 10 del D.L. 98/2011, è stato rilevato che la disposizione fa riferimento al quinquennio 2012-2016, ad un orizzonte temporale quindi più ampio rispetto a quello triennale preso di norma in considerazione sia dal bilancio dello Stato che dagli stessi documenti di finanza pubblica.

A differenza di quanto previsto dal D.L. 98, le rimodulazioni possono riguardare, in misura non superiore al 5 per cento, anche le spese classificate tra quelle “non rimodulabili” ai sensi dell’articolo 21, comma 6, della legge 196/2009, per le quali l’Amministrazione “non ha la possibilità di esercitare un effettivo controllo sulle variabili che concorrono alla loro formazione, allocazione e quantificazione”.

Non viene, inoltre, specificato per tali variazioni e per quelle, fino al 20 per cento delle risorse stanziate, riguardanti le spese rimodulabili (articolo 21, comma 7, della legge 196/2009) se esse debbano essere di carattere compensativo e se debbano intendersi tra programmi all’interno della medesima missione o anche tra missioni.

Va, infine, segnalato che, a differenza di quanto previsto dal comma 14 dell’articolo 10 del D.L. 98/2011, la norma in esame non prevede che, qualora le Commissioni parlamentari non si siamo pronunciate nei termini e il Parlamento non approvi le corrispondenti variazioni in sede di disegno di legge di assestamento, i decreti che le dispongono perdano efficacia fin dall’inizio.

 


 

Articolo 1, commi 01 e 02
(Ulteriori interventi di contenimento della spesa
e flessibilità di bilancio)

 


01. Al fine di consentire alle amministrazioni centrali di pervenire ad una progressiva riduzione della spesa corrente primaria in rapporto al PIL, nel corso degli anni 2012 e 2013, nella misura delle risorse finanziarie che si rendono disponibili in base all'articolo 01 del presente decreto, le spese di funzionamento relative alle missioni di spesa di ciascun Ministero sono ridotte, rispettivamente, fino all'1 per cento per ciascun anno rispetto alle spese risultanti dal bilancio consuntivo relativo all'anno 2010 e le dotazioni finanziarie delle missioni di spesa di ciascun Ministero, previste dalla legge di bilancio, relative agli interventi, sono ridotte fino all'1,5 per cento. Nella medesima misura prevista dal periodo precedente, per gli stessi anni le dotazioni finanziarie per le missioni di spesa per ciascun Ministero previste dalla legge di bilancio, relative agli oneri comuni di parte corrente e di conto capitale, sono ridotte fino allo 0,5 per cento per ciascuno dei due anni e per gli anni 2014, 2015 e 2016 la spesa primaria del bilancio dello Stato può aumentare in termini nominali, in ciascun anno, rispetto alla spesa corrispondente registrata nel rendiconto dell'anno precedente, di una percentuale non superiore al 50 per cento dell'incremento del PIL previsto dal Documento di economia e finanza di cui all'articolo 10 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, come approvato nella apposita risoluzione parlamentare.

02. Al solo scopo di consentire alle amministrazioni centrali di pervenire al conseguimento degli obiettivi fissati al comma 01, in deroga alle norme in materia di flessibilità di cui all'articolo 23 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, limitatamente al quinquennio 2012-2016, nel rispetto dell'invarianza dei saldi di finanza pubblica, possono essere rimodulate le dotazioni finanziarie di ciascuno stato di previsione, con riferimento alle spese di cui all'articolo 21, commi 6 e 7, della medesima legge n. 196 del 2009. La misura della variazione deve essere tale da non pregiudicare il conseguimento delle finalità definite dalle relative norme sostanziali e, comunque, non può essere superiore al 20 per cento delle risorse finanziarie complessivamente stanziate qualora siano interessate autorizzazioni di spesa di fattore legislativo, e non superiore al 5 per cento qualora siano interessate le spese di cui all'articolo 21, comma 6, della citata legge n. 196 del 2009. La variazione è disposta con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze su proposta del Ministro competente. Resta precluso l'utilizzo degli stanziamenti di spesa in conto capitale per finanziare spese correnti. Gli schemi dei decreti di cui al precedente periodo sono trasmessi al Parlamento per l'espressione del parere delle Commissioni competenti per materia e per i profili di carattere finanziario. I pareri devono essere espressi entro quindici giorni dalla data di trasmissione. Decorso inutilmente il termine senza che le Commissioni abbiano espresso i pareri di rispettiva competenza, i decreti possono essere adottati. È abrogato il comma 14 dell'articolo 10 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111.


 

 

I commi 01 e 02 recano disposizioni finalizzate a consentire alle Amministrazioni centrali – in coerenza con il programma di riorganizzazione della spesa pubblica di cui al precedente articolo 01 – di pervenire ad un progressivo contenimento della spesa corrente primaria in rapporto al PIL - attraverso la riduzione delle spesa di funzionamento, interventi, oneri comuni, relative alle missioni di spesa di ciascun Ministero per gli anni 2012 e 2013 – nonché di conseguire gli obiettivi di risparmio previsti dal presente decreto anche attraverso il riconoscimento di una maggiore flessibilità nella variazione delle dotazioni di bilancio.

 

Più in dettaglio, il comma 01 prevede che nel corso degli anni 2012 e 2013, nella misura delle risorse finanziarie che si rendessero disponibili a seguito dell’attuazione del programma di revisione integrale della spesa pubblica previsto dall'articolo 01:

a)   le spese di funzionamento relative alle missioni di spesa di ciascun Ministero potranno essere ridotte fino all'1 per cento per ciascun anno rispetto alle spese risultanti dal bilancio consuntivo relativo all'anno 2010;

b)   le dotazioni finanziarie delle missioni di spesa di ciascun Ministero, previste dalla legge di bilancio e relative agli interventi, potranno essere ridotte fino all'1,5 per cento.

 

Nei medesimi limiti finanziari previsti dal periodo precedente – ossia le risorse disponibili a seguito della revisione della spesa - per gli stessi anni 2012 e 2013 le dotazioni finanziarie per le missioni di spesa per ciascun Ministero previste dalla legge di bilancio, relative agli oneri comuni di parte corrente e di conto capitale, potranno invece essere ridotte fino allo 0,5 per cento per ciascuno dei due anni.

 

In seguito, per gli anni 2014, 2015 e 2016, la spesa primaria del bilancio dello Stato potrà aumentare in termini nominali, in ciascun anno, rispetto alla spesa corrispondente registrata nel rendiconto dell'anno precedente, di una percentuale non superiore al 50 per cento dell'incremento del PIL previsto dal Documento di economia e finanza (DEF).

 

Il comma 02 introduce una deroga alla norme di flessibilità delle dotazioni finanziarie di bilancio – di cui all’articolo 23 della legge di contabilità e finanza pubblica n. 196 del 2009 -, finalizzata a consentire alle Amministrazioni centrali maggiori margini di manovra al fine di conseguire gli obiettivi di risparmio fissati dal successivo comma 01 dell’articolo in esame.

 

In questa direzione, si prevede, limitatamente al quinquennio 2012-2016, che nel rispetto dell'invarianza dei saldi di finanza pubblica, possano essere rimodulate le dotazioni finanziarie di ciascuno stato di previsione con riferimento a tutte le spese indicate dall'articolo 21, commi 6 e 7, della medesima legge n. 196/09, comprese dunque anche le spese non rimodulabili quali, ad esempio, quelle relative al pagamento di stipendi, assegni, pensioni e altre spese fisse.

 

Al riguardo, si ricorda che ai sensi dell'articolo 21 della legge di contabilità, nell'ambito delle dotazioni previste in relazione a ciascun programma di spesa sono distinte le spese correnti, con indicazione delle spese di personale, e le spese d'investimento. Sino all'esercizio della delega per il completamento della revisione della struttura del bilancio dello Stato - di cui all'articolo 40 della legge - in appositi allegati agli stati di previsione della spesa sono indicate, per ciascun programma, per macroaggregato e distinte per capitolo, le spese rimodulabili e quelle non rimodulabili.

Ai sensi del comma 6 del citato articolo 21 le spese non rimodulabili sono quelle per le quali l'amministrazione non ha la possibilità di esercitare un effettivo controllo, in via amministrativa, sulle variabili che concorrono alla loro formazione, allocazione e quantificazione. Esse corrispondono alle spese definite «oneri inderogabili», in quanto vincolate a particolari meccanismi o parametri che regolano la loro evoluzione, determinati sia da leggi sia da altri atti normativi. Rientrano tra gli oneri inderogabili le cosiddette spese obbligatorie, ossia:

§      le spese relative al pagamento di stipendi, assegni, pensioni e altre spese fisse;

§      le spese per interessi passivi;

§      le spese derivanti da obblighi comunitari e internazionali;

§      le spese per ammortamento di mutui, nonché quelle così identificate per espressa disposizione normativa.

Recentemente, l'articolo 10, comma 15, del decreto legge 6 luglio 2011, n. 98 - convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, ha introdotto una disposizione interpretativa del secondo e terzo periodo del citato comma 6, finalizzata a precisare che nell'ambito degli “oneri inderogabili” rientrano esclusivamente le spese cosiddette obbligatorie, ossia le spese relative al pagamento di stipendi, assegni, pensioni e altre spese fisse, le spese per interessi passivi, le spese derivanti da obblighi comunitari e internazionali, le spese per ammortamento di mutui, nonché quelle vincolate a particolari meccanismi o parametri, determinati da leggi che regolano la loro evoluzione.

Le spese rimodulabili, di cui al citato comma 7 dell’articolo 21, si dividono invece in:

a)       fattori legislativi, spese autorizzate da espressa disposizione legislativa che ne determina l'importo, considerato quale limite massimo di spesa, e il periodo di iscrizione in bilancio;

b)       spese di adeguamento al fabbisogno, ossia spese non predeterminate legislativamente che sono quantificate tenendo conto delle esigenze delle amministrazioni.

 

Ai sensi dell’articolo 23 della legge di contabilità le spese derivanti da fattori legislativi sono rimodulabili con il disegno di legge di bilancio, per motivate esigenze, in via compensativa all'interno di un programma o tra programmi di ciascuna missione, nel rispetto dei saldi di finanza pubblica. In apposito allegato allo stato di previsione della spesa sono indicate le autorizzazioni legislative di cui si propone la modifica e il corrispondente importo.

 

La misura della suddetta variazione delle dotazioni finanziarie dei Ministeri deve essere tale da non pregiudicare il conseguimento delle finalità definite dalle relative norme sostanziali.

Essa, inoltre, non può comunque essere superiore:

§      al 20 per cento delle risorse finanziarie complessivamente stanziate qualora siano interessate autorizzazioni di spesa di fattore legislativo;

§      al 5 per cento qualora siano interessate le spese non rimodulabili.

 

Entro questi limiti, dunque, nel rispetto dei saldi di finanza pubblica, possono essere variate con atto amministrativo le dotazioni finanziarie degli stati di previsione della spesa di ciascun Ministero.

 

Tali variazioni, che non possono comunque disporre l’utilizzo di stanziamenti di spesa in conto capitale per finanziare spese correnti, sono disposte con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, su proposta del Ministro competente.

 

Il decreto di variazione deve essere trasmesso al Parlamento per l'espressione del parere - entro quindici giorni - da parte delle Commissioni competenti per materia e per i profili di carattere finanziario; decorso inutilmente il termine senza che le Commissioni abbiano espresso detti pareri, i decreti possono essere adottati.

 

In conseguenza di tale nuova configurazione della flessibilità di bilancio, la norma in esame provvede a sopprimere la disciplina sperimentale di flessibilità di bilancio prevista ai sensi del comma 14 dell'articolo 10 del citato decreto-legge n. 98 del 6 luglio 2011.

 

Al riguardo, si osserva come tale ultima disposizione, pur derogando anch’essa alla disciplina ordinaria della flessibilità di bilancio prevista dalla legge di contabilità, abbia una portata più limitata rispetto al comma 02 in esame, in quanto consente in via sperimentale, per gli anni 2012, 2013 e 2014, la possibilità di adottare variazioni di carattere compensativo tra le dotazioni finanziarie relative alle sole spese rimodulabili nell'ambito di ciascun Ministero, anche se tra programmi diversi.

Occorre, inoltre, ricordare come in considerazione della possibilità di effettuare, attraverso decreti ministeriali, seppur entro determinati limiti, rimodulazioni concernenti anche spese derivanti da disposizioni di legge, il citato comma 14 del D.L. n. 98/11 prevede delle clausole di garanzia. Infatti, nell’ipotesi in cui siano interessate autorizzazioni di spesa di fattore legislativo, i relativi decreti di variazione devono essere adottati previo parere favorevole delle competenti commissioni parlamentari; inoltre, qualora il Parlamento non approvi le variazioni corrispondente in sede di esame del disegno di legge di assestamento, si dispone che i decreti perdano efficacia fin dall’inizio[7].

 

Alla luce di tali circostanze deve rilevarsi, con riguardo alla gerarchia delle fonti del diritto, come le disposizioni in esame consentano di variare con atto amministrativo, e dunque con fonte di rango secondario, autorizzazioni di spesa disposte in via legislativa, modificando in tal modo decisioni in materia di bilancio e di leggi di spesa assunte, in conformità al vigente ordinamento contabile, dal Parlamento. Al riguardo, va rammentato, come accennato, che la possibilità di disporre variazioni con atto amministrativo di autorizzazioni di spesa derivanti da fattori legislativi, prevista dal citato art. 14 del D.L. 98/11, è stata assoggettata ad un vaglio sia preventivo da parte del Parlamento - in quanto i relativi decreti devono essere adottati previo parere favorevole delle competenti commissioni parlamentari – sia ad una ratifica successiva, dal momento che qualora il Parlamento non approvi le variazioni in sede di assestamento i relativi decreti perdono efficacia ex tunc.

 

Inoltre, si rileva come le norme in esame consentano di rimodulare in via amministrativa anche le voci di bilancio che la disciplina di contabilità nazionale qualifica come oneri inderogabili ossia, come chiarito in via interpretativa dal Legislatore, come spese obbligatorie; poiché tali spese sono sostanzialmente dirette a soddisfare pretese derivanti da diritti soggettivi o da vincoli di natura contrattuale, e non sono di norma comprimibili, appare opportuno acquisire dal Governo indicazioni circa le modalità con le quali assicurare, pur in presenza di tali fattispecie, l’applicazione delle predette variazioni di bilancio.

Occorrerebbe, infine, chiarire se le variazioni delle dotazioni di bilancio in oggetto debbano assumere natura compensativa all’interno del medesimo stato di previsione, posto che ciò non è specificato dalla norma, che si limita a porre il vincolo generale del rispetto dell’invarianza dei saldi di finanza pubblica.

Profili finanziari

Per i profili finanziari si veda la scheda dell’articolo 01.

 

Articolo 1, comma 03
(Provvedimenti attuativi della legge n. 15/2009)

 

03. Il Governo adotta misure intese a consentire che i provvedimenti attuativi di cui alla legge 4 marzo 2009, n. 15, per ogni anno del triennio producano effettivi risparmi di spesa.

 

 

Ai sensi del comma 03 il Governo è tenuto ad adottare le misure volte a consentire che dall’attuazione della legge n. 15/2009[8] discendano effettivi risparmi di spesa per ogni anno del triennio.

 

La legge n. 15/2009 reca un’ampia delega al Governo finalizzata all'ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e alla efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni, nonché disposizioni integrative delle funzioni attribuite al Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro e alla Corte dei conti.

In attuazione degli articoli da 2 a 7 della legge n. 15/2009, è stato adottato decreto legislativo n. 150 del 2009[9], che reca una riforma organica della disciplina del rapporto di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche. Tra le finalità del provvedimento vi sono l’incremento dell’efficienza del lavoro pubblico, il contrasto alla scarsa produttività e all’assenteismo, l’incentivazione della qualità della prestazione lavorativa, il riconoscimento dei meriti e dei demeriti, l’ampliamento della selettività e concorsualità nelle progressioni di carriera, l’introduzione di un nuovo sistema disciplinare, il rafforzamento della autonomia e responsabilità della dirigenza, la definizione di nuove norme sulla contrattazione collettiva, la definizione di standard qualitativi ed economici delle funzioni e dei servizi, una maggiore trasparenza dell’operato delle amministrazioni pubbliche.

La nuova disciplina in materia di valutazione riguarda le amministrazioni nel loro complesso, ciascuna unità o area organizzativa e i singoli dipendenti. Il ciclo della performance, governato da una Commissione nazionale di nuova istituzione e da organismi indipendenti di valutazione istituiti da ciascuna amministrazione (sostitutivi dei Servizi di controllo interno), con un ruolo primario dei dirigenti, si articola in tre fasi, cui corrispondono puntuali obblighi a carico delle P.A.: 1) definizione degli obiettivi, con il Piano triennale della performance; 2) verifica delle prestazioni, con il Sistema di misurazione e valutazione della performance; 3) rendicontazione, con la Relazione sulla performance. Il conseguimento degli obiettivi programmati è condizione per l’erogazione degli incentivi previsti dalla contrattazione integrativa.

Il riconoscimento dei meriti si basa sull’attribuzione selettiva degli incentivi (trattamento accessorio, progressioni economiche e di carriera, attribuzioni di incarichi, accesso a percorsi di alta formazione), secondo una logica comparativa. In particolare, si prevede l’obbligo di stilare una graduatoria delle valutazioni individuali, riconoscendo al 25% del personale collocato nella fascia di merito più elevata l’assegnazione del 50% delle risorse destinate al trattamento accessorio collegato alla performance. Al 50% del personale collocato nella fascia intermedia spetta il restante 50% delle risorse. Al 25% del personale collocato nella fascia di merito bassa non viene attribuito alcun trattamento accessorio.

L’autonomia e la responsabilità dei dirigenti nella gestione delle risorse umane vengono rafforzate e ampliate. In particolare, il dirigente svolge un ruolo essenziale nella valutazione del personale e nell’assegnazione dei premi, rispondendo personalmente (anche con la decurtazione del trattamento accessorio) dell’effettiva produttività delle risorse umane e dell’efficienza complessiva della struttura.

Il provvedimento delinea un nuovo modello di contrattazione collettiva, nel quadro di una convergenza con il settore privato sugli assetti regolativi del rapporto di lavoro e del sistema di relazioni sindacali. Viene ridefinito il rapporto tra fonte contrattuale e legge, sancendo l’inderogabilità di quest’ultima per quanto attiene ai principali aspetti regolativi del rapporto di lavoro, con particolare riguardo alle materie rientranti nei poteri dirigenziali. Viene previsto un massimo di quattro comparti di contrattazione nazionale e sancita la durata triennale dei contratti, con coincidenza temporale tra parte giuridica ed economica. Si introducono incentivi alla riduzione dei tempi di rinnovo contrattuale e conseguenti strumenti di tutela salariale (come l’indennità di vacanza contrattuale). Un aspetto essenziale è lo stretto collegamento tra contrattazione collettiva e performance. I contratti nazionali sono chiamati a definire trattamenti economici accessori legati ai risultati (individuali e di unità amministrativa), sulla base di graduatorie di performance delle singole amministrazioni stilate, nell’ambito di ciascun comparto, dalla nuova Commissione nazionale. Ad analoghi principi si ispirano anche le norme relative alla contrattazione integrativa.

Infine, vengono rafforzati gli strumenti di contrasto all’assenteismo e si rimodula, con l’obiettivo di garantire una maggiore effettività sanzionatoria, la responsabilità disciplinare dei dipendenti,con l’ampliamento delle infrazioni punite con il licenziamento e un migliore coordinamento fra procedimento disciplinare e procedimento penale.

Profili finanziari

Per i profili finanziari si veda la scheda dell’articolo 01.


 

Articolo 1, commi 1 e 2
(Riduzione delle spese dei Ministeri)

 


1. In anticipazione della riforma volta ad introdurre nella Costituzione la regola del pareggio di bilancio, si applicano le disposizioni di cui al presente titolo. Gli importi indicati nella tabella di cui all'allegato C al decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito con modificazioni dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, alla voce «indebitamento netto», riga «totale», per gli anni 2012 e 2013, sono incrementati, rispettivamente, di 6.000 milioni di euro e 2.500 milioni di euro. Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, da emanare su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze entro il 25 settembre 2011, i predetti importi sono ripartiti tra i Ministeri e sono stabiliti i corrispondenti importi nella voce «saldo netto da finanziare».

2. All'articolo 10, comma 1, del citato decreto-legge n. 98 del 2011 convertito con legge n. 111 del 2011, sono soppresse le parole: «e, limitatamente all'anno 2012, il fondo per le aree sottoutilizzate». Al comma 4 del predetto articolo 10, dopo il primo periodo, è inserito il seguente: «Le proposte di riduzione non possono comunque riguardare le risorse destinate alla programmazione regionale nell'ambito del Fondo per le aree sottoutilizzate; resta in ogni caso fermo l'obbligo di cui all'articolo 21, comma 13, della legge 31 dicembre 2009, n. 196».


 

 

I commi 1 e 2 recano disposizioni finalizzate alla riduzione delle spese delle amministrazioni centrali dello Stato per gli anni 2012 e 2013, che si aggiungono a quelle già apportate con il recente decreto-legge 6 luglio 2011, n. 981, convertito con modificazioni dalla legge 15 luglio 2011, n. 111.

 

In dettaglio, il primo periodo del comma 1 stabilisce anzitutto che le disposizioni del titolo I (“Disposizioni per la stabilizzazione finanziaria”) del testo in esame vengono applicate in anticipazione della prevista riforma costituzionale per l'introduzione all'articolo 81 Cost. della regola del pareggio di bilancio.

 

Il comma provvede quindi, al secondo periodo, ad incrementare di 6 miliardi di euro per l'anno 2012 e di 2,5 miliardi di euro per l'anno 2013 gli importi in termini di indebitamento netto delle riduzioni - indicate nell’allegato C del decreto-legge n. 98 del 2011 - che le amministrazioni centrali dello Stato sono tenute ad assicurare a decorrere dall’anno 2012.

 

Si ricorda che gli importi delle riduzioni individuati nella citata Tabella di cui all’Allegato C del decreto legge n. 98/2011 erano i seguenti.

Riduzioni di spesa dei Ministeri – Decreto legge n. 98/2011

(milioni di euro)

 

saldo netto da finanziare

indebitamento netto

MINISTERI

2012

2013

2014

2012

2013

2014 e ss.

Economia e finanze

711,7

735,2

1.390,1

409,2

735,2

1.390,1

Sviluppo economico

95,3

1.880,2

1.963,4

47,6

1.880,2

1.963,4

Lavoro e politiche sociali

22,2

22,9

42,7

14,3

22,9

42,7

Giustizia

54,5

66,7

124,4

41,8

66,7

124,4

Affari esteri

42,6

49,0

91,3

29,7

49,0

91,3

Istruzione, università e ricerca

30,0

33,7

62,9

25,9

33,7

62,9

Interno

113,0

141,6

263,8

96,7

141,6

263,8

Ambiente e tutela del territorio e del mare

25,7

30,8

57,5

13,1

30,8

57,5

Infrastrutture e trasporti

46,0

55,4

103,2

26,4

55,4

103,2

Difesa

299,6

413,5

769,1

249,4

413,5

769,1

Politiche agricole alimentari e forestali

33,1

40,5

74,6

22,1

40,5

74,6

Beni e attività culturali

12,5

14,9

27,8

11,7

14,9

27,8

Salute

13,7

15,7

29,3

12,1

15,7

29,3

TOTALE

1.500

3.500

5.000

1.000

3.500

5.000

 

 

Pertanto, per effetto della modifica apportata dal testo in esame, la riduzione della spesa complessiva in termini di indebitamento netto diventa la seguente.

 

Riduzioni di spesa dei ministeri

(integrate dal decreto legge n. 138 del 2011)

(milioni di euro)

 

Saldo netto da finanziare

Indebitamento netto

 

2012

2013

2014

2012

2013

2014 e ss.

TOTALE

1.500

3.500

5.000

7.000
(1.000 + 6.000)

6.000
(3.500 + 2.500)

5.000

 

 

Il terzo periodo del comma 1 prevede l'emanazione, entro il 25 settembre 2011, di un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze diretto ad individuare:

a)      la ripartizione delle ulteriori riduzioni di spesa tra i Ministeri;

b)      i corrispondenti importi relativi alla voce “saldo netto da finanziare”.

 

Con riferimento agli effetti finanziari della norma in termini di saldo netto, si osserva che la Relazione tecnica al provvedimento considera gli effetti di indebitamento netto del comma 1 come equivalenti a quelli di saldo netto da finanziare. Pur tuttavia – osserva - in sede di individuazione degli obiettivi di riduzione di spesa da parte dei Ministeri si terrà necessariamente conto della corrispondente spendibilità delle risorse.

La riduzione in termini di saldo netto potrà pertanto risultare più elevata rispetto a quella in termini di indebitamento netto, dato che i coefficienti di spendibilità degli stanziamenti di competenza determinano di norma un rapporto complessivo tra saldo netto e indebitamento mediamente pari a circa 1,3 -1,4.

 

Si ricorda che l'articolo 10 del decreto-legge n. 98 del 2011, nel prevedere, al comma 1, che le amministrazioni centrali dello Stato devono assicurare una riduzione della spesa (in termini di saldo netto da finanziare e in termini di indebitamento netto) corrispondente agli importi individuati nell'allegato C, stabilisce altresì, al comma 3, che nelle more della definizione degli interventi correttivi volti al conseguimento degli obiettivi di riduzione indicati, il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad accantonare e rendere indisponibile una quota delle risorse iscritta nel bilancio pluriennale dello Stato, per un ammontare pari agli importi indicati nello stesso allegato. L’accantonamento è effettuato nell'ambito delle spese rimodulabili delle missioni di spesa di ciascun Ministero interessato.

Lo stesso articolo 10, al comma 4, stabilisce che spetta ai Ministri competenti proporre - in sede di predisposizione del disegno di legge di stabilità per il triennio 2012-2014 - gli interventi correttivi necessari per la realizzazione degli obiettivi di riduzione di spesa indicati nell'allegato C.

 

Nel corso dell’esame parlamentare è stato soppresso l’ultimo periodo del comma 1.

Il periodo soppresso prevedeva che l'importo della riduzione di 6.000 milioni di euro per l'anno 2012, disposta al secondo periodo medesimo comma 1, possa essere ridotto fino al 50 per cento delle maggiori entrate previste dall’attuazione della disciplina di riduzione delle tariffe elettriche di cui all’articolo 7, comma 6, del testo in esame.

 

Come osserva la relazione tecnica al maxiemendamento approvato dall’Assemblea del Senato, la soppressione della suddetta disposizione si ricollega la modifica contestualmente apportata al comma 12 dello stesso articolo 1 (a cui si fa rinvio), che ha stabilito l'integrale destinazione agli enti territoriali delle maggiori entrate derivanti dalla disciplina di riduzione delle tariffe elettriche di cui all'articolo 7.

 

Il comma 2, novella l’articolo 10, comma 1, del citato decreto-legge n. 98 del 2011, eliminando dall’elenco degli stanziamenti di spesa esclusi dalle riduzioni previste dall’Allegato C il Fondo per le aree sottoutilizzate per l'anno 2012.

 

In virtù di tale novella, dalle riduzioni di spesa di cui all’Allegato C sono dunque allo stato esclusi:

§      il Fondo per il finanziamento ordinario delle università;

§      le risorse destinate alla ricerca, all’istruzione scolastica e al finanziamento del cinque per mille dell'imposta sul reddito delle persone fisiche;

§      il fondo unico per lo spettacolo di cui alla legge n. 163 del 1985 ;

§      le risorse destinate alla manutenzione ed alla conservazione dei beni culturali.

 

Lo stesso comma 2 interviene poi sul comma 4 del citato articolo 10 del decreto-legge n. 98 del 2011.

 

Per effetto della modifica approvata, le proposte di riduzione finalizzate al raggiungimento degli obiettivi programmati indicati nel citato Allegato C, che sono avanzate dai Ministri competenti in sede di predisposizione del disegno di legge di stabilità 2012-2014, non possono comunque riguardare le risorse destinate alla programmazione regionale nell'ambito del Fondo delle aree sottoutilizzate, fermo restando, in ogni caso, l'obbligo di presentazione della relazione al Parlamento sulla destinazione programmatica delle risorse alle aree sottoutilizzate, da allegarsi al disegno di legge di bilancio, di cui all'articolo 21, comma 13, della legge di contabilità (legge n. 196/2009).

Profili finanziari

 

Il prospetto riepilogativo ascrive alle norme i seguenti effetti sui saldi di finanza pubblica.

 

(milioni di euro)

 

Saldo netto da finanziare

Fabbisogno

Indebitamento netto

 

2012

2013

2014

2012

2013

2014

2012

2013

2014

Minori spese correnti/ conto capitale

6.000

2.500

 

6.000

2.500

 

6.000

2.500

 

 

 

La relazione tecnica[10] afferma che la norma è volta a rafforzare, relativamente agli anni del biennio 2012-2013, gli effetti in termini di indebitamento netto già disposti dall’articolo 10, comma 2, del decreto-legge 98/2011. In particolare, si prevede l’incremento - per 6 e 2,5 mld. di euro rispettivamente per gli anni 2012 e 2013 in termini di indebitamento netto - degli obiettivi di riduzione di spesa che i Ministeri dovranno proporre in sede di predisposizione del disegno di legge di stabilità per il triennio 2012 - 2014.

Dall’applicazione della norma restano esclusi interventi già indicati dall’articolo 10, comma 1, del decreto legge n. 98/2011, quali il Fondo per il finanziamento ordinario delle università, le risorse destinate alla ricerca, all’istruzione scolastica e al finanziamento del cinque per mille dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, il Fondo Unico per lo Spettacolo e le risorse destinate alla manutenzione ed alla conservazione dei beni culturali.

La relazione tecnica precisa poi che gli effetti in termini di saldo netto da finanziare vengono considerati in misura equivalente a quelli di indebitamento netto. Afferma, inoltre, che in sede di individuazione degli obiettivi di riduzione di spesa da parte dei Ministeri si terrà necessariamente conto della corrispondente spendibilità delle risorse: pertanto l’importo di riduzione in termini di saldo netto potrà risultare più elevato rispetto a quello di indebitamento netto, tenuto conto dei coefficienti di spendibilità degli stanziamenti di competenza, che determinano un rapporto complessivo tra saldo netto e indebitamento mediamente pari a circa 1,3-1,4.

Riguardo alla norma che esclude dalle proposte di riduzione della spesa le risorse del Fondo per le aree sottoutilizzate destinate alla programmazione regionale, la RT precisa che le proposte del Ministero dello sviluppo economico dovranno pertanto essere limitate alle risorse FAS destinate alla programmazione nazionale. Afferma quindi che la norma non comporta nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

 

In merito ai profili di quantificazione, è stato rilevato che la relazione tecnica non contiene indicazioni che consentano di accertare l’incidenza delle riduzioni di spesa sulle singole amministrazioni interessate né elementi di valutazione riferiti alla sostenibilità dei tagli in relazione alle specifiche esigenze e ai compiti amministrativi demandati a ciascun settore. E’ stata pertanto evidenziata la necessità di disporre di elementi, anche quantitativi, di valutazione a tale riguardo, considerando peraltro che, a seguito delle modifiche introdotte dal Senato, parte delle risorse del Fondo per le aree sottoutilizzate non può essere oggetto di riduzione di spesa a decorrere dall’anno 2013.

In particolare, ai fini della verifica della fattibilità delle riduzioni, sono state richiesti dati in ordine all’entità delle risorse disponibili presso ciascuna amministrazione interessata, tenendo conto anche dei tagli previsti dalla precedente normativa in materia. Per valutare la quota delle risorse potenzialmente riducibili occorrerebbe verificare inoltre l’incidenza, sul complesso delle previsioni di spesa, di quelle caratterizzate da fattori di rigidità, che non ne consentono una rideterminazione mediante atti di valenza amministrativa ovvero che prescindano dalla revisione della disciplina sottostante la definizione dei singoli stanziamenti.

Si ricorda che, ai sensi dell’art. 21, comma 6, della legge n. 196/2009, sono “spese non rimodulabili” quelle per le quali l'amministrazione non ha la possibilità di esercitare un effettivo controllo, in via amministrativa, sulle variabili che concorrono alla loro formazione, allocazione e quantificazione. Esse corrispondono alle spese definite «oneri inderogabili», in quanto vincolate a particolari meccanismi o parametri che regolano la loro evoluzione, determinati sia da leggi sia da altri atti normativi. Sulla base della norma interpretativa dettata dall’art. 10, comma 15, del D.L. n. 98/2011 (legge n. 111/2011), nell'ambito degli oneri inderogabili rientrano esclusivamente le spese cosiddette obbligatorie, ossia le spese relative al pagamento di stipendi, assegni, pensioni e altre spese fisse, le spese per interessi passivi, le spese derivanti da obblighi comunitari e internazionali, le spese per ammortamento di mutui, nonché quelle vincolate a particolari meccanismi o parametri, determinati da leggi che regolano la loro evoluzione.

La relazione tecnica afferma inoltre che la riduzione in termini di saldo netto da finanziare potrà risultare più elevata rispetto a quella in termini di indebitamento netto, tenuto conto dei coefficienti di spendibilità degli stanziamenti di competenza, che determinano un rapporto complessivo tra saldo netto e saldo di indebitamento mediamente pari a circa 1,3-1,4. Sulla base di tale parametro, pertanto, la riduzione sul saldo netto da finanziare dovrebbe risultare di circa il 30 per cento più elevata del taglio determinato dalla norma in termini di indebitamento netto. È stato richiesto di chiarire il procedimento di calcolo del predetto valore medio, atteso che il rapporto tra gli effetti ascrivibili sui due diversi saldi dipende dalla distribuzione effettiva dei tagli tra le diverse, specifiche categorie di spesa, mentre sulla base delle disposizioni e dei documenti allegati non è possibile desumere né tali elementi né la ripartizione tra spesa corrente e spesa in conto capitale.

Premessa l’opportunità di chiarimenti in proposito, è stato rilevato che la scelta di non incorporare il predetto rapporto medio nel computo degli effetti ascritti alla norma in termini di saldo netto da finanziare potrebbe rispondere a ragioni di prudenzialità.

Tali effetti sono infatti contabilizzati in misura identica a quella prevista ai fini del fabbisogno e dell’indebitamento (6 mld per il 2012 e 2,5 mld per il 2013), mentre, tenendo conto del predetto rapporto, si sarebbero potuti scontare, nel prospetto riepilogativo degli effetti finanziari, minori spese per 7,8 miliardi per il 2012 e 3,25 miliardi per il 2013 in termini di saldo netto da finanziare.

Più in generale, si è rilevato che la mancanza di elementi che consentano una più puntuale definizione dell’impatto della norma in termini di saldo netto da finanziare comporta che l’equilibrio degli effetti ascrivibili ai tagli in esame rispetto ai tre saldi di finanza pubblica potrà essere valutato soltanto nel quadro del procedimento di adozione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri previsto dal comma in esame, ossia in una sede diversa dal procedimento di verifica parlamentare delle quantificazioni.

Infine, considerato che le norme seguono una serie di altri interventi di analoga natura approvati nel corso degli ultimi anni, è stato richiesto di valutare se l’incertezza circa l’effettiva entità, nel tempo, degli stanziamenti riferiti a spese rimodulabili possa determinare problemi di gestione finanziaria con eventuali riflessi sull’azione amministrativa. E’ stato evidenziato, infatti, che la programmazione finanziaria e le attività di razionalizzazione degli acquisti sono influenzate, in termini di efficienza e di efficacia, dall’esistenza di elementi di ragionevole certezza riguardo alle effettive disponibilità finanziarie, con riferimento ad un ambito temporale pluriennale.

 


 

Articolo 1, commi 3-5
(Riduzione degli assetti organizzativi delle amministrazioni pubbliche)

 


3. Le amministrazioni indicate nell'articolo 74, comma 1, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e successive modificazioni, all'esito della riduzione degli assetti organizzativi prevista dal predetto articolo 74 e dall'articolo 2, comma 8-bis, del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194, convertito con modificazioni dalla legge 26 febbraio 2010, n. 25, provvedono, anche con le modalità indicate nell'articolo 41, comma 10, del decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 207, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2009, n. 14:

a) ad apportare, entro il 31 marzo 2012, un'ulteriore riduzione degli uffici dirigenziali di livello non generale, e delle relative dotazioni organiche, in misura non inferiore al 10 per cento di quelli risultanti a seguito dell'applicazione del predetto articolo 2, comma 8-bis, del decreto-legge n. 194 del 2009;

b) alla rideterminazione delle dotazioni organiche del personale non dirigenziale, ad esclusione di quelle degli enti di ricerca, apportando una ulteriore riduzione non inferiore al 10 per cento della spesa complessiva relativa al numero dei posti di organico di tale personale risultante a seguito dell'applicazione del predetto articolo 2, comma 8-bis, del decreto-legge n. 194 del 2009.

4. Alle amministrazioni che non abbiano adempiuto a quanto previsto dal comma 3 entro il 31 marzo 2012 è fatto comunque divieto, a decorrere dalla predetta data, di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo e con qualsiasi contratto; continuano ad essere esclusi dal predetto divieto gli incarichi conferiti ai sensi dell'articolo 19, commi 5-bis e 6, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni. Fino all'emanazione dei provvedimenti di cui al comma 3 le dotazioni organiche sono provvisoriamente individuate in misura pari ai posti coperti alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto; sono fatte salve le procedure concorsuali e di mobilità nonché di conferimento di incarichi ai sensi dell'articolo 19, commi 5-bis e 6, del decreto legislativo n. 165 del 2001 avviate alla predetta data.

5. Restano esclusi dall'applicazione dei commi 3 e 4 il personale amministrativo operante presso gli uffici giudiziari, la Presidenza del Consiglio, le Autorità di bacino di rilievo nazionale, il Corpo della polizia penitenziaria, i magistrati, l'Agenzia italiana del farmaco, nei limiti consentiti dalla normativa vigente, nonché le strutture del comparto sicurezza, delle Forze armate, del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, e quelle del personale indicato nell'articolo 3, comma 1, del citato decreto legislativo n. 165 del 2001. Continua a trovare applicazione l'art. 6, comma 21-sexies, primo periodo del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito dalla legge 30 luglio 2010, n. 122. Restano ferme le vigenti disposizioni in materia di limitazione delle assunzioni.


 

 

I commi da 3 a 5 prevedono che le amministrazioni pubbliche già interessate da analoghi provvedimenti adottati nel 2008 e nel 2009, debbano effettuare ulteriori riduzioni delle dotazioni organiche.

 

L’articolo 74 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112[11] ha stabilito che le amministrazioni statali e varie categorie di enti pubblici nazionali (per la precisa indicazione dei soggetti interessati, v. infra) dovessero:

§      ridimensionare gli assetti organizzativi esistenti secondo principi di efficienza, razionalità ed economicità, riducendo il numero degli uffici dirigenziali (del 20% per quelli di livello generale e del 15% per quelli di livello non dirigenziale);

§      ridurre il contingente di personale adibito allo svolgimento di compiti logistico-strumentali e di supporto in misura non inferiore al 10% con contestuale riallocazione delle risorse umane eccedenti tale limite negli uffici che svolgono funzioni istituzionali;

§      rideterminare le dotazioni organiche del personale non dirigenziale, ad esclusione di quelle degli enti di ricerca, apportando una riduzione non inferiore al 10% della spesa complessiva relativa al numero dei posti di organico di tale personale;

§      rideterminare la rete periferica su base regionale o interregionale, o, in alternativa, riorganizzare le strutture periferiche nell’ambito delle prefetture-uffici periferici del Governo (UTG).

Per le amministrazioni inadempienti era comminata la sanzione del divieto di procedere ad assunzioni di personale, a qualsiasi titolo e con qualsiasi contratto.

Il termine previsto per la riorganizzazione era il 30 novembre 2008, successivamente differito al 31 maggio 2009, per i soli ministeri, in virtù dell’art. 41, comma 10, del decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 207[12].

Erano escluse dalle suddette disposizioni le strutture del comparto sicurezza, delle Forze armate e del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco. Una disciplina speciale riguardava la Presidenza del Consiglio dei ministri.

 

Successivamente, l'articolo 2, comma 8-bis, del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194[13], ha disposto, nei confronti delle medesime amministrazioni interessate dall'art. 74 del decreto-legge 112/2008, un’ulteriore riduzione degli assetti organizzativi delle amministrazioni pubbliche, consistente in:

§      ulteriore riduzione degli uffici dirigenziali di livello non generale e delle relative dotazioni organiche entro il 30 giugno 2010, in misura non inferiore, al 10% di quelli risultanti dalla riduzione operata ai sensi dell’art. 74 del decreto-legge 112/2008;

§      rideterminazione delle dotazioni organiche del personale non dirigenziale, ad esclusione di quelle degli enti di ricerca. In tale ottica, si prevedeva una riduzione non inferiore al 10% della spesa complessiva relativa al numero dei posti di organico di tale personale, quale risultante dall’applicazione dell’art. 74 del decreto-legge 112/2008.

Alle amministrazioni inadempienti al 30 giugno 2010 era fatto divieto di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo e con qualsiasi contratto, fatta eccezione per il conferimento di incarichi dirigenziali a soggetti esterni all’amministrazione di riferimento, di cui all’art. 19, commi 5-bis e 6, del decreto legislativo 165/2001.

 

Il comma 3 - che rappresenta dunque un'ulteriore tappa nel processo iniziato con il decreto-legge 112/2008 e proseguito con il decreto-legge 194/2009 - ha, quali destinatari, le amministrazioni indicate nell’art. 74, comma 1, del decreto-legge 112/2008, ossia le amministrazioni dello Stato anche ad ordinamento autonomo (ivi comprese le agenzie, incluse le agenzie fiscali), gli enti pubblici non economici, gli enti di ricerca e gli enti pubblici di cui all'art. 70, comma 4, del decreto legislativo 165/2001.

 

L'articolo 70, comma 4, del decreto legislativo 165/2001 fa riferimento ai seguenti enti e organismi:

§      Ente autonomo esposizione universale di Roma (trasformato in società per azioni con decreto legislativo 304/1999);

§      enti autonomi lirici ed istituzioni concertistiche assimilate (trasformati in fondazioni lirico-sinfoniche con decreto legislativo 367/1996);

§      Agenzia spaziale italiana (ASI);

§      Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato;

§      Unione italiana delle camere di commercio, industria, artigianato ed agricoltura;

§      Comitato nazionale per la ricerca e lo sviluppo dell'energia nucleare e delle energie alternative (ENEA);

§      Azienda autonoma di assistenza al volo per il traffico aereo generale;

§      Registro aeronautico italiano (RAI);

§      Comitato olimpico nazionale italiano (CONI);

§      Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro;

§      Ente nazionale per l'aviazione civile (E.N.A.C.);

§      Centro nazionale per l'informatica nella pubblica amministrazione (CNIPA);

§      Cassa depositi e prestiti.

 

Le amministrazione suddette, all'esito dei già ricordati processi di riduzione degli assetti organizzativi previsti dall'art. 74 del decreto-legge 112/2008 e dall'art. 2, comma 8-bis, del decreto-legge 194/2009, devono provvedere:

§      ad apportare, entro il 31 marzo 2012, un'ulteriore riduzione degli uffici dirigenziali di livello non generale, e delle relative dotazioni organiche, in misura non inferiore al 10% di quelli risultanti a seguito dell'applicazione dell'art. 2, comma 8-bis, del decreto-legge 194/2009;

§      alla rideterminazione delle dotazioni organiche del personale non dirigenziale, ad esclusione di quelle degli enti di ricerca, apportando una ulteriore riduzione in misura non inferiore al 10% della spesa complessiva relativa al numero dei posti di organico di tale personale risultante a seguito dell'applicazione dell'art. 2, comma 8-bis, del decreto-legge 194/2009.

 

Il ridimensionamento degli assetti organizzativi dovrà essere attuato anche con le modalità indicate dall’articolo 41, comma 10, del decreto-legge 207/2008.

Tale disposizione prevede per i Ministeri sia la possibilità di provvedere alla riduzione delle dotazioni organiche mediante D.P.C.M., sia la possibilità di utilizzare decreti ministeriali non regolamentari per riorganizzare gli uffici dirigenziali non generali, anche in deroga alla distribuzione di tali uffici operata dal regolamento di organizzazione.

 

Il comma 4, analogamente a quanto già stabilito nel 2008 e nel 2009, prevede per le amministrazioni inadempienti il divieto di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo e con qualsiasi contratto.

Come nel 2009, continuano ad essere esclusi dal predetto divieto gli incarichi dirigenziali conferiti a soggetti esterni all'amministrazione di riferimento ai sensi dell'art. 19, commi 5-bis e 6, del decreto legislativo 165/2001.

 

L’art. 19, comma 6, del decreto legislativo 165/2001 prevede la possibilità, a certe condizioni, di conferire incarichi di funzione dirigenziale a soggetti esterni alla pubblica amministrazione, ovvero a personale pubblico non dirigente (anche appartenente all’amministrazione conferente), con contratto a tempo determinato. Il numero di incarichi non può comunque eccedere una certa soglia, per ciascuna amministrazione, pari al 10% della dotazione organica dei dirigenti di prima fascia e l’8% di quella di seconda fascia. Inoltre, tali incarichi devono essere conferiti a personale di particolare e comprovata esperienza professionale.

Tra le caratteristiche indicate si ricordano:

§      lo svolgimento di funzioni dirigenziali in organismi pubblici o privati per almeno cinque anni;

§      il conseguimento di una particolare specializzazione professionale, culturale e scientifica desumibile da una formazione universitaria oppure da concrete esperienze di lavoro anche presso amministrazioni statali, comprese le stesse che conferiscono gli incarichi, in posizioni funzionali previste per l'accesso alla dirigenza;

§      la provenienza da settori della ricerca, della docenza universitaria, delle magistrature e dei ruoli degli avvocati e procuratori dello Stato.

Entro certi limiti (10% della dotazione organica della prima fascia e 5% della seconda fascia) gli incarichi dirigenziali possono essere conferiti a dirigenti pubblici non appartenenti ai ruoli di cui all’art. 23 del decreto legislativo 165/2001, purché dipendenti da altre amministrazioni pubbliche o da organi costituzionali (art. 19, comma 5-bis).

 

Sino all'emanazione dei provvedimenti di riorganizzazione le dotazioni organiche sono provvisoriamente individuate in misura pari ai posti coperti alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge in esame, salve le procedure concorsuali e di mobilità in corso, nonché quelle relative al conferimento di incarichi dirigenziali a soggetti esterni.

 

Il comma 5 individua le amministrazioni che non sono interessate dalle riduzioni degli assetti organizzativi.

In particolare, sono esclusi dall’applicazione delle disposizioni in esame:

§      il personale amministrativo operante negli Uffici giudiziari;

§      la Presidenza del Consiglio dei ministri;

§      le Autorità di bacino di rilievo nazionale;

§      il Corpo della Polizia penitenziaria;

§      i magistrati;

§      l’Agenzia italiana del farmaco, nei limiti consentiti dalla normativa vigente;

§      le strutture del comparto sicurezza, delle Forze Armate e del Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco;

§      le strutture del personale ancora in regime di diritto pubblico di cui all’art. 3, comma 1, del decreto legislativo 165/2001[14].

 

Si fa presente che l’elenco dei soggetti esclusi dalle nuove riduzioni è diverso rispetto a quanto previsto dai due provvedimenti precedenti. Ad esempio, la Presidenza del Consiglio dei ministri, che nel decreto-legge 112/2008 beneficiava di un regime speciale, poi richiamato dal decreto-legge 194/2009, viene ora esclusa dall’ambito applicativo delle nuove disposizioni di riduzione degli assetti organizzativi.

 

La disposizione prevede, poi, che continua a trovare applicazione l'art. 6, comma 21-sexies, primo periodo, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78[15].

 

Tale disposizione prevede che, per il triennio 2011-2013, ferme restando le dotazioni previste dalla legge 23 dicembre 2009, n. 192[16], le Agenzie fiscali possono assolvere alle disposizioni vigenti in materia di contenimento della spesa dell’apparato amministrativo effettuando un riversamento a favore dell’entrata del bilancio dello Stato pari all’1% delle dotazioni previste sui capitoli relativi ai costi di funzionamento stabilite con la legge suddetta.

 

Viene infine precisato che restano ferme le vigenti disposizioni in materia di limitazioni delle assunzioni.

Profili finanziari

 

Il prospetto riepilogativo non ascrive alla norma effetti sui saldi di finanza pubblica.

 

La relazione tecnica, riferita al testo originario del provvedimento, evidenzia, con riferimento alla stima dei risparmi, che la disposizione - atteso il quadro normativo vigente - dovrebbe presumibilmente incidere su posti delle dotazioni organiche non coperti e che la quantificazione delle economie conseguite non potrà che avvenire a consuntivo.

Si rammenta che le relazione tecniche riferite alle precedenti disposizioni[17] di riordino degli assetti amministrativi non quantificavano risparmi con riferimento alla riduzione delle dotazioni organiche del personale non dirigenziale e dirigenziale di livello non generale.

 

In merito ai profili di quantificazione, in merito all’affermazione contenuta nella relazione tecnica, secondo la quale la disposizione “dovrebbe presumibilmente incidere su posti delle dotazioni organiche non coperti”, è stato rilevato che le riduzioni sono suscettibili di determinare, nel tempo, risparmi di spesa (che – secondo la stessa RT - dovranno essere rilevati a consuntivo) soltanto se riferite a posti effettivamente coperti. Ciò premesso, è stata comunque segnalata l’opportunità di valutare se tale riduzione delle dotazioni organiche risulti compatibile con le esigenze funzionali connesse al perseguimento delle finalità istituzionali di ciascuna amministrazione interessata, anche alla luce delle riduzioni già intervenute in base alla normativa richiamata in premessa.

 


 

Articolo 1, comma 6
(Anticipo della riduzione delle agevolazioni fiscali)

 


6. All'articolo 40 del citato decreto-legge n. 98 del 2011 convertito con legge n. 111 del 2011, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al comma 1-ter, le parole: "del 5 per cento per l'anno 2013 e del 20 per cento a decorrere dall'anno 2014", sono sostituite dalle seguenti: "del 5 per cento per l'anno 2012 e del 20 per cento a decorrere dall'anno 2013"; nel medesimo comma, in fine, è aggiunto il seguente periodo: "Al fine di garantire gli effetti finanziari di cui al comma 1-quater, in alternativa, anche parziale, alla riduzione di cui al primo periodo, può essere disposta, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, la rimodulazione delle aliquote delle imposte indirette, inclusa l'accisa.";

b) al comma 1-quater, primo periodo, le parole: "30 settembre 2013", sono sostituite dalle seguenti: "30 settembre 2012"; nel medesimo periodo, le parole: "per l'anno 2013", sono sostituite dalle seguenti: "per l'anno 2012, nonché a 16.000 milioni di euro per l'anno 2013".


 

 

Il comma 6 dell’articolo 1 modifica i commi 1-ter e 1-quater dell’articolo 40 del decreto-legge n. 98 del 2011 (manovra) anticipando, rispettivamente, al 30 settembre 2012 e a decorrere dal 2013 gli effetti finanziari ivi previsti.

 

Il comma 1-ter dell’articolo 40 del decreto-legge n. 98 del 2011 (manovra) ha disposto la riduzione del 5% nel 2013 e del 20% a decorrere dal 2014 dei regimi di esenzione, esclusione e favore fiscale riportati nell’allegato C-bis al decreto.

Per i casi nei quali tale riduzione non sia suscettibile di diretta ed immediata applicazione, con uno o più decreti del Ministro dell’economia e delle finanze sono stabilite le modalità tecniche per l’attuazione con riferimento ai singoli regimi interessati.

Il successivo comma 1-quater prevede che tale disposizione non si applichi qualora entro il 30 settembre 2013 siano adottati provvedimenti legislativi in materia fiscale ed assistenziale aventi ad oggetto il riordino della spesa in materia sociale, nonché la eliminazione o riduzione dei regimi di esenzione e agevolazione fiscale che si sovrappongono alle prestazioni assistenziali, tali da determinare effetti positivi (cioè riduzioni), ai fini dell’indebitamento netto, non inferiori a 4 miliardi di euro per il 2013 ed a 20 miliardi di euro annui a decorrere dal 2014.

Si ricorda inoltre che tale riordino dei regimi agevolativi è previsto nel disegno di legge di iniziativa governativa recante Delega al Governo per la riforma fiscale e assistenziale, in discussione alla Camera dei deputati (A.C. 4566).

L’articolo 11 del ddl stabilisce che dall'attuazione della legge di delega, e in particolare dal riordino della spesa in materia sociale, nonché dall'eliminazione o riduzione dei regimi di esenzione, esclusione e favore fiscale che si sovrappongono alle prestazioni assistenziali, devono derivare effetti positivi, ai fini dell'indebitamento netto, non inferiori a 4.000 milioni di euro per l'anno 2013 e a 20.000 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2014.

 

Di conseguenza la norma in commento, per effetto della suddetta anticipazione, determina un ulteriore effetto positivo, in termini di gettito, pari a 4 miliardi nel 2012 e a 16 miliardi nel 2013.

 

Si ricorda, infine, che ai sensi dell’articolo 21, comma 11, lettera a), della legge n. 196 del 2009, lo stato di previsione delle entrate del bilancio dello Stato reca una nota integrativa (allegato C-bis) che dà conto degli effetti connessi alle disposizioni normative vigenti, con separata indicazione di quelle introdotte nell'esercizio, recanti esenzioni o riduzioni del prelievo obbligatorio, con l'indicazione della natura delle agevolazioni, dei soggetti e delle categorie dei beneficiari e degli obiettivi perseguiti.

 

Il totale degli effetti finanziari derivanti dalle citate agevolazioni è indicato nell’allegato C-bis in 161,2 miliardi di euro, così articolati:

 

Agevolazioni a favore delle persone fisiche, di cui:

103,438

- Agevolazioni per la casa

9,197

- Agevolazioni per la famiglia

21,449

- Agevolazioni per lavoro e pensioni

56,812

- Agevolazioni per erogazioni liberali e al terzo settore

0,135

- Altre agevolazioni (comprese agevolazioni fiscalità finanziaria)

15,845

Agevolazioni in materia di enti non commerciali

0,403

Agevolazioni reddito impresa

10,300

Agevolazioni in materia di accisa

3,572

Agevolazioni in materia di IVA

38,797

Agevolazioni in materia di registro e imposte ipocatastali

4,724

TOTALE AGEVOLAZIONI

161,237

 

Il comma 6 aggiunge, inoltre, al comma 1-ter una sorta di clausola di salvaguardia, ai sensi della quale, al fine di garantire i predetti effetti finanziari, in alternativa, anche parziale, alla riduzioni citate, può essere disposta, con decreto del Presidente del consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, la rimodulazione delle aliquote delle imposte indirette, inclusa l’accisa.

 

Secondo quanto emerge dalla relazione tecnica al ddl del governo, tale alternativa “agevola sicuramente il raggiungimento dell’obiettivo di realizzazione degli effetti finanziari positivi” indicati dal citato comma 1-quater dell’articolo 40.


Profili finanziari

 

Il prospetto riepilogativo ascrive alle norme i seguenti effetti sui saldi di finanza pubblica.

(milioni di euro)

 

Saldo netto da finanziare

Fabbisogno

Indebitamento netto

 

2012

2013

2014

2012

2013

2014

2012

2013

2014

Maggiori entrate

4.000

12.000

 

4.000

12.000

 

4.000

12.000

 

 

 

La relazione tecnica riferita al testo iniziale sottolinea che le norme anticipano al 2012 l’effetto di 4 miliardi in precedenza previsto per il 2013, rimodulano l’effetto previsto per il 2013 – anno in cui il maggior gettito passa da 4 a 16 miliardi – e confermano gli effetti positivi stimati a decorrere dal 2014, pari a 20 miliardi annui.

Pertanto l’incremento recato dalle disposizioni in esame è pari a 4 miliardi nel 2012 ed a 12 miliardi nel 2013.

La relazione evidenzia, inoltre, che la rimodulazione delle imposte indirette - ora prevista in alternativa alla riduzione dei regimi di esenzione, esclusione e favore fiscale – agevola il raggiungimento della realizzazione degli effetti positivi attesi.

 

In merito ai profili di quantificazione, si è rilevato, come già osservato nel corso dell’esame in prima lettura[18], che la possibilità di ricorrere ad una rimodulazione delle aliquote delle imposte indirette, compresa l’accisa, attraverso l’adozione di un provvedimento di carattere amministrativo andrebbe attentamente valutata alla luce di una possibile incompatibilità con l’articolo 23 della Costituzione, che dispone una riserva assoluta di legge ai fini dell’imposizione di prestazioni personali e patrimoniali.

Ciò è stato evidenziato anche in considerazione del fatto che il testo in esame non contiene alcuna indicazione in merito ai criteri ed ai parametri quantitativi nell’ambito dei quali la suddetta facoltà può essere esercitata dal Governo.

Si è, altresì, rilevato che il ricorso ad un provvedimento non legislativo sottrae i relativi effetti finanziari attesi alla procedura di verifica parlamentare delle quantificazioni.

Si è segnalato, infine, che il possibile ricorso alla rimodulazione delle aliquote delle imposte indirette appare solo in parte alternativo rispetto all’intervento di riduzione delle agevolazioni e dei regimi di favore fiscale, dal momento che, tra questi ultimi, nel citato Allegato C-bis, risultano elencati anche i regimi IVA ad aliquota inferiore a quella ordinaria.


 

Articolo 1, comma 7
(Riduzione del 30% della retribuzione di risultato
dei dirigenti pubblici)

 


7. All'articolo 10, comma 12, del citato decreto-legge n. 98 del 2011 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111 del 2011, dopo il primo periodo, è inserito il seguente: «Nella ipotesi prevista dal primo periodo del presente comma ovvero nel caso in cui non siano assicurati gli obiettivi di risparmio stabiliti ai sensi del comma 2, con le modalità previste dal citato primo periodo l'amministrazione competente dispone, nel rispetto degli equilibri di bilancio pluriennale, su comunicazione del Ministero dell'economia e delle finanze, la riduzione della retribuzione di risultato dei dirigenti responsabili nella misura del 30 per cento».


 

 

Il comma 7 (interamente sostituito nel corso dell’esame parlamentare), inserendo un secondo periodo al comma 12 dell’articolo 10 del D.L. n. 98/2011, stabilisce che, nel caso di mancato conseguimento degli obiettivi di risparmio stabiliti per i Ministeri, l'amministrazione competente disponga, nel rispetto degli equilibri di bilancio pluriennale, su comunicazione del Ministero dell'economia e delle finanze, la riduzione della retribuzione di risultato dei dirigenti responsabili nella misura del 30%.

 

La retribuzione di risultato è correlata al grado di raggiungimento degli obiettivi assegnati. Attualmente, l’articolo 24 del D.Lgs. 165/2001, così come modificato dall’articolo 45 del D.Lgs. 150/2009, prevede che la contrattazione collettiva determini la retribuzione del personale con qualifica di dirigente, prevedendo altresì che il trattamento economico accessorio sia correlato alle funzioni attribuite, alle connesse responsabilità e ai risultati conseguiti. In particolare, il trattamento accessorio collegato ai risultati deve costituire (comma 1-bis) almeno il 30% della retribuzione complessiva del dirigente considerata al netto della retribuzione individuale di anzianità e degli incarichi aggiuntivi soggetti al regime dell'onnicomprensività. In precedenza, il trattamento economico del dirigente faceva capo principalmente al trattamento fondamentale (cioè lo stipendio fisso) e alla retribuzione di posizione, che spesso superava lo stesso il trattamento fondamentale. Lo stesso articolo 24, inoltre, ha previsto la costituzione, presso ogni amministrazione, di un apposito fondo per la determinazione del trattamento accessorio della dirigenza (vedi ad esempio gli articoli 20 e ss. del CCNL relativo al personale dirigente dell’area I (Aziende e Ministeri) quadriennio normativo 2006 - 2009 biennio economico 2006 – 2007 del 12 febbraio 2010.

 

La riduzione può essere disposta in due casi:

§      nel caso si registri uno scostamento rilevante dagli obiettivi indicati per l'anno considerato dal Documento di economia e finanza (DEF) e da eventuali aggiornamenti, come approvati dalle relative risoluzioni parlamentari. In tale situazione, il Ministro dell'economia e delle finanze, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, può disporre, con proprio decreto, la limitazione all'assunzione di impegni di spesa o all'emissione di titoli di pagamento a carico del bilancio dello Stato, entro limiti percentuali determinati in misura uniforme rispetto a tutte le dotazioni di bilancio, con esclusione delle cosiddette spese obbligatorie;

§      nel caso in cui non siano assicurati gli obiettivi di risparmio in termini di saldo netto da finanziare ed indebitamento netto per i Ministeri (stabiliti dall’articolo 10, comma 2, dello stesso D.L. n. 98/2011).

 

Si ricorda che il testo originario del provvedimento in esame prevedeva, inserendo sempre un secondo periodo al citato comma 10, che il mancato raggiungimento degli obiettivi richiamati in precedenza comportasse il differimento del pagamento della tredicesima mensilità dovuta ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del D.Lgs. 165/2001, in tre rate annuali posticipate e senza l’erogazione dei relativi interessi.

Profili finanziari

 

Il prospetto riepilogativo non ascrive alla norma effetti sui saldi di finanza pubblica.

 

La relazione tecnica, riferita al maxiemendamento approvato dal Senato non considera la norma.

Si ricorda che la relazione tecnica riferita al testo originario della norma in esame (che prevedeva - a garanzia degli obiettivi di risparmio[19] - il differimento, senza corresponsione di interessi, del pagamento della tredicesima mensilità dovuta ai dipendenti pubblici) affermava che le disposizioni attuative[20] della medesima disposizione avrebbero dovuto essere tali da garantire il rispetto degli equilibri programmati del bilancio pluriennale in termini di saldo netto da finanziare, fabbisogno e indebitamento netto della P.A.

 

In merito ai profili di quantificazione, pur avendo rilevato che alla norma in esame – così come al testo originario - non risultano ascritti effetti ai fini dei saldi di finanza pubblica, sono stati richiesti chiarimenti in merito al relativo ambito applicativo. In particolare, sono state richieste precisazioni in relazione alla platea di dirigenti cui applicare la prevista decurtazione della retribuzione di risultato allorquando all’origine della stessa non vi sia il mancato conseguimento degli obiettivi di contenimento della spesa delle singole amministrazioni (ai sensi dell’art. 10, comma 2, del D.L. n. 98/2011), ma lo scostamento rilevante rispetto agli obiettivi previsti dal DEF (ai sensi dell’art. 10, comma 12, del citato D.L. n. 98).

 


 

Articolo 1, commi 8 e 9
(Anticipazione del nuovo patto di stabilità interno)

 


8. All'articolo 20, comma 5, del citato decreto-legge n. 98 del 2011 convertito con legge n. 111 del 2011, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) nell'alinea, le parole: "per gli anni 2013 e successivi", sono sostituite dalle seguenti: "per gli anni 2012 e successivi";

b) alla lettera a), le parole: "per 800 milioni di euro per l'anno 2013 e" sono soppresse; nella medesima lettera, le parole: "a decorrere dall'anno 2014", sono sostituite dalle seguenti: "a decorrere dall'anno 2012";

c) alla lettera b), le parole: "per 1.000 milioni di euro per l'anno 2013 e" sono soppresse; nella medesima lettera, le parole: "a decorrere dall'anno 2014", sono sostituite dalle seguenti: "a decorrere dall'anno 2012";

d) alla lettera c), le parole: "per 400 milioni di euro per l'anno 2013", sono sostituite dalle seguenti: "per 700 milioni di euro per l'anno 2012"; nella medesima lettera, le parole: "a decorrere dall'anno 2014", sono sostituite dalle seguenti: "a decorrere dall'anno 2013";

e) alla lettera d), le parole: "per 1.000 milioni di euro per l'anno 2013" sono sostituite dalle seguenti: "per 1.700 milioni di euro per l'anno 2012"; nella medesima lettera, le parole: "a decorrere dall'anno 2014", sono sostituite dalle seguenti: "a decorrere dall'anno 2013".

9. All'articolo 20, del citato decreto-legge n. 98 del 2011 convertito con legge n. 111 del 2011, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al comma 2, le parole: «a decorrere dall'anno 2013», sono sostituite dalle seguenti: «a decorrere dall'anno 2012»;

b) al comma 3, le parole: «a decorrere dall'anno 2013», sono sostituite dalle seguenti: «a decorrere dall'anno 2012»; nel medesimo comma, il secondo periodo è soppresso; nel medesimo comma, al terzo periodo sostituire le parole «di cui ai primi due periodi» con le seguenti: «di cui al primo periodo».


 

 

I commi 8 e 9 dell'articolo 1 recano modifiche all'articolo 20 del decreto-legge n. 98 del 2011[21] (legge n. 111/2011), che ha ridisegnato la disciplina del patto di stabilità interno per le regioni e gli enti locali, ridefinendo e anticipando all’anno 2012 la misura aggiuntiva del concorso finanziario imposto agli enti territoriali per il raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica, introdotta dal comma 5 del citato articolo 20 per gli anni 2013 e successivi (comma 8).

Viene inoltre anticipata all’anno 2012 l’applicazione del meccanismo dei parametri di virtuosità ai fini della distribuzione tra gli enti territoriali degli obiettivi finanziari del Patto, nell’ambito di ciascun livello di governo, secondo la disciplina definita ai commi 2 e 3 del citato articolo 20, che comporta peraltro l’esclusione degli enti collocati nella classe più virtuosa dal concorso alla realizzazione degli obiettivi medesimi (comma 9).

 

In particolare, il comma 8 prevede l’anticipazione all’anno 2012 dell’applicazione delle misure finanziarie introdotte a decorrere dall’anno 2013, dall’articolo 20, comma 5, del decreto-legge n. 98 del 2011, nei confronti degli enti territoriali sottoposti al patto di stabilità interno (regioni, province autonome di Trento e di Bolzano, province e comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti), ridefinendo nei seguenti importi il concorso delle autonomie territoriali alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica a partire dall’anno 2012, in termini di indebitamento di fabbisogno e di indebitamento netto:

a)      per le regioni a statuto ordinario: 1.600 milioni di euro a decorrere dall’anno 2012 (invece di 800 milioni nel 2013 e 1.600 a decorrere dal 2014);

b)      per le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e Bolzano: 2.000 milioni di euro a decorrere dall’anno 2012 (invece di 1.000 milioni per il 2013 e 2.000 a decorrere dal 2014);

c)      per le province: 700 milioni di euro per l’anno 2012 e 800 milioni a decorrere dall’anno 2013 (invece di 400 milioni nel 2013 e 800 a decorrere dal 2014);

d)      per i comuni (con popolazione superiore a 5.000 abitanti): 1.700 milioni di euro per l’anno 2012 e 2.000 milioni a decorrere dall’anno 2013 (invece di 1.000 milioni nel 2013 e 2.000 a decorrere dal 2014).

 

Nel complesso, a seguito delle novelle apportate dal comma 8 in esame, la misura del concorso delle autonomie territoriali alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica per gli anni 2012 e successivi imposto dall’articolo 20, comma 5, del D.L. n. 98/2011, è pari a 6.000 milioni di euro per il 2012 e a 6.400 milioni di euro a decorrere dal 2013.

Rispetto alla misura introdotta dall’articolo 20, comma 5, del D.L. n. 98/2011 - pari a complessivi 3.200 milioni di euro per il 2013 e 6.400 milioni di euro a decorrere dal 2014[22] - il comma 8 in esame dispone dunque un aumento del concorso delle autonomie territoriali alla manovra di finanza pubblica per complessivi 6.000 milioni di euro per l’anno 2012 e per ulteriori 3.200 milioni di euro per l'anno 2013.


Tale ulteriore concorso alla manovra richiesto dal comma in esame è ripartito tra le autonomie territoriali secondo quanto indicato nella seguente tabella riportata nella Relazione tecnica:

(milioni di euro)

 

2012

2013

Regioni statuto ordinario

1.600

800

Autonomie speciali

2.000

1.000

Province

700

400

Comuni > 5.000 ab.

1.700

1.000

Totale

6.000

3.200

 

 

In merito all’inasprimento della manovra a carico degli territoriali prevista dal comma 8, va peraltro ricordato che il comma 12 dell’articolo 1 in esame prevede la possibilità che l’importo della manovra possa essere complessivamente ridotto nel 2012 attraverso l’utilizzo delle maggiori entrate derivanti dalle modifiche alla disciplina dell’addizionale IRES per i soggetti operanti nel settore energetico (c.d. “Robin Tax”), operata dall’articolo 7, comma 6, del provvedimento in esame, alla cui scheda di lettura si rinvia.

 

Il comma 9, modificando i commi 2 e 3 dell’articolo 20 del decreto-legge n. 98 del 2011, provvede altresì ad anticipare di un anno, già a partire dal 2012, l’applicazione del meccanismo di ripartizione degli obiettivi del patto fra le singole amministrazioni sulla base dei parametri di virtuosità ivi previsti, che comporta effetti di minore incidenza finanziaria dei vincoli per gli enti virtuosi e di maggiore incidenza per gli altri enti.

 

In dettaglio, la lettera a) del comma 9 – che interviene sul comma 2 dell'articolo 20 - anticipa all’anno 2012 (anziché 2013, secondo il testo previgente) la ripartizione, con decreto del Ministro dell’economia e finanze, degli enti territoriali sottoposti al patto di stabilità in quattro classi, definite sulla base di dieci parametri di virtuosità, al fine di distribuire il concorso alla realizzazione degli obiettivi finanziari fra gli enti di ciascun singolo livello di governo.

 

Si ricorda che la norma citata indica i seguenti parametri di virtuosità:

a)    prioritaria considerazione della convergenza tra spesa storica e costi e fabbisogni standard;

b)    rispetto del patto di stabilità interno;

c)    incidenza della spesa del personale sulla spesa corrente dell'ente in relazione al numero dei dipendenti in rapporto alla popolazione residente, alle funzioni svolte anche attraverso esternalizzazioni nonché all'ampiezza del territorio; per la valutazione di questo parametro si tiene conto del suo andamento nell'intera legislatura o consiliatura;

d)    autonomia finanziaria;

e)    equilibrio di parte corrente;

f)      tasso di copertura dei costi dei servizi a domanda individuale per gli enti locali;

g)    rapporto tra gli introiti derivanti dall'effettiva partecipazione all'azione di contrasto all'evasione fiscale e i tributi erariali, per le regioni;

h)    effettiva partecipazione degli enti locali all'azione di contrasto all'evasione fiscale;

i)      rapporto tra le entrate di parte corrente riscosse e accertate;

j)      operazioni di dismissioni di partecipazioni societarie nel rispetto della normativa vigente.

 

Ulteriori criteri di virtuosità sono inoltre considerati dal comma 2-bis dell’articolo 20, che fa riferimento ad indicatori quantitativi e qualitativi relativi agli output dei servizi resi (anche utilizzando come parametro di riferimento realtà rappresentative dell’offerta di prestazioni con il miglior rapporto qualità-costi), da applicarsi successivamente alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni e dalla definizione degli obiettivi di servizio - cui gli enti territoriali devono tendere nell’esercizio delle funzioni soggette a livelli essenziali delle prestazioni e delle funzioni fondamentali.

Inoltre, il comma 2-ter prevede che in sede di ripartizione degli enti locali nelle quattro classi di virtuosità venga individuato un coefficiente di correzione che tenga conto, per l'andamento dei parametri nel tempo, del miglioramento conseguito dalle singole amministrazioni rispetto a quelle precedenti.

Si segnala, inoltre, che ai sensi dell’articolo 3, comma 4, del provvedimento in esame, va considerato come elemento di valutazione della virtuosità degli enti territoriali l’adeguamento dei rispettivi ordinamenti al principio secondo cui l’iniziativa e l’attività economica privata sono libere ed è permesso tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge, adeguamento che, ai sensi del comma 1 del suddetto articolo 3, costituisce un obbligo per i comuni, le province e le regioni da adempiere entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto in esame (cfr. la relativa scheda di lettura).

 

Analogamente, la lettera b) del comma 9 – che interviene sul comma 3 dell'articolo 20 del D.L. n. 98 - anticipa all’anno 2012 l’applicazione delle modalità di ripartizione dell’ammontare del concorso alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica fissati con il patto di stabilità tra i vari enti appartenenti al singolo livello di governo (regionale, provinciale e comunale), sulla base della loro collocazione nelle predette quattro classi di virtuosità.

In particolare, il comma dispone che gli enti che risulteranno collocati nella classe più virtuosa, fermo restando l’obiettivo complessivo del comparto, non concorrono alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica – né a quelli fissati dall’articolo 14 del D.L. n. 78 del 2010[23] né agli ulteriori obiettivi di finanza pubblica definiti dal comma 5 dell’articolo 20 del D.L. n. 98/2011, come integrati dal precedente comma 8.

Viene di conseguenza soppressa la disposizione che anticipava per le province il termine di decorrenza della suddetta disposizione al 2012.

 

A seguito dell’anticipazione all’anno 2012 di quanto disposto dal citato comma 3, il riparto del concorso alla manovra indicato nel comma 5 dell’articolo 20 del D.L. n. 98/2011 come integrato dal comma 8 dell’articolo in esame - al pari di quello già previsto dal D.L. n. 78/2010 - grava esclusivamente sugli enti sottoposti al patto collocati nelle classi di virtuosità successive alla prima:

Come già rilevato in occasione dell’analisi del D.L. n. 98/2011[24], si evidenzia che il comma in esame, che provvede a ridefinire l’ammontare complessivo dell’ulteriore concorso dei diversi comparti di enti al perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica introdotto dall’articolo 20, comma 5, del D.L. n. 98, non esplicita i criteri in base ai quali tale peso ulteriore verrà ripartito tra gli enti appartenenti alle altre tre classi di virtuosità ovvero quali regole dovranno essere applicate dagli enti ai loro bilanci per conseguire tali risparmi.

 

Va, infine, ricordato che, ai sensi dell’articolo 16, comma 31, del provvedimento in esame (alla cui scheda di lettura si rinvia), a decorrere dal 2013 saranno sottoposti al patto di stabilità interno i comuni con popolazione superiore a 1.000 abitanti.

Le misure finanziarie imposte agli enti territoriali dal patto di stabilità interno per il raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica, come definite dal D.L. n. 78/2010 e dalle due ultime manovre (decreti-legge n. 98 e 138 del 2011 in esame), riguarderanno, dunque, dal 2013, anche i comuni con popolazione compresa tra 1.001 e 5.000 abitanti, attualmente esclusi.

Inoltre, in base al comma 5 dell’articolo 16 del provvedimento in esame, a decorrere dal 2014 anche le unioni di comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti, costituite ai sensi del comma 1 del predetto articolo 16, saranno sottoposte al patto di stabilità interno, secondo le regole previste per i comuni aventi corrispondente popolazione (cfr. la relativa scheda di lettura).

 

Profili finanziari

 

Il prospetto riepilogativo ascrive alle norme i seguenti effetti sui saldi di finanza pubblica:

 

(milioni di euro)

 

Saldo netto da finanziare

Fabbisogno

Indebitamento netto

Minore spesa corrente

2012

2013

2014

2012

2013

2014

2012

2013

2014

Regioni a S.O.

 

 

 

1.600

800

 

1.600

800

 

Regioni a S.S. e province aut

 

 

 

2.000

1.000

 

2.000

1.000

 

Province

 

 

 

700

400

 

700

400

 

Comuni

> 5000 ab

 

 

 

1.700

1.000

 

1.700

1.000

 

Totale

 

 

 

6.000

3.200

 

6.000

3.200

 

 

 

La relazione tecnica riferita al testo iniziale si limita a confermare che il comma 8 integra il concorso alla manovra di finanza pubblica degli enti territoriali, anticipando al 2012 la decorrenza degli effetti derivanti dall’applicazione delle regole del patto di stabilità interno disposte dal decreto legge n. 98 del 2011. In base a quanto previsto dal testo in esame, le autonomie territoriali concorreranno, complessivamente, per ulteriori 6 miliardi di euro per il 2012 e per ulteriori 3,2 miliardi di euro per l’anno 2013 (con pari effetti sull’indebitamento netto e sul fabbisogno); tale risparmio è ripartito tra le regioni a statuto ordinario, le regioni a statuto speciale, le province e i comuni con popolazione superiore ai 5.000 abitanti.

Si ricorda che l’articolo 16, comma 31, prevede a decorrere dal 2013 l’estensione dell’applicazione del patto di stabilità interno ai comuni con più di 1.000 abitanti. Quelli con meno di 1.000 abitanti, riuniti in unioni di comuni, saranno invece soggetti al patto a decorrere dal 2014 (art. 16, co. 5).

 

Con riferimento al comma 9, volto ad anticipare al 2012 la decorrenza dei criteri di virtuosità ai fini della distribuzione tra gli enti territoriali del concorso al miglioramento della finanza pubblica, la RT si limita ad affermare che la norma non comporta effetti finanziari.

 

 

In merito ai profili di quantificazione, con riferimento alle norme in esame, che sostanzialmente anticipano al 2012 gli effetti delle misure previste dall’articolo 20 del D.L. n. 98/2011, si sono richiamati i medesimi rilievi già formulati in relazione al citato articolo.

In particolare, con riferimento al comma 8, riguardante l’incremento, per il 2012 e il 2013, della manovra a carico delle amministrazioni locali non appartenenti alla prima classe di virtuosità, si è segnalata l’assenza di elementi di valutazione, da parte della relazione tecnica, in ordine ai profili di sostenibilità per le amministrazioni locali degli obiettivi loro assegnati[25]. Si è osservato inoltre che tale inasprimento, non operato attraverso un taglio dei trasferimenti, configura la possibilità di incremento delle posizioni di avanzo che gli enti sono chiamati ad esporre già ai sensi della normativa vigente.

Tali posizioni determinano l’immobilizzo di risorse non utilizzabili, destinate ad accumularsi esercizio dopo esercizio. Ne conseguono possibili profili problematici, sia sotto il profilo dell’efficiente allocazione delle risorse sia sotto quello della permanenza dei risparmi nel lungo periodo. A tale ultimo proposito si rileva che l’accumulo di risorse proprie non spendibili potrebbe costituire la premessa di richieste volte ad ottenere lo sblocco delle risorse.

 

Con riferimento al comma 9 – riguardante l’anticipo al 2012 dei criteri di riparto della manovra fra gli enti sulla base di alcuni parametri di virtuosità, con l’esclusione degli enti appartenenti alla prima classe di virtuosità, a parità degli obiettivi di comparto – si è osservato che la relazione tecnica non fornisce elementi informativi e valutazioni in ordine all’effettiva sostenibilità, da parte degli enti appartenenti a classi di virtuosità diverse dalla prima, dell’ulteriore quota di manovra posta a loro carico. Al fine di mantenere fermi gli obiettivi di comparto, sarà infatti necessario che, dal 2012, i predetti enti si facciano carico dell’intero ammontare cumulato delle tre manovre sopra ricordate, sia con riferimento agli obiettivi del patto di stabilità interno[26] sia con riferimento ai tagli ai trasferimenti operati dalla prima di esse[27]. Si è rilevato, infine, che non risultano esplicitati i criteri in base ai quali l’ulteriore quota di manovra verrà ripartita tra gli enti appartenenti alle classi di virtuosità diverse dalla prima.

 


 

Articolo 1, comma 10
(Anticipazione della manovrabilità dell'addizionale regionale IRPEF)

 

10. All'articolo 6 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al comma 1, primo periodo, le parole: "A decorrere dall'anno 2013", sono sostituite dalle seguenti: "A decorrere dall'anno 2012";

b) al comma 1, lettera a), le parole: "per l'anno 2013", sono sostituite dalle seguenti: "per gli anni 2012 e 2013";

c) al comma 2, le parole: "Fino al 31 dicembre 2012", sono sostituite dalle seguenti: "Fino al 31 dicembre 2011".

 

 

Il comma 10 dell'articolo 1 – modificando l’articolo 6, commi 1 e 2, del decreto legislativo n. 68 del 2011[28] - anticipa all'anno 2012 la possibilità per le regioni di modificare l’aliquota di base dell’addizionale regionale all’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF).

 

Il decreto legislativo n. 68/2011 (in materia di federalismo regionale, provinciale e costi e fabbisogni standard sanitari) individua le fonti di finanziamento delle regioni a statuto ordinario e dispone la contestuale soppressione dei trasferimenti statali.

A tal fine si dispone che sia rideterminata l’addizionale regionale all’Irpef, con corrispondente riduzione delle aliquote Irpef di competenza statale, al fine di mantenere inalterato il prelievo fiscale a carico del contribuente; la rideterminazione deve comunque garantire alle regioni entrate equivalenti alla soppressione sia dei trasferimenti statali che della compartecipazione regionale all’accisa sulla benzina, entrambe disposte dal provvedimento.

In particolare, l’articolo 6 del citato D.Lgs. - oggetto di modifica con le norme in commento – disciplina il potere delle regioni a statuto ordinario di apportare modifiche all’aliquota dell’addizionale regionale IRPEF, nell’ambito dell’autonomia ad esse riconosciuta.

Il comma 1 dell’articolo 6 in primo luogo fissa allo 0,9 per cento la misura dell’aliquota di base dell’addizionale regionale IRPEF. Tale misura opera sino alla successiva rideterminazione di tale aliquota, e, in secondo luogo, attribuisce alle regioni a statuto ordinario la facoltà di modificarla.

 

Per effetto delle modifiche apportate all’articolo 6, comma 1, dalle disposizioni in commento, le regioni a statuto ordinario possono con propria legge aumentare o diminuire l'aliquota dell'addizionale regionale all'IRPEF di base, a decorrere dal 2012 (in luogo del 2013).

Le norme in esame rimodulano inoltre gli incrementi che possono essere apportati, nel tempo, alle aliquote di base. In particolare, l’incremento non può essere superiore:

a)      allo 0,5 per cento, per gli anni 2012 e 2013 (anziché per il solo 2013);

b)      all’1,1 per cento, per l’anno 2014;

c)      al 2,1 per cento, a decorrere dall’anno 2015.

 

Si ricorda che ai sensi dell’articolo 6, comma 1 del D.Lgs. 68/2011 l’aliquota di base è pari allo 0,9 per cento sino a successiva rideterminazione, effettuata con un DPCM da emanare entro il 26 maggio 2012 (articolo 2, comma 1 dello stesso provvedimento).

 

In merito si osserva che le disposizioni in esame non apportano modifiche alla disciplina della rideterminazione dell’aliquota IRPEF recata dall’articolo 2, comma 1 del D.Lgs. 68/2011. Stante l’anticipazione della facoltà delle regioni di operare modifiche – anche in aumento – dell’addizionale IRPEF di rispettiva competenza, sembrerebbe opportuno anticipare altresì il termine per l’emanazione del DPCM di cui al citato articolo 2, col quale – oltre a rideterminare l’aliquota di base dell’addizionale regionale – sono altresì ridotte, per le regioni a statuto ordinario e a decorrere dall'anno di imposta 2013, le aliquote dell'IRPEF di competenza statale, mantenendo inalterato il prelievo fiscale complessivo a carico del contribuente, ai sensi dell’articolo 2, comma 1, ultimo periodo del D.Lgs. 68/2011.

 

Il comma 2 dell’articolo 6 si occupa delle maggiorazioni di aliquote deliberate dalle regioni prima del 27 maggio 2011 (data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 68 del 2011). Per effetto della norma in esame, le maggiorazioni di aliquote deliberate dalle regioni prima del 27 maggio 2011, rimangono confermate fino al 31 dicembre 2011 (anziché fino al 31 dicembre 2012) ferma restando la facoltà di provvedere ad una loro eventuale riduzione.

Profili finanziari

 

Il prospetto riepilogativo non ascrive alla norma effetti finanziari.

 

La relazione tecnica riferita al testo originario afferma che le disposizioni sono funzionali al perseguimento degli obiettivi del patto di stabilità interno e non comportano effetti finanziari aggiuntivi rispetto a quelli indicati dal precedente comma 8 (misura della compartecipazione degli enti territoriali agli obiettivi di finanza pubblica).

 

La relazione tecnica riferita al maxiemendamento afferma che la modifica apportata dal Senato al comma 11 non comporta effetti sui saldi di finanza pubblica, rappresentando una facoltà per i comuni.

 

 

In merito ai profili di quantificazione, non sono state formulate osservazioni.

Si è segnalato, peraltro, che l’affermazione della RT, allegata al testo originario, appare riferibile agli enti locali e alle sole regioni che applicano il patto di stabilità interno in termini di saldo. Per le restanti regioni, per le quali i vincoli sono fissati in termini di spesa, l’utilizzo della leva fiscale appare invece funzionale al reperimento delle risorse necessarie al pieno sfruttamento dei margini di spesa consentiti dal patto.

 


 

Articolo 1, comma 11
(Cessazione della sospensione concernente la facoltà di modificare l'addizionale comunale IRPEF)

 


11. La sospensione di cui all'articolo 1, comma 7, del decreto-legge 27 maggio 2008, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 126, confermata dall'articolo 1, comma 123, della legge 13 dicembre 2010, n. 220, non si applica, a decorrere dall'anno 2012, con riferimento all'addizionale comunale all'imposta sul reddito delle persone fisiche di cui al decreto legislativo 28 settembre 1998, n. 360. È abrogato l'articolo 5 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23; sono fatte salve le deliberazioni dei comuni adottate nella vigenza del predetto articolo 5. Per assicurare la razionalità del sistema tributario nel suo complesso e la salvaguardia dei criteri di progressività cui il sistema medesimo è informato, i comuni possono stabilire aliquote dell'addizionale comunale all'imposta sul reddito delle persone fisiche differenziate esclusivamente in relazione agli scaglioni di reddito corrispondenti a quelli stabiliti dalla legge statale. Resta fermo che la soglia di esenzione di cui al comma 3-bis dell'articolo 1 del decreto legislativo 28 settembre 1998, n. 360, è stabilita unicamente in ragione del possesso di specifici requisiti reddituali e deve essere intesa come limite di reddito al di sotto del quale l'addizionale comunale all'imposta sul reddito delle persone fisiche non è dovuta e, nel caso di superamento del suddetto limite, la stessa si applica al reddito complessivo.


 

 

Il comma 11 dell'articolo 1, modificato durante l’esame parlamentare, prevede la cessazione, dal 2012, della sospensione del potere, in capo ai comuni, di deliberare aumenti dell’aliquota dell’addizionale comunale all’IRPEF.

E’ abrogato l’articolo 5 del decreto legislativo n. 23 del 2011[29] in materia di federalismo fiscale municipale.

Per effetto delle modifiche operate, ai Comuni è concesso di stabilire aliquote differenziate dell’addizionale IRPEF, ma esclusivamente in relazione agli scaglioni di reddito corrispondenti a quelli stabiliti dalla legge statale.

Infine, le norme recano indicazioni interpretative sull’applicazione delle soglie di esenzione dall’addizionale.

 

Più in dettaglio, la norma in esame dispone che dal 2012 sia disapplicata la sospensione del potere, posto in capo ai comuni, di deliberare aumenti dell’addizionale all’IRPEF di propria competenza.

 

Il decreto legislativo n. 360 del 1998 ha istituito una addizionale provinciale e comunale IRPEF, con decorrenza dal 1999. La misura dell’addizionale non può eccedere complessivamente lo 0,8 per cento (art. 1, comma 3, del D.Lgs. 360/1998), salvo deroghe espressamente previste dalla legge.

 

Si tratta della limitazione prevista dall’articolo 1, comma 7, del decreto-legge n. 93 del 2008[30] il quale, dal 29 maggio 2008 (data di entrata in vigore del D.L. 93/2008) e fino alla definizione dei contenuti del nuovo patto di stabilità interno, in funzione dell’attuazione del federalismo fiscale, ha sospeso il potere degli enti territoriali (regioni ed enti locali) di deliberare aumenti dei tributi, delle addizionali, delle aliquote ovvero delle maggiorazioni di aliquote di tributi ad essi attribuiti con legge dello Stato.

 

Tale disciplina non ha modificato le vigenti disposizioni in materia di copertura dei disavanzi delle regioni in materia sanitaria né, per gli enti locali, gli aumenti e le maggiorazioni già previsti dallo schema di bilancio di previsione presentato dall'organo esecutivo all'organo consiliare per l'approvazione.

La sospensione è stata confermata dall’articolo 1, comma 123, della legge di stabilità per il 2011, ovvero la legge n. 220 del 2010[31] che ha tuttavia escluso dal “blocco” alcune forme di imposizione locale.

In particolare, sono esclusi dalla sospensione gli aumenti relativi alla tassa sui rifiuti solidi urbani (TARSU) e gli aumenti relativi alle imposte di cui all’articolo 14, commi 14-18, del D.L. n. 78/2010, la cui manovrabilità, da parte di Roma Capitale, è funzionale al reperimento delle risorse occorrenti al finanziamento di quota parte del piano di rientro dell’indebitamento pregresso del comune medesimo[32], nonché a garantire l’equilibrio economico-finanziario della gestione ordinaria.

 

In passato, la legge finanziaria per il 2003 (L. n. 289/2002, articolo 3, comma 1, lettera a)) aveva disposto la sospensione della possibilità per le regioni (e i comuni) di disporre maggiorazioni dei due tributi principali: l’addizionale regionale (e comunale) all’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) e l’aliquota dell’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP). Tale norma ‘sospendeva’ gli aumenti eventualmente deliberati successivamente al 29 settembre 2002, fino a quando non fosse raggiunto un raccordo tra Stato, regioni ed enti locali sull’attuazione del federalismo fiscale. Dopo successive proroghe disposte dalle leggi finanziarie che si sono succedute, il termine era stato fissato al 31 dicembre 2006 . Dall’esercizio 2007, regioni ed comuni hanno avuto di nuovo la possibilità di aumentare l’addizionale IRPEF e l’aliquota dell’IRAP (le sole regioni).

 

Il secondo periodo del comma in esame dispone l'abrogazione dell’articolo 5 del decreto legislativo n. 23 del 2011 in materia di federalismo fiscale municipale, norma che prevedeva la graduale cessazione del blocco degli aumenti dell’addizionale comunale IRPEF, facendo salve tuttavia le deliberazioni dei comuni già adottate nella vigenza dello stesso articolo.

 

La norma soppressa demandava ad un decreto regolamentare l'individuazione delle modalità relative al graduale sblocco del potere dei comuni di istituire o incrementare l’aliquota dell’addizionale IRPEF, da adottarsi - su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze e d’intesa con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali - entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del D.Lgs. 23/2011. Nel caso di mancata adozione del decreto, era previsto lo sblocco automatico delle aliquote in favore dei comuni che non avessero istituito l’imposta, ovvero che applicassero un’aliquota inferiore allo 0,4%. In favore di detti comuni era consentito l’incremento - fino ad un massimo di 0,2 punti percentuali annui - della misura dell’aliquota applicata entro un limite massimo, per i primi due anni, pari allo 0,4%.

L’articolo stabiliva, infine, che le deliberazioni di incremento dell’addizionale comunale IRPEF per l’anno 2011 non rilevassero ai fini della determinazione dell’acconto d’imposta dovuto entro il 30 novembre 2011.

Si ricorda che, ai sensi dell’articolo 14, comma 8 del D.Lgs. 23/2011 le delibere comunali di variazione dell’aliquota producono effetto con decorrenza dal medesimo anno di pubblicazione sul sito internet: in deroga a tale norma generale, si dispone che le delibere concernenti il periodo d’imposta 2010 producono effetto se pubblicate entro il 31 marzo 2011.

 

L’articolo fa comunque salve le deliberazioni dei comuni adottate nella vigenza del predetto articolo 5.

L’ultimo periodo del comma 11, inserito nel corso dell’esame parlamentare, prevede che i Comuni possano stabilire aliquote differenziate dell’addizionale ma solo in relazione agli scaglioni di reddito corrispondenti a quelli stabiliti dalla legge statale, al fine di assicurare la razionalità del sistema tributario complessivo e salvaguardarne i criteri di progressività.

Si precisa inoltre che la soglia di esenzione che i Comuni possono disporre con propri regolamenti (ai sensi del comma 3-bis dell'articolo 1 del citato D.Lgs. n. 360/1998) sia stabilita unicamente in ragione del possesso di specifici requisiti reddituali.

Tale disposizione riproduce in sostanza la vigente formulazione del comma 3-bis, il quale ancora l’esenzione alla condizione del “possesso di specifici requisiti reddituali”. Dal tenore letterale della disposizione, sembra dunque evincersi che la norma intenda porre un ulteriore limite ai Comuni, nel senso di impedire che essi pongano più gravosi o diversi requisiti – rispetto a quelli reddituali – al fine di applicare l’esenzione dall’addizionale IRPEF.

La norma reca infine alcune indicazioni interpretative del predetto comma 3-bis, precisando che la soglia di esenzione debba essere intesa come limite di reddito al di sotto del quale l'addizionale comunale IRPEF non è dovuta; nel caso di superamento del suddetto limite, l’addizionale si applica al reddito complessivo.

Profili finanziari

In merito ai profili finanziari si veda l’articolo 1, comma 10.


 

Articolo 1, comma 12
(Possibile riduzione dell'onere della manovra posto a carico degli enti territoriali - Disciplina dell'imposta provinciale di trascrizione)

 


12. L'importo della manovra prevista dal comma 8 per l'anno 2012 può essere complessivamente ridotto di un importo fino alla totalità delle maggiori entrate previste dall'articolo 7, comma 6, in considerazione dell'effettiva applicazione dell'articolo 7, commi da 1 a 6, del presente decreto. La riduzione è distribuita tra i comparti interessati con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con la Conferenza unificata. La soppressione della misura della tariffa per gli atti soggetti ad IVA di cui all'articolo 17, comma 6, del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68, nella tabella allegata al decreto ministeriale 27 novembre 1998, n. 435, recante «Regolamento recante norme di attuazione dell'articolo 56, comma 11, del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, per la determinazione delle misure dell'imposta provinciale di trascrizione», ha efficacia a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, anche in assenza del decreto del Ministro dell'economia e delle finanze di cui al citato articolo 17, comma 6, del decreto legislativo n. 68 del 2011. Per tali atti soggetti ad IVA, le misure dell'imposta provinciale di trascrizione sono pertanto determinate secondo quanto previsto per gli atti non soggetti ad IVA. Le province, a decorrere dalla medesima data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, percepiscono le somme dell'imposta provinciale di trascrizione conseguentemente loro spettanti.


 

 

I primi due periodi del comma 12 dell'articolo 1, modificato durante l’esame parlamentare, prevedono la possibilità di ridurre le misure previste a carico degli enti territoriali dal nuovo patto di stabilità interno, per effetto delle maggiori entrate recate dalle modifiche alla disciplina dell’addizionale IRES per i soggetti operanti nel settore energetico, di cui all’articolo 7 del presente provvedimento.

I periodi successivi intervengono invece sulla disciplina dell’imposta provinciale di trascrizione (IPT) stabilendo, sostanzialmente, l’equiparazione della misura di imposta dovuta per gli atti soggetti e non soggetti a IVA, a decorrere dall'entrata in vigore della legge di conversione del decreto in esame.

 

Più in dettaglio, i primi due periodi del comma 12 prevedono la possibilità che l’importo della manovra a carico degli enti territoriali - prevista dal comma 8 dell'articolo in esame per l’anno 2012 - possa essere complessivamente ridotto di un importo che, a seguito delle modifiche apportate al provvedimento durante l’esame parlamentare, può arrivare alla totalità delle maggiori entrate (in luogo del cinquanta per cento di tali somme) previste a seguito delle modifiche alla disciplina dell’addizionale IRES per i soggetti operanti nel settore energetico operata dall’articolo 7, comma 6, del provvedimento in esame.

Detta riduzione verrà ripartita tra i comparti interessati con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, d’intesa con la Conferenza unificata.

 

Si ricorda che il comma 8 dell’articolo in esame prevede il concorso delle autonomie territoriali alla manovra di finanza pubblica per ulteriori 6.000 milioni di euro per l’anno 2012 e 3.200 milioni di euro per l'anno 2013, ripartiti in maniera differenziata tra regioni a statuto ordinario, regioni a statuto speciale e province autonome di Trento e di Bolzano, province e comuni con popolazione superiore ai 5.000 abitanti.

 

L'articolo 7 del provvedimento prevede l’estensione dell’addizionale IRES per i soggetti operanti nel settore energetico introdotta dall’articolo 81, commi da 16 a 18, del decreto legge n. 112 del 2008[33] e l’innalzamento temporaneo dell’aliquota.

In particolare:

-        l’aliquota dell’addizionale per il settore petrolifero, del gas e della energia elettrica (che, a seguito delle modifiche apportate dalla legge 23 luglio 2009, n. 99, è pari al 6,5 per cento) è innalzata al 10,5% per i periodi di imposta dal 2011 al 2013, per le imprese del settore energetico;

-        viene ampliata la platea delle imprese soggette a tale addizionale, in base alla tipologia dell’attività e alle caratteristiche della fonte di produzione dell’energia, nonché in base al volume di ricavi.

Per ulteriori approfondimenti, si rinvia alla scheda di lettura dell’articolo 7.

Il comma 6 dell'articolo 7 prevede che dall'attuazione dello stesso articolo derivino maggiori entrate non inferiori a 1.800 milioni di euro per l’anno 2012 e a 900 milioni di euro per gli anni 2013 e 2014.

 

I periodi dal terzo al quinto del comma 12 recano modifiche all’imposta provinciale di trascrizione.

 

L'imposta provinciale di trascrizione (IPT) è dovuta alla provincia per la maggior parte delle richieste presentate al Pubblico Registro Automobilistico (PRA).

L’articolo 56 del decreto legislativo n. 446 del 1997 ha autorizzato le Province a istituire, con regolamento, l’imposta provinciale sulle formalità di trascrizione, iscrizione e annotazione dei veicoli richieste al pubblico registro automobilistico avente competenza nel proprio territorio. L’imposta è dovuta per ciascun veicolo al momento della richiesta della formalità. Con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze è stabilita la misura dell’imposta provinciale di trascrizione per tipo e potenza dei veicoli; le Province possono deliberare di aumentare l'importo stabilito dal Ministero fino ad un massimo del trenta per cento.

Con il D. M. 27 novembre 1998, n. 435 è stato emanato il regolamento che ha determinato le misure dell'imposta provinciale di trascrizione secondo apposita tariffa. La tabella allegata al suddetto decreto ministeriale prevede, per gli atti soggetti a IVA, che l’IPT sia dovuta in misura fissa per l’importo di lire duecentonovantaduemila (150,80 euro); per gli altri atti, essa è modulata sulla base delle caratteristiche e alla potenza del veicolo.

 

Le disposizioni in esame in sostanza anticipano alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto gli effetti dell’articolo 17, comma 6 del decreto legislativo n. 68 del 2011[34] (in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di costi e fabbisogni standard nel settore sanitario), semplificando gli adempimenti a carico del legislatore.

Il richiamato comma 6 affidava infatti a un decreto del Ministro dell’economia e delle finanze la modifica delle misure dell’imposta provinciale di trascrizione, in modo tale da sopprimere la previsione specifica relativa alla tariffa per gli atti soggetti a IVA e, conseguentemente, rideterminare la relativa misura dell’imposta secondo i criteri vigenti per gli atti non soggetti ad IVA.

Per effetto delle modifiche in commento, anche in assenza di decreto ministeriale, dalla data di entrata in vigore della legge di conversione la parte della tariffa relativa agli atti soggetti a IVA verrà soppressa. Ciò comporta - come precisato dalla relazione tecnica - che la tassazione degli atti soggetti ad IVA avverrà, anziché secondo una tariffa in somma fissa (150,81 euro), in misura modulata sulla base delle caratteristiche di potenza e portata dei veicoli soggetti ad immatricolazione.

 

Si ricorda, su un piano più generale, che l’articolo 17, commi da 6 a 8, del citato D.Lgs. n. 68 del 2011 ha disciplinato le modalità di riordino dell’imposta provinciale di trascrizione – IPT in modo tale da attribuire il relativo gettito alle Province.

Il comma 7 dell’articolo 17 demanda al disegno di legge di stabilità, ovvero al disegno di legge ad essa collegato, il compito di promuovere il riordino dell’IPT, ai sensi di alcuni criteri generali individuati dalla medesima disposizione.

 

L’ultimo periodo del comma 12 prevede inoltre che le province percepiscano le somme dell’IPT loro spettanti di conseguenza a decorrere dall'entrata in vigore della legge di conversione.

 

Il comma 8 del già citato articolo 17 del D.Lgs. 68/2011 precisa che, fino al 31 dicembre 2011, l’imposta provinciale sulle trascrizioni, la cui riscossione viene effettuata dall’ACI, continuerà ad essere attribuita alle Province con le modalità previste dalla vigente normativa.


Profili finanziari

 

Il prospetto riepilogativo, ascrive alla norma i seguenti effetti finanziari:

 

(milioni di euro)

 

Saldo netto da finanziare

Fabbisogno

Indebitamento netto

 

2012

2013

2014

2012

2013

2014

2012

2013

2014

Maggiori spese

 

 

 

1.800

 

 

1.800

 

 

 

 

La relazione tecnica, riferita al testo originario, afferma che la modifica della disciplina per la tassazione IPT degli atti soggetti ad IVA, il cui trattamento fiscale verrà equiparato a quello previsto per gli atti non soggetti ad IVA, comporterà il passaggio dal pagamento di una tariffa in somma fissa (150,81 euro) a quello di una tariffa modulata sulla base delle caratteristiche di potenza e portata dei veicoli soggetti ad immatricolazione con conseguente incremento di gettito a livello provinciale. In sostanza si prevede l'applicazione della predetta tariffa modulata a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto legge anche in assenza del decreto ministeriale di modifica della disciplina.

La RT non ascrive alla disposizione effetti ulteriori potenzialmente già di spettanza delle province, essendo sostanzialmente attuativa di quanto già previsto dall'articolo 17, comma 6, del decreto legislativo n. 68 del 2011.

 

In merito ai profili di quantificazione, con riferimento alla possibilità di destinazione delle maggiori entrate derivanti dall’attuazione dell’articolo 7 del decreto in esame alla riduzione degli obiettivi inerenti il PSI, si è fatto rinvio a quanto osservato in sede di esame del predetto articolo 7, in particolare in merito ai possibili profili critici inerenti le modalità attuative del meccanismo di certificazione e utilizzo di dette maggiori entrate in corso d’esercizio.

Non si sono formulate osservazioni in merito alla modifica relativa all'imposta provinciale di trascrizione trattandosi di una norma di carattere procedurale inerente ad una fattispecie già prevista dall’ordinamento vigente.

 


 

Articolo 1, commi da 12-bis a 12-quater
(Partecipazione dei comuni all’accertamento tributario)

 


12-bis. Al fine di incentivare la partecipazione dei comuni all'attività di accertamento tributario, per gli anni 2012, 2013 e 2014, la quota di cui all'articolo 2, comma 10, lettera b), del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, è elevata al 100 per cento.

12-ter. Al fine di rafforzare gli strumenti a disposizione dei comuni per la partecipazione all'attività di accertamento tributario, all'articolo 44 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al comma secondo, dopo le parole: «dei comuni» sono inserite le seguenti: «e dei consigli tributari» e dopo le parole: «soggetti passivi» sono inserite le seguenti: «nonché ai relativi consigli tributari»;

b) al comma terzo, la parola: «segnala» è sostituita dalle seguenti: «ed il consiglio tributario segnalano»;

c) al comma quarto, la parola: «comunica» è sostituita dalle seguenti: «ed il consiglio tributario comunicano»;

d) al comma quinto, la parola: «può» è sostituita dalle seguenti: «ed il consiglio tributario possono»;

e) è aggiunto, in fine, il seguente comma:

«Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con la Conferenza Stato-Città ed autonomie locali, sono stabiliti criteri e modalità per la pubblicazione, sul sito del comune, dei dati aggregati relativi alle dichiarazioni di cui al comma secondo, con riferimento a determinate categorie di contribuenti ovvero di reddito. Con il medesimo decreto sono altresì individuati gli ulteriori dati che l'Agenzia delle entrate mette a disposizione dei comuni e dei consigli tributari per favorire la partecipazione all'attività di accertamento, nonché le modalità di trasmissione idonee a garantire la necessaria riservatezza».

12-quater. Le disposizioni di cui ai commi 12, primo periodo, e 12-bis non trovano applicazione in caso di mancata istituzione entro il 31 dicembre 2011, da parte dei comuni, dei consigli tributari.


 

 

I commi da 12-bis a 12-quater recano disposizioni volte complessivamente ad incentivare la partecipazione dei comuni all’attività di accertamento tributario.

 

In particolare, il comma 12-bis attribuisce ai comuni, per il triennio 2012-2014, l’intero ammontare del maggior gettito ottenuto a seguito dell'intervento degli stessi nell’attività di accertamento.

Il comma 12-ter modifica le norme che regolano l’accertamento delle imposte sui redditi al fine di rafforzare i poteri svolti in tale ambito dai Consigli Tributari. Sono inoltre previste nuove modalità di pubblicazione dei dati relativi alle dichiarazioni sul sito del comune.

Il comma 12-quater condiziona l’attribuzione ai comuni di risorse derivanti dal gettito fiscale - disposte dai commi 12 e 12-bis – alla costituzione, entro il 31 dicembre 2011, dei Consigli Tributari.

Partecipazione dei comuni all’accertamento

Come già anticipato supra, il comma 12-bis attribuisce ai comuni, per il triennio 2012-2014, l’intero ammontare del maggior gettito ottenuto a seguito dell'intervento degli stessi nell’attività di accertamento.

 

A tal fine è innalzata la quota prevista dall’articolo 2, comma 10, lettera b) del D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23 (in materia di federalismo municipale).

 

Il richiamato comma 10 reca disposizioni dirette a potenziare l’attività di gestione delle entrate comunali, nonché l’attività di accertamento da parte dei comuni.

In particolare, la lettera b) cui si riferisce la norma in commento ha elevato dal 33 al 50 per cento la quota del maggior gettito ottenuto a seguito dell'intervento del comune nell’attività di accertamento, riconosciuta agli enti locali ai sensi dell’art. 1, comma 1, D.L. 203/2005[35].

Nella sua formulazione originaria, l’articolo 1, comma 1 del D. L. 203/2005 disponeva l’attribuzione ai Comuni di una quota pari al 30 per cento delle maggiori somme riscosse; tale ammontare era stato poi elevato al 33 per cento dall’articolo 18, comma 5, lettera a) del D.L. n. 78 del 2010[36], disposizione che ha inoltre riferito la partecipazione dei comuni all'attività di contrasto all'evasione, oltre che all'accertamento fiscale, anche a quello contributivo e ha disposto il riconoscimento della quota di gettito anche in riferimento alle sanzioni civili applicate sui maggiori contributi riscossi a titolo definitivo.

L’articolo 2, comma 10, lettera b) testé richiamato ha attribuito ai comuni - in via provvisoria - anche delle somme “riscosse a titolo non definitivo”, fermo restando il recupero delle stesse qualora esse siano rimborsate ai contribuenti a qualunque titolo. Le modalità di recupero delle suddette somme saranno disciplinate con decreto del MEF da emanare sentita la Conferenza Stato-città ed autonomie locali.

Con Decreto del Direttore generale delle Finanze e del Ragioniere generale dello Stato del 15 luglio 2011 sono stati fissati i criteri per la determinazione dell'importo netto da erogare ai comuni che abbiano partecipato all'accertamento fiscale e contributivo; tali criteri vengono individuati in rapporto alle varie imposte e/o contributi e comportano un’applicazione differenziata secondo l’ubicazione dei comuni (in regioni a statuto ordinario o speciale).

 

In sostanza, per effetto delle disposizioni in commento, per gli anni 2012, 2013 e 2014 ai comuni andrà l’intero maggior gettito ottenuto a seguito dell’intervento svolto dall’ente stesso nell’attività di accertamento, anche se si tratta di somme riscosse a titolo non definitivo e fermo restando il successivo recupero delle stesse ove rimborsate ai contribuenti a qualunque titolo.

 

Tra gli altri strumenti di potenziamento dell’attività di gestione delle entrate comunali e dell’attività di accertamento fiscale, l’articolo 2, comma 10 del D.Lgs. 23/2011 contempla:

§       l’attribuzione al comune interessato del maggior gettito derivante dall’accatastamento degli immobili non dichiarati in catasto;

§       il riconoscimento ai comuni di un maggiore potere di accesso ai dati contenuti nell’anagrafe tributaria e a qualsiasi altra banca dati pubblica, limitatamente alle informazioni concernente gli immobili del proprio territorio ovvero i soggetti con domicilio fiscale nel comune, purché utile ai fini dell’attività di contrasto all’evasione fiscale;

§       l’integrazione tra il sistema informativo della fiscalità con i dati relativi alla fiscalità locale, previa intesa con l’ANCI (Associazione Nazionale Comuni Italiani), al fine di assicurare ai comuni i dati, le informazioni ed i servizi necessari per la gestione della imposta municipale propria e dell’imposta municipale secondaria facoltativa nonché per la formulazione delle previsioni di entrate.

Consigli tributari

Il comma 12-ter modifica le norme che regolano l’accertamento delle imposte sui redditi al fine di rafforzare i poteri svolti in tale ambito dai Consigli Tributari. Sono inoltre previste nuove modalità di pubblicazione dei dati relativi alle dichiarazioni sul sito del comune.

 

Nel dettaglio, è modificato l’articolo 44 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600[37].

Le lettere da a) a d) rafforzano i poteri dei Consigli Tributari.

Si ricorda in proposito che l’articolo 18, comma 2 del già richiamato D.L. 78/2010 ha previsto l’istituzione obbligatoria dei Consigli Tributari, con le seguenti modalità:

-        per i Comuni con popolazione superiore a cinquemila abitanti, mediante regolamento del Consiglio comunale (da adottarsi entro il 90 giorni dall'entrata in vigore del decreto-legge, cioè entro il 28 agosto 2010);

-        per i Comuni con popolazione inferiore a cinquemila abitanti, mediante costituzione di un consorzio obbligatorio (ai sensi dell'articolo 31 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, recante il Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali – TUEL), con obbligo di deliberare lo statuto e la convenzione del consorzio obbligatorio entro 180 giorni dall'entrata in vigore del decreto, ovvero entro il 26 novembre 2010.

Il richiamato comma 2 non prevede sanzioni per la mancata deliberazione.

Gli adempimenti organizzativi legati all’istituzione dei Consigli (articolo 18, comma 2-bis) devono essere svolti con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente. In occasione della loro prima seduta, successiva alla data di entrata in vigore del presente decreto, i Consigli tributari deliberano in ordine alle forme di collaborazione con l'Agenzia del territorio ai fini dell’attuazione del monitoraggio del territorio volto ad individuare i fabbricati non dichiarati al Catasto.

Con la nota diffusa l’8 settembre 2010, l’ANCI – Associazione Nazionale Comuni Italiani e l’IFEL – Istituto per la Finanza e l’Economia Locale hanno emanato una nota relativa agli adempimenti derivanti dalla nuova disciplina della partecipazione all’accertamento recata dal citato articolo 18, decreto legge 30 maggio 2010, n. 78, con particolare attenzione a quelli relativi ai Consigli Tributari, evidenziandone gli aspetti problematici.

L’ANCI ha sottolineato che – a fronte della predetta obbligatorietà – la predetta norma non si preoccupa di disciplinare la natura, il ruolo e le funzioni del Consiglio, che resta pertanto definito dall’unica norma vigente in materia, il decreto legislativo Luogotenenziale n. 77 dell’8 marzo 1945, che istituisce e disciplina i predetti Consigli in seno ai Comuni.

Nella nota dell’ANCI si precisa che il D.Lgs.Lgt. n. 77 risulterebbe ampiamente inapplicabile, per motivi legati – tra l’altro – all’attribuzione di funzioni strettamente legate a concetti obsoleti (quali la tenuta degli elenchi dei contribuenti ai fini delle imposte dirette), ai poteri di indagine analoghi a quelli erariali; alle procedure di istruttoria ed audizione diretta del contribuente strettamente regolamentate.

Tale quadro, anche per le parti applicabili, “configurerebbe un evidente rischio di sovrapposizione di funzioni programmatorie e gestionali che nell’attuale regime tributario sono assegnate al Governo, alle Agenzie fiscali, agli organi elettivi ed esecutivi locali ed agli uffici locali delle entrate”.

Alcuni comuni hanno provveduto a istituire i predetti Consigli sulla base dell’attuale normativa, regolamentandoli autonomamente, qualificandoli in senso consultivo e tenendo conto degli elementi direttamente applicabili recati dall’articolo 18 del D.L. 78/2010[38].

 

Nel dettaglio:

§       la lettera a) novella il secondo comma dell’articolo 44, prevedendo che i Consigli Tributari, e non solo i comuni, siano destinatari di appositi obblighi informativi posti a carico dell’Agenzia delle Entrate. In particolare, l'Agenzia delle Entrate deve mettere a disposizione anche dei Consigli Tributari, e non solo dei Comuni, le dichiarazioni delle persone fisiche contribuenti in essi residenti. Inoltre, gli Uffici dell'Agenzia delle Entrate, prima della emissione degli avvisi di accertamento sintetico (ai sensi dell'articolo 38, quarto comma e seguenti del medesimo D.P.R. 600/1973), inviano una segnalazione ai Consigli Tributari, oltre che ai comuni, di domicilio fiscale dei soggetti passivi;

§       la lettera b) novella il terzo comma dell’articolo 44 intestando al Consiglio Tributario specifici obblighi di segnalazione all’Agenzia delle Entrate. Nel dettaglio, anche il Consiglio Tributario, oltre al comune di domicilio fiscale del contribuente e il consorzio cui partecipa l’ente territoriale, è tenuto a segnalare all’Amministrazione qualsiasi integrazione degli elementi contenuti nelle dichiarazioni presentate dalle persone fisiche, indicando dati, fatti ed elementi rilevanti e fornendo ogni idonea documentazione atta a comprovarla.

Si ricorda in proposito che l’articolo 18, comma 4, lettera b) del D.L. 78/2010 aveva modificato il comma terzo dell’articolo 44, eliminando il riferimento all’obbligo del comune di avvalersi della collaborazione del consiglio tributario, se istituito, nell’ottemperare agli obblighi di segnalazione.

§      la lettera c) novella il quarto comma dell’articolo 44, prevedendo che anche il Consiglio Tributario, oltre che il Comune, con riferimento agli accertamenti segnalati dall'Agenzia delle entrate, comunichi - entro sessanta giorni dal ricevimento della segnalazione - ogni elemento in suo possesso utile alla determinazione del reddito complessivo;

§      la lettera d) modifica il quinto comma dell’articolo 44, attribuendo anche al Consiglio Tributario, e non al solo comune, il potere di richiedere dati e notizie alle amministrazioni ed enti pubblici (che hanno obbligo di rispondere gratuitamente) per i predetti adempimenti di segnalazione e comunicazione nei confronti dell’Agenzia delle Entrate previsti dal terzo e quarto comma dell’articolo 44.

Pubblicazione dei dati relativi alle dichiarazioni dei contribuenti

La lettera e) del comma 12-ter aggiunge un comma alla fine dell’articolo 44, con il quale si demanda a un decreto del presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con la Conferenza Stato- Città ed autonomie locali, la determinazione di criteri e modalità per la pubblicazione, sul sito del comune, dei dati aggregati relativi alle dichiarazioni dei contribuenti residenti, con riferimento a determinate categorie di contribuenti ovvero di reddito.

Con il medesimo decreto sono altresì individuati gli ulteriori dati che l'Agenzia delle entrate mette a disposizione dei Comuni e dei Consigli tributari per favorire la partecipazione all'attività di accertamento, nonché le modalità di trasmissione idonee a garantire la necessaria riservatezza.

 

La normativa in materia di accesso agli elenchi dei contribuenti è stata modificata, da ultimo, con l’articolo 42 del D.L. 112/2008[39], il quale ha novellato ed integrato sia l’articolo 69 del D.P.R. n. 600 del 1973 (in tema di imposte sui redditi), sia l’articolo 66-bis del D.P.R. n. 633 del 1972 (in materia di IVA), con l’esplicito scopo di attuare il principio di trasparenza nell'ambito dei rapporti fiscali, in coerenza con la disciplina prevalente negli altri Stati comunitari, nel rispetto del codice per la protezione dei dati personali (codice della privacy) di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196.

Il vigente articolo 69 del D.P.R. n. 600 del 1973 (come novellato dall’articolo 42 del D.L. 112/2008) prevede che il Ministro delle finanze disponga annualmente la pubblicazione degli elenchi dei contribuenti il cui reddito imponibile è stato accertato dagli uffici delle imposte dirette, nonché di quelli sottoposti a controlli globali, a sorteggio, a norma delle vigenti disposizioni nell'ambito dell'attività di programmazione svolta dagli uffici nell'anno precedente. Negli elenchi deve essere specificato se gli accertamenti sono definitivi o in contestazione e devono essere indicati, in caso di rettifica, anche gli imponibili dichiarati dai contribuenti. Negli elenchi sono compresi tutti i contribuenti che non hanno presentato la dichiarazione dei redditi, nonché i contribuenti nei cui confronti sia stato accertato un maggior reddito imponibile superiore a determinate soglie. Il centro informativo delle imposte dirette, entro il 31 dicembre dell'anno successivo a quello di presentazione delle dichiarazioni dei redditi, forma, per ciascun comune, i seguenti elenchi nominativi da distribuire agli uffici delle imposte territorialmente competenti:

§         elenco nominativo dei contribuenti che hanno presentato la dichiarazione dei redditi;

§         elenco nominativo dei soggetti che esercitano imprese commerciali, arti e professioni.

Con apposito decreto del Ministro delle finanze sono annualmente stabiliti i termini e le modalità per la formazione di tali elenchi, che sono depositati per un anno sia presso lo stesso ufficio delle imposte, sia presso i Comuni interessati. Nel predetto periodo è ammessa la visione e l'estrazione di copia degli elenchi nei modi e con i limiti stabiliti dalla disciplina in materia di accesso ai documenti amministrativi.

Fuori dei predetti casi, la comunicazione o diffusione, totale o parziale, con qualsiasi mezzo, degli elenchi o di dati personali ivi contenuti, ove il fatto non costituisca reato, è punita con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da cinquemila euro a trentamila euro. La somma può essere aumentata sino al triplo quando risulta inefficace in ragione delle condizioni economiche del contravventore. Ai comuni che dispongono di apparecchiature informatiche, i dati potranno essere trasmessi su supporto magnetico ovvero mediante sistemi telematici.

Analogamente, l’articolo 66-bis del D.P.R. n. 633 del 1972 (anch’esso novellato dall’articolo 42 del D.L. 112/2008[40]) stabilisce che il Ministro delle finanze dispone annualmente la pubblicazione di elenchi di contribuenti nei cui confronti l'ufficio dell'IVA ha proceduto a rettifica o ad accertamento. Sono ricompresi nell'elenco solo quei contribuenti che non hanno presentato la dichiarazione annuale e quelli dalla cui dichiarazione risulta un'imposta inferiore di oltre un decimo a quella dovuta ovvero un'eccedenza detraibile o rimborsabile superiore di oltre un decimo a quella spettante. Negli elenchi deve essere specificato se gli accertamenti sono definitivi o in contestazione e deve essere indicato, in caso di rettifica, anche il volume di affari dichiarato dai contribuenti. Gli uffici dell’amministrazione finanziaria formano annualmente, per ciascuna provincia compresa nella propria circoscrizione, un elenco nominativo dei contribuenti che hanno presentato la dichiarazione annuale ai fini dell'imposta sul valore aggiunto, con la specificazione, per ognuno, del volume di affari. Gli elenchi sono depositati per la durata di un anno sia presso lo stesso ufficio delle imposte, sia presso i Comuni interessati. Nel predetto periodo, è ammessa la visione e l'estrazione di copia degli elenchi nei modi e con i limiti stabiliti dalla disciplina in materia di accesso ai documenti amministrativi Gli stessi uffici formano inoltre un elenco cronologico contenente i nominativi dei contribuenti che hanno richiesto i rimborsi dell'imposta sul valore aggiunto e di quelli che li hanno ottenuti. Fuori dei casi previsti dai commi precedenti, la comunicazione o diffusione, totale o parziale, con qualsiasi mezzo, degli elenchi o di dati personali ivi contenuti, ove il fatto non costituisca reato, è punita con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da cinquemila euro a trentamila euro. La somma può essere aumentata sino al triplo quando risulta inefficace in ragione delle condizioni economiche del contravventore.

 

In sostanza, il richiamato articolo 42 del D.L. 112/2008 ha introdotto la citata disciplina sulla visione ed estrazione di copia degli elenchi, ha previsto sanzioni per l’indebita comunicazione o diffusione degli elenchi o dei dati personali ivi contenuti. Inoltre, per quanto riguarda gli elenchi IVA, l’attività degli uffici è stata limitata alla “formazione” degli elenchi, eliminando il riferimento alla “pubblicazione” dei medesimi.

 

Si ricorda che, a seguito della pubblicazione nel sito Internet dell’Agenzia delle entrate degli elenchi nominativi dei contribuenti che hanno presentato le dichiarazioni dei redditi e le dichiarazioni IVA relativamente all’anno 2005, il Garante per la protezione dei dati personali, con provvedimento del 6 maggio 2008 (pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n. 107 dell’8 maggio 2008), oltre a confermare la sospensione della pubblicazione degli elenchi disposta con proprio provvedimento del 30 aprile 2008, ha affermato che “il provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate poteva stabilire solo «i termini e le modalità» per la formazione degli elenchi. La conoscibilità di questi ultimi è infatti regolata direttamente da disposizione di legge che prevede, quale unica modalità, la distribuzione di tali elenchi ai soli uffici territorialmente competenti dell'Agenzia e la loro trasmissione, anche mediante supporti magnetici ovvero sistemi telematici, ai soli comuni interessati, in entrambi i casi in relazione ai soli contribuenti dell'ambito territoriale interessato. Ciò, come sopra osservato, ai fini del loro deposito per la durata di un anno e della loro consultazione - senza che sia prevista la facoltà di estrarne copia - da parte di chiunque. Il Codice dell'amministrazione digitale, incentiva l'uso delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione nell'utilizzo dei dati delle pubbliche amministrazioni. Tuttavia, il Codice stesso fa espressamente salvi i limiti alla conoscibilità dei dati previsti da leggi e regolamenti, nonché le norme e le garanzie in tema di protezione dei dati personali (articoli 2, comma 5 e 50 decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82). La predetta messa in circolazione in Internet dei dati, oltre a essere di per sé illegittima perché carente di una base giuridica e disposta senza metterne a conoscenza il Garante, ha comportato anche una modalità di diffusione sproporzionata in rapporto alle finalità per le quali l'attuale disciplina prevede una relativa trasparenza. I dati sono stati resi consultabili non presso ciascun ambito territoriale interessato, ma liberamente su tutto il territorio nazionale e all'estero. L'innovatività di tale modalità, emergente dalle stesse deduzioni dell'Agenzia, non traspariva dalla generica informativa resa ai contribuenti nei modelli di dichiarazione per l'anno 2005. L'Agenzia non ha previsto «filtri» nella consultazione on-line e ha reso possibile ai numerosissimi utenti del sito salvare una copia degli elenchi con funzioni di trasferimento file. La centralizzazione della consultazione a livello nazionale ha consentito ai medesimi utenti, già nel ristretto numero di ore in cui la predetta sezione del sito web é risultata consultabile, di accedere a innumerevoli dati di tutti i contribuenti, di estrarne copia, di formare archivi, modificare ed elaborare i dati stessi, di creare liste di profilazione e immettere tali informazioni in ulteriore circolazione in rete, nonché, in alcuni casi, in vendita. Con ciò ponendo anche a rischio l'esattezza dei dati e precludendo ogni possibilità di garantire che essi non siano consultabili trascorso l'anno previsto dalla menzionata norma. Infine, va rilevato che questa Autorità non é stata consultata preventivamente dall'Agenzia stessa, come prescritto rispetto ai regolamenti e agli atti amministrativi attinenti alla protezione dei dati personali (art. 154, comma 4, del Codice)”.

 

Da ultimo il comma 12-quater condiziona l’applicazione di alcune disposizioni che attribuiscono risorse ai Comuni all’istituzione dei Consigli tributari entro il 31 dicembre 2011.

Si tratta, nel dettaglio:

§       delle disposizioni di cui al comma 12, primo periodo, del provvedimento in esame (alla cui scheda di lettura si rinvia) che prevede la possibilità di ridurre le misure previste a carico degli enti territoriali dal nuovo patto di stabilità interno, per effetto delle maggiori entrate recate dalle modifiche alla disciplina dell’addizionale IRES per i soggetti operanti nel settore energetico, di cui all’articolo 7 del provvedimento in esame;

§       delle norme di cui al sopra illustrato comma 12-bis, attribuisce ai comuni, per il triennio 2012-2014, l’intero ammontare del maggior gettito ottenuto a seguito dell'intervento degli stessi nell’attività di accertamento, in luogo del cinquanta per cento delle somme riscosse.

Profili finanziari

 

Il prospetto riepilogativo non ascrive alle norme effetti sui saldi di finanza pubblica.

 

La relazione tecnica riferita al maxiemendamento approvato in prima lettura dal Senato afferma che l’innalzamento della quota di maggiori entrate da accertamento devoluta ai comuni è suscettibile di potenziare l’attività di contrasto all’evasione fiscale, anche in considerazione del fatto che i comuni, data la vicinanza al territorio, possono intercettare fattispecie non immediatamente individuabili dall’amministrazione centrale e, dunque, aggiuntive rispetto all’ordinaria attività di accertamento.

L’innalzamento della quota di compartecipazione rispetto a quella in precedenza in vigore non comporta, d’altro canto, oneri per la finanza pubblica, essendo tale compartecipazione commisurata alle maggiori entrate riscosse a seguito della partecipazione dei comuni all’attività di accertamento e, quindi, a risorse ulteriori rispetto a quelle scontate nelle previsioni di entrata.

La relazione precisa, altresì, che, in ogni caso le attività svolte dai comuni saranno realizzate nell’ambito delle risorse finanziarie, umane e strumentali disponibili a legislazione vigente.

La relazione tecnica riferita al testo definitivo ripropone i medesimi elementi contenuti nella precedente RT.

 

In merito ai profili di quantificazione non sono state formulate osservazioni.


 

Articolo 1, comma 13
(Trasporto pubblico locale)

 


13. All'articolo 21, comma 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito con modificazioni dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, sono aggiunti, in fine, i seguenti periodi: «Dall'anno 2012 il fondo di cui al presente comma è ripartito, d'intesa con la Conferenza Stato-regioni, sulla base di criteri premiali individuati da un'apposita struttura paritetica da istituire senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. La predetta struttura svolge compiti di monitoraggio sulle spese e sull'organizzazione del trasporto pubblico locale. Il 50 per cento delle risorse può essere attribuito, in particolare, a favore degli enti collocati nella classe degli enti più virtuosi; tra i criteri di virtuosità è comunque inclusa l'attribuzione della gestione dei servizi di trasporto con procedura ad evidenza pubblica.».


 

 

Il comma 13 reca una novella al comma 3 dell’articolo 21 del decreto-legge 98/2011[41] - istitutivo di un Fondo per il finanziamento del trasporto pubblico locale, anche ferroviario, nelle regioni a statuto ordinario – al fine di disciplinare nel dettaglio la ripartizione di detto Fondo. Esso presenta una dotazione di 400 milioni di euro annui a decorrere dal 2011, il cui utilizzo è escluso dai vincoli del Patto di stabilità.

 

Si ricorda che, con l’accordo Stato-regioni e province autonome del 16 dicembre 2010, il Governo ha assunto l’impegno ad operare un reintegro di 400 milioni di euro per l’anno 2011, per le esigenze di trasporto pubblico locale, dei trasferimenti alle regioni a statuto ordinario già oggetto di riduzione ai sensi dell’articolo 14, commi 1 e 2, del decreto-legge n. 78 del 2010[42]. A questo scopo, l’articolo 40 del D.Lgs. n. 68 del 2011[43] (comma 2) ha corrispondentemente previsto tale reintegro, provvedendo contestualmente (comma 3) a garantirne l’esclusione dalla disciplina del patto di stabilità interno, esclusivamente per l’anno 2011.

 

Le nuove disposizioni prevedono in particolare che dall’anno 2012 il fondo per il finanziamento del trasporto pubblico locale sia ripartito, d’intesa con la Conferenza Stato-Regioni, sulla base di criteri premiali individuati da un’apposita struttura paritetica da istituire senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica (primo periodo).

La predetta struttura è inoltre chiamata a svolgere compiti di monitoraggio sulle spese e sull’organizzazione del trasporto pubblico locale (secondo periodo).

L’ultimo periodo prevede la possibilità di attribuire il 50 per cento delle risorse del Fondo a favore degli enti collocati nella classe degli enti più virtuosi, includendo in ogni caso, tra gli altri criteri di virtuosità, l’attribuzione della gestione dei servizi di trasporto con procedura ad evidenza pubblica.

Quest’ultima disposizione può essere posta in relazione con l’introduzione, all’articolo 4 del decreto-legge in esame, dell'affidamento dei servizi pubblici locali aventi rilevanza economica - per la sola parte del trasporto pubblico non ferroviario regionale - mediante attribuzione di diritti di esclusiva ovvero affidamento a società c.d. “in house” (cfr. scheda di lettura), prevedendo un favor per l’attribuzione della gestione dei servizi con procedura ad evidenza pubblica.

 

Va segnalato che il testo originale del decreto legge prevedeva l’obbligo – anziché, come ora previsto, la facoltà - di assegnare il 50 per cento delle risorse del Fondo agli enti più virtuosi.

Profili finanziari

 

Il prospetto riepilogativo non considera la norma.

 

La relazione tecnica riferita al testo originario afferma che la norma non determina effetti finanziari negativi, trattandosi di ripartizione di risorse già previste a legislazione vigente.

 

La relazione tecnica riferita al maxiemendamento conferma l’assenza di effetti onerosi, precisando che la modifica apportata al testo originario (facoltatività dell’attribuzione agli enti più virtuosi del 50 per cento delle risorse del Fondo) è volta a consentire una maggiore autonomia decisionale e flessibilità alla Conferenza Stato-regioni.

 

In merito ai profili di quantificazione, si è rilevata l’opportunità che la clausola di non onerosità per la finanza pubblica, riferita all’istituzione della struttura paritetica incaricata di definire meccanismi premiali, fosse suffragata, ai sensi dell’articolo 17, comma 7, della legge n. 196/2009, da dati ed elementi di verifica e di valutazione circa le esigenze organizzative e finanziarie connesse al funzionamento dell’organismo e alle risorse già disponibili con le quali farvi fronte. Tali elementi sono parsi necessari anche in considerazione dei compiti di monitoraggio, sulle spese e sull’organizzazione del trasporto pubblico locale, affidati alla struttura.

 


 

Articolo 1, comma 14
(Bilancio degli enti sottoposti alla vigilanza dello Stato)

 


14. All'articolo 15 del citato decreto-legge n. 98 del 2011 convertito con legge n. 111 del 2011, dopo il comma 1, è inserito il seguente: "1-bis. Fermo quanto previsto dal comma 1, nei casi in cui il bilancio di un ente sottoposto alla vigilanza dello Stato non sia deliberato nel termine stabilito dalla normativa vigente, ovvero presenti una situazione di disavanzo di competenza per due esercizi consecutivi, i relativi organi, ad eccezione del collegio dei revisori o sindacale, decadono ed è nominato un commissario con le modalità previste dal citato comma 1; se l'ente è già commissariato, si procede alla nomina di un nuovo commissario. Il commissario approva il bilancio, ove necessario, e adotta le misure necessarie per ristabilire l'equilibrio finanziario dell'ente; quando ciò non sia possibile, il commissario chiede che l'ente sia posto in liquidazione coatta amministrativa ai sensi del comma 1. Nell'ambito delle misure di cui al precedente periodo il commissario può esercitare la facoltà di cui all'articolo 72, comma 11, del decreto-legge 25 giugno 2008, n 112, convertito con legge 6 agosto 2008, n. 133, anche nei confronti del personale che non abbia raggiunto l'anzianità massima contributiva di quaranta anni.".


 

 

L'articolo 1, comma 14, apporta modifiche alla nuova disciplina sulla liquidazione degli enti dissestati, recentemente introdotta dal decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98[44], prevedendo la decadenza degli organi (con esclusione del collegio dei revisori o sindacale) degli enti sottoposti alla vigilanza dello Stato, in caso di mancata deliberazione del bilancio consuntivo nel termine stabilito dalla normativa vigente ovvero di realizzazione di disavanzi di competenza per due esercizi consecutivi.

 

L'articolo 15, comma 1, del suddetto D.L. 98/2011 ha infatti introdotto una disciplina generale per i casi di dissesto degli enti sottoposti alla vigilanza dello Stato, restando comunque salva la disciplina speciale vigente per determinate categorie di enti pubblici. Il comma medesimo non trova applicazione nei confronti degli enti territoriali[45] e degli enti del Servizio sanitario nazionale.

Tale disciplina trova applicazione quando:

§      la situazione economica, finanziaria e patrimoniale dell'ente raggiunga un livello di criticità tale da non potere assicurare la sostenibilità e l’assolvimento delle funzioni indispensabili, ovvero

§      l’ente stesso non possa far fronte ai debiti liquidi ed esigibili nei confronti dei terzi.

§      In tal caso, con decreto del Ministro vigilante, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze:

§      l’ente è posto in liquidazione coatta amministrativa;

§      i relativi organi decadono;

§      è nominato un commissario.

Il commissario provvede alla liquidazione dell’ente, non procede a nuove assunzioni, neanche per la sostituzione di personale in posti che si rendono vacanti, e provvede all’estinzione dei debiti esclusivamente nei limiti delle risorse disponibili alla data della liquidazione ovvero di quelle che si ricavano dalla liquidazione del patrimonio dell’ente; ogni atto adottato o contratto sottoscritto in violazione di tali disposizioni è nullo.

Le funzioni, i compiti ed il personale a tempo indeterminato dell’ente sono allocati, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro vigilante di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, nel Ministero vigilante, in altra pubblica amministrazione, ovvero in una agenzia, con la conseguente attribuzione di risorse finanziarie comunque non superiori alla misura del contributo statale già erogato in favore dell’ente; il personale trasferito mantiene il trattamento economico fondamentale ed accessorio (eventualmente con assegno ad personam, se il trattamento medesimo è superiore a quello previsto nell’ente di destinazione), limitatamente alle voci fisse e continuative, corrisposto al momento del trasferimento nonché l’inquadramento previdenziale.

 

La disposizione in esame inserisce, dopo il menzionato comma 1 dell'art. 15 del decreto-legge 98/2011, un nuovo comma 1-bis che, fermo quanto previsto dal comma 1, prevede la decadenza degli organi degli enti sottoposti alla vigilanza dello Stato (ad eccezione del collegio dei revisori o sindacale) e la nomina di un commissario nei casi in cui il bilancio:

§      non sia deliberato nel termine stabilito dalla normativa vigente, ovvero

§      presenti una situazione di disavanzo di competenza per due esercizi consecutivi.

Il commissario è nominato con le modalità previste dal citato comma 1 dell'art. 15. Se l'ente è già commissariato, si procede alla nomina di un nuovo commissario.

Il commissario deve:

§      approvare il bilancio, ove necessario,

§      adottare le misure necessarie per ristabilire l'equilibrio finanziario dell'ente e

§      qualora non sia possibile ristabilire l'equilibrio finanziario dell'ente, chiedere che esso sia posto in liquidazione coatta amministrativa. In tale ultimo caso, si verifica l’ipotesi prevista dal comma 1 dell’articolo 15.

 

Inoltre, ai sensi della novella, per ristabilire l’equilibrio finanziario dell’ente, il commissario può esercitare la facoltà di cui all'art. 72, comma 11, del decreto-legge 25 giugno 2008, n 112[46] - ossia può risolvere unilateralmente il rapporto di lavoro - anche nei confronti del personale che non abbia raggiunto l'anzianità massima contributiva di quaranta anni.

 

L'art. 72, comma 11, del suddetto decreto-legge 112/2008 consente alla pubblica amministrazione di risolvere unilateralmente il rapporto di lavoro con i dipendenti che abbiano compiuto l'anzianità massima contributiva di quaranta anni.

Un’altra disposizione del provvedimento in esame - l'art. 1, comma 16, alla cui scheda di lettura si rinvia - estende al triennio 2012-2014 l'ambito di applicazione dell'art. 72, comma 11, che originariamente avrebbe dovuto trovare applicazione per il triennio 2009-2011.

Profili finanziari (Art. 1, comma 14)

 

Il prospetto riepilogativo non considera la norma.

 

La relazione tecnica riferita al testo originario afferma che la disposizione, in quanto volta a determinare una virtuosa gestione finanziaria degli enti pubblici vigilati dallo Stato, non determina effetti negativi per la finanza pubblica.

Per i profili inerenti l'ultimo periodo la relazione rinvia all'analisi relativa al comma 16.

 

In merito ai profili di quantificazione, non sono state formulate osservazioni.

 

Profili finanziari (Art. 1, commi 14, ultimo periodo e 16)

 

Il prospetto riepilogativo ascrive alle disposizioni i seguenti effetti sui saldi di finanza pubblica:

(milioni di euro)

 

Saldo netto da finanziare

Fabbisogno

Indebitamento netto

 

2012

2013

2014

2012

2013

2014

2012

2013

2014

Maggiore spesa corrente (spesa pensionistica)

 

8

16

 

8

16

 

8

16

maggiore spesa corrente (buonuscita)

 

 

30

 

 

30

 

 

30

 

Pertanto, l’effetto complessivo può essere quantificato come risulta dalla tabella che segue:

(milioni di euro)

 

Saldo netto da finanziare

Fabbisogno

Indebitamento netto

 

2012

2013

2014

2012

2013

2014

2012

2013

2014

Maggiore spesa corrente

 

8

46

 

8

46

 

8

46

 

 

La relazione tecnica quantifica gli effetti onerosi delle disposizioni come risulta dalla tabella che segue:

 

(milioni di euro)

 

2012

2013

2014

2015

2016

spesa pensionistica

0

8

16

16

16

indennità di buonuscita

 

 

30

5

0

Totale

0

8

46

21

16

 

Le maggiori spese derivano dal maggiore accesso al pensionamento rispetto a quanto previsto sulla base dell’ordinamento vigente e delle conseguenti propensioni al pensionamento per circa 500 soggetti l’anno, per un anticipo medio di 1 anno.

 

In merito ai profili di quantificazione, è stato rilevato che la stima recata dalla RT è il risultato di un procedimento di quantificazione che coinvolge parametri, non esplicitati dalla stessa relazione. In particolare, ai fini della verifica della stima, sarebbe stato opportuno acquisire i dati relativi all’importo medio del trattamento pensionistico e dell’indennità di buonuscita.

 


 

Articolo 1, comma 15
(Garanzia dello Stato in favore della società prevista per la salvaguardia della stabilità finanziaria dell'euro)

 

15. Al comma 2 dell'articolo 17 del decreto-legge n. 78 del 2010 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, dopo la parola: «emesse» sono inserite le seguenti: «o contratte», dopo le parole: «concedere prestiti» sono inserite le seguenti: «o altre forme di assistenza finanziaria» e dopo le parole: «9-10 maggio 2010» sono inserite le seguenti: «, con l'Accordo quadro tra i Paesi membri dell'area euro del 7 giugno 2010,».

 

 

Il comma 15 dell'articolo 1, modificato nel corso dell’esame parlamentare, è diretto ad ampliare le ipotesi di prestazione della garanzia da parte dello Stato in favore della società - prevista dall’articolo 17, comma 1, del decreto-legge n. 78 del 2010 - costituita insieme agli altri Stati membri dell’area euro per la salvaguardia della stabilità finanziaria dell’euro, la European Financial Stability Facility (EFSF).

 

Più in dettaglio il comma in esame interviene con una novella all’articolo 17, comma 2, del decreto-legge n. 78 del 2010, con il quale si autorizza il Ministro dell’economia e delle finanze a concedere la garanzia dello Stato sulle passività della società che, ai sensi del comma 1 del citato articolo 17, dovrà essere costituita insieme agli altri Stati membri dell’area euro per la salvaguardia della stabilità finanziaria dell’euro.

Per effetto delle modifiche apportate viene precisato che:

§      le suddette passività possono essere non solo "emesse" ma anche "contratte" al fine di costituire la provvista finanziaria necessaria per la concessione dei prestiti;

§      tali passività possono essere emesse o contratte sia per concedere prestiti sia "per altre forme di assistenza finanziaria" agli Stati membri dell'area euro, in conformità, oltre che con le Conclusioni del Consiglio dell'Unione europea del 9-10 maggio 2010, anche con l’Accordo quadro tra i Paesi membri dell’area euro del 7 giugno 2010.

 

In generale si ricorda che il comma 1 dell’articolo 17 del decreto-legge n. 78 del 2010 ha autorizzato il Ministero dell’economia e delle finanze ad assicurare la partecipazione dell’Italia, per una spesa massima di 20 milioni di euro per l’anno 2010, al capitale sociale della società da costituirsi insieme agli altri Stati membri dell’area euro per la salvaguardia della stabilità finanziaria dell’euro, in conformità con le conclusioni del Consiglio dell’Unione europea del 9-10 maggio 2010.

Il comma 2 - nel testo previgente alla modifica introdotta dal testo in esame - ha pertanto autorizzato il Ministro dell’economia e delle finanze a concedere la garanzia dello Stato sulle passività della suddetta società dirette a costituire la provvista finanziaria per la concessione di prestiti agli Stati dell’area euro.

A copertura degli eventuali oneri, che presentano una natura eccezionale, si provvede con emissione di titoli di Stato a medio - lungo termine, analogamente a quanto previsto dall’articolo 2, comma 2, del decreto-legge n. 67 del 2010 .

 

Il meccanismo transitorio di stabilizzazione dell'Eurozona

Si ricorda che in seguito alla crisi finanziaria della Grecia e alla luce delle condizioni critiche di Irlanda, Portogallo e di altri Paesi dell’area euro, il Consiglio ECOFIN del 9 maggio 2010 ha istituito per 3 anni (fino al 2013) un meccanismo transitorio di stabilizzazione finanziaria, articolato in una serie di misure volte a mobilizzare risorse di ammontare complessivo massimo pari a 500 miliardi di euro, mediante:

§      un fondo europeo – con una dotazione massima di 60 miliardi di euro – la cui attivazione è soggetta a termini e condizioni simili a quelle dell'assistenza finanziaria erogata dal Fondo monetario internazionale (FMI);

§      una Società veicolo speciale (special purpose vehicle), garantita dagli Stati dell’area euro sulla base delle quote nel capitale della BCE e in conformità ai rispettivi ordinamenti costituzionali.

La European Financial Stability Facility è dunque una società creata dagli Stati membri dell’Area euro in conseguenza delle decisioni prese il 9 maggio 2010, all’interno del Consiglio ECOFIN. Essa ha sede in Lussemburgo ed è guidata da Klaus Regling, Direttore generale degli affari economici e finanziari presso la Commissione europea.

EFSF è essenzialmente un’emittente di obbligazioni.

Essa infatti è in grado di emettere obbligazioni (bond) - garantite dagli Stati dell’area euro - fino a 440 miliardi di euro per concedere prestiti ai medesimi Stati in difficoltà. I prestiti sono soggetti a condizioni negoziate con la Commissione europea in collegamento con la Banca centrale europea e il Fondo monetario internazionale, che vi partecipa, e devono essere approvati dall'Eurogruppo.

La raccolta della provvista necessaria al finanziamento dei prestiti avviene tramite il collocamento sui mercati internazionali degli EFSF-bond al solo fine di un temporaneo aiuto gli stati dell'eurozona in difficoltà.

A seguito delle richieste dei Governi irlandese e portoghese, il meccanismo di stabilizzazione finanziaria è stato attivato erogando, rispettivamente il 28 novembre 2010 e il 16 maggio 2011, un prestito all’Irlanda di 85 miliardi di euro ed uno al Portogallo di 78 miliardi.

Profili finanziari

 

Il prospetto riepilogativo e la relazione tecnica al testo iniziale non considerano la disposizione.

 

In merito ai profili di quantificazione, considerando l’ampliamento introdotto dalla norma, nonché il carattere rilevante dell’esborso connesso ad un eventuale rischio di escussione - riconosciuto dalla stessa relazione tecnica riferita alla norma modificata – si è osservato che sarebbe stato opportuno, a fini conoscitivi, disporre di una stima della possibile entità di tale spesa e del relativo impatto sul debito pubblico nonché, attraverso la spesa per interessi, sull’indebitamento netto della P.A.

Tale esigenza è stata evidenziata anche in considerazione del fatto che, rispetto al periodo di adozione della disposizione modificata dalla norma in esame, apparivano mutati sia il quadro finanziario internazionale, sia, in particolare, le condizioni di ricorso al mercato.

Si segnala che, nella Nota di risposta alle osservazioni formulate nel corso dell’iter del provvedimento alla Camera, trasmesse l’8 settembre 2011, non vi è accenno alla disposizione in esame.

 


 

Articolo 1, comma 16
(Facoltà della pubblica amministrazione di risolvere il rapporto di lavoro)

 

16. Le disposizioni di cui all'articolo 72, comma 11, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito con legge 6 agosto 2008, n. 133, si applicano anche negli anni 2012, 2013 e 2014.

 

 

Il comma 16 proroga per il triennio 2012-2014 l’applicazione dell’istituto della risoluzione del rapporto di lavoro nelle pubbliche amministrazioni, introdotto dall’articolo 72, comma 11, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, con il quale si consente a queste ultime di risolvere unilateralmente il rapporto di lavoro con i dipendenti che abbiano compiuto l'anzianità massima contributiva di 40 anni.

 

L’articolo 72, comma 11, del D.L. n. 112 del 2008[47] ha introdotto la facoltà per le amministrazioni pubbliche (per il triennio 2009-2011), in caso di compimento dell’anzianità massima contributiva di 40 anni del personale dipendente, di risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro, con un preavviso di sei mesi.

La disposizione non si applica nei confronti dei magistrati e dei professori ordinari.

Per il personale dei comparti sicurezza e difesa, le modalità applicative della disposizione sono rinviate a un decreto del Presidente del Consiglio, da emanare entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto-legge, su proposta del ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione, di concerto con il ministro dell’economia e delle finanze, sentiti i ministri dell’interno e della difesa (il DPCM in questione non risulta fin qui adottato).

Successivamente, l’articolo 6, comma 3, della L. 4 marzo 2009, n. 15, ha modificato il testo del richiamato articolo 72, comma 11, del D.L. 112/2008, disponendo che l’istituto si applicasse non al compimento dell’anzianità massima contributiva di 40 anni, bensì al compimento dell'anzianità massima di servizio effettivo di 40 anni (per il periodo 20 marzo - 4 agosto 2009, prima delle ulteriori modifiche apportate dal decreto-legge 78/2009, in vigore dal 5 agosto 2009).

Successivamente, l’articolo 17, comma 35-novies, del D.L. 1° luglio 2009, n. 78, è intervenuto nuovamente sulla materia (riscrivendo il testo dell’articolo 72, comma 11, del D.L. n. 112/2008), prevedendo, in particolare:

§      che la citata facoltà sia esercitabile, per il triennio 2009-2011, in caso di compimento dell’anzianità massima contributiva di 40 anni;

§      che la fattispecie si applichi anche al personale dirigenziale;

§      che tale facoltà rientri nei poteri di organizzazione della P.A. ai sensi dell’articolo 5 del D.Lgs. 165/2001;

§      la non applicazione della norma anche per i dirigenti medici responsabili di struttura complessa;

§      l’applicazione anche nei confronti dei pubblici dipendenti sospesi o collocati a riposo per procedimenti penali e reintegrati in seguito a sentenza definitiva di proscioglimento.

Da ultimo l'articolo 16, comma 11, del D.L. 98/2011 (convertito dalla legge n. 111/2011), ha previsto che, in caso di risoluzione del rapporto di lavoro derivante dall’esercizio della facoltà richiamata, la pubblica amministrazione non debba fornire ulteriori motivazioni, qualora essa abbia preventivamente determinato in via generale appositi criteri applicativi con atto generale di organizzazione interna, sottoposto al visto dei competenti organi di controllo.

Gli specifici criteri e le modalità applicative delle nuove disposizioni per i dipendenti dei comparti sicurezza, difesa ed esteri, sono rimessi ad appositi decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Si segnala che il precedente comma 14 (alla cui scheda di lettura si rinvia), prevede che, nell’ambito della disciplina dettata dal medesimo comma in ordine alla liquidazione degli enti dissestati, il Commissario liquidatore dell’ente possa ricorrere all’istituto in oggetto, anche nei confronti del personale che non abbia raggiunto l'anzianità massima contributiva di quaranta anni.

Profili finanziari

In merito ai profili finanziari si veda la scheda dell’articolo 1, comma 14.


 

Articolo 1, comma 17
(Prosecuzione del rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici oltre i limiti di età per il collocamento a riposo)

 

17. All'articolo 16, comma 1, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al secondo periodo, le parole: «accogliere la richiesta», sono sostituite dalle seguenti: «trattenere in servizio il dipendente»; nel medesimo periodo, la parola: «richiedente», è sostituita dalla seguente: «dipendente»;

b) al terzo periodo, le parole: «La domanda di», sono sostituite dalle seguenti: «La disponibilità al»;

c) al quarto periodo, le parole: «presentano la domanda», sono sostituite dalle seguenti: «esprimono la disponibilità».

 

 

Il comma 17 modifica l’articolo 16, comma 1, del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 503, concernente la possibilità di permanenza in servizio dei dipendenti pubblici, per un periodo massimo di un biennio, oltre i limiti di età per il collocamento a riposo.

La disposizione, in particolare, è volta a stabilire che la facoltà di trattenimento in servizio viene esercitata unilateralmente dall’amministrazione, sulla base della semplice disponibilità del dipendente e non più su sua richiesta.

 

L’articolo 16, comma 1, del D.Lgs. 503/1992[48], prevede la possibilità, per i dipendenti civili dello Stato e degli enti pubblici, di permanere in servizio per un biennio oltre i limiti di età per il collocamento a riposo previsti. In relazione a ciò, l’articolo 72, comma 7, del D.L. 112/2008 ha rimesso alla valutazione dell’amministrazione interessata l’accoglimento della richiesta formulata dal dipendente (in precedenza il trattenimento in servizio era totalmente demandato alla volontà dei dipendenti stessi e quindi era configurato come un diritto soggettivo).

In particolare, l’amministrazione ha facoltà, in base alle proprie esigenze organizzative e funzionali, di accogliere la richiesta in relazione a determinati parametri, quali la particolare esperienza professionale acquisita dal richiedente in determinati o specifici ambiti ed in funzione dell’andamento efficiente dei servizi. La domanda di trattenimento va presentata all’amministrazione di appartenenza dai 24 ai 12 mesi precedenti il compimento del limite di età per il collocamento a riposo previsto dal proprio ordinamento. Per i dipendenti in aspettativa non retribuita che ricoprono cariche elettive sussiste, infine, l’obbligo di esprimere la disponibilità almeno 90 giorni prima del compimento del limite di età per il collocamento a riposo.

 

Si valuti l’opportunità di chiarire le modalità attraverso le quali deve intendersi formalizzata la manifestazione di disponibilità da parte del dipendente al trattenimento in servizio.

Profili finanziari

 

Il prospetto riepilogativo non ascrive alla norma effetti sui saldi di finanza pubblica.

 

La relazione tecnica fa presente che la disposizione è intesa a prevedere che la facoltà di trattenimento in servizio del dipendente oltre i limiti di età per il collocamento a riposo previsti venga esercitata unilateralmente dall’amministrazione sulla base della semplice disponibilità del dipendente e non più su sua richiesta. La relazione tecnica afferma, inoltre, che la norma non produce effetti onerosi a carico della finanza pubblica.

 

In merito ai profili di quantificazione, non sono state formulate osservazioni.

 


 

Articolo 1, comma 18
(Flessibilità per il personale della carriera prefettizia
o con qualifica dirigenziale)

 


18. Al fine di assicurare la massima funzionalità e flessibilità, in relazione a motivate esigenze organizzative, le pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, possono disporre, nei confronti del personale appartenente alla carriera prefettizia ovvero avente qualifica dirigenziale, il passaggio ad altro incarico prima della data di scadenza dell'incarico ricoperto prevista dalla normativa o dal contratto. In tal caso il dipendente conserva, sino alla predetta data, il trattamento economico in godimento a condizione che, ove necessario, sia prevista la compensazione finanziaria, anche a carico del fondo per la retribuzione di posizione e di risultato o di altri fondi analoghi.


 

 

Il comma 18 dell'articolo 1 consente alle pubbliche amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165[49], di disporre, in relazione a motivate esigenze organizzative, il passaggio ad altro incarico di personale appartenente alla carriera prefettizia ovvero avente qualifica dirigenziale, prima della data di scadenza dell'incarico ricoperto prevista dalla normativa o dal contratto.

 

Quanto all’ambito di applicazione della norma, la norma in commento fa esplicito riferimento all’art. 1, comma 2 del D.Lgs. n. 265/2001, ai sensi del quale per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300.

 

Nell’ipotesi consentita, il dipendente passato ad altro incarico conserva, fino alla data di scadenza naturale dell'incarico ricoperto precedentemente, il trattamento economico in godimento, a condizione che, ove necessario, sia prevista la compensazione finanziaria, anche a carico del fondo per la retribuzione di posizione e di risultato o di altri fondi analoghi.

 

La disposizione in esame, pur non intervenendo in forma di novella, incide sulla disciplina degli incarichi dirigenziali, stabilita dal D.Lgs. 165/2001 (articolo 19), che reca le norme generali sulla dirigenza pubblica, come da ultimo modificata dal D.Lgs. 150/2009[50]. Tale disposizione richiama espressamente il personale della carriera prefettizia, il cui ordinamento è disciplinato dal D.Lgs. 139/2000[51], personale che rientra tra le categorie per le quali espressamente l’art. 3 del D.Lgs. 165/2000 stabilisce un regime specifico di diritto pubblico che peraltro non sono anch’esse menzionate.

 

L’articolo 19 stabilisce innanzitutto le modalità di conferimento degli incarichi dirigenziali, disponendo, ai sensi del co. 3, che gli incarichi apicali (Segretario generale di ministeri, incarichi di direzione di strutture articolate al loro interno in uffici dirigenziali generali e quelli di livello equivalente) sono conferiti con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del ministro competente, a dirigenti della prima fascia o, con contratto a tempo determinato, a persone in possesso delle specifiche qualità professionali.

Ai sensi del successivo co. 4, gli incarichi di funzione dirigenziale di livello generale sono conferiti con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del ministro competente, a dirigenti della prima fascia o, in misura non superiore al 70% della relativa dotazione, ai dirigenti di seconda fascia, oppure con contratto a tempo determinato, a persone in possesso delle specifiche qualità professionali. Il co. 5 dell’art. 19 riguarda gli incarichi di direzione degli uffici di livello dirigenziale, che sono conferiti dal dirigente dell’ufficio di livello dirigenziale generale, ai dirigenti assegnati al suo ufficio.

Ai sensi del comma 2, la durata dell’incarico, in genere determinata nell’atto di conferimento dell’incarico, deve essere correlata agli obiettivi prefissati e, comunque, non può essere inferiore a tre anni né eccedere il termine di cinque anni. La durata dell'incarico può essere inferiore a tre anni se coincide con il conseguimento del limite di età per il collocamento a riposo dell'interessato. Gli incarichi sono rinnovabili. Al provvedimento di conferimento dell'incarico accede un contratto individuale con cui è definito il corrispondente trattamento economico. È sempre ammessa la risoluzione consensuale del rapporto.

L’incarico può cessare prima della naturale scadenza in seguito a revoca. Tale istituto è stato modificato dal del D.Lgs. n. 150/09 (c.d. riforma Brunetta) al fine di recepire l’orientamento della giurisprudenza costituzionale, a partire dalla sentenze n. 103 e 104 del 2007, secondo il quale il principio di buon andamento di cui all’art. 97 della Costituzione è garantito anche attraverso la continuità ed imparzialità dell’azione amministrativa, che incontra nella cessazione degli incarichi dirigenziali una imprescindibile occasione di limite coincidente con la garanzia del giusto procedimento, che non può prescindere da una verifica, in contraddittorio, del mancato raggiungimento dei risultati e/o della grave inosservanza alle direttive.

In particolare, si ricorda che la Corte costituzionale ha più volte affermato l’illegittimità costituzionale di meccanismi di spoils system riferiti ad incarichi dirigenziali che comportino l’esercizio di «funzioni amministrative di esecuzione dell’indirizzo politico» (sentenze n. 224 e n. 34 del 2010, n. 390 e n. 351 del 2008 e n. 103 e n. 104 del 2007), anche quando tali incarichi siano conferiti a soggetti esterni (sentenze n. 81 del 2010 e n. 161 del 2008). Secondo l’orientamento ormai consolidato, è illegittima una norma che, anche solo per una sola volta e in via transitoria, disponga la cessazione automatica di incarichi dirigenziali, a prescindere da ogni valutazione circa l’operato dei dirigenti (sentenze n. 124 del 2011 e 246/2011).

Proprio al fine di adeguare la normativa agli orientamenti della Corte, l’articolo 19, co. 1-ter, del D.Lgs. 165/2001 stabilisce che incarichi dirigenziali possono essere revocati esclusivamente nei casi e con le modalità di cui all’articolo 21 del D.Lgs. 165, il quale prevede che il mancato raggiungimento degli obiettivi o l’inosservanza delle direttive impartite, previo il loro accertamento, causano il mancato rinnovo dell’incarico ovvero, nei casi più gravi la sua revoca oppure addirittura il recesso dal rapporto di lavoro.

Peraltro, il comma 1-ter, nella formulazione introdotta dalla riforma Brunetta, prevedeva altresì l’ipotesi per la quale l’amministrazione, in dipendenza dei processi di riorganizzazione ovvero alla scadenza di una valutazione negativa, non intendesse confermare l’incarico conferito al dirigente. In tal caso, l’amministrazione era tenuta a darne idonea e motivata comunicazione al dirigente stesso con un preavviso congruo, prospettando i posti disponibili per un nuovo incarico. E tuttavia, tale disposizione è stata abrogata dall’art. 9, co. 32, del D.L. 78/2010, il quale ha inoltre disposto che le pubbliche amministrazioni che, alla scadenza di un incarico di livello dirigenziale non intendano, anche in assenza di una valutazione negativa, confermare l'incarico conferito al dirigente, possano conferirgli un altro incarico, anche di valore economico inferiore.

 

Da ultimo, si pone l’intervento in esame che sembra introdurre una clausola generale di flessibilità che consente all’amministrazione di modificare gli incarichi dirigenziali assegnati, a prescindere dalla loro durata, in presenza di motivate esigenze organizzative e con la garanzia per il dirigente del mantenimento del trattamento economico goduto.

Profili finanziari

 

Il prospetto riepilogativo non ascrive alla norma effetti sui saldi di finanza pubblica.

 

La relazione tecnica afferma che la norma ha carattere ordinamentale e non determina effetti sui saldi di finanza pubblica.

 

In merito ai profili di quantificazione, è stato rilevato che la formulazione della norma subordina la conservazione del trattamento economico in godimento alla concreta possibilità di disporre una compensazione finanziaria mediante ricorso ai fondi per la retribuzione di posizione e di risultato. E’ stato osservato tuttavia che, essendo il trattamento economico oggetto di accordo contrattuale, non sembra possibile procedere, in assenza delle predette disponibilità, alla sua riduzione con atto unilaterale dell’amministrazione. Al fine di garantire la neutralità finanziaria della disposizione, dovrebbe quindi essere subordinata all’effettiva sussistenza dei necessari fondi non la possibilità di continuare ad erogare lo stesso trattamento economico, bensì la facoltà riconosciuta all’amministrazione di destinare il dirigente ad altro incarico.


 

Articolo 1, comma 19
(Mobilità nel pubblico impiego)

 

19. All'articolo 30, comma 2-bis, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, in fine sono aggiunte le seguenti parole: "; il trasferimento può essere disposto anche se la vacanza sia presente in area diversa da quella di inquadramento assicurando la necessaria neutralità finanziaria.".

 

 

Il comma 19 modifica la disciplina della mobilità volontaria nel pubblico impiego, di cui all'articolo 30 del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, prevedendo che, a seguito dell'attivazione delle procedure di mobilità, il trasferimento del personale che ne faccia domanda possa essere disposto anche nel caso in cui la vacanza di organico sia presente in area diversa da quella di inquadramento, assicurando comunque la neutralità finanziaria.

 

Secondo la relazione tecnica, la disposizione in esame è volta ad incentivare l'istituto della mobilità quale strumento di flessibilità nell'utilizzo delle risorse umane nello svolgimento dell'attività amministrativa.

 

La mobilità volontaria nel pubblico impiego è disciplinata dall'articolo 30 del D.Lgs. 165/2001[52] (i successivi articoli 33, 34 e 34-bis disciplinano invece la mobilità collettiva).

In particolare, l’articolo 30 stabilisce che le amministrazioni possano ricoprire posti vacanti in organico mediante cessione del contratto di dipendenti appartenenti alla stessa qualifica in servizio presso altre amministrazioni, che facciano domanda di trasferimento. Il trasferimento è disposto previo consenso dell'amministrazione di appartenenza (comma 1).

Le procedure ed i criteri generali per l’attuazione del passaggio diretto dei dipendenti sono definiti dai contratti collettivi nazionali. Si stabilisce la nullità degli accordi, atti o clausole dei contratti collettivi che intendano eludere l’obbligo di ricorrere alla mobilità prima di procedere al reclutamento di nuovo personale (comma 2).

Il comma 2-bis dell’articolo 30 (integrato dalla disposizione in esame) prevede che le amministrazioni pubbliche, al fine di coprire le vacanze di organico e prima dell’espletamento delle procedure concorsuali, debbano attivare le procedure di mobilità mediante passaggio diretto dei dipendenti di cui al comma 1 del medesimo art. 30. Esse devono comunque provvedere in via prioritaria all’immissione in ruolo dei dipendenti che, provenienti da altre amministrazioni, prestino già attività presso l’amministrazione in posizione di comando o di fuori ruolo, purché tali dipendenti appartengano alla medesima area presentino la relativa domanda di trasferimento. Entro i limiti dei posti vacanti, i dipendenti sono inquadrati nella medesima area funzionale e con la posizione economica corrispondente a quella posseduta nella amministrazione di provenienza.

I successivi commi 2-ter e 2-quater dell’art. 30 recano disposizioni in merito all’immissione in ruolo del personale della Presidenza del Consiglio e del Ministero degli affari esteri.

Il comma 2-quinquies dell’art. 30, in merito al trattamento del dipendente trasferito per mobilità, specifica che, salvo diversa previsione, al dipendente si applica il trattamento giuridico ed economico – compreso quello accessorio – previsto dal contratto collettivo vigente nel comparto dell’amministrazione di destinazione[53].

Profili finanziari

 

Il prospetto riepilogativo non ascrive alla norma effetti sui saldi di finanza pubblica.

 

La relazione tecnica afferma che la norma, fermo restando il rispetto dell’invarianza finanziaria, è volta ad incentivare l’istituto della mobilità quale strumento di flessibilità nell’utilizzo delle risorse umane nello svolgimento dell’attività amministrativa. Pertanto essa non determina effetti sui saldi di finanza pubblica.

 

In merito ai profili di quantificazione, è stato rilevato che la norma, prevedendo la possibilità di trasferimenti in aree diverse da quella di appartenenza, sembra consentire l’inquadramento di personale in soprannumero rispetto alla dotazione organica di una determinata area. Secondo la prassi consolidata, l’inquadramento in soprannumero a valere su vacanze di organico in altri profili o aree viene disposto prevedendo esplicitamente che il soprannumero venga riassorbito al verificarsi di successive vacanze e che sia reso indisponibile un numero di posti finanziariamente equivalenti (quindi anche più di uno, se l’inquadramento fosse disposto in un’area superiore a quella dove risulta esservi una vacanza). La norma in esame, invece, reca un generico richiamo alla necessità di assicurare la neutralità finanziaria. È stata quindi richiesta al Governo una conferma circa l’effettiva idoneità, della formulazione adottata, ad escludere possibili effetti onerosi.

 


 

Articolo 1, comma 20
(Innalzamento dei requisiti anagrafici per
i trattamenti pensionistici delle lavoratrici)

 

20. All'articolo 18 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, al comma 1, le parole «2020», «2021», «2022», «2023», «2024», «2025», «2031» e «2032» sono sostituite rispettivamente dalle seguenti: «2014», «2015», «2016», «2017», «2018», «2019», «2025» e «2026».

 

 

Il comma 20, modificato nel corso dell’esame parlamentare, interviene sulla disciplina relativa al progressivo elevamento del requisito anagrafico delle lavoratrici del settore privato per la pensione di vecchiaia e per il trattamento pensionistico liquidato esclusivamente con il sistema contributivo.

In particolare, si prevede che l’innalzamento progressivo inizi dal 2014, (anziché dal 2020), con l’entrata a regime della disciplina il 1° gennaio 2026 (anziché il 1° gennaio 2032).

La disciplina a regime viene raggiunta attraverso l’innalzamento di un mese a decorrere dal 2014, di ulteriori 2 mesi dal 2015, di 3 mesi dal 2016, di 4 mesi dal 2017, di 5 mesi dal 2018, di 6 mesi dal 2019 per ogni anno fino al 2025 e di ulteriori 3 mesi a decorrere dal 2026, anno, appunto, in cui la disciplina entra a regime con il raggiungimento di 65 anni ai fini del diritto al trattamento pensionistico di vecchiaia.

 

Si fa presente che nel testo originario del decreto-legge l’innalzamento progressivo era previsto a decorrere dal 2016 e l’entrata a regime dal 2028.

 

L’articolo 18, comma 1, del D.L. 98/2011 aveva disposto, a decorrere dal 1° gennaio 2020, un progressivo innalzamento, da 60 a 65 anni, del requisito anagrafico per la pensione di vecchiaia, per le lavoratrici dipendenti e autonome la cui pensione è liquidata a carico dell'AGO o di forme sostitutive della stessa o della gestione separata INPS di cui all'articolo 2, comma 26, della L. 335/1995.

L’innalzamento opera ferma restando la disciplina vigente in materia di decorrenza del trattamento pensionistico (c.d. finestre) e di adeguamento dei requisiti di accesso al sistema pensionistico agli incrementi della speranza di vita (ai sensi dell'articolo 12 del D.L. 78/2010).

In particolare, il requisito anagrafico di 60 anni per il sistema retributivo e misto e il requisito di 60 anni di cui all’articolo 1, comma 6, lettera b), della L. 243/2004 venivano incrementati di 1 mese nel 2020. Tali requisiti erano ulteriormente incrementati di 2 mesi a decorrere dal 2021, di 3 mesi dal 2022, di 4 mesi dal 2023, di 5 mesi dal 2024, di 6 mesi dal 2025 per ogni anno fino al 2031 e di ulteriori 3 mesi a decorrere dal 2032, anno a decorre dal quale l’età richiesta per il pensionamento era pari, a regime, a 65 anni.

 

Si ricorda infine che, per le lavoratrici dipendenti del pubblico impiego, l'articolo 12, comma 12-sexies, del D.L. 78/2010, ha modificato la disciplina del requisito anagrafico per la pensione di vecchiaia e per il trattamento pensionistico liquidato esclusivamente con il sistema contributivo. Tale comma ha disposto l'elevamento del requisito da 61 a 65 anni con decorrenza dal 1° gennaio 2012. Resta fermo il diritto al trattamento per le lavoratrici che maturino, entro il 31 dicembre 2011, i requisiti anagrafici e contributivi vigenti alla suddetta data; tali dipendenti possono chiedere all'ente pensionistico di appartenenza la certificazione del diritto.

Profili finanziari

 

Il prospetto riepilogativo, essendo riferito agli anni 2011-2014, non ascrive alla norma effetti sui saldi di finanza pubblica.

 

La relazione tecnica riferita al testo originario, sulla base delle valutazioni finanziarie già scontate nella relazione tecnica all’articolo 18, comma 1, del D.L. n. 98/2011, quantifica le maggiori economie ascrivibili alla disposizione in esame[54], come risulta dalla tabella che segue:

 

(milioni di euro)

2012

2013

2014

2015

2016

2017

2018

2019

2020

2021

0

0

0

0

0

112

320

565

1.180

1.825

 

Tali economie sono quelle imputabili esclusivamente alla norma in esame e sono computate in termini differenziali rispetto a quanto già previsto dall’ordinamento vigente (economie pari a 145 milioni di euro nel 2021, progressivamente crescenti, come indicato in sede di relazione tecnica al citato articolo 18, comma 1, del D.L. n. 98/2011)[55].

La relazione tecnica riferita al testo risultante dalle modifiche approvate dal Senato, sulla base delle valutazioni finanziarie già scontate nella relazione tecnica all’articolo 18, comma 1, del D.L. n. 98/2011 e in sede di relazione tecnica al testo originario del D.L. in esame, quantifica le maggiori economie ascrivibili alla disposizione in esame[56], come risulta dalla tabella che segue:

 

(milioni di euro)

2012

2013

2014

2015

2016

2017

2018

2019

2020

2021

0

0

0

90

275

400

507

630

675

720

 

Tali economie, imputabili esclusivamente alla norma in esame e computate in termini differenziali rispetto a quanto già previsto dall’ordinamento vigente, sono calcolate, nel breve periodo, sulla base dei seguenti parametri:

-       numero di soggetti interessati alla maturazione dei requisiti minimi: circa 120.000 l’anno in media nel primo triennio (anni 2014-2016 in termini di maturazione dei requisiti), di cui circa 80.000 lavoratrici dipendenti in media e circa 40.000 lavoratrici autonome. Nell’intero decennio di previsione le collettività interessate sono crescenti nel tempo (in particolare nel settore del lavoro dipendente)[57];

-       importo medio (2015): circa 10.800 euro per le lavoratrici dipendenti e circa 8.600 euro per le lavoratrici autonome.

 

In merito ai profili di quantificazione, con riferimento al testo risultante dalle modifiche approvate dal Senato, si è rilevato che la quantificazione degli effetti nel breve periodo, sulla base dei parametri esplicitati dalla relazione tecnica, appare corretta. Premessa l’opportunità di acquisire in proposito più dettagliati elementi di verifica e valutazione con riferimento al medio-lungo periodo, si è osservato che, in coerenza con quanto esplicitato nella relazione tecnica riferita all’articolo 18 del D.L. n. 98/2011, sarebbe altresì stato utile disporre, anche con riferimento alla norma in esame, dei dati relativi all’incidenza della disposizione in esame sulla spesa pensionistica nel medio-lungo periodo, anche in rapporto al PIL.

 


 

Articolo 1, comma 21
(Decorrenze dei trattamenti pensionistici per il personale
del comparto scuola
)

 

21. Con effetto dal 1° gennaio 2012 e con riferimento ai soggetti che maturano i requisiti per il pensionamento a decorrere dalla predetta data all'articolo 59, comma 9, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, dopo le parole «anno scolastico e accademico» sono inserite le seguenti: «dell'anno successivo». Resta ferma l'applicazione della disciplina vigente prima dell'entrata in vigore del presente comma per i soggetti che maturano i requisiti per il pensionamento entro il 31 dicembre 2011.

 

 

Il comma 21 modifica, a decorrere dal 1° gennaio 2012, la disciplina delle decorrenze iniziali (cd. finestre) dei trattamenti pensionistici (di vecchiaia e anzianità) per il personale del comparto scuola.

In particolare, si prevede che i trattamenti decorrano dall’inizio dell'anno scolastico e accademico che ricade nell'anno solare successivo rispetto a quello in cui si siano maturati i requisiti (nella disciplina previgente la decorrenza era prevista dall'inizio dell'anno scolastico e accademico che ricadeva nell'anno solare di maturazione dei requisiti per il trattamento).

 

Resta ferma l'applicazione della disciplina previgente per i soggetti che abbiano conseguito o conseguano entro il 31 dicembre 2011 i requisiti per il trattamento.

 

La relazione illustrativa e la relazione tecnica osservano che la novella è intesa "ad armonizzare le regole di decorrenza del pensionamento del settore della scuola (sempre escluso dalle misure di posticipo delle decorrenze introdotte via via con interventi adottati dal 1995 al 2011) a quello degli altri settori produttivi" (nei quali il termine di dilazione più breve è pari a dodici mesi, decorrenti dalla data di maturazione dei requisiti per il trattamento).

 

La normativa che disciplina l'accesso al trattamento pensionistico per il personale del comparto scuola è contenuta nell’articolo 59, comma 9, della L. 27 dicembre 1997, n. 449 (provvedimento collegato alla manovra finanziaria per il 1998), in base al quale la cessazione dal servizio ha effetto dalla data di inizio dell'anno scolastico, con decorrenza dalla stessa data del relativo trattamento pensionistico. La cessazione dal servizio viene, inoltre, anticipata, rispetto alla disciplina vigente al momento, all'inizio dell'anno scolastico (1° settembre) per tutti coloro che maturassero il requisito entro il 31 dicembre della stesso anno.

Le particolarità in ordine ai tempi di presentazione delle domande ed alla decorrenza del pensionamento del personale della scuola rispetto alla generalità dei dipendenti pubblici sono da porre in relazione con le esigenze organizzative connesse alla periodicità prevista per le attività scolastiche: ai sensi dell'articolo 74, comma 1, del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, approvato con il D.Lgs. 16 aprile 1994, n. 297 (recante il T.U. delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado), infatti, l'anno scolastico "ha inizio il 1° settembre e termina il 31 agosto". Conseguentemente, il medesimo testo unico, con disposizioni confermate nella sostanza dall'articolo 1, comma 31, della L. 8 agosto 1995, n. 335, dispone (articolo 509, comma 1) che il collocamento a riposo d'ufficio per raggiungimento dei limiti di età (65 anni) produca i suoi effetti dal 1° settembre successivo al momento della maturazione del richiamato requisito.

 

Si ricorda che ulteriori disposizioni sul personale del comparto scuola sono contenute nell’articolo 1, comma 22 (alla cui scheda di lettura si rimanda).

Profili finanziari

 

Il prospetto riepilogativo ascrive alla disposizione i seguenti effetti sui saldi di finanza pubblica:

 

(milioni di euro)

 

Saldo netto da finanziare

Fabbisogno

Indebitamento netto

 

2012

2013

2014

2012

2013

2014

2012

2013

2014

minore spesa corrente (trattamenti pensionistici

100

415

476

100

415

476

100

415

476

minore spesa corrente (per buonuscita

 

616

298

 

616

298

 

616

298

 

 

Pertanto, l’effetto complessivo della disposizione sui saldi di finanza pubblica risulta il seguente:

 

(milioni di euro)

 

Saldo netto da finanziare

Fabbisogno

Indebitamento netto

 

2012

2013

2014

2012

2013

2014

2012

2013

2014

minore spesa corrente

100

1.031

774

100

1.031

774

100

1.031

774

 

 

La relazione tecnica quantifica gli effetti della disposizione sulla base dei seguenti parametri ed ipotesi:

§       stima del numero dei soggetti interessati con requisiti minimi (e, quindi, coinvolti nel posticipo di un anno) con propensione al pensionamento nel periodo 2012-2015: circa 15.500-17.000;

§       importo medio pensione: circa 26.000 euro (stima 2012);

§       importo medio buonuscita: circa 72.500 euro (stima 2012).

 

Al riguardo si è rilevato che, con riferimento alla minore spesa pensionistica, l’effetto per il 2012 appare riguardare circa la metà della leva annua e circa 5-6 mesi di trattamento pensionistico, in conformità ai criteri di stima generalmente utilizzati. Riguardo ai risparmi per l’indennità di buonuscita, si è richiesta la esplicitazione delle ragioni della ridotta entità di quelli previsti per il 2014 rispetto a quelli ascritti al 2013 (circa la metà), differenza questa che potrebbe essere riconducibile all’incidenza dei soggetti che, accedendo al pensionamento con i requisiti minimi (quote), ottengono la liquidazione posticipata della buonuscita (sei mesi in base alla normativa previgente).

 


 

Articolo 1, commi 22 e 23
(Termini temporali per la corresponsione dei trattamenti di fine servizio dei dipendenti pubblici)

 


22. Con effetto dalla data di entrata in vigore del presente decreto e con riferimento ai soggetti che maturano i requisiti per il pensionamento a decorrere dalla predetta data all'articolo 3 del decreto-legge 28 marzo 1997, n. 79, convertito con modificazioni con legge 28 maggio 1997, n. 140, sono apportate le seguenti modifiche:

a) al comma 2 le parole "decorsi sei mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro." sono sostituite dalle seguenti: "decorsi ventiquattro mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro e, nei casi di cessazione dal servizio per raggiungimento dei limiti di età o di servizio previsti dagli ordinamenti di appartenenza, per collocamento a riposo d'ufficio a causa del raggiungimento dell'anzianità massima di servizio prevista dalle norme di legge o di regolamento applicabili nell'amministrazione, decorsi sei mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro.";

b) al comma 5 sono soppresse le seguenti parole: "per raggiungimento dei limiti di età o di servizio previsti dagli ordinamenti di appartenenza, per collocamento a riposo d'ufficio a causa del raggiungimento dell'anzianità massima di servizio prevista dalle norme di legge o di regolamento applicabili nell'amministrazione,".

23. Resta ferma l'applicazione della disciplina vigente prima dell'entrata in vigore del comma 22 per i soggetti che hanno maturato i requisiti per il pensionamento prima della data di entrata in vigore del presente decreto e, limitatamente al personale per il quale la decorrenza del trattamento pensionistico è disciplinata in base al comma 9 dell'articolo 59 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni ed integrazioni, per i soggetti che hanno maturato i requisiti per il pensionamento entro il 31 dicembre 2011.


 

 

I commi 22 e 23 intervengono sui termini per la corresponsione dei trattamenti di fine servizio (comunque denominati) dei dipendenti pubblici, modificando a tal fine l’articolo 3 del decreto-legge 28 marzo 1997, n. 79, convertito dalla L. 28 maggio 1997, n. 140[58].

In primo luogo si introduce un posticipo di 6 mesi per i trattamenti di fine servizio riconosciuti per il raggiungimento dei limiti di età o di servizio previsti dagli ordinamenti di appartenenza, per collocamento a riposo d’ufficio a causa del raggiungimento dell’anzianità massima di servizio prevista dalle norme di legge o di regolamento applicabili nell’amministrazione (per i quali nella normativa previgente non era previsto alcun posticipo).

Inoltre, si incrementa a 24 mesi il posticipo (dai 6 previsti dalla legislazione previgente) per i trattamenti di fine servizio a seguito di pensionamento anticipato (comma 22).

Resta ferma l'applicazione della normativa previgente per i soggetti che abbiano maturato i requisiti per il pensionamento prima della data di entrata in vigore del presente decreto-legge (e cioè il 13 agosto 2011) e per i dipendenti del comparto scuola che maturino i medesimi requisiti entro il 31 dicembre 2011[59].

I Trattamenti di Fine Servizio

Nel settore pubblico, il lavoratore subordinato ha diritto, all'atto della cessazione dal servizio, ad un trattamento di fine servizio/rapporto. Fino all’emanazione del DPCM 20 dicembre 1999, che ha introdotto per i nuovi assunti il Trattamento di Fine Rapporto (TFR), veniva liquidata l’indennità premio di fine servizio ai dipendenti degli enti locali e l’indennità di buonuscita ai dipendenti statali.

I Trattamenti di Fine Servizio si differenziano dal TFR sia per le modalità di calcolo della prestazione (calcolata sull’ultima retribuzione), sia per il suo finanziamento che è caratterizzato anche da una contribuzione del lavoratore alla quale si aggiunge quella dell’amministrazione statale o dell’ente locale.

a)    Indennità premio di fine servizio

Spetta, all’atto del collocamento a riposo, ai dipendenti degli enti locali, del S.S.N. e degli altri enti iscritti alla ex gestione INADEL (Istituto Nazionale per i Dipendenti degli Enti Locali), assunti con contratto a tempo indeterminato entro il 31 dicembre 2000.

L’indennità consiste in una somma in denaro erogata “una tantum” e ne hanno diritto gli iscritti che:

-        abbiano risolto, per qualsiasi causa, il loro rapporto di lavoro e quello previdenziale (non ha pertanto diritto alla prestazione il dipendente che cessi dal servizio presso un Ente iscritto e sia riassunto, senza soluzione di continuità, presso un altro Ente sempre iscritto all’INPDAP);

-        abbiano almeno un anno di iscrizione all’INPDAP.

Durante il periodo di iscrizione, le amministrazioni datrici di lavoro sono tenute a versare all’INPDAP un contributo pari al 6,10% degli emolumenti utili al calcolo della prestazione, di cui il 3,60 % a loro carico e il restante 2,5% a carico del lavoratore.

La prestazione è pari ad 1/15 dell’80% della retribuzione contributiva degli ultimi 12 mesi di servizio per ogni anno di servizio maturato, comprensiva dell’indennità integrativa speciale (cioè l’indennità di contingenza).

Nei casi di reiscrizione, l'indennità viene riliquidata limitatamente al nuovo servizio prestato, se quello precedente è già stato oggetto di liquidazione.

L’indennità si prescrive nel termine di 5 anni dalla data in cui è sorto il diritto; è soggetta a tassazione separata; non è cedibile; è sequestrabile e pignorabile nei limiti di 1/3 per crediti alimentari e di 1/5 negli altri casi. Attualmente non è consentita, a differenza di quanto previsto per il TFR, la corresponsione di anticipazioni sulla prestazione.

b)    Indennità di buonuscita

Spetta, all’atto del collocamento a riposo, ai dipendenti statali e gli altri iscritti alla ex gestione ENPAS (Ente nazionale previdenza e assistenza ai dipendenti statali), assunti con contratto a tempo indeterminato entro il 31 dicembre 2000.

L’indennità consiste, come nel caso dell’indennità premio di fine servizio, in una somma in denaro erogata “una tantum” alla quale hanno diritto gli iscritti in possesso degli identici requisiti di iscrizione all’INPDAP individuati in precedenza.

Durante il periodo di iscrizione le amministrazioni datrici di lavoro sono tenute a versare all’INPDAP un contributo pari al 9,60% degli emolumenti utili al calcolo della prestazione, di cui il 7,10% a loro carico e il restante 2,50% a carico del lavoratore.

L’indennità di buonuscita è pari a tanti dodicesimi dell’80% dell’ultimo trattamento retributivo, dell’indennità integrativa speciale (nella misura del 60%), della tredicesima mensilità, per quanti sono gli anni utili (periodi di servizio resi con iscrizione al fondo, riscattati, nonché quelli relativi ad anzianità di servizio convenzionali, la cui copertura previdenziale è prevista da apposite disposizioni legislative), computando come anno intero la frazione di anno superiore a sei mesi (quella uguale o inferiore si trascura).

Gli iscritti, inoltre, hanno la facoltà di chiedere, agli effetti della liquidazione della buonuscita, la valutazione dei servizi statali civili e militari prestati, valutabili, riscattabili o comunque riconoscibili ai fini del trattamento di pensione a carico dello Stato, non coperti dal contributo previdenziale obbligatorio.

Come l’’indennità premio di fine servizio, l’indennità di buonuscita si prescrive nel termine di 5 anni dalla data in cui è sorto il diritto; è soggetta a tassazione separata; non è cedibile; è sequestrabile e pignorabile nei limiti di 1/3 per crediti alimentari e di 1/5 negli altri casi. Anche in questo caso non è consentita, a differenza di quanto previsto per il TFR, la corresponsione di anticipazioni sulla prestazione.

 

La seguente tabella riassume le differenze di calcolo tra le due indennità e il TFR

Prestazione

Calcolo

Contr. lavoratore

Contr. Datore di lavoro

Indennità di buonuscita (Stato)

1/12 dell'80% ultima retribuzione + 48% IIS per anni utili(*)

2,50%

7,10%

Indennità premio di fine servizio (Enti locali, Asl ecc)

1/15 dell’80% ultima retribu­zione annua compresa IIS

2,50%

3,60%

TFR

Somma degli 6,91% accan­tonamenti annui, pari al 6,91% della retribuzione annua utile, rivalutata an­nualmente ad un tasso costituito dall’1,5% + 75% dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo

==

6,91%

(*)  Ai sensi dell’articolo 20, comma 3, del CCNL Comparto Ministeri del 12 giugno 2003 (Quadriennio normativo 2002-2005 e biennio economico 2002-2003), a decorrere dal 1° gennaio 2003 l’IIS cessa di essere corrisposta come singola voce della retribuzione ed è conglobata nella voce stipendio tabellare.

 

Si ricorda, che ai sensi dell’articolo 3 del D.L. 79/1997, le prestazioni sono liquidate d'ufficio, all'atto della cessazione dell'iscritto. I termini entro i quali l’INPDAP è obbligato a corrispondere i Trattamenti di fine servizio (Indennità premio di fine servizio e Indennità di buonuscita), identici per i due Istituti, presentano delle differenze in ordine alle cause di cessazione del rapporto di lavoro.

In estrema sintesi i richiamati trattamenti erano corrisposti ai dipendenti pubblici decorsi sei mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro (articolo 3, comma 2, del D.L. 79/1997). Restavano esclusi i trattamenti di fine servizio da corrispondere nei casi di cessazione dal servizio per raggiungimento dei limiti di età o di servizio previsti dagli ordinamenti di appartenenza, per collocamento a riposo d'ufficio a causa del raggiungimento dell'anzianità massima di servizio prevista dalle norme di legge o di regolamento applicabili nell'amministrazione, per inabilità derivante o meno da causa di servizio, nonché per decesso del dipendente.

Più specificamente, tali trattamenti dovevano essere corrisposti entro:

§      105 giorni dalla data di cessazione per limiti d’età, decesso, inabilità e limiti di servizio. In tali casi la documentazione utile ai fini della corresponsione delle indennità doveva essere trasmessa entro 15 giorni dalla risoluzione del rapporto all'INPDAP, che doveva provvedere alla liquidazione della prestazione nei successivi 3 mesi alla ricezione della documentazione medesima, decorsi i quali erano dovuti gli interessi legali;

§      non prima di 181 e non oltre 270 giorni dalla data di cessazione per tutti gli altri casi (dimissioni, licenziamento e altre cause di decadenza). In questi casi, si prevedeva una sospensione di 180 giorni dalla data di cessazione dal servizio del diritto al pagamento, trascorsi i quali l’INPDAP aveva 90 giorni di tempo per provvedere alla liquidazione. Se la liquidazione veniva effettuata oltre i termini di legge l’Istituto era obbligato a pagare gli interessi di mora.

 

Da ultimo, l’articolo 12, commi 7-9, del D.L. 78/2010, ha disposto la corresponsione dei trattamenti in forma rateale (comma 7).

Allo stesso tempo, è stata confermata la disciplina inerente la determinazione delle scadenze utili per il riconoscimento delle prestazioni (comma 8), ed è stata disposta la non applicazione della rateizzazione della corresponsione dei trattamenti per i collocamenti a riposo avvenuti il 30 novembre 2010 (comma 9).

Più specificamente, il comma 7 ha stabilito che, alla data di entrata in vigore del D.L. 78/2010 (31 maggio 2010), per i dipendenti delle amministrazioni pubbliche individuate ai sensi dell’articolo 1, comma 3, della legge finanziaria per il 2010 (L. 196/2009), il riconoscimento dell’indennità premio di fine servizio, dell’indennità di buonuscita, del TFR e di ogni altra indennità equipollente corrisposta una tantum comunque denominata, spettante in seguito a cessazione di servizio venga erogata:

§       in un unico importo annuale, qualora l'ammontare complessivo, al lordo delle trattenute fiscali, sia complessivamente pari o inferiore a 90.000 euro;

§       in due importi annuali, qualora l'ammontare sia complessivamente superiore a 90.000 euro ma inferiore a 150.000 euro. In tal caso, il primo importo erogato sarà pari a 90.000 euro, il secondo sarà pari all'ammontare residuo;

§       in tre importi annuali, qualora l'ammontare sia pari o superiore a 150.000 euro. In tal caso, il primo importo erogato rata sarà pari a 90.000 euro, il secondo a 60.000 euro ed il terzo all'ammontare residuo.


Profili finanziari

 

Il prospetto riepilogativo ascrive alle disposizioni i seguenti effetti sui saldi di finanza pubblica:

 

(milioni di euro)

 

Saldo netto da finanziare

Fabbisogno

Indebitamento netto

 

2012

2013

2014

2012

2013

2014

2012

2013

2014

minore spesa corrente

330

1.065

723

330

1.065

723

330

1.065

723

 

La relazione tecnica quantifica le economie derivanti dalle disposizioni (sia in termini di indebitamento netto che di saldo netto da finanziare) come risulta dalla tabella che segue:

 

(milioni di euro)

2012

2013

2014

2015

2016

2017

330

1.065

723

307

598

0

 

La quantificazione si basa sui seguenti parametri e stime:

§       posticipo di 6 mesi

-        soggetti interessati : con riferimento a coloro che maturano i requisiti dal 2012 e manifestano annualmente la propensione al pensionamento, circa 16.500, gradualmente crescenti a circa 35.000, tenuto conto che una parte dei soggetti in esame manifesta la propensione ad accedere al pensionamento successivamente alla maturazione dei requisiti minimi;

-        importo medio complessivo della prestazione di prima liquidazione: circa 63.000 euro (considerando i diversi comparti), crescente nel tempo;

-        per il computo delle economie si è tenuto conto del posticipo di 6 mesi introdotto dalla disposizione nonché del regime in vigore in materia di decorrenza del trattamento pensionistico (il posticipo di 6 mesi rileva a partire dalla data di decorrenza del trattamento);

-        per il computo delle economie si è tenuto conto anche che non per tutti i soggetti potenzialmente interessati il posticipo di 6 mesi comporta economie, nel caso in cui lo spostamento della liquidazione della buonuscita ricada nel medesimo anno;

-        per il computo delle economie del primo anno (2012) si è tenuto conto, in virtù del regime delle decorrenze, esclusivamente dei soggetti del settore della scuola (17.000 soggetti circa per un importo medio di circa 72.500[60]). Prudenzialmente, gli effetti di economia sul 2012 sono stati ridotti del 40 per cento circa, nell’ipotesi che, anche prima dell’entrata in vigore del D.L. in esame, l’attività amministrativa non consentisse, stante la concentrazione delle pratiche in esame nell’ultimo trimestre (vista l’unica finestra di settembre), il pieno completamento della liquidazione delle pratiche medesime entro l’anno. Si è altresì tenuto conto degli effetti fiscali indotti;

-        per il computo delle economie del secondo anno (2013) si è tenuto conto, come per gli anni successivi (da tale circostanza deriva la riduzione e poi l’annullamento delle economie previste) dei maggiori oneri derivanti dalle maggiori liquidazioni slittate dall’anno precedente nonché delle economie derivanti dai soggetti il cui pensionamento decorre nel 2013 (stimati complessivamente in 20.500, di cui circa 11.000 nel settore scuola, per un importo medio di circa 63.000 euro e per un’effettiva incidenza in termini di economie sulla spesa annua del 50-60 per cento);

-        con riferimento alla quota di soggetti che maturano i requisiti nell’ultima parte del 2011 (stimati in circa 3.300, con esclusione della scuola, per un importo medio di circa 50.000 euro), si registrano economie per l’anno 2012 e corrispondente maggiore onere per l’anno 2013: Anche in questo caso gli effetti di economia sono stati ridotti del 40 per cento per tenere conto dei tempi amministrativi effettivi per la liquidazione.

 

§       incremento posticipo da 6 a 24 mesi

-        soggetti interessati: con riferimento a coloro che maturano i requisiti nel 2012 e manifestano annualmente la propensione al pensionamento, circa 19.000. Tale numero si riduce con riferimento a coloro che maturano i requisiti minimi nel 2013, per effetto dell’innalzamento dei requisiti per tale anno, per ritornare a livelli attorno ai 21.000/22.000 nel 2014;

-        importo medio complessivo della prestazione: circa 60.000 euro (considerando i diversi comparti, di cui circa 70.000 euro per il settore scuola, circa 75.000 euro per il settore ministeri e circa 50.000 euro per il settore degli enti locali), crescente nel tempo;

-        per il computo delle economie si è tenuto conto del posticipo di 24 mesi introdotto dalla disposizione, del regime in vigore in materia di decorrenza del trattamento pensionistico nonché degli effetti fiscali indotti;

-        per il computo delle economie nei vari anni si è tenuto conto dei maggiori oneri derivanti dalle maggiori liquidazioni slittate dagli anni precedenti;

-        con riferimento alla quota di soggetti che maturano i requisiti nell’ultima parte del 2011, gli stessi sono stimati in circa 4.800, con esclusione del settore della scuola, per un importo medio di circa 54.000 euro.

 

In merito ai profili di quantificazione, non sono stati formulati rilievi sotto il profilo della quantificazione, la quale, sulla base dei parametri e delle stime adottati, appare sostanzialmente corretta. Dai dati forniti non risulta peraltro evidente la metodologia di calcolo dell’incidenza sulla stima degli effetti fiscali indotti. Si è evidenziata, pertanto, l’utilità di disporre di ulteriori elementi di verifica in proposito.

 


 

Articolo 1, comma 23-bis
(Deroga blocco turn over personale servizio sanitario regionale)

 


23-bis. Per le regioni sottoposte ai piani di rientro per le quali in attuazione dell'articolo 1, comma 174, quinto periodo, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, è stato applicato il blocco automatico del turn over del personale del servizio sanitario regionale, con decreto del Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentito il Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale, su richiesta della regione interessata, può essere disposta la deroga al predetto blocco del turn over, previo accertamento, in sede congiunta, da parte del Comitato permanente per la verifica dell'erogazione dei livelli essenziali di assistenza e del Tavolo tecnico per la verifica degli adempimenti regionali, di cui rispettivamente agli articoli 9 e 12 dell'intesa Stato-regioni del 23 marzo 2005, sentita l'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (AGENAS), della necessità di procedere alla suddetta deroga al fine di assicurare il mantenimento dei livelli essenziali di assistenza, il conseguimento di risparmi derivanti dalla corrispondente riduzione di prestazioni di lavoro straordinario o in regime di autoconvenzionamento, nonché la compatibilità con la ristrutturazione della rete ospedaliera e con gli equilibri di bilancio sanitario, come programmati nel piano di rientro, ovvero nel programma operativo e ferma restando la previsione del raggiungimento dell'equilibrio di bilancio.


 

 

Il comma 23-bis riguarda le regioni, sottoposte ai piani di rientro dal disavanzo sanitario, per le quali operi eventualmente il blocco automatico del turn over del personale del Servizio sanitario regionale, in conseguenza della mancata adozione dei provvedimenti necessari per il ripianamento del suddetto disavanzo. La disposizione consente, nel rispetto di determinate procedure, la deroga al blocco del turn over, qualora essa sia necessaria al fine di assicurare il mantenimento dei livelli essenziali di assistenza e siano accertati il conseguimento di risparmi derivanti dalla corrispondente riduzione di prestazioni di lavoro straordinario o in regime di autoconvenzionamento, nonché la compatibilità con la ristrutturazione della rete ospedaliera e con gli equilibri di bilancio sanitario, come programmati nel piano di rientro, ovvero nel programma operativo, e ferma restando la previsione del raggiungimento dell'equilibrio di bilancio.

La deroga può essere disposta, su richiesta della regione interessata, con decreto del Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentito il Ministro per i rapporti con le regioni e la coesione territoriale previo accertamento in sede congiunta, da parte del Comitato permanente per la verifica dell’erogazione dei livelli essenziali di assistenza e del Tavolo tecnico[61] per la verifica degli adempimenti regionali, sentita l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (AGENAS), della sua necessità e del rispetto delle condizioni sopra enunciate.

 

Si ricorda che, nella disciplina vigente, il blocco automatico opera[62] qualora i summenzionati provvedimenti necessari per il ripiano del disavanzo non siano adottati dal presidente della regione, in qualità di commissario ad acta[63], entro il 31 maggio dell'anno successivo (rispetto all'anno di riferimento del disavanzo); il blocco dura fino al 31 dicembre del secondo anno successivo a quello in corso (fermo restando, naturalmente, il suo proseguimento, nel caso in cui la fattispecie sottostante si ripeta nel corso degli anni). Gli atti emanati e i contratti stipulati in violazione del blocco sono nulli. Alcune ipotesi di deroga al blocco e di soppressione dello stesso sono poste dall'art. 2, comma 80, della L. 23 dicembre 2009, n. 191[64], e successive modificazioni, dall'art. 2, comma 2-bis, del D.L. 5 agosto 2010, n. 125[65], convertito, con modificazioni, dalla L. 1° ottobre 2010, n. 163, e successive modificazioni, e dall'art. 17, comma 4, lettera f), del D.L. 6 luglio 2011, n. 98[66], convertito, con modificazioni, dalla L. 15 luglio 2011, n. 111.

Profili finanziari

 

Il prospetto riepilogativo, non considera la norma introdotta al Senato.

 

La relazione tecnica riprende il contenuto nella norma e specifica come dalla disposizione in esame, tenuto conto delle condizioni poste e del procedimento previsto per l’autorizzazione alla deroga, non derivino nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

 

In merito ai profili di quantificazione, non sono state formulate osservazioni considerando che la deroga al blocco del turn over è subordinata, da un lato, all’accertamento della necessità di assicurare il mantenimento dei LEA e, dall’altro, alla compatibilità con la ristrutturazione della rete ospedaliera e con gli equilibri del bilancio sanitario, come programmati dai piani di rientro ovvero nei programmi operativi.

 


 

Articolo 1, comma 24
(Festività)

 


24. A decorrere dall'anno 2012 con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, da emanare entro il 30 novembre dell'anno precedente, sono stabilite annualmente le date in cui ricorrono le festività introdotte con legge dello Stato non conseguente ad accordi con la Santa Sede, nonché le celebrazioni nazionali e le festività dei Santi Patroni, ad esclusione del 25 aprile, festa della liberazione, del 1° maggio, festa del lavoro, e del 2 giugno, festa nazionale della Repubblica, in modo tale che, sulla base della più diffusa prassi europea, le stesse cadano il venerdì precedente ovvero il lunedì seguente la prima domenica immediatamente successiva ovvero coincidano con tale domenica.


 

 

Il comma 24 dell'articolo 1 stabilisce che, a decorrere dal 2012, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, sono fissate annualmente le date in cui ricorrono le festività introdotte con legge dello Stato non conseguente ad accordi con la Santa Sede, le celebrazioni nazionali e le festività dei Santi patroni, in modo tale che le stesse cadano il venerdì precedente o il lunedì seguente la prima domenica successiva ovvero coincidano con tale data.

Con una modifica introdotta nel corso dell’esame parlamentare, sono state espressamente escluse dalla applicazione della disposizione le festività del 25 aprile, festa della liberazione, del 1° maggio, festa del lavoro, e del 2 giugno, festa nazionale della Repubblica.

Il D.P.C.M. di definizione annuale delle festività deve essere emanato entro il 30 novembre dell'anno precedente.

 

In altri termini, con D.P.C.M. si potrà incidere sulle date in cui ricorrono tre categorie di festività:

a)      festività introdotte con legge dello Stato non conseguente ad accordi con la Santa Sede;

b)      celebrazioni nazionali;

c)      festività dei Santi patroni.

 

In relazione all’ambito di applicazione della disposizione in esame, occorre in premessa ricordare che l’elenco dei giorni considerati festivi a livello nazionale è riportato all’art. 2 della legge n. 260/1949[67]. Tale elenco ha peraltro subìto, negli anni, gli effetti di vari interventi normativi, tra i quali si ricordano:

a)       la L. 54/1977, che ha soppresso alcune festività tra quelle elencate dalla L. 260/1949 ed ha spostato la celebrazione della festa nazionale della Repubblica (2 giugno) e della festa dell’Unità nazionale (4 novembre) alla prima domenica, rispettivamente, di giugno e di novembre;

b)       il D.P.R. 792/1985 (del quale si dirà infra), che reca l’elenco delle ricorrenze religiose riconosciute quali giorni festivi (e che ha determinato, in particolare, il ripristino della festività del 6 gennaio);

c)       la L. 336/2000, che ha ripristinato, a decorrere dal 2001, la festività del 2 giugno.

Attualmente sono considerati giorni festivi ai sensi della L. 260/1949:

-        tutte le domeniche;

-        il primo giorno dell'anno;

-        il giorno dell'Epifania;

-        il 25 aprile, anniversario della liberazione;

-        il giorno di lunedì dopo Pasqua;

-        il 1° maggio: festa del lavoro;

-        il 2 giugno, data di fondazione della Repubblica;

-        il giorno dell'Assunzione della B.V. Maria (15 agosto);

-        il giorno di Ognissanti (1° novembre);

-        il giorno della festa dell'Immacolata Concezione (8 novembre);

-        il giorno di Natale;

-        il 26 dicembre.

In tali giorni si osserva il completo orario festivo e il divieto di compiere determinati atti giuridici.

Occorre inoltre ricordare che, ai sensi dell’art. 6 dell’accordo tra la Repubblica Italiana e la Santa Sede del 18 febbraio 1984 (ratificato con L. 121/1985) di modifica al Concordato lateranense dell'11 febbraio 1929, è stato stabilito che l’elenco delle festività religiose riconosciute come giorni festivi dalla Repubblica italiana è determinato d’intesa fra quest’ultima e la Santa Sede. In attuazione del suddetto art. 6, è stato adottato il D.P.R. 28 dicembre 1985, n. 792[68], recante il cui art. 2 stabilisce che sono festività religiose:

-        tutte le domeniche;

-        il 1° gennaio, Maria Santissima Madre di Dio;

-        il 6 gennaio, Epifania del Signore;

-        il 15 agosto, Assunzione della Beata Vergine Maria;

-        il 1° novembre, tutti i Santi;

-        l'8 dicembre, Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria;

-        il 25 dicembre, Natale del Signore;

-        il 29 giugno, SS. Pietro e Paolo, per il comune di Roma.


Il complesso dei giorni festivi può dunque riassumersi come segue:

 

Festività ex L. 260/1949 e successive modificazioni e integrazioni

Festività religiose ex D.P.R. 792/1985

tutte le domeniche

tutte le domeniche

1° gennaio (Capodanno)

1° gennaio (Maria Santissima Madre di Dio)

 

6 gennaio (Epifania del Signore)

lunedì dopo Pasqua

 

25 aprile (anniversario della liberazione)

 

1° maggio (festa del lavoro)

 

2 giugno (fondazione della Repubblica)

 

 

29 giugno (SS. Pietro e Paolo), per il solo comune di Roma

15 agosto (Assunzione della Beata Vergine Maria)

15 agosto (Assunzione della Beata Vergine Maria)

1° novembre (Ognissanti)

1° novembre (tutti i Santi)

8 dicembre (Immacolata Concezione)

8 dicembre (Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria)

25 dicembre (Natale)

25 dicembre (Natale del Signore)

26 dicembre

 

 

Conseguentemente, le "festività introdotte con legge dello Stato non conseguenti ad accordi con la Santa Sede" sarebbero le seguenti:

§      il 25 aprile, anniversario della liberazione;

§      il giorno di lunedì dopo Pasqua;

§      il 1° maggio: festa del lavoro;

§      il 2 giugno, data di fondazione della Repubblica;

§      il 26 dicembre.

Considerato che, a seguito della novella introdotta, la disposizione in esame non si applica al 25 aprile, al 1° maggio e al 2 giugno, la possibilità di modificare le festività della prima categoria, come prevista dal comma in esame, rimane circoscritta solo ai giorni di lunedì dopo Pasqua e del 26 dicembre.

 

Per quanto riguarda la seconda categoria, l'espressione "celebrazione nazionale" è stata impiegata in passato con riferimento ai festeggiamenti per l'anniversario di specifici momenti fondativi dell'identità nazionale. Si vedano, in proposito, la legge 14 luglio 1993, n. 249, recante "Celebrazione nazionale del cinquantennale della Resistenza e della Guerra di liberazione", e la legge 31 dicembre 1996, n. 671, recante "Celebrazione nazionale del bicentenario della prima bandiera nazionale". Essa, tuttavia, in tali contesti, indica un insieme di iniziative che si svolgono lungo un certo periodo di tempo, piuttosto che eventi che si esaurivano in un unico giorno, come invece sembrerebbe presupporre la disposizione in esame.

 

La già ricordata legge 260/1949 introduce invece, all'art. 3, l'espressione “solennità civile” che, ai sensi della legge 5 marzo 1977, n. 54[69], non determina riduzioni di orario di lavoro negli uffici pubblici.

Tale espressione è stata successivamente impiegata dal legislatore in relazione alla istituzione di alcune ricorrenze nazionali. Si vedano, ad esempio: legge 31 luglio 2002, n. 186[70]; legge 30 marzo 2004, n. 92[71]; legge 10 febbraio 2005, n. 24[72]; legge 3 agosto 2007, n. 126[73]; legge 12 novembre 2009, n. 162[74]; legge 14 giugno 2011 n. 101[75].

 

Alla luce della ricostruzione normativa, si valuti l'opportunità di chiarire l'ambito di applicazione dell'espressione "celebrazioni nazionali".

 

Con riferimento, infine, alla terza categoria, le ricorrenze dei Santi patroni non costituiscono "festività" ai sensi della legge 260/1949, ma ad esse sono spesso ricollegati gli effetti civili propri delle festività ad opera dei contratti collettivi di lavoro[76].

Come già evidenziato, l'unica ricorrenza di questo genere prevista dalla legge è la festa dei SS. Pietro e Paolo, che riguarda esclusivamente la città di Roma e che è prevista dagli accordi tra la Repubblica Italiana e la Santa Sede (e, in quanto tale, non può essere modificata o soppressa con un D.P.C.M., come escluso dalla stessa disposizione in esame).

 

 

 

 

 

Profili finanziari

 

Il prospetto riepilogativo non ascrive alla norma effetti sui saldi di finanza pubblica.

 

La relazione tecnica, riferita al maxiemendamento approvato al Senato, afferma che l’esclusione delle festività civili prevista dal testo non determina effetti negativi per la finanza pubblica.

 

In merito ai profili di quantificazione, non sono state formulate osservazioni.

 


 

Articolo 1, comma 25
(Incremento del fondo per interventi strutturali di politica economica)

 

25. La dotazione del fondo per interventi strutturali di politica economica, di cui all'articolo 10, comma 5, del decreto-legge 29 novembre 2004, n. 282, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 dicembre 2004, n. 307, è incrementata, per l'anno 2012, di 2.000 milioni di euro.

 

 

Il comma 25 dell'articolo 1 incrementa di 2 miliardi di euro per l’anno 2012, la dotazione del Fondo per interventi strutturali di politica economica, di cui all’articolo 10, comma 5, del decreto-legge n. 282 del 2004.

 

Il Fondo per gli interventi strutturali di politica economica (ISPE) è stato istituito dal comma 5 dell’articolo 10 del D.L. n. 282 del 2004 (legge n. 307/2004), al fine di agevolare il perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, anche mediante interventi volti alla riduzione della pressione fiscale. Il Fondo viene utilizzato in modo flessibile ai fini del reperimento delle risorse occorrenti a copertura di interventi legislativi recanti oneri finanziari. Il Fondo è istituito nello stato di previsione del Ministero dell’economia e finanze (cap. 3075, missione “Politiche economico finanziarie e di bilancio”, programma “Analisi, monitoraggio e controllo della finanza pubblica e politiche di bilancio”).

 

Recentemente l'art. 40, comma 1 del D.L. n. 98 del 2011 ha incrementato il fondo di 835 milioni di euro per l'anno 2011 e di 2.850 milioni di euro per l'anno 2012, destinando le risorse per il 2012 all’attuazione della manovra di bilancio relativa all’anno medesimo.

Profili finanziari

 

Il prospetto riepilogativo ascrive alla norma i seguenti effetti sui saldi di finanza pubblica:

 

(milioni di euro)

 

Saldo netto da finanziare

Fabbisogno

Indebitamento netto

 

2012

2013

2014

2012

2013

2014

2012

2013

2014

Maggiori spese correnti

 

2.000

 

-

 

-

 

2.000

 

-

 

-

 

2.000

 

-

 

-

 

 

 

 

La relazione tecnica conferma che gli effetti negativi della disposizione si esprimono in termini di saldo netto da finanziare, fabbisogno e indebitamento netto.

 

In merito ai profili di quantificazione, non sono stati formulati rilievi, essendo l’onere limitato all’entità dello stanziamento.

 


 

Articolo 1, commi 26, 26-bis, 26-quater e 27
(Roma capitale)

 


26. All'articolo 78, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, dopo il terzo periodo è inserito il seguente: «Fermo restando quanto previsto dagli articoli 194 e 254 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, per procedere alla liquidazione degli importi inseriti nel piano di rientro e riferiti ad obbligazioni assunte alla data del 28 aprile 2008, è sufficiente una determinazione dirigenziale, assunta con l'attestazione dell'avvenuta assistenza giuridico-amministrativa del segretario comunale ai sensi dell'articolo 97, comma 2, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.».

26-bis. Fermo restando quanto stabilito dall'articolo 78 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e successive modificazioni, specie in ordine alla titolarità dei rapporti giuridici attivi e passivi nonché alla separatezza dei rispettivi bilanci delle gestioni commis­sariale e ordinaria, le attività finalizzate all'attuazione del piano di rientro di cui al comma 4 del medesimo articolo 78 possono essere direttamente affidate a società totalmente controllate, direttamente o indirettamente, dallo Stato. Con apposita convenzione tra il Commissario straordi­nario, titolare della gestione commissa­riale, e la società sono individuate, in particolare, le attività affidate a quest'ultima, il relativo compenso, nei limiti di spesa previsti dall'articolo 14, comma 13-ter, del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, nonché le modalità di rendicontazione e controllo.

26-quater. Il Commissario di cui ai commi precedenti non può essere il sindaco pro tempore di Roma Capitale.

27. Il comma 17 dell'articolo 14 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, è sostituito dal seguente: "17. Il Commissario straor­dinario del Governo può estinguere, nei limiti dell'articolo 2 del decreto del Ministro dell'economia e delle finanze 18 marzo 2011, i debiti della gestione commissariale verso Roma Capitale, diversi dalle anticipazioni di cassa ricevute, ad avvenuta deliberazione del bilancio di previsione per gli anni 2011 - 2013, con la quale viene dato espressamente atto dell'adeguatezza e dell'effettiva attuazione delle misure occorrenti per il reperimento delle risorse finalizzate a garantire l'equilibrio economico-finanziario della gestione ordinaria, nonché subordina­tamente a specifico motivato giudizio sull'adeguatezza ed effettiva attuazione delle predette misure da parte dell'organo di revisione, nell'ambito del parere sulla proposta di bilancio di previsione di cui alla lettera b) del comma 1 dell'articolo 239 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.”.


 

 

I commi in esame riguardano la gestione commissariale della situazione debitoria di Roma Capitale.

 

In particolare, il comma 26 interviene in merito alle modalità di liquidazione del debito pregresso del Comune di Roma, disponendo - attraverso una novella al testo dell’articolo 78, comma 4, del decreto-legge n. 112/2008 - che per la liquidazione degli importi inseriti nel piano di rientro e riferiti ad obbligazioni assunte alla data del 28 aprile 2008 sia sufficiente una determina dirigenziale.

In particolare la disposizione, pur lasciando fermo quanto previsto dagli articoli 194 e 254 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, nell’ambito della procedura prevista per il riconoscimento dei debiti fuori bilancio pregressi inseriti nel piano di rientro, consente di procedere alla liquidazione degli importi inseriti nel piano e riferiti ad obbligazioni assunte alla data del 28 aprile 2008, attraverso una determina dirigenziale, purché assunta con l'attestazione dell'avvenuta assistenza giuridico-amministrativa del Segretario Generale, ai sensi dell'articolo 97, comma 2, del D.Lgs. n. 267/2000[77].

 

L'art. 194 del D.Lgs. 267/2000 (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali - TUEL) prevede una deliberazione consiliare per il riconoscimento di legittimità dei debiti fuori bilancio, stabilendone limiti e condizioni. L'art. 254 - nell'ambito delle attività dell'organo straordinario di liquidazione - disciplina le procedure per accertare la massa passiva (che include i debiti fuori bilancio) con un piano di rilevamento.

 

Il comma 26-bis introduce la possibilità che le attività finalizzate all'attuazione del piano di rientro di cui al comma 4 del medesimo articolo 78 possono essere direttamente affidate a società totalmente controllate, direttamente o indirettamente, dallo Stato, fermo restando quanto stabilito dall'articolo 78 del D.L. n. 112/2008 in ordine alla titolarità dei rapporti giuridici attivi e passivi nonché alla separatezza dei rispettivi bilanci delle gestioni commissariale e ordinaria.

A tal fine, la norma prevede una apposita convenzione tra il Commissario straordinario, titolare della gestione commissariale, e la società in questione, con la quale sono individuate, in particolare, le attività affidate alla società medesima, il relativo compenso, nei limiti di spesa previsti dall'articolo 14, comma 13-ter, del decreto legge n. 78/2010, nonché le modalità di rendicontazione e di controllo.

 

Si ricorda che il comma 13-ter dell'articolo 14 del D.L. n. 78/2010 – introdotto dall’articolo 2, coma 9, lettera b), del D.L. n. 225/2010 - disciplina le spese di funzionamento della Gestione Commissariale, ivi compreso il compenso per il Commissario straordinario del Governo del comune di Roma. La norma pone un limite massimo a tali spese nell’importo complessivo di 2,5 milioni di euro annui, a carico del finanziamento statale annuale disposto dall’articolo 14, comma 14, del D.L. n. 78/2008, nella misura di 300 milioni annui a decorrere dall'anno 2011, per il concorso al sostegno degli oneri derivanti dall'attuazione del piano di rientro

 

Il comma 26-quater introduce una norma volta a precisare che il Commissario straordinario di Governo per la gestione del piano di rientro non può essere il sindaco pro-tempore di Roma Capitale.

Al riguardo si ricorda che, originariamente, l’articolo 78 del D.L. n. 112/2008 aveva disposto la nomina del Sindaco del Comune di Roma a Commissario straordinario del Governo, con il compito di predisporre ed attuare il piano di rientro dall’indebitamento pregresso del Comune, poi approvato con D.P.C.M. 5 dicembre 2008.

Con il D.L. n. 2/2010 (art. 4, comma 8-bis) si è provveduto a modificare l’art. 78 del citato D.L. n. 112 al fine di evitare che il Commissario straordinario fosse il Sindaco del Comune stesso. A tal fine la norma ha previsto che con D.P.C.M., entro 30 giorni dalla conversione del decreto, fosse nominato un nuovo Commissario straordinario per la gestione del piano di rientro di Roma. A partire dalla data di nomina del nuovo Commissario, il Sindaco del comune di Roma è dunque cessato dalle funzioni di Commissario straordinario del Governo per la gestione dello stesso piano di rientro.

 

Il comma 27 modifica le condizioni sulla base delle quali il Commissario straordinario del Governo può procedere alla estinzione dei debiti della gestione commissariale verso Roma Capitale, diversi dalle anticipazioni di cassa ricevute.

A tal fine viene riformulata la disposizione contenuta nell’articolo 14, comma 17, del D.L. n. 78/2010 - come da ultimo modificata dall’articolo 2, comma 9, lettera e) del D.L. n. 225/2010 (c.d. milleproroghe) - che condizionava la possibilità di procedere all’estinzione dei debiti della gestione commissariale verso Roma Capitale alla verifica positiva da parte del Ministero dell’interno circa l’adeguatezza e l’attuazione delle misure messe in atto dal comune per il reperimento delle risorse occorrenti alla copertura degli oneri di attuazione del piano di rientro nonché di quelle necessarie per garantire l’equilibrio economico-finanziario della gestione ordinaria del comune.

In base alla nuova formulazione del citato comma 17, la possibilità di procedere all’estinzione dei debiti della gestione commissariale verso Roma Capitale da parte del Commissario è condizionata alla avvenuta deliberazione del bilancio di previsione per gli anni 2011-2013, con la quale venga dato espressamente atto dell’adeguatezza e dell’effettiva attuazione delle misure occorrenti per il reperimento delle risorse finalizzate a garantire l’equilibrio economico-finanziario della gestione ordinaria, nonché subordinatamente a specifico motivato giudizio sull’adeguatezza ed effettiva attuazione delle predette misure da parte dell’organo di revisione, nell’ambito del parere sulla proposta di bilancio di previsione.

Si ricorda che, ai sensi dell’articolo 239 del D.Lgs. n. 267/2000, tra le funzioni dell’organo di revisione vi è quella, di cui alla lettera b) del comma 1, di esprimere pareri sulla proposta di bilancio di previsione e dei documenti allegati e sulle variazioni di bilancio. Nei pareri è espresso un motivato giudizio di congruità, di coerenza e di attendibilità contabile delle previsioni di bilancio e dei programmi e progetti, anche tenuto conto del parere espresso dal responsabile del servizio finanziario, delle variazioni rispetto all'anno precedente, dell'applicazione dei parametri di deficitarietà strutturale e di ogni altro elemento utile. Nei pareri sono suggerite all'organo consiliare tutte le misure atte ad assicurare l'attendibilità delle impostazioni. I pareri sono obbligatori. L'organo consiliare è tenuto ad adottare i provvedimenti conseguenti o a motivare adeguatamente la mancata adozione delle misure proposte dall'organo di revisione.

Si segnala, infine, che la norma precisa che il Commissario straordinario possa procedere alla suddetta estinzione dei debiti della gestione commissariale entro determinati limiti, che, in base alla formulazione letterale della disposizione, dovrebbero essere fissati dall’articolo 2 del D.M. 18 marzo 2011. Tale riferimento normativo non risulta tuttavia congruo con il contenuto della disposizione in esame[78].

Si ricorda, in sintesi, che l’articolo 78 del D.L. n. 112/2008, al fine di favorire il rientro dalla situazione di indebitamento del Comune di Roma, ha disposto la nomina del Sindaco a Commissario straordinario del Governo, con il compito di provvedere alla ricognizione della situazione economico-finanziaria del Comune e delle società da esso partecipate e di predisporre ed attuare un piano di rientro dall’indebitamento pregresso del Comune. Tale piano di rientro è stato presentato dal Commissario straordinario ed approvato con D.P.C.M. il 5 dicembre 2008. A tal fine, il Commissario straordinario del Governo è stato parificato all’organo straordinario di liquidazione, che è l’organo competente al ripiano dell'indebitamento pregresso degli enti in condizioni di dissesto finanziario. Va sottolineato, che ai sensi del comma 5 dell’art. 78, è esclusa la possibilità di procedere alla deliberazione di dissesto durante il regime commissariale.

Ai sensi del comma 3 dell’art. 78, la gestione commissariale del comune ha assunto, con bilancio separato rispetto a quello della gestione ordinaria, tutte le entrate di competenza e tutte le obbligazioni assunte alla data del 28 aprile 2008, rimanendo, pertanto, nella competenza ordinaria degli organi comunali la gestione del periodo successivo alla data del 28 aprile 2008. Tutte le entrate del comune di competenza dell’anno 2008 e degli anni successivi sono invece attribuite alla gestione corrente di competenza degli organi istituzionali dell’ente.

Con il D.L. n. 2/2010 (art. 4, comma 8-bis) si è provveduto a modificare l’art. 78 del D.L. n. 112/2008 al fine di evitare che il Commissario straordinario dovesse necessariamente essere il Sindaco del Comune stesso e disponendo la nomina, con D.P.C.M., di un nuovo Commissario straordinario per la gestione del piano di rientro.

Successivamente, con il D.L. n. 78/2010 (articolo 14, comma 13-bis) è stato disposto che il nuovo Commissario di Governo procedesse all'accertamento definitivo del debito del comune di Roma, al fine di redigere il nuovo piano di rientro delle passività pregresse del Comune di Roma aggiornato in termini di crediti certi, liquidi ed esigibili. L’accertamento definitivo del debito del Comune di Roma, previsto dal citato comma 13-bis, è stato effettuato con il Documento predisposto dal Commissario straordinario del Governo concernente l'accertamento del debito alla data del 30 luglio 2010.

A seguito di successive modifiche apportate alla suesposta normativa con il D.L. n. 225/2010 (articolo 2, comma 7), il nuovo Commissario straordinario di Governo è stato ulteriormente autorizzato ad accertare, con propri provvedimenti, le eventuali ulteriori partite debitorie e creditorie della gestione commissariale, rispetto alla rilevazione già certificata nel documento predisposto ai sensi dell’articolo 14, comma 13-bis, del D.L. n. 78/2010, concernente l'accertamento del debito del comune di Roma alla data del 30 luglio 2010, approvato con effetti decorrenti dalla data del 29 dicembre 2010.

Per quanto concerne il finanziamento del piano di rientro, negli anni 2008-2010, è stato assegnato al Commissario straordinario del Governo un contributo pari a complessivi 500 milioni di euro annui[79].

A decorrere dal 2011, il D.L. n. 78/2010 (art. 14, comma 14) ha disposto la costituzione di un fondo, presso il Ministero dell’economia, dotato di 300 milioni annui a decorrere dall’anno 2011; la restante quota delle somme occorrenti a fare fronte agli oneri derivanti dall'attuazione del piano di rientro, pari a 200 milioni, deve essere reperita dal comune di Roma mediante l’istituzione di un'addizionale commissariale sui diritti di imbarco ovvero l’incremento dell’addizionale IRPEF, fino al limite massimo dello 0,4%.

Il comma 13-ter dell’art. 14 del D.L. n. 78/2010 dispone che la gestione commissariale abbia termine con l’esaurirsi delle attività gestionali di natura straordinaria. Alle residuali attività di carattere meramente esecutivo e adempimentale vi provvederanno, invece, gli uffici di Roma Capitale.

Profili finanziari

 

Il prospetto riepilogativo, riferito al testo originario, non ascrive alle norme effetti sui saldi di finanza pubblica.

 

Il prospetto riepilogativo, riferito alle modifiche apportate dal Senato, ascrive a queste ultime i seguenti effetti sui saldi di finanza pubblica:

(milioni di euro)

 

Saldo netto da finanziare

Fabbisogno

Indebitamento netto

 

2012

2013

2014

2012

2013

2014

2012

2013

2014

Maggiori spese correnti

 

 

 

 

 

 

 

 

 

F/ esigenze imprevedibili

24

30

 

24

30

 

24

30

 

Minori entrate

 

 

 

 

 

 

 

 

 

F/ piani di rientro

24

30

 

24

30

 

24

30

 

 

Il prospetto riepilogativo, riferito al testo approvato definitivamente, non considera la norma

 

In merito ai profili di quantificazione si è segnalato che il capitolo di spesa relativo al Fondo per agevolare i piani di rientro, indicato nel prospetto sopra riportato come di natura corrente, risulta di parte capitale. Si rinvia in proposito a quanto osservato in merito ai profili di copertura (cfr. infra).

 

La relazione tecnica, riferita al testo originario, con riferimento al comma 26, oltre a descrivere sinteticamente la norma, afferma che si tratta di una disposizione di carattere ordinamentale, che riguarda la procedura di riconoscimento dei debiti fuori bilancio. Tale disposizione, pertanto, non ha effetti sui saldi di finanza pubblica.

 

La relazione tecnica riferita al maxiemendamento afferma che le modifiche apportate al comma 26 non determinano effetti finanziari, in quanto sono volte a disciplinare le modalità per procedere alla liquidazione degli importi inseriti nel Piano di rientro dall'indebitamento pregresso di Roma Capitale e riferiti ad obbligazioni assunte alla data del 28 aprile 2008.

Con riferimento al comma 26-bis - che prevede che il Commissario straordinario possa affidare, con apposita convenzione, alcune attività relative al piano di rientro ad una società totalmente controllata dallo Stato, entro il limite di spesa già previsto a legislazione vigente per il funzionamento della gestione commissariale, pari a 2,5 milioni di euro annui, comprensivi dei compensi per il Commissario e i Subcommissari – la relazione afferma che la disposizione non determina nuovi e maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

Con riferimento al comma 26-ter - che prevede un incremento di 24 milioni di euro per l'anno 2012 e di 30 milioni di euro per l'anno 2013 della dotazione del fondo da ripartire per il finanziamento di interventi urgenti e indifferibili con corrispondente riduzione del Fondo destinato ad agevolare i piani di rientro dei comuni per i quali sia stato nominato un Commissario straordinario – la relazione afferma che il fondo utilizzato a copertura, istituito nello stato di previsione del Ministero dell'Economia e delle Finanze a decorrere dall'anno 2011, presenta sufficienti disponibilità per gli anni 2012 e 2013.

Infine, con riferimento al comma 26-quater - finalizzato a prevedere che il Commissario straordinario titolare della gestione commissariale di Roma Capitale non possa essere il Sindaco – la relazione afferma che la norma non determina effetti finanziari.

 

In merito ai profili di quantificazione non sono state formulate osservazioni con riferimento al testo originario.

 

In merito alle modifiche introdotte in prima lettura, si è osservato che la previsione della possibilità di affidare, dietro compenso, le attività inerenti la gestione commissariale a società di proprietà pubblica (comma 26-bis) appare suscettibile di determinare oneri aggiuntivi a carico della predetta gestione e ridurre corrispondentemente le risorse disponibili per il piano di rientro. Si è segnalata pertanto la possibilità di eventuali futuri riflessi sulla finanza pubblica connessi a possibili esigenze di rifinanziamento della predetta gestione al fine di garantirne la relativa solvibilità.

In merito alla riduzione delle dotazioni del fondo finalizzato ad agevolare i piani di rientro dei Comuni commissariati, prevista dal comma 26-ter a copertura del rifinanziamento del fondo per spese impreviste, è stato richiesto di chiarire se le disponibilità esistenti nel predetto fondo risultino eccedentarie rispetto alle esigenze connesse alla gestione dei piani di rientro. In caso contrario, la destinazione delle risorse in questione ad altre finalità potrebbe determinare in futuro l’esigenza di reperire risorse alternative per il necessario ripiano di posizioni debitorie dei comuni commissariati.

 


 

Articolo 1, commi 26-ter
(Finanziamento del Fondo per esigenze urgenti e indifferibili)

 


26-ter. La dotazione del fondo di cui all'articolo 7-quinquies, comma 1, del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009, n. 33, è incrementata di 24 milioni di euro per l'anno 2012 e di 30 milioni di euro per l'anno 2013. Al relativo onere si provvede mediante corrispondente riduzione del Fondo di cui all'articolo 14, comma 14-bis, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122. Si applica la procedura prevista dall'articolo 1, comma 40, quinto periodo, della legge 13 dicembre 2010, n. 220.


 

 

Il comma 26-ter incrementa la dotazione del Fondo per le esigenze urgenti ed indifferibili, istituito ai sensi del comma 1 dell'articolo 7-quinquies del D.L. n. 5 del 2009 (legge n. 33/2009), di 24 milioni di euro per l'anno 2012 e di 30 milioni di euro per l'anno 2013.

Ai fini del riparto delle risorse del Fondo, il comma prevede che si applichi la procedura prevista dall'articolo 1, comma 40, quinto periodo, della legge 13 dicembre 2010, n. 220 (legge di stabilità 2011).

La norma richiamata prevede, a tal fine, un decreto del Ministro dell'economia e finanze, in coerenza con apposito atto di indirizzo delle Commissioni parlamentari competenti per i profili di carattere finanziario.

 

Il comma 1 dell'articolo 7-quinquies del D.L. n. 5 del 2009 ha istituito un fondo nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze, al fine di assicurare il finanziamento di interventi urgenti e indifferibili, con particolare riguardo ai settori dell’istruzione e agli interventi organizzativi connessi ad eventi celebrativi.

L’articolo 1, comma 40, primo periodo, della legge n. 220 del 2010 ha rifinanziato il Fondo esigenze indifferibili ed urgenti per complessivi 924 milioni di euro per l'anno 2011, di cui una quota, pari a 874 milioni, destinata a specifiche finalità indicate nell’elenco 1 allegato alla legge di stabilità 2011, da ripartirsi con decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri[80]. L’ulteriore quota di 50 milioni è destinata al finanziamento di interventi urgenti di riequilibrio socio-economico e sviluppo dei territori, alle attività di ricerca, assistenza e cura dei malati oncologici e alla promozione di attività sportive, culturali e sociali. Alla ripartizione di tale quota si provvede con decreto del Ministro dell'economia e finanze, in coerenza con apposito atto di indirizzo delle Commissioni parlamentari competenti per i profili di carattere finanziario (quinto periodo del comma 40).

 

All’onere derivante dal finanziamento del Fondo per esigenze urgenti ed indifferibili si provvede mediante riduzione di pari importo (24 milioni per il 2012 e 30 milioni per il 2013) delle risorse del Fondo destinato ad agevolare i piani di rientro dei Comuni per i quali sia stato nominato un commissario straordinario, istituito dall'articolo 14, comma 14-bis, del D.L. n. 78/2010 con una dotazione di 50 milioni di euro a decorrere dall'anno 2011.

 

Il Fondo risulta iscritto nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze (cap. 7282).

Si ricorda che le risorse del Fondo sono state ridotte di 50 milioni di euro per il 2011 e di 24 milioni di euro per l'anno 2012 dall’articolo 3, comma 1, lett. d) del D.L. n. 225/2010 (c.d. milleproroghe), per finalità di parziale copertura finanziaria degli oneri derivanti dal provvedimento.

Profili finanziari

 

In merito ai profili di copertura finanziaria, con riferimento alle risorse utilizzate a copertura è stato osservato che le stesse sono iscritte nel capitolo 7282 dello stato di previsione relativo al Ministero dell’economia e delle finanze.

L’articolo 14, comma 14-bis del decreto-legge n. 78 del 2010 ha previsto, al fine di agevolare i piani di rientro dei comuni per i quali sia stato nominato un commissario straordinario, la costituzione, nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze, di un Fondo con una dotazione di 50 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2011. Il suddetto Fondo è già stato ridotto, nella misura di 50 milioni per l’anno 2011 e di 24 milioni di euro per l’anno 2012, dall’articolo 3, comma 1, lettera d), del decreto-legge n. 225 del 2010.

È stato quindi richiesto un chiarimento del Governo in merito alla natura degli interventi che intende finanziare mediante il rifinanziamento del Fondo per eventi urgenti e indifferibili di cui all'articolo 7-quinquies, comma 1, del decreto-legge n. 5 del 2009. Infatti, poiché tale Fondo ha natura corrente mentre le risorse utilizzate a copertura sono, invece, di conto capitale, potrebbe determinarsi una dequalificazione della spesa.

 


 

Articolo 1, comma 28
(Integrazione della commissione ISTAT di cui all'articolo 1, comma 3, del decreto-legge n. 98 del 2011)

 

28. La commissione di cui all'articolo 1, comma 3, del citato decreto-legge n. 98 del 2011 convertito con legge n. 111 del 2011 è integrata con un esperto designato dal Ministro dell'economia e delle finanze.

 

 

Il comma 28 dell'articolo 1 dispone l’integrazione della commissione che - ai sensi dell’articolo 1, comma 3, del decreto-legge n. 98 del 2011 - è incaricata della ricognizione e dell’individuazione della media dei trattamenti economici dei titolari di cariche elettive e dei vertici di enti e istituzioni con un esperto designato dal Ministro dell’economia e delle finanze.

 

In proposito si ricorda che la recente manovra finanziaria adottata con decreto-legge n. 98 del 2011[81] prescrive, all’articolo 1, che il trattamento economico di titolari di cariche elettive e i vertici di enti e istituzioni non può superare la media, ponderata rispetto al PIL, degli analoghi trattamenti economici percepiti dai titolari di omologhe cariche negli altri sei principali Stati dell'area euro.

In vista dell’attuazione di tale disposizione, il comma 3 del citato articolo 1, ha previsto l’istituzione, con D.P.C.M. da adottarsi entro 30 giorni dall’entrata in vigore dello stesso decreto, di una Commissione, presieduta dal Presidente dell’ISTAT e composta da quattro esperti di chiara fama, tra cui un rappresentante di Eurostat, che durano in carica quattro anni, la quale, entro il 1° luglio di ciascun anno e con provvedimento pubblicato in Gazzetta Ufficiale, provvede alla ricognizione e all’individuazione della media dei trattamenti economici di cui al comma 1 riferiti all’anno precedente, ed aggiornati all'anno in corso sulla base delle previsioni dell'indice armonizzato dei prezzi al consumo contenute nel documento di economia e finanza.

La partecipazione alla commissione è a titolo gratuito. La ricognizione e l'individuazione riferite all'anno 2010 sono provvisoriamente effettuate entro il 31 dicembre 2011 ed eventualmente riviste entro il 31 marzo 2012.

 

In seguito all’integrazione, il numero dei membri della Commissione sale, pertanto, da quattro a cinque. Come riportato nella relazione tecnica, poiché la partecipazione alla commissione è a titolo gratuito, la norma non dovrebbe determinare oneri a carico del bilancio dello Stato.


Profili finanziari

 

Il prospetto riepilogativo non ascrive alla norma effetti sui saldi di finanza pubblica.

 

La relazione tecnica afferma che la disposizione non determina oneri a carico della finanza pubblica, considerato che la partecipazione alla Commissione è a titolo gratuito.

 

In merito ai profili di quantificazione, non sono state formulate osservazioni, nel presupposto che la previsione di partecipazione gratuita ai lavori della Commissione (ai sensi dell’articolo 1, comma 3, del D.L. 98/2001) sia effettivamente idonea ad escludere l’eventualità di maggiori spese.

Si ricorda infatti che né l’articolo 1, comma 3, del D.L. 98/2011 né la relativa RT hanno espressamente escluso la corresponsione di ulteriori emolumenti di carattere non retributivo (per es. rimborsi spese).

 


 

Articolo 1, comma 28-bis
(Rete imprese Italia)

 

28-bis. All'articolo 14, comma 19, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, dopo le parole: «della Confederazione generale dell'industria italiana» sono inserite le seguenti parole: «, di R.ETE. Imprese Italia».

 

 

Il comma 28-bis, inserito nella fase di conversione del decreto in esame, modifica la norma prevista dall’articolo 14, comma 19, del D.L. 98/2011 che conferisce ai due Ministeri (MiSE e MAE) il potere di indirizzo e vigilanza in materia di promozione e di internazionalizzazione delle imprese.

Più in particolare la disposizione in esame amplia la composizione della cosiddetta “cabina regia” prevedendo che ad essa partecipi anche un rappresentante di R.ETE Imprese Italia[82].

 

Si ricorda che la cabina di regia in oggetto è un organo competente su un aspetto fondamentale delle funzioni pubblicistiche di indirizzo: la fissazione delle linee guida e di indirizzo strategico per l'utilizzo delle risorse attribuite per le finalità di promozione e internazionalizzazione delle imprese; essa è copresieduta dai Ministri degli affari esteri e dello sviluppo economico e composta, oltre che dal Ministro dell'economia e delle finanze o da persona dallo stesso designata, da un rappresentante, rispettivamente, di Unioncamere, della Confederazione generale dell'industria italiana e della Associazione bancaria italiana.

Profili finanziari

 

Il prospetto riepilogativo non ascrive alla norma effetti sui saldi di finanza pubblica.

 

La relazione tecnica, riferita al maxiemendamento approvato al Senato, afferma che la norma presenta carattere ordinamentale e non comporta effetti sui saldi.

 

In merito ai profili di quantificazione, non sono state formulate osservazioni.

 


 

Articolo 1, comma 29
(Trasferimento dei dipendenti pubblici)

 


29. I dipendenti delle amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, esclusi i magistrati, su richiesta del datore di lavoro, sono tenuti ad effettuare la prestazione in luogo di lavoro e sede diversi sulla base di motivate esigenze, tecniche, organizzative e produttive con riferimento ai piani della performance o ai piani di razionalizzazione, secondo criteri ed ambiti regolati dalla contrattazione collettiva di comparto. Nelle more della disciplina contrattuale si fa riferimento ai criteri datoriali, oggetto di informativa preventiva, e il trasferimento è consentito in ambito del territorio regionale di riferimento; per il personale del Ministero dell'interno il trasferimento può essere disposto anche al di fuori del territorio regionale di riferimento. Dall'attuazione del presente comma non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.


 

 

Il comma 29, al fine di consentire una più razionale allocazione del personale pubblico, prevede che, qualora sussistano motivate esigenze tecniche, organizzative e produttive, i dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165[83], sono tenuti, su richiesta del datore di lavoro, allo svolgimento della prestazione lavorativa in luogo e sedi diverse, secondo criteri ed ambiti regolati dalla contrattazione collettiva di comparto.

Nelle more della disciplina contrattuale è obbligatorio far riferimento ai criteri datoriali, che sono oggetto di informativa preventiva, mentre il trasferimento è consentito nell’ambito del territorio regionale di riferimento (con la sola eccezione del personale del Ministero dell’interno, trasferibile anche al di fuori del territorio regionale di riferimento).

Dall’attuazione della disposizione in esame non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

 

Si segnala che la relazione illustrativa del provvedimento fa esplicito riferimento all’applicazione, alle amministrazioni richiamate, degli articoli 2103 e 2104 c.c. L’articolo 2103 c.c. nell’individuare le mansioni alle quali deve essere adibito il lavoratore, precisa altresì che il medesimo non possa essere trasferito da una unità produttiva ad un'altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive. Il successivo articolo 2104, sulla diligenza del lavoratore, stabilisce l’osservanza per quest’ultimo delle disposizioni per l'esecuzione e per la disciplina del lavoro impartite dall'imprenditore e dai collaboratori di questo dai quali gerarchicamente dipende.

 

Con riferimento ai richiamati piani della performance o ai piani di razionalizzazione, si ricorda che l’articolo 10 del D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150[84], ha previsto l’obbligo per le pubbliche amministrazioni, al fine di assicurare la qualità, comprensibilità ed attendibilità dei documenti di rappresentazione della performance, di predisporre:

§      entro il 31 gennaio, un documento programmatico triennale, denominato Piano della performance, da adottare in coerenza con i contenuti e il ciclo della programmazione finanziaria e di bilancio. Tale Piano individua gli indirizzi e gli obiettivi strategici ed operativi e definisce, con riferimento agli obiettivi finali ed intermedi ed alle risorse, gli indicatori per la misurazione e la valutazione della performance dell'amministrazione, nonché gli obiettivi assegnati al personale dirigenziale ed i relativi indicatori;

§      un documento, da adottare entro il 30 giugno, denominato Relazione sulla performance, che evidenzia, a consuntivo, con riferimento all'anno precedente, i risultati organizzativi e individuali raggiunti rispetto ai singoli obiettivi programmati ed alle risorse, con rilevazione degli eventuali scostamenti, e il bilancio di genere realizzato.

 

Per quanto attiene ai piani di razionalizzazione, occorre precisare che la normativa impiega tale espressione per indicare documenti diversi. Ad esempio, l’articolo 16 del recente D.L. 6 luglio 2011, n. 98, convertito dalla L. 15 luglio 2011, n. 111[85], che reca disposizioni in materia di contenimento delle spese in materia di impiego pubblico, prevede (comma 4) che le amministrazioni interessate possano adottare, entro il 31 marzo di ogni anno, piani triennali di razionalizzazione e riqualificazione della spesa, di riordino e ristrutturazione amministrativa, di semplificazione e digitalizzazione, di riduzione dei costi della politica e di funzionamento, ivi compresi gli appalti di servizio, gli affidamenti alle partecipate e il ricorso alle consulenze attraverso persone giuridiche. Detti piani devono indicare la spesa sostenuta a legislazione vigente per ciascuna delle voci di spesa interessate e i correlati obiettivi in termini fisici e finanziari.

 


Profili finanziari

 

Il prospetto riepilogativo non ascrive alle norme effetti sui saldi di finanza pubblica.

 

La relazione tecnica sottolinea che la disposizione è intesa a consentire una più razionale allocazione del personale pubblico. Conferma quindi che il trasferimento non dovrà, in ogni caso, determinare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

 

In merito ai profili di quantificazione, premesso che – come affermato dalla relazione tecnica - la norma è volta a consentire un’allocazione più razionale del personale pubblico, è stato comunque richiesto di meglio precisare la portata applicativa della norma e la platea dei dipendenti interessati, anche al fine di escludere eventuali effetti onerosi. Infatti l’utilizzo dei dipendenti in sedi diverse dal luogo di lavoro può avere implicazioni sulla spesa per il personale (retribuzioni, indennità di trasferta, rimborsi) e sull’impatto organizzativo (spazi e strumenti di lavoro).

Dal punto di vista della formulazione letterale del testo, è stato rilevato che non è del tutto chiara la portata innovativa del primo periodo rispetto alla legislazione vigente[86]. È stato inoltre osservato che la disposizione in base alla quale il trasferimento del personale è consentito solo in ambito territoriale regionale (secondo periodo) sembrerebbe escludere che, per il personale del comparto sicurezza non facente parte del Ministero dell’interno, possano essere consentiti trasferimenti in ambito ultraregionale.

 


 

Articolo 1, comma 30
(Aspettativa dei componenti di autorità amministrative
indipendenti ed Agenzie)

 

30. All'aspettativa di cui all'articolo 1, comma 5, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito in legge 15 luglio 2011, n. 111, si applica la disciplina prevista dall'articolo 8, comma 2 della legge 15 luglio 2002, n. 145; resta ferma comunque l'applicazione, anche nel caso di collocamento in aspettativa, della disciplina di cui all'articolo 7-vicies quinquies del decreto-legge 31 gennaio 2005, n. 7, convertito con legge 31 marzo 2005, n. 43, alle fattispecie ivi indicate.

 

 

Il comma 30 dell'articolo 1 stabilisce che, ai dipendenti pubblici collocati in aspettativa per aver assunto l'incarico di componenti di autorità amministrative indipendenti ed agenzie, indicate nell'Allegato B al decreto-legge 98/2011, il periodo di aspettativa è computato per intero ai fini della progressione della carriera, dell'attribuzione degli aumenti periodici di stipendio e del trattamento di quiescenza e previdenza, nonché ai fini della valutazione dei titoli.

 

Il Capo I del recente decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98[87] reca misure destinate a ridurre i costi della politica e degli apparati. In particolare, l'articolo 1, comma 5, stabilisce che i componenti degli organi elencati all'allegato B del medesimo decreto-legge, che siano dipendenti pubblici, sono collocati in aspettativa non retribuita, salvo che optino per il mantenimento, in via esclusiva, del trattamento economico dell'amministrazione di appartenenza.

Gli organi di cui all'allegato B sono i seguenti: autorità amministrative indipendenti di cui all'Elenco (ISTAT) previsto dall'art. 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196 compresa l'Autorità garante della concorrenza e del mercato ed esclusa la Banca d'Italia; Commissione nazionale per la società e borsa - CONSOB; Agenzia italiana del farmaco; Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie; Agenzia nazionale per la sicurezza del volo - ANSV; Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali - AGE.NA.S; Agenzia per la diffusione delle tecnologie per l'innovazione; Agenzia per le erogazioni in agricoltura - AGEA; Agenzia nazionale per la rappresentanza negoziale P.A. - ARAN; DigitPA; Agenzia nazionale per il turismo; Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata; Agenzia per la sicurezza nucleare; Agenzia nazionale di regolamentazione del settore postale; Agenzia nazionale di vigilanza sulle risorse idriche; Commissione indipendente per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche.

La disposizione in esame dispone, in primo luogo, che alla suddetta aspettativa si applichi la disciplina prevista dall'art. 8, comma 2, della legge 15 luglio 2002, n. 145[88], per il personale delle amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165[89] collocato fuori ruolo per assumere un impiego o un incarico temporaneo di durata non inferiore a sei mesi presso enti o organismi internazionali, nonché esercitare funzioni presso Stati esteri.

 

In particolare, il suddetto art. 8, comma 2, afferma che, fatte salve le disposizioni eventualmente più favorevoli previste dalle amministrazioni di appartenenza, il servizio prestato presso enti, organizzazioni internazionali o Stati esteri è computato per intero ai fini della progressione della carriera, dell'attribuzione degli aumenti periodici di stipendio e del trattamento di quiescenza e previdenza, nonché ai fini della valutazione dei titoli.

 

In secondo luogo, il comma in esame precisa che, anche nel caso di collocamento in aspettativa, resta ferma l'applicazione, della disciplina di cui all'art. 7-vicies quinquies del decreto-legge 31 gennaio 2005, n. 7[90] alle fattispecie ivi indicate.

La disposizione richiamata riguarda giudici costituzionali e presidenti o componenti delle autorità amministrative indipendenti, ai quali estende la disciplina di cui all'art. 9, comma 5-bis, del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303[91].

 

Tale disposizione prevede che il collocamento fuori ruolo è obbligatorio e viene disposto, secondo le procedure degli ordinamenti di appartenenza, anche in deroga ai limiti temporali, numerici e di ogni altra natura eventualmente previsti dai medesimi ordinamenti. Il servizio prestato in posizione di comando, fuori ruolo o altra analoga posizione, prevista dagli ordinamenti di appartenenza, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri dal personale di ogni ordine, grado e qualifica di cui agli artt. 1, comma 2, 2 e 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165[92], e all'art. 7, primo comma, della legge 24 ottobre 1977, n. 801[93], è equiparato a tutti gli effetti, anche giuridici e di carriera, al servizio prestato presso le amministrazioni di appartenenza. Le predette posizioni in ogni caso non possono determinare alcun pregiudizio, anche per l'avanzamento e il relativo posizionamento nei ruoli di appartenenza. In deroga a quanto previsto dai rispettivi ordinamenti, ivi compreso quanto disposto dall'art. 7, secondo comma, della suddetta legge 801/1977, il conferimento al personale in questione di qualifiche, gradi superiori o posizioni comunque diverse, da parte delle competenti amministrazioni, anche quando comportino l'attribuzione di specifici incarichi direttivi, dirigenziali o valutazioni di idoneità, non richiede l'effettivo esercizio delle relative funzioni, ovvero la cessazione dal comando, fuori ruolo o altra analoga posizione, che proseguono senza soluzione di continuità. Il predetto personale è collocato in posizione soprannumeraria nella qualifica, grado o posizione a lui conferiti nel periodo di servizio prestato presso la Presidenza, senza pregiudizio per l'ordine di ruolo.

 

In base alla relazione illustrativa, l’estensione dell’efficacia delle disposizioni sopra riportate è finalizzata ad evitare incertezze in ordine alla disciplina del servizio prestato dai pubblici dipendenti presso enti diversi da quello di appartenenza, nonché per evitare aggravi di spesa per i trattamenti di quiescenza e di previdenza.

Profili finanziari

 

Il prospetto riepilogativo non ascrive alla norma effetti sui saldi di finanza pubblica.

 

La relazione tecnica afferma che la norma non determina oneri a carico della finanza pubblica.

 

In merito ai profili di quantificazione, non sono state formulate osservazioni, nel presupposto che a normativa previgente in materia retributiva o pensionistica non si applicassero, ad alcune delle Autorità e delle Agenzie indicate dal D.L. 98/2011, norme speciali che deroghino la disciplina generale sugli effetti dei periodi di aspettativa. Sul punto è stata richiesta una conferma del Governo[94].

 


 

Articolo 1, comma 32
(Criteri di calcolo delle pensioni e dei trattamenti di fine servizio dei dipendenti pubblici)

 


32. All'articolo 19, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, in fine, è aggiunto il seguente periodo: "Nell'ipotesi prevista dal terzo periodo del presente comma, ai fini della liquidazione del trattamento di fine servizio, comunque denominato, nonché dell'applicazione dell'articolo 43, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092, e successive modificazioni, l'ultimo stipendio va individuato nell'ultima retribuzione percepita prima del conferimento dell'incarico avente durata inferiore a tre anni.". La disposizione del presente comma si applica agli incarichi conferiti successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto nonché agli incarichi aventi comunque decorrenza successiva al 1° ottobre 2011.


 

 

Il comma 32 modifica i criteri di calcolo delle pensioni e dei trattamenti di fine servizio (comunque denominati) nell'ipotesi in cui il dipendente pubblico sia stato titolare di un incarico dirigenziale per un periodo inferiore al minimo generale di tre anni (richiesto dall’articolo 19, comma 2, del D.Lgs. 165/2001), a causa del conseguimento del limite di età per il collocamento a riposo.

Più specificamente, si prevede che in tali casi (nonché ai fini dell’applicazione dell’articolo 43, comma 1, del D.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092[95]), l'ultimo stipendio – ossia il parametro preso come riferimento per la base pensionabile - sia costituito dall'ultima retribuzione percepita prima del conferimento dell'incarico di durata inferiore a tre anni.

In sostanza, la norma ha lo scopo di evitare che nel caso in cui al momento del collocamento a riposo il dipendente sia titolare di un incarico dirigenziale inferiore a 3 anni, lo stipendio erogato nel periodo stesso dell’incarico sia preso come parametro di riferimento ai fini del calcolo della base pensionabile.

La disposizione si applica agli incarichi conferiti successivamente alla data di entrata in vigore del decreto-legge e, qualora abbiano una decorrenza successiva al 1° ottobre 2011, anche agli incarichi conferiti precedentemente.

 

Non risulta chiaro se la disposizione riguardi o meno  anche dipendenti pubblici diversi dagli statali, considerato che viene richiamato esclusivamente il testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato (ossia l’articolo 19 del D.Lgs. n. 165 del 2001).

Profili finanziari

 

Il prospetto riepilogativo non ascrive alla disposizione effetti sui saldi di finanza pubblica.

 

La relazione tecnica afferma che dalla disposizione non derivano oneri aggiuntivi per la finanza pubblica, ponendosi comunque nell’ottica di una razionalizzazione della spesa.

 

In merito ai profili di quantificazione, non sono state formulate osservazioni dal momento che la disposizione è volta al contenimento della spesa.

 


 

Articolo 1, comma 33
(Livellamento remunerativo Italia-Europa)

 

33. All'articolo 1, comma 2, del citato decreto-legge n. 98 del 2011 convertito con legge n. 111 del 2011, il primo periodo è sostituito dal seguente: "La disposizione di cui al comma 1 si applica, oltre che alle cariche e agli incarichi negli organismi, enti e istituzioni, anche collegiali, di cui all'allegato A del medesimo comma, anche ai segretari generali, ai capi dei dipartimenti, ai dirigenti di prima fascia, ai direttori generali degli enti e ai titolari degli uffici a questi equiparati delle amministrazioni centrali dello Stato.".

 

 

Il comma 33 dell'articolo 1 novella l’articolo 1, comma 2, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98[96], al fine di precisare l’ambito di applicazione della disposizione ivi introdotta, ai sensi della quale il trattamento economico di titolari di cariche elettive e i vertici di enti e istituzioni non può superare la media, ponderata rispetto al PIL, degli analoghi trattamenti economici percepiti dai titolari di omologhe cariche negli altri sei principali Stati dell'area euro.

 

Nel testo originario, infatti, l’articolo 1, comma 1, del D.L. 98/2011 prevede che il tetto del livello remunerativo, relativo alla media europea, si applica ai titolari di cariche elettive ed incarichi di vertice o quali componenti degli organismi, enti e istituzioni, anche collegiali, elencati nell’allegato A del decreto.

Tale Allegato comprende:

§      Senato della Repubblica;

§      Camera dei Deputati;

§      Corte Costituzionale;

§      organi di autogoverno della magistratura ordinaria, amministrativa, contabile, tributaria e militare;

§      Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro (CNEL);

§      autorità amministrative indipendenti, di cui all’elenco ISTAT previsto dall’art. 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, compresa l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ed esclusa la Banca d’Italia.

§      Commissione Nazionale per la Società e Borsa – CONSOB;

§      Presidenti delle Regioni e delle Province; sindaci; consiglieri regionali, provinciali e comunali;

§      Agenzia italiana del farmaco;

§      Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie;

§      Agenzia nazionale per la sicurezza del volo – ANSV;

§      Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali – AGE.NA.S;

§      Agenzia per la diffusione delle tecnologie per l’innovazione;

§      Agenzia per le erogazioni in agricoltura – AGEA;

§      Agenzia nazionale per la rappresentanza negoziale P.A. - ARAN;

§      DIgitPA;

§      Agenzia nazionale per il turismo;

§      Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata;

§      Agenzia per la sicurezza nucleare;

§      Agenzia nazionale di regolamentazione del settore postale;

§      Agenzia nazionale di vigilanza sulle risorse idriche;

§      Commissione indipendente per la Valutazione, la Trasparenza e l'Integrità delle amministrazioni pubbliche.

Il successivo comma 2, primo periodo, estende la disposizione di cui al comma precedente anche ai segretari generali, ai capi dei dipartimenti, ai dirigenti generali e ai titolari degli uffici a questi equiparati, senza ulteriori specificazioni.

 

Le novità introdotte con la novella in esame sembrerebbero operare una delimitazione di questo secondo gruppo di soggetti interessati all’applicazione del tetto retributivo rispetto alla media europea.

Innanzitutto, si sostituisce l’espressione “dirigenti generali” con quella, più corretta, di "dirigenti di prima fascia".

È noto, infatti, che nelle amministrazioni pubbliche, il ruolo della dirigenza è articolato nella prima e nella seconda fascia, ai sensi dell'articolo 23 del D.Lgs. 165/2001. I dirigenti della seconda fascia transitano nella prima qualora abbiano ricoperto incarichi di direzione di uffici dirigenziali generali o equivalenti, per un periodo pari almeno a cinque anni senza essere incorsi nelle misure previste per le ipotesi di responsabilità dirigenziale.

 

Oltre che ai dirigenti di prima fascia, si specifica che il tetto trova applicazione nei confronti dei direttori generali degli enti e dei titolari degli uffici equiparati delle amministrazioni centrali dello Stato.

 

Alla luce della novella introdotta, non sembra definita con precisione la categoria degli enti e delle amministrazioni, ai cui titolari di incarichi direttivi si applica il tetto retributivo. Inoltre, non appare chiaro il significato del riferimento, introdotto con la novella, alle amministrazioni centrali dello Stato, che avrebbe l’effetto di diversificare la posizione dei titolari di uffici statali a seconda dell’ubicazione, centrale ovvero periferica, dell’amministrazione di appartenenza.


Profili finanziari

 

Il prospetto riepilogativo non ascrive alla norma effetti sui saldi di finanza pubblica.

 

La relazione tecnica specifica che la disposizione estende quanto previsto in materia di livellamento retributivo dal comma 1, dell’art. 1 del D.L. 98/2011 alle figure dirigenziali di vertice delle amministrazioni centrali dello Stato e degli enti.

 

In merito ai profili di quantificazione non sono state formulate osservazioni, considerato che la norma è volta ad ampliare la platea dei soggetti interessati dalla misura di risparmio disciplinata dall’art. 1, del D.L. 98/2011, alla quale non sono associati effetti sui saldi di finanza pubblica.

 


 

Articolo 1, comma 33-bis
(Mantenimento in bilancio residui di stanziamento)

 


33-bis. All'articolo 36 del regio decreto 18 novembre 1923, n. 2440, il terzo comma è abrogato e il secondo comma è sostituito dal seguente:

«Le somme stanziate per spese in conto capitale non impegnate alla chiusura dell'esercizio possono essere mantenute in bilancio, quali residui, non oltre l'esercizio successivo a quello cui si riferiscono, salvo che si tratti di stanziamenti iscritti in forza di disposizioni legislative entrate in vigore nell'ultimo quadrimestre dell'esercizio precedente. In tale caso il periodo di conservazione è protratto di un anno».


 

 

Il comma 33-bis sostituendo i commi secondo e terzo dell’ articolo 36 del Regio decreto n. 2440/1923:

§      modifica la disciplina contabile sui termini di perenzione delle somme stanziate per spese in conto capitale non impegnate alla chiusura dell’esercizio finanziario (cd. residui di stanziamento), introdotta dal decreto legge n. 98/2011 (articolo 10, comma 8). La modifica, in sostanza, ripristina la disciplina contabile previgente al decreto n. 98, reintroducendo la possibilità che i residui di stanziamento di conto capitale possano essere mantenuti in bilancio per l’esercizio successivo a quello cui si riferiscono;

Il decreto legge n. 98/2010, all’articolo 10, comma 8 – mediante una novella ai primi tre commi dell'articolo 36 del regio decreto n. 2440 del 1923[97] - ha modificato il termine per la perenzione dei residui di conto capitale, portandolo, relativamente ai residui propri (cioè le somme conto capitale impegnate ma non pagate nel corso dell’esercizio precedente), da tre a due anni (articolo 36, primo comma R.D. n. 2440/1923).

Per ciò che concerne le spese in conto capitale non impegnate alla chiusura dell'esercizio, i cd. residui impropri o di stanziamento, il citato decreto legge n. 98 - attraverso una modifica all'articolo 36, secondo comma, R.D. n. 2440 del 1923 aveva previsto che essi costituissero economie di bilancio, facendo eccezione soltanto per gli stanziamenti iscritti in forza di disposizioni legislative entrate in vigore nell'ultimo quadrimestre del precedente esercizio, ammettendone il mantenimento in bilancio come residui non oltre l'esercizio successivo a quello cui si riferiscono.

Il secondo comma dell'articolo 36, nel testo previgente al decreto legge n. 98, prevedeva invece che le somme stanziate per spese in conto capitale, non impegnate alla chiusura dell'esercizio, potessero essere mantenute in bilancio come residui nell'esercizio successivo a quello cui si riferivano. Tuttavia, nel caso di stanziamenti iscritti in forza di disposizioni legislative entrate in vigore nell'ultimo quadrimestre dell'esercizio precedente, il periodo di conservazione in bilancio era protratto di un anno;

§      conseguentemente, viene soppressa la disposizione, introdotta dal citato decreto legge n. 98/2011, volta a consentire la reiscrizione in bilancio di somme che hanno costituito economie, con riferimento alla prima annualità di una autorizzazione di spesa pluriennale. In particolare, la norma soppressa prevedeva che tali somme potessero essere reiscritte con la legge di bilancio, per un solo esercizio finanziario, nella competenza dell’esercizio successivo a quello terminale della stessa autorizzazione.

Profili finanziari

 

Il prospetto riepilogativo non considera la norma.

 

 

La relazione tecnica, riferita al maxiemendamento approvato dal Senato, afferma che la disposizione non comporta effetti sui saldi di finanza pubblica in quanto alla disposizione del D.L. 98/2011 con cui tale termine di perenzione è stato ridotto non erano stati ascritti effetti di risparmio.

La relazione tecnica aggiornata, trasmessa all’atto del passaggio del provvedimento fra i due rami del Parlamento, conferma tale indicazione.

 

 

In merito ai profili di quantificazione, si osserva che la norma è volta a ripristinare la possibilità (già prevista prima dell’entrata in vigore del recente D.L. 98/2011) di mantenere in bilancio, per un esercizio aggiuntivo, gli stanziamenti in conto capitale non impegnati. Il testo, come affermato dalla relazione tecnica, interviene su una disposizione del D.L. 98/2011 (con cui tale termine di perenzione è stato ridotto) al quale non erano stati ascritti effetti finanziari. Ciò premesso, è stato comunque richiesto di chiarire se la norma in esame possa determinare un aumento della spesa in ragione di una maggiore disponibilità di risorse spendibili nell’esercizio di scadenza.

Come ricordato, con altre disposizioni contenute nella legge 244/2007 e nel decreto legge 98/2011 sono stati invece abbreviati i termini di conservazione in bilancio delle somme in conto capitale e di parte corrente impegnate: a tali disposizioni erano stati ascritti effetti di contenimento della spesa per cassa. Dai dati forniti dalle precedenti relazioni tecniche riferite a tali disposizioni si desumeva che ad un’abbreviazione dei termini di perenzione dei residui propri, ossia delle somme impegnate, può corrispondere un effetto di risparmio, anche se non quantificato (effetto di risparmio variabile a seconda della maggiore o minore accelerazione delle procedure amministrative da cui dipendono gli impegni di spesa)[98].

È stato osservato, inoltre, che l’abolizione (prevista dal testo in esame) della possibilità di prolungare i termini temporali delle spese pluriennali sembrerebbe consentire – in base agli elementi forniti dalla relazione tecnica al D.L. 98/2011[[99]] – il superamento di possibili profili di onerosità riferiti ad esercizi finanziari successivi a quelli considerati dalla manovra in esame e, comunque, non scontati ai fini dei saldi di finanza pubblica.

 


 

Articolo 1-bis
(Indennità di amministrazione)

 


1. L'articolo 170 del decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1967, n. 18, si interpreta nel senso che:

a) il trattamento economico complessivamente spettante al personale dell'Amministrazione degli affari esteri nel periodo di servizio all'estero, anche con riferimento a «stipendio» e «assegni di carattere fisso e continuativo previsti per l'interno», non include né l'indennità di amministrazione né l'indennità integrativa speciale;

b) durante il periodo di servizio all'estero al suddetto personale possono essere attribuite soltanto le indennità previste dal decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1967, n. 18.


 

 

L'articolo 1-bis reca l'interpretazione autentica della vigente disciplina in materia di trattamento economico del personale del Ministero degli esteri in servizio all'estero.

L'articolo in esame chiarisce che il trattamento economico complessivamente spettante al personale dell'Amministrazione degli affari esteri nel periodo di servizio all'estero, anche con riferimento a "stipendio" e "assegni di carattere fisso e continuativo previsti per l'interno", non include né l'indennità di amministrazione né l'indennità integrativa speciale.

Inoltre la norma in commento ribadisce in sostanza quanto già previsto all’art. 170, comma 2 del D.P.R. 18/1967 (Ordinamento dell’Amministrazione degli Affari esteri), ovvero che nessun altra indennità ordinaria e straordinaria può essere concessa, a qualsiasi titolo, al personale suddetto in relazione al servizio prestato all'estero in aggiunta al trattamento previsto dal D.P.R. 18/1967 medesimo.

 

La relazione tecnica che accompagna il cosiddetto maxi emendamento del Governo specifica che la ratio della norma in commento risiede nella necessità di porre termine a un contenzioso reiterato, in riferimento sia all'indennità di amministrazione che all’indennità integrativa speciale, già da tempo instauratosi nei confronti del Ministero degli Affari Esteri per iniziativa di suoi dipendenti, e dal quale si prevede possano derivare ingenti oneri per la finanza pubblica.

In particolare, con riferimento all'indennità di amministrazione, la relazione tecnica stima un onere annuo lordo, al netto degli interessi, che graverebbe l'amministrazione degli affari esteri all'incirca per 5,5 milioni di euro. È prevedibile inoltre un incremento dell'onere annuale lordo a circa 7 milioni per il periodo a decorrere dal 2008, in ragione di incrementi di carattere contrattuale e del numero più elevato degli interessati. Nel complesso, l'onere per il contenzioso relativo all'indennità di amministrazione è stimato per il quinquennio trascorso a oltre 30 milioni.

Per quanto invece concerne l'indennità integrativa speciale l'onere annuo lordo è assai più elevato, ammonta mediamente a circa 20 milioni, con il rischio di un aumento a 27 milioni qualora presentassero ricorso anche gli oltre 500 diplomatici in servizio all'estero: l'esborso per l'erario per contenziosi relativi all'indennità integrativa speciale sarebbe così nella migliore delle ipotesi superiore a 100 milioni, e ipotizzando anche ricorsi da parte del personale diplomatico, a 130 milioni su base quinquennale.

 

Si ricorda che l’indennità di amministrazione fa parte della retribuzione accessoria, con carattere di generalità e natura fissa e ricorrente. Tale indennità viene corrisposta, di norma, nelle medesime fattispecie in cui viene erogato lo stipendio tabellare.

L’indennità integrativa speciale (meglio conosciuta come “indennità di contingenza” o “scala mobile”) è disciplinata dall’articolo 99 del D.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, T.U. delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato.

In particolare, la disposizione prevede che al titolare di pensione o di assegno rinnovabile spetti un'indennità integrativa speciale, determinata annualmente applicando su una base fissa la variazione percentuale dell'indice del costo della vita relativo agli ultimi dodici mesi anteriori al luglio dell'anno immediatamente precedente, rispetto a quello del giugno 1956, che si considera uguale a 100.

Al titolare di più pensioni o assegni l'IIS compete ad un solo titolo. Inoltre, se la pensione di reversibilità è attribuita a più compartecipi, spetta una sola indennità integrativa speciale, da impartirsi proporzionalmente alla quota di pensione assegnata a ciascuno di essi.

L'IIS non è cedibile, né pignorabile, né sequestrabile e la sua corresponsione è sospesa nei confronti del titolare di pensione o di assegno che presti opera retribuita, sotto qualsiasi forma, presso lo Stato, amministrazioni pubbliche o enti pubblici, anche se svolgono attività lucrativa. Infine, l’IIS è dovuta anche alla vedova o al vedovo titolari di assegno alimentare, nella stessa percentuale prevista per detto assegno dal penultimo comma dell’articolo 88 del medesimo D.P.R. 1092/1973 (20% della pensione diretta).

 

Si segnala inoltre che l'art. 170 dell'ordinamento dell'Amministrazione degli affari esteri, di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1967, n. 18, stabilisce che il personale dei ruoli organici dell'Amministrazione degli affari esteri, oltre allo stipendio e agli assegni di carattere fisso e continuativo previsti per l'interno – compresa, nella misura minima, l'eventuale indennità o retribuzione di posizione - percepisce, quando è in servizio presso le rappresentanze diplomatiche e gli uffici consolari di prima categoria, l'indennità di servizio all'estero, stabilita per il posto di organico che occupa, nonché le altre competenze eventualmente spettanti in base alle disposizioni del medesimo D.P.R. 18/1967.

Nessun altra indennità ordinaria e straordinaria può essere concessa al personale suddetto in relazione al servizio prestato all'estero in aggiunta al trattamento previsto dal D.P.R. 18/1967.

Per quanto riguarda l'indennità di servizio all'estero di cui al successivo art. 171, la novella allo stesso apportata dal Decreto Legislativo 27 febbraio 1998, n. 62[100], ha comportato una ristrutturazione dell’istituto, ora consistente in una indennità di base (rideterminata per ciascun posto-funzione in apposita tabella allegata al provvedimento), cui si applicano i coefficienti attribuiti ad ogni sede con apposito decreto del ministro degli esteri di concerto con il ministro del tesoro. Rispetto alla normativa previgente, l'elemento del disagio della sede è stato espunto dai parametri per la formazione dei coefficienti di sede e dà luogo invece ad un'apposita maggiorazione dell'ISE; analogamente, è stata scorporata dall'ISE la componente relativa alle spese di rappresentanza, istituendo – va infatti ricordato che il D.Lgs. 62/1998 ha inciso su numerosi altri articoli del D.P.R. 18/1967 - un apposito assegno di rappresentanza e dettando i criteri per la determinazione dello stesso. E’ stata altresì modificata la normativa sia su altri istituti direttamente incidenti sul trattamento economico (quali le indennità di prima sistemazione e per carichi di famiglia, i contributi per spese di abitazione e per trasporto mobili, le provvidenze scolastiche, i rimborsi delle spese di viaggio), sia su istituti che solo indirettamente hanno riflessi sul trattamento economico (congedi, assenze dal servizio per ragioni di salute, maternità o altre cause).

Profili finanziari

 

Il prospetto riepilogativo non ascrive alla norma effetti sui saldi di finanza pubblica.

 

La relazione tecnica riferita al maxiemendamento approvato al Senato afferma che le disposizioni sono finalizzate a porre termine al contenzioso seriale, riferito sia all'indennità di amministrazione sia all'indennità integrativa speciale, instauratosi nei confronti del Ministero degli affari esteri, dal quale possono derivare ingenti oneri a carico della finanza pubblica.

In particolare, la relazione tecnica afferma che sono già pervenuti 32 ricorsi che richiedono la liquidazione dell’indennità di amministrazione in caso di servizio all’estero. I ricorsi interessano 1.131 dipendenti; di questi 454 hanno già avuto sentenza favorevole; in 8 sentenze di primo grado l’amministrazione è sempre risultata soccombente. Le somme esigibili dai ricorrenti (in esito alle 8 sentenze) ammontano a 5,5 milioni circa, mentre le somme oggetto di contenzioso ammontano a circa 32 milioni di euro (5,5 milioni all’anno, considerata la prescrizione quinquennale e considerato che i dipendenti degli Affari esteri in servizio all'estero sono circa 2.000 unità all'anno). Inoltre l'onere annuale salirà a circa 7 milioni a partire dal 2008, per effetto sia degli incrementi contrattuali sia del numero degli interessati.

La RT sottolinea inoltre che, nel mese di luglio 2011, è pervenuto all’amministrazione anche il primo atto di pignoramento relativo alle cause de quibus, per una cifra pari ad euro 8.848,35 (di cui euro 5.437,00 di sorte capitale e ben euro 3.411,35 di mere spese legali).

Sono, inoltre, pervenuti 23 ricorsi che richiedono la liquidazione dell’indennità integrativa speciale in caso di servizio all’estero. I ricorsi interessano 813 dipendenti; di questi 331 hanno già avuto sentenza favorevole e l’amministrazione è risultata soccombente in tutte le 9 sentenze di primo grado. Le somme oggetto di contenzioso ammontano a circa 100 milioni di euro. Tale importo sarebbe destinato a crescere fino a 27 milioni annui nel caso in cui presentassero ricorso anche gli oltre 500 diplomatici in servizio all’estero ogni anno.

Le stime esposte non includono il pagamento delle spese legali.

 

In merito ai profili di quantificazione, non sono state formulate osservazioni, considerata la finalità della norma. Questa, infatti, è volta a ridurre gli oneri a carico della finanza pubblica derivanti da misure la cui applicazione è oggetto di contenzioso.

 


 

Articolo 1-ter
(Calendario del processo civile)

 


1. Ai fini della riduzione della spesa pubblica e per ragioni di migliore organizzazione del servizio di giustizia, all'articolo 81-bis delle disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto 18 dicembre 1941, n. 1368, sono apportate le seguenti modifiche:

a) il primo comma è sostituito dal seguente:

«Il giudice, quando provvede sulle richieste istruttorie, sentite le parti e tenuto conto della natura, dell'urgenza e della complessità della causa, fissa, nel rispetto del principio di ragionevole durata del processo, il calendario delle udienze successive, indicando gli incombenti che verranno in ciascuna di esse espletati, compresi quelli di cui all'articolo 189, primo comma. I termini fissati nel calendario possono essere prorogati, anche d'ufficio, quando sussistono gravi motivi sopravvenuti. La proroga deve essere richiesta dalle parti prima della scadenza dei termini»;

b) dopo il primo comma è inserito il seguente:

«Il mancato rispetto dei termini fissati nel calendario di cui al comma precedente da parte del giudice, del difensore o del consulente tecnico d'ufficio può costituire violazione disciplinare, e può essere considerato ai fini della valutazione di professionalità e della nomina o conferma agli uffici direttivi e semidirettivi».

2. Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano alle controversie instaurate successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.


 

 

Con il maxiemendamento del Governo approvato dal Senato è stato inserito nel decreto-legge l’articolo 1-ter, che novella l’art. 81-bis delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, frutto della recente riforma del processo civile operata dalla legge n. 69 del 2009[101].

 

Normativa vigente

Emendamenti al D.L. 138/2011

Disposizioni di attuazione del codice di procedura civile
Art. 81-bis, Calendario del processo

 

 

Il giudice, quando provvede sulle richieste istruttorie, sentite le parti e tenuto conto della natura, dell’urgenza e della complessità della causa, fissa il calendario del processo con l’indicazione delle udienze successive e degli incombenti che verranno espletati. I termini fissati nel calendario possono essere prorogati, an­che d’ufficio, quando sussistono gravi mo­tivi sopravvenuti. La proroga deve essere richiesta dalle parti prima della scadenza dei termini.

1. Il giudice, quando provvede sulle richieste istruttorie, sentite le parti e tenuto conto della natura, dell’urgenza e della complessità della causa, fissa, nel rispetto del principio di ragionevole durata del processo, il calendario delle udienze successive, indicando gli incombenti che verranno in ciascuna di esse espletati, compresi quelli di cui all’articolo 189 primo comma. I termini fissati nel calendario possono essere prorogati, anche d’ufficio, quando sussi­stono gravi motivi sopravvenuti. La proroga deve essere richiesta dalle parti prima della scadenza dei termini.

 

1-bis. Il mancato rispetto dei termini fissati nel calendario di cui al comma precedente da parte del giudice, del difensore o del consulente tecnico d’ufficio può costituire violazione disciplinare, nonché può essere considerato ai fini della valutazione di professionalità e della nomina o conferma agli uffici direttivi e semidirettivi.

 

 

Con l’odierno intervento il legislatore richiede che il calendario delle udienze sia maggiormente dettagliato: ispirato dal principio di ragionevole durata del processo, il giudice dovrà programmare e specificare le attività che saranno compiute in ogni udienza, compresi gli inviti alle parti a specificare le conclusioni davanti al giudice istruttore prima della rimessione della causa al collegio (ex art. 189 c.p.c., primo comma).

 

Il successivo comma vincola tutti i soggetti processuali (giudice, avvocato o consulente tecnico) al rispetto del calendario, affermando che eventuali violazioni dello stesso potranno essere imputate ai singoli a titolo di responsabilità disciplinare. In particolare, per quanto riguarda il giudice, il mancato rispetto dei tempi processuali definiti dal calendario potrà essere valutato negativamente ai fini della valutazione di professionalità e dell’accesso agli uffici direttivi e semidirettivi.

 

L’articolo in commento specifica che le novelle alle disposizioni di attuazioni si applicano alle controversie che saranno instaurate successivamente all’entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge.

Profili finanziari

 

Il prospetto riepilogativo non ascrive alla norma effetti sui saldi di finanza pubblica.

 

La relazione tecnica afferma che la norma non determina nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, ma è invece volta a contribuire al contenimento della spesa pubblica, con effetti quantificabili a consuntivo. Infatti prevede un meccanismo dissuasivo dell'eccessiva durata dei giudizi civili, alla quale conseguono ingenti indennizzi dovuti dallo Stato per la violazione del principio di ragionevole durata del processo.

 

In merito ai profili di quantificazione non sono state formulate osservazioni.

 


 

Articolo 2, commi 1 e 2
(Contributo di solidarietà)

 


1. Le disposizioni di cui agli articoli 9, comma 2, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, e 18, comma 22-bis, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, continuano ad applicarsi nei termini ivi previsti rispettivamente dal 1° gennaio 2011 al 31 dicembre 2013 e dal 1° agosto 2011 al 31 dicembre 2014.

2. In considerazione della eccezionalità della situazione economica internazionale e tenuto conto delle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea, a decorrere dal 1° gennaio 2011 e fino al 31 dicembre 2013 sul reddito complessivo di cui all'articolo 8 del testo unico delle imposte sui redditi di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, di importo superiore a 300.000 euro lordi annui, è dovuto un contributo di solidarietà del 3 per cento sulla parte eccedente il predetto importo. Ai fini della verifica del superamento del limite di 300.000 euro rilevano anche il reddito di lavoro dipendente di cui all'articolo 9, comma 2, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, al lordo della riduzione ivi prevista, e i trattamenti pensionistici di cui all'articolo 18, comma 22-bis, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, al lordo del contributo di perequazione ivi previsto. Il contributo di solidarietà non si applica sui redditi di cui all'articolo 9, comma 2, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, e di cui all'articolo 18, comma 22-bis, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111. Il contributo di solidarietà è deducibile dal reddito complessivo. Per l'accertamento, la riscossione e il contenzioso riguardante il contributo di solidarietà, si applicano le disposizioni vigenti per le imposte sui redditi. Con decreto di natura non regolamentare del Ministro dell'economia e delle finanze, da emanare entro il 30 ottobre 2011, sono determinate le modalità tecniche di attuazione delle disposizioni di cui al presente comma, garantendo l'assenza di oneri per il bilancio dello Stato e assicurando il coordinamento tra le disposizioni contenute nel presente comma e quelle contenute nei citati articoli 9, comma 2, del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, e 18, comma 22-bis, del decreto-legge n. 98 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111 del 2011. Con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, l'efficacia delle disposizioni di cui al presente comma può essere prorogata anche per gli anni successivi al 2013, fino al raggiungimento del pareggio di bilancio.


 

 

Il comma 1 dell’articolo 1, modificato nel corso dell’esame parlamentare, conferma l’applicabilità del cd. “contributo di solidarietà” sugli emolumenti dei dipendenti pubblici introdotto dall’articolo 2, comma 9 del decreto-legge n. 78/2010[102] e sui trattamenti pensionistici previsto dall’articolo 18, comma 22-bis, del D.L. n. 98 del 2011[103].

 

Il comma 2, inserito durante l’esame parlamentare, introduce un contributo di solidarietà a carico di tutti i contribuenti il cui reddito complessivo ai fini IRPEF sia superiore a 300.000 euro lordi annui, per il periodo 1° gennaio 2011 – 31 dicembre 2013, prorogabile anche per gli anni successivi al 2013 fino al raggiungimento del pareggio di bilancio.

 

Nella formulazione originaria, il comma 1 dell’articolo 2 prevedeva l’introduzione, a decorrere dal 2011 e fino al 2013, di un contributo di solidarietà a carico di tutti i contribuenti con reddito complessivo superiore a 90.000 euro lordi annui (con conseguente soppressione delle richiamate disposizioni che avevano introdotto il contributo di solidarietà per dipendenti pubblici e pensionati).

Tale contributo, deducibile ai fini delle imposte dirette e gravante sul reddito complessivo (di cui all’articolo 8 del TUIR) di importo superiore a 90.000 euro lordi annui, era previsto nelle seguenti misure:

§      5 per cento sulla parte eccedente i 90.000 euro fino a 150.000 euro;

§      10 per cento sulla parte eccedente 150.000 euro.

 

Come anticipato supra il comma 1, nei termini temporali già previsti, conferma l’applicabilità delle citate disposizioni di cui all’articolo 9, comma 2, del D.L. n. 78 del 2010 e all’articolo 18, comma 22-bis, del D.L. n. 98 del 2011.

 

L’articolo 9, comma 2, del D.L. n. 78 del 2010, in considerazione della eccezionalità della situazione economica internazionale e tenuto conto delle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea, ha previsto la riduzione dei trattamenti economici complessivi dei singoli dipendenti, anche di qualifica dirigenziale, delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione (individuato dall’ISTAT ai sensi dell’articolo 1, comma 3, della legge 196/2009), nei seguenti termini:

§      per importi superiori a 90.000 euro lordi annui, riduzione del 5 per cento per la parte eccedente il predetto importo fino a 150.000 euro;

§      per importi superiori a 150.000 euro lordi annui, riduzione del 10 per cento per la parte eccedente i 150.000 euro.

In ogni caso, a seguito della predetta riduzione il trattamento economico complessivo non può essere comunque inferiore a 90.000 euro lordi annui.

Inoltre, la riduzione del 5 e del 10 per cento non opera ai fini previdenziali.

La disposizione si applica nel periodo che va dal 1° gennaio 2011 al 31 dicembre 2013.

Le norme hanno previste specifiche forme di prelievo nei confronti di determinate categorie di dipendenti pubblici (responsabili degli uffici di diretta collaborazione dei Ministri e i procuratori ed avvocati dello Stato).

 

L’articolo 18, comma 22-bis, del D.L. n. 98 del 2011, ha introdotto un contributo di perequazione sui trattamenti pensionistici corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatorie nella seguente modalità:

§      per gli importi che superino i 90.000 euro lordi annui e fino a 150.000 euro, il contributo è pari al 5% della parte eccedente il predetto importo;

§      per la parte eccedente i 150.000 euro pari al 10%.

In ogni caso, a seguito della predetta riduzione il trattamento pensionistico complessivo non può essere inferiore a 90.000 euro lordi annui.

La norma si applica a decorrere dal 1° agosto 2011 e fino al 31 dicembre 2014.

La norma, inoltre, ha stabilito che ai predetti importi concorrono anche i trattamenti erogati da forme pensionistiche che garantiscono prestazioni definite in aggiunta o ad integrazione del trattamento pensionistico obbligatorio (si tratta, in pratica, del personale della Banca d’Italia, dell’UIC, degli enti pubblici creditizi, delle regioni, del c.d. parastato, del personale addetto alle imposte di consumo, delle aziende del gas, delle esattorie e delle ricevitorie). Ai fini applicativi, si prevede che la trattenuta relativa al contributo viene applicata, in via preventiva e salvo conguaglio, a conclusione dell’anno di riferimento, all’atto della corresponsione di ciascun rateo mensile. Inoltre, viene preso a riferimento il trattamento pensionistico complessivo lordo per l’anno considerato.

 

Il comma 2 istituisce, a decorrere dal 1° gennaio 2011 e fino al 31 dicembre 2013, un contributo di solidarietà sul reddito complessivo determinato a fini IRPEF ai sensi dell’articolo 8 del testo unico delle imposte sui redditi – TUIR (D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917) di importo superiore a 300.000 euro lordi annui, di ammontare pari al 3 per cento della parte eccedente il predetto importo.

 

Ai sensi del richiamato articolo 8, comma 1, primo periodo del TUIR, la determinazione del reddito complessivo si effettua sommando i redditi di ogni categoria che concorrono a formarlo e sottraendo le perdite derivanti dall’esercizio di imprese commerciali e quelle derivanti dall’esercizio di arti e professioni.

 

Ai fini della verifica del superamento del predetto limite di 300.000 euro concorrono anche i redditi da lavoro dipendente dei dipendenti pubblici e i trattamenti pensionistici di cui, rispettivamente, ai richiamati articolo 9, comma 2, del D.L. n. 78 del 2010 e articolo 18, comma 22-bis, del D.L. n. 98 del 2011, ancorché al lordo delle riduzioni e del contributo perequativo ivi previsti.

 

Dal tenore delle disposizioni in commento, in sostanza, si evince che il contributo di solidarietà opera anche nei confronti dei dipendenti pubblici e dei pensionati, ove il reddito complessivo superi i 300.000 euro.

Ai fini del superamento della predetta soglia, i redditi dei dipendenti pubblici e i trattamenti pensionistici già assoggettati a riduzione ai sensi del D.L. 78/2010 e del D.L. 98/2011 saranno valutati nel computo al lordo delle riduzioni.

Tuttavia, le norme in esame precisano che il contributo di solidarietà in commento non colpirà la parte dei redditi da lavoro dipendente di natura pubblica o da pensione già soggetta alle precedenti riduzioni, ma solo la parte dei redditi avente natura diversa.

 

L’introduzione del contributo rientra nella già rilevata considerazione della eccezionalità della situazione economica internazionale, tenuto conto delle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea.

 

Analogamente a quanto previsto dalla disposizione originaria, il contributo di solidarietà è deducibile dal reddito complessivo.

 

Per l’accertamento, la riscossione e il contenzioso riguardante il contributo di solidarietà, le disposizioni rimandano alle vigenti norme in materia di imposte sui redditi.

 

Nella formulazione originaria dell’articolo 2, comma 1 del decreto-legge era resa esplicita l’applicazione del contributo dal 2011 in deroga all’articolo 3 dello statuto del contribuente (legge n. 212 del 2000), che reca il generale principio di irretroattività delle norme tributarie.

La richiamata norma dello statuto prevede, infatti, che le disposizioni tributarie non abbiano effetto retroattivo; in particolare relativamente ai tributi periodici le modifiche introdotte si applicano solo a partire dal periodo d'imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore delle disposizioni che le prevedono.

In merito si osserva che la forma di prelievo in commento come introdotta in sede di conversione al Senato sembra avere analogamente natura fiscale: ciò in rapporto all’esplicita applicazione delle norme in materia di imposte dirette non per le modalità di determinazione del reddito cui applicare il “contributo di solidarietà”, ma anche per quanto riguarda l’accertamento, la riscossione e al contenzioso. In tal caso sembrerebbe opportuno esplicitare che la sua applicazione al periodo d’imposta in corso avviene in deroga ai principi stabiliti dall’articolo 3 dello Statuto del contribuente.

 

La norma demanda a un decreto di natura non regolamentare del Ministro dell’economia e delle finanze, da emanare entro il 30 settembre 2011, le modalità di attuazione delle disposizioni, garantendo l’assenza di oneri per il bilancio dello Stato e assicurando il coordinamento tra le disposizioni contenute nel presente articolo e quelle in materia di riduzione degli emolumenti dei dipendenti pubblici e dei trattamenti pensionistici (contenute nei già citati articoli 9, comma 2, del D.L. n. 78 del 2010 e 18, comma 22-bis, del decreto-legge n. 98 del 2011).

 

Infine, si affida a un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministero dell’economia e delle finanze, la possibilità di prorogare l’efficacia delle disposizioni di cui al comma 1-bis in esame anche per gli anni successivi al 2013, fino al raggiungimento del pareggio di bilancio.

 

Tale ultima disposizione affida a un provvedimento di rango secondario l’eventuale proroga oltre il 2013 dell’applicazione del contributo di solidarietà. Si osserva in merito che costante giurisprudenza costituzionale (a partire dalla sent. C. Cost. n. 122/1957) ritiene che le leggi che impongono prestazioni di carattere patrimoniale debbano avere un contenuto minimo, tale da delimitare la discrezionalità dell’amministrazione e dell’ente impositore.

Profili finanziari

 

Il prospetto riepilogativo riferito al testo originario assegnava alle norme i seguenti effetti sui saldi di finanza pubblica.

 

(milioni di euro)

 

Saldo netto da finanziare

Fabbisogno

Indebitamento netto

 

2012

2013

2014

2012

2013

2014

2012

2013

2014

Maggiori entrate

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Contributo

2.829,0

2.829,0

2.829,0

2.829,0

2.829,0

2.829,0

2.829,0

2.829,0

2.829,0

Minori entrate

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Deducibilità

2.051,0

1.172,0

1.172,0

2.051,0

1.172,0

1.172,0

2.051,0

1.172,0

1.172,0

Add. Reg.

 

 

 

35,0

35,0

35,0

35,0

35,0

35,0

Add. Com.

 

 

 

15,6

12,0

12,0

15,6

12,0

12,0

Contr .DL 78/2010

29,0

29,0

0,0

29,0

29,0

0,0

29,0

29,0

0,0

Contr. DL 98/2011

24,0

24,0

24,0

24,0

24,0

24,0

24,0

24,0

24,0

Maggiori spese

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Add. Reg.

35,0

35,0

35,0

 

 

 

 

 

 

Add. Com.

15,6

12,0

12,0

 

 

 

 

 

 

 

La relazione tecnica riferita al testo originario affermava che, ai fini della stima, erano state effettuate apposite elaborazioni attraverso il modello di microsimulazione IRPEF, basato sui dati delle dichiarazioni dei redditi delle persone fisiche presentate nel 2009 (periodo d’imposta 2008). I redditi, con esclusione delle rendite su base catastale, erano stati proiettati all’anno 2011.

In base a tali elaborazioni, considerando anche gli effetti della clausola di salvaguardia che prevede l’opzione per l’applicazione dell’aliquota del 48 per cento per lo scaglione di reddito superiore a 75.000 euro[104], la relazione stimava un gettito annuo del contributo di solidarietà di 2.829 milioni di euro.

Al fine di ottenere il corrispondente gettito annuo netto, erano stati inoltre stimati, sempre in base alle predette elaborazioni, gli effetti della deducibilità del contributo dal reddito complessivo, pari a 1.172 milioni annui, nonché gli effetti in termini di minore gettito delle addizionali regionale e comunale, pari, rispettivamente, a 35 e a 12 milioni di euro annui.

Erano stati, inoltre, sottratti gli effetti finanziari a suo tempo ascritti alle norme che hanno introdotto le riduzioni dei trattamenti dei dipendenti pubblici e dei pensionati, soppresse nel testo iniziale.

Pertanto, in termini di cassa, tenendo conto del fatto che il contributo di solidarietà era dovuto per il periodo 2011-2013, la relazione tecnica, riferita al testo iniziale, esponeva i seguenti effetti finanziari netti.

(milioni di euro)

 

2012

2013

2014

Contributo di solidarietà

2.829

2.829

2.829

Deduzione contributo

-2.051

-1.172

-1.172

Addizionale regionale

-35

-35

-35

Addizionale comunale

-15,6

-12

-12

Contributo DL 78/10

-29

-29

 

Contributo DL 98/11

-24

-24

-24

Totale

674,4

1.557

1.586

 

 

Il prospetto riepilogativo riferito al testo definitivo ascrive alle disposizioni i seguenti effetti sui saldi di finanza pubblica.

 

(milioni di euro)

 

Saldo netto da finanziare

Fabbisogno

Indebitamento netto

 

2012

2013

2014

2012

2013

2014

2012

2013

2014

Maggiori entrate

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Contributo

269

269

269

269

269

269

269

269

269

Minori entrate

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Deducibilità

210

120

120

210

120

120

210

120

120

Add. Reg.

 

 

 

3,6

3,6

3,6

3,6

3,6

3,6

Add. Com.

 

 

 

1,6

1,2

1,2

1,6

1,2

1,2

Maggiori spese

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Add. Reg.

3,6

3,6

3,6

 

 

 

 

 

 

Add. Com.

1,6

1,2

1,2

 

 

 

 

 

 

 

 

La relazione tecnica riferita al testo definitivo[105] sottolinea che la modifica di cui al comma 1 fa venire meno, sostanzialmente, le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 del testo originario, istitutivi del contributo di solidarietà, ripristinando la previgente normativa riguardante i dipendenti pubblici ed i pensionati.

Gli effetti finanziari risultano, pertanto, i seguenti.

 

(milioni di euro)

 

2012

2013

2014

Contributo di solidarietà

-2.829

-2.829

-2.829

Deduzione contributo

2.051

1.172

1.172

Addizionale regionale

35

35

35

Addizionale comunale

15,6

12

12

Contributo DL 78/10

29

29

 

Contributo DL 98/11

24

24

24

Totale

-674,4

-1.557

-1.586

 

In riferimento all’introduzione del contributo di solidarietà per i redditi di importo superiore a 300.000 euro, di cui al comma 2, la medesima relazione tecnica afferma che, ai fini della stima, sono state effettuate apposite elaborazioni tramite il modello di microsimulazione IRPEF basato sui dati delle dichiarazioni dei redditi delle persone fisiche presentate nel 2009, riferite al periodo d’imposta 2008.

 

I redditi, ad esclusione delle rendite su base catastale, sono stati quindi rivalutati al 2011.

 

In base a tali elaborazioni, che tengono conto degli effetti di quanto disposto dall’articolo 9, comma 2, del decreto legge n. 78 del 2010 e dall’articolo 18, comma 22-bis, del decreto legge n. 98 del 2011, risulta un ammontare annuo del contributo di solidarietà pari a 269 milioni.

 

Ai fini della stima dell’effetto netto di gettito, occorre ridurre tale ammontare dei relativi effetti fiscali, connessi alla deducibilità del contributo. Tali effetti sono stimati su base annua in 120 milioni a titolo di IRPEF, 3,6 milioni a titolo di addizionale regionale e 1,2 milioni a titolo di addizionale comunale.

 

Gli effetti complessivi, considerando la vigenza della disposizione di cui al comma 2 per il periodo 2011-2013, cui corrispondono effetti di cassa per il periodo 2012-2014, sono riassunti nella tavola che segue.

 

(milioni di euro)

 

2012

2013

2014

Contributo di solidarietà

269

269

269

IRPEF

-210

-120

-120

Addizionale regionale

-3,6

-3,6

-3,6

Addizionale comunale

-1,6

-1,2

-1,2

Totale

53,8

144,2

144,2

 

 

In merito ai profili di quantificazione, relativamente alla stima degli effetti del comma 2, si è osservato che il ricorso ad elaborazioni effettuate mediante utilizzo del modello di microsimulazione – di cui la relazione tecnica indica i soli risultati finali – se, da un lato, garantisce una puntuale quantificazione degli effetti finanziari, dall’altro non consente un’analitica verifica delle stime proposte. Si è segnalato, inoltre, che la relazione tecnica non fornisce i parametri in base ai quali i redditi dichiarati nel 2009, posti alla base delle elaborazioni, sono stati rivalutati al 2011.

In merito alla distribuzione temporale delle maggiori entrate derivanti dal contributo – che la relazione tecnica ipotizza costanti in ciascuno degli anni dal 2012 al 2014 – è stato rilevato che tale distribuzione dipende, di fatto, dalle modalità di versamento del prelievo: modalità, peraltro, non esplicitate dalle norme in esame.

Le modalità di versamento del prelievo potrebbero essere diversificate in base alla natura del reddito prevalente del contribuente (per esempio, trattenute effettuate mensilmente dal sostituto d’imposta per i lavoratori dipendenti ovvero autoliquidazione per gli esercenti attività di lavoro autonomo), con effetti diversificati sui tempi di acquisizione all’erario del maggior gettito (11/13 della competenza annua per i lavoratori dipendenti, versamento a saldo ed in acconto per gli autonomi).

Sempre in merito all’andamento temporale degli effetti finanziari ascritti alla norma, è stato segnalato che, in base ai dati ed alle ipotesi adottate dalla relazione tecnica, nel 2015 dovrebbe realizzarsi una ripresa di gettito IRPEF, pari a 90 milioni, conseguente al recupero del minore acconto versato nel 2014 per effetto della deduzione del contributo, qualora non si verifichino le condizioni per una proroga dell’applicazione della norma.

E’ stata, inoltre, evidenziata la necessità di chiarire le modalità in base alle quali, ai fini della stima degli effetti, si sia tenuto conto delle disposizioni che prevedono, per i dipendenti pubblici ed i pensionati che espongono anche altre tipologie di reddito, l’assoggettamento al nuovo contributo di solidarietà con l’esclusione dei redditi di lavoro dipendente pubblico, ovvero dei trattamenti pensionistici.

 

Sempre in merito a tali categorie di contribuenti, è emersa, infine, l’esigenza di un chiarimento su quali saranno le modalità applicative del contributo di solidarietà, nell’ipotesi di un prolungamento della sua efficacia oltre i termini di vigenza, rispettivamente, delle disposizioni di cui all’articolo 9, comma 2, del decreto legge n. 78 del 2010 e dell’articolo 18, comma 22-bis, del decreto legge n. 98 del 2011.

Un’analoga esigenza di chiarimenti è stata evidenziata, infine, in merito agli eventuali effetti finanziari relativi alle addizionali regionali e comunali derivanti dall’applicazione della norma con riferimento alla disciplina recata dai decreti legislativi n. 23/2011 (federalismo municipale) e n. 68/2011 (federalismo regionale).

Nella Nota di risposta alle osservazioni formulate nel corso dell’iter alla Camera, trasmessa alla Commissione Bilancio l’8 settembre 2011, il Dipartimento delle finanze ha precisato quanto segue:

-          nel modello di microsimulazione i singoli redditi dichiarati da ogni contribuente (di lavoro dipendente, di pensione, di lavoro autonomo, d’impresa, di locazione ecc.) sono estrapolati (ad eccezione delle rendite su base catastale) all’anno di riferimento utilizzando alcuni parametri - quali il deflatore del PIL, l’andamento delle retribuzioni lorde di lavoro dipendente – pubblicati annualmente nel Documento di economia e finanza. Sono, quindi, considerati anche gli eventuali decrementi riscontrabili in particolari anni: ad esempio, l’estrapolazione dal 2008 al 2011, condotta sui dati dei singoli anni, tiene conto anche del dato di decremento del PIL nominale registrato nel 2009;

-          si conferma che, nel caso in cui non si verifichino le condizioni per una proroga dell’applicazione delle disposizioni di cui al comma 2, nel 2015 si avrebbe un recupero di gettito IRPEF pari a 90 milioni di euro in conseguenza del minore acconto versato nell’anno precedente;

-          ai fini della stima del contributo per i dipendenti pubblici ed i pensionati, si è tenuto conto delle altre tipologie reddituali dichiarate da tali categorie di contribuenti, stimandone gli effetti per coloro che risultavano avere un reddito complessivo superiore a 300.000 euro.

 


 

Articolo 2, commi da 2-bis a 2-quater
(Aumento dell’IVA dal 20 al 21 per cento)

 


2-bis. Al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, sono apportate le seguenti modifiche:

a) il primo comma dell'articolo 16 è sostituito dal seguente:

«L'aliquota dell'imposta è stabilita nella misura del ventuno per cento della base imponibile dell'operazione.»;

b) il secondo comma dell'articolo 27 è sostituito dal seguente:

«Per i commercianti al minuto e per gli altri contribuenti di cui all'articolo 22 l'importo da versare o da riportare al mese successivo è determinato sulla base dell'ammontare complessivo dell'imposta relativa ai corrispettivi delle operazioni imponibili registrate per il mese precedente ai sensi dell'articolo 24, calcolata su una quota imponibile ottenuta dividendo i corrispettivi stessi per 104 quando l'imposta è del quattro per cento, per 110 quando l'imposta è del dieci per cento, per 121 quando l'imposta è del ventuno per cento, moltiplicando il quoziente per cento ed arrotondando il prodotto, per difetto o per eccesso, al centesimo di euro»;

c) la rubrica della tabella B è sostituita dalla seguente:

«Prodotti soggetti a specifiche discipline».

2-ter. Le disposizioni del comma 2-bis si applicano alle operazioni effettuate a partire dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.

2-quater. La variazione dell'aliquota dell'imposta sul valore aggiunto di cui al comma 2-bis non si applica alle operazioni effettuate nei confronti dello Stato e degli enti e istituti indicati nel quinto comma dell'articolo 6 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, per le quali al giorno precedente la data di cui al comma 2-ter sia stata emessa e registrata la fattura ai sensi degli articoli 21, 23 e 24 del predetto decreto, ancorché al medesimo giorno il corrispettivo non sia stato ancora pagato.


 

 

I commi da 2-bis a 2-quater dell'articolo 2 provvedono ad aumentare dal 20 al 21 per cento della base imponibile l’aliquota dell’imposta sul valore aggiunto (IVA) di cui all’articolo 16 del D.P.R. n. 633 del 1972.

 

Si ricorda che le aliquote IVA sono disciplinate dall’articolo 16 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, recante l’istituzione e la disciplina dell’imposta sul valore aggiunto. Nel dettaglio, accanto all’aliquota normale (20 per cento) che viene modificata dal comma in commento, si prevede un’aliquota ridotta del 10 per cento e un’aliquota “super-ridotta” del 4 per cento per le operazioni aventi per oggetto i beni e i servizi elencati nella Tabella A allegata al citato D.P.R. n. 633.

In particolare, nella parte III della Tabella A vi è l’elenco dettagliato dei beni e dei servizi assoggettati ad aliquota del 10 per cento. La parte II della Tabella A reca invece l’elenco dettagliato dei beni e dei servizi assoggettati ad aliquota del 4 per cento.

Si fa presente, inoltre, che l’ordinamento prevede anche alcuni specifici regimi agevolati e forfetari di applicazione dell’IVA.

 

Si ricorda peraltro che la normativa sull’IVA è oggetto di disciplina europea. In particolare, la direttiva 2006/112/CE ha proceduto alla rifusione delle norme che costituiscono il sistema comune dell’imposta sul valore aggiunto, contenute principalmente nella direttiva 77/388/CEE del 17 maggio 1977, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari (cosiddetta “sesta direttiva IVA”), più volte modificata nel corso degli anni da numerose direttive. La direttiva 2006/112/CE costituisce pertanto una sorta di testo unico di tutte le norme sul sistema comune di IVA, razionalizzando e coordinando le numerose e sostanziali modifiche intervenute nel tempo.

In materia di aliquote, l’articolo 97 della direttiva 2006/112/CE (cosiddetta direttiva IVA, vedi oltre) stabilisce che l’aliquota normale d’imposta fissata da ciascun paese membro non può essere, fino al 31 dicembre 2010, inferiore al 15%.

Gli articoli 98 e 99 consentono agli Stati membri la facoltà di applicare una o due aliquote ridotte. Tale facoltà è ammessa esclusivamente per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi delle categorie individuate nell’allegato III della direttiva. In ogni caso, la misura dell’aliquota ridotta non può essere inferiore al 5%. In deroga alle regole normali, alcuni Stati membri sono stati autorizzati a mantenere delle aliquote ridotte, comprese le aliquote “ultraridotte” e le aliquote zero, in alcuni ambiti.

La direttiva 5 maggio 2009, n. 2009/47/CE è intervenuta sulla direttiva 2006/112/CE apportando, tra l’altro, modifiche all’allegato III della direttiva 2006/112/CE al fine di ampliare l’ambito delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi che possono essere assoggettate alle aliquote ridotte. Nel secondo considerando della direttiva 2009/47/CE viene evidenziato che la Commissione europea, nella sua Comunicazione sulle aliquote IVA diverse dall’aliquota IVA normale presentata al Consiglio e al Parlamento europeo nel luglio 2007, ha concluso che l’applicazione di aliquote ridotte ai servizi prestati localmente non pone problemi per il buon funzionamento del mercato interno e può, in presenza di determinate condizioni, produrre effetti positivi in termini di creazione di occupazione e di lotta all’economia sommersa.

La direttiva 2010/88/UE del Consiglio del 7 dicembre 2010 ha prorogato la durata dell'obbligo di applicazione di un'aliquota normale minima fino al 31 dicembre 2015.

 

In particolare, la lettera a) del comma 2-bis sostituisce il primo comma dell’articolo 16 del D.P.R. n. 633 del 1972 stabilendo la nuova misura dell’aliquota dell’imposta al ventuno per cento.

 

La lettera b) del medesimo comma, mediante sostituzione del comma 2 dell’articolo 27 del D.P.R. n. 633 del 1972, reca le modalità di calcolo per i contribuenti non soggetti all’obbligo di emettere fattura ai sensi dell’articolo 22 del medesimo D.P.R. 633, vale a dire commercianti al minuto ed esercenti attività assimilate.

Ai sensi della nuova disciplina, tali contribuenti determinano l’importo da versare o riportare al mese successivo sulla base dell’ammontare complessivo dell’imposta relativa ai corrispettivi delle operazioni imponibili, calcolata su una quota imponibile ottenuta dividendo i corrispettivi stessi per 104, 110 o 121 ( a seconda dell’aliquota applicata) e moltiplicando in quoziente per cento (con arrotondamento al centesimo di euro).

 

Si osserva che il comma 2 dell’articolo 27 del D.P.R. n. 633 del 1972 è stato abrogato dall’articolo 2 del D.P.R. 23-3-1998 n. 100 (Regolamento recante norme per la semplificazione e la razionalizzazione di alcuni adempimenti contabili in materia di imposta sul valore aggiunto, ai sensi dell'articolo 3, comma 136, della legge 23 dicembre 1996, n. 662). Ai sensi del comma 2 del predetto articolo 2, i riferimenti alle disposizioni indicate nel comma 1, contenuti in ogni altro atto normativo, si intendono fatti all'articolo 1 del regolamento.

 

Attualmente, l’articolo 1 del D.P.R. n. 100 del 1998 (come modificato dal D.P.R. n. 435 del 2001) prevede che entro il giorno 16 di ciascun mese, il contribuente determina la differenza tra l'ammontare complessivo dell'imposta sul valore aggiunto esigibile nel mese precedente, risultante dalle annotazioni eseguite o da eseguire nei registri relativi alle fatture emesse o ai corrispettivi delle operazioni imponibili, e quello dell'imposta, risultante dalle annotazioni eseguite, nei registri relativi ai beni ed ai servizi acquistati, sulla base dei documenti di acquisto di cui è in possesso e per i quali il diritto alla detrazione viene esercitato nello stesso mese ai sensi dell'articolo 19 del D.P.R. n. 633. Il contribuente, qualora richiesto dagli organi dell'Amministrazione finanziaria, fornisce gli elementi in base ai quali ha operato la liquidazione periodica.

 

Andrebbe conseguentemente aggiornato il riferimento in esame.

 

Ai sensi del successivo comma 2-ter, la nuova disciplina si applica alle operazioni effettuate a partire dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge in esame.

 

Infine il comma 2-quater esclude l’applicazione dell’aumento dal 20 al 21 per cento dell’aliquota IVA alle operazioni effettuate nei confronti dello Stato e degli enti ed istituti indicati all’articolo 6, quinto comma[106], del DPR n. 633 del 1972, per le quali fino al giorno precedente la data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto sia stata emessa e registrata la fattura, sebbene al medesimo giorno il corrispettivo non sia stato pagato.


Profili finanziari

Il prospetto riepilogativo riferito al maxiemendamento introduttivo delle norme in esame ascrive i seguenti effetti di maggior gettito:

(milioni di euro)

 

Saldo netto da finanziare

Fabbisogno

Indebitamento netto

 

2011

2012

2013

2014

2011

2012

2013

2014

2011

2012

2013

2014

Maggiori entrate tributarie

700

4.236

4.236

4.236

700

4.236

4.236

4.236

700

4.236

4.236

4.236

 

 

La relazione tecnica riferita al maxiemendamento afferma che, al fine di determinare la variazione di gettito, sono state prese in considerazione le basi imponibili relative alle singole aliquote, determinate secondo la metodologia utilizzata per il calcolo della base imponibile ai fini delle risorse proprie UE (consumi finali delle famiglie, consumi assimilati a quelli finali, acquisti con IVA indetraibile) per l’anno 2008.

Applicando la ripartizione proporzionale così ottenuta, al gettito IVA 2009 al netto della riscossione dei ruoli si ottiene un maggior gettito su base annua pari a 4.236 milioni di euro.

Per l’anno 2011 il maggior gettito è stimato in circa 700 milioni di euro.

 

In merito ai profili di quantificazione, si è rilevato che la relazione tecnica, attribuendo un andamento costante al maggior gettito stimato su dati riferiti al 2009, non considera i possibili effetti di contrazione dei consumi legati alla fase di congiuntura economica sfavorevole.

Inoltre, si è evidenziato come non appaiono chiari i criteri utilizzati per la quantificazione del dato in termini di cassa nel primo anno di applicazione (2011) con particolare riferimento alla distribuzione fra contribuenti mensili e trimestrali tenuto conto che, relativamente a questi ultimi, il gettito ascrivibile al 2011 interessa le operazioni effettuate nel periodo compreso tra la data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto legge in esame e il 30 settembre 2011.

Nella Nota dell’8 settembre 2011 il Dipartimento delle finanze ha dichiarato, in risposta alle osservazioni formulate, che le simulazioni effettuate su dati più aggiornati della base imponibile hanno evidenziato un aumento del gettito e, pertanto, è stato deciso, per motivi prudenziali, di mantenere il dato della Relazione Tecnica.

Rispetto al dato di cassa per l’anno 2011, la medesima Nota ritiene prudenziale l’importo ascritto come maggior gettito, “in considerazione anche di precedenti provvedimenti in materia di IVA entrati in vigore in corso d’anno”.

 


 

Articolo 2, comma 3
(Maggiori entrate derivanti dai giochi e dall’accisa sui tabacchi)

 


3. Il Ministero dell'economia e delle finanze-Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, con propri decreti dirigenziali adottati entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, emana tutte le disposizioni in materia di giochi pubblici utili al fine di assicurare maggiori entrate, potendo tra l'altro introdurre nuovi giochi, indire nuove lotterie, anche ad estrazione istantanea, adottare nuove modalità di gioco del Lotto, nonché dei giochi numerici a totalizzazione nazionale, variare l'assegnazione della percentuale della posta di gioco a montepremi ovvero a vincite in denaro, la misura del prelievo erariale unico, nonché la percentuale del compenso per le attività di gestione ovvero per quella dei punti vendita. Il Direttore generale dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato può proporre al Ministro dell'economia e delle finanze di disporre con propri decreti, entro il 30 giugno 2012, tenuto anche conto dei provvedimenti di variazione delle tariffe dei prezzi di vendita al pubblico dei tabacchi lavorati eventualmente intervenuti, l'aumento dell'aliquota di base dell'accisa sui tabacchi lavorati prevista dall'allegato I al decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504 e successive modificazioni. L'attuazione delle disposizioni del presente comma assicura maggiori entrate in misura non inferiore a 1.500 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2012. Le maggiori entrate derivanti dal presente comma sono integralmente attribuite allo Stato.


 

 

Il comma 3 dell'articolo 2 attribuisce all'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato - AAMS un'ampia potestà nell'emanazione di disposizioni in materia di giochi pubblici dirette ad assicurare maggiori entrate; viene altresì attribuito al Direttore generale dell’AAMS il potere di proporre al Ministro dell’economia e delle finanze l’aumento dell'aliquota di base dell'accisa sui tabacchi.

 

Più in dettaglio il primo periodo del comma in esame prevede che, entro il 12 ottobre 2011 (60 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto), l'AAMS possa, con propri decreti dirigenziali, emanare tutte le disposizioni in materia di giochi pubblici utili al fine di assicurare maggiori entrate.

 

Circa la formulazione del testo, si evidenzia la genericità del riferimento che la norma effettua a "tutte le disposizioni in materia di giochi" utili per il raggiungimento dell'obiettivo di conseguire maggiori entrate.

 

A titolo esemplificativo (e non necessariamente esaustivo, come parrebbe dall'uso dell'espressione "tra l'altro") la norma elenca una serie di ambiti in cui con i decreti emanati dall'AAMS sarà possibile dettare disposizioni, ossia:

§      l'introduzione di nuovi giochi;

§      l'indizione di nuove lotterie, anche ad estrazione istantanea;

§      l'adozione di nuove modalità di gioco del Lotto;

§      l'adozione di nuove modalità dei giochi numerici a totalizzazione nazionale;

§      la variazione dell’assegnazione della percentuale della posta di gioco a montepremi ovvero a vincite in denaro;

§      la variazione della misura del prelievo erariale unico (PREU);

§      la variazione della percentuale del compenso per le attività di gestione ovvero per quella dei punti vendita.

 

Si ricorda che nelle corrente legislatura sono intervenute numerose disposizioni legislative che hanno riguardato soprattutto le problematiche relative alla concessione della raccolta dei giochi, al fine di adeguare il quadro normativo alla legislazione comunitaria in tema di libera concorrenza, nonché a contrastare il gioco illecito.

L’articolo 30-bis del D.L. n. 185 del 2008, recante disposizioni relative alla determinazione del prelievo erariale unico (PREU) sulle somme giocate con apparecchi per il gioco lecito collegati alla rete telematica dei Monopoli di Stato, ha previsto, relativamente ai singoli soggetti passivi d’imposta, differenti aliquote (dal 12,6% all’8%) per scaglioni di raccolta delle somme giocate rispetto alla raccolta effettuata nel 2008.

La legge comunitaria per il 2008 (legge n. 88 del 2009), all’articolo 24, commi da 11 a 32, al fine di contrastare la diffusione del gioco irregolare ed illegale, è intervenuta sulla materia dei giochi a distanza (giochi on line) attraverso l’emanazione di regolamenti atti a disciplinare ex novo o ad ampliare la disciplina relativa all’esercizio e alla raccolta a distanza dei giochi. Sono previste 200 nuove concessioni della durata di 9 anni, da assegnare secondo specifici requisiti e condizioni..

Disposizioni in materia di giochi sono contenute all’articolo 12 del D.L. 39/2009 (decreto Abruzzo). Al fine di assicurare maggiori entrate da destinare alla copertura del decreto l’AAMS è stata autorizzata a:

-        indire nuove lotterie ad estrazione istantanea (“Gratta e vinci”);

-        adottare ulteriori modalità di gioco del Lotto nonché dei giochi numerici a totalizzazione nazionale, inclusa la possibilità di più estrazioni giornaliere;

-        concentrare le estrazioni del Lotto, in forma automatizzata, anche in una o più città già sedi di ruota;

-        variare i criteri di ripartizione della posta di gioco del concorso pronostici su base ippica denominato «V7» (ex «Totip»), aumentando la quota destinata al montepremi (dal 50 al 65%) e riducendo le quote destinate alle entrate erariali (dal 25 al 10%) e in favore dell’UNIRE (dall'11,29 al 6,29%);

-        adeguare il regolamento sui giochi di abilità a distanza con vincita in denaro, al fine di prevedervi la raccolta a distanza di giochi di sorte a quota fissa e la raccolta di giochi di carte organizzati in forma diversa dal torneo;

-        prevedere per le scommesse a quota fissa l’aliquota d’imposta unica sulle giocate pari al 20% della raccolta, nonché fissare la posta unitaria di gioco in 1 euro;

-        prevedere poteri di controllo più penetranti da parte dei concessionari della rete telematica e maggiori sanzioni nei confronti dei gestori di macchinette da gioco;

-        attuare la sperimentazione e l’avvio di sistemi di gioco costituiti dal controllo remoto del gioco mediante videoterminali ("video lotteries");

-        rideterminare le forme della comunicazione preventiva di avvio dei concorsi a premio al fine di contrastare concorsi a premio che mascherino giochi gestiti dall’AAMS;

-        disporre l’attivazione di nuovi giochi di sorte legati al consumo.

Il D.L. n. 78 del 2009 è intervenuto sulla materia agli articoli 15-bis e 15-ter, con la previsione di un piano straordinario di contrasto al gioco illegale. Il successivo articolo 21 reca norme sul rilascio di concessioni per le lotterie nazionali ad estrazione istantanea e differita.

Anche nel il D.L. n. 40 del 2010 sono state introdotte disposizioni in materia di esercizio dell'attività di gioco e, in particolare, sono state introdotte norme di riorganizzazione e potenziamento dell'AAMS (articolo 2, commi 1-bis e 1-ter); la raccolta del gioco a distanza con vincita in denaro, effettuata da parte dei soggetti concessionari, è stata limitata (articolo 2, comma 2-bis) alle sedi e con le modalità previste dalla relativa convenzione di concessione, con esclusione quindi di qualsiasi altra sede, modalità o apparecchiatura che ne permetta la partecipazione telematica; è stato previsto che la licenza per l'esercizio delle scommesse sia richiesta anche (articolo 2, comma 2-quater) per la gestione delle sale ove si installano apparecchi idonei per il gioco lecito, facenti parte della rete telematica; infine, è stato differito (articolo 2, comma 2-sexies) al 16 maggio 2011 il termine – in origine fissato al 15 settembre 2009 – per l’avvio delle procedure per un nuovo affidamento in concessione della rete per la gestione telematica del gioco lecito.

Con la legge di stabilità per il 2011 (articolo 1, commi da 64 a 82 della legge n. 220 del 2010) si è inteso rafforzare l’azione di contrasto al gioco gestito e praticato in modo illegale e a tutelare i consumatori - in particolar modo i minori di età - e, al contempo, si è intervenuti per recuperare base imponibile e gettito a fronte di fenomeni di elusione e di evasione fiscale. Si ricordano in particolare i seguenti interventi:

-        l'inasprimento del trattamento sanzionatorio in materia di imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse;

-        la fissazione di specifiche regole per determinare della base imponibile ai fini delle imposte sui redditi, dell'IRAP e dell'IVA;

-        è sancito espressamente il divieto di consentire la partecipazione ai giochi pubblici con vincita in denaro ai minori di anni 18, a pena di sanzioni amministrative interdittive e pecuniarie a carico del titolare dell'esercizio commerciale o del punto di offerta del gioco;

-        si autorizza, con decreto direttoriale dell'A.A.M.S., l'introduzione e la disciplina di nuove tipologie di giochi e l'avvio delle relative procedure di affidamento in concessione;

-        si dispone che l'AAMS avvii l’aggiornamento dello schema tipo di convenzione accessiva alle concessione per l’esercizio e la raccolta non a distanza, ovvero comunque attraverso rete fisica, dei giochi pubblici;

-        al fine di contrastare il gioco illecito e l’evasione fiscale, è infine un programma straordinario di almeno 30.000 controlli nel 2011 da parte dell’A.A.M.S., con l'ausilio della SIAE e della Guardia di finanza.

Da ultimo, l'articolo 24 del D.L. n. 98 del 2011 reca numerose disposizione in materia di giochi, sia sotto l’aspetto fiscale, quali la liquidazione automatica dell’imposta unica dovuta sulle scommesse e sui giochi a distanza (commi 1-7) o la determinazione forfetaria del prelievo erariale unico (commi 17 e 18), che relativamente alle competenze di accertamento in materia di giochi pubblici (commi da 8-16) e ai requisiti sia per la partecipazione a gare e per il rilascio di concessioni in materia di giochi (commi 24-27), nonché alla conduzione di esercizi di gioco pubblico (comma 28) e l’iscrizione all’elenco degli operatori (comma 41). Sono altresì previste norme sul divieto di gioco per i minori (commi 19-23), sull'obbligo di segnalare da parte degli operatori bancari, finanziari e postali il trasferimento di somme verso operatori di gioco illegali (commi 29-31), nonché sulle procedure selettive di affidamento in concessione della rete telematica degli apparecchi da divertimento ed intrattenimento (commi 35 e 36) e la messa a gara di ulteriori 7.000 punti vendita di giochi in luoghi pubblici (commi 37 e 38).

Per quanto riguarda i giochi, viene istituito il Bingo a distanza (comma 33), regolamentato il “poker sportivo”, cioè i tornei non a distanza di poker (comma 34), e previste nuove formule di gioco per il Lotto e i giochi numerici a totalizzatore nazionale, tra cui l'introduzione, in via definitiva, del concorso speciale del gioco Enalotto (commi 39 e 40).

 

Il secondo periodo del comma in esame attribuisce invece al Direttore generale dell’AAMS il potere di proporre al Ministro dell’economia e delle finanze di disporre con propri decreti, entro il 30 giugno 2012, l’aumento dell'aliquota di base dell'accisa sui tabacchi lavorati prevista dall’allegato I al decreto legislativo n. 504 del 1995[107].

Tale proposta di aumento dovrà tenere conto anche dei provvedimenti di variazione delle tariffe dei prezzi di vendita al pubblico dei tabacchi lavorati eventualmente intervenuti.

 

Si ricorda che l'allegato I al decreto legislativo n. 504 del 1995 elenca i prodotti assoggettati ad accisa con le relative aliquote.

In particolare, per quanto riguarda i tabacchi lavorati, le aliquote attualmente previste sono le seguenti:

§       Sigari: 23,00%;

§       Sigaretti: 23,00%;

§       Sigarette 58,50%;

§       Tabacco da fumo:

-        tabacco trinciato a taglio fino da usarsi per arrotolare le sigarette 56,00%;

-        altri tabacchi da fumo 56,00%;

§       Tabacco da fiuto: 24,78%;

§       Tabacco da masticare: 24,78%.

 

L'ultimo periodo del comma in esame quantifica le maggiori entrate che dovranno provenire dall'attuazione delle disposizioni sopra introdotte in 1.500 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2012, specificando altresì la loro integrale attribuzione al bilancio dello Stato.


Profili finanziari

 

Il prospetto riepilogativo, ascrive alla norma i seguenti effetti sui saldi di finanza pubblica.

 

(milioni di euro)

 

Saldo netto da finanziare

Fabbisogno

Indebitamento netto

 

2012

2013

2014

2012

2013

2014

2012

2013

2014

Maggiori entrate tributarie e extratributarie

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Delega entrate giochi e accise sul fumo

1.500

1.500

1.500

1.500

1.500

1.500

1.500

1.500

1.500

 

 

La relazione tecnica, riferita al testo originario del provvedimento, nulla aggiunge al contenuto della norma.

Nel corso dell’esame parlamentare non sono state trasmesse documentazioni tecniche integrative. Anche la relazione tecnica aggiornata all’atto del passaggio del provvedimento fra i due rami del Parlamento non ha fornito elementi aggiuntivi.

 

In merito ai profili di quantificazione è stato osservato che la relazione tecnica non fornisce i dati e gli elementi posti alla base delle previsioni di maggiore entrata ascritte alla norma in esame. In particolare, non sono state indicate né una ripartizione di massima, fra i due settori di intervento[108], del complessivo obiettivo di gettito (1,5 miliardi di euro all’anno) né le ipotesi di evoluzione delle rispettive dinamiche di mercato e di prodotto coerenti con il conseguimento dei predetti introiti.

Con riferimento al settore dei giochi, è stato rilevato che l’effettiva praticabilità di un incremento del gettito dovrebbe essere verificata anche alla luce dell’andamento, in corso, della raccolta e degli utili erariali per le principali attività di gioco (apparecchi con vincite in denaro, lotterie, Lotto e Superenalotto, scommesse), tenendo conto - fra l’altro - che sia il decreto legge 39/2009 sia il decreto-legge 98/2011 avevano già previsto significativi effetti di incremento del gettito nel settore, complessivamente pari, per gli anni 2012 e seguenti, a circa 1 miliardo di euro all’anno[109]. In relazione a tali misure, alcuni ambiti di intervento tornano ad essere interessati anche dalla manovra in esame: è il caso del Lotto, dei giochi numerici a totalizzazione nazionale, dei giochi di nuova introduzione. Tenuto conto dell’entità considerevole degli introiti che si prevede di incassare, sono stati quindi richiesti dati ed elementi in ordine ai valori di gettito già iscritti negli andamenti tendenziali per gli anni 2012 e seguenti, nonché in ordine agli strumenti che si intende introdurre per conseguire i risultati di gettito indicati dal testo.

Circa l’andamento della raccolta e delle conseguenti entrate erariali, è stato rilevato che nel corso del 2011 i dati dell’Amministrazione dei Monopoli mostrano un andamento crescente della raccolta nei mesi da gennaio a giugno (+19,8% rispetto all’analogo periodo dell’anno precedente). Anche i dati sul gettito erariale hanno fatto registrare, nel medesimo semestre, un significativo incremento (+14% circa)[110].

È stato inoltre richiesto di precisare in quali settori di intervento e in quale proporzione si intenda, attraverso gli interventi prospettati dal testo, incrementare la raccolta (per esempio attraverso l’emersione di aree di gioco irregolare, l’aggiornamento dell’offerta al pubblico, l’incremento dei montepremi) ovvero aumentare il rendimento erariale anche a parità di raccolta (per esempio attraverso misure di contrasto dell’evasione o attraverso una rimodulazione degli introiti a vantaggio dell’erario[111]).

Dal punto di vista metodologico, si è ribadito quanto già osservato in precedenti occasioni (adozione di misure volte a incrementare il gettito attraverso un ampliamento dell’offerta di gioco), ossia che ai fini di una verifica delle stime di gettito andrebbero distintamente evidenziati sia gli eventuali effetti (positivi) di incremento della raccolta – a seguito dei nuovi interventi posti in essere - sia quelli (negativi) di sostituzione all’interno del comparto dei giochi.

Quanto alle variazioni dell'aliquota di base dell'accisa sui tabacchi lavorati - nel ribadire che, in assenza di dati circa l’obiettivo di gettito assegnato a tale specifica misura, non è possibile verificarne la concreta praticabilità -, è stato osservato che le stime di maggior gettito dovrebbero prudenzialmente incorporare un effetto di riduzione dei consumi ovvero di possibili comportamenti irregolari o elusivi[112].

Il Bollettino delle entrate tributarie n. 112 (agosto 2011) indica, per il periodo gennaio-giugno 2011, incassi da imposta sul consumo dei tabacchi pari a 5.014 milioni di euro (+125 milioni di euro, rispetto allo stesso semestre del 2010, pari a +2,6%).

Riguardo alle misure in esame, nel corso dell’audizione sul D.L. 138/2011 presso le Commissioni Bilancio di Camera e Senato[113], la Corte dei Conti ha rilevato «l’atipicità della disposizione che non definisce un dettato normativo suscettibile di produrre l’effetto di gettito desiderato, ma si limita ad assegnare un obiettivo di gettito al Direttore generale dell’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, lasciandolo libero di emanare i provvedimenti ritenuti funzionali al raggiungimento del medesimo obiettivo. Del risultato di gettito atteso vanno peraltro sottolineate le incertezze che lo circondano. Per quanto riguarda il settore dei giochi pubblici non si può infatti ignorare che per conseguire i crescenti obiettivi di gettito assegnatigli, si è ormai costretti, da molti anni, a puntare su un’esponenziale dilatazione della raccolta; a costo, tuttavia, di una ricomposizione del “portafoglio prodotti”, in favore di quelli caratterizzati da una più ridotta componente impositiva. Questo percorso ha condotto al “paradosso”, segnalato anche recentemente dalla Corte, di una forte dinamica della raccolta da giochi, a fronte di una stasi dei proventi netti per l’Erario. Va preso atto, dunque, che esistono dei limiti: non tanto allo sviluppo dell’attività del gioco pubblico (sia pure in un contesto che continua ad essere minato da significative aree di illegalità), quanto alle attese che possono esservi fondate dal lato del gettito. Le cautele che invece riguardano le entrate erariali connesse al fumo discendono dal grado di elasticità al prezzo del consumo di sigarette[114]; un’elasticità accentuata dai forti aumenti impositivi succedutisi negli ultimi anni e da stili di vita più attenti ai profili della salute. Anche in questo caso, dunque, gli spazi per incrementi di gettito non sono illimitati».

 


 

Articolo 2, comma 4
(Adeguamento alle disposizioni comunitarie delle limitazioni all'uso del contante e dei titoli al portatore)

 


4. A fini di adeguamento alle disposizioni adottate in ambito comunitario in tema di prevenzione dell'utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo, le limitazioni all'uso del contante e dei titoli al portatore, di cui all'articolo 49, commi 1, 5, 8, 12 e 13, del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, sono adeguate all'importo di euro duemilacinquecento; conseguen­temente, nel comma 13 del predetto articolo 49, le parole: «30 giugno 2011» sono sostituite dalle seguenti: «30 settembre 2011».


 

 

Il comma 4 dell'articolo 2 interviene sull'articolo 49 del D.Lgs. n. 231 del 2007[115] riducendo da 5.000 a 2.500 euro la soglia massima per l’utilizzo del contante e dei titoli al portatore.

La predetta modifica, realizzata al fine di adeguare le disposizioni adottate in ambito comunitario dirette a prevenire l’utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo, interessa, in particolare, i commi 1, 5, 8, 12 e 13 del citato articolo 49, dei cui limiti viene adeguato l'importo.

 

Si segnala, sotto il profilo della tecnica legislativa, l'opportunità di intervenire sotto forma di una novella sui predetti commi 1, 5, 8, 12 e 13 dell'articolo 49, anziché prevedere, come fa il testo in esame, che "le limitazioni all'uso del contante (...) sono adeguate all'importo di euro duemilacinquecento".[116]

 

L’articolo 49, recante “limitazioni all'uso del contante e dei titoli al portatore”, nella versione previgente le modifiche apportate dalla norma in commento, dispone fra l’altro:

§      il divieto di trasferimento di denaro contante o di libretti di deposito bancari o postali al portatore o di titoli al portatore in euro o in valuta estera, effettuato a qualsiasi titolo tra soggetti diversi, quando il valore oggetto di trasferimento, è complessivamente pari o superiore a 5.000 euro. Il trasferimento è vietato anche quando è effettuato con più pagamenti inferiori alla soglia che appaiono artificiosamente frazionati. Il trasferimento può tuttavia essere eseguito per il tramite di banche, istituti di moneta elettronica e Poste Italiane S.p.A. (comma 1);

§      l'obbligo di indicare negli assegni bancari e postali emessi per importi pari o superiori a 5.000 euro l'indicazione del nome o della ragione sociale del beneficiario e la clausola di non trasferibilità (comma 5);

§      la possibilità per gli istituti bancari e postali di rilasciare assegni circolari, vaglia postali e cambiari di importo inferiore a 5.000 euro, su richiesta scritta del cliente, senza la clausola di non trasferibilità (comma 8);

§      il divieto di detenere libretti di deposito bancari o postali al portatore con saldo pari o superiore a 5.000 euro. In via transitoria, relativamente ai libretti che alla data di entrata in vigore del decreto n. 231 del 2007[117] presentavano un saldo superiore al predetto limite, i clienti hanno tempo sino al 30 giugno 2011 per estinguere ovvero ridurre il saldo al di sotto della soglia fissata (commi 12 e 13).

 

La norma originaria dell'articolo 49 del D.Lgs. n. 231 del 2007 prevedeva quale limite di importo all’uso del contante - finalizzato al contrasto del riciclaggio e del terrorismo – la somma di 5.000 euro. Tale limite era stato elevato a 12.500 euro dall’articolo 32 del decreto legge n. 112 del 2009 e successivamente riportato a 5.000 euro dall'articolo 20 del decreto legge n. 78 del 2010.

 

La norma in esame riduce ulteriormente il limite di importo all’uso del contante portandolo a 2.500 euro.

 

Il comma in esame, inoltre, a seguito di quanto sopra disposto, interviene al comma 13 dell’articolo 49 del decreto legislativo n. 231 del 2007, al fine di posticipare di 3 mesi (dal 30 giugno 2011 al 30 settembre 2011) il termine entro il quale i libretti di deposito bancari o postali al portatore con saldo pari o superiore a 2.500 euro devono essere estinti (ovvero il loro saldo deve essere ridotto entro tale importo).

Profili finanziari

 

Il prospetto riepilogativo non ascrive alla norma effetti finanziari.

 

La relazione tecnica afferma che la misura assolve alla finalità di contrastare l'utilizzo del sistema finanziario a scopo fraudolento. In via prudenziale, non vengono stimati sostanziali effetti finanziari.

 

In merito ai profili di quantificazione, non sono state formulate osservazioni.

 


 

Articolo 2, comma 4-bis
(Esclusione sanzioni)

 


4-bis. È esclusa l'applicazione delle sanzioni di cui all'articolo 58 del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, per le violazioni delle disposizioni previste dall'articolo 49, commi 1, 5, 8, 12 e 13 del medesimo decreto, commesse nel periodo dal 13 agosto al 31 agosto 2011 e riferite alle limitazioni di importo introdotte dal comma 4. A decorrere dal 1° settembre 2011 le sanzioni di cui al citato articolo 58 sono applicate attraverso gli uffici territoriali del Ministero dell'economia e delle finanze. All'articolo 49 del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, i commi 18 e 19 sono abrogati.


 

 

Il comma 4-bis dell’articolo 2 prevede che le sanzioni previste dall'articolo 58 del decreto legislativo n. 231 del 2007 non si applichino per le violazioni delle disposizioni in tema di divieto dell’utilizzo del denaro contante e dei titoli al portatore commesse dal 13 agosto (giorno di entrata in vigore del decreto in esame) al 31 agosto 2011 oltre la soglia massima modificata dal comma 4 (2.500 euro) ed entro la soglia precedentemente in vigore (5.000 euro).

 

Si ricorda che l'articolo 58 del decreto legislativo n. 231 del 2007 prevede, tra l'altro, le seguenti sanzioni:

§           per le violazioni delle disposizioni di cui all'articolo 49, commi 1, 5, 6 e 7, si applica una sanzione amministrativa pecuniaria dall'1 per cento al 40 per cento dell'importo trasferito;

§           per la violazione della prescrizione di cui all'articolo 49, comma 12, è prevista la sanzione amministrativa pecuniaria dal 20 per cento al 40 per cento del saldo;

§           per la violazione della prescrizione contenuta nell'articolo 49, commi 13 e 14, è prevista la sanzione amministrativa pecuniaria dal 10 per cento al 20 per cento del saldo del libretto al portatore.

La sanzione amministrativa pecuniaria non può comunque essere inferiore nel minimo all'importo di tremila euro.

 

Si dispone, inoltre che dal 1° settembre 2011 le sanzioni relative alle violazione dei limiti all’uso del contante e dei titoli al portatore, previste dall’articolo 58 del decreto legislativo n. 231/07, sono applicate attraverso gli uffici territoriali del Ministero dell'economia e delle finanze.

Infine sono abrogati i commi 18 e 19 dell’articolo 49 del decreto legislativo n. 231/07, i quali prevedono limiti speciali al trasferimento di contante per il tramite di esercenti attività di prestazione di servizi di pagamento nella forma dell'incasso e trasferimento dei fondi nonché di agenti in attività finanziaria dei quali gli stessi esercenti si avvalgono (c.d. money transfer).

Si rammenta che l’agente in attività finanziaria, di cui all’articolo 128-quater del TUB, è il soggetto che promuove e conclude contratti relativi alla concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma o alla prestazione di servizi di pagamento, su mandato diretto di intermediari finanziari previsti dal titolo V, istituti di pagamento o istituti di moneta elettronica.

I cosiddetti "money transfer", invece, sono gli agenti in attività finanziaria, persone fisiche o giuridiche, che offrono esclusivamente il servizio di pagamento consistente nel trasferimento di fondi attraverso la raccolta e la consegna delle disponibilità da trasferire. Nel caso di attività circoscritta al trasferimento di fondi (money transfer) la limitazione deve essere espressamente prevista nell'oggetto sociale.

I commi 18 e 19 dell’articolo 49 del decreto legislativo n. 231/07 prevedono per tali soggetti il divieto di trasferimento fondi per importi pari o superiori a 2.000 euro; il trasferimento di denaro contante per importi compresi tra i 2.000 e i 5.000 euro è consentito solo se il soggetto che ordina l’operazione consegna all’intermediario copia di documentazione idonea ad attestare la congruità dell’operazione rispetto al profilo economico dell’ordinante.

 

Si deve ritenere che, con l’abrogazione dei commi 18 e 19 dell’articolo 49 del decreto legislativo n. 231/07, anche per i money transfer sarà applicabile l’unica soglia di 2.500 euro, senza obblighi di documentazione.

Si ricorda che ulteriori misure relative ai “money transfer” sono contenute nell’articolo 2, comma 35-octies (Imposta di bollo su trasferimenti di denaro all’estero) del decreto in esame, alla cui scheda di lettura si rinvia.

Profili finanziari

 

Il prospetto riepilogativo non considera la norma.

 

La relazione tecnica afferma che la norma non determina effetti finanziari in quanto introduce una breve moratoria nell’applicazione delle sanzioni per le violazioni connesse all’abbassamento della soglia antiriciclaggio da 5.000 euro a 2.500 euro, in modo da consentire un’adeguata divulgazione del contenuto della nuova disciplina e permettere agli intermediari finanziari di allineare i propri sistemi di controllo interno.

La RT afferma, inoltre, che, anche dopo la soppressione delle Direzioni territoriali dell’economia e delle finanze, talune sanzioni in materia di antiriciclaggio continuano ad essere applicate attraverso gli Uffici territoriali del Ministero dell’economia, che operano con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

Pertanto, anche in considerazione del breve lasso temporale interessato, alla norma non vengono ascritti effetti finanziari.

 

In merito ai profili di quantificazione, è stato richiesto al Governo di chiarire se l’abrogazione delle disposizioni previste dall’articolo 49, commi 18 e 19, del D.Lgs. 231/2007, relative ai limiti di trasferimento di denaro contante, possa incidere sull’efficacia delle norme in materia di antiriciclaggio con possibili conseguenti effetti finanziari.

Non sono state formulate osservazioni, invece, per quanto riguarda la disapplicazione delle sanzioni.


 

Articolo 2, comma 5
(Sanzioni per la violazione dell'obbligo di emettere il documento certificativo dei corrispettivi)

 


5. All'articolo 12 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, dopo il comma 2-quinquies, sono inseriti i seguenti:

"2-sexies. Qualora siano state contestate a carico di soggetti iscritti in albi ovvero ad ordini professionali, nel corso di un quinquennio, quattro distinte violazioni dell'obbligo di emettere il documento certificativo dei corrispettivi compiute in giorni diversi, è disposta in ogni caso la sanzione accessoria della sospensione dell'iscrizione all'albo o all'ordine per un periodo da tre giorni ad un mese. In caso di recidiva, la sospensione è disposta per un periodo da quindici giorni a sei mesi. In deroga all'articolo 19, comma 7, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, il provvedimento di sospensione è immediatamente esecutivo. Gli atti di sospensione sono comunicati all'ordine professionale ovvero al soggetto competente alla tenuta dell'albo affinché ne sia data pubblicazione sul relativo sito internet. Si applicano le disposizioni dei commi 2-bis e 2-ter.

2-septies. Nel caso in cui le violazioni di cui al comma 2-sexies siano commesse nell'esercizio in forma associata di attività professionale, la sanzione accessoria di cui al medesimo comma è disposta nei confronti di tutti gli associati.".


 

 

Il comma 5 dell'articolo 2, aggiungendo due commi all’articolo 12 del decreto legislativo n. 471 del 1997[118], introduce una sanzione accessoria a carico dei professionisti iscritti ad albi ovvero ordini professionali ai quali siano state contestate reiterate violazioni dell’obbligo di emettere il documento certificativo dei corrispettivi, consistente nella sospensione dell’iscrizione all’albo o all’ordine.

 

Il comma in esame aggiunge i commi 2-sexies e 2-septies nell’articolo 12 del decreto legislativo n. 471 del 1997, che disciplina le sanzioni accessorie in materia di imposte dirette e di IVA.

 

Si ricorda che l’articolo 12, commi da 2 a 2-quinquies del D.Lgs. 471/1997 già prevede la sanzione accessoria della sospensione della licenza o dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività - per un periodo da tre giorni ad un mese - nei confronti dei soggetti che abbiano violato gli obblighi di emissione di ricevuta fiscale o scontrino, operante con modalità simili a quelle introdotte, nei confronti dei professionisti, dalle disposizioni in esame. Nei confronti dei soggetti che abbiano violato gli obblighi di emissione di ricevuta fiscale o scontrino se l’importo complessivo dei corrispettivi oggetto di contestazione eccede la somma di euro 50.000, la sospensione è disposta per un periodo da un mese a sei mesi.

 

Nel dettaglio, è disposta la sanzione accessoria della sospensione dell'iscrizione all'albo o all'ordine professionale, per un periodo da tre giorni ad un mese, ove al professionista siano contestate, nell’arco di un quinquennio, quattro distinte violazioni dell'obbligo di emettere il documento certificativo dei corrispettivi, compiute in giorni diversi.

La sanzione è inasprita in caso di recidiva: in tal caso è disposta per un periodo da quindici giorni a sei mesi.

In deroga al principio (sancito dall’ articolo 19, comma 7, del decreto legislativo n. 472 del 1997[119]) secondo cui le sanzioni accessorie sono eseguite quando il provvedimento di irrogazione è divenuto definitivo, il provvedimento di sospensione è immediatamente esecutivo e gli atti di sospensione sono comunicati all'ordine professionale ovvero al soggetto competente alla tenuta dell'albo affinché ne sia data pubblicazione sul relativo sito internet.

 

Le disposizioni in esame richiamano, con finalità applicative, quanto previsto dai commi 2-bis e 2-ter dell’articolo 12: di conseguenza, la sospensione è disposta dalla direzione regionale dell’Agenzia delle entrate competente per territorio in relazione al domicilio fiscale del contribuente. Gli atti di sospensione devono essere notificati, a pena di decadenza, entro sei mesi da quando è stata contestata la quarta violazione. l’esecuzione e la verifica dell’effettivo adempimento delle sospensioni è effettuata dall’Agenzia delle entrate, ovvero dalla Guardia di finanza.

 

Il comma 2-septies prevede infine che la sanzione accessoria della sospensione sia disposta nei confronti di tutti gli associati qualora le violazioni siano commesse nell’esercizio dell’attività professionale in forma associata.

 

Si ricorda che l’articolo 2, comma 36-vicies del provvedimento in esame (alla cui scheda si rinvia) assoggetta all’obbligo di certificazione dei corrispettivi mediante ricevuta o scontrino fiscale anche le prestazioni rese, sul litorale demaniale, da parte dei titolari dei relativi provvedimenti amministrativi rilasciati dalle autorità competenti.


Profili finanziari

 

Il prospetto riepilogativo non ascrive alla norma effetti finanziari.

 

La relazione tecnica afferma che la norma ha la finalità di incrementare le attività di prevenzione e repressione dei fenomeni di frode ed è volta a produrre effetti principalmente di deterrenza. Pertanto, prudenzialmente è stato stimato che la stessa non comporti sostanziali effetti finanziari.

 

In merito ai profili di quantificazione, non sono state formulate osservazioni.

 


 

Articolo 2, commi 5-bis e 5-ter
(Recupero somme non versate condono 2002)

 


5-bis. L'Agenzia delle entrate e le società del gruppo Equitalia e di Riscossione Sicilia, al fine di recuperare all'entrata del bilancio dello Stato le somme dichiarate e non versate dai contribuenti che si sono avvalsi dei condoni e delle sanatorie di cui alla legge 27 dicembre 2002, n. 289, anche dopo l'iscrizione a ruolo e la notifica delle relative cartelle di pagamento, provvedono all'avvio, entro e non oltre trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, di una ricognizione di tali contribuenti. Nei successivi trenta giorni, le società del gruppo Equitalia e quelle di Riscossione Sicilia provvedono, altresì, ad avviare nei confronti di ciascuno dei contribuenti di cui al periodo precedente ogni azione coattiva necessaria al fine dell'integrale recupero delle somme dovute e non corrisposte, maggiorate degli interessi maturati, anche mediante l'invio di un'intimazione a pagare quanto concordato e non versato alla prevista scadenza, inderogabilmente entro il termine ultimo del 31 dicembre 2011.

5-ter. In caso di omesso pagamento delle somme dovute e iscritte a ruolo entro il termine di cui al comma 5-bis, si applica una sanzione pari al 50 per cento delle predette somme e la posizione del contribuente relativa a tutti i periodi di imposta successivi a quelli condonati, per i quali è ancora in corso il termine per l'accertamento, è sottoposta a controllo da parte dell'Agenzia delle entrate e della Guardia di finanza entro il 31 dicembre 2012, anche con riguardo alle attività svolte dal contribuente medesimo con identificativo fiscale diverso da quello indicato nelle dichiarazioni relative al condono. Per i soggetti che hanno aderito al condono di cui alla legge 27 dicembre 2002, n. 289, i termini per l'accertamento ai fini dell'imposta sul valore aggiunto pendenti al 31 dicembre 2011 sono prorogati di un anno.


 

 

I commi 5-bis e 5-ter dell'articolo 2 prevedono la possibilità per l'Agenzia delle entrate e le società del gruppo Equitalia e di Riscossione Sicilia di intervenire coattivamente per il recupero delle somme non riscosse con i condoni e le sanatorie previsti dalla legge finanziaria 2003.

 

Più in dettaglio, il comma 5-bis stabilisce che l'Agenzia delle entrate e le società del gruppo Equitalia e di Riscossione Sicilia debbano avviare, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto in esame, una ricognizione dei contribuenti che si sono avvalsi dei condoni e delle sanatorie di cui alla legge 27 dicembre 2002, n. 289 .

Detta ricognizione è finalizzata al recupero al bilancio dello Stato delle somme dichiarate e non versate dai suddetti contribuenti, anche dopo l'iscrizione a ruolo e la notifica delle relative cartelle di pagamento.

 

Si ricorda che nel contesto della manovra finanziaria per il 2003, la L. 27 dicembre 2002, n. 289, ha introdotto numerose formule di sanatoria di violazioni tributarie:

§      definizione automatica di redditi d’impresa e di lavoro autonomo per gli anni pregressi (art. 7: dichiarazioni presentate entro il 31 ottobre 2002; termine prorogato al 31 dicembre 2002 dalla L. 24 dicembre 2003, n. 350, art. 2, co. 44);

§      integrazione degli imponibili dichiarati per gli anni pregressi (art. 8: dichiarazioni presentate entro il 31 ottobre 2002; termine prorogato al 31 dicembre 2002 dalla L. 24 dicembre 2003, n. 350, art. 2, co. 44);

§      definizione automatica per imposte sui redditi, sostitutive e IVA (art. 9: dichiarazioni da presentarsi entro il 31 ottobre 2002; termine prorogato al 31 dicembre 2002 dalla L. 24 dicembre 2003, n. 350, art. 2, co. 44);

In tutti questi casi è consentita altresì la regolarizzazione delle scritture contabili: art. 14 (e art. 2, co. 47, della L. 24 dicembre 2003, n. 350). Contestualmente, sono prorogati di due anni i termini per l’accertamento nei riguardi dei soggetti che non si siano avvalsi delle misure di sanatoria: art. 10 (proroga confermata per il 2002 dall’art. 2, co. 44, lettera f), della L. 24 dicembre 2003, n. 350).

§      definizione dei ritardati od omessi versamenti (art. 9-bis, aggiunto dall'art. 5-bis del D.L. 24 dicembre 2002, n. 282: versamenti riferiti a dichiarazioni presentate entro il 31 ottobre 2002; termine prorogato al 1° gennaio 2004 dalla L. 24 dicembre 2003, n. 350, art. 2, co. 44);

§      chiusura delle liti fiscali pendenti mediante pagamento in misura ridotta (art. 16: liti pendenti al 1° gennaio 2003; termine prorogato al 30 ottobre 2003 dalla L. 24 dicembre 2003, n. 350, art. 2, co. 49);

La stessa legge n. 289 del 2002 ha consentito altresì la definizione agevolata di:

§      imposte di registro, ipotecaria, catastale, successioni, donazioni, INVIM (art. 11: atti formati e scritture registrate entro il 30 novembre 2002; termine prorogato al 30 settembre 2003 dalla L. 24 dicembre 2003, n. 350, art. 2, co. 46);

§      carichi di ruoli emessi o affidati ai concessionari entro il 30 giugno 1999 (art. 12; poi estesa fino al 30 giugno 2001: D.L. 24 giugno 2003, n. 143);

§      avvisi e altri atti di accertamento non definiti entro il 1° gennaio 2003 (art. 15; termine prorogato al 1° gennaio 2004: L. 24 dicembre 2003, n. 350, art. 2, co. 48);

§      canone di abbonamento per le radio-audizioni e affissioni di manifesti politici (violazioni commesse rispettivamente fino al 31 dicembre e al 30 novembre 2002: art. 17).

L’articolo 13 facoltizzava regioni, province e comuni a prevedere analoghe agevolazioni per la definizione dei tributi propri (v. anche capitolo I tributi regionali e locali).

 

Nei trenta giorni successivi all'avvio della suddetta ricognizione, le società citate sono tenute ad avviare nei confronti dei contribuenti interessati ogni azione coattiva necessaria per il recupero integrale delle somme dovute e non corrisposte, maggiorate degli interessi maturati.

L'azione coattiva può anche consistere nell'invio di un'intimazione a pagare quanto concordato e non versato alla prevista scadenza entro il termine inderogabile del 31 dicembre 2011.

 

Il comma 5-ter disciplina l'ipotesi del mancato pagamento delle somme dovute e iscritte a ruolo entro il suddetto termine del 31 dicembre 2011.

In tal caso è prevista:

§      l'applicazione di una sanzione pari al 50 per cento delle predette somme;

§      la sottoposizione a controllo, da parte dell'Agenzia delle entrate e della Guardia di Finanza entro il 31 dicembre 2012, della posizione del contribuente relativa a tutti i periodi di imposta successivi a quelli condonati, per i quali è ancora in corso il termine per l'accertamento. Tale controllo si estende, peraltro, anche alle attività svolte dal contribuente con identificativo fiscale diverso da quello indicato nelle dichiarazioni concernenti il condono.

E’ infine previsto che i termini pendenti per l’accertamento ai fini IVA siano prorogati di un anno.

Profili finanziari

 

Il prospetto riepilogativo non ascrive alla norma effetti finanziari.

 

La relazione tecnica afferma che il rafforzamento – disposto dalle norme in esame - delle azioni coattive nei confronti dei contribuenti che hanno omesso il versamento delle rate del condono di cui alla legge n. 289 del 2002. è suscettibile di determinare effetti positivi, con un’accelerazione della riscossione di somme già accertate negli anni precedenti. La RT ritiene comunque prudenziale non considerare maggiori introiti, in termini di sola cassa.

 

Al riguardo non sono state formulate osservazioni.

 


 

Articolo 2, commi 6-12
(Introduzione di una aliquota unica sulle diverse tipologie di strumenti finanziari)

 


6. Le ritenute, le imposte sostitutive sugli interessi, premi e ogni altro provento di cui all'articolo 44 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 e sui redditi diversi di cui all'articolo 67, comma 1, lettere da c-bis a c-quinquies del medesimo decreto, ovunque ricorrano, sono stabilite nella misura del 20 per cento.

7. La disposizione di cui al comma 6 non si applica sugli interessi, premi e ogni altro provento di cui all'articolo 44 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 e sui redditi diversi di cui all'articolo 67, comma 1, lettera c-ter), ovvero sui redditi di capitale e sui redditi diversi di natura finanziaria del medesimo decreto nei seguenti casi:

a) obbligazioni e altri titoli di cui all'articolo 31 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 601 ed equiparati;

b) obbligazioni emesse dagli Stati inclusi nella lista di cui al decreto emanato ai sensi dell'articolo 168-bis, comma 1, del medesimo decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986;

c) titoli di risparmio per l'economia meridionale di cui all'articolo 8, comma 4 del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106;

d) piani di risparmio a lungo termine appositamente istituiti.

8. La disposizione di cui al comma 6 non si applica altresì agli interessi di cui al comma 8-bis dell'articolo 26-quater del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, agli utili di cui all'articolo 27, comma 3-ter, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, al risultato netto maturato delle forme di previdenza complementare di cui al decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252.

9. La misura dell'aliquota di cui al comma 6 si applica agli interessi, ai premi e ad ogni altro provento di cui all'articolo 44 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, divenuti esigibili e ai redditi diversi realizzati a decorrere dal 1° gennaio 2012.

10. Per i dividendi e proventi ad essi assimilati la misura dell'aliquota di cui al comma 6 si applica a quelli percepiti dal 1° gennaio 2012.

11. Per le obbligazioni e i titoli similari di cui all'articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 1° aprile 1996, n. 239, la misura dell'aliquota di cui al comma 6 si applica agli interessi, ai premi e ad ogni altro provento di cui all'articolo 44 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 maturati a partire dal 1° gennaio 2012.

12. Per le gestioni individuali di portafoglio di cui all'articolo 7 del decreto legislativo 21 novembre 1997, n. 461, la misura dell'aliquota di cui al comma 6 si applica sui risultati maturati a partire dal 1° gennaio 2012.


 

 

I commi da 6 a 12 dell'articolo 2 introducono, a decorrere dal 1° gennaio 2012, una revisione del sistema impositivo dei redditi di natura finanziaria al fine di unificare le attuali aliquote del 12,50 per cento e del 27 per cento, previste sui redditi di capitale e sui redditi diversi, ad un livello intermedio fissato al 20 per cento. Restano esclusi dall’ambito di applicazione della riforma, tra gli altri, i titoli di Stato ed equiparati, i titoli emessi da altri Stati (cd. white list, vale a dire i paesi che consentono un adeguato scambio di informazioni), i titoli di risparmio per l’economia meridionale, i piani di risparmio a lungo termine e le forme di previdenza complementare.

Ambito di applicazione ed esclusioni

Più in dettaglio, il comma 6, con una norma di carattere generale, fissa nella misura del 20 per cento l'ammontare delle ritenute e delle imposte sostitutive, ovunque ricorrano:

§       sugli interessi, premi e ogni altro provento di cui all’articolo 44 del D.P.R. n. 917 del 1986 (TUIR);

§       sui redditi diversi di cui all’articolo 67, comma 1, lettere da c-bis a c-quinquies del TUIR.

 

Si ricorda che l'articolo 44 del TUIR individua i redditi di capitale. Sinteticamente sono redditi di capitale, ai sensi del comma 1:

a)  gli interessi e altri proventi derivanti da mutui, depositi e conti correnti;

b)  gli interessi e gli altri proventi delle obbligazioni e titoli similari, degli altri titoli diversi dalle azioni e titoli similari, nonché dei certificati di massa;

c)  le rendite perpetue e le prestazioni annue perpetue di cui agli articoli 1861 e 1869 del codice civile;

d)  i compensi per prestazioni di fideiussione o di altra garanzia;

e)  gli utili derivanti dalla partecipazione al capitale o al patrimonio di società ed enti soggetti all'imposta sul reddito delle società;

f)   gli utili derivanti da associazioni in partecipazione e dai contratti indicati nel primo comma dell'articolo 2554 del codice civile;

g)  i proventi derivanti dalla gestione, nell'interesse collettivo di pluralità di soggetti, di masse patrimoniali costituite con somme di denaro e beni affidati da terzi o provenienti dai relativi investimenti;

g-bis)i proventi derivanti da riporti e pronti contro termine su titoli e valute;

g-ter) i proventi derivanti dal mutuo di titoli garantito;

g-quater) i redditi compresi nei capitali corrisposti in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita e di capitalizzazione;

g-quinquies) i redditi derivanti dai rendimenti delle prestazioni pensionistiche erogate in forma periodica e delle rendite vitalizie aventi funzione previdenziale;

g-sexies) i redditi imputati al beneficiario di trust, anche se non residente;

h)  gli interessi e gli altri proventi derivanti da altri rapporti aventi per oggetto l'impiego del capitale, esclusi i rapporti attraverso cui possono essere realizzati differenziali positivi e negativi in dipendenza di un evento incerto.

 

L'articolo 67 del TUIR individua i redditi diversi. Tra questi la norma in esame richiama i seguenti:

c-bis) le plusvalenze, diverse da quelle imponibili ai sensi della lettera c) (ossia realizzate mediante cessione a titolo oneroso di partecipazioni qualificate), realizzate mediante cessione a titolo oneroso di azioni e di ogni altra partecipazione al capitale o al patrimonio di società di cui all'articolo 5 (concernenti i redditi in forma associata), escluse le associazioni senza personalità giuridica, e dei soggetti di cui all'articolo 73 (ossia i soggetti IRES), nonché di diritti o titoli attraverso cui possono essere acquisite le predette partecipazioni. Sono assimilate alle plusvalenze di cui alla presente lettera quelle realizzate mediante:

1) cessione dei contratti di cui all'articolo 109, comma 9, lettera b) (contratti di associazione in partecipazione), qualora il valore dell'apporto sia non superiore al 5 per cento o al 25 per cento del valore del patrimonio netto contabile risultante dall'ultimo bilancio approvato prima della data di stipula del contratto secondo che si tratti di società i cui titoli sono negoziati in mercati regolamentati o di altre partecipazioni;

2) cessione dei contratti di cui alla lettera precedente qualora il valore dell'apporto sia non superiore al 25 per cento dell'ammontare dei beni dell'associante;

c-ter) le plusvalenze, diverse da quelle di cui alle lettere c) e c-bis), realizzate mediante cessione a titolo oneroso ovvero rimborso di titoli non rappresentativi di merci, di certificati di massa, di valute estere, oggetto di cessione a termine o rivenienti da depositi o conti correnti, di metalli preziosi, sempreché siano allo stato grezzo o monetato, e di quote di partecipazione ad organismi d'investimento collettivo. Agli effetti dell'applicazione della presente lettera si considera cessione a titolo oneroso anche il prelievo delle valute estere dal deposito o conto corrente;

c-quater) i redditi, diversi da quelli precedentemente indicati, comunque realizzati mediante rapporti da cui deriva il diritto o l'obbligo di cedere od acquistare a termine strumenti finanziari, valute, metalli preziosi o merci ovvero di ricevere o effettuare a termine uno o più pagamenti collegati a tassi di interesse, a quotazioni o valori di strumenti finanziari, di valute estere, di metalli preziosi o di merci e ad ogni altro parametro di natura finanziaria. Agli effetti dell'applicazione della presente lettera sono considerati strumenti finanziari anche i predetti rapporti;

c-quinquies) le plusvalenze ed altri proventi, diversi da quelli precedentemente indicati, realizzati mediante cessione a titolo oneroso ovvero chiusura di rapporti produttivi di redditi di capitale e mediante cessione a titolo oneroso ovvero rimborso di crediti pecuniari o di strumenti finanziari, nonché quelli realizzati mediante rapporti attraverso cui possono essere conseguiti differenziali positivi e negativi in dipendenza di un evento incerto.

 

Come ricordato anche dalla relazione illustrativa, attualmente per la tassazione delle c.d. rendite finanziarie è prevista l’applicazione di due aliquote impositive - pari al 12,50 per cento ed al 27 per cento - in relazione alle diverse tipologie di strumenti finanziari.

 

In particolare, i principali proventi sottoposti ad aliquota del 27 per cento sono i seguenti:

-        interessi maturati sui depositi bancari, postali e da certificati di deposito;

-        accettazioni bancarie;

-        titoli di emittenti privati con durata inferiore ai 18 mesi;

-        obbligazioni con rendimenti non allineati ai parametri di legge;

-        titoli atipici.

 

Viceversa i principali proventi sottoposti ad aliquota del 12,50 per cento sono riferiti ai seguenti strumenti:

-        titoli pubblici;

-        titoli obbligazionari o similari emessi da banche ed imprese private con durata superiore ai 18 mesi;

-        cambiali ed altri redditi di capitale;

-        proventi derivanti da partecipazione a fondi d’investimento e gestioni patrimoniali;

-        plusvalenze derivanti da partecipazioni azionarie non qualificate;

-        proventi derivanti da azioni e titoli similari.

 

Si ricorda peraltro che il riordino della tassazione dei redditi di natura finanziaria è previsto nel disegno di legge di iniziativa governativa recante Delega al Governo per la riforma fiscale e assistenziale, in discussione alla Camera dei deputati (A.C. 4566)[120].

 

I commi 7 ed 8 recano una serie di fattispecie di esclusione dall'ambito di applicazione della riforma.

 

Il comma 7 in particolare esclude dall'applicazione dell'aliquota del 20 per cento introdotta dal comma 6 le fattispecie ivi indicate nelle seguenti ipotesi:

a)   obbligazioni e altri titoli di cui all’articolo 31 del D.P.R. n. 601 del 1973 in materia di agevolazioni tributarie ed equiparati.

Si tratta degli interessi, dei premi e degli altri frutti dei titoli del debito pubblico, dei buoni postali di risparmio, delle cartelle di credito comunale e provinciale emesse dalla Cassa depositi e prestiti e delle altre obbligazioni e titoli similari emessi da amministrazioni statali, anche con ordinamento autonomo, da regioni, province e comuni e da enti pubblici istituiti esclusivamente per l'adempimento di funzioni statali o per l’esercizio diretto di servizi pubblici in regime di monopolio;

b)   obbligazioni emesse da altri Stati inclusi nella lista di cui al decreto emanato ai sensi dell’articolo 168-bis del TUIR;

Si tratta delle obbligazioni emesse dagli Stati e territori che consentono un adeguato scambio di informazioni, inclusi nell'elenco attualmente contenuto nel D.M. 4 settembre 1996[121] (c.d. paesi white list).

c)   titoli di risparmio per l’economia meridionale di cui all’articolo 8, comma 4 del decreto-legge n. 70 del 2011 (cd. decreto sviluppo).

Si tratta di specifici titoli di risparmio per l’economia meridionale che possono essere emessi da parte di banche italiane, comunitarie ed extracomunitarie autorizzate ad operare in Italia, in osservanza delle previsioni del TUB. Tali nuovi strumenti finanziari:

-        hanno scadenza non inferiore a diciotto mesi;

-        sono titoli nominativi ovvero al portatore e corrispondono interessi con periodicità almeno annuale;

-        possono essere sottoscritti da persone fisiche non esercenti attività di impresa;

-        sono assoggettati alla disciplina del TUF concernente la gestione accentrata di strumenti finanziari in regime di dematerializzazione;

-        non sono strumenti finanziari subordinati, irredimibili o rimborsabili previa autorizzazione della Banca d’Italia di cui all’art. 12, comma 7, del TUB, né altri strumenti computabili nel patrimonio di vigilanza.

d)   piani di risparmio a lungo termine appositamente istituiti[122].

Si segnala che la possibilità di applicare ai piani di risparmio a lungo termine un’aliquota inferiore rispetto a quella del 20 per cento stabilita per le altre rendite finanziarie è prevista anche dal citato ddl di delega fiscale.

 

Il comma 8 individua ulteriori ipotesi di esclusione. Si tratta in particolare delle seguenti attività finanziarie:

a)   gli interessi di cui all’articolo 26-quater, comma 8-bis, del DPR n. 600 del 1973 in materia di accertamento delle imposte sui redditi.

Si tratta degli interessi corrisposti a soggetti non residenti - cui si applica una ritenuta del 5 per cento - a condizione che essi siano destinati a finanziare il pagamento di interessi e altri proventi su prestiti obbligazionari emessi dai percettori: a) negoziati in mercati regolamentati degli Stati membri dell'Unione europea e degli Stati aderenti all'Accordo sullo spazio economico europeo che sono inclusi nella c.d. white list; b) garantiti dai soggetti che effettuano le ritenute alla fonte che corrispondono gli interessi ovvero dalla società capogruppo controllante ovvero da altra società controllata dalla stessa controllante;

b)   gli utili di cui all’articolo 27, comma 3-ter, del medesimo DPR n. 600 del 1973.

La norma prevede una ritenuta operata a titolo di imposta e con l’aliquota dell’1,375 per cento sugli utili corrisposti alle società e agli enti soggetti ad un’imposta sul reddito delle società negli Stati membri dell’Unione europea e negli Stati aderenti all’Accordo sullo spazio economico europeo che sono inclusi nella c.d. white list, ed ivi residenti, in relazione alle partecipazioni e agli strumenti finanziari emessi da società ed enti la cui remunerazione è costituita totalmente dalla partecipazione ai risultati economici della società emittente o di altre società appartenenti allo stesso gruppo o dell'affare in relazione al quale sono stati emessi i titoli e gli strumenti finanziari (di cui all’articolo 44, comma 2, lettera a), del TUIR) e ai contratti di associazione in partecipazione, non relativi a stabili organizzazioni nel territorio dello Stato;

c)   il risultato netto maturato delle forme di previdenza complementare disciplinate dal D.Lgs. n. 252 del 2005.

Si ricorda che, ai sensi dell'articolo 17 del decreto legislativo n. 252 del 2005, i fondi pensione sono soggetti ad imposta sostitutiva delle imposte sui redditi nella misura dell'11 per cento, che si applica sul risultato netto maturato in ciascun periodo d'imposta (comma 1).

Decorrenza

I commi da 9 a 12 disciplinano la decorrenza dell'applicazione della nuova aliquota.

 

In particolare, il comma 9 prevede che l'aliquota del 20 per cento si applichi agli interessi, ai premi e ad ogni altro provento di cui all’articolo 44 del TUIR, divenuti esigibili e ai redditi diversi realizzati a decorrere dal 1° gennaio 2012.

 

Per quanto concerne i dividendi e proventi ad essi assimilati, ai sensi del comma 10, l'aliquota del 20 per cento si applica a quelli percepiti dal 1° gennaio 2012.

 

Per quanto concerne invece le obbligazioni e i titoli similari di cui all’articolo 2, comma 1, del D.Lgs. n. 239 del 1996 (in materia di regime fiscale degli interessi, premi ed altri frutti delle obbligazioni e titoli similari, pubblici e privati), l’aliquota del 20 per cento si applica agli interessi, ai premi e ad ogni altro provento delle obbligazioni e titoli similari, ed equiparati, emessi in Italia, percepiti da soggetti residenti nel territorio dello Stato (di cui all’articolo 44 del TUIR) maturati a partire dal 1° gennaio 2012 (comma 11).

 

Infine, ai sensi del comma 12, per quanto concerne le gestioni individuali di portafoglio (di cui all’articolo 7 del D.Lgs. n. 461 del 1997 sulla disciplina tributaria dei redditi di capitale e dei redditi diversi), l'aliquota del 20 per cento si applica sui risultati maturati a partire dal 1° gennaio 2012.

Si ricorda che ai sensi di quanto previsto dall’articolo 7 del D.Lgs. n. 461 del 1997, in estrema sintesi, i soggetti che hanno conferito a un soggetto abilitato l'incarico di gestire masse patrimoniali costituite da somme di denaro o beni non relativi all'impresa, possono optare, con riferimento ai redditi di capitale e diversi che concorrono alla determinazione del risultato della gestione, per l'applicazione di una imposta sostitutiva.

Il contribuente può optare per l'applicazione dell'imposta sostitutiva mediante comunicazione sottoscritta rilasciata al soggetto gestore all'atto della stipula del contratto e, nel caso dei rapporti in essere, anteriormente all'inizio del periodo d'imposta. L'opzione ha effetto per il periodo d'imposta e può essere revocata solo entro la scadenza di ciascun anno solare, con effetto per il periodo d'imposta successivo. Qualora sia stata esercitata l'opzione, i redditi che concorrono a formare il risultato della gestione non sono soggetti alle imposte sui redditi.

Il risultato della gestione si determina sottraendo dal valore del patrimonio gestito al termine di ciascun anno solare, al lordo dell'imposta sostitutiva, aumentato dei prelievi e diminuito di conferimenti effettuati nell'anno, i redditi maturati nel periodo e soggetti a ritenuta, i redditi che concorrono a formare il reddito complessivo del contribuente, i redditi esenti o comunque non soggetti ad imposta maturati nel periodo, i proventi derivanti da fondi comuni di investimento immobiliare, il 60 per cento dei proventi derivanti dalla partecipazione ad organismi di investimento collettivo del risparmio, ed il valore del patrimonio stesso all'inizio dell'anno. Il risultato è computato al netto degli oneri e delle commissioni relative al patrimonio gestito.

L'imposta sostitutiva è prelevata dal soggetto gestore ed è versata al concessionario della riscossione ovvero alla sezione di tesoreria provinciale dello Stato entro il 16 febbraio di ciascun anno.

Profili finanziari (Art. 2, commi da 6 a 12 e da 13 a 34)

Aliquota unica sui redditi di natura finanziaria

 

Il prospetto riepilogativo ascrive alle norme i seguenti effetti sui saldi di finanza pubblica.

(milioni di euro)

 

Saldo netto da finanziare

           Fabbisogno

Indebitamento netto

 

2012

2013

2014

2012

2013

2014

2012

2013

2014

Maggiori entrate

1.421

1.534

1.915

1.421

1.534

1.915

1.421

1.534

1.915

 

Si ricorda che le modifiche approvate nel corso dell’esame in prima lettura presso il Senato non hanno determinato variazioni negli effetti finanziari.

 

La relazione tecnica, riferita al testo iniziale, afferma che per la quantificazione degli effetti finanziari sono stati utilizzati i dati contenuti nel Bilancio dello Stato in quanto gran parte del prelievo si realizza all’interno di regimi sostitutivi i quali non sono evidenziati nelle dichiarazione dei redditi. In particolare la RT riporta i seguenti dati ed elementi.

a) Il valore in termini di competenza

Sono stati considerati i capitoli di bilancio che registrano il gettito delle ritenute versate dai sostituti d’imposta in relazione alle fattispecie interessate dalle norme in esame. Poiché alcuni capitoli riportano un ammontare che comprende, indistintamente, sia le imposte calcolate al 12,5% sia quelle calcolate al 27% la relazione tecnica segnala la necessità di elaborare i dati originari di gettito per poter individuare, all’interno dei diversi capitoli, le componenti attribuibili a ciascuna delle due aliquote sopra indicate. A tal fine, evidenzia la RT, sono stati utilizzati dati di fonti diverse (principalmente informazioni su stock e flussi sulle attività e passività finanziarie dell’Italia desunti dalle pubblicazioni di Banca d’Italia).

Una seconda ulteriore elaborazione è stata necessaria per individuare la distribuzione degli stock fra i settori istituzionali al fine di individuare le differenti categorie di percettori e, pertanto, attribuire il gettito ad imposte versate a titolo definitivo ovvero a titolo di acconto.

Ferme restando le predette elaborazioni effettuate – rispetto alle quali la relazione tecnica non fornisce ulteriori dettagli – viene precisato che:

§       i dati utilizzati sono riferiti al gettito del 2010;

§       non sono stati assunti significativi effetti di sostituzione rispetto alle scelte di portafoglio operate dagli investitori. Tuttavia, la relazione tecnica ritiene che il maggior gettito ottenuto dagli investimenti che subiscono un incremento dell’aliquota fiscale (dal 12,5% al 20%) possa essere ridotto, in via prudenziale, del 5%;

§       è stata esclusa la possibilità che gli investitori sostituiscano gli attuali investimenti in attività finanziarie con investimenti in attività reali (immobili) in quanto, chiarisce la relazione tecnica, il mercato immobiliare italiano non mostra segnali di crescita.

Sulla base del procedimento sopra illustrato, la relazione tecnica fornisce i risultati in termini di competenza annua indicati nelle seguenti tabelle nelle quali, inoltre, viene inserito anche il valore stimato in termini di cassa esaminato, nel dettaglio, nel successivo paragrafo.

 

TABELLA A – aumento dell’aliquota dal 12,5% al 20% (ritenute a titolo definitivo)

(milioni di euro)

Capitolo/art.

Descrizione

Maggior gettito

 

 

Competenza

annua

Cassa

 

 

2012

2013

2014

1026/2+1026/3+

1026/4+1026/14+

1026/19+1026/23

1) Sostitutiva e ritenuta su interessi di obbligazioni e titoli similari tassati al 12,5%

1.106

784

1.106

1.106

1026/6+1026/18+

1026/20+1026/25

2) Ritenute su interessi e redditi di capitale di fonte estera e quote OIVCM

110

90[123]

110

110

1026/1+1026/7+

1026/8

3) Ritenute cambiali e altri

156

143

156

156

1027

4)Ritenute su utili distribuiti da persone giuridiche

191

143

191

191

1031

5) Ritenute su redditi di capitale dei fondi d’investimento

20

18

20

20

1034/2+1032

6) Sostitutiva su risparmio gestito (risultato maturato dalle gestioni individuali) + plusvalenze su partecipazioni azionarie

238

0

238

238

1034/4

7) Sostitutiva su redditi diversi

264

220

264

264

1195

8) Sostitutiva assicurazioni (contratti capitalizzazione)

111

102

111

111

 

TOTALE A)

2.196

1.500

2.196

2.196

 

TABELLA B – diminuzione dell’aliquota dal 27% al 20% (ritenute a titolo definitivo)

(milioni di euro)

 

Capitolo/art.

Descrizione

Minor gettito

 

 

Competenza

annua

Cassa

 

 

2012

2013

2014

1026/5+1026/26

1) Ritenute su interessi da aziende di credito e poste (depositi, c/c, libretti postali e certificati deposito)

-256

0

-486

-256

1026/2+1026/3+

1026/19+1026/23

2) Sostitutiva su interessi obbligazioni al 27% e titoli similari

-1

 

-1

-1

1026/11

3) Ritenute sui proventi titoli e certificati atipici

-4

-4

-4

-4

1026/25

4) Redditi di capitale di fonte estera

-1

-1

-1

-1

1027

5) Ritenute sugli utili distribuiti dalle persone giuridiche

-15

 

-15

-15

 

TOTALE B)

-277

-5

-507

-277

 

MAGGIOR GETTITO NETTO[124]

(Maggior gettito Tabella A al netto del

minor gettito Tabella B)

 

1.919

1.494

1.689

1.919

 

 

 

b) Effetti di cassa per ritenute a titolo definitivo

La stima degli effetti in termini di cassa è effettuata considerando il disallineamento temporale esistente tra il momento in cui la ritenuta è operata e il momento in cui la stessa viene versata alle casse erariali da parte del sostituto d’imposta; tale circostanza rileva, in particolare, nel primo anno di applicazione in quanto i versamenti effettuati nei primi mesi del 2012 possono riferirsi a ritenute operate nel 2011 e, pertanto, calcolate in base alle aliquote previgenti.

Una particolare procedura è prevista per le ritenute operate sulle cedole obbligazionarie, relative ad interessi maturati a cavallo degli esercizi 2011-2012, in quanto l’aliquota deve essere applicata in base al criterio della maturazione degli interessi (pro-rata temporis).

Ulteriori variazioni tra il dato di cassa e quello di competenza riguardano le ritenute operate dalle banche e dalle poste sugli interessi maturati nei depositi e conti correnti. Tali variazioni determinano effetti anche nei periodi d’imposta successivi in quanto scontano gli effetti del meccanismo di saldo/acconto previsto per il versamento delle ritenute da parte delle banche.

La RT quantifica gli effetti di cassa distintamente per ciascuna tipologia di investimento, in base alle modalità e ai termini vigenti per il versamento delle ritenute operate dal sostituto d’imposta al momento del pagamento dei relativi redditi.

Con riferimento ai prestiti obbligazionari – voce n. 1) nella Tabella A – le variazioni per cassa interessano esclusivamente le ritenute sugli interessi maturati in un periodo a cavallo di due esercizi la cui cedola (trimestrale, semestrale, annuale) viene pagata posticipatamente al termine del periodo stesso, ossia nel successivo periodo d’imposta. A tal fine la RT afferma che “si dovranno considerare i flussi di interesse e la relativa imposizione che matura mese per mese. Di conseguenza la variazione di gettito prevista per la prima cedola (a cavallo tra i due diversi regimi) sarà pari in media ai 15/72 dell’incremento annuo (15/6 x 1/12) mentre la seconda cedola sarà invece interamente soggetta al nuovo regime”. Pertanto il maggior gettito in termini di cassa attribuito, nel primo anno, ai redditi relativi ai presti obbligazionari ammonta a:

1.106milioni x(½ x 15:72) = 784 milioni

 

Con riferimento alle tipologie di reddito relativamente alle quali il versamento della ritenuta è effettuato mensilmente – voci n. 2)[125] , 3), 5) e 8) della Tabella A nonché voci n. 3) e 4) della Tabella B – il valore per cassa del primo anno di applicazione è calcolato in misura corrispondente agli 11/12 del dato di competenza.

Pertanto: (385-5) x 11 : 12 = 348 milioni

 

Per i redditi relativi al risparmio amministrato – voce n. 7) della Tabella A – i versamenti della ritenuta sono effettuati entro il secondo mese successivo a quello del pagamento e, pertanto, sono considerati in termini di cassa per il primo anno in misura corrispondente ai 10/12 del valore di competenza. Pertanto: 264 x 10 : 12 = 220 milioni.

 

Il versamento della ritenuta sugli utili distribuiti dalle società – voce n. 4) della Tabella A –è effettuato entro il primo mese successivo al trimestre solare nel quale sono state operate le ritenute. Pertanto, il valore di cassa nel primo anno corrisponde ai 9/12 dell’ammontare in competenza: 191 : 12 x 9 = 143 milioni.

 

Infine, la stima di cassa attribuibile alle ritenute operate da banche e poste sui conti correnti e depositi – voce 1) della Tabella B – considera l’obbligo, a carico dei predetti sostituti d’imposta, di effettuare il versamento delle ritenute operate attraverso un meccanismo di saldo/acconto che prevede un acconto complessivo in corso d’anno pari ai 9/10 delle ritenute dell’anno precedente (l’acconto è versato in due rate uguali con scadenza a giugno e ottobre) e il versamento del saldo nel mese di febbraio dell’anno successivo. Gli effetti rettificativi sono indicati nella seguente tabella che si basa su un minor gettito annuo in termini di competenza pari a 256 milioni di euro.

 

Versamento delle ritenute da parte di banche e poste

(milioni di euro)

 

2012

2013

2014

Saldo 2011

0

 

 

Acconto 2012

0

 

 

Saldo 2012

 

-256

 

Acconto 2013

 

-230

 

Saldo 2013

 

 

-26

Acconto 2014

 

 

-230

Totale

0

-486

-256

 

c) Effetti di cassa per ritenute operate a titolo di acconto

Ulteriori rettifiche al dato di competenza sono apportate per tenere conto che una parte delle ritenute operate è effettuata a titolo di acconto e, pertanto, viene computata in dichiarazione dei redditi dai contribuenti interessati in riduzione dell’imposta lorda calcolata.

Per la quantificazione, la relazione tecnica utilizza dati di fonte Banca d’Italia al fine di individuare la quota del gettito attribuibile alle ritenute a titolo di acconto d’imposta in base sia alla tipologia dei soggetti passivi sia alla tipologia di investimento. In base alla procedura sopra illustrata, la relazione tecnica stima che la modifica della tassazione degli interessi sui depositi bancari dal 27% al 20% determina minori ritenute, e conseguentemente un maggior saldo d’imposte in sede di dichiarazione dei redditi, pari a 55 milioni di euro mentre in relazione agli strumenti finanziari per i quali il regime di tassazione passerà dal 12,5% al 20% la maggiori ritenute, e conseguentemente un minor saldo d’imposte in sede di dichiarazione dei redditi, sono stimati in circa 32 milioni di euro.

La valutazione degli effetti di cassa è effettuata ipotizzando un acconto delle imposte pari al 75% come risulta dalla seguente tabella.

Ritenute a titolo di acconto: prospetto saldo/acconto imposte contribuenti

(milioni di euro)

DESCRIZIONE

 

COMPETENZA ANNUA

CASSA

2012

2013

2014

MINORI RITENUTE SU DEPOSITI (DAL 27% al 20%)

55

0

 

 

MAGGIORI RITENUTE SU ALTRI STRUMENTI (DAL 12,5% al 20%)

-32

 

 

 

COMPETENZA ANNUA

23

 

 

 

SALDO 2012

 

 

23

 

ACCONTO 2013

 

 

17

 

SALDO 2013

 

 

 

6

ACCONTO 2014

 

 

 

17

EFFETTI CASSA

 

0

35(1)

23

 

(1) La relazione tecnica, indicando per un errore materiale 55+41=91, riporta come totale il valore di 35 in luogo di 40.

 

d) Opzione per l’affrancamento delle plusvalenze latenti (commi 29-32)

Le norme consentono ai contribuenti di determinare, con riferimento alla data del 31/12/2011, le plusvalenze e le minusvalenze latenti - ossia quelle maturate ma non realizzate alla predetta data – al fine di affrancare il maggior valore determinato attraverso il pagamento dell’aliquota previgente.

L’esercizio dell’opzione, come precisato dalla RT, interessa i contribuenti che possono applicare, in presenza di una plusvalenza, un’aliquota più conveniente (12,5%) rispetto a quella applicabile in base alla nuova normativa (20%). A fronte di tale beneficio, gli stessi contribuenti devono anticipare il versamento dell’imposta, rinunciano al differimento della stessa. La relazione tecnica stima che l’opzione sarà esercitata per un ammontare corrispondente all’80% delle plusvalenze latenti.

Al fine di individuare le modalità di distribuzione della effettiva realizzazione delle plusvalenze latenti, in assenza di dati specifici, viene considerato il periodo medio di detenzione dei fondi comuni italiani (tenendo conto degli switch) pari a circa 2 anni. Ipotizzando una distribuzione lineare e costante delle plusvalenze da realizzare negli anni 2012 – 2013 si ottiene un valore di plusvalenze latenti al 1° gennaio 2012 pari al 73% di quelle che comunque si sarebbero realizzate nel corso dell’anno più il 23% di quelle che si sarebbero realizzate nel corso dell’anno successivo.

Infatti, in base alle ipotesi di linearità e costanza adottate, in ciascun mese a decorrere da gennaio 2012 si realizzano 1/24 delle plusvalenze latenti al 1/1/2012. A ciascuna di esse viene attribuito un peso – per il calcolo della media ponderata – corrispondente al numero dei mesi di possesso maturato prima della data di entrata in vigore della disposizione in esame.

La stima dell’ammontare delle plusvalenze latenti al 1/1/2012 non viene fornita dalla relazione tecnica. Tuttavia, nella formula matematica utilizzata per la stima degli effetti finanziari, è evidenziato un valore – pari a 463 milioni – corrispondente al gettito atteso dalla realizzazione delle plusvalenze latenti in base alla normativa previgente (aliquota 12,50%). Si desume, pertanto, che l’ammontare delle plusvalenze latenti al 1/1/2012 risulta stimato in misura pari a 3.704 milioni di euro.

In base alle ipotesi sopra illustrate, considerata la quota optante (80%) cui corrisponde un imponibile pari a (3.704x80%=2.963) e un gettito atteso a legislazione previgente pari a (463 mln x 80% = 370 mln) si stimano i seguenti effetti in termini di competenza:

1)   nel 2012, si realizza, da un lato, una perdita di gettito con riferimento alle plusvalenze che si sarebbero comunque realizzate nel 2012 (73%) e relativamente alle quali i contribuenti versano un’imposta ad aliquota 12,5% in luogo del 20% mln 2.963x73%x (20%-12,5%) = -162 milioni. Da un altro lato, un recupero di gettito dovuto al versamento in anticipo delle imposte sulle plusvalenze che si realizzeranno nel 2013: mln 2.963x23%x12,5% = +85 milioni. Pertanto, il valore netto di competenza 2012 risulta pari a –77 milioni;

2)   nel 2013, si realizza una perdita di gettito relativamente alle plusvalenze la cui realizzazione è attesa nel 2013 e relativamente alle quali sarebbe stata versata un’imposta ad aliquota 20%: mln 2.963x23%x20% = - 136 milioni.

Per la stima degli effetti di cassa, la relazione tecnica afferma di applicare i meccanismi di versamento – senza ulteriori precisazioni – in base ai quali gli effetti di minor gettito sono pari a 50 milioni nel 2012, 140 milioni nel 2013 e 23 milioni nel 2014.

 

La stima degli effetti dovuti all’esercizio dell’opzione da parte dei fondi comuni esteri è effettuata considerando che fino al 30 giugno 2011 è stato applicato il regime del maturato. Pertanto, considerando che la disposizione interessa le plusvalenze latenti maturate dal 1 luglio 2011, ed applicando le medesime ipotesi e metodologie illustrate per i fondi comuni italiani, la relazione tecnica indica effetti di minor gettito pari a:

-          in termini di competenza, -28 mln nel 2012, -49 mln nel 2013;

-          in termini di cassa, -23 mln nel 2012, - 50 mln nel 2013 e – 4 mln nel 2014.

 

Riepilogo degli effetti ascritti

La seguente tabella evidenzia il riepilogo degli effetti ascritti in termini di cassa alle disposizioni in commento.

(milioni di euro)

 

2012

2013

2014

2015

UNIFICAZIONE ALIQUOTA AL 20%

1.494

1.689

1.919

1.919

RITENUTE OPERATE A TITOLO ACCONTO

0

35

23

23

OPZIONE PER TASSAZIONE AGEVOLATA PLUSVALENZE LATENTI

-73

-190

-27

--

TOTALE

1.421

1.534(*)

1.915

1.942

 (*) Valore pari a 1.539 milioni tenendo conto dell’errore materiale rilevato nella relazione tecnica in riferimento al prospetto saldo/acconto relativo alle ritenute a titolo di acconto.

 

In merito ai profili di quantificazione, sono stati formulati alcuni rilievi che interessano sia il profilo generale della quantificazione operata sia specifici aspetti concernenti più in dettaglio la procedura adottata.

In linea generale, è stato segnalato che la stima degli effetti finanziari relativi all’unificazione dell’aliquota al 20% è stata effettuata considerando un ammontare di investimenti interessati dalla disposizione in esame – non espressamente indicato dalla relazione tecnica – pari complessivamente a 34,8 miliardi di euro, dei quali l’88,6% (30,8 mld) attribuito ad investimenti che subiscono un incremento di aliquota d’imposta (dal 12,5% al 20%) e il restante 11,4% (4 mld) attribuito ad investimenti che subiranno una riduzione di aliquota (dal 27% al 20%).

I suddetti valori, non riportati dalla RT, corrispondono alle implicite basi imponibili relative al gettito indicato in relazione tecnica. Infatti, il maggior gettito indicato nel totale della Tabella A (2.196 milioni di euro) corrisponde a: investimenti (30,8 mld) x maggiore aliquota (20%-12,5%) x riduzione prudenziale (1-5%).

Analogamente, la perdita gettito indicata in Tabella B (277 milioni di euro) corrisponde a: investimenti (4 mld) x minore aliquota (27%-20%)

La suddetta ripartizione è ottenuta, afferma la relazione tecnica, a seguito di elaborazioni effettuate sui singoli capitali cui è ascritto il gettito 2010 rispetto alle quali non vengono, tuttavia, forniti i criteri e le ipotesi adottate.

La prima delle richiamate elaborazioni è diretta a ripartire il totale del gettito 2010 considerato in due quote imputabili all’applicazione delle aliquote previgenti pari, rispettivamente, al 12,5% e il 27% e che determinano, rispettivamente, un aumento e una riduzione del gettito. Tenuto conto del rilevante peso attribuito ad investimenti per i quali si prevede un incremento dell’aliquota (88,6%), è stata segnalata la rilevanza assunta dalle ipotesi e dai criteri adottati ai fini della quantificazione degli effetti finanziari – non evidenziati nella relazione tecnica – per effettuare la suddetta ripartizione.

La pubblicazione della Banca d’Italia “La ricchezza delle famiglie italiane – 2009” evidenzia la seguente distribuzione delle attività finanziarie possedute dalle famiglie nel 2009:

-        29,8% in biglietti, monete, depositi bancari e risparmio postale;

-        44,2% in obbligazioni private, titoli esteri, prestiti alle cooperative, azioni, partecipazioni in quasisocietà e fondi comuni di investimento;

-        17,7% in riserve tecniche di assicurazione;

-        5,3% in titoli pubblici italiani;

-        3% in crediti commerciali e altri conti attivi.

La seconda elaborazione è diretta a ripartire gli investimenti soggetti ad imposta sostitutiva delle imposte sui redditi (relativamente ai quali si determinano effetti finanziari in termini di competenza e di cassa) e quelli soggetti a ritenuta a titolo d’acconto (relativamente ai quali si determinano esclusivamente effetti in termini di cassa).

Circa i criteri di prudenzialità adottati per la valutazione del gettito atteso dalla norma in esame, si ricorda che la relazione tecnica ha ipotizzato che il 95% degli investimenti che subiscono un incremento di 7,5 punti percentuali dell’aliquota d’imposta non siano interessati da effetti di sostituzione e che, in ogni caso, nessun investitore sceglierà di sostituire l’investimento effettuato in attività finanziarie con attività reali (immobili). In riferimento a tali ipotesi è stato segnalato che, qualora, a titolo esemplificativo, gli investitori interessati decidano di rivolgere i propri risparmi verso forme di previdenza complementare, avrebbero diritto a fruire della deduzione dall’imponibile IRPEF delle somme versate determinando effetti non considerati dalla relazione tecnica.

Sempre in merito all’ammontare degli investimenti utilizzato per la quantificazione, la relazione tecnica si basa su un dato relativo all’anno 2010 senza considerare gli effetti di proiezione negli anni successivi e, in particolare, le conseguenze collegate al recente andamento dei mercati finanziari e all’attuale crisi economica che si riflettono anche sugli investimenti e sul risparmio dei contribuenti.

Ferme restando le considerazioni evidenziate in merito alla quantificazione degli effetti in termini di competenza, la stima degli effetti di cassa relativi all’unificazione dell’aliquota appaiono, in linea generale, corretta e prudenziale. È stato segnalato, tuttavia, che non risulta chiaro il passaggio logico in base al quale gli effetti per il 2012 relativi ai prestiti obbligazionari sono stati ridotti a 784 milioni di euro.

La stima degli effetti di cassa relativi alle ritenute operate a titolo di acconto è stata effettuata sulla base di ipotesi relativamente alle quali la RT fornisce una illustrazione complessiva senza indicare i valori assunti e i parametri utilizzati per la quantificazione medesima. Viene, quindi, fornito il valore di competenza stimato – distinguendo i depositi bancari dagli altri investimenti – e, applicando a questo un acconto di imposte pari al 75%, si ottengono gli effetti in termini di cassa. Non risulta, peraltro, evidenziato se tra i criteri adottati si sia tenuto conto delle possibili opzioni esercitate dai contribuenti che, a seguito dell’aumento dell’aliquota dal 12,5% al 20%, potrebbero scegliere l’applicazione del regime ordinario in luogo del regime fiscale sostitutivo.

L’ultima parte della relazione tecnica è riferita all’opzione per l’affrancamento delle plusvalenze latenti. In linea generale, è stato rilevato che non appare chiaro (in quanto la relazione tecnica non illustra i dati, i criteri e le metodologie utilizzate) se nella stima degli effetti finanziari si sia tenuto conto dell’attuale andamento dei mercati finanziari e della possibilità che l’ammontare delle plusvalenze latenti, da valutare con riferimento al 31 dicembre 2011, possa risultare – a causa della particolare congiuntura – in realtà più contenuto rispetto ad una media di lungo periodo. Inoltre, la relazione tecnica non ha chiarito se nella quantificazione si sia tenuto conto anche delle eventuali minusvalenze latenti deducibili ai fini della determinazione della base imponibile per l’applicazione dell’imposta.

Ai fini della quantificazione degli effetti finanziari, la relazione tecnica ritiene che l’esercizio dell’opzione possa essere stimato in misura corrispondente all’80% delle plusvalenze latenti e che le stesse, in ogni caso, si sarebbero comunque realizzate entro il 2013. Nella formula matematica viene utilizzato un dato, pari a 463 milioni, che dovrebbe corrispondere al gettito attribuito a tali plusvalenze ad aliquota del 12,50%, rispetto al quale non viene fornita alcuna informazione.

La relazione tecnica, infine, non considera le disposizioni contenute nei commi da 13 a 25 alle quali è attribuita, in via prevalente, una finalità di coordinamento con la disciplina previgente. In proposito, è stato evidenziato che i citati commi recano abrogazioni e soppressioni di norme che avevano un chiaro intento antielusivo e di deterrenza di possibili movimenti di natura speculativa ed elusiva, come confermato anche dalla relazione illustrativa allegata al provvedimento.

La Nota del Dipartimento delle finanze dell’8 settembre 2011 ha fornito i seguenti elementi di risposta:

-        in merito alle elaborazioni effettuate per la ripartizione dell’ammontare iscritto nei capitoli del bilancio dello Stato tra gettito attribuibile ad aliquota del 12,50% e gettito attribuibile all’aliquota del 27%, è stato ribadito che le elaborazioni sono fondate sulle consistenze delle attività e passività finanziarie dell’Italia nel 2010, pubblicate nella Relazione Annuale sul 2010 della Banca d’Italia. Sul punto non sono stati forniti ulteriori elementi;

-        in merito alle scelte possibili da parte degli investitori, la Nota afferma che uno spostamento degli investimenti valutato in misura pari al 5% dovrebbe essere considerato prudenziale. In proposito è stato precisato che “gli effetti della tassazione rappresentano solo una delle variabili che influenzano le scelte di portafoglio degli investitori, tra le quali assume rilevanza anche il rendimento dei vari strumenti finanziari”;

-        in merito agli effetti di proiezione, la Nota afferma che l’utilizzo del dato 2010 è da considerarsi prudenziale, in quanto inferiore a quello del 2008 e del 2009;

-        in merito alle possibili scelte di applicare un diverso regime di tassazione da parte dei titoli del reddito d’impresa, la Nota ha confermato la quantificazione indicata nella relazione tecnica effettuata stimando, dalla relazione della Banca d’Italia, i coefficienti relativi alle consistenze in possesso degli investitori titolari di reddito d’impresa. Applicando i suddetti coefficienti ai dati del gettito 2010, sono state ottenute le basi imponibili implicite relative a soggetti che subiscono ritenuta a titolo di acconto e sono stati quindi ottenuti gli effetti stimati nella relazione tecnica.

-        relativamente alla disciplina sulle plusvalenze latenti, la Nota ha chiarito che è stato utilizzato il dato relativo al capitolo 1034/04[126] del bilancio dello Stato per l’anno 2010 e, per i fondi comuni di diritto estero, la quantificazione è basata sul gettito ascritto al capitolo 1026/18[127];

-        in merito all’andamento dei mercati, la Nota afferma che l’ammontare considerato nella quantificazione risulta prudenziale tenuto conto che la disciplina in commento reca effetti di minor gettito;

-        in merito, infine, alle norme di coordinamento la Nota afferma che, tenuto conto delle modifiche intervenute nel quadro ordinamentale, le fattispecie soppresse hanno sempre minore importanza e, pertanto, non determinano significativi effetti di variazione gettito.

 


 

Articolo 2, commi 12-bis e 12-ter
(Modifiche alla disciplina concernente gli interventi di recupero del patrimonio edilizio di cui all'articolo 1 della legge n. 449 del 1997)

 


12-bis. All'articolo 1, comma 7, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, le parole: «non utilizzate in tutto o in parte» e: «spettano» sono sostituite, rispettivamente, dalle seguenti: «possono essere utilizzate» e: «oppure possono essere trasferite».

12-ter. All'articolo 2, comma 5, terzo periodo, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, le parole da: «spettano» fino alla fine del periodo sono sostituite dalle seguenti: «le detrazioni possono essere utilizzate dal venditore oppure essere trasferite all'acquirente persona fisica».


 

 

I commi 12-bis e 12-ter dell'articolo 2 recano modifiche alla disciplina concernente gli interventi di recupero del patrimonio edilizio di cui all'articolo 1 della legge n. 449 del 1997[128].

 

L’articolo 1 della legge n. 449/1997 disciplina la detrazione fiscale spettante per le spese di ristrutturazione edilizia. Tale norma dispone, tra l’altro la fissazione di un tetto massimo di spesa agevolabile (77.468 euro) e la rateizzazione in quote annuali (3, 5 o 10) del beneficio ai fini della fruizione.

 

Più in dettaglio il comma 12-bis, tramite una novella all'articolo 1, comma 7, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, interviene sulla disciplina relativa agli interventi di recupero del patrimonio edilizio nell'ipotesi di vendita dell'unità immobiliare sulla quale sono stati realizzati detti interventi.

Per effetto di tale modifica, pertanto, nel caso di vendita di tale unità immobiliare le previste detrazioni possono:

§      essere utilizzate dal venditore oppure

§      essere trasferite per i rimanenti periodi di imposta all'acquirente persona fisica dell'unità immobiliare.

Si ricorda invece che, secondo il testo vigente, le detrazioni non utilizzate in tutto o in parte dal venditore spettano per i rimanenti periodi di imposta all'acquirente persona fisica dell'unità immobiliare.

 

Coerentemente con tale modifica il comma 12-ter novella invece l'articolo 2, comma 5, terzo periodo, della legge 27 dicembre 2002, n. 289[129].

Il testo vigente prevede che resta fermo, in caso di trasferimento per atto tra vivi dell'unità immobiliare oggetto degli interventi di recupero del patrimonio edilizio di cui all'articolo 1 della citata legge n. 449 del 1997, che spettano all'acquirente persona fisica dell'unità immobiliare esclusivamente le detrazioni non utilizzate in tutto o in parte dal venditore.

Per effetto della modifica proposta si prevede invece che le detrazioni possono essere utilizzate dal venditore oppure essere trasferite all'acquirente persona fisica (in coerenza, pertanto, con la modifica apportata dal precedente comma 12-bis).

Profili finanziari

 

Il prospetto riepilogativo non considera la norma.

 

La relazione tecnica afferma che il previgente articolo 1, comma 7, della legge 449/1997 (con cui è stato stabilito che, in caso di vendita dell'unità immobiliare sulla quale sono stati realizzati gli interventi, le quote di detrazioni non utilizzate dal venditore che ha posto in essere gli interventi spettano, per i rimanenti periodi, d'imposta all'acquirente persona fisica dell'unità immobiliare medesima) è finalizzato a tenere conto del fatto che la realizzazione degli interventi, aumentando il valore dell'immobile, ne ha influenzato il prezzo di acquisto ed ha comportato una traslazione dell'onere economico sostenuto per la realizzazione degli interventi stessi e il pagamento delle imposte conseguenti al passaggio di proprietà. La nuova norma in esame (che ha lo scopo di demandare alle parti la facoltà di stabilire se le quote residue di detrazione debbano rimanere attribuite al soggetto che ha posto in essere gli interventi ovvero siano trasferite all’acquirente) non comporta – secondo la RT - sostanziali effetti di gettito.

 

In merito ai profili di quantificazione, si è rilevato che la norma potrebbe determinare effetti di perdita di gettito nei casi in cui, in base alla legislazione previgente, l’acquirente non sarebbe stato nelle condizioni di utilizzare le detrazioni trasferite, in quanto soggetto non persona fisica ovvero in situazione di incapienza della detrazione rispetto all’imposta lorda.

Nella Nota di risposta alla osservazioni formulate nel corso dell’iter alla Camera dei deputati, trasmessa alla Commissione Bilancio l’8 settembre 2011, il Dipartimento delle finanze ha precisato che la condizione di incapienza per i contribuenti che hanno affrontato le spese di ristrutturazione risulta di incidenza piuttosto marginale, in quanto la richiesta di fruizione della detrazione, anche in conseguenza degli adempimenti necessari per il suo ottenimento, viene effettuata principalmente dai soggetti che hanno verificato la capienza nell’imposta lorda.

D’altra parte, appare ragionevole ipotizzare che chi procede all’acquisto di un immobile possieda caratteristiche reddituali e, quindi, un’imposta lorda tale da evitare nella sostanza il fenomeno di incapienza della detrazione residua della quale verrebbe a fruire.

La Nota conclude confermando che la variazione normativa in esame non produce sostanziali effetti sul gettito.


 

Articolo 2, commi 13-24
(Aliquota unica sulle diverse tipologie di strumenti finanziari: disposizioni varie e di coordinamento)

 


13. Nel decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all'articolo 26:

1) il comma 1 è sostituito dal seguente: «1. I soggetti indicati nel comma 1 dell'articolo 23, che hanno emesso obbligazioni, titoli similari e cambiali finanziarie, operano una ritenuta del 20 per cento, con obbligo di rivalsa, sugli interessi ed altri proventi corrisposti ai possessori»;

2) al comma 3, il secondo e terzo periodo sono soppressi;

3) il comma 3-bis è sostituito dal seguente: «3-bis. I soggetti indicati nel comma 1 dell'articolo 23, che corrispondono i proventi di cui alle lettere g-bis) e g-ter) del comma 1, dell'articolo 44 del testo unico delle imposte sui redditi approvato con il decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, ovvero intervengono nella loro riscossione operano sui predetti proventi una ritenuta con aliquota del 20 per cento. Nel caso dei rapporti indicati nella lettera g-bis), la predetta ritenuta è operata, in luogo della ritenuta di cui al comma 3, anche sugli interessi e gli altri proventi maturati nel periodo di durata dei predetti rapporti»;

4) al comma 5, il terzo periodo è soppresso;

b) all'articolo 26-quinquies, al comma 3, ultimo periodo, dopo le parole «prospetti periodici» sono aggiunte le seguenti: «al netto di una quota dei proventi riferibili alle obbligazioni e altri titoli di cui all'articolo 31 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 601 ed equiparati e alle obbligazioni emesse dagli Stati inclusi nella lista di cui al decreto emanato ai sensi dell'articolo 168-bis, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi approvato con il decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917. Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze sono stabilite le modalità di individuazione della quota dei proventi di cui al periodo precedente.»;

c) all'articolo 27:

1) al comma 3, il secondo periodo è soppresso;

2) al comma 3, all'ultimo periodo, le parole «dei quattro noni» sono sostituite dalle seguenti: «di un quarto».

14. Nella legge 23 marzo 1983, n. 77, all'articolo 10-ter, dopo il comma 2 è aggiunto il seguente comma: «2-bis. I proventi di cui ai commi 1 e 2 sono determinati al netto di una quota dei proventi riferibili alle obbligazioni e altri titoli di cui all'articolo 31 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 601 ed equiparati e alle obbligazioni emesse dagli Stati inclusi nella lista di cui al decreto emanato ai sensi dell'articolo 168-bis, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi approvato con il decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917. Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze sono stabilite le modalità di individuazione della quota dei proventi di cui al periodo precedente.».

15. Nel testo unico delle imposte sui redditi approvato con il decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all'articolo 18, comma 1, le parole "commi 1-bis e 1-ter" sono sostituite dalle parole "comma 1-bis";

b) all'articolo 73, il comma 5-quinquies, è sostituito dal seguente: «5-quinquies. Gli organismi di investimento collettivo del risparmio con sede in Italia, diversi dai fondi immobiliari, e quelli con sede in Lussemburgo, già autorizzati al collocamento nel territorio dello Stato, di cui all'articolo 11-bis del decreto-legge 30 settembre 1983, n. 512, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 novembre 1983, n. 649, e successive modificazioni, non sono soggetti alle imposte sui redditi. Le ritenute operate sui redditi di capitale sono a titolo di imposta. Non si applicano la ritenuta prevista dal comma 2 dell'articolo 26 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 e successive modificazioni, sugli interessi ed altri proventi dei conti correnti e depositi bancari e le ritenute previste dai commi 3-bis e 5 del medesimo articolo 26 e dall'articolo 26-quinquies del predetto decreto nonché dall'articolo 10-ter della legge 23 marzo 1983, n. 77, e successive modificazioni.».

16. Nel decreto-legge 28 giugno 1990, n. 167, convertito, con modificazioni, nella legge 4 agosto 1990, n. 227, all'articolo 4, comma 1, le parole: «commi 1-bis e 1-ter» sono sostituite dalle seguenti: «comma 1-bis».

17. Nella legge 28 dicembre 1995, n. 549, il comma 115 dell'articolo 3 è sostituito dal seguente: «115. Se i titoli indicati nel comma 1 dell'articolo 26 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 sono emessi da società o enti, diversi dalle banche, il cui capitale è rappresentato da azioni non negoziate in mercati regolamentati degli Stati membri dell'Unione europea e degli Stati aderenti all'Accordo sullo Spazio economico europeo che sono inclusi nella lista di cui al decreto ministeriale emanato ai sensi dell'articolo 168-bis, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, ovvero da quote, gli interessi passivi sono deducibili a condizione che, al momento di emissione, il tasso di rendimento effettivo non sia superiore: a) al doppio del tasso ufficiale di riferimento, per le obbligazioni ed i titoli similari negoziati in mercati regolamentati degli Stati membri dell'Unione europea e degli Stati aderenti all'Accordo sullo Spazio economico europeo che sono inclusi nella lista di cui al citato decreto, o collocati mediante offerta al pubblico ai sensi della disciplina vigente al momento di emissione; b) al tasso ufficiale di riferimento aumentato di due terzi, delle obbligazioni e dei titoli similari diversi dai precedenti. Qualora il tasso di rendimento effettivo all'emissione superi i limiti di cui al periodo precedente, gli interessi passivi eccedenti l'importo derivante dall'applicazione dei predetti tassi sono indeducibili dal reddito di impresa. Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze i limiti indicati nel primo periodo possono essere variati tenendo conto dei tassi effettivi di remunerazione delle obbligazioni e dei titoli similari rilevati nei mercati regolamentati italiani. I tassi effettivi di remunerazione sono rilevati avendo riguardo, ove necessario, all'importo e alla durata del prestito nonché alle garanzie prestate.».

18. Nel decreto legislativo 1° aprile 1996, n. 239 sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all'articolo 2:

1) il comma 1-ter è abrogato;

2) il comma 1-quater è sostituito dal seguente: «1-quater. L'imposta di cui al comma 1-bis si applica sugli interessi ed altri proventi percepiti dai soggetti indicati al comma 1.»;

3) nel comma 2, le parole "commi 1, 1-bis e 1-ter" sono sostituite, ovunque ricorrano, dalle parole "commi 1 e 1-bis";

b) all'articolo 3, comma 5, le parole "commi 1-bis e 1-ter" sono sostituite dalle parole "comma 1-bis";

c) all'articolo 5, le parole "commi 1, 1-bis e 1-ter" sono sostituite, ovunque ricorrano, dalle parole "commi 1 e 1-bis".

19. Nel decreto legislativo 21 novembre 1997, n. 461, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all'articolo 5, al comma 2, dopo l'ultimo periodo è aggiunto il seguente: «Ai fini del presente comma, i redditi diversi derivanti dalle obbligazioni e dagli altri titoli di cui all'articolo 31 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 601 ed equiparati e dalle obbligazioni emesse dagli Stati inclusi nella lista di cui al decreto emanato ai sensi dell'articolo 168-bis, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi approvato con il decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 sono computati nella misura del 62,5 per cento dell'ammontare realizzato;»;

b) all'articolo 6, al comma 1, dopo l'ultimo periodo è aggiunto il seguente: «Ai fini del presente articolo, i redditi diversi derivanti dalle obbligazioni e dagli altri titoli di cui all'articolo 31 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 601 ed equiparati e dalle obbligazioni emesse dagli Stati inclusi nella lista di cui al decreto emanato ai sensi dell'articolo 168-bis, comma 1, del medesimo testo unico sono computati nella misura del 62,5 per cento dell'ammontare realizzato;»;

c) all'articolo 7:

1) al comma 3, la lettera b) è sostituita dalla seguente: «b) la ritenuta prevista dal comma 2 dell'articolo 26 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, sugli interessi ed altri proventi dei conti correnti bancari;»;

2) al comma 3, lettera c), le parole "del 12,50 per cento", ovunque ricorrano, sono soppresse;

3) al comma 4, dopo l'ultimo periodo è aggiunto il seguente: «Ai fini del presente comma, i redditi derivanti dalle obbligazioni e dagli altri titoli di cui all'articolo 31 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 601 ed equiparati e dalle obbligazioni emesse dagli Stati inclusi nella lista di cui al decreto emanato ai sensi dell'articolo 168-bis, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi approvato con il decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 sono computati nella misura del 62,5 per cento dell'ammontare realizzato;».

20. Nel decreto-legge 25 settembre 2001, n. 351, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 novembre 2001, n. 410, all'articolo 6, comma 1, le parole "del 12,50 per cento" sono soppresse.

21. Nel decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, all'articolo 17, comma 3, le parole "del 12,50 per cento," sono soppresse.

22. Ai proventi degli strumenti finanziari rilevanti in materia di adeguatezza patrimoniale ai sensi della normativa comunitaria e delle discipline prudenziali nazionali, emessi da intermediari vigilati dalla Banca d'Italia o da soggetti vigilati dall'ISVAP e diversi da azioni e titoli similari, si applica il regime fiscale di cui al decreto legislativo 1° aprile 1996, n. 239. Le remunerazioni dei predetti strumenti finanziari sono in ogni caso deducibili ai fini della determinazione del reddito del soggetto emittente; resta ferma l'applicazione dell'articolo 96 e dell'articolo 109, comma 9, del testo unico delle imposte sui redditi di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917. La presente disposizione si applica con riferimento agli strumenti finanziari emessi a decorrere dal 20 luglio 2011.

23. I redditi di cui all'articolo 44, comma 1, lettera g-quater), del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con il decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, da assoggettare a ritenuta, ai sensi dell'articolo 6 della legge 26 settembre 1985, n. 482, o a imposta sostitutiva, ai sensi dell'articolo 26-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, sono determinati al netto di una quota dei proventi riferibili alle obbligazioni e altri titoli di cui all'articolo 31 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 601 ed equiparati e alle obbligazioni emesse dagli Stati inclusi nella lista di cui al decreto emanato ai sensi dell'articolo 168-bis, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con il decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917. Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze sono stabilite le modalità di individuazione della quota dei proventi di cui al periodo precedente.

24. Le disposizioni dei commi da 13 a 23 esplicano effetto a decorrere dal 1° gennaio 2012.


 

 

I commi da 13 a 21 e 23 dell'articolo 2 contengono una serie di norme di coordinamento rese necessarie dall'introduzione dell'aliquota unica e dirette, in estrema sintesi, a evitare la permanenza in vita di norme basate sulla coesistenza di aliquote differenziate, nonché ad apportare correzioni formali a riferimenti normativi non più attuali. Il comma 22 è invece diretto a disciplinare il regime fiscale dei proventi degli strumenti finanziari rilevanti in materia di adeguatezza patrimoniale emessi da intermediari vigilati dalla Banca d’Italia o da soggetti vigilati dall’ISVAP e diversi da azioni e titoli similari.

Ai sensi del comma 24 tutte le suddette disposizioni esplicano la loro efficacia a decorrere dal 1° gennaio 2012.

Norme di coordinamento

Più in dettaglio, il comma 13 novella gli articoli 26, 26-quinquies e 27 del D.P.R. n. 600 del 1973 in materia di accertamento delle imposte sui redditi.

L'articolo 26 citato, concernente le ritenute sugli interessi e sui redditi di capitale, viene modificato in più parti dalla norma in esame (lettera a)). Anzitutto, al comma 1, viene previsto che i soggetti che hanno emesso obbligazioni, titoli similari e cambiali finanziarie, sono tenuti ad operare una ritenuta del 20 per cento, con obbligo di rivalsa, sugli interessi ed altri proventi corrisposti ai possessori.

A fini di coordinamento vengono di conseguenza soppressi tutti i successivi periodi dello stesso comma con i quali erano disciplinate le ipotesi di applicazione di altre aliquote (aliquota ridotta al 12,50 per cento per le obbligazioni e titoli similari, con scadenza non inferiore a diciotto mesi, e per le cambiali finanziarie, in luogo dell'aliquota del 27 per cento).

 

In secondo luogo vengono soppressi il secondo e terzo periodo del comma 3.

Si tratta di norme che prevedono che, qualora il rimborso delle obbligazioni e titoli similari con scadenza non inferiore a diciotto mesi emessi da soggetti non residenti, abbia luogo prima di tale scadenza, è dovuta dai percipienti una somma pari al 20 per cento degli interessi e degli altri proventi maturati fino al momento dell'anticipato rimborso (somma prelevata dai soggetti che intervengono nella riscossione degli interessi ovvero nel rimborso nei confronti di soggetti residenti).

 

In terzo luogo viene modificato il comma 3-bis, sia al fine di aggiornare il riferimento all'aliquota applicata (20 per cento in luogo del 12,50 per cento), sia per sopprimere (in quanto non più attuale) il riferimento ivi contenuto alla maggiore aliquota a cui sarebbero assoggettabili gli interessi e gli altri proventi dei titoli sottostanti, nei confronti dei soggetti cui siano imputabili i proventi.

Infine viene soppresso il terzo periodo del comma 5, con il quale l’aliquota della ritenuta veniva stabilita al 27 per cento qualora i percipienti fossero residenti negli Stati o territori diversi da quelli di cui al decreto ministeriale emanato ai sensi dell’articolo 168-bis del TUIR (c.d. paesi white list).

 

La lettera b) del comma 13 novella l'articolo 26-quinquies, comma 3, del D.P.R. n. 600 del 1973 concernente la ritenuta sui redditi di capitale derivanti dalla partecipazione ad OICR italiani e lussemburghesi storici.

Il comma 3 citato prevede in sintesi che la ritenuta sui proventi derivanti dalla partecipazione ad OICR italiani diversi dai fondi immobiliari, e a quelli con sede in Lussemburgo, già autorizzati al collocamento nel territorio dello Stato, si applica sui proventi distribuiti in costanza di partecipazione all’organismo di investimento e su quelli compresi nella differenza tra il valore di riscatto, di liquidazione o di cessione delle quote o azioni e il costo medio ponderato di sottoscrizione o acquisto delle quote o azioni medesime.

Per effetto della modifica apportata viene specificato che il valore e il costo delle quote o azioni è rilevato dai prospetti periodici al netto di una quota dei proventi riferibili alle obbligazioni e altri titoli di cui all'articolo 31 del D.P.R. n. 601 del 1973 (ossia ai titoli di Stato italiani) ed equiparati e alle obbligazioni emesse dagli Stati inclusi nella c.d. white list.

Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze sono stabilite le modalità di individuazione della quota dei proventi di cui al periodo precedente.

 

La lettera c) del comma 13 novella infine l'articolo 27, comma 3, del D.P.R. n. 600 del 1973 concernente la ritenuta sui dividendi. In particolare, per effetto delle modifiche apportate:

§      viene soppressa la previsione di una riduzione dell’aliquota della ritenuta al 12,50 per cento per gli utili pagati ad azionisti di risparmio;

§      viene ridotto il diritto al rimborso dell’imposta (dai quattro noni ad un quarto della ritenuta) per i soggetti non residenti, diversi dagli azionisti di risparmio, dai fondi pensione e dalle società ed enti soggetti ad imposta sul reddito delle società negli Stati membri dell’Unione europea, che dimostrino di aver pagato all’estero in via definitiva sugli stessi utili mediante certificazione del competente ufficio fiscale dello Stato estero.

 

Il comma 14 inserisce un nuovo comma 2-bis all’articolo 10-ter della legge n. 77 del 1983 in materia di fondi comuni d'investimento mobiliare, con il quale vengono dettate disposizioni tributarie sui proventi delle quote di organismi di investimento collettivo in valori mobiliari di diritto estero.

Si ricorda che l’articolo 10-ter della legge n. 77 del 1983 prevede, al comma 1, che sui proventi derivanti dalla gestione, nell'interesse collettivo di pluralità di soggetti, di masse patrimoniali costituite con somme di denaro e beni affidati da terzi o provenienti dai relativi investimenti - di cui all’articolo 44, comma 1, lettera g), del TUIR - derivanti dalla partecipazione a organismi di investimento collettivo in valori mobiliari di diritto estero conformi alla direttiva 2009/65/CE, situati negli Stati membri dell’Unione europea e le cui quote o azioni sono collocate nel territorio dello Stato, i soggetti residenti incaricati del pagamento dei proventi medesimi, del riacquisto o della negoziazione delle quote o azioni, operano una ritenuta del 12,50 per cento, che si applica sui proventi distribuiti in costanza di partecipazione all’organismo di investimento e su quelli compresi nella differenza tra il valore di riscatto, di cessione o di liquidazione delle quote o azioni e il valore medio ponderato di sottoscrizione o di acquisto delle quote o azioni medesime. In ogni caso come valore di sottoscrizione o acquisto si assume il valore delle quote o azioni rilevato dai prospetti periodici relativi alla data di acquisto delle quote o azioni medesime.

Ai sensi del successivo comma 2 la ritenuta del 12,50 per cento è altresì applicata dai medesimi soggetti di cui al comma 1 sui proventi di cui all’articolo 44, comma 1, lettera g), del TUIR derivanti dalla partecipazione a organismi di investimento collettivo in valori mobiliari di diritto estero non conformi alla direttiva 2009/65/CE e assoggettati a forme di vigilanza nei Paesi esteri nei quali sono istituiti, situati negli Stati membri dell’Unione europea e negli Stati aderenti all’Accordo sullo spazio economico europeo e le cui quote o azioni sono collocate nel territorio dello Stato. Il costo di sottoscrizione o acquisto è documentato dal partecipante, anche con una dichiarazione sostitutiva.

 

Con il comma 2-bis, inserito all’articolo 10-ter della legge n. 77 del 1983 dal testo in esame, viene pertanto stabilito che i proventi di cui ai precedenti commi 1 e 2 sono determinati al netto di una quota dei proventi riferibili alle obbligazioni e altri titoli di cui all'articolo 31 del D.P.R. n. 601 del 1973 (ossia ai titoli di Stato italiani) ed equiparati e alle obbligazioni emesse dagli Stati inclusi nella c.d. white list. Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze sono stabilite le modalità di individuazione della quota dei proventi di cui al periodo precedente.

 

Si tratta, in sostanza, di disposizione avente tenore analogo a quella inserita al comma 3 dell'articolo 26-quinquies del D.P.R. n. 600 del 1973 dall'articolo 2, comma 13, lett. b), del testo in esame.

 

Il comma 15 del testo in esame novella gli articoli 18 e 73 del D.P.R. n. 917 del 1986 (TUIR).

 

In particolare, la lettera a) del comma 15 modifica l'articolo 18, comma 1, del TUIR, concernente l'imposizione sostitutiva dei redditi di capitale di fonte estera.

Tale norma - nel testo previgente - prevede in sintesi che i redditi di capitale corrisposti da soggetti non residenti a soggetti residenti nei cui confronti in Italia si applica la ritenuta a titolo di imposta o l'imposta sostitutiva di cui all'articolo 2, commi 1-bis e 1-ter, del D.Lgs. n. 239 del 1996 - sul regime fiscale degli interessi, premi ed altri frutti delle obbligazioni e titoli similari, pubblici e privati - sono soggetti ad imposizione sostitutiva delle imposte sui redditi con la stessa aliquota della ritenuta a titolo d'imposta. Il contribuente ha la facoltà di non avvalersi del regime di imposizione sostitutiva ed in tal caso compete il credito d'imposta per i redditi prodotti all'estero.

Il citato comma 1-bis del D.Lgs. n. 239 del 1996 assoggetta ad imposta sostitutiva delle imposte sui redditi nella misura del 12,50 per cento, per la parte maturata nel periodo di possesso, gli interessi ed altri proventi delle obbligazioni e titoli similari dovuti da soggetti non residenti. Il comma 1-ter prevede invece l'applicazione dell'imposta nella misura del 27 per cento se la scadenza dei titoli è inferiore a diciotto mesi.

 

Per effetto della novella apportata dalla lettera a) in esame viene soppresso dall'articolo 18, comma 1, del TUIR, il riferimento al comma 1-ter del D.Lgs. n. 239 del 1996, che è abrogato dal successivo articolo 2, comma 18, lettera a), numero 1) del testo in esame.

 

La lettera b) del comma 15 novella invece l'articolo 73 del TUIR, concernente i soggetti passivi dell'imposta sul reddito delle società.

 

Viene in particolare modificato il comma 5-quinquies dell'articolo 73, ai sensi del quale gli organismi di investimento collettivo del risparmio (OICR) con sede in Italia, diversi dai fondi immobiliari, e quelli con sede in Lussemburgo, già autorizzati al collocamento nel territorio dello Stato, non sono soggetti alle imposte sui redditi.

In virtù delle modifiche apportate dal testo in esame:

§      scompare il riferimento concernente l'applicazione agli OICR dell’imposta sostitutiva del 27 per cento di cui all’articolo 2 del decreto legislativo n. 239 del 1996;

§      viene soppresso il riferimento all'ammontare delle ritenute (pari, a seconda dei casi, al 27 per cento ed al 12,50 per cento) previste dall'articolo 26 del D.P.R. n. 600 del 1973 e dall'articolo 10-ter della legge n. 77 del 1983;

§      viene specificato che la ritenuta prevista dal comma 2 dell'articolo 26 del D.P.R. n. 600 del 1973 non si applica, oltre che sugli interessi ed altri proventi dei conti correnti, anche sui depositi bancari.

 

Il comma 16 novella l'articolo 4, comma 1, del decreto-legge n. 167 del 1990 recante Rilevazione a fini fiscali di taluni trasferimenti da e per l'estero di denaro, titoli e valori, con il quale si prevede che le persone fisiche, gli enti non commerciali, e le società semplici ed equiparate ai sensi dell'articolo 5 del TUIR, residenti in Italia, che al termine del periodo d'imposta detengono investimenti all'estero ovvero attività estere di natura finanziaria, attraverso cui possono essere conseguiti redditi di fonte estera imponibili in Italia, devono indicarli nella dichiarazione dei redditi.

Il testo previgente stabilisce che, agli effetti dell'applicazione della suddetta disposizione si considerano di fonte estera, tra gli altri, i redditi corrisposti da non residenti, soggetti all'imposta sostitutiva di cui all'articolo 2, commi 1-bis e 1-ter, del D.Lgs. n. 239 del 1996 sopra richiamati.

 

Per effetto della novella apportata dal comma 16 viene soppresso dall'articolo 4, comma 1, del decreto-legge n. 167 del 1990, il riferimento al comma 1-ter del decreto legislativo n. 239 del 1996, che è abrogato dal successivo articolo 2, comma 18, lettera a), numero 1) del testo in esame.

 

Il comma 17 modifica il comma 115 dell’articolo 3 della legge n. 549 del 1995 con cui si prevedeva - nel caso in cui il tasso di rendimento effettivo sugli interessi ed altri proventi delle obbligazioni e titoli similari fosse superiore ai limiti indicati nel terzo periodo del comma 1 dell'articolo 26 del D.P.R. n. 600 del 1973 - l'indeducibilità dal reddito d'impresa degli interessi passivi eccedenti l'importo derivante dall'applicazione del predetto tasso.

 

Il citato comma 115, come novellato dal testo in esame, stabilisce anzitutto che se le obbligazioni e i titoli similari (di cui al comma 1 dell’articolo 26 del D.P.R. n. 600 del 1973) sono emessi da società o enti, diversi dalle banche, il cui capitale è rappresentato da azioni non negoziate in mercati regolamentati degli Stati membri dell’UE e degli Stati aderenti all’Accordo sullo Spazio economico europeo inclusi nella c.d. white list, ovvero da quote, gli interessi passivi sono deducibili a condizione che, al momento di emissione, il tasso di rendimento effettivo non sia superiore:

a)      al doppio del tasso ufficiale di riferimento, per le obbligazioni ed i titoli similari negoziati in mercati regolamentati degli Stati UE e degli Stati aderenti all’Accordo sullo Spazio economico europeo inclusi nella lista citata, o collocati mediante offerta al pubblico ai sensi della disciplina vigente al momento di emissione;

b)      al tasso ufficiale di riferimento aumentato di due terzi, per le obbligazioni e i titoli similari diversi dai precedenti.

 

Nell'ipotesi in cui il tasso di rendimento effettivo all’emissione superi i limiti suddetti, la norma in esame prevede l'indeducibilità dal reddito di impresa degli interessi passivi eccedenti l’importo derivante dall’applicazione dei predetti tassi.

 

È peraltro prevista la possibilità di variare i suddetti limiti - con decreto ministeriale - tenendo conto degli effettivi tassi di remunerazione delle obbligazioni e dei titoli similari rilevati nei mercati regolamentati italiani; tale rilevazione viene effettuata con riguardo anche all’importo e alla durata del prestito, nonché alle garanzie prestate.

 

Il comma 18 modifica gli articoli 2, 3 e 5 del D.Lgs. n. 239 del 1996.

In particolare la lettera a) modifica l'articolo 2 - concernente l'imposta sostitutiva sugli interessi, premi ed altri frutti di talune obbligazioni e titoli similari per i soggetti residenti - nel modo seguente:

§      viene soppresso il comma 1-ter, che prevede che l'imposta sostitutiva sia applicata nella misura del 27 per cento se la scadenza di obbligazioni e titoli similari è inferiore a diciotto mesi;

§      viene modificato il comma 1-quater al fine di eliminare il riferimento, previsto per gli OICR ed i fondi pensione, circa l'applicazione dell'imposta in relazione ai titoli di cui al comma 1-ter;

§      viene modificato il comma 2 eliminando i riferimenti ivi contenuti al soppresso comma 1-ter.

Analogamente, a fini di coordinamento, la lettera b) e la lettera c) modificano gli articoli 3 e 5 del D.Lgs. n. 239 del 1996 - dedicati, rispettivamente, all'istituzione di un conto unico presso gli intermediari per la determinazione dell'imposta sostitutiva e a casi particolari di assolvimento dell'imposta sostitutiva - sopprimendo i riferimenti ivi contenuti all'abrogato comma 1-ter dell'articolo 2.

 

Il comma 19 reca novelle al D.Lgs. n. 461 del 1997 recante Riordino della disciplina tributaria dei redditi di capitale e dei redditi diversi.

 

In particolare la lettera a) modifica il comma 2 dell'articolo 5, con il quale viene disciplinata l'imposta sostitutiva sulle plusvalenze e sugli altri redditi diversi (di cui alle lettere da c-bis) a c-quinquies) del comma 1 dell'articolo 81, ora articolo 67) del TUIR (come descritte nella scheda di lettura relativa all’articolo 2, commi 6-12). Si ricorda che tale imposta sostitutiva non si applica alle plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni al capitale o al patrimonio, di titoli o strumenti finanziari e di contratti, non qualificati.

 

Il testo in esame aggiunge un periodo al comma 2 diretto a specificare che, ai fini dello stesso comma, i redditi diversi derivanti dalle obbligazioni e dagli altri titoli di Stato ed equiparati e dalle obbligazioni emesse dagli Stati inclusi nella c.d. white list sono computati nella misura del 62,5 per cento dell'ammontare realizzato.

 

Di tenore del tutto analogo la modifica al comma 1 dell'articolo 6 del D.Lgs. n. 461 del 1997 apportata dalla lettera b).

L'articolo 6 citato disciplina al comma 1 la facoltà per il contribuente di optare per l'applicazione dell'imposta sostitutiva di cui all'articolo 5 su ciascuna delle plusvalenze realizzate, con esclusione di quelle relative a depositi in valuta, a condizione che i titoli, quote o certificati siano in custodia o in amministrazione presso banche e società di intermediazione mobiliare e altri soggetti individuati.

Pertanto anche in tal caso viene aggiunto un periodo al comma 1 diretto a specificare che, ai fini dello stesso comma, i redditi diversi derivanti dalle obbligazioni e dai titoli di Stato ed equiparati e dalle obbligazioni emesse dagli Stati inclusi nella c.d. white list sono computati nella misura del 62,5 per cento dell'ammontare realizzato.

 

La lettera c) modifica l'articolo 7 del D.Lgs. n. 461 del 1997, con il quale viene disciplinata l'imposta sostitutiva sul risultato maturato delle gestioni individuali di portafoglio.

Vengono anzitutto apportate modifiche al comma 3 dell'articolo 7, con il quale sono individuate le ritenute e le imposte che non si applicano sui redditi di capitale derivanti dalle attività finanziarie comprese nella massa patrimoniale affidata in gestione. In particolare vengono modificate:

§      la lettera b) del comma 3, al fine di eliminare - per la ritenuta prevista sugli interessi ed altri proventi dei conti correnti bancari - la condizione secondo cui la giacenza media annua non deve essere superiore al 5 per cento dell'attivo medio gestito;

§      la lettera c) al fine di sopprimere i riferimento ivi previsto all'aliquota del 12,50 per cento.

 

Viene infine modificato il comma 4 dell'articolo 7 al fine di aggiungere un periodo - analogamente a quanto previsto per gli articoli 5 e 6 - diretto a specificare che, ai fini dello stesso comma, i redditi diversi derivanti dalle obbligazioni e dai titoli di Stato ed equiparati e dalle obbligazioni emesse dagli Stati inclusi nella c.d. white list sono computati nella misura del 62,5 per cento dell'ammontare realizzato.

 

Il comma 20 novella l’articolo 6, comma 1, del decreto-legge n. 351 del 2001 (Disposizioni urgenti in materia di privatizzazione e valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico e di sviluppo dei fondi comuni di investimento immobiliare), con il quale viene disciplinato il regime tributario dei fondi comuni d'investimento immobiliare ai fini delle imposte sui redditi, sopprimendo il riferimento ivi previsto all'aliquota del 12,50 per cento.

 

Analogamente il comma 21 dell'articolo 2 novella l’articolo 17, comma 3, del D.Lgs. n. 252 del 2005, con il quale viene disciplinato il regime tributario delle forme pensionistiche complementari, al fine di sopprimere il riferimento ivi previsto all'aliquota del 12,50 per cento.

Regime fiscale dei proventi degli strumenti finanziari emessi da intermediari vigilati dalla Banca d’Italia o da soggetti vigilati dall’ISVAP

Il comma 22 disciplina il regime fiscale dei proventi degli strumenti finanziari rilevanti in materia di adeguatezza patrimoniale emessi da intermediari vigilati dalla Banca d’Italia o da soggetti vigilati dall’ISVAP e diversi da azioni e titoli similari, i quali - come evidenziato nella relazione illustrativa - attualmente rientrano tra i c.d. titoli atipici, e sono pertanto sottoposti ad un trattamento fiscale deteriore.

 

La disposizione prevede in particolare che:

§      a tali proventi si applica il regime fiscale dettato dal D.Lgs. n. 239 del 1996 per i titoli obbligazionari (vale a dire l’aliquota del 12,50%, salvo aumento al 20% dal 1° gennaio 2012;

§      sono in ogni caso deducibili ai fini della determinazione del reddito degli emittenti le remunerazioni di tali strumenti finanziari;

§      continuano tuttavia ad applicarsi a detti strumenti gli articoli 96 e 109, comma 9, del TUIR, con i quali viene disciplinato il loro regime di deducibilità.

Si ricorda che l'articolo 96 del TUIR concerne la deducibilità degli interessi passivi; l'articolo 109, comma 9, del TUIR, prevede invece l'indeducibilità di ogni tipo di remunerazione dovuta:

a)    su titoli, strumenti finanziari comunque denominati, di cui all'articolo 44, per la quota di essa che direttamente o indirettamente comporti la partecipazione ai risultati economici della società emittente o di altre società appartenenti allo stesso gruppo o dell'affare in relazione al quale gli strumenti finanziari sono stati emessi;

b)    relativamente ai contratti di associazione in partecipazione ed a quelli di cui all'articolo 2554 del codice civile allorché sia previsto un apporto diverso da quello di opere e servizi.

 

La disposizione - che ai sensi del successivo comma 24 esplica effetti a decorrere dal 1° gennaio 2012 - si applica con riferimento agli strumenti finanziari emessi a decorrere dal 20 luglio 2011.

La ratio dell'intervento in oggetto, come riportato dalla relazione illustrativa, sarebbe il superamento delle criticità relative ai suddetti strumenti finanziari, che, tra l’altro, contengono clausole di assorbimento del nominale in presenza di determinati eventi. Per l’emittente la criticità riguarderebbe il regime fiscale delle remunerazioni corrisposte ai portatori dei titoli in oggetto, mentre sotto il profilo dell’investitore per effetto di tali clausole i titoli rientrano nel novero dei c.d. titoli atipici disciplinati dal decreto-legge n. 512 del 1983 e, quindi, sottoposti a un trattamento fiscale deteriore. La norma consentirebbe dunque di rafforzare il livello patrimoniale delle banche e di rimuovere penalizzazioni rispetto alle banche europee, anche in previsione dell’entrata in vigore della normativa “Basilea 3”:

Contratti di assicurazione sulla vita e di capitalizzazione

Il comma 23 disciplina la determinazione dei redditi compresi nei capitali corrisposti in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita e di capitalizzazione.

 

La norma stabilisce in particolare che i suddetti redditi - previsti dall’articolo 44, comma 1, lettera g-quater), del TUIR - sono determinati al netto di una quota dei proventi riferibili alle obbligazioni e altri titoli di cui all’articolo 31 del D.P.R. n. 601 del 1973 (ossia ai titoli di Stato) ed equiparati e alle obbligazioni emesse dagli Stati inclusi nella c.d. white list. Per la determinazione della suddetta quota la norma rinvia ad un successivo decreto del Ministro dell’economia e delle finanze.

I redditi compresi nei capitali corrisposti in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita e di capitalizzazione sono assoggettati a ritenuta, ai sensi dell’articolo 6 della legge n. 482 del 1985, o a imposta sostitutiva, ai sensi dell’articolo 26-ter del DPR n. 600 del 1973.

Decorrenza

Il comma 24 dell’articolo 2, infine, stabilisce che le disposizioni introdotte dai commi da 13 a 23 esplichino i loro effetti a decorrere dal 1° gennaio 2012.

Profili finanziari

Per i profili finanziari si veda la scheda dell’articolo 2, commi 6-12.


 

Articolo 2, comma 25
(Abrogazioni)

 

25. A decorrere dal 1° gennaio 2012 sono abrogate le seguenti disposizioni:

a) il comma 8 dell'articolo 20 del decreto-legge 8 aprile 1974, n. 95, convertito, con modificazioni, nella legge 7 giugno 1974, n. 216;

b) i commi da 1 a 4 dell'articolo 7 del decreto-legge 20 giugno 1996, n. 323, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1996, n. 425.

 

 

Il comma 25 dell'articolo 2 reca l'abrogazione di due disposizioni a decorrere dal 1° gennaio 2012.

 

Si tratta in particolare:

a)   dell’articolo 20, comma 8, del decreto-legge n. 95 del 1974, in materia di mercato mobiliare ed trattamento fiscale dei titoli azionari;

La disposizione soppressa prevede che, ricorrendo le condizioni per esenzione da imposta degli interessi sulle somme che i soci persone fisiche versano alle società cooperative (stabilite nell'articolo 13 del DPR n. 601 del 1973), sugli interessi e sui redditi di capitale corrisposti dalle società cooperative ai propri soci persone fisiche residenti in Italia la ritenuta del quindici per cento prevista dall'ultimo comma dell'articolo 26 del D.P.R. n. 600 del 1973 è ridotta al dieci per cento ed è applicata a titolo d'imposta;

b)   dell’articolo 7, commi da 1 a 4, del decreto-legge n. 323 del 1996 recante Disposizioni urgenti per il risanamento della finanza pubblica.

In sintesi, le disposizioni abrogate prevedono che sui proventi derivanti da depositi di denaro, di valori mobiliari e di altri titoli diversi dalle azioni e da titoli similari, a garanzia di finanziamenti concessi ad imprese residenti, effettuati fuori dall'esercizio di attività produttive di reddito d'impresa da parte di persone fisiche, nonché da parte di società semplici ed equiparate, di enti non commerciali o di soggetti non residenti senza stabile organizzazione nel territorio dello Stato, indipendentemente da ogni altro tipo di prelievo previsto per i proventi medesimi, è dovuta una somma pari al 20 per cento degli importi maturati nel periodo d'imposta (articolo 7, comma 1).

Per i depositi effettuati presso soggetti non residenti senza stabile organizzazione nel territorio dello Stato, la somma dovuta è prelevata, da parte della banca o di altro intermediario finanziario, a carico dei relativi proventi all'atto della corresponsione dei medesimi ovvero ricevendone provvista dall'avente diritto. Il prelievo non deve essere eseguito qualora il depositario non residente certifichi con atto redatto in forma autentica, su richiesta del depositante, che il deposito non è finalizzato, direttamente o indirettamente, alla concessione di finanziamenti ad imprese residenti (comma 2).

Ai fini dell'applicazione dei commi 1 e 2, ai sensi del comma 3 si considerano finanziamenti anche le garanzie prestate a terzi da parte del depositario ovvero da parte di imprese, anche non residenti, controllanti, controllate o collegate allo stesso; ai predetti fini si considerano effettuati presso il depositario residente nel territorio dello Stato i depositi in garanzia costituiti presso proprie succursali all'estero o imprese non residenti controllate, controllanti o collegate. Il comma 4 prevede infine che per l'accertamento, la riscossione, le sanzioni e il contenzioso si applicano le disposizioni in materia di imposte sui redditi.

Profili finanziari

Per i profili finanziari si veda la scheda dell’articolo 2, commi 6-12.


 

Articolo 2, comma 26
(Interessi e proventi soggetti all'imposta sostitutiva di cui
al decreto legislativo n. 239 del 1996)

 


26. Ai fini dell'applicazione delle disposizioni di cui al comma 11, per gli interessi e altri proventi soggetti all'imposta sostitutiva di cui al decreto legislativo 1° aprile 1996, n. 239, gli intermediari di cui all'articolo 2, comma 2, del medesimo decreto provvedono ad effettuare addebiti e accrediti del conto unico di cui all'articolo 3 del citato decreto alla data del 31 dicembre 2011, per le obbligazioni e titoli similari senza cedola o con cedola avente scadenza non inferiore a un anno dalla data del 31 dicembre 2011, ovvero in occasione della scadenza della cedola o della cessione o rimborso del titolo, per le obbligazioni e titoli similari diversi dai precedenti. Per i titoli espressi in valuta estera si tiene conto del valore del cambio alla data del 31 dicembre 2011. Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze sono stabilite le modalità di svolgimento delle operazioni di addebito e di accredito del conto unico.


 

 

Il comma 26 dell'articolo 2 reca disposizioni transitorie ai fini dell’applicazione delle disposizioni di cui al precedente comma 11, per gli interessi e altri proventi soggetti all’imposta sostitutiva.

Si ricorda che il comma 11 dell'articolo 2 (alla cui scheda si fa rinvio) prevede che l’aliquota del 20 per cento si applica agli interessi, ai premi e ad ogni altro provento delle obbligazioni e titoli similari di cui all’articolo 2, comma 1, del D.Lgs. n. 239 del 1996 (in materia di regime fiscale degli interessi, premi ed altri frutti delle obbligazioni e titoli similari, pubblici e privati), ed equiparati, emessi in Italia, percepiti da soggetti residenti nel territorio dello Stato (di cui all’articolo 44 del TUIR) maturati a partire dal 1° gennaio 2012.

 

La norma, come evidenziato dalla relazione illustrativa, è finalizzata a disciplinare l’impatto del principio di maturazione sulla tassazione degli interessi e altri proventi soggetti all’imposta sostitutiva sopra citata. La modifica dell’aliquota di prelievo renderebbe necessario distinguere in due quote i proventi (interessi e scarto) maturati nel periodo di possesso dei soggetti “nettisti” e comunque percepiti (con il pagamento della cedola, al rimborso, o in sede di cessione dei titoli):

-        quella dei proventi maturati fino al 31/12/2011, da tassare alla vecchia aliquota;

-        quella dei proventi maturati a partire dall’1/1/2012, da assoggettare alla nuova aliquota.

 

La norma in esame stabilisce che per gli interessi e altri proventi soggetti all’imposta sostitutiva, gli intermediari provvedono ad effettuare addebiti e accrediti del conto unico:

§       alla data del 31 dicembre 2011, per le obbligazioni e titoli similari senza cedola o con cedola avente scadenza non inferiore a un anno dalla data del 31 dicembre 2011;

§       ovvero, in occasione della scadenza della cedola o della cessione o rimborso del titolo, per le obbligazioni e titoli similari diversi dai precedenti.

Per i titoli espressi in valuta estera si tiene conto del valore del cambio alla data del 31 dicembre 2011.

Per le modalità di svolgimento delle operazioni di addebito e di accredito del conto unico la norma, infine, rinvia ad un successivo decreto del Ministro dell’economia e delle finanze.

 

Si ricorda che gli intermediari interessati dalla norma sono, ai sensi dell'articolo 2, comma 2, del D.Lgs. n. 239 del 1996 le banche, le società di intermediazione mobiliare, le società fiduciarie, gli agenti di cambio e altri soggetti espressamente indicati in appositi DM, residenti in Italia, che comunque intervengono nella riscossione degli interessi, premi ed altri frutti ovvero, anche in qualità di acquirenti, nei trasferimenti dei titoli.

I suddetti intermediari istituiscono un «conto unico» destinato ad accogliere le seguenti registrazioni relative ad operazioni effettuate per conto o a favore dei soggetti sottoposti a tassazione:

a)       accredito dell'ammontare dell'imposta sostitutiva commisurata all'importo degli interessi, premi o altri frutti scaduti, nonché alla differenza tra la somma corrisposta alla scadenza ed il prezzo di emissione dei titoli;

b)       accredito dell'ammontare dell'imposta sostitutiva commisurata ai redditi di cui alla lettera a) riconosciuti al venditore nel corrispettivo, sia in modo esplicito che implicito;

c)       addebito dell'ammontare dell'imposta sostitutiva commisurata ai redditi di cui alla lettera a) riconosciuti dall'acquirente nel corrispettivo, sia in modo esplicito che implicito.

Profili finanziari

Per i profili finanziari si veda la scheda dell’articolo 2, commi 6-12.


 

Articolo 2, comma 27
(Tassazione dei redditi compresi nei capitali corrisposti in dipendenza di contratti di assicurazione
sulla vita e di capitalizzazione)

 


27. Ai redditi di cui all'articolo 44, comma 1, lettera g-quater), del testo unico delle imposte sui redditi di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, derivanti da contratti sottoscritti fino al 31 dicembre 2011, si applica l'aliquota del 12,5 per cento sulla parte di redditi riferita al periodo intercorrente tra la data di sottoscrizione o acquisto della polizza ed il 31 dicembre 2011. Ai fini della determinazione dei redditi di cui al precedente periodo si tiene conto dell'ammontare dei premi versati a ogni data di pagamento dei premi medesimi e del tempo intercorso tra pagamento dei premi e corresponsione dei proventi, secondo le disposizioni stabilite con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze.


 

 

Il comma 27 dell'articolo 2 reca una norma transitoria in materia di tassazione dei redditi compresi nei capitali corrisposti in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita e di capitalizzazione, la cui disciplina è stata modificata dal comma 23 dell’articolo in esame, nel senso di prevedere che essi siano determinati al netto di una quota dei proventi riferibili alle obbligazioni e altri titoli di cui all’articolo 31 del DPR n. 601 del 1973 (ossia ai titoli di Stato) ed equiparati e alle obbligazioni emesse dagli Stati inclusi nella c.d. white list.

 

La norma in esame prevede in particolare che ai suddetti redditi, derivanti da contratti sottoscritti fino al 31 dicembre 2011, vada applicata l’aliquota del 12,50 per cento sulla parte di redditi riferita al periodo intercorrente tra la data di sottoscrizione o acquisto della polizza ed il 31 dicembre 2011.

 

La disposizione prevede altresì che per la determinazione di tali redditi occorre tenere conto:

§       dell’ammontare dei premi versati a ogni data di pagamento dei premi medesimi;

§       del tempo intercorso tra pagamento dei premi e corresponsione dei proventi.

 

Si fa infine rinvio ad un successivo decreto del Ministro dell’economia e delle finanze per l'emanazione della disciplina attuativa.

Profili finanziari

Per i profili finanziari si veda la scheda dell’articolo 2, commi 6-12.


 

Articolo 2, commi 28-34
(Disposizioni in materia di minusvalenze e plusvalenze)

 


28. Le minusvalenze, perdite e differenziali negativi di cui all'articolo 67, comma 1, lettere da c-bis) a c-quater), del testo unico delle imposte sui redditi approvato con il decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, realizzate fino alla data del 31 dicembre 2011 sono portate in deduzione dalle plusvalenze e dagli altri redditi diversi di cui all'articolo 67, comma 1, lettere da c-bis) a c-quinquies), del testo unico delle imposte sui redditi approvato con il decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, realizzati successivamente, per una quota pari al 62,5 per cento del loro ammontare. Restano fermi i limiti temporali di deduzione previsti dagli articoli 68, comma 5, del testo unico delle imposte sui redditi approvato con il decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e 6, comma 5, del decreto legislativo 21 novembre 1997, n. 461.

29. A decorrere dalla data del 1° gennaio 2012, agli effetti della determinazione delle plusvalenze e minusvalenze di cui all'articolo 67, comma 1, lettere da c-bis) a c-quinquies), del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, in luogo del costo o valore di acquisto, o del valore determinato ai sensi dell'articolo 14, commi 6 e seguenti, del decreto legislativo 21 novembre 1997, n. 461, può essere assunto il valore dei titoli, quote, diritti, valute estere, metalli preziosi allo stato grezzo o monetato, strumenti finanziari, rapporti e crediti alla data del 31 dicembre 2011, a condizione che il contribuente:

a) opti per la determinazione, alla stessa data, delle plusvalenze, delle minusvalenze e dei proventi di cui all'articolo 44, comma 1, lettera g), del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, derivanti dalla partecipazione a organismi di investimento collettivo in valori mobiliari di cui all'articolo 73, comma 5-quinquies, del citato testo unico, a organismi di investimento collettivo in valori mobiliari di diritto estero, di cui all'articolo 10-ter, comma 1, della legge 23 marzo 1983, n. 77;

b) provveda al versamento dell'imposta sostitutiva eventualmente dovuta, secondo i criteri di cui agli articoli 5 e 6 del decreto legislativo 21 novembre 1997, n. 461.

30. Ai fini del comma 29, nel caso di cui all'articolo 5 del decreto legislativo 21 novembre 1997, n. 461, l'opzione di cui alla lettera a) del comma 29 è esercitata, in sede di dichiarazione annuale dei redditi e si estende a tutti i titoli o strumenti finanziari detenuti; l'imposta sostitutiva dovuta è corrisposta secondo le modalità e nei termini previsti dal comma 4 dello stesso articolo 5. Nel caso di cui all'articolo 6 del decreto legislativo 21 novembre 1997, n. 461, l'opzione si estende a tutti i titoli, quote o certificati inclusi nel rapporto di custodia o amministrazione e può essere esercitata entro il 31 marzo 2012; l'imposta sostitutiva è versata dagli intermediari entro il 16 maggio 2012, ricevendone provvista dal contribuente.

31. Ove non siano applicabili le disposizioni dei commi 29 e 30, per i proventi di cui all'articolo 44, comma 1, lettera g), del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, derivanti dalla partecipazione agli organismi di investimento collettivo di cui al comma 29, lettera a), l'opzione può essere esercitata entro il 31 marzo 2012, con comunicazione ai soggetti residenti incaricati del pagamento dei proventi medesimi, del riacquisto o della negoziazione delle quote o azioni; l'imposta sostitutiva è versata dai medesimi soggetti entro il 16 maggio 2012, ricevendone provvista dal contribuente.

32. Le minusvalenze e perdite di cui all'articolo 67, comma 1, lettere da c-bis) a c-quinquies), del testo unico delle imposte sui redditi approvato con il decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, derivanti dall'esercizio delle opzioni di cui al comma precedente sono portate in deduzione dalle plusvalenze e dagli altri redditi diversi di cui all'articolo 67, comma 1, lettere da c-bis) a c-quinquies), del testo unico delle imposte sui redditi approvato con il decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, realizzati successivamente, fino al 31 dicembre 2012, per una quota pari al 62,5 per cento del loro ammontare.

33. Per le gestioni individuali di portafoglio di cui all'articolo 7 del decreto legislativo 21 novembre 1997, n. 461, gli eventuali risultati negativi di gestione rilevati alla data del 31 dicembre 2011 sono portati in deduzione dai risultati di gestione maturati successivamente, per una quota pari al 62,5 per cento del loro ammontare. Restano fermi i limiti temporali di utilizzo dei risultati negativi di gestione previsti dall'articolo 7, comma 10, del decreto legislativo 21 novembre 1997, n. 461.

34. Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze sono stabilite le modalità di applicazione dei commi da 29 a 32.


 

 

I commi da 28 a 34 dell'articolo 2 recano disposizioni in materia di minusvalenze e plusvalenze derivanti dai redditi diversi di cui al più volte citato articolo 67, comma 1, lettere da c-bis) a c-quinquies), del TUIR.

 

Le disposizioni in commento non incidono sulla disciplina delle plusvalenze derivanti da partecipazioni qualificate, ai sensi dell’articolo 67, comma 1, lettera c) del TUIR. L’articolo 2, comma 4, lettera b) n. 4 dell’A.C. 4566, recante la delega al governo per la riforma fiscale e assistenziale prevede, tra i principi e i criteri della delega nel riordino dell’imposta sul reddito, l’inclusione parziale nell'imponibile degli utili percepiti e delle plusvalenze realizzate, fuori dall'esercizio di impresa, su partecipazioni societarie qualificate.

 

In particolare il comma 28 consente di portare in deduzione dalle future plusvalenze e dagli altri redditi diversi le minusvalenze, le perdite e i differenziali negativi, realizzati fino alla data del 31 dicembre 2011, per una quota pari al 62,5 per cento del loro ammontare.

 

La quota di deducibilità del 62,5 per cento è ottenuta dal rapporto tra le aliquote del 12,50 per cento e 20 per cento.

 

La disposizione fa comunque salvi i limiti temporali di deduzione previsti dall'articolo 68, comma 5, del TUIR e dall'articolo 6, comma 5, del D.Lgs. n. 461 del 1997, i quali prevedono che se l'ammontare complessivo delle minusvalenze e delle perdite è superiore all'ammontare complessivo delle plusvalenze e degli altri redditi, l'eccedenza può essere portata in deduzione, fino a concorrenza, dalle plusvalenze e dagli altri redditi dei periodi d'imposta successivi ma non oltre il quarto, a condizione che sia indicata nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d'imposta nel quale le minusvalenze e le perdite sono state realizzate.

 

Il comma 29 prevede la possibilità, per il contribuente, di affrancare le plusvalenze e le minusvalenze latenti al 31 dicembre 2011 versando l'imposta sostitutiva del 12,50 per cento sui redditi diversi maturati fino alla stessa data. Più in dettaglio, la norma prevede che, a decorrere dal 1° gennaio 2012, per la determinazione delle plusvalenze e minusvalenze di cui all’articolo 67, comma 1, lettere da c-bis) a c-quinquies), del TUIR, in luogo del costo o valore di acquisto, o del valore determinato ai sensi dell’articolo 14, comma 6, del D.Lgs. n. 461 del 1997, il contribuente può assumere il valore alla data del 31 dicembre 2011.

Il comma 6 dell'articolo 14 citato prevede in sintesi che, agli effetti della determinazione delle plusvalenze e minusvalenze, per le partecipazioni possedute alla data di entrata in vigore del decreto, in luogo del costo o valore di acquisto, può essere assunto:

a)       nel caso dei titoli, quote o diritti, negoziati in mercati regolamentati italiani, indicati nella citata lettera c-bis) del comma 1 dell'articolo 67 del TUIR, nel testo vigente anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto, il valore risultante dalla media aritmetica dei prezzi rilevati presso i medesimi mercati regolamentati nel mese precedente alla predetta data;

b)       nel caso dei titoli, quote o diritti, negoziati in mercati regolamentati, indicati nella stessa lettera c) del comma 1 dell'articolo 67 del TUIR, nel testo vigente anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto, nonché dei titoli, quote o diritti, negoziati esclusivamente in mercati regolamentati esteri, indicati nella lettera c-bis) del comma 1, il valore risultante dalla media aritmetica dei prezzi rilevati presso i medesimi mercati regolamentati nel mese precedente alla predetta data, a condizione che le plusvalenze comprese nel predetto valore siano assoggettate ad imposta sostitutiva;

c)       nel caso dei titoli, quote o diritti non negoziati in mercati regolamentati il valore alla predetta data della frazione del patrimonio netto della società, associazione od ente rappresentata da tali titoli, quote e diritti, determinato sulla base delle risultanze dell'ultimo bilancio approvato anteriormente alla medesima data, a condizione che le plusvalenze comprese nel predetto valore siano assoggettate ad imposta sostitutiva.

 

A tal fine è necessario che il contribuente:

a)      opti per la determinazione al 31 dicembre 2011, delle plusvalenze, delle minusvalenze e dei proventi in commento;

b)      effettui il versamento dell’imposta sostitutiva (del 12,50 per cento) eventualmente dovuta secondo i criteri di cui agli articoli 5 e 6 del D.Lgs. n. 461 del 1997, con i quali è appunto dettata la disciplina dell'imposta sostitutiva sulle plusvalenze e sugli altri redditi.

 

La scelta di esercitare l’opzione dipende da vari fattori.

 

Come riportato nella relazione tecnica al provvedimento il vantaggio per il contribuente sarebbe dato dall’applicazione dell’aliquota ridotta alle plusvalenze latenti al momento del cambio dell’aliquota, mentre i costi sarebbero legati alla rinuncia al differimento dell’imposta e all’eventuale costo del finanziamento della liquidità necessaria per pagare l’imposta in assenza di una realizzazione effettiva della plusvalenze.

 

Si ricorda, peraltro, che già l’articolo 7, comma 2, lettera dd), del D.L. 70/2011 ha disciplinato la riapertura dei termini per la rivalutazione di terreni e partecipazioni introdotta dagli articoli 5 e 7 della legge n. 448/2001 (finanziaria 2002).

In particolare, viene ampliato l’ambito di applicazione in quanto vengono inclusi nella rivalutazione agevolata i terreni e le partecipazioni posseduti alla data del 1° luglio 2011, in luogo della precedente fissata al 1° gennaio 2010. Conseguentemente, sono aggiornati i termini per il versamento dell’imposta sostitutiva (del 4% sul valore delle partecipazioni qualificate e del 2% per quelle non qualificate) e per la redazione e il giuramento della perizia di stima che vengono fissati al 30 giugno 2012 rispetto alla precedente data fissata al 31 ottobre 2010.

Il pagamento delle imposte sostitutive consente di riconoscere, ai fini fiscali, il maggior valore e pertanto esso viene assunto per la determinazione delle plusvalenze e minusvalenze nei casi di cessione delle partecipazioni e dei terreni oggetto di rivalutazione.

 

Occorre tenere conto del fatto che ai sensi del comma 29 in commento l’imposta sostitutiva è del 12,50% (calcolato solo sulla plusvalenza) e non è necessaria la perizia, mentre adottando la procedura di cui al citato D.L. 70/2011 l’imposta sostitutiva è pari a 2% ma si calcola sul valore lordo della partecipazione e occorre sostenere le spese per la perizia.

 

Ai fini dell'applicazione della disposizione di cui al comma 29, il comma 30 distingue l'ipotesi di applicazione dell'imposta sostitutiva sulle plusvalenze e sugli altri redditi (di cui all’articolo 5 del D.Lgs. n. 461 del 1997) dall’applicazione dell'imposta sostitutiva su ciascuna plusvalenza o altro reddito diverso realizzato (di cui all’articolo 6 dello stesso D.Lgs.). In particolare:

§       nell'ipotesi di applicazione dell'imposta sostitutiva sulle plusvalenze e sugli altri redditi l’opzione deve essere esercitata in sede di dichiarazione annuale dei redditi e si estende a tutti i titoli o strumenti finanziari detenuti. In tal caso l’imposta sostitutiva viene corrisposta (ai sensi del comma 4 dello stesso articolo 5) nei termini e nei modi previsti per il versamento delle imposte sui redditi dovute a saldo in base alla dichiarazione. L'eventuale imposta sostitutiva pagata fino al superamento delle percentuali di partecipazione o di diritti di voto indicati nella lettera c-bis) del comma 1, dell'articolo 67, è portata in detrazione dalle imposte sui redditi;

§       nell'ipotesi di applicazione dell'imposta sostitutiva su ciascuna plusvalenza o altro reddito diverso realizzato, l'opzione può essere esercitata entro il 31 marzo 2012 e si estende a tutti i titoli, quote o certificati inclusi nel rapporto di custodia o amministrazione. In tal caso l’imposta sostitutiva è versata dagli intermediari entro il 16 maggio 2012, ricevendone provvista dal contribuente.

Il comma 31 stabilisce che qualora non siano applicabili le disposizioni dei commi 29 e 30, per i proventi derivanti dalla gestione, nell'interesse collettivo di pluralità di soggetti, di masse patrimoniali costituite con somme di denaro e beni affidati da terzi o provenienti dai relativi investimenti, derivanti dalla partecipazione ad organismi di investimento collettivo in valori mobiliari di cui all'articolo 73, comma 5-quinquies ed a organismi di investimento collettivo in valori mobiliari di diritto estero, di cui all'articolo 10-ter, comma 1, della legge 23 marzo 1983, n. 77.

§       l’opzione può essere esercitata entro il 31 marzo 2012, con comunicazione ai soggetti residenti all'uopo incaricati;

§       l’imposta sostitutiva è versata dagli stessi soggetti entro il 16 maggio 2012, ricevendone provvista dal contribuente.

 

Ai sensi del comma 32 le minusvalenze e perdite derivanti dall’esercizio delle opzioni sono quindi portate in deduzione dalle plusvalenze e dagli altri redditi diversi, realizzati successivamente, fino al 31 dicembre 2012, per una quota pari al 62,5 per cento del loro ammontare.

 

Il comma 33 disciplina l'ipotesi delle gestioni individuali di portafoglio (di cui all’articolo 7 del D.Lgs. n. 461 del 1997).

Si ricorda, in estrema sintesi, che l'articolo 7 citato ha previsto che i soggetti che hanno conferito a un soggetto abilitato l'incarico di gestire masse patrimoniali costituite da somme di denaro o beni non relativi all'impresa, possono optare, con riferimento ai redditi di capitale e diversi che concorrono alla determinazione del risultato della gestione, per l'applicazione dell'imposta sostitutiva mediante comunicazione sottoscritta rilasciata al soggetto gestore all'atto della stipula del contratto. L'opzione ha effetto per il periodo d'imposta e può essere revocata solo entro la scadenza di ciascun anno solare, con effetto per il periodo d'imposta successivo. Il risultato maturato della gestione è soggetto ad imposta sostitutiva delle imposte sui redditi con l'aliquota del 12,50 per cento. Il risultato della gestione si determina sottraendo dal valore del patrimonio gestito al termine di ciascun anno solare, al lordo dell'imposta sostitutiva, aumentato dei prelievi e diminuito di conferimenti effettuati nell'anno, i redditi maturati nel periodo e soggetti a ritenuta, i redditi che concorrono a formare il reddito complessivo del contribuente, i redditi esenti o comunque non soggetti ad imposta maturati nel periodo, i proventi derivanti da fondi comuni di investimento immobiliare, il 60 per cento dei proventi derivanti dalla partecipazione ad OICR ed il valore del patrimonio stesso all'inizio dell'anno. Il risultato è computato al netto degli oneri e delle commissioni relative al patrimonio gestito.

 

La norma in esame stabilisce che, in relazione alle menzionate gestioni individuali di portafoglio, i risultati negativi di gestione rilevati al 31 dicembre 2011 possono essere portati in deduzione dai risultati di gestione maturati successivamente, per una quota pari al 62,5 per cento del loro ammontare.

La disposizione fa salvi, peraltro, i limiti temporali di utilizzo dei risultati negativi di gestione previsti dal comma 10 dello stesso articolo 7 del D.Lgs. n. 461 del 1997.

Si ricorda al riguardo che la norma citata prevede che se in un anno il risultato della gestione è negativo, il corrispondente importo è computato in diminuzione del risultato della gestione dei periodi d'imposta successivi ma non oltre il quarto per l'intero importo che trova capienza in essi.

 

Il comma 34, infine, rinvia ad un successivo decreto del Ministro dell’economia e delle finanze per l'individuazione delle modalità di applicazione dei commi da 29 a 32 (o 33, come sembrerebbe più corretto).

Profili finanziari

Per i profili finanziari si veda la scheda dell’articolo 2, commi 6-12.


 

Articolo 2, comma 35
(Disposizioni in materia di studi di settore)

 


35. All'ultimo periodo del comma 4  bis dell'articolo 10 della legge 8 maggio 1998, n. 146, dopo la parola "446" sono aggiunte le seguenti: "e che i contribuenti interessati risultino congrui alle risultanze degli studi di settore, anche a seguito di adeguamento, in relazione al periodo di imposta precedente". All'articolo 1, comma 1-bis, del decreto del Presidente della Repubblica 31 maggio 1999, n. 195, dopo le parole "o aree territoriali" sono aggiunte le seguenti: ", o per aggiornare o istituire gli indicatori di cui all'articolo 10-bis della legge 8 maggio 1998, n. 146".


 

 

Il comma 35 dell'articolo 2 reca disposizioni in materia di studi di settore. Vengono in particolare resi più restrittivi i presupposti affinché il contribuente congruo alle risultanze degli studi di settore, anche a seguito di adeguamento, non sia sottoposto all’accertamento da parte dell’amministrazione finanziaria; le norme intervengono poi sulla pubblicazione delle integrazioni agli studi di settore, rese possibili anche per aggiornare o istituire gli indicatori da cui desumere gli indicatori di coerenza.

 

Tali disposizioni – come precisato dalla Relazione tecnica - mirerebbero sostanzialmente a produrre effetti in termini di deterrenza, garantendo una maggiore correttezza da parte dei contribuenti nella compilazione della relativa modulistica fiscale.

 

Il primo periodo del comma 35 aggiunge un periodo al comma 4-bis dell’articolo 10 della legge n. 146 del 1998[130], norma che disciplina la modalità di utilizzazione degli studi di settore in sede di accertamento.

Con le modifiche in esame, la limitazione ai poteri di accertamento dell’amministrazione finanziaria opera ove il soggetto passivo sia congruo, anche a seguito di adeguamento, alle risultanze degli studi di settore anche in relazione al periodo di imposta precedente. In tale ipotesi, infatti, il Fisco non potrà procedere a rettifiche sulla base di presunzioni semplici.

In sostanza, per limitare l’accertamento, occorrerà che il contribuente sia stato congruo anche l’anno precedente a quello accertato.

 

L’articolo 10 della L. n. 146/1998 dispone che gli accertamenti basati sugli studi di settore operino nei confronti dei contribuenti che abbiano dichiarato un ammontare di ricavi o di compensi inferiore all'ammontare dei ricavi o compensi determinabili sulla base degli studi stessi; in caso di mancato adeguamento ai ricavi o compensi determinati sulla base degli studi di settore, la legge consente che siano attestate le cause che giustificano la non congruità dei ricavi o compensi dichiarati rispetto a quelli derivanti dall'applicazione degli studi medesimi, ovvero le cause che giustificano un'incoerenza rispetto agli indici economici individuati dai predetti studi. Sono previste ex lege alcune ipotesi all’uso degli studi di settore ai fini dell’accertamento, ad esempio nei confronti di contribuenti che hanno iniziato o cessato l'attività nel periodo d'imposta o che si trovano in un periodo di non normale svolgimento dell'attività.

Il comma 4-bis, oggetto di novella con le disposizioni in esame, limita il potere di rettifica dell’Amministrazione finanziaria.

In sede di rettifica del reddito d’impresa o dell’imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione, viene precluso l’utilizzo di presunzioni semplici - anche se gravi, precise e concordanti - qualora il contribuente destinatario dell’accertamento abbia dichiarato, anche per effetto dell’adeguamento, ricavi o compensi pari o superiori al livello di congruità rilevante ai fini dell’applicazione degli studi di settore. La preclusione opera a condizione che l’ammontare delle attività non dichiarate non sia superiore al 40 per cento dei ricavi o compensi dichiarati. In ogni caso, la preclusione non si applica se l’ammontare delle attività non dichiarate supera la soglia dei 50 mila euro.

In altri termini, se il contribuente risulta congruo rispetto agli studi di settore, l’amministrazione finanziaria non potrà esperire nei suoi confronti rettifiche di tipo analitico-induttivo, basate su presunzioni semplici, fino al 40 per cento dei ricavi o dei compensi dichiarati dal contribuente medesimo ed entro il limite massimo di 50 mila euro.

La norma non preclude all’amministrazione di effettuare, per i soggetti “congrui”, altre tipologie di rettifiche, quali gli accertamenti di tipo analitico ovvero di natura presuntiva basati su presunzioni legali.

La norma è stata di recente modificata ad opera dell’articolo 23, comma 28, lettera d) del D.L. 98/2011; in particolare, è stato eliminato l’obbligo dell’amministrazione di evidenziare, nella motivazione dell’atto di eventuale rettifica, le ragioni che inducono l'ufficio a disattendere le risultanze degli studi di settore in quanto inadeguate a stimare correttamente il volume di ricavi o compensi potenzialmente ascrivibili al contribuente.

 

Il secondo periodo del comma 35 modifica l’articolo 1, comma 1-bis, del decreto del Presidente della Repubblica n. 195 del 1999[131].

 

Tale comma, introdotto dal richiamato articolo 23, comma 28, lettera a) del decreto-legge n. 98 del 2011, dispone che a decorrere dall'anno 2012, gli studi di settore siano pubblicati nella Gazzetta Ufficiale entro il 31 dicembre del periodo d’imposta nel quale entrano in vigore.

Entro il 31 marzo del periodo d’imposta successivo a quello della loro entrata in vigore devono, invece, essere pubblicate in Gazzetta Ufficiale le eventuali integrazioni necessarie per tenere conto degli andamenti economici e dei mercati, con particolare riguardo a settori o aree territoriali.

 

Per effetto della modifica apportata dal comma in esame, è prevista la possibilità di effettuare le suddette integrazioni anche per aggiornare o istituire gli indicatori da cui desumere gli indicatori di coerenza disciplinati all’articolo 10-bis della legge n. 146 del 1998.

Il comma 2 dell’articolo 10-bis prevede che, ai fini dell'elaborazione e della revisione degli studi di settore, si tenga conto anche di valori di coerenza, risultanti da specifici indicatori definiti da ciascuno studio, rispetto a comportamenti considerati normali per il relativo settore economico.

Profili finanziari

Studi di settore

 

Il prospetto riepilogativo ascrive alla norma i seguenti effetti sui saldi di finanza pubblica:

(milioni di euro)

 

Saldo netto da finanziare

Fabbisogno

Indebitamento netto

 

2011

2012

2013

2014

2011

2012

2013

2014

2011

2012

2013

2014

Maggiori entrate

31,5

330

231

231

31,5

330

231

231

31,5

330

231

231

 

La relazione tecnica afferma che le norme sono tese a produrre effetti principalmente in termini di deterrenza, garantendo una maggiore correttezza da parte dei contribuenti nella compilazione della relativa modulistica fiscale. In particolare, la modifica dell’articolo 10 della legge n. 146/1998, nella parte relativa alle limitazioni dei poteri di accertamento, induce i contribuenti interessati a comportamenti dichiarativi corretti, attesi i possibili effetti anche per l’annualità successiva.

La RT ritiene che, su circa 700.000 operatori economici non congrui, anche a seguito di adeguamento, almeno il 10% modifichi il proprio comportamento a seguito della richiamata modifica dell’articolo 10; ci saranno, quindi, almeno 70.000 soggetti in più che risulteranno congrui alle risultanze degli studi di settore rispetto a quanto accadrebbe in assenza della modifica legislativa.

La RT ipotizza che tali soggetti dichiareranno una maggiore base imponibile media stimabile, in termini prudenziali, in non meno di 3.000 euro; si avrebbe quindi una maggiore base imponibile totale di 210.000.000 di euro. Attesa una tassazione media ai fini delle imposte dirette del 20% ed un’aliquota IVA media del 15%, si avrebbero maggiori imposte dirette per 42.000.000 (210.000.000 x 20%) e maggiore IVA per 31.500.000 euro (210.000.000 x 15%).

Inoltre, la RT evidenzia che tali disposizioni produrranno sicuramente effetti in termini di maggiori importi riscossi a seguito di accertamento, prudenzialmente non quantificati.

La RT prevede, altresì, ulteriori entrate in relazione alla possibilità di predisporre o modificare gli indicatori di normalità economica per ogni specifico periodo di imposta di applicazione degli studi di settore, al fine di contrastare sempre più efficacemente i comportamenti dichiarativi non corretti. Con riferimento all’annualità d’imposta 2009, la platea dei soggetti non normali è risultata di circa 670.000 soggetti. La possibilità di intervenire anno per anno, alla luce delle diverse informazioni disponibili, in modifica o in sede di predisposizione di indicatori di normalità economica, dovrebbe comportare, prudenzialmente, un incremento dei ricavi e dei compensi attesi per almeno 300.000 soggetti. La RT ipotizza che il 50% di tali soggetti modifichi il proprio comportamento a seguito delle disposizioni in esame: pertanto 150.000 soggetti dichiareranno maggiore base imponibile. Presumendo, prudenzialmente, una maggiore base imponibile media di almeno 3.000 euro, si avrebbe una maggiore base imponibile totale di 450.000.000 euro, con conseguenti maggiori imposte dirette per 90.000.000 euro (450.000.000 x 20%) e maggiore IVA per 67.500.000 euro (450.000.000 x 15%). Inoltre tali disposizioni produrranno sicuramente effetti in termini di maggiori importi riscossi in fase accertativa, prudenzialmente non quantificati.

Gli effetti di maggiore entrata complessivi risultano i seguenti:

 

(milioni di euro)

Comma 35 - 1° periodo

2011

2012

2013

2014

IRPEF

0

73,5

42

42

IVA

31,5

31,5

31,5

31,5

Comma 35 - 2° periodo

 

 

 

 

IRPEF

0

157,5

90

90

IVA

0

67,5

67,5

67,5

TOTALE

31,5

330

231

231

 

In merito ai profili di quantificazione, è stato osservato, preliminarmente, che la relazione tecnica quantifica effetti di maggior gettito assumendo specifiche ipotesi, che non risultano tuttavia suffragate da oggettivi elementi di valutazione e da dati riscontrabili. È stato quindi richiesto di chiarire le ragioni sottostanti le ipotesi adottate, per consentire una verifica della congruità della stima. In particolare, è stato chiesto di precisare su quali ricorrenze statistiche si fondino le previsioni relative all’effetto di deterrenza, stimato in termini di modifica del comportamento dei contribuenti, e come sia stata calcolata l’incidenza di tale effetto in termini di maggiore base imponibile dichiarata.

Nel corso della legislatura sono stati approvati diversi provvedimenti finalizzati a potenziare l’attività di accertamento e di riscossione anche attraverso l’utilizzo degli studi di settore: da ultimo, l’articolo 23, comma 28, del D.L. n. 98/2011[132], cui sono stati ascritti effetti di maggior gettito pari a 94,7 milioni di euro nel 2012, 362 milioni nel 2013 e 375,3 milioni nel 2014.

Per quanto attiene all’aggiornamento degli indicatori di normalità economica, è stato osservato che la RT, pur procedendo ad abbattimenti prudenziali del numero dei soggetti che potrebbero dichiarare maggiore base imponibile, non esplicita le variabili - riferite agli andamenti economici e alla connessa dinamica dei costi e dei ricavi - che giustificano l’ipotesi di un’emersione di base imponibile media di almeno 3.000 euro.

 

Nella Nota di risposta alle osservazioni formulate nel corso dell’esame in seconda lettura presso la Camera, trasmessa alla Commissione Bilancio l’8 settembre 2011, il Dipartimento delle finanze ha precisato quanto segue:

-        l’ipotesi che il 10% dei circa 700.000 operatori economici non congrui, anche a seguito di adeguamento, vari il proprio comportamento, si fonda sulla base dei dati relativi al periodo d’imposta 2009 desunti dalla Banca dati Studi di settore e su previsioni di un maggior numero di soggetti che si adegueranno estremamente prudenziale rispetto alle condizioni di maggior favore per i soggetti interessati dalla norma;

-        l’ipotesi che tali soggetti dichiareranno una maggior base imponibile media stimata in 3.000 euro si fonda sulla base di una previsione prudenzialmente ridotta di circa il 50% dell’importo medio degli adeguamenti relativi ai periodi d’imposta 2009 e 2008 desunti dalla medesima Banca dati Studi;

-        anche in relazione all’aggiornamento degli indicatori di normalità economica, la quantificazione in 3.000 euro della maggiore base imponibile media stimata è frutto dell’analisi dell’adeguamento medio operato dai contribuenti cui si applicano gli studi di settore per il periodo d’imposta 2009. In particolare, per opportuna cautela, si è ritenuto di ridurre a meno della metà tale valore che è pari a circa 7.000 euro.

 


 

Articolo 2, comma 35-bis
(Modifiche alla disciplina del contributo unificato)

 


35-bis. All'articolo 13 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, sono apportate le seguenti modifiche:

a) al comma 1, lettera d), le parole: «e amministrativi» sono soppresse;

b) al comma 3-bis, dopo le parole: «procedura civile e» sono inserite le seguenti: «il proprio indirizzo di posta elettronica certificata ai sensi dell'articolo»;

c) al comma 6, è aggiunto il seguente periodo: «Se manca la dichiarazione di cui al comma 3-bis dell'articolo 14, il processo si presume del valore indicato al comma 6-quater, lettera f)»;

d) al comma 6-bis, lettera e), sono soppressi i due ultimi periodi;

e) dopo il comma 6-bis, è inserito il seguente:

«6-bis.1. Gli importi di cui alle lettere a), b), c), d) ed e) del comma 6-bis sono aumentati della metà ove il difensore non indichi il proprio indirizzo di posta elettronica certificata e il proprio recapito fax, ai sensi dell' articolo 136 del codice del processo amministrativo di cui al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, ovvero qualora la parte ometta di indicare il codice fiscale nel ricorso. L'onere relativo al pagamento dei suddetti contributi è dovuto in ogni caso dalla parte soccombente, anche nel caso di compensazione giudiziale delle spese e anche se essa non si è costituita in giudizio. Ai fini predetti, la soccombenza si determina con il passaggio in giudicato della sentenza. Ai fini del presente comma, per ricorsi si intendono quello principale, quello incidentale e i motivi aggiunti che introducono domande nuove»;

f) al comma 6-quater, lettera c), sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «e per le controversie tributarie di valore indeterminabile».


 

 

Il comma 35-bis apporta modifiche alla disciplina del contributo unificato, di cui all’art. 13 del TU spese di giustizia (D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115)[133]. Le novelle introdotte riguardano gli importi del contributo nel processo civile, amministrativo e tributario che, per semplicità, vengono anzitutto descritte attraverso un testo a fronte.

 


 

Normativa vigente

Emendamenti al D.L. 138/2011

D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115
art. 13 (Importi)

 

 

1. Il contributo unificato è dovuto nei seguenti importi:

1. Identico:

a) euro 37 per i processi di valore fino a 1.100 euro, nonché per i processi per controversie di previdenza e assistenza obbligatorie, salvo quanto previsto dall'articolo 9, comma 1-bis, per i procedimenti di cui all'articolo 711 del codice di procedura civile, e per i procedimenti di cui all'articolo 4, comma 16, della legge 1° dicembre 1970, n. 898;

a) identica;

b) euro 85 per i processi di valore superiore a euro 1.100 e fino a euro 5.200 e per i processi di volontaria giurisdizione, nonché per i processi speciali di cui al libro IV, titolo II, capo I e capo VI, del codice di procedura civile, e per i processi contenziosi di cui all'articolo 4 della legge 1 dicembre 1970, n. 898;

b) identica;

c) euro 206 per i processi di valore superiore a euro 5.200 e fino a euro 26.000 e per i processi contenziosi di valore indeterminabile di competenza esclusiva del giudice di pace;

c) identica;

d) euro 450 per i processi di valore superiore a euro 26.000 e fino a euro 52.000 e per i processi civili e amministrativi di valore indeterminabile;

d) euro 450 per i processi di valore superiore a euro 26.000 e fino a euro 52.000 e per i processi civili di valore indeterminabile;

e) euro 660 per i processi di valore superiore a euro 52.000 e fino a euro 260.000;

e) identica;

f) euro 1.056 per i processi di valore superiore a euro 260.000 e fino a euro 520.000;

f) identica;

g) euro 1.466 per i processi di valore superiore a euro 520.000.

g) identica;

2. Per i processi di esecuzione immobiliare il contributo dovuto è pari a euro 242. Per gli altri processi esecutivi lo stesso importo è ridotto della metà. Per i processi esecutivi mobiliari di valore inferiore a 2.500 euro il contributo dovuto è pari a euro 37. Per i processi di opposizione agli atti esecutivi il contributo dovuto è pari a euro 146.

2. Identico.

2-bis. Fuori dei casi previsti dall’articolo 10, comma 6-bis, per i processi dinanzi alla Corte di cassazione, oltre al contributo unificato, è dovuto un importo pari all’imposta fissa di registrazione dei provvedimenti giudiziari.

2-bis. Identico.

3. Il contributo è ridotto alla metà per i processi speciali previsti nel libro IV, titolo I, del codice di procedura civile, compreso il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo e di opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento e per le controversie individuali di lavoro o concernenti rapporti di pubblico impiego, salvo quanto previsto dall'articolo 9, comma 1-bis. Ai fini del contributo dovuto, il valore dei processi di sfratto per morosità si determina in base all'importo dei canoni non corrisposti alla data di notifica dell'atto di citazione per la convalida e quello dei processi di finita locazione si determina in base all'ammontare del canone per ogni anno.

3. Identico.

3-bis. Ove il difensore non indichi il proprio indirizzo di posta elettronica certificata e il proprio numero di fax ai sensi degli articoli 125, primo comma, del codice di procedura civile e 16, comma 1-bis, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, ovvero qualora la parte ometta di indicare il codice fiscale nell'atto introduttivo del giudizio o, per il processo tributario, nel ricorso il contributo unificato è aumentato della metà.

3-bis. Ove il difensore non indichi il proprio indirizzo di posta elettronica certificata e il proprio numero di fax ai sensi degli articoli 125, primo comma, del codice di procedura civile e il proprio indirizzo di posta elettronica certificata ai sensi dell’articolo 16, comma 1-bis, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, ovvero qualora la parte ometta di indicare il codice fiscale nell'atto introduttivo del giudizio o, per il processo tributario, nel ricorso il contributo unificato è aumentato della metà.

5. Per la procedura fallimentare, che è la procedura dalla sentenza dichiarativa di fallimento alla chiusura, il contributo dovuto è pari a euro 740.

5. Identico.

6. Se manca la dichiarazione di cui all'articolo 14, il processo si presume del valore indicato al comma 1, lettera g).

6. Se manca la dichiarazione di cui all'articolo 14, il processo si presume del valore indicato al comma 1, lettera g). Se manca la dichiarazione di cui al comma 3-bis dell’art. 14, il processo si presume del valore indicato al comma 6-quater, lettera f).

6-bis. Il contributo unificato per i ricorsi proposti davanti ai Tribunali amministrativi regionali e al Consiglio di Stato è dovuto nei seguenti importi:

6-bis. Identico:

a) per i ricorsi previsti dagli articoli 116 e 117 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, per quelli aventi ad oggetto il diritto di cittadinanza, di residenza, di soggiorno e di ingresso nel territorio dello Stato e per i ricorsi di esecuzione nella sentenza o di ottemperanza del giudicato il contributo dovuto è di euro 300. Non è dovuto alcun contributo per i ricorsi previsti dall'articolo 25 della citata legge n. 241 del 1990 avverso il diniego di accesso alle informazioni di cui al decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 195, di attuazione della direttiva 2003/4/CE sull'accesso del pubblico all'informazione ambientale;

a) identica;

b) per le controversie concernenti rapporti di pubblico impiego, si applica il comma 3;

b) identica;

c) per i ricorsi cui si applica il rito abbreviato comune a determinate materie previsto dal libro IV, titolo V, del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, nonché da altre disposizioni che richiamino il citato rito, il contributo dovuto è di euro 1.500;

c) identica;

d) per i ricorsi di cui all'articolo 119, comma 1, lettere a) e b), del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, il contributo dovuto è di euro 4.000;

d) identica;

e) in tutti gli altri casi non previsti dalle lettere precedenti e per il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica nei casi ammessi dalla normativa vigente, il contributo dovuto è di euro 600. I predetti importi sono aumentati della metà ove il difensore non indichi il proprio indirizzo di posta elettronica certificata e il proprio recapito fax, ai sensi dell'articolo 136 del codice del processo amministrativo di cui al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104. Ai fini del presente comma, per ricorsi si intendono quello principale, quello incidentale e i motivi aggiunti che introducono domande nuove.

e) in tutti gli altri casi non previsti dalle lettere precedenti e per il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica nei casi ammessi dalla normativa vigente, il contributo dovuto è di euro 600.

 

Gli importi di cui alle lettere a), b), c), d), e) sono aumentati della metà ove il difensore non indichi il proprio indirizzo di posta elettronica certificata e il proprio recapito fax, ai sensi dell’articolo 136 del codice del processo amministrativo di cui al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, ovvero qualora la parte ometta di indicare il codice fiscale nel ricorso. L’onere relativo al pagamento dei suddetti contributi è dovuto in ogni caso dalla parte soccombente, anche nel caso di compensazione giudiziale delle spese e anche se essa non si è costituita in giudizio. Ai fini predetti, la soccombenza si determina con il passaggio in giudicato della sentenza. Ai fini del presente comma, per ricorsi si intendono quello principale, quello incidentale e i motivi aggiunti che introducono domande nuove.

6-ter. Il maggior gettito derivante dall'applicazione delle disposizioni di cui al comma 6-  bis è versato al bilancio dello Stato, per essere riassegnato allo stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, per le spese riguardanti il funzionamento del Consiglio di Stato e dei Tribunali amministrativi regionali.

6-ter. Identico.

6-quater. Per i ricorsi principale ed incidentale proposti avanti le Commissioni tributarie provinciali e regionali è dovuto il contributo unificato nei seguenti importi:

6-quater. Identico:

a) euro 30 per controversie di valore fino a euro 2.582,28;

a) identica;

b) euro 60 per controversie di valore superiore a euro 2.582,28 e fino a euro 5.000;

d) identica;

c) euro 120 per controversie di valore superiore a euro 5.000 e fino a euro 25.000;

c) euro 120 per controversie di valore superiore a euro 5.000 e fino a euro 25.000 e per le controversie tributarie di valore indeterminabile;

d) euro 250 per controversie di valore superiore a euro 25.000 e fino a euro 75.000;

d) identica;

e) euro 500 per controversie di valore superiore a euro 75.000 e fino a euro 200.000;

e) identica;

f) euro 1.500 per controversie di valore superiore a euro 200.000.

f) identica.

 

 

In sintesi,

§      attraverso la lettera a) il provvedimento eleva da 450 a 600 euro l’importo del contributo unificato per i processi amministrativi di valore indeterminabile (è infatti eliminato il richiamo a tali processi contenuto nella lettera d) del comma 1 con conseguente applicazione della lettera e) del comma 6-bis;

§      con la lettera b) si specifica che la sanzione dell’incremento della metà del contributo unificato si applica, anche in caso di processo tributario, alla fattispecie di mancata indicazione, da parte del difensore, dell’indirizzo di posta elettronica certificata;

§      con la lettera c) si aumenta il contributo unificato dovuto nel processo tributario in caso di omissione della dichiarazione sul valore della controversia: tale contributo passa da 1.466 a 1.500 euro;

§      le lettere d) ed e) vanno considerate insieme in quanto affermano con maggior precisione che l’importo del contributo unificato nel processo amministrativo è aumentato della metà se il difensore omette la comunicazione della posta elettronica certificata e del fax. Le stesse disposizioni precisano che l’onere del contributo grava sulla parte soccombente anche nel caso di compensazione giudiziale delle spese e anche nel caso in cui la stessa non si sia costituita in giudizio. Si esplicita, altresì, che il contributo unificato nei processi amministrativi è dovuto anche per i ricorsi incidentali e in caso di proposizione di motivi aggiuntivi che introducono nuove domande;

§      la lettera f) colma una lacuna della normativa fissando in 120 euro la misura del contributo unificato dovuto per le controversie tributarie di valore indeterminabile.


Profili finanziari (Art. 2, commi da 35-bis a 35-sexies)

 

Il prospetto riepilogativo non ascrive alla norma effetti sui saldi di finanza pubblica.

 

La relazione tecnica, riferita al maxiemendamento approvato al Senato, afferma che le modifiche riguardano la migliore definizione di alcune delle fattispecie previste dalla disciplina concernente il contributo unificato, nonché la precisazione di alcune ipotesi in cui il medesimo contributo è aumentato della metà.

Sono state inserite le necessarie misure di coordinamento, conseguenti le modifiche introdotte, nel codice di procedura civile e nel decreto legislativo n. 546/1992 che reca disposizioni sul processo tributario.

La relazione tecnica chiarisce, altresì, che le norme di cui al comma 35-sexies sono finalizzate a ridurre il contenzioso dal momento che fissano una sanzione a carico della parte che non partecipa, senza giustificato motivo, al procedimento di mediazione nelle controversie civili e commerciali.

Sotto il profilo finanziario la relazione tecnica rileva che, limitatamente alle controversie amministrative aventi valore indeterminabile, il contributo unificato passa da 450 a 1.500 euro in virtù della rimodulazione della relativa fattispecie imponibile prevista dall’articolo 13 del DPR n. 115/2002 come modificato dalle norme in esame. Tuttavia, prosegue la relazione tecnica, a titolo prudenziale non si considera il maggior gettito considerato che, a norma dell’articolo 37, comma 14 del decreto legge n. 98/2011, le maggiori entrate dovute al contributo unificato per i ricorsi proposti davanti al Tar ed al Consiglio di Stato confluiscono in apposito fondo per essere destinato alla realizzazione di interventi in materia di giustizia.

Alle altre norme non sono, secondo la relazione tecnica, ascrivibili effetti finanziari diretti mentre quelli indiretti, che sono assunti di segno positivo e sono connessi alla natura sanzionatoria di alcune disposizioni ed allo snellimento di alcune procedure, saranno quantificabili solo a consuntivo.

 

In merito ai profili di quantificazione, non sono state formulate osservazioni considerata la natura sostanzialmente virtuosa delle disposizioni in esame.

Si rileva tuttavia che la misura del contributo dovuto per i processi amministrativi di valore indeterminabile sembrerebbe essere stata elevata da 450 euro a 600 euro in luogo dei 1.500 euro indicati dalla relazione tecnica. Correttamente la relazione tecnica non considera il modesto incremento del contributo unificato disposto dal comma 35-bis, lettera c). La modifica prevista da detta lettera c) ha, infatti, natura sanzionatoria e, per consolidata contabile, non sono scontati nei saldi i possibili maggiori incassi derivanti dall’incremento degli importi di sanzione.

 


 

Articolo 2, comma 35-ter
(Modifiche al codice di procedura civile)

 

35-ter. Al codice di procedura civile sono apportate le seguenti modifiche:

a) all'articolo 125, primo comma, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Il difensore deve, altresì, indicare il proprio indirizzo di posta elettronica certificata e il proprio numero di fax»;

b) all'articolo 136, è aggiunto, in fine, il seguente comma:

«Tutte le comunicazioni alle parti devono essere effettuate con le modalità di cui al terzo comma».

 

 

L’articolo 2, comma 35-ter modifica gli articoli 125 e 136 del codice di procedura civile relativi, rispettivamente, alla sottoscrizione degli atti di parte ad opera del difensore e alle modalità di comunicazione alle parti.

 

L’art. 125 c.p.c. riguarda in particolare il contenuto e la sottoscrizione degli atti di parte e dispone che salvo che la legge disponga altrimenti, la citazione, il ricorso, la comparsa, il controricorso, il precetto indichino l'ufficio giudiziario, le parti, l'oggetto, le ragioni della domanda e le conclusioni o l'istanza, e, tanto nell'originale quanto nelle copie da notificare, debbano essere sottoscritti dalla parte, se essa sta in giudizio personalmente oppure dal difensore che indica il proprio codice fiscale.

L'art. 136 stabilisce invece che il cancelliere, con biglietto di cancelleria in carta non bollata, effettua le comunicazioni che sono prescritte dalla legge o dal giudice al pubblico ministero, alle parti, al consulente, agli altri ausiliari del giudice e ai testimoni, e dà notizia di quei provvedimenti per i quali è disposta dalla legge tale forma abbreviata di comunicazione. Il biglietto è consegnato dal cancelliere al destinatario, che ne rilascia ricevuta, o è rimesso all'ufficiale giudiziario per la notifica.

 

In particolare, lettera a) reca modifiche al primo comma dell'art. 125 c.p.c. obbligando il difensore ad indicare anche il proprio indirizzo di posta elettronica certificata e il proprio numero di fax.

La lettera b) reca modifiche all'art. 136 c.p.c. disponendo che tutte le comunicazioni alle parti siano effettuate a mezzo telefax o a mezzo posta elettronica nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici e teletrasmessi.

Profili finanziari

Per i profili finanziari si veda la scheda dell’articolo 2, comma 35-bis.


 

Articolo 2, comma 35-quater
(Disposizioni relative al processo tributario)

 


35-quater. Al decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, sono apportate le seguenti modifiche:

a) all'articolo 18, comma 2, lettera b), dopo le parole: «codice fiscale» sono aggiunte le seguenti: «e dell'indirizzo di posta elettronica certificata»;

b) all'articolo 18, comma 4, dopo le parole: «codice fiscale» sono inserite le seguenti: «e all'indirizzo di posta elettronica certificata»;

c) all'articolo 22, comma 1, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «All'atto della costituzione in giudizio, il ricorrente deve depositare la nota di iscrizione al ruolo, contenente l'indicazione delle parti, del difensore che si costituisce, dell'atto impugnato, della materia del contendere, del valore della controversia e della data di notificazione del ricorso».


 

 

Il comma 35-quater modifica le disposizioni che regolano il processo tributario, a tale scopo novellando gli articoli 18 e 22 del D.Lgs. n. 546 del 1992[134].

In particolare, le disposizioni in esame:

§       obbligano il soggetto ricorrente a indicare, nel ricorso introduttivo del processo, anche l’indirizzo di posta elettronica certificata, precisando al contempo che la mancata o incerta indicazione dell’ indirizzo di posta elettronica non è causa di inammissibilità del ricorso;

§       obbligano il ricorrente a depositare, presso la segreteria della commissione tributaria adita, all'atto della costituzione in giudizio, la nota di iscrizione a ruolo contenente l'indicazione delle parti, del difensore che si costituisce, dell'atto impugnato, della materia del contendere, del valore della controversia e della data di notificazione del ricorso.

 

Nel dettaglio, il primo punto del comma in esame modifica l’articolo 18 del D.Lgs. n. 546 del 1992, che disciplina il contenuto del ricorso che introduce il processo, nonché le modalità della sua presentazione.

In particolare la norma aggiunge agli elementi da indicare nel ricorso, enumerati dal comma 2 dell’articolo 18, anche l’indirizzo di posta elettronica certificata

Il testo vigente del comma 2 specifica il ricorso deve contenere l'indicazione:

§       della commissione tributaria cui è diretto;

§       del ricorrente e del suo legale rappresentante, della relativa residenza o sede legale o del domicilio eventualmente eletto nel territorio dello Stato, nonché del codice fiscale;

§       dell'ufficio del Ministero delle finanze o dell' ente locale o del concessionario del servizio di riscossione nei cui confronti il ricorso è proposto;

§       dell'atto impugnato e dell' oggetto della domanda;

§       dei motivi.

 

La norma inoltre novella il comma 4 dell’articolo 18, che disciplina i requisiti per la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.

Ai sensi del vigente comma 4, il ricorso è inammissibile se manca o è assolutamente incerta una delle indicazioni che il ricorso deve contenere ai sensi del sopra illustrato citato comma 2, fatta salva l’indicazione del codice fiscale.

Il comma in esame, aggiungendo a tale esclusione anche l'indirizzo di posta elettronica certificata, precisa che la sua mancata indicazione non rende inammissibile il ricorso.

 

Il secondo punto del comma 35-quater modifica la disciplina della costituzione in giudizio del ricorrente nel processo tributario, disciplinata dall'articolo 22 del D.Lgs. 546/1992.

Il comma in esame obbliga il ricorrente a depositare presso la segreteria della commissione tributaria adita, all'atto della costituzione in giudizio, la nota di iscrizione a ruolo contenente l'indicazione delle parti, del difensore che si costituisce, dell'atto impugnato, della materia del contendere, del valore della controversia e della data di notificazione del ricorso.

Profili finanziari

Per i profili finanziari si veda la scheda dell’articolo 2, comma 35-bis.


 

Articolo 2, comma 35-quinquies
(Modifiche alle disposizioni per l'efficienza del sistema giudiziario)

 


35-quinquies. Al decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, sono apportate le seguenti modifiche:

a) all'articolo 37, al comma 3, le parole: «entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto» sono sostituite dalle seguenti: «entro il 31 ottobre 2011», e al comma 7, le parole: «alle controversie instaurate» sono sostituite dalle seguenti: «ai procedimenti iscritti a ruolo»;

b) all'articolo 39, comma 4, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Ai fini del periodo precedente, si intendono in servizio i magistrati non collocati a riposo al momento dell'indizione dei concorsi».


 

 

L’articolo 2, comma 35-quinquies modifica alcune disposizioni del recente decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98[135], tra cui quelle relative ai termini per la redazione del programma per la gestione dei procedimenti civili, amministrativi e tributari pendenti da parte dei capi degli uffici giudiziari e quelle per l'indizione di concorsi per i magistrati della giustizia tributaria.

 

In particolare, la lettera a) interviene sull’art. 37 del suddetto decreto-legge (rubricato “Disposizioni per l'efficienza del sistema giudiziario e la celere definizione delle controversie"), ai sensi del quale i capi degli uffici giudiziari, sentiti i presidenti dei rispettivi consigli dell'ordine degli avvocati, devono entro il 31 gennaio di ogni anno redigere un programma per la gestione dei procedimenti civili, amministrativi e tributari pendenti. Attraverso tale programma si determinano:

a)      gli obiettivi di riduzione della durata dei procedimenti concretamente raggiungibili nell'anno in corso;

b)      gli obiettivi di rendimento dell'ufficio, tenuto conto dei carichi esigibili di lavoro dei magistrati individuati dai competenti organi di autogoverno, l'ordine di priorità nella trattazione dei procedimenti pendenti, individuati secondo criteri oggettivi ed omogenei che tengano conto della durata della causa, anche con riferimento agli eventuali gradi di giudizio precedenti, nonché della natura e del valore della stessa.

Il comma 3 dell'art. 37 prevede attualmente che il primo programma venga adottato entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto legge n. 98; tale termine – evidentemente scaduto in questi giorni - viene posticipato dalla disposizione in commento al 31 ottobre 2011.

 

La lettera a) interviene anche sul comma 7 dell'art. 37 – relativo al campo d’applicazione delle modifiche alla disciplina del contributo unificato operate dalla manovra finanziaria di luglio - per sostituirvi l’espressione «controversie instaurate» con la più corretta «procedimenti iscritti a ruolo»:

 

La lettera b) modifica l'articolo 39 dello stesso decreto-legge n. 98/2011, che reca "Disposizioni in materia di riordino della giustizia tributaria". In particolare, viene aggiunto un periodo al comma 4, il quale dispone che al fine di coprire, a decorrere dal 1° gennaio 2012, i posti vacanti alla data di entrata in vigore del decreto-legge stesso, il Consiglio di Presidenza della giustizia tributaria provvede ad indire, entro due mesi dalla predetta data, apposite procedure per la copertura di 960 posti vacanti presso le commissioni tributarie. I concorsi sono riservati ai soggetti appartenenti alle categorie di cui all'articolo 4, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545, in servizio, che non prestino già servizio presso le predette commissioni.

La lettera b) in esame integra la disposizione stabilendo che ai fini del periodo precedente, si intendono in servizio i magistrati non collocati a riposo al momento dell'indizione dei concorsi.

Profili finanziari

Per i profili finanziari si veda la scheda dell’articolo 2, comma 35-bis.


 

Articolo 2, comma 35-sexies
(Modifica della disciplina in materia di mediazione)

 

35-sexies. All'articolo 8, comma 5, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Il giudice condanna la parte costituita che, nei casi previsti dall'articolo 5, non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all'entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio».

 

 

L’articolo 2, comma 35-sexies, interviene sulla c.d. mediaconciliazione disciplinata dal decreto legislativo n. 28 del 2010[136] per sanzionare la parte che, senza giustificato motivo, si rifiuta di partecipare al tentativo di conciliazione.

 

Attualmente, l’articolo 8, comma 5, del decreto legislativo prevede che dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione il giudice possa desumere argomenti di prova ai sensi dell’art. 116 c.p.c.

 

Tale disposizione del codice di rito stabilisce che il giudice debba valutare le prove secondo il suo prudente apprezzamento, potendo desumere argomenti di prova dalle risposte che le parti gli danno in sede di interrogatorio non formale, dal loro rifiuto ingiustificato a consentire le ispezioni che egli ha ordinato e, in generale, dal contegno delle parti stesse nel processo.

 

Con la disposizione in commento all’art. 8, comma 5, è aggiunto un ulteriore periodo in base al quale il giudice deve condannare la parte costituita che non ha partecipato al procedimento di mediazione senza giustificato motivo, al versamento all'entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio.

Profili finanziari

Per i profili finanziari si veda la scheda dell’articolo 2, comma 35-bis.


 

Articolo 2, comma 35-septies
(Giustizia tributaria)

 

35-septies. All'articolo 8 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modifiche:

a) al comma 1, lettera m-bis), sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «, ed esercitano, anche in forma non individuale, le attività individuate nella lettera i)»;

b) al comma 1-bis, al primo ed al secondo periodo, le parole: «parenti fino al terzo grado» sono sostituite dalle seguenti: «parenti fino al secondo grado».

 

 

Il comma 35-septies dell'articolo 2 modifica la disciplina delle incompatibilità con la carica di componente delle commissioni tributarie.

In particolare, la lettera a) specifica che l’incompatibilità del personale dipendente, nonché dei soggetti iscritti in ruoli ed albi che consentono l’assistenza tecnica innanzi alle commissioni tributarie, opera se i predetti soggetti svolgono attività di consulenza, assistenza o di rappresentanza nei confronti di contribuenti e/o di enti impositori o preposti alla riscossione di tributi.

La lettera b) stabilisce che non possono essere componenti di commissioni tributarie i coniugi, i conviventi o i parenti fino al secondo grado - in luogo del terzo grado previsto dal testo vigente -di coloro che, iscritti in albi professionali, esercitano le predette attività di consulenza, assistenza e rappresentanza tributaria.

 

Nel dettaglio, la disposizione novella l’articolo 39, comma 2, lettera c), punti 4) e 5) del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98[137] che, nel complesso, ha introdotto disposizioni volte a rafforzare le cause di incompatibilità dei giudici tributari e a incrementare la presenza nelle Commissioni tributarie regionali di giudici selezionati tra i magistrati ordinari, amministrativi, militari, e contabili ovvero tra gli Avvocati dello Stato, in servizio o a riposo, nonché a modificare alcune disposizioni relative al Consiglio di presidenza della giustizia tributaria.

In tale prospettiva, il comma 2 dell'articolo 39 ha recato modifiche al decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545, che disciplina gli organi di giurisdizione tributaria e, in particolare, la lettera c) del comma 2 ha modificato la disciplina delle incompatibilità con la carica di componente delle commissioni tributarie, contenuta nell'articolo 8 del D.Lgs. n. 545/1992.

Incompatibilità di soggetti iscritti ad albi e ordini professionali

La lettera a) del comma 35-septies in commento modifica il comma 2, lettera c), punto 4) dell’articolo 39.

Il richiamato punto 4) ha inserito all’articolo 8, comma 1 del D.Lgs. 545/1992 una lettera m-bis), ai sensi della quale sono incompatibili con la carica di componente delle commissioni tributarie i soggetti iscritti in albi professionali, elenchi e ruoli, nonché il personale dipendente, individuati dall’articolo 12 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 sul processo tributario; si tratta in sostanza dei soggetti – oltre ai dipendenti - iscritti in albi e ruoli che consentono l'esercizio della rappresentanza davanti alle Commissioni tributarie.

Ai sensi dell’articolo 12, comma 2 del D.Lgs. 546/2992, sono abilitati all’assistenza tecnica dinanzi alle commissioni tributarie, se iscritti nei relativi albi professionali, gli avvocati, i dottori commercialisti, i ragionieri e i periti commerciali, nonché i consulenti del lavoro purché non dipendenti dall’amministrazione pubblica; per specifiche materie che richiedono competenze di tipo tecnico, se iscritti nei relativi albi professionali, sono abilitati altresì gli ingegneri, gli architetti, i geometri, i periti edili, i dottori agronomi, gli agrotecnici e i periti agrari, gli spedizionieri doganali per le materie concernenti i tributi amministrati dall'Agenzia delle dogane. Sono altresì, se iscritti in appositi elenchi, i soggetti iscritti alla data del 30 settembre 1993 nei ruoli di periti ed esperti tenuti dalle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura per la subcategoria tributi, in possesso di diploma di laurea in giurisprudenza o in economia e commercio o equipollenti o di diploma di ragioniere limitatamente alle materie concernenti alcuni tributi; per alcune cause sono anche abilitati i dipendenti delle associazioni delle categorie rappresentate nel Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro (C.N.E.L.) e i dipendenti delle imprese in possesso del diploma di laurea in giurisprudenza o in economia e commercio o equipollenti o di diploma di ragioneria e della relativa abilitazione professionale. Infine sono inoltre abilitati all'assistenza tecnica dinanzi alle commissioni tributarie i funzionari delle associazioni di categoria iscritti in appositi albi..

 

Per effetto delle modifiche recate dalla disposizione in commento, l’incompatibilità del personale dipendente e dei soggetti iscritti nei richiamati ruoli ed albi che abilitano alla rappresentanza innanzi alle Commissioni tributarie (di cui alla lettera m-bis)) opera ove essi esercitino, anche in forma non individuale, attività - individuate all’articolo 8, comma 1, lettera i) - di consulenza tributaria, di detenzione di scritture contabili e redazione di bilanci, ovvero attività di consulenza, assistenza o di rappresentanza, a qualsiasi titolo e anche nelle controversie di carattere tributario, di contribuenti singoli o associazioni di contribuenti, di società di riscossione dei tributi o di altri enti impositori.

In sostanza, la disposizione in esame ancora l’incompatibilità non solo alla sola iscrizione formale all’albo, ma anche all’esercizio effettivo di attività di consulenza, assistenza e rappresentanza nei confronti dei contribuenti o di enti coinvolti nella gestione dei tributi; tale disciplina viene così allineata alle cause di incompatibilità legate alla parentela, di cui all’articolo 8, comma 1-bis del D.Lgs. 545/1992 (cfr. paragrafo successivo).

Incompatibilità legata a rapporti familiari

La lettera b) del comma 35-septies modifica il comma 2, lettera c), punto 5) dell’articolo 39.

Il richiamato punto 5) ha inserito il comma 1-bis all’articolo 8 del citato D.Lgs. 545/1992, prevedendo che non possono essere componenti di commissione tributaria (provinciale o regionale) i coniugi, i conviventi o i parenti fino al terzo grado o gli affini in primo grado di coloro che sono iscritti in albi professionali ed esercitano - anche in forma non individuale - attività di assistenza, consulenza e rappresentanza nei confronti di contribuenti ed enti (individuate nella citata lettera i) del comma 1) nella regione e nelle province confinanti con la predetta regione dove ha sede la commissione tributaria provinciale, ovvero nella regione dove ha sede la commissione tributaria regionale o nelle regioni con essa confinanti. All’accertamento della sussistenza delle cause di incompatibilità provvede il Consiglio di Presidenza.

Con le modifiche apportate dalle norme in esame, si stabilisce che non possono essere componenti di commissione tributaria i coniugi, i conviventi o i parenti fino al secondo grado - in luogo del terzo grado previsto dal testo vigente - di coloro che, iscritti in albi professionali, esercitano le attività di consulenza, assistenza e rappresentanza tributaria.


 

Articolo 2, comma 35-octies
(Imposta di bollo su trasferimenti di denaro all’estero)

 


35-octies. A decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, è istituita un'imposta di bollo sui trasferimenti di denaro all'estero attraverso gli istituti bancari, le agenzie «money transfer» ed altri agenti in attività finanziaria. L'imposta è dovuta in misura pari al 2 per cento dell'importo trasferito con ogni singola operazione, con un minimo di prelievo pari a 3 euro. L'imposta non è dovuta per i trasferimenti effettuati dai cittadini dell'Unione europea nonché per quelli effettuati verso i Paesi dell'Unione europea. Sono esentati i trasferimenti effettuati da soggetti muniti di matricola INPS e codice fiscale.


 

 

Il comma 35-octies introduce un’imposta di bollo sui trasferimenti di denaro all’estero operante dall'entrata in vigore della legge di conversione del provvedimento in esame.

Nel dettaglio, l’imposta è dovuta in misura pari al 2 per cento dell’importo trasferito per singola operazione, con un misura minima di prelievo pari a 3 euro.

Sono soggetti a imposizione i trasferimenti effettuati mediante:

§       istituti bancari;

§       agenzie di “money transfer”;

§       altri agenti in attività finanziaria.

 

Le disposizioni esentano da imposta i trasferimenti effettuati verso i paesi dell’Unione Europea e quelli effettuati da soggetti muniti di matricola INPS e codice fiscale.

 

Non appare chiaro se la norma in esame introduca una nuova forma di imposizione sui trasferimenti di denaro, ovvero una nuova fattispecie colpita dall’imposta di bollo in misura proporzionale. In tale ultima ipotesi, sembrerebbe opportuno ricondurre la disposizione nell’alveo del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 642 e, in particolare, alla Tariffa ad esso allegata (contenuta nel D.M. 20 agosto 1992). Tale riconduzione sarebbe tra l’altro funzionale a chiarire le modalità di gestione della forma di prelievo così introdotta (tra cui le norme in materia di accertamento e riscossione).

 

Ai sensi dell’articolo 128-quater del Testo Unico Bancario – TUB (di cui al D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385), l’agente in attività finanziaria è il soggetto che promuove e conclude contratti relativi alla concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma o alla prestazione di servizi di pagamento, su mandato diretto di intermediari finanziari, istituti di pagamento o istituti di moneta elettronica. Il Decreto legislativo 13 agosto 2010 n. 141 (come successivamente modificato dal D.Lgs. 218/2010), emanato al fine di recepire la direttiva n. 2008/48/CE in materia di contratti di credito ai consumatori, ha riformato la disciplina dei soggetti operanti nel settore finanziario, dei mediatori creditizi e degli agenti in attività finanziaria. In particolare, per gli agenti in attività finanziaria sono stati introdotti requisiti di accesso più elevati e l'istituzione di un nuovo elenco, nonché di un'apposita sezione dedicata agli agenti che svolgono esclusivamente servizi di pagamento, affidandone la tenuta ad un apposito Organismo.

I cosiddetti "money transfer", invece, sono gli agenti in attività finanziaria, persone fisiche o giuridiche, che offrono esclusivamente il servizio di pagamento consistente nel trasferimento di fondi attraverso la raccolta e la consegna delle disponibilità da trasferire. Nel caso di attività circoscritta al trasferimento di fondi (money transfer) la limitazione dovrà essere espressamente prevista nell'oggetto sociale.

I soggetti iscritti agli appositi elenchi esclusivamente per l'attività di money transfer possono esercitare anche altre attività di natura non finanziaria. Nei confronti dell'agente money transfer non opera, infatti, la limitazione posta dall'art. 5 del D.M. 485/2001, ai sensi del quale l'agente può svolgere soltanto le attività strumentali e connesse a quella di agenzia finanziaria nonché le attività compatibili. I soggetti iscritti per lo svolgimento della sola attività di money transfer non possono però ricevere incarichi per lo svolgimento di tutte le altre attività di natura finanziaria previste dall’articolo 106 del TUB.

 

Si ricorda che ulteriori misure relative ai “money transfer” sono contenute nell’articolo 2, comma 4-bis del provvedimento in esame, alla cui scheda di lettura si rinvia.

Profili finanziari

 

Il prospetto riepilogativo non assegna alcun effetto finanziario alla disposizione.

 

La relazione tecnica riferita al maxiemendamento approvato al Senato afferma che la norma comporta effetti positivi di gettito che, in assenza di dati puntuali sulla frequenza e ammontare di versamenti effettuati da soggetti privi di codice fiscale e matricola INPS, prudenzialmente non vengono quantificati.

 

In merito ai profili di quantificazione, è stato segnalato che la norma non individua espressamente negli intermediari bancari e finanziari i soggetti tenuti al prelievo ed al versamento dell’imposta e non specifica se tale prelievo sia o meno effettuato con obbligo di rivalsa nei confronti dei soggetti che trasferiscono denaro.

 

Si è segnalato, altresì, che l’esenzione dei trasferimenti effettuati dai soggetti muniti di matricola INPS e codice fiscale potrebbe essere usata con finalità elusive dagli altri soggetti non in possesso di tali requisiti.

Nella Nota di risposta alle osservazioni formulate nel corso dell’iter alla Camera, trasmessa alla Commissione Bilancio l’8 settembre 2011, il Dipartimento delle finanze ha evidenziato che, pur ipotizzando un uso elusivo delle esenzioni, la norma é comunque suscettibile di produrre effetti positivi in termini di gettito che, come indicato nella relazione tecnica, prudenzialmente non sono stati quantificati.

 


 

Articolo 2, comma 36
(Destinazione di maggiori entrate)

 


36. Le maggiori entrate derivanti dal presente decreto sono riservate all'Erario, per un periodo di cinque anni, per essere destinate alle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea, anche alla luce della eccezionalità della situazione economica internazionale. Con apposito decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono stabilite le modalità di individuazione del maggior gettito, attraverso separata contabilizzazione. A partire dall'anno 2014, il Documento di economia e finanza conterrà una valutazione delle maggiori entrate derivanti, in termini permanenti, dall'attività di contrasto all'evasione. Dette maggiori entrate, al netto di quelle necessarie al mantenimento del pareggio di bilancio ed alla riduzione del debito, confluiranno in un Fondo per la riduzione strutturale della pressione fiscale e saranno finalizzate alla riduzione degli oneri fiscali e contributivi gravanti sulle famiglie e sulle imprese.


 

 

Il comma 36, modificato nel corso dell’esame parlamentare, prevede che per un periodo di cinque anni le maggiori entrate derivanti dal decreto-legge in esame siano riservate all’Erario, per essere destinate alle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea, anche alla luce della eccezionalità della situazione economica internazionale.

Le modalità di individuazione del maggior gettito, che dovrà essere oggetto di separata contabilizzazione, saranno individuate con apposito decreto del Ministero dell’economia e delle finanze, da adottare entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto.

Inoltre, a partire dall'anno 2014, il Documento di economia e finanza dovrà contenere una valutazione delle maggiori entrate derivanti, in termini permanenti, dall'attività di contrasto all'evasione.

Tali maggiori entrate, al netto di quelle necessarie al mantenimento del pareggio di bilancio ed alla riduzione del debito, confluiranno in un Fondo per la riduzione strutturale della pressione fiscale finalizzato alla riduzione degli oneri fiscali e contributivi gravanti sulle famiglie e sulle imprese.

 

In ordine alla questione della destinazione di eventuali maggiori entrate, si ricorda che è recentemente intervenuta la legge n. 39 del 2011[138], che ha modificato in più punti la legge di contabilità e finanza pubblica n. 196 del 2009, al fine di assicurare la coerenza della programmazione finanziaria delle amministrazioni pubbliche con le procedure ed i criteri stabiliti dall'Unione europea. In tale ambito, sono state introdotte diverse disposizioni ispirate a criteri di prudenzialità della gestione finanziaria e dirette ad agevolare il controllo degli andamenti ed il perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, al fine di favorire il contenimento della spesa e la riduzione del debito pubblico, così come prescritto dall’Unione europea.

In quest’ottica, l’articolo 3, comma 1, lett. b) della legge n. 39/2011, novellando l’articolo 17 della legge di contabilità, ha previsto che le maggiori entrate rispetto a quelle iscritte nel bilancio di previsione derivanti da variazioni degli andamenti a legislazione vigente non possano essere utilizzate per la copertura finanziaria di nuove o maggiori spese o riduzioni di entrate, specificando altresì espressamente che tale eventuale “extragettito” debba essere finalizzato al miglioramento dei saldi di finanza pubblica.

 

Al riguardo, si rileva come le disposizioni in esame possano configurare una deroga alle testè richiamate disposizioni della legge di contabilità che pongono un divieto assoluto di utilizzo delle maggiori entrate per finalità di copertura - anche di riduzioni di entrata - nonché un vincolo di destinazione di eventuali maggiori gettiti a favore del miglioramento dei saldi; deroga che appare tuttavia di portata circoscritta, laddove si consideri che le eventuali maggiori entrate che potranno confluire nel predetto Fondo per la riduzione strutturale della pressione fiscale sono solo quelle residueranno rispetto a quelle necessarie sia al mantenimento del pareggio di bilancio, sia alla riduzione del debito pubblico.

Profili finanziari

 

Il prospetto riepilogativo non considera la norma.

 

La relazione tecnica ribadisce che le maggiori entrate sono destinate al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica e che la quota destinabile alla riduzione della pressione fiscale, al netto delle entrate necessarie al mantenimento del pareggio di bilancio ed alla riduzione del debito, sarà oggetto di valutazione da parte del Documento di economia e finanza.

 

In merito ai profili di quantificazione, è stato rilevato che il provvedimento in esame reca numerose disposizioni aventi per oggetto il contrasto all’evasione, i cui effetti in termini di gettito sono computati ai fini della manovra. Le maggiori entrate destinabili al Fondo, che dovranno essere oggetto di puntuale evidenziazione nel Documento di economia e finanza, dovrebbero, pertanto, essere ulteriori rispetto a quelle scontate nei saldi ed imputabili alle disposizioni suddette, nonché di quelle eventualmente necessarie per il raggiungimento degli equilibri di bilancio.

 


 

Articolo 2, commi 36-bis - 36-quater
(Riduzioni agevolazioni cooperative)

 


36-bis. In anticipazione della riforma del sistema fiscale, all'articolo 1, comma 460, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, sono apportate le seguenti modifiche:

a) alla lettera b), le parole: «per la quota del 30 per cento» sono sostituite dalle seguenti: «per la quota del 40 per cento»;

b) alla lettera b-bis), le parole: «per la quota del 55 per cento» sono sostituite dalle seguenti: «per la quota del 65 per cento».

36-ter. Al comma 1 dell'articolo 6 del decreto-legge 15 aprile 2002, n. 63, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 giugno 2002, n. 112, le parole: «si applica in ogni caso alla quota degli utili netti annuali» sono sostituite dalle seguenti: «non si applica alla quota del 10 per cento degli utili netti annuali».

36-quater. Le disposizioni di cui ai commi 36-bis e 36-ter si applicano a decorrere dal periodo d'imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. Nella determinazione degli acconti dovuti per il periodo di imposta di prima applicazione si assume, quale imposta del periodo precedente, quella che si sarebbe determinata applicando le disposizioni di cui commi 36-bis e 36-ter.


 

 

I commi da 36-bis a 36-quater dell’articolo 2 recano norme in materia di società cooperative disponendo, in anticipazione della riforma del sistema fiscale, la riduzione dei benefici fiscali a loro vantaggio relativamente alle somme destinate a riserve indivisibili. In particolare nella formazione della base imponibile è previsto un aumento del peso degli utili annuali destinati alla riserva minima obbligatoria.

 

Si ricorda che l’articolo 12 della legge n. 904 del 1977[139] stabilisce che le riserve indivisibili delle cooperative e dei loro consorzi non concorrono a formare il reddito imponibile di tali soggetti, a condizione che sia esclusa la possibilità di distribuirle tra i soci, sotto qualsiasi forma, sia durante la vita dell’ente che all’atto del suo scioglimento.

Ai sensi del comma 460 della legge n. 311/2004 (fermo restando quanto disposto ai commi 1-3 dell’articolo 6 del D.L. n. 63 del 2002, che disciplina a fini impositivi altre tipologie di utili delle società cooperative) l’articolo 12 non si applica alle società cooperative a mutualità prevalente e loro consorzi, per una quota - specificamente individuata - degli utili netti annuali destinati a riserve indivisibili.

Tale quota concorre a formare il reddito imponibile, ed è dunque assoggettata a tassazione.

 

Nel dettaglio, il comma 36-bis dispone, per le società cooperative (e loro consorzi) diverse da quelle agricole e da quelle della piccola pesca, l’aumento dal 30 al 40 per cento degli utili netti annuali destinati alla riserva minima obbligatoria che sono sottratti al regime di esenzione previsto dal citato articolo 12 della legge n. 904/1977. Per le società cooperative di consumo e per i loro consorzi la quota di utili netti annuali destinati alla riserva minima obbligatoria passa dal 55 al 65 per cento.

La norma interviene modificando le lettere b) e b-bis) del comma 460 dell’articolo 1 della legge 30 dicembre 2004, n. 311.

 

Il comma 36-ter modifica l’articolo 6, comma 1, del decreto legge n. 63 del 2002 per ridurre del 10 per cento l’attuale totale esclusione dalla formazione del reddito imponibile dell’ammontare degli utili netti annuali destinati alla riserva minima obbligatoria per le società cooperative e per i loro consorzi.

L’attuale articolo 6, comma 1, del decreto legge n. 63 del 2002 dispone l’applicazione espressa del citato articolo 12 della legge n. 904/1977 alla quota degli utili netti annuali destinati alla riserva minima obbligatoria. Tale accantonamento è previsto nella misura del 70 per cento dell’utile netto per le banche di credito cooperativo (articolo 37 del decreto legislativo n. 385/1993); del 20 per cento per le cooperative agricole e della piccola pesca; del 30 per cento per le altre cooperative (tale quota per effetto del comma 36-bis è elevato al 40 per cento); del 55 per cento per le cooperative di consumo (tale quota per effetto del comma 36-bis è elevato al 65 per cento).

 

Il comma 36-quater dispone l’applicazione delle norme introdotte a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto in esame.

Per determinare gli acconti dovuti per il periodo di imposta di prima applicazione, si assume, quale imposta del periodo precedente, quella che si sarebbe determinata applicando le disposizioni introdotte con i commi 36-bis e 36-ter.

Profili finanziari

 

Il prospetto riepilogativo assegna alle norme i seguenti effetti sui saldi di finanza pubblica.

 

 

(milioni di euro)

 

Saldo netto da finanziare

Fabbisogno

Indebitamento netto

 

2012

2013

2014

2012

2013

2014

2012

2013

2014

Maggiori entrate tributarie

 

 

 

 

 

 

 

 

 

co. 36-bis

23,7

31,6

31,6

23,7

31,6

31,6

23,7

31,6

31,6

co. 36-ter

22,5

30,1

30,1

22,5

30,1

30,1

22,5

30,1

30,1

 

 

La relazione tecnica, riferita al maxiemendamento approvato al Senato, quantifica in riferimento alle norme i seguenti effetti complessivi di maggior entrata per cassa:

 

(milioni di euro)

CASSA

2012

2013

2014

Maggiori entrate

46,2

61,7

61,7

 

La relazione afferma che, ai fini della quantificazione degli effetti del comma 36-bis - che incrementa del 10 per cento la quota imponibile di utili netti destinati a riserve indivisibili delle cooperative di consumo e delle altre cooperative, ad eccezione di quelle agricole e della piccola pesca – è stata realizzata una specifica elaborazione dei Modelli UNICO 2010, distinguendo, in base all’attività esercitata, tra le due tipologie di cooperative.

Gli utili di esercizio netti annuali risultano pari a 93 milioni per le cooperative di consumo ed a 1.058 milioni per le altre cooperative, per un totale di 1.151 milioni. Applicando a tale ammontare l’incremento di base imponibile del 10 per cento[140] e l’aliquota legale IRES del 27,5 per cento si ottiene una maggiore imposta annua per competenza di 31,6 milioni.

Anche la stima degli effetti del comma 36-ter - che assoggetta ad imposta il 10 per cento degli utili netti annuali destinati alla riserva obbligatoria - si basa su un’elaborazione dei modelli UNICO 2010. Ne risulta un importo complessivo di utili netti destinati annualmente a riserva minima obbligatoria pari a 1.097 milioni [(1.239*30%)+ (1.036*70%)], cui corrisponde un recupero di gettito annuo per competenza di 30,1 milioni (1.097*10%*27,5%).

Il gettito complessivo IRES di competenza annua è di 61,7 milioni.

Le stime di cassa considerano l’applicazione delle nuove disposizioni in sede di versamento in acconto per il 2012, scontando una percentuale di acconto effettivo del 75 per cento (61,7*75% =46,2 milioni).

 

In merito ai profili di quantificazione si è rilevato che la quantificazione risulta corretta sulla base dei dati forniti dalla relazione tecnica. Tuttavia tali dati, in quanto risultato finale di specifiche elaborazioni puntuali condotte sulle dichiarazioni IRES, non sono suscettibili di analitica verifica.

 


 

Articolo 2, commi 36-quinquies-36-duodecies
(Società di comodo)

 


36-quinquies. L'aliquota dell'imposta sul reddito delle società di cui all'articolo 75 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, dovuta dai soggetti indicati nell'articolo 30, comma 1, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, è applicata con una maggiorazione di 10,5 punti percentuali. Sulla quota del reddito imputato per trasparenza ai sensi dell'articolo 5 del testo unico delle imposte sui redditi dai soggetti indicati dall'articolo 30, comma 1, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, a società o enti soggetti all'imposta sul reddito delle società trova comunque applicazione detta maggiorazione.

36-sexies. I soggetti indicati nell'articolo 30, comma 1, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, che hanno esercitato l'opzione per la tassazione di gruppo di cui all'articolo 117 del testo unico delle imposte sui redditi, assoggettano autonomamente il proprio reddito imponibile alla maggiorazione prevista dal comma 36-quinquies e provvedono al relativo versamento.

36-septies. Il comma 36-sexies trova applicazione anche con riguardo alla quota di reddito imputato per trasparenza ai sensi dell'articolo 5 del testo unico delle imposte sui redditi, da uno dei soggetti indicati nell'articolo 30, comma 1, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, ad una società o ente che abbia esercitato l'opzione per la tassazione di gruppo ai sensi dell'articolo 117 del testo unico delle imposte sui redditi.

36-octies. I soggetti indicati nell'articolo 30, comma 1, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, che hanno esercitato, in qualità di partecipati, l'opzione per la trasparenza fiscale di cui all'articolo 115 o all'articolo 116 del testo unico delle imposte sui redditi, assoggettano autonomamente il proprio reddito imponibile alla maggiorazione prevista dal comma 36-quinquies e provvedono al relativo versamento. I soggetti indicati nell'articolo 30, comma 1, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, che abbiano esercitato, in qualità di partecipanti, l'opzione per la trasparenza fiscale di cui al citato articolo 115 del testo unico delle imposte sui redditi assoggettano il proprio reddito imponibile alla maggiorazione prevista dal comma 36-quinquies, senza tener conto del reddito imputato dalla società partecipata.

36-nonies. Le disposizioni di cui ai commi da 36-quinquies a 36-octies si applicano a decorrere dal periodo d'imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. Nella determinazione degli acconti dovuti per il periodo di imposta di prima applicazione si assume, quale imposta del periodo precedente, quella che si sarebbe determinata applicando le disposizioni di cui ai commi da 36-quinquies a 36-octies.

36-decies. Pur non ricorrendo i presupposti di cui all'articolo 30, comma 1, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, le società e gli enti ivi indicati che presentano dichiarazioni in perdita fiscale per tre periodi d'imposta consecutivi sono considerati non operativi a decorrere dal successivo quarto periodo d'imposta ai fini e per gli effetti del citato articolo 30. Restano ferme le cause di non applicazione della disciplina in materia di società non operative di cui al predetto articolo 30 della legge n. 724 del 1994.

36-undecies. Il comma 36-decies trova applicazione anche qualora, nell'arco temporale di cui al medesimo comma, le società e gli enti siano per due periodi d'imposta in perdita fiscale ed in uno abbiano dichiarato un reddito inferiore all'ammontare determinato ai sensi dell'articolo 30, comma 3, della citata legge n. 724 del 1994.

36-duodecies. Le disposizioni di cui ai commi 36-decies e 36-undecies si applicano a decorrere dal periodo d'imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. Nella determinazione degli acconti dovuti per il periodo di imposta di prima applicazione si assume, quale imposta del periodo precedente, quella che si sarebbe determinata applicando le disposizioni di cui ai commi 36-decies e 36-undecies.


 

 

I commi da 36-quinquies a 36-duodecies dell’articolo 2 recano norme in materia di società di comodo disponendo, da una parte, una maggiorazione di 10,5 punti percentuali sull'imposta sul reddito delle società (IRES) e, dall’altra, estendendo l’applicazione della maggiorazione alle società che presentano dichiarazioni in perdita fiscale per tre periodi d'imposta consecutivi.

 

A) Società di comodo

 

Per società non operative (ovvero “società di comodo”) si intendono quelle che non sono preposte a svolgere un’attività economica o commerciale, ma soltanto a gestire un patrimonio mobiliare o immobiliare. L’ordinamento tributario prevede una disciplina di contrasto di tali società, volta ad evitarne l’utilizzo a fini antielusivi. L’individuazione avviene attraverso il cd. test operatività, che mette a confronto i ricavi dichiarati e i ricavi presunti che la società si stima debba generare in base ai valori iscritti all’attivo in bilancio. Alle società di comodo viene obbligatoriamente attribuito un reddito minimo - applicando alcune percentuali prefissate al valore delle attività patrimoniali - la cui disapplicazione può essere richiesta all’Agenzia delle entrate tramite interpello.

 

La disciplina delle società di comodo è recata dall’articolo 30 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, ai sensi del quale le società per azioni, in accomandita per azioni, a responsabilità limitata, in nome collettivo e in accomandita semplice, nonché le società e gli enti di ogni tipo non residenti, con stabile organizzazione nel territorio dello Stato, si considerano, salvo prova contraria, non operativi se l’ammontare complessivo dei ricavi, degli incrementi delle rimanenze e dei proventi, esclusi quelli straordinari, risultanti dal conto economico, ove prescritto, è inferiore alla somma degli importi che risultano applicando una serie di percentuali:

a)  il 2 per cento al valore dei beni indicati nell’articolo 85, comma 1, lettere c), d) ed e), del TUIR (vale a dire i corrispettivi delle cessioni di azioni o quote di partecipazioni, anche non rappresentate da titoli, al capitale di società ed enti assoggettati ad IRES, i corrispettivi delle cessioni di strumenti finanziari similari alle azioni, i corrispettivi delle cessioni di obbligazioni e di altri titoli in serie o di massa), e delle quote di partecipazione nelle società commerciali di cui all'articolo 5 del medesimo testo unico, anche se costituiscono immobilizzazioni finanziarie, aumentato del valore dei crediti;

b)  il 6 per cento al valore delle immobilizzazioni costituite da beni immobili e da beni indicati nell’articolo 8-bis, primo comma, lettera a), del D.P.R. n. 633 del 1972 in materia di imposta sul valore aggiunto, anche in locazione finanziaria (vale a dire le cessioni di navi destinate all’esercizio di attività commerciali o della pesca o ad operazioni di salvataggio o di assistenza in mare, ovvero alla demolizione, escluse le unità da diporto); per gli immobili classificati nella categoria catastale A/10, la predetta percentuale è ridotta al 5 per cento; per gli immobili a destinazione abitativa acquisiti o rivalutati nell'esercizio e nei due precedenti, la percentuale è ulteriormente ridotta al 4 per cento; per tutti gli immobili situati in comuni con popolazione inferiore a 1.000 abitanti la percentuale è dell'1 per cento;

c)  il 15 per cento del valore delle altre immobilizzazioni, anche in locazione finanziaria; per i beni situati in comuni con popolazione inferiore ai mille abitanti, tale percentuale è ridotta al 10 per cento.

 

Il medesimo articolo 30 reca i casi di esenzione dalla normativa antielusiva di contrasto delle società di comodo:

1) i soggetti ai quali è fatto obbligo di costituirsi sotto forma di società di capitali;

2) i soggetti che si trovano nel primo periodo di imposta;

3) le società in amministrazione controllata o straordinaria;

4) le società ed enti che controllano società ed enti i cui titoli sono negoziati in mercati regolamentati italiani ed esteri, nonché le stesse società ed enti quotati e le società da essi controllate, anche indirettamente;

5) le società esercenti pubblici servizi di trasporto;

6) le società con un numero di soci non inferiore a 50;

6-bis) le società che nei due esercizi precedenti hanno avuto un numero di dipendenti mai inferiore alle dieci unità;

6-ter) le società in stato di fallimento, assoggettate a procedure di liquidazione giudiziaria, di liquidazione coatta amministrativa ed in concordato preventivo;

6-quater) le società che presentano un ammontare complessivo del valore della produzione (raggruppamento A del conto economico) superiore al totale attivo dello stato patrimoniale;

6-quinquies) le società partecipate da enti pubblici almeno nella misura del 20 per cento del capitale sociale;

6-sexies) le società che risultano congrue e coerenti ai fini degli studi di settore.

 

Per i soggetti considerati di comodo, inoltre, le perdite di esercizio possono essere utilizzate solo in compensazione della parte di reddito eccedente quello minimo presunto:

Per quanto concerne l’Iva, esistono delle limitazioni all’utilizzo del credito derivante dalla dichiarazione annuale. Nello specifico, l’eccedenza di credito risultante ai fini della dichiarazione Iva non può essere compensato ai sensi dell’art. 17 del D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, non è ammesso a rimborso né può essere ceduto ai sensi dell’art. 5, comma 4-ter), del D.L. 14 marzo 1988, n. 70; inoltre, se per tre periodi di imposta consecutivi la società non effettua operazioni rilevanti a fini Iva per un importo almeno pari ai ricavi figurativi di cui al “test di operatività”, l’eccedenza di credito non è ulteriormente riportabile a scomputo dell’Iva a debito relativa ai periodi di imposta successivi.

Ai fini Irap, la società deve dichiarare un valore della produzione netta non inferiore al reddito minimo presunto aumentato delle retribuzioni sostenute per il personale dipendente, dei compensi spettanti ai collaboratori, dei compensi per prestazioni occasionali di lavoro autonomo e degli interessi passivi.

 

Si ricorda che la disciplina sopra citata è stata recentemente modificata in senso restrittivo dai commi 109 e 326 dell’articolo 1 (unico) della legge n. 296 del 2006 (finanziaria 2007) e dall'articolo 1, commi 128 e 129 della n. 244 del 2007 (finanziaria 2008): sono stati innalzati i coefficienti di redditività per verificare l’operatività delle società ed il reddito minimo dei soggetti considerati non operativi, sono state inasprite le disposizioni sull’utilizzabilità del credito Iva, sono state modificate le cause di esclusione (sopprimendo l’esimente generica del periodo di non normale svolgimento dell’attività), è stata data rilevanza alla disciplina in esame anche a fini Irap e la disapplicazione della stessa è stata subordinata alla presentazione di un’apposita istanza da inviare all’Amministrazione finanziaria (ai sensi del comma 8, dell’art. 37-bis, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600) “in presenza di oggettive situazioni che hanno reso impossibile” il conseguimento dei ricavi e dei redditi minimi stabiliti dalla normativa.

La finanziaria 2008 ha disposto inoltre la riapertura dei termini della procedura di scioglimento e trasformazione agevolata delle società di comodo di cui all'articolo 1, commi da 111 a 117 della legge finanziaria 2007 nonché la modifica delle aliquote delle imposte sostitutive di cui all'articolo 1, comma 112, primo e secondo periodo, della medesima legge.

 

Le circolari dell’Agenzia dell’entrate n. 25 del 4 maggio 2007 e n. 9 del 14 febbraio 2008 recano le modalità applicative delle disposizioni descritte.

 

I commi da 36-quinquies a 36-novies modificano, in senso restrittivo, tale disciplina.

 

In dettaglio, il comma 36-quinquies introduce, per tali società, una maggiorazione di 10,5 punti percentuali dell’aliquota dell'imposta sul reddito delle società (IRES), portandola al 38 per cento.

Si ricorda che la riforma dell’imposizione sul reddito delle società è stata attuata con il D.Lgs. 12 dicembre 2003, n. 344. Attualmente, ai sensi dell’articolo 77 del TUIR, l'imposta è commisurata al reddito complessivo netto con un’aliquota unica del 27,5 per cento.

 

Detta maggiorazione si applica anche sulla quota del reddito imputato per trasparenza dalle società in argomento a società o enti soggetti all'imposta sul reddito delle società.

La tassazione per trasparenza, regime naturale di imposizione per le società di persone, consiste nell’imputazione del reddito prodotto dalla società a ciascun socio, indipendentemente dalla percezione e proporzionalmente alla quota di partecipazione agli utili. La riforma IRES ha esteso tale istituto alle società di capitali, prevedendolo come opzionale alla tassazione ordinaria, e precisamente:

§       alle società di capitali interamente partecipate da altre società di capitali residenti, con percentuali di partecipazione agli utili e di diritti di voto in assemblea comprese tra il 10% e il 50%. Sono ammessi anche soci non residenti purché nei loro confronti non vi sia l’obbligo di effettuare ritenute alla fonte sugli utili distribuiti (art. 115 del Tuir);

§       alle Srl con ricavi non superiori alla soglia prevista per gli studi di settore e con massimo 10 soci persone fisiche (art. 116 del Tuir).

Sono escluse dalla possibilità della tassazione per trasparenza le partecipate che hanno optato per il consolidato fiscale (nazionale o mondiale) o che hanno emesso strumenti finanziari partecipativi di cui all’articolo 2346 del Codice Civile e le Srl interamente partecipate da persone fisiche che possiedono a loro volta partecipazioni con requisiti della participation exemption (art. 87 del Tuir). L’opzione deve essere esercitata congiuntamente da tutte le parti coinvolte (soci e società partecipata), è irrevocabile per tre esercizi sociali della partecipata e deve essere comunicata all’Agenzia delle Entrate entro il primo di essi.

 

Il comma 36-sexies stabilisce che le società che hanno esercitato l'opzione per la tassazione di gruppo assoggettano autonomamente il proprio reddito imponibile alla maggiorazione in commento e provvedono al relativo versamento.

La tassazione di gruppo, di cui all'articolo 117 del Tuir, prevede che il reddito sia imputato all’intero gruppo avendo come base imponibile il reddito globale del gruppo (cd reddito consolidante).

L’adesione al consolidato fiscale nazionale consente di calcolare l’Ires in modo unitario effettuando la somma algebrica dei redditi complessivi netti di ogni aderente al consolidato. Affinché una società possa consolidarne un’altra occorre che fra le stesse vi sia un rapporto di controllo qualificato, e quindi la controllante abbia contemporaneamente la maggioranza assoluta sia per quanto riguarda i diritti di voto sia del capitale sociale e della quota di diritto agli utili. La società consolidante deve esercitare sulla società partecipata un controllo comunque di diritto in base all’art. 2359 c. 1 del cod. civ. Inoltre la società consolidante deve disporre della maggioranza assoluta di partecipazione al capitale sociale ed agli utili di bilancio. I requisiti di tale controllo devono sussistere dall’ inizio dell’ esercizio dea quando si attua il consolidato sino alla fine. Tale requisito deve essere detenuto ininterrottamente durate il periodo in esame.

L’opzione deve essere esercitata congiuntamente dal soggetto controllante e da ogni società controllata. Ha una durata di tre esercizi (per i quali la scelta è irrevocabile) e scaduti i tre anni può essere rinnovata. L’esercizio dell’ opzione viene comunicato, sempre a cura della società consolidante, all’Agenzia delle Entrate attraverso l’invio telematico di un apposito modello per la comunicazione relativa al regime di tassazione del consolidato nazionale.

 

Ai sensi del comma 36-septies la norma si applica anche con riguardo alla quota di reddito imputata per trasparenza da una società di comodo ad una società o ente che abbia esercitato l'opzione per la tassazione di gruppo di cui sopra.

 

Il successivo comma 36-octies prevede quindi che le società di comodo che hanno esercitato, in qualità di partecipate, l'opzione per la trasparenza assoggettano autonomamente il proprio reddito imponibile alla maggiorazione e provvedono al relativo versamento.

 

Il predetto comma regola anche - al secondo periodo - il caso in cui una società di comodo abbia esercitato, in qualità di partecipante, l'opzione per la trasparenza fiscale: in tal caso, nell’assoggettare il reddito imponibile alla maggiorazione, tale società non tiene conto del reddito imputato dalla società partecipata.

 

Quanto alla decorrenza delle nuove disposizioni, ai sensi del comma 36-novies, esse si applicano a decorrere dal periodo d'imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge(vale a dire, dal 2012). La norma peraltro specifica che nella determinazione degli acconti dovuti per il periodo di imposta di prima applicazione si assume, quale imposta del periodo precedente, quella che si sarebbe determinata applicando la nuova disciplina.

 

B) Società in perdita

 

I commi da 36-decies a 36-duodecies estendono l’applicazione della maggiorazione alle società che presentano dichiarazioni in perdita fiscale per tre periodi d'imposta consecutivi.

 

In dettaglio, il comma 36-decies specifica che, nei casi in cui non ricorrano i presupposti per considerare la società non operativa (e quindi cd. società di comodo), le società e gli enti che presentano dichiarazioni in perdita fiscale per tre periodi d'imposta consecutivi, sono considerati non operativi a decorrere dal successivo quarto periodo d'imposta. La norma fa comunque salve le clausole di esclusione previste dall’articolo 30 della legge n. 724 del 1994, sopra descritte.

 

Ai sensi del successivo comma 36-undecies, la condizione di società non operativa ricorre anche qualora per tre periodi d'imposta consecutivi, le società e gli enti siano per due periodi d'imposta in perdita fiscale ed in uno abbiano dichiarato un reddito inferiore all'ammontare determinato ai sensi dell'articolo 30, comma 3, della citata legge n. 724 del 1994.

 

Il citato comma 3 dell’articolo 30 della legge 724/1994 stabilisce che, ai fini dell'imposta personale sul reddito, si presume che il reddito del periodo di imposta non sia inferiore all'ammontare della somma degli importi derivanti dall'applicazione, ai valori dei beni posseduti nell'esercizio, delle seguenti percentuali:

a)    l'1,50 per cento sul valore dei beni indicati nell'articolo 85, comma 1, lettere c), d) ed e), del TUIR (vedi sopra) e delle quote di partecipazione nelle società di persone cd. commerciali di cui all'articolo 5 del medesimo testo unico, anche se i predetti beni e partecipazioni costituiscono immobilizzazioni finanziarie, aumentato del valore dei crediti;

b)    il 4,75 per cento sul valore delle immobilizzazioni costituite da beni immobili e da beni (navi) indicati nell'articolo 8-bis, primo comma, lettera a), del DPR 26 ottobre 1972, n. 633, anche in locazione finanziaria; per le immobilizzazioni costituite da beni immobili a destinazione abitativa acquisiti o rivalutati nell'esercizio e nei due precedenti la predetta percentuale è ridotta al 3 per cento; per gli immobili classificati nella categoria catastale A/10, la predetta percentuale è ulteriormente ridotta al 4 per cento; per tutti gli immobili situati in comuni con popolazione inferiore a 1.000 abitanti la percentuale è dello 0,9 per cento;

c)    il 12 per cento sul valore complessivo delle altre immobilizzazioni anche in locazione finanziaria.

Le perdite di esercizi precedenti possono essere computate soltanto in diminuzione della parte di reddito eccedente quello minimo di cui al presente comma

 

Il comma 36-duodecies, infine, con una disposizione identica a quella contenuta nel comma 36-novies, regola la decorrenza delle norme in commento, prevedendo che esse si applichino a decorrere dal periodo d'imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge (vale a dire, dal 2012). Anche in questo caso, nella determinazione degli acconti dovuti per il periodo di imposta di prima applicazione si assume, quale imposta del periodo precedente, quella che si sarebbe determinata applicando la nuova disciplina.

 

Si ricorda, da ultimo, che già l’articolo 24 del decreto-legge n. 78 del 2010 ha introdotto alcune disposizioni volte a indirizzare l’attività di controllo dell’Agenzia delle Entrate e della Guardia di finanza verso il contrasto del fenomeno delle imprese in perdita fiscale cosiddetta “sistemica”. A tal fine, il comma 1 obbliga i predetti soggetti a programmare i controlli fiscali in modo da assicurare una vigilanza sistematica - basta su specifiche analisi di rischio - su imprese che presentano dichiarazioni in perdita fiscale per più di un periodo di imposta. Tale perdita non deve essere determinata da compensi erogati ad amministratori e soci; inoltre l’impresa non deve aver deliberato e interamente liberato, nello stesso periodo (più di un periodo d’imposta) uno o più aumenti di capitale a titolo oneroso, di importo almeno pari alle perdite fiscali stesse.

La norma prevede inoltre che nei confronti dei contribuenti non soggetti agli studi di settore né a tutoraggio siano realizzati piani annuali coordinati di intervento, elaborati sulla base di analisi di rischio a livello locale, che riguardino almeno un quinto della platea di riferimento.

Profili finanziari (Art. 2 commi da 36-quinquies a 36-novies)

 

Il prospetto riepilogativo riferito al testo approvato definitivamente, ascrive alle norme i seguenti effetti di maggior gettito:

(milioni di euro)

 

Saldo netto da finanziare

Fabbisogno

Indebitamento netto

 

2012

2013

2014

2012

2013

2014

2012

2013

2014

Maggior gettito

25,1

33,5

33,5

25,1

33,5

33,5

25,1

33,5

33,5

 

La relazione tecnica riferita al maxiemendamento utilizza, per la stima del maggior gettito, i dati dichiarati nel prospetto per la verifica della operatività presente nel quadro RF del modello UNICO 2010 delle società di capitali dal quale risulta – per le società interessate alla disciplina in esame – un ammontare di reddito minimo pari a circa 241 milioni di euro e un totale di reddito imponibile effettivamente dichiarato pari a circa 319 milioni di euro.

Nel quadro RF richiamato dalla relazione tecnica è contenuto un prospetto, per il quale è prevista l’obbligatoria compilazione, recante “Verifica dell’operatività e determinazione del reddito imponibile minimo dei soggetti non operativi”. In tale prospetto vengono messi a confronto i ricavi presunti – determinati applicando specifici coefficienti stabiliti dalla legge ad alcune voci di bilancio (titoli e credito, immobili, altre immobilizzazioni, beni piccoli comuni) – e i ricavi effettivi. Nel caso in cui questi ultimi siano inferiori a quelli presunti la società è qualificata come “non operativa” ed è tenuta ad incrementare proporzionalmente il proprio reddito ai fini fiscali.

Il reddito imponibile minimo corrisponde alla differenza tra il reddito fiscale rideterminato e le componenti escluse dalla base imponibile nonché altre agevolazioni che vengono, in ogni caso, riconosciute al contribuente (ad es. proventi esenti o soggetti alla ritenuta alla fonte).

Infine, la base imponibile IRES è rappresentata dal maggior valore tra reddito complessivo imponibile determinato con criteri ordinari (indicato nel rigo RN6) e il reddito imponibile minimo determinato ai fini della verifica della non operatività.

La relazione tecnica quantifica il maggior gettito IRES, in termini di competenza annua, applicando l’aliquota 10,5% all’ammontare del reddito complessivamente dichiarato dalle società considerate (319 x 10,5% = 33,5 milioni).

Per la stima degli effetti di cassa è stato considerato un acconto d’imposta pari al 75% versato già nel primo anno di applicazione, come disposto dalle norme in esame. Pertanto, nel 2012 gli effetti di maggior gettito sono pari a 33,5 x 75% = 25,1 milioni mentre a decorrere dal 2013 il maggior gettito è stimato a regime in 33,5 milioni annui.

 

In merito ai profili di quantificazione è stato osservato che, tenuto conto dei dati esposti nella relazione tecnica, una quantificazione degli effetti di maggior gettito basata sulla maggiorazione di aliquota applicata al reddito imponibile minimo si sarebbe ritenuta più prudenziale.

 

Profili finanziari (Art. 2 commi da 36-decies a 36-duodecies)

 

Il prospetto riepilogativo riferito al testo approvato definitivamente ascrive alle norme in esame i seguenti effetti di maggior gettito:

(milioni di euro)

 

Saldo netto da finanziare

Fabbisogno

Indebitamento netto

 

2012

2013

2014

2012

2013

2014

2012

2013

2014

MAGGIOR GETTITO

169,7

226,3

226,3

169,7

226,3

226,3

169,7

226,3

226,3

 

La relazione tecnica analizza per la quantificazione degli effetti finanziari, le dichiarazioni relative agli anni 2007-2008-2009 per individuare le imprese che per tre anni consecutivi hanno evidenziato una perdita fiscale. In base ai dati indicati nel prospetto di verifica della operatività (quadro RF) la relazione tecnica fornisce una stima del reddito minimo sul quale applicare la tassazione (1.192 milioni di euro) senza indicare i criteri e le ipotesi adottate.

Il suddetto valore viene, poi, ridotto del 50% per tenere conto della facoltà delle imprese di richiedere l’interpello e, pertanto, l’imponibile considerato risulta pari a:

1.192 x 50%=596 milioni.

Conseguentemente, il recupero del gettito ad aliquota ordinaria IRES (27,5%) risulta pari, in termini di competenza annua, a:

596 x 27,5% = 164 milioni

al quale si aggiunge la maggiorazione IRES (10,5%) per le società di comodo introdotta dai commi da 36-quinquies a 36-novies dell’articolo in esame:

596 x 10,5% = 62,3 milioni di euro.

Complessivamente, il maggior gettito in termini di competenza annua stimato dalla relazione tecnica ammonta a 164 + 62,3 = 226,3 milioni di euro.

Per la stima degli effetti di cassa si considera un acconto d’imposta, da versare già nel primo periodo di applicazione della nuova disciplina, in misura pari al 75%. Pertanto, nel 2012 il maggior gettito risulta pari a 226,3 x 75% = 169,7 milioni e, a decorrere dal 2013, il maggior gettito è stimato in 226,3 milioni di euro annui.

 

In merito ai profili di quantificazione, è stata rilevata l’opportunità di acquisire chiarimenti in merito alla correlazione tra il dettato delle norme e gli effetti finanziari indicati nella relazione tecnica.

Ciò in quanto ai sensi del comma 36-decies le società interessate dalle norme in esame sono considerate non operative “a decorrere dal successivo quarto periodo d’imposta”. Qualora l’espressione “a decorrere” non sia da interpretare in riferimento ad un solo periodo d’imposta, la disciplina sulle società di comodo diventerebbe permanentemente sostitutiva della disciplina ordinaria tributaria vigente.

Inoltre, in base ad una interpretazione letterale della disposizione che consideri – in ogni caso – l’applicazione della disciplina delle società di comodo ad un solo esercizio e non in via permanente (“a decorrere”), alle società interessate verrebbe riconosciuta la perdita fiscale dichiarata per tre esercizi consecutivi mentre, nel quarto esercizio, si applicherebbe la disciplina delle società di comodo. Poiché nel quarto esercizio la società potrebbe realizzare un reddito ai fini fiscali e risultare operativa nel prospetto della verifica della operatività, il maggior gettito IRES quantificato nella relazione tecnica andrebbe depurato della quota di imposta che, in ogni caso, sarebbe stata versata dalla società.

La relazione tecnica non fornisce informazioni in merito ai criteri utilizzati per la stima del valore imponibile utilizzato nella quantificazione. In particolare, è stata rilevata la necessità di chiarire se, in tale valore, siano state considerate anche le società che, nell’arco del triennio, dichiarano due esercizi in perdita fiscale ed uno con un reddito inferiore al reddito minimo delle società di comodo.

In merito all’abbattimento dell’imponibile - operato per tenere conto della facoltà delle imprese di richiedere l’interpello – è stato rilevato che non sono stati considerati gli effetti di deterrenza già ascritti alle disposizioni contenute nell’art. 24 del D.L. n. 78/2010. Infatti, nel quantificare il gettito atteso dal potenziamento dell’attività di accertamento nei confronti delle società in perdita per almeno tre esercizi consecutivi, la relazione tecnica allegata al citato provvedimento ha stimato una crescita spontanea della base imponibile da parte dei soggetti interessati.

Tale norma, in materia di potenziamento dell’attività di accertamento fiscale, ha disposto una priorità nello svolgimento dell’attività medesima nei confronti delle società che per tre esercizi consecutivi dichiarano una perdita d’esercizio. La relativa relazione tecnica ha stimato, tra l’altro, un maggior gettito dovuto ad un effetto dissuasivo della norma. In particolare, è stato valutato che il reddito considerato nella quantificazione (pari a 30 miliardi) avrebbe registrato, a seguito dell’introduzione della disposizione, un incremento del 3 per cento nel 2011, del 7 per cento nel 2012 e del 9 per cento nel 2013. A tali incrementi, applicando un’aliquota media del 27,5 per cento, sono stati attribuiti effetti di maggior gettito, in termini di competenza, pari a 247,5 milioni di euro nel 2011, 577,5 milioni di euro nel 2012 e 742,5 milioni di euro dal 2013.

Poiché è presumibile ipotizzare che le perdite dichiarate anche dopo l’entrata in vigore del richiamato articolo 24 siano realmente conseguite, si ritiene che la quota delle imprese che utilizzeranno l’interpello potrà risultare superiore al 50% ipotizzato dalla relazione tecnica.

Per quanto concerne l’applicazione della maggiorazione dell’aliquota IRES di 10,5 punti percentuali, la relazione tecnica non considera le eventuali sovrapposizioni che possono verificarsi con la quantificazione operata nei precedenti commi da 36-quinquies a 36-nonies. In tale sede, infatti, sono state considerate le società risultate non operative in base alla dichiarazione presentata per l’anno 2009. Tenuto conto che una parte di queste possa rientrare anche tra le società in perdita fiscale per tre anni, gli effetti finanziari positivi ascritti alle norme in esame andrebbero considerati alla luce del gettito relativo alla maggiorazione IRES risulta già quantificato nelle precedenti norme.

In merito alla decorrenza della norma, ed in particolare al primo triennio da considerare e al primo periodo d’imposta cui occorre applicare la disciplina delle società di comodo, tenuto conto che la norma ascrive effetti dal 2012 corrispondenti al versamento dell’acconto d’imposta, è stato osservato[141]:

-       qualora il primo triennio da prendere in considerazione sia il 2010-2012, le società interessate non sono in grado di sapere con esattezza, alla data del 30 novembre 2012 (data entro la quale deve essere versato l’intero acconto d’imposta), se chiuderanno l’esercizio 2012 in perdita fiscale ovvero se al momento della compilazione della dichiarazione dei redditi 2012 risulteranno o meno operative. Questa circostanza potrebbe influire sul gettito atteso dal maggiore acconto IRES come considerato nel 2012 dalla relazione tecnica;

-       qualora il primo triennio da prendere in considerazione sia il 2009-2011, le norme in esame si applicherebbero al periodo d’imposta 2012 indipendentemente dal risultato fiscale dichiarato in tale esercizio dalle società interessate. In tale ipotesi, il gettito atteso andrebbe stimato tenendo conto delle società che nel 2012 avrebbero comunque dichiarato un utile fiscale e, pertanto, avrebbero comunque pagato, almeno in parte, l’IRES.

 

La Nota del Dipartimento delle finanze dell’8 settembre 2011, nel precisare che, in attesa di circolari interpretative, la relazione tecnica è stata redatta applicando la disciplina delle società non operative in sostituzione della disciplina tributaria ordinaria, ha fornito i seguenti chiarimenti:

       le disposizioni sono dirette a colpire le imprese sistematicamente in perdita, le quali probabilmente non avrebbero comunque dichiarato un reddito nel 2012; si ipotizza, inoltre, che alla data prevista per il versamento dell’acconto d’imposto le imprese considerate siano in grado di conoscere il risultato del periodo d’imposta in corso. I contribuenti che si trovano in una diversa situazione, sono stati esclusi in fase di riduzione del gettito per tenere conto delle imprese di richiedere l’interpello;

       in merito agli effetti recati dalle società che, dopo aver dichiarato perdite, realizzino un utile effettivo, la Nota chiarisce che l’archivio utilizzato e le caratteristiche dei modelli di simulazione non permettono di gestire tali variazioni ma sono da considerare statisticamente validi in quanto riescono a tenere conto di imprese che passano da perdita ad utile e viceversa;

       in merito alla valutazione dell’imponibile, la Nota afferma che, in relazione ai soggetti considerati, è stato calcolato il reddito minimo sulla base dei dati indicati nel prospetto di verifica della non operatività, senza verificare il test di operatività reso inutile dalla disposizione;

       in merito all’ambito di applicazione, la Nota dichiara che non sono state considerate, prudenzialmente, le società che, nell’arco del triennio, realizzano per due esercizi la perdita e per un esercizio dichiarano un reddito inferiore al minimo;

       non sono presenti sovrapposizioni con la quantificazione operata nei commi da 36-quinquies a 36-nonies;

       gli effetti di deterrenza già ascritti alle disposizioni contenute nell’art. 24 del D.L. 78/2010 “sono stati considerati in sede di valorizzazione del reddito minimo teorico, escludendo i soggetti che dichiarino una perdita che rientra in un intorno tale da consentire margini di manovra per evidenziare un utile, successivamente tale stima è stata ridotta ulteriormente per tenere conto della facoltà delle imprese di richiedere l’interpello”.

 


 

Articolo 2, commi 36-terdecies-36-duodevicies
(Normativa antielusione)

 


36-terdecies. All'articolo 67, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, dopo la lettera h-bis), è inserita la seguente:

«h-ter) la differenza tra il valore di mercato e il corrispettivo annuo per la concessione in godimento di beni dell'impresa a soci o familiari dell'imprenditore».

36-quaterdecies. I costi relativi ai beni dell'impresa concessi in godimento a soci o familiari dell'imprenditore per un corrispettivo annuo inferiore al valore di mercato del diritto di godimento non sono in ogni caso ammessi in deduzione dal reddito imponibile.

36-quinquiesdecies. La differenza tra il valore di mercato e il corrispettivo annuo concorre alla formazione del reddito imponibile del socio o familiare utilizzatore ai sensi dell'articolo 67, comma 1, lettera h-ter), del testo unico delle imposte sui redditi, introdotta dal comma 36-terdecies del presente articolo.

36-sexiesdecies. Al fine di garantire l'attività di controllo, nelle ipotesi di cui al comma 36-quaterdecies l'impresa concedente ovvero il socio o il familiare dell'imprenditore comunicano all'Agenzia delle entrate i dati relativi ai beni concessi in godimento. Con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto sono individuati modalità e termini per l'effettuazione della predetta comunicazione. Per l'omissione della comunicazione, ovvero per la trasmissione della stessa con dati incompleti o non veritieri, è dovuta, in solido, una sanzione amministrativa pari al 30 per cento della differenza di cui al comma 36-quinquiesdecies. Qualora, nell'ipotesi di cui al precedente periodo, i contribuenti si siano conformati alle disposizioni di cui ai commi 36-quaterdecies e 36-quinquiesdecies, è dovuta, in solido, la sanzione di cui all'articolo 11, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471.

36-septiesdecies. L'Agenzia delle entrate procede a controllare sistematicamente la posizione delle persone fisiche che hanno utilizzato i beni concessi in godimento e ai fini della ricostruzione sintetica del reddito tiene conto, in particolare, di qualsiasi forma di finanziamento o capitalizzazione effettuata nei confronti della società.

36-duodevicies. Le disposizioni di cui ai commi da 36-terdecies a 36-septiesdecies si applicano a decorrere dal periodo d'imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. Nella determinazione degli acconti dovuti per il periodo di imposta di prima applicazione si assume, quale imposta del periodo precedente, quella che si sarebbe determinata applicando le disposizioni di cui ai commi da 36-terdecies a 36-septiesdecies.


 

 

I commi da 36-terdecies a 36-duodevicies dell’articolo 2 contemplano una nuova ipotesi di tassazione per l’uso di beni intestati fittiziamente a società: viene considerata reddito diverso ai fini IRPEF la differenza tra il valore di mercato e il corrispettivo annuo per la concessione in godimento di beni dell’impresa a soci o familiari dell’imprenditore. Inoltre è prevista l’indeducibilità dei costi relativi ai beni concessi ai soci o ai familiari per un corrispettivo annuo inferiore al valore di mercato del diritto di godimento. Le norme, infine, prevedono un potenziamento dell’attività di accertamento effettuata dall’Agenzia delle Entrate.

 

Il comma 36-terdecies inserisce all’articolo 67 del testo unico delle imposte sui redditi (TUIR, D.P.R. n. 917/1986) una nuova fattispecie di “reddito diverso” qualora la società o l’impresa individuale conceda dei beni in godimento ai soci o ai familiari dell’imprenditore per un corrispettivo annuo inferiore al loro prezzo di mercato. In tal caso il comma 36-quinquiesdecies specifica che la differenza tra il valore di mercato e il corrispettivo annuo previsto per la detta concessione concorre alla formazione del reddito complessivo del socio o familiare quale reddito diverso.

Si ricorda che ai sensi dell’articolo 5, ultimo comma, del TUIR, i familiari dell’imprenditore individuale sono il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo grado.

 

Il comma 36-quaterdecies esplicita che i costi relativi ai beni concessi ai soci o ai familiari per un corrispettivo annuo inferiore al valore di mercato del diritto di godimento “non sono in ogni caso ammessi in deduzione dal reddito imponibile”.

Si ricorda che il principio di inerenza consente la deducibilità dei costi per l’impresa solo nella misura in cui questi si riferiscano ad attività o beni da cui derivano ricavi tassati. Pertanto si deve ritenere che, a legislazione vigente, i costi relativi ai beni concessi gratuitamente in godimento ai soci o ai familiari sono già indeducibili in sede di determinazione del reddito d’impresa, in quanto carenti del requisito dell’inerenza, ovvero del nesso funzionale che deve collegare i componenti negativi allo svolgimento della specifica attività dell’impresa.

 

Pertanto sulla base delle disposizioni in esame, nel caso in cui una società o un’impresa individuale mettano a disposizione di soci o di familiari dell’imprenditore dei beni di loro proprietà, viene espressamente richiesto che, a fronte di tale utilizzo, la società o l’impresa ricevano un corrispettivo e che tale corrispettivo sia allineato con il valore di mercato. In caso contrario, si configura un reddito in capo al socio o al familiare e un costo indeducibile in capo alla società o all’impresa.

 

I commi 36-sexiesdecies e 36-septiesdecies contengono norme in materia di controllo da parte dell’Agenzia delle entrate sulle prescrizioni descritte. In particolare, nel caso in cui l’impresa abbia concesso in godimento propri beni a soci o a familiari dell’imprenditore per un corrispettivo annuo inferiore al valore di mercato, l’impresa concedente ovvero il socio o il familiare dell’imprenditore devono comunicare all’Agenzia delle entrate i dati relativi ai beni concessi in godimento, al fine di garantire l’attività di controllo.

Con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate, da emanarsi entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto in esame, sono individuati le modalità e i termini per adempiere alla predetta comunicazione.

In caso di mancata comunicazione ovvero in caso di dati incompleti o non veritieri è stabilita in solido una sanzione amministrativa pari al trenta per cento della differenza tra il valore di mercato e il corrispettivo annuo del bene concesso in godimento. Nel caso in cui i contribuenti abbiano omesso di effettuare la comunicazione all’Agenzia delle entrate, avendo comunque adempiuto alla normativa sostanziale introdotta dai commi 36-quaterdecies e 36-quinquiesdecies (indeducibilità dei costi per l’impresa e imponibilità a fini IRPEF quale reddito diverso della differenza tra valore di mercato e corrispettivo pagato per gli utilizzatori dei beni), è dovuta, in solido, la sanzione amministrativa da 258 euro a 2.065 euro[142].

 

Il comma 36-duodevicies dispone che l’Agenzia delle entrate procede a controllare sistematicamente la posizione delle persone fisiche che hanno utilizzato i beni concessi in godimento. L’Agenzia tiene conto, ai fini della ricostruzione sintetica del reddito, di “qualsiasi forma di finanziamento o capitalizzazione effettuata nei confronti della società”.

 

Il comma 36-duodevicies dispone l’applicazione delle norme introdotte a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto in esame (ovvero, in caso di periodo coincidente con l’anno solare, dal 2012).

Per determinare gli acconti dovuti per il periodo di imposta di prima applicazione, si assume, quale imposta del periodo precedente, quella che si sarebbe determinata applicando le disposizioni introdotte dai commi precedenti.

Profili finanziari

 

Il prospetto riepilogativo ascrive i seguenti effetti finanziari:

 

(milioni di euro)

 

Saldo netto da finanziare

Fabbisogno

Indebitamento netto

 

2012

2013

2014

2012

2013

2014

2012

2013

2014

Maggior
gettito
IRPEF/IRES

35,0

47,1

47,1

37,8

50,4

50,4

37,8

50,4

50,4

Minori spese correnti
(IRAP)

2,8

3,3

3,3

 

 

 

 

 

 

 

La relazione tecnica riferita al maxiemendamento afferma che il dato relativo al valore ed ai costi relativi ai beni concessi in godimento ai soci o familiari non è desumibile dalle dichiarazioni dei redditi.

Ritiene pertanto utile procedere all’acquisizione di dati ad essi assimilabili, ossia al valore dei beni assegnati ai soci, che è riportato nelle dichiarazioni dei redditi, tra le variazioni indicate nel quadro relativo alla determinazione del reddito di impresa in contabilità ordinaria.

Tra le variazioni in aumento (e non in diminuzione come erroneamente indicato nella relazione tecnica) indicate nelle dichiarazioni dei redditi è prevista una specifica voce nella quale è iscritto “il valore normale dei beni assegnati ai soci o partecipanti o destinati a finalità estranee all’esercizio dell’impresa”. L’importo iscritto coincide con il costo di acquisto, nel caso di beni non durevoli, ovvero con la quota di ammortamento annua imputata nel conto economico per i beni durevoli.

Dall’analisi delle dichiarazioni UNICO 2010 delle società di capitali, delle società di persone e delle persone fisiche risulta che il valore normale dei beni assegnati risulta pari, rispettivamente, a 5 milioni, 7,2 milioni e 4,1 milioni di euro per un ammontare annuo complessivo di 16,3 milioni.

La relazione tecnica ipotizza che tale valore corrisponda alla quota di ammortamento annuo di cespiti la cui durata media viene stimata in 7 anni, il valore normale dei beni concessi in godimento risulterebbe pari a 16,3 x 7 = 114,1 milioni di euro.

Sulla base di tale ipotesi di stima, la relazione tecnica provvede a determinare, da un lato, il maggior gettito fiscale derivante dalla indeducibilità dei costi da parte delle imprese concedenti e, dall’altro lato, il maggior gettito derivante dall’incremento della base imponibile fiscale del socio o familiare utilizzatore del bene.

 

Indeducibilità dei costi d’impresa

Il valore annuo complessivamente indeducibile comprende, oltre al valore dei cespiti sopra stimato, anche le relative spese di manutenzione che, ai fini fiscali, sono deducibili in misura non superiore al 5% del valore stesso. Pertanto, il maggiore imponibile risulta:

114,1 + 114,1 x 5% = 120 milioni di euro.

Applicando a tale valore l’aliquota media IRPEF/IRES del 30,2% si ottiene un maggior gettito annuo in termini di competenza delle relative imposte pari a 36,2 milioni di euro.

Gli effetti recati ai fini IRAP sono calcolati, prudenzialmente, solo per i valori relativi alle società di persone e alle imprese individuali. Applicando una procedura analoga alla precedente si ottiene una maggiore base imponibile pari a (7,2+4,1)+(7,2+4,1)x5%=83 milioni di euro. Considerando un’aliquota media del 4% il maggior gettito IRAP (competenza su base annua) risulta pari a 3,3 milioni di euro.

Imponibilità in capo al socio o familiare utilizzatore del bene

La relazione tecnica adotta le seguenti ipotesi:

a)   il valore di mercato dei beni è stimato in misura pari al 25% del valore normale (114,1x25%)=28,5 milioni di euro;

b)   il corrispettivo versato dall’utilizzatore è stimato in misura corrispondente al 5% del valore di mercato come sopra determinato 28,5 x 5% =1,4 milioni di euro;

c)   l’aliquota marginale IRPEF applicata è del 40%.

Pertanto il maggior gettito IRPEF, in termini di competenza annua risulta pari a:

(28,5 – 1,4) x 40% = 10,9 milioni di euro.

Effetti complessivi di cassa

Per la determinazione degli effetti di cassa si ipotizza un versamento di acconto del 75% per IRPEF/IRES e dell’85% per IRAP. Pertanto gli effetti complessivi sono:

(milioni di euro)

MAGGIOR GETTITO

2012

2013

2014

IRPEF/IRES

35,0

47,1

47,1

IRAP

2,8

3,3

3,3

TOTALE

37,8

50,4

50,4

 

In merito ai profili di quantificazione, pur tenendo conto della difficoltà di reperire i dati necessari per la stima degli effetti finanziari, è stato segnalato, prioritariamente che la quantificazione si basa su dati ricavati da situazioni diverse da quelle prospettate dalle norme in esame (assegnazione dei beni ai soci e non concessione in godimento di beni d’impresa) nonché su ipotesi (durata media dei cespiti, stima del valore di mercato e stima del corrispettivo versato) non supportate da valori reali o statistici.

Si è rilevato, inoltre, che ai fini della quantificazione del gettito IRAP, non sono state considerate le società di capitale.

In merito alle ipotesi assunte, la relazione tecnica non considera le eventuali diverse scelte adottabili dai soggetti interessati (imprese o utilizzatori) che potrebbero decidere di rinunciare all’attribuzione o utilizzazione di beni in godimento qualora ritengano eccessivo il carico fiscale che ne deriva.

Per quanto sopra esposto, si è ritenuto anche che la misura del 40% utilizzata come aliquota margine IRPEF sarebbe dovuta risultare poco prudenziale. Infatti, in presenza di redditi elevati dell’utilizzatore appare prudenziale ipotizzare una modifica delle scelte attuate dallo stesso e, quindi, una rinuncia al godimento del bene aziendale.

La relazione tecnica non espone valutazioni in merito al ruolo specifico di controllo e verifica attribuito dalle norme all’Agenzia delle entrate; tale attività potrebbe recare effetti finanziari negativi qualora non sia possibile espletare i controlli con le risorse umane e strumentali disponibili.

In merito, infine, all’iscrizione degli effetti nei saldi finanziari appare opportuno segnalare la necessità di un coordinamento con le disposizioni in materia di federalismo regionale (D.Lgs. n. 68 del 2011) che prevedono, tra l’altro, la soppressione dei trasferimenti erariali alle regioni con decorrenza 2013 dal D.Lgs. n. 68/2011 (federalismo regionale).

La Nota del Dipartimento delle finanze dell’8 settembre 2011 fornisce i seguenti chiarimenti:

-        in merito ai dati utilizzati per la quantificazione, la Nota ritiene che la fattispecie utilizzata (assegnazione di beni ai soci) e la fattispecie prevista dalla norma (concessione in godimenti dei beni d’impresa) rientrano nell’ambito di una fattispecie più generale di favor nei confronti del socio persona fisica e, pertanto - tenuto anche conto che la prima è meno diffusa della seconda fattispecie

-        il dato utilizzato è ritenuto prudenziale;

-        altrettanto prudenziale è ritenuta l’esclusione delle società di capitale ai fini della valutazione del maggior gettito IRAP. Ciò anche tenuto conto che la riforma IRAP introdotta dalla legge finanziaria 2008 ha sostanzialmente separato, salvo alcune deroghe, la determinazione del reddito ai fini IRES rispetto alla determinazione dell’imponibile IRAP;

-        infine, la Nota ritiene che l’aliquota marginale IRPEF utilizzata (40%) trova giustificazione alla luce dei soggetti nei confronti dei quali la norma in parola appare rivolta e della fattispecie di beni presumibilmente interessati (yacht, aeromobili da turismo, immobili).

 


 

Articolo 2, comma 36-undevicies
(Elaborazione di liste di contribuenti da sottoporre a controllo)

 

36-undevicies. In deroga a quanto previsto dall'articolo 7, undicesimo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 605, l'Agenzia delle entrate può procedere alla elaborazione di specifiche liste selettive di contribuenti da sottoporre a controllo basate su informazioni relative ai rapporti e operazioni di cui al citato articolo 7, sesto comma, sentite le associazioni di categoria degli operatori finanziari per le tipologie di informazioni da acquisire.

 

 

Il comma 36-undevicies autorizza l’Agenzia delle entrate a elaborare specifiche liste selettive di contribuenti da sottoporre a controllo, basate sulle informazioni relative ai rapporti e alle operazioni oggetto di comunicazione all’Anagrafe tributaria da parte degli operatori finanziari, sentite le Associazioni di categoria degli operatori finanziari in rapporto alle tipologie di informazioni da acquisire.

La disposizione esplicitamente deroga a quanto previsto in materia dall'articolo 7, comma undicesimo, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 605[143].

Secondo la normativa vigente, infatti, l'amministrazione finanziaria non può utilizzare l'Anagrafe dei rapporti per la formazione di elenchi di contribuenti aventi caratteristiche omogenee, da assoggettare ad accertamento in virtù del riscontro di anomalie: ciò in virtù del combinato disposto del richiamato articolo 7 del DPR 605/1973 e della relativa disciplina secondaria di attuazione.

 

Il richiamato articolo 7 del D.P.R. n. 605/1973 disciplina le comunicazioni obbligatorie cui sono tenuti alcuni soggetti pubblici e privati, individuati dalla legge (pubbliche amministrazioni; camere di commercio; ordini professionali; aziende; banche e intermediari; amministratori di condominio etc.) nei confronti dell’Anagrafe tributaria.

In particolare (sesto comma dell’articolo 7) le banche, la società Poste italiane Spa, gli intermediari finanziari, le imprese di investimento, gli organismi di investimento collettivo del risparmio, le società di gestione del risparmio, nonché ogni altro operatore finanziario sono tenuti a rilevare e a tenere in evidenza i dati identificativi, compreso il codice fiscale, di ogni soggetto che intrattenga con loro qualsiasi rapporto o effettui, per conto proprio ovvero per conto o a nome di terzi, qualsiasi operazione di natura finanziaria ad esclusione di quelle effettuate tramite bollettino di conto corrente postale per un importo unitario inferiore a 1.500 euro; l'esistenza dei rapporti e l'esistenza di qualsiasi operazione di cui al precedente periodo, compiuta al di fuori di un rapporto continuativo, nonché la natura degli stessi sono comunicate all'Anagrafe tributaria ed archiviate in apposita sezione, con l'indicazione dei dati anagrafici dei titolari e dei soggetti che intrattengono con gli operatori finanziari qualsiasi rapporto o effettuano operazioni al di fuori di un rapporto continuativo per conto proprio ovvero per conto o a nome di terzi, compreso il codice fiscale.

Il comma undicesimo dell’articolo 7 prevede che le rilevazioni, le evidenziazioni e le comunicazioni obbligatorie da parte degli operatori finanziari siano utilizzate dall’Amministrazione finanziaria per effettuare le cd. “indagini finanziarie”, ovvero per richiedere informazioni ad enti creditizi e finanziari e così acquisire elementi utili a ricostruire l’effettiva disponibilità reddituale o, per l’IVA, l’effettivo volume di operazioni imponibili e di acquisti. Le informazioni comunicate sono altresì utilizzabili per le attività connesse alla riscossione mediante ruolo, nonché per l'espletamento di attività relative al procedimento penale.

In particolare, le rilevazioni e le comunicazioni obbligatorie degli operatori finanziari sono utilizzate nell’attività di richiesta (e relativa risposta per via telematica) di dati, notizie e documenti relativi a qualsiasi rapporto intrattenuto od operazione effettuata, ivi compresi i servizi prestati, con i clienti, nonché alle garanzie prestate da terzi o dagli operatori finanziari stessi e le generalità dei soggetti per i quali gli operatori abbiano effettuato le suddette operazioni (ai sensi dell’articolo 32, primo comma, numero 7), del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600[144] in materia di imposte sui redditi e, con formulazione analoga, dell'articolo 51, secondo comma, numero 7), del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 in materia di IVA). Per l’attivazione di tale potere di richiesta, è necessario che gli uffici chiedano una previa autorizzazione del direttore centrale dell'accertamento dell'Agenzia delle entrate o del direttore regionale della stessa competente per territorio.

L’ultimo comma dell’articolo 7 demanda a un provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate il contenuto, le modalità ed i termini della trasmissione del contenuto delle comunicazioni obbligatorie e le specifiche tecniche del formato con cui devono essere effettuate. Con il provvedimento 19 gennaio 2007 sono state definite le modalità e i termini di comunicazione all'Anagrafe tributaria dei dati relativi alle somme di denaro erogate, a qualsiasi titolo, da imprese, intermediari e ogni altro operatore del settore delle assicurazioni.

Il paragrafo 5 del provvedimento del 19 gennaio 2007 pone alcuni limiti di riservatezza all’uso dei dati comunicati all’Anagrafe: in particolare, i dati e le notizie pervenuti sono raccolti e ordinati su scala nazionale al fine della valutazione della capacità contributiva, nel rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali dei contribuenti. I dati e le notizie raccolti sono infatti trasmessi nell'osservanza della normativa in materia di riservatezza e protezione dei dati personali.

Essi sono inseriti nei sistemi informativi dell'Anagrafe tributaria e sono trattati, secondo il principio di necessità, attraverso particolari sistemi di elaborazione, prevalentemente consistenti nei c.d. data warehouse, che consentono di eseguire analisi selettive, che limitano il trattamento dei dati personali e di individuare i soli soggetti che posseggono i requisiti fissati per l'esecuzione dei controlli fiscali.

I dati sono inseriti all'interno di una specifica area dedicata dell'Anagrafe tributaria, al fine di assicurare la selettività degli accessi; il loro trattamento è riservato esclusivamente agli operatori incaricati dei controlli, le cui operazioni sono compiutamente tracciate.

Il principio di necessità nel trattamento dei dati, di cui all’articolo 3 della normativa sulla privacy (D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, recante il codice in materia di protezione dei dati personali) prevede che i sistemi informativi e i programmi informatici siano configurati riducendo al minimo l'utilizzazione di dati personali e di dati identificativi, in modo da escluderne il trattamento quando le finalità perseguite nei singoli casi possono essere realizzate mediante, rispettivamente, dati anonimi od opportune modalità che permettano di identificare l'interessato solo in caso di necessità.

 

In sostanza, con la disposizione in commento si intende superare i limiti della normativa primaria e secondaria vigente, al fine di effettuare interrogazioni all’Anagrafe tributaria non solo per individuare i singoli rapporti finanziari che eventualmente possiede ciascun determinato contribuente, ma anche per estrarre elenchi di soggetti da sottoporre a controllo.

Da ultimo, la norma prevede che siano sentite le Associazioni di categoria degli operatori finanziari “in rapporto alle tipologie di informazioni da acquisire”.

Profili finanziari

 

Il prospetto riepilogativo assegna alla disposizione i seguenti effetti sui saldi di finanza pubblica.

(milioni di euro)

 

Saldo netto da finanziare

Fabbisogno

Indebitamento netto

 

2012

2013

2014

2012

2013

2014

2012

2013

2014

Maggiori entrate

327,8

1.035,7

1.140,4

186,2

610,7

715,4

186,2

610,7

715,4

 

 

La relazione tecnica riferita al maxiemendamento stima gli effetti della norma in esame, approvata in via definitiva, con riferimento anche alle variazioni apportate rispetto al testo delle modifiche presentato in sede referente al Senato (em. 1.1000 della Commissione).

Tali variazioni riguardano l’espunzione della disposizione riguardante l’obbligo di indicare nelle dichiarazioni in materia di imposte sui redditi e di IVA gli estremi identificativi dei rapporti, in corso nel periodo d’imposta, con gli operatori finanziari, di cui all’articolo 7, sesto comma, del DPR n. 605 del 1973[145], nonché la riformulazione della disposizione in esame, nella quale, rispetto al testo dell’emendamento presentato al Senato, è previsto che le liste selettive dei contribuenti da sottoporre a controllo siano basate sulle informazioni relative ai rapporti ed operazioni di cui all’ articolo 7, sesto comma, del DPR n. 605 del 1973, anziché sui dati forniti dai contribuenti in dichiarazione.

La relazione tecnica allegata all’emendamento presentato in Commissione Bilancio assegnava alla disposizione riguardante l’obbligo di segnalazione in dichiarazione dei rapporti bancari e finanziari un effetto di maggior gettito annuo per competenza di 50 milioni di euro - derivante da adeguamento spontaneo dei contribuenti per effetto del carattere di deterrenza della disposizione - di cui 20 milioni a titolo di versamenti IRPEF in autotassazione e 30 milioni a titolo di IVA. Per cassa gli effetti della disposizione risultavano i seguenti:

(milioni di euro)

 

2012

2013

2014

IRPEF

 

35

20

IVA

30

30

30

TOTALE

30

65

50

 

La relazione riferita al maxiemendamento afferma, pertanto che la mancata approvazione della suddetta disposizione comporta la perdita di tale maggior gettito, con effetto neutrale rispetto ai saldi di finanza pubblica riferiti al testo iniziale.

Alla disposizione di cui al comma 36-undevicies in esame, riguardante, per l’Agenzia delle entrate, la possibilità di procedere alla elaborazione di specifiche liste di contribuenti da sottoporre a controllo, nel testo definitivamente approvato, la relazione tecnica riferita al maxiemendamento assegna i seguenti effetti di gettito:

§       un effetto di maggior gettito, ascrivibile al testo della disposizione originariamente presentata al Senato, di circa 200 milioni per il 2012, di cui 175 in termini di aumento della compliance e 25 milioni in termini di maggiori incassi da attività di accertamento, e 600 milioni annui dal 2013, di cui 525 milioni di aumento della compliance e 75 milioni di maggiori incassi per attività di accertamento.

     La suddetta relazione precisa che il recupero di gettito ascritto a tale versione della disposizione può ritenersi ragionevole in base ad analoghe precedenti disposizioni che hanno reso più selettiva l’attività di controllo ed accertamento e che hanno determinato effetti positivi, sia in termini di maggiori imposte accertate che in termini di maggiori imposte spontaneamente dichiarate.

     Gli effetti di maggiore entrata per cassa di tale disposizione sui saldi di finanza pubblica sono così quantificati:

(milioni di euro)

 

Saldo netto da finanziare

Fabbisogno

Indebitamento netto

co. 36 undevicies

297,8

970,7

1.090,4

156,2

545,7

665,4

156,2

545,7

665,4

 

§       un ulteriore effetto positivo in termini di deterrenza rispetto a quanto già stimato relativamente alla disposizione contenuta nell’emendamento originario. Pertanto la riformulazione si stima possa produrre, in considerazione anche della quantificazione originaria improntata a criteri prudenziali, un maggiore gettito aggiuntivo di 50 milioni su base annua di cui 30 milioni come gettito IVA e 20 milioni come gettito IRPEF.

Per cassa l’ulteriore effetto di maggiore entrata mostra il seguente andamento.

 

(milioni di euro)

 

2012

2013

2014

IRPEF

 

35

20

IVA

30

30

30

TOTALE

30

65

50

 

Complessivamente, pertanto, alla disposizione definitivamente approvata sono ascritti dalla relazione tecnica al maxiemendamento i seguenti effetti di gettito.

(milioni di euro)

Maggiori

entrate

Saldo netto da finanziare

Fabbisogno

Indebitamento netto

 

297,8

970,7

1.090,4

156,7

545,7

665,4

156,2

545,7

665,4

 

30,0

65,0

65,0

30,0

65,0

65,0

30,0

65,0

65,0

Totale

327,8

1.035,7

1.140,4

186,2

610,7

715,4

186,2

610,7

715,4

 

In merito ai profili di quantificazione, si è rilevato che i complessivi effetti della disposizione di cui al comma 36-undevicies, quali esposti nel prospetto riepilogativo e nella relazione tecnica riferiti al maxiemendamento, risultano identici all’importo che si ottiene come somma degli effetti della medesima disposizione e della disposizione in materia di obbligo di dichiarazione dei rapporti bancari e finanziari - non approvata dal Senato - quali risultanti dalla relazione tecnica riferita all’emendamento inizialmente presentato. Su tale circostanza si è ritenuto pertanto necessario acquisire un chiarimento, dal momento che, nel testo approvato, appaiono immutate rispetto alla normativa previgente sia le modalità di acquisizione sia la tipologia di informazioni che l’Agenzia delle entrate può desumere in materia di rapporti bancari e finanziari in essere.

Si è inoltre osservato, sempre con riferimento agli effetti della disposizione di cui al comma 36-undevicies, che la relazione tecnica non fornisce tutti i dati necessari per una compiuta verifica della quantificazione. In particolare, non è chiaro se gli effetti di maggior gettito derivanti dall’adeguamento spontaneo dei contribuenti siano riferibili alle sole imposte dirette ovvero anche all’IVA. Non è chiaro, altresì, in riferimento agli effetti di maggior gettito da attività di accertamento, quale sia l’ipotesi adottata in merito al rapporto tra maggiori imposte accertate e maggiori incassi effettivamente realizzati. La carenza di tali informazioni non ha consentito di ricostruire in modo univoco l’andamento temporale del gettito per cassa né gli ammontari ascritti annualmente in termini di competenza giuridica.

E’ stato, infine, segnalato che negli ultimi provvedimenti di finanza pubblica sono state introdotte misure volte a potenziare gli strumenti informativi e di monitoraggio a disposizione degli uffici, finalizzati a ricostruire, in via indiretta, l’effettiva posizione reddituale dei contribuenti. Tra tali misure sono state evidenziate, ad esempio, l’articolo 22 del decreto-legge n. 78 del 2010, recante aggiornamento dell’accertamento sintetico (cosiddetto spesometro), ovvero l’articolo 21 del medesimo decreto-legge, riguardante il monitoraggio delle operazioni rilevanti ai fini IVA. A tali norme sono stati assegnati singolarmente cospicui effetti di ripresa di gettito. Si è osservato, pertanto, che l’imputazione di effetti aggiuntivi, in termini di emersione di gettito, a norme di perfezionamento o implementazione di meccanismi, anche selettivi, di conoscenza e di monitoraggio di operazioni indirettamente correlate alla capacità contributiva dei soggetti potrebbe risultare scarsamente prudenziale e verificabile solo a consuntivo.

Nella Nota di risposta alle osservazioni formulate nel corso dell’iter alla Camera, trasmessa alla Commissione Bilancio l’8 settembre 2011, l’Agenzia delle entrate ha evidenziato quanto segue:

-        le modifiche apportate nel corso dell’iter parlamentare al testo iniziale dell’emendamento migliorano notevolmente la possibilità di effettuare selezioni mirate in sede di controllo ed accertamento, in quanto saranno basate su informazioni relative ai rapporti ed alle operazioni finanziarie direttamente acquisite dagli operatori finanziari e, pertanto, maggiormente attendibili e con un maggior grado di esaustività rispetto a quelle che si sarebbero potute avere tramite autodichiarazione del contribuente. Da ciò discende la motivazione dell’ulteriore effetto positivo della norma rispetto a quanto già stimato relativamente alla disposizione presentata, stima quest’ultima improntata a criteri di prudenzialità;

-        il gettito attribuito all’adeguamento spontaneo dei contribuenti è riferito sia ai dati dei versamenti in autotassazione IRPEF che a quelli dell’IVA;

-        in merito al maggior gettito derivante dall’attività di accertamento, in relazione al significativo potenziamento di tale attività e di quella di riscossione, è stato stimato un incremento dei versamenti diretti a seguito dell’utilizzo da parte del contribuente degli istituti definitori. Tali versamenti nel 2010 sono stati pari a 4.339 milioni.

 


 

Articolo 2, comma 36-vicies
(Obbligo di certificazione dei corrispettivi per gli stabilimenti balneari)

 

36-vicies. Al comma 1 dell'articolo 2 del decreto del Presidente della Repubblica 21 dicembre 1996, n. 696, è abrogata la lettera rr).

 

 

Il comma 36-vicies con l’abrogazione della lettera rr) dell’articolo 2, comma 1 del D.P.R. n. 696/1996[146] assoggetta all’obbligo di certificazione dei corrispettivi mediante ricevuta o scontrino fiscale anche le prestazioni rese, sul litorale demaniale, da parte dei titolari dei relativi provvedimenti amministrativi rilasciati dalle autorità competenti.

L’articolo 1 del D.P.R. n. 696/1996 assoggetta all’obbligo ad emettere scontrino o ricevuta fiscale per documentare i corrispettivi delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi (di cui agli articoli 2 e 3 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633) per le quali non è obbligatoria l'emissione della fattura se non a richiesta del cliente, ma sussiste tuttavia un obbligo di certificazione fiscale.

L’articolo 2 del decreto, oggetto di novella con la disposizione in commento, individua le ipotesi di esclusione dal predetto obbligo. L’abrogata lettera rr) del comma 1, in particolare, esentava dall’obbligo di emissione di scontrini o ricevuta le già richiamate prestazioni di servizi rese sul litorale demaniale dai titolari dei relativi provvedimenti amministrativi rilasciati dalle autorità competenti, con l’eccezione delle somministrazioni di alimenti e bevande e ogni altra attività non connessa con quella autorizzata.

A titolo esemplificativo, per effetto delle norme in commento l’emissione di ricevuta o scontrino sarà obbligatoria sia per tutte le prestazioni rese sul litorale, dunque sia per quelle collegate alla tipica attività degli stabilimenti balneari (quali l'accesso agli impianti di balneazione e l'uso di spogliatoi), sia per le cd. “attività connesse” (quali il noleggio di pattini e di piccole barche non a motore) e per le attività “non connesse” (somministrazioni di cibi e bevande, già precedenza assoggettate all’obbligo di certificazione) .

Per la mancata emissione di ricevute o scontrini, l'articolo 6, comma 3 del D.Lgs. n. 471/1997[147] commina una sanzione pari all’intero ammontare dell'imposta corrispondente all'importo non documentato, per un ammontare che non può essere inferiore a 516 euro (un milione di lire).

 

Si ricorda che l’articolo 2, comma 5 del provvedimento in esame (alla cui scheda si rinvia) ha introdotto la sanzione accessoria della sospensione dell’iscrizione all’albo o all’ordine per i professionisti cui siano state contestate reiterate violazioni dell’obbligo di emettere il documento certificativo dei compensi.

Profili finanziari

 

Il prospetto riepilogativo assegna alla disposizione i seguenti effetti sui saldi di finanza pubblica.

(milioni di euro)

 

Saldo netto da finanziare

Fabbisogno

Indebitamento netto

 

2012

2013

2014

2012

2013

2014

2012

2013

2014

Maggiori

entrate

22,0

71,0

50,0

22,0

71,0

50,0

22,0

71,0

50,0

 

La relazione tecnica riferita al maxiemendamento approvato al Senato stima un effetto di maggior gettito annuo per competenza di 50 milioni.

La determinazione di tale ammontare si basa sull’analisi dei ricavi, pari a 716 milioni, dichiarati da 5.900 soggetti, congrui e non congrui alle risultanze degli studi di settore, che hanno comunicato per il 2009 di esercitare in via prevalente l’attività di gestione di stabilimenti balneari.

Ai fini della stima si è ipotizzato che l’obbligo di certificazione comporti un incremento di base imponibile del 20 per cento, pari a circa 140 milioni. Tale percentuale tiene conto delle risultanze delle attività di controllo effettuate dall’amministrazione finanziaria.

Applicando un’aliquota media del 20 per cento ai fini delle imposte dirette e del 15 per cento ai fini IVA, l’incremento di base imponibile determina rispettivamente un incremento di gettito annuo di 28 milioni ai fini delle imposte dirette e di circa 22 milioni ai fini IVA.

La relazione tecnica afferma altresì che la norma produrrà effetti anche in termini IRAP, addizionali e contributi previdenziali, nonché effetti in termini di maggiori importi riscossi in fase accertativa, prudenzialmente non quantificati.

Per cassa gli effetti della disposizione sono i seguenti:

(milioni di euro)

 

2012

2013

2014

IVA

22

22

22

IRPEF/IRES

 

49

28

TOTALE

22

71

50

 

In merito ai profili di quantificazione, si è rilevato che la quantificazione appare corretta sulla base dei dati e delle ipotesi assunte dalla relazione tecnica.

 


 

Articolo 2, commi 36-vicies semel e 36-vicies bis
(Reati in materia di imposte sui redditi e IVA)

 


36-vicies semel. Al decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, sono apportate le seguenti modifiche:

a) all'articolo 2, è abrogato il comma 3;

b) all'articolo 3, comma 1, lettera a), le parole: «a lire centocinquanta milioni» sono sostituite dalle seguenti: «a euro trentamila»;

c) all'articolo 3, comma 1, lettera b), le parole: «a lire tre miliardi» sono sostituite dalle seguenti: «a euro un milione»;

d) all'articolo 4, comma 1, lettera a), le parole: «a lire duecento milioni» sono sostituite dalle seguenti: «a euro cinquantamila»;

e) all'articolo 4, comma 1, lettera b), le parole: «a lire quattro miliardi» sono sostituite dalle seguenti: «a euro due milioni»;

f) all'articolo 5, comma 1, le parole: «a lire centocinquanta milioni» sono sostituite dalle seguenti «a euro trentamila»;

g) all'articolo 8, è abrogato il comma 3;

h) all'articolo 12, dopo il comma 2, è aggiunto il seguente:

«2-bis. Per i delitti previsti dagli articoli da 2 a 10 del presente decreto l'istituto della sospensione condizionale della pena di cui all'articolo 163 del codice penale non trova applicazione nei casi in cui ricorrano congiuntamente le seguenti condizioni: a) l'ammontare dell'imposta evasa sia superiore al 30 per cento del volume d'affari; b) l'ammontare dell'imposta evasa sia superiore a tre milioni di euro»;

i) all'articolo 13, comma 1, le parole: «alla metà» sono sostituite dalle seguenti «ad un terzo»;

l) all'articolo 17, è aggiunto, in fine, il seguente comma:

«1-bis. I termini di prescrizione per i delitti previsti dagli articoli da 2 a 10 del presente decreto sono elevati di un terzo»;

m) all'articolo 13, dopo il comma 2, è inserito il seguente:

«2-bis. Per i delitti di cui al presente decreto l'applicazione della pena ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale può essere chiesta dalle parti solo qualora ricorra la circostanza attenuante di cui ai commi 1 e 2».

36-vicies bis. Le norme di cui al comma 36-vicies semel si applicano ai fatti successivi alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.


 

L’articolo 2, comma 36-vicies semel, novella il decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74[148], concernente la disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e IVA.

 

Di seguito si illustrano in primo luogo le modifiche volte, in generale, ad eliminare disposizioni di favore o ad abbassare la soglia di imposta evasa a partire dalla quale scatta l'applicazione delle sanzioni penali. In questa direzione vanno le seguenti novelle:

§       all'articolo 2 (dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti) viene soppressa la disposizione che attualmente riduce l'entità della reclusione (da 6 mesi a 2 anni anziché da un anno e 6 mesi a 6 anni) se l'ammontare degli elementi passivi fittizi è inferiore a 154.937,07 euro (lettera a);

§       all'articolo 3 (dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici) viene ridotta la soglia di imposta evasa che fa scattare la sanzione penale da 77.468,53 euro a 30.000 euro e, analogamente, la soglia relativa all'ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all'imposizione da 1.549.370,70 euro a 1.000.000 di euro (lettere b) e c);

§       all'articolo 4 (dichiarazione infedele) le suddette soglie vengono ridotte rispettivamente da 103.291,38 euro a 50.000 euro e da 2.065.827,60 euro a 2.000.000 di euro (lettere d) ed e);

§       all'articolo 5 (omessa dichiarazione) la soglia di imposta evasa che fa scattare la sanzione penale è ridotta da 77.468,53 euro a 30.000 euro (lettera f);

§       all'articolo 8 (emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti) viene soppressa la disposizione che riduce l'entità della reclusione (da 6 mesi a 2 anni anziché da un anno e 6 mesi a 6 anni) se l'importo non rispondente al vero indicato nelle fatture o nei documenti è inferiore a euro 154.937,07 (lettera g).

 

Ulteriori novelle al decreto legislativo n. 74 del 2000 riguardano le circostanze del reato, il procedimento applicabile e le pene accessorie.

In particolare, con la lettera h) è aggiunto un comma all’articolo 12 (pene accessorie) del decreto legislativo. Tale disposizione è volta ad escludere l’applicazione dell’istituto della sospensione condizionale della pena (di cui all’art. 163 c.p.) qualora nella commissione di uno dei delitti previsti dagli articoli da 2 a 10[149] del D.Lgs. n. 74 del 2000, l'imposta evasa (o non versata):

§       sia superiore a 3 milioni di euro;

§       sia superiore al 30% del volume d’affari dell’evasore.

Le due condizioni devono ricorrere congiuntamente.

 

Si osserva che la previsione congiunta delle due condizioni sembrerebbe mitigare la posizione dei soggetti evasori che hanno un grande volume di affari. Essi, infatti, potranno avvalersi della sospensione condizionale della pena, pur sottraendo all’erario somme anche notevolmente superiori ai 3 milioni di euro, in conseguenza della previsione del tetto del 30% del volume di affari.

 

Le lettere i) ed m) intervengono sull’articolo 13 (circostanza attenuante e pagamento del debito tributario) prevedendo:

-          la riduzione sino ad un terzo (anziché sino alla metà) delle pene stabilite per i delitti previsti dal D.Lgs. n. 74 del 2000 se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari relativi ai fatti costitutivi dei delitti medesimi sono stati estinti mediante pagamento (lett. i);

-          l’applicabilità del c.d. patteggiamento per i reati previsti dal decreto legislativo solo se ricorrono le circostanze attenuanti (dell’aver estinto il debito prima del dibattimento e dell’aver pagato anche le sanzioni amministrative previste per la violazione delle norme tributarie).

 

La lettera l) novella l'articolo 17 (interruzione della prescrizione) elevando di un terzo i termini di prescrizione per i delitti previsti dagli articoli da 2 a 10 del decreto legislativo n. 74/2000[150].

 

Infine, con disposizione di chiusura (comma 36-vicies bis), la norma specifica che le modifiche apportate dal comma 36-vicies semel si applicano ai fatti successivi all'entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge.

Profili finanziari

 

Il prospetto riepilogativo ascrive alla norme i seguenti effetti sui saldi di finanza pubblica.

 

(milioni di euro)

 

Saldo netto da finanziare

Fabbisogno

Indebitamento netto

 

2012

2013

2014

2012

2013

2014

2012

2013

2014

MAGGIORI ENTRATE TRIBUTARIE

480,3

740,5

690,5

210

457,5

407,5

210

457,5

407,5

 

La relazione tecnica afferma che l’intervento normativo in esame incrementerà l’efficacia dissuasiva delle disposizioni contenute nel D.Lgs. n. 74 del 2000 con un significativo impatto sui comportamenti dei contribuenti e, quindi, sull’aumento delle imposte dichiarate e versate. A tali effetti si aggiungono quelli in termini di maggiori incassi da attività di accertamento che scaturiranno dal nuovo vincolo sul “patteggiamento”.

La RT stima che dall’inasprimento del sistema sanzionatorio possa derivare un aumento di gettito pari a circa 300 milioni di euro per il 2012 (265 milioni in termini di aumento della compliance e 35 milioni in termini di maggiori incassi dall’attività di accertamento) e pari a circa 400 milioni di euro a decorrere dal 2013 (350 milioni in termini di aumento della compliance e 50 milioni in termini di maggiori incassi dall’attività di accertamento).

La RT afferma, infine, che, rispetto al gettito complessivo dei tributi interessati, si tratta di una quota realizzabile anche in relazione al fatto che le misure previste intervengono nella sfera penale.

 

In merito ai profili di quantificazione, è stato osservato che, al fine di consentire una verifica delle indicazioni fornite dalla RT e dal prospetto riepilogativo, andrebbero chiariti:

§       la ripartizione fra imposte dirette e indirette dei maggiori introiti che si prevede di realizzare;

§       il rapporto fra accertamenti e incassi sottostante alle previsioni di entrata contenute nel prospetto riepilogativo.

Infatti il dato per competenza, scontato ai fini del saldo netto da finanziare, differisce dalle previsioni di gettito fornite per i medesimi anni dalla relazione tecnica: nel 2012, per esempio, a fronte di una previsione di gettito pari a 300 milioni (indicata dalla relazione tecnica come effetto sia della maggiore adesione spontanea sia delle attività di accertamento), viene stimato un incremento di entrate, ai fini del saldo netto da finanziare, pari a circa 408 milioni. Analoga differenza si rileva per gli anni successivi. Non è chiaro in quale misura tali indicazioni vadano ricondotte alle diverse modalità e alla diversa tempistica di accertamento e di incasso delle imposte (dirette o indirette) e/o alla proporzione fra somme accertate e somme effettivamente incassate che viene applicata per calcolare il gettito di competenza e di cassa.

 

Nella Nota di risposta alle osservazioni formulate nel corso dell’esame in seconda lettura presso la Camera[151] il Dipartimento delle finanze ha precisato quanto segue:

§       il maggior gettito di 400 milioni di euro è correlato agli effetti dell’azione dissuasiva che determina un incremento:

          dello 0,5% dei versamenti in autotassazione dell’IRPEF (21.176 milioni di euro: dato da Relazione unificata sull’economia e finanza pubblica per il 2010), pari a circa 100 milioni di euro;

          dello 0,25% dell’IVA (IVA incassata al netto delle attività di accertamento: 104.590 milioni di euro; ovvero 105.990 milioni di euro da fonte Relazione unificata sull’economia e finanza pubblica per il 2010), pari a circa 250 milioni di euro;

§       l’aumento degli incassi da attività di accertamento e riscossione viene stimato in circa l’1% dei versamenti diretti a seguito dell’utilizzo da parte del contribuente degli istituti definitori. Tenuto conto che tali versamenti nell’anno 2010 sono pari a 4.339 milioni di euro, l’ammontare del maggior gettito è stato stimato in circa 50 milioni di euro di recupero effettivo di evasione pregressa.

 


 

Articolo 2, comma 36-vicies ter
(Riduzione delle sanzioni amministrative tributarie per esercenti che utilizzano strumenti di pagamento diversi dal contante)

 


36-vicies ter. Per gli esercenti imprese o arti e professioni con ricavi e compensi dichiarati non superiori a 5 milioni di euro i quali per tutte le operazioni attive e passive effettuate nell'esercizio dell'attività utilizzano esclusivamente strumenti di pagamento diversi dal denaro contante e nelle dichiarazioni in materia di imposte sui redditi e imposte sul valore aggiunto indicano gli estremi identificativi dei rapporti con gli operatori finanziari di cui all'articolo 7, sesto comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 605, in corso nel periodo di im­posta, le sanzioni amministrative previste dagli articoli 1, 5 e 6 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, sono ridotte alla metà.


 

 

Il comma 36-vicies ter prevede la riduzione alla metà delle sanzioni previste per la violazione di alcuni obblighi di dichiarazione e documentazione (in materia di imposte dirette e di IVA) in favore di imprese di medio-piccole dimensioni, e cioè per gli esercenti imprese, arti e professioni con ricavi e compensi dichiarati non superiori a 5 milioni di euro, a condizione che:

§      nelle dichiarazioni in materia di imposte sui redditi e di IVA indichino gli estremi identificativi dei rapporti con operatori finanziari in corso nel periodo d’imposta;

§      per tutte le operazioni attive e passive effettuate nell'esercizio dell'attività utilizzino esclusivamente strumenti di pagamento diversi dal denaro contante.

La disposizione in esame, come precisa la Relazione Tecnica che accompagna l’emendamento 1.9000 del Governo e del Relatore, è mirata a incentivare gli operatori all’uso di strumenti di pagamento diversi dal contante, in modo da indurre a comportamenti virtuosi tali da far emergere base imponibile.

Come richiamato supra, la disposizione opera alla duplice condizione dell’utilizzo esclusivo di strumenti di pagamento diversi dal contante nell’esercizio dell’attività, nonché dell’indicazione - nelle dichiarazioni delle imposte sui redditi e dell’IVA - dei rapporti intercorsi con operatori finanziari nel periodo d’imposta (oggetto di comunicazione obbligatoria all’anagrafe tributaria da parte dei medesimi operatori finanziari, ai sensi dell’articolo 7, sesto comma, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 605 in materia di anagrafe tributaria).

 

Si tratta in particolare di quei rapporti che (sesto comma del richiamato articolo 7 del D.P.R. n. 605/1973) le banche, la società Poste italiane Spa, gli intermediari finanziari, le imprese di investimento, gli organismi di investimento collettivo del risparmio, le società di gestione del risparmio, nonché ogni altro operatore finanziario sono tenuti a rilevare e a tenere in evidenza i dati identificativi, compreso il codice fiscale, di ogni soggetto che intrattenga con loro qualsiasi rapporto o effettui, per conto proprio ovvero per conto o a nome di terzi, qualsiasi operazione di natura finanziaria ad esclusione di quelle effettuate tramite bollettino di conto corrente postale per un importo unitario inferiore a 1.500 euro; l'esistenza dei rapporti e l'esistenza di qualsiasi operazione di cui al precedente periodo, compiuta al di fuori di un rapporto continuativo, nonché la natura degli stessi sono comunicate all'anagrafe tributaria ed archiviate in apposita sezione, con l'indicazione dei dati anagrafici dei titolari e dei soggetti che intrattengono con gli operatori finanziari qualsiasi rapporto o effettuano operazioni al di fuori di un rapporto continuativo per conto proprio ovvero per conto o a nome di terzi, compreso il codice fiscale.

Il comma undicesimo dell’articolo 7 prevede che le rilevazioni, le evidenziazioni e le comunicazioni obbligatorie da parte degli operatori finanziari siano utilizzate dall’Amministrazione finanziaria per effettuare le cd. “indagini finanziarie”, ovvero per richiedere informazioni ad enti creditizi e finanziari e così acquisire elementi utili a ricostruire l’effettiva disponibilità reddituale o, per l’IVA, l’effettivo volume di operazioni imponibili e di acquisti. Le informazioni comunicate sono altresì utilizzabili per le attività connesse alla riscossione mediante ruolo, nonché per l'espletamento di attività relative al procedimento penale.

In particolare, le rilevazioni e le comunicazioni obbligatorie degli operatori finanziari sono utilizzate nell’attività di richiesta (e relativa risposta per via telematica) di dati, notizie e documenti relativi a qualsiasi rapporto intrattenuto od operazione effettuata, ivi compresi i servizi prestati, con i clienti, nonché alle garanzie prestate da terzi o dagli operatori finanziari stessi e le generalità dei soggetti per i quali gli operatori abbiano effettuato le suddette operazioni (ai sensi dell’articolo 32, primo comma, numero 7), del DPR 29 settembre 1973, n. 600[152] in materia di imposte sui redditi e, con formulazione analoga, dell'articolo 51, secondo comma, numero 7), del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 in materia di IVA). Per l’attivazione di tale potere di richiesta, è necessario che gli uffici chiedano una previa autorizzazione del direttore centrale dell'accertamento dell'Agenzia delle entrate o del direttore regionale della stessa competente per territorio. Con il provvedimento 19 gennaio 2007 sono state definite le modalità e i termini di comunicazione all'Anagrafe tributaria dei dati relativi alle somme di denaro erogate, a qualsiasi titolo, da imprese, intermediari e ogni altro operatore del settore delle assicurazioni.

La disposizione in commento, soddisfatti i predetti requisiti, riduce a metà le sanzioni comminate per i seguenti comportamenti:

§      violazioni relative alla dichiarazione delle imposte dirette, ai sensi dell’articolo 1 del D.Lgs. 471/1997[153];

§      violazioni relative alla dichiarazione IVA e ai rimborsi, ai sensi dell’articolo 5 del D.Lgs. 471/1997;

§      violazioni degli obblighi relativi alla documentazione, registrazione ed individuazione delle operazioni soggette a IVA, ai sensi dell’articolo 6 del D.Lgs. 471/1997.

 

Non appare chiaro da quali dichiarazioni del contribuente (in rapporto al momento di constatazione della violazione) debba desumersi il requisito dell’esistenza di ricavi e compensi non superiori a 5 milioni di euro, necessario al fine di applicare la norma agevolativa.

Profili finanziari

 

Il prospetto riepilogativo ascrive alla norma i seguenti effetti sui saldi di finanza pubblica:

 

(milioni di euro)

 

Saldo netto da finanziare

Fabbisogno

Indebitamento netto

 

2012

2013

2014

2012

2013

2014

2012

2013

2014

Maggiori entrate

30

65

50

30

65

50

30

65

50

 

La relazione tecnica afferma che l’intervento normativo incentiva gli operatori ad utilizzare mezzi di pagamento diversi dal contante. Tale utilizzo indurrà comportamenti maggiormente virtuosi, che faranno emergere base imponibile. La RT stima un ammontare di maggior gettito pari a circa 50 milioni di euro, di cui 20 milioni come versamenti in autotassazione dell’IRPEF e 30 milioni di euro come IVA.

 

In merito ai profili di quantificazione è stato richiesto al Governo di fornire i dati e le ipotesi posti alla base della quantificazione del maggior gettito previsto dalla relazione tecnica e dal prospetto riepilogativo. È stato osservato, inoltre, che la norma potrebbe determinare effetti di riduzione del gettito per la parte che prevede il dimezzamento delle sanzioni a carico di alcuni soggetti: su tale aspetto, che non sembra essere stato considerato dalla relazione tecnica, è stato richiesto un chiarimento.

 

Nella Nota di risposta alle osservazioni formulate nel corso dell’esame in seconda lettura presso la Camera[154], il Dipartimento delle finanze ha precisato quanto segue:

§       l’ammontare del maggior gettito ascritto alla disposizione deriva dall’incremento

          dello 0,01% dei versamenti in autotassazione dell’IRPEF (21.176 milioni di euro: dato da Relazione unificata sull’economia e finanza pubblica per il 2010), pari a circa 20 milioni di euro[155];

          dello 0,03% dell’IVA dell’IVA (IVA incassata al netto delle attività di accertamento: 104.590 milioni di euro; ovvero 105.990 milioni di euro da fonte Relazione unificata sull’economia e finanza pubblica per il 2010), pari a circa 30 milioni di euro;

§       si ritiene che l’effetto di minor gettito, derivante dal dimezzamento delle sanzioni, sia in ogni caso compensato dalla prudenziale stima effettuata circa l’incremento dei versamenti in autotassazione da ascrivere all’entrata in vigore della disposizione.

 


 

Articolo 2, comma 36-vicies quater
(IVA soggetti iscritti alle Camere di commercio)

 

36-vicies quater. Al comma 6, primo periodo, dell'articolo 50-bis del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, dopo le parole: «agli effetti dell'IVA» sono inserite le seguenti: «iscritti alla Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura da almeno un anno, che dimostrino una effettiva operatività e attestino regolarità dei versamenti IVA, con le modalità definite con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate,».

 

 

Il comma 36-vicies quater novella il comma 6 dell'articolo 50-bis del D.L. n. 331 del 1993, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 427 del 1993, recante disposizioni in materia di depositi fiscali e doganali che possono essere utilizzati anche come depositi IVA.

Il richiamato articolo 50-bis è stato introdotto dall’articolo 1, comma 2, lettera i), della legge 18 febbraio 1997, n. 28 (Norme di recepimento della direttiva 95/7/CE, concernente semplificazioni in materia d'imposta sul valore aggiunto sui traffici internazionali, e di adeguamento della disciplina dell'imposta di bollo relativa ai contratti bancari e finanziari) e, da ultimo, modificato, dall'articolo 7, comma 2, lettera cc-ter), numero 1.1), del D.L. 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106 (c.d. decreto sviluppo).

Il comma 6 stabilisce che l'estrazione dei beni da un deposito IVA ai fini della loro utilizzazione o in esecuzione di atti di commercializzazione nello Stato può essere effettuata solo da soggetti passivi d'imposta agli effetti dell'IVA e comporta il pagamento dell'imposta; la base imponibile è costituita dal corrispettivo o valore relativo all'operazione non assoggettata all'imposta per effetto dell'introduzione ovvero, qualora successivamente i beni abbiano formato oggetto di una o più cessioni, dal corrispettivo o valore relativo all'ultima di tali cessioni, in ogni caso aumentato, se non già compreso, dell'importo relativo alle eventuali prestazioni di servizi delle quali i beni stessi abbiano formato oggetto durante la giacenza fino al momento dell'estrazione.

La modifica disposta dal comma in esame specifica alcuni requisiti per i soggetti passivi d’imposta agli effetti dell’IVA che intendono effettuare l'estrazione dei beni da un deposito IVA:

§       devono essere iscritti alla Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura (CCIAA) da almeno un anno;

§       devono dimostrare una effettiva operatività;

§       devono attestare la regolarità dei versamenti IVA, con modalità che saranno definite con un provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate.

Profili finanziari

 

Il prospetto riepilogativo non considera la norma.

 

La relazione tecnica che, per i profili finanziari, alla norma non si ascrivono effetti di gettito.

 

In merito ai profili di quantificazione non sono state formulate osservazioni.

 


 

Articolo 3, commi 1-3
(Libertà di iniziativa e attività economica)

 


1. Comuni, Province, Regioni e Stato, entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, adeguano i rispettivi ordinamenti al principio secondo cui l'iniziativa e l'attività economica privata sono libere ed è permesso tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge nei soli casi di:

a) vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali;

b) contrasto con i principi fondamentali della Costituzione;

c) danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana e contrasto con l'utilità sociale;

d) disposizioni indispensabili per la protezione della salute umana, la conservazione delle specie animali e vegetali, dell'ambiente, del paesaggio e del patrimonio culturale;

e) disposizioni relative alle attività di raccolta di giochi pubblici ovvero che comunque comportano effetti sulla finanza pubblica.

2. Il comma 1 costituisce principio fondamentale per lo sviluppo economico e attua la piena tutela della concorrenza tra le imprese.

3. Sono in ogni caso soppresse, alla scadenza del termine di cui al comma 1, le disposizioni normative statali incompatibili con quanto disposto nel medesimo comma, con conseguente diretta applicazione degli istituti della segnalazione di inizio di attività e dell'autocertificazione con controlli successivi. Nelle more della decorrenza del predetto termine, l'adeguamento al principio di cui al comma 1 può avvenire anche attraverso gli strumenti vigenti di semplificazione normativa. Entro il 31 dicembre 2012 il Governo è autorizzato ad adottare uno o più regolamenti ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, con i quali vengono individuate le disposizioni abrogate per effetto di quanto disposto nel presente comma ed è definita la disciplina regolamentare della materia ai fini dell'adeguamento al principio di cui al comma 1.


 

 

L’articolo 3 del provvedimento in esame reca una serie di misure volte alla liberalizzazione dell’esercizio delle professioni e delle attività economiche.

 

I primi due commi dell’articolo recano alcune disposizioni di principio preliminare alle disposizioni sostanziali contenute nei commi successivi.

 

In particolare, il comma 1 – modificato nel corso dell’esame parlamentare - impone a comuni, province, regioni e Stato di adeguare “i rispettivi ordinamenti al principio secondo cui l’iniziativa e l’attività economica privata sono libere ed è permesso tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge, definendo le possibili limitazioni di tale principio, il quale riprende il disposto dell’articolo 29, comma 1-bis del decreto-legge n. 98/2011 – “ciò che non sarà espressamente regolamentato sarà libero” –, il quale a sua volta riecheggia la novella del primo comma dell’articolo 41 della Costituzione proposta dal disegno di legge costituzionale C. 4144: “L'iniziativa e l'attività economica privata sono libere ed è permesso tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge”.

 

Le limitazioni a tale principio sono indicate tassativamente dalla disposizione che prevede deroghe alla libertà di impresa esclusivamente nei seguenti casi:

§      vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali;

§      contrasto con i principi fondamentali della Costituzione;

§      danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana e contrasto con l’utilità sociale;

§      disposizioni indispensabili per la protezione della salute umana, la conservazione delle specie animali e vegetali, dell’ambiente, del paesaggio e del patrimonio culturale;

§      disposizioni relative all'attività di raccolta di giochi pubblici ovvero che comunque comportino effetti di finanza pubblica.

 

La decorrenza della fattispecie è legata ad un termine – un anno dall’entrata in vigore della legge di conversione – che potrebbe apparire in contraddizione con i requisiti di necessità ed urgenza imposti dalla Costituzione per i decreti-legge.

Al riguardo si richiama l'articolo 15, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, secondo cui il decreto-legge deve contenere misure di immediata applicazione.

 

Il comma 3 stabilisce un meccanismo di abrogazione a termine per tutte le disposizioni normative statali ad oggi esistenti, che risultano incompatibili con quanto previsto dal comma 1.

La relazione illustrativa afferma che lo scopo della disposizione è quello di ridurre gli inutili oneri amministrativi e procedimentali che limitano la libertà d’impresa.

Il termine per l’effetto abrogativo è di un anno dall’entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.

Alle norme così soppresse si sostituiscono automaticamente gli istituti della segnalazione di inizio attività (SCIA) e dell’autocertificazione con controlli successivi, inoltre, nelle more della scadenza del predetto termine, l’adeguamento delle norme al principio secondo cui l’iniziativa e l’attività economica privata sono libere, può avvenire anche con gli strumenti vigenti di semplificazione normativa.

Si ricorda che la SCIA, introdotta dal comma 4-bis dell'art. 49 del decreto legge n. 78/2010 che ha interamente sostituito l’art. 19 della legge 241/1990, è stata istituita per corrispondere all’esigenza di liberalizzare l'attività d'impresa, consentendo di iniziare immediatamente l’attività stessa. Successivamente, con la circolare del 16 settembre 2010, il Ministero per la semplificazione normativa aveva chiarito che la SCIA non si applicava solo all'avvio dell'attività di impresa ma sostituiva anche la DIA in edilizia. L’articolo 6, comma 1 del decreto in esame ha infine, apportato alcune modifiche allo stesso istituto.

Per autocertificazione si intende il sistema da ultimo disciplinato nel decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445.

Infine, entro il 31 dicembre 2012, il Governo può emanare uno o più regolamenti ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, al fine di:

§       individuare le disposizioni abrogate per effetto di quanto disposto nel comma in esame;

§       definire la disciplina regolamentare della materia ai fini dell’adeguamento al principio sancito dal comma 1.


 

Articolo 3, comma 4
(Parametri di virtuosità)

 

4. L'adeguamento di Comuni, Province e Regioni all'obbligo di cui al comma 1 costituisce elemento di valutazione della virtuosità dei predetti enti ai sensi dell'art. 20, comma 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito dalla legge 15 luglio 2011, n. 111.

 

 

Il comma 4 considera l’adempimento dell’obbligo di adeguamento dei rispettivi ordinamenti da parte di Comuni, Province e Regioni al principio di libertà dell’iniziativa economica come elemento positivo di valutazione della virtuosità degli enti territoriali medesimi, ai fini dell’articolo 20, comma 3, del decreto-legge n. 98/2011[156] (legge n. 111/2011).

 

Si tratta di una valutazione che incide su meccanismi di premialità introdotti dall’articolo 20, comma 3, del D.L. n. 98/2011, che ha ridisegnato al disciplina del Patto di stabilità interno, in particolare introducendo un meccanismo di ripartizione degli obiettivi del patto fra le singole amministrazioni sulla base dei parametri di virtuosità, che comporta effetti di minore incidenza finanziaria dei vincoli per gli enti virtuosi e di maggiore incidenza per gli altri enti.

 

In particolare, il citato articolo 20 del D.L. n. 98/2011 prevede, al comma 2, che gli enti territoriali sottoposti al patto di stabilità interno vengano ripartiti, con decreto del Ministro dell’economia e finanze, in quattro classi, definite sulla base di dieci parametri di virtuosità, al fine di distribuire il concorso alla realizzazione degli obiettivi finanziari fra gli enti di ciascun singolo livello di governo[157].

Il meccanismo prevede che gli enti locali e le regioni che risulteranno collocati nella classe più virtuosa, fermo restando l’obiettivo complessivo del comparto, non concorrano alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica – né a quelli fissati dall’articolo 14 del D.L. n. 78 del 2010 né agli ulteriori obiettivi di finanza pubblica definiti dal comma 5 dell’articolo 20 del medesimo D.L. n. 98/2011.

Per gli enti locali virtuosi”, l'obiettivo strutturale è fissato in un saldo finanziario uguale a zero - escludendo pertanto che agli enti in questione possa essere richiesto di esporre posizioni di avanzo, come invece richiesto dal citato D.L. n. 78/2010 - mentre per le regioni virtuose”, l'obiettivo è pari a quello risultante dall’applicazione alle spese finali medie 2007-2009 della percentuale annua di riduzione stabilita per il calcolo dell’obiettivo 2011 dal D.L. n. 112/2008.

Il termine di decorrenza dell’applicazione di tali meccanismi di premialità, originariamente fissato a decorrere dal 2013, è stato anticipato al 2012 dall’articolo 1, comma 9, del provvedimento in esame (cfr. la relativa scheda di lettura).

 

Al riguardo si rileva che la formulazione della norma - nella quale si afferma che il rispetto degli obblighi di cui al comma 1 dell’articolo 3 in questione costituisce “elemento di valutazione“ della virtuosità degli enti territoriali - non consente di individuare se tale rispetto costituisca un nuovo parametro di virtuosità che si aggiunge a quelli già previsti dall’articolo 20 del D.L. 98/2011. In caso contrario, potrebbe risultare opportuno precisare in che modo tale rispetto si rifletta nei predetti parametri e, ad esempio, in quale di essi.

Profili finanziari

 

Il prospetto riepilogativo e la relazione tecnica non considerano la norma.

 

In merito ai profili di quantificazione non sono state formulate osservazioni.

 


 

Articolo 3, comma 5
(Professioni)

 


5. Fermo restando l'esame di Stato di cui all'articolo 33, quinto comma, della Costituzione per l'accesso alle professioni regolamentate, gli ordinamenti profes­sionali devono garantire che l'esercizio dell'attività risponda senza eccezioni ai principi di libera concorrenza, alla presen­za diffusa dei professionisti su tutto il territorio nazionale, alla differenziazione e pluralità di offerta che garantisca l'effettiva possibilità di scelta degli utenti nell'ambito della più ampia informazione relativamente ai servizi offerti. Gli ordinamenti profes­sionali dovranno essere riformati entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto per recepire i seguenti principi:

a) l'accesso alla professione è libero e il suo esercizio è fondato e ordinato sull'autonomia e sull'indipendenza di giudizio, intellettuale e tecnica, del profes­sionista. La limitazione, in forza di una disposizione di legge, del numero di persone che sono titolate ad esercitare una certa professione in tutto il territorio dello Stato o in una certa area geografica, è consentita unicamente laddove essa risponda a ragioni di interesse pubblico, tra cui in particolare quelle connesse alla tutela della salute umana, e non introduca una discriminazione diretta o indiretta basata sulla nazionalità o, in caso di esercizio dell'attività in forma societaria, della sede legale della società profes­sionale;

b) previsione dell'obbligo per il professionista di seguire percorsi di forma­zione continua permanente predisposti sulla base di appositi regolamenti emanati dai consigli nazionali, fermo restando quanto previsto dalla normativa vigente in materia di educazione continua in medicina (ECM). La violazione dell'obbligo di formazione continua determina un illecito disciplinare e come tale è sanzionato sulla base di quanto stabilito dall'ordinamento professionale che dovrà integrare tale previsione;

c) la disciplina del tirocinio per l'accesso alla professione deve conformarsi a criteri che garantiscano l'effettivo svolgimento dell'attività formativa e il suo adeguamento costante all'esigenza di assicurare il miglior esercizio della professione. Al tirocinante dovrà essere corrisposto un equo compenso di natura indennitaria, commisurato al suo concreto apporto. Al fine di accelerare l'accesso al mondo del lavoro, la durata del tirocinio non potrà essere complessivamente superiore a tre anni e potrà essere svolto, in presenza di una apposita convenzione quadro stipulata fra i Consigli Nazionali e il Ministero dell'Istruzione, Università e Ricerca, in concomitanza al corso di studio per il conseguimento della laurea di primo livello o della laurea magistrale o specialistica. Le disposizioni della presente lettera non si applicano alle professioni sanitarie per le quali resta confermata la normativa vigen­te;

d) il compenso spettante al profes­sionista è pattuito per iscritto all'atto del conferimento dell'incarico professionale prendendo come riferimento le tariffe professionali. È ammessa la pattuizione dei compensi anche in deroga alle tariffe. Il professionista è tenuto, nel rispetto del principio di trasparenza, a rendere noto al cliente il livello della complessità dell'incarico, fornendo tutte le informazioni utili circa gli oneri ipotizzabili dal momento del conferimento alla conclusione dell'in­carico. In caso di mancata determinazione consensuale del compenso, quando il committente è un ente pubblico, in caso di liquidazione giudiziale dei compensi, ovvero nei casi in cui la prestazione professionale è resa nell'interesse dei terzi si applicano le tariffe professionali stabilite con decreto dal Ministro della Giustizia;

e) a tutela del cliente, il professionista è tenuto a stipulare idonea assicurazione per i rischi derivanti dall'esercizio dell'attività professionale. Il professionista deve ren­dere noti al cliente, al momento dell'assun­zione dell'incarico, gli estremi della polizza stipulata per la responsabilità profes­sionale e il relativo massimale. Le condi­zioni generali delle polizze assicurative di cui al presente comma possono essere negoziate, in convenzione con i propri iscritti, dai Consigli Nazionali e dagli enti previdenziali dei professionisti;

f) gli ordinamenti professionali dovran­no prevedere l'istituzione di organi a livello territoriale, diversi da quelli aventi funzioni amministrative, ai quali sono specifica­mente affidate l'istruzione e la decisione delle questioni disciplinari e di un organo nazionale di disciplina. La carica di consigliere dell'Ordine territoriale o di consigliere nazionale è incompatibile con quella di membro dei consigli di disciplina nazionali e territoriali. Le disposizioni della presente lettera non si applicano alle professioni sanitarie per le quali resta confermata la normativa vigente;

g) la pubblicità informativa, con ogni mezzo, avente ad oggetto l'attività professionale, le specializzazioni ed i titoli professionali posseduti, la struttura dello studio ed i compensi delle prestazioni, è libera. Le informazioni devono essere trasparenti, veritiere, corrette e non devono essere equivoche, ingannevoli, denigra­torie.


 

 

La norma prevede che, fatto salvo l’esame di Stato prescritto per l'abilitazione all'esercizio professionale dal quinto comma dell'articolo 33 della Costituzione per l’accesso alle professioni regolamentate[158], gli ordinamenti professionali devono garantire che l’esercizio dell’attività risponda senza eccezioni ai principi di libera concorrenza, alla presenza diffusa dei professionisti su tutto il territorio nazionale, nonché alla differenziazione e pluralità di offerta che garantisca l’effettiva possibilità di scelta degli utenti nell’ambito della più ampia informazione relativamente ai servizi offerti.

La disposizione stabilisce quindi che gli ordinamenti professionali dovranno essere riformati entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore del decreto-legge per recepire i principi elencati nelle successive lettere da a) a g) del medesimo comma 5.

Al riguardo si rammenta che attualmente la regolamentazione degli ordini professionali esistenti è contenuta, prevalentemente, in atti normativi aventi rango legislativo[159]. Poiché la formulazione della disposizione non è tale da attuare un processo di delegificazione ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge n. 400 del 1988 (e ciò a prescindere dall'ammissibilità di una simile soluzione nella materia qui considerata), ma rinvia a futuri interventi riformatori («Gli ordinamenti professionali dovranno essere riformati...»), sembra doversi ritenere che, in assenza di tali interventi, l’assetto normativo vigente resti immutato.

La normativa in esame appare quindi volta essenzialmente a fissare le linee guida che dovranno informare la futura attività del legislatore statale e regionale, ai quali spetterà la concreta realizzazione sul piano legislativo degli interventi riformatori delineati dal presente comma.

Resta comunque fermo che le previsioni del comma in esame, e in particolare quelle del primo periodo, potranno fin da subito integrare il quadro normativo di riferimento dell'attività amministrativa di competenza degli ordini professionali, limitatamente agli spazi a questa rimessi.

Per quanto concerne poi il termine di dodici mesi, coerentemente con i rilievi testé svolti e con la lettera della previsione in esame, sembra doversi concludere per il suo carattere ordinatorio.

 

Passando ai principi contenuti nelle già citate lettere da a) a g), la lettera a) prescrive che la riforma degli ordinamenti professionali dovrà assicurare che l'accesso alla professione sia libero e che il suo esercizio sia fondato e ordinato sull’autonomia e sull’indipendenza di giudizio, intellettuale e tecnica, del professionista. La limitazione, in forza di una disposizione di legge, del numero di persone titolate ad esercitare una certa professione in tutto il territorio dello Stato o in una certa area geografica, potrà essere consentita soltanto se motivata da ragioni di interesse pubblico – tra le quali le ragioni connesse alla tutela della salute umana - e non dovrà produrre una discriminazione diretta o indiretta basata sulla nazionalità o, in caso di esercizio dell’attività in forma societaria, sulla sede legale della società professionale.

La lettera b) prevede che gli ordinamenti professionali riformati debbano prevedere l'obbligo per il professionista di seguire percorsi di formazione continua permanente predisposti sulla base di appositi regolamenti emanati dai consigli nazionali, fermo restando quanto previsto dalla normativa vigente in materia di educazione continua in medicina (ECM). La violazione dell’obbligo di formazione continua costituirà un illecito disciplinare e come tale sarà sanzionato sulla base di quanto stabilito dall’ordinamento professionale che dovrà integrare tale previsione.

 

La lettera c) stabilisce quindi che la disciplina del tirocinio per l’accesso alla professione debba conformarsi a criteri che garantiscano l’effettivo svolgimento dell’attività formativa e il suo adeguamento costante all’esigenza di assicurare il miglior esercizio della professione. Al tirocinante dovrà essere corrisposto un equo compenso di natura indennitaria, commisurato al suo concreto apporto. Al fine di accelerare l’accesso al mondo del lavoro, la durata del tirocinio non potrà essere complessivamente superiore a tre anni e potrà essere svolto, in presenza di una apposita convenzione quadro stipulata fra i Consigli Nazionali e il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca, in concomitanza al corso di studio per il conseguimento della laurea di primo livello o della laurea magistrale o specialistica. Per le professioni sanitarie, ai fini della disciplina dell'attività di tirocinio, resta peraltro confermata la normativa vigente.

 

La lettera d) prevede che il compenso spettante al professionista debba essere pattuito per iscritto all’atto del conferimento dell’incarico professionale prendendo come riferimento le tariffe professionali. Sarà peraltro ammessa la pattuizione dei compensi anche in deroga alle tariffe[160]. Il professionista resta comunque tenuto a rendere noto al cliente il livello della complessità dell’incarico, fornendo tutte le informazioni utili circa gli oneri ipotizzabili dal momento del conferimento alla conclusione del medesimo. In caso di mancata determinazione consensuale del compenso, quando il committente è un ente pubblico, in caso di liquidazione giudiziale dei compensi, ovvero nei casi in cui la prestazione professionale è resa nell’interesse dei terzi si applicheranno le tariffe professionali stabilite con decreto dal Ministro della Giustizia.

 

In merito si evidenzia che l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha inviato il 26 agosto scorso una segnalazione al Governo e alle Camere in vista dei lavori parlamentari per la conversione del decreto legge n. 138, che prende in considerazione anche la disposizione in commento sulle professioni. Secondo l'Antitrust, le disposizioni contenute nell'art. 3, comma 5 del decreto «appaiono senz'altro apprezzabili laddove prevedono una riforma degli ordini professionali in senso pro-competitivo». Criticità della norma sono, tuttavia, segnalate dall'Antitrust su specifici profili; in particolare, secondo l’Autorità costituisce un passo indietro, rispetto alla norma vigente in base alla quale le tariffe professionali non sono obbligatorie, la previsione che rende le tariffe professionali parametro legale di riferimento per la determinazione del compenso del professionista. Per l'Autorità si tratta di una norma contraddittoria e contraria alla liberalizzazione del mercato dei servizi professionali.

 

La lettera e) dispone che, a tutela del cliente, il professionista sarà tenuto a stipulare idonea assicurazione per i rischi derivanti dall’esercizio dell’attività professionale. Il professionista dovrà rendere noti al cliente, al momento dell’assunzione dell’incarico, gli estremi della polizza stipulata per la responsabilità professionale e il relativo massimale. Le condizioni generali delle polizze assicurative potranno essere negoziate, in convenzione con i propri iscritti, dai Consigli Nazionali e dagli enti previdenziali dei professionisti.

 

La lettera f) stabilisce che gli ordinamenti professionali dovranno prevedere l’istituzione a livello territoriale di organi (terzi), diversi da quelli aventi funzioni amministrative, ai quali saranno specificamente affidate l’istruzione e la decisione delle questioni disciplinari e di un organo nazionale di disciplina.

Viene inoltre prevista l'incompatibilità della carica di consigliere dell’Ordine territoriale o di consigliere nazionale con quella di membro dei consigli di disciplina nazionali e territoriali. Per le professioni sanitarie resta confermata la normativa vigente.

 

In merito, nella citata segnalazione, l’Autorità garante della concorrenza ha affermato che secondo quanto emerge dal decreto, in assenza di indicazione contraria, i consigli di disciplina dovrebbero essere composti esclusivamente da professionisti appartenenti all’ordine; «tale circostanza sembra depotenziare di molto il carattere innovativo del nuovo organo disciplinare, che continuerebbe a difettare dei requisiti di necessaria terzietà. Per tale ragione, appare opportuno integrare la composizione dei consigli di disciplina, come avviene in altri Paesi, mediante la partecipazione di soggetti esterni».

 

La lettera g) prevede infine che la pubblicità informativa avente ad oggetto l’attività professionale, le specializzazioni ed i titoli professionali posseduti, la struttura dello studio ed i compensi delle prestazioni, è libera[161]. Le informazioni fornite dovranno essere trasparenti, veritiere, corrette e non dovranno essere equivoche, ingannevoli, o denigratorie.

Profili finanziari

 

Il prospetto riepilogativo non ascrive alle norme effetti sui saldi di finanza pubblica.

 

La relazione tecnica riferita al testo originario afferma che le norme non comportano effetti peggiorativi sui saldi.

 

La relazione tecnica riferita al maxiemendamento afferma, riguardo all’esclusione dei servizi di taxi e noleggio di conducente non di linea dall’abrogazione delle restrizioni in materia di accesso ed esercizio di dette attività, che la disposizione non determina effetti negativi sui saldi di finanza pubblica.

Riguardo ad altre modifiche introdotte nel corso dell’esame presso il Senato, la RT afferma che anche tali disposizioni non comportano effetti finanziari negativi, trattandosi di disposizioni di carattere ordinamentale e regolatorio volte a precisare ulteriormente l’ambito dell’intervento normativo ed i relativi strumenti attuativi.

 

In merito ai profili di quantificazione non sono state formulate osservazioni in quanto le disposizioni, enunciando principi generali, ai quali dovrà conformarsi la successiva disciplina, non appaiono suscettibili di determinare effetti diretti sui saldi di finanza pubblica.

Sono stati peraltro formulati rilievi circa una eventuale riduzione di introiti per tariffe, diritti o altre entrate della pubblica amministrazione, non integralmente compensata da una corrispondente riduzione di costi connessi a compiti autorizzatori, di sorveglianza e controllo non più svolti dai medesimi uffici.

 


 

Articolo 3, commi 6-11
(Accesso ed esercizio delle attività economiche)

 


6. Fermo quanto previsto dal comma 5 per le professioni, l'accesso alle attività economiche e il loro esercizio si basano sul principio di libertà di impresa.

7. Le disposizioni vigenti che regolano l'accesso e l'esercizio delle attività economiche devono garantire il principio di libertà di impresa e di garanzia della concorrenza. Le disposizioni relative all'introduzione di restrizioni all'accesso e all'esercizio delle attività economiche devono essere oggetto di interpretazione restrittiva, fermo in ogni caso quanto previsto al comma 1 del presente articolo.

8. Le restrizioni in materia di accesso ed esercizio delle attività economiche previste dall'ordinamento vigente sono abrogate quattro mesi dopo l'entrata in vigore del presente decreto, fermo in ogni caso quanto previsto al comma 1 del presente articolo.

9. Il termine "restrizione", ai sensi del comma 8, comprende:

a) la limitazione, in forza di una disposizione di legge, del numero di persone che sono titolate ad esercitare una attività economica in tutto il territorio dello Stato o in una certa area geografica attraverso la concessione di licenze o autorizzazioni amministrative per l'esercizio, senza che tale numero sia determinato, direttamente o indirettamente sulla base della popolazione o di altri criteri di fabbisogno;

b) l'attribuzione di licenze o autorizzazioni all'esercizio di una attività economica solo dove ce ne sia bisogno secondo l'autorità amministrativa; si considera che questo avvenga quando l'offerta di servizi da parte di persone che hanno già licenze o autorizzazioni per l'esercizio di una attività economica non soddisfa la domanda da parte di tutta la società con riferimento all'intero territorio nazionale o ad una certa area geografica;

c) il divieto di esercizio di una attività economica al di fuori di una certa area geografica e l'abilitazione a esercitarla solo all'interno di una determinata area;

d) l'imposizione di distanze minime tra le localizzazioni delle sedi deputate all'esercizio di una attività economica;

e) il divieto di esercizio di una attività economica in più sedi oppure in una o più aree geografiche;

f) la limitazione dell'esercizio di una attività economica ad alcune categorie o divieto, nei confronti di alcune categorie, di commercializzazione di taluni prodotti;

g) la limitazione dell'esercizio di una attività economica attraverso l'indicazione tassativa della forma giuridica richiesta all'operatore;

h) l'imposizione di prezzi minimi o commissioni per la fornitura di beni o servizi, indipendentemente dalla determinazione, diretta o indiretta, mediante l'applicazione di un coefficiente di profitto o di altro calcolo su base percentuale;

i) l'obbligo di fornitura di specifici servizi complementari all'attività svolta.

10. Le restrizioni diverse da quelle elencate nel comma 9 precedente possono essere revocate con regolamento da emanare ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, emanato su proposta del Ministro competente entro quattro mesi dall'entrata in vigore del presente decreto, fermo in ogni caso quanto previsto dal comma 1 del presente articolo.

11. Singole attività economiche possono essere escluse, in tutto o in parte, dall'abrogazione delle restrizioni disposta ai sensi del comma 8; in tal caso, la suddetta esclusione, riferita alle limitazioni previste dal comma 9, può essere concessa, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro competente di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, qualora:

a) la limitazione sia funzionale a ragioni di interesse pubblico, tra cui in particolare quelle connesse alla tutela della salute umana;

b) la restrizione rappresenti un mezzo idoneo, indispensabile e, dal punto di vista del grado di interferenza nella libertà economica, ragionevolmente proporzionato all'interesse pubblico cui è destinata;

c) la restrizione non introduca una discriminazione diretta o indiretta basata sulla nazionalità o, nel caso di società, sulla sede legale dell'impresa.


 

 

I commi da 6 ad 11 tendono a superare il più possibile la tendenza, stratificatasi nel tempo nell’ordinamento italiano sin dagli inizi del XX secolo, a dettare una regolamentazione legislativo-amministrativa delle attività economiche tale da subordinarne l’esercizio o le modalità di svolgimento a previe valutazioni amministrative.

 

A tal fine, al tradizionale criterio dello svolgimento dell’attività economica subordinatamente a certe condizioni e limiti si oppone (comma 6) l’affermazione del principio della “libertà d’impresa” sia nell’acceso che nell’esercizio, salvo eventuali restrizioni dettate per ragioni di pubblico interesse tassativamente menzionate ed interpretate restrittivamente.[162].

 

In particolare, poi, il comma 7 dell’art. 3 del D.L. in esame precisa che le disposizioni che regolano l’accesso e l’esercizio delle attività economiche devono assicurare sia la libertà di impresa che la garanzia della concorrenza: pertanto, eventuali limitazioni all’accesso e all’esercizio delle stesse debbono interpretarsi in senso restrittivo e comunque, fermo in ogni caso quanto previsto dal comma 1.

Tale principio generale di tendenziale libertà vale anche per le cosiddette “professioni regolamentate” per le quali, tuttavia, il comma 5 dell’art. 3 del D.L. in esame detta una normativa ad hoc, che tiene conto del vincolo dell’esame di Stato per l’abilitazione all’esercizio di queste specifiche professioni previsto dall’art. 33, comma 5, della Costituzione.

 

Molto rilevanti sono le disposizioni dei commi 8 e 9. Il primo stabilisce un meccanismo di abrogazione automatica a termine per tutte le disposizioni ad oggi esistenti che prevedono restrizioni all’accesso ed esercizio di attività economiche. Il termine per l’effetto abrogativo è di 4 mesi dalla entrata in vigore del D.L. in esame (quindi il 13 dicembre 2011).

Al fine di consentire ai soggetti interessati (operatori economici, amministrazioni, giudici e altri interpreti delle norme) di individuare concretamente le disposizioni oggetto di abrogazione, la norma detta poi due criteri ermeneutici:

§       da un lato precisa (secondo periodo del comma 7) che le disposizioni in materia di restrizioni all’accesso e all’esercizio della attività economica vanno interpretate in modo restrittivo: ciò sembra doversi intendere nel senso di limitare al massimo l’effetto impeditivo derivante dalla restrizione;

§       dall’altro (comma 9) detta un elenco di fattispecie, istituti giuridici e atti e provvedimenti amministrativi che configurano il concetto di “restrizione” all’accesso ed esercizio di attività economica, e che conseguentemente sono destinati a cadere sotto l’effetto abrogativo a termine sopra menzionato.

In base a tale elenco per “restrizione” (destinata ad abrogazione automatica) si intende:

a)   la limitazione, in forza di una disposizione di legge, del numero di persone che sono titolate ad esercitare una attività economica in tutto il territorio dello Stato o in una certa area geografica attraverso la concessione di licenze o autorizzazioni amministrative per l'esercizio, senza che tale numero sia determinato, direttamente o indirettamente sulla base della popolazione o di altri criteri di fabbisogno;

b)   l'attribuzione di licenze o autorizzazioni all'esercizio di una attività economica solo dove ce ne sia bisogno secondo l'autorità amministrativa; si considera che questo avvenga quando l'offerta di servizi da parte di persone che hanno già licenze o autorizzazioni per l'esercizio di una attività economica non soddisfa la domanda da parte di tutta la società con riferimento all'intero territorio nazionale o ad una certa area geografica;

c)   il divieto di esercizio di una attività economica al di fuori di una certa area geografica e l'abilitazione a esercitarla solo all'interno di una determinata area;

d)   l'imposizione di distanze minime tra le localizzazioni delle sedi deputate all'esercizio di una attività economica;

Si ricorda che il testo della lettera d) è stato modificato in corso di esame eliminando il riferimento anche a distanze minime tra le localizzazioni delle sedi deputate all’esercizio della professione.

e)   il divieto di esercizio di una attività economica in più sedi oppure in una o più aree geografiche;

f)     la limitazione dell'esercizio di una attività economica ad alcune categorie o divieto, nei confronti di alcune categorie, di commercializzazione di taluni prodotti;

g)   la limitazione dell'esercizio di una attività economica attraverso l'indicazione tassativa della forma giuridica richiesta all'operatore;

h)   l'imposizione di prezzi minimi o commissioni per la fornitura di beni o servizi, indipendentemente dalla determinazione, diretta o indiretta, mediante l'applicazione di un coefficiente di profitto o di altro calcolo su base percentuale;

i)      l'obbligo di fornitura di specifici servizi complementari all'attività svolta.

 

I commi 10 e 11 sono finalizzati ad evitare che il meccanismo abrogativo delle restrizioni all’attività economica operi in modo troppo rigido e meccanico sia nella determinazione delle norme sottratte all’abrogazione, sia all’opposto nella individuazione delle norme soggette ad abrogazione. Pertanto:

§       qualora (comma 10 della norma in esame) si ritengano esistenti nell’ordinamento restrizioni, diverse da quelle di cui al comma 9, che tuttavia appaiono meritevoli di abrogazione, il Ministro di settore competente può proporne la eliminazione mediante regolamento delegificante ai sensi dell’art. 17, comma 2, della legge 400/1988;

§       qualora all’opposto (comma 11), appaia opportuno mantenere, per talune attività economiche, restrizioni altrimenti soggette all’abrogazione automatica ai sensi dei sopra descritti commi 8-9, il Governo può (con D.P.C.M. su proposta di concerto del Ministro di settore competente e del Ministro dell’Economia e sentita l’Autorità garante della concorrenza e del mercato) mantenere tali restrizioni purché esse corrispondano a tre criteri generali e cioè siano:

-        funzionali a ragioni di interesse pubblico, tra cui in particolare quelle connesse alla salute umana;

-        un mezzo idoneo, indispensabile e, dal punto di vista del grado di interferenza nella libertà economica, ragionevolmente proporzionato all’interesse pubblico cui è destinata;

-        non discriminatorie basate sulla nazionalità o, nel caso di società, sulla sede legale dell’impresa.

Si segnala che le norme dei commi 10 e 11 stabiliscono termini diversi per l’esercizio della potestà regolamentare da esse prevista: il comma 10 detta il termine di 4 mesi dalla entrata in vigore del D.L. in esame (quindi, il 13 dicembre 2011, come per l’effetto abrogativo automatico previsto dal comma 8); il comma 11, invece, detta il termine di 4 mesi dalla entrata in vigore della legge di conversione. Sembrerebbe, alla luce di ciò, che si possa verificare il caso che una determinata “restrizione” dapprima venga automaticamente a cadere il 13 dicembre 2011 per effetto del combinato disposto dei commi 8 e 9 e, poi, in un momento di poco successivo (compreso nei 4 mesi dalla entrata in vigore della legge di conversione) possa essere reintrodotta con un D.P.C.M. emanato ai sensi e nel termine di cui al comma 11. Resterebbe da chiarire l’impatto di tale sequenza su eventuali attività avviate/esercitate senza restrizioni nel periodo di tempo compreso tra l’abrogazione automatica della restrizione e il suo ripristino con il D.P.C.M.

Profili finanziari

Per i profili finanziari si veda la scheda dell’articolo 3, comma 5.


 

Articolo 3, comma 11-bis
(Esclusione per servizi di taxi e noleggio con conducente)

 

11-bis. In conformità alla direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, sono invece esclusi dall'abrogazione delle restrizioni disposta ai sensi del comma 8 i servizi di taxi e noleggio con conducente non di linea, svolti esclusivamente con veicoli categoria M1, di cui all'articolo 6 del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59.

 

 

Il comma 11-bis esclude dall’applicazione delle norme dettate dall’articolo in esame le attività relative al servizio di taxi e noleggio con conducente non di linea, svolte con mezzi di categoria M1[163], secondo i principi di cui alla direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno, ed al decreto di recepimento (D.Lgs. n. 59/2010).

 

La direttiva 2006/123/CE (c.d. direttiva Bolkenstein) stabilisce le disposizioni generali che permettono di agevolare l'esercizio della libertà di stabilimento dei prestatori nonché la libera circolazione dei servizi, assicurando nel contempo un elevato livello di qualità dei servizi stessi. L’articolo 2, comma 2, lettera d), della direttiva esclude peraltro dall’applicazione di tali norme i servizi nel settore dei trasporti. Esclusione che è stata trasposta nell’ordinamento interno dall’articolo 6 del D.Lgs. n. 59/2010, di recepimento della direttiva, la quale specifica che le disposizioni del decreto non si applicano ai servizi di trasporto aereo, marittimo, per le altre vie navigabili, ferroviario e su strada, ivi inclusi i servizi di trasporto urbani, di taxi, di ambulanza, nonché i servizi portuali e i servizi di noleggio auto con conducente.

 

 

In particolare, la norma in esame è volta a mantenere in vigore per questo settore le norme restrittive per l’esercizio delle attività economiche previste dall’ordinamento vigente, norme che saranno abrogate quattro mesi dopo l’entrata in vigore del decreto legge. Tali restrizioni, indicate nel comma 9 dell’articolo 3, sono:

a)   la limitazione, in forza di una disposizione di legge, del numero di persone che sono titolate ad esercitare una attività economica in tutto il territorio dello Stato o in una certa area geografica attraverso la concessione di licenze o autorizzazioni amministrative per l'esercizio, senza che tale numero sia determinato, direttamente o indirettamente sulla base della popolazione o di altri criteri di fabbisogno;

b)   l'attribuzione di licenze o autorizzazioni all'esercizio di una attività economica solo dove ce ne sia bisogno secondo l'autorità amministrativa; si considera che questo avvenga quando l'offerta di servizi da parte di persone che hanno già licenze o autorizzazioni per l'esercizio di una attività economica non soddisfa la domanda da parte di tutta la società con riferimento all'intero territorio nazionale o ad una certa area geografica;

c)   il divieto di esercizio di una attività economica al di fuori di una certa area geografica e l'abilitazione a esercitarla solo all'interno di una determinata area;

d)   l'imposizione di distanze minime tra le localizzazioni delle sedi deputate all'esercizio della professione o di una attività economica;

e)   il divieto di esercizio di una attività economica in più sedi oppure in una o più aree geografiche;

f)     la limitazione dell'esercizio di una attività economica ad alcune categorie o divieto, nei confronti di alcune categorie, di commercializzazione di taluni prodotti;

g)   la limitazione dell'esercizio di una attività economica attraverso l'indicazione tassativa della forma giuridica richiesta all'operatore;

h)   l'imposizione di prezzi minimi o commissioni per la fornitura di beni o servizi, indipendentemente dalla determinazione, diretta o indiretta, mediante l'applicazione di un coefficiente di profitto o di altro calcolo su base percentuale;

i)      l'obbligo di fornitura di specifici servizi complementari all'attività svolta.

 

 

La normativa vigente in materia di servizi di taxi e di noleggio con conducente è dettata dalla legge n. 21/1992, alla quale ha apportato rilevanti modifiche l’articolo 29 comma 1-quater, del decreto-legge n. 207/2008, convertito dalla legge n. 14/2009. In particolare, tale articolo ha introdotto alcune restrizioni alle modalità di esercizio delle predette attività, limitando l'accesso al territorio di comuni diversi da quello che ha rilasciato l'autorizzazione, introducendo l'obbligo di effettuare le prenotazioni di trasporto e di iniziare e terminare ogni singolo servizio presso la rimessa situata nel comune che ha rilasciato l'autorizzazione, e prevedendo la compilazione e tenuta di un foglio di servizio. L’efficacia della nuova normativa, nelle more di una più ampia ridefinizione della disciplina dettata dalla legge n. 21/1992, è stata peraltro sospesa fino al 30 giugno 2009 dall’articolo 7-bis del decreto-legge n. 5/2009. Il termine è stato poi ulteriormente prorogato da successivi provvedimenti. L’articolo 2, comma 3, del decreto-legge n. 40/2010, convertito dalla legge n. 73/2010, ha stabilito che, ai fini della rideterminazione dei principi fondamentali della disciplina di cui alla citata legge n. 21/1992, ed allo scopo di assicurare omogeneità di applicazione di tale disciplina in ambito nazionale, con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, previa intesa con la Conferenza Unificata, sono adottate, entro il termine di sessanta giorni, urgenti disposizioni attuative, tese ad impedire pratiche di esercizio abusivo del servizio di taxi e del servizio di noleggio con conducente o, comunque, non rispondenti ai principi ordinamentali che regolano la materia. Con il suddetto decreto devono essere inoltre definiti gli indirizzi generali per l'attività di programmazione e di pianificazione delle regioni, ai fini del rilascio, da parte dei Comuni, dei titoli autorizzativi. Il termine per l’attuazione di tali disposizioni, già prorogato al 31 dicembre 2010 dall’art. 51 del decreto legge n. 78/2010, e successivamente fissato al 31 marzo 2011 dall’art. 1 del decreto legge n. 225/2010 (c.d. proroga termini 2011), è stato da ultimo stabilito al 31 dicembre 2011 dal DPCM 25 marzo 2011.

Profili finanziari

Per i profili finanziari si veda la scheda dell’articolo 3, comma 5.


 

Articolo 3, comma 12
(Immobili della difesa)

 


12. All'articolo 307, comma 10, del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, recante il codice dell'ordinamento militare, la lettera d) è sostituita dalla seguente:

«d) i proventi monetari derivanti dalle procedure di cui alla lettera a) sono determinati con decreto del Ministro della difesa, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, tenuto anche conto dei saldi strutturali di finanza pubblica, e sono versati all'entrata del bilancio dello Stato per essere destinati, mediante riassegnazione anche in deroga ai limiti previsti per le riassegnazioni, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, fino al 31 dicembre 2013, agli stati di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, per una quota corrispondente al 55 per cento, da assegnare al fondo ammortamento dei titoli di Stato, e del Ministero della difesa, per una quota corrispondente al 35 per cento, nonché agli enti territoriali interessati alle valorizzazioni, per la rimanente quota del 10 per cento. Le somme riassegnate al Ministero della difesa sono finalizzate esclusivamente a spese di investimento. È in ogni caso precluso l'utilizzo di questa somma per la copertura di oneri di parte corrente. Ai fini della valorizzazione dei medesimi beni, le cui procedure sono concluse entro il termine perentorio di centottanta giorni dal loro avvio, si applicano le disposizioni di cui all'articolo 4, comma 4-decies, del decreto-legge 25 gennaio 2010, n. 2, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 marzo 2010, n. 42, ovvero all'articolo 34 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e la determinazione finale delle conferenze di servizio o il decreto di approvazione degli accordi di programma, comportanti variazione degli strumenti urbanistici, sono deliberati dal consiglio comunale entro trenta giorni, decorsi i quali i due citati provvedimenti, in caso di mancata deliberazione, si intendono comunque ratificati. Il medesimo termine perentorio e il meccanismo del silenzio assenso per la ratifica delle determinazioni finali delle conferenze di servizi si applicano alle procedure di valorizzazione di cui all'articolo 314».


 

 

Il comma 12 dell’articolo 3, modificato nel corso dell’esame parlamentare, dispone la sostituzione della lettera d) dell’articolo 307 comma 10 del decreto legislativo n. 66/2010, - Codice dell'ordinamento militare - con lo scopo di stabilire finalità diverse cui vengono destinate le risorse derivanti dall’alienazione, permuta e valorizzazione dei beni immobili della Difesa.

 

Al riguardo, si ricorda che i citati proventi monetari, ai sensi della previgente disciplina recata dalla citata lettera d) dell'articolo 307, comma 10, del D.Lgs. n. 66/2010 erano destinati al Ministero della Difesa in percentuale che poteva arrivare fino al 42,5%; all'entrata del bilancio dello Stato per la successiva riassegnazione al fondo di ammortamento dei titoli di Stato, in percentuale non inferiore al 42,5%; e infine agli enti locali interessati, in una misura compresa tra il 5 ed il 15 per cento, secondo la ripartizione stabilita con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze.

 

In base alla nuova formulazione della lettera d) dell'articolo 307, comma 10, del Codice dell'ordinamento militare prevista dall'articolo 3, comma 12 del decreto-legge n. 138/2011 in esame, i suddetti proventi monetari saranno assegnati per il 55 per cento al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato, per il 35 per cento al Ministero della difesa e per il 10 per cento agli enti territoriali interessati dalle valorizzazioni.

 

Le somme assegnate al Ministero della difesa potranno essere destinate esclusivamente a spese di investimento e non potranno essere utilizzate per oneri di parte corrente.

 

La ratio della disposizione appare collegata alle regole di contabilità europee che, qualificando le entrate provenienti da alienazioni e procedure di valorizzazione del patrimonio immobiliare come entrate di conto capitale, impediscono l’utilizzo di tali proventi per coprire oneri di natura corrente.

 

La disposizione prevede anche che le procedure di valorizzazione siano concluse entro 180 giorni dal loro avvio.

 

Nell’ambito delle procedure di valorizzazione si prevede anche l’applicazione:

§       dell’articolo 4, comma 4-decies, del decreto-legge n. 2 del 2010 che consente al Ministero della difesa Ministero della difesa, quale amministrazione procedente, di convocare conferenze di servizi con i comuni, le province e le regioni interessate al fine di acquisire le autorizzazioni, gli assensi e le approvazioni, comunque denominati, necessari per la realizzazione di programmi di valorizzazione degli immobili, oggetto di accordi con i comuni, da conferire ai fondi di investimento immobiliare. La determinazione finale della conferenza di servizi, dopo la ratifica del consiglio comunale costituisce provvedimento unico di autorizzazione delle varianti allo strumento urbanistico generale; ovvero

§       dell’articolo 34 del Testo unico degli enti locali (decreto legislativo n. 267 del 2000) che disciplina gli accordi di programma tra enti locali ed altri soggetti pubblici.

 

L’accordo di programma è previsto da tale disposizione come accordo per la definizione e l'attuazione di opere, di interventi o di programmi di intervento che richiedono, per la loro completa realizzazione, l'azione integrata e coordinata di comuni, di province e regioni, di amministrazioni statali e di altri soggetti pubblici, o comunque di due o più tra i soggetti predetti. In tali casi, il presidente della Regione o il presidente della provincia o il sindaco, in relazione alla competenza primaria o prevalente sull'opera o sugli interventi o sui programmi di intervento, promuove la conclusione di un accordo di programma, anche su richiesta di uno o più dei soggetti interessati, per assicurare il coordinamento delle azioni e per determinarne i tempi, le modalità, il finanziamento ed ogni altro connesso adempimento.

 

La determinazione finale delle conferenze di servizio o il decreto di approvazione degli accordi di programma sono deliberati dal consiglio comunale entro 30 giorni, decorsi i quali i provvedimenti si intendono comunque ratificati. La disposizione si applica anche alle procedure di valorizzazione di cui all’articolo 314 del codice dell’ordinamento militare.

 

Tale disposizione prevede il trasferimento, con decreto del Ministro della difesa, di immobili a fondi di investimento immobiliare nell’ambito di accordi di programma per la valorizzazione del patrimonio immobiliare della difesa da sottoscrivere con i comuni nei quali gli immobili in questione sono ubicati.

 

Testo a fronte

 

Decreto legislativo 15 marzo 2010, n 66

Codice dell'ordinamento militare

Articolo 307
Dismissioni di altri beni immobili del Ministero della difesa

Testo previgente

Testo modificato

10. Il Ministero della difesa - Direzione generale dei lavori e del demanio, sentito il Ministero dell’economia e delle finanze - Agenzia del demanio, individua, con uno o più decreti, gli immobili militari, non compresi negli elenchi di cui al comma 2, da alienare secondo le seguenti procedure:

10. Identica:

a) le alienazioni, permute, valorizzazioni e gestioni dei beni, che possono essere effettuate anche ai sensi dell'articolo 58 del decreto legge 25 giugno 2008 n. 112, convertito dalla legge 6 agosto 2008 n. 133, in deroga alla legge 24 dicembre 1908, n. 783, e al regolamento di cui al regio decreto 17 giugno 1909, n. 454, nonché alle norme della contabilità generale dello Stato, fermi restando i principi generali dell'ordinamento giuridico-contabile, sono effettuate direttamente dal Ministero della difesa - Direzione generale dei lavori e del demanio che può avvalersi del supporto tecnico-operativo di una società pubblica o a partecipazione pubblica con particolare qualificazione professionale ed esperienza commerciale nel settore immobiliare;

a) identica;

b) la determinazione del valore dei beni da porre a base d'asta è decretata dal Ministero della difesa - Direzione generale dei lavori e del demanio, previo parere di congruità emesso da una commissione appositamente nominata dal Ministro della difesa, presieduta da un magistrato amministrativo o da un avvocato dello Stato e composta da rappresentanti dei Ministeri della difesa e dell'economia e delle finanze, nonché da un esperto in possesso di comprovata professionalità nella materia. Dall'istituzione della Commissione non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e ai componenti della stessa non spetta alcun compenso o rimborso spese;

b) identica;

c) i contratti di trasferimento di ciascun bene sono approvati dal Ministero della difesa. L'approvazione può essere negata per sopravvenute esigenze di carattere istituzionale dello stesso Ministero;

c) identica;

d) i proventi monetari derivanti dalle procedure di cui alla lettera a), sono destinati, previa verifica da parte del Ministero dell'economia e delle finanze della compatibilità finanziaria con gli equilibri di finanza pubblica, con particolare riferimento al rispetto del conseguimento, da parte dell'Italia, dell'indebitamento netto strutturale concordato in sede di programma di stabilità e crescita:

-        fino al 42,5 per cento, al Ministero della difesa, mediante riassegnazione in deroga ai limiti previsti per le riassegnazioni agli stati di previsione dei Ministeri, previo versamento all'entrata del bilancio dello Stato, per confluire nei fondi di cui all'articolo 619, per le spese di riallocazione di funzioni, ivi incluse quelle relative agli eventuali trasferimenti di personale, e per la razionalizzazione del settore infrastrutturale della difesa, nonché, fino alla misura del 10 per cento, nel fondo casa di cui all'articolo 1836. Alla ripartizione delle quote riassegnate dei citati fondi si provvede con decreti del Ministro della difesa, da comunicare, anche con mezzi di evidenza informatica, al Ministero dell'economia e delle finanze;

-        in misura non inferiore al 42,5 per cento, all'entrata del bilancio dello Stato per la successiva riassegnazione al fondo di ammortamento dei titoli di Stato;

-        in una misura compresa tra il 5 ed il 15 per cento proporzionata alla complessità ed ai tempi di valorizzazione, agli enti locali interessati, secondo la ripartizione stabilita con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze. Ove non sia assegnata la percentuale massima, la differenza viene distribuita in parti uguali alle percentuali di cui ai primi due punti;

d) i proventi monetari derivanti dalle procedure di cui alla lettera a) sono determinati con decreto del Ministro della difesa, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, tenuto anche conto dei saldi strutturali di finanza pubblica, e sono versati all’entrata del bilancio dello Stato per essere destinati, mediante rassegnazione anche in deroga ai limiti previsti per le riassegnazioni, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, fino al 31 dicembre 2013, agli stati di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze, per una quota corrispondente dal 55 per cento, da assegnare al fondo ammortamento dei titoli di Stato, e del Ministero della difesa, per una quota corrispondente al 35 per cento, nonché agli enti territoriali interessati alle valorizzazioni, per la rimanente quota del 10 per cento. Le somme riassegnate al Ministero della difesa sono finalizzate esclusivamente a spese di investimento. E’ in ogni caso precluso l’utilizzo di questa somma per la copertura di oneri di parte corrente. Ai fini della valorizzazione dei medesimi beni, le cui procedure sono concluse entro il termine perentorio di 180 giorni dal loro avvio, si applicano le disposizioni di cui all’articolo 4, comma 4-decies, del decreto-legge 25 gennaio 2010, n. 2, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 marzo 2010, n. 42, ovvero all’articolo 34 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 e la determinazione finale delle conferenze di servizio o il decreto di approvazione degli accordi di programma, comportanti variazione degli strumenti urbanistici, sono deliberati dal consiglio comunale entro 30 giorni, decorsi i quali i due citati provvedimenti, in caso di mancata deliberazione, si intendono comunque ratificati. Il medesimo termine perentorio e il meccanismo del silenzio assenso per la ratifica delle determinazioni finali delle conferenze di servizi si applicano alle procedure di valorizzazione di cui all’articolo 314.

e) le alienazioni e permute dei beni individuati possono essere effettuate a trattativa privata, se il valore del singolo bene, determinato ai sensi del presente comma, lettera b) è inferiore a euro 400.000,00;

e) identica;

f) ai fini delle permute e delle alienazioni degli immobili da dismettere, con cessazione del carattere demaniale, il Ministero della difesa comunica, insieme alle schede descrittive di cui all'articolo 12, comma 3, del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, l'elenco di tali immobili al Ministero per i beni e le attività culturali che si pronuncia, entro il termine perentorio di quarantacinque giorni dalla ricezione della comunicazione, in ordine alla verifica dell'interesse storico-artistico e individua, in caso positivo, le parti degli immobili stessi soggette a tutela, con riguardo agli indirizzi di carattere generale di cui all'articolo 12, comma 2, del citato codice di cui al decreto legislativo n. 42 del 2004. Per i beni riconosciuti di interesse storico-artistico, l'accertamento della relativa condizione costituisce dichiarazione ai sensi dell'articolo 13 del citato codice. Le approvazioni e le autorizzazioni previste dal citato codice sono rilasciate o negate entro novanta giorni dalla ricezione della istanza. Le disposizioni del citato codice, parti prima e seconda, si applicano anche dopo la dismissione.

f) identica.

Profili finanziari

 

Il prospetto riepilogativo non ascrive alla norma effetti sui saldi di finanza pubblica.

 

La relazione tecnica, riferita al testo originario della norma, sottolineava come la riassegnazione disciplinata dal testo originario del decreto legge (riassegnazione dei proventi da alienazioni, permute, valorizzazione e gestioni dei beni, dell’amministrazione della difesa) restasse vincolata alla previa verifica, da parte del Ministero dell’economia, della sua compatibilità finanziaria con gli equilibri di finanza pubblica, ed in particolare al conseguimento degli obiettivi in termini di indebitamento netto strutturale concordati in sede di programma di stabilità e crescita. In caso di verifica negativa sulla compatibilità finanziaria, i proventi in questione sarebbero stati riassegnati al fondo ammortamento titoli di Stato. Pertanto, secondo la RT, la disposizione non comportava effetti peggiorativi sui saldi di finanza pubblica.

La relazione tecnica riferita al testo definitivo[164] afferma che le riassegnazioni dei proventi dalle procedure di dismissione del patrimonio immobiliare dell’amministrazione della difesa saranno effettuate direttamente dal Ministero della difesa - Direzione generale dei lavori e del demanio nel rispetto della neutralità dei saldi strutturali di finanza pubblica. La RT sottolinea, inoltre, che le somme riassegnate al Ministero della difesa sono finalizzate esclusivamente a spese d’investimento.

 

In merito ai profili di quantificazione, è stata evidenziata la mancata riproposizione, nel testo in esame, della norma[165] che subordinava la destinazione dei proventi delle dismissioni immobiliari ad una valutazione circa la compatibilità rispetto agli equilibri di finanza pubblica e, in particolare, al conseguimento dei valori di indebitamento netto strutturale concordati in sede di patto di stabilità e crescita. In particolare, poiché le entrate da dismissioni immobiliari sono considerate misure una tantum, la destinazione delle stesse ad esigenze di spesa - come confermato dalla norma in esame – appare potenzialmente in grado di produrre effetti peggiorativi in termini di indebitamento netto strutturale.

In luogo della suddetta valutazione preventiva di compatibilità, la norma ha previsto che i proventi derivanti dagli interventi di dismissione immobiliare vengano determinati “tenuto anche conto dei saldi strutturali di finanza pubblica”. In proposito non risulta chiaro in quale misura tale procedimento attribuisca una maggiore discrezionalità - rispetto a quanto previsto a legislazione vigente - alle amministrazioni procedenti in merito alla destinazione delle somme derivanti dalle procedure di dismissione.

E’ stata, infine, rilevata l’opportunità di acquisire elementi volti a verificare se, in ragione delle specifiche destinazioni previste dalla norma in esame, possano determinarsi effetti apprezzabili di dequalificazione della spesa.

 


 

Articolo 3, comma 12-bis
(Cancellazione di segnalazioni di mancato pagamento)

 


12-bis. All'articolo 8-bis del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, sono apportate le seguenti modifiche:

a) al comma 1, le parole: «In caso di» sono sostituite dalle seguenti: «Entro dieci giorni dalla» e le parole da: «cancellate» fino a: «avvenuto pagamento» sono sostituite dalle seguenti: «integrate dalla comunicazione dell'avvenuto pagamento. La richiesta da parte dell'istituto di credito deve pervenire immediatamente dopo l'avvenuto pagamento»;

b) al comma 2, dopo le parole: «già registrate» sono inserite le seguenti: «e regolarizzate» e le parole da: «estinte» fino a: «presente decreto» sono sostituite dalle seguenti: «aggiornate secondo le medesime modalità di cui al comma precedente».


 

 

Il comma 12-bis reca disposizioni in materia di segnalazioni di ritardato pagamento presenti nelle banche dati (pubbliche e private) di informazione creditizia.

In particolare, per il caso in cui il pagamento sia successivamente regolarizzato, le norme sostituiscono l’obbligo di estinguere le segnalazioni di ritardo con quello di integrarle con la comunicazione dell’avvenuto pagamento.

 

A tal fine le disposizioni modificano l'articolo 8-bis del decreto-legge “Sviluppo” (decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70[166])

 

In Italia, la Banca d’Italia è preposta alla gestione della Centrale dei Rischi (CR), ovvero del sistema informativo pubblico relativo all'indebitamento della clientela verso le banche e le società finanziarie. Gli intermediari comunicano mensilmente alla Banca d'Italia il totale dei crediti verso i propri clienti: in particolare, i crediti pari o superiori a 30.000 euro e i crediti in sofferenza di qualunque importo. La Banca d'Italia fornisce mensilmente agli intermediari le informazioni sul debito totale verso il sistema creditizio di ciascun cliente segnalato.

Accanto alla Centrale dei Rischi operano banche dati di natura privata, consultate da banche e intermediari con lo scopo di verificare affidabilità e puntualità nei pagamenti e concedere credito al consumo, prestiti e finanziamenti. Le banche dati utilizzate dagli operatori – in particolare, in sede di erogazione del credito al consumo – sono costituite dai cd. SIC - sistemi di informazione creditizia, attraverso i quali gli operatori finanziari si scambiano le informazioni positive e negative relative agli affidamenti e ai pagamenti della clientela[167] Si tratta di sistemi informativi diversi dai registri dei protesti o da altre banche dati: i SIC si occupano esclusivamente di rapporti di credito.

Nel corso dell’indagine conoscitiva sul credito al consumo svolta dalla VI Commissione (Finanze) della Camera sono emersi alcuni profili problematici dell’attività e della funzione svolta da tali sistemi, stante il rischio di meccanismi discorsivi nell’utilizzo, da parte degli operatori, delle informazioni contenute nelle banche dati:

I SIC consentono infatti ai soggetti che erogano credito di disporre di informazioni e di elaborare indici sintetici di rischio a costi compatibili con l’ammontare del credito erogato al singolo consumatore. La Commissione, nel documento conclusivo dell’indagine conoscitiva (approvato il 23 febbraio 2010) ha tuttavia segnalato un uso acritico dei SIC da parte degli operatori, che di fatto esternalizza le decisioni circa l’erogazione del credito. In tal modo, una volta che nel SIC risulti registrato un mancato pagamento o un ritardo in una rata del debito vi è il rischio di non poter accedere mai più ad alcun finanziamento bancario, a prescindere dalle motivazioni, dalle dimensioni, dalla durata e dalla frequenza del mancato pagamento.

Si è ritenuto dunque necessario rafforzare la capacità dei SIC di fornire “un quadro il più possibile integrato del comportamento dell’individuo che ha richiesto il credito”, anche attraverso l’introduzione nel sistema di meccanismi utili ad evitare che difficoltà temporanee o ritardi limitati nel rimborso di un finanziamento costituiscano un elemento ostativo insuperabile all’erogazione di ulteriore credito nei confronti di quel soggetto.

In particolare, la Commissione ha evidenziato la necessità di rendere più tempestive ed efficienti le modalità attraverso le quali comunicare al SIC l’avvenuta regolarizzazione degli inadempimenti, nonché di ampliare i meccanismi di tutela che possono essere invocati per l’eventuale responsabilità della banca o dell’intermediario creditizio che abbia operato in maniera non diligente nell’inserimento dei dati nell’ambito dei SIC.

 

L’articolo 8-bis del D.L. 70/2011, modificato dalle disposizioni in commento, stabilisce al comma 1 che, ove i pagamenti siano regolarizzati, le segnalazioni concernenti i ritardi nel pagamento da parte delle persone fisiche o giuridiche debbano essere cancellate entro cinque giorni lavorativi dalla comunicazione da parte dell'istituto di credito che ha ricevuto il pagamento. Tale soggetto deve altresì provvedere alla richiesta di estinzione delle segnalazioni entro sette giorni dall'avvenuto pagamento.

Il successivo comma 2 obbliga ad estinguere le segnalazioni già registrate entro il 20 luglio 2011 (quindici giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge 70/2011), se relative al mancato pagamento:

§      di un numero di rate mensili inferiore a sei;

§      di un'unica rata semestrale.

Infine, il comma 3 autorizza la Banca d'Italia ad apportare le dovute modifiche alla circolare 11 febbraio 1991, n. 139, recante istruzioni per gli intermediari creditizi relativamente alla centrale dei rischi.

 

Con le modifiche apportate dalla lettera a) del comma in esame al comma 1 dell’articolo 8-bis, in luogo della cancellazione della segnalazione all’atto del pagamento, si dispone che entro dieci giorni dalla regolarizzazione del pagamento la segnalazione di ritardo sia integrata con la comunicazione dell'avvenuto pagamento.

Le banche - in luogo dell’obbligo di richiedere entro sette giorni l’estinzione della segnalazione – saranno tenute a richiedere la predetta integrazione immediatamente dopo il pagamento.

 

La lettera b) modifica il comma 2 dell’articolo 8-bis prevedendo, anche per le segnalazioni di ritardo già registrate e regolarizzate, ove relative al mancato pagamento di rate mensili di numero inferiore a sei o di un’unica rata semestrale, modalità di aggiornamento analoghe a quelle previste dal novellato comma 1.

Viene dunque eliminato il riferimento all’obbligo di cancellazione entro il 28 luglio 2011, disposto dalla formulazione originaria del comma 2.


 

Articolo 4
(Adeguamento della disciplina dei servizi pubblici locali al referendum popolare e alla normativa dell’Unione europea)

 


1. Gli enti locali, nel rispetto dei principi di concorrenza, di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi, verificano la realizzabilità di una gestione concorrenziale dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, di seguito "servizi pubblici locali", liberalizzando tutte le attività economiche compatibilmente con le caratteristiche di universalità e accessibilità del servizio e limitando, negli altri casi, l'attribuzione di diritti di esclusiva alle ipotesi in cui, in base ad una analisi di mercato, la libera iniziativa economica privata non risulti idonea a garantire un servizio rispondente ai bisogni della comunità.

2. All'esito della verifica di cui al comma 1 l'ente adotta una delibera quadro che illustra l'istruttoria compiuta ed evidenzia, per i settori sottratti alla liberalizzazione, le ragioni della decisione e i benefici per la comunità locale derivanti dal mantenimento di un regime di esclusiva del servizio.

3. Alla delibera di cui al comma precedente è data adeguata pubblicità; essa è inviata all'Autorità garante della concorrenza e del mercato ai fini della relazione al Parlamento di cui alla legge 10 ottobre 1990, n. 287.

4. La verifica di cui al comma 1 è effettuata entro dodici mesi dall'entrata in vigore del presente decreto e poi periodicamente secondo i rispettivi ordinamenti degli enti locali; essa è comunque effettuata prima di procedere al conferimento e al rinnovo della gestione dei servizi.

5. Gli enti locali, per assicurare agli utenti l'erogazione di servizi pubblici che abbiano ad oggetto la produzione di beni e attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali, definiscono preliminarmente, ove necessario, gli obblighi di servizio pubblico, prevedendo le eventuali compensazioni economiche alle aziende esercenti i servizi stessi, tenendo conto dei proventi derivanti dalle tariffe e nei limiti della disponibilità di bilancio destinata allo scopo.

6. All'attribuzione di diritti di esclusiva ad un'impresa incaricata della gestione di servizi pubblici locali consegue l'applicazione di quanto disposto dall'articolo 9 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, e successive modificazioni.

7. I soggetti gestori di servizi pubblici locali, qualora intendano svolgere attività in mercati diversi da quelli in cui sono titolari di diritti di esclusiva, sono soggetti alla disciplina prevista dall'articolo 8, commi 2-bis e 2-quater, della legge 10 ottobre 1990, n. 287, e successive modificazioni.

8. Nel caso in cui l'ente locale, a seguito della verifica di cui al comma 1, intende procedere all'attribuzione di diritti di esclusiva, il conferimento della gestione di servizi pubblici locali avviene in favore di imprenditori o di società in qualunque forma costituite individuati mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea e dei principi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, dei principi di economicità, imparzialità, trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento e proporzionalità. Le medesime procedure sono indette nel rispetto degli standard qualitativi, quantitativi, ambientali, di equa distribuzione sul territorio e di sicurezza definiti dalla legge, ove esistente, dalla competente autorità di settore o, in mancanza di essa, dagli enti affidanti.

9. Le società a capitale interamente pubblico possono partecipare alle procedure competitive ad evidenza pubblica, sempre che non vi siano specifici divieti previsti dalla legge.

10. Le imprese estere, non appartenenti a Stati membri dell'Unione europea, possono essere ammesse alle procedure competitive ad evidenza pubblica per l'affidamento di servizi pubblici locali a condizione che documentino la possibilità per le imprese italiane di partecipare alle gare indette negli Stati di provenienza per l'affidamento di omologhi servizi.

11. Al fine di promuovere e proteggere l'assetto concorrenziale dei mercati interessati, il bando di gara o la lettera di invito relative alle procedure di cui ai commi 8, 9, 10:

a) esclude che la disponibilità a qualunque titolo delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali non duplicabili a costi socialmente sostenibili ed essenziali per l'effettuazione del servizio possa costituire elemento discriminante per la valutazione delle offerte dei concorrenti;

b) assicura che i requisiti tecnici ed economici di partecipazione alla gara siano proporzionati alle caratteristiche e al valore del servizio e che la definizione dell'oggetto della gara garantisca la più ampia partecipazione e il conseguimento di eventuali economie di scala e di gamma;

c) indica, ferme restando le discipline di settore, la durata dell'affidamento commisurata alla consistenza degli investimenti in immobilizzazioni materiali previsti nei capitolati di gara a carico del soggetto gestore. In ogni caso la durata dell'affidamento non può essere superiore al periodo di ammortamento dei suddetti investimenti;

d) può prevedere l'esclusione di forme di aggregazione o di collaborazione tra soggetti che possiedono singolarmente i requisiti tecnici ed economici di partecipazione alla gara, qualora, in relazione alla prestazione oggetto del servizio, l'aggregazione o la collaborazione sia idonea a produrre effetti restrittivi della concorrenza sulla base di un'oggettiva e motivata analisi che tenga conto di struttura, dimensione e numero degli operatori del mercato di riferimento;

e) prevede che la valutazione delle offerte sia effettuata da una commissione nominata dall'ente affidante e composta da soggetti esperti nella specifica materia;

f) indica i criteri e le modalità per l'individuazione dei beni di cui al comma 29, e per la determinazione dell'eventuale importo spettante al gestore al momento della scadenza o della cessazione anticipata della gestione ai sensi del comma 30;

g) prevede l'adozione di carte dei servizi al fine di garantire trasparenza informativa e qualità del servizio.

12. Fermo restando quanto previsto ai commi 8, 9, 10 e 11, nel caso di procedure aventi ad oggetto, al tempo stesso, la qualità di socio, al quale deve essere conferita una partecipazione non inferiore al 40 per cento, e l'attribuzione di specifici compiti operativi connessi alla gestione del servizio, il bando di gara o la lettera di invito assicura che:

a) i criteri di valutazione delle offerte basati su qualità e corrispettivo del servizio prevalgano di norma su quelli riferiti al prezzo delle quote societarie;

b) il socio privato selezionato svolga gli specifici compiti operativi connessi alla gestione del servizio per l'intera durata del servizio stesso e che, ove ciò non si verifica, si proceda a un nuovo affidamento;

c) siano previsti criteri e modalità di liquidazione del socio privato alla cessazione della gestione.

13. In deroga a quanto previsto dai commi 8, 9, 10, 11 e 12 se il valore economico del servizio oggetto dell'affidamento è pari o inferiore alla somma complessiva di 900.000 euro annui, l'affidamento può avvenire a favore di società a capitale interamente pubblico che abbia i requisiti richiesti dall'ordinamento europeo per la gestione cosiddetta "in house".

14. Le società cosiddette "in house" affidatarie dirette della gestione di servizi pubblici locali sono assoggettate al patto di stabilità interno secondo le modalità definite, con il concerto del Ministro per le riforme per il federalismo, in sede di attuazione dell'articolo 18, comma 2-bis del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito con legge 6 agosto 2008, n. 133, e successive modificazioni. Gli enti locali vigilano sull'osservanza, da parte dei soggetti indicati al periodo precedente al cui capitale partecipano, dei vincoli derivanti dal patto di stabilità interno.

15. Le società cosiddette "in house" e le società a partecipazione mista pubblica e privata, affidatarie di servizi pubblici locali, applicano, per l'acquisto di beni e servizi, le disposizioni di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e successive modificazioni.

16. L'articolo 32, comma 3, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e successive modificazioni, limitatamente alla gestione del servizio per il quale le società di cui al comma 1, lettera c), del medesimo articolo sono state specificamente costituite, si applica se la scelta del socio privato è avvenuta mediante procedure competitive ad evidenza pubblica le quali abbiano ad oggetto, al tempo stesso, la qualità di socio e l'attribuzione di specifici compiti operativi connessi alla gestione del servizio. Restano ferme le altre condizioni stabilite dall'articolo 32, comma 3, numeri 2) e 3), del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e successive modificazioni.

17. Fermo restando quanto previsto dall'articolo 18, comma 2-bis, primo e secondo periodo, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e successive modificazioni, le società a partecipazione pubblica che gestiscono servizi pubblici locali adottano, con propri provvedimenti, criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi di cui al comma 3 dell'articolo 35 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. Fino all'adozione dei predetti provvedimenti, è fatto divieto di procedere al reclutamento di personale ovvero di conferire incarichi. Il presente comma non si applica alle società quotate in mercati regolamentati.

18. In caso di affidamento della gestione dei servizi pubblici locali a società cosiddette "in house" e in tutti i casi in cui il capitale sociale del soggetto gestore è partecipato dall'ente locale affidante, la verifica del rispetto del contratto di servizio nonché ogni eventuale aggiornamento e modifica dello stesso sono sottoposti, secondo modalità definite dallo statuto dell'ente locale, alla vigilanza dell'organo di revisione di cui agli articoli 234 e seguenti del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni. Restano ferme le disposizioni contenute nelle discipline di settore vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto.

19. Gli amministratori, i dirigenti e i responsabili degli uffici o dei servizi dell'ente locale, nonché degli altri organismi che espletano funzioni di stazione appaltante, di regolazione, di indirizzo e di controllo di servizi pubblici locali, non possono svolgere incarichi inerenti la gestione dei servizi affidati da parte dei medesimi soggetti. Il divieto si applica anche nel caso in cui le dette funzioni sono state svolte nei tre anni precedenti il conferimento dell'incarico inerente la gestione dei servizi pubblici locali. Alle società quotate nei mercati regolamentati si applica la disciplina definita dagli organismi di controllo competenti.

20. Il divieto di cui al comma 19 opera anche nei confronti del coniuge, dei parenti e degli affini entro il quarto grado dei soggetti indicati allo stesso comma, nonché nei confronti di coloro che prestano, o hanno prestato nel triennio precedente, a qualsiasi titolo attività di consulenza o collaborazione in favore degli enti locali o dei soggetti che hanno affidato la gestione del servizio pubblico locale.

21. Non possono essere nominati amministratori di società partecipate da enti locali coloro che nei tre anni precedenti alla nomina hanno ricoperto la carica di amministratore, di cui all'articolo 77 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni, negli enti locali che detengono quote di partecipazione al capitale della stessa società.

22. I componenti della commissione di gara per l'affidamento della gestione di servizi pubblici locali non devono aver svolto nè svolgere alcun'altra funzione o incarico tecnico o amministrativo relativamente alla gestione del servizio di cui si tratta.

23. Coloro che hanno rivestito, nel biennio precedente, la carica di amministratore locale, di cui al comma 21, non possono essere nominati componenti della commissione di gara relativamente a servizi pubblici locali da affidare da parte del medesimo ente locale.

24. Sono esclusi da successivi incarichi di commissario coloro che, in qualità di componenti di commissioni di gara, abbiano concorso, con dolo o colpa grave accertati in sede giurisdizionale con sentenza non sospesa, all'approvazione di atti dichiarati illegittimi.

25. Si applicano ai componenti delle commissioni di gara le cause di astensione previste dall'articolo 51 del codice di procedura civile.

26. Nell'ipotesi in cui alla gara concorre una società partecipata dall'ente locale che la indice, i componenti della commissione di gara non possono essere nè dipendenti nè amministratori dell'ente locale stesso.

27. Le incompatibilità e i divieti di cui ai commi dal 19 al 26 si applicano alle nomine e agli incarichi da conferire successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto.

28. Ferma restando la proprietà pubblica delle reti, la loro gestione può essere affidata a soggetti privati.

29. Alla scadenza della gestione del servizio pubblico locale o in caso di sua cessazione anticipata, il precedente gestore cede al gestore subentrante i beni strumentali e le loro pertinenze necessari, in quanto non duplicabili a costi socialmente sostenibili, per la prosecuzione del servizio, come individuati, ai sensi del comma 11, lettera f), dall'ente affidante, a titolo gratuito e liberi da pesi e gravami.

30. Se, al momento della cessazione della gestione, i beni di cui al comma 29 non sono stati interamente ammortizzati, il gestore subentrante corrisponde al precedente gestore un importo pari al valore contabile originario non ancora ammortizzato, al netto di eventuali contributi pubblici direttamente riferibili ai beni stessi. Restano ferme le disposizioni contenute nelle discipline di settore, anche regionali, vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto, nonché restano salvi eventuali diversi accordi tra le parti stipulati prima dell'entrata in vigore del presente decreto.

31. L'importo di cui al comma 30 è indicato nel bando o nella lettera di invito relativi alla gara indetta per il successivo affidamento del servizio pubblico locale a seguito della scadenza o della cessazione anticipata della gestione.

32. Fermo restando quanto previsto dall'articolo 14, comma 32, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, come modificato dall'articolo 1, comma 117, della legge 13 dicembre 2010, n. 220, e successive modificazioni, il regime transitorio degli affidamenti non conformi a quanto stabilito dal presente decreto è il seguente:

a) gli affidamenti diretti relativi a servizi il cui valore economico sia superiore alla somma di cui al comma 13, nonché gli affidamenti diretti che non rientrano nei casi di cui alle successive lettere da b) a d) cessano, improrogabilmente e senza necessità di apposita deliberazione dell'ente affidante, alla data del 31 marzo 2012;

b) le gestioni affidate direttamente a società a partecipazione mista pubblica e privata, qualora la selezione del socio sia avvenuta mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi di cui al comma 8, le quali non abbiano avuto ad oggetto, al tempo stesso, la qualità di socio e l'attribuzione dei compiti operativi connessi alla gestione del servizio, cessano, improrogabilmente e senza necessità di apposita deliberazione dell'ente affidante, alla data del 30 giugno 2012;

c) le gestioni affidate direttamente a società a partecipazione mista pubblica e privata, qualora la selezione del socio sia avvenuta mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi di cui al comma 8, le quali abbiano avuto ad oggetto, al tempo stesso, la qualità di socio e l'attribuzione dei compiti operativi connessi alla gestione del servizio, cessano alla scadenza prevista nel contratto di servizio;

d) gli affidamenti diretti assentiti alla data del 1° ottobre 2003 a società a partecipazione pubblica già quotate in borsa a tale data e a quelle da esse controllate ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile, cessano alla scadenza prevista nel contratto di servizio, a condizione che la partecipazione pubblica si riduca anche progressivamente, attraverso procedure ad evidenza pubblica ovvero forme di collocamento privato presso investitori qualificati e operatori industriali, ad una quota non superiore al 40 per cento entro il 30 giugno 2013 e non superiore al 30 per cento entro il 31 dicembre 2015; ove siffatte condizioni non si verifichino, gli affidamenti cessano, improrogabilmente e senza necessità di apposita deliberazione dell'ente affidante, rispettivamente, alla data del 30 giugno 2013 o del 31 dicembre 2015.

33. Le società, le loro controllate, controllanti e controllate da una medesima controllante, anche non appartenenti a Stati membri dell'Unione europea, che, in Italia o all'estero, gestiscono di fatto o per disposizioni di legge, di atto amministrativo o per contratto servizi pubblici locali in virtù di affidamento diretto, di una procedura non ad evidenza pubblica ovvero ai sensi del comma 12, nonché i soggetti cui è affidata la gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali degli enti locali, qualora separata dall'attività di erogazione dei servizi, non possono acquisire la gestione di servizi ulteriori ovvero in ambiti territoriali diversi, nè svolgere servizi o attività per altri enti pubblici o privati, nè direttamente, nè tramite loro controllanti o altre società che siano da essi controllate o partecipate, nè partecipando a gare. Il divieto di cui al primo periodo opera per tutta la durata della gestione e non si applica alle società quotate in mercati regolamentati e alle società da queste direttamente o indirettamente controllate ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile, nonché al socio selezionato ai sensi del comma 12. I soggetti affidatari diretti di servizi pubblici locali possono comunque concorrere su tutto il territorio nazionale alla prima gara successiva alla cessazione del servizio, svolta mediante procedura competitiva ad evidenza pubblica, avente ad oggetto i servizi da essi forniti.

34. Sono esclusi dall'applicazione del presente articolo il servizio idrico integrato, ad eccezione di quanto previsto dai commi da 19 a 27, il servizio di distribuzione di gas naturale, di cui al decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164, il servizio di distribuzione di energia elettrica, di cui al decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79 e alla legge 23 agosto 2004, n. 239, il servizio di trasporto ferroviario regionale, di cui al decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422, nonché la gestione delle farmacie comunali, di cui alla legge 2 aprile 1968, n. 475. È escluso dall'applicazione dei commi 19, 21 e 27 del presente articolo quanto disposto dall'articolo 2, comma 42, del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10.

35. Restano salve le procedure di affidamento già avviate all'entrata in vigore del presente decreto.


 

 

L’articolo 4 reca in rubrica l’adeguamento della disciplina dei servizi pubblici locali al referendum popolare e alla normativa dell’Unione europea[168].

 

Si ricorda che a seguito dell’esito referendario del 12 e 13 giugno 2011 è stata modificata sia la disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica che la determinazione della tariffa idrica. Le abrogazioni sono divenute effettive dal 21 luglio 2011 per effetto dei D.P.R. 18 luglio 2011, n. 113 e n. 116 (GU 20 luglio 2011, n. 167). Il primo quesito ha abrogato l'art. 23-bis del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112 che prevedeva la regola generale di affidamento tramite gara dei servizi locali di rilevanza economica e il limitato ricorso all'affidamento "in house". Il secondo quesito ha abrogato il comma 1 dell'art. 154 del D.Lgs. n. 152/2006, limitatamente alla parte: "dell'adeguatezza della remunerazione del capitale investito". La tariffa idrica viene conseguentemente determinata senza tenere conto del parametro della remunerazione del capitale investito dall'ente gestore. Entrambe le abrogazioni hanno avuto effetto dal giorno successivo alla pubblicazione in G.U. dei citati D.P.R. con i quali si è sancito il risultato abrogativo del referendum.

In estrema sintesi, prima dell’esito referendario, il citato art. 23-bis relativo alle modalità di affidamento da parte degli enti locali della gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, prevedeva una disciplina più restrittiva rispetto alle regole comunitarie. Il conferimento dei servizi pubblici locali di rilevanza economica avveniva, infatti, in via ordinaria attraverso una gara pubblica, mentre la cd. gestione "in house", cioè quella in cui l'ente locale gestisce in proprio il servizio, era una situazione eccezionale. In determinati casi, ai sensi del comma 3 dell'art. 23-bis, si prevedeva che per peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, che non permettono un efficace e utile ricorso al mercato, l'affidamento potesse avvenire a favore di società a capitale interamente pubblico, partecipata dall'Ente locale.

Da ultimo occorre anche rammentare che la Corte Costituzionale, nella sentenza 26 gennaio 2011, n. 24 con cui ha ammesso il quesito referendario, ha fornito precise indicazioni in merito al risultato del referendum "(...) all'abrogazione dell'articolo 23-bis, da un lato, non conseguirebbe alcuna reviviscenza delle norme abrogate da tale articolo (...) dall'altro, conseguirebbe l'applicazione immediata nell'ordinamento italiano della normativa comunitaria (come si è visto, meno restrittiva rispetto a quella oggetto di referendum) relativa alle regole concorrenziali minime in tema di gara ad evidenza pubblica per l'affidamento della gestione di servizi pubblici di rilevanza economica”.

 

Esaminando nel dettaglio il contenuto dell’articolo in esame, i commi da 1 a 4, 6 e 8 disegnano la procedura attraverso la quale gli enti locali distinguono – all’interno dei servizi pubblici locali - quelli da liberalizzare e quelli da concedere in esclusiva. Per “servizi pubblici locali” si intendono quelli “di rilevanza economica”.

 

Ai sensi del T.U. degli enti locali (art. 112 del D.Lgs. n. 267/2000) i servizi pubblici locali sono quelli "che abbiano per oggetto produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali". Dato che non esiste una definizione normativa di cosa sia un servizio locale "di rilevanza economica", cui applicare le regole dell'art. 23-bis (ora abrogato), la definizione si desume dalla elaborazione dottrinaria e giurisprudenziale. Pertanto, occorre individuare i servizi a rilevanza economica tenendo conto, oltre che della natura degli interessi o bisogni collettivi che si intendono soddisfare — e oltre che dell'aspetto organizzativo — cioè delle modalità di erogazione dello stesso, anche del profilo strettamente economico del servizio, cioè dell'impatto che l'attività può avere sul mercato della concorrenza e sui suoi caratteri di redditività. Le norme di affidamento del servizio ex art. 23-bis si applicavano a tutti i servizi pubblici locali di rilevanza economica esclusi la distribuzione di gas ed energia elettrica, la gestione delle farmacie comunali e il trasporto ferroviario regionale. Occorre, infine, precisare che la disciplina di cui all’art. 23-bis non ha mai riguardato l'acqua, che è e rimane un bene pubblico (art. 144, D.Lgs. 152/2006) così come appartengono al demanio anche gli acquedotti, ma la gestione del servizio, e pertanto anche del servizio idrico.

 

Il comma 1 prevede che gli enti locali verifichino la realizzabilità di una gestione concorrenziale dei servizi pubblici locali che può condurre a due esiti:

§       il primo è la liberalizzazione di tutte le attività economiche, compatibilmente con le caratteristiche di universalità e accessibilità del servizio;

§       il secondo è quello - dichiaratamente limitato (“limitando”) dell’attribuzione di diritti di esclusiva alle ipotesi in cui, in base ad una analisi di mercato, la libera iniziativa economica privata non risulti idonea a garantire un servizio rispondente ai bisogni della comunità.

 

L’esito della verifica – ai sensi del comma 2 - è formalizzato in una delibera quadro che illustra l’istruttoria compiuta e che deve essere, ai sensi del comma 3, adeguatamente pubblicizzata. Essa è tra l'altro inviata all’Autorità garante della concorrenza e del mercato ai fini della relazione al Parlamento di cui alla legge n. 287/1980.

Nel corso dell’esame parlamentare è stato riformulata la previsione sul contenuto della delibera di cui al comma 2 con cui l'ente dà conto della scelta di non liberalizzare il settore, prevedendo che essa evidenzi, per i settori sottratti alla liberalizzazione, anche le ragioni della decisione.

 

Ai sensi del comma 4, la verifica deve essere effettuata entro dodici mesi dall’entrata in vigore del decreto e, successivamente, con cadenza periodica secondo i rispettivi ordinamenti degli enti locali. In ogni caso la verifica va effettuata prima di procedere al conferimento e al rinnovo della gestione dei servizi.

 

Pertanto, entro il 13 agosto 2012, gli enti locali, nel rispetto dei principi di concorrenza, di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi, sono tenuti a verificare la realizzabilità di una gestione concorrenziale dei servizi pubblici locali, liberalizzando tutte le attività economiche compatibilmente con le caratteristiche di universalità e accessibilità del servizio. I diritti di esclusiva rimangono, invece, limitati ai casi in cui, in base ad una analisi di mercato, la libera iniziativa economica privata non risulti idonea a garantire un servizio rispondente ai bisogni della comunità.

 

Il comma 5 - con una norma che non appare meglio riferibile all'esito della gestione in esclusiva – prevede che gli enti locali, ove necessario, provvedano a definire gli obblighi di servizio pubblico, prevedendo eventuali compensazioni economiche alle aziende esercenti i servizi stessi, tenendo conto dei proventi derivanti dalle tariffe e nei limiti della disponibilità di bilancio destinata allo scopo.

La relazione illustrativa specifica che la finalità espressa di tale disposizione è quella di assicurare agli utenti l’erogazione di servizi pubblici che abbiano ad oggetto la produzione di beni e attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali.

 

I commi 6 e 7 chiariscono che l’attribuzione di diritti di esclusiva ad un’impresa incaricata della gestione dei servizi pubblici non comporta per i terzi il divieto di produzione degli stessi servizi per uso proprio (art. 9, della legge n. 287/1990), salvi i casi di ordine pubblico, sicurezza pubblica e difesa nazionale, nonché, salvo concessione, per quanto concerne il settore delle telecomunicazioni. Inoltre, i gestori di servizi pubblici locali, nei casi in cui intendano svolgere attività in mercati diversi da quelli in cui sono titolari di diritti di esclusiva, devono operare attraverso società separate, nonché rendere accessibili i beni o servizi anche informativi, di cui abbiano la disponibilità esclusiva in dipendenza da attività svolte, a condizioni equivalenti, alle altre imprese direttamente concorrenti (art. 8, commi 2-bis e 2-quater della legge 287/1990).

 

Ai sensi del comma 8, qualora, dall’esito della verifica l'ente locale intenda attribuire in esclusiva la gestione del servizio pubblico locale, l'affidamento avviene:

§       tramite procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi del Trattato europeo e dei principi generali relativi ai contratti pubblici (economicità, imparzialità, trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento e proporzionalità), nonché anche degli standard qualitativi, quantitativi, ambientali, di equa distribuzione sul territorio e di sicurezza definiti dalla legge, ove esistente, dalla competente autorità di settore o, in mancanza di essa, dagli enti affidanti alla quale possono partecipare anche le società a intera partecipazione pubblica, salvo che non esistano specifici divieti previsti dalla legge (comma 9) e società private extra UE, a condizioni di reciprocità (comma 10).

§       tramite procedure competitive ad evidenza pubblica a società mista pubblico privata, mediante la cosiddetta gara "a doppio oggetto", una gara cioè che abbia ad oggetto sia la qualità di socio privato (che deve avere una quota non inferiore al 40%) e l’attribuzione di specifici compiti operativi connessi alla gestione del servizio. Nel bando di gara i criteri di valutazione delle offerte, basati su qualità e corrispettivo del servizio devono prevalere di norma su quelli riferiti al prezzo delle quote societarie. Il socio privato selezionato deve svolgere gli specifici compiti operativi connessi alla gestione del servizio per l'intera durata del servizio stesso. Se ciò non si dovesse verificare, si procederà a un nuovo affidamento. Nel bando, infine, devono essere previsti criteri e modalità di liquidazione del socio privato alla cessazione della gestione (comma 12).

 

Al riguardo, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, nella segnalazione AS864 del 26 agosto 2011, ha sottolineato come il principio dell’obbligo di gara per l’affidamento in esclusiva dei servizi pubblici locali, oltre a rispondere ai principi concorrenziali, appaia fondamentale per garantire la scelta dell’operatore migliore in termini di qualità efficienza e condizione economiche dei servizi offerti. L’Autorità ha quindi auspicato l’opportunità di accompagnare il processo di riforma del settore dei servizi pubblici locali con misure di garanzia dell’efficienza e della qualità della gestione del servizio. Sempre secondo l’Autorità, i risultati di tale attività potrebbero poi essere utilizzati a fini normativi, ad esempio stabilendo l’automatica cessazione anticipata dell’affidamento avvenuto in via diretta (e la successiva messa a gara del medesimo), se il gestore non è in grado di realizzare performance paragonabili ai migliori standard disponibili per servizi analoghi[169].

 

Il comma 11 reca alcune prescrizioni specifiche che devono essere indicate nei bandi di gara e nelle lettere di invito per le procedure competitive ad evidenza pubblica per l’affidamento dei servizi pubblici locali indicate nei commi da 8 a 10, al fine di promuovere e proteggere l’assetto concorrenziale dei marcati interessati.

 

Per ciò che concerne le previsioni di cui al comma 11 dell’art. 4, che commisurano la durata massima degli affidamenti al periodo di ammortamento degli investimenti previsti a carico del gestore, l’Autorità, nella citata segnalazione AS864, ha ritenuto opportuno segnalare i possibili effetti anticoncorrenziali derivanti da un eccessivo prolungamento della stessa gestione in capo a un unico soggetto, anche alla luce del meccanismo di subentro di cui ai successivi commi 29 e 30, che garantiscono comunque il recupero degli investimenti effettuati.

 

Il comma 13, in deroga alle modalità di affidamento sopra illustrate, ammette l’affidamento diretto a società che possiedono i requisiti per la gestione "in house" qualora il valore del servizio non superi i 900.000 euro annui.

 

La società in house è una società posseduta al 100% dall'ente locale che deve svolgere con proprio personale tutte le attività legate al servizio senza appaltare a terzi, sulla base di alcuni requisiti posti dalla giurisprudenza comunitaria (secondo la sentenza del 18 novembre 1999 della Corte di Giustizia, c.d. “Sentenza Teckal”, in causa C-107/98), che sono:

-        l’esercizio da parte dell’ente committente, sul soggetto affidatario, di un “controllo analogo” a quello che esercita sui propri servizi;

-        la necessità che il soggetto affidatario realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente committente (o gli enti se sono più di uno) che la controlla.

Sul requisito del controllo analogo la giurisprudenza comunitaria è negli ultimi anni a più riprese intervenuta con numerose pronunce finalizzate a ridimensionare l’effettivo ricorso all’istituto dell’in house. Si ricordano, tra i numerosi interventi, la sentenza 11 gennaio 2005, in causa C-26/03, (sentenza Stadt Halle), in cui la Corte di Giustizia ha sostenuto la necessità della partecipazione totalitaria dell’ente pubblico di riferimento perché possa dirsi sussistente il c.d. "controllo analogo" ed ammessa, quindi, l’eccezionale deroga alle norme che impongono il ricorso alla pubblica gara. Con la sentenza Parking Brixen (sentenza 13 ottobre 2005 in causa C 458/03) per la Corte occorre altresì che il soggetto affidante sia in grado di influenzare in modo determinante gli “obiettivi strategici” e le “decisioni importanti” del soggetto affidatario.

La giurisprudenza nazionale ha recepito gli orientamenti comunitari.

 

Per ciò che concerne le previsioni introdotte dal comma 13, l’Autorità, nella citata segnalazione AS864 ritiene che la soglia indicata (valore dell’affidamento pari a 900.000 euro annui) sia oggettivamente elevata, tale da poter determinare, per alcuni settori di attività economica, una sottrazione quasi integrale dai necessari meccanismi di concorrenza per il mercato. In ogni caso, ribadisce l’Autorità, il sistema di esenzioni dall’obbligo di gara così configurato si presta facilmente a comportamenti elusivi da parte delle amministrazioni che non intendono procedere agli affidamenti tramite gara dei servizi pubblici locali e, pertanto, essa suggerisce che basterebbe frazionare gli affidamenti in tante “tranche”, ciascuna di valore inferiore a 900.000 euro annui, per poterle poi attribuire tutte direttamente a controllate in house. Per tali considerazioni l’Autorità ritiene il sistema introdotto meno efficace di quello previgente e che non possa essere migliorato con modifiche al ribasso della soglia, data l’arbitrarietà con cui qualsiasi valore verrebbe eventualmente determinato.

 

I commi 14, 15 e 16 impongono alle società “in house” il rispetto del patto di stabilità interno, l’applicazione delle disposizioni già vigenti per l’acquisto di beni e servizi, nonché per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi.

 

In particolare le società “in housesono assoggettate al patto di stabilità interno secondo le modalità definite, con il concerto del Ministro per le riforme per il federalismo, in sede di attuazione dell’articolo 18, comma 2-bis del d.l. 112 del 2008. Gli enti locali vigilano sull'osservanza di tali vincoli (comma 14).

 

L'art. 18, comma 2-bis citato estende i divieti e le limitazioni alle assunzioni di personale della pubblica amministrazione alle società a partecipazione pubblica locale totale o di controllo che siano titolari di affidamenti diretti di servizi pubblici locali senza gara, ovvero che svolgano funzioni volte a soddisfare esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale ne' commerciale.

 

Le società “in house” ed anche le società miste, applicano, per l’acquisto di beni e servizi, le disposizioni di cui al D.Lgs. n. 163/2006, Codice dei contratti pubblici (comma 15).

Il comma 16 dispone l’applicabilità dell’art. 32, comma 3, del Codice dei contratti pubblici alle società di cui al comma 1, lett. c), del medesimo art. 32 - limitatamente alla gestione del servizio per il quale sono state specificamente costituite - se la scelta del socio privato sia avvenuta mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, che hanno ad oggetto la qualità di socio e l’attribuzione di specifici compiti operativi connessi alla gestione del servizio (c.d. gara a “doppio oggetto”). Rimangono comunque impregiudicate le altre condizioni stabilite dall’art. 32, comma 3, numeri 2) e 3), del D.Lgs. n. 163.

La relazione illustrativa specifica che tale norma è volta ad armonizzare le norme del Codice dei contratti pubblici con la possibilità di affidare, ai sensi del comma 12, il servizio ad una società previa gara con doppio oggetto.

 

Si segnala che l'art. 32, comma 3, esclude dalle disposizioni del Codice - limitatamente alla realizzazione dell'opera pubblica o alla gestione del servizio per i quali sono state specificamente costituite - le società di cui al comma 1, lettera c) del medesimo articolo 32, ovvero le società con capitale pubblico, che non sono organismi di diritto pubblico, che hanno ad oggetto della loro attività la realizzazione di lavori o opere, ovvero la produzione di beni o servizi, non destinati ad essere collocati sul mercato in regime di libera concorrenza, ivi comprese le società di cui agli articoli 113, 113-bis, 115 e 116 del TUEL. Tali società non sono tenute ad applicare le disposizioni del Codice -limitatamente alla realizzazione dell’opera pubblica o alla gestione del servizio per i quali sono state specificamente costituite - se ricorrono le seguenti condizioni:

1)       la scelta del socio privato e' avvenuta nel rispetto di procedure di evidenza pubblica;

2)       il socio privato ha i requisiti di qualificazione previsti dal presente codice in relazione alla prestazione per cui la società e' stata costituita;

3)       la società provvede in via diretta alla realizzazione dell'opera o del servizio, in misura superiore al 70% del relativo importo.

 

Il comma 17 dispone che le società a partecipazione pubblica che gestiscono servizi pubblici locali (escluse quelle quotate in mercati regolamentati) possano adottare, con propri provvedimenti, criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi, nel rispetto comunque dei principi di cui al comma 3 dell’art. 35 del D.Lgs. n. 165/2001.

Resta fermo quanto previsto dall’articolo 18, comma 2-bis, (cfr. comma 14) primo e secondo periodo. Fino all’adozione dei relativi provvedimenti vi è divieto di reclutamento di personale e di conferire incarichi.

 

L'art. 35, comma 3, del D.Lgs. n. 165/2001 reca i principi per le procedure di reclutamento nelle pubbliche amministrazioni, tra cui: pubblicità, imparzialità, adozione di meccanismi oggettivi e trasparenti, pari opportunità, decentramento delle procedure di reclutamento, composizione delle commissioni con esperti.

 

Il comma 18 affida – sia in caso di società “in house”, sia quando il capitale sociale del soggetto gestore è partecipato dall’ente locale affidante - all’organo di revisione dell'ente locale il rispetto del contratto di servizio e il controllo sulle sue modifiche, ferme restando le discipline di settore. L’organo di revisione è il collegio dei revisori previsto dagli articoli 234 e seguenti del TUEL.

 

I commi da 19 a 26 introducono una serie di divieti ed incompatibilità che si applicano alle nomine e agli incarichi da conferire successivamente alla data di entrata in vigore del decreto che lo contiene (comma 27).

 

Ai sensi del comma 19, gli amministratori, i dirigenti e i responsabili dell’ente locale, nonché degli altri organismi che espletano funzioni di stazione appaltante, di regolazione, di indirizzo e di controllo di servizi pubblici locali, non possono svolgere incarichi inerenti la gestione dei servizi affidati da parte dei medesimi soggetti. Il divieto si applica anche nel caso in cui le dette funzioni sono state svolte nei tre anni precedenti il conferimento dell’incarico inerente la gestione dei servizi pubblici locali. Alle società quotate si applica la disciplina definita dai relativi organi di controllo.

 

Stesso divieto vale (comma 20) per il coniuge, i parenti e gli affini entro il quarto grado dei predetti soggetti, nonché nei confronti di coloro che prestano, o hanno prestato nel triennio precedente, a qualsiasi titolo attività di consulenza o collaborazione in favore degli enti locali o dei soggetti che hanno affidato la gestione del servizio pubblico locale.

 

Ai sensi del comma 21, non possono essere nominati amministratori di società partecipate da enti locali coloro che nei tre anni precedenti alla nomina hanno ricoperto la carica di amministratore locale, come definito dall’articolo 77 del TUEL[170], negli enti locali che detengono quote di partecipazione al capitale della stessa società.

Chi ha rivestito, nel biennio precedente, la stessa carica di amministratore locale non può essere - ex comma 23 - nominato componente della commissione di gara relativamente a servizi pubblici locali da affidare da parte del medesimo ente locale.

 

Il comma 22 dispone che i componenti della commissione di gara per l’affidamento della gestione di servizi pubblici locali non devono aver svolto né svolgere alcun’altra funzione o incarico tecnico o amministrativo relativamente alla gestione del servizio di cui si tratta.

 

Il comma 24 esclude da successivi incarichi di commissario coloro che, in qualità di componenti di commissioni di gara, abbiano concorso, con dolo o colpa grave accertati in sede giurisdizionale con sentenza non sospesa, all’approvazione di atti dichiarati illegittimi.

 

Il comma 25 applica ai componenti delle commissioni di gara le cause di astensione previste dall’articolo 51 del c.p.c., che regola i casi di astensione del giudice (interesse nella causa, vincoli di prossimità, inimicizia, interventi precedenti, rapporti con chi ha interesse in causa).

 

Il comma 26 fa riferimento all’ipotesi in cui alla gara concorra una società partecipata dall’ente locale che la indice, prescrivendo che i componenti della commissione di gara non possano essere né dipendenti né amministratori dell’ente locale stesso.

 

Il comma 28 sancisce che la gestione delle reti può essere affidata a soggetti privati, ferma restando la proprietà pubblica.

 

I commi 29, 30 e 31 riguardano – per il caso di scadenza o cessazione anticipata della gestione del servizio pubblico - la disciplina della cessione al gestore subentrante dei beni strumentali e le loro pertinenze, necessari per la prosecuzione del servizio.

 

Alla scadenza della gestione del servizio pubblico locale o in caso di sua cessazione anticipata il comma 29 prevede che il precedente gestore ceda al subentrante i beni strumentali e le loro pertinenze a titolo gratuito e liberi da pesi e gravami, a condizione che i beni siano: a) non duplicabili a costi socialmente sostenibili; b) necessari per la prosecuzione del servizio. I beni sono quelli individuati, ai sensi del comma 11, lettera f), dall’ente affidante, nel bando o nella lettera d'invito (cfr.).

 

Il comma 30 prevede il caso in cui, al momento della cessazione della gestione, i predetti beni non siano stati interamente ammortizzati: in tal caso il gestore subentrante corrisponde al precedente gestore un importo pari al valore contabile originario non ancora ammortizzato, al netto di eventuali contributi pubblici direttamente riferibili ai beni stessi. Restano ferme le disposizioni contenute nelle discipline di settore, anche regionali, nonché eventuali diversi accordi. L’importo - così prescrive il comma 31 - è indicato nel bando o nella lettera di invito relativi alla gara indetta per il successivo affidamento del servizio pubblico locale a seguito della scadenza o della cessazione anticipata della gestione.

 

Il comma 32 disciplina il regime transitorio degli affidamenti non conformi a quanto stabilito dal decreto, ferma restando la specifica normativa riguardante la liquidazione delle società dei comuni con popolazione fino a 30.000 abitanti di cui all’art. 14, comma 32, del decreto legge n. 78/2010, come modificato dall’art. 1, comma 117, della legge 220/2010. Il regime transitorio è il seguente (la cessazione anticipata è improrogabile e non richiede apposita deliberazione dell’ente affidante):

a)      gli affidamenti diretti "in house" di valore superiore a 900.000 euro annui cessano improrogabilmente il 31 marzo 2012. Alla stessa data cessano gli affidamenti diretti a società miste pubblico-private in cui il socio privato non sia stato scelto tramite gara;

b)      gli affidamenti diretti a società miste pubblico-private in cui il socio privato sia stato scelto tramite gara, ma la gara non sia stata a doppio oggetto (cioè non abbia avuto ad oggetto, al tempo stesso, la qualità di socio e l'attribuzione dei compiti operativi connessi alla gestione del servizio), cessano improrogabilmente il 30 giugno 2012;

c)      gli affidamenti diretti a società miste pubblico-private in cui il socio privato sia stato scelto tramite gara "a doppio oggetto" (cioè abbia avuto ad oggetto, al tempo stesso, la qualità di socio e l'attribuzione dei compiti operativi connessi alla gestione del servizio), cessano alla scadenza prevista dal contratto di servizio;

d)      gli affidamenti diretti assentiti prima del 1° ottobre 2003 a società miste pubblico-private quotate in borsa a tale data, cessano alla scadenza prevista dal contratto di servizio se la partecipazione pubblica nella società si riduce al 40% entro il 30 giugno 2013 e scende al 30% entro il 31 dicembre 2015. Al mancato verificarsi di tali condizioni, l'affidamento cessa rispettivamente il 30 giugno 2013 e il 31 dicembre 2015.

 

Con riguardo poi alle previsioni in materia di regime transitorio per gli affidamenti diretti oggi in vigore, l’Autorità, nella citata segnalazione AS864 osserva quanto segue. “Il comma 32 dell’articolo 4 prevede che gli affidamenti diretti, relativi a servizi il cui valore economico superi i 900.000 euro annui, cessano improrogabilmente al 31 marzo 2012; per i servizi di valore inferiore a 900.000 annui vale dunque la scadenza originaria dell’affidamento. Per le stesse motivazioni esposte in precedenza, appare del tutto inconferente un valore predeterminato del servizio quale criterio per giustificare la prosecuzione degli affidamenti, effettuati in house, sino alla loro scadenza naturale. Inoltre, la norma, per come formulata, stabilisce l’esenzione dalla scadenza anticipata per tutti gli affidamenti diretti, non solamente per quelli in house, ampliando ulteriormente, rispetto a quanto previsto dal comma 13 per i nuovi affidamenti, la platea dei soggetti che possono continuare a gestire Spl senza aver vinto alcuna gara. Allo stesso fine di evitare la permanenza di gestioni da parte di soggetti che non sono stati scelti ad esito di una procedura competitiva, l’Autorità osserva che i casi di cui alla lettera d), del comma 32, non possono ricomprendere anche affidamenti oggi in essere in base a rinnovi o proroghe tacite, già definiti dal giudice amministrativo quali gestioni di fatto, in quanto esercitati sulla base di un titolo illegittimo”.

 

Il comma 33 stabilisce il divieto per i soggetti che gestiscono servizi pubblici locali in seguito ad affidamento diretto o comunque a procedure non a evidenza pubblica (cioè senza che vi sia stata una gara), di svolgere servizi ulteriori, anche attraverso controllanti o controllate, e di partecipare a gare per l'affidamento di servizi, fino alla conclusione della concessione.

Il divieto - che opera per tutta la durata della gestione - non si applica alle società quotate e alle società controllate (ex art. 2359 c.c.), nonché al socio selezionato ai sensi del comma 12. I soggetti affidatari diretti di servizi pubblici locali possono concorrere su tutto il territorio nazionale alla prima gara successiva alla cessazione del servizio, svolta mediante procedura competitiva ad evidenza pubblica, avente ad oggetto i servizi da essi forniti.

 

L’Autorità, nella citata segnalazione AS864 rileva come la previsione del comma 33, appare porre condizioni eccessivamente restrittive. Si propone dunque di attenuare le condizioni che consentono agli affidatari diretti di partecipare ad altre gare, consentendo loro di farlo nel caso in cui i soggetti in questione siano nella fase finale (inferiore ai due anni) del proprio affidamento e sia già stata bandita la gara per il riaffidamento del servizio o, almeno, sia stata adottata la decisione di procedere al nuovo affidamento attraverso procedure ad evidenza pubblica, per il servizio erogato dall’affidatario diretto.

 

Il comma 34 esclude dall'applicazione delle nuove regole sull’affidamento dei servizi locali di rilevanza economica una serie di servizi tutti disciplinati da apposite disposizioni:

§       il servizio idrico integrato, ad eccezione di quanto previsto dai commi 19 a 27, che prevedono una serie di incompatibilità (cfr.);

§       il servizio di distribuzione di gas naturale (decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164);

§       il servizio di distribuzione di energia elettrica (decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79 e legge 23 agosto 2004, n. 239);

§       il servizio di trasporto ferroviario regionale (decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422);

§       la gestione delle farmacie comunali (legge 2 aprile 1968, n. 475).

 

Nel corso dell'esame parlamentare è stata esclusa l'applicazione di alcune disposizioni sull’incompatibilità (commi 19, 21 e 27) ai piccoli comuni con limitate partecipazioni societarie, dato che esse sono già previste dall'art. 63 del TUEL, articolo novellato dal richiamato decreto-legge 225 del 2010 come convertito in legge 10 del 2011.

 

Tale norma introduce un rinvio normativo all'eccezione attualmente contenuta nel testo dell'art. 63 del TUEL. L'eccezione - che opera per i comuni con popolazione non superiore a 3.000 abitanti qualora la partecipazione dell'ente locale di appartenenza sia inferiore al 3 per cento - vale ai fini (tra l'altro) dell'incompatibilità alle cariche politiche degli enti locali degli amministratori di società coinvolte con le attività dell'ente, ferma restando l'esclusione dalle relative indennità.

 

Si osserva che il comma in esame, rispetto a quanto stabilito dall’articolo 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008, esclude dalle norme introdotte anche la gestione del servizio idrico. Si ricorda, al riguardo, che il compito di assicurare i servizi locali (ad esempio quelli idrici o quello dei rifiuti) in Italia è affidato ai Comuni, che si associano in Ambiti territoriali ottimali (AAto). Gli AAto, che avrebbero dovuto essere aboliti entro il 31 dicembre 2010, sono stati mantenuti, da ultimo, dal DPCM 25 marzo 2011 che ha concesso un’ulteriore proroga fino al 31 dicembre 2011. Tale ultima proroga dovrebbe garantire un ulteriore periodo transitorio, utile al passaggio delle funzioni dalle AATO ai nuovi soggetti individuati dalle regioni. Infatti, una volta cessati, le funzioni degli AAto saranno assegnate dalle Regioni ad altri soggetti (art. 2, comma 186-bis della legge n. 191/2009, come introdotto dalla legge n. 42/2010).

Sempre in merito al servizio idrico, si ricorda, infine anche l’abrogazione, a seguito dell’esito referendario, del comma 1 dell’art. 154 del D.Lgs. 152/2006, limitatamente alla parte che prevedeva che la tariffa garantisse un’adeguata remunerazione del capitale investito da parte del gestore (fissata al 7% dal metodo normalizzato previsto dal D.M. Lavori Pubblici 1° agosto 1996). In proposito, da più parti è stato sottolineato (ancora prima dello svolgimento della consultazione referendaria) che gli effetti riguarderebbero non solo i privati, ma tutte le aziende idriche anche quelle interamente pubbliche[171].

Si ricorda, infine, che il decreto-legge n. 70 del 2011 ha istituito, all’art. 10, l’Agenzia nazionale per la regolazione e la vigilanza in materia di acqua chiamata a predisporre i nuovi metodi di tariffazione.

 

Il comma 35 fa salve le procedure di affidamento già avviate all’entrata in vigore del presente decreto.

 

In merito alla disciplina illustrata[172] occorre rilevare che, nel parere espresso il 24 agosto scorso sul testo del provvedimento in esame, la Commissione affari costituzionali del Senato ha posto la condizione della riformulazione dell'art. 4 nei seguenti termini: "appare necessaria, al fine di evitare possibili censure di incostituzionalità e perché sia assicurato il pieno rispetto della volontà popolare, un'attenta verifica della compatibilità di tale nuova disciplina con gli effetti abrogativi prodotti da due dei quattro referendum popolari del 12 e 13 giugno 2011 relativi, rispettivamente, alle modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica e alla determinazione della tariffa del servizio idrico integrato in base all'adeguata remunerazione del capitale investito".

Profili finanziari (art. 4, commi da 1 a 12)

 

Il prospetto riepilogativo non ascrive alle norme effetti sui saldi di finanza pubblica.

 

La relazione tecnica riferita al testo originario afferma che le disposizioni non comportano effetti onerosi sulla finanza pubblica.

La relazione tecnica riferita al maxiemendamento afferma che la modifica apportata, di cui al comma 2, ha carattere ordinamentale e che non comporta effetti finanziari.

 

In merito ai profili di quantificazione, si è rilevato preliminarmente che le norme sono volte a favorire la realizzazione di una gestione concorrenziale dei servizi pubblici locali. In relazione alle procedure previste dal testo, si è rilevato altresì che sono posti a carico degli enti interessati una serie di adempimenti presumibilmente aggiuntivi rispetto a quelli previsti a legislazione vigente.

Si è fatto riferimento, in particolare, alle verifiche per la realizzabilità di una gestione concorrenziale, alle procedure di affidamento, alle compensazioni economiche per le aziende esercenti i servizi relativamente agli obblighi di servizio pubblico, alle procedure ad evidenza pubblica per il conferimento dei servizi, alla redazione dei bandi e allo svolgimento delle gare.

In proposito, è stata segnalata l’utilità di confermare che a tali adempimenti gli enti interessati provvedano nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

Analogamente, è stata rilevata l’opportunità di chiarire se, una volta verificata la realizzabilità di una gestione concorrenziale, possano prospettarsi in relazione alle norme in esame effetti finanziari negativi, per gli enti eventualmente interessati, in riferimento all’esercizio di servizi economicamente redditizi[173].

È stato osservato infine che le norme in esame sembrano riferirsi prevalentemente a servizi gestiti in via diretta dagli enti interessati. Nell’eventualità in cui dette norme - tuttavia – trovassero applicazione anche nel caso di servizi gestiti mediante società azionarie, nell’ambito del procedimento di liberalizzazione potrebbero realizzarsi per gli enti locali incassi di tipo mobiliare, per esempio in relazione alla cessione di quote azionarie di società attualmente possedute dagli enti stessi. In tal caso, non sussistendo per gli enti in questione un obbligo di utilizzo dei proventi di tipo mobiliare ai fini dell’ammortamento del proprio debito, è stata rilevata l’utilità di acquisire chiarimenti in merito all’ipotesi che l’eventuale utilizzo dei predetti proventi per finalità di spesa possa determinare effetti negativi sul saldo dell’indebitamento netto[174].

 

Profili finanziari (art. 4, commi da 13 a 35)

 

Il prospetto riepilogativo non ascrive alle norme effetti finanziari.

 

La relazione tecnica, riferita al testo iniziale, nel descrivere sinteticamente la disposizione, afferma che la stessa non comporta effetti onerosi sulla finanza pubblica.

 

La relazione tecnica, riferita al maxiemendamento approvato in prima lettura dal Senato afferma il carattere ordinamentale dell’unica modifica, apportata al comma 34, che non comporta effetti finanziari.

Si ricorda che con tale modifica è stata esclusa l'applicazione di alcune disposizioni sull’incompatibilità fra cariche politiche degli enti locali e cariche di amministrazione nelle società (commi 19, 21 e 27) ai piccoli comuni con limitate partecipazioni societarie.

 

In merito ai profili di quantificazione, sono stati richiesti chiarimenti in merito agli effetti finanziari della disposizione che prevede l'assoggettamento delle società in house al patto di stabilità interno. Nei casi in cui tali società presentino saldi di bilancio positivi, la loro considerazione - ai fini del raggiungimento degli obiettivi cui sono soggetti gli enti locali proprietari - potrebbe determinare una riduzione dei risparmi di bilancio cui tali ultimi enti sono tenuti. In tal caso, qualora le società in questione non fossero incluse nel perimetro della PA, potrebbero registrarsi effetti negativi sui saldi di finanza pubblica.

 


 

Articolo 5, comma 1
(Norme in materia di società municipalizzate)

 


1. Una quota del Fondo infrastrutture di cui all'art. 6-quinquies del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, nei limiti delle disponibilità in base alla legislazione vigente e comunque fino a 250 milioni di euro per l'anno 2013 e 250 milioni di euro per l'anno 2014, è destinata, con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, ad investi­menti infrastrutturali effettuati dagli enti territoriali che procedano, rispettivamente, entro il 31 dicembre 2012 ed entro il 31 dicembre 2013, alla dismissione di partecipazioni in società esercenti servizi pubblici locali di rilevanza economica, diversi dal servizio idrico. L'effettuazione delle dismissioni è comunicata ai predetti Dicasteri. Le spese effettuate a valere sulla predetta quota sono escluse dai vincoli del patto di stabilità interno. La quota assegnata a ciascun ente territoriale non può essere superiore ai proventi della dismissione effettuata. La quota non assegnata agli enti territoriali è destinata alle finalità previste dal citato articolo 6-quinquies.


 

 

L'articolo 5, comma 1, modificato nel corso dell’esame parlamentare, prevede la destinazione di una quota del Fondo infrastrutture, nel limite delle disponibilità di bilancio a legislazione vigente e fino ad un massimo di 250 milioni di euro per l’anno 2013 e di 250 milioni di euro per l’anno 2014, ad investimenti infrastrutturali effettuati dagli enti territoriali che procedono, rispettivamente, entro il 31 dicembre 2012 ed entro il 31 dicembre 2013, alla dismissione di partecipazioni in società esercenti servizi pubblici locali di rilevanza economica, diversi dal servizio idrico.

 

La quota assegnata a ciascun ente territoriale non può essere superiore ai proventi della dismissione effettuata.

La quota è assegnata con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, che sono anche destinatari della comunicazione relativa alle dismissioni effettuate.

La quota non assegnata agli enti territoriali - ai sensi del comma in esame - è destinata alle finalità previste dalla norma istitutiva del Fondo infrastrutture.

 

La norma prevede, infine, che le spese effettuate a valere su tali risorse sono escluse dai vincoli del patto di stabilità interno.

 

Il Fondo infrastrutture, istituito a decorrere dall’anno 2009 dall'art. 6-quinquies del D.L. 25 giugno 2008, n. 112 nello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico, è destinato al finanziamento, in via prioritaria, di interventi finalizzati al potenziamento della rete infrastrutturale di livello nazionale, comprese le reti di telecomunicazione e le reti energetiche, alla messa in sicurezza delle scuole, alla realizzazione di opere di risanamento ambientale, all’edilizia carceraria, alle infrastrutture museali ed archeologiche, all’innovazione tecnologica e alle infrastrutture strategiche per la mobilità.

Esso costituisce uno due tre Fondi settoriali – insieme al Fondo strategico per il Paese a sostegno dell’economia reale e al Fondo sociale per l’occupazione e la formazione - in cui è stato ripartito il Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS) al fine di concentrare le risorse nazionali disponibili destinate allo sviluppo delle aree sottoutilizzate su obiettivi considerati prioritari per il rilancio dell’economia italiana (ai sensi dell’articolo 18 del D.L. n. 185/2008). Le residuali risorse del FAS sono state destinate agli interventi delle Amministrazioni regionali.

Il Fondo infrastrutture viene ripartito dal CIPE, su proposta del Ministero dello sviluppo economico, d’intesa con il Ministero delle infrastrutture e trasporti, sentita la Conferenza unificata. Lo schema di delibera è trasmesso al Parlamento per il parere delle Commissioni competenti per materia e per i profili finanziari.

Per effetto della ripartizione, in via programmatica, da parte del CIPE delle risorse del FAS per il periodo di programmazione 2007-2013, al Fondo infrastrutture sono stati assegnati complessivamente 12,4 miliardi.

 

Con riferimento a quanto disposto dall’articolo in esame, si osserva che esso andrebbe letto in combinato con la disciplina sui servizi pubblici locali, sulla quale il decreto legge in esame interviene all’articolo 4 (cfr. relativa scheda di lettura).

 

Si ricorda, inoltre, che in tema di dismissione di partecipazioni societarie da parte degli enti territoriali, vigono, allo stato, una serie di divieti in ordine alla costituzione e al mantenimento di società da essi partecipate, sui quali pure il decreto legge in commento interviene (cfr. a tale riguardo la scheda di lettura relativa all’articolo 16, commi 27-28).

Per gli enti territoriali, infatti, accanto alla disciplina generale vigente in materia per tutte le amministrazioni pubbliche[175], operano ulteriori specifici divieti[176], in particolare quello introdotto dall’articolo 14, comma 32, del D.L. n. 78/2010, su cui interviene l’articolo 16, commi 27-28 del provvedimento in esame, il quale vieta ai comuni con meno di 30.000 abitanti di costituire società ed impone loro di mettere in liquidazione, entro il 31 dicembre 2012, le società in perdita già costituite al 31 maggio 2010, ovvero a cederne le partecipazioni. I comuni con popolazione compresa tra 30.000 e 50.000 abitanti possono detenere la partecipazione di una sola società, e devono mettere in liquidazione le altre entro il 31 dicembre 2011.

E’ attribuito al Prefetto il compito di accertare l’attuazione del divieto di costituzione di società per i comuni con popolazione inferiore a 30.000 abitanti. Nel caso di mancata attuazione dell’obbligo, il Prefetto assegna un termine per l’adempimento, decorso il quale esercita il potere sostitutivo ai fini dell’adempimento dell’obbligo da parte dell’ente interessato.

 

La Corte dei conti, nell’audizione tenutasi presso le Commissioni bilancio riunite di Camera e Senato in data 30 agosto u.s, nell’ambito dell’indagine conoscitiva deliberata ai fini dell’istruttoria del provvedimento in esame, ha rilevato come dall’articolo 5 in esame possano emergere “ulteriori problematiche” in termini di coordinamento tra l’articolo 4 del decreto legge e l’articolo 14, comma 32 del decreto legge n. 78/2010.

Profili finanziari

 

Il prospetto riepilogativo ascrive alle norme i seguenti effetti:

(milioni di euro)

 

Saldo netto da finanziare

Fabbisogno

Indebitamento netto

 

2011

2012

2013

2014

2011

2012

2013

2014

2011

2012

2013

2014

Maggiori spese

c. capitale

Società municip.

(c.1)

 

 

 

 

 

 

50,0

150,0

 

 

50,0

150,0

Maggiori spese

c. capitale

Eventi calamitosi Basilicata (c. 1-bis)

7,0

 

 

 

7,0

 

 

 

7,0

 

 

 

Minori spese

c. capitale

Sistemi informativi Min Infrastr

(c. 1-bis)

7,0

 

 

 

7,0

 

 

 

7,0

 

 

 

 

La relazione tecnica, riferita al testo originario (recante esclusivamente il comma 1), stima un effetto sugli investimenti degli enti locali quantificabile complessivamente in 50 milioni per il 2013 e 150 milioni per il 2014, con corrispondente impatto sui saldi di fabbisogno e indebitamento netto (atteso che dette spese vengono escluse dai vincoli del patto di stabilità interno).

 

La relazione tecnica, riferita al testo licenziato in prima lettura dal Senato[177], ribadisce che le disposizioni di cui al comma 1 non recano nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, tenuto conto che rimane comunque confermato l’utilizzo delle risorse disponibili del Fondo infrastrutture in base alla legislazione vigente nella misura massima di 250 milioni di euro per ciascuno degli anni 2013 e 2014.

Per quanto attiene agli eventi calamitosi avvenuti nel territorio della regione Basilicata, la RT afferma che il comma 1-ter non determina alcun effetto finanziario, in quanto è esclusivamente finalizzato a disciplinare le modalità di erogazione, da parte del Ministero dell’interno, delle risorse a favore dei comuni derivanti da specifiche autorizzazioni legislative di spesa relative al potenziamento di infrastrutture.

 

In merito ai profili di quantificazione, con riferimento al comma 1, è stato rilevato che la relazione tecnica non fornisce i parametri di calcolo sottostanti gli effetti sui saldi di fabbisogno e indebitamento netto, pari complessivamente a 200 milioni nel biennio 2013-2014, a fronte di disponibilità attribuite agli enti interessati pari a 500 milioni di euro per il medesimo biennio.

Dalle indicazioni contenute nel prospetto riepilogativo, è sembrato comunque potersi desumere che gli effetti sui saldi di fabbisogno e indebitamento netto si dispieghino in ragione di 50 milioni nel 2013, 150 milioni nel 2014, 200 milioni nel 2015 e 100 milioni nel 2016.

Oltre alla necessità di una conferma in proposito, è stata osservata l’opportunità di esplicitare e suffragare le ipotesi di spendibilità delle somme sulle quali si fonda la proiezione temporale degli effetti in termini di cassa.

Inoltre è stato rilevato che, ove trovasse conferma la dinamica di spesa sopra indicata, l’onere annuo più elevato si produrrebbe nel 2015. In proposito è stata segnalata l’opportunità di tener conto di tale circostanza ai fini di una complessiva valutazione dell’equilibrio tra effetti di segno opposto derivanti dal provvedimento in esame oltre il triennio 2012-2014.

È stato altresì richiesto un chiarimento al fine di confermare che il parziale utilizzo del Fondo infrastrutture per l’effettuazione di investimenti da parte degli enti territoriali sia compatibile con eventuali interventi connessi a programmi già avviati e finanziati a valere sul medesimo Fondo.

Con riferimento alla finalità generale delle norme volte a incentivare la dismissione di partecipazioni da parte degli enti interessati, sono state richiamate le considerazioni già formulate nella precedente scheda relativa all’articolo 4, commi da 1 a 12[[178]].

Per quanto attiene alle disposizioni relative al ripristino e alla messa in sicurezza delle infrastrutture lucane, di cui ai commi 1-bis e 1-ter, con copertura a valere sull'autorizzazione di spesa per il potenziamento e il funzionamento del sistema informativo del Ministero delle infrastrutture, è stata rilevata l’utilità di una conferma circa la compatibilità di detta riduzione di spesa rispetto agli interventi già programmati a valere sulle medesime disponibilità. Inoltre, al fine di escludere – per gli esercizi successivi al 2011 - effetti non previsti sui saldi di fabbisogno e indebitamento netto, è stata richiesta una conferma circa il profilo temporale della spendibilità delle somme destinate ad interventi infrastrutturali nella regione Basilicata.

Riguardo, infine, al comma 1-ter, è stata richiesta l’acquisizione di elementi volti ad escludere che l’introduzione di un termine massimo per il versamento in Tesoreria delle disponibilità del Ministero dell'interno possa determinare un’accelerazione della spesa non scontata – a legislazione vigente - nei saldi di finanza pubblica.

 


 

Articolo 5, comma 1-bis
(Messa in sicurezza delle infrastrutture colpite
da calamità in Basilicata
)

 


1-bis. Per il ripristino e la messa in sicurezza delle infrastrutture colpite dagli eventi calamitosi nei territori della regione Basilicata nel periodo dal 18 febbraio al 1° marzo 2011, per i quali è stato dichiarato lo stato di emergenza con apposito decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 10 marzo 2011, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 66 del 22 marzo 2011, è autorizzata la spesa di 7 milioni di euro per l'anno 2011. Al relativo onere si provvede mediante riduzione dell'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 32, comma 8, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare le occorrenti variazioni di bilancio.


 

 

Il comma 1-bis autorizza una spesa di 7 milioni di euro per l'anno 2011 al fine di ripristinare e mettere in sicurezza le infrastrutture colpite dagli eventi calamitosi verificatisi dal 18 febbraio al 1 marzo 2011 nei territori della regione Basilicata e per i quali è stato dichiarato, fino al 31 marzo 2012, lo stato di emergenza con DPCM del 10 marzo 2011[179].

 

Al relativo onere si provvede mediante riduzione dell'autorizzazione di spesa di cui all'art. 32, comma 8, del decreto-legge n. 98/2011 che disponeva un finanziamento di 16,7 milioni di euro per il potenziamento e il funzionamento dell’infrastrutturazione informatica ed il funzionamento dei sistemi informativi degli uffici dell’amministrazione centrale e periferica del MIT per il 2011.

 

Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare le occorrenti variazioni di bilancio

Profili finanziari

 

In merito ai profili di copertura finanziaria, si ricorda che con riferimento agli interventi di messa in sicurezza delle infrastrutture in Basilicata, è stato richiesto al Governo di chiarire se l’autorizzazione di spesa della quale è previsto l’utilizzo recasse le necessarie disponibilità e se l’impiego delle stesse non pregiudicasse gli interventi già previsti a valere sulle suddette risorse.

L’articolo 32, comma 8, del decreto-legge n. 98 del 2011 ha previsto, per il potenziamento e il funzionamento del sistema informativo del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, un’autorizzazione di spesa pari a 16,7 milioni di euro per l’anno 2011. Come risulta dal decreto del Ministro dell’economia e delle finanza n. 85477 del 3 agosto 2011 le suddette risorse sono state iscritte, nella misura di 3,5 milioni di euro sul capitolo 1275 e nella misura di 13,2 milioni di euro sul capitolo 7123 dello stato di previsione relativo al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.

 


 

Articolo 5, comma 1-ter
(Versamenti in tesoreria di risorse per potenziamento infrastrutture)

 

1-ter. Le disponibilità derivanti da specifiche autorizzazioni legislative di spesa iscritte nello stato di previsione del Ministero dell'interno, e relative al potenziamento di infrastrutture, sono versate in Tesoreria entro trenta giorni dalla richiesta dell'ente interessato. L'ente destinatario del finanziamento è tenuto a rendicontare le modalità di utilizzo delle risorse.

 

 

Il comma 1-ter prevede il versamento in Tesoreria, a richiesta dell'ente interessato, delle disponibilità derivati da specifiche autorizzazioni legislative di spesa relative al potenziamento di infrastrutture, contenute nello stato di previsione del Ministero dell'Interno.

Il versamento avviene entro 30 giorni dalla richiesta e l’ente destinatario del finanziamento è tenuto a rendicontare le modalità di utilizzo delle risorse.

 

Con riferimento al comma in esame, la relazione tecnica al maxiemendamento approvato dall’Assemblea del Senato osserva che tale comma è finalizzato a disciplinare le modalità di erogazione da parte del Ministero dell’Interno delle risorse a favore dei comuni derivanti da specifiche autorizzazioni legislative di spesa relative al potenziamento delle infrastrutture.


 

Articolo 5-bis
(Sviluppo delle regioni dell'Obiettivo convergenza e
realizzazione del Piano Sud
)

 


1. Al fine di garantire l'efficacia delle misure finanziarie per lo sviluppo delle regioni dell'obiettivo convergenza e l'attuazione delle finalità del Piano per il Sud, a decorrere dall'anno finanziario in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, la spesa in termini di competenza e di cassa effettuata annualmente da ciascuna delle predette regioni a valere sulle risorse del fondo per lo sviluppo e la coesione di cui all'articolo 4 del decreto legislativo 31 maggio 2011, n. 88, sui cofinanziamenti nazionali dei fondi comunitari a finalità strutturale, nonché sulle risorse individuate ai sensi di quanto previsto dall'articolo 6-sexies del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, può eccedere i limiti di cui all'articolo 1, commi 126 e 127, della legge 13 dicembre 2010, n. 220, nel rispetto, comunque, delle condizioni e dei limiti finanziari stabiliti ai sensi del comma 2 del presente articolo.

2. Al fine di salvaguardare gli equilibri di finanza pubblica, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale e di intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano da adottare entro il 30 settembre di ogni anno, sono stabiliti i limiti finanziari per l'attuazione del comma 1, nonché le modalità di attribuzione allo Stato ed alle restanti regioni dei relativi maggiori oneri, garantendo in ogni caso il rispetto dei tetti complessivi, fissati dalla legge per il concorso dello Stato e delle predette regioni alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica per l'anno di riferimento.


 

 

L’articolo 5-bis reca una deroga in favore delle regioni ricomprese nell’Obiettivo convergenza ai limiti di spesa introdotti dalla disciplina del patto di stabilità interno per le regioni a statuto ordinario stabiliti dall’articolo 1, commi 126 e 127, della legge 3 dicembre 2010, n. 220 (legge di stabilità 2011) relativamente alla spesa in termini di competenza e di cassa effettuata annualmente da ciascuna regione a valere sulle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione sociale, sui cofinanziamenti nazionali dei fondi comunitari a finalità strutturale, nonché sulle risorse del Fondo infrastrutture.

La legge di stabilità 2011, all’articolo 1, commi 126-127, stabilisce gli obiettivi di risparmio per le regioni a statuto ordinario. Il complesso delle spese finali di ciascuna regione, considerate sia in termini di competenza che di cassa, non può essere superiore, per ciascuno degli anni 2011-2013, alla media delle corrispondenti spese finali del triennio 2007-2009 ridotta delle seguenti percentuali:

-        per l'anno 2011 del 12, 3% (competenza) e 13,6% (cassa)

-        per l'anno 2012 del 14,6% (competenza) e 16,3% (cassa)

-        per l'anno 2013 del 15,5% (competenza) e 17,2% (cassa)

Il comma 128 specifica le modalità di calcolo della media della spesa finale del triennio 2007-2009, mentre il comma 129 esclude dal computo alcune tipologie di spesa, tra cui le spese correnti e in conto capitale per interventi cofinanziati correlati ai finanziamenti dell'Unione europea, con esclusione delle quote di finanziamento statale e regionale (lett. c).

Si ricorda che gli obiettivi di risparmio sopra esposti sono funzionali alla riduzione dei trasferimenti erariali disposta nei confronti delle regioni a statuto ordinario dall'articolo 14, commi 1 e 2, del decreto legge n. 78/2010 (convertito con modificazioni dalla legge n. 122/2010) pari a 4.000 milioni di euro nel 2011 e a 4.500 milioni di euro a decorrere dal 2012.

Tale deroga è finalizzata al fine di garantire l’efficacia delle misure finanziarie per lo sviluppo delle regioni dell’Obiettivo convergenza e l’attuazione delle finalità del Piano per il Sud.

In base alla programmazione 2007-2013 dei fondi strutturali comunitari nell’obiettivo Convergenza (aree in cui il PIL procapite risulta inferiore al 75 per cento della media comunitaria), sono incluse, per l’Italia le regioni Calabria, Campania, Puglia e Sicilia. Nell’ambito dello stesso obiettivo si aggiunge la regione Basilicata, che beneficia di un regime transitorio di sostegno (c.d. di phasing-out) per favorirne l’uscita dall’obiettivo.

 

Si osserva che mentre nell’obiettivo Convergenza sono considerate le regioni Calabria, Campania, Puglia e Sicilia, nonché la Basilicata in regime di phasing out, il richiamo ai commi 126 e 127 della legge di stabilità 2011 potrebbe escludere la Sicilia, in quanto i predetti commi si riferiscono alle regioni a statuto ordinario, mentre per la Sicilia, come per le altre regioni a statuto speciale, la medesima legge di stabilità rinvia al c.d. patto concordato e fissa specifici obiettivi di risparmio.

Per le regioni a statuto speciale, la disciplina del patto di stabilità è dettata dalla legge di stabilità 2011, art. 1 commi 131-134, 136-137 e 139. In particolare per ciò che attiene alla norma in esame, il comma 132 conferma la necessità della definizione dell'intesa tra ciascun ente e il Ministero – da raggiungere entro il 31 dicembre di ciascun anno precedente - per determinare il livello complessivo delle spese e dei pagamenti, anche se – contrariamente a quanto avveniva in passato - la misura del concorso agli obiettivi di finanza pubblica è già determinato. Il comma 131, infatti, determina la ripartizione tra gli enti delle somme complessive di contributo agli obiettivi di finanza pubblica stabiliti dall'art. 14, comma 1 lett. b) del decreto legge 78/2010, in 500 milioni di euro per l'anno 2011 e 1.000 milioni di euro per ciascuno degli anni 2012 e 2013. La Tabella 1 allegata legge di stabilità (concordata con le regioni interessate) reca, per ciascuna regione e provincia autonoma, la quota di risparmio da realizzare per ciascuno degli anni 2011, 2012 e 2013. Ciascuna regione e provincia autonoma dovrà ridurre il proprio tetto di spesa tendenziale della somma indicata in tabella. Il tetto di spesa tendenziale deve essere considerato come da osservanza del patto di stabilità degli esercizi precedenti. Per la Sicilia questa somma è pari a 198,5 milioni di euro per il 2011, e 397,1 milioni di euro per ciascuno degli anni 2012 e 2013.

Ai fini del rispetto dei saldi di finanza pubblica il comma 2 prevede che i maggiori oneri derivanti dalla deroga ai tetti di spesa fissati dalla legge per il patto di stabilità interno in favore delle regioni dell’Obiettivo convergenza, debbano essere compensati attraverso l’attribuzione allo Stato ed alle restanti regioni dei relativi maggiori oneri. In particolare il comma specifica che con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale, e di intesa con la Conferenza permanente Stato-regioni, da adottarsi entro il 30 settembre di ogni anno, sono stabiliti i limiti finanziari, nonché le modalità di attribuzione allo Stato e alle restanti regioni di tali oneri.

Come evidenziato nella Relazione tecnica la norma non determinerebbe infatti effetti finanziari negativi, in quanto la deroga “è operata solo a fronte di cessione facoltativa di spazi finanziari da parte dello Stato e/o delle regioni e per un importi agli eventuali spazi finanziari ceduti.”

Per quanto riguarda le risorse considerate in deroga dalla disposizione in commento si tratta di quelle relative a:

§       Fondo per lo sviluppo e la coesione sociale: previsto dall’articolo 4 del decreto legislativo 31 maggio 2011, n. 88[180], in sostanza risulta essere la nuova denominazione del Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS)[181]. Si ricorda che con il D.L. n. 185/2008 (legge n. 2/2009), all’articolo 18 il FAS è stato ripartito in tre Fondi settoriali, al fine di favorire la concentrazione delle risorse nazionali disponibili destinate allo sviluppo delle aree sottoutilizzate su obiettivi considerati prioritari per il rilancio dell’economia italiana:

-        Fondo infrastrutture (cfr infra);

-        Fondo strategico per il Paese a sostegno dell’economia reale;

-        Fondo sociale per l’occupazione e la formazione.

Conseguentemente le residuali risorse del Fondo sono destinate agli interventi delle Amministrazioni regionali.

Per il periodo di programmazione 2007-2013 erano stati stanziati inizialmente risorse FAS pari a 63,3 miliardi. A marzo 2009 alcune delibere del CIPE hanno provveduto a ripartire le risorse residuali disponibili (52,4 miliardi) nella seguente misura:

§       27 miliardi alle Amministrazioni regionali, per la realizzazione dei Programmi di interesse strategico regionale, nella quota di 21,8 miliardi al Mezzogiorno e 5,2 miliardi al Centro-Nord;

§       25,4 miliardi alle Amministrazioni centrali. Il riparto delle risorse FAS tra i tre Fondi è stato effettuato dal CIPE, nei seguenti importi:

-        Fondo infrastrutture: 12,4 miliardi;

-        Fondo strategico per il Paese a sostegno dell'economia reale: 9 miliardi;

-        Fondo sociale per l’occupazione e la formazione: 4 miliardi.

Rispetto al quadro programmatico degli interventi a valere sulle risorse del FAS definito dal CIPE per le annualità 2007-2013, nel bilancio di previsione dello Stato per gli anni 2011-2013 (legge n. 221/2010) e nella legge di stabilità per il 2011 (legge n. 220/2010) sono riportate le autorizzazioni pluriennali di spesa per 44,9 miliardi, così ripartiti: 9,1 miliardi per il 2011, 7,1 miliardi per il 2012 e 13,9 miliardi per il 2013. Ulteriori 14,8 miliardi sono relativi al 2014 e anni successivi.

§       Cofinanziamenti nazionali dei fondi comunitari a finalità strutturale: si tratta in gran parte delle risorse del Fondo di rotazione per l'attuazione delle politiche comunitarie, istituito con la legge 16 aprile 1987, n. 183 presso il Ministero dell’economia e delle finanze, è finalizzato a garantire il coordinamento degli interventi previsti dalla normativa comunitaria con quelli degli altri strumenti nazionali di agevolazione, e il proficuo utilizzo dei flussi finanziari destinati all'attuazione delle politiche strutturali. Il Fondo, la cui funzione è quella di affiancare le risorse nazionali cofinanziate (unitamente ad altre risorse nazionali, quali ad esempio quelle iscritte sul Fondo per le aree sottoutilizzate) a quelle che l’Unione europea destina a ciascun paese membro per gli interventi relativi alla politica di coesione, in particolare attraverso i fondi strutturali, viene annualmente rifinanziato dalla legge di stabilità, al fine di iscrivere in bilancio le quote annuali di cofinanziamento nazionale. A seguito dei rifinanziamenti autorizzati dalle leggi finanziarie degli ultimi anni, nel bilancio di previsione per il 2011 (legge n. 221/2010) sono stanziate sul Fondo di rotazione risorse pari a 5,3 miliardi per il 2011, a 5,5 miliardi per il 2012 e a 5,5 miliardi per il 2013.

§       Fondo infrastrutture, istituito ai sensi del D.L. n. 112/2008 nello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico, destinato al finanziamento, in via prioritaria, di interventi finalizzati al potenziamento della rete infrastrutturale di livello nazionale, comprese le reti di telecomunicazione e le reti energetiche, alla messa in sicurezza delle scuole, alla realizzazione di opere di risanamento ambientale, all’edilizia carceraria, alle infrastrutture museali ed archeologiche, all’innovazione tecnologica e alle infrastrutture strategiche per la mobilità. Il Fondo infrastrutture viene ripartito dal CIPE, su proposta del Ministero dello sviluppo economico, d’intesa con il Ministero delle infrastrutture e trasporti, sentita la Conferenza unificata. Lo schema di delibera è trasmesso al Parlamento per il parere delle Commissioni competenti per materia e per i profili finanziari. Si ricorda che il programma degli interventi da finanziare attraverso il Fondo infrastrutture è presentato annualmente in allegato al Documento di economia e di finanza.

 

Oltre al completamento delle verifiche previste dalla delibera del CIPE n. 79 del 30 luglio 2010, relativa alla ricognizione delle risorse del Fondo per le aree sottoutilizzate 2000-2006 ancora disponibili, il Piano per il Sud, approvato dal Consiglio dei ministri il 26 novembre 2010, verrà realizzato attraverso le seguenti fasi:

§       l’avvio della riprogrammazione dei fondi per il Sud di fonte nazionale e comunitaria, secondo distinte modalità successivamente definite con la delibera CIPE n. 1 del 2011;

§       l’approvazione del decreto legislativo di attuazione dell’articolo 16 della legge n. 42 del 2009: decreto legislativo 31 maggio 2011, n. 88, recante “Disposizioni in materia di risorse aggiuntive ed interventi speciali per la rimozione di squilibri economici e sociali”;

§       l’adozione del decreto interministeriale di attuazione dell’articolo 22 della legge n. 42 del 2009: decreto interministeriale 26 novembre 2010 sulla perequazione infrastrutturale.


Profili finanziari

 

Il prospetto riepilogativo non ascrive alla norma effetti sui saldi di finanza pubblica:

 

La relazione tecnica riferita al testo approvato in prima lettura dal Senato[182] afferma che la norma non determina effetti negativi in termini di indebitamento netto e di fabbisogno, in quanto la deroga ivi prevista è operata solo a fronte di cessione facoltativa di spazi finanziari da parte dello Stato e delle regioni e per un importo pari agli eventuali spazi finanziari ceduti.

 

In merito ai profili di quantificazione, si è osservato che la norma, demandando a una normativa di rango secondario la possibilità di concedere deroghe ai limiti di spesa del patto di stabilità interno per le regioni soggette all’obiettivo di convergenza e l’individuazione delle relative modalità di copertura, a carico di altre regioni o dello Stato, non consente la verifica parlamentare della effettiva neutralità finanziaria delle predette deroghe.

Si è segnalato inoltre che il carattere facoltativo, affermato dalla relazione tecnica, della cessione dei propri spazi finanziari da parte delle restanti regioni, non emerge dal tenore letterale della disposizione.

 


 

Articolo 6, comma 1
(Liberalizzazione in materia di inizio attività)

 


1. All'art. 19, della legge 7 agosto 1990, n. 241 sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al comma 4, dopo le parole «primo periodo del comma 3» sono inserite le seguenti: «ovvero di cui al comma 6-bis»;

b) al comma 6-bis, secondo periodo, dopo le parole: «disposizioni di cui», sono inserite le seguenti: «al comma 4 e»;

c) è aggiunto, in fine, il seguente comma:

«6-ter. La segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili. Gli interessati possono sollecitare l'esercizio delle verifiche spettanti all'amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l'azione di cui all'art. 31, commi 1, 2 e 3 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104».


 

 

Il comma 1, lettere a)-c), dell'articolo 6 reca alcune modifiche all’art. 19 della legge n. 241/1990 relativo alla segnalazione certificata di inizio attività(SCIA), alla denuncia ed alla dichiarazione di inizio attività.

 

Si ricorda che la SCIA, introdotta dal comma 4-bis dell'art. 49 del decreto legge n. 78/2010 che ha interamente sostituito l’art. 19 della legge 241/1990, è stata istituita per corrispondere all’esigenza di liberalizzare l'attività d'impresa, consentendo di iniziare immediatamente l’attività stessa. Successivamente, con la circolare del 16 settembre 2010, il Ministero per la semplificazione normativa aveva chiarito che la SCIA non si applicava solo all'avvio dell'attività di impresa ma sostituiva anche la DIA in edilizia. Infine, con l’art. 5 (comma 2, lett. b), n. 2) e lett. c) del decreto legge 70/2001 si è definitivamente chiarito che la SCIA si applica anche all’edilizia, ma non alla Dia alternativa al permesso di costruire (superDIA), consentendo l’avvio dei lavori il giorno stesso della sua presentazione (mentre con la Dia occorre attendere 30 giorni)..

 

Le modifiche recate dalle lettere a) e b) - che novellano i commi 4 e 6-bis dell’art. 19 – consentono di coordinare le norme del citato comma 6-bis sulla riduzione dei tempi per le verifiche ex post in materia di SCIA in edilizia (entro 30 giorni) con le disposizioni del vigente comma 4 che fa, invece, unicamente riferimento alla SCIA relativa all’attività di impresa (per la quale sono previsti, invece, 60 giorni).

 

Il vigente comma 4 dell’art. 19 prevede, infatti, che decorso il termine di 60 giorni dal ricevimento della SCIA (indicato nel precedente comma 3) entro il quale l'amministrazione competente può adottare motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività per accertata carenza dei requisiti e dei presupposti, all'amministrazione è consentito intervenire solo in presenza del pericolo di un danno grave e irreparabile per il patrimonio artistico e culturale, per l'ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale e previo motivato accertamento dell'impossibilità di tutelare comunque tali interessi mediante conformazione dell'attività dei privati alla normativa vigente.

 

Pertanto, con la modifica introdotta dalla lettera a), le disposizioni recate dal comma 4 dell’art. 19 che consentono all’amministrazione di intervenire solo in presenza del pericolo di un danno irreparabile, si applicano, per quanto riguarda la SCIA in edilizia, decorso il termine di 30 giorni di cui al comma 6-bis dello stesso art. 19.

 

Si ricorda che con il citato comma 6-bis dell’art. 19, introdotto dall’art. 5, comma 2, lett. b), n. 2) del decreto legge 70/2001, sono stati dimezzati i tempi per i controlli delle amministrazioni sugli interventi realizzati con la SCIA in edilizia, passando, pertanto, per le verifiche ex post, da 60 a 30 giorni. Tale riduzione dei tempi è strettamente correlata alla sostituzione della DIA con la SCIA in edilizia, in quanto se fosse rimasta la possibilità, per le amministrazioni, di verificare entro 60 giorni la presenza di tutti i requisiti, sarebbe stato, di fatto, vanificato il vantaggio di poter iniziare i lavori nello stesso giorno in cui si presenta la SCIA, considerato che la DIA prevede invece un’attesa preventiva minore, ovvero di 30 giorni, al fine di consentire alle amministrazioni competenti di effettuare i relativi controlli.

 

La lettera b) – con una novella al comma 6-bis - coordina la nuova formulazione del comma 4, facendo comunque salve le disposizioni del comma 6 relative alle sanzioni per false certificazioni o attestazioni, nonché quelle relative alla vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia, alle responsabilità e alle sanzioni previste dal T.U. dell’edilizia e dalle leggi regionali.

 

La lettera c), con l’introduzione di un nuovo comma 6-ter all'art. 19, dispone che la SCIA, analogamente alla dichiarazione ed alla DIA (denuncia di inizio attività) non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili. Gli interessati possono sollecitare le amministrazioni competenti ad effettuare gli adempimenti previsti e, in caso di inerzia, possono esperire esclusivamente l'azione avverso il silenzio come disciplinata dall'art. 31, commi 1-3, del D.Lgs. n. 104/2010 (Codice del processo amministrativo).

Nel corso dell’esame parlamentare è stata soppressa la definizione di atti riferiti ad attività liberalizzate per la dichiarazione e la DIA. Inoltre, l'esperimento da parte degli interessati dell'azione avverso il silenzio delle amministrazioni, competenti ad effettuare gli adempimenti previsti, verrebbe ribadito come unico strumento di ricorso.

 

La disposizione si adegua alla recente pronuncia del Consiglio di Stato che ha ribadito che la DIA (e ora la SCIA) è un atto di autonomia privata con cui si comunica alla pubblica amministrazione l'esercizio di un’attività consentita dalla legge e non è autonomamente impugnabile. Nella decisione del 29 luglio 2011, n. 15 il Consiglio di Stato ha risolto il contrasto giurisprudenziale sulla natura giuridica della DIA (art. 19, legge 241/1990): essa non è provvedimento amministrativo tacito formatosi con il decorso del tempo (silenzio-assenso) ma dichiarazione del privato all'amministrazione competente dell'inizio di un'attività libera consentita dalla legge. La P.a. nei tempi previsti può inibire la prosecuzione dell'attività qualora in contrasto con le norme regolatorie. Dato che la DIA non è autonomamente impugnabile, il terzo danneggiato impugnerà il mancato esercizio da parte della Pa del potere inibitorio dell'attività dichiarata attraverso l’esperimento di un’azione impugnatoria ex art. 29 del Codice del processo amministrativo.

Si ricorda, da ultimo, che il richiamato art. 31 del D.Lgs. n. 104/2010 prevede la facoltà da parte degli interessati di richiedere all'amministrazione competente di provvedere, decorsi i termini previsti per la conclusione del procedimento amministrativo, non oltre un anno dalla scadenza del termine. È fatta salva la riproponibilità dell’istanza di avvio del procedimento ove ne ricorrano i presupposti (commi 1 e 2).

 

Nel corso dell’esame parlamentare è stato soppresso il comma 4, che estendeva a tutti gli esercizi commerciali la liberalizzazione in ambito di orari e giorni di apertura, introdotta dal comma 6 dell’articolo 35 del D.L. 98/2011, per le sole città d’arte e località turistiche.

Profili finanziari

 

Il prospetto riepilogativo non ascrive alle norme effetti sui saldi di finanza pubblica.

 

La relazione tecnica, riferita al testo originario, afferma quanto segue:

§       con riferimento alle modifiche in materia di SCIA e DIA, le norme non determinano oneri per la finanza pubblica in virtù del loro carattere ordinamentale;

§       per quanto attiene alla soppressione del SISTRI, le disposizioni non comportano effetti finanziari negativi;

§       riguardo alla liberalizzazione di orari e giorni di apertura, la modifica mira a estendere detta liberalizzazione a tutto il territorio nazionale e non solo ai comuni a vocazione turistica, allo scopo di favorire le vendite e il rilancio delle attività ad esse connesse, agevolando la ripresa dei consumi, nonché l’economia nazionale e quella dei territori. La disposizione non comporta effetti sui saldi di finanza pubblica.

 

La relazione tecnica riferita al maxiemendamento approvato dal Senato in prima lettura afferma che:

§       dalle norme relative al SISTRI (commi 2 e 3) non derivano nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Per quanto riguarda l’operatività del SISTRI, restano ferme le norme che ne disciplinano la copertura finanziaria a carico dei soggetti aderenti al sistema. Anche le verifiche tecniche e i test di cui al comma 2, per i quali è prevista apposita clausola di invarianza finanziaria, verranno svolti nell’ambito del predetto meccanismo di finanziamento. Le disposizioni di cui ai commi 3 e 3-bis, in quanto di carattere regolatorio del settore, non comportano effetti finanziari;

§       la soppressione delle norme relative alla liberalizzazione degli orari di apertura degli esercizi commerciali (comma 4 del testo originario) non ha effetti finanziari;

§       non si stimano effetti finanziari collegati alla disposizione relativa al contenzioso per i “bonus bebè” (comma 6-bis), in considerazione della non rilevanza del numero dei soggetti coinvolti;

§       l’attribuzione all’Agenzia del demanio della competenza sugli interventi di permuta di beni appartenenti allo Stato con immobili adeguati all’uso governativo (comma 6-ter) dovrebbe determinare effetti di risparmio. Infatti l’Agenzia del demanio già procede regolarmente ad avviare, con gli enti locali, operazioni di permuta in forza delle quali vengono trasferiti agli enti medesimi beni statali a fronte dell’acquisizione, da parte dello Stato, di immobili in locazione passiva ad amministrazioni statali. Rispetto a tale ordinaria attività, la disposizione estende la possibilità di permutare immobili anche in relazione ad altri soggetti, in modo da ottenere maggiori risparmi, quantificabili a consuntivo, dovuti alla riduzione degli oneri locativi a carico dell’Erario.

 

In merito ai profili di quantificazione, è stata segnalata l’opportunità di evidenziare le spese derivanti dalla realizzazione della piattaforma tecnologica di cui al comma 5[[183]] e le risorse – eventualmente già disponibili a legislazione vigente – con le quali farvi fronte, atteso che DigitPA fa parte dell’elenco dei soggetti individuati, sulla base dei criteri di contabilità europea, ai fini della predisposizione del conto economico consolidato della p.a.

Con riferimento al sistema di controllo sulla tracciabilità dei rifiuti (commi da 2 a 3-bis), è stato richiesto di chiarire se possano escludersi effetti negativi per la finanza pubblica derivanti della modifica dell’entrata in operatività del SISTRI, con particolare riferimento a contributi eventualmente già versati da soggetti tenuti ad aderire al predetto sistema[184]. È stata altresì segnalata l’opportunità di verificare la conformità dei nuovi termini temporali, previsti dal testo, rispetto alla disciplina comunitaria, al fine di escludere l’applicazione di eventuali sanzioni.

Circa gli adempimenti relativi alla verifica tecnica delle componenti software e hardware e ai test di funzionamento – che, come affermato dalla RT, dovrebbero essere integralmente coperti a valere sui contributi degli aderenti al SISTRI – è stato richiesto di chiarire se tale meccanismo di finanziamento sia idoneo ad evitare effetti onerosi anche con riferimento al necessario allineamento temporale tra il versamento dei contributi annuali e l’insorgere delle esigenze di spesa connesse a detti adempimenti.

Con riferimento, infine, alla mancata applicazione di sanzioni amministrative nei confronti dei percettori indebiti di assegni relativi al bonus per i nati negli anni 2005 e 2006, non sono stati formulati rilievi nel presupposto che nei saldi di finanza pubblica non siano stati contabilizzati introiti per sanzioni pecuniarie e per interessi.

In proposito è stato ricordato che, in data 29 luglio 2011, il Ministero dell’economia – in risposta ad un’interrogazione urgente - ha trasmesso alla Commissione Bilancio della Camera una documentazione riguardante l’utilizzo del cosiddetto bonus bebè. In particolare il Governo ha precisato che i beneficiari del bonus sono stati circa 700.000 e che l’erogazione è stata effettuata sulla base di un’autodichiarazione da parte dei beneficiari. Dall’esito dei controlli svolti dall’amministrazione, è emerso che, in poco più di 8.000 casi (circa l’1% degli assegni pagati), il bonus era stato erogato a soggetti che superavano i limiti di reddito consentiti[185]. Si è quindi dato inizio al procedimento di recupero del bonus. Per quanto attiene alla sanzione amministrativa, contestata ai sensi dell’articolo 316 del codice penale, nella documentazione del Governo è stato precisato che il pagamento presuppone l’accertamento della commissione dell’illecito anche relativamente al profilo soggettivo: i cittadini avrebbero pertanto potuto sottoporre agli uffici ogni elemento ritenuto utile a escludere ogni responsabilità.

 


 

Articolo 6, commi 2-3 e 3-bis
(Disposizioni sul SISTRI)

 


2. Al fine di garantire un adeguato periodo transitorio per consentire la progressiva entrata in operatività del Sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti (SISTRI), nonché l'efficacia del funzionamento delle tecnologie connesse al SISTRI, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, attraverso il concessionario SISTRI, assicura, a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto e sino al 15 dicembre 2011, la verifica tecnica delle componenti software e hardware, anche ai fini dell'eventuale implementazione di tecnologie di utilizzo più semplice rispetto a quelle attualmente previste, organizzando, in collaborazione con le associazioni di categoria maggiormente rappresentative, test di funzionamento con l'obiettivo della più ampia partecipazione degli utenti. Conseguentemente, fermo quanto previsto dall'articolo 6, comma 2, lettera f-octies), del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, per i soggetti di cui all'articolo 1, comma 5, del decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare 26 maggio 2011, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 124 del 30 maggio 2011, per gli altri soggetti di cui all'articolo 1 del predetto decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare 26 maggio 2011, il termine di entrata in operatività del SISTRI è il 9 febbraio 2012. Dall'attuazione della presente disposizione non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

3. Con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro per la semplificazione normativa, sentite le categorie interessate, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono individuate specifiche tipologie di rifiuti, alle quali, in considerazione della quantità e dell'assenza di specifiche caratteristiche di criticità ambientale, sono applicate, ai fini del SISTRI, le procedure previste per i rifiuti speciali non pericolosi.

3-bis. Gli operatori che producono esclusivamente rifiuti soggetti a ritiro obbligatorio da parte di sistemi di gestione regolati per legge possono delegare la realizzazione dei propri adempimenti relativi al SISTRI ai consorzi di recupero, secondo le modalità già previste per le associazioni di categoria.


 

 

I commi 2, 3 e 3-bis attraverso la sostituzione degli originari commi 2 e 3, introducono norme volte ad agevolare la progressiva entrata in operatività del SISTRI eliminando, di fatto, le originarie disposizioni che ne disponevano, invece, l’abrogazione.

 

Si fa presente, infatti, che durante il dibattito al Senato è emersa la generalizzata contrarietà alla soppressione del SISTRI, in quanto tale soppressione avrebbe comportato contenziosi dagli esiti imprevedibili, da parte di quanti avevano già sostenuto i costi necessari per adeguarsi al sistema. Nel parere approvato il 23 agosto, anche la 13° Commissione ha espresso un parere favorevole sulle misure del decreto a condizione che “sia ripristinato il sistema SISTRI, prevedendone, in via principale e nel rispetto del già previsto scaglionamento per i produttori di rifiuti pericolosi con un numero di dipendenti fino a 10 unità, la piena operatività a far data dal 1° gennaio 2012 e valutando l'opportunità di interventi, sentite le organizzazioni maggiormente rappresentative delle categorie economiche, finalizzati a superare in particolare difficoltà tecniche ed operative e prevedendo eventuali esenzioni ulteriori per tipologie di rifiuti che non presentino aspetti di particolare criticità ambientale”.

 

Il nuovo comma 2, al fine di garantire un adeguato periodo transitorio per agevolare la progressiva entrata in operatività del SISTRI e delle tecnologie connesse al sistema, prevede che il Ministero dell'ambiente, attraverso il concessionario SISTRI, assicuri per un certo periodo - dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge e sino al 15 dicembre 2011 - la verifica tecnica delle componenti software e hardware, anche per una semplificazione delle attuali tecnologie. Tale verifica dovrà effettuarsi anche mediante test di funzionamento che prevedano la più ampia partecipazione degli utenti e la collaborazione delle associazioni di categoria maggiormente rappresentative.

 

Si ricorda che il SISTRI è il sistema di controllo della tracciabilità di rifiuti speciali a livello nazionale e di rifiuti urbani nel territorio della regione Campania, introdotto dall’art. 1, comma 1116 della legge 296/2006 (finanziaria per il 2007). Successivamente con il D.Lgs. n. 4/2008 (art. 2, comma 24), che modificava l’art. 189 del D.Lgs. 152/2006 (cd. Codice ambientale), veniva stabilito l’obbligo, senza ulteriori oneri per la finanza pubblica, dell’installazione ed utilizzo di apparecchiature elettroniche per le categorie dei soggetti già obbligati alla predisposizione della documentazione cartacea in materia di rifiuti speciali. Inoltre, con l’art. 14-bis del decreto legge n. 78/2009 sono state dettate le modalità di finanziamento del sistema nazionale per il controllo e la tracciabilità. Il SISTRI è stato quindi istituito con il DM del 17dicembre 2009 al quale hanno fatto seguito alcuni decreti correttivi (DM 15 febbraio 2010, DM 9 luglio 2010, DM 28 settembre 2010, DM 22 dicembre 2010) e, da ultimo, la normativa è stata anche riunificata in un Testo Unico, DM 18 febbraio 2011, n. 52. Le norme sul sistema sanzionatorio del SISTRI sono state, invece, introdotte dal D.Lgs. n. 205/2010 - di attuazione della direttiva 2008/98/CE relativa ai rifiuti – come modificato dal D.Lgs. n. 121/2011 - di attuazione della direttiva 2008/99/CE sulla tutela penale dell'ambiente. Infine, con DM del 26 maggio 2011, è stato prorogato il termine per l'adesione al sistema e quindi l'avvio a regime del SISTRI e con il decreto legge n. 70/2011 è stata introdotta (art. 6, comma 2, lett. f-octies) un’ulteriore proroga per i piccoli produttori di rifiuti (fino a 10 dipendenti) speciali pericolosi, ivi compresi quelli di cui all’art. 212, comma 8, del Codice ambientale[186], per i quali il nuovo termine per l’operatività del SISTRI non può essere antecedente al 1° giugno 2012 e deve essere individuato entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto, ovvero entro l'11 settembre 2011[187]. Da ultimo si ricorda che nella G.U. n. 206 del 5 settembre 2011 è stato pubblicato l'Accordo Stato-Regioni del 27 luglio 2011 raggiunto in sede di Conferenza unificata per consentire l’accesso al Sistri alle Regioni, agli Enti locali ed all’ISPRA.

 

Conseguentemente, fermo quanto previsto dall'art. 6, comma 2, lett. f-octies del decreto-legge n. 70/2011 relativo alla specifica proroga per i piccoli produttori di rifiuti speciali pericolosi, viene introdotta un’ulteriore proroga fino al 9 febbraio 2012 identica per tutti i soggetti per i quali il DM 26 maggio 2011 aveva, invece, indicato diverse scadenze temporali, scaglionate a seconda della dimensione dell’impresa e della tipologia di rifiuti.

 

Tabella riepilogativa delle diverse proroghe introdotte con il DM 26 maggio 2011

Nuovo termine

Imprese interessate

1° settembre 2011

-        produttori di rifiuti speciali pericolosi e non con più di 500 dipendenti;

-        imprese/enti che raccolgono o trasportano rifiuti speciali a titolo professionale per trasporti annui superiori a 3.000 tonnellate;

-        imprese/enti che effettuano operazioni di recupero o smaltimento di rifiuti;

-        commercianti/intermediari di rifiuti;

-        imprese/enti che possono aderire su base volontaria

-        soggetti di cui all'art. 3 del decreto ministeriale 18 febbraio 2011, n. 52, non menzionati nei commi da 1 a 5 dell’articolo 1 del D.M.

1° ottobre 2011

-        produttori di rifiuti speciali pericolosi e non che abbiano da 251 a 500 dipendenti;

-        comuni/enti/imprese che gestiscono i rifiuti urbani in Campania

1° novembre 2011

-        produttori di rifiuti speciali pericolosi e non che abbiano da 51 a 249 dipendenti

1° dicembre 2011

-        produttori di rifiuti speciali pericolosi e non che abbiano da 11 a 50 dipendenti;

-        imprese/enti che raccolgono o trasportano rifiuti speciali a titolo professionale per trasporti annui fino a 3.000 tonnellate

 

Il comma precisa, infine, che dall'attuazione della disposizione non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

 

Il comma 3 affida ad un decreto del Ministro dell'ambiente, da adottare con il concerto con il Ministro per la semplificazione normativa e dopo aver consultato le categorie interessate entro novanta giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione del decreto in esame, l’individuazione di specifiche tipologie di rifiuti, alle quali, tenendo conto della quantità e dell'assenza di specifiche caratteristiche di criticità ambientale, ai fini della tracciabilità, applicare le procedure previste per i rifiuti speciali non pericolosi. In proposito, appare opportuno valutare la portata applicativa della disposizione, alla luce delle caratteristiche di “criticità ambientale” che non sono definite dalla normativa di settore vigente e che, pertanto, potrebbero comportare talune problematicità nell’individuazione delle tipologie di rifiuti.

 

Si ricorda che i rifiuti vengono classificati, ai sensi dell’art. 184, comma 1, del D.Lgs. 152/2006, cd. Codice ambientale, secondo l’origine, in rifiuti urbani e rifiuti speciali e, secondo le caratteristiche di pericolosità, in rifiuti pericolosi e rifiuti non pericolosi. Il comma 3 elenca i rifiuti speciali[188] ed il comma 4 dispone che sono pericolosi quei rifiuti con le caratteristiche di cui all’allegato I della parte IV del Codice[189]. Per quanto riguarda gli adempimenti previsti dal D.Lgs. 152/2006 a carico dei produttori di rifiuti speciali non pericolosi essi riguardano sostanzialmente:

§      la comunicazione annuale (MUD) e la tenuta dei registri di carico e scarico;

§      il formulario di identificazione per il trasporto;

§      l’iscrizione all’Albo nazionale delle imprese che effettuano la gestione dei rifiuti.

 

Il comma 3-bis introduce alcune modalità operative semplificate prevedendo che gli operatori che producono esclusivamente rifiuti soggetti a ritiro obbligatorio da parte di sistemi di gestione regolati per legge, possono delegare i propri adempimenti relativi al SISTRI ai consorzi di recupero, secondo le modalità già previste per le associazioni di categoria.

 

Si ricorda, infatti, che l’art. 22 del TU sul SISTRI - DM 18 febbraio 2011, n. 52 - reca alcune modalità operative semplificate per alcune categorie di imprese o soggetti che raccolgono e trasportano i propri rifiuti. Tali soggetti, indicati nel comma 1, possono adempiere agli obblighi previsti dal TU tramite le rispettive associazioni imprenditoriali rappresentative sul piano nazionale o società di servizi di diretta emanazione delle stesse, attraverso specifica delega o incarico. Saranno pertanto le associazioni imprenditoriali rappresentative sul piano nazionale delegate o le società di servizi di diretta emanazione delle stesse a provvedere alla compilazione della scheda SISTRI - area registro cronologico e delle singole Schede SISTRI - area movimentazione. La responsabilità delle informazioni inserite nel SISTRI rimane, invece, a carico del delegante.

Da ultimo si rammenta che il Codice ambientale prevede che particolari categorie di rifiuti siano soggetti a ritiro obbligatorio da parte di appositi sistemi di gestione, cd. consorzi, disciplinati dagli artt. 233 e segg. che rientrano, anch'essi, fra i soggetti obbligati all'iscrizione al SISTRI (art. 3, comma 1, lett. e) del TU). Tra i consorzi nazionali costituiti per la raccolta ed il trattamento di particolari categorie di rifiuti si ricordano: il POLIECO[190], il COBAT[191], COOU[192] e il CONOE[193].

 

Dal punto di vista della formulazione, sembrerebbe opportuno riportare il riferimento relativo all’art. 22 del DM 18 febbraio 2011 che reca le modalità previste per le associazioni di categoria citate dal comma 3-bis in esame.

Profili finanziari

Per i profili finanziari si veda la scheda dell’articolo 6, comma 1.


 

Articolo 6, commi 5 e 6
(Effettuazione di pagamenti con modalità informatiche)

 


5. All'articolo 81 del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, dopo il comma 2 è aggiunto il seguente:

«2-bis. Al fine di dare attuazione a quanto disposto dall'articolo 5, DigitPA, mette a disposizione, attraverso il Sistema pubblico di connettività, una piattaforma tecnologica per l'interconnessione e l'interoperabilità tra le pubbliche amministrazioni e i prestatori di servizi di pagamento abilitati, al fine di assicurare, attraverso strumenti condivisi di riconoscimento unificati, l'autenticazione certa dei soggetti interessati all'operazione in tutta la gestione del processo di pagamento.».

6. Le pubbliche amministrazioni possono utilizzare, entro il 31 dicembre 2013, la infrastruttura prevista dall'articolo 81, comma 2-bis, del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, anche al fine di consentire la realizzazione e la messa a disposizione della posizione debitoria dei cittadini nei confronti dello Stato.


 

 

I commi 5 e 6 dell'articolo 6 apportano una modifica al Codice dell'amministrazione digitale di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82 (di seguito, il "CAD"), volte a facilitare l’effettuazione di pagamenti dovute alle pubbliche amministrazioni con modalità informatiche.

L'art. 5 del CAD, recentemente sostituito dall'art. 4, comma 1, del decreto legislativo 30 dicembre 2010, n. 235[194], impone alle pubbliche amministrazioni di consentire, sul territorio nazionale, l'effettuazione dei pagamenti ad esse spettanti, a qualsiasi titolo dovuti, fatte salve le attività di riscossione dei tributi regolate da specifiche normative, con l'uso delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione.

 

Le pubbliche amministrazioni centrali possono avvalersi, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, di prestatori di servizi di pagamento per consentire ai privati di effettuare i pagamenti in loro favore attraverso l'utilizzo di carte di debito, di credito o prepagate e di ogni altro strumento di pagamento elettronico disponibile. Il prestatore dei servizi di pagamento che riceve l'importo dell'operazione di pagamento, effettua il riversamento dell'importo trasferito al tesoriere dell'ente, registrando in apposito sistema informatico, a disposizione dell'amministrazione, il pagamento eseguito e la relativa causale, la corrispondenza di ciascun pagamento, i capitoli e gli articoli d'entrata oppure le contabilità speciali interessate.

 

Con decreto del Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione e dei Ministri competenti per materia, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentito DigitPA (ente di cui si dirà più avanti in questa scheda), sono individuate le operazioni di pagamento interessate, i tempi da cui decorre l'obbligo in questione, le relative modalità per il riversamento, la rendicontazione da parte del prestatore dei servizi di pagamento e l'interazione tra i sistemi e i soggetti coinvolti nel pagamento, nonché il modello di convenzione che il prestatore di servizi di pagamento deve sottoscrivere per effettuare il servizio.

 

Le regioni, anche per quanto concerne i propri enti e le amministrazioni del Servizio sanitario nazionale, e gli enti locali adeguano i propri ordinamenti al suddetto principio.

 

Il comma 5 modifica l'art. 81 del CAD che disciplina il ruolo di DigitPA nell'ambito del sistema pubblico di connettività (SPC).

 

Ai sensi dell'art. 73, comma 2, del CAD, il sistema pubblico di connettività (SPC) è l'insieme di infrastrutture tecnologiche e di regole tecniche, per lo sviluppo, la condivisione, l'integrazione e la diffusione del patrimonio informativo e dei dati della pubblica amministrazione, necessarie per assicurare l'interoperabilità di base ed evoluta e la cooperazione applicativa dei sistemi informatici e dei flussi informativi, garantendo la sicurezza, la riservatezza delle informazioni, nonché la salvaguardia e l'autonomia del patrimonio informativo di ciascuna pubblica amministrazione.

 

DigitPA è l’ente nazionale per la digitalizzazione della pubblica amministrazione, la cui attuale organizzazione è fondamentalmente riferibile al decreto legislativo 1 dicembre 2009, n. 177[195] (che ha riorganizzato l’ente in precedenza denominato Centro nazionale per l’informatica nella pubblica amministrazione - CNIPA). DigitPA assiste le amministrazioni pubbliche nel processo di innovazione tecnologica, fornendo competenze tecniche nel settore delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione e svolgendo ruoli di consulenza e proposta. In generale, tra i numerosi compiti di DigitPA vi sono l'emanazione di regole e guide tecniche, il controllo e la vigilanza sul rispetto di esse, la formulazione di pareri (anche di congruità economica), il coordinamento delle attività delle singole PA e la verifica dei relativi risultati, la formazione informatica del personale delle PA, lo studio, la ricerca, lo sviluppo e la sperimentazione in materia di tecnologie dell'informazione e della comunicazione. DigitPA segue progetti di grande rilievo quali il Sistema Pubblico di Connettività (SPC), la Posta Elettronica Certificata, la Firma Digitale, la digitalizzazione della Giustizia e la banca dati legislativa pubblica “Normattiva”.

L'Ente, che ha sede in Roma, opera secondo le direttive e sotto la vigilanza del Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, con autonomia tecnica e funzionale, amministrativa, contabile, finanziaria e patrimoniale.

 

Il nuovo comma 2-bis dell'art. 81 prevede che, al fine di dare attuazione a quanto previsto dall'art. 5 in materia di pagamenti con modalità informatiche (v. supra), DigitPA mette a disposizione, attraverso il sistema pubblico di connettività, una piattaforma tecnologica per l'interconnessione e l'interoperabilità tra le pubbliche amministrazioni e i prestatori di servizi di pagamento abilitati, al fine di assicurare, attraverso strumenti condivisi di riconoscimento unificati, l'autenticazione certa dei soggetti interessati all'operazione in tutta la gestione del processo di pagamento.

 

Il comma 6 autorizza le pubbliche amministrazioni ad utilizzare, entro il 31 dicembre 2013, la piattaforma tecnologica prevista dal nuovo comma 2-bis dell'art. 81 del CAD, anche al fine di consentire la realizzazione e la messa a disposizione della posizione debitoria dei cittadini nei confronti dello Stato.

Profili finanziari

Per i profili finanziari si veda la scheda dell’articolo 6, comma 1.


 

Articolo 6, comma 6-bis
(Contenzioso per bonus bebé)

 


6-bis. Al fine di semplificare l'attività amministrativa e di evitare l'insorgere di ulteriore contenzioso, nei confronti dei soggetti che hanno beneficiato delle erogazioni di cui all'articolo 1, commi 331, 332 e 333, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, in assenza della condizione reddituale stabilita dal citato comma 333, non si applicano le conseguenti sanzioni penali e amministrative se essi restituiscono le somme indebitamente percepite entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. I procedimenti penali ed amministrativi eventualmente avviati sono sospesi sino alla scadenza del predetto termine e si estinguono a seguito dell'avvenuta restituzione.


 

 

Il comma in esame stabilisce che non vengano applicate sanzioni penali e amministrative nei confronti dei soggetti che, in assenza delle condizioni reddituali a tal fine richieste, hanno beneficiato delle erogazioni di cui all'articolo 1, commi 331, 332 e 333, della legge finanziaria 2006 (c.d. bonus bebè), purché essi restituiscano le somme indebitamente percepite entro 90 giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione del decreto in esame. Infine, i procedimenti penali ed amministrativi avviati sono sospesi sino alla scadenza di tale termine e si intendono estinti a seguito dell’avvenuta restituzione dell’ammontare corrispondente all’erogazione, pari a un valore di 1.000 euro.

L’articolo 1, commi 331-333, della legge finanziaria 2006 (L:266/2005) stabiliva che per ogni figlio nato o adottato negli anni 2005 e 2006 da cittadino italiano ovvero comunitario ed appartenente a un nucleo familiare con un reddito complessivo, riferito all'anno 2004, non superiore ad euro 50.000, fosse concesso un assegno pari ad euro 1.000 (il c.d. bonus bebè). Tale condizione reddituale doveva essere autocertificata dall'esercente la potestà, all'atto della riscossione dell'assegno, mediante riempimento e sottoscrizione di apposita formula prestampata in calce alla comunicazione del Ministero dell'economia e delle finanze, da verificare da parte dell'Agenzia delle entrate secondo procedure definite convenzionalmente. La comunicazione alle famiglie dell’esistenza del bonus è avvenuta mediante lettera firmata dall'allora Presidente del Consiglio dei ministri, con messaggio personalizzato ma senza ulteriori chiarimenti circa la natura del requisito reddituale. I beneficiari dell’assegno sono stati circa 700 mila. Al momento della verifica del possesso dei requisiti, è emerso che, in poco più di 8 mila casi, il bonus era stato erogato a soggetti che in sede di autocertificazione avevano dichiarato un reddito netto inferiore a euro 50.000, ma che, all'opposto, in sede di dichiarazione fiscale avevano dichiarato un reddito lordo superiore. Successivamente, il MEF - Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato, ha intimato a tali soggetti la restituzione dei 1.000 euro illecitamente riscossi, oltre al pagamento della sanzione amministrativa (3.000 euro) nel caso fosse accertata la violazione dell’articolo 316-ter (Indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato) del Codice penale. Nella comunicazione veniva inoltre specificato che il pagamento dell'importo “a titolo di sanzione amministrativa dovrà essere effettuato solo dopo che il giudice penale si sarà pronunciato in merito alla punibilità della falsa autocertificazione”.

Il 3 agosto 2011, la Commissione Bilancio della Camera, con parere favorevole del Sottosegretario di economia e finanze, ha approvato la risoluzione n. 7-00664[196], condivisa da tutte le forze politiche, con cui si impegna il Governo ad assumere ogni iniziativa utile affinché le famiglie destinatarie del bonus bebè con reddito netto non superiore a euro 50.000 e in possesso di tutti gli altri requisiti previsti dalla legge per la riscossione del predetto bonus, non siano tenute a corrispondere interessi e non siano sottoposte a sanzioni per le somme percepite a tale titolo.


 

Articolo 6, comma 6-ter
(Permuta beni demanio e patrimonio)

 


6-ter. Per una efficace e immediata attuazione di quanto previsto in tema di razionalizzazione della spesa delle amministrazioni pubbliche al comma 1 dell'articolo 12 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, l'Agenzia del demanio procederà, con priorità in aree a più elevato disagio occupazionale e produttivo, ad operazioni di permuta, senza oneri a carico del bilancio dello Stato, di beni appartenenti allo Stato, con esclusione di tutti i beni comunque trasferibili agli enti pubblici territoriali ai sensi del decreto legislativo 28 maggio 2010, n. 85, fermo restando quanto previsto dall'articolo 2, comma 196-bis, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, con immobili adeguati all'uso governativo, al fine di rilasciare immobili di terzi attualmente condotti in locazione passiva dalla pubblica amministrazione ovvero appartenenti al demanio e al patrimonio dello Stato ritenuti inadeguati. Le amministrazioni dello Stato comunicano all'Agenzia del demanio l'ammontare dei fondi statali già stanziati e non impegnati al fine della realizzazione di nuovi immobili per valutare la possibilità di recupero di spesa per effetto di operazioni di permuta, ovvero gli immobili di nuova realizzazione da destinare ad uso governativo.


 

 

Il comma 6-ter dell'articolo 6 attribuisce all'Agenzia del demanio il compito di procedere ad operazioni di permuta di beni del demanio e del patrimonio dello Stato con immobili adeguati all'uso governativo, al fine di rilasciare immobili di terzi condotti in locazione passiva dalle pubbliche amministrazioni ovvero appartenenti al demanio e al patrimonio dello Stato ritenuti inadeguati.

 

Più in dettaglio, il comma in esame prevede che, al fine di razionalizzare la spesa delle amministrazioni pubbliche secondo quanto previsto dal comma 1 dell'articolo 12, del decreto legge n. 98 del 2011[197], l'Agenzia del demanio debba procedere ad operazioni di permuta di beni, non più utilizzati e disponibili, appartenenti al demanio e al patrimonio dello Stato, con immobili adeguati all'uso governativo, al fine di rilasciare immobili di terzi attualmente condotti in locazione passiva dalla pubblica amministrazione ovvero appartenenti al demanio e al patrimonio dello Stato ritenuti inadeguati.

L'articolo 12 del decreto legge n. 98 del 2011 ha previsto al comma 1 che, a decorrere dal 1° gennaio 2012, le operazioni di acquisto e vendita di immobili, effettuate sia in forma diretta sia indiretta, da parte delle amministrazioni pubbliche (con l'esclusione degli enti territoriali, degli enti previdenziali e degli enti del servizio sanitario nazionale, nonché del Ministero degli affari esteri con riferimento ai beni immobili ubicati all'estero) sono subordinate alla verifica del rispetto dei saldi strutturali di finanza pubblica da attuarsi con decreto di natura non regolamentare del Ministro dell'economia e delle finanze.

Si ricorda che la legge finanziaria per il 2005 (legge n. 311 del 2004) ha previsto, ai commi 433-438, norme per il riordino e la razionalizzazione del patrimonio immobiliare dello Stato, individuando gli immobili da alienare secondo un piano di attività che l’Agenzia del demanio è stata autorizzata a svolgere e che la medesima Agenzia sta tuttora proseguendo.

Inoltre, l’articolo 2, comma 222, della legge finanziaria 2010 (legge n. 191 del 2009) ha previsto specifici obblighi di comunicazione all’Agenzia del demanio relativi agli immobili utilizzati dalle amministrazioni dello Stato. All’Agenzia del demanio è attribuita la gestione delle procedure riguardanti le locazioni passive con la funzione di “conduttore unico”. Lo scopo della norma è di razionalizzare gli spazi utilizzati dalle medesime amministrazioni. Sono inoltre previsti obblighi di comunicazione da parte delle altre amministrazioni pubbliche, anche al fine di redigere il conto patrimoniale dello Stato a prezzi di mercato. In particolare, le amministrazioni dello Stato sono tenute a comunicare all’Agenzia del demanio, entro il 31 gennaio di ogni anno, la previsione triennale del loro fabbisogno di spazio allocativo e delle superfici da esse occupate che non risultano più necessarie.

 

Le operazioni di permuta debbono essere effettuate:

§       senza oneri a carico del bilancio dello Stato;

§       dando priorità alle aree a più elevato disagio occupazionale e produttivo;

§       escludendo tutti i beni comunque trasferibili agli enti pubblici territoriali ai sensi del decreto legislativo 28 maggio 2010, n. 85[198].

 

Il decreto legislativo n. 85 del 2010 (c.d. federalismo demaniale) individua i beni statali che possono essere attribuiti a titolo non oneroso a Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni. Tale individuazione avviene con le disposizioni dello stesso decreto legislativo e con uno o più decreti attuativi del Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

La norma fa salvo, altresì, quanto previsto dall'articolo 2, comma 196-bis, della legge 23 dicembre 2009, n. 191 (legge finanziaria 2010), concernente le operazioni di dismissione immobiliare della difesa, i cui proventi sono destinati, in parte, a garantire la copertura finanziaria del rifinanziamento di 500 milioni di euro autorizzato per l’anno 2010 in favore del comune di Roma, per il ripiano dei debiti ricompresi nel piano di rientro dall’indebitamento, predisposto dal Commissario straordinario del Governo ed approvato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 5 dicembre 2008.

 

L'ultimo periodo del comma in esame prevede l'obbligo, per le amministrazioni dello Stato, di comunicare all'Agenzia del demanio:

§       l'ammontare dei fondi statali stanziati e non impegnati per la realizzazione di nuovi immobili, al fine di valutare i possibili recuperi di spesa derivanti dalle operazioni di permuta;

§       gli immobili di nuova realizzazione da destinare ad uso governativo.


 

Articolo 6-bis
(Accesso ai sistemi informativi)

 


1. Ai sistemi informativi di cui all'articolo 117 del codice di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, possono avere accesso, anche per le finalità ivi previste, i soggetti che partecipano al sistema di prevenzione di cui al comma 5 dell'articolo 30-ter del decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 141, fatta salva la facoltà di istituire e partecipare ai sistemi di cui all'articolo 119 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196. Dall'attuazione del periodo precedente non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.


 

 

L’articolo 6-bis stabilisce che i soggetti che partecipano al sistema di prevenzione previsto al comma 5 dell'articolo 30-ter del decreto legislativo n. 141 del 2010, possono avere accesso ai sistemi informativi richiamati all'articolo 117 del decreto legislativo n. 196 del 2003 (sistemi informativi di cui sono titolari soggetti privati, utilizzati a fini di concessione di crediti al consumo o comunque riguardanti l'affidabilità e la puntualità nei pagamenti da parte degli interessati), anche per le finalità ivi previste, fatta salva la facoltà di istituire e partecipare ai sistemi di cui all'articolo 119 del medesimo decreto legislativo n. 196. Dall'attuazione del periodo precedente non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

 

Il decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 141 reca attuazione della direttiva 2008/48/CE relativa ai contratti di credito ai consumatori, nonché modifiche del titolo VI del testo unico bancario (decreto legislativo n. 385 del 1993) in merito alla disciplina dei soggetti operanti nel settore finanziario, degli agenti in attività finanziaria e dei mediatori creditizi. In particolare l’articolo 30-ter istituisce nell'ambito del Ministero dell'economia e delle finanze, un sistema pubblico di prevenzione, sul piano amministrativo, delle frodi nel settore del credito al consumo e dei pagamenti dilazionati o differiti, con specifico riferimento al furto di identità.

Il comma 5 indica i soggetti che partecipano al sistema di prevenzione delle frodi:

a)       le banche, comprese quelle comunitarie e quelle extracomunitarie, e gli intermediari finanziari iscritti nell'elenco generale di cui all'articolo 106 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385;

b)       i fornitori di servizi di comunicazione elettronica, ai sensi dell'articolo 1, comma 1, lettera gg), del codice di cui al decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259;

c)       i fornitori di servizi interattivi associati o di servizi di accesso condizionato ai sensi dell'articolo 2, comma 1, lettera q), del decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177;

d)       i gestori di sistemi di informazioni creditizie e le imprese che offrono ai soggetti di cui alle lettere da a) a c) servizi assimilabili alla prevenzione, sul piano amministrativo, delle frodi, in base ad apposita convenzione con il Ministero dell'economia e delle finanze, dalla quale non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

Il successivo comma 6 prevede l’individuazione, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di ogni altra categoria di soggetti cui è consentita la partecipazione al sistema di prevenzione.

 

Il decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (Codice in materia di protezione dei dati personali), all’articolo 117 (Affidabilità e puntualità nei pagamenti) prevede che il Garante per la protezione dei dati personali promuova la sottoscrizione di un codice di deontologia e di buona condotta per il trattamento dei dati personali effettuato nell'àmbito di sistemi informativi di cui sono titolari soggetti privati, utilizzati a fini di concessione di crediti al consumo o comunque riguardanti l'affidabilità e la puntualità nei pagamenti da parte degli interessati, individuando anche specifiche modalità per garantire la comunicazione di dati personali esatti e aggiornati nel rispetto dei diritti dell'interessato. Il codice di deontologia è stato emanato con la deliberazione del Garante del 16 novembre 2004, n. 8.

Profili finanziari

 

Il prospetto riepilogativo e la relazione tecnica non considerano la norma.

 

In merito ai profili di quantificazione, non sono state formulate osservazioni.

 


 

Articolo 6-ter
(Fondo di rotazione per la progettualità)

 


1. Le risorse disponibili sul Fondo di rotazione di cui all'articolo 1, comma 54, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, sono destinate prioritariamente alla progettazione delle opere, inserite nei piani triennali degli enti locali approvati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto e che ricadono su terreni demaniali o già di proprietà dell'ente locale interessato, aventi già destinazione urbanistica conforme all'opera o alle opere che si intendono realizzare. Resta fermo quanto disposto dall'articolo 1, commi da 55 a 57, della legge n. 549 del 1995.

2. Gli enti locali interessati alla utilizzazione delle risorse del Fondo di cui al comma 1 presentano entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto e con le modalità definite con deliberazione della Cassa depositi e prestiti Spa, la richiesta di accesso al finanziamento, allegando alla stessa la descrizione dell'opera o delle opere che intendono realizzare, predisposta da un tecnico dell'ente locale medesimo.

3. Sulla base delle richieste di cui al comma 2, la Cassa depositi e prestiti Spa provvede a formare una graduatoria nel rispetto di quanto previsto al comma 1.


 

 

Il comma 1 dell’articolo 6-ter autorizza la destinazione delle risorse disponibili sul Fondo di rotazione per la progettualità istituito dall'art. 1, comma 54, della legge n. 549/1995, prioritariamente alla progettazione delle opere:

§      inserite nei piani triennali degli enti locali approvati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto;

§      che ricadono su terreni demaniali o già di proprietà dell'ente locale interessato, aventi già destinazione urbanistica conforme all'opera o alle opere che si intendono realizzare.

 

Resta fermo quanto disposto dall'art. 1, commi da 55 a 57, della citata legge 549 del 1995.

 

Si ricorda che il Fondo rotativo per la progettualità, introdotto dall’art. 1, commi 54-58, della legge n. 549/1995, è stato istituito presso la Cassa depositi e prestiti[199] con lo scopo di anticipare agli enti territoriali le spese necessarie per gli studi di fattibilità, per l'elaborazione dei progetti preliminari, definitivi ed esecutivi, incluse le valutazioni di impatto ambientale e altre rilevazioni e ricerche, al fine di razionalizzare la spesa per investimenti pubblici di competenza degli enti territoriali stessi. Successivamente l’art. 70 della legge n. 289/2002 (finanziaria 2003), con la sostituzione integrale dei commi 54, 56 e 57 dell’art. 1 della legge n. 549/1995, ha riformato e semplificato la disciplina relativa al Fondo rotativo con lo scopo di attribuire alla Cassa un ruolo regolativo e operativo più ampio. Con le nuove norme il Fondo rotativo viene a configurarsi come uno strumento di supporto finanziario all’attività di progettazione dello Stato, degli enti territoriali e degli altri enti pubblici, mirando ad incentivare la redazione di progetti effettivamente appaltabili, allo scopo di razionalizzare ed accelerare la spesa per investimenti pubblici. Il Fondo opera sull’intero territorio nazionale e prevede la priorità per quei progetti finalizzati alla realizzazione di interventi ammessi al cofinanziamento comunitario. Esso ha natura rotativa e viene ricostituito con i rimborsi da parte dei soggetti beneficiari. A differenza della normativa previgente, che assegnava al Fondo una dotazione stabilita in circa 258 milioni di euro mediante apporto della Cassa depositi e prestiti, la nuova formulazione del comma 54 prevede, invece, che la dotazione del Fondo sia stabilita periodicamente dalla Cassa depositi e prestiti, che provvede alla sua alimentazione in relazione alle dinamiche di erogazione e di rimborso delle somme concesse in anticipazione, e comunque nel rispetto dei limiti annuali di spesa sul bilancio dello Stato. Per quanto riguarda la ripartizione delle risorse del Fondo viene prevista una quota del 30 per cento delle risorse complessive del Fondo per le esigenze progettuali degli interventi inseriti nel piano straordinario di messa in sicurezza degli edifici scolastici. Tale riserva è limitata ad un biennio (prorogato fino al 31 dicembre 2006) con priorità nei territori delle zone a rischio sismico. La quota residuale del Fondo è ulteriormente riservata: per almeno il 60 per cento alle aree depresse del territorio nazionale, nonché all’attuazione di progetti comunitari da parte di strutture specialistiche universitarie e di alta formazione europea localizzate in tali aree; entro il limite del 10 per cento alle opere comprese nel Programma di Infrastrutture strategiche non localizzate nelle aree depresse, di cui alla legge n. 443/2001. Per le nuove regole di funzionamento del Fondo la Cassa depositi e prestiti ha emanato la circolare n. 1250 del 25 febbraio 2003 (G.U. n. 66 del 20.3.2003) ove, tra l’altro, viene indicata una dotazione del Fondo, fino a nuova deliberazione, di 400 milioni di euro.

Da ultimo si ricorda che le disposizioni dei richiamati commi da 55 a 57 riguardano la procedura per l’accesso ai contributi del Fondo resa anch’essa più flessibile con le modifiche apportate dall’art. 70 della legge n. 289. Il comma 55 prevede che qualora gli enti locali e le regioni non rimborsino le anticipazioni nei tempi e con le modalità concordate con la Cassa depositi e prestiti, il Ministero del tesoro provvede al rimborso alla Cassa depositi e prestiti, trattenendo le relative somme dai trasferimenti agli enti locali e alle regioni. Il comma 56 demanda completamente a una deliberazione del consiglio d’amministrazione della Cassa depositi e prestiti la definizione dei criteri di valutazione, della procedura, l’individuazione dei documenti istruttori da presentare, le condizioni per l’accesso, l’erogazione e il rimborso dei finanziamenti. Il comma 56-bis prevede che, nello stabilire le predette modalità di accesso al finanziamento, relativamente alle opere di importo previsto superiore a 4 milioni di euro, il consiglio di amministrazione della Cassa depositi e prestiti è tenuto ad introdurre, tra i presupposti istruttori, una serie di requisiti quali lo studio di fattibilità valutato positivamente dal nucleo di valutazione e verifica regionale e il provvedimento del presidente della regione che certifichi la compatibilità dell'opera con gli indirizzi della programmazione regionale. Il comma 57 affida altresì ad una deliberazione del consiglio di amministrazione della Cassa depositi e prestiti la definizione delle cause, delle modalità, dei tempi di revoca e di riduzione dei finanziamenti a valere sul Fondo. Tale definizione dovrà essere effettuata in modo da assicurare la massima efficacia nell’utilizzo del Fondo e si applicherà anche alle anticipazioni già concesse.

 

Il comma 2 prevede che gli enti locali interessati alla utilizzazione delle risorse del Fondo presentino entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto e con le modalità definite con deliberazione della Cassa depositi e prestiti, la richiesta di accesso al finanziamento, allegando alla stessa la descrizione dell'opera o delle opere che intendono realizzare, predisposta da un tecnico dell'ente locale medesimo.

 

Il comma 3 dispone, infine, che sia la Cassa depositi e prestiti, sulla base delle richieste presentate, a stilare una graduatoria nel rispetto di quanto previsto al comma 1.

Profili finanziari

 

Il prospetto riepilogativo al Senato non ascrive alla norma effetti finanziari.

 

La relazione tecnica riferita al maxiemendamento approvato dal Senato afferma che la norma non comporta nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, in quanto si limita a individuare una destinazione prioritaria e temporanea di risorse già disponibili per finalità analoghe a quelle previste dalla disposizione stessa.

 

In merito ai profili di quantificazione, è stato richiesto un chiarimento sui possibili effetti finanziari della norma. Infatti, poiché questa mira ad agevolare il finanziamento delle opere prontamente realizzabili degli enti locali, appare suscettibile di imprimere un’accelerazione alla spesa in conto capitale, con possibili riflessi sui saldi di finanza pubblica, seppure limitatamente agli enti locali di minori dimensioni, non soggetti al patto di stabilità interno.

Il provvedimento in esame prevede peraltro la progressiva estensione degli enti locali soggetti al patto di stabilità interno: quest’ultimo, infatti, a decorrere dal 2013 si applicherà anche ai comuni con popolazione compresa tra 1.000 e 5.000 abitanti, mentre a decorrere dal 2014 si applicherà anche alle unioni di comuni formate da comuni con popolazione inferiore ai 1.000 abitanti[200].

 


 

Articolo 7
(Attuazione della disciplina di riduzione delle tariffe elettriche
e misure di perequazione nei settori petrolifero,
dell’energia elettrica e del gas)

 


1. Al comma 16 dell'articolo 81 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all'alinea, le parole: "superiore a 25 milioni di euro", sono sostituite dalle seguenti: "superiore a 10 milioni di euro e un reddito imponibile superiore a 1 milione di euro";

b) la lettera c) è sostituita dalle seguenti: "c) produzione, trasmissione e dispacciamento, distribuzione o commercializzazione dell'energia elettrica; c-bis) trasporto o distribuzione del gas naturale";

c) le parole da: "La medesima disposizione" fino a "o eolica" sono soppresse.

2. In deroga all'articolo 3 della legge 27 luglio 2000, n. 212, le disposizioni di cui al comma 16 dell'articolo 81 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, come modificato dal comma 1 del presente articolo, si applicano a decorrere dal periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2010.

3. Per i tre periodi d'imposta successivi a quello in corso al 31 dicembre 2010, l'aliquota dell'addizionale di cui al comma 16 dell'articolo 81 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e successive modificazioni, è aumentata di 4 punti percentuali.

4. Le disposizioni di cui ai commi 1 e 3 non rilevano ai fini della determinazione dell'acconto di imposta dovuto per il periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2010.

5. A quanto previsto dai commi 1 e 3 del presente articolo si applicano le disposizioni di cui al comma 18 dell'articolo 81 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e successive modificazioni, relative al divieto di traslazione dell'onere sui prezzi al consumo.

6. Dall'attuazione del presente articolo derivano maggiori entrate stimate non inferiori a 1.800 milioni di euro per l'anno 2012 e 900 milioni di euro per gli anni 2013 e 2014.


 

 

L’articolo in esame aumenta l’addizionale Ires per le imprese operanti nel settore petrolifero e in quello dell’energia elettrica (c.d. Robin Hood Tax) estendendo la platea delle imprese soggette all’imposta e includendovi quelle operanti nel campo delle energie rinnovabili e delle infrastrutture energetiche.

In particolare, l’addizionale dell’aliquota Ires per il settore petrolifero, del gas e della energia elettrica – introdotta dal comma 16 dell’art. 81 del D.L. 112/2008 - è innalzata al 10,5% per i periodi di imposta dal 2011 al 2013 (comma 3 dell’art. 7 del D.L. in esame).

Si ricorda che il comma 16 dell’articolo 81 del D.L. 112/2008 ha introdotto, a carico di alcuni soggetti che operano nel settore petrolifero, ivi compreso il settore dell’energia elettrica, una addizionale all’imposta sul reddito delle società (IRES) fissata in misura originariamente pari al 5,5% e portata al 6,5 % dalla legge 23 luglio 2009, n. 99 (c.d. Robin Hood Tax).

Il comma 1, introducendo modifiche al comma 16 dell’articolo 81 del D.L. 112/2008, prevede:

§      l’applicazione dell’addizionale Ires in questione alle imprese con volume di ricavi superiore a 10 milioni di euro, purché abbiano contestualmente un reddito imponibile superiore a 1 milione di euro (è stata pertanto abbassata la precedente soglia di 25 milioni di euro, stabilita dal D.L. 112/2008);

§      l’applicazione dell’addizionale Ires in questione anche alle imprese operanti nella trasmissione, dispacciamento e distribuzione di energia elettrica (precedentemente l’addizionale era applicata solo per le imprese di produzione o commercializzazione di energia elettrica);

§      l’applicazione dell’addizionale Ires in questione anche alle imprese operanti nel trasporto e distribuzione del gas naturale (precedentemente l’addizionale riguardava solo le imprese di ricerca, coltivazione, produzione o commercializzazione di gas naturale;

Si segnala che sembrerebbero restare fuori dall’applicazione dell’addizionale Ires in questione le imprese operanti per il trasporto e distribuzione del petrolio.

§      l’applicazione dell’addizionale Ires in questione anche alle imprese produttrici di energia elettrica da fotovoltaico, biomasse ed eolico (precedentemente tali soggetti erano espressamente esclusi).

 

Conseguentemente alla nuova disciplina, talune categorie di imprese già soggette all’addizionale del 6,5 per cento in base al D.L. 112/2008 vedono tale addizionale accresciuta al 10,5 per cento. Altre imprese, prima del tutto esenti da tale addizionale, vi sono oggi invece assoggettate con la medesima aliquota del 10,5 per cento.

 

Si ricorda che il comma 16 dell’articolo 81 del D.L. 112/2008 prevede che i soggetti obbligati al contributo sono quelli operanti nei settori di ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi, raffinazione, produzione o commercializzazione di petrolio, compresi benzina, gasolio, oli e gas naturale ed energia elettrica.

La relazione tecnica precisa che l’estensione dell’applicazione dell’addizionale alle imprese che producono energia da fonti rinnovabili apporterebbe un maggior gettito pari a 140 mln nel 2012 e 70 mln negli anni 2013 e 2014 mentre l’estensione alle imprese che trasportano e dispacciano energia (TERNA e SNAMRETEGAS), in base ai dati delle semestrali 2011 apporterebbe un maggior gettito circa di 310 mln di euro complessivi. Inoltre la RT afferma che TERNA ha avuto ricavi nel 2010 di 1,5 miliardi di euro, con un utile netto di 434 milioni di euro e SNAMRETEGAS, ha avuto nel primo semestre 2011 ricavi per 1.744 milioni di euro, con un utile operativo di 986 milioni di euro e un utile netto di 576 milioni”. Infine esse, “operando in regime regolato sotto il controllo dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas, non potrebbero traslare la maggiore imposta sui consumatori.

La relazione illustrativa, allegata al decreto in esame, ricorda che “lo sviluppo delle fonti rinnovabili elettriche potrebbe superare nel 2011 una spesa complessiva per oltre 6 miliardi di euro, di cui circa 4,5 miliardi per il solo fotovoltaico”. Più in generale, il Governo sottolinea “la distorsione territoriale delle allocazioni attualmente presente nel paese, che vede la maggior parte delle installazioni di impianti da fonti rinnovabili (oltre il 70%) installate nel centro sud del paese, mentre il costo complessivo viene socializzato a livello nazionale sulla base dei consumi”: l’abolizione dell’esenzione mira quindi in via di fatto (e non in via di diritto, come pure una parte della relazione pare adombrare) a conseguire quello sgravio del sistema industriale nelle aree del Paese diverse dal centro-sud, cui avrebbe dovuto tendere la suddivisione in macrozone prevista nell’articolo 3 del decreto legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2.

 

Il comma 2 prevede che il nuovo regime dell’addizionale Ires si applichi – in deroga al principio generale di non retroattività fiscale sancito dall’articolo 3 della L. 212/2000 – a decorrere dal gennaio 2011 e, quindi, anche per gli 8 mesi già decorsi dall’inizio di quest’anno.

 

Si ricorda che l’articolo 3 della L. 212/2000 disciplina l’efficacia temporale delle norme tributarie. Più in particolare è previsto che le disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo. Relativamente ai tributi periodici le modifiche introdotte si applicano solo a partire dal periodo d'imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore delle disposizioni che le prevedono.

 

Il comma 4 prevede che le disposizioni di cui ai commi 1 (aumento della platea dei soggetti operanti nei settori energetici obbligati alla contribuzione) e 3 (aumento di 4 punti percentuali dell’aliquota Ires) non rilevano ai fini della determinazione dell’acconto di imposta dovuto per il periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2010.

 

Il comma 5 prevede che i soggetti obbligati alla contribuzione, così come prevista ai commi 1 e 3 del decreto in esame, hanno il divieto di traslare l’onere sui prezzi al consumo previsto dal comma 18 dell’articolo 81 del D.L. 112/2008 convertito con modificazioni.

 

Si ricorda che il comma 18 dell’articolo 81 assegna all’Autorità per l'energia elettrica e il gas poteri di vigilanza sulla puntuale osservanza della disposizione di cui al precedente periodo nonché l’obbligo di presentare, entro il 31 dicembre 2008, una relazione al Parlamento contente gli effetti della disciplina in commento. In data 4 luglio 2008 l’Autorità per l’energia elettrica e il gas ha emanato la Delibera ARG/com 91/08 nella quale, tra l’altro, si obbligano le società interessate a trasmettere entro il 31 luglio 2008 all’Autorità: 1) l’ultimo bilancio di esercizio disponibile nonché, se disponibili, le relazioni trimestrali e semestrali del primo semestre 2008 ed i documenti di budget relativi al 2008; 2) una dichiarazione contenente i valori dei margini operativi lordi unitari relativi a ciascun prodotto dei settori di cui all’articolo 81, comma 16, del decreto-legge n. 112/08 riferiti sia all’anno 2007 che al primo semestre 2008. Viene inoltre precisato che per lo svolgimento delle attività ispettive sarà richiesta la collaborazione della Guardia di Finanza ai sensi dell’articolo 3 del decreto legislativo 19 marzo 2001, n. 68 e del protocollo di intesa stipulato con la Guardia di Finanza in data 19 dicembre 2005.

Il comma 6, infine, stima maggiori entrate non inferiori a 1.800 milioni di euro per l’anno 2012 e 900 milioni di euro per gli anni 2013 e 2014.

 

Si segnala che l’Autorità per l’energia elettrica e il gas ha inviato a Governo e Parlamento una segnalazione (del 26 agosto 2011) in merito agli effetti che la norma in esame potrebbe comportare nei settori dalla medesima regolati.

 

Preliminarmente l’AEEG osserva che la nuova impostazione della norma, di fatto, supera i presupposti alla base del decreto-legge n. 112/08 (riassorbimento degli extra margini che si riteneva le imprese energetiche conseguissero sulla base del differenziale tra prezzo di acquisto e prezzo di vendita), individuando nell’addizionale Ires un mero strumento di prelievo fiscale, finalizzato all’urgente raggiungimento degli obiettivi di stabilizzazione finanziaria che il decreto-legge n. 138/11 si prefigge di conseguire.

Di conseguenza, secondo la segnalazione, il principale effetto di un aumento dell’Ires sarebbe quello di ridurre la propensione all’investimento nell’attività colpita dall’aumento stesso. D’altra parte il contesto di mercato in cui interviene la manovra in analisi è sensibilmente diverso rispetto a quello in essere a giugno 2008. L’aumento dell’addizionale Ires previsto dalla misura rischierebbe quindi di colpire il settore termoelettrico proprio nel momento di sua maggiore debolezza, riducendo la capacità di fare fronte al momento di transitorio eccesso di capacità produttiva e di ridurre, quindi, la capacità del sistema di operare in sicurezza nel medio periodo, quando la ripresa della domanda, la contrazione attesa delle importazioni dall’estero e le aumentate esigenze di riserva poste dallo sviluppo delle rinnovabili richiederanno di poter disporre di capacità produttiva tradizionale per quantità non inferiori a quelle attuali.

Criticità potrebbero del resto presentarsi anche con riferimento alle fonti rinnovabili, riducendo la propensione all’investimento in un settore fondamentale per la gestione delle problematiche ambientali e la crescita sostenibile dell’economia.

Per quanto attiene ai servizi a rete delle attività energetiche (elettricità e gas) l’AEEG osserva che la nuova disposizione prevista dall’articolo 7 del decreto-legge n. 138/11, prevedendo un incremento del 10,5% dell’Ires per le imprese che gestiscono le infrastrutture energetiche a rete, riveste profili di criticità per lo sviluppo della infrastrutturazione energetica del Paese, presupposto indispensabile affinché al settore produttivo e ai consumi domestici possa essere fornita energia a prezzi competitivi e allineati con gli altri Paesi dell’Unione Europea. Infatti la nuova disposizione nella sua declinazione attuale: diminuisce la remunerazione effettivamente riconosciuta agli investimenti nel settore spingendo le imprese ad una contrazione degli stessi, rende meno attrattivo l’investimento nelle imprese di settore da parte di soggetti privati terzi (private equity) e conseguentemente più difficile la raccolta di capitali per finanziare gli investimenti, induce le imprese a operazioni, anche di tipo contabile, che possano contenere l’impatto della manovra sul dividend yield e, infine, rende meno attrattivo il percorso virtuoso di contenimento dei costi e di riduzione delle tariffe.

In conclusione, l’applicazione di una maggiorazione Ires di tale entità alle attività soggette a regolazione tariffaria, nei limiti in cui non si possa imporre alle imprese di realizzare investimenti senza prevederne un’adeguata remunerazione, rischia di avere un impatto sui consumatori particolarmente negativo.

In linea generale, l’AEEG ritiene che il settore dell’energia non sia oggi caratterizzato da fondamentali tali da giustificare che l’aumento dell’Ires sia circoscritto al solo settore energetico. Ciò anche in ragione della fondamentale rilevanza che gli investimenti in questo settore rivestono per la competitività dell’intera economia del Paese.

Infine l’AEEG segnala che il meccanismo di vigilanza sul divieto di traslazione, assegnato all’Autorità, risulta essere di difficile e laboriosa attuazione, soprattutto in mancanza dell’attribuzione di espliciti poteri sanzionatori e prescrittivi.

Profili finanziari

 

Il prospetto riepilogativo assegna alle norme i seguenti effetti sui saldi di finanza pubblica.

 

(milioni di euro)

 

Saldo netto da finanziare

Fabbisogno

Indebitamento netto

 

2012

2013

2014

2012

2013

2014

2012

2013

2014

Maggiori entrate

1.800,0

900,0

900,0

1.800

900,0

900,0

1.800,0

900,0

900,0

 

Si segnala che le norme in esame non sono state modificate nel corso dell’iter parlamentare, ma è stata modificata la contabilizzazione delle relative maggiori entrate previste per il 2012 in relazione alla modifica di destinazione delle medesime, introdotta dal Senato.

L’articolo 1, comma 1, del decreto originario stabiliva, infatti, che, per l’anno 2012, gli obiettivi di contenimento della spesa dei Ministeri, di cui al medesimo comma 1, potessero essere ridotti di un importo fino al 50 per cento delle maggiori entrate ascritte all’effettiva applicazione delle disposizioni di cui all’articolo 7. Analoga disposizione era contenuta nel comma 12 dell’articolo 1, in riferimento agli obiettivi di contenimento della spesa degli enti territoriali (che potevano essere ridotti fino ad un importo pari al 50 per cento delle maggiori entrate derivanti dall’articolo 7).

Nel prospetto riepilogativo e nella relazione tecnica riferiti al testo originario, gli effetti di maggiore entrata assegnati alle norme in materia di addizionale IRES per l’anno 2012, stimati in 1.800 milioni, non erano stati contabilizzati ai fini del miglioramento dei saldi. Parimenti non erano stati contabilizzati i possibili effetti di riduzione dei risparmi ascritti ai Ministeri ed agli enti territoriali. Gli effetti di riduzione dei risparmi ascritti agli enti territoriali, peraltro, ove contabilizzati, avrebbero rilevato esclusivamente ai fini del fabbisogno e dell’indebitamento netto per un importo massimo di 900 milioni nel 2012[[201]]. Pertanto la mancata contabilizzazione, sia degli effetti di maggiore entrata che degli effetti di maggior spesa nel 2012, non consentiva di evidenziare un effetto netto positivo a livello di saldo netto da finanziare pari a 900 milioni.

Il Senato ha modificato i commi 1 e 12 dell’articolo 1 del provvedimento prevedendo l’integrale destinazione delle maggiori entrate derivanti nel 2012 dall’articolo 7 in esame a riduzione dei risparmi attesi dagli enti territoriali. A seguito di tale modifica, nel prospetto riepilogativo riferito al maxiemendamento approvato al Senato si è operata una rettifica contabile, iscrivendo ai fini dei tre saldi le maggiori entrate derivanti per il 2012 dall’articolo 7 e contestualmente riducendo di pari importo (1.800 milioni) i complessivi risparmi attesi a carico degli enti territoriali, ai fini del fabbisogno e dell’indebitamento netto. Tale rettifica contabile risulta nel prospetto riepilogativo riferito al testo definitivamente approvato dal Parlamento.

 

La relazione tecnica riferita al testo originario fornisce alcuni dati con riferimento alle singole voci che contribuiscono a determinare il gettito complessivo ascritto dalla norma alle disposizioni.

Per quanto riguarda la quantificazione dell'aumento di 4 punti di aliquota riferita ai soggetti sui quali l'addizionale gravava anche in precedenza, la stima si basa sui dati contenuti nel Documento di economia e finanza 2011[[202]]. Tali dati evidenziano - in base ai versamenti tramite modello F24 - che il gettito di competenza 2009 legato all'addizionale per il settore energetico è stato di 678 milioni, in vigenza di un’aliquota pari al 6,5 per cento. Un punto percentuale corrisponde, quindi, a circa 104 milioni; conseguentemente, l'aumento di quattro punti percentuali previsto dalla norma comporta un aumento, in termini di competenza annua, di 416 milioni.

In termini di cassa, si determinano maggiori entrate per 832 milioni nel 2012 e di 416 milioni per ciascuno degli anni 2013 e 2014.

Si segnala, in proposito, che la relazione tecnica utilizza per la determinazione della quota di versamento in acconto dell’addizionale dovuta una percentuale del 100 per cento, ipotizzando l’insussistenza di società in condizione di perdita, in considerazione dell’elevata redditività delle imprese operanti nel settore energetico. Tale ipotesi è in linea con i parametri adottati in precedenti relazioni tecniche riguardanti misure per il medesimo settore.

Con riferimento all’estensione dell’applicazione dell’addizionale a tutte le attività di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, la relazione stima un effetto di maggior gettito di 70 milioni di euro annui in riferimento alle società con ricavi superiori a 10 milioni e scontando un’aliquota del 10,5 per cento.

In termini di cassa, si determina un maggior gettito di 140 milioni di euro nel 2012 e di 70 milioni di euro per ciascuno degli anni 2013 e 2014.

Con riguardo all’estensione alle imprese che trasportano e dispacciano energia elettrica e che trasportano o distribuiscono gas naturale, la relazione tecnica stima un maggior gettito di 310 euro annui ad aliquota del 10,5 per cento.

La relazione precisa che in pratica si tratta di Terna, che ha avuto nel 2010 ricavi per 1,5 miliardi di euro, con un utile netto di 434 milioni e di SNAMRETEGAS, che ha avuto nel primo semestre del 2011 ricavi per 1.744 milioni con un utile operativo di 986 milioni ed un utile netto di 576 milioni.

In base ai dati delle rispettive relazioni semestrali riferite al 2011, il maggior gettito annuo sarebbe di circa 90 milioni per Terna e di circa 220 milioni per SNAMRETEGAS.

Sulla base dei dati forniti dalla relazione tecnica si determinano i seguenti effetti di maggior gettito nel triennio di riferimento:

 

(milioni di euro)

 

2011

2012

2013

Aumento 4 punti società già soggette addizionale

832

416

416

Società di trasporto energia e gas (Terna e SNAMRETEGAS)

620

310

310

Società produzione energia da fonti rinnovabili ricavi >10 milioni

140

70

70

Totale

1.592

796

796

 

La relazione afferma quindi che, tenendo conto dell’applicazione dell’addizionale a tutte le società di distribuzione di gas ed elettricità, dell’ampliamento della platea alle società con ricavi superiori a 10 milioni e del fatto che l’incremento dell’aliquota si applica ai periodi d’imposta dal 2011 al 2013, nonché considerando il meccanismo di saldo ed acconto dell’imposta, gli effetti complessivamente stimati sono i seguenti:

 

(milioni di euro)

 

2011

2012

2013

2014

2015

dal 2016

Maggiori entrate

-25,2

1.800

900

900

 

299

Minori entrate

 

 

 

 

302

 

 

In merito ai profili di quantificazione,si è rilevato che la relazione tecnica fornisce parziali indicazioni sui dati e gli elementi alla base della stima del gettito complessivo. In particolare non sono suffragati da dati completi gli effetti di gettito derivanti dall’estensione dell’addizionale alle imprese di distribuzione di gas ed energia elettrica, diverse da Terna e da SNAMRETEGAS, nonché quelli derivanti dall’estensione dell’addizionale alle società con ricavi compresi tra i 10 ed i 25 milioni di euro. Tali effetti, ricavabili induttivamente dai dati della relazione tecnica, sono stimabili complessivamente in circa 208 milioni per il 2012 ed in 104 milioni per ciascuno degli anni 2013 e 2014.

Si è rilevato, inoltre, che la relazione tecnica ipotizza, nel periodo interessato dalla stima, l’invarianza delle basi imponibili dell’addizionale, presumendo una sostanziale costanza dei livelli di redditività delle imprese incise dal prelievo. In proposito si è segnalato che, dai dati contenuti nel Documento di economia e finanza 2011, basati su un’analisi dei versamenti tramite modello F24, si desume che il gettito ascrivibile ad un punto dell’aliquota dell’addizionale si è ridotto da 122 milioni nel 2008 a 104 milioni nel 2009, in relazione alla minore redditività delle imprese interessate.

È stata, inoltre, evidenziata la necessità di chiarimenti circa le modalità attuative del meccanismo di utilizzo – nel 2012 - delle maggiori entrate, derivanti dalle disposizioni in esame, quale indicato dall’articolo 1, comma 12. Infatti tali norme non prevedono alcuna procedura di certificazione dell’ammontare effettivo delle maggiori entrate - che saranno incassate integralmente solo nella seconda metà dell’anno - cui subordinare la corrispondente riduzione degli obiettivi di contenimento della spesa degli enti territoriali. L’individuazione di tale procedura appare necessaria al fine di garantire, da un lato, l’invarianza dei saldi di finanza pubblica, dall’altro, l’effettiva possibilità di impiego, da parte degli enti interessati, delle maggiori risorse disponibili.

Si è segnalato, infine, come la contabilizzazione degli effetti positivi nel 2012 sul saldo netto da finanziare (1.800 milioni), pur non essendo rilevante ai fini del computo del miglioramento complessivo dei saldi ascrivibile alla manovra, operata a seguito delle modifiche introdotte al Senato, sia solo in parte ascrivibile a queste ultime. Infatti, limitatamente a 900 milioni, tali effetti positivi erano già ascrivibili al testo iniziale delle norme, benché non contabilizzati nel relativo prospetto riepilogativo.

Come ricordato in precedenza, nel prospetto riepilogativo riferito al testo originario (con cui veniva consentito ai Ministeri ed agli enti territoriali di utilizzare, ciascuno per il 50%, il maggior gettito 2012 derivante dall’incremento IRES in esame) non erano stati contabilizzati né gli effetti (positivi) di maggiore entrata per il 2012 assegnati alla norme sull’addizionale IRES in esame (1.800 milioni di euro) né gli effetti (negativi) di riduzione dei risparmi ascritti ai Ministeri ed agli enti territoriali. Gli effetti di riduzione dei risparmi ascritti agli enti territoriali, peraltro, ove contabilizzati, avrebbero rilevato esclusivamente ai fini del fabbisogno e dell’indebitamento netto per un importo massimo di 900 milioni nel 2012: infatti le maggiori spese degli enti territoriali non hanno effetti ai fini del bilancio dello Stato (e, quindi, del saldo netto da finanziare), ma solo ai fini del fabbisogno e dell’indebitamento.

 


 

Articolo 7-bis
(Modifiche all’articolo 83-bis del decreto-legge n. 112 del 2008)

 


1. All'articolo 83-bis del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, sono apportate le seguenti modifiche:

a) al comma 4, secondo periodo, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «, sono sottoposti al parere preventivo della predetta Consulta generale e pubblicati con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, ai fini della loro entrata in vigore»;

b) al comma 4-bis sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «e ferma restando la possibilità di deroga con gli accordi di cui al comma 4».


 

 

L’articolo 7-bis reca modifiche all’art. 83-bis del D.L. n. 112/2008, convertito dalla legge n. 133/2008, in materia di determinazione dei costi di esercizio per le imprese di autotrasporto.

La lettera a) interviene sul comma 4, il quale, al fine di garantire la tutela della sicurezza stradale e la regolarità del mercato dell'autotrasporto di merci per conto di terzi, prevede che nel contratto di trasporto, stipulato in forma scritta, l'importo a favore del vettore deve essere tale da consentire almeno la copertura dei costi minimi di esercizio, che garantiscano, comunque, il rispetto dei parametri di sicurezza normativamente previsti. I costi minimi sono individuati nell'ambito degli accordi volontari di settore, conclusi tra organizzazioni associative di vettori rappresentati nella Consulta generale per l'autotrasporto e per la logistica, e organizzazioni associative dei committenti.

La lettera a) in esame integra tale norma prevedendo che i costi minimi vengano sottoposti a parere preventivo della Consulta, e pubblicati, ai fini della loro entrata in vigore, con decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.

La lettera b) dell’articolo in esame interviene sul comma 4-bis del medesimo art. 83-bis. Tale comma dispone che, qualora gli accordi volontari previsti al comma 4 non siano stipulati entro il termine di nove mesi, decorrenti dalla data di entrata in vigore del D.L. n. 112/2008, i costi vengano determinati dall'Osservatorio sulle attività di autotrasporto di cui all'articolo 6, comma 1, lettera g), del D.Lgs. n. 284/2005. Decorso il predetto termine, qualora entro ulteriori trenta giorni l'Osservatorio non abbia provveduto ad adottare le determinazione dei costi minimi, si applicano anche ai contratti di trasporto stipulati in forma scritta le disposizioni di cui ai commi 6 e 7 dello stesso art. 83-bis, relativi ai contratti non stipulati in forma scritta. La lettera b) precisa che resta ferma la possibilità di derogare a tali disposizioni, sulla base degli accordi previsti dal comma 4.

 

L'Osservatorio sulle attività di autotrasporto, composto di dieci membri, scelti dal Presidente fra i componenti dell'Assemblea aventi specifica professionalità in materie statistiche ed economiche, svolge funzioni di monitoraggio sul rispetto delle disposizioni in materia di sicurezza della circolazione e di sicurezza sociale, e provvede all'aggiornamento degli usi e consuetudini raccolti nei bollettini predisposti dalle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, di cui all'articolo 2, comma 2, lettera b), numero 6), della legge n. 32/2005.

Profili finanziari

 

Il prospetto riepilogativo non ascrive effetti alla norma.

 

La relazione tecnica riferita al maxiemendamento approvato dal Senato in prima lettura afferma che la norma ha carattere procedurale e non comporta effetti sui saldi di finanza pubblica.

 

In merito ai profili di quantificazione, non sono state formulate osservazioni.

 


 

Articolo 8
(Sostegno alla contrattazione collettiva di prossimità)

 


1. I contratti collettivi di lavoro sottoscritti a livello aziendale o territoriale da associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda ai sensi della normativa di legge e degli accordi interconfederali vigenti, compreso l'accordo interconfederale del 28 giugno 2011, possono realizzare specifiche intese con efficacia nei confronti di tutti i lavoratori interessati a condizione di essere sottoscritte sulla base di un criterio maggioritario relativo alle predette rappresentanze sindacali, finalizzate alla maggiore occupazione, alla qualità dei contratti di lavoro, all'adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, alla emersione del lavoro irregolare, agli incrementi di competitività e di salario, alla gestione delle crisi aziendali e occupazionali, agli investimenti e all'avvio di nuove attività.

2. Le specifiche intese di cui al comma 1 possono riguardare la regolazione delle materie inerenti l'organizzazione del lavoro e della produzione con riferimento:

a) agli impianti audiovisivi e alla introduzione di nuove tecnologie;

b) alle mansioni del lavoratore, alla classificazione e inquadramento del personale;

c) ai contratti a termine, ai contratti a orario ridotto, modulato o flessibile, al regime della solidarietà negli appalti e ai casi di ricorso alla somministrazione di lavoro;

d) alla disciplina dell'orario di lavoro;

e) alle modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro, comprese le collaborazioni coordinate e continuative a progetto e le partite IVA, alla trasformazione e conversione dei contratti di lavoro e alle conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro, fatta eccezione per il licenziamento discriminatorio, il licenziamento della lavoratrice in concomitanza del matrimonio, il licenziamento della lavoratrice dall'inizio del periodo di gravidanza fino al termine dei periodi di interdizione al lavoro, nonché fino ad un anno di età del bambino, il licenziamento causato dalla domanda o dalla fruizione del congedo parentale e per la malattia del bambino da parte della lavoratrice o del lavoratore ed il licenziamento in caso di adozione o affidamento.

2-bis. Fermo restando il rispetto della Costituzione, nonché i vincoli derivanti dalle normative comunitarie e dalle convenzioni internazionali sul lavoro, le specifiche intese di cui al comma 1 operano anche in deroga alle disposizioni di legge che disciplinano le materie richiamate dal comma 2 ed alle relative regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro.

3. Le disposizioni contenute in contratti collettivi aziendali vigenti, approvati e sottoscritti prima dell'accordo interconfederale del 28 giugno 2011 tra le parti sociali, sono efficaci nei confronti di tutto il personale delle unità produttive cui il contratto stesso si riferisce a condizione che sia stato approvato con votazione a maggioranza dei lavoratori.

3-bis. All'articolo 36, comma 1, del decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 188, sono apportate le seguenti modifiche:

a) all'alinea, le parole: «e la normativa regolamentare, compatibili con la legislazione comunitaria, ed applicate» sono sostituite dalle seguenti: «la normativa regolamentare ed i contratti collettivi nazionali di settore, compatibili con la legislazione comunitaria, ed applicati»;

b) dopo la lettera b), è inserita la seguente:

«b-bis) condizioni di lavoro del personale».


 

L’articolo 8 reca disposizioni volte al sostegno alla contrattazione collettiva di prossimità.

Il comma 1 dispone che i contratti collettivi di lavoro aziendali o territoriali, sottoscritti dalle associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale, ovvero dalle rappresentanze sindacali operanti in azienda in base alla legge e agli accordi confederali vigenti (compreso quello del 28 giugno 2011), possano realizzare specifiche intese, con efficacia nei confronti di tutti i lavoratori interessati, a condizione di essere sottoscritte sulla base di un criterio maggioritario di rappresentanza sindacale, finalizzate alla maggiore occupazione, alla qualità dei contratti di lavoro, all’adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, alla emersione del lavoro irregolare, agli incrementi di competitività e di salario, alla gestione delle crisi aziendali e occupazionali, agli investimenti e all’avvio di nuove attività.

 

Il comma 2 prevede che le intese possono riguardare la regolazione delle materie inerenti l’organizzazione del lavoro e della produzione, con riferimento:

§      agli impianti audiovisivi e alla introduzione di nuove tecnologie;

§      alle mansioni del lavoratore, alla classificazione e inquadramento del personale;

§      ai contratti a termine, ai contratti a orario ridotto, modulato o flessibile, al regime della solidarietà negli appalti e ai casi di ricorso alla somministrazione di lavoro;

§      alla disciplina dell’orario di lavoro;

§      alle modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro, comprese le collaborazioni coordinate e continuative a progetto e le partite IVA, alla trasformazione e conversione dei contratti di lavoro e alle conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro, ad eccezione del licenziamento discriminatorio e del licenziamento della lavoratrice della lavoratrice dall'inizio del periodo di gravidanza e fino al termine dei periodi di interdizione dal lavoro, nonché fino ad un anno di età del bambino; del licenziamento causato dalla domanda o dalla fruizione del congedo parentale e del congedo relativo alla malattia del bambino (da parte della lavoratrice o del lavoratore); del licenziamento in caso di adozione o affidamento (fino ad un anno dall'ingresso del minore nel nucleo familiare).

 

Nel corso dell’esame parlamentare i commi 1 e 2 sono stati ampiamente modificati:

§      stabilendo che le norme trovino applicazione anche per i contratti collettivi, aziendali o territoriali, sottoscritti dalle associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano “territoriale” (e non solo, quindi, sul piano nazionale);

§      specificando che per i contratti collettivi sottoscritti dalle rappresentanze sindacali aziendali, queste devono operare “ai sensi della normativa di legge e degli accordi interconfederali vigenti, compreso l’accordo interconfederale del 28 giugno 2011”;

§      prevedendo che l'efficacia delle intese nei confronti di tutti i lavoratori interessati sia subordinata al fatto che esse siano sottoscritte sulla base di un criterio maggioritario relativo alle rappresentanze sindacali;

§      che le intese possano essere finalizzate anche “all’adozione di forme di partecipazione dei lavoratori”;

§      operando un’estensione del divieto di deroga ad una serie di norme sulla nullità del recesso dal rapporto di lavoro, al fine di includervi: il licenziamento della lavoratrice dall'inizio del periodo di gravidanza e fino al termine dei periodi di interdizione dal lavoro, nonché fino ad un anno di età del bambino; il licenziamento causato dalla domanda o dalla fruizione del congedo parentale e del congedo relativo alla malattia del bambino (da parte della lavoratrice o del lavoratore); il licenziamento in caso di adozione o affidamento (fino ad un anno dall'ingresso del minore nel nucleo familiare). Per tali fattispecie resta pertanto ferma la nullità inderogabile del licenziamento, secondo i termini di cui all'art. 54 del D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151[203].

 

Il comma 2-bis è volto a specificare che nelle materie di cui al comma 2 le intese possono prevedere deroghe alle norme di fonte pubblica o contrattuale, fermo restando il rispetto della Costituzione e dei vincoli derivanti dalle normative comunitarie e dalle convenzioni internazionali sul lavoro.

 

Il comma 3 stabilisce che tutti i contratti collettivi aziendali vigenti, approvati e sottoscritti prima dell'accordo interconfederale del 28 giugno 2011, siano efficaci nei confronti di tutto il personale delle unità produttive cui il contratto si riferisce, a condizione che il contratto sia stato approvato con votazione a maggioranza dei lavoratori.

 

Il 28 giugno 2011 CONFINDUSTRIA, CGIL, CISL, e UIL hanno sottoscritto un accordo interconfederale in materia di rappresentanza sindacale e contrattazione nazionale e aziendale.

Per quanto in questa sede maggiormente interessa, si prevede (punto 8) che le parti diano ulteriore sostegno allo sviluppo della contrattazione collettiva aziendale, per cui confermano la necessità che il Governo decida di incrementare, rendere strutturali, certe e facilmente accessibili tutte le misure volte a incentivare, con riduzione di tasse e contributi, la contrattazione di secondo livello, che collega aumenti di retribuzione a obiettivi di produttività, redditività, qualità, efficienza, efficacia ed altri elementi rilevanti ai fini del miglioramento della competitività nonché ai risultati legati all’andamento economico delle imprese, concordati fra le parti in sede aziendale.

Si prevede, poi, (punto 4) che i contratti collettivi aziendali, per le parti economiche e normative, siano efficaci per tutto il personale e vincolino tutte le associazioni sindacali firmatarie dell’accordo operanti all’interno dell’azienda se approvati dalla maggioranza dei componenti delle rappresentanze sindacali unitarie elette secondo le regole interconfederali vigenti.

L’accordo, inoltre, prevede (punto 7) che i contratti collettivi aziendali possano attivare strumenti di articolazione contrattuale mirati ad assicurare la capacità di aderire alle esigenze degli specifici contesti produttivi. I contratti collettivi aziendali possono pertanto definire, anche in via sperimentale e temporanea, specifiche intese modificative delle regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro nei limiti e con le procedure previste dagli stessi contratti collettivi nazionali di lavoro.

 

Per quanto concerne il sostegno alla contrattazione aziendale, si ricorda che negli ultimi anni sono state introdotte varie misure di agevolazione fiscale.

La tassazione agevolata dei contratti di produttività è stata introdotta dall’articolo 2, comma 1, lettera c) del D.L. 93/2008, originariamente in via transitoria e con natura sperimentale, e poi prorogata al 2011 dall’articolo 1, comma 47 della legge 220/2010[204] in favore dei lavoratori dipendenti del settore privato con reddito annuo per lavoro dipendente non superiore a 30.000 euro.

Il beneficio fiscale consiste nell’applicazione, sulle remunerazioni oggetto di agevolazione, di una imposta sostitutiva dell’IRPEF e delle relative addizionali fissata in misura pari al 10%[205]. A tale regime sono soggette, tra l’altro, le remunerazioni derivanti da incrementi di produttività, innovazione ed efficienza organizzativa, nonché ad altri elementi di competitività e redditività legati all’andamento economico dell’impresa. In sostanza, si tratta della quota di retribuzione caratteristica del secondo livello di contrattazione collettiva legata alla produttività aziendale. La misura del beneficio non può, in ogni caso, superare l’importo massimo di 3.000 euro lordi.

Lo sgravio contributivo dei contratti di produttività è previsto dall’articolo 1, commi 67 e 68 della legge 247/2007[206], in via sperimentale, con effetto dal 1° gennaio 2008 e poi anch’essa prorogata al 2011 dall’articolo 1, comma 47 della legge 220/2010[207].

In particolare, il comma 67[208] prevede la concessione di uno sgravio contributivo relativo alla quota di retribuzione imponibile di cui all'articolo 12, terzo comma, della L. 153/1969[209], costituita dalle erogazioni previste dai contratti collettivi aziendali e territoriali, ovvero di secondo livello, caratterizzate da incertezza della corresponsione o dell'ammontare e correlazione, stabilita dal contratto medesimo, tra la struttura della quota di retribuzione e la misurazione di incrementi di produttività, qualità, nonché altri elementi di competitività, assunti come indicatori dell'andamento economico dell'impresa e dei suoi risultati.

Da ultimo, l’articolo 26 del D.L. 98/2011 ha previsto un regime fiscale e contributivo agevolato per il 2012, relativo agli emolumenti retributivi previsti da accordi o contratti collettivi territoriali o aziendali, sottoscritti da associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative a livello nazionale (compresi i contratti aziendali sottoscritti ai sensi dell'accordo interconfederale del 28 giugno 2011), concernenti i lavoratori dipendenti del settore privato.

Profili finanziari

 

Il prospetto riepilogativo non ascrive alla norma effetti sui saldi di finanza pubblica.

 

La relazione tecnica, riferita al testo originario, afferma che dalla norma non derivano nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

 

In merito ai profili di quantificazione, non sono state formulate osservazioni, anche con riferimento alle modifiche introdotte dal Senato.

 


 

Articolo 9
(Collocamento obbligatorio e regime delle compensazioni)

 


1. All'articolo 5 della legge 12 marzo 1999, n. 68, sono apportate le seguenti modifiche:

a) il comma 8 è sostituito dal seguente: «8. Gli obblighi di cui agli articoli 3 e 18 devono essere rispettati a livello nazionale. Ai fini del rispetto degli obblighi ivi previsti, i datori di lavoro privati che occupano personale in diverse unità produttive e i datori di lavoro privati di imprese che sono parte di un gruppo ai sensi dell'articolo 31 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 possono assumere in una unità produttiva o, ferme restando le aliquote d'obbligo di ciascuna impresa, in una impresa del gruppo avente sede in Italia, un numero di lavoratori aventi diritto al collocamento mirato superiore a quello prescritto, portando in via automatica le eccedenze a compenso del minor numero di lavoratori assunti nelle altre unità produttive o nelle altre imprese del gruppo aventi sede in Italia»;

b) dopo il comma 8 sono inseriti i seguenti commi:

«8-bis. I datori di lavoro privati che si avvalgono della facoltà di cui al comma 8 trasmettono in via telematica a ciascuno dei servizi competenti delle province in cui insistono le unità produttive della stessa azienda e le sedi delle diverse imprese del gruppo di cui all'articolo 31 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, il prospetto di cui all'articolo 9, comma 6, dal quale risulta l'adempimento dell'obbligo a livello nazionale sulla base dei dati riferiti a ciascuna unità produttiva ovvero a ciascuna impresa appartenente al gruppo»;

«8-ter. I datori di lavoro pubblici possono essere autorizzati, su loro motivata richiesta, ad assumere in una unità produttiva un numero di lavoratori aventi diritto al collocamento obbligatorio superiore a quello prescritto, portando le eccedenze a compenso del minor numero di lavoratori assunti in altre unità produttive della medesima regione»;

«8-quater. Sono o restano abrogate tutte le norme incompatibili con le disposizioni di cui ai commi 8, 8-bis e 8-ter».


 

 

L'articolo 9 interviene sulla disciplina del collocamento obbligatorio, di cui alla L. 12 marzo 1999, n. 68, sostituendo interamente il comma 8 dell’articolo 5 ed introducendo allo stesso articolo 3 nuovi commi (dall’8-bis all’8-quater).

Il richiamato comma 8 reca la disciplina inerente alla possibilità, per i datori di lavoro, di modulare tra le diverse unità produttive ed amministrative le quote obbligatorie di assunzione di categorie protette.

 

La legge n. 68/1999 ha introdotto una nuova disciplina per il diritto al lavoro dei disabili.

I lavoratori disabili, considerata la comprovata difficoltà di rendersi “appetibili” sul mercato del lavoro, usufruiscono di uno speciale regime di collocamento obbligatorio, in base al quale ai datori di lavoro viene imposto di assumere un certo numero di lavoratori disabili, i quali devono tuttavia possedere una (anche solo minima) capacità lavorativa residua.

Le principali categorie di lavoratori disabili coinvolti dal collocamento obbligatorio sono:

§      gli invalidi civili in età lavorativa affetti da minorazioni fisiche o psichiche che comportino una riduzione della capacità lavorativa sopra il 45%;

§      gli invalidi del lavoro che abbiano una riduzione della capacità lavorativa sopra il 33%;

§      le persone non vedenti o sordomute;

§      persone invalide di guerra, invalide civili di guerra e invalide per servizio con minorazioni ascritte dalla prima all'ottava categoria.

Le condizioni di disabilità vengono accertate attraverso apposita visita medica effettuata da commissioni mediche istituite presso le ASL.

I datori di lavoro, pubblici e privati, hanno l’obbligo, ai sensi dell’articolo 3, di impiegare un certo numero o una certa quota di lavoratori disabili (quote di riserva):

§      per i datori di lavoro che occupano più di 50 dipendenti, il 7% della forza lavoro deve essere costituita da disabili;

§      i datori che occupano da 36 a 50 dipendenti devono assumere almeno 2 disabili;

§      i datori di lavoro che occupano da 15 a 35 dipendenti devono assumere almeno un disabile;

§      i datori di lavoro che occupano meno di 16 dipendenti sono invece esentati dal collocamento obbligatorio.

Esclusioni ed esoneri parziali da tali obblighi sono contenuti nel successivo articolo 5, il quale, appunto, individua specifiche mansioni e categorie di datori di lavorio non sottoposti al collocamento obbligatorio (ad es. nel settore dell’edilizia, limitatamente al personale di cantiere e agli addetti al trasporto del settore; nel trasporto aereo, marittimo e terrestre limitatamente al personale viaggiante e navigante; negli impianti a fune, in relazione al personale direttamente adibito alle aree operative; nell’autotrasporto, in relazione al personale viaggiante).

In particolare, il comma 8 dell’articolo 5 prevedeva che le aziende dislocate in diverse sedi provinciali potessero richiedere la compensazione territoriale al fine di assumere in una o più sedi un numero di disabili superiore a quello di legge, compensando appunto le eccedenze con il minor numero di lavoratori assunto in altre sedi[210].

In particolare, mentre le aziende con un numero di dipendenti fino a 50 potevano valutare liberamente quale fosse la sede più idonea alla compensazione, per le aziende con un numero di dipendenti superiore a 50 la valutazione era rimessa ad una specifica autorizzazione rilasciata dagli organi amministrativi competenti.

In caso di assunzione di un’unità, l’autorizzazione era concessa nella misura del 100% degli obblighi non ancora assolti, se l’autorizzazione riguardava 2 o più unità l’autorizzazione era concessa nella misura del 51% dei richiamati obblighi. L’autorizzazione era invece concessa nella misura del 100% indipendentemente dal numero di unità assunte gli obblighi di assunzione e le province interessate alle minori assunzioni sono ubicate nelle regioni del Centro-Sud e nelle isole. Infine, l’autorizzazione non era concessa quando, indipendentemente dalle unità da assumere, le province interessate alle minori assunzioni erano ubicate in regioni del Centro-Sud ed isole e lo spostamento avveniva verso regioni del Centro-Nord.

Si ricorda che ulteriori disposizioni in materia di compensazione territoriale sono contenute nell’articolo 5 del D.P.R. 10 ottobre 2000, n. 333, recante il regolamento di esecuzione della L. 68/1999.

Nelle disposizioni transitorie di cui all’articolo 18, comma 2, della L. 68/1999, viene inoltre attribuita, in attesa di una disciplina organica del diritto al lavoro degli orfani e dei coniugi superstiti di coloro che siano deceduti per causa di lavoro, di guerra o di servizio, ovvero in conseguenza dell'aggravarsi dell'invalidità riportata per tali cause, nonché dei coniugi e dei figli di soggetti riconosciuti grandi invalidi per causa di guerra, di servizio e di lavoro e dei profughi italiani rimpatriati, in favore dei soggetti richiamati, una quota di riserva, sul numero di dipendenti dei datori di lavoro pubblici e privati che occupano più di 50 dipendenti, pari all’1% e determinata secondo specifica disciplina. La richiamata quota è pari ad un'unità per i datori di lavoro, pubblici e privati, che occupano da 51 a 150 dipendenti.

Lo stesso articolo, infine, ha disposto, fino al 31 dicembre 2004, che gli invalidi del lavoro ed i soggetti appartenenti alle forze di polizia, forze militari e della protezione civile invalidi per servizio, che alla medesima data risultino iscritti nelle liste delle assunzioni obbligatorie presso le pubbliche amministrazioni e le aziende private di cui alla L. 2 aprile 1968, n. 482, siano avviati al lavoro dagli uffici competenti senza necessità di inserimento nella graduatoria dei disabili disoccupati.

In sostanza, rispetto alla normativa previgente la nuova disciplina sopprime la procedura di richiesta motivata e di autorizzazione ai fini della compensazione territoriale. In luogo di quest’ultima, prevede - per il caso in cui il datore si avvalga della possibilità di compensazione - una comunicazione (in via telematica) a ciascuno dei servizi provinciali competenti; inoltre si consente che la compensazione operi anche tra diverse imprese, a condizione che esse abbiano sede in Italia e facciano parte di uno stesso gruppo d'impresa.

 

Più specificamente:

§      il nuovo testo del comma 8 in primo luogo ribadisce l’osservanza delle disposizioni di cui all’articolo 3 e 18 della L. 68 (vedi supra).
Ai fini del rispetto degli obblighi richiamati, i datori di lavoro privati che occupano personale in diverse unità produttive e i datori di lavoro privati di imprese che sono parte di un gruppo ai sensi dell’articolo 31 del D.Lgs. 276/2003
[211], possono assumere in un’unità produttiva o, ferme restando le aliquote d’obbligo di ciascuna impresa, in un’impresa del gruppo avente sede in Italia, un numero di lavoratori aventi diritto al collocamento mirato superiore a quello prescritto, portando automaticamente le eccedenze a compenso del minor numero di lavoratori assunti nelle altre unità produttive o nelle altre imprese del gruppo aventi sede in Italia;

§      il successivo nuovo comma 8-bis stabilisce l’obbligo, per i datori di lavoro che si siano avvalsi della facoltà di cui al precedente comma 8, di trasmissione in via telematica, a ciascuno dei servizi competenti delle province in cui insistono le unità produttive della stessa azienda e le sedi delle diverse imprese del gruppo così come definito dal richiamato articolo 31 del D.Lgs. 276/2003, del prospetto informativo dal quale risultino il numero complessivo dei lavoratori dipendenti, il numero e i nominativi dei lavoratori computabili nella quota di riserva, dal quale risulta l’adempimento dell’obbligo a livello nazionale sulla base dei dati riferiti a ciascuna unità produttiva ovvero a ciascuna impresa appartenente al gruppo;

§      ai sensi del nuovo comma 8-ter si dispone che i datori di lavoro pubblici possano essere autorizzati, su richiesta, ad assumere in una unità produttiva un numero di lavoratori aventi diritto al collocamento obbligatorio superiore a quello prescritto, portando le eccedenze a compenso del minor numero di lavoratori assunti in altre unità produttive della medesima regione.

Merita segnalare, al riguardo, che l’articolo 5, comma 4, del D.P.R. 333/2000 (ossia il regolamento di attuazione della legge n. 68 del 1999)) prevede che i datori di lavoro pubblici effettuino la compensazione in oggetto in via automatica, fermo restando il limite dell'ambito territoriale regionale;

§      infine, per esigenze di coordinamento tecnico-legislativo, il nuovo comma 8-quater provvede a dichiarare abrogate tutte le norme incompatibili con le disposizioni di cui ai commi 8, 8-bis e 8-ter.

Profili finanziari

 

Il prospetto riepilogativo non ascrive alla norma effetti sui saldi di finanza pubblica.

 

La relazione tecnica afferma che dalla norma non derivano nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

 

In merito ai profili di quantificazione, non sono stati formulati rilievi.

 


 

Articolo 10
(Fondi interprofessionali per la formazione continua)

 

1. All'articolo 118, comma 1, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, dopo le parole «si possono articolare regionalmente o territorialmente» aggiungere le seguenti parole «e possono altresì utilizzare parte delle risorse a essi destinati per misure di formazione a favore di apprendisti e collaboratori a progetto».

 

 

L'articolo 10 interviene sulla disciplina sui fondi paritetici interprofessionali nazionali per la formazione continua, introdotti dall'articolo 118 della L. 23 dicembre 2000, n. 388[212], prevedendo che possano impiegare parte delle proprie risorse per misure di formazione in favore di apprendisti e di collaboratori a progetto.

 

I fondi paritetici interprofessionali per la formazione continua sono costituiti, sulla base di accordi interconfederali stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori e dei lavoratori maggiormente rappresentative sul piano nazionale, per ciascuno dei settori economici dell’industria, dell’agricoltura, del terziario e dell’artigianato[213]. Viene fatta salva la possibilità che gli stessi accordi costituiscano fondi anche per settori diversi.

I fondi finanziano, in tutto o in parte, piani formativi aziendali, territoriali, settoriali o individuali, concordati tra le parti sociali, nonché eventuali ulteriori iniziative propedeutiche e comunque direttamente connesse a detti piani concordate tra le parti.

Tali fondi – articolati, previo accordo tra le parti, su scala regionale o territoriale - sono attivati con autorizzazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il quale esercita altresì la vigilanza sulla gestione. L'autorizzazione è subordinata alla verifica della conformità dei criteri di gestione, degli organi, delle strutture di funzionamento e della professionalità dei gestori rispetto alle finalità dei fondi.

La quota del gettito complessivo da destinare ai fondi è stabilita nel 50% a valere sul terzo delle risorse derivanti dal contributo integrativo di cui all’articolo 25 della L. 845/1978[214], destinato al Fondo di cui all'articolo medesimo[215].

Con riferimento ai datori che aderiscono ai medesimi fondi, le entrate derivanti dall'addizionale contributiva dello 0,30%[216] - destinata, in via generale, al finanziamento del sistema della formazione professionale - sono trasferite dall'INPS al fondo indicato dal datore, nei seguenti termini e limiti:

§      le entrate corrispondenti alla quota - pari ad un terzo (0,1 punti percentuali) - dell'addizionale che spetterebbe, in via ordinaria[217], al Fondo di rotazione per la formazione professionale e per l'accesso al Fondo sociale europeo, sono attribuite in misura integrale al fondo indicato dal datore, in caso di adesione da parte del medesimo;

§      le entrate corrispondenti alla restante quota (due terzi) sono anch'esse destinate al fondo prescelto. Si ricorda che tale quota spetta, in assenza di adesione - nonché, in ogni caso, per la misura eccedente il suddetto importo - al Fondo di rotazione per l'attuazione delle politiche comunitarie (ai fini del cofinanziamento degli interventi del Fondo sociale europeo).

Profili finanziari

 

Il prospetto riepilogativo non ascrive alla norma effetti sui saldi di finanza pubblica.

 

La relazione tecnica afferma che dalla norma non derivano nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

 

In merito ai profili di quantificazione non sono state formulate osservazioni nel presupposto che gli eventuali programmi di formazione a favore di apprendisti e collaboratori a progetto da finanziare con le dotazioni dei fondi interprofessionali siano compatibili con altri interventi già previsti, a legislazione vigente, a valere sulle medesime risorse. Sul punto è stata richiesta una conferma del Governo.

 


 

Articolo 11
(Livelli di tutela essenziali per l'attivazione dei tirocini)

 


1. I tirocini formativi e di orientamento possono essere promossi unicamente da soggetti in possesso degli specifici requisiti preventivamente determinati dalle normative regionali in funzione di idonee garanzie all'espletamento delle iniziative medesime. Fatta eccezione per i disabili, gli invalidi fisici, psichici e sensoriali, i soggetti in trattamento psichiatrico, i tossicodipendenti, gli alcolisti e i condannati ammessi a misure alternative di detenzione, i tirocini formativi e di orientamento non curriculari non possono avere una durata superiore a sei mesi, proroghe comprese, e possono essere promossi unicamente a favore di neo-diplomati o neo-laureati entro e non oltre dodici mesi dal conseguimento del relativo titolo di studio.

2. In assenza di specifiche regolamentazioni regionali trovano applicazione, per quanto compatibili con le disposizioni di cui al comma che precede, l'articolo 18 della legge 24 giugno 1997, n. 196 e il relativo regolamento di attuazione.


 

 

L'articolo 11 reca alcune norme generali in materia di tirocini formativi e di orientamento.

Il comma 1 stabilisce che i tirocini formativi e di orientamento siano promossi unicamente da soggetti in possesso degli specifici requisiti determinati dalle regioni.

Inoltre, si prevede che i tirocini formativi e di orientamento "non curriculari" abbiano una durata non superiore a sei mesi (comprese eventuali proroghe) e possono essere promossi esclusivamente a favore neodiplomati e neo-laureati, entro dodici mesi dal conseguimento del relativo titolo di studio.

Tali norme non si applicano a disabili, invalidi fisici, psichici e sensoriali, soggetti in trattamento psichiatrico, tossicodipendenti, alcolisti e ai condannati ammessi a misure alternative di detenzione.

 

I tirocini formativi e di orientamento rappresentano momenti di alternanza tra studio e lavoro nell'ambito dei processi formativi, anche al fine di agevolare le scelte professionali mediante la conoscenza diretta del mondo del lavoro, a favore di soggetti che abbiano già assolto l'obbligo scolastico.

Le iniziative sono promosse, anche in forma associata, da parte di vari soggetti come, a titolo esemplificativo, agenzie per l'impiego, università, provveditorati agli studi, istituzioni scolastiche statali e non statali che rilascino titoli di studio con valore legale e i centri pubblici o a partecipazione pubblica di formazione professionale e/o orientamento.

La durata dei tirocini varia dai quattro mesi per gli studenti della scuola secondaria, ai sei mesi per i lavoratori inoccupati o disoccupati o gli allievi degli istituti professionali di Stato, di corsi di formazione professionale, i studenti frequentanti attività formative post-diploma o post laurea, fino ai dodici mesi per gli studenti universitari o le persone svantaggiate[218] ed, infine, ai ventiquattro mesi per i soggetti portatori di handicap

Tali norme sono estese ai cittadini comunitari che effettuino esperienze professionali in Italia, anche nell'ambito di programmi comunitari, nonché ai cittadini extracomunitari secondo princìpi di reciprocità e criteri e modalità definiti dal D.M. 22 marzo 2006, “Normativa nazionale e regionale in materia di tirocini formativi e di orientamento per i cittadini non appartenenti all'Unione europea.

 

Il comma 2 specifica che in assenza di specifiche regolamentazioni regionali continua a trovare applicazione, nella misura in cui sia compatibile con le norme generali di cui al precedente comma 1 (norme che sembrano formulate in maniera vincolante anche per il legislatore regionale), la disciplina statale vigente, recata dall’articolo 18 della legge n. 196 del 1997 e dal relativo regolamento di attuazione.

 

L'articolo 18 della L. 24 giugno 1997, n. 196[219], ha demandato ad un regolamento ministeriale, emanato con D.M. 25 marzo 1998, n. 142[220], la definizione di una nuova disciplina dei tirocini formativi e di orientamento. Successivamente, la sentenza della Corte costituzionale n. 50 del 13-28 gennaio 2005 ha affermato la competenza legislativa delle regioni nel settore[221]. A seguito della sentenza della Corte, la direttiva del Ministro per la funzione pubblica n. 2 del 1° agosto 2005, ha tuttavia stabilito che nell'ipotesi di assenza di una specifica disciplina a livello regionale, resta comunque applicabile la normativa statale in materia (di cui ai citati articolo 18 della legge n. 196 del 1997 e al D.M. n. 142 del 1998).

Profili finanziari

 

Il prospetto riepilogativo non ascrive alla norma effetti sui saldi di finanza pubblica.

 

La relazione tecnica afferma che dalla norma non derivano nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

 

In merito ai profili di quantificazione non sono stati formulati rilievi per i profili di quantificazione.

 


 

Articolo 12
(Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro)

 


1. Dopo l'articolo 603 del codice penale sono inseriti i seguenti:

«Art. 603-bis (Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro). - Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque svolga un'attività organizzata di intermediazione, reclutando manodopera o organizzandone l'attività lavorativa caratterizzata da sfruttamento, mediante violenza, minaccia, o intimidazione, approfittando dello stato di bisogno o di necessità dei lavoratori, è punito con la reclusione da cinque a otto anni e con la multa da 1.000 a 2.000 euro per ciascun lavoratore reclutato.

Ai fini del primo comma, costituisce indice di sfruttamento la sussistenza di una o più delle seguenti circostanze:

1) la sistematica retribuzione dei lavoratori in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali o comunque sproporzionato rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato;

2) la sistematica violazione della normativa relativa all'orario di lavoro, al riposo settimanale, all'aspettativa obbligatoria, alle ferie;

3) la sussistenza di violazioni della normativa in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro, tale da esporre il lavoratore a pericolo per la salute, la sicurezza o l'incolumità personale;

4) la sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, metodi di sorveglianza, o a situazioni alloggiative particolarmente degradanti.

Costituiscono aggravante specifica e comportano l'aumento della pena da un terzo alla metà:

1) il fatto che il numero di lavoratori reclutati sia superiore a tre;

2) il fatto che uno o più dei soggetti reclutati siano minori in età non lavorativa;

3) l'aver commesso il fatto esponendo i lavoratori intermediati a situazioni di grave pericolo, avuto riguardo alle caratteristiche delle prestazioni da svolgere e delle condizioni di lavoro.

Art. 603-ter (Pene accessorie). - La condanna per i delitti di cui agli articoli 600, limitatamente ai casi in cui lo sfruttamento ha ad oggetto prestazioni lavorative, e 603-bis, importa l'interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche o delle imprese, nonché il divieto di concludere contratti di appalto, di cottimo fiduciario, di fornitura di opere, beni o servizi riguardanti la pubblica amministrazione, e relativi subcontratti.

La condanna per i delitti di cui al primo comma importa altresì l'esclusione per un periodo di due anni da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi da parte dello Stato o di altri enti pubblici, nonché dell'Unione europea, relativi al settore di attività in cui ha avuto luogo lo sfruttamento.

L'esclusione di cui al secondo comma è aumentata a cinque anni quando il fatto è commesso da soggetto al quale sia stata applicata la recidiva ai sensi dell'articolo 99, secondo comma, numeri 1) e 3)».


 

 

L'articolo 12 inserisce nel codice penale gli articoli 603-bis e 603-ter.

 

L’art. 603-bis c.p. introduce nell'ordinamento il delitto di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro la cui fattispecie è rappresentata dallo svolgimento di un'attività organizzata di intermediazione, esercitata «mediante violenza, minaccia, o intimidazione, approfittando dello stato di bisogno o di necessità dei lavoratori». L'attività può consistere nel reclutamento della manodopera o nell'organizzazione di attività lavorativa contraddistinta da sfruttamento. Per il delitto in esame si prevede la reclusione da 5 a 8 anni, nonché la multa da 1.000 a 2.000 euro per ciascun lavoratore reclutato (primo comma).

La stessa norma penale individua (secondo comma) alcune circostanze che costituiscono "indice di sfruttamento" mentre il terzo comma identifica alcune circostanze aggravanti, che comportano un aumento della pena da un terzo alla metà. Si tratta:

§       dell’aver reclutato più di tre lavoratori;

§       dell’aver reclutato minori in età non lavorativa;

§       dell’aver commesso il fatto «esponendo i lavoratori intermediati a situazioni di grave pericolo, avuto riguardo alle caratteristiche delle prestazioni da svolgere e delle condizioni di lavoro».

 

L’art. 603-ter c.p. reca le pene accessorie sia per il nuovo delitto sia per quello di cui all'art. 600 c.p. (Riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù), per il caso in cui quest'ultimo tipo di sfruttamento abbia ad oggetto prestazioni lavorative.

La disposizione prevede le seguenti pene accessorie:

§       interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche o delle imprese;

§       divieto di concludere contratti di appalto, di cottimo fiduciario, di fornitura di opere, beni o servizi riguardanti la pubblica amministrazione, e relativi subcontratti;

§       esclusione per 2 anni da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi da parte dello Stato, di altri enti pubblici o dell'Unione europea; tale esclusione opera per 5 anni quando il fatto è commesso da soggetto recidivo.

 

Si rammenta, inoltre, che al nuovo delitto di cui all'art. 603-bis si applicano anche le disposizioni di cui al successivo art. 604 del codice penale. In base ad esso, il reato è punibile anche qualora il fatto sia commesso all'estero da cittadino italiano, ovvero in danno di cittadino italiano, ovvero dallo straniero in concorso con cittadino italiano. In quest'ultima ipotesi, lo straniero è punibile quando si tratti di delitto per il quale sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni (come nel caso in esame) e quando vi sia stata richiesta del Ministro della giustizia.


 

Articolo 13
(Trattamento economico dei parlamentari e dei membri
degli altri organi costituzionali. Incompatibilità.
Riduzione delle spese per i referendum)

 


1. A decorrere dal mese successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, per gli anni 2011, 2012 e 2013, ai membri degli organi costituzionali, fatta eccezione per il Presidente della Repubblica e i componenti della Corte costituzionale, si applica, senza effetti a fini previdenziali, una riduzione delle retribuzioni o indennità di carica superiori a 90.000 Euro lordi annui previste alla data di entrata in vigore del presente decreto, in misura del 10 per cento per la parte eccedente i 90.000 euro e fino a 150.000 euro, nonché del 20 per cento per la parte eccedente 150.000 euro. A seguito della predetta riduzione il trattamento economico complessivo non può essere comunque inferiore a 90.000 euro lordi annui.

2. In attesa della revisione costituzionale concernente la riduzione del numero dei parlamentari e della rideterminazione del trattamento economico omnicomprensivo annualmente corrisposto ai sensi dell'articolo 1, comma 1, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111:

a) ai parlamentari che svolgono qualsiasi attività lavorativa per la quale sia percepito un reddito uguale o superiore al 15 per cento dell'indennità parlamentare la riduzione dell'indennità di cui al comma 1 si applica in misura del 20 per cento per la parte eccedente i 90.000 euro e fino a 150.000 euro, in misura del 40 per cento per la parte eccedente i 150.000 euro. La riduzione si applica con la medesima decorrenza e durata di cui al comma 1;

b) le Camere, in conformità con quanto previsto dai rispettivi ordinamenti, individuano entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto le modalità più adeguate per correlare l'indennità parlamentare al tasso di partecipazione di ciascun parlamentare ai lavori delle Assemblee, delle Giunte e delle Commissioni.

3. Fermo restando quanto previsto dalla legge 20 luglio 2004, n. 215, e successive modificazioni, le cariche di deputato e di senatore, nonché le cariche di governo di cui all'articolo 1, comma 2, della citata legge n. 215 del 2004, sono incompatibili con qualsiasi altra carica pubblica elettiva di natura monocratica relativa ad organi di governo di enti pubblici territoriali aventi, alla data di indizione delle elezioni o della nomina, popolazione superiore a 5.000 abitanti, fermo restando quanto previsto dall'articolo 62 del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267. Le incompatibilità di cui al primo periodo si applicano a decorrere dalla data di indizione delle elezioni relative alla prima legislatura parlamentare successiva alla data di entrata in vigore del presente decreto. A decorrere dalla data di indizione delle relative elezioni successive alla data di entrata in vigore del presente decreto, le incompatibilità di cui al primo periodo si applicano, altresì, alla carica di membro del Parlamento europeo spettante all'Italia, fermo restando quanto previsto dall'articolo 6, commi secondo, terzo, quarto, quinto e sesto, della legge 24 gennaio 1979, n. 18, e successive modificazioni. Resta fermo in ogni caso il divieto di cumulo con ogni altro emolumento; fino al momento dell'esercizio dell'opzione, non spetta alcun trattamento per la carica sopraggiunta.

4. All'articolo 7 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, dopo il comma 2, è aggiunto il seguente: «2-bis. Nel caso in cui, nel medesimo anno, debba tenersi più di un referendum abrogativo, la convocazione degli elettori ai sensi dell'articolo 34 della legge 25 maggio 1970, n. 352, avviene per tutti i referendum abrogativi nella medesima data.».


 

 

L'articolo 13 interviene in materia di riduzione dei costi delle istituzioni prevedendo:

§      la riduzione delle indennità parlamentari (commi 1 e 2);

§      l’incompatibilità della carica di parlamentare e di membro del Governo con cariche pubbliche elettive monocratiche in enti pubblici territoriali (comma 3);

§      l’obbligo di svolgimento dei referendum in una unica data annuale (comma 4).

 

Il comma 1 opera una riduzione delle retribuzioni o indennità di carica superiori ai 90.000 euro lordi annui dei membri degli organi costituzionali per gli anni 2011, 2012 e 2013.

Nel corso dell’esame parlamentare sono stati esclusi dalla riduzione la Presidenza della Repubblica e la Corte costituzionale e, pertanto la disposizione si applica esclusivamente alla Camera dei deputati e al Senato.

In particolare, la norma dispone la riduzione:

§         del 10% per la parte eccedente i 90.000 euro e fino a 150.000 euro, nonché

§         del 20% per la parte eccedente 150.000 euro.

A seguito della predetta riduzione, il trattamento economico complessivo non può comunque essere inferiore a 90.000 euro lordi annui.

La riduzione si applica a decorrere dal mese successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del provvedimento in esame ed è senza effetti ai fini previdenziali.

La riduzione - ai sensi del comma 2 cui si rimanda - è raddoppiata per i parlamentari che percepiscono un reddito da attività lavorativa superiore al 15% dell’indennità.

 

Il trattamento economico dei membri degli organi costituzionali è stato oggetto di vari interventi nel corso degli ultimi anni.

L’art. 1, comma 52, della legge finanziaria per il 2006 (legge 23 dicembre 2005, n. 266) ha ridotto del 10% l’ammontare massimo delle indennità mensili spettanti ai componenti della Camera e del Senato. In attuazione di tale disposizione, l’Ufficio di Presidenza della Camera dei deputati ed il Consiglio di Presidenza del Senato della Repubblica hanno disposto una riduzione pari al 10% dell’importo lordo allora vigente della quota mensile dell’indennità parlamentare spettante rispettivamente a deputati e senatori.

La legge finanziaria per il 2007 (legge 27 dicembre 2006, n. 296), all’art. 1, comma 575, a decorrere dal 1° gennaio 2007, ha ridotto del 30% il trattamento economico complessivo dei ministri e dei sottosegretari di Stato, limitatamente ai ministri e sottosegretari di Stato che siano anche membri del Parlamento.

La legge finanziaria per il 2008 (legge 24 dicembre 2007, n. 244) reca, all’art. 1, comma 375, una disposizione che stabilisce che, nella determinazione delle quote mensili dell’indennità parlamentare – per cinque anni dall’entrata in vigore della medesima legge finanziaria 2008 – non venga applicato l’adeguamento automatico annuale delle retribuzioni del personale pubblico “non contrattualizzato” agli incrementi medi calcolati dall’ISTAT conseguiti nell’anno precedente dalle categorie di pubblici dipendenti in regime contrattuale sulle voci della rispettiva retribuzione, previsto dalla legge 448/1998.

L'art. 5 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78[222] prevede, al comma 1, che, per gli anni 2011, 2012 e 2013, gli importi corrispondenti alle riduzioni di spesa autonomamente deliberate entro il 31 dicembre 2010, con le modalità previste dai rispettivi ordinamenti dalla Presidenza della Repubblica, dal Senato della Repubblica, dalla Camera dei deputati e dalla Corte Costituzionale siano versati al bilancio dello Stato per essere riassegnati al Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato. Il comma 2 prevede che, a decorrere dal 1° gennaio 2011, il trattamento economico complessivo dei Ministri e dei Sottosegretari di Stato che non siano membri del Parlamento nazionale è ridotto del 10%.

Gli organi costituzionali hanno poi effettuato ulteriori riduzioni mediante l'adozione di atti interni. Alla Camera, con deliberazione del Consiglio di Presidenza del 27 luglio 2010, i rimborsi spesa forfetari sono stati ridotti complessivamente di 1.000 euro al mese (500 euro decurtati dalla diaria di soggiorno e 500 dal rimborso per spese inerenti al rapporto tra eletto ed elettori)[223]. Analoghe disposizioni sono state adottate successivamente dal Senato con deliberazione del Consiglio di Presidenza 27 novembre 2010[224].

Il Presidente della Repubblica ha comunicato il 30 luglio 2011 al Ministro dell'economia e delle finanze di rinunciare, dal corrente anno e fino alla scadenza del suo mandato, all'adeguamento all'indice dei prezzi al consumo - stabilito dalla legge 23 luglio 1985, n. 372 - dell'assegno attribuitogli dalla stessa legge, ai sensi dell'art. 84 Cost.[225].

Da ultimo, l'art. 1 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98[226] ha introdotto una procedura volta a conformare il trattamento economico corrisposto ai titolari di cariche elettive ed incarichi di vertice o quali componenti degli organismi, enti e istituzioni di cui all'allegato A (tra cui Senato, Camera e Corte costituzionale) alla media ponderata rispetto al PIL degli analoghi trattamenti economici percepiti annualmente dai titolari di omologhe cariche e incarichi negli altri sei principali Stati dell'Area Euro. Fermo il principio costituzionale di autonomia, si prevede che per i componenti del Senato e della Camera il costo relativo al trattamento economico omnicomprensivo annualmente corrisposto in funzione della carica ricoperta non può superare la media ponderata rispetto al PIL del costo relativo ai componenti dei Parlamenti nazionali. L'art. 5 prevede ulteriori riduzioni delle dotazioni di Camera, Senato e Corte costituzionale.

 

Andrebbe approfondita la compatibilità fra la disposizione in esame e gli ordinamenti degli organi costituzionali.

 

Il comma 2 introduce due innovazioni, in attesa della revisione costituzionale concernente la riduzione del numero dei parlamentari e della già ricordata rideterminazione del trattamento economico in maniera non superiore alla media ponderata rispetto al PIL degli analoghi trattamenti economici percepiti annualmente dai titolari di omologhe cariche e incarichi negli altri sei principali Stati dell'Area Euro, ai sensi di quanto previsto dall'art. 1, comma 1, del decreto-legge 98/2011.

In particolare, la lettera a) – modificata nel corso dell’esame parlamentare – prevede, come anticipato sopra, che la riduzione introdotta dal comma 1 è raddoppiata per i parlamentari che svolgono qualsiasi attività lavorativa per la quale percepiscano un reddito pari o superiore al 15% dell’indennità parlamentare. Pertanto, a costoro viene applicata una riduzione del 20% per la parte eccedente 90 mila euro e del 40% al di sopra dei 150 mila euro.

La disposizione decorre, analogamente a quella del comma 1, a partire dal mese successivo a quello dell’entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge in esame.

Il testo originario della disposizione, invece, riduce del 50% l'indennità parlamentare per i parlamentari che svolgano qualsiasi attività lavorativa per la quale sia percepito un reddito uguale o superiore al 15% dell'indennità medesima. Tale riduzione si applica a decorrere dal mese successivo al deposito presso la Camera di appartenenza della dichiarazione annuale relativa ai redditi delle persone fisiche di cui alla legge 5 luglio 1982, n. 441[227] dalla quale emerga il superamento del limite suddetto.

 

La lettera b) prevede che Camera e Senato, in conformità con quanto previsto dai rispettivi ordinamenti, individuano, entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame, le modalità più adeguate per correlare l'indennità parlamentare al tasso di partecipazione di ciascun parlamentare ai lavori delle Assemblee, delle Giunte e delle Commissioni.

 

Il comma 3, modificato sostanzialmente nel corso dell’esame parlamentare, interviene in materia di incompatibilità parlamentari e di governo.

Il testo originario del comma 3 introduce l'incompatibilità della carica di parlamentare con qualsiasi altra carica pubblica elettiva a decorrere dalla prossima legislatura.

Le modifiche introdotte ampliano la platea dei soggetti destinatari della disposizione comprendendovi, oltre ai deputati e ai senatori, anche i membri del governo. Questi ultimi sono identificati, attraverso il riferimento alla legge 215/2004 (la legge sul conflitto di interessi) nel Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministri, Vice Ministri, sottosegretari di Stato e commissari straordinari del Governo di cui all'articolo 11 della legge 400/1988.

Inoltre, l’incompatibilità è estesa anche ai membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia.

L’intervento emendativo ha inciso anche sull’aspetto oggettivo della disposizione, restringendo la portata dell’incompatibilità. Mentre nel testo originario si prevede l’incompatibilità con “qualsiasi altra carica pubblica elettiva”, nel testo definitivo l’incompatibilità è disposta nei confronti delle cariche pubbliche elettive di natura monocratica relativa ad organi di governo di enti pubblici territoriali aventi, alla data di indizione delle elezioni o della nomina, popolazione superiore a 5.000 abitanti.

La disposizione, dunque, sembra riguardare esclusivamente le cariche di sindaco di comuni superiori di 5.000 abitanti e di presidente di provincia, ed è volta ad impedire il contemporaneo svolgimento di queste cariche con quelle di parlamentare (nazionale e europeo) e di membro di governo.

 

Per quanto riguarda i parlamentari nazionali la legge elettorale prevede, non la incompatibilità, bensì la ineleggibilità dei sindaci dei comuni con popolazione superiore a 20.000 abitanti e dei presidenti di provincia alla carica di deputato o di senatore (D.P.R. n. 361/1957, art. 7). Le cause di ineleggibilità possono essere superate se l’interessato si dimette e cessa dalle sue funzioni entro 180 giorni dalla data di scadenza della legislatura (un termine più breve è previsto in caso di elezioni anticipate).

Non è previsto un analogo divieto per i parlamentari, i quali possono candidarsi liberamente alle elezioni amministrative, e la legge non prevede l’incompatibilità tra cariche parlamentari e locali. Tuttavia fino alla XIV legislatura, nella prassi parlamentare, le cause di ineleggibilità sopravvenute alla elezione a deputato o senatore erano trattate, per quanto concerne la determinazione delle conseguenze da esse derivanti, alla stregua di cause di incompatibilità, riconoscendosi all'interessato la facoltà di optare tra la carica di parlamentare e quella ritenuta dalla legge con essa incompatibile.

Innovando tale prassi, la Giunta delle elezioni della Camera, nella seduta del 2 ottobre 2002, ha dichiarato compatibile con il mandato parlamentare la carica di sindaco di comuni con popolazione superiore a 20.000 abitanti ricoperta da tre deputati. Attualmente, diversi parlamentari rivestono anche cariche elettive in enti locali.

 

Relativamente ai membri di governo, la legge 215/2004 (la citata legge sul conflitto di interessi) ne disciplina le ipotesi di incompatibilità prevedendo per essi il divieto di ricoprire:

§      ogni carica o ufficio pubblico, ad eccezione delle cariche o uffici inerenti alle funzioni svolte dal soggetto in quanto titolare di cariche di Governo; del mandato parlamentare; di amministratore di enti locali; delle cariche che risultano compatibili con il mandato parlamentare ai sensi dell’art. 1, secondo comma, della L. 60/1953[228];

§      cariche, uffici o funzioni in enti di diritto pubblico, anche economici;

§      cariche, uffici, funzioni o compiti di gestione in società aventi fini di lucro o in attività di rilievo imprenditoriale, o in associazioni o società tra professionisti;

§      l’esercizio di attività professionali o di lavoro autonomo in materie connesse con la carica di Governo;

§      l’esercizio di qualsiasi tipo di impiego o lavoro sia pubblico che privato.

 

Per effetto della successiva L. 88/2005[229], di conversione del D.L. 44/2005, è venuta meno l’incompatibilità tra le cariche di Governo e quella di amministratore locale: l’art. 3-ter del decreto-legge, introdotto in sede di conversione, novella infatti il comma 1, lett. a) dell’art. 2 della L. 215/2004 per aggiungere alle eccezioni ivi elencate quella relativa alla carica di amministratore di enti locali, come definita dall’art. 77, co. 2, del Testo unico sugli enti locali[230].

 

Tale disposizione individua come segue gli amministratori degli enti locali:

§       i sindaci, anche metropolitani, e i presidenti delle province;

§       i consiglieri dei comuni anche metropolitani e delle province;

§       i componenti delle giunte comunali, metropolitane e provinciali;

§       i presidenti dei consigli comunali, metropolitani e provinciali;

§       i presidenti, i consiglieri e gli assessori delle comunità montane;

§       i componenti degli organi delle unioni di comuni e dei consorzi fra enti locali;

§       i componenti degli organi di decentramento.

 

Si osserva, a proposito dell’incompatibilità tra le cariche di governo e quelle di vertice degli enti locali, che andrebbe valutata l’opportunità di coordinare tale disposizione con la formulazione della legge 215, che prevede la compatibilità con tutte le cariche di amministratore locale, eventualmente attraverso una novella della medesima legge 215 che indichi le cariche compatibili (consigliere comunale, provinciale ecc.).

 

Per quanto riguarda, infine, i parlamentari europei, il regime di incompatibilità è regolato dagli articoli 5, 5-bis e 6 della legge elettorale per le elezioni europee (L. 18/1979).

In particolare, l’art. 6, al primo comma, dispone che la carica di membro del Parlamento europeo spettante all'Italia è incompatibile con quella di:

§       presidente di giunta regionale;

§       assessore regionale;

§       consigliere regionale;

§       presidente di provincia;

§       sindaco di comune con popolazione superiore a 15.000 abitanti.

 

La disposizione in esame andrebbe, pertanto, ad incidere su quest’ultima previsione abbassando il limite demografico dei comuni per i quali scatta l’incompatibilità (da 15.000 a 5.000).

 

Anche in questo caso si rileva la possibilità di coordinamento con la normativa vigente.

 

I successivi commi dell’art. 6 della legge 18/1979 richiamati dalla disposizione in esame stabiliscono che quando si verifica una delle incompatibilità suddette, il membro del Parlamento europeo risultato eletto deve dichiarare all'ufficio elettorale nazionale, entro trenta giorni dalla proclamazione, quale carica sceglie. Qualora egli non vi provveda, l'ufficio elettorale nazionale lo dichiara decaduto e lo sostituisce con il candidato che, nella stessa lista e circoscrizione, segue immediatamente l'ultimo eletto. Il membro del Parlamento europeo dichiarato decaduto può proporre ricorso contro la decisione dell'ufficio elettorale nazionale avanti la corte di appello di Roma. Il ricorso deve essere proposto a pena di decadenza entro venti giorni dalla comunicazione della decisione.

 

Completano il comma in esame una serie di disposizioni che riguardano:

§      la data di applicazione delle nuove norme, fissata alla data di indizione delle prime elezioni successive alla entrata in vigore;

§      il divieto di cumulo con ogni altro emolumento;

§      il divieto di corresponsione di ciascun emolumento per la carica sopraggiunta fino al momento dell’esercizio dell’opzione;

§      la conferma della decadenza automatica dalla carica di sindaco (di comune con più di 20.000 abitanti) e di presidente della provincia in caso di accettazione di candidatura a deputato o senatore prevista dal testo unico degli enti locali in violazione della norma sulla ineleggibilità sopra richiamata (D.Lgs. 267/2000, art. 62).

 

Relativamente al divieto di cumulo, si ricorda che il decreto-legge 78/2010 ha previsto che i soggetti eletti o nominati in organi appartenenti a diversi livelli di governo non possono ricevere più di un emolumento, comunque denominato, a propria scelta (art. 5, co. 11).

 

Il comma 4 apporta una modifica alla disciplina, recentemente introdotta dall'art. 7 del decreto-legge 98/2011, sul c.d. election day, ossia la concentrazione delle elezioni politiche, regionali, provinciali e comunali in un'unica data, qualora si svolgano nello stesso anno.

L'art. 7 prevede infatti che, a decorrere dal 2012, le consultazioni elettorali per le elezioni dei sindaci, dei Presidenti delle province e delle regioni, dei Consigli comunali, provinciali e regionali, del Senato e della Camera, si svolgono, compatibilmente con quanto previsto dai rispettivi ordinamenti, in un'unica data nell'arco dell'anno. Qualora nel medesimo anno si svolgano le elezioni dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia, le suddette consultazioni si effettuano nella data stabilita per le elezioni del Parlamento europeo.

Il provvedimento in esame aggiunge all'art. 7 un nuovo comma 2-bis, ai sensi del quale nel caso in cui, nel medesimo anno, debba tenersi più di un referendum abrogativo, la convocazione degli elettori ai sensi dell'art. 34 della legge 25 maggio 1970, n. 352[231] debba avvenire per tutti i referendum abrogativi nella medesima data.

Profili finanziari

 

Il prospetto riepilogativo, riferito al testo originario del provvedimento, pur considerando le norme in esame, non ascrive alle stesse effetti sui saldi di finanza pubblica.

 

Il prospetto riepilogativo, riferito al testo approvato dal Senato, non considera la norma.

 

La relazione tecnica, riferita al testo originario del provvedimento precisa che, non essendo prevista una specifica norma di versamento all’entrata del bilancio dello Stato, la quantificazione dei risparmi non potrà che essere effettuata a consuntivo.

 

La relazione tecnica riferita al maxiemendamento approvato al Senato afferma, con specifico riguardo alle norme in materia di incompatibilità (comma 3), che la disposizione ha carattere ordinamentale e che, pertanto, non comporta oneri a carico della finanza pubblica.

In merito ai profili di quantificazione, non sono state formulate osservazioni

 


 

Articolo 14
(Riduzione del numero dei consiglieri e assessori regionali e relative indennità. Misure premiali)

 


1. Per il conseguimento degli obiettivi stabiliti nell'ambito del coordinamento della finanza pubblica, le Regioni, ai fini della collocazione nella classe di enti territoriali più virtuosa di cui all'articolo 20, comma 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, oltre al rispetto dei parametri già previsti dal predetto articolo 20, debbono adeguare, nell'ambito della propria autonomia statutaria e legislativa, i rispettivi ordinamenti ai seguenti ulteriori parametri:

a) previsione che il numero massimo dei consiglieri regionali, ad esclusione del Presidente della Giunta regionale, sia uguale o inferiore a 20 per le Regioni con popolazione fino ad un milione di abitanti; a 30 per le Regioni con popolazione fino a due milioni di abitanti; a 40 per le Regioni con popolazione fino a quattro milioni di abitanti; a 50 per le Regioni con popolazione fino a sei milioni di abitanti; a 70 per le Regioni con popolazione fino ad otto milioni di abitanti; a 80 per le Regioni con popolazione superiore ad otto milioni di abitanti. La riduzione del numero dei consiglieri regionali rispetto a quello attualmente previsto è adottata da ciascuna Regione entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto e deve essere efficace dalla prima legislatura regionale successiva a quella della data di entrata in vigore del presente decreto. Le Regioni che, alla data di entrata in vigore del presente decreto, abbiano un numero di consiglieri regionali inferiore a quello previsto nella presente lettera, non possono aumentarne il numero;

b) previsione che il numero massimo degli assessori regionali sia pari o inferiore ad un quinto del numero dei componenti del Consiglio regionale, con arrotondamento all'unità superiore. La riduzione deve essere operata entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto e deve essere efficace, in ciascuna regione, dalla prima legislatura regionale successiva a quella in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto;

c) riduzione a decorrere dal 1° gennaio 2012, in attuazione di quanto previsto dall'articolo 3 del decreto-legge 25 gennaio 2010, n. 2, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 marzo 2010, n. 42, degli emolumenti e delle utilità, comunque denominati, previsti in favore dei consiglieri regionali entro il limite dell'indennità massima spettante ai membri del Parlamento, così come rideterminata ai sensi dell'articolo 13 del presente decreto;

d) previsione che il trattamento economico dei consiglieri regionali sia commisurato all'effettiva partecipazione ai lavori del Consiglio regionale;

e) istituzione, a decorrere dal 1° gennaio 2012, di un Collegio dei revisori dei conti, quale organo di vigilanza sulla regolarità contabile, finanziaria ed economica della gestione dell'ente; il Collegio, ai fini del coordinamento della finanza pubblica, opera in raccordo con le sezioni regionali di controllo della Corte dei conti; i componenti di tale Collegio sono scelti mediante estrazione da un elenco, i cui iscritti devono possedere i requisiti previsti dai principi contabili internazionali, avere la qualifica di revisori legali di cui al decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 39, ed essere in possesso di specifica qualificazione professionale in materia di contabilità pubblica e gestione economica e finanziaria anche degli enti territoriali, secondo i criteri individuati dalla Corte dei conti;

f) passaggio, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto e con efficacia a decorrere dalla prima legislatura regionale successiva a quella in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto, al sistema previdenziale contributivo per i consiglieri regionali.

2. L'adeguamento ai parametri di cui al comma 1 da parte delle Regioni a Statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano costituisce condizione per l'applicazione dell'articolo 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42, nei confronti di quelle Regioni a statuto speciale e province autonome per le quali lo Stato, ai sensi del citato articolo 27, assicura il conseguimento degli obiettivi costituzionali di perequazione e di solidarietà, ed elemento di riferimento per l'applicazione di misure premiali o sanzionatorie previste dalla normativa vigente.


 

 

L'articolo 14 reca una serie di parametri cui le regioni devono adeguare la propria normativa, al fine della collocazione di ciascun ente nella classe di enti più virtuosi in relazione all'applicazione del patto di stabilità.

Le recenti modifiche alla disciplina del patto di stabilità introdotte dall'articolo 20 del decreto-legge 98/2011, dispongono infatti, a decorrere dal 2012[232], la redistribuzione degli obiettivi del patto fra le singole amministrazioni sulla base di nuovi criteri di “virtuosità”, con effetti di minore incidenza finanziaria dei vincoli per gli enti virtuosi e di maggiore incidenza per gli altri enti.

Fermi restando i parametri già previsti dal citato articolo 20[233], il comma 1 dell'articolo in esame elenca ulteriori misure che le regioni dovranno adottare per accedere ai benefici – in termini di non applicazione o applicazione parziale del patto di stabilità - attribuiti agli enti più virtuosi e definiti al comma 3 del citato articolo 20.

Tali misure riguardano la riduzione del numero dei consiglieri e degli assessori regionali; la riduzione degli emolumenti percepiti dagli stessi, la commisurazione del trattamento economico all'effettiva partecipazione alle sedute del consiglio, il passaggio al sistema previdenziale contributivo per i consiglieri regionali; l'istituzione del Collegio dei revisori dei conti quale organo di vigilanza del Consiglio regionale.

Con riguardo alle misure che prevedono la riduzione di consiglieri e assessori e per quella che prevede il passaggio al sistema previdenziale contributivo per i consiglieri regionali, le regioni dovranno provvedere entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del decreto in esame e con efficacia a decorrere dalla prima legislatura regionale successiva a quella in corso alla data di entrata in vigore del decreto stesso

 

Il comma 2 dell'articolo in esame concerne le regioni a statuto speciale. La norma definisce l'adeguamento ai parametri indicati dal comma 1 «condizione per l'applicazione dell'articolo 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42» per quelle regioni cui lo stato garantisce la perequazione e comunque riferimento per l'applicazione di misure premiali o sanzionatorie. In sostanza le regioni a statuto speciale - pur attraverso la procedura concordata delle norme di attuazione - indicata dallo stesso articolo 27[234], dovranno attuare le misure indicate al comma 1 dell'articolo in esame, per avere accesso alla perequazione o a misure premiali.

 

Le misure indicate dalle lettere a) e b) del comma 1 riguardano la composizione degli organi delle regioni. A seguito delle riforme costituzionali del 1999[235] per le regioni a statuto ordinario e del 2001[236] per le regioni a statuto speciale, tutte le regioni hanno competenza legislativa sulla forma di governo, sul sistema di elezione dei consiglieri, del Presidente e degli altri componenti della Giunta, nonché sulla disciplina dei casi di ineleggibilità e incompatibilità.

 

Per quanto riguarda la composizione degli organi, nelle regioni a statuto ordinario il numero dei consiglieri e degli assessori è stabilito dallo statuto, adottato secondo quanto disposto dall'art. 123 cost. con legge regionale approvata a maggioranza assoluta dei consiglieri, che può essere sottoposta a referendum popolare con specifiche procedure. Nelle sole 3 regioni che ancora non hanno adottato lo statuto (Veneto, Molise e Basilicata), si continua ad applicare la normativa nazionale, vale a dire la legge 108/1968, che stabiliva il numero di componenti del Consiglio regionale in base alla popolazione (si veda la tabella a seguire)

 

Si ricorda inoltre che la Corte costituzionale, con la recente sentenza 188 del 2011 ha ribadito quanto già espresso in precedenti pronunce: in primo luogo che l’art. 123 Cost. prevede «l’esistenza nell’ordinamento regionale ordinario di vere e proprie riserve normative a favore della fonte statutaria rispetto alle competenze del legislatore regionale», e, in secondo luogo, che la determinazione del numero dei membri del Consiglio rientra in tali riserve, in quanto la composizione dell’organo legislativo regionale rappresenta una fondamentale «scelta politica sottesa alla determinazione della “forma di governo” della Regione» (sentenza n. 3 del 2006).

 

Nelle regioni a statuto speciale il numero dei consiglieri è stabilito nei rispettivi statuti speciali, che – com'è noto – sono adottati con legge costituzionale e possono essere modificati solo con legge costituzionale, a seguito di una specifica procedura 'concordataria' tra Stato e regione, disciplinata dallo statuto stesso[237]. L’esigenza dell’intervento della legge costituzionale per realizzare l’adeguamento ai parametri dovrebbe essere considerata per la valutazione della congruità dei termini stabiliti dalle lettere a) e b) alla luce dei tempi richiesti dal procedimento costituzionale.

 

Per quanto riguarda il numero dei componenti della Giunta, invece, questo è di norma stabilito nella 'legge statutaria' che disciplina la forma di governo della regione – o della provincia autonoma – adottata dalla maggioranza assoluta dei componenti del Consiglio e sottoposta a referendum popolare con specifiche procedure.

Tali disposizioni andrebbero valutate alla luce dell’autonomia garantita alle regioni a statuto speciale.

 

La lettera a) della norma in esame indica il numero massimo dei consiglieri regionali, escluso il Presidente della Giunta regionale, per classi demografiche:

§      uguale o inferiore a 20 per le Regioni con popolazione fino ad un milione di abitanti (rientrano in questa categoria – secondo i dati del censimento 2001[238], Basilicata, Molise e Umbria, nonché la regione autonoma Valle d'Aosta; le province autonome di Trento e di Bolzano);

§      uguale o inferiore a 30 per le Regioni con popolazione fino a due milioni di abitanti (sono in questa classe: Abruzzo, Marche e Liguria nonché la regioni autonome Friuli-Venezia Giulia e Sardegna);

§      uguale o inferiore a 40 per le Regioni con popolazione fino a quattro milioni di abitanti (Calabria e Toscana);

§      uguale o inferiore a 50 per le Regioni con popolazione fino a sei milioni di abitanti (Emilia Romagna, Puglia, Piemonte, Veneto, Lazio e Campania; nonché la Regione siciliana)

§      uguale o inferiore a 70 per le Regioni con popolazione fino ad otto milioni di abitanti (nessuna regione entra in questa classe);

§      uguale o inferiore a 80 per le Regioni con popolazione superiore ad otto milioni di abitanti (fa parte di questa classe la sola Lombardia).

 

 

Nella tabella a seguire sono riportati, per ciascuna regione a statuto ordinario e speciale, la popolazione ufficiale rilevata dal censimento del 2001, il numero di consiglieri stabilito dagli statuti – e, per le sole regioni a statuto ordinario, quello stabilito dalla legge 108/1968 - nonché il numero dei consiglieri secondo le disposizioni in esame.


numero dei consiglieri regionali (escluso il Presidente della Giunta)

Regioni a statuto ordinario

popolazione Censimento 2001

secondo disposizioni statutarie [239]

ex Legge 108/1968

D.L. 138/2011

Piemonte

4.214.677

59

60

50

Lombardia

9.032.554

79

80

80

Veneto

4.527.694

 

60

50

Liguria

1.571.783

max 50 (40)

40

30

Emilia Romagna

4.000.703

49

50

50

Toscana

3.497.806

54

50

40

Umbria

825.826

30

30

20

Marche

1.453.224

42

40

30

Lazio

5.112.413

70

60

50

Abruzzo (2008)

1.262.392

41

40

30

Molise (2006)

320.601

 

30

20

Campania

5.701.931

60

60

50

Puglia

4.020.707

69

60

50

Basilicata

597.768

 

30

20

Calabria

2.011.466

50

40

40

 

 

Regioni a statuto speciale e Province autonome

popolazione Censimento 2001

secondo disposizioni degli statuti speciali

D.L. 138/2011

Valle d'Aosta

119.548

35

(L.cost.4/48 art. 16)

20

Trentino-Alto Adige

940.016

(*)

(D.P.R. 670/72 art. 25)

 

Provincia aut. di Bolzano

462.999

35

(D.P.R. 670/72 art. 48)

20

Provincia aut. di Trento

477.017

35

(D.P.R. 670/72 art. 48)

20

Friuli-Venezia Giulia

1.183.764

59

(L.cost.1/63 art. 13)

30

Sicilia

4.968.991

90

(R.D.Lgs. 455/46 art. 3)

50

Sardegna

1.631.880

80

L.cost.3/48 art. 16)

30

(*) il Consiglio della regione Trentino Alto Adige è composto dai membri dei due consigli provinciali

 

La lettera b) prevede un numero massimo degli assessori regionali pari o inferiore ad un quinto del numero dei componenti del Consiglio regionale, con arrotondamento all’unità superiore.

 

Le misure indicate alle lettere c) d) ed f) riguardano il trattamento economico e previdenziale dei consiglieri, disciplinato con legge da ciascuna regione.

La lettera c) prevede la riduzione degli emolumenti e delle utilità, comunque denominati, previsti in favore dei consiglieri regionali entro il limite dell’indennità massima spettante ai membri del Parlamento, così come rideterminata ai sensi dell'articolo 13 del decreto in esame; la riduzione opera a decorrere dal 1° gennaio 2012, in attuazione di quanto previsto dall’articolo 3 del decreto-legge 2/2010.

Si ricorda che la norma citata dispone che ciascuna regione, a decorrere dal primo rinnovo del consiglio regionale, definisca, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, l'importo degli emolumenti e delle utilità, comunque denominati, ivi compresi l'indennità di funzione, l'indennità di carica, la diaria, il rimborso spese, a qualunque titolo percepiti dai consiglieri regionali in virtù del loro mandato, in modo tale che, ove siano maggiori, non eccedano complessivamente, in alcun caso, l'indennità massima spettante ai membri del Parlamento.

La lettera d) prevede che il trattamento economico dei consiglieri regionali sia commisurato all’effettiva partecipazione ai lavori del Consiglio regionale.

La lettera f) prevede il passaggio al sistema previdenziale contributivo per i consiglieri regionali.

 

La misura indicata dalla lettera e) concerne l'istituzione - a decorrere dal 1° gennaio 2012 - di un Collegio dei revisori dei conti, quale organo di vigilanza sulla regolarità contabile, finanziaria ed economica della gestione dell’ente. La norma è stata modificata nel corso dell’esame parlamentare, che ha riformulato la prescrizione del decreto-legge, raccordandola con le attività della Corte dei Conti.

Il Collegio dei revisori, ai fini del coordinamento della finanza pubblica, dovrà operare in raccordo con le Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti, ed affida alla Corte stessa l'individuazione dei criteri per determinare la specifica qualificazione professionale in materia di contabilità pubblica e gestione economica e finanziaria degli enti territoriali, richiesta per l'iscrizione all'elenco dal quale sono estratti i componenti. Oltre a tale qualificazione, per l'iscrizione sono richiesto anche i requisiti previsti dai principi contabili internazionali e la qualifica di revisori legali di cui al decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 39[240].

Profili finanziari

 

Il prospetto riepilogativo non ascrive effetti alle norme in esame.

 

La relazione tecnica, riferita al testo iniziale del provvedimento, afferma che la disposizione introduce modifiche di carattere ordinamentale relative al funzionamento dei consigli e delle giunte che comportano effetti migliorativi sui saldi di finanza pubblica. i conseguenti risparmi di spesa potranno essere verificati a consuntivo e pertanto non vengono prudenzialmente quantificati.

 

La relazione tecnica, riferita al maxiemendamento approvato dal Senato, precisa che la disposizione introdotta dal Senato (con cui sono stati precisati alcuni criteri di operatività del collegio dei revisori dei conti e sono stati modificati i requisiti di qualificazione dei componenti dell’organismo)[241] ha esclusivamente carattere ordinamentale e non comporta oneri a carico della finanza pubblica.

 

In merito ai profili finanziari si è osservato che le norme riguardanti la riduzione degli oneri di rappresentanza politica delle regioni non sembrano suscettibili di generare effetti migliorativi sui saldi di finanza pubblica, in quanto i relativi risparmi non si configurano come aggiuntivi rispetto a quelli attesi dal patto di stabilità interno, bensì come specifiche modalità di conseguimento degli obiettivi previsti. Analogamente, la norma riguardante l’obbligo di costituzione di un collegio di revisione dei conti appare suscettibile di determinare oneri che andranno comunque contenuti nei limiti dei predetti vincoli del patto.

 


 

Articolo 15, comma 5
(Dimezzamento dei consiglieri e assessori provinciali)

 


5. A decorrere dal primo rinnovo degli organi di governo delle Province successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto, il numero dei consiglieri provinciali e degli assessori provinciali previsto dalla legislazione vigente alla data di entrata in vigore del presente decreto è ridotto della metà, con arrotondamento all'unità superiore.


 

 

L'articolo 15 - nel testo modificato durante l’esame parlamentare – non contiene più le disposizioni finalizzate alla soppressione delle province e conserva la disposizione – di cui al comma 5 del testo originario – che dimezza i consiglieri e gli assessori provinciali, a decorrere dal primo rinnovo degli organi di governo delle Province. La riduzione opera sul numero - già recentemente ridotto - previsto dalla legislazione vigente.

Il comma 5 viene mantenuto al netto dell'ultimo periodo, connesso alle disposizioni soppresse.

 

Si ricorda che l'Assemblea della Camera, dopo due rinvii in Commissione, ha respinto una proposta di legge di modifica costituzionale volta a sopprimere le province. La Commissione affari costituzionali aveva conferito al relatore il mandato a riferire in senso contrario sul provvedimento (A.C. 1990). E’ in corso l’esame presso la Commissione affari costituzionali di proposte di legge in tema di modifica all’articolo 133 della Costituzione, in materia di istituzione, modificazione e soppressione delle province.

Il Consiglio dei Ministri, convocato per l’8 settembre 2011, reca all’ordine del giorno, tra l’altro, un disegno di legge costituzionale in materia di Province.

 

Il comma 5 riduce - a decorrere dal primo rinnovo degli organi di governo delle Province successivo alla data di entrata in vigore del decreto in esame - il numero dei consiglieri provinciali e degli assessori provinciali della metà, con arrotondamento all’unità superiore. La riduzione opera sul numero “previsto dalla legislazione vigente”.

 

Il riferimento al “rinnovo” degli organi di governo delle Province” potrebbe essere ritenuto tale da coinvolgere anche le modifiche nella composizione della giunta, come momento identificativo dell’obbligo di riduzione numerica. In tal caso, un’ipotesi interpretativa potrebbe essere quella dell’efficacia disgiunta (dimezzamento degli assessori alla prima modifica della giunta, dei consiglieri al rinnovo del consiglio).

 

La formulazione in esame appare meno circostanziata di quella, analoga e precedente (e qui di seguito riassunta), che specifica con maggior dettaglio sia l'inclusione o l'esclusione del presidente della provincia nella base numerica parametro per la riduzione, sia se l'arrotondamento operi sulla parte residua o sulla parte ridotta.

 

Attualmente il numero dei consiglieri e degli assessori provinciali è quello già ridotto dall’articolo 2, commi 184 e 185 della legge 23 dicembre 2009, n. 191, e successive modificazioni.

Il numero dei consiglieri e degli assessori provinciali era così fissato dal D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (TU degli enti locali), articolo 37:

§      45 membri nelle province con popolazione residente superiore a 1.400.000 abitanti;

§      36 membri nelle province con popolazione residente superiore a 700.000 abitanti;

§      30 membri nelle province con popolazione residente superiore a 300.000 abitanti;

§      24 membri nelle altre province.

L'articolo 2, comma 184 della legge n. 191 del 2009 successivamente modificato dall'articolo 1, comma 1 del decreto-legge 25 gennaio 2010, n. 2[242], convertito dalla legge n. 42/2010, ha stabilito, in relazione alla riduzione del contributo ordinario ai comuni disposta dal comma 183 della medesima legge, la riduzione del 20% del numero dei consiglieri comunali e dei consiglieri provinciali (quest'ultima introdotta dal citato decreto legge di modifica), con arrotondamento dell’entità della riduzione all’unità superiore.

La norma prevede che ai fini di tali riduzioni siano esclusi dal computo il Sindaco e il Presidente della provincia.

Il successivo comma 185 dell'articolo 2 della legge 191/2009 (anch'esso modificato dal decreto legge 2/2010) dispone che: "il numero massimo degli assessori comunali e degli assessori provinciali è determinato in misura pari, rispettivamente per ciascun comune e per ciascuna provincia, ad un quarto del numero dei consiglieri comunali e ad un quinto del numero dei consiglieri provinciali (con arrotondamento all’unità superiore)".

Ai sensi del D.L. 2/2010 (art. 1, co. 2), la riduzione del 20 per cento del numero dei consiglieri comunali e provinciali deve trovare applicazione a decorrere dal 2011 e per tutti gli anni a seguire, ai singoli enti per i quali ha luogo il primo rinnovo del rispettivo consiglio, con efficacia dalla data del medesimo rinnovo.

La riduzione del numero degli assessori comunali e provinciali, invece, deve applicarsi a decorrere dal 2010, e per tutti gli anni a seguire, ai singoli enti per i quali ha luogo il rinnovo del rispettivo consiglio, con efficacia dalla data del medesimo rinnovo.

Profili finanziari

 

Il prospetto riepilogativo non ascrive alla norma effetti finanziari.

Analogamente, il prospetto riepilogativo riferito al testo originario del decreto legge non ascriveva effetti finanziari alle norme sulla soppressione di parte delle province e dei relativi uffici territoriali del Governo.

 

La relazione tecnica riferita al testo iniziale afferma che la soppressione delle province determina un effetto finanziario positivo sui saldi di finanza pubblica che, allo stato attuale, non si è in grado di quantificare.

Relativamente alla riduzione del numero dei consiglieri e degli assessori provinciali, la relazione tecnica non scrive effetti finanziari positivi sui saldi di finanza pubblica, in quanto la conseguente minore spesa per le province interessate, tenuto conto dei vincoli posti dalle regole in materia di patto di stabilità interno, determina un verosimile incremento delle restanti spese.

In ordine alla soppressione degli uffici territoriali del governo e alle revisione delle strutture periferiche delle altre amministrazioni pubbliche presenti nelle province soppresse, la relazione tecnica precisa che i conseguenti effetti positivi per la finanza pubblica potranno essere verificati solo a consuntivo.

 

La relazione tecnica riferita al maxiemendamento approvato in prima lettura dal Senato afferma che la soppressione di tutti i commi dell’articolo, ad eccezione del primo periodo del comma 5, non richiede copertura finanziaria. Infatti gli effetti della normativa modificata non erano stati quantificati in relazione tecnica né considerati ai fini della determinazione dei saldi, data la possibilità di verificarli solo a consuntivo e non ex ante.

 

In merito ai profili di quantificazione, preso atto di quanto affermato nella relazione tecnica riferita al maxiemendamento approvato in prima lettura dal Senato, non sono state formulate osservazioni in ordine ai profili di quantificazione.

 


 

Articolo 16, commi 1-26, 29-30
(Riduzione dei costi relativi alla rappresentanza politica nei comuni e razionalizzazione dell'esercizio delle funzioni comunali)

 


1. Al fine di assicurare il conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, l'ottimale coordinamento della finanza pubblica, il contenimento delle spese degli enti territoriali e il migliore svolgimento delle funzioni amministrative e dei servizi pubblici, a decorrere dalla data di cui al comma 9, i comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti esercitano obbligatoriamente in forma associata tutte le funzioni amministrative e tutti i servizi pubblici loro spettanti sulla base della legislazione vigente mediante un'unione di comuni ai sensi dell'articolo 32 del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267. Le disposizioni di cui al presente comma non si applicano ai comuni il cui territorio coincide integralmente con quello di una o di più isole, nonché al comune di Campione d'Italia.

2. A ciascuna unione di cui al comma 1 hanno facoltà di aderire anche comuni con popolazione superiore a 1.000 abitanti, al fine dell'esercizio in forma associata di tutte le funzioni fondamentali loro spettanti sulla base della legislazione vigente e dei servizi ad esse inerenti, anche al fine di dare attuazione alle disposizioni di cui all'articolo 14, commi 28, 29, 30 e 31, del citato decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010. I comuni di cui al primo periodo hanno, in alternativa, facoltà di esercitare mediante tale unione tutte le funzioni e tutti i servizi pubblici loro spettanti sulla base della legislazione vigente.

3. All'unione di cui al comma 1, in deroga all'articolo 32, commi 2, 3 e 5, secondo periodo, del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000, si applica la disciplina di cui al presente articolo.

4. Sono affidate all'unione, per conto dei comuni che ne sono membri, la programmazione economico-finanziaria e la gestione contabile di cui alla parte II del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000, con riferimento alle funzioni da essi esercitate per mezzo dell'unione. I comuni che sono membri dell'unione concorrono alla predisposizione del bilancio di previsione dell'unione per l'anno successivo mediante la deliberazione, da parte del consiglio comunale, da adottare annualmente, entro il 30 novembre, di un documento programmatico, nell'ambito del piano generale di indirizzo deliberato dall'unione entro il precedente 15 ottobre. Con regolamento da adottare, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, su proposta del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro per le riforme per il federalismo, sono disciplinati il procedimento amministrativo-contabile di formazione e di variazione del documento programmatico, i poteri di vigilanza sulla sua attuazione e la successione nei rapporti amministrativo-contabili tra ciascun comune e l'unione.

5. L'unione succede a tutti gli effetti nei rapporti giuridici in essere alla data di cui al comma 9 che siano inerenti alle funzioni ed ai servizi ad essa affidati ai sensi dei commi 1, 2 e 4, ferme restando le disposizioni di cui all'articolo 111 del codice di procedura civile. Alle unioni di cui al comma l sono trasferite tutte le risorse umane e strumentali relative alle funzioni ed ai servizi loro affidati ai sensi dei commi 1, 2 e 4, nonché i relativi rapporti finanziari risultanti dal bilancio. A decorrere dall'anno 2014, le unioni di comuni di cui al comma 1 sono soggette alla disciplina del patto di stabilità interno per gli enti locali prevista per i comuni aventi corrispondente popolazione.

6. Le unioni di cui al comma 1 sono istituite in modo che la complessiva popolazione residente nei rispettivi territori, determinata ai sensi dell'articolo 156, comma 2, del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000, sia di norma superiore a 5.000 abitanti, ovvero a 3.000 abitanti qualora i comuni che intendono comporre una medesima unione appartengano o siano appartenuti a comunità montane. Entro due mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, ciascuna regione ha facoltà di individuare diversi limiti demografici.

7. Le unioni di comuni che risultino costituite alla data di cui al comma 9 e di cui facciano parte uno o più comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti, entro i successivi quattro mesi adeguano i rispettivi ordinamenti alla disciplina delle unioni di cui al presente articolo. I comuni appartenenti a forme associative di cui agli articoli 30 e 31 del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000 cessano di diritto di farne parte alla data in cui diventano membri di un'unione di cui al comma 1.

8. Nel termine perentorio di sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, i comuni di cui al comma 1, con deliberazione del consiglio comunale, da adottare, a maggioranza dei componenti, conformemente alle disposizioni di cui al comma 6, avanzano alla regione una proposta di aggregazione, di identico contenuto, per l'istituzione della rispettiva unione. Nel termine perentorio del 31 dicembre 2012, la regione provvede, secondo il proprio ordinamento, a sancire l'istituzione di tutte le unioni del proprio territorio come determinate nelle proposte di cui al primo periodo e sulla base dell'elenco di cui al comma 16. La regione provvede anche qualora la proposta di aggregazione manchi o non sia conforme alle disposizioni di cui al presente articolo.

9. A decorrere dal giorno della proclamazione degli eletti negli organi di governo del comune che, successivamente al 13 agosto 2012, sia per primo interessato al rinnovo, nei comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti che siano parti della stessa unione, nonché in quelli con popolazione superiore che esercitino mediante tale unione tutte le proprie funzioni, gli organi di governo sono il sindaco ed il consiglio comunale, e le giunte in carica decadono di diritto. Ai consigli dei comuni che sono membri di tale unione competono esclusivamente poteri di indirizzo nei confronti del consiglio dell'unione, ferme restando le funzioni normative che ad essi spettino in riferimento alle attribuzioni non esercitate mediante l'unione.

10. Gli organi dell'unione di cui al comma 1 sono il consiglio, il presidente e la giunta.

11. Il consiglio è composto da tutti i sindaci dei comuni che sono membri dell'unione nonché, in prima applicazione, da due consiglieri comunali per ciascuno di essi. I consiglieri di cui al primo periodo sono eletti, non oltre venti giorni dopo la data di istituzione dell'unione ai sensi del comma 9, in tutti i comuni che sono membri dell'unione dai rispettivi consigli comunali, con la garanzia che uno dei due appartenga alle opposizioni. Fino all'elezione del presidente dell'unione ai sensi del comma 12, primo periodo, il sindaco del comune avente il maggior numero di abitanti tra quelli che sono membri dell'unione esercita tutte le funzioni di competenza dell'unione medesima. La legge dello Stato può stabilire che le successive elezioni avvengano a suffragio universale e diretto contestualmente alle elezioni per il rinnovo degli organi di governo di ciascuno dei comuni appartenenti alle unioni. La legge dello Stato di cui al quarto periodo disciplina conseguentemente il sistema di elezione; l'indizione delle elezioni avviene ai sensi dell'articolo 3 della legge 7 giugno 1991, n. 182, e successive modificazioni. Al consiglio spettano le competenze attribuite dal citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000 al consiglio comunale, fermo restando quanto previsto dai commi 4 e 9 del presente articolo.

12. Entro trenta giorni dalla data di istituzione dell'unione ai sensi del comma 9, il consiglio è convocato di diritto ed elegge il presidente dell'unione tra i propri componenti. Al presidente, che dura in carica due anni e mezzo ed è rinnovabile, spettano le competenze attribuite al sindaco dall'articolo 50 del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000, ferme restando in capo ai sindaci di ciascuno dei comuni che sono membri dell'unione le attribuzioni di cui all'articolo 54 del medesimo testo unico.

13. La giunta dell'unione è composta dal presidente, che la presiede, e dagli assessori, nominati dal medesimo fra i sindaci componenti il consiglio in numero non superiore a quello previsto per i comuni aventi corrispondente popolazione. Alla giunta spettano le competenze di cui all'articolo 48 del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000; essa decade contestualmente alla cessazione del rispettivo presidente.

14. Lo statuto dell'unione individua le modalità di funzionamento dei propri organi e ne disciplina i rapporti. Il consiglio adotta lo statuto dell'unione, con deliberazione a maggioranza assoluta dei propri componenti, entro venti giorni dalla data di istituzione dell'unione ai sensi del comma 9.

15. Ai consiglieri, al presidente ed agli assessori dell'unione si applicano le disposizioni di cui agli articoli 82 e 86 del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000, ed ai relativi atti di attuazione, in riferimento al trattamento spettante, rispettivamente, ai consiglieri, al sindaco ed agli assessori dei comuni aventi corrispondente popolazione. Agli amministratori dell'unione che risultino percepire emolumenti di ogni genere in qualità di amministratori locali ai sensi dell'articolo 77, comma 2, del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000, fino al momento dell'esercizio dell'opzione, non spetta alcun trattamento per la carica sopraggiunta.

16. L'obbligo di cui al comma 1 non trova applicazione nei riguardi dei comuni che, alla data del 30 settembre 2012, risultino esercitare le funzioni amministrative e i servizi pubblici di cui al medesimo comma 1 mediante convenzione ai sensi dell'articolo 30 del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000. Ai fini di cui al primo periodo, tali comuni trasmettono al Ministero dell'interno, entro il 15 ottobre 2012, un'attestazione comprovante il conseguimento di significativi livelli di efficacia ed efficienza nella gestione, mediante convenzione, delle rispettive attribuzioni. Con decreto del Ministro dell'interno, da adottare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono determinati contenuti e modalità delle attestazioni di cui al secondo periodo. Il Ministero dell'interno, previa valutazione delle attestazioni ricevute, adotta con proprio decreto, da pubblicare entro il 30 novembre 2012 nel proprio sito internet, l'elenco dei comuni obbligati e di quelli esentati dall'obbligo di cui al comma 1.

17. A decorrere dal primo rinnovo di ciascun consiglio comunale successivo alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto:

a) per i comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti, il consiglio comunale è composto, oltre che dal sindaco, da sei consiglieri;

b) per i comuni con popolazione superiore a 1.000 e fino a 3.000 abitanti, il consiglio comunale è composto, oltre che dal sindaco, da sei consiglieri ed il numero massimo degli assessori è stabilito in due;

c) per i comuni con popolazione superiore a 3.000 e fino a 5.000 abitanti, il consiglio comunale è composto, oltre che dal sindaco, da sette consiglieri ed il numero massimo degli assessori è stabilito in tre;

d) per i comuni con popolazione superiore a 5.000 e fino a 10.000 abitanti, il consiglio comunale è composto, oltre che dal sindaco, da dieci consiglieri ed il numero massimo degli assessori è stabilito in quattro.

18. A decorrere dalla data di cui al comma 9, ai consiglieri dei comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti non sono applicabili le disposizioni di cui all'articolo 82 del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000; non sono altresì applicabili, con l'eccezione del primo periodo del comma 1, le disposizioni di cui all'articolo 80 del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000.

19. All'articolo 38, comma 7, del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000, dopo le parole: «previsti dal regolamento», sono aggiunte le seguenti: «e, nei comuni con popolazione fino a 15.000 abitanti, si tengono preferibilmente in un arco temporale non coincidente con l'orario di lavoro dei partecipanti».

20. All'articolo 48, comma 1, del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Nei comuni con popolazione fino a 15.000 abitanti, le riunioni della giunta si tengono preferibilmente in un arco temporale non coincidente con l'orario di lavoro dei partecipanti».

21. All'articolo 79, comma 1, del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000, le parole: «per l'intera giornata in cui sono convocati i rispettivi consigli» sono sostituite dalle seguenti: «per il tempo strettamente necessario per la partecipazione a ciascuna seduta dei rispettivi consigli e per il raggiungimento del luogo di suo svolgimento».

22. All'articolo 14, comma 28, del citato decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, le parole: «fino a 5.000 abitanti, esclusi le isole monocomune» sono sostituite dalle seguenti: «superiore a 1.000 e fino a 5.000 abitanti, esclusi i comuni il cui territorio coincide integralmente con quello di una o di più isole».

23. All'articolo 2, comma 7, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, le parole: «le isole monocomune» sono sostituite dalle seguenti: «i comuni il cui territorio coincide integralmente con quello di una o di più isole».

24. All'articolo 14, comma 31, alinea, del citato decreto-legge n. 78 del 2010, le parole: «5.000 abitanti o nel quadruplo del numero degli abitanti del comune demograficamente più piccolo tra quelli associati» sono sostituite dalle seguenti: «10.000 abitanti, salvo diverso limite demografico individuato dalla regione entro due mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138»; al medesimo comma 31, la lettera c) è abrogata e la lettera b) è sostituita dalla seguente:

«b) entro il 31 dicembre 2012 con riguardo a tutte le sei funzioni fondamentali loro spettanti ai sensi dell'articolo 21, comma 3, della citata legge n. 42 del 2009».

25. A decorrere dal primo rinnovo dell'organo di revisione successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto, i revisori dei conti degli enti locali sono scelti mediante estrazione da un elenco nel quale possono essere inseriti, a richiesta, i soggetti iscritti, a livello regionale, nel Registro dei revisori legali di cui al decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 39, nonché gli iscritti all'Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili. Con decreto del Ministro dell'interno, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono stabiliti criteri per l'inserimento degli interessati nell'elenco di cui al primo periodo, nel rispetto dei seguenti princìpi:

a) rapporto proporzionale tra anzianità di iscrizione negli albi e registri di cui al presente comma e popolazione di ciascun comune;

b) previsione della necessità, ai fini dell'iscrizione nell'elenco di cui al presente comma, di aver in precedenza avanzato richiesta di svolgere la funzione nell'organo di revisione degli enti locali;

c) possesso di specifica qualificazione professionale in materia di contabilità pubblica e gestione economica e finanziaria degli enti pubblici territoriali.

26. Le spese di rappresentanza sostenute dagli organi di governo degli enti locali sono elencate, per ciascun anno, in apposito prospetto allegato al rendiconto di cui all'articolo 227 del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000. Tale prospetto è trasmesso alla sezione regionale di controllo della Corte dei conti ed è pubblicato, entro dieci giorni dall'approvazione del rendiconto, nel sito internet dell'ente locale. Con atto di natura non regolamentare, adottato d'intesa con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali ai sensi dell'articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, il Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, adotta uno schema tipo del prospetto di cui al primo periodo.

29. Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano ai comuni appartenenti alle regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento e di Bolzano nel rispetto degli statuti delle regioni e province medesime, delle relative norme di attuazione e secondo quanto previsto dall'articolo 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42.

30. Dall'applicazione di ciascuna delle disposizioni di cui al presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.


 

 

L’articolo 16 è finalizzato ad assicurare il conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, l’ottimale coordinamento della finanza pubblica, il contenimento delle spese degli enti territoriali e il migliore svolgimento delle funzioni amministrative (comma 1, primo periodo).

 

Esso è stato ampiamente modificato nel corso dell’esame parlamentare: infatti, mentre il vigente testo dell’articolo prevede, per i comuni con popolazione pari o inferiore a 1.000 abitanti, l’introduzione di una nuova figura associativa di natura obbligatoria per le funzioni amministrative - l’unione municipale - e la soppressione della Giunta e del Consiglio comunale, restando il Sindaco unico organo di governo, le modifiche approvate dispongono: l’obbligatorio ricorso per i suddetti comuni all'unione già prevista dall'articolo 32 del decreto legislativo n. 267 del 2000 (TUEL) per l’esercizio non solo delle funzioni amministrative, ma anche di tutti i servizi pubblici spettanti a legislazione vigente (comma 1, primo periodo); la decadenza, con specifica decorrenza, delle giunte in carica (comma 9), restando organi di governo il sindaco ed il consiglio comunale, le cui funzioni e la cui composizione sono modificate, (rispettivamente commi 9 secondo periodo e 17).

 

Le unioni di comuni sono definite dal comma 1 del citato art. 32 come enti locali costituiti da due o più comuni di norma contermini, allo scopo di esercitare congiuntamente una pluralità di funzioni di loro competenza. Il richiamo a tale istituto è accompagnato, tuttavia, dalla previsione di deroghe a talune disposizioni contenute nel suddetto articolo, che riguardano: l'approvazione dell’atto costitutivo e dello statuto dell'unione (art. 32 comma 2), nonché la scelta del presidente e la composizione degli altri organi (art. 32 commi 3 e 5 secondo periodo).

 

Infatti le materie riguardate dalle deroghe sono riconducibili a specifiche previsioni introdotte nel testo dell’articolo che riguardano l’istituzione dell’unione e gli organi:

 

Ai fini dell’istituzione delle unioni la complessiva popolazione residente nei rispettivi territori, determinata ai sensi dell'articolo 156, comma 2, del TUEL, deve essere di norma superiore a 5.000 abitanti, ovvero a 3.000 abitanti qualora i comuni che intendano comporre una medesima unione appartengano o siano appartenuti a comunità montane (comma 6).

 

Il citato art. 156 calcola la popolazione residente con riferimento alla fine del penultimo anno precedente per le province ed i comuni secondo i dati dell'Istituto nazionale di statistica, ovvero secondo i dati dell'Uncem per le comunità montane. Per le comunità montane e i comuni di nuova istituzione si utilizza l'ultima popolazione disponibile.

 

E’ facoltà della regione individuare limiti diversi nel termine di due mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto in esame. Non sembra però che l’inutile decorso del termine possa incidere sul riparto costituzionale delle competenze tra lo Stato e le regioni.

 

Le unioni di comuni già costituite alla data prevista dal comma 9, alle quali partecipi almeno un comune fino a 1.000 abitanti, sono tenute ad adeguarsi alle disposizioni contenute nell’articolo in esame; inoltre, i comuni convenzionati o consorziati ( rispettivamente artt. 30 e 31 del TUEL) cessano di diritto di far parte delle relative forme associative al momento in cui entrano a far parte di un'unione di comuni con popolazione fino a 1000 abitanti (comma 7).

 

Il procedimento di costituzione dell’unione dei comuni con popolazione fino a 1000 abitanti è sottoposto a termini che sono definiti perentori: quindi, nel termine perentorio di sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto in esame, i comuni, con deliberazione del consiglio comunale, da adottarsi a maggioranza dei componenti, avanzano alla regione una proposta di aggregazione, di identico contenuto, per l'istituzione della rispettiva unione; nel termine, anch’esso perentorio, del 31 dicembre 2012; la regione provvede, secondo il proprio ordinamento, a sancire l'istituzione di tutte le unioni del proprio territorio, anche qualora la proposta di aggregazione manchi o non sia conforme alle disposizioni illustrate (comma 8).

Considerato che in base al comma 9 potrebbe aversi decadenza degli organi di governo dopo il 12 agosto 2012, dovrebbe valutarsi la congruità del termine del 31 dicembre 2012 per la provvista degli organi di governo necessari.

Inoltre, l'ambito di intervento riservato alla Regione - qualora sia ritenuto solo ricognitivo di quanto altrove deliberato, senza possibilità di intervento - potrebbe essere ritenuto da valutare alla luce dell'autonomia regionale sancita in Costituzione.

Quanto al potere sostitutivo della regione, la giurisprudenza costituzionale (sentenze 397/2006, 167/2005; 236/2004 e 69/2004) ha chiarito che l'art. 120, secondo comma, della Costituzione non può essere inteso nel senso che esaurisca, concentrandole tutte in capo allo Stato, le possibilità di esercizio di poteri sostitutivi, richiedendo - alle condizioni e nei termini previsti - un procedimento nel quale l'ente sostituito (anche il Comune sostituito dalla Regione) sia comunque messo in grado di evitare la sostituzione attraverso l'autonomo adempimento, e di interloquire nello stesso procedimento.

 

Quanto agli organi, che sono il consiglio, il presidente e la giunta, spetta allo statuto dell'unione definire le modalità di funzionamento dei propri organi e la disciplina dei relativi rapporti (comma 14).

 

Il consiglio è composto dai sindaci dei comuni dell’unione (comma 11). Per la prima applicazione ne fanno parte anche due consiglieri comunali per ciascun comune eletti dai consigli comunali, (entro venti giorni dall’istituzione dell'unione), in tutti i comuni dell'unione, uno proveniente dalla maggioranza, uno dall’opposizione (la norma statuisce: “con la garanzia che uno dei due appartenga alle opposizioni”). Fino all'elezione del presidente dell'unione le funzioni di competenza dell'unione sono esercitate dal sindaco del comune con il maggior numero di abitanti. E’ attribuita – in conformità all’art. 117 della Costituzione che prevede una competenza statale esclusiva in tale materia – alla legge dello Stato la possibilità, con riferimento alle successive elezioni, di legiferare sul sistema elettorale stabilendo, non solo il suffragio universale, ma anche l’elezione contestuale e diretta degli organi di governo di ciascuno dei comuni appartenenti alle unioni. La stessa legge disciplina conseguentemente il sistema di elezione. Le elezioni sono fissate non oltre il cinquantacinquesimo giorno che precede la votazione (ex art. 3 della legge 182/1991). Al consiglio spettano le competenze attribuite dal TUEL al consiglio comunale. Il consiglio adotta inoltre lo statuto dell'unione, con deliberazione a maggioranza assoluta dei propri componenti, entro venti giorni dalla data di istituzione dell'unione (comma 14).

Il presidente dell’unione è eletto - entro trenta giorni dalla data di istituzione dell'unione - dal consiglio dell’unione tra i propri componenti, dura in carica due anni e mezzo ed è rinnovabile (rectius rieleggibile); il presidente esercita le competenze del Sindaco stabilite dall’articolo 50 del TUEL, che disciplina - tra l'altro - le funzioni del Sindaco come organo responsabile dell'amministrazione del comune. Spettano ai Sindaci dei comuni dell’unione le attribuzioni di cui all’articolo 54 del TUEL, che disciplina le funzioni del Sindaco quale ufficiale del Governo, nelle funzioni di competenza statale (comma 12).

 

La giunta dell’unione è composta dal presidente, che la presiede, e dagli assessori, nominati dal medesimo presidente fra i sindaci componenti il consiglio in numero non superiore a quello previsto per i comuni aventi corrispondente popolazione. La giunta esercita, sul territorio dell’unione municipale, le competenze che l’articolo 48 del TUEL assegna alle giunte comunali (oltreché provinciali). La giunta decade contestualmente alla cessazione del suo presidente (comma 13).

 

Quanto al trattamento economico degli organi dell’unione, sono applicabili le disposizioni di cui agli artt. 82 ed 86 del TUEL con riferimento ai corrispondenti organi del comune. Inoltre, agli amministratori dell'unione che risultino percepire emolumenti di ogni genere in qualità di amministratori locali (ex art. 77, comma 2, del TUEL: sindaci, anche metropolitani, presidenti delle province, consiglieri dei comuni anche metropolitani e delle province, componenti delle giunte comunali, metropolitane e provinciali, presidenti dei consigli comunali metropolitani e provinciali, presidenti, consiglieri e assessori delle comunità montane, componenti degli organi delle unioni di comuni e dei consorzi fra enti locali, nonché componenti degli organi di decentramento), fino al momento dell'esercizio dell'opzione, non spetta alcun trattamento per la carica sopraggiunta (comma 15).

 

Alle unioni sopra illustrate possono aderire anche comuni con popolazione superiore a 1.000 abitanti, per l'esercizio in forma associata solo delle funzioni fondamentali e dei servizi ad esse inerenti (comma 2). In tal caso, anche a tali comuni si applicano le previsioni sia di decadenza delle giunte, sia di modificazione delle funzioni dei consigli comunali stabilite per i comuni con popolazione pari o inferiore a 1.000 abitanti (comma 9).

 

Le funzioni svolte in forma associata con le unioni attengono, per i comuni con popolazione pari o inferiore a 1.000 abitanti, alle funzioni amministrative dei medesimi e a tutti i servizi pubblici spettanti a legislazione vigente; per i comuni con popolazione superiore a 1.000 abitanti, solo alle funzioni fondamentali e ai servizi ad esse inerenti.

 

Occorre rilevare che l’articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione individua, tra le materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato, solo le funzioni fondamentali di comuni, province, e città metropolitane, accanto alla legislazione elettorale e alla disciplina degli organi di governo degli enti locali. Dall’art. 118 Cost. risulta che ai comuni spettano funzioni amministrative proprie e funzioni conferite dalla legge dello Stato o della regione secondo le rispettive competenze. In materia si ricorda che costante giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 237 del 2009, da ultimo richiamata dalla sentenza 27 del 2010, entrambe in tema di comunità montane) riconosce la legittimità di disposizioni statali in materie di competenza residuale regionale in quanto “effettivamente espressione di princípi fondamentali della materia del coordinamento della finanza pubblica”, con lo scopo “di contribuire, su un piano generale, al contenimento della spesa pubblica corrente nella finanza pubblica allargata e nell’ambito di misure congiunturali dirette a questo scopo nel quadro della manovra finanziaria”.

Le funzioni fondamentali dei comuni sono state individuate in via provvisoria dall’art. 21 della legge n. 42 del 2009[243], individuazione adottata, sempre in via transitoria, dall’art. 3 del decreto legislativo n. 216 del 2010 in tema di fabbisogni e costi standard[244].

 

Si tratta di una disciplina provvisoria in attesa dell’entrata in vigore della legge statale che individuerà in via stabile le funzioni fondamentali degli enti locali ai sensi dell’articolo 117, comma secondo, lettera p), della Costituzione.

L’attuazione del dettato costituzionale è stata tentata una prima volta con la legge n. 131 del 2003[245] che recava la delega, mai esercitata, «per l’individuazione delle funzioni fondamentali, ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, essenziali per il funzionamento di Comuni, Province e Città metropolitane nonché per il soddisfacimento di bisogni primari delle comunità di riferimento» (art. 2).

Più di recente, nel corso dell’attuale legislatura, il Governo ha presentato un ampio disegno di legge volto a modificare la disciplina degli enti locali ed a delegare il Governo per l’adozione di una “Carta delle autonomie locali”, dove raccogliere e coordinare le disposizioni in materia, che prevede anche l’individuazione delle funzioni fondamentali degli enti locali secondo il dettato costituzionale. Tale ddl è stato approvato in prima lettura dalla Camera (A.C. 3118) ed è ora all’esame del Senato (A.S. 2259).

Per il periodo transitorio e ai soli fini della determinazione dell'entità e del riparto dei fondi perequativi degli enti locali, l’articolo 21, comma 2, della legge n. 42 del 2009 prevede che, nei decreti legislativi di attuazione delle deleghe previste dalla stessa legge, siano provvisoriamente considerate, in sede di prima applicazione, ai fini del finanziamento integrale sulla base del fabbisogno standard, le funzioni individuate e quantificate dalle corrispondenti voci di spesa, sulla base dell'articolazione in funzioni e relativi servizi prevista dal regolamento sui modelli contabili degli enti locali di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 gennaio 1996, n. 194[246]. I successivi commi 3 e 4 recano, rispettivamente, per i comuni e per le province, un elenco provvisorio delle funzioni fondamentali da finanziare integralmente sulla base del fabbisogno standard, ai sensi del comma 2.

Per i comuni, le funzioni, e i relativi servizi, da considerare provvisoriamente quali funzioni fondamentali sono:

a)       funzioni generali di amministrazione, di gestione e di controllo, nella misura complessiva del 70 per cento delle spese come certificate dall'ultimo conto del bilancio disponibile alla data di entrata in vigore della legge n. 42/2009;

b)       funzioni di polizia locale;

c)       funzioni di istruzione pubblica, compresi i servizi per gli asili nido e quelli di assistenza scolastica e refezione, nonché l'edilizia scolastica;

d)       funzioni nel campo della viabilità e dei trasporti;

e)       funzioni riguardanti la gestione del territorio e dell'ambiente, fatta eccezione per il servizio di edilizia residenziale pubblica e locale e piani di edilizia nonché per il servizio idrico integrato;

f)         funzioni del settore sociale.

Rispetto alle funzioni individuate dal D.P.R. n. 194/1996 non risultano dunque comprese le funzioni relative ai seguenti ambiti: giustizia; cultura e beni culturali; settore sportivo e ricreativo; turismo; sviluppo economico; servizi produttivi (oltre alle funzioni concernenti edilizia residenziale pubblica e locale, piani di edilizia e servizio idrico integrato, espressamente escluse).

 

La facoltà dei comuni con popolazione superiore a 1.000 abitanti di aderire all’unione è connessa (comma 2, primo periodo) anche al fine di dare attuazione alle disposizioni di cui dell'articolo 14, commi 28, 29, 30 e 31, del decreto-legge n. 78 del 2010, come modificato dallo stesso provvedimento in esame.

 

In merito si ricorda che nell’ambito della manovra economica per l’anno 2011 sono state introdotte alcune disposizioni (articolo 14, commi 25-31, D.L. 78/2010) che vincolano i comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti all’esercizio in forma associata, mediante convenzione o unione, delle funzioni fondamentali, per la cui individuazione si rinvia all’elenco di cui all’articolo 21, co. 3, della L. n. 42/2009.

 

Su tali disposizioni interviene l’art. 16 in commento come emendato nel corso dell’esame parlamentare, per conformare la disciplina vigente a quella che si introduce. In particolare, sono modificati i commi 28 e 31 del suddetto art. 14, con l’effetto di: prevedere l’obbligo di esercizio in forma associata, ma con facoltà di scelta della forma della convenzione o dell’unione, per i comuni con popolazione superiore a 1000 e fino a 5000 abitanti, esclusi i comuni il cui territorio coincide integralmente con quello di una o di più isole, locuzione, quest’ultima, con la quale si sostituisce quella di “isole monocomune” (commi 22 e 23); fissare a 10.000 abitanti, salvo diverso limite demografico individuato dalla regione, il limite demografico minimo che i comuni tenuti all’esercizio delle funzioni fondamentali in forma associata deve raggiungere, assicurando comunque il completamento dell'attuazione delle disposizioni sul patto di stabilità previste dall'art. 14 citato entro il 31 dicembre 2012 con riguardo a tutte le sei funzioni fondamentali (v. supra) loro spettanti ai sensi dell'articolo 21, comma 3, della citata legge n. 42 del 2009, e non in due anni per quote crescenti, come in precedenza previsto (comma 24).

 

Il secondo periodo del citato comma 28 dell’art. 14 del D.L. 78/2010 - che si sovrappone in parte alla disposizione precedente sotto il profilo quantitativo - obbliga all'esercizio in forma associata, sempre attraverso convenzione o unione, i comuni appartenenti o già appartenuti a comunità montane, con popolazione stabilita dalla legge regionale, comunque inferiore a 3.000 abitanti.

La norma include dunque anche i comuni, anche parzialmente montani o ex-montani, fino a 3.000 abitanti nell'obbligo dell'esercizio associato.

Appare incidente su quanto qui stabilito la disposizione del successivo comma 31, ultimo periodo, a norma del quale con D.P.C.M. è stabilito il limite demografico minimo che l’insieme dei comuni che sono tenuti ad esercitare le funzioni fondamentali in forma associata deve raggiungere.

Il comma 29 citato vieta ai comuni di svolgere singolarmente le funzioni fondamentali svolte in forma associata e vieta che la medesima funzione possa essere svolta da più di una forma associativa.

Il comma 30 citato affida alla regione, nelle materie di competenza concorrente o di competenza residuale generale (di cui all'articolo 117, commi terzo e quarto, della Costituzione) il compito di individuare con legge la dimensione territoriale ottimale per lo svolgimento delle funzioni fondamentali, secondo i princìpi di economicità, di efficienza e di riduzione delle spese.

Le leggi regionali devono indicare i termini entro i quali i comuni si devono adeguare ed attivare l’associazione di funzioni. Restano esclusi i comuni capoluogo di provincia e quelli con più di 100.000 abitanti, che non sono obbligati ad associarsi.

Il comma 31 citato detta termini e procedure per il completamento - da parte dei comuni - dell’attuazione delle disposizioni qui ricordate.

 

Per i comuni con popolazione superiore a 1.000 abitanti è prevista, in alternativa, la facoltà di esercitare mediante tale unione tutte le funzioni e tutti i servizi pubblici loro spettanti sulla base della legislazione vigente (comma 2, secondo periodo). La formulazione del secondo periodo non sembra evidenziare chiaramente i termini di tale alternativa; questa previsione potrebbe interpretarsi nel senso che lo strumento – comunque facoltativo - dell’unione è utilizzabile sia per le funzioni fondamentali sia per le altre funzioni, riconducibili, in base a diritto positivo, alle funzioni definite proprie e a quelle conferite. Il testo non definisce i servizi inerenti alle funzioni fondamentali, né ad altre funzioni, degli stessi comuni.

 

La decorrenza dell’effetto di decadenza delle giunte è stabilita dal giorno della proclamazione degli eletti negli organi di governo del comune che, successivamente al 13 agosto 2012, sia per primo interessato al rinnovo, nei comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti che siano parti della stessa unione, nonché in quelli con popolazione superiore che esercitino mediante tale unione tutte le proprie funzioni (comma 9, primo periodo).

Il richiamo alle vicende elettorali di un singolo comune dovrebbe costituire il parametro temporale unitario per l’avvio dell’unione obbligatoria dei comuni; questa interpretazione appare confermata dalla previsione di decadenza delle giunte che dovrebbe riguardare i comuni non interessati al rinnovo.

 

La modifica delle funzioni spettanti ai consigli dei comuni membri dell’unione – che restano limitate ai poteri di indirizzo nei confronti del consiglio dell'unione, ferme restando le funzioni normative spettanti per le attribuzioni non esercitate mediante l'unione (comma 9) - è connessa alla previsione di specifici organi dell’unione, che sono il consiglio, il presidente e la giunta (comma 10). Tuttavia, tra le attribuzioni non esercitate mediante l'unione è ipotizzabile che spettino anche funzioni non solo normative (controllo, indirizzo).

 

Di tali organi non sono specificate le competenze, ma è previsto che siano affidate all'unione, per conto dei comuni che ne sono membri, la programmazione economico-finanziaria e la gestione contabile di cui alla Parte II testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000, con riferimento alle funzioni da essi esercitate per mezzo dell'unione (comma 4). Nell'ambito del piano generale di indirizzo” deliberato dall'unione entro il 15 ottobre, i consigli comunali dei comuni membri dell'unione deliberano, entro il 30 novembre, un documento programmatico. Viene rinviato ad un regolamento statale:

§      il procedimento amministrativo-contabile di formazione e di variazione del documento programmatico;

§      i poteri di vigilanza sulla sua attuazione;

§      la successione nei rapporti amministrativo-contabili tra ciascun comune e l'unione.

Il regolamento statale è adottato con il procedimento di cui all'articolo 17, comma 1, della citata legge n. 400 del 1988, su proposta del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro per le riforme per il federalismo, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto in esame.

 

Occorre notare che la successione dell’unione nei rapporti giuridici dei comuni è espressamente disciplinata dall’articolo in esame (comma 5) con specifiche disposizioni che giungono ad estendere alle unioni di comuni con popolazione fino a 1000 abitanti la sottoposizione, dal 2014, al patto di stabilità interno per gli enti locali prevista per i comuni aventi corrispondente popolazione. A tutti i comuni con popolazione oltre i 1.000 abitanti il patto di stabilità interno si applica dal 2013 (comma 31).

 

Le previsioni illustrate non si applicano: ai comuni il cui territorio coincide integralmente con quello di una o di più isole, nonché al Comune di Campione d'Italia (comma 1, secondo periodo); ai comuni che, al 30 settembre 2012, esercitino le funzioni mediante convenzione ex art. 30 TUEL, con significativi livelli di efficacia ed efficienza nella gestione (comma 16)

 

Quanto a questi ultimi, viene, infatti, delineato un procedimento finalizzato a certificare l’efficace esercizio delle funzioni in convenzione, che esonera i comuni così convenzionati dal costituire l’unione.

I comuni devono trasmettere al Ministero dell'interno, entro il 15 ottobre 2012, un'attestazione comprovante il conseguimento di significativi livelli di efficacia ed efficienza nella gestione. Ad un decreto del Ministro dell'interno, da adottarsi entro tre mesi dall’entrata in vigore della legge di conversione del decreto in esame, sono affidati contenuti e modalità delle attestazioni. Il Ministero dell'interno, previa valutazione delle attestazioni, pubblica sul proprio sito - entro il 30 novembre 2012 - l'elenco dei comuni obbligati e di quelli esentati dall'obbligo di costituzione.

 

L’intervento normativo realizzato dall’art. 16 si estende anche alla composizione dei consigli nei comuni fino a 10.000 abitanti, a decorrere dal primo rinnovo successivo alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto in esame con le seguenti previsioni (comma 17):

a)      per i comuni fino a 1.000 abitanti: il sindaco e sei consiglieri;

b)      per i comuni tra 1.001 e 3.000 abitanti: il sindaco e sei consiglieri; il numero degli assessori è stabilito in non più di due;

c)      per i comuni tra 3.001 e 5.000 abitanti: il sindaco e sette consiglieri; il numero degli assessori è stabilito in non più di tre;

d)      per i comuni tra 5.001 e 10.000 abitanti: il sindaco e dieci consiglieri; il numero degli assessori è stabilito in non più di quattro.

 

Inoltre, una volta costituite le unioni dei comuni fino a 1000 abitanti, ai consiglieri di tali comuni non si applicano le disposizioni di cui agli art. 80 (oneri per le assenze a carico degli enti locali, con l'eccezione del primo periodo del comma 1: assenze retribuite dal datore di lavoro) e 82 (indennità di funzione e gettoni di presenza) del TUEL (comma 18).

Con una novella dell’art. 38, comma 7, e dell’art. 48, comma 1, del TUEL, si prevede, rispettivamente, che le sedute del consiglio e delle commissioni nei comuni con popolazione fino a 15.000 abitanti da un lato e quelle delle giunte nei comuni con popolazione fino a 15.000 abitanti dall’altro si tengano preferibilmente in un arco temporale non coincidente con l’orario di lavoro dei partecipanti (commi 19 e 20). Viene altresì novellato l'art. 79, comma 1, del TUEL - relativo al diritto dei lavoratori dipendenti, pubblici e privati, componenti dei consigli comunali, provinciali, metropolitani, delle comunità montane e delle unioni di comuni, nonché dei consigli circoscrizionali dei comuni con popolazione superiore a 500.000 abitanti di assentarsi dal servizio – prevedendo che tale diritto è esercitabile, anziché per l'intera giornata in cui sono convocati i rispettivi consigli, solo per il tempo strettamente necessario per la partecipazione a ciascuna seduta dei rispettivi consigli e per il raggiungimento del luogo di suo svolgimento (comma 21).

 

Per la scelta dei revisori dei conti degli enti locali è prevista l’estrazione da un elenco nel quale possono essere inseriti, a richiesta, i soggetti iscritti, a livello provinciale, nel Registro dei revisori legali di cui al decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 39[247], nonché gli iscritti all'Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili (comma 25).

La disposizione – che non effettua alcuna distinzione tra comuni e si riferisce in generale agli enti locali - si applica a decorrere dal primo rinnovo del collegio dei revisori successivo alla data di entrata in vigore del decreto.

L’individuazione dei criteri per l'inserimento degli interessati nell'elenco è attribuita a un decreto del Ministro dell’interno da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto, nel rispetto dei seguenti principi:

a)      rapporto proporzionale tra anzianità di iscrizione negli albi e registri di cui al presente comma e popolazione di ciascun comune;

b)      previsione della necessità, ai fini dell'iscrizione nell'elenco di cui al presente comma, di aver in precedenza avanzato richiesta di svolgere la funzione nell'organo di revisione degli enti locali;

c)      possesso di specifica qualificazione professionale in materia di contabilità pubblica e gestione economica e finanziaria degli enti pubblici territoriali.

 

Le spese di rappresentanza sostenute dagli organi di governo degli enti locali devono essere elencate, per ciascun anno, in apposito prospetto allegato al rendiconto di cui all’articolo 227 del TUEL. Il prospetto è trasmesso alla sezione regionale di controllo della Corte dei conti ed è pubblicato, entro dieci giorni dall’approvazione del rendiconto, sul sito internet dell’ente locale. Con atto di natura non regolamentare, adottato d’intesa con la Conferenza Stato – città ed autonomie locali, il Ministro dell’Interno, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto in esame, adotta uno schema tipo del prospetto (comma 26).

 

Il comma 29 contiene la c.d. “clausola di salvaguardia” per le Autonomie a statuto differenziato con ulteriore riferimento all’art. 27 della legge 42 del 2009, sul federalismo fiscale, che disciplina – tra l’altro - le modalità del concorso di tali Autonomie agli obiettivi di solidarietà e all'assolvimento degli obblighi posti dall'ordinamento comunitario.

 

Il comma 30 contiene una clausola di salvaguardia relativamente agli oneri a carico della finanza pubblica.

Profili finanziari

 

Il prospetto riepilogativo non ascrive alla norma effetti finanziari.

 

La relazione tecnica riferita al testo iniziale (che prevedeva, per i comuni fino a 1.000 abitanti, l’introduzione di una nuova figura associativa di natura obbligatoria per le funzioni amministrative: l’unione municipale) afferma che le misure riguardanti i predetti comuni determinano un effetto finanziario positivo sui saldi di finanza pubblica che, allo stato attuale, non si è in grado di quantificare.

 

La relazione tecnica riferita alle modifiche apportate in prima lettura dal Senato (con le quali la previsione di apposite unioni municipali è stata sostituita dall’obbligo di utilizzare le unioni dei comuni - già previste a normativa previgente - per l’esercizio non solo delle funzioni amministrative, ma anche di tutti i servizi pubblici)[248] afferma che tali modifiche non necessitano di copertura, non essendo ascritti effetti al testo iniziale della norma. Inoltre, mentre l’assoggettamento al patto di stabilità interno dei comuni compresi tra 1.000 e 5.000 abitanti non determina effetti positivi sulla finanza pubblica, in quanto il comma 31[[249]] estende solo la platea dei comuni da far concorrere al perseguimento degli obiettivi di cui all’articolo 1, comma 8, lettera e), l’assoggettamento al patto delle unioni di comuni comporta effetti positivi a decorrere dall’anno 2014, sebbene allo stato non quantificabili.

 

In merito ai profili di quantificazione, con riferimento al testo iniziale delle disposizioni, pur rilevando che le norme appaiono dirette a conseguire effetti di riduzione della spesa, è stata segnalata l’opportunità di disporre di elementi di valutazione circa i possibili effetti finanziari negativi connessi alla costituzione delle unioni municipali dotate di propri organi – ancorché composti dai sindaci e dai consiglieri dei comuni partecipanti alle unioni - e deputate ad esercitare le funzioni amministrative dei comuni partecipanti alle unioni. Nella fase di prima applicazione, infatti, gli oneri amministrativi, connessi a profili organizzativi e logistici, potrebbero parzialmente compensare gli effetti positivi ascrivibili alle misure di risparmio attese a consuntivo dai comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti.

Si è segnalato, inoltre, che per i comuni soggetti al patto di stabilità interno i possibili risparmi di spesa, derivanti dalla riduzione del numero dei consiglieri e degli assessori, nonché dall’esercizio in forma associata delle funzioni fondamentali, potrebbero non realizzarsi tenuto conto della possibilità per i citati enti di incrementare in misura corrispondente le rimanenti spese appostate in bilancio. Per i predetti enti, pertanto, le norme in esame sembrerebbero non dar luogo a risparmi aggiuntivi, ma configurare una specifica modalità di conseguimento di risparmi già attesi dal patto di stabilità interno.

Con riferimento alle modifiche apportate in prima lettura dal Senato, si è osservato che alcune affermazioni della relazione tecnica non sembrano trovare puntuale riscontro nel testo delle disposizioni. In particolare, la norma di cui al comma 31 non specifica con quali modalità vada operata l’estensione del patto ai comuni con popolazione compresa tra 1.000 e 5.000 abitanti e non è espressamente previsto, come affermato dalla relazione tecnica, che vada realizzata una ripartizione tra un numero di comuni più ampio dei medesimi obiettivi previsti, per i comuni maggiori, dall’articolo 1, comma 8, del decreto legge in esame. Qualora si optasse, invece, per l’applicazione ai comuni di piccole dimensioni dei coefficienti previsti per il 2013 dalla legge finanziaria per il 2011, si determinerebbe l’emersione di risparmi aggiuntivi a decorrere da tale esercizio.

Allo stesso modo, la norma di cui al comma 5 (che estende l’applicazione del patto alle unioni di comuni formate da comuni con meno di 1000 abitanti) non specifica con quali modalità vada operata tale estensione. Dal dettato normativo non emerge, pertanto, con chiarezza se da tali unioni potranno ottenersi risparmi aggiuntivi, come afferma la relazione tecnica, o se le stesse parteciperanno al riparto dei medesimi obiettivi previsti dalla normativa vigente per i comuni maggiori.

 


 

Articolo 16, commi 27 e 28
(Liquidazione di società partecipate dai comuni)

 


27. All'articolo 14, comma 32, alinea, del citato decreto-legge n. 78 del 2010, le parole: «31 dicembre 2013» sono sostituite dalle seguenti: «31 dicembre 2012»; alla lettera a) del medesimo comma 32, le parole «31 dicembre 2013» sono sostituite dalle seguenti: «31 dicembre 2012».

28. Al fine di verificare il perseguimento degli obiettivi di semplificazione e di riduzione delle spese da parte degli enti locali, il prefetto accerta che gli enti territoriali interessati abbiano attuato, entro i termini stabiliti, quanto previsto dall'articolo 2, comma 186, lettera e), della legge 23 dicembre 2009, n. 191, e successive modificazioni, e dall'articolo 14, comma 32, primo periodo, del citato decreto-legge n. 78 del 2010, come da ultimo modificato dal comma 27 del presente articolo. Nel caso in cui, all'esito dell'accertamento, il prefetto rilevi la mancata attuazione di quanto previsto dalle disposizioni di cui al primo periodo, assegna agli enti inadempienti un termine perentorio entro il quale provvedere. Decorso inutilmente detto termine, fermo restando quanto previsto dal secondo periodo, trova applicazione l'articolo 8, commi 1, 2, 3 e 5 della legge 5 giugno 2003, n. 131.


 

 

Il comma 27 modifica il comma 32 dell’articolo 14 del D.L. n. 78/2010, concernente il divieto per i comuni con popolazione inferiore a 30.000 abitanti di costituire società.

La modifica anticipa di un anno (al 31 dicembre 2012 in luogo del 31 dicembre 2013) il termine entro il quale i comuni citati devono mettere in liquidazione le società da essi partecipate già costituite ovvero cederne le partecipazioni medesime.

Contestualmente, viene anticipata al 31 dicembre 2012 la data con riferimento alla quale va verificata la situazione di bilancio delle suddette società, al fine di escluderle dalla liquidazione, secondo quanto stabilito dal medesimo comma 32, lettera a).

 

Si ricorda, in sintesi, che il citato comma 32 - come modificato dall’articolo 1, comma 117, della legge n. 220/2010 (legge di stabilità 2011), dall’articolo 2, comma 43, del D.L. n. 225/2010 e, da ultimo, dall’articolo 20, comma 13, del D.L. n. 98/2011 - vieta ai comuni con popolazione inferiore a 30.000 abitanti di costituire società.

Pertanto, tali comuni hanno l’obbligo di mettere in liquidazione le società già costituite alla data del 31 maggio 2010 (data di entrata in vigore del decreto-legge n. 78), ovvero a cederne le partecipazioni. A seguito delle modifica apportate dal comma in esame, le operazioni di dismissione dovranno essere completate entro il 31 dicembre 2012.

L’obbligo di liquidazione non si applica nel caso in cui le società già costituite al 31 maggio 2010:

a)       abbiano, al 31 dicembre 2012 (secondo la modifica prevista dal comma in esame), il bilancio in utile negli ultimi tre esercizi;

b)       non abbiano subito, nei precedenti esercizi, riduzioni di capitale conseguenti a perdite di bilancio;

c)       non abbiano subito, nei precedenti esercizi, perdite di bilancio in conseguenza delle quali il comune ha dovuto procedere al ripiano delle perdite medesime.

L’applicazione della norma è inoltre esclusa per le società costituite da più comuni, la cui popolazione complessiva superi i 30.000 abitanti, con partecipazione paritaria ovvero con partecipazione proporzionale al numero degli abitanti.

 

Si ricorda, inoltre, che per i comuni con popolazione compresa tra 30.000 e 50.000 abitanti è invece prevista la possibilità di detenere la partecipazione di una sola società; entro il termine del 31 dicembre 2011 i predetti comuni devono mettere in liquidazione le altre società già costituite.

 

In relazione alla normativa citata, si ricorda che l’articolo 5 del provvedimento in esame ha introdotto una norma volta ad incentivare la dismissione, da parte degli enti territoriali, di partecipazioni detenute in società esercenti servizi pubblici locali di rilevanza economica, diversi dal servizio idrico. In particolare, la norma prevede la destinazione di una quota del Fondo infrastrutture, nel limite di 250 milioni di euro per l’anno 2013 e di 250 milioni di euro per l’anno 2014, ad investimenti infrastrutturali effettuati dagli enti territoriali che procedono, rispettivamente, entro il 31 dicembre 2012 ed entro il 31 dicembre 2013, alla dismissione di partecipazioni in società esercenti servizi pubblici locali di rilevanza economica, diversi dal servizio idrico (cfr. la relativa scheda di lettura).

 

Il comma 28 affida al Prefetto il potere di accertare che gli enti locali interessati abbiano attuato, entro i termini stabiliti:

§      quanto previsto dall’articolo 2, comma 186, lettera e) della legge n. 191/2009 (legge finanziaria 2010), che prevede, in capo ai comuni, l’obbligo di soppressione dei consorzi di funzioni tra gli enti locali.

§      quanto previsto sia dall’articolo 14, comma 32, primo periodo, del D.L. n. 78 del 2010, relativo, come detto, al divieto di costituzione di società da parte dei comuni con popolazione inferiore a 30.000 abitanti.

Nel caso in cui, all’esito dell’accertamento, il Prefetto rilevi la mancata attuazione di quanto previsto dalle disposizioni sopra commentate, assegna agli enti inadempienti un termine perentorio entro il quale provvedere.

Decorso inutilmente detto termine, trova applicazione l’esercizio del potere sostitutivo del Governo agli organi degli enti territoriali inadempienti, ai sensi dell’articolo 8, commi 1-3 e 5, della legge n. 131/2003.

 

L’articolo 8 della legge n. 131/2003[250] disciplina l’attuazione dell'articolo 120 della Costituzione sul potere sostitutivo del Governo agli organi degli enti territoriali.

In particolare, il comma 1 prevede che nei casi e per le finalità previsti dalla Costituzione (articolo 120, secondo comma), il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro competente per materia, anche su iniziativa delle Regioni o degli enti locali, assegna all'ente interessato un congruo termine per adottare i provvedimenti dovuti o necessari; decorso inutilmente tale termine, il Consiglio dei ministri, sentito l'organo interessato, su proposta del Ministro competente o del Presidente del Consiglio dei ministri, adotta i provvedimenti necessari, anche normativi, ovvero nomina un apposito commissario. Alla riunione del Consiglio dei ministri partecipa il Presidente della Giunta regionale della Regione interessata al provvedimento.

Il comma 3 prevede - facendo salve le competenze delle Regioni a statuto speciale - che, qualora l'esercizio dei poteri sostitutivi riguardi Comuni, Province o Città metropolitane, la nomina del commissario deve tenere conto dei principi di sussidiarietà e di leale collaborazione. Il commissario provvede, sentito il Consiglio delle autonomie locali qualora tale organo sia stato istituito.

Il comma 4 prevede che, nei casi di assoluta urgenza, qualora l'intervento sostitutivo non sia procrastinabile senza mettere in pericolo le finalità tutelate dall'articolo 120 della Costituzione, il Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro competente, anche su iniziativa delle Regioni o degli enti locali, adotta i provvedimenti necessari, che sono immediatamente comunicati alla Conferenza Stato-Regioni o alla Conferenza Stato-Città e autonomie locali, allargata ai rappresentanti delle Comunità montane, che possono chiederne il riesame.

Il comma 5 dispone che i provvedimenti sostitutivi devono essere proporzionati alle finalità perseguite.

Profili finanziari

Per i profili finanziari si veda la scheda dell’articolo 16, commi 1-26, 29-30.


 

Articolo 16, comma 31
(Patto di stabilità interno per i comuni con più di 1.000 abitanti)

 

31. A decorrere dall'anno 2013, le disposizioni vigenti in materia di patto di stabilità interno per i comuni trovano applicazione nei riguardi di tutti i comuni con popolazione superiore a 1.000 abitanti.

 

 

Il comma 31 estende l’ambito soggettivo di applicazione del patto di stabilità interno, prevedendo che a decorrere dall'anno 2013 la disciplina vigente in materia si applichi nei riguardi di tutti i comuni con popolazione superiore a 1.000 abitanti.

 

In sostanza, la norma interessa i comuni con popolazione compresa tra i 1.001 e i 5.000 abitanti che, secondo le disposizioni vigenti, risultano esclusi dai vincoli del Patto di stabilità interno.

Si ricorda, infatti, che la disciplina attuale del Patto, recata dalla legge di stabilità per il 2011 come integrata dall’articolo 20 del D.L. n. 98/2011, si applica a tutte le province e ai comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti[251].

 

In base al comma 5 dell’articolo 16 del provvedimento in esame, a decorrere dal 2014 le unioni di comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti, costituite ai sensi del comma 1 del predetto articolo 16, saranno sottoposte al patto di stabilità interno, secondo le regole previste per i comuni aventi corrispondente popolazione.

 

Si ricorda, brevemente, che il Patto di stabilità interno rappresenta lo strumento attraverso il quale regioni ed enti locali concorrono al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica assunti in sede europea, con l’adesione al Patto europeo di stabilità e crescita.

Il Patto di stabilità interno per gli anni 2011-2013 prevede il contributo della finanza regionale e locale al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, quantificato dall’articolo 14, comma 1, del D.L. n. 78/2010, in termini di fabbisogno e indebitamento netto, nei seguenti importi:

-        per le regioni a statuto ordinario: 4.000 milioni nel 2011 e 4.500 milioni a decorrere dal 2012;

-        per le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e Bolzano: 500 milioni di euro per l’anno 2011 e 1.000 milioni di euro a decorrere dall’anno 2012;

-        per le province: 300 milioni per l’anno 2011 e in 500 milioni a decorrere dall’anno 2012,

-        per i comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti: 1.500 milioni per l’anno 2011 e 2.500 milioni a decorrere dall’anno 2012.

Va sottolineato che i risparmi sopra indicati sono stati già garantiti attraverso una riduzione dei trasferimenti erariali spettanti alle regioni, alle province e ai comuni di pari importo, ai sensi del comma 2 dell’articolo 14 del medesimo D.L. 78/2010.

Con la manovra varata a luglio 2011 (articolo 20, comma 5, del D.L. del 6 luglio 2011, n. 98, come modificato dall’articolo 1, comma 8, del provvedimento in esame) è stato imposto alle autonomie territoriali, a partire dal 2012, un ulteriore concorso alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica, nella misura complessiva di 6.000 milioni di euro per il 2012 e di 6.400 milioni a decorrere dal 2012, in termini di indebitamento di fabbisogno e di indebitamento netto, così ripartita tra i singoli comparti:

-        per le regioni a statuto ordinario: 1.600 milioni a decorrere dall’anno 2012;

-        per le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e Bolzano: 2.000 milioni a decorrere dall’anno 2012;

-        per le province: 700 milioni per l’anno 2012 e 800 milioni a decorrere dall’anno 2013;

-        per i comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti: 1.700 milioni per l’anno 2012 e 2.000 milioni a decorrere dall’anno 2013.

 

Le regole del patto per il triennio 2011-2013 sono definite dalla legge di stabilità per il 2011 (legge n. 220/2010), in modo differenziato per le regioni (articolo 1, commi 125-150[252]) e per gli enti locali (articolo 1, commi 87-124).

Per quanto riguarda le regioni a statuto ordinario, l’obiettivo del Patto consiste nel controllo della spesa finale (corrente e in conto capitale). In particolare, la disciplina prevede che per ciascun anno del triennio, il complesso delle spese di competenza e di cassa delle regioni non debba superare la media del triennio 2007-2009 ridotta di determinate percentuali.

Per gli enti locali, l’obiettivo del Patto di stabilità consiste, invece, nel raggiungimento, in ciascuno degli anni 2011, 2012 e 2013, di un determinato livello di saldo finanziario (calcolato quale differenza tra entrate e spese, con l’eccezione di alcune voci), non inferiore al valore determinato applicando alla spesa corrente media sostenuta nel periodo 2006-2008, determinate percentuali, fissate per ogni anno del triennio in maniera differenziata per le province e i comuni.

Si ricorda, infine, che con il D.L. n. 98/2011, articolo 20, commi 2 e 3, sono state introdotte alcune disposizioni che hanno integrato la disciplina vigente del patto di stabilità interno, volte a definire un meccanismo di ripartizione degli obiettivi del patto fra le singole amministrazioni sulla base dei parametri di virtuosità, che comporta effetti di minore incidenza finanziaria dei vincoli per gli enti c.d. virtuosi e di maggiore incidenza per gli altri enti. Tale nuovo meccanismo si applica a decorrere dall’anno 2012.

Profili finanziari

Per i profili finanziari si veda la scheda dell’articolo 16, commi 1-26, 29-30.


 

Articolo 17
(Disposizioni relative al Consiglio nazionale
dell’economia e del lavoro)

 


1. Alla legge 30 dicembre 1986, n. 936 sono apportate le seguenti modificazioni:

a) l'articolo 2 è sostituito dal seguente:

«Art. 2. - (Composizione del Consiglio) - 1. Il Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro è composto da esperti, da rappresentanti delle categorie produttive e da rappresentanti delle associazioni di promozione sociale e delle organizzazioni di volontariato in numero di settanta oltre al presidente e al segretario generale, secondo la ripartizione stabilita con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione»;

b) l'articolo 14 è sostituito dal seguente:

«Art. 14. - (Pronunce del CNEL) - 1. Gli atti del CNEL sono assunti a maggioranza assoluta dei suoi componenti in Assemblea. Il presidente, sentiti i vicepresidenti e il segretario generale, può istituire fino a quattro commissioni istruttorie, in ciascuna delle quali siedono non più di quindici consiglieri, proporzionalmente alle varie rappresentanze. La presidenza di ciascuna commissione istruttoria spetta ad uno dei vicepresidenti.».

2. Gli articoli 6, comma 1, e 15 della legge 30 dicembre 1986, n. 936, sono abrogati. È altresì abrogata, o coerentemente modificata, ogni altra norma incompatibile con le disposizioni di cui al presente articolo. Decorsi sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto del Presidente della Repubblica di cui all'articolo 2 della legge n. 936 del 1986, come sostituito dal comma 1, lettera a), del presente articolo, decadono gli esperti e i rappresentanti del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro in carica e si provvede alla nomina dei nuovi esperti e dei nuovi rappresentanti in conformità alla ripartizione stabilita dal medesimo decreto.


 

 

L'articolo 17 apporta alcune modifiche alla disciplina del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro (CNEL), in particolare riducendone il numero dei componenti.

Secondo la relazione illustrativa, l'articolo in esame "è finalizzato a ridurre la spesa collegata al funzionamento del Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro (CNEL), organismo inutilmente pletorico".

 

Nel corso dell'esame parlamentare, è stato stabilito che la nuova ripartizione del numero di componenti tra esperti, rappresentanti delle categorie produttive e rappresentanti delle associazioni di promozione sociale e delle organizzazioni di volontariato non sia disposta direttamente dalla legge (come finora avvenuto), ma sia demandata ad un decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio. E’ stata inoltre inserita una disposizione transitoria.

 

Il CNEL è previsto dall'art. 99 della Costituzione, ai sensi del quale esso è composto, nei modi stabiliti dalla legge, di esperti e di rappresentanti delle categorie produttive, in misura che tenga conto della loro importanza numerica e qualitativa.

 

Pertanto le disposizioni in esame, nella parte in cui demandano la ripartizione del membri del CNEL ad un decreto del Presidente del Consiglio, andrebbero valutate tenendo conto che il primo comma dell’art. 99 Cost reca una riserva di legge rinforzata per la composizione dell’organo. Ai sensi del secondo comma dello stesso articolo è sottoposta a riserva di legge anche la definizione delle sue funzioni.

 

Il CNEL è organo di consulenza delle Camere e del Governo per le materie e secondo le funzioni che gli sono attribuite dalla legge. Esso ha l'iniziativa legislativa e può contribuire alla elaborazione della legislazione economica e sociale secondo i principi ed entro i limiti stabiliti dalla legge.

La composizione, le attribuzioni ed il funzionamento del CNEL sono attualmente disciplinate dalla legge 30 dicembre 1986, n. 936, recante "Norme sul Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro", che ha abrogato e sostituito la precedente legge 5 gennaio 1957, n. 33, recante "Ordinamento e attribuzioni del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro".

 

La disposizione in esame novella in più punti la suddetta legge 936/1986.

In particolare, il comma 1, lettera a), sostituisce integralmente l'art. 2 della legge 936/1986.

 

Rispetto alla formulazione previgente:

§      l'alinea del comma 1 è stato riformulato - dal testo originario del decreto-legge in esame - nel senso di prevedere che il CNEL sia composto da esperti e da rappresentanti delle categorie produttive, così eliminando il riferimento ai rappresentanti delle associazioni di promozione sociale e delle organizzazioni di volontariato. Tuttavia, nel corso dell’esame parlamentare è stato reinserito il riferimento ai rappresentanti delle associazioni di promozione sociale e delle organizzazioni di volontariato, così riportando il testo, su tale punto specifico, alla formulazione precedente all'entrata in vigore del decreto-legge;

§      il numero complessivo dei componenti del CNEL è ridotto dai precedenti 122 (121 più il presidente) a 70, "oltre al presidente e al segretario generale". Anche la relazione illustrativa, nell'affermare che il numero complessivo dei componenti passa da 122 a 72, inserisce nel calcolo dei componenti il segretario generale. La figura del segretario generale è prevista dalla legge 936 (art. 22) che però non lo comprende tra i membri del CNEL;

§      come accennato, la ripartizione tra categorie dei membri non sarà contenuta nella legge che disciplina i compiti del CNEL, ma in un decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio che dovrà essere emanato entro 60 giorni dalla entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge in esame.

Nella formulazione originaria del decreto-legge veniva, invece, stabilita direttamente la nuova composizione del CNEL laddove la riduzione del numero complessivo dei componenti del CNEL era riconducibile integralmente alla riduzione del numero dei rappresentanti delle categorie produttive, che passano da 99 a 48. In particolare, i rappresentanti dei lavoratori dipendenti (che, si specifica, sono solo i lavoratori dipendenti attivi) passano da 44 a 24; i rappresentanti dei lavoratori autonomi (anch'essi in attività) passano da 18 a 6; i rappresentanti delle imprese passano da 37 a 18. Resta invece invariato il numero degli esperti nonché quello dei rappresentanti delle associazioni di promozione sociale e delle organizzazioni di volontariato.

§      non viene riprodotto il contenuto dei commi 2, 3, 4 e 5 del previgente art. 2 della legge 936/1986, che recavano criteri per garantire che, nella individuazione dei rappresentanti delle categorie produttive, venissero selezionati soggetti provenienti da tutti i settori produttivi;

 

Il comma 1, lettera b), sostituisce l'art. 14 della legge 936/1986, relativo alle pronunce del CNEL.

In particolare, il comma 1, ai sensi del quale le pronunce del CNEL erano valide se era presente la maggioranza dei suoi componenti in carica, è sostituito dalla previsione secondo la quale gli atti del CNEL devono essere assunti a maggioranza assoluta dei suoi componenti in assemblea.

Non è invece riprodotto il contenuto del vecchio comma 2, ai sensi del quale qualora venissero espresse posizioni discordanti sull'intera materia o su singoli punti, non si procedeva al voto e la pronuncia dava atto delle posizioni indicando per ciascuna di esse il numero, il gruppo o la categoria di appartenenza dei consiglieri che l'avevano espressa, e dandone formale comunicazione agli organi destinatari della pronuncia medesima.

Il nuovo art. 14 contiene invece due nuovi periodi in materia di commissioni istruttorie.

Essi prevedono che il presidente del CNEL, sentiti i vicepresidenti e il segretario generale, può istituire fino a 4 commissioni istruttorie, in ciascuna delle quali siedono non più di 15 consiglieri, proporzionalmente alle varie rappresentanze.

La presidenza di ciascuna commissione istruttoria spetta ad uno dei vicepresidenti.

Conseguentemente, il comma 2 dell'articolo in esame abroga l'art. 15 della legge 936/1986, rubricato "Comitati e commissioni", ai sensi del quale il presidente, sentito l'ufficio di presidenza, istituisce comitati e commissioni tenendo conto delle rappresentanze presenti nel Consiglio anche in riferimento alle materia trattate.

 

Il comma 2 reca abrogazioni e disposizioni transitorie.

 

Il primo periodo del comma 2 abroga l'art. 6, comma 1, e l'art. 15 della legge 936/1986, in materia, rispettivamente, di vice presidenti e comitati e commissioni.

 

Per quanto riguarda l’abrogazione dell’art. 15 si rinvia alla lettera b) del comma 1, testé descritto.

 

Relativamente all’abrogazione dell’art. 6, comma 1, della legge 936/1986, si ricorda che esso, nella formulazione previgente all’emanazione del decreto-legge in esame, prevedeva che il CNEL eleggesse fra i suoi componenti due vice presidenti nei modi previsti dal regolamento che disciplina l'attività del CNEL stesso, approvato dall'assemblea con la maggioranza assoluta dei componenti in carica.

Il testo originario del decreto-legge in esame, aveva però trasferito la disciplina dei vicepresidenti dall’art. 6 all’art. 2 della legge, prevedendo che l'assemblea nominasse (e non eleggesse) 4 vice-presidenti: uno tra gli esperti; due tra i rappresentanti delle categorie produttive e uno tra i rappresentanti delle associazioni di promozione sociale e delle organizzazioni di volontariato. Conseguentemente, il comma 2 dell'articolo in esame ha abrogato l'art. 6, comma 1, della legge 936/1986.

Nel corso dell’esame parlamentare, come si è detto sopra, è stato modificato l’art. 2 della legge ove non viene più fatta menzione delle modalità di nomina dei vicepresidenti, mantenendo però l'abrogazione del comma 1 dell'art. 6 della legge 936/1986.

 

Conseguentemente, la legge 936/1986 non conterrà più l'indicazione del numero dei vicepresidenti, né una disciplina dell'elezione degli stessi, pur essendo tali cariche previste dalla stessa legge n. 936 a fini rilevanti, come, ad esempio, per la surroga del Presidente (art. 5) e in materia di commissioni e comitati (ai sensi dell’art. 14 come modificato dall’articolo in esame).

 

Il secondo periodo del comma 2 reca una disposizione di abrogazione innominata, stabilendo che è abrogata, o coerentemente modificata, ogni altra norma incompatibile con le disposizioni di cui all'articolo in esame.

 

Il terzo periodo del comma 2 reca una disciplina transitoria, ai sensi della quale, decorsi 60 giorni dall'entrata in vigore del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che ripartisce i componenti del CNEL tra le varie categorie, decadono gli esperti e i rappresentanti del CNEL in carica e si provvede alla nomina dei nuovi esperti e dei nuovi rappresentanti in conformità alla ripartizione stabilita nel medesimo decreto.

Profili finanziari

 

Il prospetto riepilogativo non ascrive alla norma effetti sui saldi di finanza pubblica.

 

La relazione tecnica specifica che la disposizione riduce il numero dei componenti del CNEL dagli attuali 121 a 71. La RT afferma, inoltre, che eventuali risparmi di spesa potranno essere verificati a consuntivo e pertanto non vengono prudenzialmente quantificati.

La relazione illustrativa afferma che il numero complessivo dei componenti passa da 122 a 72, inserendo nel computo dei componenti, oltre al presidente, anche il Segretario generale.

Riguardo alle norme che rinviano la ripartizione dei componenti del CNEL ad uno specifico DPCM e che prevedono la decadenza automatica degli esperti e dei rappresentanti in carica e la nomina dei nuovi, la RT afferma che esse non comportano effetti sui saldi di finanza pubblica.

 

In merito ai profili di quantificazione, preso atto di quanto specificato dalla relazione tecnica in merito alla mancata attribuzione di effetti sui saldi, non sono state formulate osservazioni.

E’ stato evidenziato, peraltro – analogamente a quanto già rilevato nel corso dell’esame in prima lettura presso il Senato[253] - che i principali parametri da considerare ai fini di una quantificazione dei risparmi attesi sono indicati nel decreto del Presidente della Repubblica 20 gennaio 1999, che disciplina - fra l’altro - i criteri per la fissazione delle indennità spettanti al presidente e ai componenti del Consiglio, nonché per la fissazione dei trattamenti di missione, dei trattamenti accessori per i componenti non residenti a Roma e dei rimborsi spettanti alle persone estranee al Consiglio. In base a quanto previsto dal DPR, la misura dei principali trattamenti economici e indennità viene determinata annualmente con deliberazione del Consiglio medesimo.

 


 

Articolo 18
(Voli in classe economica)

 


1. I Parlamentari, gli amministratori pubblici, i dipendenti delle amministrazioni dello Stato, centrali e periferiche, anche a ordinamento autonomo, gli amministratori, i dipendenti e i componenti degli enti e organismi pubblici, di aziende autonome e speciali, di aziende a totale partecipazione pubblica, di autorità amministrative indipendenti o di altri enti pubblici e i commissari straordinari che, per gli spostamenti e le missioni legate a ragioni di servizio all'interno dei Paesi appartenenti al Consiglio d'Europa utilizzano il mezzo di trasporto aereo, volano in classe economica. Resta fermo quanto previsto dall'articolo 1, comma 216, della legge 23 dicembre 2005, n. 266. All'articolo 1, comma 468, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, le parole «al personale con qualifica non inferiore a dirigente di prima fascia e alle categorie equiparate, nonché» sono soppresse.


 

 

L'articolo 18 – modificato nel corso dell’esame parlamentare - stabilisce che determinate categorie di soggetti cui sono attribuite funzioni pubbliche che per esigenze di servizio utilizzano il mezzo di trasporto aereo per gli spostamenti nei Paesi del Consiglio d’Europa, debbano viaggiare in classe economica. Nel testo originario l’obbligo era limitato ai voli all’interno dell’Unione europea.

 

Si ricorda che, mentre dell'Unione europea fanno parte 27 Paesi, il Consiglio d'Europa ha 47 Stati membri (Belgio, Danimarca, Francia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi, Regno Unito, Svezia, Grecia, Turchia, Islanda, Germania, Austria, Cipro, Svizzera, Malta, Portogallo, Spagna, Liechtenstein, San Marino, Finlandia, Ungheria, Polonia, Bulgaria, Slovenia, Lituania, Estonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Romania, Andorra, Lettonia, Albania, Moldavia, Macedonia, Ucraina, Russia, Croazia, Georgia, Armenia, Azerbaigian, Bosnia-Erzegovina, Serbia, Monaco, Montenegro).

 

Ai sensi del primo periodo tale obbligo si applica ai seguenti soggetti:

§      parlamentari;

§      amministratori pubblici;

§      dipendenti delle amministrazioni dello Stato, centrali e periferiche, anche ad ordinamento autonomo;

§      amministratori, dipendenti e componenti degli enti e organismi pubblici, di aziende autonome e speciali, di aziende a totale partecipazione pubblica, di autorità amministrative indipendenti e di altri enti pubblici;

§      commissari straordinari.

 

Per alcuni dei soggetti elencati, la normativa vigente già prevede un obbligo simile, configurato in termini più stringenti rispetto a quanto non faccia la disposizione in esame (tale normativa è comunque fatta salva dal secondo periodo della disposizione in esame).

L'art. 1, comma 216, della legge finanziaria per il 2006 (legge 23 dicembre 2005, n. 266) prevede infatti che al personale appartenente alle amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165[254] (cfr. infra), che si reca in missione o viaggio di servizio all'estero, il rimborso delle spese di viaggio in aereo spetta nel limite delle spese per la classe economica (indipendentemente dal fatto che la destinazione sia all'interno o all'esterno dell'Unione europea o del Consiglio d'Europa).

 

Tale disposizione riguarda dunque tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le regioni, le province, i comuni, le comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'ARAN e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300.

 

Si segnala che la Corte costituzionale, con sentenza n. 95 del 2007 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del suddetto comma 216, nella parte in cui si applica al personale delle regioni e degli enti locali.

 

Secondo la Corte: "Nel negare il rimborso delle spese di viaggio aereo in classi superiori a quella economica al personale appartenente alle Regioni e agli enti locali, [la] norma lede l'autonomia finanziaria delle Regioni e degli enti locali, perché non stabilisce un parametro generale di contenimento della spesa, ma un precetto specifico e puntuale sull'entità di questa. Infatti, secondo quanto costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, la previsione, da parte della legge statale, di un limite all'entità di una singola voce di spesa della Regione non può essere considerata un principio fondamentale in materia di armonizzazione dei bilanci pubblici e di coordinamento della finanza pubblica ai sensi dell'art. 117, terzo comma, Cost., perché pone un precetto specifico e puntuale sull'entità della spesa e si risolve, di conseguenza, in un'indebita invasione dell'area riservata dall'art. 119 Cost. all'autonomia finanziaria delle Regioni. Ad esse la legge statale può solo prescrivere obiettivi (ad esempio, il contenimento della spesa pubblica), ma non imporre nel dettaglio le modalità e gli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere quegli obiettivi (ex multis, sentenze n. 88 del 2006, nn. 449 e 417 del 2005 e nn. 390 e 36 del 2004). A nulla rileva – contrariamente a quanto osservato dalla difesa erariale – la restrizione dell'àmbito di applicazione della norma censurata introdotta dal comma 468 dell'art. 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (per cui «Le disposizioni di cui al comma 216 dell'articolo 1 della legge 23 dicembre 2005, n. 266, non si applicano al personale con qualifica non inferiore a dirigente di prima fascia e alle categorie equiparate, nonché ai voli transcontinentali superiori alle cinque ore»). Tale restrizione, infatti, non è generalizzata, non opera retroattivamente e, in ogni caso, non muta la natura del vincolo posto dalla norma censurata ".

 

Successivamente, l'art. 1, comma 468, della legge finanziaria per il 2007 (legge 23 dicembre 2006, n. 296) ha previsto che l'obbligo di volare in classe economica non si applica:

§      al personale con qualifica non inferiore a dirigente di prima fascia e alle categorie equiparate, nonché

§      ai voli transcontinentali superiori alle 5 ore.

 

Il terzo periodo della disposizione in esame modifica il suddetto art. 1, comma 468, della legge finanziaria per il 2007, eliminando il riferimento al personale con qualifica non inferiore a dirigente di prima fascia e alle categorie equiparate. Tali soggetti dovranno dunque d'ora in avanti volare in classe economica.

Rimane invece in vigore la possibilità di volare in classe più elevata per i voli transcontinentali superiori alle 5 ore (indipendentemente dalla qualifica).

 

Alla luce della disposizione in esame, sembrerebbe dunque che si configurino due differenti regimi normativi:

§      il personale di cui all'art. 1, comma 2, del decreto legislativo 165/2001, che deve viaggiare sempre in classe economica, salvo che per i voli transcontinentali di durata superiore alle 5 ore;

§      gli altri soggetti elencati dalla disposizione in esame, per i quali l'obbligo di volare in classe economica si applica ai viaggi all'interno del Consiglio d'Europa.

 

La compatibilità della disposizione in oggetto andrebbe valutata con il principio di autonomia delle Camere (che peraltro già applicano una disciplina analoga, cfr. seduta della Commissione Affari costituzionali del Senato del 18 agosto 2011) e dell'autonomia finanziaria delle Regioni e degli enti locali (laddove la disposizione in esame impiega espressioni generiche quali "amministratori pubblici" che potrebbero essere riferite anche a tali livelli di governo).

Profili finanziari

 

Il prospetto riepilogativo, riferito al testo originario del provvedimento, pur considerando la norma in esame, non ascrive alla stessa effetti sui saldi di finanza pubblica.

 

Il prospetto riepilogativo, riferito al testo approvato dal Senato, non considera la norma.

 

La relazione tecnica, riferita al testo approvato dal Senato, specifica che la disposizione amplia la disciplina già vigente in materia e si pone nell’ottica del risparmio pubblico e della razionalizzazione della spesa. Afferma, inoltre, che eventuali risparmi saranno quantificabili a consuntivo.

 

In merito ai profili di quantificazione non sono state formulate osservazioni, alla luce di quanto specificato dalla relazione tecnica in merito alla mancata attribuzione di effetti sui saldi.

 


 

Articolo 19
(Disposizioni finali)

 


1. Alle maggiori spese derivanti dall'attuazione del presente decreto, di cui, rispettivamente, all'articolo 1 commi 16 e 25, all'articolo 2 comma 2, all'articolo 5 e all'articolo 7, pari complessivamente a 2.215,2 milioni di euro per l'anno 2012 a 132,8 milioni di euro per l'anno 2013, 170,8 milioni di euro per l'anno 2014, 323 milioni di euro per l'anno 2015 e 16 milioni di euro per l'anno 2016, pari a, in termini di indebitamento netto, 182,8 milioni per l'anno 2013 ed a 320,8 milioni per l'anno 2014, si provvede con quota parte delle maggiori entrate derivanti dal presente decreto.

2. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.


 

 

L’articolo 19, comma 1, dispone in ordine alla copertura finanziaria degli oneri derivanti dall’attuazione delle norme del decreto legge in esame - di cui agli articoli 1, commi 16 e 25, 2, comma 2, 5 e 7 - quantificate complessivamente in 2.215,2 milioni di euro per l’anno 2012, 132,8 milioni di euro per l’anno 2013, 170,8 milioni di euro per l’anno 2014, 323 milioni di euro per l’anno 2015 e 16 milioni di euro per l’anno 2016.

In termini di indebitamento netto, i suddetti oneri sono pari a 182,8 milioni per l’anno 2013 ed a 320,8 milioni per l’anno 2014.

 

Gli oneri sono quelli derivanti dalle seguenti disposizioni:

§      articolo 1 comma 16, che proroga per il triennio 2012-2014 l’istituto della risoluzione unilaterale da parte delle pubbliche amministrazioni del rapporto di lavoro con i dipendenti che abbiano compiuto l'anzianità massima contributiva;

§      articolo 1, comma 25, che incrementa di 2 miliardi di euro per l’anno 2012 il Fondo per interventi strutturali di politica economica;

§      articolo 2, comma 2, in relazione alla deducibilità del contributo di solidarietà ivi previsto a carico dei contribuenti;

§      articolo 5, che destina una quota del Fondo infrastrutture, fino a 250 milioni di euro per l’anno 2013 e di 250 milioni di euro per il 2014, ad investimenti infrastrutturali degli enti territoriali che dismettono partecipazioni in società esercenti servizi pubblici locali, diversi dal servizio idrico

§      articolo 7, relativo alla disciplina di riduzione delle tariffe elettriche.

 

Alla copertura dei predetti oneri, l’articolo dispone che si provveda con quota parte delle maggiori entrate derivanti dal presente decreto.

 

Il comma 2 autorizza il Ministro dell’economia e delle finanze ad apportare con propri decreti le occorrenti variazioni di bilancio.

Profili finanziari

 

In merito ai profili di copertura finanziaria, con riferimento alla compensazione degli effetti finanziari ai fini del fabbisogno e dell’indebitamento netto, è stato richiesto al Governo di chiarire se le disposizioni di cui all’articolo 5 producano effetti anche negli anni 2015 e 2016.

È stato osservato, inoltre, che non sono esplicitamente indicate le disposizioni di entrata utilizzate per la copertura finanziaria.

Dal prospetto riepilogativo degli effetti finanziari si rileva che le maggiori entrate sono ascrivibili agli articoli 1, 2, e 7. Peraltro l’articolo 2, comma 36, prevede che le maggiori entrate derivanti dal presente decreto siano riservate all’Erario per un periodo di 5 anni, per essere destinate alle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica: potrebbe ritenersi, tuttavia, che il comma 36 faccia riferimento alle sole entrate derivanti dall’articolo 2 anziché a quelle previste dall’intero decreto. Le entrate utilizzate a copertura dal provvedimento sarebbero, quindi, esclusivamente quelle derivanti dagli articoli 1 e 7. Sul punto è stata richiesta una conferma da parte del Governo.

 


 

Articolo 19-bis
(Disposizioni finali concernenti le Regioni a statuto speciale e le Province autonome)

 

1. L'attuazione delle disposizioni del presente decreto nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e di Bolzano avviene nel rispetto dei loro statuti e delle relative norme di attuazione e secondo quanto previsto dall'articolo 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42.

 

 

La norma introduce nel provvedimento in esame – con riferimento a tutte le sue disposizioni - la clausola di “compatibilità” con l’ordinamento delle regioni a statuto speciale e delle province autonome.

Alla formulazione 'consueta' della norma è stato aggiunto il riferimento all'articolo 27 della legge 42, quale norma che disciplina l'attuazione del federalismo fiscale nelle regioni a statuto speciale.

 

Le disposizioni della legge non modificano il quadro delle competenze definite dagli statuti (che sono adottati con legge costituzionale) e dalle relative norme di attuazione; esse si applicano pertanto in quegli ordinamenti solo in quanto non contrastino con le speciali attribuzioni di quegli enti.

L’esplicitazione di questo principio è stata introdotta in passato principalmente nelle leggi finanziarie per evitare che regioni e province autonome, nel dubbio sull’effettiva estensione di disposizioni che incidono sulle materie di loro competenza, ritenessero necessario chiedere una pronuncia alla Corte costituzionale.

Proprio la Corte costituzionale tuttavia ha ribadito in una serie di pronunce concernenti le leggi finanziarie, che “simili clausole, formulate in termini generici, non hanno l'effetto di escludere una lesione della potestà legislativa regionale (tra le altre, sentenze n. 326 del 2008, nn. 165, 162 e 105 del 2007 e nn. 234, 118 e 88 del 2006). “L'eccessiva vaghezza della loro formulazione, aggravata dalla complessa struttura delle leggi finanziarie, frutto della prassi invalsa negli ultimi anni, non può valere ad escludere le autonomie speciali dall'applicazione delle norme contenute nelle suddette leggi” (sentenza n. 105/2007).

Si segnala, infine, che anche la clausola di salvaguardia inserita in una norma specifica, non vale ad escludere la illegittimità della norma stessa se questa comunque lede una competenza della regione o della provincia autonoma.

 

Si veda ad esempio la sentenza n. 133 del 2010, in cui la Corte dichiara la illegittimità costituzionale di una norma del decreto legge 98/2009 (art. 9-bis, comma 5, secondo, terzo e quarto periodo, che prevedeva la costituzione di un fondo per le attività di carattere sociale da finanziare attraverso la rideterminazione, con DPCM, dell’ammontare dei proventi spettanti a regioni e province autonome, comprese le compartecipazioni ai tributi erariali) nella parte in cui non esclude le regioni a statuto speciale (in questo caso Valle d'Aosta e Province autonome di Trento e di Bolzano) dall'applicazione della norma stessa; norma la cui applicazione avrebbe comportato una revisione unilaterale dell'ordinamento finanziario della regione. Afferma la Corte che "l'illegittimità' costituzionale dell'art. 9-bis, comma 5, del d.l. n. 78 del 2009 non e' esclusa dalla clausola di salvaguardia prevista nella stessa norma censurata - «compatibilmente con gli statuti di autonomia delle regioni ad autonomia speciale e delle citate province autonome» - giacché tale formula entra in contraddizione con quanto affermato nel seguito della disposizione, con esplicito riferimento alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome, in merito alla variazione delle quote di compartecipazione regionale ai tributi erariali." (Considerato in diritto, punto 2.1).

Profili finanziari

 

Il prospetto riepilogativo non ascrive alla norma effetti finanziari.

 

La relazione tecnica riferita al testo modificato in prima lettura dal Senato[255] afferma che la disposizione non comporta effetti finanziari in quanto si limita a introdurre un’apposita clausola di salvaguardia nei confronti delle autonomie speciali che garantisca che l’attuazione del presente decreto avvenga in conformità ai rispettivi statuti di autonomia e alle relative norma di attuazione.

 

In merito ai profili di quantificazione è stato richiesto un chiarimento circa i profili applicativi della norma in esame, al fine di confermare che il richiamo al necessario rispetto delle norme statutarie, nonché alle procedure previste dalla legge delega sul federalismo fiscale, vada riferito unicamente alle modalità di conseguimento dei risparmi attesi dalle autonomie speciali, fissati dall’articolo 1, comma 8, lettera c), e non anche all’ammontare dei predetti risparmi.

 


 

 



[1]     La nota, predisposta dalla Ragioneria generale dello Stato, è stata depositata nel corso della seduta pomeridiana del 31 agosto 2011 della 5° Commissione (come dichiarato dal Presidente in apertura della successiva seduta antimeridiana del 1° settembre 2011). La nota ha preceduto la relazione tecnica che è stata redatta solo a corredo del maxiemendamento 1.900 del Governo, sul quale è stata posta la questione di fiducia.

[2]     Delega al Governo finalizzata all'ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e alla efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni nonché disposizioni integrative delle funzioni attribuite al Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro e alla Corte dei conti.

[3]     Nuovo ordinamento dell'Amministrazione della pubblica sicurezza.

[4]     Si ricorda che l'articolo 10 della legge di contabilità e finanza pubblica n. 196 del 2009 prevede, al comma 6 che, in allegato al Documento di economia e finanza, siano indicati gli eventuali disegni di legge collegati alla manovra di finanza pubblica, ciascuno dei quali reca disposizioni omogenee per materia, tenendo conto delle competenze delle amministrazioni, e concorre al raggiungimento degli obiettivi programmatici.

[5]     Recante disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111.

[6]     Si ricorda che il Sistema statistico nazionale (SISTAN) è la rete di soggetti pubblici e privati che fornisce l'informazione statistica ufficiale. Del SISTAN fanno parte: l'Istituto nazionale di statistica (ISTAT); gli enti ed organismi pubblici d'informazione statistica (ISAE, INEA, ISFOL); gli uffici di statistica delle amministrazioni dello Stato e delle aziende autonome; gli uffici di statistica delle amministrazioni ed enti pubblici individuati con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri; gli uffici di statistica degli Uffici territoriali del Governo; gli uffici di statistica di regioni e province autonome; gli uffici di statistica di province, comuni (singoli o associati), aziende sanitarie locali, camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura; gli uffici di statistica di soggetti privati che svolgono funzioni o rendono servizi di interesse pubblico che si configurano come essenziali per il raggiungimento degli obiettivi del Sistema stesso. Tutti questi uffici, pur rimanendo incardinati nelle rispettive amministrazioni di appartenenza, sono uniti dalla funzione di fornire l'informazione statistica ufficiale.

[7]     Si ricorda, inoltre, che il citato comma 14 di cui le norme in esame prevedono l'abrogazione dispone anch’esso che la misura della variazione, qualora siano interessate autorizzazioni di spesa di fattore legislativo, debba essere tale da non pregiudicare il conseguimento delle finalità definite dalle relative norme sostanziali e comunque non possa essere superiore al 20 per cento delle risorse finanziarie complessivamente stanziate. Analogamente, il comma conferma il divieto di dequalificazione della spesa, affermando che resta precluso l'utilizzo degli stanziamenti in conto capitale per il finanziamento delle spese di parte corrente. A differenza delle disposizioni oggetto del decreto in esame, il medesimo comma 14 specifica che le variazioni disposte con i decreti hanno effetto esclusivamente per l'esercizio in corso.

[8]     L. 4 marzo 2009, n. 15, Delega al Governo finalizzata all'ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e alla efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni nonché disposizioni integrative delle funzioni attribuite al Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro e alla Corte dei conti.

[9]     D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, Attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni.

[10]    I dati e gli elementi forniti dalla relazione tecnica riferita al testo originario non sono stati modificati nella RT riferita al testo definitivo, fatta eccezione per le parti del testo non più presenti nel testo definitivo in esame: come in precedenza segnalato, a seguito dell’approvazione dell’emendamento 1.1000 è stata soppressa la disposizione che consentiva una riduzione dei risparmi richiesti ai Ministeri per il 2012 (6 miliardi) in relazione al maggior gettito atteso dalla cd. “Robin tax” (e, in particolare, di un importo fino al 50 per cento delle maggiori entrate previste dall’articolo 7 del presente decreto: 1,8 miliardi di euro, nel testo originario del decreto legge).

[11]    "Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria", convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133.

[12]    "Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni finanziarie urgenti", convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2009, n. 14.

[13]    "Proroga di termini previsti da disposizioni legislative", convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2010, n. 25.

[14]    Si ricorda che, ai sensi dell’articolo 3 del decreto legislativo 165/2001, sono tuttora in regime di diritto pubblico e rimangono quindi disciplinati dai rispettivi ordinamenti in deroga alle norme generali sulla “privatizzazione” e “contrattualizzazione” dei rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni (di cui all’art. 2, commi 2 e 3, del medesimo decreto):

a)    i magistrati ordinari, amministrativi e contabili; gli avvocati e procuratori dello Stato; il personale militare e le Forze di polizia di Stato; il personale della carriera diplomatica e della carriera prefettizia; i dipendenti degli enti che svolgono la loro attività nelle materie contemplate dall'art. 1 del decreto legislativo Capo provv. dello Stato 691/1947, dalla legge 281/1985 e dalla legge 287/1990, cioè sostanzialmente nelle materie della vigilanza sul mercato dei valori mobiliari, della tutela del risparmio e della tutela della concorrenza e del mercato (quali Banca d’Italia, Consob, Autorità garante della concorrenza e del mercato) (art. 3, comma 1);

b)    il personale, anche di livello dirigenziale, del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, esclusi il personale volontario (art. 3, comma 1-bis);

c)     il personale della carriera dirigenziale penitenziaria (art. 3, comma 1-ter);

d)    i professori e i ricercatori universitari (art. 3, comma 2).

[15]    "Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica", convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122.

[16]    "Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2010 e bilancio pluriennale per il triennio 2010-2012".

[17]    Si tratta dei già citati articolo 74, comma 1, del decreto legge n. 112/2008 e articolo 2, comma 8-bis , del decreto legge n. 194/2009.

[18]    Cfr. Servizio del Bilancio, Senato della Repubblica, Nota di lettura n. 110, Edizione provvisoria, pag. 8.

[19]    Derivanti dall’articolo 10, commi 2 e 12, primo periodo, del DL n. 98/2011, come integrati dalle ulteriori riduzioni disposte dall’articolo 1, comma 1, del decreto in esame

[20]    Da adottare con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze.

[21]    Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria.

[22]    Si ricorda che l’articolo 20, comma 5, del D.L. n. 98/2011, ha imposto alle autonomie territoriali, a partire dal 2013, un concorso alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica, ulteriore a quello già definito dal D.L. n. 78/2010, nella seguente misura, in termini di indebitamento di fabbisogno e di indebitamento netto (milioni di euro):

 

2013

2014 e seg.

Regioni statuto ordinario

800

1.600

Autonomie speciali

1.000

2.000

Province

400

800

Comuni > 5.000 ab.

1.000

2.000

Totale

3.200

6.400

 

[23]    Il D.L. n. 78/2010, all’articolo 14, comma 1, ha determinato nei seguenti importi il concorso delle autonomie territoriali alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica per il triennio 2011-2013, in termini di fabbisogno e indebitamento netto:

a)       per le regioni a statuto ordinario: 4.000 milioni per il 2011 e 4.500 milioni a decorrere dal 2012;

b)       per le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e Bolzano: 500 milioni per il 2011 e 1.000 milioni di euro a decorrere dall’anno 2012;

c)       per le province: 300 milioni per l’anno 2011 e 500 milioni a decorrere dall’anno 2012;

d)       per i comuni (con popolazione superiore a 5.000 abitanti): 1.500 milioni per l’anno 2011 e 2.500 milioni a decorrere dall’anno 2012.

      Si ricorda che i risparmi sopra indicati sono stati già garantiti attraverso la riduzione dei trasferimenti erariali disposta, nei medesimi importi per il 2011 e a decorrere dal 2012, dal comma 2 del medesimo articolo 14.

[24]    Si veda il Dossier del servizio Studi della Camera Progetti di legge n. 522/1 del 5 agosto 2011.

[25]    Tale esigenza appare particolarmente significativa considerando l’ammontare cumulato, di seguito richiamato, dei risparmi a carico delle amministrazioni locali attesi dalle tre manovre disposte nell’arco di circa un anno (DL 78/2010, DL 98/2011 e DL 138/2011 in esame):

(mln. euro)

2012

2013

2014 e ss.

Risparmi art. 14, comma 1, DL n. 78/2010, art. 14, comma 1:

 

 

 

-        Regioni a statuto ordinario

4.500

4.500

4.500

-        Regioni a statuto speciale e Prov. autonome

1.000

1.000

1.000

-        Province

500

500

500

-        Comuni > 5.000 abitanti

2.500

2.500

2.500

TOTALE DL 78/2010

8.500

8.500

8.500

Risparmi DL n. 98/2011, art. 20, comma 5:

 

 

 

-        Regioni a statuto ordinario

 

800

1.600

-        Regioni a statuto speciale e Prov. autonome

 

1.000

2.000

-        Province

 

400

800

-        Comuni > 5.000 abitanti

 

1.000

2.000

TOTALE DL 98/2011

 

3.200

6.400

Risparmi DL n. 138/2011, art. 1, comma 8:

 

 

 

-        Regioni a statuto ordinario

1.600

800

 

-        Regioni a statuto speciale e Prov. autonome

2.000

1.000

 

-        Province

700

400

 

-        Comuni > 5.000 abitanti

1.700

1.000

 

TOTALE DL 138/2011 (*)

6.000

3.200

 

TOTALE COMPLESSIVO (*)

14.500

14.900

14.900

          (*) Gli importi indicati per il 2012, non considerano la citata riduzione di 1.800 mln complessivi, prevista dal comma 12 dell’art. in esame, che potrà essere deliberata dallo stato a valere sulle risorse della cd “Robin tax

[26]    A decorrere dal 2012 i parametri fissati dalla legge finanziaria per il 2011 risultano commisurati ad un’entità della manovra inferiore a quella disposta dal provvedimento in esame e ad una distribuzione della correzione dei conti diversa da quella prevista dai criteri di virtuosità successivamente fissati.

[27]    Cfr. L’art. 14, comma 2, del DL n. 78/2010.

[28]    Disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario.

[29]    Disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale.

[30]    Disposizioni urgenti per salvaguardare il potere di acquisto delle famiglie.

[31]    Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2011).

[32]    Si ricorda che l’articolo 78 del D.L. n. 112/2008, al fine di favorire il rientro dalla situazione di indebitamento del Comune di Roma, ha disposto la nomina del Sindaco a Commissario straordinario del Governo, con il compito di provvedere alla ricognizione della situazione economico-finanziaria del Comune e delle società da esso partecipate e di predisporre ed attuare un piano di rientro dall’indebitamento pregresso del Comune. Tale piano di rientro è stato presentato dal Commissario straordinario il 5 dicembre 2008 ed approvato con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri in pari data.

      Nelle more dell’approvazione del piano di rientro, il comma 8 dell’articolo 78 del D.L. n. 112 aveva autorizzato la Cassa Depositi e Prestiti S.p.A. a concedere al Comune di Roma una anticipazione di 500 milioni di euro per il 2008, al fine di superare la grave situazione di mancanza di liquidità che il Comune di Roma si trovava ad affrontare.

      Successivamente, il D.L. n. 154/2008, all’articolo 5, comma 3, ha previsto per le medesime finalità del suddetto articolo 78 l’attribuzione al Comune di Roma di un analogo contributo di 500 milioni di euro anche per l’anno 2009, a valere sulle risorse del Fondo per le aree sottoutilizzate assegnate con delibera CIPE del 30 settembre 2008.

      Il medesimo comma 3, ultimo periodo, ha altresì disposto, ai fini del rifinanziamento annuale del piano di rientro, che a decorrere dall’anno 2010, in sede di attuazione dell’articolo 119 della Costituzione, venga riservato prioritariamente a favore di Roma Capitale un contributo annuale di 500 milioni di euro nell’ambito delle risorse disponibili.

      Per l’anno 2010, l’articolo 2, comma 195, della finanziaria per il 2010 (legge n. 191/2009) ha attribuito al Commissario straordinario del Governo un contributo pari a complessivi 500 milioni di euro, attraverso assegnazione di quote dei fondi comuni di investimento immobiliari costituiti ai sensi del comma 189 dell’articolo 2 della finanziaria medesima ovvero attraverso i proventi realizzati con i trasferimenti degli immobili stessi ai fondi comuni.

      A partire dall’anno 2011, il rifinanziamento annuale del piano di rientro dall’indebitamento del Comune di Roma è disposto, ai sensi dell’articolo 14, comma 14, del D.L. n. 78/2010, attraverso la costituzione di un apposito fondo presso il Ministero dell’economia, dotato di 300 milioni di euro annui. Poiché il richiamato D.L. n. 154/2008 prevede all’art. 5, comma 3, un contributo annuale di 500 milioni di euro, il D.L. n. 78/2010 dispone che la restante quota delle somme occorrenti, pari a 200 milioni, venga reperita dal Comune attraverso l’istituzione di un'addizionale sui diritti di imbarco negli aeroporti di Roma ovvero l’incremento dell'addizionale comunale IRPEF fino al limite massimo dello 0,4%.

[33]    Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria.

[34]    Disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario.

[35]    D.L. 30 settembre 2005, n. 203, recante misure di contrasto all'evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria e convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 2 dicembre 2005, n. 248. In particolare, l’articolo 1, comma 1, dispone che per potenziare l'azione di contrasto all'evasione fiscale e contributiva, in attuazione dei principi di economicità, efficienza e collaborazione amministrativa, la partecipazione dei comuni all'accertamento fiscale e contributivo è incentivata mediante il riconoscimento di una quota delle maggiori somme relative a tributi statali riscosse a titolo definitivo nonché delle sanzioni civili applicate sui maggiori contributi riscossi a titolo definitivo, a seguito dell'intervento del comune che abbia contribuito all'accertamento stesso.

[36]    D.L. 31 maggio 2010, n. 78, recante misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica e convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 30 luglio 2010, n. 122.

[37]    Recante disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi.

[38]    http://www.comune.castiglione.mn.it/servizi/regolamenti/regolamenti_fase02.aspx?ID=153; http://www.comune.oderzo.tv.it/news1/istituzione-del-consiglio-tributario

[39]    D.L. 25 giugno 2008, n. 112, recante disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria e convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, L. 6 agosto 2008, n. 133..

[40]    D.L. 25 giugno 2008, n. 112, recante disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria e convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, L. 6 agosto 2008, n. 133.

[41]    Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, legge 15 luglio 2011, n. 111.

[42]    Tale reintegro è stato accordato a fronte del completo adempimento da parte delle regioni dell’accordo del 12 febbraio 2009, sancito dall’intesa dell’8 aprile 2009, in materia di ammortizzatori sociali in deroga da finanziare tramite il cofinanziamento del Fondo sociale europeo.

[43]    Recante disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario in attuazione delle deleghe previste dalla legge n. 42/2009.

[44]    "Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria", convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111.

[45]    Per i quali la disciplina del dissesto finanziario è dettata dagli artt. 244 e ss. del Testo unico degli enti locali di cui al decreto legislativo 267/2000.

[46]    "Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria", convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133.

[47]    Decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, “Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria”, convertito dalla legge 6 agosto 2008, n. 133.

[48]    “Norme per il riordinamento del sistema previdenziale dei lavoratori privati e pubblici, a norma dell'articolo 3 della L. 23 ottobre 1992, n. 421”.

[49]    Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche.

[50]    D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, Attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni.

[51]    D.Lgs. 19 maggio 2000, n. 139, Disposizioni in materia di rapporto di impiego del personale della carriera prefettizia, a norma dell'articolo 10 della L. 28 luglio 1999, n. 266.

[52]    “Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”.

[53]    Tale disposizione ha introdotto una innovazione di non poco conto rispetto alla normativa previgente, che invece riconosceva il diritto alla conservazione del trattamento economico più favorevole (principio del “divieto di reformatio in pejus”), nel caso di mobilità.

[54]    Tali economie, ancorché non sia specificato nella relazione tecnica, sono ascrivibili ai tre saldi.

[55]    Si segnala che tale relazione tecnica affermava che gli effetti di contenimento della spesa pensionistica e della sua incidenza in rapporto al PIL, che avrebbero iniziato ad evidenziarsi a partire dal 2021 per un importo pari a 145 milioni di euro, sarebbero risultati strutturali e con andamento significativamente crescente. L’incidenza della spesa rispetto al PIL era indicata di circa 0,1 punti percentuali nel periodo 2024-2026 e di circa 0,4 punti percentuali nel decennio 2031-2040, per poi scendere gradualmente fino ad azzerarsi intorno al 2050.

[56]    Anche tali economie, ancorché non sia specificato nella relazione tecnica, sono ascrivibili ai tre saldi.

[57]    Tale andamento dipende sia dalla struttura demografica della base assicurativa sia dallo stratificarsi (prima dell’entrata in vigore del complesso delle disposizioni in esame dirette ad allineare gradualmente il requisito anagrafico per il pensionamento di vecchiaia delle lavoratrici del settore privato a quello della generalità dei lavoratori) di soggetti che, in luogo dei requisiti del pensionamento anticipato, maturano prima i più bassi requisiti del pensionamento di vecchiaia (per tali soggetti, ovviamente, il periodo medio di posticipo è, a regime, inferiore all’incremento del requisito anagrafico per il permanere comunque della possibilità di accesso anticipato).

[58]    “Misure urgenti per il riequilibrio della finanza pubblica”.

[59]    Si ricorda che ulteriori disposizioni per il personale del comparto scuola (relative alla decorrenza dei trattamenti pensionistici) sono contenute nell’articolo 1, comma 21, del decreto-legge in esame, alla cui scheda di lettura si rimanda (anche per quanto concerne la disciplina vigente della decorrenza dei trattamenti pensionistici del personale della scuola, di cui all’articolo 59, comma 9, della legge n. 449 del 1997).

[60]    Si segnala che la relazione tecnica indica, verosimilmente per un errore materiale, in 73.500 euro l’importo medio dell’indennità ma, trattandosi dei medesimi soggetti già considerati al precedente comma 21, l’importo medio dell’indennità appare piuttosto di 72.500 euro come sopra riportato dalla medesima relazione tecnica.

[61]    Previsti dagli articoli 9 e 12 dell’intesa Stato-regioni del 23 marzo 2005. Si tratta, in particolare, del Comitato paritetico permanente per la verifica dell'erogazione dei Livelli Essenziali di Assistenza in condizioni di appropriatezza e di efficienza nell'utilizzo delle risorse e per la verifica della congruità tra le prestazioni da erogare e le risorse messe a disposizione, istituito presso il Ministero della salute, e del Tavolo tecnico per la verifica degli adempimenti, istituito presso il Ministero dell’economia e delle finanze.

[62]    Ai sensi dell'art. 1, comma 174, della L. 30 dicembre 2004, n. 311 (legge finanziaria 2005), e successive modificazioni.

[63]    Il presidente della regione è nominato commissario ad acta dopo la diffida, da parte del Governo, nei confronti della regione inadempiente e lo spirare del termine successivo alla diffida.

[64]    Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2010).

[65]    Misure urgenti per il settore dei trasporti e disposizioni in materia finanziaria.

[66]    Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria.

[67]    L. 27 maggio 1949, n. 260, Disposizioni in materia di ricorrenze festive.

[68]    Riconoscimento come giorni festivi di festività religiose determinate d'intesa tra la Repubblica italiana e la Santa Sede ai sensi dell'art. 6 dell'accordo, con protocollo addizionale, firmato a Roma il 18 febbraio 1984 e ratificato con legge 25 marzo 1985, n. 121.

[69]    Disposizioni in materia di giorni festivi.

[70]    Istituzione della «Giornata della memoria dei marinai scomparsi in mare».

[71]    Istituzione del «Giorno del ricordo» in memoria delle vittime delle foibe, dell'esodo giuliano-dalmata, delle vicende del confine orientale e concessione di un riconoscimento ai congiunti degli infoibati".

[72]    Riconoscimento del 4 ottobre quale solennità civile e giornata della pace, della fraternità e del dialogo tra appartenenti a culture e religioni diverse, in onore dei Patroni speciali d'Italia San Francesco d'Assisi e Santa Caterina da Siena.

[73]    Istituzione della Giornata Nazionale del Braille.

[74]    Istituzione della «Giornata del ricordo dei Caduti militari e civili nelle missioni internazionali per la pace».

[75]    Istituzione della Giornata nazionale in memoria delle vittime dei disastri ambientali e industriali causati dall'incuria dell'uomo.

[76]    Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, nella sentenza n. 263 del 12 aprile 2007, ha escluso che l'elencazione delle festività previste dalla legge possa essere integrata "per una consuetudine che trova esplicito riconoscimento nell'intesa tra Stato e Santa Sede, cui rinvia l'art. della l. 121/1985, esclusivamente per la città di Roma", come invece aveva sostenuto il Tribunale amministrativo regione della Sicilia - sezione staccata di Catania, nella sentenza 478 del 28 marzo 2006.

[77]    Si ricorda che, ai sensi dell’articolo 97, comma 2, del D.Lgs. n. 267/2000, il segretario comunale e provinciale svolge compiti di collaborazione e funzioni di assistenza giuridico-amministrativa nei confronti degli organi dell'ente in ordine alla conformità dell'azione amministrativa alle leggi, allo statuto ed ai regolamenti.

[78]    Il decreto del Ministero dell'economia del 18 marzo 2011 (Certificazione relativa al rispetto degli obiettivi del patto di stabilità interno per l’anno 2010 delle province e dei comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti), reca all’articolo 2 la previsione della pubblicazione del decreto medesimo nella Gazzetta Ufficiale.

[79]    Nelle more dell’approvazione del piano di rientro, il comma 8 dell’articolo 78 del D.L. n. 112 aveva autorizzato la Cassa Depositi e Prestiti S.p.A. a concedere al Comune di Roma una anticipazione di 500 milioni di euro per il 2008, al fine di superare la grave situazione di mancanza di liquidità che il Comune di Roma si trovava ad affrontare. Le somme anticipate dalla Cassa Depositi e prestiti sono state restituite ai sensi del D.L. n. 154/2008, che all’articolo 5, comma 1, ha previsto l’attribuzione al comune di Roma di un contributo di 500 milioni per l’anno 2008, finalizzato proprio al rimborso alla Cassa della somma erogata a titolo di anticipazione ai sensi dell’art. 78 del D.L. n. 112/2008.

      Successivamente, il D.L. n. 154/2008, all’articolo 5, comma 3, ha previsto per le medesime finalità del suddetto articolo 78 del D.L. n. 112 l’attribuzione al Comune di Roma di un analogo contributo di 500 milioni di euro anche per l’anno 2009, a valere sulle risorse del Fondo per le aree sottoutilizzate assegnate con delibera CIPE del 30 settembre 2008.

      Il medesimo comma 3, ultimo periodo, ha altresì disposto, ai fini del rifinanziamento annuale del piano di rientro, che a decorrere dal 2010, in sede di attuazione dell’articolo 119 della Costituzione, venga riservato prioritariamente a favore di Roma Capitale un contributo annuale di 500 milioni di euro nell’ambito delle risorse disponibili.

      Anche per l’anno 2010, l’articolo 2, comma 195, della finanziaria per il 2010 (legge n. 191/2009) ha pertanto attribuito al Commissario straordinario del Governo un contributo pari a complessivi 500 milioni di euro.

[80]    Si ricorda che con D.P.C.M. 18 maggio 2011 sono già state ripartite le risorse finanziarie previste dall’articolo 1, comma 40, della legge di stabilità 2011 in favore delle finalità indicate nell’elenco 1, per un importo complessivo di 624 milioni di euro, rinviando ad ulteriore decreto il riparto dei 250 milioni di euro dell’ultima voce del richiamato elenco 1, da destinare a finalità varie, previo parere delle competenti Commissioni parlamentari.

[81]    Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria.

[82]    L’Associazione R.ETE. Imprese Italia nasce come evoluzione del “Patto del Capranica”, stretto tra Casartigiani, CNA, Confartigianato, Confcommercio e Confesercenti. L’Associazione dialoga attivamente con gli attori istituzionali, sociali, economici, di livello locale, nazionale ed internazionale; elabora programmi e proposte sulle questioni di interesse comune alle imprese aderenti alle Organizzazioni fondatrici; promuove presso la società civile i valori dell’impresa, del lavoro e dell’etica imprenditoriale, anche mediante la funzione di impulso culturale della Fondazione R.ETE. Imprese Italia; favorisce l’integrazione sociale, culturale e politica degli imprenditori del territorio e delle Organizzazioni che attualmente li rappresentano, con l’obiettivo di rafforzarne progressivamente il vincolo associativo.

[83]    L’articolo 1, comma 2, del D.Lgs. 165/2001 chiarisce che per amministrazioni pubbliche debbono intendersi tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l’ARAN e le Agenzie istituite dal D.Lgs. 300/1999 (Agenzia industrie difesa; Agenzia per le normative e i controlli tecnici; Agenzia per la proprietà industriale; Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici; Agenzia dei rapporti terrestri e delle infrastrutture; Agenzia per la formazione e l’istruzione professionale; Agenzie fiscali (entrate, dogane, territorio, demanio).

[84]    “Attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni”.

[85]    “Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria”.

[86]    A meno che con il primo periodo non si intenda rinviare ad accordi contrattuali la definizione di una nuova disciplina concernente il luogo dove rendere la prestazione di lavoro.

[87]    "Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria", convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111.

[88]    "Disposizioni per il riordino della dirigenza statale e per favorire lo scambio di esperienze e l'interazione tra pubblico e privato".

[89]    "Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche".

[90]    "Disposizioni urgenti per l'università e la ricerca, per i beni e le attività culturali, per il completamento di grandi opere strategiche, per la mobilità dei pubblici dipendenti, e per semplificare gli adempimenti relativi a imposte di bollo e tasse di concessione, nonché altre misure urgenti", convertito, con modificazioni, dalla legge 31 marzo 2005, n. 43.

[91]    "Ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri, a norma dell'articolo 11 della L. 15 marzo 1997, n. 59".

[92]    "Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche".

[93]    "Istituzione e ordinamento dei servizi per le informazioni e la sicurezza e disciplina del segreto di Stato".

[94]    Analoga richiesta di chiarimento è stata formulata nel corso dell’esame in prima lettura presso il Senato (v. Servizio Bilancio – Nota di lettura n. 110 dell’agosto 2011).

[95]    “Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato”. Tale disposizione ha previsto che la base pensionabile ai fini della determinazione della misura del trattamento di quiescenza dei dipendenti civili, costituita dall'ultimo stipendio o dall'ultima paga o retribuzione e da specifici assegni o indennità pensionabili integralmente percepiti, debba essere aumentata del 18%. Le provvidenze richiamate sono: indennità di funzione per i dirigenti superiori e per i primi dirigenti (articolo 47 del D.P.R.: 748/19752); assegno perequativo e assegno personale pensionabile per gli impiegati civili, di ruolo e non di ruolo e per gli operai dello Stato (L. 734/1973); indennità ed assegno personale pensionabile per il personale di ruolo e non di ruolo, compreso quello operaio, dell'Amministrazione delle poste e delle telecomunicazioni e dell'Azienda di Stato per i servizi telefonici (articolo 1 della L. 728/1973); assegno annuo per il personale insegnante delle università e degli istituti di istruzione universitaria, fuori ruolo ed incaricato (articolo 12 del D.L. 580/1973); assegno annuo per il personale ispettivo, direttivo, docente e non docente della scuola materna, elementare, secondaria ed artistica (articolo 12 della L. 477/1973); indennità e assegno personale pensionabili per il personale di ruolo e non di ruolo e il personale operaio dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato (articolo 1 della L. 851/1973); assegno personale (articolo 202 del D.P.R. 3/1957).

[96]    "Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria", convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111.

[97]    Nuove disposizioni sull'amministrazione del patrimonio e sulla contabilità generale dello Stato.

[98]    Tale interpretazione è confermata anche dalla relazione illustrativa al DL 194/2002, con cui il termine di mantenimento in bilancio (come residui) delle somme relative alle spese in conto capitale non impegnate e non erogate era stato ridotto da 3 anni a 1 anno (articolo 1, comma 6, del DL 194/2002). Si ricorda tuttavia che a tale norma non erano stati ascritti effetti finanziari.

[99]    La RT al DL 98/2011 considerava infatti tale disposizione suscettibile di produrre, per gli esercizi successivi a quelli terminali dei singoli stanziamenti, effetti di maggiore spesa rispetto a quella già scontata nei tendenziali.

[100]  Disciplina del trattamento economico per i dipendenti delle pubbliche amministrazioni in servizio all’estero, a norma dell’articolo 1, commi da 138 a 142, della legge 23 dicembre 1996, n. 662.

[101]  L. 18 giugno 2009, n. 69, Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile.

[102]  D.L. 31 maggio 2010, n. 78, recante misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica e convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, L. 30 luglio 2010, n. 122.

[103]  D.L. 6 luglio 2011, n. 98, recante disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria e convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, L. 15 luglio 2011, n. 111.

[104]  In base ad elaborazioni effettuate dal Servizio Bilancio della Camera, la clausola di salvaguardia opera per redditi complessivi di importo superiore a 165.000 euro.

[105]  Relazione tecnica identica, per questa parte, alla RT riferita maxiemendamento approvato in prima lettura dal Senato.

[106]  Si tratta sostanzialmente della gran parte degli enti ricompresi nel settore della pubblica amministrazione, per i quali, come è noto, in taluni casi decorrono tempi non brevi tra il momento dell’emissione della fattura e l’effettivo pagamento. In particolare il quinto comma dell’articolo 6 del D.P.R. n. 633 si riferisce, oltre che allo Stato e agli organi dello Stato ancorché dotati di personalità giuridica, agli enti pubblici territoriali e ai consorzi tra essi costituiti, alle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, agli istituti universitari, alle unità sanitarie locali, agli enti ospedalieri, agli enti pubblici di ricovero e cura aventi prevalente carattere scientifico, agli enti pubblici di assistenza e beneficenza e a quelli di previdenza.

[107]  Testo unico delle disposizioni legislative concernenti le imposte sulla produzione e sui consumi e relative sanzioni penali e amministrative.

[108]  Giochi e accise sulle sigarette.

[109]  DL 39/2009: +500 milioni annui a decorrere dal 2010.

      DL 98/2011: +482 milioni di euro nel 2012 e +501 milioni annui a decorrere dal 2013.

[110]  Come detto, i dati sulla raccolta 2010 e 2011 sono di fonte Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato.

      I dati sul gettito erariale sono di fonte MEF - Dipartimento delle Finanze - Bollettino delle entrate tributarie n. 112 (agosto 2011), riferito ai mesi gennaio-giugno 2011. Quest’ultimo riporta la seguente rilevazione sugli incassi: «Le entrate totali relative ai giochi (che includono varie imposte classificate sia come imposte dirette che come indirette), sono risultate 3.764 milioni di euro (+459 milioni di euro, pari a +13,9%)». «Hanno contribuito alla significativa crescita delle entrate relative ai giochi in particolare i proventi del lotto (+39,9%) e quelli degli apparecchi e congegni di gioco(+13,4%)». Tali indicazioni vengono confermate con l’assestamento del bilancio dello Stato 2011 (A.S. 2804) che reca alla voce “Lotto” dello stato di previsione dell’entrata una variazione in aumento pari a 587 milioni di euro per il medesimo anno 2011.

      Si ricorda infine che – secondo i dati dell’Amministrazione dei Monopoli - il gettito complessivo per il settore dei giochi nel 2010 è stato di circa 9,4 miliardi di euro (8,7 mld. a carattere permanente + 1,2 mld. una tantum per l’aggiudicazione di concessioni nei settori degli apparecchi da intrattenimento e delle lotterie ad estrazione istantanea).

[111]  Per esempio mediante un contenimento delle vincite in denaro, un aumento del prelievo erariale unico o una riduzione dei compensi per le attività di gestione e di vendita.

[112]  Nel corso dell’esame presso il Senato è stato fatto riferimento alla possibilità che un incremento significativo dei prezzi al consumo possa incentivare fenomeni di evasione (ricorso a prodotti di contrabbando) o elusivi (nelle aree frontaliere, trasferimento di una quota dei consumi verso Stati in cui il prezzo delle sigarette è più basso). V. Servizio Bilancio del Senato: Nota di lettura n. 110 dell’agosto 2011.

[113]  Audizione svoltasi il 30 agosto 2011.

[114]  Sigarette che, al momento dell’audizione della Corte, costituivano l’unico prodotto la cui accisa avrebbe potuto essere incrementata in base al testo del decreto legge, considerato che il Senato non aveva ancora approvato l’emendamento 2.23 (con cui il campo di intervento è stato allargato dalle “sigarette” ai “tabacchi lavorati”).

[115]  Attuazione della direttiva 2005/60/CE concernente la prevenzione dell'utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo nonché della direttiva 2006/70/CE che ne reca misure di esecuzione.

[116]  Cfr. la circolare di Presidenti delle Camere 20 aprile 2001, "Regole e raccomandazioni per la formulazione tecnica dei testi legislativi", n. 3, lettera a).

[117]  Ossia al 29 dicembre 2007.

[118]  Riforma delle sanzioni tributarie non penali in materia di imposte dirette, di imposta sul valore aggiunto e di riscossione dei tributi, a norma dell'articolo 3, comma 133, lettera q), della legge 23 dicembre 1996, n. 662.

[119]  Recante disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie, a norma dell'articolo 3, comma 133, della legge 23 dicembre 1996, n. 662.

[120]  Tra i criteri di delega per il riordino della tassazione delle rendite finanziarie che l'A.C. 4566 individua si riportano i seguenti:

1)       previsione, per i redditi di capitale e i redditi diversi di natura finanziaria, dell’introduzione di un’aliquota unica non superiore al 20 per cento in luogo delle due aliquote del 12,50 e del 27 per cento attualmente vigenti, facendo salva l’applicazione delle minori aliquote introdotte in adempimento di obblighi derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea. Sono esclusi dall’ambito applicativo di tale previsione i titoli pubblici;

2)       introduzione di un livello di aliquota più basso rispetto a quello stabilito con il primo criterio direttivo per l’imposizione sui redditi di natura finanziaria derivanti da piani di risparmio a lungo termine appositamente istituiti e da forme di previdenza complementare: ciò al fine di incentivare il risparmio a lungo termine e quello di natura previdenziale;

3)       definizione di termini di decorrenza dell’applicazione della nuova disciplina, con la facoltà di introdurre regimi di carattere transitorio per consentire l’applicazione delle aliquote delle ritenute e delle imposte sostitutive previgenti sui redditi di natura finanziaria maturati fino alla data di entrata in vigore della nuova disciplina allorché, in base ai nuovi criteri di decorrenza, tali redditi sarebbero soggetti alla nuova maggiore aliquota.

[121]  Elenco degli Stati con i quali è attuabile lo scambio di informazioni ai sensi delle convenzioni per evitare le doppie imposizioni sul reddito in vigore con la Repubblica italiana.

[122]  Si ricorda che a tali strumenti - e alla possibilità di istituire uno specifico regime fiscale di favore - si è fatto riferimento nel corso dell'indagine conoscitiva sui mercati degli strumenti finanziari svolta dalla Commissione Finanze della Camera dei deputati. I piani individuali di risparmio illustrati in tale sede prevedono una durata non inferiore a cinque anni e un limite annuo ai versamenti effettuabili; si tratterebbe in sostanza di strumenti di investimento a lungo termine, alternativi alla previdenza obbligatoria e a quella complementare, caratterizzati da stringenti vincoli all’utilizzo delle somme investite, analogamente a quanto previsto in altri stati dell’Unione europea (ad esempio, i Plans d’Epargne en Actions in Francia e gli Individual Savings Accounts nel Regno Unito).

[123]  Il dato di cassa è calcolato come 11/12 del valore dei capitoli 1026/6 e 1026/18.

[124]  Sono possibili arrotondamenti

[125]  In relazione alla voce n. 2) sono stati considerati, per la quantificazione del gettito di cassa 2012, solo i capitoli 1026/6 e 1026/18.

[126]  L’ammontare iscritto nel capitolo 1034/04 del rendiconto 2010 risulta pari a 457 milioni. Rispetto a tale voce, sono stati quantificati prima effetti di maggior gettito legati all’incremento di aliquota da 12,50% a 20% (tabella A) e successivamente gli effetti dovuti all’esercizio dell’opzione per l’affrancamento delle plusvalenze latenti.

[127]  L’ammontare iscritto al capitolo 1026/18 del rendiconto 2010 risulta pari a 163 milioni. Rispetto a tale voce, sono stati quantificati prima gli effetti di maggior gettito legati all’incremento di aliquota da 12,5% a 20% (tabella A) e successivamente gli effetti dovuti all’esercizio dell’opzione per l’affrancamento delle plusvalenze latenti.

[128]  Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica.

[129]  Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2003).

[130]  Recante disposizioni per la semplificazione e la razionalizzazione del sistema tributario e per il funzionamento dell'Amministrazione finanziaria, nonché disposizioni varie di carattere finanziario.

[131]  Regolamento recante disposizioni concernenti i tempi e le modalità di applicazione degli studi di settore.

[132]  Convertito dalla legge 15 luglio 2011, n. 111.

[133]  Si ricorda, peraltro, che tale disciplina è stata già pesantemente novellata dall’art. 37, comma 6, del D.L. 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, che ha rivisto, elevandoli, alcuni importi del contributo unificato.

[134]  Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413.

[135]  Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, L. 15 luglio 2011, n. 111.

[136]  "Attuazione dell'articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali". Si ricorda che il tentativo di mediazione riveste carattere obbligatorio, e costituisce quindi condizione di procedibilità dell’azione giudiziaria, soltanto rispetto ad alcune specifiche categorie di controversie. Nella scelta di tali controversie, il Governo si è attenuto ai seguenti criteri: a) rapporti destinati a prolungarsi nel tempo o in cui sono coinvolti soggetti appartenenti alla stessa famiglia, gruppo sociale o area territoriale, per i quali appaiono preferibili soluzioni extragiudiziali che meglio consentono la prosecuzione del rapporto (condominio, locazione, comodato, affitto di azienda, diritti reali, divisione, successioni, patto di famiglia); b) rapporti particolarmente conflittuali, rispetto ai quali appare più fertile il terreno della composizione giudiziale (responsabilità medica e diffamazione a mezzo stampa); c) tipologie contrattuali che, oltre a sottendere rapporti duraturi tra le parti, conoscono una diffusione di massa (contratti assicurativi, bancari e finanziari).

      Le disposizioni in materia di mediazione obbligatoria sono entrate in vigore il 20 marzo 2011. Fanno eccezione le controversie in materia di condominio e di risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, che entreranno in vigore il 20 marzo 2012.

[137]  D.L. 6 luglio 2011, n. 98, recante disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria e convertito in legge dalla L. 15 luglio 2011, n. 111.

[138]  Recante modifiche alla legge 31 dicembre 2009, n. 196, conseguenti alle nuove regole adottate dall'Unione europea in materia di coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri.

[139]  Recante modificazioni alla disciplina dell'imposta sul reddito delle persone giuridiche e al regime tributario dei dividendi e degli aumenti di capitale, adeguamento del capitale minimo delle società e altre norme in materia fiscale e societaria.

[140]  Nella relazione tecnica, a causa di un mero errore materiale, nella formula non è riportata la quota del 10 per cento, che è stata tuttavia applicata nel calcolo, come si evince dal risultato finale.

[141]  Per semplicità, ai soli fini espositivi, si considerano le imprese con periodo d’imposta coincidenti con l’anno solare.

[142]  Si tratta della sanzione prevista dall’articolo 11, comma 1, lettera a), del decreto legislativo n. 471/1997 nel caso di “omissione di ogni comunicazione prescritta dalla legge tributaria anche se non richiesta dagli uffici o dalla Guardia di finanza al contribuente o a terzi nell'esercizio dei poteri di verifica ed accertamento in materia di imposte dirette e di imposta sul valore aggiunto o invio di tali comunicazioni con dati incompleti o non veritieri”.

[143]  Recante disposizioni relative all'anagrafe tributaria e al codice fiscale dei contribuenti.

[144]  Recante disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi.

[145]  Tale disposizione non è stata oggetto di approvazione.

[146]  Decreto del Presidente della Repubblica 21 dicembre 1996, n. 696, regolamento recante norme per la semplificazione degli obblighi di certificazione dei corrispettivi.

[147]  D.Lgs. 18 dicembre 1997 n. 471, recante la riforma delle sanzioni tributarie non penali in materia di imposte dirette, di imposta sul valore aggiunto e di riscossione dei tributi, a norma dell'articolo 3, comma 133, lettera q), della legge 23 dicembre 1996, n. 662.

[148]  Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell'articolo 9 della L. 25 giugno 1999, n. 205.

[149]  Si tratta delle seguenti fattispecie: art. 2, Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti; art. 3, Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici; art. 4, Dichiarazione infedele; art. 5, Omessa dichiarazione; art. 8, Emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti; art. 10, Occultamento o distruzione di documenti contabili.

[150]  Si tratta delle seguenti fattispecie: art. 2, Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti; art. 3, Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici; art. 4, Dichiarazione infedele; art. 5, Omessa dichiarazione; art. 8, Emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti; art. 10, Occultamento o distruzione di documenti contabili.

[151]  Nota trasmessa alla Commissione Bilancio in data 8 settembre 2011.

[152]  Recante disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi.

[153]  D.Lgs. 18 dicembre 1997 n. 471, recante la riforma delle sanzioni tributarie non penali in materia di imposte dirette, di imposta sul valore aggiunto e di riscossione dei tributi, a norma dell'articolo 3, comma 133, lettera q), della legge 23 dicembre 1996, n. 662.

[154]  Nota trasmessa alla Commissione Bilancio in data 8 settembre 2011.

[155]  Si osserva che applicando il valore riportato nella Nota (0,01%) al totale dei versamenti in autotassazione IRPEF (21.176 milioni di euro) si ottiene un maggior gettito pari a circa 2 milioni di euro. Si presume, pertanto, che nella Nota il valore dello 0,01% sia stato indicato per errore, mentre si intendeva fare riferimento allo 0,1% (=maggior gettito pari a circa 20 milioni di euro).

[156]  Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria.

[157]  Si ricorda che la norma citata indica i seguenti parametri di virtuosità: a) prioritaria considerazione della convergenza tra spesa storica e costi e fabbisogni standard; b) rispetto del patto di stabilità interno; c) incidenza della spesa del personale sulla spesa corrente dell'ente in relazione al numero dei dipendenti in rapporto alla popolazione residente, alle funzioni svolte anche attraverso esternalizzazioni nonché all'ampiezza del territorio; per la valutazione di questo parametro si tiene conto del suo andamento nell'intera legislatura o consiliatura; d) autonomia finanziaria; e) equilibrio di parte corrente; f) tasso di copertura dei costi dei servizi a domanda individuale per gli enti locali; g) rapporto tra gli introiti derivanti dall'effettiva partecipazione all'azione di contrasto all'evasione fiscale e i tributi erariali, per le regioni; h) effettiva partecipazione degli enti locali all'azione di contrasto all'evasione fiscale; i) rapporto tra le entrate di parte corrente riscosse e accertate; l) operazioni di dismissioni di partecipazioni societarie nel rispetto della normativa vigente. Ulteriori criteri di virtuosità sono inoltre considerati dal comma 2-bis dell’articolo 20, che fa riferimento ad indicatori quantitativi e qualitativi relativi agli output dei servizi resi.

[158]  L’art. 33, quinto comma, della Costituzione così dispone: «E' prescritto un esame di Stato per l'ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi e per l'abilitazione all'esercizio professionale».

[159]  Senza pretesa di esaustività, si elencano qui di seguito atti normativi recanti disciplina di alcuni ordini professionali:

-        Legge 16 febbraio 1913, n. 89, Ordinamento del notariato e degli archivi notarili;

-        Legge 24 giugno 1923, n. 1395, Tutela del titolo e dell'esercizio professionale degli ingegneri e degli architetti;

-        R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, Ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore;

-        Legge 9 febbraio 1942, n. 194, Disciplina giuridica della professione di attuario;

-        Legge 29 ottobre 1954, n. 1049, Istituzione dei Collegi delle infermiere professionali, delle assistenti

-        sanitarie visitatrici e delle vigilatrici d'infanzia;

-        Legge 3 febbraio 1963, n. 69, Ordinamento della professione di giornalista;

-        Legge 3 febbraio 1963, n. 112, Disposizioni per la tutela del titolo e della professione di geologo;

-        Legge 4 agosto 1965, n. 1103, Regolamentazione giuridica dell'esercizio dell'arte ausiliaria sanitaria di tecnico di radiologia medica;

-        Legge 24 maggio 1967, n. 396, Ordinamento della professione di biologo;

-        Legge 7 gennaio 1976, n. 3, Ordinamento della professione di dottore agronomo e di dottore forestale;

-        Legge 11 gennaio 1979, n. 12, Norme per l'ordinamento della professione di consulente del lavoro;

-        Legge 18 febbraio 1989, n. 56, Ordinamento della professione di psicologo;

-        Legge 23 marzo 1993, n. 84, Ordinamento della professione di assistente sociale e istituzione dell'albo professionale;

-        Legge 18 gennaio 1994, n. 59, Ordinamento della professione di tecnologo alimentare.

-        Si possono segnalare, inoltre, ulteriori atti di rango legislativo riguardanti disposizioni comuni ai vari ordini, ad esempio:

-        Legge 25 aprile 1938, n. 897, Norme sulla obbligatorietà dell'iscrizione negli albi professionali e sulle funzioni relative alla custodia degli albi;

-        Legge 8 dicembre 1956, n. 1378, Esami di Stato di abilitazione all'esercizio delle professioni.

[160]  Si rammenta che il decreto legge n. 223 del 2006 (c.d. "decreto Bersani") ha abrogato le disposizioni legislative e regolamentari che prevedevano l'obbligatorietà di tariffe fisse o minime ovvero il divieto di pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti. La disposizione in questione ha comunque fatto salve le tariffe massime prefissate in via generale a tutela degli utenti. Inoltre, essa ha confermato che il giudice provvede alla liquidazione delle spese di giudizio e dei compensi professionali, in caso di liquidazione giudiziale e di gratuito patrocinio, sulla base della tariffa professionale. Essa ha inoltre sostituito il terzo comma dell'art. 2233 c.c. con il seguente comma 2-bis: «Sono nulli, se non redatti in forma scritta, i patti conclusi tra gli avvocati ed i praticanti abilitati con i loro clienti che stabiliscono i compensi professionali», in tal modo abrogando il divieto del patto di quota-lite.

      Sul tema delle tariffe è recentemente intervenuta anche la Corte di Giustizia europea che, con sentenza riferita alla causa C-565/08, ha respinto il ricorso della Commissione contro l'Italia sull'obbligatorietà del rispetto delle tariffe massime in relazione ai compensi per gli avvocati. Secondo la Corte, infatti, la Commissione "(...) non è riuscita a dimostrare che la normativa in discussione è concepita in modo da pregiudicare l’accesso, in condizioni di concorrenza normali ed efficaci, al mercato italiano dei servizi di cui trattasi. Va rilevato, al riguardo, che la normativa italiana sugli onorari è caratterizzata da una flessibilità che sembra permettere un corretto compenso per qualsiasi tipo di prestazione fornita dagli avvocati." I limiti alle tariffe per i compensi degli avvocati erano state già prese in considerazione dalla Corte europea in precedenti occasioni. In particolare nella causa C-35/99, Arduino, la Corte ha dichiarato che le norme del Trattato CE non ostavano a che uno Stato membro adottasse una misura legislativa o regolamentare che approvasse, in base ad un progetto stabilito da un ordinamento professionale di avvocati, una tariffa che fissa minimi e massimi per gli onorari dei membri della professione (si veda punto 25 delle conclusioni dell'Avvocato generale J. Mazak presentate il 6 luglio 2010 1 nella suddetta Causa C-565/08). A simili conclusioni giungeva la sentenza della Corte sulle cause riunite C-94/04 e C-202/04, Cipolla e a. Inoltre, la Corte ha reiterato la sua posizione in relazione alla conformità della tariffa italiana con il diritto comunitario della concorrenza nell’ordinanza sulla causa Hospital Consulting e a. (causa C-386/07). Per contro, quanto ad una tariffa italiana obbligatoria per tutti gli spedizionieri doganali, la Corte ha considerato la normativa italiana che impone ad un’organizzazione professionale l’adozione di detta tariffa in contrasto con il diritto comunitario, poiché si tratta di una decisione di associazione di imprese e non di una misura statale (causa C-35/96).

[161]  Si ricorda che l'art. 2 del c.d. decreto Bersani (decreto legge n. 223 del 2006) ha già abrogato le disposizioni legislative e regolamentari che prevedevano, con riferimento alle attività libero professionali e intellettuali, il divieto, anche parziale, di svolgere pubblicità informativa circa i titoli e le specializzazioni professionali, le caratteristiche del servizio offerto, nonché il prezzo e i costi complessivi delle prestazioni secondo criteri di trasparenza e veridicità del messaggio il cui rispetto deve essere verificato dall'ordine.

[162]  Si ricorda che in tema di liberalizzazione dei servizi economici vige la cosiddetta direttiva Bolkenstein (direttiva2006/123/CE), recepita in Italia dal D.Lgs. n. 59/2010. Tale provvedimento stabilisce un quadro giuridico favorevole alla liberalizzazione dei servizi e si riferisce a qualsiasi servizio prestato dietro corrispettivo economico (ad eccezione dei settori esclusi specificamente indicati), tenuto conto nel contempo delle specificità di ciascun tipo di attività o di professione e del loro sistema di regolamentazione.

[163]  Tali sono, ai sensi dell’art. 47 del codice della strada (D.Lgs. n. 285/1992), i veicoli destinati al trasporto di persone, aventi al massimo otto posti a sedere oltre al sedile del conducente.

[164]  La relazione tecnica riferita al testo definitivo conferma le valutazioni fornite nella RT riferita al maxiemendamento approvato in prima lettura dal Senato

[165]  Prevista sia a legislazione previgente sia dal testo originario del decreto legge. In particolare, il testo originario dell’art. 3, comma 12, del decreto in esame - che prevede l’integrale destinazione dei proventi derivanti dalle suddette procedure di dismissione immobiliare al Ministero della difesa - fa comunque salva la suddetta procedura di valutazione di compatibilità.

[166]  “Semestre Europeo - Prime disposizioni urgenti per l'economia” e convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106.

[167]  L’attività dei SIC è disciplinata dal codice di deontologia e di buona condotta per i sistemi informativi gestiti da soggetti privati, alla cui sottoscrizione le associazioni rappresentative delle banche e delle società finanziarie e varie associazioni di consumatori sono addivenute sulla base dell’attività di promozione demandata al Garante della privacy dall’articolo 117 del codice in materia di protezione dei dati personali. Il Garante nel 2005 ha emanato il “Codice di deontologia e di buona condotta per i sistemi informativi gestiti da soggetti privati in tema di crediti al consumo, affidabilità e puntualità nei pagamenti”.

[168]  Preliminarmente si ricorda che nella segnalazione AS864 del 26 agosto 2011, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha svolto talune considerazioni riguardanti l’articolo 4 evidenziando talune criticità http://www.agcm.it/segnalazioni/segnalazioni-e-pareri/open/C12563290035806C/EA225849B73611A8C12578FD0031FBFC.html .

[169]  Per il testo integrale si veda http://www.agcm.it/segnalazioni/segnalazioni-e-pareri/open/C12563290035806C/EA225849B73611A8C12578FD0031FBFC.html

[170]  Sindaci, anche metropolitani, i presidenti delle province, i consiglieri dei comuni anche metropolitani e delle province, i componenti delle giunte comunali, metropolitane e provinciali, i presidenti dei consigli comunali. metropolitani e provinciali, i presidenti, i consiglieri e gli assessori delle comunità montane, i componenti degli organi delle unioni di comuni e dei consorzi fra enti locali, nonché i componenti degli organi di decentramento.

[171]  F. Petrucci, Referendum, con la vittoria del "Sì" cosa cambia per servizi locali e acqua (disponibile, per gli utenti della rete intranet della Camera, su http://xvi.intra.camera.it/temiap/acqua_referendum.pdf) e nel citato articolo di G. Bassi.

[172]  Si veda anche in proposito quanto rilevato da Sandro Staiano, I servizi pubblici locali nel decreto-legge n. 138 del 2011. Esigenze di stabile regolazione e conflitto ideologico immaginario, Federalismi.it, n. 16 del 2011.

[173]  In proposito, si richiama quanto già osservato nel Dossier del Servizio del Bilancio della Camera n. 373, parte I, p. 515, relativamente all’articolo 14, comma 32, del DL 78/2010.

[174]  Idem.

[175]  Per le amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2 del D.Lgs. n. 165/2001, in cui sono compresi gli enti territoriali, vige il divieto di costituire di società aventi ad oggetto la produzione di beni e servizi non strettamente necessarie al perseguimento delle proprie finalità istituzionali, ovvero di assumere o mantenere - direttamente - partecipazioni anche di minoranza in tali società. E’ stato da ultimo fissato al 1° gennaio 2011 il termine entro il quale le partecipazioni vietate dall’ordinamento devono essere cedute a terzi, nel rispetto delle procedure ad evidenza pubblica (articolo 3, comma 29, legge n. 244/2007).

      Nell’ipotesi di costituzione di società “autorizzate” ovvero di assunzione di partecipazioni “autorizzate” da parte delle amministrazioni pubbliche, anche in virtù di processi di riorganizzazione e trasformazione, sono previsti specifici obblighi di rideterminazione delle dotazioni organiche da parte delle amministrazioni coinvolte (articolo 3, commi 30-32, legge n. 244/2007).

      È comunque sempre ammessa la costituzione di società che producono servizi di interesse generale e che forniscono servizi di committenza o di centrali di committenza a livello regionale a supporto di enti senza scopo di lucro e di amministrazioni aggiudicatrici di cui all'articolo 3, comma 25, del Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture (D.Lgs. n. 163/2006), e l’assunzione di partecipazioni in tali società da parte delle amministrazioni pubbliche, nell’ambito dei rispettivi livelli di competenza(articolo 3, comma 27, legge n. 244/2007, legge finanziaria 2008)..

[176]  A tal proposito si ricorda che le società interamente pubbliche o miste, costituite o partecipate da amministrazioni pubbliche regionali e locali non per l’esercizio dell’attività di impresa, bensì per lo svolgimento di attività strumentale all’ente ovvero per lo svolgimento esternalizzato delle funzioni amministrative dell’ente (fatta eccezione per i servizi pubblici locali e i servizi e centrali di committenza), a decorrere dal 4 gennaio 2010, devono operare esclusivamente a favore degli enti costituenti o partecipanti o affidanti, non possono svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati e non possono partecipare ad altre società o enti aventi sede nel territorio nazionale.

      A decorrere dalla data del 4 gennaio 2010, le società sono state infatti obbligate a cessare le attività non consentite, le quali possono essere cedute a terzi (nel rispetto delle procedure ad evidenza pubblica) ovvero scorporate, anche costituendo una separata società; i contratti relativi alle attività vietate non cedute o scorporate sono nulli (articolo 13 del decreto legge n. 223/2006, come da ultimo modificato dal decreto legge n. 207/2008).

[177]  RT riferita al maxiemendamento 1.900 del Governo.

[178]  Cfr. anche quanto osservato nel Dossier del Servizio del Bilancio della Camera n. 373, parte I, p. 515, relativamente all’articolo 14, comma 32, del DL 78/2010.

[179]  Pubblicato nella G.U. n. 66 del 22-3-2011.

[180]  Disposizioni in materia di risorse aggiuntive ed interventi speciali per la rimozione di squilibri economici e sociali, a norma dell'articolo 16 della legge 5 maggio 2009, n. 42.

[181]  L’articolo 61 della legge finanziaria per il 2003 (legge n. 289/2002) ha concentrato le risorse destinate agli interventi nelle aree sottoutilizzate del Paese in un Fondo di carattere generale (FAS). Nel Fondo sono iscritte tutte le risorse finanziarie aggiuntive nazionali, destinate a finalità di riequilibrio economico e sociale, nonché a incentivi e investimenti pubblici. Le risorse del Fondo sono ripartite dal CIPE.

[182]  RT riferita all’emendamento 1.900 del Governo (interamente sostitutivo dell’articolo unico del disegno di legge di conversione), sul quale – nel corso dell’esame presso il Senato in prima lettura - è stata posta la questione di fiducia

[183]  Si fa riferimento alla piattaforma tecnologica per l’interconnessione e l’interoperabilità tra le pubbliche amministrazioni e i prestatori di servizi di pagamento abilitati.

[184]  In base all’art. 7 del DM 18 febbraio 2011, n. 52 – recante il regolamento relativo all’istituzione del sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti – la copertura degli oneri derivanti dalla costituzione e dal funzionamento del SISTRI è assicurata mediante il pagamento di un contributo annuale da parte degli operatori iscritti. Il contributo è versato annualmente da ciascun operatore per ciascuna attività di gestione dei rifiuti, si riferisce all'anno solare di competenza, indipendentemente dal periodo di effettiva fruizione del servizio, e deve essere versato al momento dell'iscrizione. Negli anni successivi il contributo è versato entro il 30 aprile dell'anno al quale i contributi si riferiscono.

[185]  In particolare, in sede di autocertificazione era stato dichiarato un reddito inferiore a 50.000 euro, mentre in sede di dichiarazione fiscale è stato dichiarato un reddito superiore.

[186]  L’art. 212, comma 8, del Codice ambientale fa riferimento ai produttori iniziali di rifiuti non pericolosi che effettuano operazioni di raccolta e trasporto dei propri rifiuti, nonché ai produttori iniziali di rifiuti pericolosi che effettuano operazioni di raccolta e trasporto dei propri rifiuti pericolosi in quantità non eccedenti trenta chilogrammi o trenta litri al giorno.

[187]  La legge di conversione n. 106 del 12 luglio 2011 è entrata in vigore il 13 luglio 2011.

[188]  Ai sensi del comma 3 sono rifiuti speciali: a) i rifiuti da attività agricole e agro-industriali, ai sensi e per gli effetti dell'art. 2135 c.c. ; b) i rifiuti derivanti dalle attività di demolizione, costruzione, nonché i rifiuti che derivano dalle attività di scavo, fermo restando quanto disposto dall'articolo 184-bis ; c) i rifiuti da lavorazioni industriali; d) i rifiuti da lavorazioni artigianali; e) i rifiuti da attività commerciali; f) i rifiuti da attività di servizio; g) i rifiuti derivanti dalla attività di recupero e smaltimento di rifiuti, i fanghi prodotti dalla potabilizzazione e da altri trattamenti delle acque dalla depurazione delle acque reflue e da abbattimento di fumi; h) i rifiuti derivanti da attività sanitarie.

[189]  Tutti i rifiuti sono identificati da un codice a sei cifre: l'elenco dei codici identificativi (denominato CER 2002 e allegato alla parte IV del Codice) è articolato in 20 classi: ogni classe raggruppa rifiuti che derivano da uno stesso ciclo produttivo. All'interno dell'elenco, i rifiuti pericolosi sono contrassegnati da un asterisco.

[190]  Consorzio per il riciclaggio dei rifiuti di beni in polietilene (http://www.polieco.it).

[191]  Consorzio obbligatorio batterie al piombo esauste e rifiuti piombosi (http://www.cobat.it).

[192]  Consorzio obbligatorio degli oli usati (http://www.coou.it).

[193]  Consorzio nazionale di raccolta e trattamento degli oli e dei grassi vegetali ed animali esausti (http://www.consorzioconoe.it )

[194]  "Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, recante Codice dell'amministrazione digitale, a norma dell'articolo 33 della legge 18 giugno 2009, n. 69".

[195]  Riorganizzazione del Centro nazionale per l'informatica nella pubblica amministrazione, a norma dell'articolo 24 della legge 18 giugno 2009, n. 69”.

[196]  Presentata da Baretta Pier Paolo il 27luglio 2011 nella seduta numero 508. Atto 7/00681 abbinato in data 03 agosto 2011.

[197]  Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria.

[198]  Attribuzione a comuni, province, città metropolitane e regioni di un proprio patrimonio, in attuazione dell'articolo 19 della legge 5 maggio 2009, n. 42.

[199]http://www.cassaddpp.it/cdp/EntiLocaliePA/ProdottieServizi/Fondiagevolati/FondoperlaProgettualita/index.htm

[200]  Cfr. in proposito l’articolo 16.

[201]  Infatti le maggiori spese degli enti territoriali non hanno effetti ai fini del bilancio dello Stato (e, quindi, del saldo netto da finanziare), ma solo ai fini del fabbisogno e dell’indebitamento.

[202]  Doc. LVII n. 4, Allegati I e II, pagina 93.

[203]  Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità.

[204]  Si ricorda che tali misure sperimentali sono stati dapprima prorogate al 2010 dall’articolo 5, comma 1, del D.L. 29 novembre 2008, n. 185, “Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale”, convertito, con modificazioni, dalla L. 28 gennaio 2009, n. 2, e poi al 2011 dall’articolo 1, comma 47 della legge L. 13 dicembre 2010, n. 220, “ Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2011)”.

[205]  Al lavoratore, in ogni caso, è concessa la facoltà di optare per l’applicazione del regime di tassazione ordinaria.

[206]  L. 24 dicembre 2007, n. 247, Norme di attuazione del Protocollo del 23 luglio 2007 su previdenza, lavoro e competitività per favorire l'equità e la crescita sostenibili, nonché ulteriori norme in materia di lavoro e previdenza sociale.

[207]  Si ricorda che tali misure sperimentali sono state dapprima prorogate al 2010 dall’articolo 5, comma 1, del D.L. 29 novembre 2008, n. 185.

[208]  A tal fine viene istituito il Fondo per il finanziamento di sgravi contributivi per incentivare la contrattazione di secondo livello, nello stato di previsione del Ministero del lavoro e della previdenza sociale.

[209]  L. 30 aprile 1969, n. 153, “Revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale”.

[210]  Con il D.M. 24 aprile 2007 sono stati definiti i criteri e le modalità relativi al rilascio dell'autorizzazione alla compensazione territoriale.

[211]  Cioè quelli individuati ai sensi dell'articolo 2359 c.c. e del D.Lgs. 2 aprile 2002, n. 74, recante l’attuazione della direttiva del Consiglio del 22 settembre 1994, 94/45/CE, relativa all'istituzione di un comitato aziendale europeo o di una procedura per l'informazione e la consultazione dei lavoratori nelle imprese e nei gruppi di imprese di dimensioni comunitarie. Più specificamente, l’articolo 2, comma 1, lettera d), del richiamato provvedimento definisce come gruppo di imprese di dimensioni comunitarie, un gruppo di imprese che soddisfa le condizioni seguenti:

1.       il gruppo impiega almeno 1.000 lavoratori negli Stati membri;

2.       almeno due imprese del gruppo si trovano in Stati membri diversi;

3.       almeno un'impresa del gruppo impiega non meno di 150 lavoratori in uno Stato membro e almeno un'altra impresa del gruppo impiega non meno di 150 lavoratori in un altro Stato membro.

      Si ricorda che l’articolo 2359 c.c. non fornisce una definizione diretta di gruppo di imprese, ma definisce il concetto di società controllata e società collegata.

[212]  L. 23 dicembre 2000, n. 388, “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2001)”.

[213]  I fondi relativi ai dirigenti possono essere costituiti mediante accordi stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori e dei dirigenti comparativamente più rappresentative oppure come apposita sezione all'interno dei fondi interprofessionali nazionali.

[214]  L. 21 dicembre 1978, n. 845, “Legge-quadro in materia di formazione professionale”.

[215]  La norma ha previsto che tale quota, a decorrere dal 2001, fosse stabilita nel 20% del terzo delle risorse, successivamente portata al 30% nel 2002 e al 50% a partire dal 2003.

[216]  L'addizionale è posta con riferimento ai contributi per l'assicurazione contro la disoccupazione.

[217]  Per la disciplina in materia, cfr. - oltre al citato art. 118 della L. n. 388, e successive modificazioni - l'art. 9, comma 5, del D.L. 20 maggio 1993, n. 148, “Interventi urgenti a sostegno dell'occupazione”, convertito, con modificazioni, nella L. 19 luglio 1993, n. 236, e l'art. 1, comma 72, della L. 28 dicembre 1995, n. 549, “Misure di razionalizzazione della finanza pubblica”.

[218]  Ai sensi del comma 1 dell'articolo 4 della legge 8 novembre 1991 n. 381, “Disciplina delle cooperative sociali”.

[219]  L. 24 giugno 1997, n. 196, “Norme in materia di promozione dell'occupazione”.

[220]  Regolamento recante norme di attuazione dei princìpi e dei criteri di cui all'articolo 18 della L. 24 giugno 1997, n. 196, sui tirocini formativi e di orientamento.

[221]  La sentenza richiamata ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 60 del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276 (Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro), che aveva introdotto una disciplina specifica sui tirocini estivi di orientamento.

[222]  "Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica", convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122.

[223]  http://nuovo.camera.it/383?deputatotesto=4&conoscerelacamera=4

[224]  http://www.senato.it/composizione/21593/132051/genpagina.htm

[225]  http://www.quirinale.it/elementi/Continua.aspx?tipo=Comunicato&key=12104

[226]  "Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria", .

[227]  "Disposizioni per la pubblicità della situazione patrimoniale di titolari di cariche elettive e di cariche direttive di alcuni enti".

[228]  L. 13 febbraio 1953, n. 60, Incompatibilità parlamentari. Si tratta delle “cariche in enti culturali, assistenziali, di culto e in enti-fiera, nonché [di] quelle conferite nelle Università degli studi o negli Istituti di istruzione superiore a seguito di designazione elettiva dei Corpi accademici”.

[229]  L. 31 maggio 2005, n. 88, Conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 31 marzo 2005, n. 44, recante disposizioni urgenti in materia di enti locali.

[230]  D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali.

[231]  "Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo".

[232]  La decorrenza delle disposizioni concernenti l’applicazione del meccanismo dei parametri di virtuosità ai fini della distribuzione tra gli enti territoriali degli obiettivi finanziari del Patto, è stata anticipata al 2012 – originariamente fissata dal 2013 - dal comma 9 dell'articolo 1 del provvedimento in esame. Si ricorda inoltre che il comma 8 del medesimo articolo 1 anticipa al 2012 - e ridefinisce – anche il concorso delle autonomie territoriali alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica (vedi scheda).

[233]  Il comma 2 dell'art. 20 del D.L. 98/2011, prevede la ripartizione, con decreto del Ministro dell’economia e finanze, degli enti sottoposti al patto di stabilità in quattro classi, definite sulla base di dieci parametri di virtuosità, al fine di distribuire il concorso alla realizzazione degli obiettivi finanziari fra gli enti di ciascun singolo livello di governo. La norma indica i seguenti parametri di virtuosità: a) prioritaria considerazione della convergenza tra spesa storica e costi e fabbisogni standard; b) rispetto del patto di stabilità interno; c) incidenza della spesa del personale sulla spesa corrente dell'ente in relazione al numero dei dipendenti in rapporto alla popolazione residente, alle funzioni svolte anche attraverso esternalizzazioni nonché all'ampiezza del territorio; per la valutazione di questo parametro si tiene conto del suo andamento nell'intera legislatura o consiliatura; d) autonomia finanziaria; e) equilibrio di parte corrente; f) tasso di copertura dei costi dei servizi a domanda individuale per gli enti locali; g) rapporto tra gli introiti derivanti dall'effettiva partecipazione all'azione di contrasto all'evasione fiscale e i tributi erariali, per le regioni; h) effettiva partecipazione degli enti locali all'azione di contrasto all'evasione fiscale; i) rapporto tra le entrate di parte corrente riscosse e accertate; l) operazioni di dismissioni di partecipazioni societarie nel rispetto della normativa vigente.

[234]  L'articolo 27 della legge 42/2009 adatta alle specialità il procedimento di attuazione del federalismo fiscale in quegli ordinamenti ed elenca i principi ed i criteri direttivi dovranno applicarsi. In sostanza le modifiche all’ordinamento finanziario di questi enti dovranno essere introdotte con la procedura delle norme di attuazione degli statuti speciali, negli stessi termini temporali previsti dalla delega conferita per l’emanazione dei decreti delegati relativi alle regioni a statuto ordinario e agli enti locali (comma 1). Ferme le prerogative statutarie previste per ciascuna regione e provincia autonoma, la nuova disciplina deve comunque essere informata ai principi fondamentali del federalismo fiscale; nella specie il rispetto e l’assolvimento degli obblighi posti dall’ordinamento comunitario e i principi di perequazione e di solidarietà e i diritti ed i doveri che da essi derivano (commi 2 e 3).

[235]  La legge costituzionale 1/1999, Disposizioni concernenti l'elezione diretta del Presidente della Giunta regionale e l'autonomia statutaria delle Regioni, che modifica gli articoli 121, 122, 123 e 126 della Costituzione.

[236]  La legge costituzionale 2/2001, Disposizioni concernenti l'elezione diretta dei presidenti delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano, reca modifiche agli statuti speciali della regione Siciliana, della Valle d’Aosta, della Sardegna, del Friuli-Venezia Giulia e del Trentino-Alto Adige.

[237]  Le norme per la modifica degli statuti speciali sono state modificate dalla L.Cost. 2/2001 e prevedono la medesima procedura di cui all’art. 138 Cost. per l’approvazione delle leggi di revisione costituzionale con le seguenti peculiarità:

§       le proposte di modifica dello statuto di iniziativa governativa o parlamentare sono comunicate dal Governo della Repubblica al Consiglio della Regione interessata, che esprime il suo parere entro due mesi (in Trentino-Alto Adige, il parere è espresso anche dai Consigli delle Province autonome di Trento e di Bolzano);

§       le modificazioni allo Statuto approvate dalle Camere non sono comunque sottoposte a referendum nazionale (anche nell’ipotesi in cui vengano approvate a maggioranza assoluta, ma inferiore ai due terzi dei componenti di ciascuna Camera in seconda deliberazione). Così dispongono, con formulazione analoga:

-        art. 41-ter dello Statuto della Regione siciliana, approvato con R.D.Lgs. 15 maggio 1946, n. 455, convertito dalla L.Cost. 26 febbraio 1948, n. 2;

-        art. 50 dello Statuto speciale per la Valle d’Aosta, di cui alla L.Cost. 26 febbraio 1948, n. 4;

-        art. 54 dello Statuto speciale per la Sardegna, di cui alla L.Cost. 26 febbraio 1948, n. 3;

-        art. 103 del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, di cui al D.P.R. 31 agosto 1972, n. 670;

-        art. 63 dello Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia, di cui alla L.Cost. 31 gennaio 1963, n. 1.

[238]  Anche prendendo come riferimento la popolazione residente al 31 dicembre 2010 (ISTAT, Bilancio demografico anno 2010 e popolazione residente al 31 dicembre, in demo.istat.it), la ripartizione delle regioni in queste classi demografiche non cambia.

[239]  Il numero indicato in tabella – che non comprende il presidente della Giunta regionale - potrebbe non coincidere con il numero di consiglieri in carica attualmente (IX legislatura); questo in conseguenza dell'applicazione della legge elettorale 'nazionale' – nelle regioni in cui non è stata modificata – che consente, in determinate circostanze di aumentare il numero di consiglieri per l'attribuzione del premio di maggioranza (così in Abruzzo, dove sono in carica 44 consiglieri). A tale proposito si segnala che la norma statutaria delle regioni Calabria (L.R. Stat. art. 15, modificato), Lombardia (L.R. Stat. 1/2008, art. 12, comma 1) e Toscana (Statuto, art. 6 modificato) in relazione al numero dei componenti del Consiglio regionale, specifica “fatti salvi gli effetti dell’applicazione della legge elettorale”. Un altro caso è costituito dalla regione Liguria, in cui la disposizione statutaria indica un numero massimo di 50 componenti, mentre i consiglieri in carica sono 40, in conseguenza del fatto che, anche qui è stata applicata la normativa 'nazionale' in mancanza della legge elettorale regionale che avrebbe dovuto – tra l'altro - determinare il numero dei consiglieri.

[240]  Il decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 39 reca ‟Attuazione della direttiva 2006/43/CE, relativa alle revisioni legali dei conti annuali e dei conti consolidati, che modifica le direttive 78/660/CEE e 83/349/CEE, e che abroga la direttiva 84/253/CEE." Il registro dei revisori legali è previsto nel Capo III.

[241]  V. note precedenti.

[242]  Interventi urgenti concernenti enti locali e regioni.

[243]  L. 5 maggio 2009, n. 42 ,Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione.

[244]  D.Lgs. 26 novembre 2010, n. 216 , Disposizioni in materia di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard di Comuni, Città metropolitane e Province.

[245]  L. 5 giugno 2003, n. 131, Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla L.Cost. 18 ottobre 2001, n. 3.

[246]  D.P.R. 31 gennaio 1996, n. 194, Regolamento per l'approvazione dei modelli di cui all'art. 114 del D.Lgs. 25 febbraio 1995, n. 77, concernente l'ordinamento finanziario e contabile degli enti locali. In merito, si segnala che la stessa legge n. 42 contiene una delega al Governo – che non è stata ancora esercitata – per armonizzare i sistemi contabili e gli schemi di bilancio degli enti locali e i relativi termini di presentazione e approvazione, in funzione delle esigenze di programmazione, gestione e rendicontazione della finanza pubblica (articolo 2, co. 1). I principi e criteri generali della delega prevedono l’adozione di regole contabili uniformi e di un comune piano dei conti integrato; l’adozione di comuni schemi di bilancio articolati in missioni e programmi coerenti con la classificazione economica e funzionale individuata dagli appositi regolamenti comunitari in materia di contabilità nazionale e relativi conti satellite; l’adozione di un bilancio consolidato con le proprie aziende, società o altri organismi controllali, secondo uno schema comune; l’affiancamento, a fini conoscitivi, al sistema di contabilità finanziaria di un sistema e di schemi di contabilità economico-patrimoniale ispirati a comuni criteri di contabilizzazione; la raccordabilità dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio degli enti territoriali con quelli adottati in ambito europeo ai fini della procedura per i disavanzi eccessivi; la definizione di una tassonomia per la riclassificazione dei dati contabili e di bilancio per le amministrazioni pubbliche di cui alla presente legge tenute al regime di contabilità civilistica, ai fini del raccordo con le regole contabili uniformi; definizione di un sistema di indicatori di risultato semplici, misurabili e riferiti ai programmi del bilancio, costruiti secondo criteri e metodologie comuni ai diversi enti territoriali (art. 2, co. 2, lett. h), come modificato dalla L. n. 196/2009).

[247]  Il decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 39 reca Attuazione della direttiva 2006/43/CE, relativa alle revisioni legali dei conti annuali e dei conti consolidati, che modifica le direttive 78/660/CEE e 83/349/CEE, e che abroga la direttiva 84/253/CEE." Il registro dei revisori legali è previsto nel Capo III.

[248]  Ricorso all’unione dei comuni al posto dell’introduzione obbligatoria – prevista nel testo iniziale del DL – della “unione municipale” per le funzioni amministrative, con la contestuale soppressione della giunta e del consiglio comunale.

[249]  La RT fa riferimento testualmente al comma 32, ma l’articolo in esame ha 31 commi (all’ultimo dei quali sembra riferibile la considerazione della relazione tecnica).

[250]  Recante “Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla L.Cost. 18 ottobre 2001, n. 3”.

[251]  Si ricorda che, sin dall’anno della sua istituzione, la disciplina del Patto di stabilità ha sempre escluso i comuni di minori dimensioni dall’applicazione dei vincoli. Soltanto in occasione della definizione del Patto per gli anni 2005 e successivi (art. 1, co. 21-41, legge n. 311/2004) e per gli anni 2006 e successivi (art. 1, co. 138-150, legge n. 266/2005) si era prevista l’applicazione delle regole del patto ai comuni con popolazione superiore a 3.000 abitanti. Le norme non hanno tuttavia mai ricevuto applicazione da parte dei piccoli comuni, in quanto, sia per l’anno 2005 che per l’anno 2006, è stata successivamente prevista l’esplicita esclusione dal patto dei comuni fino a 5.000 abitanti (si veda, rispettivamente, l’art. 1-ter del D.L. n. 44/2005 (legge n. 88/2005) e l’art. 1, comma 138, ultimo periodo, della legge n. 266/2005).

[252]  Come modificati dall'art. 2 comma 33, del D.L. 225/2010 (legge n. 10/2011).

[253]  V. Servizio Bilancio del Senato - Nota di lettura n. 110 (agosto 2011).

[254]  "Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche".

[255]  RT riferita all’emendamento 1.900 del Governo, sul quale è stata posta la questione di fiducia.