Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento istituzioni
Altri Autori: Ufficio Rapporti con l'Unione Europea
Titolo: Libera circolazione dei cittadini comunitari e rimpatrio dei cittadini di Paesi terzi irregolari (direttive 2004/38/CE e 2008/115/CE) - D.L. 89/2011 - A.C. 4449 - Schede di lettura e documentazione
Riferimenti:
AC N. 4449/XVI   DL N. 89 DEL 23-GIU-11
Serie: Progetti di legge    Numero: 507
Data: 05/07/2011
Descrittori:
CITTADINI DELL' UNIONE EUROPEA   DECRETO LEGGE 2011 0089
DIRETTIVE DELL'UNIONE EUROPEA   LIBERA CIRCOLAZIONE NEL MERCATO
RIMPATRIO     
Organi della Camera: I-Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni
Altri riferimenti:
04/38/CE   08/115/CE  

 

Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di
Progetti di legge

Libera circolazione dei cittadini comunitari e rimpatrio dei cittadini di Paesi terzi irregolari
(direttive 2004/38/CE e 2008/115/CE)

D.L. 89/2011 – A.C. 4449

Schede di lettura e documentazione

 

 

 

 

 

 

n. 507

 

5 luglio 2011

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Istituzioni

( 066760-9475 / 066760-3855 – * st_isituzioni@camera.it

Hanno partecipato alla redazione del dossier i seguenti Servizi e Uffici:

Segreteria Generale – Ufficio Rapporti con l’Unione europea

( 066760-2145 – * cdrue@camera.it

 

 

 

I dossier dei servizi e degli uffici della Camera sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.

File: D11089.doc

 


INDICE

 

Schede di lettura

Il diritto di circolazione e soggiorno dei cittadini dell'Unione  3

§      Le formalità amministrative per i cittadini dell'Unione ed i loro familiari6

§      La procedura di allontanamento del cittadino comunitario  9

§      Consultazione tra gli Stati membri13

§      L’allontanamento dei familiari dei cittadini comunitari14

Il rimpatrio degli stranieri non comunitari irregolari15

§      La direttiva 2008/115/CE   15

§      Il mancato recepimento della direttiva e gli interventi della giurisprudenza  19

§      Il permesso di soggiorno per motivi umanitari21

§      Rimpatrio volontario ed espulsione  22

§      Esecuzione dell’espulsione e trattenimento nei Centri di identificazione ed espulsione  30

§      Altre disposizioni35

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE   37

Procedure di contenzioso  46

Testi a fronte

§      D.Lgs. 6 febbraio 2007, n. 30, Attuazione della direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, come modificato dal D.L. 89/2011  49

§      D.Lgs. 28 luglio 1989, n. 271, Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, come modificato dal D.L. 89/2011  62

§      D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, come modificato dal D.L. 89/2011  63

§      D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274, Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell'articolo 14 della L. 24 novembre 1999, n. 468, come modificato dal D.L. 89/2011  90

Documentazione comunitaria

§      Direttiva 29 aprile 2004, n. 2004/38/CE. Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE   97

§      Direttiva 16 dicembre 2008, n. 2008/115/CE. Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare  127

§      Corte europa. Sentenza della Corte (Prima Sezione) 28 aprile 2011. «Spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia – Direttiva 2008/115/CE – Rimpatrio dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare – Artt. 15 e 16 – Normativa nazionale che prevede la reclusione per i cittadini di paesi terzi in soggiorno irregolare in caso di inottemperanza all’ordine di lasciare il territorio di uno Stato membro – Compatibilità»  145

§      Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio. Guida ad una migliore trasposizione e applicazione della direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e soggiornare liberamente all'interno del territorio degli Stati membri (2 luglio 2009)159

Allegato

§      Ministero dell’interno. Circolare 23 giugno 2011 n. 17102/124  179

 

 

 


Schede di lettura

 


Il diritto di circolazione e soggiorno dei cittadini dell'Unione

L’articolo 1 del decreto in esame dispone modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 30 recante l’attuazione della direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri.

 

Come evidenziato dalla relazione di accompagnamento, l’art. 1 è volto ad introdurre alcune disposizioni finalizzate all’“adeguamento dell’ordinamento nazionale a quello comunitario in relazione alla Direttiva 2004/38/CE concernente i diritti dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, la cui trasposizione non è stata valutata completa e correttamente attuata” dai competenti organi dell’Unione europea.

L’intervento, specificatamente contenuto nel Capo I, si inquadra nell’ambito delle misure necessarie a garantire il rispetto di quanto previsto dall’articolo 117, primo comma, della Costituzione, ai sensi del quale la potestà legislativa di Stato e regioni deve essere esercitata nel rispetto, anche, dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario, con particolare riferimento, per quanto rileva in questa sede, all’incompleto ovvero non corretto recepimento della normativa comunitaria nell’ordinamento nazionale.

Come riferito dalla relazione illustrativa, la Commissione europea ha già annunciato l’imminente avvio di una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia in merito al recepimento della suddetta Dir. 2004/38/CE, formulando – anche ad adiuvandum – una serie di rilevi e di richieste di chiarimento.

Il decreto, pertanto, intende, come sottolineato dalla relazione di accompagnamento, rendere effettivo l’adempimento di obblighi comunitari, completando quello già avvenuto con il D.Lgs. n. 30/2007 con il quale l’Italia aveva provveduto ad adeguare il diritto interno alla nuova disciplina comunitaria in materia; ciò in virtù della norma di delega conferita al Governo nell’art. 1, commi 1 e 3, della legge 62/2005 (legge comunitaria 2004)[1]. Il citato decreto legislativo ha disciplinato l’ingresso e il soggiorno dei cittadini dell’Unione europea e dei loro familiari, sostituendo interamente la precedente normativa, recata dal testo unico adottato con D.P.R. 54/2002[2]. In particolare sono state disciplinate le modalità di esercizio del diritto di libera circolazione e soggiorno nel territorio dello Stato da parte dei cittadini dell’Unione europea e dei familiari che li accompagnano o li raggiungono, i presupposti del diritto di soggiorno permanente e le limitazioni a tali diritti per motivi di sicurezza dello Stato, ordine pubblico e di pubblica sicurezza.

Si ricorda che il 30 ottobre 2007 il Consiglio dei ministri aveva approvato un pacchetto di cinque disegni di legge in materia di sicurezza dei cittadini e di contrasto alla illegalità diffusa (il cd. “pacchetto sicurezza”). Tra questi il disegno di legge recante Disposizioni in materia di sicurezza urbana volto a contrastare la cosiddetta microcriminalità o criminalità da strada che modificava il D.Lgs. 30/2007, al fine di rendere effettiva l’esecuzione dell’allontanamento dei cittadini comunitari per motivi di ordine pubblico.

Il 2 novembre, anche in conseguenza di un tragico evento, [3] a seguito del quale il Consiglio dei ministri deliberava di anticipare le disposizioni sull’allontanamento, veniva dunque pubblicato il D.L. 181/2007[4], che recava diverse modifiche testuali al D.Lgs. 30/2007, introducendo, tra l’altro, la nozione di “motivi imperativi di pubblica sicurezza”. L’evoluzione del confronto politico-parlamentare nel corso dell’iter di conversione conduceva peraltro alla decadenza del decreto-legge per decorrenza dei termini.

Il 28 dicembre 2007 il Consiglio dei ministri approvava due nuovi provvedimenti, nei quali venivano inserite diverse disposizioni recate dal D.L. 181/2007: un nuovo decreto-legge (D.L. 249/2007[5]) e uno schema di decreto legislativo correttivo del citato D.Lgs. 30/2007. Anche il secondo decreto-legge è successivamente decaduto, ma la sostanza di alcune disposizioni in esso contenute è confluita nel parere reso dalla I Commissione (Affari costituzionali) della Camera sullo schema del decreto correttivo e ha trovato recepimento nella stesura definitiva di quest’ultimo (D.Lgs. 32/2008[6]).

All’inizio della XVI legislatura (21 maggio 2008), nel primo Consiglio dei Ministri svolto dopo il conseguimento della fiducia, il Governo ha approvato un nuovo pacchetto sicurezza comprendente, tra l’altro, tre schemi di decreto legislativo: rispettivamente, in materia di ricongiungimento familiare, diritto di asilo, libera circolazione di cittadini comunitari. Quest’ultimo schema apporta ulteriori modifiche alla disciplina della condizione giuridica dei cittadini di altri Stati membri dell’Unione europea, regolata dal D.Lgs. 30/2007.

In particolare, le modifiche hanno previsto che il cittadino dell’Unione europea:

§         deve poter dimostrare la liceità della provenienza delle risorse economiche necessarie per il soggiorno oltre tre mesi;

§         può di sua iniziativa iscriversi al Servizio sanitario nazionale;

§         deve richiedere l’iscrizione anagrafica entro 10 giorni dal decorso dei 3 mesi dall’ingresso; la mancata richiesta di iscrizione costituisce motivo per l’adozione del provvedimento di allontanamento per motivi imperativi di pubblica sicurezza; lo stesso termine (e sanzione) è previsto per la richiesta della carta di soggiorno da parte dei familiari non comunitari del cittadino dell’Unione;

§         è sottoposto alla rilevazione dei dati dattiloscopici nei medesimi casi previsti per i cittadini italiani (ad es. per il rilascio della carta di identità elettronica).

Inoltre:

§         viene ampliato il numero di ipotesi per le quali può essere disposto l’allontanamento per motivi imperativi di pubblica sicurezza, inserendo tra queste, oltre alla mancata richiesta di iscrizione anagrafica o della carta di soggiorno (per i familiari non comunitari), i reati contro la moralità pubblica ed il buon costume e i reati per i quali è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza;

§         in caso di condanne per reati gravi si sospende il decorso dei cinque anni necessari per l’acquisizione del diritto al soggiorno permanente;

§         sono aumentate le sanzioni penali previste in caso di violazione del divieto di reingresso;

§         se insorgono ostacoli tecnici all’esecuzione dell’allontanamento, il cittadino comunitario o il suo familiare può essere trattenuto, per un massimo di 15 giorni, in un centro di identificazione ed espulsione (si tratta dei centri di permanenza temporanea e assistenza, così ridenominati dal D.L. 92/2008);

§         l’istanza di sospensione del provvedimento di allontanamento, deve essere decisa dal giudice competente entro 60 giorni dalla sua presentazione. Decorso tale termine, viene meno l’efficacia sospensiva dell’istanza e il provvedimento viene comunque eseguito.

I tre schemi sono stati presentati dal Governo alle Camere e le Commissioni parlamentarti competenti hanno reso i prescritti pareri. Il Consiglio dei ministri nella seduta del 1° agosto 2008, ha recepito in gran parte le proposte e le osservazioni delle Commissioni, ma non ha deliberato in via definitiva sugli schemi decidendo, con una formula definita “irrituale”, di inviare i testi per un parere informale alla Commissione europea[7]. Proprio al fine di consentire il confronto con la Commissione europea, è stata disposta una proroga alle autorizzazioni di delega di cui i tre schemi costituiscono attuazione[8]. Nel corso dell’audizione svolta il 15 ottobre 2008 dinanzi al Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia d'immigrazione, il ministro dell’interno Roberto Maroni ha segnalato che, a seguito di rilievi formulati dalla Commissione europea, il Governo ha ritenuto di accantonare l’adozione del provvedimento di modifica della disciplina relativa alla libertà di circolazione dei cittadini comunitari.

 

La sussistenza dei necessari presupposti di necessità e urgenza è individuata dalla relazione illustrativa, per le disposizioni di entrambi i Capi di cui si compone il provvedimento, nella “necessità di evitare le conseguenze derivanti dall’inadempimento degli obblighi dell’Unione europea, sia dall’urgenza di rispettare le scadenze temporali imposte dalla normativa della stessa Unione e dalla disciplina delle procedure di infrazione”.

 

Pertanto l’art. 1 introduce modifiche nel D.Lgs. n. 30 del 2007 che vengono connesse dalla relazione illustrativa a specifici rilievi della Commissione europea.

Il comma 1, lett. a) modifica l’articolo 3, comma 2, lett. b), del citato D.Lgs. n. 30 del 2007, con riferimento all’ingresso e al soggiorno del partner di cittadino dell’Unione della cui circolazione o soggiorno si tratti. In particolare la modifica introdotta prevede che la relazione stabile tra il suddetto cittadino e il partner debba essere ufficialmente – anziché debitamente - attestata. In tale modo, secondo la relazione illustrativa, “la provenienza da un’autorità pubblica, fermo restando, in ossequio alla direttiva, il ricorso a qualsiasi mezzo di prova, garantisce la veridicità, allo scopo sia di evitare attestazioni mendaci o fraudolente sia di assicurare l’effettività della tutela del diritto al soggiorno del partner del cittadino UE”.

 

Si ricorda che, ai sensi del citato art. 3 (Aventi diritto), il D.Lgs. 30/2007 si applica a qualsiasi cittadino dell'Unione che si rechi o soggiorni in uno Stato membro diverso da quello di cui ha la cittadinanza, nonchè ai suoi familiari che lo accompagnino o raggiungano. Lo Stato membro ospitante, conformemente alla sua legislazione nazionale, agevola l'ingresso e il soggiorno di ogni altro familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, se è a carico o convive, nel paese di provenienza, con il cittadino dell'Unione titolare del diritto di soggiorno a titolo principale o se gravi motivi di salute impongono che il cittadino dell'Unione lo assista personalmente; il partner con cui il cittadino dell'Unione abbia una relazione stabile debitamente attestata dallo Stato del cittadino dell'Unione. Lo Stato membro ospitante effettua un esame approfondito della situazione personale e giustifica l'eventuale rifiuto del loro ingresso o soggiorno.

 

Si rileva che la modifica introdotta elimina dal testo la parola “debitamente”, contenuta, tuttavia, nell’art. 3, par. 2, della direttiva.

Le formalità amministrative per i cittadini dell'Unione ed i loro familiari

L’art. 1, comma 1, alle lett. b), lett. c) n.2a e d) n.1, sopprime poi il riferimento all’obbligo del visto d’ingresso contenuto nell’articolo 6, comma 2 e nell’articolo 9, comma 5, lett. a) e nell’articolo10, comma 3, lett. a), previsto, rispettivamente, ai fini del soggiorno fino a tre mesi, dell’iscrizione anagrafica per i familiari del cittadino comunitario nonché del rilascio della carta di soggiorno di durata superiore a tre mesi per i medesimi soggetti.

 

Si ricorda che gli articoli oggetto della novella disciplinano, rispettivamente, il diritto di soggiorno fino a tre mesi (art. 6), le formalità amministrative per i cittadini dell'Unione ed i loro familiari (art. 9) e la carta di soggiorno per i familiari del cittadino comunitario non aventi la cittadinanza di uno Stato membro dell'Unione europea (art. 10). Con particolare riferimento a tale ultimo articolo, la relazione illustrativa afferma che si è fatto riferimento alla disposizione della Direttiva 2004/38/CE (art. 10, par. 2), “che richiede, invece, soltanto un passaporto in corso di validità”.

La stessa relazione sottolinea come le predette modifiche siano state introdotte al fine di superare il rilievo formulato dalla Commissione europea, “secondo il quale la normativa italiana sovrappone i requisiti per l’ingresso e quelli per il soggiorno, in difformità da quanto previsto dall’articolo 6, paragrafo 2, della Direttiva”.

 

Con riguardo alla procedura di verifica della sussistenza del requisito della disponibilità delle risorse economiche sufficienti a garantire il soggiorno oltre i tre mesi, l’art. 1, comma 1, lett. c), n.2b, inserisce nell’art. 9 del d.lgs. il comma 3-bis, che prescrive la “valutazione della situazione complessiva personale dell’interessato”, quale ulteriore elemento da tenere in considerazione.

 

La Commissione europea ha, infatti, precisato che la direttiva non prevede la fissazione di un importo minimo stabilito per legge, contenendo solo un generico richiamo alle risorse sufficienti ad escludere il ricorso a prestazioni di assistenza sociale tra le formalità amministrative richieste per i cittadini dell'Unione ed i loro familiari (articolo 8, par 3, secondo e terzo trattino, della direttiva). Il d.lgs. n. 30 del 2007, invece, richiama, a tale fine, all’art. 9, comma 3, lett. b), la normativa sui ricongiungimenti familiari di cittadini extracomunitari, che fissa degli importi minimi commisurati all’importo annuo dell’assegno sociale moltiplicato in ragione del numero dei familiari.

Con la novella, secondo la relazione illustrativa, si è inteso sancire, con fonte di rango primario, quanto già anticipato dalla circolare n. 18 del 21 luglio 2009 del Ministero dell’interno – Dipartimento per gli affari interni e territoriali[9] che, al punto 2, con riguardo alla nozione di risorse economiche sufficienti al soggiorno, riporta quanto espresso dalla Commissione europea.

 

Si rileva che l’introduzione dell’obbligo della valutazione complessiva della situazione personale dell’interessato non fa però venir meno il riferimento al reddito minimo annuo contenuto nel comma 3 dell’art. 9. La coesistenza dei criteri di valutazione recati dai commi 3 e 3 bis andrebbe valutata quindi dal punto di vista degli effetti in sede interpretativa.

 

L’art. 1, comma 1, lett d) n. 2, modifica anche la lett. b) del comma 5 dell’ art. 9 del d.lgs., in tema di iscrizione anagrafica dei familiari non comunitari del cittadino UE, e l’art. 10, comma 3, lett. b), in tema di rilascio della carta di soggiorno: è sostituita la previsione della presentazione di “un documento che attesti la qualità di familiare e, qualora richiesto, di familiare a carico” con quella della presentazione di “un documento rilasciato dall'autorità competente del Paese di origine o provenienza che attesti la qualità di familiare e, qualora richiesto, di familiare a carico ovvero di membro del nucleo familiare ovvero familiare affetto da gravi problemi di salute, che richiedono l'assistenza personale del cittadino dell'Unione, titolare di un autonomo diritto di soggiorno”.

Tale modifica, secondo la relazione illustrativa, costituisce un’integrazione normativa espressamente richiesta dalla Commissione europea.

Si rileva, però, che le disposizioni introdotte, conformi a quanto previsto dall’art. 8, par. 5, lett. e) e dall’art. 10, par. 2, lett. e) della direttiva, non si aggiungono a quanto già previsto dalla lett. b) del comma 5 dell’ art. 9 – a sua volta già parzialmente conforme alla lett. b) dell’art. 10, par. 2, della direttiva stessa, che si riferisce a “un documento che attesti la qualità di familiare o l'esistenza di un'unione registrata” - ma lo sostituiscono. Si nota, inoltre, che i citati par. 5 dell’art. 8 e. 2 dell’art. 10 della direttiva recano un elenco  di documenti la cui richiesta ha carattere facoltativo, e non obbligatorio, per gli Stati membri.

 

Si ricorda, a tal proposito, che le suindicate fattispecie, allo stato attuale, sono contemplate dalla circolare del Ministero dell’interno n. 39 del 18 luglio 2007, che prevede, al punto 3, un’autodichiarazione da parte del cittadino UE della qualità di familiare a carico o convivente, ovvero della sussistenza di gravi motivi di salute che impongono l’assistenza personale da parte del cittadino UE avente autonomo diritto di soggiorno.

 

L’art. 1, comma 1, lett. e), del decreto legge novella l’articolo 13, comma 2, del d.lgs., che riguarda le condizioni richieste ai fini del mantenimento del diritto di soggiorno e prevede che “i cittadini dell'Unione e i loro familiari beneficiano del diritto di soggiorno di cui agli articoli 7, 11 e 12, finchè soddisfano le condizioni fissate negli stessi articoli”.

Secondo la relazione illustrativa, tale novella si fonda sul rilievo della Commissione europea secondo il quale, nei casi di soggiorno superiore ai 3 mesi (art. 7 della direttiva), di decesso o partenza del cittadino UE (art.11 della direttiva) e di divorzio o annullamento del matrimonio (art. 12 della direttiva), la verifica delle condizioni richieste ai fini del mantenimento del diritto di soggiorno non deve rivestire carattere sistematico, “in quanto la direttiva prevede tali verifiche in casi specifici, qualora vi sia un dubbio ragionevole (art. 14, par. 2, secondo trattino)”.

Viene così aggiunta al comma 2 dell’art. 13 la disposizione secondo la quale “la verifica della sussistenza di tali condizioni non può essere effettuata se non in presenza di ragionevoli dubbi in ordine alla persistenza delle condizioni medesime”. Secondo la relazione illustrativa, il testo novellato “non consente pertanto verifiche sistematiche finalizzate ad accertare che siano ancora soddisfatte le condizioni richieste per il mantenimento del diritto al soggiorno, nei casi richiamati dalla norma ma soltanto in presenza di ragionevoli dubbi”.

Occorre precisare che l’art. 14, par. 2, della direttiva dispone che “in casi specifici, qualora vi sia un dubbio ragionevole che il cittadino dell'Unione o i suoi familiari non soddisfano le condizioni stabilite negli articoli 7, 12 e 13, gli Stati membri possono effettuare una verifica in tal senso. Tale verifica non è effettuata sistematicamente”.

 

Si nota però che proprio il secondo periodo di tale paragrafo, nel quale è espressamente esclusa la sistematicità delle verifiche, non trova espressa formulazione nella novella.

 

Si segnala che la circolare n. 17102/124 del 23 giugno 2011 del Ministero dell’Interno pone in rilievo, tra le novità più significative recate dal decreto in esame, le disposizioni che consentono la verifica circa la sussistenza delle condizioni per il soggiorno dei cittadini comunitari solo in presenza di ragionevoli dubbi escludendo, quindi, la possibilità di controlli sistematici, nonchè quelle che individuano nella “sufficiente” gravità della minaccia ai diritti fondamentali della persona o all’incolumità pubblica il presupposto necessario all’adozione dei provvedimenti di allontanamento per motivi di ordine pubblico e per motivi imperativi di pubblica sicurezza (art. 1, comma 1 lett. g) n. 2 e 3 del decreto de quo).

 

L’art. 1, comma 1, lett. f), del decreto legge modifica l’art. 19 del d.lgs., recante disposizioni comuni al diritto di soggiorno e al diritto di soggiorno permanente, integrando il comma 4 che disponevache “la qualità di titolare di diritto di soggiorno e di titolare di diritto di soggiorno permanente può essere attestata con qualsiasi mezzo di prova previsto dalla normativa vigente.”

Dalla relazione illustrativa risulta che la modifica introdotta in tale articolo consegue a rilievi della Commissione europea riferiti all’art. 25 della direttiva.

Il par. 1 di tale articolo prevede che “il possesso di un attestato d'iscrizione di cui all'articolo 8, di un documento che certifichi il soggiorno permanente, della ricevuta della domanda di una carta di soggiorno di familiare di una carta di soggiorno o di una carta di soggiorno permanente, non può in nessun caso essere un prerequisito per l'esercizio di un diritto o il completamento di una formalità amministrativa, in quanto la qualità di beneficiario dei diritti può essere attestata con qualsiasi altro mezzo di prova”.

Con la modifica disposta dal decreto legge viene aggiunta al comma 4 dell’art. 19 la previsione in virtù della quale il possesso del relativo documento (attestazione di iscrizione anagrafica o documento di soggiorno) non costituisce condizione per l’esercizio di un diritto.

A differenza della direttiva, che esclude che il possesso del documento possa costituire un prerequisito per l’esercizio di un diritto, la novella esclude che tale possesso possa costituire condizione dell’esercizio del diritto stesso.

La procedura di allontanamento del cittadino comunitario

In relazione alla disciplina della procedura di allontanamento del cittadino comunitario, il decreto in esame reca modifiche all’art. 20 (Limitazioni al diritto di ingresso e di soggiorno) e all’art. 21 (Allontanamento per cessazione delle condizioni che determinano il diritto di soggiorno).

L’art. 27 della direttiva stabilisce i seguenti principi generali in tema di limitazioni del diritto d'ingresso e di soggiorno per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica:

§         gli Stati membri possono limitare la libertà di circolazione di un cittadino dell'Unione o di un suo familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica. Tali motivi non possono essere invocati per fini economici.;

§         i provvedimenti adottati per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza rispettano il principio di proporzionalità e sono adottati esclusivamente in relazione al comportamento personale della persona nei riguardi della quale essi sono applicati. La sola esistenza di condanne penali non giustifica automaticamente l'adozione di tali provvedimenti;

§         il comportamento personale deve rappresentare una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave da pregiudicare un interesse fondamentale della società. Giustificazioni estranee al caso individuale o attinenti a ragioni di prevenzione generale non sono prese in considerazione.

 

L’art. 20 del d.lgs. 30/2007, nel testo previgente alle novelle recate dal decreto in esame, individua quali motivi dei provvedimenti di limitazione i seguenti: motivi di sicurezza dello Stato; motivi imperativi di pubblica sicurezza; altri motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza; unadisposizione specifica in tema di malattie o infermità è contenuta nel comma 8 dello stesso articolo.

 

 Come riportato dalla relazione illustrativa, la Commissione europea ha rilevato la genericità del requisito della grave minaccia rappresentata dal comportamento del cittadino comunitario ai fini dell’allontanamento (“la Direttiva richiede una minaccia “sufficientemente” grave – articolo 27, paragrafo 2, secondo comma” ), nonché la genericità della definizione dei “motivi di sicurezza dello Stato”, che la normativa italiana distingue dai motivi imperativi di pubblica sicurezza (“la Direttiva fa riferimento a motivi di ordine pubblico e pubblica sicurezza – articolo 27, paragrafo 1”) contestando, “altresì, il collegamento automatico dell’allontanamento immediato alla sussistenza di tali motivi, laddove la Direttiva prevede che l’urgenza dell’allontanamento vada debitamente comprovata e valutata caso per caso (articolo 27, paragrafo 2)”.

 

Secondo la relazione illustrativa, sebbene “gli orientamenti della Commissione in materia sono già stati parzialmente recepiti con la circolare del Dipartimento della pubblica sicurezza in data 28 agosto 2009”, la Commissione “ha rilevato tuttavia la persistenza di aspetti problematici, soprattutto con riferimento al carattere interpretativo della citata circolare, che non assicura lo stesso livello di garanzia e certezza del diritto offerto dalle norme di legge”.

 

Pertanto, l’articolo 20 è stato novellato come, di seguito, evidenziato:

-               nel primo periodo del comma 2 è stata soppressa la parola “anche” con l’effetto di circoscrivere i motivi di sicurezza dello Stato, non previsti dalla direttiva – che, come si è visto, contempla come possibili limitazioni solo motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica – ma introdotti nel d.lgs. n. 30/2007 e individuati nell’appartenenza della persona da allontanare ad una delle categorie di cui all’art. 18 della legge 22 maggio 1975, n. 152 (Disposizioni a tutela dell’ordine pubblico), nelle quali rientra il compimento di atti sovversivi nei confronti dell’ordinamento dello Stato o la condanna per uno dei delitti in materia di armi (legge 2 ottobre 1967, n. 895, e successive modificazioni). E’ inoltre aggiunto un secondo periodo che prevede che, ai fini della limitazione del diritto di ingresso e soggiorno, vengono valutate anche le eventuali condanne per i delitti contro la personalità dello Stato (la valutazione di specifici provvedimenti di condanna è contenuta anche nel comma 3, non novellato, con riferimento ai motivi imperativi d io pubblica sicurezza);

-               al primo periodo del comma 3 viene modificata la qualificazione della minaccia ai diritti fondamentali della persona ovvero all’incolumità pubblica nella quale è individuata la sussistenza dei “motivi di sicurezza dello Stato”: mentre nel testo che si modifica tale minaccia è definita ”concreta, effettiva e grave”, nel nuovo testo la minaccia è qualificata “concreta, effettiva e sufficientemente grave” ed è soppresso il riferimento all’effetto di tale minaccia, individuato nel testo, non modificato, nel rendere “urgente l’allontanamento perché la sua ulteriore permanenza sul territorio è incompatibile con la civile e sicura convivenza”. Nel secondo periodo di tale comma, che riguarda la valutazione di determinate condanne ai fini dalla limitazione del diritto, è introdotto l’inciso “quando ricorrono i comportamenti di cui al primo periodo del presente comma”;

Secondo la relazione illustrativa, le modifiche del comma 3 sono dirette a superare i rilevi della Commissione circa l’estensione dei motivi imperativi di pubblica sicurezza, sovrapponibili a quelli di ordine pubblico, attraverso la previsione della necessità del diretto collegamento tra le condanne per determinati reati ovvero l’appartenenza a categorie di soggetti pericolosi alla sussistenza di comportamenti che costituiscono una minaccia concreta, effettiva e sufficientemente grave ai diritti fondamentali della persona ovvero all’incolumità pubblica, conformemente a quanto previsto dalla Direttiva”.

Come evidenziato dalla circolare n. 17102/124 del 23 giugno 2011 del Ministero dell’Interno sopra citata, resta confermata in capo al Ministro la competenza all’adozione dei provvedimenti di allontanamento per motivi di sicurezza dello Stato e, limitatamente ai minori e ai beneficiari del diritto di soggiorno che hanno soggiornato nel nostro Paese nei dieci anni precedenti, per motivi imperativi di pubblica sicurezza.

-               al primo periodo del comma 4 – che dispone che i provvedimenti di allontanamento sono adottati nel rispetto del principio di proporzionalità e non possono essere motivati da ragioni di ordine economico, né da ragioni estranee ai comportamenti individuali dell'interessato che rappresentino una minaccia concreta e attuale all'ordine pubblico o alla pubblica sicurezza – è modificata la qualificazione della minaccia, definita dalla novella “effettiva e sufficientemente grave”; è mantenuto il secondo periodo di tale comma che prevede che l'esistenza di condanne penali non giustifica di per sé l'adozione di tali provvedimenti,

-               al comma 9, con riferimento ai provvedimenti di allontanamento adottati dal Ministro dell’interno per i beneficiari del diritto di soggiorno che hanno soggiornato nel territorio nazionale nei precedenti dieci anni, o che siano minorenni, è soppresso il riferimento al presupposto dei motivi di ordine pubblico, con l’effetto che solo i motivi di sicurezza dello Stato potranno essere presupposto del provvedimento. Quindi, poiché il secondo periodo di tale comma, non modificato, prevede che “negli altri casi, i provvedimenti di allontanamento sono adottati dal prefetto del luogo di residenza o dimora del destinatario”, viene meno la competenza del Ministro dell’interno per l’adozione dei provvedimenti di allontanamento per motivi di ordine pubblico, che vengono demandati al Prefetto; secondo la relazione illustrativa, la modifica del comma 9 è diretta acoordinare la disposizione con le modifiche apportate all’articolo 21, comma 4, in materia di allontanamento per cessazione delle condizioni che determinano il diritto di soggiorno;

-               il comma 11, che riguarda l’immediata esecuzione del provvedimento di allontanamento, è novellato estendendo i presupposti del provvedimento a tutti i motivi indicati nel comma 1 dell’art. 20 (nel testo originario i presupposti sono costituiti dai motivi di sicurezza dello Stato e dai motivi imperativi di pubblica sicurezza); si prevede anche che l’urgenza sia valutata caso per caso, in relazione all’incompatibilità dell’ulteriore permanenza dell’interessato sul territorio nazionale rispetto al mantenimento della civile e sicura convivenza (cfr. in tal senso la circ. n. 17102/124 del 23 giugno 2011 del Ministero dell’Interno).

 

Con riferimento alle modifiche illustrate, si nota che, nel comma 4, è venuto meno il riferimento all’attualità della minaccia, pure contenuto nel secondo periodo del paragrafo 2 dell’art. 27 della direttiva.

 

L’art. 1, lett. h), n. 1, introduce nell’articolo 21, comma 1, del d.lgs. la previsione - di cui all’articolo 14, paragrafo 3 della direttiva - in base alla quale, l’eventuale ricorso al sistema di assistenza sociale non è considerato, automaticamente, come causa di allontanamento, ma va valutato caso per caso.

 

La relazione illustrativa precisa che tale modifica costituisce “accoglimento di una precisa richiesta della Commissione” e che “d’altra parte, già il vigente articolo 13 del decreto legislativo n. 30 del 2007, ai fini del mantenimento del diritto di soggiorno, fa riferimento alla disponibilità di risorse economiche che devono essere sufficienti ad impedire che il cittadino comunitario ed i suoi familiari possano divenire un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante: la valutazione “caso per caso” è, quindi, in re ipsa”.

 

In tema di procedure di allontanamento interviene anche la novella del comma 4 dell’articolo 21, che riguarda l’allontanamento per cessazione delle condizioni che determinano il diritto di soggiorno.

Il comma 4 è interamente sostituito prevedendo che, in caso di inottemperanza al provvedimento di allontanamento, in luogo della contravvenzione ivi prevista, il Prefetto, valutato il singolo caso, adotta un ulteriore provvedimento di allontanamento per motivi di ordine pubblico, immediatamente eseguito dal Questore.

 

L’articolo 21 comma 4, nel testo precedente, sanzionava, con l’arresto da un mese a sei mesi e con l’ammenda da 200 a 2.000 €, il cittadino dell’Unione o il suo familiare che venisse individuato sul territorio dello Stato inottemperante all’ordine del Prefetto, adottato ai sensi del comma 1 (venir meno delle condizioni che legittimano il soggiorno), di lasciare il territorio nazionale entro il termine stabilito e senza aver presentato l’attestazione del consolato italiano dell’adempimento dell’obbligo di allontanamento.

La relazione illustrativa del Governo segnala che la Commissione, preventivamente informata, ha ritenuto la previsione in linea con la direttiva, in quanto non si configurano automatismi, dal momento che l’adozione del nuovo provvedimento di allontanamento non consegue in modo diretto alla violazione del primo ordine di allontanamento in quanto deve essere valutata la situazione del destinatario.

Consultazione tra gli Stati membri

L’articolo 1, comma 1, lett. i) del decreto in esame introduce, infine l’articolo 23-bis (Consultazione tra gli Stati membri), volto a disciplinare l’ipotesi in cui uno Stato membro chieda informazioni ai sensi dell’articolo 27, par. 3, della direttiva 2004/38/CE.

 

L’art. 27, par. 3, della direttiva prevede la facoltà degli Stati membri di chiedere informazioni sui precedenti penali del cittadino comunitario al Paese di provenienza, al fine di accertare se l’interessato costituisce un pericolo per l’ordine pubblico o la pubblica sicurezza. La procedura di consultazione non può avere carattere sistematico e lo Stato membro consultato deve rispondere entro due mesi.

 

In tale circostanza, che può avvenire solo per casi specifici e per esigenze concrete, il Ministero dell’interno – Dipartimento della pubblica sicurezza, attraverso i propri canali di scambio informativo, provvede a fornire gli elementi entro il termine di due mesi dalla data di ricezione della richiesta.

Sotto il profilo della formulazione del testo non appare chiara la locuzione “attraverso i propri canali di scambio informativo”.

L’allontanamento dei familiari dei cittadini comunitari

L’articolo 2 del provvedimento in esame integra l’art. 183-ter delle norme di attuazione del codice di procedura penale (D.lgs. 271/1989) estendendo le modalità di esecuzione dell’allontanamento del cittadino comunitario anche ai suoi familiari. Tale allontanamento può essere disposto solo in conformità ai criteri e alle modalità stabiliti dall’art. 20 del D.lgs. 30/2007 sopra richiamato.

Per familiari si intendono le categorie indicate agli articoli 2, comma 1, lett. b) e 3, comma 2, lett. a) del D.lgs. 30/2007 e cioè:

§      il coniuge;

§      il partner che abbia contratto con il cittadino dell'Unione un'unione registrata sulla base della legislazione di uno Stato membro, qualora la legislazione dello Stato membro ospitante equipari l'unione registrata al matrimonio e nel rispetto delle condizioni previste dalla pertinente legislazione dello Stato membro ospitante;

§      i discendenti diretti di età inferiore a 21 anni o a carico e quelli del coniuge o partner;

§      gli ascendenti diretti a carico e quelli del coniuge o partner;

§      ogni altro familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, se è a carico o convive, nel paese di provenienza, con il cittadino dell'Unione titolare del diritto di soggiorno a titolo principale o se gravi motivi di salute impongono che il cittadino dell'Unione lo assista personalmente.

 


 

Il rimpatrio degli stranieri non comunitari irregolari

Il Capo II del provvedimento in esame (artt. 3, 4 e 5) è volto al recepimento nell’ordinamento nazionale della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2008 recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare.

Il termine fissato dalla direttiva per il recepimento da parte degli Stati membri è già scaduto il 24 dicembre 2010 e la Commissione europea ha avviato la fase prodromica all’apertura dell’infrazione per mancato recepimento.

 

La Commissione politiche dell’Unione europea del Senato aveva introdotto il recepimento della direttiva 115/2008/CE nel testo del disegno di legge comunitaria 2010 licenziato per l’Assemblea (A.S. 2322-A). Il riferimento all’attuazione della direttiva è stato soppresso dall’Assemblea del Senato nella seduta del 1° febbraio 2011 con un emendamento sul quale la relatrice e il Governo hanno dato parere favorevole – come spiegato dalla stessa relatrice – “alla luce dei recenti accadimenti e vista l'intenzione del Ministro dell'interno di applicare la direttiva attraverso un provvedimento d'urgenza”.

 

La direttiva impatta sulla normativa vigente e il suo recepimento comporta l’introduzione di numerose modifiche ed integrazioni al testo unico della disciplina dell’immigrazione, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286. Tali modifiche sono oggetto dell’articolo 3 che esaurisce pressoché completamente il Capo II in esame.

L’articolo 4 reca una disposizione di coordinamento che prevede una specifica competenza del giudice di pace per alcuni reati connessi all’immigrazione clandestina.

L’articolo 5 reca la clausola di copertura finanziaria.

La direttiva 2008/115/CE

La direttiva 2008/115/CE del 16 dicembre 2008 definisce norme e procedure comuni da applicarsi negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare.

La direttiva risponde all'esigenza di introdurre norme chiare, trasparenti ed eque nell'ambito di una politica di rimpatrio efficace, necessaria per una corretta gestione della politica di immigrazione.

Le procedure di rimpatrio, come stabilito dall’art. 1 della direttiva, devono essere eseguite nel rispetto dei diritti fondamentali in quanto considerati principi generali del diritto comunitario e del diritto internazionale e sempre nel rispetto degli obblighi previsti in materia di rifugiati e di diritti dell'uomo.

Nell'attuazione della direttiva, gli Stati membri dovrebbero considerare come preminente l'interesse superiore del bambino, come sottolineato nel "considerando n. 22" e previsto anche dall'articolo 5, in linea con la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo del 1989.

Inoltre, deve essere rispettato il principio di non-refoulement, ossia del non respingimento dei richiedenti asilo, e devono essere tenute in debita considerazione la vita familiare e le condizioni di salute dell’interessato.

In particolare, la direttiva introduce norme comuni riguardanti il rimpatrio, l’allontanamento, l’uso di misure coercitive, la custodia temporanea e il reingresso di cittadini di paesi terzi soggiornanti illegalmente.

La direttiva si applica ai cittadini non comunitari il cui soggiorno nel territorio di uno Stato membro è irregolare, ossia avviene in violazione delle norme relative alle condizioni di ingresso e soggiorno vigenti nello Stato membro o delle norme comunitarie.

Gli Stati membri possono decidere di non applicare la direttiva per gli stranieri sottoposti a respingimento alla frontiera, ai quali, tuttavia, devono essere riservati un trattamento e un livello di protezione non meno favorevoli di quelli previsti da alcune disposizioni della direttiva in materia di misure coercitive, allontanamento, prestazioni sanitarie e trattenimento. Possono, inoltre, essere esclusi dall’ambito di applicazione della direttiva i destinatari di un provvedimento di espulsione quale sanzione penale.

 

Gli Stati membri devono emettere una decisione di rimpatrio nei confronti di qualunque cittadino di un Paese terzo il cui soggiorno nel suo territorio sia irregolare.

 

Per motivi umanitari o di altra natura, la decisione di rimpatrio può essere omessa; in questi casi gli Stati membri possono decidere di rilasciare un permesso di soggiorno autonomo o altra autorizzazione che conferisca il diritto di soggiornare a un cittadino di un Paese terzo il cui soggiorno nel territorio statale è irregolare. Gli Stati membri non devono emettere decisioni di rimpatrio prima del completamento della procedura di rinnovo di tali permessi.

Inoltre, se il cittadino di un Paese terzo è in possesso di un permesso di soggiorno valido o di un’autorizzazione equivalente rilasciati da un altro Stato membro deve recarsi immediatamente nel territorio di quest’ultimo. Se in virtù di accordi bilaterali, un altro Stato membro riprende il cittadino in questione, tale Stato membro sarà responsabile di emettere la decisione di rimpatrio.

 

La decisione di rimpatrio viene attuata attraverso la partenza volontaria oppure con l’allontanamento. La prima modalità dovrebbe essere preferita a meno che non vi sia motivo di ritenere che ciò possa compromettere la finalità della procedura di rimpatrio (considerando n. 10).

 

La decisione di rimpatrio tramite la partenza volontaria deve prevedere un termine congruo compreso tra sette e trenta giorni. Gli Stati membri possono prevedere che tale periodo sia concesso unicamente su richiesta del cittadino interessato. Il termine per la partenza volontaria può essere prorogato, in particolari circostanze, quali la durata del soggiorno, l'esistenza di bambini che frequentano la scuola e l'esistenza di altri legami familiari e sociali. Per la durata di tale periodo gli Stati membri possono inoltre imporre alcuni obblighi all’interessato diretti a evitare il rischio di fuga (obbligo di presentarsi periodicamente alle autorità, deposito di una cauzione ecc.). Se sussiste il rischio di fuga o se una domanda di soggiorno regolare è stata respinta in quanto manifestamente infondata o fraudolenta o se l'interessato costituisce un pericolo per l'ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale, gli Stati membri possono astenersi dal concedere un periodo per la partenza volontaria o concederne uno inferiore a sette giorni.

 

Qualora non sia stato concesso un periodo per la partenza volontaria o per mancato adempimento dell’obbligo di rimpatrio da parte del cittadino entro il periodo per la partenza volontaria concesso, gli Stati membri devono ordinarne l’allontanamento.

Misure coercitive proporzionate, che non eccedono un uso ragionevole della forza, possono essere usate per allontanare un cittadino di un Paese terzo solo in ultima istanza. L’allontanamento deve essere rinviato qualora violi il principio di non-refoulement o in caso di sospensione temporanea della decisione di rimpatrio durante la pendenza dell’eventuale ricorso contro la decisione. Gli Stati membri possono rinviare l’allontanamento anche in circostanze specifiche dovute alle condizioni dell’interessato, o per ragioni tecniche (mancanza del vettore, assenza di identificazione ecc.).

 

Ai sensi del testo unico dell’immigrazione attualmente vigente, la decisione di espulsione amministrativa può essere eseguita con due modalità: con l’accompagnamento alla frontiera mediante la forza pubblica, che costituisce la modalità ordinaria, oppure con l’intimazione a lasciare il Paese entro il termine di 15 giorni. Questa seconda ipotesi è prevista nel caso in cui l’interessato sia in possesso di un permesso di soggiorno scaduto da più di 60 giorni, di cui non ha chiesto il rinnovo. Anche in questo caso, tuttavia, può essere disposta l’espulsione coatta in presenza di un concreto pericolo che l’interessato si sottragga all’esecuzione del provvedimento di allontanamento tramite intimazione (art. 13 D.Lgs. 286/1998).

 

La direttiva attribuisce una dimensione europea agli effetti delle misure di rimpatrio adottate a livello nazionale, ponendo in essere un divieto al rientro sul territorio, valido per l’insieme dell’Unione europea.

Le decisioni di rimpatrio possono essere corredate da un divieto di ingresso qualora non sia stato concesso un periodo per la partenza volontaria o il cittadino non abbia ottemperato all’obbligo di rimpatrio. La durata del divieto di ingresso è determinata tenendo debitamente conto di tutte le circostanze pertinenti di ciascun caso e non supera di norma i cinque anni, a meno che il cittadino non costituisca una grave minaccia per l’ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale. Gli Stati membri possono revocare o sospendere un divieto d’ingresso per motivi particolari. In casi individuali gli Stati membri possono astenersi per motivi umanitari dall’emettere un divieto d’ingresso.

 

Il testo unico dell’immigrazione prevede un divieto di reingresso di 10 anni se non diversamente disposto (art. 13, comma 14).

 

Lo Stato che adotta la decisione di rimpatrio, in talune ipotesi, può disporre il trattenimento del cittadino irregolare in appositi centri di permanenza temporanea, ad esempio se sussiste il pericolo di fuga o se il cittadino ostacola la preparazione del rimpatrio. Anche relativamente all'adozione del trattenimento deve essere adottata ogni tutela necessaria al fine di salvaguardare l'interesse superiore del minore.

Il trattenimento è sottoposto all’esame dell’autorità giudiziaria e deve durare il minor tempo possibile. In ogni caso, ciascuno Stato individua un periodo determinato di trattenimento che non può superare i 6 mesi prorogabili, al massimo, di ulteriori 12 mesi esclusivamente nell’ipotesi che, nonostante sia stato compiuto ogni ragionevole sforzo, l'operazione di allontanamento rischia di durare più a lungo a causa:

§         della mancata cooperazione da parte del cittadino;

§         dei ritardi nell'ottenimento della necessaria documentazione dai paesi terzi.

 

Questa parte della direttiva è stata recepita nell’ordinamento con la legge 94/2009 che ha elevato da 60 a 180 giorni il periodo di trattenimento massimo nei Centri di identificazione e d espulsione – CIE (art. 14 del testo unico).

 

La direttiva prevede una serie garanzie procedurali volte a tutelare i destinatari delle decisioni di rimpatrio.

Le decisioni di rimpatrio, di divieto d’ingresso e di allontanamento devono essere adottate in forma scritta e contenere informazioni sui mezzi di ricorso disponibili. Gli Stati membri forniscono ai cittadini dei paesi terzi, su richiesta, la traduzione di tali decisioni, a meno che tali decisioni non siano adottate per mezzo di un modello uniforme.

Al cittadino di un Paese terzo devono essere concessi mezzi di ricorso effettivo avverso le decisioni connesse al rimpatrio o per chiederne la revisione, e deve essere garantita la necessaria assistenza o rappresentanza legale gratuita. La revisione delle decisioni deve avvenire dinanzi ad un’autorità giudiziaria o amministrativa competente o a un organo competente composto da membri imparziali che offrono garanzie di indipendenza. L’organo di revisione ha la facoltà di sospendere temporaneamente l’esecuzione delle decisioni.

 

La Commissione è tenuta a predisporre, ogni tre anni, una relazione concernente lo stato di attuazione della direttiva in esame, in particolare con riferimento al divieto d'ingresso, alla garanzia dell'assistenza legale gratuita anche ai sensi della direttiva 2005/85/CE ed alla possibilità di trattenimento.

Il mancato recepimento della direttiva e gli interventi della giurisprudenza

Il termine di recepimento della direttiva è scaduto il 24 dicembre 2010 senza che, a quella data, fossero stati adottati i provvedimenti necessari alla sua attuazione. Nelle more del recepimento della direttiva si registra un orientamento della giurisprudenza volto a disapplicare le disposizioni della normativa nazionale (contenute nel testo unico dell’immigrazione), in favore di quelle recate nella direttiva medesima, nei casi in cui vengano individuate palesi divergenze tra esse, in ottemperanza del principio di self-executing.

 

L'efficacia diretta (o applicabilità diretta) del diritto europeo è un principio che consente di invocare direttamente una norma europea dinanzi a una giurisdizione nazionale o europea, a prescindere dall’esistenza di atti normativi di diritto nazionale. Tale principio si è consolidato attraverso la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE), che ha definito diversi requisiti da soddisfare affinché un atto giuridico europeo possa essere direttamente applicabile, tra cui la condizione che gli obblighi siano precisi, chiari e incondizionati e non richiedano misure complementari di carattere nazionale o europeo (sen. Van Gend en Loos 5 febbraio 1963).

 

Parte della giurisprudenza nazionale ha individuato un aspetto di non conformità della normativa nazionale rispetto a quella europea nelle disposizioni sanzionatorie relative alla violazione dell’ordine di rimpatrio.

 

Il testo unico sull’immigrazione prevede che se, pur in presenza di un provvedimento di espulsione coatta, non è possibile procedere all’accompagnamento alla frontiera, anche dopo un eventuale periodo di trattenimento nei centri per immigrati, il questore ordina allo straniero di lasciare il territorio dello Stato entro 5 giorni. In questo caso è previsto un sistema sanzionatorio penale articolato come segue:

-      la violazione all’ordine del questore compiuta dal cittadino straniero che rimane illegalmente nel territorio nazionale “senza giustificato motivo” è punita con la reclusione fino a 4 anni e con una nuova espulsione con accompagnamento alla frontiera. Anche in questo caso l’espulsione coatta può essere convertita in espulsione con intimazione ad lasciare il territorio nazionale;

-      una successiva ulteriore violazione, sia che si concretizzi nel reingresso dopo l’espulsione coatta, sia che consista nell’inottemperanza all’ordine di rimpatrio, dà luogo una pena più alta (fino a 5 anni), non comporta la valutazione del giustificato motivo e prevede una nuova espulsione.

 

Il giudice di merito (si veda ad es. Trib. Torino sen. 52 del 5 gennaio 2011) ha ritenuto di disapplicare tali disposizioni per i seguenti motivi:

-      “il t.u. vigente stabilisce come regola l’espulsione coattiva immediata dello straniero e contempla il trattenimento come unica misura coercitiva adottabile nelle more dell’accompagnamento coattivo, mentre la direttiva UE privilegia e incentiva la partenza volontaria del cittadino di Paese terzo irregolare imponendo all’autorità di concedere allo straniero espulso un termine congruo compreso tra i sette e i 30 giorni per lasciare volontariamente il territorio (mentre l’ordine di allontanamento del questore prevede un termine inferiore - cinque giorni- per lasciare il territorio nazionale), e concepisce il trattenimento come ultima “ratio”, utilizzabile quando altre misure meno afflittive si presentino inadeguate ad assicurare il rimpatrio e sempre che le condizioni che giustificano l’avvio del trattenimento sussistano per la durata del medesimo”;

-      “l’attuale ordinamento italiano sanziona con la reclusione da uno a quattro anni la fattispecie dell’inosservanza del primo ordine di allontanamento, e con la reclusione da uno a cinque anni dell’ordine reiterato, provvedimento che è parte integrante della procedura di rimpatrio, che ricade, quindi, nella sfera di applicazione della direttiva la quale prevede unicamente il ricorso alle misure coercitive ivi previste e in “extrema ratio” il trattenimento in un apposito centro di permanenza temporanea, per un periodo complessivo massimo di 18 mesi e con le garanzie previste agli art. 15 e 16 della direttiva. Applicando le norme penali in oggetto si violano le garanzie imposte dalla direttiva a tutela della libertà personale dello straniero destinatario di un provvedimento di rimpatrio e che non lo abbia osservato, ricorrendo ad una misura coercitiva qualitativamente diversa e temporalmente più estesa di quella prevista (in caso estremo il trattenimento) dalla direttiva UE”.

 

Sul punto è intervenuta successivamente la Corte di giustizia dell’Unione europea (Sezione I, 28 aprile 2011, C-61/11) che si è pronunciata su una domanda pregiudiziale sollevata dalla Corte d’appello di Trento, nell’ambito di un procedimento a carico di un cittadino non comunitario, condannato alla pena di un anno di reclusione per reato di permanenza irregolare sul territorio italiano, senza giustificato motivo, in violazione di un ordine di allontanamento emesso nei suoi confronti, in attuazione dell’art. 14, comma 5-ter del D.Lgs. 286/1998.

La Corte ha stabilito che la “direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 16 dicembre 2008, 2008/115/CE, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, in particolare i suoi artt. 15 e 16, deve essere interpretata nel senso che essa osta ad una normativa di uno Stato membro, (..), che preveda l’irrogazione della pena della reclusione al cittadino di un paese terzo il cui soggiorno sia irregolare per la sola ragione che questi, in violazione di un ordine di lasciare entro un determinato termine il territorio di tale Stato, permane in detto territorio senza giustificato motivo". Nel raggiungere tale conclusione, la Corte rileva che a) la direttiva 2008/115 non è stata trasposta nell’ordinamento giuridico italiano; b) gli articoli 15 e 16 della direttiva sono incondizionati e sufficientemente precisi da non richiedere ulteriori specifici elementi perché gli Stati membri li possano mettere in atto; c) tale normativa non osta a che, qualora le misure coercitive non abbiano consentito di raggiungere l’allontanamento del cittadino di un paese terzo, gli stati membri restino liberi di adottare misure, anche penali , atte a dissuadere tali cittadini dal soggiornare illegalmente nel territorio; d) eppure, contrasta con il principio dell’effetto utile del diritto europeo e con il principio di proporzionalità l’introduzione, al fine di ovviare all’insuccesso delle misure coercitive di allontanamento, di una pena detentiva come quella prevista dall’art. 14, co. 5-ter, del d.lgs. 286/1998; e) pertanto, il giudice del rinvio dovrà disapplicare tale norma e tenere conto del principio dell’applicazione retroattiva della pena più mite che fa parte delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri”.

Il permesso di soggiorno per motivi umanitari

Al fine di recepire nell’ordinamento interno le disposizioni della direttiva rimpatri, l’articolo 3, apporta diverse modifiche ed integrazioni al testo unico in materia d’immigrazione.

L’art. 3, comma 1, lettera a) integra l’art. 5, comma 6, del testo unico, che concerne il rifiuto e la revoca del permesso di soggiorno.

Ai sensi dei commi precedenti (5, 5-bis e 5-ter) il permesso di soggiorno può essere rifiutato o revocato dalle autorità italiane per i seguenti motivi: difetto dei requisiti richiesti dalla legge italiana, eventuali condanne per gravi reati, poligamia. Il comma 6 prevede più in generale che il permesso è rifiutato e revocato sulla base di convenzioni o accordi internazionali, recepiti dall’Italia (quali l’Accordo di Schengen), qualora lo straniero “non soddisfi le condizioni di soggiorno” applicabili in uno degli Stati contraenti. Lo stesso comma 6 pone una deroga alla disposizione testé descritta: non si dà luogo a rifiuto o revoca in presenza di seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali (diritto di asilo) o internazionali.

La disposizione in esame aggiunge un periodo finale al comma sopra descritto, prevedendo che in questi casi il permesso di soggiorno per motivi umanitari è rilasciato dal questore secondo la procedura indicata nel regolamento di attuazione (DPR 394/1999).

 

Ai sensi dell’articolo 11, comma. 1, lett. c-ter) del DPR 31 agosto 1999, n. 394, il permesso di soggiorno per motivi umanitari, nei casi di cui agli articoli 5, comma 6 e 19, comma 1, del testo unico, è rilasciato previo parere delle Commissioni territoriali per il riconoscimento dello status di rifugiato ovvero acquisizione dall'interessato di documentazione riguardante i motivi della richiesta relativi ad oggettive e gravi situazioni personali che non consentono l'allontanamento dello straniero dal territorio nazionale. Il permesso per motivi umanitari consente lo svolgimento del lavoro subordinato ed autonomo (art. 14, comma 1). Ai titolari è consentito permanere in Italia riconoscendo loro una particolare situazione oggettiva connessa, sulla base di elementi valutati dalla Commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato, ad una concreta esposizione a rischi per la incolumità personale o per l’esercizio dei diritti fondamentali della persona. Per sua stessa natura, tale situazione, non è riconducibile a quella di un rifugiato[10].

 

Secondo quanto riportato nella relazione illustrativa, l’integrazione disposta recepisce l’articolo 6, paragrafo 4, della direttiva. Tale disposizione prevede che in qualsiasi momento gli Stati membri possono decidere di rilasciare ad un immigrato irregolare, per motivi umanitari o di altra natura, un permesso di soggiorno ad hoc. La concessione interrompe l’eventuale procedura di rimpatrio.

 

Si osserva che non appare chiara la portata innovativa della norma, dal momento che l’art. 5, comma 6, nella formulazione precedente all’emanazione del decreto-legge, già prevede la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Inoltre, la disposizione comunitaria di cui all’art. 6, par. 4, sembra di portata più generale prevedendo che in qualsiasi momento è possibile concedere allo straniero irregolare un permesso di soggiorno, mentre il legislatore nazionale circoscrive tale possibilità esclusivamente alla fase di rifiuto o revoca del permesso di soggiorno.

Rimpatrio volontario ed espulsione

L’art. 3, comma 1, lettera b)esclude dal reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello stato lo straniero identificato durante i controlli della polizia di frontiera, nel momento in cui esce dal territorio nazionale. Tale esclusione si va ad aggiungere a quella già prevista dalla legge per gli stranieri fermati in prossimità delle frontiere in posizione irregolare e destinatari di un provvedimento di respingimento.

 

La legge in materia di sicurezza (legge 94/2009), attraverso l’inserimento dell’art. 10-bis nel testo unico immigrazione, ha introdotto la nuova fattispecie di reato dell’ingresso e soggiorno illegale, punita come contravvenzione con l’ammenda da 5 mila a 10 mila euro e attribuita alla competenza del giudice di pace.

 

Secondo quanto riportato nella relazione illustrativa la disposizione intende incentivare, - in attuazione dell’articolo 4, paragrafo 3, della direttiva – “l’esodo” volontario dei cittadini stranieri irregolarmente presenti sul territorio nazionale, ai quali, ove identificati in uscita dal territorio nazionale durante i controlli della polizia di frontiera, non sarà contestato il reato di soggiorno illegale.

L’articolo 4 della direttiva, come sovente nella normativa comunitaria, reca una clausola di riserva di maggior favore in base alla quale si dispone che la norma comunitaria non debba pregiudicare, a determinate condizioni e nel rispetto dello spirito della direttiva, l’applicazione di disposizioni più favorevoli già presenti nell’ordinamento interno o che eventualmente potrebbero essere adottate in futuro.

In questa ottica, il legislatore interno intende derogare dall’applicazione del reato di immigrazione clandestina per coloro che spontaneamente ritornano nel proprio Paese, con l’indubbio vantaggio di rendere più spedite le operazioni di rimpatrio. Ovviamente, tale deroga non pregiudica l’intervento dell’autorità di polizia in caso di più grave reato.

 

Con la lettera c) si procede ad una puntuale modifica dell’articolo 13 del testo unico, che disciplina l’espulsione amministrativa.

 

Il testo unico sull’immigrazione contempla diversi tipi di espulsione del cittadino straniero riconducibili sostanzialmente a due categorie giuridiche: l’espulsione quale sanzione amministrativa, comminata, appunto, dall’autorità amministrativa (ministro o prefetto) in caso di violazione delle regole relative all’ingresso e al soggiorno e l’espulsione applicata dal giudice nell’ambito di un procedimento penale (l’espulsione a titolo di misura di sicurezza e l’espulsione a titolo di sanzione sostitutiva o alternativa a sanzione penale). Esse rispondono a due distinte finalità: la prima punisce coloro che trasgrediscono le procedure fissate per l’ingresso e il soggiorno degli stranieri e costituiscono dunque una sanzione necessaria ai fini del loro rispetto. La seconda colpisce il comportamento delinquenziale dello straniero a prescindere dalla regolarità della sua posizione amministrativa. Tuttavia, alcune forme di espulsione “giudiziaria” possono essere eseguite solo nei confronti degli stranieri passibili di espulsione amministrativa.

L’art. 13 del testo unico disciplina l’espulsione amministrativa prevedendo due tipologie distinte di provvedimento:

§       l’espulsione disposta dal ministro dell’interno per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato (comma 1);

§       l’espulsione disposta dal prefetto (comma 2) nei seguenti casi:

-      quando lo straniero è entrato nel territorio dello Stato sottraendosi ai controlli di frontiera (immigrato clandestino);

-      quando lo straniero si è trattenuto nel territorio dello Stato senza aver chiesto il permesso di soggiorno nel termine prescritto, oppure quando il permesso di soggiorno è stato revocato o annullato o scaduto da più di sessanta giorni e non è stato chiesto il rinnovo (immigrato irregolare);

-      quando lo straniero sia un delinquente abituale o sia indiziato di appartenere ad associazioni criminali di tipo mafioso.

L’espulsione amministrativa (sia di iniziativa del ministro dell’interno, sia quella prefettizia) è disposta con decreto motivato ed è eseguita dal questore (co. 3). Il decreto è immediatamente esecutivo anche se sottoposto a gravame o impugnativa da parte dell’interessato e l’espulsione viene di norma eseguita con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica (co. 4).

Qualora lo straniero sia sottoposto a procedimento penale, l’esecuzione del provvedimento di espulsione è eseguita previo nulla osta dell’autorità giudiziaria che può essere negato in presenza di inderogabili esigenze processuali.

 

Il numero 1) della lettera c) apporta alcune modifiche al comma 2 dell’art. 13 TU:

§         viene specificato che l’espulsione di competenza del prefetto sia disposta caso per caso. Come riportato nella relazione illustrativa, viene in questo modo incardinato il principio più volte ribadito dalla normativa comunitaria – vedasi il considerando 6 della direttiva - della valutazione caso per caso della posizione dello straniero, prima dell’adozione di un qualsiasi provvedimento di rimpatrio. Si ricorda che il citato considerando 6, oltre al principio della valutazione caso per caso, prevede che si tenga conto, nelle decisioni di rimpatrio, di criteri obiettivi che non si limitino a prendere in considerazione il semplice fatto dell’irregolarità del soggiorno;

§         viene integrato l’elenco delle situazioni che comportano la decisione dell’espulsione ricomprendendovi anche l’ipotesi di rifiuto di rilascio del permesso di soggiorno (che si va ad aggiungere ai casi di mancata richiesta, revoca, annullamento e mancata richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno). In questo caso, si tratta di una disposizione non finalizzata ad attuare la direttiva, bensì a colmare uno specifico vuoto normativo, come riconosciuto nella relazione illustrativa;

§         viene individuata una ulteriore condizione che comporta l’espulsione prefettizia nell’ ipotesi di trattenimento dello straniero non comunitario oltre il periodo di 3 mesi, periodo considerato soggiorno di breve durata, per il quale non è necessario richiedere il permesso di soggiorno, ma è sufficiente una semplice dichiarazione di presenza, ai sensi dell’art. 1, co. 3, della legge 68/2007. Anche in questo caso, la finalità della norma sembra essere quella di colmare una lacuna nella normativa previgente.

 

La legge 68/2007 ha eliminato l’obbligo di richiesta del permesso di soggiorno per i soggiorni di breve durata. La legge sostituisce il permesso di soggiorno con una semplice dichiarazione di presenza per gli stranieri non comunitari che intendono soggiornare in Italia per periodi non superiore a tre mesi per motivi di visita, affari, turismo e studio. L’inosservanza dell’obbligo della presentazione della dichiarazione di presenza comporta l’espulsionedello straniero, sia in caso di ritardo nella presentazione della dichiarazione, sia in caso di trattenimento nel territorio dello Stato oltre il periodo consentito (art. 1, co. 3).

 

Il comma 2-ter, aggiunto all’art. 13 dal numero 2) della lettera c), prescrive che l’espulsione non è disposta, né eseguita, quando lo straniero irregolare è identificato alla frontiera dalle forze di polizia. La finalità è analoga a quella della disposizione di cui alla lettera b) che esclude, nella medesima situazione, la contestazione del reato di immigrazione clandestina.

 

In proposito si richiama quanto riportato nella relazione illustrativa: “L’introduzione di un ulteriore comma intende consentire allo straniero irregolare che transita in uscita dall’Ufficio di Polizia di Frontiera - e in possesso di passaporto valido - di lasciare volontariamente l’Italia senza essere espulso. Qualora lo straniero in questione sia già destinatario di un provvedimento di espulsione non ne verrà data esecuzione coattiva, fermo restando l’inserimento del provvedimento nella banca dati Schengen, da cui consegue l’inammissibilità negli altri Paesi dell’Area. E’ perseguita, in tal modo, la finalità di agevolare il ritorno nel Paese di origine di stranieri illegalmente soggiornanti, previa valutazione caso per caso, sulla base di criteri obiettivi, non limitandosi quindi a prendere in considerazione il semplice fatto del soggiorno irregolare. Tale procedura, peraltro, è in linea con quanto previsto dal Codice Frontiere Schengen (Reg CE n. 562/2006, modificato dal Reg. UE n. 265/2010), che, all’articolo 11, par. 3, riserva alla discrezionalità dello Stato membro la facoltà di espellere lo straniero illegalmente soggiornante, identificato in uscita dal territorio nazionale alla frontiera esterna. Tale finalità si pone in linea sia con il considerando 6 che con l’articolo 4, paragrafo 3, della direttiva”.

 

Con il numero 3 della lettera c) l’articolo in esame tocca alcuni dei punti fondamentali del recepimento della direttiva.

Viene riformulato il comma 4 dell’art. 13 che disciplina le modalità di espulsione.

Nella formulazione originaria del testo unico del 1998, si prevedeva che l’espulsione dovesse essere generalmente eseguita con l’intimazione a lasciare il territorio nazionale, ad eccezione di una serie di situazioni, che per la loro gravità rendessero necessaria l’esecuzione dell’espulsione con l’accompagnamento coatto alla frontiera.

L’impostazione della legge Turco-Napolitano è stata rovesciata dalla legge 189/2002 (Bossi-Fini) che ha stabilito il principio che l’espulsione è sempre eseguita con l’accompagnamento alla frontiera ad eccezione dei casi di violazioni di minore entità (permesso di soggiorno scaduto o del quale non è stato richiesto il rinnovo).

Tuttavia, le fattispecie per le quali era prevista l’espulsione tramite foglio di via e l’espulsione forzata non erano molto diverse tra la formulazione della legge nel 1998 e quella del 2002.

Con la norma in esame, viene utilizzata una ulteriore formulazione: il nuovo comma 4, come riscritto dalla disposizione in esame, prevede che l’esecuzione è eseguita dal questore mediante accompagnamento alla frontiera in una serie tassativa di casi, quali:

1)      in presenza di motivi di ordine pubblico o sicurezza dello Stato (art. 13, co. 1);

2)      quando lo straniero sia un delinquente abituale o sia indiziato di appartenere ad associazioni criminali di tipo mafioso (art. 13, co. 2, lett. c);

3)      rischio di possibili attività terroristiche (art. 3, co. 1, D.L. 144/2005, conv. L. 155/2005);

4)      rischio di fuga (specificato dal nuovo comma 4-bis);

5)      presentazione di domanda di soggiorno manifestamente infondata o fraudolenta;

6)      inosservanza, senza giustificato motivo, del termine concesso per la partenza volontaria;

7)      violazione di una delle misure disposte dal questore in caso di partenza volontaria (nuovo comma 5.2) o in caso di prescrizioni meno coercitive rispetto al trattenimento (nuovo comma 1-bis del’art. 14);

8)      in presenza di un provvedimento di espulsione a titolo di misura di sicurezza (art. 15 TU) ovvero di sanzione alternativa o sostitutiva alla detenzione (art. 16 TU) e nelle ipotesi di espulsione disposta come sanzione penale o come conseguenza di una sanzione penale;

9)      in assenza di richiesta da parte dello straniero di un termine per la partenza volontaria, come previsto al successivo comma 5.1.

 

I requisiti sopra richiamati costituiscono il recepimento di disposizioni diverse della direttiva:

   i punti da 1) a 5) attuano l’art. 7, par. 4 della direttiva;

   il numero 6) attua l’art. 8, par. 1;

   il numero 8) attua l’art. 2, par. 2, lett. b) della direttiva;

 

Per quanto riguarda il punto 7), non sembra esservi un riscontro nella direttiva. Infatti, l’art. 7, par. 3, prevede sì la possibilità di imporre obblighi speciali per il periodo precedente il rimpatrio, ma non prevede sanzioni particolari per gli inadempienti.

Anche il punto 9) non è espressamente considerato nella direttiva, pur sembrando la relativa previsione una norma di chiusura.

 

Il nuovo comma 4-bis (introdotto numero 4 della lett. c), definisce i criteri necessari affinché il prefetto valuti, caso per caso, l’esistenza del rischio di fuga, quali:

§      non possedere un documento di espatrio valido;

§      non avere la disponibilità di un alloggio stabile;

§      aver fornito in passato false generalità;

§      non avere ottemperato all’esecuzione dell’espulsione tramite intimazione a lasciare il territorio dello Stato (ai sensi dell’art. 13, sia co. 5, sia co. 13), e al divieto di reingresso;

§      aver violato le prescrizioni connesse alla partenza volontaria e alle misure meno coercitive rispetto al trattenimento (comma 5.2).

 

Come specificato dalla relazione illustrativa, il comma 4-bis costituisce attuazione dell’articolo 3, paragrafo 1, n. 7 della direttiva, che prevede la definizione da parte della legge di criteri obiettivi in base ai quali si possa ritenere sussistente “in un caso individuale” il concreto rischio di fuga.

 

Il numero 5 della lett. c) modifica il comma 5 dell’art. 13 TU che, nella formulazione previgente, completa la disciplina di cui al comma 4 (che come si è detto stabilisce il principio che l’espulsione è eseguita sempre con l’accompagnamento coatto alla frontiera), indicando le fattispecie (residuali) per le quali non si procede all’espulsione forzata, bensì tramite intimazione ad abbandonare il territorio dello Stato entro 15 giorni. Quest’ultima ipotesi si realizza (nel testo previgente) nei confronti dello straniero che si è trattenuto nel territorio dello Stato con permesso di soggiorno scaduto da più di 60 giorni e non ne è stato richiesto il rinnovo.

Il comma 5 viene riformulato dal decreto-legge, per recepire l’articolo 7 della direttiva rubricato Partenza volontaria.

Il nuovo meccanismo prevede quanto segue:

1)      lo straniero per il quale è già stato emanato un decreto di espulsione, per il quale non ricorrono le condizioni per l’allontanamento coatto (ossia al di fuori delle ipotesi di cui al nuovo comma 4) può chiedere al prefetto la concessione di un periodo per la partenza volontaria, “anche attraverso programmi di rimpatrio volontario ed assistito di cui all’art. 14-ter ;

2)      il prefetto, valutato il singolo caso “intima allo straniero di lasciare volontariamente” il Paese entro un termine tra 7 e 30 giorni;

3)      il termine può essere prorogato in considerazione di diversi fattori (durata pregressa del soggiorno, presenza di minori che frequentano la scuola, ammissione di programmi di rimpatrio volontario ecc.);

4)      una volta eseguito il rimpatrio, il questore ne comunica l’esito al giudice per la deliberazione di non luogo a procedere nei confronti dello straniero in relazione al reato di immigrazione illegale di cui all’art. 10-bis del TU.

 

Si rileva che, rispetto alla normativa previgente, è venuta meno l’obbligatorietà di concedere un periodo di tempo (15 giorni) prima di procedere all’espulsione con intimazione ad abbandonare il territorio dello Stato: infatti, è stata esercitata l’opzione prevista dalla direttiva (art. 7, par. 1) secondo la quale gli Stati membri possono prevedere che la concessione di un periodo di tempo avvenga unicamente dietro richiesta dell’interessato.

 

Si osserva, in proposito, che nel caso in esame non è stata attivata la clausola di maggior favore, del resto facoltativa, di cui al citato art. 4, par. 3 della direttiva.

Inoltre, nella nuova procedura, al punto sub 2), non appare chiaro il grado di discrezionalità del prefetto che da un lato “valuta caso per caso”, ma dall’altro sembra avere l’obbligo (e non la facoltà) di “intimare” lo straniero a lasciare il territorio nazionale tra i 7 e i 30 giorni.

Infine, sotto il profilo della formulazione del testo, l’accostamento del verbo “intimare” con la qualificazione “volontaria” della partenza sembra prefigurare una contradictio in adjecto.

 

Secondo la relazione illustrativa, la disposizione in esame costituisce il nucleo innovativo della disciplina degli allontanamenti degli stranieri irregolari, in presenza di determinati presupposti e, soprattutto, in assenza di specifiche cause ostative.

 

Il comma 5.1 (di cui al numero 6) prevede che, per consentire allo straniero di usufruire della facoltà di richiedere il termine per la partenza volontaria, in conformità ad una precisa disposizione in questo senso contenuta nell’articolo 7, par. 1, della direttiva, la questura provveda a informare adeguatamente lo straniero del suo diritto di chiedere un termine per l’espulsione. Qualora lo straniero non intenda richiedere la partenza volontaria, l’espulsione viene eseguita con accompagnamento alla frontiera.

Il successivo comma 5.2 prevede l’applicazione, da parte del questore, nel caso di concessione di un termine per la partenza volontaria, di una serie di prescrizioni finalizzate ad assicurare l’effettività del provvedimento di allontanamento, conformemente all’articolo 7, paragrafo 3 della direttiva. Questo prevede, appunto, la possibilità di imporre alcuni obblighi diretti ad evitare il rischio di fuga.

In primo luogo è richiesta la dimostrazione della disponibilità di risorse economiche sufficienti (derivanti da fonti lecite). L’importo è in proporzione al termine concesso (che si ricorda va dai 7 ai 30 giorni) ed è compreso tra una e tre mensilità dell'assegno sociale annuo.

Il questore dispone, inoltre, una o più delle seguenti misure:

§      consegna del passaporto o altro documento equipollente in corso di validità, che verrà restituito al momento della partenza;

§      obbligo di dimora in un luogo dove lo straniero possa essere agevolmente rintracciato;

§      obbligo di presentazione, in giorni ed orari stabiliti, presso un ufficio della forza pubblica territorialmente competente.

Le misure di cui al secondo periodo sono adottate con provvedimento motivato, comunicato entro 48 ore dalla notifica al giudice di pace competente per territorio[11]. Il giudice, se ne ricorrono i presupposti, dispone con decreto la convalida nelle successive 48 ore. Su richiesta dell'interessato, Il giudice di pace, sentito il questore, può modificare o revocare le misure.

Il mancato rispetto anche di una sola delle misure di sicurezza comporta per il contravventore:

§         l’applicazione di una multa da 3.000 a 18.000 euro;

§         l'espulsione dello straniero. In questo caso non è richiesto il rilascio del nulla osta di cui al comma 3 da parte dell'autorità giudiziaria competente all'accertamento del reato e il questore esegue l'espulsione, disposta ai sensi del comma 4, anche mediante le modalità previste all'articolo 14.

 

Da rilevare che la direttiva prevede la facoltà (non l’obbligo) di imporre tali misure di sicurezza. Infatti, sembrerebbe che le misure di sicurezza debbano essere adottate esclusivamente in presenza della necessità di evitare pericoli di fuga e che la scelta spetti all’autorità nazionale nell’ambito di un potere discrezionale legato al generale principio della valutazione caso per caso.

Per la disposizione in esame, invece, il questore non ha il potere di decidere se applicare o no le misure di sicurezza, ma esclusivamente di scegliere quali misure adottare.

 

Il numero 7) della lettera c) modifica il comma 5-bis dell’art. 13 con un intervento di coordinamento dovuto alla modifica del comma 5.

 

Il numero 8) modifica il comma 13 dell’art. 13 TU che prescrive il divieto di reingresso per lo straniero espulso. La disposizione in esame sostituisce l’espressione “straniero espulso” con quella di “straniero destinatario di un provvedimento di espulsione”.

Secondo la relazione illustrativa l’intervento normativo è adottato “In conformità alla definizione di rimpatrio (art. 3, par. 1, n. 3) della direttiva quale processo di ritorno di un cittadino di un paese terzo, sia in adempimento volontario di un obbligo di rimpatrio sia forzatamente”, al fine di “sanzionare qualsiasi straniero rientrato sul territorio nazionale prima della scadenza del divieto di reingresso, indipendentemente dalla tipologia del provvedimento di espulsione adottato (volontaria o forzata). In tale modo, la sanzione penale per l’inosservanza del divieto di reingresso viene comminata anche allo straniero espulso mediante l’intimazione a lasciare il territorio nazionale, in quanto destinatario di una decisione di rimpatrio”.

Si ricorda che l’art. 11, par. 1, della direttiva prevede l’applicazione automatica del divieto di reingresso in due casi:

§         qualora non sia stato concesso un periodo per la partenza volontaria, oppure

§         qualora non sia stato ottemperato all'obbligo di rimpatrio.

I singoli Paesi possono individuare altri casi nei quali le decisioni di rimpatrio possono essere corredate dal divieto d'ingresso.

 

Il numero 9) della lett. c) diminuisce la durata del divieto di reingresso in ottemperanza a quanto disposto dal’art. 11, par. 2 della direttiva.

La durata del divieto, che nella formulazione previgente era di 10 anni (salvo diversamente disposto), viene ora rideterminata in un periodo da tre a cinque anni,valutato il singolo caso, salvo che lo straniero sia stato espulso per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sicurezza nazionale. In questi casi può essere disposto un periodo più lungo, sempre tenendo conto delle circostanze del singolo caso. Per gli stranieri ai quali è stato concesso un termine per la partenza volontaria, il divieto di reingresso decorre dalla scadenza del termine assegnato.

Lo straniero irregolare che abbia rispettato il termine concesso per la partenza volontaria può chiedere la revoca del divieto di reingresso, che deve essere valutata dalle autorità italiane. Tale ultima disposizione, come si legge nella relazione illustrativa, è finalizzata ad incentivare la partenza volontaria.

Esecuzione dell’espulsione e trattenimento nei Centri di identificazione ed espulsione

La lettera d) modifica l’articolo 14 del testo unico che reca le disposizioni relative all’esecuzione dell’espulsione.

Il numero 1) provvede a riformulare il comma 1 dell’art. 14 che prevede il trattenimento presso i centri di identificazione ed espulsione (CIE) degli stranieri qualora non è possibile procedere all’espulsione. Vengono mantenute le fattispecie per le quali è previsto il trattenimento: necessità di prestare soccorso allo straniero, accertamento della sua identità o nazionalità, acquisizione di documenti per il viaggio, verifica della disponibilità di un mezzo di trasporto idoneo. A ciò viene aggiunta una causa generale relativa alle “situazioni transitorie che ostacolano la preparazione del rimpatrio o l'effettuazione dell'allontanamento”, che, evidentemente comprende quelle viste sopra.

 

Si rileva, in proposito, che l’art. 15, par. 1, della direttiva prevede che il trattenimento è disposto solamente se nel caso concreto non possono essere efficacemente applicate altre misure sufficienti ma meno coercitive, e in particolare quando: a) sussiste un rischio di fuga o b) il cittadino del paese terzo evita od ostacola la preparazione del rimpatrio o dell'allontanamento. Si tratta, evidentemente, di situazioni oggettive che riguardano il comportamento dello straniero e, in particolare, la sua volontà di sottrarsi all’espulsione. Il numero 1) in esame, invece, mantiene tutte le cause che nell’ordinamento vigente che consentono il trattenimento, anche quelle che non dipendono dalla volontà del soggetto (quali gli accertamenti dell’identità o la verifica della disponibilità del vettore).

Inoltre appare opportuno valutare se sia pienamente recepito il principio che appare sotteso al citato par. 1 dell’art. 15 della direttiva, che prevede che, in prima istanza, devono essere applicate misure meno coercitive del trattenimento e, solamente dopo aver verificato, “nel caso concreto”, che queste non possono essere applicate (perché appunto esiste il pericolo di fuga o l’interessato non collabora), si procede, in seconda istanza, al trattenimento.

 

Alle stesse conclusioni porta l’analisi del successivo numero 2), che introduce il comma 1-bis dell’art. 14 relativo alle misure meno coercitive, alternative al trattenimento.

Infatti, il nuovo comma prevede che tali misure possono essere disposte a due condizioni:

§      che lo straniero sia in possesso di passaporto o altro documento equipollente in corso di validità;

§      che l'espulsione non sia stata disposta per gravi motivi ordine pubblico o sicurezza dello Stato (ai sensi dell'articolo 13, commi 1 e 2, lettera c), e dell'articolo 3, comma 1, del decreto-legge 144/2005).

 

Anche in questo caso appare opportuno valutare il recepimento di quanto disposto dalla direttiva (art. 15, par. 1) che prevede, come accennato, che gli Stati membri possono trattenere lo straniero solo se nel caso concreto non possano essere adottate altre misure, mentre il nuovo comma prevede che, a prescindere dal caso concreto, le misure alternative si applichino solamente alle condizioni sopra viste.

 

Le misure meno coercitive individuate dal comma 1-bis (consegna del passaporto, obbligo di dimora; obbligo di firma) sono identiche agli obblighi che il questore può imporre nelle more dell’esecuzione dell’espulsione (comma 5.2); così come simile è la procedura (notifica all’interessato, convalida del giudice di pace, sanzioni ecc.).

 

Il numero 3) modifica il comma 5 dell’articolo 14, innalzando il periodo massimo di trattenimento nei CIE da 6 mesi a 18 mesi, in attuazione dell’art. 15, par. 5 e 6 della direttiva. La diposizione comunitaria prevede, infatti, che ciascuno Stato definisca i tempi di permanenza nel CIE entro il limite di 6 mesi, prorogabile di al massimo altri 12 mesi in caso di mancata cooperazione del cittadino o di ritardo nell’ottenimento della necessaria documentazione.

Da rilevare che il legislatore interno ha definito il periodo di trattenimento nella misura massima prevista dalla direttiva.

 

Anche in questo caso sembra opportuna una valutazione in ordine all’ambito del recepimento del meccanismo del trattenimento degli stranieri: ad esempio con riferimento alle disposizioni di cui ai paragrafi 3 e 4 dell’art. 15, concernenti rispettivamente il riesame del trattenimento su richiesta del’interessato e l’immediato rilascio dello straniero qualora risulti non esistere una concreta prospettiva di allontanamento.

 

Si ricorda che la legge sulla sicurezza (L. 94/2009) aveva già esteso da due a sei mesi il tempo massimo di permanenza nei Centri di identificazione ed espulsione (art. 1, co. 22, lett. l).

 

Si veda in proposito anche il numero 10) della lett. in esame.

 

Il numero 4) modifica il comma 5-bis elevando da 5 a 7 giorni il termine entro il quale lo straniero deve lasciare il territorio nazionale su ordine del questore, qualora non sia stato possibile il trattenimento presso il CIE. Viene così adeguato anche per tale fattispecie il termine minimo per il rimpatrio fissato appunto in 7 giorni dalla direttiva (art. 7.par. 1).

Si precisa, inoltre, che l’ordine del questore, in cui sono indicate le conseguenze sanzionatorie in caso d’inottemperanza, può essere accompagnato, anche su richiesta dell’interessato, dalla documentazione necessaria per raggiungere gli uffici della rappresentanza diplomatica del suo Paese in Italia, nonché per rientrare nello Stato di appartenenza ovvero, quando ciò non sia possibile, nello Stato di provenienza, compreso il titolo di viaggio per raggiungere gli uffici diplomatici. Secondo quanto riportato dalla relazione illustrativa, la disposizione “non comporta oneri aggiuntivi in quanto la copertura dei costi dei titoli di viaggio viene assicurata dagli stanziamenti ordinari del Dipartimento della Pubblica Sicurezza relativi al rimpatrio degli stranieri che versano in condizioni di indigenza”.

 

I numeri 5) e 6), modificando i commi 5-ter e 5-quater, attenuano le sanzioni per l’inottemperanza all’ordine del questore a lasciare il territorio nazionale qualora non sia stato possibile il trattenimento presso il CIE (si tratta dell’eventualità prevista dal sopra citato 5-bis): le pene alla reclusione ivi previste, vengono sostituite con un articolato sistema di multe che vanno da 10 a 20 mila euro per coloro i quali il provvedimento di espulsione iniziale prevedeva l’accompagnamento alla frontiera (art. 14, co. 4) e da 6 a 15 mila euro negli altri casi (art. 13, co. 4).

La relazione illustrativa motiva come segue la disposizione in esame: “A seguito dei recenti orientamenti giudiziari, soprattutto della sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea (C-61/11/PPU del 28 aprile 2011), è stata eliminata - al fine di assicurare il cosiddetto “effetto utile” della Direttiva, ossia l’effettivo allontanamento dello straniero destinatario di un provvedimento di espulsione - la previsione della reclusione per chi non ottempera all’ordine del questore, sostituita, ora, con la multa, quale sanzione per un comportamento che, comunque, rimane antigiuridico. Con la suddetta sentenza, la Corte ha, infatti, sostenuto che, dovendo ogni Stato membro agire per eseguire i provvedimenti di rimpatrio, lo stesso non deve adottare misure che ne compromettano l’esecuzione, quali la reclusione, conseguente al reato di violazione dell’ordine del questore, in quanto non costituisce una misura volta ad effettuare il rimpatrio ma ne ostacola l’esecuzione. La pena pecuniaria, in caso di violazione dell’ordine, costituisce un ulteriore deterrente per la presenza irregolare sul territorio nazionale, nell’ambito delle misure, anche penali, volte all’esecuzione del provvedimento di rimpatrio, fermo restando quelle già previste dell’accompagnamento coattivo, del trattenimento nel CIE e dell’intimazione del questore. In caso di condanna, la sanzione può essere sostituita dal giudice con l’espulsione. L’adozione di un nuovo provvedimento di espulsione da parte del Prefetto conseguente alla violazione dell’ordine del questore -indipendente dall’espulsione decisa dal giudice – non è automatica ma è disposta previa valutazione effettuata caso per caso”.

 

Si veda in proposito il paragrafo Il mancato recepimento della direttiva e gli interventi della giurisprudenza nel presente dossier.

 

Per quanto riguarda il comma 5-quater, è stato, inoltre, introdotto, in conseguenza della sentenza della Corte Costituzionale n. 359 del 17 dicembre 2010, l’esimente del “giustificato motivo”, già prevista per il primo ordine di allontanamento del questore, di cui al comma 5-ter.

 

L'art. 1, co. 22, lett. m), della legge 94/2009 (c.d. “legge sulla sicurezza”) ha modificato l’art. 14, co. 5-quater, del testo unico immigrazione (D.Lgs. 286/1998). Nella formulazione antecedente, la disposizione prevedeva una sanzione penale per coloro che facevano reingresso nel territorio dello Stato, dopo essere stati espulsi una prima volta tramite ingiunzione del questore a lasciare il territorio dello Stato (ai sensi del co. 5-bis) e, essendosi trattenuti “senza giustificato motivo”, erano stati espulsi una seconda volta attraverso l’accompagnamento coattivo alla frontiera (ai sensi del co. 5-ter). La legge sulla sicurezza ha modificato tale disposizione prevedendo che la seconda espulsione (quella ai sensi del co. 5-ter) possa avvenire anche con l’ordine del questore, qualora non sia possibile procedere all’accompagnamento alla frontiera. Veniva, inoltre, modificato il co. 5-quater, sanzionando con la stessa pena della reclusione da 1 a 5 anni sia il reingresso dello straniero dopo l’espulsione coattiva, sia l’omissione all’ordine del questore di abbandonare lo Stato, senza tuttavia prevedere, come nel primo caso, la possibilità che la permanenza sia dovuta ad un giustificato motivo (ad esempio l’indisponibilità da parte dell’espulso dei mezzi per il rimpatrio). La Corte ha dichiarato la incostituzionalità di quest’ultima norma proprio nella parte in cui non dispone che l’inottemperanza all’ordine di allontanamento, secondo quanto previsto dal co. 5-ter, sia punita nel solo caso che abbia luogo “senza giustificato motivo”.

 

Il numero 7) introduce il comma aggiuntivo 5-quater.1 al fine – come riportato nella relazione illustrativa - di fornire al giudice un ulteriore criterio, per vagliare la sussistenza del giustificato motivo, di valutazione della condotta tenuta dall’interessato basato sull’effettiva consegna allo stesso della documentazione necessaria per raggiungere gli uffici della rappresentanza diplomatica del suo Paese in Italia, alla quale potersi rivolgere per ottemperare all’ordine di rimpatrio, ovvero del titolo di viaggio per lasciare il territorio nazionale, di cui al precedente comma 5-bis. Il giudice deve, altresì, accertare la cooperazione resa dallo straniero ai fini dell’esecuzione dell’espulsione.

 

I numeri 8) e 9) disciplinano il procedimento penale, relativo alle fattispecie sopra indicate, che viene trasferito presso il giudice di pace mantenendo la previsione dei rito immediato, ma espungendo l’obbligatorietà dell’arresto (comma 5-quinquies).

E’ previsto che, ai fini dell’esecuzione dell’espulsione dello straniero denunciato per violazione dell’ordine del questore, non sia richiesto il rilascio del nulla-osta da parte del giudice (comma 5-sexies). Quest’ultimo, acquisita la notizia dell’avvenuta espulsione, pronuncia sentenza di non luogo a procedere (5-septies).

 

Il numero 10) integrail comma 7 dell’art. 14 TU prevedendo che, nel caso di indebito allontanamento dello straniero irregolare dal CIE, sia adottato un nuovo provvedimento di trattenimento. La disposizione, nella formulazione previgente, si limitava a prevedere che il questore ripristinasse senza indugio il trattenimento.

 

Si osserva che, se il nuovo provvedimento avesse l’effetto di far decorrere nuovamente i tempi massimi di durata del trattenimento, come del resto sembra presupporre la relazione illustrativa, andrebbe valutata la coerenza della disposizione con quanto previsto dall’art. 15 della direttiva che pone un limite massimo di 18 mesi al trattenimento.

 

La lettera e)aggiunge un art. 14-teral testo unico, disciplinante il rimpatrio volontario e assistito degli stranieri da espellere verso i Paesi di origine o provenienza. E’ prevista l’emanazione di un decreto del Ministro dell’interno per la definizione delle linee-guida per la realizzazione dei programmi di rimpatrio e nonché delle priorità da seguire nella loro attuazione e dei criteri per l’individuazione dei soggetti chiamati a collaborare (enti locali, associazioni di volontariato ecc.). Tali programmi devono tenere conto delle condizioni di vulnerabilità dello straniero, per la cui individuazione il testo del decreto, come pubblicato nella G.U. del 23 giugno 2011, rinviava all’art. 19 comma 2 del t.u. immigrazione, nel quale sono indicati, ai fini della prescrizione del divieto di espulsione, gli stranieri minori di anni diciotto o in possesso della carta di soggiorno o conviventi con parenti entro il secondo grado o con il coniuge, di nazionalità italiana, o donne in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi alla nascita del figlio cui provvedono.

Con avviso di rettifica pubblicato in G.U. del 1° luglio 2011, è stato corretto il rinvio al comma 2 dell’art. 19, con quello al comma 2 bis del medesimo articolo che, allo scopo di prescrivere per l’espulsione o il respingimento l’adozione di modalità compatibili con le singole situazioni personali, indica le seguenti categorie, considerate vulnerabili: persone affette da disabilità, anziani, minori, componenti di famiglie monoparentali con figli minori nonché dei minori, ovvero delle vittime di gravi violenze psicologiche, fisiche o sessuali.

 

Si nota che la disposizione è formulata in modo tale che la condizione di vulnerabilità dello straniero rileva ai fini dei criteri di priorità nell’attuazione dei programmi di rimpatrio, configurandosi quindi le categorie vulnerabili come soggetti con precedenza nel rimpatrio.

 

Sono esclusi dai programmi alcune categorie di soggetti indicati dal comma 5 del nuovo articolo, quali i soggetti pericolosi, gli inottemperanti all’ordine di allontanamento, gli espulsi in conseguenza di una sanzione penale ecc.

Si rileva, che la disposizione pur non costituendo attuazione diretta della direttiva, recepisce alcuni dei principi ivi contenuti.

Altre disposizioni

La lettera f)del comma 1 del’art. 3, modificando l’art. 16 TU estende l’applicazione delle disposizioni in materia di espulsione a titolo di sanzione sostitutiva o alternativa ai reati di inottemperanza all’ordine del questore di lasciare il territorio nazionale (art. 14, commi 5-ter e 5-quater).

 

La lettera g) modifica l’art. 19 TU inserendo il riferimento alle disposizioni per le categorie vulnerabili comeindividuate dalla direttiva, ossia i minori, i minori non accompagnati, i disabili, gli anziani, le donne in gravidanza, le famiglie monoparentali con figli minori e le persone che hanno subìto torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale (art. 3, paragrafo 1, punto 9).

Il comma aggiuntivo 2-bis subordina l’espulsione o il respingimento delle “persone vulnerabili” alla verifica della loro concreta situazione personale debitamente accertata, in conformità al disposto della direttiva (art. 4, paragrafo 4, lettera a).

Come chiarito nella relazione illustrativa, le donne in stato di gravidanza non sono state inserite nella modifica proposta, poiché la normativa vigente già accorda una tutela più ampia, considerandole inespellibili fino al sesto mese di età del nascituro (articolo 19, comma 2, TU)[12].

 

Si rileva, in proposito, che l’art. 19, co. 2 TU, richiamato nella relazione illustrativa non consente l’espulsione, salvo che per gravi motivi di sicurezza nazionale, oltre che delle donne in stato di gravidanza anche di un’altra categoria definita vulnerabile, i minori, categoria che viene invece compresa nell’ambito di applicazione della disposizione contenuta nel comma 2 bis.

Appare pertanto opportuno valutare, per tale categoria, la compatibilità del comma 2 bis con quella prevista dal comma 2.

 

L’articolo 4 del provvedimento in esame (al fine di coordinare le modifiche intervenute nel regime sanzionatorio dei reati connessi all’inottemperanza sia ai provvedimenti che dispongono il termine per la partenza volontaria ovvero le misure meno coercitive in alternativa al trattenimento presso i CIE sia all’ordine del questore di lasciare il territorio nazionale) integra il comma 2 dell’articolo 4 del decreto legislativo 274/2000, con la previsione della specifica competenza del giudice di pace per i reati sopra richiamati.

 

L’articolo 5 reca la clausola di copertura finanziaria relativa all’aumento del periodo di trattenimento nei CIE (da 6 a 18 mesi) che autorizza la spesa di 16,82 milioni per il 2011 e di 40 milioni per ciascuno degli anni successivi fino al 2014.

La copertura è assicurata dai fondi stanziati dalla legge sulla sicurezza del 2009 che aveva disposto l’aumento il periodo di trattenimento da 60 giorni a 6 mesi (L. 94/2009, art. 1, comma 30).

 

 

 

 

 


 

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE

Il 2 luglio 2009 la Commissione europea ha presentato una comunicazione concernente gli orientamenti per un migliore recepimento e una migliore applicazione della direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente sul territorio degli Stati membri (COM(2009)313).

L’esigenza di fornire indicazioni in merito ai criteri di attuazione della direttiva è emersa in seguito ad una valutazione non pienamente soddisfacente delle modalità di recepimento della stessa da parte degli Stati membri, espressa dalla Commissione europea in una relazione adottata il 10 dicembre 2008. Secondo tale relazione il recepimento della direttiva nel complesso sarebbe stato piuttosto problematico, soprattutto per quanto riguarda il Capo VI (che consente agli Stati membri di limitare il diritto di ingresso e di soggiorno dei cittadini UE e dei loro familiari per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza) e l'articolo 35 (in base al quale gli Stati membri possono adottare provvedimenti volti a evitare abusi e frodi, quali, ad esempio, matrimoni fittizi).

Modifiche all’articolo 3, comma 2, lettera b) (Aventi diritto)

Orientamenti della Commissione europea in merito agli aventi diritto

La comunicazione della Commissione europea ricorda che la  direttiva si applica solo ai cittadini UE che si recano o soggiornano in uno Stato membro diverso da quello di cui hanno la cittadinanza e ai familiari che li accompagnano o raggiungono. Per quanto riguarda i partner, la comunicazione fornisce i seguenti orientamenti:

·         il partner con cui un cittadino dell'Unione abbia una stabile relazione di fatto, debitamente attestata, rientra nel campo di applicazione dell'articolo 3, paragrafo 2, lettera b). Le persone cui la direttiva riconosce diritti in quanto partner stabili possono essere tenute a presentare prove documentali che dimostrino la loro qualità di partner di cittadini UE e la stabilità della relazione. La prova può essere fornita con ogni mezzo idoneo;

·         il requisito della stabilità della relazione va valutato alla luce dell'obiettivo della direttiva di preservare l'unità della famiglia in senso ampio (Considerando 6 della direttiva). Le norme nazionali per determinare la stabilità dell'unione possono prevedere come criterio che l'unione duri da un certo periodo minimo di tempo, ma devono comunque tener conto anche di altri aspetti pertinenti (ad esempio, ipoteca congiunta per l'acquisto di una casa). L'eventuale rifiuto dell'ingresso o del soggiorno deve essere pienamente giustificato e poter formare oggetto di ricorso.

Modifiche all’articolo 9 (inserimento comma 3-bis, verifica della sussistenza del requisito della disponibilità di risorse economiche sufficienti, per soggiorni superiori a 3 mesi )

Orientamenti in merito al soggiorno dei cittadini UE per un periodo superiore a tre mesi

La comunicazione ricorda che i cittadini UE hanno il diritto di soggiornare nello Stato membro ospitante per un periodo superiore a tre mesi se sono economicamente attivi in tale Stato. Gli studenti e i cittadini UE economicamente inattivi devono disporre, per se stessi e per i propri familiari, di risorse economiche sufficienti, per non diventare un onere a carico dell'assistenza sociale dello Stato membro ospitante durante il periodo di soggiorno, e di un'assicurazione malattia che copra tutti i rischi. L'elenco dei documenti da allegare alla domanda di soggiorno è tassativo. Non possono essere prescritti altri documenti.

Per quanto riguarda il criterio delle risorse economiche sufficienti, la Commissione europea formula i seguenti orientamenti:

·         la nozione di "risorse economiche sufficienti" va interpretata alla luce dell'obiettivo della direttiva, ossia agevolare la libera circolazione finché i beneficiari del diritto di soggiorno non diventino un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante;

·         il primo criterio per valutare l'esistenza di risorse economiche sufficienti consiste nell'esaminare se il cittadino UE (e i familiari il cui il diritto di soggiorno dipende dal cittadino UE) soddisfa i criteri nazionali per la concessione di prestazioni di assistenza sociale di base;

·         l'articolo 8, paragrafo 4, fa divieto agli Stati membri di fissare, direttamente o indirettamente, l'importo preciso delle risorse economiche che considerano sufficienti, al di sotto del quale il diritto di soggiorno può essere negato automaticamente. Le autorità degli Stati membri devono tenere conto della situazione personale dell'interessato. Le risorse provenienti da un terzo devono essere ammesse[13];

·         le risorse economiche del cittadino UE sono sufficienti quando il loro livello è superiore alla soglia rilevante per il riconoscimento di un sussidio minimo vitale nello Stato membro ospitante o, qualora tale criterio non sia applicabile, alla pensione minima sociale;

·         le autorità nazionali possono controllare, se necessario, l'esistenza, la legalità, l'importo e la disponibilità delle risorse economiche. Le risorse economiche non devono necessariamente essere periodiche e possono consistere in capitale accumulato. I mezzi per provare la sufficienza delle risorse economiche non possono essere limitati[14].

·         nel valutare se una persona le cui risorse economiche non possono più ritenersi sufficienti e a cui è stato concesso un sussidio minimo vitale è diventata un onere eccessivo, le autorità degli Stati membri devono procedere a un esame di proporzionalità. Il considerando 16 della direttiva 2004/38 prevede tre serie di criteri al riguardo: durata (da quanto tempo è concesso il sussidio? previsioni: è probabile che a breve il cittadino UE non abbia più bisogno della rete di sicurezza sociale? da quanto tempo il cittadino UE soggiorna nello Stato membro ospitante?); situazione personale (che tipo di legame hanno il cittadino UE e i suoi familiari con la società dello Stato membro ospitante? Ci sono altri aspetti relativi all'età, alle condizioni di salute, alla situazione familiare ed economica da tenere in considerazione?);importo (Qual è l'importo totale dell'aiuto concesso? In passato il cittadino UE ha fatto largo ricorso all'assistenza sociale? In passato il cittadino UE ha versato contributi di assistenza sociale nello Stato membro ospitante);

·         finché non diventino un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante, i beneficiari del diritto di soggiorno non possono essere allontanati per aver fatto ricorso al sistema di assistenza sociale[15];

·         solo la fruizione di prestazioni di assistenza sociale può essere considerata pertinente per determinare se l'interessato costituisca un onere per il sistema di assistenza sociale.

Modifiche all’articolo 9, comma 5) Iscrizione anagrafica di familiari di cittadino dell’Unione europea che non hanno autonomo diritto di soggiorno

In materia di visti di ingresso per familiari cittadini di paesi terzi, la comunicazione della Commissione europea rileva quanto segue:

·         come disposto dall'articolo 5, paragrafo 2, gli Stati membri possono fare obbligo ai familiari cittadini di paesi terzi che accompagnano o raggiungono un cittadino dell'Unione cui si applica la direttiva di munirsi di un visto d'ingresso. Tali familiari hanno non solo il diritto di entrare nel territorio dello Stato membro, ma anche il diritto di ottenere un visto d'ingresso[16]. In ciò si differenziano dagli altri cittadini di paesi terzi, che non beneficiano di tale diritto;

·         poiché il diritto al rilascio del visto d'ingresso deriva dal legame familiare con il cittadino UE, gli Stati membri possono tuttavia prescrivere la sola presentazione di un passaporto valido e di una prova della qualità di familiare[17] (e, se del caso, della qualità di familiare a carico, dei gravi motivi di salute o della stabilità dell'unione). Non possono essere richiesti altri documenti, quali giustificativo di alloggio, prova di risorse sufficienti, lettera d’invito o biglietto di ritorno;

Modifiche all’articolo 10, (carta di soggiorno per i familiari del cittadino UE cittadini di paesi terzi)

In materia di carte di soggiorno, la Commissione europea formula i seguenti orientamenti :

·         come disposto dall'articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2004/38/CE, il diritto di soggiorno dei familiari cittadini di paesi terzi è comprovato dal rilascio di un documento denominato "carta di soggiorno di familiare di un cittadino dell'Unione". La denominazione di tale carta non deve essere difforme da quella prescritta dalla direttiva, giacché una denominazione diversa renderebbe materialmente impossibile per gli altri Stati membri riconoscere la carta di soggiorno quale documento esentante il titolare dall'obbligo del visto ai sensi dell'articolo 5, paragrafo 2;

·         poiché non esiste un modello di carta di soggiorno, gli Stati membri sono liberi di strutturarla come ritengono più appropriato[18]. La carta di soggiorno, tuttavia, deve essere un documento autonomo e non un adesivo da apporre sul passaporto, che potrebbe limitare la validità della carta in violazione dell'articolo 11, paragrafo 1;

·         gli Stati membri possono prevedere che i documenti siano tradotti, autenticati o legalizzati, qualora l'autorità nazionale competente non ne capisca la lingua o nutra dubbi sull'autenticità dell'autorità che li ha rilasciati.

 

 

 

 

Modifiche all’articolo 20, Limitazioni al diritto di ingresso e soggiorno

La Commissione europea rileva che la libera circolazione delle persone costituisce uno dei cardini dell'Unione europea e che, di conseguenza le disposizioni che concedono tale libertà vanno interpretate in senso estensivo, mentre quelle che derogano a tale principio vanno interpretate in senso restrittivo[19].

Per quanto riguarda le limitazioni del diritto di circolare e di soggiornare liberamente per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza, la Commissione formula i seguenti orientamenti:

·         gli Stati membri possono limitare la libertà di circolazione dei cittadini UE per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza.;

·         gli Stati membri rimangono liberi di determinare i requisiti in materia di ordine pubblico e pubblica sicurezza conformemente alle loro necessità, che possono variare a seconda dello Stato membro e del periodo. Tuttavia, nel contesto dell'applicazione della direttiva, devono interpretare tali requisiti in senso restrittivo[20];

·         i cittadini UE possono essere allontanati solo per comportamenti puniti dalla legge dello Stato membro ospitante o in relazione ai quali sono stati adottati provvedimenti concreti ed effettivi di contrasto, come ribadito dalla giurisprudenza[21] della Corte;

·         in ogni caso, l'inosservanza dell'obbligo di iscrizione non è atta a costituire di per sé un comportamento pericoloso per l'ordine pubblico o per la pubblica sicurezza e non può quindi giustificare da sola l'espulsione dell'interessato[22].

Relativamente ai provvedimenti restrittivi per comportamento personale,  la Commissione sottolinea che:

·          i provvedimenti restrittivi possono essere adottati solo caso per caso, qualora il comportamento personale dell'interessato rappresenti una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave da pregiudicare un interesse fondamentale della società dello Stato membro ospitante[23], e non possono basarsi esclusivamente su motivi di tutela dell'ordine pubblico o della pubblica sicurezza avanzati da un altro Stato membro[24];

·         la legislazione comunitaria preclude l'adozione di provvedimenti restrittivi per motivi di prevenzione generale[25]. Tali provvedimenti devono basarsi su una minaccia effettiva e non possono essere giustificati da un rischio generale[26]. Una condanna penale non comporta automaticamente l'adozione di provvedimenti restrittivi, che devono tenere in considerazione il comportamento personale del reo e la minaccia che costui rappresenta per l'ordine pubblico[27]. Non possono essere addotti motivi estranei al comportamento personale dell'interessato. La direttiva non consente l'allontanamento automatico[28];

·          i diritti dell'interessato possono essere limitati solo se il suo comportamento personale costituisce una minaccia, ossia indica la probabilità di un grave pregiudizio per l'ordine pubblico o la pubblica sicurezza;

·         una minaccia meramente presunta non è reale. La minaccia deve essere attuale. Il comportamento passato può essere preso in considerazione solo se vi è probabilità di recidiva[29]. La minaccia deve sussistere nel momento in cui il provvedimento restrittivo è adottato dall'autorità nazionale o riesaminato dal giudice[30]. La sospensione condizionale è un importante fattore di valutazione della minaccia, in quanto costituisce un indizio del fatto che l'interessato non rappresenta più un pericolo reale;

·         l'appartenenza attuale a un'organizzazione può essere tenuta in considerazione qualora l'interessato partecipi alle attività dell'organizzazione e aderisca ai suoi obiettivi e programmi[31]. Gli Stati membri non sono obbligati a perseguire penalmente o vietare le attività di un'organizzazione per poter limitare i diritti riconosciuti dalla direttiva, bastando a tal fine che siano in vigore provvedimenti amministrativi volti a ostacolare l'esercizio delle attività dell'organizzazione. L'appartenenza passata ad associazioni[32] non può, in generale, costituire una minaccia attuale;

·         l'esistenza di una condanna penale può essere presa in considerazione solo nei limiti in cui le circostanze che hanno portato alla condanna provino un comportamento personale costituente una minaccia attuale per l’ordine pubblico[33].Le autorità devono fondare la propria decisione su una previsione in ordine al comportamento futuro dell’interessato.La natura e il numero delle condanne precedentemente inflitte devono essere considerate circostanze rilevanti nel quadro di tale valutazione, in cui occorre tenere conto in particolare della gravità e della frequenza dei reati commessi.È determinante il rischio di recidiva, non essendo sufficiente una possibilità remota di nuove turbative dell’ordine pubblico[34];

·         in determinate circostanze, la recidiva di reati minori può costituire una minaccia per l'ordine pubblico, sebbene i singoli reati considerati separatamente non siano idonei a rappresentare una minaccia sufficientemente grave nel senso di cui sopra. Le autorità nazionali devono dimostrare che il comportamento personale dell'interessato costituisce una minaccia per l'ordine pubblico[35]. Nel valutare se in questi casi sussiste una minaccia per l'ordine pubblico, le autorità possono tener conto in particolare dei seguenti fattori: natura dei reati; frequenza, danno o lesione causata. Il fatto che l'interessato abbia subito più condanne non è di per sé sufficiente.

La Commissione fornisce i seguenti orientamenti in relazione alla valutazione della proporzionalità del provvedimento restrittivo:

·         una volta accertato che il comportamento personale dell'interessato rappresenta una minaccia sufficientemente grave da giustificare un provvedimento restrittivo, le autorità devono effettuare una valutazione della proporzionalità per decidere se all'interessato possa essere negato l'ingresso o se l'interessato possa essere allontanato per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza.

·         le autorità nazionali devono individuare gli interessi tutelati. Sulla base di tali interessi devono svolgere un'analisi delle caratteristiche della minaccia. Possono essere presi in considerazione i seguenti fattori: grado di pericolo per la società derivante dalla presenza dell'interessato sul territorio dello Stato membro; natura delle attività criminose, loro frequenza, pericolo cumulativo e danni causati; tempo trascorso dalla commissione degli atti e comportamento dell'interessato. La Commissione ritiene che si possa tener conto anche del buon comportamento in carcere e dell'eventuale liberazione condizionale.

·         la situazione personale e familiare dell'interessato deve essere valutata attentamente al fine di stabilire se i provvedimenti previsti siano appropriati e non eccedano quanto strettamente necessario per raggiungere l'obiettivo perseguito, e se questo non possa essere conseguito con provvedimenti meno severi. Si dovrebbe tenere conto dei seguenti fattori, elencati a titolo indicativo all'articolo 28, paragrafo 1: incidenza dell'allontanamento sulla situazione economica, personale e familiare dell'interessato (e dei familiari che avrebbero diritto di restare nello Stato membro ospitante); gravità delle difficoltà cui rischiano di incorrere il coniuge/partner e i figli nel paese di origine dell'interessato; intensità dei legami (parenti, visite, conoscenze linguistiche) – o mancanza di legami – con lo Stato membro d'origine e con lo Stato membro ospitante (ad esempio, l'interessato è nato nello Stato membro ospitante o ci vive fin dall'infanzia); durata del soggiorno nello Stato membro ospitante (la situazione del turista è diversa da quella di chi vive da molti anni nello Stato membro ospitante); età e stato di salute.

Per quanto riguarda le misure che conferiscono maggiore protezione contro i l’allontanamento, la Commissione rileva che:

·         i cittadini UE e i loro familiari che abbiano acquisito il diritto di soggiorno permanente (dopo cinque anni) nello Stato membro ospitante possono essere allontanati solo per gravi motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza. I cittadini UE che soggiornano da più di dieci anni e i loro figli possono essere allontanati solo per motivi imperativi di pubblica sicurezza (non di ordine pubblico). Deve essere fatta una netta distinzione tra motivi normali, "gravi" e "imperativi" in base ai quali può essere disposto l'allontanamento.

·         Di norma, ai fini del calcolo della durata del soggiorno ai sensi dell'articolo 28, gli Stati membri non sono obbligati a tenere conto del tempo effettivamente trascorso in carcere dall'interessato quando non sussiste alcun collegamento con lo Stato membro ospitante.

 

Per quanto riguarda il termine impartito per lasciare il territorio, la comunicazione sottolinea che, ai sensi dell'articolo 30, paragrafo 3, esso non deve essere inferiore a un mese, fatti salvi i casi di urgenza debitamente comprovata. La giustificazione di un allontanamento urgente deve essere reale e proporzionata[36]. Nel valutare la necessità di ridurre il termine in casi di urgenza, le autorità devono tenere conto dell'incidenza che l'allontanamento immediato o urgente può avere sulla situazione personale e familiare dell'interessato (ad esempio necessità di dare un preavviso al datore di lavoro, recedere dal contratto di locazione, predisporre il trasloco degli effetti personali nel nuovo paese, provvedere all'istruzione dei figli, ecc.). L'adozione di un provvedimento di allontanamento per motivi imperativi o gravi non implica necessariamente una situazione di urgenza. La valutazione dell'urgenza deve essere comprovata chiaramente e separatamente.

In materia di garanzie procedurali nei confronti delle decisioni di allontanamento, ricordando che, ai sensi dell'articolo 30, ogni provvedimento adottato per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza deve essere notificato all'interessato, la Commissione sottolinea che le decisioni devono essere pienamente motivate e indicare tutti gli specifici motivi di fatto e di diritto su cui si basano onde porre l'interessato nella condizione di potersi efficacemente difendere[37], e i giudici nazionali possono riesaminare il caso in conformità del diritto a un ricorso effettivo, che costituisce un principio generale del diritto comunitario garantito all'articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. Ai fini della notificazione delle decisioni possono essere usati moduli, che però devono sempre consentire una piena giustificazione dei motivi su cui si fonda la decisione.

 

 


Procedure di contenzioso

Il 26 gennaio 2011 la Commissione europea ha inviato al Governo italiano una lettera di costituzione in mora ai sensi dell’articolo 258 del Trattato sul funzionamento dell’UE (TFUE) per mancata attuazione di 24 direttive (procedura di infrazione n. 2011/208), tra le quali la direttiva 2008/115/CE il cui termine di scadenza per il recepimento era il 24 dicembre 2010.

 

 

 

 


Testi a fronte

 


 

D.Lgs. 6 febbraio 2007, n. 30

D.Lgs. 6 febbraio 2007, n. 30
(Testo modificato dal D.L. 89/2011)

Art. 3
Aventi diritto

 

1. Il presente decreto legislativo si applica a qualsiasi cittadino dell'Unione che si rechi o soggiorni in uno Stato membro diverso da quello di cui ha la cittadinanza, nonché ai suoi familiari ai sensi dell'articolo 2, comma 1, lettera b), che accompagnino o raggiungano il cittadino medesimo.

 

2. Senza pregiudizio del diritto personale di libera circolazione e di soggiorno dell'interessato, lo Stato membro ospitante, conformemente alla sua legislazione nazionale, agevola l'ingresso e il soggiorno delle seguenti persone:

 

a) ogni altro familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, non definito all'articolo 2, comma 1, lettera b), se è a carico o convive, nel paese di provenienza, con il cittadino dell'Unione titolare del diritto di soggiorno a titolo principale o se gravi motivi di salute impongono che il cittadino dell'Unione lo assista personalmente;

 

 

art. 1, co. 1, lett. a)

b) il partner con cui il cittadino dell'Unione abbia una relazione stabile debitamente attestata dallo Stato del cittadino dell'Unione.

b) il partner con cui il cittadino dell'Unione abbia una relazione stabile ufficialmente attestata.

3. Lo Stato membro ospitante effettua un esame approfondito della situazione personale e giustifica l'eventuale rifiuto del loro ingresso o soggiorno.

 

 

 

Art. 6
Diritto di soggiorno fino a tre mesi

 

1. I cittadini dell'Unione hanno il diritto di soggiornare nel territorio nazionale per un periodo non superiore a tre mesi senza alcuna condizione o formalità, salvo il possesso di un documento d'identità valido per l'espatrio secondo la legislazione dello Stato di cui hanno la cittadinanza.

 

 

art. 1, co. 1, lett. b)

2. Le disposizioni del comma 1 si applicano anche ai familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro che accompagnano o raggiungono il cittadino dell'Unione, in possesso di un passaporto in corso di validità, che hanno fatto ingresso nel territorio nazionale ai sensi dell'articolo 5, comma 2.

2. Le disposizioni del comma 1 si applicano anche ai familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro che accompagnano o raggiungono il cittadino dell'Unione, in possesso di un passaporto in corso di validità.

3. Fatte salve le disposizioni di leggi speciali conformi ai Trattati dell'Unione europea ed alla normativa comunitaria in vigore, i cittadini di cui ai commi 1 e 2, nello svolgimento delle attività consentite, sono tenuti ai medesimi adempimenti richiesti ai cittadini italiani.

 

 

 

Art. 9
Formalità amministrative per i cittadini dell'Unione ed i loro familiari

 

1. Al cittadino dell'Unione che intende soggiornare in Italia, ai sensi dell'articolo 7 per un periodo superiore a tre mesi, si applica la legge 24 dicembre 1954, n. 1228, ed il nuovo regolamento anagrafico della popolazione residente, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223.

 

2. Fermo quanto previsto dal comma 1, l'iscrizione è comunque richiesta trascorsi tre mesi dall'ingresso ed è rilasciata immediatamente una attestazione contenente l'indicazione del nome e della dimora del richiedente, nonché la data della richiesta.

 

3. Oltre a quanto previsto per i cittadini italiani dalla normativa di cui al comma 1, per l'iscrizione anagrafica di cui al comma 2, il cittadino dell'Unione deve produrre la documentazione attestante:

 

a) l'attività lavorativa, subordinata o autonoma, esercitata se l'iscrizione è richiesta ai sensi dell'articolo 7, comma 1, lettera a);

 

b) la disponibilità di risorse economiche sufficienti per sé e per i propri familiari, secondo i criteri di cui all'articolo 29, comma 3, lettera b), del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, nonché la titolarità di una assicurazione sanitaria ovvero di altro titolo comunque denominato idoneo a coprire tutti i rischi nel territorio nazionale, se l'iscrizione è richiesta ai sensi dell'articolo 7, comma 1, lettera b);

 

c) l'iscrizione presso un istituto pubblico o privato riconosciuto dalla vigente normativa e la titolarità di un'assicurazione sanitaria ovvero di altro titolo comunque denominato idoneo a coprire tutti i rischi, nonché la disponibilità di risorse economiche sufficienti per sé e per i propri familiari, secondo i criteri di cui all'articolo 29, comma 3, lettera b), del citato decreto legislativo n. 286 del 1998, se l'iscrizione è richiesta ai sensi dell'articolo 7, comma 1, lettera c).

 

 

art. 1, co. 1, lett. c), n. 1

 

3-bis. Ai fini della verifica della sussistenza del requisito della disponibilità delle risorse economiche sufficienti al soggiorno, di cui al comma 3, lettere b) e c), deve, in ogni caso, essere valutata la situazione complessiva personale dell’interessato.

4. Il cittadino dell'Unione può dimostrare di disporre, per sé e per i propri familiari, di risorse economiche sufficienti a non gravare sul sistema di assistenza pubblica, anche attraverso la dichiarazione di cui agli articoli 46 e 47 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445.

 

5. Ai fini dell'iscrizione anagrafica, oltre a quanto previsto per i cittadini italiani dalla normativa di cui al comma 1, i familiari del cittadino dell'Unione europea che non hanno un autonomo diritto di soggiorno devono presentare, in conformità alle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445:

 

 

art. 1, co. 1, lett. c), n. 2

a) un documento di identità o il passaporto in corso di validità, nonché il visto di ingresso quando richiesto;

a) un documento di identità o il passaporto in corso di validità;

 

art. 1, co. 1, lett. c), n. 2

b) un documento che attesti la qualità di familiare e, qualora richiesto, di familiare a carico;

b) un documento rilasciato dall'autorità competente del Paese di origine o provenienza che attesti la qualità di familiare e, qualora richiesto, di familiare a carico ovvero di membro del nucleo familiare ovvero familiare affetto da gravi problemi di salute, che richiedono l'assistenza personale del cittadino dell'Unione, titolare di un autonomo diritto di soggiorno;

c) l'attestato della richiesta d'iscrizione anagrafica del familiare cittadino dell'Unione.

 

6. Salvo quanto previsto dal presente decreto, per l'iscrizione anagrafica ed il rilascio della ricevuta di iscrizione e del relativo documento di identità si applicano le medesime disposizioni previste per il cittadino italiano.

 

7. Le richieste di iscrizioni anagrafiche dei familiari del cittadino dell'Unione che non abbiano la cittadinanza di uno Stato membro sono trasmesse, ai sensi dell'articolo 6, comma 7, del citato decreto legislativo n. 286 del 1998, a cura delle amministrazioni comunali alla Questura competente per territorio.

 

 

 

Art. 10
Carta di soggiorno per i familiari del cittadino comunitario non aventi la cittadinanza di uno Stato membro dell'Unione europea

 

1. I familiari del cittadino dell'Unione non aventi la cittadinanza di uno Stato membro, di cui all'articolo 2, trascorsi tre mesi dall'ingresso nel territorio nazionale, richiedono alla questura competente per territorio di residenza la «Carta di soggiorno di familiare di un cittadino dell'Unione», redatta su modello conforme a quello stabilito con decreto del Ministro dell'interno da emanarsi entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo. Fino alla data di entrata in vigore del predetto decreto, è rilasciato il titolo di soggiorno previsto dalla normativa vigente alla data di entrata in vigore del presente decreto.

 

2. Al momento della richiesta di rilascio della carta di soggiorno, al familiare del cittadino dell'Unione è rilasciata una ricevuta secondo il modello definito con decreto del Ministro dell'interno di cui al comma 1.

 

3. Per il rilascio della Carta di soggiorno, è richiesta la presentazione:

 

 

art. 1, co. 1, lett. d), n. 1

a) del passaporto o documento equivalente, in corso di validità, nonché del visto di ingresso, qualora richiesto;

a) del passaporto o documento equivalente, in corso di validità;

 

art. 1, co. 1, lett. d), n. 2

b) di un documento che attesti la qualità di familiare e, qualora richiesto, di familiare a carico;

b) di un documento rilasciato dall'autorità competente del Paese di origine o provenienza che attesti la qualità di familiare e, qualora richiesto, di familiare a carico ovvero di membro del nucleo familiare ovvero del familiare affetto da gravi problemi di salute, che richiedono l'assistenza personale del cittadino dell'Unione, titolare di un autonomo diritto di soggiorno;

c) dell'attestato della richiesta d'iscrizione anagrafica del familiare cittadino dell'Unione;

 

d) della fotografia dell'interessato, in formato tessera, in quattro esemplari.

 

4. La carta di soggiorno di familiare di un cittadino dell'Unione ha una validità di cinque anni dalla data del rilascio.

 

5. La carta di soggiorno mantiene la propria validità anche in caso di assenze temporanee del titolare non superiori a sei mesi l'anno, nonché di assenze di durata superiore per l'assolvimento di obblighi militari ovvero di assenze fino a dodici mesi consecutivi per rilevanti motivi, quali la gravidanza e la maternità, malattia grave, studi o formazione professionale o distacco per motivi di lavoro in un altro Stato; è onere dell'interessato esibire la documentazione atta a dimostrare i fatti che consentono la perduranza di validità.

 

6. Il rilascio della carta di soggiorno di cui al comma 1 è gratuito, salvo il rimborso del costo degli stampati e del materiale usato per il documento.

 

 

 

Art. 13
Mantenimento del diritto di soggiorno

 

1. I cittadini dell'Unione ed i loro familiari beneficiano del diritto di soggiorno di cui all'articolo 6, finché hanno le risorse economiche di cui all'articolo 9, comma 3, che gli impediscono di diventare un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante e finché non costituiscano un pericolo per l'ordine e la sicurezza pubblica.

 

 

art. 1, co. 1, lett. e)

2. I cittadini dell'Unione e i loro familiari beneficiano del diritto di soggiorno di cui agli articoli 7, 11 e 12, finché soddisfano le condizioni fissate negli stessi articoli.

2. I cittadini dell'Unione e i loro familiari beneficiano del diritto di soggiorno di cui agli articoli 7, 11 e 12, finché soddisfano le condizioni fissate negli stessi articoli. La verifica della sussistenza di tali condizioni non può essere effettuata se non in presenza di ragionevoli dubbi in ordine alla persistenza delle condizioni medesime.

3. Ferme le disposizioni concernenti l'allontanamento per motivi di ordine e sicurezza pubblica, un provvedimento di allontanamento non può essere adottato nei confronti di cittadini dell'Unione o dei loro familiari, qualora;

 

a) i cittadini dell'Unione siano lavoratori subordinati o autonomi;

 

b) i cittadini dell'Unione siano entrati nel territorio dello Stato per cercare un posto di lavoro. In tale caso i cittadini dell'Unione e i membri della loro famiglia non possono essere allontanati fino a quando i cittadini dell'Unione possono dimostrare di essere iscritti nel Centro per l'impiego da non più di sei mesi, ovvero di aver reso la dichiarazione di immediata disponibilità allo svolgimento dell'attività lavorativa, di cui all'articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 181, così come sostituito dall'articolo 3 del decreto legislativo 19 dicembre 2002, n. 297 e di non essere stati esclusi dallo stato di disoccupazione ai sensi dell'articolo 4 del medesimo decreto legislativo n. 297 del 2002.

 

 

 

Art. 19
Disposizioni comuni al diritto di soggiorno e al diritto di soggiorno permanente

 

1. I cittadini dell'Unione e i loro familiari hanno diritto di esercitare qualsiasi attività economica autonoma o subordinata, escluse le attività che la legge, conformemente ai Trattati dell'Unione europea ed alla normativa comunitaria in vigore, riserva ai cittadini italiani.

 

2. Fatte salve le disposizioni specifiche espressamente previste dal Trattato CE e dal diritto derivato, ogni cittadino dell'Unione che risiede, in base al presente decreto, nel territorio nazionale gode di pari trattamento rispetto ai cittadini italiani nel campo di applicazione del Trattato. Il beneficio di tale diritto si estende ai familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro che siano titolari del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente.

 

3. In deroga al comma 2 e se non attribuito autonomamente in virtù dell'attività esercitata o da altre disposizioni di legge, il cittadino dell'Unione ed i suoi familiari non godono del diritto a prestazioni d'assistenza sociale durante i primi tre mesi di soggiorno o, comunque, nei casi previsti dall'articolo 13, comma 3, lettera b), salvo che tale diritto sia automaticamente riconosciuto in forza dell'attività esercitata o da altre disposizioni di legge.

 

 

art. 1, co. 1, lett. f)

4. La qualità di titolare di diritto di soggiorno e di titolare di diritto di soggiorno permanente può essere attestata con qualsiasi mezzo di prova previsto dalla normativa vigente.

4. La qualità di titolare di diritto di soggiorno e di titolare di diritto di soggiorno permanente può essere attestata con qualsiasi mezzo di prova previsto dalla normativa vigente, fermo restando che il possesso del relativo documento non costituisce condizione per l’esercizio di un diritto.

 

 

Art. 20
Limitazioni al diritto di ingresso e di soggiorno

 

1. Salvo quanto previsto dall'articolo 21, il diritto di ingresso e soggiorno dei cittadini dell'Unione o dei loro familiari, qualsiasi sia la loro cittadinanza, può essere limitato con apposito provvedimento solo per: motivi di sicurezza dello Stato; motivi imperativi di pubblica sicurezza; altri motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza.

 

 

art. 1, co. 1, lett. g), n. 1

2. I motivi di sicurezza dello Stato sussistono anche quando la persona da allontanare appartiene ad una delle categorie di cui all'articolo 18 della legge 22 maggio 1975, n. 152, ovvero vi sono fondati motivi di ritenere che la sua permanenza nel territorio dello Stato possa in qualsiasi modo agevolare organizzazioni o attività terroristiche, anche internazionali.

2. I motivi di sicurezza dello Stato sussistono quando la persona da allontanare appartiene ad una delle categorie di cui all'articolo 18 della legge 22 maggio 1975, n. 152, e successive modificazioni, ovvero vi sono fondati motivi di ritenere che la sua permanenza nel territorio dello Stato possa, in qualsiasi modo, agevolare organizzazioni o attività terroristiche, anche internazionali. Ai fini dell'adozione del provvedimento di cui al comma 1, si tiene conto anche di eventuali condanne pronunciate da un giudice italiano per uno o più delitti riconducibili a quelli indicati nel libro secondo, titolo primo del codice penale.

 

art. 1, co. 1, lett. g), n. 2

3. I motivi imperativi di pubblica sicurezza sussistono quando la persona da allontanare abbia tenuto comportamenti che costituiscono una minaccia concreta, effettiva e grave ai diritti fondamentali della persona ovvero all'incolumità pubblica, rendendo urgente l'allontanamento perché la sua ulteriore permanenza sul territorio è incompatibile con la civile e sicura convivenza. Ai fini dell'adozione del provvedimento, si tiene conto anche di eventuali condanne, pronunciate da un giudice italiano o straniero, per uno o più delitti non colposi, consumati o tentati, contro la vita o l'incolumità della persona, o per uno o più delitti corrispondenti alle fattispecie indicate nell'articolo 8 della legge 22 aprile 2005, n. 69, di eventuali ipotesi di applicazione della pena su richiesta a norma dell'articolo 444 del codice di procedura penale per i medesimi delitti, ovvero dell'appartenenza a taluna delle categorie di cui all'articolo 1 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, e successive modificazioni, o di cui all'articolo 1 della legge 31 maggio 1965, n. 575, e successive modificazioni, nonché di misure di prevenzione o di provvedimenti di allontanamento disposti da autorità straniere.

3. I motivi imperativi di pubblica sicurezza sussistono quando la persona da allontanare abbia tenuto comportamenti che costituiscono una minaccia concreta, effettiva e sufficientemente grave ai diritti fondamentali della persona ovvero all'incolumità pubblica. Ai fini dell'adozione del provvedimento, si tiene conto, quando ricorrono i comportamenti di cui al primo periodo del presente comma, anche di eventuali condanne, pronunciate da un giudice italiano o straniero, per uno o più delitti non colposi, consumati o tentati, contro la vita o l'incolumità della persona, ovvero di eventuali condanne per uno o più delitti corrispondenti alle fattispecie indicate nell'articolo 8 della legge 22 aprile 2005, n. 69, o di eventuali ipotesi di applicazione della pena su richiesta a norma dell'articolo 444 del codice di procedura penale per i medesimi delitti o dell'appartenenza a taluna delle categorie di cui all'articolo 1 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, e successive modificazioni, o di cui all'articolo 1 della legge 31 maggio 1965, n. 575, e successive modificazioni, nonché di misure di prevenzione o di provvedimenti di allontanamento disposti da autorità straniere.

 

art. 1, co. 1, lett. g), n. 3

4. I provvedimenti di allontanamento sono adottati nel rispetto del principio di proporzionalità e non possono essere motivati da ragioni di ordine economico, né da ragioni estranee ai comportamenti individuali dell'interessato che rappresentino una minaccia concreta e attuale all'ordine pubblico o alla pubblica sicurezza. L'esistenza di condanne penali non giustifica di per sé l'adozione di tali provvedimenti.

4. I provvedimenti di allontanamento sono adottati nel rispetto del principio di proporzionalità e non possono essere motivati da ragioni di ordine economico, né da ragioni estranee ai comportamenti individuali dell'interessato che rappresentino una minaccia concreta, effettiva e sufficientemente grave all'ordine pubblico o alla pubblica sicurezza. L'esistenza di condanne penali non giustifica di per sé l'adozione di tali provvedimenti.

5. Nell'adottare un provvedimento di allontanamento, si tiene conto della durata del soggiorno in Italia dell'interessato, della sua età, della sua situazione familiare e economica, del suo stato di salute, della sua integrazione sociale e culturale nel territorio nazionale e dell'importanza dei suoi legami con il Paese di origine.

 

6. I titolari del diritto di soggiorno permanente di cui all'articolo 14 possono essere allontanati dal territorio nazionale solo per motivi di sicurezza dello Stato, per motivi imperativi di pubblica sicurezza o per altri gravi motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza.

 

7. I beneficiari del diritto di soggiorno che hanno soggiornato nel territorio nazionale nei precedenti dieci anni o che siano minorenni possono essere allontanati solo per motivi di sicurezza dello Stato o per motivi imperativi di pubblica sicurezza, salvo l'allontanamento sia necessario nell'interesse stesso del minore, secondo quanto previsto dalla Convenzione sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, ratificata con legge 27 maggio 1991, n. 176.

 

8. Le malattie o le infermità che possono giustificare limitazioni alla libertà di circolazione nel territorio nazionale sono solo quelle con potenziale epidemico individuate dall'Organizzazione mondiale della sanità, nonché altre malattie infettive o parassitarie contagiose, sempreché siano oggetto di disposizioni di protezione che si applicano ai cittadini italiani. Le malattie che insorgono successivamente all'ingresso nel territorio nazionale non possono giustificare l'allontanamento.

 

 

art. 1, co. 1, lett. g), n. 4

9. Il Ministro dell'interno adotta i provvedimenti di allontanamento per motivi imperativi di pubblica sicurezza dei soggetti di cui al comma 7, nonché i provvedimenti di allontanamento per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato. Negli altri casi, i provvedimenti di allontanamento sono adottati dal prefetto del luogo di residenza o dimora del destinatario.

9. Il Ministro dell'interno adotta i provvedimenti di allontanamento per motivi imperativi di pubblica sicurezza dei soggetti di cui al comma 7, nonché i provvedimenti di allontanamento per motivi di sicurezza dello Stato. Negli altri casi, i provvedimenti di allontanamento sono adottati dal prefetto del luogo di residenza o dimora del destinatario.

10. I provvedimenti di allontanamento sono motivati, salvo che vi ostino motivi attinenti alla sicurezza dello Stato. Se il destinatario non comprende la lingua italiana, il provvedimento è accompagnato da una traduzione del suo contenuto, anche mediante appositi formulari, sufficientemente dettagliati, redatti in una lingua a lui comprensibile o, se ciò non è possibile per indisponibilità di personale idoneo alla traduzione del provvedimento in tale lingua, comunque in una delle lingue francese, inglese, spagnola o tedesca, secondo la preferenza indicata dall'interessato. Il provvedimento è notificato all'interessato e riporta le modalità di impugnazione e, salvo quanto previsto al comma 11, indica il termine stabilito per lasciare il territorio nazionale che non può essere inferiore ad un mese dalla data della notifica e, nei casi di comprovata urgenza, può essere ridotto a dieci giorni. Il provvedimento indica anche la durata del divieto di reingresso che non può essere superiore a dieci anni nei casi di allontanamento per i motivi di sicurezza dello Stato e a cinque anni negli altri casi.

 

 

art. 1, co. 1, lett. g), n. 5

11. Il provvedimento di allontanamento per motivi di sicurezza dello Stato e per motivi imperativi di pubblica sicurezza è immediatamente eseguito dal questore e si applicano le disposizioni di cui all'articolo 13, comma 5-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286.

11. Il provvedimento di allontanamento per i motivi di cui al comma 1 è immediatamente eseguito dal questore qualora si ravvisi, caso per caso, l'urgenza dell'allontanamento perché l'ulteriore permanenza sul territorio è incompatibile con la civile e sicura convivenza. Si applicano le disposizioni di cui all'articolo 13, comma 5-bis, del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286.

12. Nei casi di cui al comma 10, se il destinatario del provvedimento di allontanamento si trattiene oltre il termine fissato, il questore dispone l'esecuzione immediata del provvedimento di allontanamento dell'interessato dal territorio nazionale. Si applicano, per la convalida del provvedimento del questore, le disposizioni del comma 11.

 

13. Il destinatario del provvedimento di allontanamento può presentare domanda di revoca del divieto di reingresso dopo che, dall'esecuzione del provvedimento, sia decorsa almeno la metà della durata del divieto, e in ogni caso decorsi tre anni. Nella domanda devono essere addotti gli argomenti intesi a dimostrare l'avvenuto oggettivo mutamento delle circostanze che hanno motivato la decisione di vietarne il reingresso nel territorio nazionale. Sulla domanda, entro sei mesi dalla sua presentazione, decide con atto motivato l'autorità che ha emanato il provvedimento di allontanamento. Durante l'esame della domanda l'interessato non ha diritto di ingresso nel territorio nazionale.

 

14. Il destinatario del provvedimento di allontanamento che rientra nel territorio nazionale in violazione del divieto di reingresso, è punito con la reclusione fino a due anni, nell'ipotesi di allontanamento per motivi di sicurezza dello Stato, ovvero fino ad un anno, nelle altre ipotesi. Il giudice può sostituire la pena della reclusione con la misura dell'allontanamento immediato con divieto di reingresso nel territorio nazionale, per un periodo da cinque a dieci anni. L'allontanamento è immediatamente eseguito dal questore, anche se la sentenza non è definitiva.

 

15. Si applica la pena detentiva della reclusione fino a tre anni in caso di reingresso nel territorio nazionale in violazione della misura dell'allontanamento disposta ai sensi del comma 14, secondo periodo.

 

 

 

Art. 21
Allontanamento per cessazione delle condizioni che determinano il diritto di soggiorno

 

 

art. 1, co. 1, lett. h, n. 1

1. Il provvedimento di allontanamento dei cittadini degli altri Stati membri dell'Unione europea o dei loro familiari, qualunque sia la loro cittadinanza, può altresì essere adottato quando vengono a mancare le condizioni che determinano il diritto di soggiorno dell'interessato ai sensi degli articoli 6, 7 e 13 e salvo quanto previsto dagli articoli 11 e 12.

1. Il provvedimento di allontanamento dei cittadini degli altri Stati membri dell'Unione europea o dei loro familiari, qualunque sia la loro cittadinanza, può altresì essere adottato quando vengono a mancare le condizioni che determinano il diritto di soggiorno dell'interessato ai sensi degli articoli 6, 7 e 13 e salvo quanto previsto dagli articoli 11 e 12. L'eventuale ricorso da parte di un cittadino dell'Unione o dei suoi familiari al sistema di assistenza sociale non costituisce automaticamente causa di allontanamento, ma deve essere valutato caso per caso.

2. Il provvedimento di cui al comma 1 è adottato dal prefetto, territorialmente competente secondo la residenza o dimora del destinatario, anche su segnalazione motivata del sindaco del luogo di residenza o dimora, con atto motivato e notificato all'interessato. Il provvedimento è adottato tenendo conto della durata del soggiorno dell'interessato, della sua età, della sua salute, della sua integrazione sociale e culturale e dei suoi legami con il Paese di origine. Il provvedimento riporta le modalità di impugnazione, nonché il termine per lasciare il territorio nazionale, che non può essere inferiore ad un mese. Se il destinatario non comprende la lingua italiana, si applicano le disposizioni di cui all'articolo 20, comma 10.

 

3. Unitamente al provvedimento di allontanamento è consegnata all'interessato una attestazione di obbligo di adempimento dell'allontanamento, secondo le modalità stabilite con decreto del Ministro dell'interno e del Ministro degli affari esteri, da presentare presso un consolato italiano. Il provvedimento di allontanamento di cui al comma 1 non può prevedere un divieto di reingresso sul territorio nazionale.

 

 

art. 1, co. 1, lett. h, n. 2

4. Qualora il cittadino dell'Unione o il suo familiare allontanato sia individuato sul territorio dello Stato oltre il termine fissato nel provvedimento di allontanamento, senza aver provveduto alla presentazione dell'attestazione di cui al comma 3, è punito con l'arresto da un mese a sei mesi e con l'ammenda da 200 a 2.000 euro.

4. Nei confronti dei soggetti di cui al comma 1, che non hanno ottemperato al provvedimento di allontanamento di cui al comma 2 e sono stati individuati sul territorio dello Stato oltre il termine fissato, senza aver provveduto alla presentazione dell'attestazione di cui al comma 3, il prefetto può adottare un provvedimento di allontanamento coattivo per motivi di ordine pubblico, ai sensi dell'articolo 20, immediatamente eseguito dal questore.

 

 

 

Art. 1, co. 1, lett. i)

 

Art. 23-bis
Consultazione tra gli Stati membri

 

1. Quando uno Stato membro chiede informazioni ai sensi dell'articolo 27, paragrafo 3, della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, il Ministero dell'interno - Dipartimento della pubblica sicurezza, attraverso i propri canali di scambio informativo, provvede a fornire gli elementi entro il termine di due mesi dalla data di ricezione della richiesta. La consultazione può avvenire solo per casi specifici e per esigenze concrete.

 

 

 

 

 

 

 


 

 

 

D.Lgs. 28 luglio 1989, n. 271

D.Lgs. 28 luglio 1989, n. 271
(Testo modificato dal D.L. 89/2011)

Art. 183-ter
Esecuzione della misura di sicurezza dell'allontanamento del cittadino di uno Stato membro dell'Unione europea

Art. 183-ter
Esecuzione della misura di sicurezza dell'allontanamento del cittadino di uno Stato membro dell'Unione europea e di un suo familiare

 

art. 2, co. 1

1. L’allontanamento del cittadino di uno Stato membro dell’Unione europea è disposto in conformità ai criteri e con le modalità fissati dall’articolo 20 del decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 30.

1. L'allontanamento del cittadino di uno Stato membro dell'Unione europea o di un suo familiare, di cui agli articoli 2, comma 1, lettera b), e 3, comma 2, lettera a), del decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 30, è disposto in conformità ai criteri ed alle modalità fissati dall'articolo 20 del medesimo decreto legislativo.

 

 

 

 


 

 

D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286

D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286
(Testo modificato dal D.L. 89/2011
)

Art. 5
Permesso di soggiorno

 

1. Possono soggiornare nel territorio dello Stato gli stranieri entrati regolarmente ai sensi dell'articolo 4, che siano muniti di carta di soggiorno o di permesso di soggiorno rilasciati, e in corso di validità, a norma del presente testo unico o che siano in possesso di permesso di soggiorno o titolo equipollente rilasciato dalla competente autorità di uno Stato appartenente all'Unione europea, nei limiti ed alle condizioni previsti da specifici accordi.

 

2. Il permesso di soggiorno deve essere richiesto, secondo le modalità previste nel regolamento di attuazione, al questore della provincia in cui lo straniero si trova entro otto giorni lavorativi dal suo ingresso nel territorio dello Stato ed è rilasciato per le attività previste dal visto d'ingresso o dalle disposizioni vigenti. Il regolamento di attuazione può provvedere speciali modalità di rilascio relativamente ai soggiorni brevi per motivi di turismo, di giustizia, di attesa di emigrazione in altro Stato e per l'esercizio delle funzioni di ministro di culto nonché ai soggiorni in case di cura, ospedali, istituti civili e religiosi e altre convivenze.

 

2-bis. Lo straniero che richiede il permesso di soggiorno è sottoposto a rilievi fotodattiloscopici.

 

2-ter. La richiesta di rilascio e di rinnovo del permesso di soggiorno è sottoposta al versamento di un contributo, il cui importo è fissato fra un minimo di 80 e un massimo di 200 euro con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dell’interno, che stabilisce altresì le modalità del versamento nonché le modalità di attuazione della disposizione di cui all’articolo 14-bis, comma 2. Non è richiesto il versamento del contributo per il rilascio ed il rinnovo del permesso di soggiorno per asilo, per richiesta di asilo, per protezione sussidiaria, per motivi umanitari.

 

3. La durata del permesso di soggiorno non rilasciato per motivi di lavoro è quella prevista dal visto d'ingresso, nei limiti stabiliti dal presente testo unico o in attuazione degli accordi e delle convenzioni internazionali in vigore. La durata non può comunque essere:

 

a) superiore a tre mesi, per visite, affari e turismo;

 

b) [superiore a sei mesi, per lavoro stagionale, o nove mesi, per lavoro stagionale nei settori che richiedono tale estensione];

 

c) superiore ad un anno, in relazione alla frequenza di un corso per studio o per formazione debitamente certificata; il permesso è tuttavia rinnovabile annualmente nel caso di corsi pluriennali;

 

d) [superiore a due anni, per lavoro autonomo, per lavoro subordinato a tempo indeterminato e per ricongiungimenti familiari];

 

e) superiore alle necessità specificatamente documentate, negli altri casi consentiti dal presente testo unico o dal regolamento di attuazione;

 

3-bis. Il permesso di soggiorno per motivi di lavoro è rilasciato a seguito della stipula del contratto di soggiorno per lavoro di cui all'articolo 5-bis. La durata del relativo permesso di soggiorno per lavoro è quella prevista dal contratto di soggiorno e comunque non può superare:

 

a) in relazione ad uno o più contratti di lavoro stagionale, la durata complessiva di nove mesi;

 

b) in relazione ad un contratto di lavoro subordinato a tempo determinato, la durata di un anno;

 

c) in relazione ad un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, la durata di due anni.

 

3-ter. Allo straniero che dimostri di essere venuto in Italia almeno due anni di seguito per prestare lavoro stagionale può essere rilasciato, qualora si tratti di impieghi ripetitivi, un permesso pluriennale, a tale titolo, fino a tre annualità, per la durata temporale annuale di cui ha usufruito nell'ultimo dei due anni precedenti con un solo provvedimento. Il relativo visto di ingresso è rilasciato ogni anno. Il permesso è revocato immediatamente nel caso in cui lo straniero violi le disposizioni del presente testo unico.

 

3-quater. Possono inoltre soggiornare nel territorio dello Stato gli stranieri muniti di permesso di soggiorno per lavoro autonomo rilasciato sulla base della certificazione della competente rappresentanza diplomatica o consolare italiana della sussistenza dei requisiti previsti dall'articolo 26 del presente testo unico. Il permesso di soggiorno non può avere validità superiore ad un periodo di due anni.

 

3-quinquies. La rappresentanza diplomatica o consolare italiana che rilascia il visto di ingresso per motivi di lavoro, ai sensi dei commi 2 e 3 dell'articolo 4, ovvero il visto di ingresso per lavoro autonomo, ai sensi del comma 5 dell'articolo 26, ne dà comunicazione anche in via telematica al Ministero dell'interno e all'INPS nonché all'INAIL per l'inserimento nell'archivio previsto dal comma 9 dell'articolo 22 entro trenta giorni dal ricevimento della documentazione. Uguale comunicazione è data al Ministero dell'interno per i visti di ingresso per ricongiungimento familiare di cui all'articolo 29 entro trenta giorni dal ricevimento della documentazione.

 

3-sexies. Nei casi di ricongiungimento familiare, ai sensi dell'articolo 29, la durata del permesso di soggiorno non può essere superiore a due anni.

 

4. Il rinnovo del permesso di soggiorno è richiesto dallo straniero al questore della provincia in cui dimora, almeno sessanta giorni prima della scadenza, ed è sottoposto alla verifica delle condizioni previste per il rilascio e delle diverse condizioni previste dal presente testo unico. Fatti salvi i diversi termini previsti dal presente testo unico e dal regolamento di attuazione, il permesso di soggiorno è rinnovato per una durata non superiore a quella stabilita con rilascio iniziale.

 

4-bis. Lo straniero che richiede il rinnovo del permesso di soggiorno è sottoposto a rilievi fotodattiloscopici.

 

5. Il permesso di soggiorno o il suo rinnovo sono rifiutati e, se il permesso di soggiorno è stato rilasciato, esso è revocato, quando mancano o vengono a mancare i requisiti richiesti per l'ingresso e il soggiorno nel territorio dello Stato, fatto salvo quanto previsto dall'articolo 22, comma 9, e sempre che non siano sopraggiunti nuovi elementi che ne consentano il rilascio e che non si tratti di irregolarità amministrative sanabili. Nell'adottare il provvedimento di rifiuto del rilascio, di revoca o di diniego di rinnovo del permesso di soggiorno dello straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare ovvero del familiare ricongiunto, ai sensi dell'articolo 29, si tiene anche conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell'interessato e dell'esistenza di legami familiari e sociali con il suo Paese d'origine, nonché, per lo straniero già presente sul territorio nazionale, anche della durata del suo soggiorno nel medesimo territorio nazionale.

 

5-bis. Nel valutare la pericolosità dello straniero per l'ordine pubblico e la sicurezza dello Stato o di uno dei Paesi con i quali l'Italia abbia sottoscritto accordi per la soppressione dei controlli alle frontiere interne e la libera circolazione delle persone ai fini dell'adozione del provvedimento di revoca o di diniego di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi familiari, si tiene conto anche di eventuali condanne per i reati previsti dagli articoli 380, commi 1 e 2, e 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale, ovvero per i reati di cui all'articolo 12, commi 1 e 3.

 

5-ter. Il permesso di soggiorno è rifiutato o revocato quando si accerti la violazione del divieto di cui all’articolo 29, comma 1-ter.

 

 

art. 3, co. 1, lett. a)

6. Il rifiuto o la revoca del permesso di soggiorno possono essere altresì adottati sulla base di convenzioni o accordi internazionali, resi esecutivi in Italia, quando lo straniero non soddisfi le condizioni di soggiorno applicabili in uno degli Stati contraenti, salvo che ricorrano seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano.

6. Il rifiuto o la revoca del permesso di soggiorno possono essere altresì adottati sulla base di convenzioni o accordi internazionali, resi esecutivi in Italia, quando lo straniero non soddisfi le condizioni di soggiorno applicabili in uno degli Stati contraenti, salvo che ricorrano seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano. Il permesso di soggiorno per motivi umanitari è rilasciato dal questore secondo le modalità previste nel regolamento di attuazione.

7. Gli stranieri muniti del permesso di soggiorno o titolo equipollente rilasciato dall'autorità di uno Stato appartenente all'Unione europea, valido per il soggiorno in Italia sono tenuti a dichiarare la loro presenza al questore con le modalità e nei termini di cui al comma 2. Agli stessi è rilasciata idonea ricevuta della dichiarazione di soggiorno. Ai contravventori si applica la sanzione amministrativa del pagamento di una somma euro 103 a euro 309. Qualora la dichiarazione non venga resa entro 60 giorni dall'ingresso nel territorio dello Stato può essere disposta l'espulsione amministrativa.

 

8. Il permesso di soggiorno e la carta di soggiorno di cui all'articolo 9 sono rilasciati mediante utilizzo di mezzi a tecnologia avanzata con caratteristiche anticontraffazione conformi ai modelli da approvare con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro per l'innovazione e le tecnologie, in attuazione del regolamento (CE) n. 1030/2002 del Consiglio, del 13 giugno 2002, riguardante l'adozione di un modello uniforme per i permessi di soggiorno rilasciati a cittadini di Paesi terzi. Il permesso di soggiorno e la carta di soggiorno rilasciati in conformità ai predetti modelli recano inoltre i dati personali previsti, per la carta di identità e gli altri documenti elettronici, dall'articolo 36 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445.

 

8-bis. Chiunque contraffà o altera un visto di ingresso o reingresso, un permesso di soggiorno, un contratto di soggiorno o una carta di soggiorno, ovvero contraffà o altera documenti al fine di determinare il rilascio di un visto di ingresso o di reingresso, di un permesso di soggiorno, di un contratto di soggiorno o di una carta di soggiorno oppure utilizza uno di tali documenti contraffatti o alterati, è punito con la reclusione da uno a sei anni. Se la falsità concerne un atto o parte di un atto che faccia fede fino a querela di falso la reclusione è da tre a dieci anni. La pena è aumentata se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale.

 

9. Il permesso di soggiorno è rilasciato, rinnovato o convertito entro venti giorni dalla data in cui è stata presentata la domanda, se sussistono i requisiti e le condizioni previsti dal presente testo unico e dal regolamento di attuazione per il permesso di soggiorno richiesto ovvero, in mancanza di questo, per altro tipo di permesso da rilasciare in applicazione del presente testo unico.

 

 

 

Art. 10-bis
Ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato

 

1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, lo straniero che fa ingresso ovvero si trattiene nel territorio dello Stato, in violazione delle disposizioni del presente testo unico nonché di quelle di cui all’articolo 1 della legge 28 maggio 2007, n. 68, è punito con l’ammenda da 5.000 a 10.000 euro. Al reato di cui al presente comma non si applica l’articolo 162 del codice penale.

 

 

art. 3, co. 1, lett. b)

2. Le disposizioni di cui al comma 1 non si applicano allo straniero destinatario del provvedimento di respingimento ai sensi dell’articolo 10, comma 1.

2. Le disposizioni di cui al comma 1 non si applicano allo straniero destinatario del provvedimento di respingimento ai sensi dell’articolo 10, comma ovvero allo straniero identificato durante i controlli della polizia di frontiera, in uscita dal territorio nazionale.

3. Al procedimento penale per il reato di cui al comma 1 si applicano le disposizioni di cui agli articoli 20-bis, 20-ter e 32-bis del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274.

 

4. Ai fini dell’esecuzione dell’espulsione dello straniero denunciato ai sensi del comma 1 non è richiesto il rilascio del nulla osta di cui all’articolo 13, comma 3, da parte dell’autorità giudiziaria competente all’accertamento del medesimo reato. Il questore comunica l’avvenuta esecuzione dell’espulsione ovvero del respingimento di cui all’articolo 10, comma 2, all’autorità giudiziaria competente all’accertamento del reato.

 

5. Il giudice, acquisita la notizia dell’esecuzione dell’espulsione o del respingimento ai sensi dell’articolo 10, comma 2, pronuncia sentenza di non luogo a procedere. Se lo straniero rientra illegalmente nel territorio dello Stato prima del termine previsto dall’articolo 13, comma 14, si applica l’articolo 345 del codice di procedura penale.

 

6. Nel caso di presentazione di una domanda di protezione internazionale di cui al decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, il procedimento è sospeso. Acquisita la comunicazione del riconoscimento della protezione internazionale di cui al decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, ovvero del rilascio del permesso di soggiorno nelle ipotesi di cui all’articolo 5, comma 6, del presente testo unico, il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere.

 

 

 

Art. 13
Espulsione amministrativa

 

1. Per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato, il Ministro dell'interno può disporre l'espulsione dello straniero anche non residente nel territorio dello Stato, dandone preventiva notizia al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro degli affari esteri.

 

 

art. 3, co. 1, lett. c), n. 1, lett. a)

2. L'espulsione è disposta dal prefetto quando lo straniero:

2. L'espulsione è disposta dal prefetto caso per caso quando lo straniero:

a) è entrato nel territorio dello Stato sottraendosi ai controlli di frontiera e non è stato respinto ai sensi dell'articolo 10;

 

 

art. 3, co. 1, lett. c), n. 1, lett. b)

b) si è trattenuto nel territorio dello Stato in assenza della comunicazione di cui all'articolo 27, comma 1-bis, o senza aver richiesto il permesso di soggiorno nei termini prescritti, salvo che il ritardo sia dipeso da forza maggiore, ovvero quando il permesso di soggiorno è stato revocato o annullato, ovvero è scaduto da più di sessanta giorni e non è stato chiesto il rinnovo.

b) si è trattenuto nel territorio dello Stato in assenza della comunicazione di cui all'articolo 27, comma 1-bis, o senza avere richiesto il permesso di soggiorno nel termine prescritto, salvo che il ritardo sia dipeso da forza maggiore, ovvero quando il permesso di soggiorno è stato revocato o annullato o rifiutato ovvero è scaduto da più di sessanta giorni e non ne è stato chiesto il rinnovo ovvero se lo straniero si è trattenuto sul territorio dello Stato in violazione dell'articolo 1, comma 3, della legge 28 maggio 2007, n. 68.

c) appartiene a taluna delle categorie indicate nell'articolo 1 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, come sostituto dall'articolo 2 della legge 3 agosto 1988, n. 327, o nell'articolo 1 della legge 31 maggio 1965, n. 575, come sostituito dall'articolo 13 della legge 13 settembre 1982, n. 646.

 

2-bis. Nell'adottare il provvedimento di espulsione ai sensi del comma 2, lettere a) e b), nei confronti dello straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare ovvero del familiare ricongiunto, ai sensi dell'articolo 29, si tiene anche conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell'interessato, della durata del suo soggiorno nel territorio nazionale nonché dell'esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese d'origine.

 

 

art. 3, co. 1, lett. c), n. 2

 

2-ter. L'espulsione non è disposta, né eseguita coattivamente qualora il provvedimento sia stato già adottato, nei confronti dello straniero identificato in uscita dal territorio nazionale durante i controlli di polizia alle frontiere esterne.

3. L'espulsione è disposta in ogni caso con decreto motivato immediatamente esecutivo, anche se sottoposto a gravame o impugnativa da parte dell'interessato. Quando lo straniero è sottoposto a procedimento penale e non si trova in stato di custodia cautelare in carcere, il questore, prima di eseguire l'espulsione, richiede il nulla osta all'autorità giudiziaria, che può negarlo solo in presenza di inderogabili esigenze processuali valutate in relazione all'accertamento della responsabilità di eventuali concorrenti nel reato o imputati in procedimenti per reati connessi, e all'interesse della persona offesa. In tal caso l'esecuzione del provvedimento è sospesa fino a quando l'autorità giudiziaria comunica la cessazione delle esigenze processuali. Il questore, ottenuto il nulla osta, provvede all'espulsione con le modalità di cui al comma 4. Il nulla osta si intende concesso qualora l'autorità giudiziaria non provveda entro sette giorni dalla data di ricevimento della richiesta. In attesa della decisione sulla richiesta di nulla osta, il questore può adottare la misura del trattenimento presso un centro di identificazione ed espulsione, ai sensi dell'articolo 14.

 

3-bis. Nel caso di arresto in flagranza o di fermo, il giudice rilascia il nulla osta all'atto della convalida, salvo che applichi la misura della custodia cautelare in carcere ai sensi dell'articolo 391, comma 5, del codice di procedura penale, o che ricorra una delle ragioni per le quali il nulla osta può essere negato ai sensi del comma 3.

 

3-ter. Le disposizioni di cui al comma 3 si applicano anche allo straniero sottoposto a procedimento penale, dopo che sia stata revocata o dichiarata estinta per qualsiasi ragione la misura della custodia cautelare in carcere applicata nei suoi confronti. Il giudice, con lo stesso provvedimento con il quale revoca o dichiara l'estinzione della misura, decide sul rilascio del nulla osta all'esecuzione dell'espulsione. Il provvedimento è immediatamente comunicato al questore.

 

3-quater. Nei casi previsti dai commi 3, 3-bis e 3-ter, il giudice, acquisita la prova dell'avvenuta espulsione, se non è ancora stato emesso il provvedimento che dispone il giudizio, pronuncia sentenza di non luogo a procedere. È sempre disposta la confisca delle cose indicate nel secondo comma dell'articolo 240 del codice penale. Si applicano le disposizioni di cui ai commi 13, 13-bis, 13-ter e 14.

 

3-quinquies. Se lo straniero espulso rientra illegalmente nel territorio dello Stato prima del termine previsto dal comma 14 ovvero, se di durata superiore, prima del termine di prescrizione del reato più grave per il quale si era proceduto nei suoi confronti, si applica l'articolo 345 del codice di procedura penale. Se lo straniero era stato scarcerato per decorrenza dei termini di durata massima della custodia cautelare, quest'ultima è ripristinata a norma dell'articolo 307 del codice di procedura penale.

 

3-sexies. [Il nulla osta all'espulsione non può essere concesso qualora si proceda per uno o più delitti previsti dall'articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale, nonché dall'articolo 12 del presente testo unico].

 

 

art. 3, co. 1, lett. c), n. 3

4. L'espulsione è sempre eseguita dal questore con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica ad eccezione dei casi di cui al comma 5.

4. L'espulsione è eseguita dal questore con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica:

 

a) nelle ipotesi di cui ai commi 1 e 2, lettera c), ovvero all'articolo 3, comma 1, del decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 luglio 2005, n. 155;

 

b) quando sussiste il rischio di fuga, di cui al comma 4-bis;

 

c) quando la domanda di permesso di soggiorno è stata respinta in quanto manifestamente infondata o fraudolenta;

 

d) qualora, senza un giustificato motivo, lo straniero non abbia osservato il termine concesso per la partenza volontaria, di cui al comma 5;

 

e) quando lo straniero abbia violato anche una delle misure di cui al comma 5.2 e di cui all'articolo 14, comma 1-bis;

 

f) nelle ipotesi di cui agli articoli 15 e 16 e nelle altre ipotesi in cui sia stata disposta l'espulsione dello straniero come sanzione penale o come conseguenza di una sanzione penale;

 

g) nell'ipotesi di cui al comma 5.1.

 

 

 

art. 3, co. 1, lett. c), n. 4

 

4-bis. Si configura il rischio di fuga di cui al comma 4, lettera b), qualora ricorra almeno una delle seguenti circostanze da cui il prefetto accerti, caso per caso, il pericolo che lo straniero possa sottrarsi alla volontaria esecuzione del provvedimento di espulsione:

 

a) mancato possesso del passaporto o di altro documento equipollente, in corso di validità;

 

b) mancanza di idonea documentazione atta a dimostrare la disponibilità di un alloggio ove possa essere agevolmente rintracciato;

 

c) avere in precedenza dichiarato o attestato falsamente le proprie generalità;

 

d) non avere ottemperato ad uno dei provvedimenti emessi dalla competente autorità, in applicazione dei commi 5 e 13, nonché dell'articolo 14;

 

e) avere violato anche una delle misure di cui al comma 5.2.

 

art. 3, co. 1, lett. c), n. 5

5. Nei confronti dello straniero che si è trattenuto nel territorio dello Stato quando il permesso di soggiorno è scaduto di validità da più di sessanta giorni e non ne è stato chiesto il rinnovo, l’espulsione contiene l’intimazione a lasciare il territorio dello Stato entro il termine di quindici giorni. Il questore dispone l’accompagnamento immediato alla frontiera dello straniero, qualora il prefetto rilevi il concreto pericolo che quest’ultimo si sottragga all’esecuzione del provvedimento.

5. Lo straniero, destinatario di un provvedimento d’espulsione, qualora non ricorrano le condizioni per l’accompagnamento immediato alla frontiera di cui al comma 4, può chiedere al prefetto, ai fini dell’esecuzione dell’espulsione, la concessione di un periodo per la partenza volontaria, anche attraverso programmi di rimpatrio volontario ed assistito, di cui all’articolo 14-ter. Il prefetto, valutato il singolo caso, con lo stesso provvedimento di espulsione, intima lo straniero a lasciare volontariamente il territorio nazionale, entro un termine compreso tra 7 e 30 giorni. Tale termine può essere prorogato, ove necessario, per un periodo congruo, commisurato alle circostanze specifiche del caso individuale, quali la durata del soggiorno nel territorio nazionale, l’esistenza di minori che frequentano la scuola ovvero di altri legami familiari e sociali, nonché l’ammissione a programmi di rimpatrio volontario ed assistito, di cui all’articolo 14-ter. La questura, acquisita la prova dell’avvenuto rimpatrio dello straniero, avvisa l’autorità giudiziaria competente per l’accertamento del reato previsto dall’articolo 10-bis, ai fini di cui al comma 5 del medesimo articolo. Le disposizioni del presente comma non si applicano, comunque, allo straniero destinatario di un provvedimento di respingimento, di cui all’articolo 10.

 

art. 3, co. 1, lett. c), n. 6

 

5.1. Ai fini dell'applicazione del comma 5, la questura provvede a dare adeguata informazione allo straniero della facoltà di richiedere un termine per la partenza volontaria, mediante schede informative plurilingue. In caso di mancata richiesta del termine, l'espulsione è eseguita ai sensi del comma 4.

 

5.2. Laddove sia concesso un termine per la partenza volontaria, il questore chiede allo straniero di dimostrare la disponibilità di risorse economiche sufficienti derivanti da fonti lecite, per un importo proporzionato al termine concesso, compreso tra una e tre mensilità dell'assegno sociale annuo. Il questore dispone, altresì, una o più delle seguenti misure: a) consegna del passaporto o altro documento equipollente in corso di validità, da restituire al momento della partenza; b) obbligo di dimora in un luogo preventivamente individuato, dove possa essere agevolmente rintracciato; c) obbligo di presentazione, in giorni ed orari stabiliti, presso un ufficio della forza pubblica territorialmente competente. Le misure di cui al secondo periodo sono adottate con provvedimento motivato, che ha effetto dalla notifica all'interessato, disposta ai sensi dell'articolo 3, commi 3 e 4 del regolamento, recante l'avviso che lo stesso ha facoltà di presentare personalmente o a mezzo di difensore memorie o deduzioni al giudice della convalida. Il provvedimento è comunicato entro 48 ore dalla notifica al giudice di pace competente per territorio. Il giudice, se ne ricorrono i presupposti, dispone con decreto la convalida nelle successive 48 ore. Le misure, su istanza dell'interessato, sentito il questore, possono essere modificate o revocate dal giudice di pace. Il contravventore anche solo ad una delle predette misure è punito con la multa da 3.000 a 18.000 euro. In tale ipotesi, ai fini dell'espulsione dello straniero, non è richiesto il rilascio del nulla osta di cui al comma 3 da parte dell'autorità giudiziaria competente all'accertamento del reato. Il questore esegue l'espulsione, disposta ai sensi del comma 4, anche mediante le modalità previste all'articolo 14.

 

art. 3, co. 1, lett. c), n. 7

5-bis. Nei casi previsti ai commi 4 e 5 il questore comunica immediatamente e, comunque, entro quarantotto ore dalla sua adozione, al giudice di pace territorialmente competente il provvedimento con il quale è disposto l'accompagnamento alla frontiera. L'esecuzione del provvedimento del questore di allontanamento dal territorio nazionale è sospesa fino alla decisione sulla convalida. L'udienza per la convalida si svolge in camera di consiglio con la partecipazione necessaria di un difensore tempestivamente avvertito. L'interessato è anch'esso tempestivamente informato e condotto nel luogo in cui il giudice tiene l'udienza. Si applicano le disposizioni di cui al sesto e al settimo periodo del comma 8, in quanto compatibili. Il giudice provvede alla convalida, con decreto motivato, entro le quarantotto ore successive, verificata l'osservanza dei termini, la sussistenza dei requisiti previsti dal presente articolo e sentito l'interessato, se comparso. In attesa della definizione del procedimento di convalida, lo straniero espulso è trattenuto in uno dei centri di identificazione ed espulsione, di cui all'articolo 14, salvo che il procedimento possa essere definito nel luogo in cui è stato adottato il provvedimento di allontanamento anche prima del trasferimento in uno dei centri disponibili. Quando la convalida è concessa, il provvedimento di accompagnamento alla frontiera diventa esecutivo. Se la convalida non è concessa ovvero non è osservato il termine per la decisione, il provvedimento del questore perde ogni effetto. Avverso il decreto di convalida è proponibile ricorso per cassazione. Il relativo ricorso non sospende l'esecuzione dell'allontanamento dal territorio nazionale. Il termine di quarantotto ore entro il quale il giudice di pace deve provvedere alla convalida decorre dal momento della comunicazione del provvedimento alla cancelleria.

5-bis. Nei casi previsti al comma 4 il questore comunica immediatamente e, comunque, entro quarantotto ore dalla sua adozione, al giudice di pace territorialmente competente il provvedimento con il quale è disposto l'accompagnamento alla frontiera. L'esecuzione del provvedimento del questore di allontanamento dal territorio nazionale è sospesa fino alla decisione sulla convalida. L'udienza per la convalida si svolge in camera di consiglio con la partecipazione necessaria di un difensore tempestivamente avvertito. L'interessato è anch'esso tempestivamente informato e condotto nel luogo in cui il giudice tiene l'udienza. Si applicano le disposizioni di cui al sesto e al settimo periodo del comma 8, in quanto compatibili. Il giudice provvede alla convalida, con decreto motivato, entro le quarantotto ore successive, verificata l'osservanza dei termini, la sussistenza dei requisiti previsti dal presente articolo e sentito l'interessato, se comparso. In attesa della definizione del procedimento di convalida, lo straniero espulso è trattenuto in uno dei centri di identificazione ed espulsione, di cui all'articolo 14, salvo che il procedimento possa essere definito nel luogo in cui è stato adottato il provvedimento di allontanamento anche prima del trasferimento in uno dei centri disponibili. Quando la convalida è concessa, il provvedimento di accompagnamento alla frontiera diventa esecutivo. Se la convalida non è concessa ovvero non è osservato il termine per la decisione, il provvedimento del questore perde ogni effetto. Avverso il decreto di convalida è proponibile ricorso per cassazione. Il relativo ricorso non sospende l'esecuzione dell'allontanamento dal territorio nazionale. Il termine di quarantotto ore entro il quale il giudice di pace deve provvedere alla convalida decorre dal momento della comunicazione del provvedimento alla cancelleria.

5-ter. Al fine di assicurare la tempestività del procedimento di convalida dei provvedimenti di cui ai commi 4 e 5, ed all'articolo 14, comma 1, le questure forniscono al giudice di pace, nei limiti delle risorse disponibili, il supporto occorrente e la disponibilità di un locale idoneo.

 

6. [Negli altri casi, l'espulsione contiene l'intimazione a lasciare il territorio dello Stato entro il termine di quindici giorni, e ad osservare le prescrizioni per il viaggio e per la presentazione dell'ufficio di polizia di frontiera. Quando l'espulsione è disposta ai sensi del comma 2, lettera b), il questore può adottare la misura di cui all'articolo 14, comma 1, qualora il prefetto rilevi, tenuto conto di circostanze obiettive riguardanti l'inserimento sociale, familiare e lavorativo dello straniero, il concreto pericolo che quest'ultimo si sottragga all'esecuzione del provvedimento].

 

7. Il decreto di espulsione e il provvedimento di cui al comma 1 dell'articolo 14, nonché ogni altro atto concernente l'ingresso, il soggiorno e l'espulsione, sono comunicati all'interessato unitamente all'indicazione delle modalità di impugnazione e ad una traduzione in una lingua da lui conosciuta, ovvero, ove non sia possibile, in lingua francese, inglese o spagnola.

 

8. Avverso il decreto di espulsione può essere presentato unicamente il ricorso al giudice di pace del luogo in cui ha sede l'autorità che ha disposto l'espulsione. Il termine è di sessanta giorni dalla data del provvedimento di espulsione. Il giudice di pace accoglie o rigetta il ricorso, decidendo con unico provvedimento adottato, in ogni caso, entro venti giorni dalla data di deposito del ricorso. Il ricorso di cui al presente comma può essere sottoscritto anche personalmente, ed è presentato anche per il tramite della rappresentanza diplomatica o consolare italiana nel Paese di destinazione. La sottoscrizione del ricorso, da parte della persona interessata, è autenticata dai funzionari delle rappresentanze diplomatiche o consolari che provvedono a certificarne l'autenticità e ne curano l'inoltro all'autorità giudiziaria. Lo straniero è ammesso all'assistenza legale da parte di un patrocinatore legale di fiducia munito di procura speciale rilasciata avanti all'autorità consolare. Lo straniero è altresì ammesso al gratuito patrocinio a spese dello Stato, e, qualora sia sprovvisto di un difensore, è assistito da un difensore designato dal giudice nell'àmbito dei soggetti iscritti nella tabella di cui all'articolo 29 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, nonché, ove necessario, da un interprete.

 

9. Comma abrogato dal comma 1 dell'art. 12, L. 30 luglio 2002, n. 189.

 

10. Comma abrogato dal comma 1 dell'art. 12, L. 30 luglio 2002, n. 189

 

11. Contro il decreto ministeriale di cui al comma 1 la tutela giurisdizionale davanti al giudice amministrativo è disciplinata dal codice del processo amministrativo.

 

12. Fatto salvo quanto previsto dall'articolo 19, lo straniero espulso è rinviato allo Stato di appartenenza, ovvero, quando ciò non sia possibile, allo Stato di provenienza.

 

 

art. 3, co. 1, lett. c), n. 8

13. Lo straniero espulso non può rientrare nel territorio dello Stato senza una speciale autorizzazione del Ministro dell'interno. In caso di trasgressione lo straniero è punito con la reclusione da uno a quattro anni ed è nuovamente espulso con accompagnamento immediato alla frontiera. La disposizione di cui al primo periodo del presente comma non si applica nei confronti dello straniero già espulso ai sensi dell'articolo 13, comma 2, lettere a) e b), per il quale è stato autorizzato il ricongiungimento, ai sensi dell'articolo 29.

13. Lo straniero destinatario di un provvedimento di espulsione non può rientrare nel territorio dello Stato senza una speciale autorizzazione del Ministro dell'interno. In caso di trasgressione lo straniero è punito con la reclusione da uno a quattro anni ed è nuovamente espulso con accompagnamento immediato alla frontiera. La disposizione di cui al primo periodo del presente comma non si applica nei confronti dello straniero già espulso ai sensi dell'articolo 13, comma 2, lettere a) e b), per il quale è stato autorizzato il ricongiungimento, ai sensi dell'articolo 29.

13-bis. Nel caso di espulsione disposta dal giudice, il trasgressore del divieto di reingresso è punito con la reclusione da uno a quattro anni. Allo straniero che, già denunciato per il reato di cui al comma 13 ed espulso, abbia fatto reingresso sul territorio nazionale si applica la pena della reclusione da uno a cinque anni.

 

13-ter. Per i reati previsti dai commi 13 e 13-bis è obbligatorio l'arresto dell'autore del fatto anche fuori dei casi di flagranza e si procede con rito direttissimo.

 

 

art. 3, co. 1, lett. c), n. 9

14. Salvo che sia diversamente disposto, il divieto di cui al comma 13 opera per un periodo di dieci anni. Nel decreto di espulsione può essere previsto un termine più breve, in ogni caso non inferiore a cinque anni, tenuto conto della complessiva condotta tenuta dall'interessato nel periodo di permanenza in Italia.

14.Il divieto di cui al comma 13 opera per un periodo non inferiore a tre anni e non superiore a cinque anni, la cui durata è determinata tenendo conto di tutte le circostanze pertinenti il singolo caso. Nei casi di espulsione disposta ai sensi dei commi 1 e 2, lettera c), ovvero ai sensi dell'articolo 3, comma 1, del decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 luglio 2005, n. 155, può essere previsto un termine superiore a cinque anni, la cui durata è determinata tenendo conto di tutte le circostanze pertinenti il singolo caso. Per i provvedimenti di espulsione di cui al comma 5, il divieto previsto al comma 13 decorre dalla scadenza del termine assegnato e può essere revocato, su istanza dell'interessato, a condizione che fornisca la prova di avere lasciato il territorio nazionale entro il termine di cui al comma 5.

15. Le disposizioni di cui al comma 5 non si applicano allo straniero che dimostri sulla base di elementi obiettivi di essere giunto nel territorio dello Stato prima della data di entrata in vigore della legge 6 marzo 1998, n. 40. In tal caso, il questore può adottare la misura di cui all'articolo 14, comma 1.

 

16. L'onere derivante dal comma 10 del presente articolo è valutato in lire 4 miliardi per l'anno 1997 e in lire 8 miliardi annui a decorrere dall'anno 1998.

 

 

 

Art. 14
Esecuzione dell'espulsione

 

 

art. 3, co. 1, lett. d), n. 1

1. Quando non è possibile eseguire con immediatezza l'espulsione mediante accompagnamento alla frontiera ovvero il respingimento, perché occorre procedere al soccorso dello straniero, accertamenti supplementari in ordine alla sua identità o nazionalità, ovvero all'acquisizione di documenti per il viaggio, ovvero per l'indisponibilità di vettore o altro mezzo di trasporto idoneo, il questore dispone che lo straniero sia trattenuto per il tempo strettamente necessario presso il centro di identificazione e di espulsione più vicino, tra quelli individuati o costituiti con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con i Ministri per la solidarietà sociale e del tesoro, del bilancio e della programmazione economica.

1. Quando non è possibile eseguire con immediatezza l'espulsione mediante accompagnamento alla frontiera o il respingimento, a causa di situazioni transitorie che ostacolano la preparazione del rimpatrio o l'effettuazione dell'allontanamento, il questore dispone che lo straniero sia trattenuto per il tempo strettamente necessario presso il centro di identificazione ed espulsione più vicino, tra quelli individuati o costituiti con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze. Tra le situazioni che legittimano il trattenimento rientrano, oltre a quelle indicate all'articolo 13, comma 4-bis, anche quelle riconducibili alla necessità di prestare soccorso allo straniero o di effettuare accertamenti supplementari in ordine alla sua identità o nazionalità ovvero di acquisire i documenti per il viaggio o la disponibilità di un mezzo di trasporto idoneo.

 

art. 3, co. 1, lett. d), n. 2

 

1-bis. Nei casi in cui lo straniero è in possesso di passaporto o altro documento equipollente in corso di validità e l'espulsione non è stata disposta ai sensi dell'articolo 13, commi 1 e 2, lettera c), o ai sensi dell'articolo 3, comma 1, del decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 luglio 2005, n. 155, il questore, in luogo del trattenimento di cui al comma 1, può disporre una o più delle seguenti misure: a) consegna del passaporto o altro documento equipollente in corso di validità, da restituire al momento della partenza; b) obbligo di dimora in un luogo preventivamente individuato, dove possa essere agevolmente rintracciato; c) obbligo di presentazione, in giorni ed orari stabiliti, presso un ufficio della forza pubblica territorialmente competente. Le misure di cui al primo periodo sono adottate con provvedimento motivato, che ha effetto dalla notifica all'interessato, disposta ai sensi dell'articolo 3, commi 3 e 4 del regolamento, recante l'avviso che lo stesso ha facoltà di presentare personalmente o a mezzo di difensore memorie o deduzioni al giudice della convalida. Il provvedimento è comunicato entro 48 ore dalla notifica al giudice di pace competente per territorio. Il giudice, se ne ricorrono i presupposti, dispone con decreto la convalida nelle successive 48 ore. Le misure, su istanza dell'interessato, sentito il questore, possono essere modificate o revocate dal giudice di pace. Il contravventore anche solo ad una delle predette misure è punito con la multa da 3.000 a 18.000 euro. In tale ipotesi, ai fini dell'espulsione dello straniero non è richiesto il rilascio del nulla osta di cui al comma 3 da parte dell'autorità giudiziaria competente all'accertamento del reato. Qualora non sia possibile l'accompagnamento immediato alla frontiera, con le modalità di cui all'articolo 13, comma 3, il questore provvede ai sensi dei commi 1 o 5-bis.

2. Lo straniero è trattenuto nel centro con modalità tali da assicurare la necessaria assistenza ed il pieno rispetto della sua dignità. Oltre a quanto previsto dall'articolo 2, comma 6, è assicurata in ogni caso la libertà di corrispondenza anche telefonica con l'esterno

 

3. Il questore del luogo in cui si trova il centro trasmette copia degli atti al giudice di pace territorialmente competente, per la convalida, senza ritardo e comunque entro le quarantotto ore dall'adozione del provvedimento.

 

4. L'udienza per la convalida si svolge in camera di consiglio con la partecipazione necessaria di un difensore tempestivamente avvertito. L'interessato è anch'esso tempestivamente informato e condotto nel luogo in cui il giudice tiene l'udienza. Si applicano in quanto compatibili le disposizioni di cui al sesto e al settimo periodo del comma 8 dell'articolo 13. Il giudice provvede alla convalida, con decreto motivato, entro le quarantotto ore successive, verificata l'osservanza dei termini, la sussistenza dei requisiti previsti dall'articolo 13 e dal presente articolo, escluso il requisito della vicinanza del centro di identificazione e di espulsione di cui al comma 1, e sentito l'interessato, se comparso. Il provvedimento cessa di avere ogni effetto qualora non sia osservato il termine per la decisione. La convalida può essere disposta anche in occasione della convalida del decreto di accompagnamento alla frontiera, nonché in sede di esame del ricorso avverso il provvedimento di espulsione.

 

 

art. 3, co. 1, lett. d), n. 3

5. La convalida comporta la permanenza nel centro per un periodo di complessivi trenta giorni. Qualora l'accertamento dell'identità e della nazionalità, ovvero l'acquisizione di documenti per il viaggio presenti gravi difficoltà, il giudice, su richiesta del questore, può prorogare il termine di ulteriori trenta giorni. Anche prima di tale termine, il questore esegue l'espulsione o il respingimento, dandone comunicazione senza ritardo al giudice. Trascorso tale termine, in caso di mancata cooperazione al rimpatrio del cittadino del Paese terzo interessato o di ritardi nell’ottenimento della necessaria documentazione dai Paesi terzi, il questore può chiedere al giudice di pace la proroga del trattenimento per un periodo ulteriore di sessanta giorni. Qualora non sia possibile procedere all’espulsione in quanto, nonostante che sia stato compiuto ogni ragionevole sforzo, persistono le condizioni di cui al periodo precedente, il questore può chiedere al giudice un’ulteriore proroga di sessanta giorni. Il periodo massimo complessivo di trattenimento non può essere superiore a centottanta giorni. Il questore, in ogni caso, può eseguire l’espulsione e il respingimento anche prima della scadenza del termine prorogato, dandone comunicazione senza ritardo al giudice di pace.

5. La convalida comporta la permanenza nel centro per un periodo di complessivi trenta giorni.Qualora l'accertamento dell'identità e della nazionalità ovvero l'acquisizione di documenti per il viaggio presenti gravi difficoltà, il giudice, su richiesta del questore, può prorogare il termine di ulteriori trenta giorni. Anche prima di tale termine, il questore esegue l'espulsione o il respingimento, dandone comunicazione senza ritardo al giudice. Trascorso tale termine, qualora permangano le condizioni indicate al comma 1, il questore può chiedere al giudice di pace la proroga del trattenimento per un periodo ulteriore di sessanta giorni.Qualorapersistono le condizioni di cui al quarto periodo, il questore può chiedere al giudice un'ulteriore proroga di sessanta giorni.Il periodo massimo complessivo di trattenimento non può essere superiore a centottanta giorni. Qualora non sia stato possibile procedere all'allontanamento, nonostante sia stato compiuto ogni ragionevole sforzo, a causa della mancata cooperazione al rimpatrio del cittadino del Paese terzo interessato o di ritardi nell'ottenimento della necessaria documentazione dai Paesi terzi, il questore può chiedere al giudice di pace la proroga del trattenimento, di volta in volta, per periodi non superiori a sessanta giorni, fino ad un termine massimo di ulteriori dodici mesi. Il questore, in ogni caso, può eseguire l'espulsione e il respingimento anche prima della scadenza del termine prorogato, dandone comunicazione senza ritardo al giudice di pace.

 

art. 3, co. 1, lett. d), n. 4

5-bis. Quando non sia stato possibile trattenere lo straniero presso un centro di identificazione ed espulsione, ovvero la permanenza in tale struttura non abbia consentito l’esecuzione con l’accompagnamento alla frontiera dell’espulsione o del respingimento, il questore ordina allo straniero di lasciare il territorio dello Stato entro il termine di cinque giorni. L’ordine è dato con provvedimento scritto, recante l’indicazione delle conseguenze sanzionatorie della permanenza illegale, anche reiterata, nel territorio dello Stato. L’ordine del questore può essere accompagnato dalla consegna all’interessato della documentazione necessaria per raggiungere gli uffici della rappresentanza diplomatica del suo Paese in Italia, anche se onoraria, nonché per rientrare nello Stato di appartenenza ovvero, quando ciò non sia possibile, nello Stato di provenienza.

5-bis. Allo scopo di porre fine al soggiorno illegale dello straniero e di adottare le misure necessarie per eseguire immediatamente il provvedimento di espulsione o di respingimento, il questore ordina allo straniero di lasciare il territorio dello Stato entro il termine di sette giorni, qualora non sia stato possibile trattenerlo in un Centro di identificazione ed espulsione, ovvero la permanenza presso tale struttura non ne abbia consentito l'allontanamento dal territorio nazionale. L'ordine è dato con provvedimento scritto, recante l'indicazione, in caso di violazione, delle conseguenze sanzionatorie. L'ordine del questore può essere accompagnato dalla consegna all'interessato, anche su sua richiesta, della documentazione necessaria per raggiungere gli uffici della rappresentanza diplomatica del suo Paese in Italia, anche se onoraria, nonché per rientrare nello Stato di appartenenza ovvero, quando ciò non sia possibile, nello Stato di provenienza, compreso il titolo di viaggio.

 

art. 3, co. 1, lett. d), n. 5

5-ter. Lo straniero che senza giustificato motivo permane illegalmente nel territorio dello Stato, in violazione dell’ordine impartito dal questore ai sensi del comma 5-bis, è punito con la reclusione da uno a quattro anni se l’espulsione o il respingimento sono stati disposti per ingresso illegale nel territorio nazionale ai sensi dell’articolo 13, comma 2, lettere a) e c), ovvero per non aver richiesto il permesso di soggiorno o non aver dichiarato la propria presenza nel territorio dello Stato nel termine prescritto in assenza di cause di forza maggiore, ovvero per essere stato il permesso revocato o annullato. Si applica la pena della reclusione da sei mesi ad un anno se l’espulsione è stata disposta perché il permesso di soggiorno è scaduto da più di sessanta giorni e non ne è stato richiesto il rinnovo, ovvero se la richiesta del titolo di soggiorno è stata rifiutata, ovvero se lo straniero si è trattenuto nel territorio dello Stato in violazione dell’articolo 1, comma 3, della legge 28 maggio 2007, n. 68. In ogni caso, salvo che lo straniero si trovi in stato di detenzione in carcere, si procede all’adozione di un nuovo provvedimento di espulsione con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica per violazione all’ordine di allontanamento adottato dal questore ai sensi del comma 5-bis. Qualora non sia possibile procedere all’accompagnamento alla frontiera, si applicano le disposizioni di cui ai commi 1 e 5-bis del presente articolo nonché, ricorrendone i presupposti, quelle di cui all’articolo 13, comma 3.

5-ter. La violazione dell'ordine di cui al comma 5-bis è punita, salvo che sussista il giustificato motivo, con la multa da 10.000 a 20.000 euro, in caso di respingimento o espulsione disposta ai sensi dell'articolo 13, comma 4, o se lo straniero, ammesso ai programmi di rimpatrio volontario ed assistito, di cui all'articolo 14-ter, vi si sia sottratto. Si applica la multa da 6.000 a 15.000 euro se l'espulsione è stata disposta in base all'articolo 13, comma 5. Valutato il singolo caso e tenuto conto dell'articolo 13, commi 4 e 5, salvo che lo straniero si trovi in stato di detenzione in carcere, si procede all'adozione di un nuovo provvedimento di espulsione per violazione all'ordine di allontanamento adottato dal questore ai sensi del comma 5-bis.Qualora non sia possibile procedere all'accompagnamento alla frontiera, si applicano le disposizioni di cui ai commi 1 e 5-bis, nonché, ricorrendone i presupposti, quelle di cui all'articolo 13, comma 3.

 

art. 3, co. 1, lett. d), n. 6

5-quater. Lo straniero destinatario del provvedimento di espulsione di cui al comma 5-ter e di un nuovo ordine di allontanamento di cui al comma 5-bis, che continua a permanere illegalmente nel territorio dello Stato, è punito con la reclusione da uno a cinque anni. Si applicano, in ogni caso, le disposizioni di cui al comma 5-ter, terzo e ultimo periodo

5-quater. La violazione dell'ordine disposto ai sensi del comma 5-ter, terzo periodo, è punita, salvo giustificato motivo, con la multa da 15.000 a 30.000 euro. Si applicano, in ogni caso, le disposizioni di cui al comma 5-ter, quarto periodo.

 

art. 3, co. 1, lett. d), n. 7

 

5-quater.1. Nella valutazione della condotta tenuta dallo straniero destinatario dell'ordine del questore, di cui ai commi 5-ter e 5-quater, il giudice accerta anche l'eventuale consegna all'interessato della documentazione di cui al comma 5-bis, la cooperazione resa dallo stesso ai fini dell'esecuzione del provvedimento di allontanamento, in particolare attraverso l'esibizione d'idonea documentazione.

 

art. 3, co. 1, lett. d), n. 8

5-quinquies. Per i reati previsti ai commi 5-ter, primo periodo, e 5-quater si procede con rito direttissimo ed è obbligatorio l'arresto dell'autore del fatto.

5-quinquies. Al procedimento penale per i reati di cui agli articoli 5-ter e 5-quater si applicano le disposizioni di cui agli articoli 20-bis, 20-ter e 32-bis, del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274.

 

art. 3, co. 1, lett. d), n. 9

 

5-sexies. Ai fini dell'esecuzione dell'espulsione dello straniero denunciato ai sensi dei commi 5-ter e 5-quater, non è richiesto il rilascio del nulla osta di cui all'articolo 13, comma 3, da parte dell'autorità giudiziaria competente all'accertamento del medesimo reato. Il questore comunica l'avvenuta esecuzione dell'espulsione all'autorità giudiziaria competente all'accertamento del reato.

 

5-septies. Il giudice, acquisita la notizia dell'esecuzione dell'espulsione, pronuncia sentenza di non luogo a procedere. Se lo straniero rientra illegalmente nel territorio dello Stato prima del termine previsto dall'articolo 13, comma 14, si applica l'articolo 345 del codice di procedura penale.

 

 

6. Contro i decreti di convalida e di proroga di cui al comma 5 è proponibile ricorso per cassazione. Il relativo ricorso non sospende l'esecuzione della misura.

 

 

art. 3, co. 1, lett. d), n. 10

7. Il questore, avvalendosi della forza pubblica, adotta efficaci misure di vigilanza affinché lo straniero non si allontani indebitamente dal centro e provvede a ripristinare senza ritardo la misura nel caso questa venga violata.

7. Il questore, avvalendosi della forza pubblica, adotta efficaci misure di vigilanza affinché lo straniero non si allontani indebitamente dal centro e provvede, nel caso la misura sia violata, a ripristinare il trattenimento mediante l'adozione di un nuovo provvedimento di trattenimento.

8. Ai fini dell'accompagnamento anche collettivo alla frontiera, possono essere stipulate convenzioni con soggetti che esercitano trasporti di linea o con organismi anche internazionali che svolgono attività di assistenza per stranieri.

 

9. Oltre a quanto previsto dal regolamento di attuazione e dalle norme in materia di giurisdizione, il Ministro dell'interno adotta i provvedimenti occorrenti per l'esecuzione di quanto disposto dal presente articolo, anche mediante convenzioni con altre amministrazioni dello Stato, con gli enti locali, con i proprietari o concessionari di aree, strutture e altre installazioni nonché per la fornitura di beni e servizi. Eventuali deroghe alle disposizioni vigenti in materia finanziaria e di contabilità sono adottate di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica. Il Ministro dell'interno promuove inoltre le intese occorrenti per gli interventi di competenza di altri Ministri.

 

 

art. 3, co. 1, lett. e)

 

14-ter
Programmi di rimpatrio assistito

 

1. Il Ministero dell'interno, nei limiti delle risorse di cui al comma 7, attua, anche in collaborazione con le organizzazioni internazionali o intergovernative esperte nel settore dei rimpatri, con gli enti locali e con associazioni attive nell'assistenza agli immigrati, programmi di rimpatrio volontario ed assistito verso il Paese di origine o di provenienza di cittadini di Paesi terzi, salvo quanto previsto al comma 3.

 

2. Con decreto del Ministro dell'interno sono definite le linee guida per la realizzazione dei programmi di rimpatrio volontario ed assistito, fissando criteri di priorità che tengano conto innanzitutto delle condizioni di vulnerabilità dello straniero di cui all'articolo 19, comma 2, nonché i criteri per l'individuazione delle organizzazioni, degli enti e delle associazioni di cui al comma 1.

 

3. Nel caso in cui lo straniero irregolarmente presente nel territorio è ammesso ai programmi di rimpatrio di cui al comma 1, la prefettura del luogo ove egli si trova ne dà comunicazione, senza ritardo, alla competente questura, anche in via telematica. Fatto salvo quanto previsto al comma 6, è sospesa l'esecuzione dei provvedimenti emessi ai sensi degli articoli 10, comma 2, 13, comma 2 e 14, comma 5-bis. È sospesa l'efficacia delle misure eventualmente adottate dal questore ai sensi degli articoli 13, comma 5.2, e 14, comma 1-bis. La questura, dopo avere ricevuto dalla prefettura la comunicazione, anche in via telematica, dell'avvenuto rimpatrio dello straniero, avvisa l'autorità giudiziaria competente per l'accertamento del reato previsto dall'articolo 10-bis, ai fini di cui al comma 5 del medesimo articolo.

 

4. Nei confronti dello straniero che si sottrae al programma di rimpatrio, i provvedimenti di cui al comma 3 sono eseguiti dal questore con l'accompagnamento immediato alla frontiera, ai sensi dell'articolo 13, comma 4, anche con le modalità previste dall'articolo 14.

 

5. Le disposizioni del presente articolo non si applicano agli stranieri che:

 

a) hanno già beneficiato dei programmi di cui al comma 1;

 

b) si trovano nelle condizioni di cui all'articolo 13, comma 4, lettere a), d) e f) ovvero nelle condizioni di cui all'articolo 13, comma 4-bis, lettere d) ed e);

 

c) siano destinatari di un provvedimento di espulsione come sanzione penale o come conseguenza di una sanzione penale.

 

6. Gli stranieri ammessi ai programmi di rimpatrio di cui al comma 1 trattenuti nei Centri di identificazione ed espulsione rimangono nel Centro fino alla partenza, nei limiti della durata massima prevista dall'articolo 14, comma 5.

 

7. Al finanziamento dei programmi di rimpatrio volontario assistito di cui al comma 1 si provvede nei limiti:

 

a) delle risorse disponibili del Fondo rimpatri, di cui all'articolo 14-bis, individuate annualmente con decreto del Ministro dell'interno;

 

b) delle risorse disponibili dei fondi europei destinati a tale scopo, secondo le relative modalità di gestione.

 

 

Art. 16
Espulsione a titolo di sanzione sostitutiva o alternativa alla detenzione

 

 

art. 3, co. 1, lett. f)

1. Il giudice, nel pronunciare sentenza di condanna per un reato non colposo o nell'applicare la pena su richiesta ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale nei confronti dello straniero che si trovi in taluna delle situazioni indicate nell'articolo 13, comma 2, quando ritiene di dovere irrogare la pena detentiva entro il limite di due anni e non ricorrono le condizioni per ordinare la sospensione condizionale della pena ai sensi dell'articolo 163 del codice penale ovvero nel pronunciare sentenza di condanna per il reato di cui all'articolo 10-bis, qualora non ricorrano le cause ostative indicate nell'articolo 14, comma 1, del presente testo unico, che impediscono l’esecuzione immediata dell’espulsione con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica, può sostituire la medesima pena con la misura dell'espulsione per un periodo non inferiore a cinque anni.

1. Il giudice, nel pronunciare sentenza di condanna per un reato non colposo o nell'applicare la pena su richiesta ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale nei confronti dello straniero che si trovi in taluna delle situazioni indicate nell'articolo 13, comma 2, quando ritiene di dovere irrogare la pena detentiva entro il limite di due anni e non ricorrono le condizioni per ordinare la sospensione condizionale della pena ai sensi dell'articolo 163 del codice penale ovvero nel pronunciare sentenza di condanna per il reato di cui all'articolo 10-bis, qualora non ricorrano le cause ostative indicate nell'articolo 14, comma 1, del presente testo unico, che impediscono l’esecuzione immediata dell’espulsione con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica, può sostituire la medesima pena con la misura dell'espulsione per un periodo non inferiore a cinque anni. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano, in caso di sentenza di condanna, ai reati di cui all'articolo 14, commi 5-ter e 5-quater.

2. L'espulsione di cui al comma 1 è eseguita dal questore anche se la sentenza non è irrevocabile, secondo le modalità di cui all'articolo 13, comma 4.

 

3. L'espulsione di cui al comma 1 non può essere disposta nei casi in cui la condanna riguardi uno o più delitti previsti dall'articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale, ovvero i delitti previsti dal presente testo unico, puniti con pena edittale superiore nel massimo a due anni.

 

4. Se lo straniero espulso a norma del comma 1 rientra illegalmente nel territorio dello Stato prima del termine previsto dall'articolo 13, comma 14, la sanzione sostitutiva è revocata dal giudice competente.

 

5. Nei confronti dello straniero, identificato, detenuto, che si trova in taluna delle situazioni indicate nell'articolo 13, comma 2, che deve scontare una pena detentiva, anche residua, non superiore a due anni, è disposta l'espulsione. Essa non può essere disposta nei casi in cui la condanna riguarda uno o più delitti previsti dall'articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale, ovvero i delitti previsti dal presente testo unico.

 

6. Competente a disporre l'espulsione di cui al comma 5 è il magistrato di sorveglianza, che decide con decreto motivato, senza formalità, acquisite le informazioni degli organi di polizia sull'identità e sulla nazionalità dello straniero. Il decreto di espulsione è comunicato allo straniero che, entro il termine di dieci giorni, può proporre opposizione dinanzi al tribunale di sorveglianza. Il tribunale decide nel termine di venti giorni.

 

7. L'esecuzione del decreto di espulsione di cui al comma 6 è sospesa fino alla decorrenza dei termini di impugnazione o della decisione del tribunale di sorveglianza e, comunque, lo stato di detenzione permane fino a quando non siano stati acquisiti i necessari documenti di viaggio. L'espulsione è eseguita dal questore competente per il luogo di detenzione dello straniero con la modalità dell'accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica.

 

8. La pena è estinta alla scadenza del termine di dieci anni dall'esecuzione dell'espulsione di cui al comma 5, sempre che lo straniero non sia rientrato illegittimamente nel territorio dello Stato. In tale caso, lo stato di detenzione è ripristinato e riprende l'esecuzione della pena.

 

9. L'espulsione a titolo di sanzione sostitutiva o alternativa alla detenzione non si applica ai casi di cui all'articolo 19.

 

 

 

 

art. 3, co. 1, lett. g), n. 1

Art. 19
Divieti di espulsione e di respingimento

Art. 19
Divieti di espulsione e di respingimento. Disposizioni in materia di categorie vulnerabili

1. In nessun caso può disporsi l'espulsione o il respingimento verso uno Stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione.

 

2. Non è consentita l'espulsione, salvo che nei casi previsti dall'articolo 13, comma 1, nei confronti:

 

a) degli stranieri minori di anni diciotto, salvo il diritto a seguire il genitore o l'affidatario espulsi;

 

b) degli stranieri in possesso della carta di soggiorno, salvo il disposto dell'articolo 9;

 

c) degli stranieri conviventi con parenti entro il secondo grado o con il coniuge, di nazionalità italiana;

 

d) delle donne in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi alla nascita del figlio cui provvedono.

 

 

art. 3, co. 1, lett. g), n. 2

 

2-bis. Il respingimento o l'esecuzione dell'espulsione di persone affette da disabilità, degli anziani, dei minori, dei componenti di famiglie monoparentali con figli minori nonché dei minori, ovvero delle vittime di gravi violenze psicologiche, fisiche o sessuali sono effettuate con modalità compatibili con le singole situazioni personali, debitamente accertate.

 

 

 

 

 

 

 


 

 

D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274

D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274
(Testo modificato dal D.L. 89/2011)

Art. 4
Competenza per materia

 

1. Il giudice di pace è competente:

 

a) per i delitti consumati o tentati previsti dagli articoli 581, 582, limitatamente alle fattispecie di cui al secondo comma perseguibili a querela di parte, 590, limitatamente alle fattispecie perseguibili a querela di parte e ad esclusione delle fattispecie connesse alla colpa professionale e dei fatti commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all'igiene del lavoro o che abbiano determinato una malattia professionale quando, nei casi anzidetti, derivi una malattia di durata superiore a venti giorni, nonché ad esclusione delle fattispecie di cui all'articolo 590, terzo comma, quando si tratta di fatto commesso da soggetto in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell'articolo 186, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, ovvero da soggetto sotto l'effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope, 594, 595, primo e secondo comma, 612, primo comma, 626, 627, 631, salvo che ricorra l'ipotesi di cui all' articolo 639-bis, 632, salvo che ricorra l'ipotesi di cui all' articolo 639-bis, 633, primo comma, salvo che ricorra l'ipotesi di cui all' articolo 639-bis, 635, primo comma, 636, salvo che ricorra l'ipotesi di cui all' articolo 639-bis, 637, 638, primo comma, 639, primo comma e 647 del codice penale;

 

b) per le contravvenzioni previste dagli articoli 689, 690, 691, 726, primo comma, e 731 del codice penale.

 

2. Il giudice di pace è altresì competente per i delitti, consumati o tentati, e per le contravvenzioni previsti dalle seguenti disposizioni:

 

a) articoli 25 e 62, terzo comma, del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, recante «Testo unico in materia di sicurezza»;

 

b) articoli 1095, 1096 e 1119 del regio decreto 30 marzo 1942, n. 327, recante «Approvazione del testo definitivo del codice della navigazione»;

 

c) articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 4 agosto 1957, n. 918, recante «Approvazione del testo organico delle norme sulla disciplina dei rifugi alpini»;

 

d) articoli 102 e 106 del decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, recante «Testo unico delle leggi per l'elezione della Camera dei deputati»;

 

e) articolo 92 del decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570, recante «Testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle amministrazioni comunali»;

 

f) articolo 15, secondo comma, della legge 28 novembre 1965, n. 1329, recante «Provvedimenti per l'acquisto di nuove macchine utensili»;

 

g) articolo 3 della legge 8 novembre 1991, n. 362, recante «Norme di riordino del settore farmaceutico»;

 

h) articolo 51 della legge 25 maggio 1970, n. 352, recante «Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo»;

 

i) articoli 3, terzo e quarto comma, 46, quarto comma e 65, terzo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 753, recante «Nuove norme in materia di polizia, sicurezza e regolarità dell'esercizio delle ferrovie e di altri servizi di trasporto»;

 

l) articoli 18 e 20 della legge 2 agosto 1982, n. 528, recante «Ordinamento del gioco del lotto e misure per il personale del lotto»;

 

m) articolo 17, comma 3, della legge 4 maggio 1990, n. 107, recante «Disciplina per le attività trasfusionali relative al sangue umano ed ai suoi componenti e per la produzione di plasmaderivati»;

 

n) articolo 15, comma 3, del decreto legislativo 27 settembre 1991, n. 311, recante «Attuazione delle direttive n. 87/404/CEE e n. 90/488/CEE in materia di recipienti semplici a pressione, a norma dell'articolo 56 della legge 29 dicembre 1990, n. 428»;

 

o) articolo 11, comma 1, del decreto legislativo 27 settembre 1991, n. 313, recante «Attuazione della direttiva n. 88/378/CEE relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti la sicurezza dei giocattoli, a norma dell'articolo 54 della legge 29 dicembre 1990, n. 428»;

 

p) [articolo 7, comma 9, del decreto legislativo 25 gennaio 1992, n. 74, recante «Attuazione della direttiva n. 84/450/CEE in materia di pubblicità ingannevole»];

 

q) articoli 186, commi 2 e 6, 187, commi 4 e 5, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, recante «Nuovo codice della strada»;

 

r) articolo 10, comma 1, del decreto legislativo 14 dicembre 1992, n. 507, recante «Attuazione della direttiva n. 90/385/CEE concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative ai dispositivi medici impiantabili attivi»;

 

s) articolo 23, comma 2, del decreto legislativo 24 febbraio 1997, n. 46, recante «Attuazione della direttiva n. 90/385/CEE concernente i dispositivi medici»;

 

s-bis) articolo 10-bis del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286.

 

 

art. 4, co. 1

 

s-ter) articolo 13, comma 5.2, e articolo 14, commi 1-bis, 5-ter e 5-quater, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286.

3. La competenza per i reati di cui ai commi 1 e 2 è tuttavia del tribunale se ricorre una o più delle circostanze previste dagli articoli 1 del decreto-legge 15 dicembre 1979, n. 625, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 febbraio 1980, n. 15, 7 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, e 3 del decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 1993, n. 205.

 

4. Rimane ferma la competenza del tribunale per i minorenni.

 

 

 

 

 

 


 

Documentazione comunitaria

 


 

Direttiva 29 aprile 2004, n. 2004/38/CE.
Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE

 

(1) (2) (3)

---------------------------------------------

 

(1) Pubblicata nella G.U.U.E. 30 aprile 2004, n. L 158. Entrata in vigore il 30 aprile 2004. Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.

(2)  Termine di recepimento: 30 aprile 2006. Direttiva recepita con D.Lgs. 6 febbraio 2007, n. 30.

(3)  Testo rilevante ai fini del SEE.

 

 

Il Parlamento europeo e il Consiglio dell'Unione europea,

 

visto il trattato che istituisce la Comunità europea, in particolare gli articoli 12, 18, 40, 44, e 52,

 

vista la proposta della Commissione (4),

 

visto il parere del Comitato economico e sociale europeo (5),

 

visto il parere del Comitato delle regioni (6),

 

deliberando secondo la procedura di cui all'articolo 251 del trattato (7),

 

considerando quanto segue:

 

(1) La cittadinanza dell'Unione conferisce a ciascun cittadino dell'Unione il diritto primario e individuale di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, fatte salve le limitazioni e le condizioni previste dal trattato e le disposizioni adottate in applicazione dello stesso.

 

(2) La libera circolazione delle persone costituisce una delle libertà fondamentali nel mercato interno che comprende uno spazio senza frontiere interne nel quale è assicurata tale libertà secondo le disposizioni del trattato.

 

(3) La cittadinanza dell'Unione dovrebbe costituire lo status fondamentale dei cittadini degli Stati membri quando essi esercitano il loro diritto di libera circolazione e di soggiorno. È pertanto necessario codificare e rivedere gli strumenti comunitari esistenti che trattano separatamente di lavoratori subordinati, lavoratori autonomi, studenti ed altre persone inattive al fine di semplificare e rafforzare il diritto di libera circolazione e soggiorno di tutti i cittadini dell'Unione.

 

(4) Per superare tale carattere settoriale e frammentario delle norme concernenti il diritto di libera circolazione e soggiorno e allo scopo di facilitare l'esercizio di tale diritto, occorre elaborare uno strumento legislativo unico per modificare parzialmente il regolamento (CEE) n. 1612/68 del Consiglio, del 15 ottobre 1968, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all'interno della Comunità e per abrogare i seguenti testi legislativi: la direttiva 68/360/CEE del Consiglio, del 15 ottobre 1968, relativa alla soppressione delle restrizioni al trasferimento e al soggiorno dei lavoratori degli Stati membri e delle loro famiglie all'interno della Comunità; la direttiva 73/148/CEE del Consiglio, del 21 maggio 1973, relativa alla soppressione delle restrizioni al trasferimento e al soggiorno dei cittadini degli Stati membri all'interno della Comunità in materia di stabilimento e di prestazione di servizi; la direttiva 90/364/CEE del Consiglio, del 28 giugno 1990, relativa al diritto di soggiorno; la direttiva 90/365/CEE del Consiglio, del 28 giugno 1990, relativa al diritto di soggiorno dei lavoratori salariati e non salariati che hanno cessato la propria attività professionale e la direttiva 93/96/CEE del Consiglio, del 29 ottobre 1993, relativa al diritto di soggiorno degli studenti.

 

(5) Il diritto di ciascun cittadino dell'Unione di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri presuppone, affinché possa essere esercitato in oggettive condizioni di libertà e di dignità, la concessione di un analogo diritto ai familiari, qualunque sia la loro cittadinanza. Ai fini della presente direttiva, la definizione di «familiare» dovrebbe altresì includere il partner che ha contratto un'unione registrata, qualora la legislazione dello Stato membro ospitante equipari l'unione registrata al matrimonio.

 

(6) Per preservare l'unità della famiglia in senso più ampio senza discriminazione in base alla nazionalità, la situazione delle persone che non rientrano nella definizione di familiari ai sensi della presente direttiva, e che pertanto non godono di un diritto automatico di ingresso e di soggiorno nello Stato membro ospitante, dovrebbe essere esaminata dallo Stato membro ospitante sulla base della propria legislazione nazionale, al fine di decidere se l'ingresso e il soggiorno possano essere concessi a tali persone, tenendo conto della loro relazione con il cittadino dell'Unione o di qualsiasi altra circostanza, quali la dipendenza finanziaria o fisica dal cittadino dell'Unione.

 

(7) Occorre definire chiaramente la natura delle formalità connesse alla libera circolazione dei cittadini dell'Unione nel territorio degli Stati membri, senza pregiudizio delle disposizioni applicabili in materia di controlli nazionali alle frontiere.

 

(8) Al fine di facilitare la libera circolazione dei familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro, coloro che hanno già ottenuto una carta di soggiorno dovrebbero essere esentati dall'obbligo di munirsi di un visto d'ingresso a norma del regolamento (CE) n. 539/2001 del Consiglio, del 15 marzo 2001, che adotta l'elenco dei paesi terzi i cui cittadini devono essere in possesso del visto all'atto dell'attraversamento delle frontiere esterne e l'elenco dei paesi terzi i cui cittadini sono esenti da tale obbligo o, se del caso, della legislazione nazionale applicabile.

 

(9) I cittadini dell'Unione dovrebbero aver il diritto di soggiornare nello Stato membro ospitante per un periodo non superiore a tre mesi senza altra formalità o condizione che il possesso di una carta d'identità o di un passaporto in corso di validità, fatto salvo un trattamento più favorevole applicabile ai richiedenti lavoro, come riconosciuto dalla giurisprudenza della Corte di giustizia.

 

(10) Occorre tuttavia evitare che coloro che esercitano il loro diritto di soggiorno diventino un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante durante il periodo iniziale di soggiorno. Pertanto il diritto di soggiorno dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari per un periodo superiore a tre mesi dovrebbe essere subordinato a condizioni.

 

(11) Il diritto fondamentale e personale di soggiornare in un altro Stato membro è conferito direttamente dal trattato ai cittadini dell'Unione e non dipende dall'aver completato le formalità amministrative.

 

(12) Per soggiorni superiori a tre mesi, gli Stati membri dovrebbero avere la possibilità di richiedere l'iscrizione del cittadino dell'Unione presso le autorità competenti del luogo di residenza, comprovata da un attestato d'iscrizione rilasciato a tal fine.

 

(13) Il requisito del possesso della carta di soggiorno dovrebbe essere limitato ai familiari del cittadino dell'Unione non aventi la cittadinanza di uno Stato membro per i soggiorni di durata superiore ai tre mesi.

 

(14) I documenti giustificativi richiesti dalle autorità competenti ai fini del rilascio dell'attestato d'iscrizione o di una carta di soggiorno dovrebbero essere indicati in modo tassativo onde evitare che pratiche amministrative o interpretazioni divergenti costituiscano un indebito ostacolo all'esercizio del diritto di soggiorno dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari.

 

(15) È necessario inoltre tutelare giuridicamente i familiari in caso di decesso del cittadino dell'Unione, di divorzio, di annullamento del matrimonio o di cessazione di una unione registrata. È quindi opportuno adottare misure volte a garantire che, in tali ipotesi, nel dovuto rispetto della vita familiare e della dignità umana e a determinate condizioni intese a prevenire gli abusi, i familiari che già soggiornano nel territorio dello Stato membro ospitante conservino il diritto di soggiorno esclusivamente su base personale.

 

(16) I beneficiari del diritto di soggiorno non dovrebbero essere allontanati finché non diventino un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante. Pertanto una misura di allontanamento non dovrebbe essere la conseguenza automatica del ricorso al sistema di assistenza sociale. Lo Stato membro ospitante dovrebbe esaminare se si tratta di difficoltà temporanee e tener conto della durata del soggiorno, della situazione personale e dell'ammontare dell'aiuto concesso prima di considerare il beneficiario un onere eccessivo per il proprio sistema di assistenza sociale e procedere all'allontanamento. In nessun caso una misura di allontanamento dovrebbe essere presa nei confronti di lavoratori subordinati, lavoratori autonomi o richiedenti lavoro, quali definiti dalla Corte di giustizia, eccetto che per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza.

 

(17) Un diritto di un soggiorno permanente per i cittadini dell'Unione che hanno scelto di trasferirsi a tempo indeterminato nello Stato membro ospitante rafforzerebbe il senso di appartenenza alla cittadinanza dell'Unione e costituisce un essenziale elemento di promozione della coesione sociale, che è uno degli obiettivi fondamentali dell'Unione. Occorre quindi istituire un diritto di soggiorno permanente per tutti i cittadini dell'Unione ed i loro familiari che abbiano soggiornato nello Stato membro ospitante per un periodo ininterrotto di cinque anni conformemente alle condizioni previste dalla presente direttiva e senza diventare oggetto di una misura di allontanamento.

 

(18) Per costituire un autentico mezzo di integrazione nella società dello Stato membro ospitante in cui il cittadino dell'Unione soggiorna, il diritto di soggiorno permanente non dovrebbe, una volta ottenuto, essere sottoposto ad alcuna condizione.

 

(19) Occorre preservare alcuni vantaggi propri dei cittadini dell'Unione che siano lavoratori subordinati o autonomi e dei loro familiari, che permettono loro di acquisire un diritto di soggiorno permanente prima di aver soggiornato cinque anni nello Stato membro ospitante, in quanto costituiscono diritti acquisiti conferiti dal regolamento (CEE) n. 1251/70 della Commissione, del 29 giugno 1970, relativo al diritto dei lavoratori di rimanere sul territorio di uno Stato membro dopo aver occupato un impiego e dalla direttiva 75/34/CEE del Consiglio, del 17 dicembre 1974, relativa al diritto di un cittadino di uno Stato membro di rimanere sul territorio di un altro Stato membro dopo avervi svolto un'attività non salariata.

 

(20) In conformità del divieto di discriminazione in base alla nazionalità, ogni cittadino dell'Unione e i suoi familiari il cui soggiorno in uno Stato membro è conforme alla presente direttiva dovrebbero godere in tale Stato membro della parità di trattamento rispetto ai cittadini nazionali nel campo d'applicazione del trattato, fatte salve le specifiche disposizioni previste espressamente dal trattato e dal diritto derivato.

 

(21) Dovrebbe spettare tuttavia allo Stato membro ospitante decidere se intende concedere a persone che non siano lavoratori subordinati o autonomi, che non mantengano tale status o loro familiari prestazioni di assistenza sociale durante i primi tre mesi di soggiorno o per un periodo più lungo in caso di richiedenti lavoro, o sussidi per il mantenimento agli studi, inclusa la formazione professionale, prima dell'acquisizione del diritto di soggiorno permanente.

 

(22) Il trattato consente restrizioni all'esercizio del diritto di libera circolazione per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica. Per assicurare una definizione più rigorosa dei requisiti e delle garanzie procedurali cui deve essere subordinata l'adozione di provvedimenti che negano l'ingresso o dispongono l'allontanamento dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari la presente direttiva dovrebbe sostituire la direttiva 64/221/CEE del Consiglio, del 25 febbraio 1964, per il coordinamento dei provvedimenti speciali riguardanti il trasferimento ed il soggiorno degli stranieri, giustificati da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica.

 

(23) L'allontanamento dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari per motivi d'ordine pubblico o di pubblica sicurezza costituisce una misura che può nuocere gravemente alle persone che, essendosi avvalse dei diritti e delle libertà loro conferite dal trattato, si siano effettivamente integrate nello Stato membro ospitante. Occorre pertanto limitare la portata di tali misure conformemente al principio di proporzionalità, in considerazione del grado d'integrazione della persona interessata, della durata del soggiorno nello Stato membro ospitante, dell'età, delle condizioni di salute, della situazione familiare ed economica e dei legami col paese di origine.

 

(24) Pertanto, quanto più forte è l'integrazione dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari nello Stato membro ospitante, tanto più elevata dovrebbe essere la protezione contro l'allontanamento. Soltanto in circostanze eccezionali, qualora vi siano motivi imperativi di pubblica sicurezza, dovrebbe essere presa una misura di allontanamento nei confronti di cittadini dell'Unione che hanno soggiornato per molti anni nel territorio dello Stato membro ospitante, in particolare qualora vi siano nati e vi abbiano soggiornato per tutta la vita. Inoltre, dette circostanze eccezionali dovrebbero valere anche per le misure di allontanamento prese nei confronti di minorenni, al fine di tutelare i loro legami con la famiglia, conformemente alla Convenzione sui diritti del fanciullo delle Nazioni Unite, del 20 novembre 1989.

 

(25) Dovrebbero altresì essere dettagliatamente specificate le garanzie procedurali in modo da assicurare, da un lato, un elevato grado di tutela dei diritti del cittadino dell'Unione e dei suoi familiari in caso di diniego d'ingresso o di soggiorno in un altro Stato membro e, dall'altro, il rispetto del principio secondo il quale gli atti amministrativi devono essere sufficientemente motivati.

 

(26) In ogni caso il cittadino dell'Unione e i suoi familiari dovrebbero poter presentare ricorso giurisdizionale ove venga loro negato il diritto d'ingresso o di soggiorno in un altro Stato membro.

 

(27) In linea con la giurisprudenza della Corte di giustizia, che vieta agli Stati membri di adottare provvedimenti permanenti di interdizione dal loro territorio nei confronti dei beneficiari della presente direttiva, dovrebbe essere confermato il diritto del cittadino dell'Unione e dei suoi familiari, nei confronti dei quali sia stato emanato un provvedimento di interdizione dal territorio di uno Stato membro, di presentare una nuova domanda dopo il decorso di un congruo periodo e, in ogni caso, dopo tre anni a decorrere dall'esecuzione del provvedimento definitivo di interdizione.

 

(28) Per difendersi da abusi di diritto o da frodi, in particolare matrimoni di convenienza o altri tipi di relazioni contratte all'unico scopo di usufruire del diritto di libera circolazione e soggiorno, gli Stati membri dovrebbero avere la possibilità di adottare le necessarie misure.

 

(29) La presente direttiva non dovrebbe pregiudicare le norme nazionali più favorevoli.

 

(30) Allo scopo di esaminare come agevolare ulteriormente l'esercizio del diritto di libera circolazione e soggiorno la Commissione dovrebbe preparare una relazione valutando l'opportunità di presentare tutte le necessarie proposte in tal senso, in particolare l'estensione del periodo di soggiorno senza condizioni.

 

(31) La presente direttiva rispetta i diritti e le libertà fondamentali e osserva i principi riconosciuti segnatamente dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. In conformità con il divieto di discriminazione contemplato nella Carta gli Stati membri dovrebbero dare attuazione alla presente direttiva senza operare tra i beneficiari della stessa alcuna discriminazione fondata su motivazioni quali sesso, razza, colore della pelle, origine etnica o sociale, caratteristiche genetiche, lingua, religione o convinzioni personali, opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, appartenenza ad una minoranza etnica, patrimonio, nascita, handicap, età o tendenze sessuali,

 

hanno adottato la presente direttiva (8):

 

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(4)  Pubblicata nella G.U.C.E. 25 settembre 2001, n. C 270 E.

(5)  Pubblicato nella G.U.C.E. 21 giugno 2002, n. C 149.

(6)  Pubblicato nella G.U.C.E. 12 agosto 2002, n. C 192.

(7)  Parere del Parlamento europeo dell'11 febbraio 2003 (G.U.U.E. C 43 E del 19.2.2004), posizione comune del Consiglio del 5 dicembre 2003 (G.U.U.E. C 54 E del 2.3.2004) e posizione del Parlamento europeo del 10 marzo 2004.

(8)  Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.

 

 

Capo I

Disposizioni generali

 

Articolo 1 (9)

Oggetto.

La presente direttiva determina:

 

a) le modalità d'esercizio del diritto di libera circolazione e soggiorno nel territorio degli Stati membri da parte dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari;

 

b) il diritto di soggiorno permanente nel territorio degli Stati membri dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari;

 

c) le limitazioni dei suddetti diritti per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica.

 

 

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(9)  Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.

 

 

Articolo 2 (10)

Definizioni.

Ai fini della presente direttiva, si intende per:

 

1) «cittadino dell'Unione»: qualsiasi persona avente la cittadinanza di uno Stato membro;

 

2) «familiare»:

 

a) il coniuge;

 

b) il partner che abbia contratto con il cittadino dell'Unione un'unione registrata sulla base della legislazione di uno Stato membro, qualora la legislazione dello Stato membro ospitante equipari l'unione registrata al matrimonio e nel rispetto delle condizioni previste dalla pertinente legislazione dello Stato membro ospitante;

 

c) i discendenti diretti di età inferiore a 21 anni o a carico e quelli del coniuge o partner di cui alla lettera b);

 

d) gli ascendenti diretti a carico e quelli del coniuge o partner di cui alla lettera b);

 

3) «Stato membro ospitante»: lo Stato membro nel quale il cittadino dell'Unione si reca al fine di esercitare il diritto di libera circolazione o di soggiorno.

 

 

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(10)  Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.

 

 

 

Articolo 3 (11)

Aventi diritto.

1. La presente direttiva si applica a qualsiasi cittadino dell'Unione che si rechi o soggiorni in uno Stato membro diverso da quello di cui ha la cittadinanza, nonché ai suoi familiari ai sensi dell'articolo 2, punto 2, che accompagnino o raggiungano il cittadino medesimo.

 

2. Senza pregiudizio del diritto personale di libera circolazione e di soggiorno dell'interessato lo Stato membro ospitante, conformemente alla sua legislazione nazionale, agevola l'ingresso e il soggiorno delle seguenti persone:

 

a) ogni altro familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, non definito all'articolo 2, punto 2, se è a carico o convive, nel paese di provenienza, con il cittadino dell'Unione titolare del diritto di soggiorno a titolo principale o se gravi motivi di salute impongono che il cittadino dell'Unione lo assista personalmente;

 

b) il partner con cui il cittadino dell'Unione abbia una relazione stabile debitamente attestata.

 

Lo Stato membro ospitante effettua un esame approfondito della situazione personale e giustifica l'eventuale rifiuto del loro ingresso o soggiorno.

 

 

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(11)  Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.

 


 

Capo II

Diritto di uscita e di ingresso

 

Articolo 4 (12)

Diritto di uscita.

1. Senza pregiudizio delle disposizioni applicabili ai controlli dei documenti di viaggio alle frontiere nazionali, ogni cittadino dell'Unione munito di una carta d'identità o di un passaporto in corso di validità e i suoi familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro e muniti di passaporto in corso di validità hanno il diritto di lasciare il territorio di uno Stato membro per recarsi in un altro Stato membro.

 

2. Nessun visto di uscita né alcuna formalità equivalente possono essere prescritti alle persone di cui al paragrafo 1.

 

3. Gli Stati membri rilasciano o rinnovano ai loro cittadini, ai sensi della legislazione nazionale, una carta d'identità o un passaporto dai quali risulti la loro cittadinanza.

 

4. Il passaporto deve essere valido almeno per tutti gli Stati membri e per i paesi di transito diretto tra gli stessi. Qualora la legislazione di uno Stato membro non preveda il rilascio di una carta d'identità, il periodo di validità del passaporto, al momento del rilascio o del rinnovo, non può essere inferiore a cinque anni.

 

 

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(12)  Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.

 

 

Articolo 5 (13)

Diritto d'ingresso.

1. Senza pregiudizio delle disposizioni applicabili ai controlli dei documenti di viaggio alle frontiere nazionali, gli Stati membri ammettono nel loro territorio il cittadino dell'Unione munito di una carta d'identità o di un passaporto in corso di validità, nonché i suoi familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro, muniti di valido passaporto.

 

Nessun visto d'ingresso né alcuna formalità equivalente possono essere prescritti al cittadino dell'Unione.

 

2. I familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro sono soltanto assoggettati all'obbligo del visto d'ingresso, conformemente al regolamento (CE) n. 539/2001 o, se del caso, alla legislazione nazionale. Ai fini della presente direttiva il possesso della carta di soggiorno di cui all'articolo 10, in corso di validità, esonera detti familiari dal requisito di ottenere tale visto.

 

Gli Stati membri concedono a dette persone ogni agevolazione affinché ottengano i visti necessari. Tali visti sono rilasciati il più presto possibile in base a una procedura accelerata e sono gratuiti.

 

3. Lo Stato membro ospitante non appone timbri di ingresso o di uscita nel passaporto del familiare non avente la cittadinanza di uno Stato membro, qualora questi esibisca la carta di soggiorno di cui all'articolo 10.

 

4. Qualora il cittadino dell'Unione o il suo familiare non avente la cittadinanza di uno Stato membro sia sprovvisto dei documenti di viaggio o, eventualmente, dei visti necessari, lo Stato membro interessato concede, prima di procedere al respingimento, ogni possibile agevolazione affinché possa ottenere o far pervenire entro un periodo di tempo ragionevole i documenti necessari, oppure possa dimostrare o attestare con altri mezzi la qualifica di titolare del diritto di libera circolazione.

 

5. Lo Stato membro può prescrivere all'interessato di dichiarare la propria presenza nel territorio nazionale entro un termine ragionevole e non discriminatorio. L'inosservanza di tale obbligo può comportare sanzioni proporzionate e non discriminatorie.

 

 

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(13)  Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.

 

 

Capo III

Diritto di soggiorno

 

Articolo 6 (14)

Diritto di soggiorno sino a tre mesi.

1. I cittadini dell'Unione hanno il diritto di soggiornare nel territorio di un altro Stato membro per un periodo non superiore a tre mesi senza alcuna condizione o formalità, salvo il possesso di una carta d'identità o di un passaporto in corso di validità.

 

2. Le disposizioni del paragrafo 1 si applicano anche ai familiari in possesso di un passaporto in corso di validità non aventi la cittadinanza di uno Stato membro che accompagnino o raggiungano il cittadino dell'Unione.

 

 

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(14)  Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.

 

 

 

 

Articolo 7 (15)

Diritto di soggiorno per un periodo superiore a tre mesi.

1. Ciascun cittadino dell'Unione ha il diritto di soggiornare per un periodo superiore a tre mesi nel territorio di un altro Stato membro, a condizione:

 

a) di essere lavoratore subordinato o autonomo nello Stato membro ospitante; o

 

b) di disporre, per se stesso e per i propri familiari, di risorse economiche sufficienti, affinché non divenga un onere a carico dell'assistenza sociale dello Stato membro ospitante durante il periodo di soggiorno, e di un'assicurazione malattia che copra tutti i rischi nello Stato membro ospitante; o

 

c) - di essere iscritto presso un istituto pubblico o privato, riconosciuto o finanziato dallo Stato membro ospitante in base alla sua legislazione o prassi amministrativa, per seguirvi a titolo principale un corso di studi inclusa una formazione professionale,

 

- di disporre di un'assicurazione malattia che copre tutti i rischi nello Stato membro ospitante e di assicurare all'autorità nazionale competente, con una dichiarazione o con altro mezzo di sua scelta equivalente, di disporre, per se stesso e per i propri familiari, di risorse economiche sufficienti, affinché non divenga un onere a carico dell'assistenza sociale dello Stato membro ospitante durante il suo periodo di soggiorno; o

 

d) di essere un familiare che accompagna o raggiunge un cittadino dell'Unione rispondente alle condizioni di cui alle lettere a), b) o c).

 

2. Il diritto di soggiorno di cui al paragrafo 1 è esteso ai familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro quando accompagnino o raggiungano nello Stato membro ospitante il cittadino dell'Unione, purché questi risponda alla condizioni di cui al paragrafo 1, lettere a), b) o c).

 

3. Ai sensi del paragrafo 1, lettera a), il cittadino dell'Unione che abbia cessato di essere un lavoratore subordinato o autonomo conserva la qualità di lavoratore subordinato o autonomo nei seguenti casi:

 

a) l'interessato è temporaneamente inabile al lavoro a seguito di una malattia o di un infortunio;

 

b) l'interessato, trovandosi in stato di disoccupazione involontaria debitamente comprovata dopo aver esercitato un'attività per oltre un anno, si è registrato presso l'ufficio di collocamento competente al fine di trovare un lavoro;

 

c) l'interessato, trovandosi in stato di disoccupazione involontaria debitamente comprovata al termine di un contratto di lavoro di durata determinata inferiore ad un anno o venutosi a trovare in tale stato durante i primi dodici mesi, si è registrato presso l'ufficio di collocamento competente al fine di trovare un lavoro. In tal caso, l'interessato conserva la qualità di lavoratore subordinato per un periodo che non può essere inferiore a sei mesi;

 

d) l'interessato segue un corso di formazione professionale. Salvo il caso di disoccupazione involontaria, la conservazione della qualità di lavoratore subordinato presuppone che esista un collegamento tra l'attività professionale precedentemente svolta e il corso di formazione seguito.

 

4. In deroga al paragrafo 1, lettera d) e al paragrafo 2, soltanto il coniuge, il partner che abbia contratto un'unione registrata prevista all'articolo 2, punto 2, lettera b) e i figli a carico godono del diritto di soggiorno in qualità di familiari di un cittadino dell'Unione che soddisfa le condizioni di cui al paragrafo 1, lettera c). L'articolo 3, paragrafo 2, si applica ai suoi ascendenti diretti e a quelli del coniuge o partner registrato.

 

 

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(15)  Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.

 

 

Articolo 8 (16)

Formalità amministrative per i cittadini dell'Unione.

1. Senza pregiudizio dell'articolo 5, paragrafo 5, per soggiorni di durata superiore a tre mesi lo Stato membro ospitante può richiedere ai cittadini dell'Unione l'iscrizione presso le autorità competenti.

 

2. Il termine fissato per l'iscrizione non può essere inferiore a tre mesi dall'ingresso. Un attestato d'iscrizione è rilasciato immediatamente. Esso contiene l'indicazione precisa del nome e del domicilio della persona iscritta e la data dell'avvenuta iscrizione. L'inadempimento dell'obbligo di iscrizione rende l'interessato passibile di sanzioni proporzionate e non discriminatorie.

 

3. Per il rilascio dell'attestato d'iscrizione, gli Stati membri possono unicamente prescrivere al

 

- cittadino dell'Unione cui si applica l'articolo 7, paragrafo 1, lettera a), di esibire una carta d'identità o un passaporto in corso di validità, una conferma di assunzione del datore di lavoro o un certificato di lavoro o una prova dell'attività autonoma esercitata,

 

- cittadino dell'Unione cui si applica l'articolo 7, paragrafo 1, lettera b), di esibire una carta d'identità o un passaporto in corso di validità e di fornire la prova che le condizioni previste da tale norma sono soddisfatte,

 

- cittadino dell'Unione cui si applica l'articolo 7, paragrafo 1, lettera c), di esibire una carta d'identità o un passaporto in corso di validità, di fornire la prova di essere iscritto presso un istituto riconosciuto e di disporre di un'assicurazione malattia che copre tutti i rischi e di esibire la dichiarazione o altro mezzo equivalente di cui all'articolo 7, paragrafo 1, lettera c). Gli Stati membri non possono esigere che detta dichiarazione indichi un importo specifico delle risorse.

 

4. Gli Stati membri si astengono dal fissare l'importo preciso delle risorse che considerano sufficienti, ma devono tener conto della situazione personale dell'interessato. In ogni caso, tale importo non può essere superiore al livello delle risorse al di sotto del quale i cittadini dello Stato membro ospitante beneficiano di prestazioni di assistenza sociale o, qualora non possa trovare applicazione tale criterio, alla pensione minima sociale erogata dallo Stato membro ospitante.

 

5. Ai fini del rilascio dell'attestato d'iscrizione ai familiari del cittadino dell'Unione che siano essi stessi cittadini dell'Unione gli Stati membri possono prescrivere di presentare i seguenti documenti:

 

a) carta d'identità o passaporto in corso di validità;

 

b) un documento che attesti la qualità di familiare o l'esistenza di un'unione registrata;

 

c) se opportuno, l'attestato d'iscrizione del cittadino dell'Unione che gli interessati accompagnano o raggiungono;

 

d) nei casi di cui all'articolo 2, punto 2, lettere c) e d), la prova documentale che le condizioni di cui a tale disposizione sono soddisfatti;

 

e) nei casi di cui all'articolo 3, paragrafo 2, lettera a), un documento rilasciato dall'autorità competente del paese di origine o di provenienza attestante che gli interessati sono a carico del cittadino dell'Unione o sono membri del nucleo familiare di quest'ultimo, o la prova che gravi motivi di salute del familiare impongono la prestazione di un'assistenza personale da parte del cittadino dell'Unione;

 

f) nei casi di cui all'articolo 3, paragrafo 2, lettera c), la prova di una relazione stabile con il cittadino dell'Unione.

 

 

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(16)  Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.

 

 

Articolo 9 (17)

Formalità amministrative per i familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro.

1. Quando la durata del soggiorno previsto è superiore a tre mesi, gli Stati membri rilasciano una carta di soggiorno ai familiari del cittadino dell'Unione non aventi la cittadinanza di uno Stato membro.

 

2. Il termine entro il quale deve essere presentata la domanda per il rilascio della carta di soggiorno non può essere inferiore a tre mesi dall'arrivo.

 

3. L'inadempimento dell'obbligo di richiedere la carta di soggiorno rende l'interessato passibile di sanzioni proporzionate e non discriminatorie.

 

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(17)  Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.

 

 

Articolo 10 (18)

Rilascio della carta di soggiorno.

1. Il diritto di soggiorno dei familiari del cittadino dell'Unione non aventi la cittadinanza di uno Stato membro è comprovato dal rilascio di un documento denominato «carta di soggiorno di familiare di un cittadino dell'Unione», che deve avvenire non oltre i sei mesi successivi alla presentazione della domanda. Una ricevuta della domanda di una carta di soggiorno è rilasciata immediatamente.

 

2. Ai fini del rilascio della carta di soggiorno, gli Stati membri possono prescrivere la presentazione dei seguenti documenti:

 

a) un passaporto in corso di validità;

 

b) un documento che attesti la qualità di familiare o l'esistenza di un'unione registrata;

 

c) l'attestato d'iscrizione o, in mancanza di un sistema di iscrizione, qualsiasi prova del soggiorno nello Stato membro ospitante del cittadino dell'Unione che gli interessati accompagnano o raggiungono;

 

d) nei casi di cui all'articolo 2, punto 2, lettere c) e d), la prova documentale che le condizioni di cui a tale disposizione sono soddisfatti;

 

e) nei casi di cui all'articolo 3, paragrafo 2, lettera a), un documento rilasciato dall'autorità competente del paese di origine o di provenienza attestante che gli interessati sono a carico del cittadino dell'Unione o membri del nucleo familiare di quest'ultimo, prova che gravi motivi di salute del familiare impongono la prestazione di un'assistenza personale da parte del cittadino dell'Unione;

 

f) nei casi di cui all'articolo 3, paragrafo 2, lettera c), la prova di una relazione stabile con il cittadino dell'Unione.

 

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(18)  Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.

 

 

Articolo 11 (19)

Validità della carta di soggiorno.

1. La carta di soggiorno di cui all'articolo 10, paragrafo 1, ha un periodo di validità di cinque anni dalla data del rilascio o è valida per il periodo di soggiorno previsto del cittadino dell'Unione se tale periodo è inferiore a cinque anni.

 

2. La validità della carta di soggiorno non è pregiudicata da assenze temporanee non superiori a sei mesi l'anno, né da assenze di durata superiore per l'assolvimento di obblighi militari, né da un'assenza di dodici mesi consecutivi al massimo dovuta a motivi rilevanti quali gravidanza e maternità, malattia grave, studi o formazione professionale o distacco per motivi di lavoro in un altro Stato membro o in un paese terzo.

 

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(19)  Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.

 

 

Articolo 12 (20)

Conservazione del diritto di soggiorno dei familiari in caso di decesso o di partenza del cittadino dell'Unione.

1. Senza pregiudizio delle disposizioni del secondo comma, il decesso del cittadino dell'Unione o la sua partenza dal territorio dello Stato membro ospitante non incidono sul diritto di soggiorno dei suoi familiari aventi la cittadinanza di uno Stato membro.

 

Prima dell'acquisizione del diritto di soggiorno permanente, le persone interessate devono soddisfare personalmente le condizioni previste all'articolo 7, paragrafo 1, lettere a), b), c) o d).

 

2. Senza pregiudizio delle disposizioni del secondo comma, il decesso del cittadino dell'Unione non comporta la perdita del diritto di soggiorno dei familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro e che hanno soggiornato nello Stato membro ospitante per almeno un anno prima del decesso del cittadino dell'Unione.

 

Prima dell'acquisizione del diritto di soggiorno permanente, il diritto di soggiorno delle persone interessate rimane subordinato al requisito che esse dimostrino di esercitare un'attività lavorativa subordinata od autonoma o di disporre per sé e per i familiari di risorse sufficienti affinché non divengano un onere per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante durante il loro soggiorno, nonché di una assicurazione malattia che copra tutti i rischi nello Stato membro ospitante, ovvero di fare parte del nucleo familiare, già costituito nello Stato membro ospitante, di una persona che soddisfa tali condizioni. Le risorse sufficienti sono quelle indicate all'articolo 8, paragrafo 4.

 

I familiari in questione conservano il diritto di soggiorno esclusivamente a titolo personale.

 

3. La partenza del cittadino dell'Unione dallo Stato membro ospitante o il suo decesso non comporta la perdita del diritto di soggiorno dei figli o del genitore che ne ha l'effettivo affidamento, indipendentemente dalla sua cittadinanza, se essi risiedono nello Stato membro ospitante e sono iscritti in un istituto scolastico per seguirvi gli studi, finché non terminano gli studi stessi.

 

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(20)  Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.

 

 

Articolo 13 (21)

Mantenimento del diritto di soggiorno dei familiari in caso di divorzio, di annullamento del matrimonio o di scioglimento dell'unione registrata.

1. Senza pregiudizio delle disposizioni del secondo comma, il divorzio, l'annullamento del matrimonio dei cittadini dell'Unione o lo scioglimento della loro unione registrata di cui all'articolo 2, punto 2, lettera b), non incidono sul diritto di soggiorno dei loro familiari aventi la cittadinanza di uno Stato membro.

 

Prima dell'acquisizione del diritto di soggiorno permanente, gli interessati devono soddisfare le condizioni previste all'articolo 7, paragrafo 1, lettere a), b), c) o d).

 

2. Senza pregiudizio delle disposizioni del secondo comma, il divorzio, l'annullamento del matrimonio o lo scioglimento dell'unione registrata di cui all'articolo 2, punto 2, lettera b), non comportano la perdita del diritto di soggiorno dei familiari del cittadino dell'Unione non aventi la cittadinanza di uno Stato membro se:

 

a) il matrimonio o l'unione registrata sono durati almeno tre anni, di cui almeno un anno nello Stato membro ospitante, prima dell'inizio del procedimento giudiziario di divorzio o annullamento o dello scioglimento dell'unione registrata di cui all'articolo 2, punto 2, lettera b); o

 

b) il coniuge o partner non avente la cittadinanza di uno Stato membro ha ottenuto l'affidamento dei figli del cittadino dell'Unione in base ad accordo tra i coniugi o i partner di cui all'articolo 2, punto 2, lettera b), o decisione giudiziaria; o

 

c) situazioni particolarmente difficili, come il fatto di aver subito violenza domestica durante il matrimonio o l'unione registrata, esigono la conservazione del diritto di soggiorno;

 

d) il coniuge o il partner non avente la cittadinanza di uno Stato membro beneficia, in base ad un accordo tra i coniugi o conviventi di cui all'articolo 2, punto 2, lettera b), o decisione giudiziaria, di un diritto di visita al figlio minore, a condizione che l'organo giurisdizionale abbia ritenuto che le visite devono obbligatoriamente essere effettuate nello Stato membro ospitante, e fintantoché siano considerate necessarie.

 

Prima dell'acquisizione del diritto di soggiorno permanente, il diritto di soggiorno delle persone interessate rimane subordinato al requisito che esse dimostrino di esercitare un'attività lavorativa subordinata o autonoma, o di disporre per sé e per i familiari di risorse sufficienti affinché non divengano un onere per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante durante il soggiorno, nonché di una assicurazione malattia che copra tutti i rischi nello Stato membro ospitante, ovvero di fare parte del nucleo familiare, già costituito nello Stato membro ospitante, di una persona che soddisfa tali condizioni. Le risorse sufficienti sono quelle indicate all'articolo 8, paragrafo 4.

 

I familiari in questione conservano il diritto di soggiorno esclusivamente a titolo personale.

 

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(21)  Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.

 

 

Articolo 14 (22)

Mantenimento del diritto di soggiorno.

1. I cittadini dell'Unione e i loro familiari beneficiano del diritto di soggiorno di cui all'articolo 6 finché non diventano un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante.

 

2. I cittadini dell'Unione e i loro familiari beneficiano del diritto di soggiorno di cui agli articoli 7, 12 e 13 finché soddisfano le condizioni fissate negli stessi.

 

In casi specifici, qualora vi sia un dubbio ragionevole che il cittadino dell'Unione o i suoi familiari non soddisfano le condizioni stabilite negli articoli 7, 12 e 13, gli Stati membri possono effettuare una verifica in tal senso. Tale verifica non è effettuata sistematicamente.

 

3. Il ricorso da parte di un cittadino dell'Unione o dei suoi familiari al sistema di assistenza sociale non dà luogo automaticamente ad un provvedimento di allontanamento.

 

4. In deroga ai paragrafi 1 e 2 e senza pregiudizio delle disposizioni del capitolo VI, un provvedimento di allontanamento non può essere adottato nei confronti di cittadini dell'Unione o dei loro familiari qualora:

 

a) i cittadini dell'Unione siano lavoratori subordinati o autonomi; oppure

 

b) i cittadini dell'Unione siano entrati nel territorio dello Stato membro ospitante per cercare un posto di lavoro. In tal caso i cittadini dell'Unione e i membri della loro famiglia non possono essere allontanati fino a quando i cittadini dell'Unione possono dimostrare di essere alla ricerca di un posto di lavoro e di avere buone possibilità di trovarlo.

 

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(22)  Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.

 

Articolo 15 (23)

Garanzie procedurali.

1. Le procedure previste agli articoli 30 e 31 si applicano, mutatis mutandis, a tutti i provvedimenti che limitano la libera circolazione dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari per motivi non attinenti all'ordine pubblico, alla pubblica sicurezza o alla sanità pubblica.

 

2. Lo scadere della carta d'identità o del passaporto che ha consentito l'ingresso nello Stato membro ospitante e il rilascio dell'attestato d'iscrizione o della carta di soggiorno non giustifica l'allontanamento dal territorio.

 

3. Lo Stato membro ospitante non può disporre, in aggiunta ai provvedimenti di allontanamento di cui al paragrafo 1, il divieto d'ingresso nel territorio nazionale.

 

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(23)  Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.

 

 

Capo IV

Diritto di soggiorno permanente

 

Sezione I

Acquisizione

 

Articolo 16 (24)

Norma generale per i cittadini dell'Unione e i loro familiari.

1. Il cittadino dell'Unione che abbia soggiornato legalmente ed in via continuativa per cinque anni nello Stato membro ospitante ha diritto al soggiorno permanente in detto Stato. Tale diritto non è subordinato alle condizioni di cui al capo III.

 

2. Le disposizioni del paragrafo 1 si applicano anche ai familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro che abbiano soggiornato legalmente in via continuativa per cinque anni assieme al cittadino dell'Unione nello Stato membro ospitante.

 

3. La continuità della residenza non è pregiudicata da assenze temporanee che non superino complessivamente sei mesi all'anno né da assenze di durata superiore per l'assolvimento degli obblighi militari né da un'assenza di dodici mesi consecutivi al massimo dovuta a motivi rilevanti, quali gravidanza e maternità, malattia grave, studi o formazione professionale o il distacco per motivi di lavoro in un altro Stato membro o in un paese terzo.

 

4. Una volta acquisito, il diritto di soggiorno permanente si perde soltanto a seguito di assenze dallo Stato membro ospitante di durata superiore a due anni consecutivi.

 

 

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(24)  Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.

 

 

Articolo 17 (25)

Deroghe a favore dei lavoratori che hanno cessato la loro attività nello Stato membro ospitante e dei loro familiari.

1. In deroga all'articolo 16, ha diritto di soggiorno permanente nello Stato membro ospitante prima della maturazione di un periodo continuativo di cinque anni di soggiorno:

 

a) il lavoratore subordinato o autonomo il quale, nel momento in cui cessa l'attività, ha raggiunto l'età prevista dalla legislazione dello Stato membro ospitante ai fini dell'acquisizione del diritto alla pensione di vecchiaia, o il lavoratore subordinato il quale cessa di svolgere un'attività subordinata a seguito di pensionamento anticipato, a condizione che vi abbia svolto la propria attività almeno negli ultimi dodici mesi e vi abbia soggiornato in via continuativa per oltre tre anni.

 

Per talune categorie di lavoratori autonomi cui la legislazione dello Stato membro ospitante non riconosce il diritto alla pensione di vecchiaia la condizione relativa all'età è considerata soddisfatta quando il beneficiario ha raggiunto l'età di 60 anni;

 

b) il lavoratore subordinato o autonomo che ha soggiornato in modo continuativo nello Stato membro ospitante per oltre due anni e cessa di esercitare l'attività professionale a causa di una sopravvenuta incapacità lavorativa permanente.

 

Ove tale incapacità sia stata causata da un infortunio sul lavoro o da una malattia professionale che dà all'interessato diritto ad una prestazione interamente o parzialmente a carico di un'istituzione dello Stato membro ospitante, non si applica alcuna condizione relativa alla durata del soggiorno;

 

c) il lavoratore subordinato o autonomo il quale, dopo tre anni d'attività e di soggiorno continuativi nello Stato membro ospitante, eserciti un'attività subordinata o autonoma in un altro Stato membro, pur continuando a soggiornare nel territorio del primo Stato e facendovi ritorno in linea di principio ogni giorno o almeno una volta alla settimana.

 

Ai fini dell'acquisizione dei diritti previsti alle lettere a) e b), i periodi di occupazione trascorsi dall'interessato nello Stato membro in cui esercita un'attività sono considerati periodi trascorsi nello Stato membro ospitante.

 

I periodi di disoccupazione involontaria, debitamente comprovati dall'ufficio del lavoro competente, o i periodi di sospensione dell'attività indipendenti dalla volontà dell'interessato e l'assenza dal lavoro o la cessazione dell'attività per motivi di malattia o infortunio sono considerati periodi di occupazione.

 

2. La sussistenza delle condizioni relative alla durata del soggiorno e dell'attività di cui al paragrafo 1, lettera a), e della condizione relativa alla durata del soggiorno di cui al paragrafo 1, lettera b), non è necessaria se il coniuge o il partner del lavoratore autonomo o subordinato, di cui all'articolo 2, punto 2, lettera b), è cittadino dello Stato membro ospitante o se ha perso la cittadinanza di tale Stato membro a seguito di matrimonio con il lavoratore autonomo o subordinato.

 

3. I familiari, qualunque sia la loro cittadinanza, del lavoratore subordinato o autonomo, che soggiornano con quest'ultimo nel territorio dello Stato membro ospitante, godono del diritto di soggiorno permanente in detto Stato membro se il lavoratore stesso ha acquisito il diritto di soggiorno permanente nel territorio di detto Stato in forza del paragrafo 1.

 

4. Se tuttavia il lavoratore subordinato o autonomo decede mentre era in attività senza aver ancora acquisito il diritto di soggiorno permanente nello Stato membro ospitante a norma del paragrafo 1, i familiari che soggiornano assieme al lavoratore nel territorio di detto Stato hanno il diritto di soggiorno permanente nello Stato stesso, a condizione che:

 

a) il lavoratore subordinato o autonomo, alla data del suo decesso, avesse soggiornato in via continuativa nel territorio di questo Stato membro per due anni; o

 

b) il decesso sia avvenuto in seguito ad un infortunio sul lavoro o ad una malattia professionale; o

 

c) il coniuge superstite abbia perso la cittadinanza di tale Stato a seguito del suo matrimonio con il lavoratore subordinato o autonomo.

 

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(25)  Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.

 

 

Articolo 18 (26)

Acquisizione del diritto di soggiorno permanente da parte di taluni familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro.

Senza pregiudizio dell'articolo 17, i familiari del cittadino dell'Unione di cui all'articolo 12, paragrafo 2, e all'articolo 13, paragrafo 2, che soddisfano le condizioni ivi previste, acquisiscono il diritto di soggiorno permanente dopo aver soggiornato legalmente e in via continuativa per cinque anni nello Stato membro ospitante.

 

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(26)  Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.

 


 

Capo IV

Diritto di soggiorno permanente

 

Sezione II
Formalità amministrative

 

Articolo 19 (27)

Documento che attesta il soggiorno permanente per i cittadini dell'Unione.

1. Gli Stati membri, dopo aver verificato la durata del soggiorno, su presentazione della domanda rilasciano al cittadino dell'Unione titolare del diritto di soggiorno permanente un documento che attesta tale soggiorno permanente.

 

2. Il documento che attesta il soggiorno permanente è rilasciato nel più breve tempo possibile.

 

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(27)  Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.

 

 

Articolo 20 (28)

Carta di soggiorno permanente per i familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro.

1. Gli Stati membri rilasciano ai familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro e che sono titolari del diritto di soggiorno permanente, una carta di soggiorno permanente entro sei mesi dalla presentazione della domanda. La carta di soggiorno permanente è rinnovabile di diritto ogni dieci anni.

 

2. La domanda di carta di soggiorno permanente è presentata prima dello scadere della carta di soggiorno. L'inadempimento dell'obbligo di richiedere la carta di soggiorno può rendere l'interessato passibile di sanzioni proporzionate e non discriminatorie.

 

3. Le interruzioni di soggiorno che non superino, ogni volta, i due anni, non incidono sulla validità della carta di soggiorno permanente.

 

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(28)  Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.

 

 

Articolo 21 (29)

Continuità del soggiorno.

La continuità del soggiorno, ai fini della presente direttiva, può essere comprovata con qualsiasi mezzo di prova ammesso dallo Stato membro ospitante. La continuità del soggiorno è interrotta da qualsiasi provvedimento di allontanamento validamente eseguito nei confronti della persona interessata.

 

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(29)  Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.

 

 

Capo V

Disposizioni comuni al diritto di soggiorno e al diritto di soggiorno permanente

 

Articolo 22 (30)

Campo di applicazione territoriale.

Il diritto di soggiorno e il diritto di soggiorno permanente si estendono a tutto il territorio dello Stato membro ospitante. Limitazioni territoriali del diritto di soggiorno e del diritto di soggiorno permanente possono essere stabilite dagli Stati membri soltanto nei casi in cui siano previste anche per i propri cittadini.

 

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(30)  Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.

 

 

Articolo 23 (31)

Diritti connessi.

I familiari del cittadino dell'Unione, qualunque sia la loro cittadinanza, titolari del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente in uno Stato membro hanno diritto di esercitare un'attività economica come lavoratori subordinati o autonomi.

 

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(31)  Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.

 

 

Articolo 24 (32)

Parità di trattamento.

1. Fatte salve le disposizioni specifiche espressamente previste dal trattato e dal diritto derivato, ogni cittadino dell'Unione che risiede, in base alla presente direttiva, nel territorio dello Stato membro ospitante gode di pari trattamento rispetto ai cittadini di tale Stato nel campo di applicazione del trattato. Il beneficio di tale diritto si estende ai familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro che siano titolari del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente.

 

2. In deroga al paragrafo 1, lo Stato membro ospitante non è tenuto ad attribuire il diritto a prestazioni d'assistenza sociale durante i primi tre mesi di soggiorno o, se del caso, durante il periodo più lungo previsto all'articolo 14, paragrafo 4, lettera b), né è tenuto a concedere prima dell'acquisizione del diritto di soggiorno permanente aiuti di mantenimento agli studi, compresa la formazione professionale, consistenti in borse di studio o prestiti per studenti, a persone che non siano lavoratori subordinati o autonomi, che non mantengano tale status o loro familiari.

 

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(32)  Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.

 

 

Articolo 25 (33)

Disposizioni generali riguardanti i documenti di soggiorno.

1. Il possesso di un attestato d'iscrizione di cui all'articolo 8, di un documento che certifichi il soggiorno permanente, della ricevuta della domanda di una carta di soggiorno di familiare di una carta di soggiorno o di una carta di soggiorno permanente, non può in nessun caso essere un prerequisito per l'esercizio di un diritto o il completamento di una formalità amministrativa, in quanto la qualità di beneficiario dei diritti può essere attestata con qualsiasi altro mezzo di prova.

 

2. I documenti menzionati nel paragrafo 1 sono rilasciati a titolo gratuito o dietro versamento di una somma non eccedente quella richiesta ai cittadini nazionali per il rilascio di documenti analoghi.

 

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(33)  Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.

 

 

Articolo 26 (34)

Controlli.

Gli Stati membri possono controllare l'osservanza di qualunque obbligo derivante dal diritto nazionale che imponga alle persone aventi una cittadinanza diversa di portare sempre con sé l'attestato d'iscrizione o la carta di soggiorno, a condizione che i propri cittadini siano soggetti allo stesso obbligo per quanto riguarda il possesso della carta d'identità. In caso d'inosservanza di tale obbligo, gli Stati membri possono applicare le stesse sanzioni che irrogano ai propri cittadini in caso di violazione dell'obbligo di portare con sé la carta d'identità.

 

 

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(34)  Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.

 

 

Capo VI

Limitazioni del diritto d'ingresso e di soggiorno per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica

 

Articolo 27 (35)

Principi generali.

1. Fatte salve le disposizioni del presente capo, gli Stati membri possono limitare la libertà di circolazione di un cittadino dell'Unione o di un suo familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica. Tali motivi non possono essere invocati per fini economici.

 

2. I provvedimenti adottati per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza rispettano il principio di proporzionalità e sono adottati esclusivamente in relazione al comportamento personale della persona nei riguardi della quale essi sono applicati. La sola esistenza di condanne penali non giustifica automaticamente l'adozione di tali provvedimenti.

 

Il comportamento personale deve rappresentare una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave da pregiudicare un interesse fondamentale della società. Giustificazioni estranee al caso individuale o attinenti a ragioni di prevenzione generale non sono prese in considerazione.

 

3. Al fine di verificare se l'interessato costituisce un pericolo per l'ordine pubblico o la pubblica sicurezza, in occasione del rilascio dell'attestato d'iscrizione o, in mancanza di un sistema di iscrizione, entro tre mesi dalla data di arrivo dell'interessato nel suo territorio o dal momento in cui ha dichiarato la sua presenza nel territorio in conformità dell'articolo 5, paragrafo 5, ovvero al momento del rilascio della carta di soggiorno, lo Stato membro ospitante può, qualora lo giudichi indispensabile, chiedere allo Stato membro di origine, ed eventualmente agli altri Stati membri, informazioni sui precedenti penali del cittadino dell'Unione o di un suo familiare. Tale consultazione non può avere carattere sistematico. Lo Stato membro consultato fa pervenire la propria risposta entro un termine di due mesi.

 

4. Lo Stato membro che ha rilasciato il passaporto o la carta di identità riammette senza formalità nel suo territorio il titolare di tale documento che è stato allontanato per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di salute pubblica da un altro Stato membro, quand'anche il documento in questione sia scaduto o sia contestata la cittadinanza del titolare.

 

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(35)  Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.

 

Articolo 28 (36)

Protezione contro l'allontanamento.

1. Prima di adottare un provvedimento di allontanamento dal territorio per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza, lo Stato membro ospitante tiene conto di elementi quali la durata del soggiorno dell'interessato nel suo territorio, la sua età, il suo stato di salute, la sua situazione familiare e economica, la sua integrazione sociale e culturale nello Stato membro ospitante e importanza dei suoi legami con il paese d'origine.

 

2. Lo Stato membro ospitante non può adottare provvedimenti di allontanamento dal territorio nei confronti del cittadino dell'Unione o del suo familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, che abbia acquisito il diritto di soggiorno permanente nel suo territorio se non per gravi motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza.

 

3. Il cittadino dell'Unione non può essere oggetto di una decisione di allontanamento, salvo se la decisione è adottata per motivi imperativi di pubblica sicurezza definiti dallo Stato membro, qualora:

 

a) abbia soggiornato nello Stato membro ospitante i precedenti dieci anni; o

 

b) sia minorenne, salvo qualora l'allontanamento sia necessario nell'interesse del bambino, secondo quanto contemplato dalla convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989.

 

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(36)  Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.

 

 

Articolo 29 (37)

Sanità pubblica.

1. Le sole malattie che possono giustificare misure restrittive della libertà di circolazione sono quelle con potenziale epidemico, quali definite dai pertinenti strumenti dell'Organizzazione mondiale della sanità, nonché altre malattie infettive o parassitarie contagiose, sempreché esse siano oggetto di disposizioni di protezione che si applicano ai cittadini dello Stato membro ospitante.

 

2. L'insorgere di malattie posteriormente ad un periodo di tre mesi successivi alla data di arrivo non può giustificare l'allontanamento dal territorio.

 

3. Ove sussistano seri indizi che ciò è necessario, lo Stato membro può sottoporre i titolari del diritto di soggiorno, entro tre mesi dalla data di arrivo, a visita medica gratuita al fine di accertare che non soffrano di patologie indicate al paragrafo 1. Tali visite mediche non possono avere carattere sistematico.

 

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(37)  Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.

 

 

Articolo 30 (38)

Notificazione dei provvedimenti.

1. Ogni provvedimento adottato a norma dell'articolo 27, paragrafo 1, è notificato per iscritto all'interessato secondo modalità che consentano a questi di comprenderne il contenuto e le conseguenze.

 

2. I motivi circostanziati e completi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica che giustificano l'adozione del provvedimento nei suoi confronti sono comunicati all'interessato, salvo che vi ostino motivi attinenti alla sicurezza dello Stato.

 

3. La notifica riporta l'indicazione dell'organo giurisdizionale o dell'autorità amministrativa dinanzi al quale l'interessato può opporre ricorso e il termine entro il quale deve agire e, all'occorrenza, l'indicazione del termine impartito per lasciare il territorio dello Stato membro. Fatti salvi i casi di urgenza debitamente comprovata, tale termine non può essere inferiore a un mese a decorrere dalla data di notificazione.

 

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(38)  Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.

 

 

Articolo 31 (39)

Garanzie procedurali.

1. L'interessato può accedere ai mezzi di impugnazione giurisdizionali e, all'occorrenza, amministrativi nello Stato membro ospitante, al fine di presentare ricorso o chiedere la revisione di ogni provvedimento adottato nei suoi confronti per motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza o sanità pubblica.

 

2. Laddove l'impugnazione o la richiesta di revisione del provvedimento di allontanamento sia accompagnata da una richiesta di ordinanza provvisoria di sospensione dell'esecuzione di detto provvedimento, l'effettivo allontanamento dal territorio non può avere luogo fintantoché non è stata adottata una decisione sull'ordinanza provvisoria, salvo qualora:

 

- il provvedimento di allontanamento si basi su una precedente decisione giudiziale, o

 

- le persone interessate abbiano precedentemente fruito di una revisione, o

 

- il provvedimento sia fondato su motivi imperativi di pubblica sicurezza di cui all'articolo 28, paragrafo 3.

 

3. I mezzi di impugnazione comprendono l'esame della legittimità del provvedimento nonché dei fatti e delle circostanze che ne giustificano l'adozione. Essi garantiscono che il provvedimento non sia sproporzionato, in particolare rispetto ai requisiti posti dall'articolo 28.

 

4. Gli Stati membri possono vietare la presenza dell'interessato nel loro territorio per tutta la durata della procedura di ricorso, ma non possono vietare che presenti di persona la sua difesa, tranne qualora la sua presenza possa provocare gravi turbative dell'ordine pubblico o della pubblica sicurezza o quando il ricorso o la revisione riguardano il divieto d'ingresso nel territorio.

 

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(39)  Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.

 

 

Articolo 32 (40)

Effetti nel tempo del divieto di ingresso nel territorio.

1. La persona nei cui confronti sia stato adottato un provvedimento di divieto d'ingresso nel territorio per motivi d'ordine pubblico o pubblica sicurezza può presentare una domanda di revoca del divieto d'ingresso nel territorio nazionale dopo il decorso di un congruo periodo, determinato in funzione delle circostanze e in ogni modo dopo tre anni a decorrere dall'esecuzione del provvedimento definitivo di divieto validamente adottato ai sensi del diritto comunitario, nella quale essa deve addurre argomenti intesi a dimostrare l'avvenuto oggettivo mutamento delle circostanze che hanno motivato la decisione di vietarne l'ingresso nel territorio.

 

Lo Stato membro interessato si pronuncia in merito a tale nuova domanda entro sei mesi dalla data di presentazione della stessa.

 

2. La persona di cui al paragrafo 1 non ha diritto d'ingresso nel territorio dello Stato membro interessato durante l'esame della sua domanda.

 

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(40)  Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.

 

 

Articolo 33 (41)

Allontanamento a titolo di pena o misura accessoria.

1. Lo Stato membro ospitante può validamente adottare un provvedimento di allontanamento dal territorio a titolo di pena o di misura accessoria ad una pena detentiva soltanto nel rispetto dei requisiti di cui agli articoli 27, 28 e 29.

 

2. Se il provvedimento di allontanamento di cui al paragrafo 1 è eseguito a oltre due anni di distanza dalla sua adozione, lo Stato membro verifica che la minaccia che l'interessato costituisce per l'ordine pubblico o per la pubblica sicurezza sia attuale e reale, e valuta l'eventuale mutamento obiettivo delle circostanze intervenuto successivamente all'adozione del provvedimento di allontanamento.

 

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(41)  Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.

 

 

Capo VII

Disposizioni finali

 

Articolo 34 (42)

Pubblicità.

Gli Stati membri diffondono le informazioni relative ai diritti e agli obblighi dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari nel settore disciplinato dalla presente direttiva, in particolare mediante campagne di sensibilizzazione effettuate tramite i media e altri mezzi di comunicazione nazionali e locali.

 

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(42)  Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.

 

 

Articolo 35 (43)

Abuso di diritto.

Gli Stati membri possono adottare le misure necessarie per rifiutare, estinguere o revocare un diritto conferito dalla presente direttiva, in caso di abuso di diritto o frode, quale ad esempio un matrimonio fittizio. Qualsiasi misura di questo tipo è proporzionata ed è soggetta alle garanzie procedurali previste agli articoli 30 e 31.

 

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(43)  Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.

 

 

Articolo 36 (44)

Sanzioni.

Gli Stati membri determinano le sanzioni da irrogare in caso di violazione delle norme nazionali adottate in attuazione della presente direttiva e adottano tutti i provvedimenti necessari per la loro applicazione. Le sanzioni previste sono effettive e proporzionate. Gli Stati membri notificano alla Commissione tali disposizioni entro il 30 aprile 2006 e provvedono a comunicare immediatamente le eventuali successive modifiche.

 

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(44)  Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.

 

 

Articolo 37 (45)

Disposizioni nazionali più favorevoli.

Le disposizioni della presente direttiva non pregiudicano le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative di diritto interno che siano più favorevoli ai beneficiari della presente direttiva.

 

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(45)  Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.

 

 

Articolo 38 (46)

Abrogazione.

1. Gli articoli 10 e 11 del regolamento (CEE) n. 1612/68 sono abrogati con effetto dal 30 aprile 2006.

 

2. Le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE sono abrogate con effetto dal 30 aprile 2006.

 

3. I riferimenti fatti agli articoli e alle direttive abrogati si intendono fatti alla presente direttiva.

 

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(46)  Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.

 

 

Articolo 39 (47)

Relazione.

Entro il 30 aprile 2008 la Commissione presenta al Parlamento europeo ed al Consiglio una relazione sull'applicazione della presente direttiva corredata, all'occorrenza, di opportune proposte, in particolare sull'opportunità di prorogare il periodo nel quale il cittadino dell'Unione e i suoi familiari possono soggiornare senza condizioni nel territorio dello Stato membro ospitante. Gli Stati membri trasmettono alla Commissione tutte le informazioni utili ai fini della relazione.

 

 

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(47)  Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.

 

 

Articolo 40 (48)

Recepimento.

1. Gli Stati membri adottano e pubblicano entro il 30 aprile 2006 le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva.

 

Quando gli Stati membri adottano tali disposizioni, queste contengono un riferimento alla presente direttiva o sono corredate di un siffatto riferimento all'atto della pubblicazione ufficiale. Le modalità di tale riferimento sono decise dagli Stati membri.

 

2. Gli Stati membri comunicano alla Commissione il testo delle disposizioni di diritto interno che essi adottano nel settore disciplinato dalla presente direttiva nonché della tabella di concordanza tra tali disposizioni e la presente direttiva.

 

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(48)  Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.

 

 

Articolo 41 (49)

Entrata in vigore.

La presente direttiva entra in vigore il giorno della pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea.

 

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(49)  Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.

 

 

Articolo 42 (50)

Destinatari.

Gli Stati membri sono destinatari della presente direttiva.

 

Fatto a Bruxelles (51), addì 29 aprile 2004.

Per il Parlamento europeo

Il Presidente

P. COX

Per il Consiglio

Il Presidente

M. McDOWELL

 

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(50)  Il testo della presente direttiva è stato così sostituito in base alla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.

(51) Luogo della firma così sostituito dalla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 4 agosto 2007, n. L 204.

 

 

 


 

Direttiva 16 dicembre 2008, n. 2008/115/CE.
Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare

 

 

(1) (2)

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(1) Pubblicata nella G.U.U.E. 24 dicembre 2008, n. L 348.

(2)  La presente direttiva è entrata in vigore il 13 gennaio 2009.

 

 

IL PARLAMENTO EUROPEO E IL CONSIGLIO DELL'UNIONE EUROPEA,

 

visto il trattato che istituisce la Comunità europea, in particolare l'articolo 63, paragrafo 3, lettera b),

 

vista la proposta della Commissione,

 

deliberando secondo la procedura di cui all'articolo 251 del trattato (3),

 

considerando quanto segue:

 

(1) Il Consiglio europeo di Tampere del 15 e 16 ottobre 1999 ha istituito un approccio coerente in materia di migrazione e asilo, finalizzato alla creazione di un regime comune in materia di asilo e di una politica per l'immigrazione legale nonché alla lotta contro l'immigrazione clandestina.

 

(2) Il Consiglio europeo di Bruxelles del 4 e 5 novembre 2004 ha sollecitato l'istituzione di un'efficace politica in materia di allontanamento e rimpatrio basata su norme comuni affinché le persone siano rimpatriate in maniera umana e nel pieno rispetto dei loro diritti fondamentali e della loro dignità.

 

(3) Il 4 maggio 2005 il Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa ha adottato «Venti orientamenti sul rimpatrio forzato».

 

(4) Occorrono norme chiare, trasparenti ed eque per definire una politica di rimpatrio efficace quale elemento necessario di una politica d'immigrazione correttamente gestita.

 

(5) La presente direttiva dovrebbe introdurre un corpus orizzontale di norme, applicabile a tutti i cittadini di paesi terzi che non soddisfano o non soddisfano più le condizioni d'ingresso, di soggiorno o di residenza in uno Stato membro.

 

(6) È opportuno che gli Stati membri provvedano a porre fine al soggiorno irregolare dei cittadini di paesi terzi secondo una procedura equa e trasparente. In conformità dei principi generali del diritto dell'Unione europea, le decisioni ai sensi della presente direttiva dovrebbero essere adottate caso per caso e tenendo conto di criteri obiettivi, non limitandosi quindi a prendere in considerazione il semplice fatto del soggiorno irregolare. Quando utilizzano modelli uniformi per le decisioni connesse al rimpatrio, vale a dire le decisioni di rimpatrio e, ove emesse, le decisioni di divieto d'ingresso e le decisioni di allontanamento, gli Stati membri dovrebbero rispettare tale principio e osservare pienamente tutte le disposizioni applicabili della presente direttiva.

 

(7) Al fine di agevolare la procedura di rimpatrio si sottolinea la necessità di accordi comunitari e bilaterali di riammissione con i paesi terzi. La cooperazione internazionale con i paesi d'origine in tutte le fasi della procedura di rimpatrio è una condizione preliminare per un rimpatrio sostenibile.

 

(8) Si riconosce che è legittimo che gli Stati membri procedano al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, purché esistano regimi in materia di asilo equi ed efficienti che rispettino pienamente il principio di non-refoulement.

 

(9) In conformità della direttiva 2005/85/CE del Consiglio, del 1° dicembre 2005, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato , il soggiorno di un cittadino di un paese terzo che abbia chiesto asilo in uno Stato membro non dovrebbe essere considerato irregolare nel territorio di tale Stato membro finché non sia entrata in vigore una decisione negativa in merito alla sua domanda d'asilo o una decisione che pone fine al suo diritto di soggiorno quale richiedente asilo.

 

(10) Se non vi è motivo di ritenere che ciò possa compromettere la finalità della procedura di rimpatrio, si dovrebbe preferire il rimpatrio volontario al rimpatrio forzato e concedere un termine per la partenza volontaria. Si dovrebbe prevedere una proroga del periodo per la partenza volontaria allorché lo si ritenga necessario in ragione delle circostanze specifiche del caso individuale. Al fine di promuovere il rimpatrio volontario, gli Stati membri dovrebbero prevedere maggiore assistenza e consulenza al rimpatrio e sfruttare al meglio le relative possibilità di finanziamento offerte dal Fondo europeo per i rimpatri.

 

(11) Occorre stabilire garanzie giuridiche minime comuni sulle decisioni connesse al rimpatrio per l'efficace protezione degli interessi delle persone interessate. Si dovrebbe garantire la necessaria assistenza legale a chi non disponga di risorse sufficienti. Gli Stati membri dovrebbero determinare nella legislazione nazionale i casi in cui l'assistenza legale è da ritenersi necessaria.

 

(12) È necessario occuparsi della situazione dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare ma che non è ancora possibile allontanare. Le condizioni basilari per il loro sostentamento dovrebbero essere definite conformemente alla legislazione nazionale. Affinché possano dimostrare la loro situazione specifica in caso di verifiche o controlli amministrativi, tali persone dovrebbero essere munite di una conferma scritta della loro situazione. Gli Stati membri dovrebbero godere di un'ampia discrezionalità quanto al modello e al formato della conferma scritta e dovrebbero anche poterla includere nelle decisioni connesse al rimpatrio adottate ai sensi della presente direttiva.

 

(13) L'uso di misure coercitive dovrebbe essere espressamente subordinato al rispetto dei principi di proporzionalità e di efficacia per quanto riguarda i mezzi impiegati e gli obiettivi perseguiti. Occorre stabilire garanzie minime per l'esecuzione del rimpatrio forzato alla luce della decisione 2004/573/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa all'organizzazione di voli congiunti per l'allontanamento dei cittadini di paesi terzi illegalmente presenti nel territorio di due o più Stati membri . Gli Stati membri dovrebbero poter disporre di diverse possibilità per monitorare il rimpatrio forzato.

 

(14) Occorre conferire una dimensione europea agli effetti delle misure nazionali di rimpatrio istituendo un divieto d'ingresso che proibisca l'ingresso e il soggiorno nel territorio di tutti gli Stati membri. La durata del divieto d'ingresso dovrebbe essere determinata alla luce di tutte le circostanze pertinenti per ciascun caso e, di norma, non dovrebbe superare i cinque anni. In tale contesto, si dovrebbe tenere conto in modo particolare del fatto che il cittadino di un paese terzo interessato sia già stato destinatario di più di una decisione di rimpatrio o provvedimento di allontanamento o sia entrato nel territorio di uno Stato membro quando era soggetto a un divieto d'ingresso.

 

(15) Dovrebbe spettare agli Stati membri stabilire se la revisione di decisioni connesse al rimpatrio implichi la facoltà, per l'autorità o l'organo preposto alla revisione, di sostituire la propria decisione connessa al rimpatrio a quella precedente.

 

(16) Il ricorso al trattenimento ai fini dell'allontanamento dovrebbe essere limitato e subordinato al principio di proporzionalità con riguardo ai mezzi impiegati e agli obiettivi perseguiti. Il trattenimento è giustificato soltanto per preparare il rimpatrio o effettuare l'allontanamento e se l'uso di misure meno coercitive è insufficiente.

 

(17) I cittadini di paesi terzi che sono trattenuti dovrebbero essere trattati in modo umano e dignitoso, nel pieno rispetto dei loro diritti fondamentali e in conformità del diritto nazionale e internazionale. Fatto salvo l'arresto iniziale da parte delle autorità incaricate dell'applicazione della legge, disciplinato dal diritto nazionale, il trattenimento dovrebbe di norma avvenire presso gli appositi centri di permanenza temporanea.

 

(18) Gli Stati membri dovrebbero disporre di un accesso rapido alle informazioni riguardanti i divieti d'ingresso di altri Stati membri. Tale scambio di informazioni dovrebbe svolgersi a norma del regolamento (CE) n. 1987/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 dicembre 2006, sull'istituzione, l'esercizio e l'uso del sistema d'informazione Schengen di seconda generazione (SIS II) .

 

(19) La cooperazione tra le istituzioni coinvolte a tutti i livelli nella procedura di rimpatrio nonché lo scambio e la promozione delle migliori prassi dovrebbero accompagnare l'attuazione della presente direttiva e assicurare un valore aggiunto europeo.

 

(20) Poiché l'obiettivo della presente direttiva, ossia stabilire norme comuni in materia di rimpatrio, allontanamento, uso di misure coercitive, trattenimento e divieti d'ingresso, non può essere realizzato in misura sufficiente dagli Stati membri e può dunque, a causa delle sue dimensioni e dei suoi effetti, essere realizzato meglio a livello comunitario, la Comunità può intervenire, in base al principio di sussidiarietà sancito dall'articolo 5 del trattato. La presente direttiva si limita a quanto è necessario per conseguire tale obiettivo, in ottemperanza al principio di proporzionalità enunciato nello stesso articolo.

 

(21) Gli Stati membri dovrebbero attuare le disposizioni della presente direttiva senza operare discriminazioni fondate su sesso, razza, colore della pelle, origine etnica o sociale, caratteristiche genetiche, lingua, religione o convinzioni personali, opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, appartenenza ad una minoranza nazionale, patrimonio, nascita, disabilità, età o orientamento sessuale.

 

(22) In linea con la convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo del 1989, l'«interesse superiore del bambino» dovrebbe costituire una considerazione preminente degli Stati membri nell'attuazione della presente direttiva. In linea con la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, il rispetto della vita familiare dovrebbe costituire una considerazione preminente degli Stati membri nell'attuazione della presente direttiva.

 

(23) L'applicazione della presente direttiva non pregiudica gli obblighi derivanti dalla convenzione di Ginevra, del 28 luglio 1951, relativa allo status dei rifugiati, modificata dal protocollo di New York del 31 gennaio 1967.

 

(24) La presente direttiva rispetta i diritti fondamentali e osserva i principi riconosciuti in particolare nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea.

 

(25) Ai sensi degli articoli 1 e 2 del protocollo sulla posizione della Danimarca allegato al trattato sull'Unione europea e al trattato che istituisce la Comunità europea, la Danimarca non partecipa all'adozione della presente direttiva, non ne è in alcun modo vincolata né è soggetta alla sua applicazione. Poiché la presente direttiva costituisce uno sviluppo dell'acquis di Schengen ai sensi della parte terza, titolo IV, del trattato che istituisce la Comunità europea nella misura in cui si applica ai cittadini di paesi terzi che non soddisfano o non soddisfano più le condizioni di ingresso ai sensi del codice frontiere Schengen (4), la Danimarca decide, a norma dell'articolo 5 del suddetto protocollo, entro sei mesi dall'adozione della presente direttiva, se intende recepirla nel suo diritto interno.

 

(26) Nella misura in cui si applica ai cittadini di paesi terzi che non soddisfano o non soddisfano più le condizioni d'ingresso ai sensi del codice frontiere Schengen, la presente direttiva costituisce uno sviluppo delle disposizioni dell'acquis di Schengen cui il Regno Unito non partecipa, ai sensi della decisione 2000/365/CE del Consiglio, del 29 maggio 2000, riguardante la richiesta del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord di partecipare ad alcune disposizioni dell'acquis di Schengen ; inoltre, ai sensi degli articoli 1 e 2 del protocollo sulla posizione del Regno Unito e dell'Irlanda allegato al trattato sull'Unione europea e al trattato che istituisce la Comunità europea e fatto salvo l'articolo 4 di tale protocollo, il Regno Unito non partecipa all'adozione della presente direttiva e di conseguenza non ne è in alcun modo vincolato, né è soggetto alla sua applicazione.

 

(27) Nella misura in cui si applica ai cittadini di paesi terzi che non soddisfano o non soddisfano più le condizioni d'ingresso ai sensi del codice frontiere Schengen, la presente direttiva costituisce uno sviluppo delle disposizioni dell'acquis di Schengen cui l'Irlanda non partecipa, ai sensi della decisione 2002/192/CE del Consiglio, del 28 febbraio 2002, riguardante la richiesta dell'Irlanda di partecipare ad alcune disposizioni dell'acquis di Schengen ; inoltre, ai sensi degli articoli 1 e 2 del protocollo sulla posizione del Regno Unito e dell'Irlanda allegato al trattato sull'Unione europea e al trattato che istituisce la Comunità europea e fatto salvo l'articolo 4 di tale protocollo, l'Irlanda non partecipa all'adozione della presente direttiva e di conseguenza non ne è in alcun modo vincolata, né è soggetta alla sua applicazione.

 

(28) Per quanto riguarda l'Islanda e la Norvegia, la presente direttiva, nella misura in cui si applica ai cittadini di paesi terzi che non soddisfano o non soddisfano più le condizioni di ingresso ai sensi del codice frontiere Schengen, costituisce uno sviluppo dell'acquis di Schengen ai sensi dell'accordo concluso tra il Consiglio dell'Unione europea e la Repubblica d'Islanda e il Regno di Norvegia sull'associazione di questi due Stati all'attuazione, all'applicazione e allo sviluppo dell'acquis di Schengen, che rientra nel settore contemplato all'articolo 1, punto C, della decisione 1999/437/CE del Consiglio , relativa ad alcune modalità per l'applicazione del suddetto accordo.

 

(29) Per quanto riguarda la Svizzera, la presente direttiva, nella misura in cui si applica ai cittadini di paesi terzi che non soddisfano o non soddisfano più le condizioni di ingresso ai sensi del codice frontiere Schengen, costituisce uno sviluppo delle disposizioni dell'acquis di Schengen ai sensi dell'accordo tra l'Unione europea, la Comunità europea e la Confederazione svizzera riguardante l'associazione della Confederazione svizzera all'attuazione, all'applicazione e allo sviluppo dell'acquis di Schengen, che rientrano nel settore di cui all'articolo 1, punto C, della decisione 1999/437/CE, in combinato disposto con l'articolo 3 della decisione 2008/146/CE del Consiglio , relativa alla conclusione, a nome della Comunità europea, di tale accordo.

 

(30) Per quanto riguarda il Liechtenstein, la presente direttiva, nella misura in cui si applica ai cittadini di paesi terzi che non soddisfano o non soddisfano più le condizioni di ingresso ai sensi del codice frontiere Schengen, costituisce uno sviluppo delle disposizioni dell'acquis di Schengen ai sensi del protocollo tra l'Unione europea, la Comunità europea, la Confederazione svizzera e il Principato del Liechtenstein sull'adesione del Principato del Liechtenstein all'accordo tra l'Unione europea, la Comunità europea e la Confederazione svizzera riguardante l'associazione della Confederazione svizzera all'attuazione, all'applicazione e allo sviluppo dell'acquis di Schengen, che rientrano nel settore di cui all'articolo 1, punto C, della decisione 1999/437/CE, in combinato disposto con l'articolo 3 della decisione 2008/261/CE del Consiglio , sulla firma, a nome della Comunità europea, e sull'applicazione provvisoria di alcune disposizioni di tale protocollo,

 

HANNO ADOTTATO LA PRESENTE DIRETTIVA:

 

 

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(3)  Parere del Parlamento europeo del 18 giugno 2008 (non ancora pubblicato nella Gazzetta ufficiale) e decisione del Consiglio del 9 dicembre 2008.

(4)  Regolamento (CE) n. 562/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 marzo 2006, che istituisce un codice comunitario relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone (codice frontiere Schengen) (GU L 105 del 13.4.2006, pag. 1).

 

 

CAPO I

DISPOSIZIONI GENERALI

 

Articolo 1

Oggetto

La presente direttiva stabilisce norme e procedure comuni da applicarsi negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, nel rispetto dei diritti fondamentali in quanto principi generali del diritto comunitario e del diritto internazionale, compresi gli obblighi in materia di protezione dei rifugiati e di diritti dell'uomo.

 

 

Articolo 2

Ambito di applicazione

1.  La presente direttiva si applica ai cittadini di paesi terzi il cui soggiorno nel territorio di uno Stato membro è irregolare.

 

2.  Gli Stati membri possono decidere di non applicare la presente direttiva ai cittadini di paesi terzi:

 

a)  sottoposti a respingimento alla frontiera conformemente all'articolo 13 del codice frontiere Schengen ovvero fermati o scoperti dalle competenti autorità in occasione dell'attraversamento irregolare via terra, mare o aria della frontiera esterna di uno Stato membro e che non hanno successivamente ottenuto un'autorizzazione o un diritto di soggiorno in tale Stato membro;

b)  sottoposti a rimpatrio come sanzione penale o come conseguenza di una sanzione penale, in conformità della legislazione nazionale, o sottoposti a procedure di estradizione.

 

3.  La presente direttiva non si applica ai beneficiari del diritto comunitario alla libera circolazione, quali definiti all'articolo 2, paragrafo 5, del codice frontiere Schengen.

 

 

Articolo 3

Definizioni

Ai fini della presente direttiva, si intende per:

 

1)  «cittadino di un paese terzo» chiunque non sia cittadino dell'Unione ai sensi dell'articolo 17, paragrafo 1, del trattato né un beneficiario del diritto comunitario alla libera circolazione, quale definito all'articolo 2, paragrafo 5, del codice frontiere Schengen;

2)  «soggiorno irregolare» la presenza nel territorio di uno Stato membro di un cittadino di un paese terzo che non soddisfi o non soddisfi più le condizioni d'ingresso di cui all'articolo 5 del codice frontiere Schengen o altre condizioni d'ingresso, di soggiorno o di residenza in tale Stato membro;

3)  «rimpatrio» il processo di ritorno di un cittadino di un paese terzo, sia in adempimento volontario di un obbligo di rimpatrio sia forzatamente:

-  nel proprio paese di origine, o

-  in un paese di transito in conformità di accordi comunitari o bilaterali di riammissione o di altre intese, o

-  in un altro paese terzo, in cui il cittadino del paese terzo in questione decide volontariamente di ritornare e in cui sarà accettato;

4)  «decisione di rimpatrio» decisione o atto amministrativo o giudiziario che attesti o dichiari l'irregolarità del soggiorno di un cittadino di paesi terzi e imponga o attesti l'obbligo di rimpatrio;

5)  «allontanamento» l'esecuzione dell'obbligo di rimpatrio, vale a dire il trasporto fisico fuori dallo Stato membro;

6)  «divieto d'ingresso» decisione o atto amministrativo o giudiziario che vieti l'ingresso e il soggiorno nel territorio degli Stati membri per un periodo determinato e che accompagni una decisione di rimpatrio;

7)  «rischio di fuga» la sussistenza in un caso individuale di motivi basati su criteri obiettivi definiti dalla legge per ritenere che un cittadino di un paese terzo oggetto di una procedura di rimpatrio possa tentare la fuga;

8)  «partenza volontaria»: l'adempimento dell'obbligo di rimpatrio entro il termine fissato a tale scopo nella decisione di rimpatrio;

9)  «persone vulnerabili»: i minori, i minori non accompagnati, i disabili, gli anziani, le donne in gravidanza, le famiglie monoparentali con figli minori e le persone che hanno subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale.

 

 

Articolo 4

Disposizioni più favorevoli

1.  La presente direttiva lascia impregiudicate le disposizioni più favorevoli vigenti in forza di:

 

a)  accordi bilaterali o multilaterali tra la Comunità, o la Comunità e i suoi Stati membri, e uno o più paesi terzi;

b)  accordi bilaterali o multilaterali tra uno o più Stati membri e uno o più paesi terzi.

 

2.  La presente direttiva lascia impregiudicate le disposizioni più favorevoli ai cittadini di paesi terzi previste dall'acquis comunitario in materia di immigrazione e di asilo.

 

3.  La presente direttiva lascia impregiudicata la facoltà degli Stati membri di introdurre o mantenere disposizioni più favorevoli alle persone cui si applica, purché compatibili con le norme in essa stabilite.

 

4.  Per quanto riguarda i cittadini di paesi terzi esclusi dall'ambito di applicazione della presente direttiva conformemente all'articolo 2, paragrafo 2, lettera a), gli Stati membri:

 

a)  provvedono affinché siano loro riservati un trattamento e un livello di protezione non meno favorevoli di quanto disposto all'articolo 8, paragrafi 4 e 5 (limitazione dell'uso di misure coercitive), all'articolo 9, paragrafo 2, lettera a) (rinvio dell'allontanamento), all'articolo 14, paragrafo 1, lettere b) e d) (prestazioni sanitarie d'urgenza e considerazione delle esigenze delle persone vulnerabili) e agli articoli 16 e 17(condizioni di trattenimento) e

b)  rispettano il principio di non-refoulement.

 

 

Articolo 5

Non-refoulement, interesse superiore del bambino, vita familiare e condizioni di salute

Nell'applicazione della presente direttiva, gli Stati membri tengono nella debita considerazione:

 

a)  l'interesse superiore del bambino;

b)  la vita familiare;

c)  le condizioni di salute del cittadino di un paese terzo interessato;

 

e rispettano il principio di non-refoulement.

 

 

CAPO II

FINE DEL SOGGIORNO IRREGOLARE

 

Articolo 6

Decisione di rimpatrio

1.  Gli Stati membri adottano una decisione di rimpatrio nei confronti di qualunque cittadino di un paese terzo il cui soggiorno nel loro territorio è irregolare, fatte salve le deroghe di cui ai paragrafi da 2 a 5.

 

2.  Un cittadino di un paese terzo il cui soggiorno nel territorio di uno Stato membro è irregolare e che è in possesso di un permesso di soggiorno valido o di un'altra autorizzazione che conferisca il diritto di soggiornare rilasciati da un altro Stato membro deve recarsi immediatamente nel territorio di quest'ultimo. In caso di mancata osservanza di questa prescrizione da parte del cittadino di un paese terzo interessato ovvero qualora motivi di ordine pubblico o di sicurezza nazionale impongano la sua immediata partenza, si applica il paragrafo 1.

 

3.  Gli Stati membri possono astenersi dall'emettere una decisione di rimpatrio nei confronti di un cittadino di un paese terzo il cui soggiorno nel loro territorio è irregolare qualora il cittadino in questione sia ripreso da un altro Stato membro in virtù di accordi o intese bilaterali vigenti alla data di entrata in vigore della presente direttiva. In tal caso lo Stato membro che riprende il cittadino in questione applica il paragrafo 1.

 

4.  In qualsiasi momento gli Stati membri possono decidere di rilasciare per motivi caritatevoli, umanitari o di altra natura un permesso di soggiorno autonomo o un'altra autorizzazione che conferisca il diritto di soggiornare a un cittadino di un paese terzo il cui soggiorno nel loro territorio è irregolare. In tali casi non è emessa la decisione di rimpatrio. Qualora sia già stata emessa, la decisione di rimpatrio è revocata o sospesa per il periodo di validità del titolo di soggiorno o di un'altra autorizzazione che conferisca il diritto di soggiornare.

 

5.  Qualora un cittadino di un paese terzo il cui soggiorno nel territorio di uno Stato membro è irregolare abbia iniziato una procedura per il rinnovo del permesso di soggiorno o di un'altra autorizzazione che conferisce il diritto di soggiornare, lo Stato membro in questione valuta l'opportunità di astenersi dall'emettere una decisione di rimpatrio fino al completamento della procedura, fatto salvo il paragrafo 6.

 

6.  La presente direttiva non osta a che gli Stati membri decidano di porre fine al soggiorno regolare e dispongano contestualmente il rimpatrio e/o l'allontanamento e/o il divieto d'ingresso in un'unica decisione o atto amministrativo o giudiziario in conformità della legislazione nazionale, fatte salve le garanzie procedurali previste dal capo III e da altre pertinenti disposizioni del diritto comunitario e nazionale.

 

 

Articolo 7

Partenza volontaria

1.  La decisione di rimpatrio fissa per la partenza volontaria un periodo congruo di durata compresa tra sette e trenta giorni, fatte salve le deroghe di cui ai paragrafi 2 e 4. Gli Stati membri possono prevedere nella legislazione nazionale che tale periodo sia concesso unicamente su richiesta del cittadino di un paese terzo interessato. In tal caso, gli Stati membri informano i cittadini di paesi terzi interessati della possibilità di inoltrare tale richiesta.

Il periodo previsto al primo comma non esclude la possibilità per i cittadini di paesi terzi interessati di partire prima.

 

2.  Gli Stati membri prorogano, ove necessario, il periodo per la partenza volontaria per un periodo congruo, tenendo conto delle circostanze specifiche del caso individuale, quali la durata del soggiorno, l'esistenza di bambini che frequentano la scuola e l'esistenza di altri legami familiari e sociali.

 

3.  Per la durata del periodo per la partenza volontaria possono essere imposti obblighi diretti a evitare il rischio di fuga, come l'obbligo di presentarsi periodicamente alle autorità, la costituzione di una garanzia finanziaria adeguata, la consegna di documenti o l'obbligo di dimorare in un determinato luogo.

 

4.  Se sussiste il rischio di fuga o se una domanda di soggiorno regolare è stata respinta in quanto manifestamente infondata o fraudolenta o se l'interessato costituisce un pericolo per l'ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale, gli Stati membri possono astenersi dal concedere un periodo per la partenza volontaria o concederne uno inferiore a sette giorni.

 

 

Articolo 8

Allontanamento

1.  Gli Stati membri adottano tutte le misure necessarie per eseguire la decisione di rimpatrio qualora non sia stato concesso un periodo per la partenza volontaria a norma dell'articolo 7, paragrafo 4, o per mancato adempimento dell'obbligo di rimpatrio entro il periodo per la partenza volontaria concesso a norma dell'articolo 7.

 

2.  Qualora uno Stato membro abbia concesso un periodo per la partenza volontaria a norma dell'articolo 7, la decisione di rimpatrio può essere eseguita unicamente alla scadenza di tale periodo, a meno che nel periodo in questione non sorga uno dei rischi di cui all'articolo 7, paragrafo 4.

 

3.  Gli Stati membri possono adottare una decisione o un atto amministrativo o giudiziario distinto che ordini l'allontanamento.

 

4.  Ove gli Stati membri ricorrano – in ultima istanza – a misure coercitive per allontanare un cittadino di un paese terzo che oppone resistenza, tali misure sono proporzionate e non eccedano un uso ragionevole della forza. Le misure coercitive sono attuate conformemente a quanto previsto dalla legislazione nazionale in osservanza dei diritti fondamentali e nel debito rispetto della dignità e dell'integrità fisica del cittadino di un paese terzo interessato.

 

5.  Nell'effettuare l'allontanamento per via aerea gli Stati membri tengono conto degli orientamenti comuni sulle disposizioni di sicurezza applicabili all'allontanamento congiunto per via aerea allegati alla decisione 2004/573/CE.

 

6.  Gli Stati membri prevedono un sistema di monitoraggio efficace dei rimpatri forzati.

 

 

Articolo 9

Rinvio dell'allontanamento

1.  Gli Stati membri rinviano l'allontanamento:

 

a)  qualora violi il principio di non-refoulement, oppure

b)  per la durata della sospensione concessa ai sensi dell'articolo 13, paragrafo 2.

 

2.  Gli Stati membri possono rinviare l'allontanamento per un congruo periodo, tenendo conto delle circostanze specifiche di ciascun caso. Gli Stati membri tengono conto in particolare:

 

a)  delle condizioni fisiche o mentali del cittadino di un paese terzo;

b)  delle ragioni tecniche, come l'assenza di mezzi di trasporto o il mancato allontanamento a causa dell'assenza di identificazione.

 

3.  Ove sia disposto il rinvio dell'allontanamento a norma dei paragrafi 1 e 2, al cittadino di un paese terzo interessato possono essere imposti gli obblighi di cui all'articolo 7, paragrafo 3.

 

 

Articolo 10

Rimpatrio e allontanamento di minori non accompagnati

1.  Prima di emettere una decisione di rimpatrio nei confronti di un minore non accompagnato è fornita un'assistenza da parte di organismi appropriati diversi dalle autorità che eseguono il rimpatrio tenendo nel debito conto l'interesse superiore del bambino.

 

2.  Prima di allontanare un minore non accompagnato dal territorio di uno Stato membro, le autorità di tale Stato membro si accertano che questi sarà ricondotto ad un membro della sua famiglia, a un tutore designato o presso adeguate strutture di accoglienza nello Stato di rimpatrio.

 

 

Articolo 11

Divieto d'ingresso

1.  Le decisioni di rimpatrio sono corredate di un divieto d'ingresso:

 

a)  qualora non sia stato concesso un periodo per la partenza volontaria, oppure

b)  qualora non sia stato ottemperato all'obbligo di rimpatrio.

 

In altri casi le decisioni di rimpatrio possono essere corredate di un divieto d'ingresso.

 

2.  La durata del divieto d'ingresso è determinata tenendo debitamente conto di tutte le circostanze pertinenti di ciascun caso e non supera di norma i cinque anni. Può comunque superare i cinque anni se il cittadino di un paese terzo costituisce una grave minaccia per l'ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale.

 

3.  Gli Stati membri valutano la possibilità di revocare o sospendere un divieto d'ingresso qualora un cittadino di un paese terzo colpito da un divieto d'ingresso disposto in conformità del paragrafo 1, secondo comma, possa dimostrare di aver lasciato il territorio di uno Stato membro in piena ottemperanza di una decisione di rimpatrio.

Le vittime della tratta di esseri umani cui è stato concesso un permesso di soggiorno ai sensi della direttiva 2004/81/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, riguardante il titolo di soggiorno da rilasciare ai cittadini di paesi terzi vittime della tratta di esseri umani o coinvolti in un'azione di favoreggiamento dell'immigrazione illegale che cooperino con le autorità competenti non sono soggette a divieto d'ingresso fatte salve le disposizioni del paragrafo 1, primo comma, lettera b), e purché il cittadino di un paese terzo in questione non rappresenti una minaccia per l'ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale.

In casi individuali gli Stati membri possono astenersi per motivi umanitari dall'emettere, revocare o sospendere un divieto d'ingresso.

In casi individuali o in talune categorie di casi gli Stati membri possono revocare o sospendere un divieto d'ingresso per altri motivi.

 

4.  Lo Stato membro che preveda di rilasciare un permesso di soggiorno o un'altra autorizzazione che conferisca il diritto di soggiornare ad un cittadino di un paese terzo colpito da un divieto d'ingresso disposto da un altro Stato membro consulta preliminarmente lo Stato membro che lo ha disposto e tiene conto degli interessi di quest'ultimo in conformità dell'articolo 25 della convenzione di applicazione dell'accordo di Schengen .

 

5.  I paragrafi da 1 a 4 non pregiudicano negli Stati membri il diritto alla protezione internazionale, quale definita all'articolo 2, lettera a), della direttiva 2004/83/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, recante norme minime sull'attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta .

 


 

CAPO III

GARANZIE PROCEDURALI

 

Articolo 12

Forma

1.  Le decisioni di rimpatrio e, ove emesse, le decisioni di divieto d'ingresso e le decisioni di allontanamento sono adottate in forma scritta, sono motivate in fatto e in diritto e contengono informazioni sui mezzi di ricorso disponibili.

Le informazioni sui motivi in fatto possono essere ridotte laddove la legislazione nazionale consenta che il diritto di informazione sia limitato, in particolare per salvaguardare la sicurezza nazionale, la difesa, la pubblica sicurezza e per la prevenzione, le indagini, l'accertamento e il perseguimento di reati.

 

2.  Gli Stati membri provvedono, su richiesta, alla traduzione scritta od orale dei principali elementi delle decisioni connesse al rimpatrio di cui al paragrafo 1, incluse le modalità di impugnazione disponibili, in una lingua comprensibile per il cittadino di un paese terzo o che si può ragionevolmente supporre tale.

 

3.  Gli Stati membri possono decidere di non applicare il paragrafo 2 ai cittadini di paesi terzi che sono entrati in modo irregolare nel territorio di uno Stato membro e non hanno successivamente ottenuto un'autorizzazione o un diritto di soggiorno in tale Stato.

In tali casi le decisioni connesse al rimpatrio di cui al paragrafo 1 sono adottate per mezzo di un modello uniforme previsto dalla legislazione nazionale.

Gli Stati membri rendono disponibili schede informative generalizzate che espongono gli elementi principali del modello uniforme in almeno cinque delle lingue più frequentemente utilizzate o comprese dagli immigrati che entrano in modo irregolare nel loro territorio.

 

 

Articolo 13

Mezzi di ricorso

1.  Al cittadino di un paese terzo interessato sono concessi mezzi di ricorso effettivo avverso le decisioni connesse al rimpatrio di cui all'articolo 12, paragrafo 1, o per chiederne la revisione dinanzi ad un'autorità giudiziaria o amministrativa competente o a un organo competente composto da membri imparziali che offrono garanzie di indipendenza.

 

2.  L'autorità o l'organo menzionati al paragrafo 1 hanno la facoltà di rivedere le decisioni connesse al rimpatrio di cui all'articolo 12, paragrafo 1, compresa la possibilità di sospenderne temporaneamente l'esecuzione, a meno che la sospensione temporanea sia già applicabile ai sensi del diritto interno.

 

3.  Il cittadino di un paese terzo interessato ha la facoltà di farsi consigliare e rappresentare da un legale e, ove necessario, di avvalersi di un'assistenza linguistica.

 

4.  Gli Stati membri provvedono a che sia garantita, su richiesta, la necessaria assistenza e/o rappresentanza legale gratuita ai sensi della pertinente legislazione o regolamentazione nazionale in materia e possono disporre che tale assistenza e/o rappresentanza legale gratuita sia soggetta alle condizioni di cui all'articolo 15, paragrafi da 3 a 6, della direttiva 2005/85/CE.

 

 

Articolo 14

Garanzie prima del rimpatrio

1.  Gli Stati membri provvedono, ad esclusione della situazione di cui agli articoli 16 e 17, affinché si tenga conto il più possibile dei seguenti principi in relazione ai cittadini di paesi terzi durante il periodo per la partenza volontaria concesso a norma dell'articolo 7 e durante i periodi per i quali l'allontanamento è stato differito ai sensi dell'articolo 9:

 

a)  che sia mantenuta l'unità del nucleo familiare con i membri della famiglia presenti nel territorio;

b)  che siano assicurati le prestazioni sanitarie d'urgenza e il trattamento essenziale delle malattie;

c)  che sia garantito l'accesso al sistema educativo di base per i minori, tenuto conto della durata del soggiorno;

d)  che si tenga conto delle esigenze particolari delle persone vulnerabili.

 

2.  Gli Stati membri confermano per iscritto alle persone di cui al paragrafo 1, conformemente alla legislazione nazionale, che il periodo per la partenza volontaria è stato prorogato ai sensi dell'articolo 7, paragrafo 2, o che l'esecuzione della decisione di rimpatrio è temporaneamente sospesa.

 

 

CAPO IV

TRATTENIMENTO AI FINI DELL'ALLONTANAMENTO

 

Articolo 15

Trattenimento

1.  Salvo se nel caso concreto possono essere efficacemente applicate altre misure sufficienti ma meno coercitive, gli Stati membri possono trattenere il cittadino di un paese terzo sottoposto a procedure di rimpatrio soltanto per preparare il rimpatrio e/o effettuare l'allontanamento, in particolare quando:

 

a)  sussiste un rischio di fuga o

b)  il cittadino del paese terzo evita od ostacola la preparazione del rimpatrio o dell'allontanamento.

 

Il trattenimento ha durata quanto più breve possibile ed è mantenuto solo per il tempo necessario all'espletamento diligente delle modalità di rimpatrio.

 

2.  Il trattenimento è disposto dalle autorità amministrative o giudiziarie.

Il trattenimento è disposto per iscritto ed è motivato in fatto e in diritto.

Quando il trattenimento è disposto dalle autorità amministrative, gli Stati membri:

 

a)  prevedono un pronto riesame giudiziario della legittimità del trattenimento su cui decidere entro il più breve tempo possibile dall'inizio del trattenimento stesso,

b)  oppure accordano al cittadino di un paese terzo interessato il diritto di presentare ricorso per sottoporre ad un pronto riesame giudiziario la legittimità del trattenimento su cui decidere entro il più breve tempo possibile dall'avvio del relativo procedimento. In tal caso gli Stati membri informano immediatamente il cittadino del paese terzo in merito alla possibilità di presentare tale ricorso.

Il cittadino di un paese terzo interessato è liberato immediatamente se il trattenimento non è legittimo.

 

3.  In ogni caso, il trattenimento è riesaminato ad intervalli ragionevoli su richiesta del cittadino di un paese terzo interessato o d'ufficio. Nel caso di periodi di trattenimento prolungati il riesame è sottoposto al controllo di un'autorità giudiziaria.

 

4.  Quando risulta che non esiste più alcuna prospettiva ragionevole di allontanamento per motivi di ordine giuridico o per altri motivi o che non sussistono più le condizioni di cui al paragrafo 1, il trattenimento non è più giustificato e la persona interessata è immediatamente rilasciata.

 

5.  Il trattenimento è mantenuto finché perdurano le condizioni di cui al paragrafo 1 e per il periodo necessario ad assicurare che l'allontanamento sia eseguito. Ciascuno Stato membro stabilisce un periodo limitato di trattenimento, che non può superare i sei mesi.

 

6.  Gli Stati membri non possono prolungare il periodo di cui al paragrafo 5, salvo per un periodo limitato non superiore ad altri dodici mesi conformemente alla legislazione nazionale nei casi in cui, nonostante sia stato compiuto ogni ragionevole sforzo, l'operazione di allontanamento rischia di durare più a lungo a causa:

 

a)  della mancata cooperazione da parte del cittadino di un paese terzo interessato, o

b)  dei ritardi nell'ottenimento della necessaria documentazione dai paesi terzi.

 

 

Articolo 16

Condizioni di trattenimento

1.  Il trattenimento avviene di norma in appositi centri di permanenza temporanea. Qualora uno Stato membro non possa ospitare il cittadino di un paese terzo interessato in un apposito centro di permanenza temporanea e debba sistemarlo in un istituto penitenziario, i cittadini di paesi terzi trattenuti sono tenuti separati dai detenuti ordinari.

 

2.  I cittadini di paesi terzi trattenuti hanno la possibilità - su richiesta - di entrare in contatto, a tempo debito, con rappresentanti legali, familiari e autorità consolari competenti.

 

3.  Particolare attenzione è prestata alla situazione delle persone vulnerabili. Sono assicurati le prestazioni sanitarie d'urgenza e il trattamento essenziale delle malattie.

 

 

4.  I pertinenti e competenti organismi ed organizzazioni nazionali, internazionali e non governativi hanno la possibilità di accedere ai centri di permanenza temporanea di cui al paragrafo 1, nella misura in cui essi sono utilizzati per trattenere cittadini di paesi terzi in conformità del presente capo. Tali visite possono essere soggette ad autorizzazione.

 

5.  I cittadini di paesi terzi trattenuti sono sistematicamente informati delle norme vigenti nel centro e dei loro diritti e obblighi. Tali informazioni riguardano anche il loro diritto, ai sensi della legislazione nazionale, di mettersi in contatto con gli organismi e le organizzazioni di cui al paragrafo 4.

 

 

Articolo 17

Trattenimento di minori e famiglie

 

1.  I minori non accompagnati e le famiglie con minori sono trattenuti solo in mancanza di altra soluzione e per un periodo adeguato il più breve possibile.

 

2.  Le famiglie trattenute in attesa di allontanamento usufruiscono di una sistemazione separata che assicuri loro un adeguato rispetto della vita privata.

 

3.  Ai minori trattenuti è offerta la possibilità di svolgere attività di svago, tra cui attività di gioco e ricreative consone alla loro età e, in funzione della durata della permanenza, è dato accesso all'istruzione.

 

4.  Ai minori non accompagnati è fornita, per quanto possibile, una sistemazione in istituti dotati di personale e strutture consoni a soddisfare le esigenze di persone della loro età.

 

5.  L'interesse superiore del bambino costituisce un criterio fondamentale per il trattenimento dei minori in attesa di allontanamento.

 

 

Articolo 18

Situazioni di emergenza

1.  Nei casi in cui un numero eccezionalmente elevato di cittadini di paesi terzi da rimpatriare comporta un notevole onere imprevisto per la capacità dei centri di permanenza temporanea di uno Stato membro o per il suo personale amministrativo o giudiziario, sino a quando persiste la situazione anomala detto Stato membro può decidere di accordare per il riesame giudiziario periodi superiori a quelli previsti dall'articolo 15, paragrafo 2, terzo comma, e adottare misure urgenti quanto alle condizioni di trattenimento in deroga a quelle previste all'articolo 16, paragrafo 1, e all'articolo 17, paragrafo 2.

 

2.  All'atto di ricorrere a tali misure eccezionali, lo Stato membro in questione ne informa la Commissione. Quest'ultima è informata anche non appena cessino di sussistere i motivi che hanno determinato l'applicazione delle suddette misure eccezionali.

 

3.  Nulla nel presente articolo può essere interpretato nel senso che gli Stati membri siano autorizzati a derogare al loro obbligo generale di adottare tutte le misure di carattere generale e particolare atte ad assicurare l'esecuzione degli obblighi ad essi incombenti ai sensi della presente direttiva.

 

 

CAPO V

DISPOSIZIONI FINALI

 

Articolo 19

Relazione

La Commissione riferisce ogni tre anni al Parlamento europeo e al Consiglio sull'applicazione della presente direttiva negli Stati membri e propone eventuali modifiche.

 

La Commissione presenta la prima relazione entro il 24 dicembre 2013, incentrandola in particolare sull'applicazione dell'articolo 11, dell'articolo 13, paragrafo 4, e dell'articolo 15 negli Stati membri. Per quanto riguarda l'articolo 13, paragrafo 4, la Commissione valuta in particolare l'ulteriore impatto finanziario e amministrativo negli Stati membri.

 

 

Articolo 20

Attuazione

1.  Gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva entro il 24 dicembre 2010. Per quanto riguarda l'articolo 13, paragrafo 4, gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva entro il 24 dicembre 2011. Essi comunicano immediatamente alla Commissione il testo di tali disposizioni.

Quando gli Stati membri adottano tali disposizioni, queste contengono un riferimento alla presente direttiva o sono corredate di un siffatto riferimento all'atto della pubblicazione ufficiale. Le modalità di tale riferimento sono decise dagli Stati membri.

 

2.  Gli Stati membri comunicano alla Commissione il testo delle disposizioni essenziali di diritto interno che adottano nel settore disciplinato dalla presente direttiva.

 

 

Articolo 21

Relazione con la convenzione Schengen

La presente direttiva sostituisce le disposizioni degli articoli 23 e 24 della convenzione di applicazione dell'accordo di Schengen.

 

 

Articolo 22

Entrata in vigore

La presente direttiva entra in vigore il ventesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea.

 

 

Articolo 23

Destinatari

Gli Stati membri sono destinatari della presente direttiva conformemente al trattato che istituisce la Comunità europea.

 

Fatto a Strasburgo, addì 16 dicembre 2008.

 

Per il Parlamento europeo

Il presidente

H.-G. PÖTTERING

Per il Consiglio

Il presidente

B. LE MAIRE

 

 

 

 


Corte europa.
Sentenza della Corte (Prima Sezione) 28 aprile 2011.
«Spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia – Direttiva 2008/115/CE – Rimpatrio dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare – Artt. 15 e 16 – Normativa nazionale che prevede la reclusione per i cittadini di paesi terzi in soggiorno irregolare in caso di inottemperanza all’ordine di lasciare il territorio di uno Stato membro – Compatibilità»

 

Nel procedimento C61/11 PPU,

 

avente ad oggetto una domanda di pronuncia pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 TFUE, proposta dalla Corte d’appello di Trento, con ordinanza 2 febbraio 2011, pervenuta in cancelleria il 10 febbraio 2011, nel procedimento penale a carico di

 

Hassen El Dridi, alias Soufi Karim,

 

LA CORTE (Prima Sezione),

 

composta dal sig. A. Tizzano, presidente di sezione, dai sigg. J.J. Kasel, M. Ilešič (relatore), E. Levits e M. Safjan, giudici,

 

avvocato generale: sig. J. Mazák

 

cancelliere: sig.ra A. Impellizzeri, amministratore

 

vista la domanda del giudice del rinvio del 2 febbraio 2011, pervenuta alla Corte il 10 febbraio 2011 e integrata l’11 febbraio 2011, di sottoporre il rinvio pregiudiziale a procedimento d’urgenza, a norma dell’art. 104 ter del regolamento di procedura della Corte,

 

vista la decisione della Prima Sezione del 17 febbraio 2011 di accogliere la suddetta domanda,

 

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 30 marzo 2011,

 

considerate le osservazioni presentate:

 

–        per il sig. El Dridi, dagli avv.ti M. Pisani e L. Masera;

 

–        per il governo italiano, dalla sig.ra G. Palmieri, in qualità di agente, assistita dal sig. L. D’Ascia, avvocato dello Stato;

 

–        per la Commissione europea, dalla sig.ra M. Condou-Durande e dal sig. L. Prete, in qualità di agenti,

 

sentito l’avvocato generale,

 

ha pronunciato la seguente

 

Sentenza

 

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione degli artt. 15 e 16 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 16 dicembre 2008, 2008/115/CE, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare (GU L 348, pag. 98).

 

2        Detta domanda è stata proposta nell’ambito di un procedimento a carico del sig. El Dridi, il quale è condannato alla pena di un anno di reclusione per il reato di permanenza irregolare sul territorio italiano, senza giustificato motivo, in violazione di un ordine di allontanamento emesso nei suoi confronti dal questore di Udine.

 

Contesto normativo

 

La normativa dell’Unione

 

3        I ‘considerando’ secondo, sesto, tredicesimo, sedicesimo e diciassettesimo della direttiva 2008/115 enunciano quanto segue:

 

«(2)      Il Consiglio europeo di Bruxelles del 4 e 5 novembre 2004 ha sollecitato l’istituzione di un’efficace politica in materia di allontanamento e rimpatrio basata su norme comuni affinché le persone siano rimpatriate in maniera umana e nel pieno rispetto dei loro diritti fondamentali e della loro dignità.

 

(…)

 

(6)      È opportuno che gli Stati membri provvedano a porre fine al soggiorno irregolare dei cittadini di paesi terzi secondo una procedura equa e trasparente. (…)

 

(…)

 

(13)      L’uso di misure coercitive dovrebbe essere espressamente subordinato al rispetto dei principi di proporzionalità e di efficacia per quanto riguarda i mezzi impiegati e gli obiettivi perseguiti. (…)

 

(…)

 

(16)      Il ricorso al trattenimento ai fini dell’allontanamento dovrebbe essere limitato e subordinato al principio di proporzionalità con riguardo ai mezzi impiegati e agli obiettivi perseguiti. Il trattenimento è giustificato soltanto per preparare il rimpatrio o effettuare l’allontanamento e se l’uso di misure meno coercitive è insufficiente.

 

(17)      I cittadini di paesi terzi che sono trattenuti dovrebbero essere trattati in modo umano e dignitoso, nel pieno rispetto dei loro diritti fondamentali e in conformità del diritto nazionale e internazionale. Fatto salvo l’arresto iniziale da parte delle autorità incaricate dell’applicazione della legge, disciplinato dal diritto nazionale, il trattenimento dovrebbe di norma avvenire presso gli appositi centri di permanenza temporanea».

 

4        L’art. 1 della direttiva 2008/115, rubricato «Oggetto», recita:

 

«La presente direttiva stabilisce norme e procedure comuni da applicarsi negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, nel rispetto dei diritti fondamentali in quanto principi generali del diritto comunitario e del diritto internazionale, compresi gli obblighi in materia di protezione dei rifugiati e di diritti dell’uomo».

 

5        L’art. 2, nn. 1 e 2, di detta direttiva così dispone:

 

«1.      La presente direttiva si applica ai cittadini di paesi terzi il cui soggiorno nel territorio di uno Stato membro è irregolare.

 

2.      Gli Stati membri possono decidere di non applicare la presente direttiva ai cittadini di paesi terzi:

 

(…)

 

b)      sottoposti a rimpatrio come sanzione penale o come conseguenza di una sanzione penale, in conformità della legislazione nazionale, o sottoposti a procedure di estradizione».

 

6        Ai sensi dell’art. 3, punto 4, della direttiva 2008/115 si intende per «decisione di rimpatrio», ai fini della medesima direttiva, «[una] decisione o [un] atto amministrativo o giudiziario che attesti o dichiari l’irregolarità del soggiorno di un cittadino di paesi terzi e imponga o attesti l’obbligo di rimpatrio».

 

7        L’art. 4, n. 3, di detta direttiva enuncia:

 

«La presente direttiva lascia impregiudicata la facoltà degli Stati membri di introdurre o mantenere disposizioni più favorevoli alle persone cui si applica, purché compatibili con le norme in essa stabilite».

 

8        A termini dell’art. 6, n. 1, della medesima direttiva, « [g]li Stati membri adottano una decisione di rimpatrio nei confronti di qualunque cittadino di un paese terzo il cui soggiorno nel loro territorio è irregolare, fatte salve le deroghe di cui ai paragrafi da 2 a 5».

 

9        L’art. 7 della direttiva 2008/115, rubricato «Partenza volontaria», prevede quanto segue:

 

«1.      La decisione di rimpatrio fissa per la partenza volontaria un periodo congruo di durata compresa tra sette e trenta giorni, fatte salve le deroghe di cui ai paragrafi 2 e 4. Gli Stati membri possono prevedere nella legislazione nazionale che tale periodo sia concesso unicamente su richiesta del cittadino di un paese terzo interessato. In tal caso, gli Stati membri informano i cittadini di paesi terzi interessati della possibilità di inoltrare tale richiesta.

 

(…)

 

3.      Per la durata del periodo per la partenza volontaria possono essere imposti obblighi diretti a evitare il rischio di fuga, come l’obbligo di presentarsi periodicamente alle autorità, la costituzione di una garanzia finanziaria adeguata, la consegna di documenti o l’obbligo di dimorare in un determinato luogo.

 

4.      Se sussiste il rischio di fuga o se una domanda di soggiorno regolare è stata respinta in quanto manifestamente infondata o fraudolenta o se l’interessato costituisce un pericolo per l’ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale, gli Stati membri possono astenersi dal concedere un periodo per la partenza volontaria o concederne uno inferiore a sette giorni».

 

10      L’art. 8, nn. 1 e 4, di detta direttiva così dispone:

 

«1.      Gli Stati membri adottano tutte le misure necessarie per eseguire la decisione di rimpatrio qualora non sia stato concesso un periodo per la partenza volontaria a norma dell’articolo 7, paragrafo 4, o per mancato adempimento dell’obbligo di rimpatrio entro il periodo per la partenza volontaria concesso a norma dell’articolo 7.

 

(…)

 

4.      Ove gli Stati membri ricorrano – in ultima istanza – a misure coercitive per allontanare un cittadino di un paese terzo che oppone resistenza, tali misure sono proporzionate e non ecced[o]no un uso ragionevole della forza. Le misure coercitive sono attuate conformemente a quanto previsto dalla legislazione nazionale in osservanza dei diritti fondamentali e nel debito rispetto della dignità e dell’integrità fisica del cittadino di un paese terzo interessato».

 

11      L’art. 15 della medesima direttiva, compreso nel capo IV, relativo al trattenimento ai fini dell’allontanamento, è redatto nei seguenti termini:

 

«1.      Salvo se nel caso concreto possono essere efficacemente applicate altre misure sufficienti ma meno coercitive, gli Stati membri possono trattenere il cittadino di un paese terzo sottoposto a procedure di rimpatrio soltanto per preparare il rimpatrio e/o effettuare l’allontanamento, in particolare quando:

 

a)      sussiste un rischio di fuga o

 

b)      il cittadino del paese terzo evita od ostacola la preparazione del rimpatrio o dell’allontanamento.

 

Il trattenimento ha durata quanto più breve possibile ed è mantenuto solo per il tempo necessario all’espletamento diligente delle modalità di rimpatrio.

 

(…)

 

3.      In ogni caso, il trattenimento è riesaminato ad intervalli ragionevoli su richiesta del cittadino di un paese terzo interessato o d’ufficio. Nel caso di periodi di trattenimento prolungati il riesame è sottoposto al controllo di un’autorità giudiziaria.

 

4.      Quando risulta che non esiste più alcuna prospettiva ragionevole di allontanamento per motivi di ordine giuridico o per altri motivi o che non sussistono più le condizioni di cui al paragrafo 1, il trattenimento non è più giustificato e la persona interessata è immediatamente rilasciata.

 

5.      Il trattenimento è mantenuto finché perdurano le condizioni di cui al paragrafo 1 e per il periodo necessario ad assicurare che l’allontanamento sia eseguito. Ciascuno Stato membro stabilisce un periodo limitato di trattenimento, che non può superare i sei mesi.

 

6.      Gli Stati membri non possono prolungare il periodo di cui al paragrafo 5, salvo per un periodo limitato non superiore ad altri dodici mesi conformemente alla legislazione nazionale nei casi in cui, nonostante sia stato compiuto ogni ragionevole sforzo, l’operazione di allontanamento rischia di durare più a lungo a causa:

 

a)      della mancata cooperazione da parte del cittadino di un paese terzo interessato, o

 

b)      dei ritardi nell’ottenimento della necessaria documentazione dai paesi terzi».

 

12      L’art. 16 della direttiva 2008/115, rubricato «Condizioni di trattenimento», prevede al n. 1 quanto segue:

 

«Il trattenimento avviene di norma in appositi centri di permanenza temporanea. Qualora uno Stato membro non possa ospitare il cittadino di un paese terzo interessato in un apposito centro di permanenza temporanea e debba sistemarlo in un istituto penitenziario, i cittadini di paesi terzi trattenuti sono tenuti separati dai detenuti ordinari».

 

13      Ai sensi dell’art. 18 della direttiva 2008/115, rubricato «Situazioni di emergenza»:

 

«1.      Nei casi in cui un numero eccezionalmente elevato di cittadini di paesi terzi da rimpatriare comporta un notevole onere imprevisto per la capacità dei centri di permanenza temporanea di uno Stato membro o per il suo personale amministrativo o giudiziario, sino a quando persiste la situazione anomala detto Stato membro può decidere di (...) adottare misure urgenti quanto alle condizioni di trattenimento in deroga a quelle previste all’articolo 16, paragrafo 1 (...).

 

2.      All’atto di ricorrere a tali misure eccezionali, lo Stato membro in questione ne informa la Commissione. Quest’ultima è informata anche non appena cessino di sussistere i motivi che hanno determinato l’applicazione delle suddette misure eccezionali.

 

3.      Nulla nel presente articolo può essere interpretato nel senso che gli Stati membri siano autorizzati a derogare al loro obbligo generale di adottare tutte le misure di carattere generale e particolare atte ad assicurare l’esecuzione degli obblighi ad essi incombenti ai sensi della presente direttiva».

 

14      Ai sensi dell’art. 20, n. 1, primo comma, della direttiva 2008/115, gli Stati membri dovevano mettere in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi a quest’ultima entro il 24 dicembre 2010, eccezion fatta per l’art. 13, n. 4.

 

15      Conformemente al suo art. 22, detta direttiva è entrata in vigore il 13 gennaio 2009.

 

 La normativa nazionale

 

16      L’art. 13 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero (Supplemento ordinario alla GURI n. 191 del 18 agosto 1998), come modificato dalla legge 15 luglio 2009, n. 94, recante disposizioni in materia di sicurezza pubblica (Supplemento ordinario alla GURI n. 170 del 24 luglio 2009; in prosieguo: il «decreto legislativo n. 286/1998»), prevede ai commi 2 e 4 quanto segue:

 

«2. L’espulsione è disposta dal prefetto quando lo straniero:

 

a)      è entrato nel territorio dello Stato sottraendosi ai controlli di frontiera e non è stato respinto (…);

 

b)      si è trattenuto nel territorio dello Stato (...) senza aver richiesto il permesso di soggiorno nei termini prescritti, salvo che il ritardo sia dipeso da forza maggiore, ovvero quando il permesso di soggiorno è stato revocato o annullato, ovvero è scaduto da più di sessanta giorni e non è stato chiesto il rinnovo;

 

(...)

 

4. L’espulsione è sempre eseguita dal questore con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica ad eccezione dei casi di cui al comma 5».

 

17      L’art. 14 del decreto legislativo n. 286/1998 è così redatto:

 

«1.      Quando non è possibile eseguire con immediatezza l’espulsione mediante accompagnamento alla frontiera ovvero il respingimento, perché occorre procedere al soccorso dello straniero, [ad] accertamenti supplementari in ordine alla sua identità o nazionalità, ovvero all’acquisizione di documenti per il viaggio, ovvero per l’indisponibilità di vettore o altro mezzo di trasporto idoneo, il questore dispone che lo straniero sia trattenuto per il tempo strettamente necessario presso il centro di identificazione e di espulsione più vicino, tra quelli individuati o costituiti con decreto del Ministro dell’interno, di concerto con i Ministri per la solidarietà sociale e del tesoro, del bilancio e della programmazione economica.

 

(…)

 

5-bis.          Quando non sia stato possibile trattenere lo straniero presso un centro di identificazione ed espulsione, ovvero la permanenza in tale struttura non abbia consentito l’esecuzione con l’accompagnamento alla frontiera dell’espulsione o del respingimento, il questore ordina allo straniero di lasciare il territorio dello Stato entro il termine di cinque giorni. L’ordine è dato con provvedimento scritto, recante l’indicazione delle conseguenze sanzionatorie della permanenza illegale, anche reiterata, nel territorio dello Stato. L’ordine del questore può essere accompagnato dalla consegna all’interessato della documentazione necessaria per raggiungere gli uffici della rappresentanza diplomatica del suo Paese in Italia, anche se onoraria, nonché per rientrare nello Stato di appartenenza ovvero, quando ciò non sia possibile, nello Stato di provenienza.

 

5-ter. Lo straniero che senza giustificato motivo permane illegalmente nel territorio dello Stato, in violazione dell’ordine impartito dal questore ai sensi del comma 5bis, è punito con la reclusione da uno a quattro anni se l’espulsione o il respingimento sono stati disposti per ingresso illegale nel territorio nazionale (...), ovvero per non aver richiesto il permesso di soggiorno o non aver dichiarato la propria presenza nel territorio dello Stato nel termine prescritto in assenza di cause di forza maggiore, ovvero per essere stato il permesso revocato o annullato. Si applica la pena della reclusione da sei mesi ad un anno se l’espulsione è stata disposta perché il permesso di soggiorno è scaduto da più di sessanta giorni e non ne è stato richiesto il rinnovo, ovvero se la richiesta del titolo di soggiorno è stata rifiutata (...). In ogni caso, salvo che lo straniero si trovi in stato di detenzione in carcere, si procede all’adozione di un nuovo provvedimento di espulsione con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica per violazione all’ordine di allontanamento adottato dal questore ai sensi del comma 5bis. Qualora non sia possibile procedere all’accompagnamento alla frontiera, si applicano le disposizioni di cui ai commi 1 e 5bis del presente articolo (...).

 

5-quater. Lo straniero destinatario del provvedimento di espulsione di cui al comma 5ter e di un nuovo ordine di allontanamento di cui al comma 5bis, che continua a permanere illegalmente nel territorio dello Stato, è punito con la reclusione da uno a cinque anni. Si applicano, in ogni caso, le disposizioni di cui al comma 5ter, terzo e ultimo periodo.

 

5-quinquies. Per i reati previsti ai commi 5ter, primo periodo, e 5quater si procede con rito direttissimo ed è obbligatorio l’arresto dell’autore del fatto».

 

 Procedimento principale e questione pregiudiziale

 

18      Il sig. El Dridi è un cittadino di un paese terzo entrato illegalmente in Italia e privo di permesso di soggiorno. Nei suoi confronti il prefetto di Torino ha emanato un decreto di espulsione in data 8 maggio 2004.

 

19      Un ordine di allontanamento dal territorio nazionale, emesso il 21 maggio 2010 dal questore di Udine, in esecuzione di detto decreto di espulsione, gli è stato notificato in pari data. Tale ordine di allontanamento era motivato dall’indisponibilità di un vettore o di altro mezzo di trasporto, dalla mancanza di documenti di identificazione del sig. El Dridi nonché dall’impossibilità di ospitarlo in un centro di permanenza temporanea per mancanza di posti nelle apposite strutture.

 

20      Durante un controllo effettuato il 29 settembre 2010 è stato constatato che il sig. El Dridi non si era conformato a detto ordine di allontanamento.

 

21      Il sig. El Dridi è stato condannato dal Tribunale monocratico di Trento, all’esito di giudizio abbreviato, alla pena di un anno di reclusione per il reato di cui all’art. 14, comma 5ter, del decreto legislativo n. 286/1998.

 

22      Egli ha impugnato tale decisione dinanzi alla Corte d’appello di Trento.

 

23      Quest’ultima s’interroga sulla possibilità di disporre una sanzione penale, nel corso della procedura amministrativa di rimpatrio di uno straniero, per inosservanza di una delle fasi di tale procedura; una simile sanzione sembra, infatti, contraria al principio di leale cooperazione, al conseguimento degli scopi della direttiva 2008/115 e al suo effetto utile, nonché ai principi di proporzionalità, di adeguatezza e di ragionevolezza della pena.

 

24      Essa precisa, al riguardo, che la sanzione penale di cui all’art. 14, comma 5ter, del decreto legislativo n. 286/1998 interviene dopo l’accertata violazione di un passaggio intermedio della procedura graduale di attuazione della decisione di rimpatrio, prevista dalla direttiva 2008/115, ovverosia l’inottemperanza al solo ordine di allontanamento. Potendo andare da uno a quattro anni, la pena della reclusione sarebbe connotata, peraltro, da un carattere di estremo rigore.

 

25      Ciò considerato, la Corte d’appello di Trento ha deciso di sospendere il procedimento e di proporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

 

«Se alla luce dei principi di leale collaborazione all’effetto utile di conseguimento degli scopi della direttiva e di proporzionalità, adeguatezza e ragionevolezza della pena, gli artt. 15 e 16 della direttiva [2008/115] ostino:

 

–      alla possibilità che venga sanzionata penalmente la violazione di un passaggio intermedio della procedura amministrativa di rimpatrio, prima che essa sia completata[,] con il ricorso al massimo rigore coercitivo ancora possibile amministrativamente;

 

–      alla possibilità che venga punita con la reclusione sino a quattro anni la mera mancata cooperazione dell’interessato alla procedura di espulsione, ed in particolare l’ipotesi di inosservanza al primo ordine di allontanamento emanato dall’autorità amministrativa».

 

 Sul procedimento d’urgenza

 

26      La Corte d’appello di Trento ha chiesto che il presente rinvio pregiudiziale sia sottoposto al procedimento d’urgenza previsto all’art. 104 ter del regolamento di procedura della Corte.

 

27      Il giudice del rinvio ha motivato tale domanda con il fatto che il sig. El Dridi è detenuto in esecuzione della pena cui è stato condannato dal Tribunale di Trento.

 

28      La Prima Sezione della Corte, sentito l’avvocato generale, ha deciso di accogliere la domanda del giudice remittente di sottoporre il rinvio pregiudiziale al procedimento d’urgenza.

 

 Sulla questione pregiudiziale

 

29      Con la sua questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la direttiva 2008/115, in particolare i suoi artt. 15 e 16, debba essere interpretata nel senso che essa osta ad una normativa di uno Stato membro, come quella in discussione nel procedimento principale, che preveda l’irrogazione della pena della reclusione al cittadino di un paese terzo il cui soggiorno sia irregolare per la sola ragione che questi, in violazione di un ordine di lasciare entro un determinato termine il territorio di tale Stato, permane in detto territorio senza giustificato motivo.

 

30      Il giudice del rinvio fa riferimento, al riguardo, al principio di leale cooperazione di cui all’art. 4, n. 3, TUE, nonché all’obiettivo di assicurare l’effetto utile del diritto dell’Unione.

 

31      In proposito si deve ricordare che, come enuncia il suo secondo ‘considerando’, la direttiva 2008/115 persegue l’attuazione di un’efficace politica in materia di allontanamento e rimpatrio basata su norme comuni affinché le persone interessate siano rimpatriate in maniera umana e nel pieno rispetto dei loro diritti fondamentali e della loro dignità.

 

32      Come si apprende tanto dal suo titolo quanto dall’art. 1, la direttiva 2008/115 stabilisce le «norme e procedure comuni» che devono essere applicate da ogni Stato membro al rimpatrio dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno sia irregolare. Discende dalla locuzione summenzionata, come pure dall’economia generale della succitata direttiva, che gli Stati membri possono derogare a tali norme e procedure solo alle condizioni previste dalla direttiva medesima, segnatamente quelle fissate al suo art. 4.

 

33      Di conseguenza, mentre il n. 3 di detto art. 4 riconosce agli Stati membri la facoltà di introdurre o di mantenere disposizioni più favorevoli per i cittadini di paesi terzi il cui soggiorno sia irregolare rispetto a quelle stabilite dalla direttiva 2008/115, purché compatibili con quest’ultima, detta direttiva non permette invece a tali Stati di applicare norme più severe nell’ambito che essa disciplina.

 

34      Occorre del pari rilevare che la direttiva 2008/115 stabilisce con precisione la procedura che ogni Stato membro è tenuto ad applicare al rimpatrio dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno sia irregolare e fissa la successione delle diverse fasi di tale procedura.

 

35      In tal senso, l’art. 6, n. 1, di detta direttiva prevede anzitutto, in via principale, l’obbligo per gli Stati membri di adottare una decisione di rimpatrio nei confronti di qualunque cittadino di un paese terzo il cui soggiorno nel loro territorio sia irregolare.

 

36      Nell’ambito di questa prima fase della procedura di rimpatrio va accordata priorità, salvo eccezioni, all’esecuzione volontaria dell’obbligo derivante dalla decisione di rimpatrio; in tal senso, l’art. 7, n. 1, della direttiva 2008/115 dispone che detta decisione fissa per la partenza volontaria un periodo congruo di durata compresa tra sette e trenta giorni.

 

37      Risulta dall’art. 7, nn. 3 e 4, di detta direttiva che solo in circostanze particolari, per esempio se sussiste rischio di fuga, gli Stati membri possono, da un lato, imporre al destinatario di una decisione di rimpatrio l’obbligo di presentarsi periodicamente alle autorità, di prestare una garanzia finanziaria adeguata, di consegnare i documenti o di dimorare in un determinato luogo oppure, dall’altro, concedere un termine per la partenza volontaria inferiore a sette giorni o addirittura non accordare alcun termine.

 

38      In quest’ultima ipotesi, ma anche nel caso in cui l’obbligo di rimpatrio non sia stato adempiuto entro il termine concesso per la partenza volontaria, risulta dall’art. 8, nn. 1 e 4, della direttiva 2008/115 che, al fine di assicurare l’efficacia delle procedure di rimpatrio, tali disposizioni impongono allo Stato membro, che ha adottato una decisione di rimpatrio nei confronti di un cittadino di un paese terzo il cui soggiorno sia irregolare, l’obbligo di procedere all’allontanamento, prendendo tutte le misure necessarie, comprese, all’occorrenza, misure coercitive, in maniera proporzionata e nel rispetto, in particolare, dei diritti fondamentali.

 

39      Al riguardo, discende dal sedicesimo ‘considerando’ di detta direttiva nonché dal testo del suo art. 15, n. 1, che gli Stati membri devono procedere all’allontanamento mediante le misure meno coercitive possibili. Solo qualora l’esecuzione della decisione di rimpatrio sotto forma di allontanamento rischi, valutata la situazione caso per caso, di essere compromessa dal comportamento dell’interessato, detti Stati possono privare quest’ultimo della libertà ricorrendo al trattenimento.

 

40      Conformemente all’art. 15, n. 1, secondo comma, della direttiva 2008/115, tale privazione della libertà deve avere durata quanto più breve possibile e protrarsi solo per il tempo necessario all’espletamento diligente delle modalità di rimpatrio. Ai sensi dei nn. 3 e 4 di detto art. 15, tale privazione della libertà è riesaminata ad intervalli ragionevoli e deve cessare appena risulti che non esiste più una prospettiva ragionevole di allontanamento. I nn. 5 e 6 del medesimo articolo fissano la sua durata massima in 18 mesi, termine tassativo per tutti gli Stati membri. L’art. 16, n. 1, di detta direttiva, inoltre, prescrive che gli interessati siano collocati in un centro apposito e, in ogni caso, separati dai detenuti di diritto comune.

 

41      Emerge da quanto precede che la successione delle fasi della procedura di rimpatrio stabilita dalla direttiva 2008/115 corrisponde ad una gradazione delle misure da prendere per dare esecuzione alla decisione di rimpatrio, gradazione che va dalla misura meno restrittiva per la libertà dell’interessato – la concessione di un termine per la sua partenza volontaria – alla misura che maggiormente limita la sua libertà – il trattenimento in un apposito centro –, fermo restando in tutte le fasi di detta procedura l’obbligo di osservare il principio di proporzionalità.

 

42      Perfino il ricorso a quest’ultima misura, la più restrittiva della libertà che la direttiva consente nell’ambito di una procedura di allontanamento coattivo, appare strettamente regolamentato, in applicazione degli artt. 15 e 16 di detta direttiva, segnatamente allo scopo di assicurare il rispetto dei diritti fondamentali dei cittadini interessati dei paesi terzi.

 

43      In particolare, la durata massima prevista all’art. 15, nn. 5 e 6, della direttiva 2008/115 ha lo scopo di limitare la privazione della libertà dei cittadini di paesi terzi in situazione di allontanamento coattivo (sentenza 30 novembre 2009, causa C357/09 PPU, Kadzoev, Racc. pag. I11189, punto 56). La direttiva 2008/115 intende così tener conto sia della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, secondo la quale il principio di proporzionalità esige che il trattenimento di una persona sottoposta a procedura di espulsione o di estradizione non si protragga oltre un termine ragionevole, vale a dire non superi il tempo necessario per raggiungere lo scopo perseguito (v., in particolare, Corte eur. D.U, sentenza Saadi c. Regno Unito del 29 gennaio 2008, non ancora pubblicata nel Recueil des arrêts et décisions, §§ 72 e 74), sia dell’ottavo dei «Venti orientamenti sul rimpatrio forzato» adottati il 4 maggio 2005 dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, ai quali la direttiva fa riferimento nel terzo ‘considerando’. Secondo tale principio, il trattenimento ai fini dell’allontanamento deve essere quanto più breve possibile.

 

44      È alla luce delle suesposte considerazioni che occorre valutare se le regole comuni introdotte dalla direttiva 2008/115 ostino ad una normativa nazionale come quella in discussione nel procedimento principale.

 

45      Al riguardo va rilevato, in primo luogo, che, come risulta dalle informazioni fornite sia dal giudice del rinvio sia dal governo italiano nelle sue osservazioni scritte, la direttiva 2008/115 non è stata trasposta nell’ordinamento giuridico italiano.

 

46      Orbene, per costante giurisprudenza, qualora uno Stato membro si astenga dal recepire una direttiva entro i termini o non l’abbia recepita correttamente, i singoli sono legittimati a invocare contro detto Stato membro le disposizioni di tale direttiva che appaiano, dal punto di vista sostanziale, incondizionate e sufficientemente precise (v. in tal senso, in particolare, sentenze 26 febbraio 1986, causa 152/84, Marshall, Racc. pag. 723, punto 46, e 3 marzo 2011, causa C203/10, Auto Nikolovi, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 61).

 

47      Ciò vale anche per gli artt. 15 e 16 della direttiva 2008/115, i quali, come si evince dal punto 40 della presente sentenza, sono incondizionati e sufficientemente precisi da non richiedere ulteriori specifici elementi perché gli Stati membri li possano mettere in atto.

 

48      Peraltro, una persona che si trovi nella situazione del sig. El Dridi rientra nell’ambito di applicazione ratione personae della direttiva 2008/115, la quale si applica, conformemente al suo art. 2, n. 1, ai cittadini di paesi terzi il cui soggiorno nel territorio di uno Stato membro sia irregolare.

 

49      Come ha osservato l’avvocato generale ai paragrafi 22-28 della sua presa di posizione, non incide su tale conclusione l’art. 2, n. 2, lett. b), di detta direttiva, ai sensi del quale gli Stati membri possono decidere di non applicare la direttiva ai cittadini di paesi terzi sottoposti a rimpatrio come sanzione penale o in conseguenza di una sanzione penale, in conformità della legislazione nazionale, o sottoposti a procedura di estradizione. Invero, si apprende dalla decisione di rinvio che l’obbligo di rimpatrio risulta, nel procedimento principale, da un decreto del prefetto di Torino dell’8 maggio 2004. Peraltro, le sanzioni penali di cui a detta disposizione non concernono l’inosservanza del termine impartito per la partenza volontaria.

 

50      Si deve constatare, in secondo luogo, che, sebbene il decreto del prefetto di Torino dell’8 maggio 2004, in quanto stabilisce un obbligo per il sig. El Dridi di lasciare il territorio nazionale, integri una «decisione di rimpatrio» come definita all’art. 3, punto 4, della direttiva 2008/115 e menzionata, in particolare, agli artt. 6, n. 1, e 7, n. 1, della stessa, la procedura di allontanamento prevista dalla normativa italiana in discussione nel procedimento principale differisce notevolmente da quella stabilita da detta direttiva.

 

51      Infatti, mentre detta direttiva prescrive la concessione di un termine per la partenza volontaria, compreso tra i sette e i trenta giorni, il decreto legislativo n. 286/1998 non prevede una tale misura.

 

52      Per quanto riguarda, poi, le misure coercitive che gli Stati membri possono adottare ai sensi dell’art. 8, n. 4, della direttiva 2008/115, in particolare l’accompagnamento coattivo alla frontiera previsto all’art. 13, comma 4, del decreto legislativo n. 286/1998, è giocoforza constatare che, in una situazione in cui tali misure non abbiano consentito di raggiungere il risultato perseguito, ossia l’allontanamento del cittadino di un paese terzo contro il quale sono state disposte, gli Stati membri restano liberi di adottare misure, anche penali, atte segnatamente a dissuadere tali cittadini dal soggiornare illegalmente nel territorio di detti Stati.

 

53      Occorre tuttavia rilevare che, se è vero che la legislazione penale e le norme di procedura penale rientrano, in linea di principio, nella competenza degli Stati membri, su tale ambito giuridico può nondimeno incidere il diritto dell’Unione (v. in questo senso, in particolare, sentenze 11 novembre 1981, causa 203/80, Casati, Racc. pag. 2595, punto 27; 2 febbraio 1989, causa 186/87, Cowan, Racc. pag. 195, punto 19, e 16 giugno 1998, causa C226/97, Lemmens, Racc. pag. I3711, punto 19).

 

54      Di conseguenza, sebbene né l’art. 63, primo comma, punto 3, lett. b), CE – disposizione che è stata ripresa dall’art. 79, n. 2, lett. c), TFUE – né la direttiva 2008/115, adottata in particolare sul fondamento di detta disposizione del Trattato CE, escludano la competenza penale degli Stati membri in tema di immigrazione clandestina e di soggiorno irregolare, questi ultimi devono fare in modo che la propria legislazione in materia rispetti il diritto dell’Unione.

 

55      In particolare, detti Stati non possono applicare una normativa, sia pure di diritto penale, tale da compromettere la realizzazione degli obiettivi perseguiti da una direttiva e da privare così quest’ultima del suo effetto utile.

 

56      Infatti, ai sensi rispettivamente del secondo e del terzo comma dell’art. 4, n. 3, TUE, gli Stati membri, in particolare, «adottano ogni misura di carattere generale o particolare atta ad assicurare l’esecuzione degli obblighi derivanti dai trattati o conseguenti agli atti delle istituzioni dell’Unione» e «si astengono da qualsiasi misura che rischi di mettere in pericolo la realizzazione degli obiettivi dell’Unione», compresi quelli perseguiti dalle direttive.

 

57      Quanto, più specificamente, alla direttiva 2008/115, si deve ricordare che – come enuncia il suo tredicesimo ‘considerando’ – essa subordina espressamente l’uso di misure coercitive al rispetto dei principi di proporzionalità e di efficacia per quanto riguarda i mezzi impiegati e gli obiettivi perseguiti.

 

58      Ne consegue che gli Stati membri non possono introdurre, al fine di ovviare all’insuccesso delle misure coercitive adottate per procedere all’allontanamento coattivo conformemente all’art. 8, n. 4, di detta direttiva, una pena detentiva, come quella prevista all’art. 14, comma 5ter, del decreto legislativo n. 286/1998, solo perché un cittadino di un paese terzo, dopo che gli è stato notificato un ordine di lasciare il territorio di uno Stato membro e che il termine impartito con tale ordine è scaduto, permane in maniera irregolare nel territorio nazionale. Essi devono, invece, continuare ad adoperarsi per dare esecuzione alla decisione di rimpatrio, che continua a produrre i suoi effetti.

 

59      Una tale pena, infatti, segnatamente in ragione delle sue condizioni e modalità di applicazione, rischia di compromettere la realizzazione dell’obiettivo perseguito da detta direttiva, ossia l’instaurazione di una politica efficace di allontanamento e di rimpatrio dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno sia irregolare. In particolare, come ha rilevato l’avvocato generale al paragrafo 42 della sua presa di posizione, una normativa nazionale quale quella oggetto del procedimento principale può ostacolare l’applicazione delle misure di cui all’art. 8, n. 1, della direttiva 2008/115 e ritardare l’esecuzione della decisione di rimpatrio.

 

60      Ciò non esclude la facoltà per gli Stati membri di adottare, nel rispetto dei principi della direttiva 2008/115 e del suo obiettivo, disposizioni che disciplinino le situazioni in cui le misure coercitive non hanno consentito di realizzare l’allontanamento di un cittadino di un paese terzo il cui soggiorno sul loro territorio sia irregolare.

 

61      Alla luce di quanto precede, al giudice del rinvio, incaricato di applicare, nell’ambito della propria competenza, le disposizioni del diritto dell’Unione e di assicurarne la piena efficacia, spetterà disapplicare ogni disposizione del decreto legislativo n. 286/1998 contraria al risultato della direttiva 2008/115, segnatamente l’art. 14, comma 5ter, di tale decreto legislativo (v., in tal senso, sentenze 9 marzo 1978, causa 106/77, Simmenthal, Racc. pag. 629, punto 24; 22 maggio 2003, causa C462/99, Connect Austria, Racc. pag. I5197, punti 38 e 40, nonché 22 giugno 2010, cause riunite C188/10 e C189/10, Melki e Abdeli, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 43). Ciò facendo il giudice del rinvio dovrà tenere debito conto del principio dell’applicazione retroattiva della pena più mite, il quale fa parte delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri (sentenze 3 maggio 2005, cause riunite C387/02, C391/02 e C403/02, Berlusconi e a., Racc. pag. I3565, punti 6769, nonché 11 marzo 2008, causa C420/06, Jager, Racc. pag. I1315, punto 59).

 

62      Pertanto, occorre risolvere la questione deferita dichiarando che la direttiva 2008/115, in particolare i suoi artt. 15 e 16, deve essere interpretata nel senso che essa osta ad una normativa di uno Stato membro, come quella in discussione nel procedimento principale, che preveda l’irrogazione della pena della reclusione al cittadino di un paese terzo il cui soggiorno sia irregolare per la sola ragione che questi, in violazione di un ordine di lasciare entro un determinato termine il territorio di tale Stato, permane in detto territorio senza giustificato motivo.

 

 Sulle spese 

 

63      Nei confronti delle parti nel procedimento principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

 

Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara:

 

La direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 16 dicembre 2008, 2008/115/CE, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, in particolare i suoi artt. 15 e 16, deve essere interpretata nel senso che essa osta ad una normativa di uno Stato membro, come quella in discussione nel procedimento principale, che preveda l’irrogazione della pena della reclusione al cittadino di un paese terzo il cui soggiorno sia irregolare per la sola ragione che questi, in violazione di un ordine di lasciare entro un determinato termine il territorio di tale Stato, permane in detto territorio senza giustificato motivo.

 

Firme

 

 

 


 

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio.
Guida ad una migliore trasposizione e applicazione della direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e soggiornare liberamente all'interno del territorio degli Stati membri (2 luglio 2009)

 

 

 

 


Allegato

 


 

 

 

 

 

 



[1]     L. 18 aprile 2005, n. 62, Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alla Comunità europea – Legge comunitaria 2004.

[2]     D.P.R. 18 gennaio 2002, n. 54, Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di circolazione e soggiorno dei cittadini degli Stati membri dell’Unione europea (Testo A).

[3]     Il 31 ottobre 2007, una donna veniva aggredita e uccisa a Roma da un cittadino rumeno.

[4]    D.L. 1o novembre 2007, n. 181, Disposizioni urgenti in materia di allontanamento dal territorio nazionale per esigenze di pubblica sicurezza.

[5]    D.L. 29 dicembre 2007, n. 249, Misure urgenti in materia di espulsioni e di allontanamenti per terrorismo e per motivi imperativi di pubblica sicurezza.

[6]     D.Lgs. 28 febbraio 2008, n. 32, Modifiche e integrazioni al decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 30, recante attuazione della direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri.

[7]     Si veda il comunicato del Ministero dell’interno del 1° agosto 2008 (www.interno.it).

[8]     La proroga è stata inserita nel disegno di legge di conversione del D.L. 112/2008 (L. 133/2008).

[9]    Direttiva n. 2004/38 CE, sul diritto dei cittadini dell’Unione europea e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri. Pubblicazione delle linee guida della Commissione europea. Chiarimenti sulla copertura sanitaria richiesta ai fini del soggiorno del cittadino dell’Unione e sulla nozione di "risorse economiche sufficienti al soggiorno".

[10]   Circolare del Ministero dell’Interno del 24 febbraio 2003, Disposizioni in merito al rinnovo dei permessi di soggiorno per motivi umanitari.

[11]    Come si legge nella relazione illustrativa: “Ad eccezione della prestazione di garanzie finanziarie, tutte le altre prescrizioni (consegna del passaporto, obbligo di dimora, obbligo di presentazione presso un ufficio di polizia) sono soggette alla convalida del giudice di pace, analogamente a quanto già previsto in materia di prescrizioni applicate ai soggetti sia destinatari del divieto di accesso ai luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive specificatamente individuate (art. 6 della legge 13 dicembre 1989, n. 401) sia segnalati per uso personale di sostanze stupefacenti (art. 75-bis del Testo unico n.309 del 1990 in materia di stupefacenti)”.

[12]    La Corte costituzionale ha esteso il divieto di espulsione anche coniuge della donna in stato di gravidanza (sen. 376/2000).

[13]    Causa C-408/03 Commissione/Belgio (punto 40 e ss.).

[14]    Causa C-424/98 Commissione/ Italia (punto 37).

[15]    Articolo 14, paragrafo 3.

[16]    Causa C-503/03 Commissione/ Spagna (punto 42).

[17]    Articolo 8, paragrafo 5, e articolo 10, paragrafo 2.

[18]    Il regolamento (CE) n. 1030/2002 del Consiglio che istituisce un modello uniforme per i permessi di soggiorno rilasciati a cittadini di paesi terzi non si applica ai cittadini di paesi terzi che siano familiari di cittadini dell'Unione che esercitano il loro diritto alla libera circolazione (articolo 5) e articolo 21 della convenzione di applicazione dell'accordo di Schengen.

[19]    Cause 139/85 Kempf (punto 13) e C-33/07 Jipa (punto 23).

[20]    Cause 36/75 Rutili (punto 27), 30/77 Bouchereau (punto 33) e C-33/07 Jipa (punto 23).

[21]    Cause 115/81 Adoui e Cornuaille (punti 5-9) e C-268/99 Jany (punto 61).

[22]    Causa 48/75 Royer (punto 51).

[23]    Tutti i criteri sono cumulativi.

[24]    Cause C-33/07 Jipa (punto 25) e C-503/03 Commissione/Spagna (punto 62).

[25]    Causa 67/74 Bonsignore (punti 5-7).

[26]    La prevenzione generale in circostanze specifiche, ad esempio eventi sportivi, è trattata nella comunicazione del 1999 relativa ai provvedimenti speciali in tema di circolazione e residenza dei cittadini dell'Unione giustificati da motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica (COM(1999)372).

[27]    Cause C-348/96 Calfa (punti 17-27) e 67/74 Bonsignore (punti 5-7).

[28]    Causa C-408/03 Commissione/Belgio (punti 68-72).

[29]    Causa 30/77 Bouchereau (punti 25-30).

[30]    Cause C-482/01 e C-493/01 Orfanopoulos e Oliveri (punto 82).

[31]    Causa 41/74 van Duyn (punto 17 e ss.).

[32]    Ibid

[33]    Cause C-482/01 e 493/01 Orfanopoulos e Oliveri (punti 82 e 100) e C-50/06 Commissione/Paesi Bassi (punti 42-45).

[34]    Ad esempio il rischio di recidiva può considerarsi maggiore in presenza di tossicodipendenza, che comporta il rischio che vengano commessi altri reati per il finanziamento di quest’ultima. (conclusioni dell'avvocato generale Stix-Hackl nelle cause riunite C-482/01 e C-493/01 Orfanopoulos e Oliveri).

[35]    Causa C-349/06 Polat (punto 35).

[36]    Conclusioni dell'avvocato generale Stix-Hackl nella causa C-441/02 Commissione/Germania.

[37]    Causa 36/75 Rutili (punti 37-39).