Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento istituzioni | ||
Titolo: | Attuazione di obblighi comunitari - D.L. 135/2009 ' A.C. 2897 - Schede di lettura | ||
Riferimenti: |
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Serie: | Progetti di legge Numero: 241 | ||
Data: | 09/11/2009 | ||
Descrittori: |
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Organi della Camera: | I-Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni | ||
Altri riferimenti: |
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Camera dei deputati |
XVI LEGISLATURA |
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Documentazione per l’esame di |
Attuazione di obblighi comunitari D.L. 135/2009 – A.C. 2897 |
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n. 241 |
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9 novembre 2009 |
Servizio responsabile: |
Servizio Studi
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Hanno partecipato alla redazione del dossier i seguenti Servizi e Uffici: |
Segreteria Generale – Ufficio Rapporti con l’Unione europea ( 066760-2145 – * cdrue@camera.it |
§ La nota di sintesi e le schede di lettura sono state redatte dal Servizio Studi. § Le parti relative ai documenti all’esame delle istituzioni dell’Unione europea e alle procedure di contenzioso sono state curate dall'Ufficio rapporti con l'Unione europea.
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Coordinamento: Dipartimento Istituzioni
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File: D09135.doc |
INDICE
§ Articolo 4, comma 5-bis (Regime di sostegno per la cogenerazione ad alto rendimento)
§ Articolo 8-bis (Destinazione di risorse al Centro nazionale trapianti)
§ Articolo 16 (Made in Italy e prodotti interamente italiani)
§ Articolo 17 (6° Censimento generale dell'agricoltura)
§ Articolo 17-bis (Disposizioni in materia di fascicolo aziendale delle imprese di pesca)
§ Articolo 18 (Disposizioni in materia di prelievo mensile)
Articolo 1
(Modifiche
al decreto legislativo 24 giugno 2003, n. 209, recante attuazione della
direttiva 2000/53/CE relativa ai veicoli fuori uso. Procedura d'infrazione
2204/2003 ex articolo 228 TCE)
1. Al decreto legislativo 24 giugno 2003, n. 209, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modifiche:
a) all’articolo 5, il comma 15 e` sostituito dal seguente:
«15. Le imprese esercenti attivita` di autoriparazione, di cui alla legge 5 febbraio 1992, n. 122, e successive modificazioni, devono consegnare, ove cio` sia tecnicamente fattibile, ad un centro di raccolta di cui al comma 3, direttamente, qualora iscritti all’Albo nazionale dei gestori ambientali, ovvero avvalendosi di un operatore autorizzato alla raccolta ed al trasporto di rifiuti, i pezzi usati allo stato di rifiuto derivanti
dalle riparazioni dei veicoli, ad eccezione di quelle per cui e` previsto dalla legge un consorzio obbligatorio di raccolta.»;
b) all’articolo 10, dopo il comma 1 e` inserito il seguente:
«1-bis. Fermo restando il rispetto delle norme vigenti in materia di riservatezza commerciale ed industriale, il produttore dei componenti del veicolo mette a disposizione dei centri di raccolta di cui all’articolo 3 comma 1, lettera p), adeguate informazioni sulla demolizione, sullo stoccaggio e sulla verifica dei componenti che possono essere reimpiegati.».
L’articolo in esame apporta ulteriori modifiche al decreto legislativo 24 giugno 2003, n. 209, recante attuazione della direttiva 2000/53/CE relativa ai veicoli fuori uso, al fine di superare alcuni rilievi mossi dalla Commissione europea.
Si ricorda, infatti, che le ultime modifiche al D.Lgs. 209/2003, anch’esse conseguenti alla condanna del nostro Paese da parte della Corte di giustizia con la sentenza del 24 maggio 2007 - causa C-394/05, sono state introdotte dall’art. 7 del decreto-legge 59/2008.
La Commissione europea ha avviato nei confronti dell’Italia una nuova procedura d’infrazione per inadempimento degli obblighi di esecuzione della citata sentenza della Corte di giustizia del 24 maggio 2007 nella causa C-394/05 che, come evidenziato nella relazione illustrativa al decreto-legge, potrebbe portare ad un “nuovo ricorso innanzi alla Corte di giustizia delle Comunità europee, per vedere accertato l’ulteriore inadempimento dello Stato italiano, con conseguente possibile irrogazione di pesanti sanzioni pecuniarie”.
Le disposizioni recate dall’art. 1 sono volte, pertanto, a porre rimedio alle difformità rilevate nella citata sentenza.
Si ricorda, infatti, che il D.Lgs. 209/2003 ha dato attuazione (seppur tardiva) alla direttiva comunitaria 2000/53/CE, introducendo nell’ordinamento nazionale una nuova disciplina in materia di gestione di rifiuti costituiti da veicoli fuori uso, dai loro componenti e materiali e dai pezzi di ricambio.
In seguito all’emanazione del D.Lgs. 209/2003, la Commissione europea ha avviato una procedura di infrazione (n. 2204/2003) per il recepimento non corretto delle disposizioni contenute nella direttiva 2000/53/CE, procedura illustrata nell’ultimo paragrafo di questa scheda.
Con l’art. 1, comma 5, del decreto-legge 115/2005, convertito, con modificazioni dalla legge 168/2005, al fine di recepire i rilievi formulati nel parere motivato complementare inviato dalla Commissione europea allo Stato italiano nell’ambito della procedura d’infrazione, il Governo è stato delegato ad adottare disposizioni integrative e correttive del decreto n. 209. Tali disposizioni sono state quindi adottate con il DLgs. 149/2006.
Nello specifico, la prima modifica di cui alla lettera a) del comma 1 del decreto in esame, sostituendo il comma 15 dell’art. 5 del decreto legislativo n. 209/2003, introduce due diverse modalità di consegna - da parte delle imprese di autoriparazione - dei pezzi usati allo stato di rifiuto derivanti dalle riparazioni dei veicoli:
§ direttamente ad un centro di raccolta organizzato dai produttori dei veicoli qualora le stesse imprese siano iscritte all'Albo nazionale dei gestori ambientali;
§ avvalendosi, negli altri casi, di un operatore autorizzato alla raccolta ed al trasporto di rifiuti, ad eccezione di quelle imprese per cui è previsto dalla legge un consorzio obbligatorio di raccolta.
Pertanto con tale modifica viene limitata la possibilità di consegna diretta ai centri di raccolta organizzati dai produttori di veicoli, riservandola alle sole officine iscritte all'Albo nazionale dei gestori ambientali, mentre le altre officine saranno obbligate a rivolgersi ad un operatore autorizzato alla raccolta ed al trasporto di rifiuti.
Il testo vigente del comma 15, come recentemente novellato dal citato art. 7 del decreto-legge 59/2008, prevedeva che le imprese esercenti attività di autoriparazione dovessero consegnare i pezzi derivanti dalle riparazioni dei veicoli ad un centro di raccolta organizzato dai produttori dei veicoli (ad eccezione dei pezzi per cui è previsto dalla legge un consorzio obbligatorio di raccolta), invece che ad un operatore autorizzato come disposto dal testo originario del decreto legislativo n. 209/03.
La relazione illustrativa sottolinea come la Commissione europea avesse contestato l’errato recepimento dell’art. 5, paragrafo 1, della direttiva ad opera dell’art. 5, comma 15, del D.Lgs. 209/2003, come da ultimo modificato, “in quanto tale ultima previsione, ponendo l’obbligo di consegna ai centri di raccolta dei pezzi usati asportati al momento della riparazione solo in capo alle imprese di autoriparazione, restringerebbe il campo di applicazione della direttiva”.
Da ultimo la modifica di cui alla lettera a) del comma 1 corregge anche il riferimento legislativo utilizzato all’interno del comma 15 per individuare le imprese di autoriparazione, sostituendo il riferimento al D.Lgs. n. 22/1997 “cd. decreto Ronchi” con la legge sulle attività di autoriparazione n. 122/1992.
La seconda modifica di cui alla lettera b) del comma 1, attraverso l’introduzione di un comma aggiuntivo - comma 1-bis - all’art. 5 del D.Lgs. n. 209/2003, dispone l’obbligo, per il produttore dei componenti del veicolo, di mettere a disposizione dei centri di raccolta - come definiti dall’art. 3, comma 1, lett. p) - adeguate informazioni sulla demolizione, sullo stoccaggio e sulla verifica dei componenti che possono essere reimpiegati, fermo restando il rispetto delle norme vigenti in materia di riservatezza commerciale ed industriale.
Nella relazione illustrativa si sottolinea che la Commissione europea ha contestato, tra l’altro, la mancata trasposizione dell’art. 8, paragrafo 4, della direttiva a seguito dell’abrogazione dell’art. 10, comma 2, del D.Lgs. n. 209 da parte dell’art. 7 del D.Lgs. 149/2006.
Conseguentemente la modifica in esame è volta a reintrodurre la disposizione dell’abrogato art. 10, comma 2, del D.Lgs. n. 209/03 al fine di rispondere alla contestazione in sede comunitaria.
Si fa notare, inoltre, che a differenza del testo soppresso, il nuovo comma 1-bis specifica che i centri di raccolta sono quelli di cui all'art. 3, comma 1, lett. p), ovvero un impianto di trattamento che effettua almeno le operazioni relative alla messa in sicurezza ed alla demolizione del veicolo fuori uso. La citata sentenza della Corte di giustizia aveva, infatti, rilevato che l'utilizzo della locuzione "centri di raccolta" anziché "impianti di trattamento autorizzati" avrebbe potuto ingenerare una confusione con i centri di raccolta di cui all'art. 5, comma 3, del D.Lgs. n.209/03, ovvero quelli che sono tenuti ad organizzare i produttori di veicoli per il ritiro dei pezzi usati dopo la lavorazione nelle officine di riparazione.
In materia di obblighi di informazione si ricorda, inoltre, che l’art. 8, paragrafo 4, della direttiva 2000/53/CE prevede che, fatta salva la riservatezza commerciale e industriale, gli Stati membri debbano garantire che i produttori di componenti utilizzati nei veicoli mettano a disposizione degli impianti di trattamento autorizzati le informazioni appropriate in materia di demolizione, stoccaggio e verifica dei componenti che possono essere riutilizzati, per quanto richiesto da tali impianti.
Anche l’art. 9 della stessa direttiva dispone che gli Stati membri debbano prevedere che gli operatori economici interessati pubblichino informazioni:
- sulla costruzione dei veicoli e dei loro componenti che possono essere recuperati e riciclati,
- sul trattamento ecologicamente sano dei veicoli fuori uso, in particolare sulla rimozione di tutti i liquidi e sulla demolizione,
- sullo sviluppo e sull'ottimizzazione delle possibilità di reimpiego, riciclaggio e recupero dei veicoli fuori uso e dei loro componenti,
- sui progressi conseguiti per quanto riguarda il recupero e il riciclaggio al fine di ridurre i rifiuti da smaltire e di aumentare il tasso di recupero e di riciclaggio.
Da ultimo si ricorda che, nella specifica materia dei pneumatici usati, è stata approvata, il 20 gennaio 2009[1], presso la VIII Commissione (Ambiente), la risoluzione 7-00052 Mariani, al fine di realizzare un sistema capace di assicurare elevati standard nella raccolta, nel recupero e nel riciclaggio dei pneumatici e, più in generale, dei materiali provenienti dai veicoli fuori uso.
Il D.Lgs. 209/2003
Raccolta
Il D.Lgs. 209/2003 conferma il ruolo centrale dei centri di raccolta (già previsti dal decreto Ronchi) nei quali devono essere consegnati dal detentore (oppure dal concessionario o gestore della succursale della casa costruttrice o dell’automercato, nel caso in cui il detentore intenda cedere il veicolo per acquistarne un altro) i veicoli destinati alla demolizione (art. 5), diventando così il fulcro dell’intero sistema di recupero e smaltimento dei veicoli fuori uso. Lo stesso decreto ha previsto che siano gli stessi produttori di veicoli a organizzare una rete di centri di raccolta dei veicoli “fuori uso” opportunamente distribuiti sul territorio nazionale.
L’art. 5, comma 7, prevede inoltre il rilascio al detentore, da parte del titolare del centro di raccolta (che si assume così tutte le responsabilità, civili, penali e amministrative, legate alla gestione del veicolo a fine vita), di apposito certificato di rottamazione conforme ai requisiti di cui all'allegato IV, completato dalla descrizione dello stato del veicolo consegnato, nonché dall'impegno a provvedere alla cancellazione dal PRA e al trattamento del veicolo.
Il D.Lgs. precisa, altresì, i casi in cui un veicolo è classificato “fuori uso” e, quindi, deve essere trattato come rifiuto ai sensi della legislazione vigente in materia (art. 3, commi 2 e 3).
Trattamento
Come rilevato in dottrina, “se fino a qualche anno fa il trattamento dei veicoli finalizzato alla demolizione era un processo semplice e veloce, ora gli impianti dovranno prevedere specifici e complessi cicli di lavoro al fine di garantire un’adeguata protezione dell’ambiente anche in fase di chiusura e cessazione dell’attività”[2] (art. 6, comma 3).
Riciclaggio e recupero
La finalità, mutuata dalla direttiva, di prevenire la produzione di rifiuti, viene perseguita mediante la fissazione di precisi ed elevati obiettivi percentuali di riciclaggio e recupero[3] da raggiungere in due successive scadenze temporali: al 1° gennaio 2006 e al 1° gennaio 2015. Nella stessa direzione vanno le norme volte alla limitazione dell’uso di sostanze pericolose nella costruzione dei veicoli (l’art. 9 prevede infatti il divieto, dal 1° luglio 2003, di produrre o immettere sul mercato materiali e componenti di veicoli contenenti piombo, mercurio, cadmio o cromo esavalente), nonché ad incentivare una progettazione dei veicoli che ne agevoli la demolizione (art. 10).
Controlli e sanzioni
Ulteriori disposizioni sono dettate per aumentare i controlli della pubblica amministrazione (in particolare l’art. 6, comma 5, subordina l'ammissione delle attività di recupero dei rifiuti derivanti da veicoli fuori uso alle procedure semplificate, ad una preventiva ispezione da parte della provincia competente per territorio) e per incentivare il ricorso a sistemi di gestione ambientale (art. 6, comma 8, e art. 15, comma 6). L’intera disciplina introdotta è poi supportata da disposizioni di carattere sanzionatorio (art. 13) indirizzate a tutti i soggetti coinvolti dal decreto e più severe rispetto a quelle previste in precedenza.
Il 19 marzo 2009 la Commissione europea ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora ai sensi dell’articolo 228 del Trattato istitutivo della Comunità europea (procedura di infrazione n. 2003/2204) per non completa esecuzione della sentenza di condanna emessa dalla Corte di giustizia delle Comunità europee il 24 maggio 2007 nella causa C-394/05.
La Commissione contesta all’Italia che le disposizioni contenute nel d.lgs. n. 209/03, che dà attuazione della direttiva comunitaria 2000/53/CE introducendo nell’ordinamento nazionale una nuova disciplina in materia di gestione di rifiuti costituiti da veicoli fuori uso, dai loro componenti e materiali e dai pezzi di ricambio, così come modificate dal D.Lgs. n. 149/2006 e dalla L. 6 giugno 2008, n 101 non consentono alla Commissione di considerare adempiuti gli obblighi di esecuzione della sentenza.
In particolare, la Commissione osserva che:
· per ciò che riguarda la raccolta delle parti usate asportate al momento della riparazione, il comma 15 dell’art. 5, comma 3, del D.Lgs 209/03, come modificato, restringe il campo di applicazione dell’obbligo di consegna ai centri di raccolta dei pezzi usati solo alle imprese di autoriparazione previste dal D.Lgs 22/1997, osservando che non tutte le imprese che esercitano attività di autoriparazione sono necessariamente operatori autorizzati alla gestione dei rifiuti ai sensi del citato D.lgs 22/1997. Tali considerazioni sono ritenute valide dalla commissione anche per i veicoli a tre ruote;
· la Commissione contesta all’Italia di non avere comunicato agli altri Stati membri – come previsto dalla direttiva – le ragioni che l’hanno portata a fissare per i veicoli prodotti anteriormente al 1° gennaio 1980 una percentuale di reimpiego e recupero inferiore a quella stabilita dalla normativa comunitaria;
· quanto all’obbligo per i produttori di componenti di fornire agli impianti di trattamento autorizzati le informazioni in materia di demolizione, previsto dall’articolo 8, comma 4 della direttiva, la Commissione rileva che il recepimento di tale ultima disposizione all’articolo 10, comma 2 del D.Lgs 209/03, sarebbe venuto meno alla luce della soppressione del medesimo articolo 10 stabilita dall’articolo 7 del D.Lgs. 149/2006, mantenendo in uno stato di non conformità la trasposizione di tale disposizione nell’ordinamento italiano.
La Commissione ricorda che, in base all’articolo 228 TCE, qualora l’Italia persista nell’inottemperanza, la procedura proseguirà con l’invio di un parere motivato e, nel caso in cui non siano rispettati i termini fissati dalla Commissione per l’adozione dei provvedimenti di esecuzione della sentenza, la Commissione ha infine la facoltà diadire la Corte di giustizia, precisando nel ricorso l'importo della somma forfetaria o della penalità. La Corte di giustizia, qualora accolga il ricorso della Commissione, pronuncia una sentenza di condanna nei confronti dello Stato medesimo.
Articolo 2
(Modifiche
all’articolo 37 del decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 188, recante
attuazione della direttiva 2001/12/CE, della direttiva 2001/13/CE e della
direttiva 2001/14/CE in materia ferroviaria – Procedura di infrazione 2008/2097
– Disposizioni relative all’Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie –
direttiva 2004/49/CE)
1. All’articolo 37 del decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 188, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 1, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «E’ inoltre funzionalmente indipendente da qualsiasi autorità competente preposta all’aggiudicazione di un contratto di servizio pubblico.»;
b) dopo il comma 1 è inserito il seguente:
«1-bis. Ai fini di cui al comma l, all’ufficio del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti che svolge le funzioni di organismo di regolazione sono assegnate le risorse umane, strumentali e finanziarie necessarie per lo svolgimento dei propri compiti, nell’ambito delle risorse stanziate nel bilancio di previsione della spesa del predetto Ministero.»;
c) dopo il comma 6 e` inserito il seguente:
«6-bis. L’organismo di regolazione, osservando, in quanto applicabili, le disposizioni contenute nel capo I, sezioni I e II, della legge 24 novembre 1981, n. 689, provvede:
a) in caso di accertate violazioni della disciplina relativa all’accesso ed all’utilizzo dell’infrastruttura ferroviaria e dei servizi connessi, ad irrogare una sanzione amministrativa pecuniaria fino ad un massimo dell’uno per cento del fatturato relativo ai proventi da mercato realizzato dal soggetto autore della violazione nell’ultimo esercizio chiuso anteriormente all’accertamento della violazione stessa e, comunque, non superiore a euro 1.000.000;
b) in caso di inottemperanza ai propri ordini e prescrizioni, ad irrogare una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 100.000 ad euro 500.000;
c) qualora i destinatari di una richiesta dell’organismo non forniscano le informazioni o forniscano informazioni inesatte, fuorvianti o incomplete, ovvero senza giustificato motivo non forniscano le informazioni nel termine stabilito, ad irrogare una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 50.000 a euro 250.000;
d) in caso di reiterazione delle violazioni di cui alle lettere a), b) e c), ad irrogare una sanzione fino al doppio della sanzione massima prevista per ogni violazione.»;
d) il comma 7 è sostituito dal seguente:
«7. Sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie relative alle sanzioni amministrative di cui al presente articolo ed ai provvedimenti adottati dall’organismo di regolazione».
2. Nel limite delle risorse finanziarie di cui all’articolo 26 del decreto legislativo 10 agosto 2007, n. 162, nel limite del numero di unità di personale compatibile con l’applicazione del trattamento giuridico ed economico del personale dell’Agenzia nazionale per la sicurezza del volo nell’ambito delle suddette risorse, e fino alla definizione del comparto di contrattazione collettiva ai sensi dell’articolo 4, comma 6, lettera a), dello stesso decreto, al personale dell’Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie si applica il trattamento giuridico ed economico del personale dell’Agenzia nazionale per la sicurezza del volo. Con delibera dell’Agenzia sono definiti, avuto riguardo al contenuto delle corrispondenti professionalità, i criteri di equiparazione fra le qualifiche e le posizioni economiche del personale provvisoriamente assegnato all’Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie e quelle previste per il personale dell’Agenzia nazionale per la sicurezza del volo, nonche´ l’equiparazione tra i profili delle due Agenzie. La delibera e` approvata con decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze ed il Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
2-bis. All’articolo 4-bis, comma 1, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, le parole: “paragrafi 2, 4, 5 e 6” sono sostituite dalle seguenti: “paragrafi 2, 4 e 5”.
3. Dall’attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi ed ulteriori oneri a carico del bilancio dello Stato.
L'articolo 2, comma 1, è finalizzato a superare i rilievi formulati dalla Commissione europea nella lettera di messa in mora inviata al Governo italiano il 26 giugno 2008, nell’ambito della procedura d'infrazione 2008/2097, avente ad oggetto alcune norme del d.lgs. n. 188/2003 (Attuazione della direttiva 2001/12/CE, della direttiva 2001/13/CE e della direttiva 2001/14/CE in materia ferroviaria), specificamente illustrata nell’ultimo paragrafo di questa scheda. Le questioni sollevate dalla Commissione riguardano, in particolare, i requisiti di indipendenza del soggetto regolatore da ogni impresa ferroviaria nell'esercizio delle funzioni essenziali, il sistema di regolazione tariffaria dell'accesso ferroviario e le funzioni attribuite all'organismo di regolazione.
Va ricordato che, ai sensi dell’art. 37, comma 1, del d.lgs. n. 188/2003, l’organismo di regolazione, individuato nel Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, vigila sulla concorrenza nei mercati dei servizi ferroviari, agisce in piena indipendenza dall’organismo che determina i canoni di accesso, dall’organismo preposto all’assegnazione della capacità e dai soggetti richiedenti .
Il comma 1 in esame interviene pertanto a modificare l’articolo 37 del citato d.lgs. n. 188/2003. La lettera a) modifica il comma 1 sopra illustrato, precisando che l’organismo di regolazione è funzionalmente indipendente da qualsiasi autorità competente preposta all'aggiudicazione di un contratto di servizio pubblico.
La lettera b) inserisce un comma 1-bis, con il quale si prevede che siano conferite all'ufficio del Ministero che svolge le funzioni di organismo di regolazione le risorse umane, strumentali e finanziarie necessarie per lo svolgimento dei propri compiti, tra cui i sistemi di tariffazione dell'accesso alla rete. La Commissione aveva infatti rilevato nella lettera di messa in mora, l’esigenza di dotare l’organismo di risorse adeguate all’adempimento delle funzioni ad esso assegnate.
La lettera c) inserisce un comma 6-bis al medesimo articolo 37, al fine di integrare – come richiesto nelle lettera della Commissione europea – le competenze dell’organismo di regolazione, in materia di poteri sanzionatori. Il comma 6-bis, in particolare, prevede pertanto che l’organismo possa irrogare le seguenti sanzioni:
- in caso di accertate violazioni della disciplina relativa all'accesso ed all'utilizzo dell'infrastruttura ferroviaria, sanzione amministrativa pecuniaria fino ad un massimo dell'uno per cento del fatturato relativo ai proventi da mercato e, comunque, non superiore a euro 1.000.000;
- in caso di inottemperanza a propri ordini e prescrizioni, sanzione amministrativa pecuniaria da euro 100.000 ad euro 500.000;
- qualora i destinatari di una richiesta dell'organismo non forniscano le informazioni o forniscano informazioni inesatte, fuorvianti o incomplete, ovvero senza giustificato motivo non forniscano le informazioni nel termine stabilito, sanzione amministrativa pecuniaria da euro 50.000 a euro 250.000;
- in caso di reiterazione delle predette violazioni, sanzione fino al doppio della sanzione massima prevista per ogni violazione.
Infine, la lettera d), sostituendo il comma 7 dello stesso articolo 37, prevede che le controversie relative alle sanzioni amministrative ed ai provvedimenti adottati dall'organismo di regolazione siano devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
Va ricordato che il testo previgente del comma 7 conteneva un generica previsione di impugnabilità delle decisioni dell’organismo in questione stabilendo che “avverso le determinazioni dell'organismo di regolazione e' ammesso il sindacato giurisdizionale”.
Il comma 2 dell’articolo in esame introduce norme concernenti il personale dell’Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie, istituita, in attuazione della direttiva 2004/49/CE, dal d.lgs. n. 162/2007. Per il personale dell’Agenzia, l’art. 4, comma 6, di tale decreto prevede che alla definizione del comparto di contrattazione collettiva si provveda con regolamento del Ministero delle infrastrutture e trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione. Il comma in esame dispone che, fino alla definizione del comparto di contrattazione collettiva, si applichi al personale dell’Agenzia il trattamento giuridico ed economico del personale dell'Agenzia nazionale per la sicurezza del volo, nei limiti delle risorse finanziarie di cui all'articolo 26 del medesimo decreto.
Si ricorda in proposito che l’articolo 26 prevede che le risorse per il funzionamento dell’Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie sono costituite: da un fondo alimentato con trasferimenti statali nei limiti di 11.900.000 euro annui; dalle entrate proprie dell’Agenzia; da un incremento dell’1% dei canoni di accesso alla rete ferroviaria, corrisposti dalle imprese ferroviarie a RFI S.p.A .
Va inoltre ricordato che al personale dell'Agenzia nazionale per la sicurezza del volo e' attribuito - ai sensi dell’art. 8 del d.lgs. n. 66/1999 - il trattamento giuridico ed economico stabilito per le corrispondenti qualifiche dell'Ente nazionale per l'aviazione civile - ENAC.
Viene peraltro precisato che tale equiparazione è consentita nel limite del numero di unità di personale compatibile con l'applicazione del trattamento spettante al personale dell'Agenzia nazionale per la sicurezza del volo.
Con delibera dell'Agenzia, approvata con decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministero dell'economia ed il Dipartimento della funzione pubblica, si dovranno definire i criteri di equiparazione fra le qualifiche e le posizioni economiche del personale provvisoriamente assegnato all'Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie e quelle previste per il personale dell'Agenzia nazionale per la sicurezza del volo, nonche' l'equiparazione tra i profili delle due Agenzie.
Il comma 2-bis – introdotto dal Senato – modifica l’art. 4-bis del decreto legge n. 78/2009, convertito dalla legge n. 102/2009, in materia di affidamento di servizi pubblici di trasporto. Tale articolo prevede un limite territoriale alle forniture di servizi di trasporto pubblico locale, facendo divieto alle società aggiudicatarie ai sensi dell'art. 5, paragrafi 2, 4, 5, 6 e 8, paragrafo 2, del Regolamento n. 1370/2007 CE, di partecipare a medesime procedure di gara in ambiti territoriali diversi da quelli in cui svolgono il servizio. Il comma in esame sopprime il riferimento al paragrafo 6 del citato art. 5. Tale paragrafo dispone che le autorità competenti hanno facoltà di aggiudicare direttamente i contratti di servizio pubblico di trasporto per ferrovia, fatta eccezione per altri modi di trasporto su rotaia quali metropolitana o tram, e che la durata dei contratti non deve superare i dieci anni. Per effetto di tale modifica, pertanto, il divieto di partecipazione a gare in ambiti territoriali diversi da quelli in cui svolgono il servizio viene meno per le imprese aggiudicatarie di contratti pubblico di trasporto per ferrovia. Il predetto divieto resta invece operante per le imprese considerate ai paragrafi 2, 4 e 5 dell’art. 5 e paragrafo 2 dell’art. 8.
Si ricorda in proposito quanto previsto da tali disposizioni. L’articolo 5, paragrafo 2 prevede che le autorità competenti a livello locale abbiano facoltà di fornire esse stesse servizi di trasporto pubblico di passeggeri o di procedere all'aggiudicazione diretta di contratti di servizio pubblico a un soggetto giuridicamente distinto su cui l'autorità competente a livello locale, o, nel caso di un gruppo di autorità, almeno una di esse, esercita un controllo analogo a quello che esercita sulle proprie strutture. Ai sensi del paragrafo 4 le autorità competenti hanno facoltà di aggiudicare direttamente i contratti di servizio pubblico il cui valore annuo medio stimato è inferiore a 1.000.000 EUR oppure che riguardano la fornitura di servizi di trasporto pubblico di passeggeri inferiore a 300.000 chilometri l'anno. Il paragrafo 5 prevede che l'autorità competente possa prendere provvedimenti di emergenza in caso di interruzione del servizio o di pericolo imminente di interruzione. I provvedimenti di emergenza assumono la forma di un'aggiudicazione diretta di un contratto di servizio pubblico o di una proroga consensuale di un contratto di servizio pubblico oppure di un'imposizione dell'obbligo di fornire determinati servizi pubblici. L'operatore di servizio pubblico ha il diritto di impugnare la decisione che impone la fornitura di determinati servizi pubblici. I contratti di servizio pubblico aggiudicati o prorogati con provvedimento di emergenza o le misure che impongono di stipulare un contratto di questo tipo hanno una durata non superiore a due anni. L’art. 8, paragrafo 2, dispone infine che l'aggiudicazione di contratti di servizio pubblico di trasporto per ferrovia o su strada si conformi alle norme del citato articolo 5 a decorrere dal 3 dicembre 2019 e che, durante il periodo transitorio, gli Stati membri adottino misure per adeguarsi gradualmente all'articolo 5, al fine di evitare gravi problemi strutturali, in particolare per quanto riguarda la capacità di trasporto.
Il 26 giugno 2008 la Commissione ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora (procedura n. 2008/2097) per la non corretta trasposizione delle direttive 91/440/CEE,relativa allo sviluppo delle ferrovie comunitarie, e 2001/14/CE, relativa alla ripartizione della capacità di infrastruttura ferroviaria, all'imposizione dei diritti per l'utilizzo dell'infrastruttura ferroviaria e alla certificazione di sicurezza.
I rilievi formulati dalla Commissione riguardano:
· la violazione del principio dell’indipendenza delle funzioni essenziali fissato dalle direttive 91/440/CEE (articolo 6, paragrafi 1-3, e allegato II) e 2001/14/CE (considerando 11 e 16, articolo 4, paragrafo 2, e articolo 14, paragrafo 2) inteso a garantire un accesso equo e non discriminatorio alle infrastrutture ferroviarie a tutte le imprese e a promuovere un mercato europeo dei trasporti ferroviari competitivo.
In particolare, le disposizioni in questione stabiliscono che le funzioni relative alla preparazione e all’adozione delle decisioni riguardanti le licenze delle imprese ferroviarie, l’assegnazione delle linee ferroviarie e l’imposizione dei diritti per l’utilizzo dell’infrastruttura nonché il controllo del rispetto degli obblighi di servizio pubblico previsti nella prestazione di taluni servizi devono essere svolte da enti o società indipendenti economicamente e sul piano decisionale ed organizzativo nonché giuridicamente distinte dalla società che fornisce servizi di trasporto ferroviario. La Commissione osserva che, qualora le funzioni essenziali siano svolte da una controllata della holding ferroviaria, è necessario verificare in che misura e a quali condizioni quest’ultima possa essere considerata indipendente dalla società che fornisce servizi ferroviari. Per quanto riguarda l’Italia, diverse funzioni essenziali, quali il calcolo dei diritti di accesso alla rete e l’assegnazione delle capacità, sono affidate alla Rete Ferroviaria italiana S.P.A. (RFI) che, sebbene giuridicamente indipendente, fa comunque parte della holding Ferrovie dello Stato che comprende anche l’operatore ferroviario Trenitalia. In seguito ad un’attenta analisi della normativa italiana e sulla base delle osservazioni presentate dal Governo italiano, la Commissione ritiene che non esistano garanzie sufficienti di indipendenza di RFI rispetto a Ferrovie dello Stato considerato che non viene garantita l’indipendenza dalla holding del consiglio di amministrazione e del management dell’entità incaricata dello svolgimento delle funzioni essenziali.
· la non corretta trasposizione delle disposizioni della direttiva 2001/14/CE relative all’imposizione di diritti per l’accesso ferroviario contenute nei seguenti articoli:
- l’articolo 4, paragrafo 1, stabilisce che, nel pieno rispetto del principio dell’indipendenza di gestione, il gestore dell’infrastruttura determina i diritti dovuti per l’utilizzo dell’infrastruttura e provvede alla loro riscossione. Tale indipendenza gestionale consente al gestore dell’infrastruttura di avere entrate sufficienti per svolgere i propri compiti senza ingerenze da parte dello Stato. La Commissione rileva tuttavia che in Italia il gestore dell’infrastruttura può solo formulare una proposta, ma è il Ministero dei trasporti a determinare i diritti di accesso alla rete;
- l’articolo 7, paragrafo 3, e l’articolo 30, paragrafo 3, conformemente ai quali l’organismo di regolamentazione garantisce che i diritti determinati dal gestore dell’infrastruttura non siano discriminatori e che eventuali trattative tra i richiedenti e un gestore dell’infrastruttura sul livello dei diritti di utilizzo si svolgano sotto la supervisione dell’organismo di regolamentazione. I diritti per il pacchetto minimo di accesso e per l’accesso ai servizi sulla linea sono stabiliti al costo direttamente legato alla prestazione del servizio ferroviario. La Commissione rileva che la legislazione italiana non contempla disposizioni volte a recepire i suddetti articoli. Sebbene, secondo le osservazioni formulate dal Governo italiano, l’organismo di regolamentazione abbia il potere di verificare se i decreti emanati dal ministero sulla base dell’articolo 17 del decreto legislativo 188/2003 siano applicati correttamente dal gestore dell’infrastruttura, l’organismo di regolamentazione non ha il potere di verificare se nei decreti del ministero i diritti d’uso dell’infrastruttura siano fissati correttamente;
- l’articolo 8, paragrafo 3; secondo il quale al fine di impedire discriminazioni l’organismo di regolamentazione deve garantire che i diritti medi per usi equivalenti della sua infrastruttura siano comparabili e che i servizi comparabili siano soggetti agli stessi diritti. La Commissione osserva che l’organismo di regolamentazione italiano non dispone di tali poteri;
· la non corretta trasposizione dell’articolo 30 della direttiva 2001/14/CE in base al quale l’organismo di regolamentazione è indipendente, sul piano organizzativo, giuridico, decisionale e della strategia finanziaria, dai gestori dell’infrastruttura, dagli organismi preposti alla determinazione dei diritti e da quelli preposti all’assegnazione nonché dai richiedenti.
Per quanto riguarda la situazione italiana, la Commissione rileva che il Ministero dei Trasporti in veste di autorità di regolamentazione non è indipendente dalla società di gestione delle infrastrutture considerato che il principale operatore ferroviario sul mercato, Trenitalia, filiale operativa delle Ferrovie dello Stato, è una società di proprietà statale sotto la tutela del Ministero dei Trasporti. La direzione generale per il trasporto ferroviario del Ministero dei Trasporti esercita per conto dello Stato i poteri di azionista delle FS; pertanto i membri dell’organismo di regolamentazione sono funzionari dello stesso ministero che controlla o esercita un’influenza decisiva sulla holding ferroviaria e sull’impresa ferroviaria principale. Lo stesso ministero dei Trasporti svolge una funzione di supporto per il ministero dell’economia e delle finanze nell’esercizio delle sue funzioni di azionista dell’impresa ferroviaria ed è quindi nel suo interesse che l’azienda abbia un andamento positivo. Tale situazione, ad avviso della Commissione, crea un conflitto di interessi con la posizione dei funzionari che operano nella struttura dell’organismo di regolamentazione i quali devono garantire un trattamento non discriminatorio ai concorrenti dell’impresa ferroviaria statale.
La Commissione sottolinea, inoltre, che affinché l’organismo di regolamentazione possa essere indipendente, deve poter disporre di un bilancio sufficiente e deve poterlo gestire autonomamente, assumendo personale competente e in numero adeguato per svolgere i compiti di monitoraggio e trattare i reclami. A tale riguardo la Commissione ritiene che la modifica all’articolo 37 del decreto legislativo dell’8 luglio 2003, n. 188, di attuazione delle direttive 2001/12/CE, 2001/13/CE e 2001/14/CE, che assegna all’ufficio del Ministero dei Trasporti che svolge le funzioni di organismo di regolamentazione le risorse umane, strumentali e finanziarie necessarie per lo svolgimento dei propri compiti, potrebbe compromettere l’indipendenza dell’organismo di regolamentazione laddove stabilisce che le sue risorse finanziarie continueranno a dipendere dal bilancio di previsione del Ministero e che pertanto l’organismo di regolamentazione non potrà disporre di risorse proprie.
Articolo 3
(Modifiche
al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, recante codice dei contratti
pubblici relativi a lavori, servizi e forniture - Adeguamento alla sentenza
della Corte di Giustizia CE del 19 maggio 2009, resa nella causa C-538/07)
1. All’articolo 38, comma 1, del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, dopo la lettera m-ter) e` aggiunta, in fine, la seguente:
«m-quater) che si trovino, rispetto ad un altro partecipante alla medesima procedura di affidamento, in una situazione di controllo di cui all’articolo 2359 del codice civile, o in una qualsiasi relazione, anche di fatto, se la situazione di controllo o la relazione comporti che le offerte sono imputabili ad un unico centro decisionale.».
2. All’articolo 38, comma 2, del citato codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e` aggiunto, in fine, il seguente periodo:
«Ai fini del comma 1, lettera m-quater), i concorrenti allegano, alternativamente:
a) la dichiarazione di non essere in una situazione di controllo di cui all’articolo 2359 del codice civile con nessun partecipante alla medesima procedura;
b) la dichiarazione di essere in una situazione di controllo di cui all’articolo 2359 del codice civile e di aver formulato autonomamente l’offerta, con indicazione del concorrente con cui sussiste tale situazione; tale dichiarazione e` corredata dai documenti utili a dimostrare che la situazione di controllo non ha influito sulla formulazione dell’offerta, inseriti in separata busta chiusa. La stazione appaltante esclude i concorrenti per i quali accerta che le relative offerte sono imputabili ad un unico centro decisionale, sulla base di univoci elementi. La verifica e l’eventuale esclusione sono disposte dopo l’apertura delle buste contenenti l’offerta economica.».
3. L’articolo 34, comma 2, del citato codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e` abrogato.
4. All’articolo 49, comma 2, lettera e), del citato codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, le parole: «ne´ si trova in una situazione di controllo di cui all’articolo 34, comma 2, con una delle altre imprese che partecipano alla gara» sono soppresse.
4-bis. All’articolo 70, comma 11, lettera b) primo periodo, del citato codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e successive modificazioni, le parole: “l’offerta”, ovunque ricorrano, sono sostituite dalle seguenti: “il contratto”.
5. Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano alle procedure i cui bandi o avvisi con cui si indıce una gara sono pubblicati successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto, nonche´, in caso di contratti senza pubblicazione di bandi o avvisi, alle procedure in cui, alla data di entrata in vigore del presente decreto, non sono ancora stati inviati gli inviti a presentare le offerte.
L’articolo reca una serie di modifiche al D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, cosiddetto Codice dei contratti pubblici, volte ad abrogare quelle norme che prevedono l’esclusione automatica dalle gare delle offerte provenienti da concorrenti legati tra loro da rapporti di controllo (art. 34, comma 2) che, non permettendo alle imprese di dimostrare che le offerte non sono collegate tra di loro, contrastano con i principi del diritto comunitario ribaditi con la recente sentenza della Corte di giustizia del 19 maggio 2009, causa C-538/07.
Pertanto, data la immediata e diretta applicabilità delle pronunce della Corte di giustizia, il comma 3 provvede ad abrogare la specifica disposizione recata dall’art. 34, comma 2, del D.Lgs. 163/2006 (già prevista dall’art. 10, comma 1-bis, della legge 109/1994), che stabilisce il divieto di contemporanea partecipazione alla gara dei concorrenti che si trovino tra di loro in una delle situazioni di controllo individuate dall’articolo 2359 del codice civile e il conseguente obbligo di esclusione automatica dei concorrenti che si trovino nella descritta situazione, nonché l’esclusione - a discrezione della stazione appaltante - di tutti quei concorrenti le cui offerte, sulla base di elementi univoci, siano imputabili a un unico centro decisionale.
L' art. 2359 del Codice civile definisce società controllate:
1) le società in cui un'altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell'assemblea ordinaria;
2) le società in cui un'altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un'influenza dominante nell'assemblea ordinaria;
3) le società che sono sotto influenza dominante di un'altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa.
Ai fini dell'applicazione dei numeri 1) e 2) del primo comma si computano anche i voti spettanti a società controllate, a società fiduciarie e a persona interposta; non si computano i voti spettanti per conto di terzi.
Sono società collegate quelle sulle quali un'altra società esercita un'influenza notevole. L’influenza si presume quando nell'assemblea ordinaria può essere esercitato almeno un quinto dei voti ovvero un decimo se la società ha azioni quotate in mercati regolamentati
La sentenza della Corte di giustizia del 19 maggio 2009, causa C-538/07.
Il Caso – Il ricorso davanti al TAR Lombardia
La Corte di giustizia è stata chiamata a pronunciarsi su un appalto di servizi oggetto di affidamento da parte della Camera di commercio, industria e artigianato di Milano che aveva indetto una gara per l’aggiudicazione del servizio di corriere per il ritiro e la consegna della corrispondenza. A tale gara avevano partecipato tre concorrenti, di cui due appartenenti allo stesso gruppo imprenditoriale. A fronte di tale situazione, il terzo concorrente aveva chiesto all’ente committente di procedere all’esclusione dei due concorrenti legati tra loro dalla citata situazione di controllo. L’ente appaltante, tuttavia, aveva ritenuto di non accogliere tale richiesta sulla base di un duplice ordine di motivazioni. La prima consisteva nel fatto che il D.Lgs. 157/1995 – recante la normativa per l’affidamento degli appalti di servizi vigente nel momento dello svolgimento della gara – non recava una norma specifica sull’esclusione dei concorrenti che si trovavano tra loro in una situazione di controllo (come invece disponeva l’art. 10, comma 1-bis, della legge 109/1994 sugli appalti di lavori). In secondo luogo, in mancanza di una norma esplicita, l’esclusione poteva essere disposta solo qualora dalla verifica effettuata in concreto fossero emersi indizi gravi e concordanti che facessero ritenere sussistente un collegamento effettivo tra le due offerte. Sulla base di tali considerazioni l’aggiudicazione era stata disposta a favore di uno dei due concorrenti appartenente al medesimo gruppo che aveva formulato l’offerta più conveniente. A fronte di tale aggiudicazione, il terzo concorrente aveva presentato ricorso al Tar Lombardia. Il giudice amministrativo aveva rilevato che, anche se per gli appalti di servizi non vi era una disposizione analoga a quella per gli appalti di lavori, l’esclusione automatica delle offerte provenienti da concorrenti tra loro in situazioni di controllo avrebbe dovuto ritenersi espressione di un principio generale, come tale applicabile anche nel settore delle forniture e dei servizi. Tale impostazione sembrerebbe, in sostanza, essere stata poi confermata anche dal Codice appalti che ha esteso il principio dell’esclusione automatica originariamente dettato solo per i lavori anche al settore delle forniture e dei servizi. Il giudice amministrativo, dopo aver affermato l’applicabilità della norma nazionale in tema di offerte provenienti da imprese legate tra loro da una situazione di controllo, si è tuttavia posto il problema della conformità della disposizione alle previsioni dell’ordinamento comunitario e ha, pertanto, sollevato una questione pregiudiziale alla Corte di giustizia.
La sentenza della Corte di giustizia
Nella sentenza del 19 maggio 2009, causa C-538/07, la Corte di giustizia ha rilevato innanzitutto come le cause di esclusione indicate dall’art. 29 della direttiva 92/50 (che all’epoca della gara oggetto di controversia disciplinava le cause di esclusione negli appalti di servizi) riguardavano tutte elementi relativi alle qualità professionali del concorrente. Conseguentemente ha ribadito l’orientamento espresso in precedenti pronunce, secondo cui l’elenco delle cause di esclusione contenuto nelle specifiche disposizioni delle direttive comunitarie deve ritenersi, in linea di principio, di natura tassativa, ampliabile dai singoli Stati membri solo a condizione che venga rispettato il principio di proporzionalità.
Pertanto la Corte di giustizia ha ritenuto che il meccanismo dell’esclusione automatica sia contrario al principio di proporzionalità, sottolineando come l’obbligo per le stazioni appaltanti di escludere a priori le imprese che si trovano tra loro in una situazione di controllo introduce una presunzione di carattere assoluto e astratto che prescinde dall’esame delle circostanze del caso concreto. In sostanza, la norma esaminata presuppone, senza alcuna possibilità di prova contraria, che le offerte provenienti da soggetti legati tra loro da un vincolo di controllo siano di per sé influenzate reciprocamente. In tal modo, infatti, non si consente ai concorrenti di provare che relativamente alla singola gara essi, pur appartenendo allo stesso gruppo imprenditoriale, hanno comunque presentato offerte che non sono in alcun modo collegate tra loro e che, di conseguenza, non presentano alcun rischio di falsare la libera concorrenza.
In pratica, l’effetto della sentenza della Corte di giustizia è quello di far venire meno il richiamato divieto e il conseguente obbligo di esclusione automatica, lasciando quindi, come unica condizione che può legittimare l’esclusione dalla gara, il riscontro da parte dell’ente appaltante di quegli “elementi di collegamento” tra offerte che inducono a ritenere che le stesse, provenendo da un unico centro decisionale, siano prive dei necessari caratteri dell’indipendenza e della segretezza.
Come ribadito anche dalla recente dottrina[4], “la disciplina nazionale va letta nel senso che la situazione di controllo formale o sostanziale è causa di esclusione se la stazione appaltante accerti che il rapporto di controllo abbia influenzato la formulazione delle offerte e sia pertanto idoneo a determinare una turbativa della gara. A contrario, deve ritenersi consentita la partecipazione alla medesima gara di appalto di imprese in situazione di controllo, laddove il rapporto di controllo sia ininfluente in ordine alla formulazione delle offerte e non determini turbativa della gara”.
Come rileva la relazione illustrativa al decreto-legge, dato che la situazione di controllo che influisce sulle offerte costituisce una causa di esclusione, essa andrebbe più propriamente inserita all’interno dell’art. 38 del D.Lgs. 163 che reca le cause di esclusione dalla partecipazione alle procedure di gara, ed espunta dall’art. 34 relativo, invece, ai soggetti cui possono essere affidati i contratti pubblici.
Conseguentemente il comma 1 dell’articolo in commento, con una novella al comma 1 dell’art. 38 del Codice dei contratti pubblici, limita l'esclusione dalla partecipazione alle gare dei soggetti che si trovino, rispetto ad un altro partecipante alla medesima procedura di affidamento, in una situazione di controllo di cui all'articolo 2359 del codice civile o in una qualsiasi relazione, anche di fatto, se la situazione di controllo o la relazione comporti che le offerte sono imputabili ad un unico centro decisionale.
Al fine di provare l’esistenza di tali condizioni, il comma 2, con una modifica al vigente comma 2 dell’art. 38, prevede che i concorrenti debbano allegare alternativamente:
a) la dichiarazione di non essere in una situazione di controllo di cui all'art. 2359 del Codice civile con nessun partecipante alla medesima procedura;
b) la dichiarazione di essere in una situazione di controllo di cui all'art. 2359 del Codice civile e di aver formulato autonomamente l'offerta, con indicazione del concorrente con cui sussiste tale situazione; tale dichiarazione è corredata dai documenti utili a dimostrare che la situazione di controllo non ha influito sulla formulazione dell'offerta, inseriti in separata busta chiusa. La stazione appaltante esclude i concorrenti per i quali accerta che le relative offerte sono imputabili ad un unico centro decisionale, sulla base di univoci elementi. La verifica e l'eventuale esclusione sono disposte dopo l'apertura delle buste contenenti l'offerta economica.
Ai fini dell’individuazione di tali elementi univoci, si sottolinea che l’indirizzo prevalente è che gli elementi che costituiscono indici rivelatori dell’esistenza del collegamento delle offerte non sono immediatamente tipizzabili, nel senso che non possono farsi rientrare in una casistica predeterminata. Sarà, pertanto, la stazione appaltante che, in relazione alle particolarità del caso concreto, dovrà valutare se emergano elementi di questo tipo e se essi siano sufficientemente univoci e concordanti nel far ritenere che le offerte, seppure provenienti da soggetti giuridici formalmente distinti, siano comunque riconducibili, nella sostanza, a un unico centro decisionale. Per individuare tali elementi occorrerebbe rifarsi alle indicazioni elaborate dalla giurisprudenza amministrativa (si vedano, per esempio, le sentenze del Tar Lazio, sezione III, 8 novembre 2006, n. 12108; Consiglio di Stato,sezione IV, 1° ottobre 2004, n. 6367; sezione IV, 7 settembre 2004, n. 5972).
La modifica recata dal comma 4 all'art. 49, comma 2, lettera e), reca modifiche di coordinamento conseguenti all’abrogazione dell’art. 34, comma 2.
Il comma 4-bis, introdotto nel corso dell’esame al Senato, reca una modifica formale all’articolo 70, comma 11, lettera b), del Codice in materia di termini di ricezione delle domande di partecipazione e di ricezione delle offerte, sostituendo il riferimento all’”offerta” con il più corretto riferimento al “contratto”.
Si ricorda che tale articolo era stato recentemente modificato dall’art. 4-quater del D.L. 78/2009. In particolare, comma 1, lettera a) aveva previsto che la riduzione dei termini di ricezione delle offerte di partecipazione – nelle procedure ristrette e nelle procedure negoziate con pubblicazione di un bando di gara – in caso di urgenza fosse estesa anche ai casi in cui l’offerta ha per oggetto il progetto definitivo, purché il termine non sia inferiore a quarantacinque giorni (in luogo degli ottantadue giorni stabiliti dal comma 6 ovvero cinquanta, in caso di avviso di preinformazione, come previsto dal comma 7). Tale previsione non si applica nel caso di appalti relativi a lavori aventi ad oggetto la progettazione esecutiva e l’esecuzione di lavori sulla base del progetto preliminare dell’amministrazione aggiudicatrice (articolo 53, comma 2, lettera c)).
Il comma 5 reca l’applicabilità delle disposizioni previste dalle modifiche introdotte dall’articolo in esame.
Esse dovranno essere applicate alle procedure i cui bandi o avvisi con cui si indice una gara sono pubblicati successivamente alla data di entrata in vigore del decreto in esame, nonché, in caso di contratti senza pubblicazione di bandi o avvisi, alle procedure in cui, alla data di entrata in vigore del presente decreto, non sono ancora stati inviati gli inviti a presentare le offerte.
Il 19 maggio 2009 la Corte di giustizia della Comunità europea ha pronunciato una sentenza di condanna nei confronti dell’Italia nella causa 538/07.
In particolare, la Corte ha ritenuto incompatibile con l’art 29, primo comma, della direttiva 92/50/CEE, relativa all’aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi, la disposizione di cui all’articolo 10, comma 1-bis, della legge 11 febbraio 1994, n. 109, applicabile in via generale anche all’affidamento dei servizi, disciplinato dal decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 157, laddove vieta in assoluto la partecipazione alla medesima gara di appalto di imprese che sono tra loro in una situazione di collegamento.
La Corte ha affermato che, pur non potendosi impedire a uno Stato membro di disciplinare le cause di esclusione dalle gare di appalto in maniera più severa della normativa comunitaria, tuttavia la maggiore severità della disciplina nazionale, da un lato deve trovare giustificazione nell’esigenza di una migliore tutela della concorrenza, della trasparenza e della par condicio, dall’altro incontra un limite nel principio di proporzionalità.
La Corte dichiara che il diritto comunitario osta ad una disposizione, qual è quella su cui è intervenuta la sentenza di condanna che, pur perseguendo gli obiettivi legittimi di parità di trattamento degli offerenti e di trasparenza nell’ambito delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici, stabilisce un divieto assoluto, a carico di imprese tra le quali sussista un rapporto di controllo o che siano tra loro collegate, di partecipare in modo simultaneo e concorrente ad una medesima gara d’appalto, senza lasciare loro la possibilità di dimostrare che il rapporto suddetto non ha influito sul loro rispettivo comportamento nell’ambito di tale gara.
Articolo 3-bis
(Attuazione della decisione quadro
2001/500/GAI del Consiglio, del 26 giugno 2001, e recepimento della direttiva
2009/17/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009)
1. Nelle more della piena attuazione della decisione quadro 2001/500/GAI del Consiglio, del 26 giugno 2001, concernente il riciclaggio di denaro, l’individuazione, il rintracciamento, il congelamento o sequestro e la confisca degli strumenti e dei proventi di reato, dall’anno 2009 è autorizzata l’implementazione del programma pluriennale di dotazione infrastrutturale di cui all’articolo 1, comma 93, della legge 23 dicembre 2005, n. 266.
2. Al fine di garantire la piena attuazione della normativa comunitaria in materia di monitoraggio del traffico navale e di informazione, nelle more dell’organico recepimento della direttiva 2009/17/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, recante modifica alla direttiva 2002/59/CE, nonché allo scopo di assicurare il rispetto delle previsioni comunitarie in materia di controllo e vigilanza sull’attività di pesca attraverso l’accrescimento, sul piano operativo, della capacità dell’attuale dispositivo di vigilanza e controllo a mare, dall’anno 2009 è autorizzato l’avvio di un programma pluriennale per l’implementazione degli interventi di cui all’articolo 2, comma 99, della legge 24 dicembre 2007, n. 244.
3. Per l’attuazione dei commi 1 e 2 del presente articolo è istituito un Fondo presso il Ministero dell’economia e delle finanze, da ripartire in misura pari al 50 per cento per ciascuna delle finalità di cui ai medesimi commi, cui affluiscono, previo versamento all’entrata del bilancio dello Stato, le complessive risorse disponibili, in conto residui, non ancora impegnate alla data del 1º ottobre 2009, dell’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 1, comma 884, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, nonché le risorse per contributi dall’anno 2009, non ancora impegnate alla data del 1º ottobre 2009, della predetta autorizzazione di spesa, che si intende corrispondentemente ridotta di pari importo. Sono nulli gli eventuali atti adottati in contrasto con le disposizioni di cui al presente comma.
4. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.
L’articolo 3-bis, introdotto dal Senato, reca al comma 1 una disposizione che autorizza dall’esercizio 2009 l'implementazione del programma pluriennale di dotazione infrastrutturale del Corpo della Guardia di finanza, previsto dall'articolo 1, comma 93, della legge finanziaria per il 2006 (legge n. 266 del 2005).
La norma richiamata ha disposto un contributo annuale di 30 milioni di euro per quindici anni, nonché un contributo annuale di 10 milioni di euro per quindici anni per il completamento del programma di dotazione infrastrutturale del Corpo della guardia di finanza e la spesa di 1,5 milioni di euro a decorrere dal 2006 per il potenziamento delle dotazioni organiche.
Il finanziamento è destinato:
§ al perseguimento degli obiettivi di contrasto dell'economia sommersa, delle frodi fiscali e dell'immigrazione clandestina, attraverso il rafforzamento del controllo economico del territorio, al fine di conseguire l'ammodernamento e la razionalizzazione della flotta del Corpo della guardia di finanza;
§ al miglioramento e alla sicurezza delle comunicazioni.
Il comma 1 in esame motiva il nuovo finanziamento al fine di dare piena attuazione della decisione quadro 200l/500/GAI del Consiglio dell’Unione europea, del 26 giugno 2001, concernente il riciclaggio di denaro, l'individuazione, il rintracciamento, il congelamento o sequestro e la confisca degli strumenti e dei proventi di reato.
Il comma 2 dispone l’avvio, a decorrere dall’esercizio 2009, di un programma pluriennale per l’implementazione degli interventi di sviluppo e adeguamento della componente aeronavale e dei sistemi di comunicazione del Corpo delle capitanerie di porto – Guardia costiera, previsto dall’articolo 2, comma 99, della legge finanziaria per il 2008 (legge n. 244 del 2007).
Il citato comma 99 ha autorizzato la spesa di 5 milioni di euro per l’anno 2008, 10 milioni di euro per l’anno 2009 e 20 milioni di euro per ciascuno degli anni 2010 e 2011, per le finalità sopra indicate.
Il comma 2 in esame motiva il nuovo finanziamento con la finalità di garantire la piena attuazione della normativa comunitaria in materia di monitoraggio del traffico navale e di informazione, con particolare riferimento al controllo e alla vigilanza sull’attività di pesca, attraverso l’accrescimento della capacità dell’attuale dispositivo di vigilanza e controllo a mare.
La norma fa riferimento alla direttiva 2009/17/CE[5], che modifica la direttiva 2002/59/CE[6]. Quest’ultima direttiva ha istituito un sistema di monitoraggio del traffico navale e di informazione allo scopo di migliorare la sicurezza e l’efficienza di tale traffico e la risposta delle autorità in caso di incidente o in presenza di situazioni potenzialmente pericolose in mare. A tal fine ogni nave che fa scalo in un porto comunitario è obbligata a dotarsi di un sistema di identificazione automatica (AIS) e di un registratore dei dati di viaggio (Voyage Data Recorder - VDR) e a comunicare determinate informazioni alle autorità marittime in caso di trasporto di merci pericolose o inquinanti. La direttiva non si applica alle navi da pesca di lunghezza inferiore a 45 metri.
La principali modifiche recate dalla successiva direttiva 2009/17/CE riguardano:
§ l’estensione dell’obbligo di installare il sistema di identificazione automatica (AIS) ai pescherecci di lunghezza superiore ai 15 metri;
§ l’ampliamento degli obblighi informativi in relazione al trasporto di merci pericolose;
§ l’interconnessione dei sistemi per la gestione delle informazioni marittime con il sistema comunitario “SafeSeaNet”[7], allo scopo di consentire lo scambio dei dati tra i diversi Stati membri.
Il comma 3 istituisce presso il Ministero dell'economia e delle finanze un Fondo in cui confluiscono le risorse relative all'autorizzazione di spesa relativa ai contributi per sviluppo dell’industria aeronautica ad alta tecnologia recati dall’articolo 1, comma 884, della legge finanziaria per il 2007 (legge n. 296/2006).
Come indicato nella disposizione, confluiscono nel Fondo, previo versamento all’entrata:
§ le complessive risorse disponibili, in conto residui, non ancora impegnate alla data del 1º ottobre 2009;
§ le risorse per contributi dall'anno 2009, non ancora impegnate alla data del 1º ottobre 2009
Il richiamato comma 884 autorizza contributi quindicennali di 10 milioni di euro per l'anno 2007 e di 30 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009, da erogare alle imprese nazionali per le finalità previste dall’articolo 1, comma 1, lettera a), della legge n. 140/1999: promozione dello sviluppo dell'industria nazionale ad alta tecnologia, per effettuare interventi riguardanti la realizzazione da parte di imprese italiane, anche eventualmente nell'ambito di collaborazioni internazionali, di progetti e programmi ad elevato contenuto tecnologico nei settori aeronautico e spaziale e nel settore dei prodotti elettronici ad alta tecnologia suscettibili di impiego duale.
Le risorse per gli interventi agevolativi per il settore aeronautico sono iscritte nel capitolo 7421 dello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico. In particolare le risorse autorizzate dal comma 884 in oggetto sono allocate nei piani di gestione nn. 11, 12 e 13.
Le risorse del nuovo Fondo saranno ripartite in misura pari al 50 per cento per gli interventi indicati ai commi 1 (Guardia di finanza) e 2 (Capitanerie di porto) del presente articolo.
La norma precisa, inoltre, che sono nulli gli eventuali atti adottati in contrasto con le disposizioni di cui al presente comma.
Per quanto riguarda l’ammontare delle risorse disponibili, si osserva che a seguito di una interrogazione del sistema informativo della Ragioneria generale dello Stato:
§ relativamente al conto residui, non risultano alla data del 1° ottobre ancora presenti risorse che non siano state impegnate;
§ relativamente alle risorse autorizzate per il 2009 (complessivamente 70 milioni), alla medesima data, risultano impegnati poco più di 14 milioni. Sono pertanto disponibili circa 56 milioni.
§ per gli anni successivi al 2009, sono inoltre disponibili 70 milioni annui per ciascuna annualità dal 2010 al 2021, 60 milioni nel 2022 e 30 milioni nel 2023. Pertanto nel periodo 2010-2023 affluiranno complessivamente al fondo 930 milioni, da ripartire in eguale misura per gli interventi nei confronti della Guardia di Finanza e delle Capitanerie di porto.
Articolo 3-ter
(Adeguamento alla disciplina comunitaria
in materia di concessioni autostradali – Società miste ANAS – regioni)
1. All’articolo 2 della legge 24 dicembre 2007, n. 244, il comma 289 e` sostituito dal seguente:
"289. Al fine della realizzazione di infrastrutture autostradali, di esclusivo interesse regionale, interamente ricadenti nel territorio di competenza di una singola regione e previste dagli strumenti di programmazione vigenti, le funzioni e i poteri di soggetto concedente e aggiudicatore possono essere trasferiti con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti ad un soggetto di diritto pubblico appositamente costituito in forma societaria e partecipata dall’ANAS S.p.a. e dalle regioni interessate o da soggetto da esse interamente partecipato, che esercita esclusivamente i sopra indicati poteri e funzioni".
2. Sono fatti salvi i poteri e le funzioni conferiti ai soggetti pubblici gia` costituiti alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto ai sensi dell’articolo 1, comma 979, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e successive modificazioni, e dell’articolo 2, commi 289 e 290, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, nel testo vigente prima della data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.
L’articolo in commento, inserito nel corso dell’esame al Senato, introduce alcune modifiche al comma 289 dell’articolo 2 della legge finanziaria 2008 in materia di realizzazione e gestione di infrastrutture autostradali, volte a limitare la costituzione di società miste Anas-regioni da una parte, alla sola realizzazione di infrastrutture autostradali di esclusivo interesse regionale, interamente ricadenti nel territorio di competenza di una singola regione (comma 1).
L. 24-12-2007 n. 244 (legge finanziaria 2008). |
Testo modificato dal D.L. 135/2009 |
289. Al fine della realizzazione di infrastrutture autostradali, previste dagli strumenti di programmazione vigenti, le funzioni ed i poteri di soggetto concedente ed aggiudicatore attribuiti all’ANAS Spa possono essere trasferiti con decreto del Ministro delle infrastrutture dall’ANAS Spa medesima ad un soggetto di diritto pubblico appositamente costituito in forma societaria e partecipato dall’ANAS Spa e dalle regioni interessate o da soggetto da esse interamente partecipato. |
289. Al fine della realizzazione di infrastrutture autostradali, di esclusivo interesse regionale, interamente ricadenti nel territorio di competenza di una singola regione e previste dagli strumenti di programmazione vigenti, le funzioni ed i poteri di soggetto concedente ed aggiudicatore possono essere trasferiti con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti ad un soggetto di diritto pubblico appositamente costituito in forma societaria e partecipata dall'ANAS Spa e dalle regioni interessate o da soggetto da esse interamente partecipato, che esercita esclusivamente i sopra indicati poteri e funzioni. |
Il comma 2 fa salvi i poteri e le funzioni conferite ai soggetti pubblici già costituiti alla data di entrata in vigore della legge di conversione, per i quali trova applicazione il testo previgente del citato comma 289. In tal modo sono fatti salvi anche i poteri di concessionario attribuiti alla CAV (vedi oltre) dal comma 290.
Si ricorda che il primo esempio di società mista Anas-regioni è stato introdotto dai commi 979 e 981 dell’art. 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007).
La prima di tali disposizioni, con riferimento alla realizzazione della Pedemontana Lombarda, nonché dell’autostrada Brescia-Bergamo-Milano (cd. Brebemi) e delle tangenziali esterne di Milano, ha previsto che l’Anas Spa possa affidare il completamento della progettazione e della relativa attività esecutiva ad un organismo di diritto pubblico costituito in forma societaria e partecipato dalla stessa società e dalla Regione Lombardia. A tal fine, in data 19 febbraio 2007, è stata istituita la Società Concessioni Autostradali Lombarde (CAL) Spa, composta al 50% da Anas e al 50% da Infrastrutture Lombarde Spa (società controllata al 100% dalla Regione Lombardia).
Il comma 981, con riferimento alla Pedemontana di Formia, ha previsto che il completamento della progettazione e della relativa attività esecutiva possa avvenire anche attraverso affidamento di Anas Spa ad un organismo di diritto pubblico, costituito in forma societaria e partecipato dalla stessa società e dalla provincia di Latina.
Con il comma 289 dell’art. 2 della legge finanziaria 2008 (n. 244/2007), la modalità sopra descritta è stata introdotta nell’ordinamento nazionale prevedendo l’applicazione, in termini generali, del principio del cd. federalismo infrastrutturale per la realizzazione di infrastrutture autostradali, previste dagli strumenti di programmazione vigenti.
Esso, nella sua versione originale, ora modificata dall’articolo in commento, prevede che le funzioni ed i poteri di soggetto concedente ed aggiudicatore attribuiti all’ANAS S.p.A. possono essere trasferiti, con decreto del Ministro delle infrastrutture, ad un soggetto di diritto pubblico appositamente costituito in forma societaria e partecipato dall’Anas stessa e dalle regioni interessate o da soggetto da esse interamente partecipato.
Con il successivo comma 290 è stata poi prevista un’immediata applicazione nella Regione Veneto del modello del federalismo infrastrutturale, disponendo direttamente il trasferimento ad una società per azioni costituita pariteticamente tra l’Anas Spa e la Regione Veneto o soggetto da essa interamente partecipato (Concessioni autostradali venete – CAV), delle attività di gestione, comprese quelle di manutenzione ordinaria e straordinaria, relative ad alcune opere autostradali.
Le opere indicate dalla norma sono il raccordo autostradale di collegamento A4 – tronco Venezia-Trieste, ed opere a questo complementari, nonché la tratta autostradale Venezia-Padova. Per quanto riguarda la tempistica del trasferimento, si fa riferimento al completamento dei lavori di costruzione, ovvero alla scadenza della concessione assentita all’Autostrada Padova-Venezia Spa.
Lo stesso comma ha poi dettato disposizioni volte a disciplinare il funzionamento della società, alla quale viene riconosciuta la natura di organismo di diritto pubblico, ed i rapporti tra la società medesima ed i soggetti pubblici che ne siano soci. Inoltre è previsto che gli oneri finanziari connessi al reperimento delle risorse necessarie per la realizzazione del raccordo autostradale A4 – tronco Venezia-Trieste, siano assunti direttamente dalla società, anche subentrando nei contratti stipulati direttamente dall’Anas Spa. Infine, viene fatto divieto alla società di partecipare, sia singolarmente sia con altri operatori economici, ad iniziative diverse che non siano strettamente necessarie per l’espletamento delle funzioni di cui al comma 289, o ad esse direttamente connesse.
Le norme dettate dal citato comma 290 sono caratterizzate, se rapportate con quelle introdotte dai commi 979 e 981 della finanziaria 2007, da un maggior ambito dispositivo. I citati commi della finanziaria 2007 si limitavano, infatti, a prevedere semplicemente il subentro (anche mediante apposita convenzione) della nuova Spa nei rapporti attivi e passivi inerenti la realizzazione delle opere.
In applicazione delle citate disposizioni introdotte con le leggi finanziarie 2007 e 2008, sono state costituite altre società in Molise, Lazio e Piemonte[8].
Quanto all’esercizio, da parte di queste società, delle funzioni di concessionario delle infrastrutture autostradali, si ricorda che la Commissione europea aveva già mosso alcune censure all’Italia nell’ambito della procedura di infrazione C(2006) 2006/2419 relativa all’art. 12 del DL n. 262/2006, successivamente archiviata con decisione del 16 ottobre 2008. In particolare, la Commissione contestava la violazione delle disposizioni del Trattato riguardanti la libera circolazione dei capitali e la libertà di stabilimento (art. 56 e 43 del Trattato CE) operate dal DL n. 262/2006.
Sulla questione si è poi espressa l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, con la segnalazione AS 455[9], con la quale l’Autorità lamenta la sottrazione al confronto concorrenziale derivante dal ricorso a procedure ad evidenza pubblica la costruzione e la gestione di nuove tratte autostradali.[10].
Articolo 3-quater
(Commercializzazione di elettrodomestici
appartenenti alle classi energetiche inferiori rispetto alla classe A, nonché
di motori elettrici appartenenti alla classe 3 anche all’interno di apparati)
1. A decorrere dal 1º gennaio 2011, le lampadine ad incandescenza e le specifiche progettuali degli elettrodomestici immessi sul mercato italiano devono rispettare i requisiti minimi fissati nei pertinenti regolamenti della Commissione europea, recanti modalita` di applicazione della direttiva 2005/32/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 luglio 2005, relativa all’istituzione di un quadro per l’elaborazione di specifiche per la progettazione ecocompatibile dei prodotti che consumano energia.
2. A decorrere dal 1º gennaio 2010, i motori elettrici, anche all’interno di apparati, e gli elettrodomestici immessi sul mercato italiano devono rispettare i requisiti minimi fissati nei pertinenti regolamenti della Commissione europea, recanti modalita` di applicazione della citata direttiva 2005/32/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 luglio 2005.
3. All’articolo 2, comma 162, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, il terzo periodo e` soppresso.
4. All’articolo 2 della legge 24 dicembre 2007, n. 244, il comma 163 e` abrogato.
L’articolo 3-quater, introdotto dal Senato, interviene sulla disciplina relativa alla commercializzazione di lampadine ad incandescenza e di elettrodomestici e motori elettrici, adeguandola alla regolamentazione e alle limitazioni graduali definite a livello comunitario e abolendo i divieti introdotti in materia dalla legge finanziaria 2008 (L. 244/2007, art. 2, commi 162 e 163).
Per quanto riguarda la commercializzazione dei suindicati prodotti, la norma subordina la loro immissione sul mercato italiano al rispetto dei requisiti minimi fissati dai pertinenti regolamenti della Commissione europea recanti le modalità applicative della direttiva 2005/32/CE, a decorrere:
§ dal 1° gennaio 2011 per le lampadine ad incandescenza e le specifiche progettuali degli elettrodomestici (comma 1).
§ dal 1° gennaio 2010, per i motori elettrici, anche all'interno di apparati, e per gli elettrodomestici (comma 2).
La direttiva 2005/32/CE (EuP – Energy using Products) reca disposizioni relative all'istituzione di un quadro per l'elaborazione di specifiche per la progettazione ecocompatibile dei prodotti che consumano energia - vale a dire le prescrizioni riferite ad un prodotto o alla sua progettazione volte a migliorarne le prestazioni ambientali.
Le indicazioni per l'applicazione pratica della Direttiva sono contenute in regolamenti della Commissione europea che definiscono norme specifiche per ogni categoria di prodotto, fissando misure di esecuzione generali e particolari. Le prime sono volte al miglioramento delle prestazioni ambientali dei prodotti senza fissare valori limite. Le misure di esecuzione particolari hanno come scopo quello di migliorare un aspetto ambientale specifico del prodotto e definiscono specifici valori limite. Esse, per esempio, possono riguardare la definizione dei limiti di consumo di una data risorsa nella fase di utilizzo del prodotto.
Le misure di esecuzione della direttiva “EuP” riguardano le seguenti aree individuate come prioritarie dalla Commissione: sistemi per il riscaldamento e la produzione d’acqua calda, motori elettrici, illuminazione nel settore residenziale e terziario, elettrodomestici, strumenti da ufficio, elettronica per la grande diffusione e sistemi di ventilazione e climatizzazione.
Finora risultano adottate le seguenti misure:
- Reg. (CE) n. 1275/2008 recante misure di esecuzione della direttiva 2005/32/CE in merito alle specifiche di progettazione ecocompatibile relative al consumo di energia elettrica nei modi stand-by e spento delle apparecchiature elettriche ed elettroniche domestiche e da ufficio.
- Reg. (CE) n. 107/2009 recante misure di esecuzione della direttiva 2005/32/CE in merito alle specifiche per la progettazione ecocompatibile dei ricevitori digitali semplici.
- Reg. (CE) n. 244/2009 recante modalità di applicazione della direttiva 2005/32/CE in merito alle specifiche per la progettazione ecocompatibile delle lampade non direzionali per uso domestico.
- Reg. (CE) n. 245/2009 recante modalità di esecuzione della direttiva 2005/32/CE in merito alle specifiche per la progettazione ecocompatibile di lampade fluorescenti senza alimentatore integrato, lampade a scarica ad alta intensità e di alimentatori e apparecchi di illuminazione in grado di far funzionare tali lampade, e che abroga la direttiva 2000/55/CE del Parlamento europeo e del Consiglio.
- Reg. (CE) n. 278/2009 recante misure di esecuzione della direttiva 2005/32/CE in merito alle specifiche di progettazione ecocompatibile relative al consumo di energia elettrica a vuoto e al rendimento medio in modo attivo per gli alimentatori esterni.
- Reg. (CE) n. 640/2009 recante modalità di applicazione della direttiva 2005/32/CE in merito alle specifiche per la progettazione ecocompatibile dei motori elettrici.
- Reg. (CE) n. 641/2009 recante modalità di applicazione della direttiva 2005/32/CE in merito alle specifiche per la progettazione ecocompatibile dei circolatori senza premistoppa indipendenti e dei circolatori senza premistoppa integrati in prodotti.
- Reg. (CE) n. 642/2009 recante modalità di applicazione della direttiva 2005/32/CE in merito alle specifiche per la progettazione ecocompatibile dei televisori.
- Reg. (CE) n. 643/2009 recante modalità di applicazione della direttiva 2005/32/CE in merito alle specifiche per la progettazione ecocompatibile degli apparecchi di refrigerazione per uso domestico.
Si segnala che la direttiva 2005/32/CE è stata recentemente abrogata dall'articolo 24 della direttiva 2009/125/CE (pubblicata nella G.U.U.E. 31 ottobre 2009, n. L 285) che dovrà essere recepita dagli Stati membri entro il 20 novembre 2010.
La nuova direttiva, che sostituisce la dir. 2005/32 e successive modifiche, non apporta sostanziali modifiche ma piuttosto provvede ad estenderne il campo di applicazione a tutti i prodotti connessi all’energia e non più solo a quelli che la consumano (materiali da costruzione, quali finestre e materiali isolanti, o alcuni prodotti che utilizzano l’acqua, quali soffioni doccia e rubinetti).
Quanto alle disposizioni dell’articolo 2della legge finanziaria 2008 (L. 244/2007) di cui la norma in esame dispone ai commi 3 e 4 la soppressione (terzo periodo del comma 162) e l’abrogazione (intero comma 163), esse riguardano divieti relativi alla commercializzazione e all’importazione dei prodotti in questione, previsti a partire dal 2010 o dal 2011 a seconda della tipologia dei prodotti, che pertanto vengono meno.
In particolare le menzionate disposizioni dell’art. 2 della legge finanziaria 2008 prevedono:
§ il divieto di commercializzazione di elettrodomestici appartenenti a classi energetiche inferiori alla classe A e di motori elettrici appartenenti alla classe 3 anche posti all’interno di apparati, a far data dal 1° gennaio 2010 (comma 162, terzo periodo);
§ il divieto di importare, distribuire e vendere lampadine ad incandescenza nonché elettrodomestici privi di dispositivo per l’interruzione completa del collegamento alla rete elettrica, a far data dal 1° gennaio 2011 (comma 163).
In sostanza la norma in esame, relativamente al divieto di porre in commercio elettrodomestici, lampadine e motori elettrici privi di determinati requisiti di efficienza e rispetto dell’ambiente, fa venir meno la pertinente disciplina di cui alla legge finanziaria 2008 rifacendosi integralmente alle prescrizioni fissate dai regolamenti comunitari, più dettagliati quanto ai requisiti minimi e più articolati quanto alla tempistica applicativa.
Articolo 3-quinquies
(Disposizioni
per garantire la trasparenza e la libera concorrenza nella realizzazione delle
opere e degli interventi connessi allo svolgimento dell’Expo Milano 2015)
1. Il prefetto della provincia di Milano, quale prefetto del capoluogo della regione Lombardia, assicura il coordinamento e l’unita` di indirizzo di tutte le attivita` finalizzate alla prevenzione delle infiltrazioni della criminalita` organizzata nell’affidamento e esecuzione di contratti pubblici aventi ad oggetto lavori, servizi e forniture, nonche´ nelle erogazioni e concessioni di provvidenze pubbliche connessi alla realizzazione del grande evento Expo Milano 2015.
2. Al fine di assicurare l’efficace espletamento delle attivita` di cui al comma 1, il Comitato di coordinamento per l’alta sorveglianza delle grandi opere istituito ai sensi dell’articolo 180, comma 2, del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, opera a immediato, diretto supporto del prefetto di Milano, attraverso una sezione specializzata istituita presso la prefettura che costituisce una forma di raccordo operativo tra gli uffici gia` esistenti e che non puo` configurarsi quale articolazione organizzativa di livello dirigenziale, ne´ quale ufficio di carattere stabile e permanente. Con decreto del Ministro dell’interno, di concerto con i Ministri della giustizia e delle infrastrutture e dei trasporti, da adottare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono definite le funzioni, la composizione, le risorse umane e le dotazioni strumentali della sezione specializzata da individuare comunque nell’ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente.
3. Presso il Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell’interno e` istituito, con il decreto di cui al comma 2, il gruppo interforze centrale per l’Expo Milano 2015 (GICEX), che costituisce una forma di raccordo operativo tra gli uffici gia` esistenti e che non puo` configurarsi quale articolazione organizzativa di livello dirigenziale, ne´ quale ufficio di carattere stabile e permanente. Con il medesimo decreto sono definite, nell’ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente, le funzioni e la composizione del gruppo che opera in stretto raccordo con la sezione specializzata di cui al comma 2.
4. I controlli antimafia sui contratti pubblici e sui successivi subappalti e subcontratti aventi ad oggetto lavori, servizi e forniture sono altresı` effettuati con l’osservanza delle linee guida indicate dal Comitato di coordinamento per l’alta sorveglianza delle grandi opere, anche in deroga a quanto previsto dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 3 giugno 1998, n. 252.
5. Per l’efficacia dei controlli antimafia nei contratti pubblici e nei successivi subappalti e subcontratti aventi ad oggetto lavori, servizi e forniture e nelle erogazioni e concessioni di provvidenze pubbliche, e` prevista la tracciabilita` dei relativi flussi finanziari. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta dei Ministri dell’interno, della giustizia, delle infrastrutture e dei trasporti, dello sviluppo economico e dell’economia e delle finanze, da adottare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono definite le modalita` attuative del presente comma ed e` prevista la costituzione, presso la prefettura di Milano, di elenchi di fornitori e prestatori di servizi, non soggetti a rischio di inquinamento mafioso, ai quali possono rivolgersi gli esecutori dei lavori oggetto del presente articolo. Il Governo presenta una relazione annuale alle Camere concernente l’applicazione del presente comma.
6. Dal presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
L’articolo in commento reca alcune disposizioni volte a garantire la trasparenza e la libera concorrenza nella realizzazione delle opere e degli interventi connessi allo svolgimento dell'Expo Milano 2015.
Si ricorda che una norma di analogo tenore è stata introdotta dall’articolo 16 del D.L. 39/2009 con riferimento alla ricostruzione a seguito del sisma in Abruzzo.
Com’è noto, il 31 marzo 2008, a Parigi, i Paesi membri del Bureau International des Expositions (BIE) hanno scelto Milano come sede dell'edizione 2015 dell'Expo che riguarderà il tema "Nutrire il pianeta, energia per la vita". Il sindaco del comune di Milano è stato nominato Commissario delegato per la predisposizione degli interventi necessari alla migliore presentazione della candidatura, nonché per le attività preparatorie.
L’Expo 2015 è stata dichiarata “grande evento” con il D.P.C.M. 30 agosto 2007 ai sensi dell’art. 5-bis, comma 5, del D.L. 343/2001. Con l’O.P.C.M. 18 ottobre 2007, n. 3623, si quindi è provveduto alla nomina del sindaco del comune di Milano a Commissario delegato per la predisposizione degli interventi necessari alla migliore presentazione della candidatura della Città di Milano quale sede del grande evento «Expo 2015».
Successivamente l’art. 14 del decreto-legge 112/2008 ha nominato il Sindaco di Milano pro-tempore quale Commissario straordinario del Governo per l’attività preparatoria urgente ed ha previsto un’autorizzazione di spesa pari a 1.486 milioni di euro per il periodo 2009-2015 per la realizzazione delle opere e delle attività connesse allo svolgimento del grande evento EXPO Milano 2015. In attuazione del citato D.L. 112/2008 è stato, pertanto, emanato, il 22 ottobre 2008, il DPCM recante Interventi necessari per la realizzazione dell’Expo Milano 2015. Il decreto ha istituito gli organi – tra i quali si ricorda la Società di gestione Expo Milano 2015 S.p.A. (Soge) - che provvedono a porre in essere tutti gli interventi necessari per la realizzazione dell'Expo, vale a dire le opere essenziali e le attività di organizzazione e di gestione dell'evento (tali opere sono quindi indicate analiticamente nell’allegato 1 al decreto), nonché le opere connesse (descritte nell’allegato 2), secondo quanto previsto nel dossier di candidatura approvato dal BIE. In data 1 dicembre 2008 è stato approvato anche lo statuto della Società Expo 2015 Spa, in adempimento di quanto previsto dall’art. 4 del citato DPCM.
Da ultimo, il CIPE del 5 novembre 2009 ha autorizzato gli stanziamenti previsti per le opere infrastrutturali connesse all’evento.
In particolare, il comma 1 affida al Prefetto della provincia di Milano il coordinamento e l'unità di indirizzo di tutte le attività finalizzate alla prevenzione delle infiltrazioni della criminalità organizzata nell'affidamento ed esecuzione dei contratti pubblici nonché nelle erogazioni e concessioni di provvidenze pubbliche.
In tale attività il Prefetto è supportato dal Comitato di coordinamento per l'alta sorveglianza delle grandi opere, istituito dal Codice dei contratti pubblici, che opera attraverso una sezione specializzata istituita presso la Prefettura le cui funzioni e dotazioni sono definite con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con i Ministri della giustizia e delle infrastrutture e dei trasporti, da adottarsi entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto-legge (comma 2).
Con il medesimo decreto è istituito, presso il Dipartimento della pubblica sicurezza, il gruppo interforze centrale per l'Expo Milano 2015 (GICEX), anch’esso con compiti di raccordo operativo tra gli uffici (comma 3).
L’articolo 180, comma 2, del codice dei contratti pubblici, riproducendo l'articolo 15 del decreto legislativo 190/2002, prevede che, con decreto del Ministro dell'interno di concerto con il Ministro della giustizia e con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, siano individuate le procedure per il monitoraggio delle infrastrutture ed insediamenti industriali per la prevenzione e repressione di tentativi di infiltrazione mafiosa. In attuazione di tale disposizione è stato emanato il decreto ministeriale 14 marzo 2003, che ha istituito la rete di monitoraggio e il Comitato di coordinamento presso il Ministero dell'Interno; in base a tale DM il Comitato, svolgendo funzioni di impulso e di indirizzo dell'attività di ciascuno dei soggetti che costituiscono la rete di monitoraggio:
a) promuove l'analisi integrata dei dati e delle informazioni;
b) provvede al supporto dell'attività dei prefetti sul territorio, anche ai fini dell'attivazione dei poteri ispettivi o di accesso ad essi direttamente conferiti dalla normativa vigente, ovvero esercitabili attraverso il Gruppo interforze istituito in ogni provincia;
c) procede all'esame congiunto delle segnalazioni relative ad anomalie riscontrate.
Con riferimento ai controlli antimafia sui contratti pubblici e sui successivi subappalti e subcontratti, il comma 4 prevede che questi siano effettuati secondo quanto prescritto dalle linee guida indicate dal Comitato di coordinamento per l'alta sorveglianza delle grandi opere, anche in deroga a quanto previsto dal D.P.R. 252/1998 recante norme per la semplificazione dei procedimenti relativi al rilascio delle comunicazioni e delle informazioni antimafia.
Il comma 5 prevede inoltre la tracciabilità dei flussi finanziari, le cui modalità sono definite con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta dei Ministri dell'interno, della giustizia, delle infrastrutture e trasporti, dello sviluppo economico e dell'economia e delle finanze, da adottarsi entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto-legge. In tale ambito è altresì prevista la costituzione, presso la Prefettura di Milano, di elenchi di fornitori e prestatori di servizi, non soggetti a rischio di inquinamento mafioso, cui possono rivolgersi gli esecutori dei lavori oggetto della presente legge (cd. white list). Sull'applicazione di tale disposizione il Governo presenta una relazione annuale alle Camere.
Il comma 7, infine, stabilisce che dal presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica
Articolo 4 (commi 1- 5)
(Misure
urgenti per il recepimento della direttiva 2008/101/CE e per la promozione
dell’ambientalizzazione delle imprese e delle innovazioni tecnologiche
finalizzate alla protezione dell’ambiente e alla riduzione delle emissioni)
1. Per il raggiungimento degli obiettivi derivanti dal Protocollo di Kyoto, nonche´ per il miglior perseguimento delle finalita` di incremento della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, al decreto legislativo 4 aprile 2006, n. 216, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all’articolo 3, comma 2, sono abrogate le seguenti lettere: a-bis) e a-ter);
b) all’articolo 5, comma 2, le parole: «entrata in esercizio» sono sostituite dalla seguente: «avvio»;
c) all’articolo 11, comma 1, le parole: «del PNA» sono sostituite dalle seguenti: «della decisione di assegnazione medesima, nel rispetto di quanto previsto dal medesimo articolo 8»;
d) all’articolo 13, comma 2, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «e aggiornamenti»;
e) all’articolo 15, comma 5, dopo le parole: «nell’anno solare precedente», sono inserite le seguenti: «e annota sul Registro nazionale delle emissioni e delle quote di emissione il valore complessivo delle emissioni indicate nella dichiarazione medesima»;
f) all’articolo 20, comma 8, la parola: «assegnate» e` sostituita dalla seguente: «rilasciate»;
g) all’articolo 20, comma 9, dopo le parole: «emessa in mancanza di», sono inserite le seguenti: «aggiornamento della».
2. Ai fini del recepimento della direttiva 2008/101/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008, il Comitato nazionale per la gestione della direttiva 2003/87/CE e per il supporto nella gestione delle attivita` di progetto del Protocollo di Kyoto, di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 4 aprile 2006, n. 216, e successive modificazioni, svolge il ruolo di autorita` competente.
3. Con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, d’intesa con il Ministro dello sviluppo economico e sentito il Ministro per le politiche europee, entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto sono approvate specifiche linee guida recanti criteri e parametri per la promozione degli investimenti in innovazioni tecnologiche finalizzate alla protezione dell’ambiente, alla riduzione delle emissioni, alla riduzione del consumo delle risorse naturali e all’incremento dell’efficienza energetica negli impianti di cui all’allegato V del decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59, nel rispetto dei valori minimi previsti dalle linee guida per l’individuazione e l’utilizzo delle migliori tecniche disponibili di cui all’articolo 4 dell’anzidetto decreto legislativo, prevedendo l’attribuzione di coefficienti e caratteristiche di qualita` ambientale ai predetti impianti in funzione del rispetto degli anzidetti criteri e parametri, nonche´ garantendo un approccio integrato ed una elevata protezione dell’ambiente nel suo complesso.
3-bis. Lo schema di decreto di cui al comma 3 è trasmesso alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica ai fini della espressione del parere da parte delle competenti Commissioni parlamentari, da rendere entro trenta giorni dalla data di trasmissione. Decorso tale termine, il decreto puo` essere comunque emanato.
4. Il decreto di cui al comma 3 individua i coefficienti e le caratteristiche di qualita` ambientale degli impianti, al ricorrere dei quali i termini istruttori previsti dal citato decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59, nonche´, per gli impianti di nuova realizzazione soggetti ad autorizzazione integrata ambientale di cui al medesimo decreto legislativo n. 59 del 2005, che hanno richiesto tale autorizzazione dopo la data di entrata in vigore del decreto legislativo 16 gennaio 2008, n. 4, dalla parte seconda del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, sono ridotti alla meta`. Nei casi di cui al presente comma l’autorizzazione integrata ambientale ha validita` di otto anni, ovvero di dieci anni nel caso di impianto che risulti certificato secondo la norma UNI EN ISO 14001, ovvero di dodici anni nel caso di impianto che risulti registrato ai sensi del regolamento (CE) n. 761/2001, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 marzo 2001.
5. Il decreto di cui al comma 3 individua altresı` i coefficienti e le caratteristiche di qualita` ambientale degli impianti, al ricorrere dei quali trovano applicazione i commi 10 e 11 dell’articolo 5 del decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59; l’autorizzazione o il rinnovo della medesima di cui all’articolo 9, comma 1, del decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59, sono rilasciati dall’autorita` competente, previo parere delle amministrazioni competenti in materia ambientale e comunque, nel caso di impianti di competenza statale, dei Ministeri dell’interno, del lavoro, della salute e delle politiche sociali e dello sviluppo economico. Nei casi di cui al presente comma l’autorizzazione integrata ambientale ha validita` di otto anni, ovvero di dieci anni nel caso di impianto che risulti certificato secondo la norma UNI EN ISO 14001, ovvero di dodici anni nel caso di impianto che risulti registrato ai sensi del regolamento (CE) n. 761/2001.
(…)
Il comma 1 – come sottolineato nella relazione illustrativa all’A.S. 1784 – apporta alcune modificazioni al D.Lgs. 216/2006, “al fine di definire e razionalizzare la collocazione amministrativa e la governance del Comitato di gestione della direttiva 2003/87/CE e della attività di gestione del protocollo di Kyoto. Esso ha carattere di urgenza in relazione alle necessità di coordinamento con le modifiche del decreto legislativo n. 216 del 2006 introdotte dall’articolo 27, comma 47, della legge 23 luglio 2009, n. 99”.
Si ricorda in proposito che l'art. 27, comma 47, della legge 99/2009 ha provveduto ad una ridefinizione, in senso restrittivo, delle funzioni del Comitato nazionale per la gestione della direttiva 2003/87/CE.
Al Comitato sono infatti state tolte le funzioni di gestione delle attività di progetto del Protocollo di Kyoto, che le novelle apportate dal D.Lgs. 51/2008 al D.Lgs. 216/2006 gli avevano attribuito.
a) all'art. 3, comma 2, sono abrogate[11] le lettere a-bis) e a-ter) recanti le definizioni di “autorità nazionale designata” e “punto di contatto nazionale”.
Tale modifica appare consequenziale a quella recata dal citato comma 47.
Si ricorda, infatti, che il D.Lgs. 51/2008 aveva novellato il D.Lgs. 216/2006 al fine di attribuire al Comitato non solo la funzione di Autorità nazionale competente per l’attuazione della direttiva 2003/87/CE, ma anche quella di Punto di contatto per le attività di attuazione congiunta (JI) e di autorità nazionale designata per le attività di meccanismo di sviluppo pulito (CDM)[12]. Contemporaneamente lo stesso decreto aveva introdotto le due citate definizioni.
Poiché il comma 47 ha eliminato, dal comma 1-bis dell’art. 8 del D.Lgs. 216/2006, le funzioni di punto di contatto e di autorità designata e dato che tali termini venivano richiamati unicamente in tale comma 1-bis, appare quindi coerente la modifica prevista dalla lettera in esame, volta ad eliminare due definizioni che non venivano più utilizzate in altra parte del testo.
b) all'art. 5, comma 2, che disciplina la tempistica per la presentazione della domanda di autorizzazione ad emettere gas ad effetto serra, l’espressione “entrata in esercizio” viene sostituita con il termine “avvio”.
Nel testo previgente, tale domanda doveva essere presentata all'autorità nazionale competente non prima di centottanta giorni ed almeno novanta giorni prima della data di entrata in esercizio dell'impianto.
c) all'art. 11, comma 1, viene apportata una modifica volta a correggere un impreciso riferimento al PNA con un corretto rinvio alla decisione di assegnazione delle quote.
Il citato comma 1 dell’art. 11 disciplina l’approvazione da parte dei Ministri dell’ambiente e delle attività produttive della decisione di assegnazione predisposta dal Comitato e prevedeva, altresì, che il Comitato disponesse l'assegnazione di quote agli impianti nuovi entranti sulla base delle modalità definite nell'ambito del PNA (Piano nazionale di assegnazione), mentre in realtà tali modalità sono definite nella decisione di assegnazione, che costituisce la “versione esecutiva” del citato PNA.
Nel corso dell’esame al Senato la novella in esame è stata integrata al fine di precisare chela citata assegnazione deve avvenire nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 8.
La finalità della norma dovrebbe essere quella di richiamare il disposto dell’art. 8, comma 2, lettera d), secondo cui l'assegnazione di quote agli impianti nuovi entranti deve avvenire “sulla base delle modalità definite nell'ambito del PNA”, in modo da recuperare quella che era la ratio sottesa alla versione originaria del comma 1;
d) all'art. 13, comma 2, volto a garantire il rispetto della decisione della Commissione europea C(2004)130, si precisa che si deve tener conto non solo delle modifiche ma anche degli aggiornamenti delle decisioni della Commissione sulle linee guida per il monitoraggio e la comunicazione delle emissioni di gas a effetto serra ai sensi della direttiva 2003/87/CE;
e) l'art. 15, comma 5, ove si prevede che il gestore di ciascun impianto invii al Comitato, entro il 31 marzo di ogni anno, una dichiarazione relativa alle attività ed alle emissioni dell'impianto nell'anno solare precedente, viene integrato al fine di introdurre l’obbligo, per il gestore, di annotare sul "registro nazionale delle emissioni e delle quote d'emissioni"[13] il valore delle emissioni indicate nella dichiarazione;
f) l’art. 20, comma 8, è modificato al fine di correggere un errore materiale;
Tale comma 8 prevedeva la sanzione amministrativa pecuniaria per il gestore dell’impianto che non fornisca la comunicazione relativa alla chiusura o sospensione dell’impianto e l'obbligo, per il gestore stesso, di restituire, in seguito all’accertamento della violazione, le quote di emissioni indebitamente assegnate. La novella, che appare volta alla correzione di un errore materiale, sostituisce il termine "assegnate" con il termine "rilasciate".
g) all’art. 20, comma 9, ove si prevedono sanzioni per il gestore munito di autorizzazione alle emissioni di gas ad effetto serra, viene precisato che la sanzione è aumentata qualora le emissioni siano effettuate in mancanza di aggiornamento dell'autorizzazione.
Il comma 2 prevede che il Comitato nazionale per la gestione della direttiva 2003/87/CE svolga il ruolo di autorità competente anche in relazione alla direttiva 2008/101/CE, nelle more del suo recepimento.
Nel corso dell’esame al Senato il comma è stato modificato al fine di adeguare la denominazione del Comitato. Nel testo originario del decreto-legge, infatti, viene utilizzata la denominazione precedente l’entrata in vigore della legge 99/2009, non tenendo conto della modifica apportata dal comma 47 dell’art. 27 della legge citata, ai sensi del quale al Comitato non compete più la gestione delle attività di progetto del Protocollo di Kyoto ma solamente il supporto alla gestione medesima.
La direttiva 2008/101/CE (Attività di trasporto aereo nel sistema comunitario di scambio delle quote di emissioni dei gas a effetto serra) entrata in vigore il 2 febbraio 2009, modifica la direttiva 2003/87/CE al fine di includere il settore aeronautico all’interno dell’ETS (Sistema comunitario di scambio di quote di emissione).
La relazione governativa collega la disposizione in esame alla previsione, contenuta nella direttiva 2008/101/CE (che, tra l’altro, inserisce l’art. 3-octies nel testo della direttiva 2003/87/CE), secondo la quale ciascun operatore aereo è tenuto a trasmettere all'autorità nazionale competente, entro il 30 agosto 2009, un piano di monitoraggio che stabilisca le misure per il controllo e la comunicazione delle emissioni ai fini dell’assegnazione gratuita dei permessi di emissione alle compagnie aeree (art. 3-sexies della direttiva 2003/87/CE).
L’autorità nazionale competente valuterà ed approverà il piano, che verrà successivamente trasmesso alla Commissione europea per la decisione finale di assegnazione dei permessi; pertanto, sempre secondo quanto riportato nella relazione illustrativa, “l’approvazione da parte dell’autorità nazionale competente rappresenta la condizione necessaria per l’assegnazione gratuita dei permessi alle compagnie aeree, in assenza della quale le compagnie aeree dovranno acquistare i permessi a titolo oneroso. Considerato che il prezzo di ciascun permesso è stimato attualmente tra i 10 e i 15 euro, in Italia la spesa per l’acquisto dei permessi onerosi per le compagnie aeree potrebbe aggirarsi attorno ai 250-400 milioni di euro l’anno. Risulta pertanto urgente, nelle more del recepimento della direttiva 2008/101/CE, inserita nell’allegato B alla legge comunitaria 2009 (si vedano l’atto Camera n. 2449 e l’atto Senato n. 1781), l’identificazione dell’autorità nazionale competente nel Comitato già responsabile della gestione della direttiva 2003/87/CE, al fine di rendere immediatamente operativa la valutazione ed approvazione dei piani di monitoraggio”.
Si fa notare che prima della citata scadenza del 30 agosto 2009, al fine di consentire la presentazione dei citati piani di monitoraggio, il Comitato nazionale per la gestione della direttiva 2003/87/CE aveva emanato la deliberazione 6 agosto 2009 recante “Disposizioni urgenti per l'attuazione della direttiva 2003/87/CE in merito al monitoraggio e alla comunicazione delle emissioni di gas a effetto serra per le attività di trasporto aereo” (Deliberazione n. 27/2009[14]).
I commi 3, 3-bis, 4 e 5 dell'articolo in esame prevedono l’emanazione di un decreto del Ministro dell’ambiente finalizzato alla promozione di investimenti per l’innovazione delle tecnologie ambientali e che, nel contempo, consenta un’accelerazione e snellimento delle procedure previste dal D.Lgs. 59/2005 per l’autorizzazione integrata ambientale (AIA).
Il comma 3 prevede l’emanazione, entro 90 giorni dall’entrata in vigore del presente decreto, di un decreto del Ministro dell’ambiente volto ad approvare specifiche linee guida recanti criteri e parametri per la promozione, negli impianti soggetti ad autorizzazione integrata ambientale statale (AIA statale) ai sensi dell'allegato V del D.Lgs. 59/2005, di investimenti in innovazioni tecnologiche “ambientali”.
La norma precisa, infatti, che tali innovazioni devono essere finalizzate:
§ alla protezione dell'ambiente;
§ alla riduzione delle emissioni;
§ alla riduzione del consumo delle risorse naturali;
§ all'incremento dell'efficienza energetica.
Si ricorda che il D.Lgs. 18 febbraio 2005, n. 59, disciplina il rilascio ed il rinnovo dell’autorizzazione integrata ambientale (AIA), in attuazione della direttiva 96/61/CE relativa alla prevenzione e riduzione integrate dell'inquinamento (cd. direttiva IPPC).
Tale decreto riguarda le categorie di attività industriali elencate dall’Allegato I, mentre l’allegato V elenca le categorie di impianti, relativi alle attività industriali di cui all'allegato I, soggetti ad AIA statale, cioè per i quali il rilascio dell’AIA è di competenza del Ministero dell’ambiente, ai sensi dell’art. 2, comma 1, lettera i), del D.Lgs. 59/2005.
Tali impianti sono:
1) Raffinerie di petrolio greggio (escluse le imprese che producono soltanto lubrificanti dal petrolio greggio), nonché impianti di gassificazione e di liquefazione di almeno 500 tonnellate (Mg) al giorno di carbone o di scisti bituminosi;
2) Centrali termiche ed altri impianti di combustione con potenza termica di almeno 300 MW;
3) Acciaierie integrate di prima fusione della ghisa e dell'acciaio;
4) Impianti chimici con una capacità produttiva complessiva annua per classe di prodotto, espressa in milioni di chilogrammi, superiore alle soglie indicate nel medesimo allegato V;
5) Impianti funzionalmente connessi a uno degli impianti di cui ai punti precedenti, localizzati nel medesimo sito e gestiti dal medesimo gestore, che non svolgono attività di cui all'allegato I;
6) Altri impianti rientranti nelle categorie dell'allegato I localizzati interamente in mare.
Viene altresì disposto che, nell’attuazione del citato decreto:
§ si provveda all’attribuzione di coefficienti e caratteristiche di qualità ambientale ai predetti impianti in funzione del rispetto degli anzidetti criteri e parametri, nonché garantendo un approccio integrato ed una elevata protezione dell'ambiente nel suo complesso;
§ sia garantito il rispetto dei valori minimi previsti dalle linee guida per l'individuazione e l'utilizzo delle migliori tecniche disponibili (MTD) di cui all'art. 4 del D.Lgs. 59/2005.
L’art. 4 del D.Lgs. 59/2005 prevede che l’AIA sia rilasciata nel rispetto delle linee guida per l'individuazione e l'utilizzo delle migliori tecniche disponibili, emanate con appositi decreti interministeriali[15].
Lo stesso comma disciplina le modalità di emanazione del decreto ministeriale, prevedendo che avvenga previa intesa con il ministro dello Sviluppo economico e sentito il ministro per le Politiche europee.
Il comma 3-bis, introdotto durante l’esame al Senato, integra le citate modalità di emanazione, prevedendo che lo schema di decreto sia trasmesso alle Camere ai fini dell’espressione del parere da parte delle competenti commissioni parlamentari, da rendersi entro 30 giorni dalla data di trasmissione. Decorso tale termine il decreto può essere comunque emanato.
Il comma 4 dispone che il citato decreto ministeriale provveda all’individuazione di coefficienti e caratteristiche di qualità ambientale degli impianti, al ricorrere dei quali si ha il dimezzamento dei termini istruttori previsti:
§ dal D.Lgs. 59/2005;
§ nonché, per gli impianti di nuova realizzazione soggetti ad AIA, che hanno richiesto tale autorizzazione dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. 4/2008.
Si ricorda che il nuovo art. 36, comma 4, lettera c), del D.Lgs. 152/2006, introdotto dal D.Lgs. 4/2008 alla lettera c) ha riscritto la prima parte del comma 11 dell’art. 5 del D.Lgs. 59/2005 prevedendo (seppure in alternativa alla conferenza di servizi già prevista dal testo originario) un ulteriore termine di 60 giorni per l’acquisizione delle prescrizioni del sindaco in materia sanitaria previste dagli artt. 216-217 del R.D. 1265/1934, nonché il parere dell'Agenzia per la protezione dell'ambiente (oggi ISPRA) o delle Agenzie regionali e provinciali per quanto riguarda il monitoraggio ed il controllo degli impianti e delle emissioni nell'ambiente.
Lo stesso comma prevede, per gli impianti che soddisfano i citati coefficienti e caratteristiche, un allungamento della durata dell’AIA rispetto alle scadenze previste, per il rinnovo dell’autorizzazione, dall’art. 9 del D.Lgs. 59/2005:
§ da 5 ad 8 anni;
§ da 6 a 10 anni, per gli impianti certificati secondo la norma UNI EN ISO 14001;
§ da 8 a 12 anni, per gli impianti registrati ai sensi del regolamento EMAS (n. 761/2001).
La normativa internazionale ISO 14001 e il Regolamento comunitario EMAS n. 761/2001 sono gli strumenti volontari di gestione ambientale più diffusi per prevedere e migliorare continuamente gli impatti ambientali di un’organizzazione.
Il Regolamento n. 761/2001/CE disciplina il sistema comunitario di ecogestione ed audit (EMAS)[16], che si propone l'obiettivo di promuovere il costante miglioramento dei risultati ambientali di tutte le organizzazioni europee definite dall’art. 2 del regolamento - attraverso l'introduzione e l'attuazione di sistemi di gestione ambientale (SGA) ed una valutazione sistematica, obiettiva e periodica della loro efficacia - nonché l'informazione del pubblico e delle parti interessate.
La ISO 14001 è una norma internazionale di carattere volontario, applicabile a tutte le tipologie di imprese, che definisce come deve essere sviluppato un efficace sistema di gestione ambientale. Tale norma richiede che l'azienda definisca i propri obiettivi e target ambientali e implementi un sistema di gestione ambientale che permetta di raggiungerli. La logica volontaristica della ISO 14001 lascia la libertà all'azienda di scegliere quali e quanti obiettivi di miglioramento perseguire, anche in funzione delle possibilità economiche e del livello tecnologico già esistente in azienda.
La norma ISO 14001 è stata recepita dal Regolamento n. 761/2001/CE. L’Allegato I del regolamento EMAS prevede, infatti, che il sistema di gestione ambientale di una organizzazione che voglia registrarsi, sia attuato in conformità con i requisiti della norma ISO14001, sezione 4.
Il comma 5 dispone che lo stesso decreto ministeriale individui anche i coefficienti e le caratteristiche di qualità ambientale degli impianti per i quali possa essere convocata la conferenza dei servizi o debbano esprimere il parere i sindaci e le Agenzie per la protezione dell'ambiente (art. 5, commi 10 e 11 del decreto legislativo n. 59 del 2005). Si prevede, inoltre che l'autorizzazione o il rinnovo siano rilasciati dall'autorità competente, previo parere delle amministrazioni competenti in materia ambientale e comunque, nel caso di impianti di competenza statale, dei Ministeri dell'Interno, del lavoro, della salute e delle politiche sociali e dello sviluppo economico.
Per gli impianti rientranti nel campo di applicazione di questa disposizione viene previsto lo stesso allungamento della durata dell’AIA previsto dal comma precedente rispetto alle scadenze previste, per il rinnovo dell’autorizzazione, dall’art. 9 del D.Lgs. 59/2005.
Si ricorda che il comma 10 dell'art. 5 del decreto legislativo n. 59 del 2005 prevede che l'autorità competente a rilasciare l'autorizzazione integrata ambientale possa convocare una conferenza dei servizi alla quale invita le amministrazioni competenti in materia ambientale e comunque, nel caso di impianti di competenza statale, i Ministeri dell'interno, della salute e delle attività produttive.
Il successivo comma 11 prevede, invece, che l'autorità competente, ai fini del rilascio dell'AIA, acquisisca, eventualmente nell’ambito della conferenza di servizi di cui al comma precedente, le prescrizioni del sindaco di cui agli artt. 216-217 del R.D. 27 luglio 1934, n. 1265, nonché il parere delle agenzie ambientali.
L'art. 9 del D.Lgs. 59/2005 riguarda invece le modalità di rinnovo e riesame dell'autorizzazione integrata ambientale e si prevede, tra l'altro, che l'autorità competente si esprima entro centocinquanta giorni e che possa essere convocata una conferenza di servizi. Fino alla pronuncia dell'autorità competente, il gestore continua l'attività sulla base della precedente autorizzazione.
Il comma in esame sembra, nella prima parte, voler garantire, in ogni caso, a prescindere dall’eventuale convocazione della conferenza dei servizi, l'espressione dei pareri da parte delle amministrazioni locali e statali, anche nel caso di rinnovo dell'autorizzazione.
Parrebbe collegarsi a tale rafforzamento la previsione, anche per gli impianti di cui al comma in esame, di un allungamento dei termini di validità dell’AIA.
Articolo 4, comma 5-bis
(Regime
di sostegno per la cogenerazione ad alto rendimento)
5-bis. All’articolo 30, comma 11, terzo periodo, della legge 23 luglio 2009, n. 99, le parole: "e all’articolo 14 del decreto legislativo 8 febbraio 2007, n. 20" sono sostituite dalle seguenti: ", nonche´, con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, da adottare entro la medesima data, dei benefıci di cui all’articolo 14 del decreto legislativo 8 febbraio 2007, n. 20".
Il comma 5-bis dell’articolo 4, introdotto dal Senato, modifica il comma 11 dell’articolo 30 della legge 99/2009[17], sul regime di sostegno previsto per la cogenerazione ad alto rendimento, al fine di prevedere la concertazione con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per il decreto del Ministro dello sviluppo economico che definisce criteri e modalità per il riconoscimento dei benefici di cui all’articolo 14 del decreto legislativo n. 20/2007[18].
Il citato comma 11, art. 30, L. 99/2009 specifica che il regime di sostegno previsto per la cogenerazione ad alto rendimento ai sensi dell'articolo 6, comma 1, secondo periodo, del D.Lgs. 20/2007[19], è riconosciuto:
§ per un periodo non inferiore a dieci anni limitatamente alla nuova potenza entrata in esercizio dopo la data di entrata in vigore del medesimo decreto legislativo, a seguito di nuova costruzione o rifacimento, nonché ai rifacimenti di impianti esistenti;
§ sulla base del risparmio di energia primaria, anche con riguardo all'energia autoconsumata sul sito di produzione, e assicurando che il valore economico dello stesso regime di sostegno sia in linea con quello riconosciuto nei principali Paesi membri dell'Unione europea al fine di perseguire l'obiettivo dell'armonizzazione ed evitare distorsioni della concorrenza.
Lo stesso comma 11 demanda ad un decreto del Ministro dello sviluppo economico, da emanare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge, la definizione dei criteri e delle modalità per il riconoscimento dei benefici di cui al medesimo comma e all’articolo 14 del D.Lgs. 20/2007, garantendo la non cumulabilità delle forme incentivanti[20].
Con la modifica disposta dalla norma in esame, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge n. 99/2009, dovranno essere emanati due decreti:
§ un decreto del Ministro dello sviluppo economico relativo ai criteri e alle modalità per il riconoscimento dei benefìci di cui allo stesso comma 11;
§ un decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, relativo ai criteri e alle modalità per il riconoscimento dei benefici di cui all'articolo 14 del D.Lgs. 20/2007.
Articolo 4-bis
(Modifiche
al decreto legislativo 24 giugno 2003, n. 182, recante attuazione della
direttiva 2000/59/CE relativa agli impianti portuali di raccolta per i rifiuti
prodotti dalle navi ed i residui del carico – Adeguamento alla sentenza della
Corte di giustizia CE del 25 settembre 2008, resa nella causa C-368/07)
1. All’articolo 5 del decreto legislativo 24 giugno 2003, n. 182, il comma 4 é sostituito dal seguente:
"4. Nei porti in cui l’Autorità competente è l’Autorità marittima, le prescrizioni di cui al comma 1 sono adottate, d’intesa con la regione competente, con ordinanza che costituisce piano di raccolta, ed integrate a cura della regione, per gli aspetti relativi alla gestione, con il piano regionale di gestione dei rifiuti di cui all’articolo 199 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152. A tale fine, la regione cura altresì le procedure relative all’affidamento del servizio di gestione dei rifiuti, d’intesa con l’Autorità marittima per i fini di interesse di quest’ultima. Nei porti di cui al presente comma, spetta alla regione provvedere alla predisposizione dello studio di cui al comma 2 dell’articolo 5 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357, nonché alla acquisizione di ogni altra valutazione di compatibilita` ambientale inerente al piano di raccolta. Dall’attuazione del presente comma non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.”
L’articolo in esame riscrive il comma 4 dell’art. 5 del D.Lgs. 182/2003 al fine di integrare le disposizioni per l’elaborazione dei piani per la raccolta nei porti dei rifiuti prodotti dalle navi e dei residui del carico, attraverso l’attribuzione alle regioni di una serie di compiti in materia.
La necessità della norma in esame discende dall’esigenza di evitare che la Commissione europea adisca la Corte di giustizia, nell’ambito della procedura di infrazione in corso a carico dell’Italia (n. 2005/2015), specificamente illustrata nell’ultimo paragrafo di questa scheda, che ha già portato ad una condanna del nostro Paese (sentenza della Corte di Giustizia del 25 settembre 2008 - Causa C-368/07, Commissione contro Italia[21]) per non aver provveduto ad elaborare ed adottare, per ciascun porto italiano, piani di raccolta dei rifiuti, secondo quanto previsto dalla direttiva 2000/59/CE.
Come si legge nel comunicato della Commissione[22], “mentre la direttiva doveva essere attuata entro il 27 dicembre 2002, nel 2008, quando è stata resa la sentenza della Corte, moltissimi porti italiani non avevano ancora un piano di raccolta e gestione dei rifiuti delle navi. Nonostante le recenti iniziative delle autorità italiane, la situazione rimane ad oggi sostanzialmente invariata. La Commissione ha dato all'Italia un'ultima possibilità di porre rimedio alla situazione prima di ricorrere nuovamente dinanzi alla Corte di giustizia perché infligga all'Italia una penalità finanziaria per mancata ottemperanza della sentenza succitata”.
L’art. 5, comma 1, del D.Lgs. 182/2003 prevede che, nel rispetto delle prescrizioni previste dall'allegato I e tenuto conto di una serie di obblighi imposti dal medesimo decreto, l’autorità portuale provveda - entro un anno dalla data di entrata in vigore dello stesso decreto – all’elaborazione di un piano di raccolta dei rifiuti prodotti dalle navi e dei residui del carico.
Il comma 4 del medesimo articolo dispone, per i porti in cui l'autorità competente è l'autorità marittima, che le prescrizioni di cui al comma 1 siano adottate, d'intesa con la regione competente, con ordinanza che costituisce piano di raccolta.
Il disposto vigente viene integrato dell'articolo in esame mediante l’attribuzione alla regione dei seguenti compiti, che sembrano finalizzati a garantire la predisposizione e l’attuazione del citato piano:
§ integrazione delle citate prescrizioni, per gli aspetti relativi alla gestione dei rifiuti, con il piano regionale di gestione dei rifiuti che la regione predispone a norma dell’art. 199 del D.Lgs. 152/2006;
§ cura delle procedure per l'affidamento del servizio di gestione dei rifiuti, d’intesa con l’autorità marittima, per i fini di interesse di quest'ultima;
§ predisposizione dello studio per la valutazione di incidenza (VINCA) del piano sull’habitat naturale previsto dall’art. 5, comma 2, del D.P.R. 357/1997;
Si ricorda, in proposito, che il comma 2 dell’art. 5 del citato D.P.R. 357/1997 (Regolamento recante attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche) obbliga i proponenti di piani territoriali, urbanistici e di settore, ivi compresi i piani agricoli e faunistico-venatori e le loro varianti, a predisporre uno studio per individuare e valutare gli effetti che il piano può avere sul sito, tenuto conto degli obiettivi di conservazione del medesimo. Gli atti di pianificazione territoriale da sottoporre alla valutazione di incidenza sono presentati, nel caso di piani di rilevanza nazionale, al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e, nel caso di piani di rilevanza regionale, interregionale, provinciale e comunale, alle regioni e alle province autonome competenti.
Poiché, quindi, la regione, ai sensi del citato DPR 357/1997, deve valutare lo studio per la valutazione di incidenza nel caso di piani di rilevanza regionale, interregionale, provinciale e comunale, occorrerebbe chiarire in merito alla disposizione in esame quale ente è competente a effettuare la valutazione, posto che in tal caso lo studio è redatto dalla regione.
§ acquisizione di ogni altra valutazione di compatibilità ambientale inerente al piano di raccolta.
L’ultimo periodo della novella prevista dell'articolo in esame dispone che dall'attuazione di tali disposizioni non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
Il 14 maggio 2009 la Commissione ha inviato all’Italia un parere motivato ex articolo 228 TCE (procedura di infrazione n. 2005/2015) per non aver dato completa esecuzione della sentenza con cui il 25 settembre 2008 la Corte di giustizia delle Comunità europee ha condannato l’Italia, nella causa C-368/07, per non aver provveduto ad elaborare ed adottare, per ciascun porto italiano, piani di raccolta e gestione dei rifiuti, venendo meno agli obblighi che ad essa incombono in forza degli artt. 5, n. 1, e 16, n. 1, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 27 novembre 2000, 2000/59/CE, relativa agli impianti portuali di raccolta per i rifiuti prodotti dalle navi e i residui del carico.
La Corte ha dichiarato che l’obbligo di elaborare piani di gestione dei rifiuti rappresenta un obbligo di risultato che non può essere adempiuto a mezzo di misure preparatorie e che, pertanto, l’efficace trasposizione della direttiva, cui gli Stati membri sono tenuti in forza dell’art. 5 della direttiva, può essere assicurata soltanto attraverso l’elaborazione di piani di raccolta e gestione dei rifiuti definitivi.
La Commissione ricorda che, in base all’articolo 228 TCE, qualora l’Italia persista nell’inottemperanza, la procedura proseguirà con l’invio di un parere motivato e, nel caso in cui non siano rispettati i termini fissati dalla Commissione per l’adozione dei provvedimenti di esecuzione della sentenza, la Commissione può avvalersi della facoltà diadire la Corte di giustizia, precisando nel ricorso l'importo della somma forfetaria o della penalità. La Corte di giustizia, qualora accolga il ricorso della Commissione, pronuncia una sentenza di condanna nei confronti dello Stato medesimo.
Articolo 5
(Misure
urgenti per la semplificazione in materia di gestione dei rifiuti di
apparecchiature elettriche ed elettroniche di cui al decreto legislativo 25
luglio 2005, n. 151, recante attuazione delle direttive 2002/95/CE, 2002/96/CE
e 2003/108/CE, relative alla riduzione dell'uso di sostanze pericolose nelle
apparecchiature elettriche ed elettroniche, nonché allo smaltimento dei
rifiuti)
1. Ai fini dell’elaborazione delle quote di mercato di cui all’articolo 15 del decreto legislativo 25 luglio 2005, n. 151, nonche´ per consentire l’adempimento degli obblighi di comunicazione alla Commissione europea di cui all’articolo 17, comma 1, del medesimo decreto, entro il 31 dicembre 2009 i produttori di apparecchiature elettriche ed elettroniche comunicano al Registro nazionale dei soggetti obbligati al finanziamento dei sistemi di gestione dei rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche, con le modalita` di cui all’articolo 3 del regolamento di cui al decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare 25 settembre 2007, n. 185, i dati relativi alle quantita` ed alle categorie di apparecchiature elettriche ed elettroniche immesse sul mercato negli anni 2007 e 2008. I medesimi produttori sono tenuti contestualmente a confermare o rettificare il dato relativo alle quantita` ed alle categorie di apparecchiature elettriche ed elettroniche immesse sul mercato nell’anno 2006 comunicato al Registro al momento dell’iscrizione.
2. Per consentire l’adempimento degli obblighi di comunicazione alla Commissione europea di cui all’articolo 17, comma 1, del decreto legislativo 25 luglio 2005, n. 151, i sistemi collettivi di gestione dei rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche o, nel caso di produttori di apparecchiature elettriche ed elettroniche professionali non aderenti a sistemi collettivi, i singoli produttori, comunicano entro il 31 dicembre 2009 al Registro nazionale dei soggetti obbligati al finanziamento dei sistemi di gestione dei rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche, con le modalità di cui all’articolo 3 del citato decreto n. 185 del 2007, i dati relativi al peso delle apparecchiature elettriche ed elettroniche raccolte attraverso tutti i canali, reimpiegate, riciclate e recuperate nel 2008, suddivise secondo l’allegato 1 A del decreto legislativo 25 luglio 2005, n. 151, e per quanto riguarda la raccolta, in domestiche e professionali.
L’articolo 5- che riproduce l'art. 7-ter del disegno di legge comunitaria 2009, nel testo licenziato dalla Camera dei deputati e ora all’esame del Senato - prevede, in capo ai produttori di apparecchiature elettriche ed elettroniche (AEE), l’obbligo - da espletarsi entro il 31 dicembre 2009 e con le modalità previste dall’art. 3 del D.M. 185/2007 - di comunicazione al Registro nazionale dei soggetti obbligati al finanziamento dei sistemi di gestione dei rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE) dei dati relativi alle quantità ed alle categorie di AEE immesse sul mercato negli anni 2007-2008 (comma 1). Lo stesso comma dispone che i produttori sono tenuti contestualmente a conformare o rettificare il dato relativo all'anno 2006 comunicato al Registro al momento dell'iscrizione.
Il comma 1 precisa che l’obbligo in esso previsto è finalizzato:
- all'elaborazione delle quote di mercato di cui all'art. 15 del D.Lgs. 151/2005 (v. infra);
- all'adempimento degli obblighi di comunicazione alla Commissione europea di cui all'art. 17, comma 1, del medesimo decreto.
Il citato art. 15 del D.Lgs. 151/2005 ha istituito, presso il Ministero dell'ambiente, il Comitato di vigilanza e di controllo sulla gestione dei RAEE, con il compito, tra l’altro, di calcolare, le quote di mercato dei produttori.
Ai sensi del comma 1 dell’art. 17 del D.Lgs. 151/2005 il Ministero dell'ambiente trasmette alla Commissione europea, a decorrere dall'anno 2008 e, successivamente, ogni due anni, entro il 30 giugno, le informazioni di cui all'articolo 13, commi 6 e 7, relative al biennio precedente, secondo il formato adottato in sede comunitaria. Le prime informazioni riguardano il biennio 2005-2006.
Relativamente al citato art. 13, commi 6 e 7, si ricorda che tali commi impongono ai produttori (anche qualora si avvalgano dei mezzi di comunicazione a distanza di cui al decreto legislativo n. 185 del 1999) di comunicare annualmente al Registro nazionale la quantità e le categorie di AEE immesse sul mercato, raccolte attraverso tutti i canali, reimpiegate, riciclate e recuperate, fatto salvo quanto stabilito dalle disposizioni vigenti in materia di segreto industriale, nonché le indicazioni relative alla garanzia finanziaria prevista dal presente decreto.
Lo stesso comma dispone altresì che i medesimi produttori sono tenuti contestualmente a conformare o rettificare il dato relativo all'anno 2006 comunicato al Registro al momento dell'iscrizione.
Si ricorda, in proposito, che l’art. 14 del D.Lgs. 151/2005, al fine di controllare la gestione dei RAEE e di definire le quote di mercato, ha previsto l’istituzione, presso il Ministero dell'ambiente, di un Registro nazionale dei soggetti tenuti al finanziamento dei sistemi di gestione dei RAEE.
Tale registro è stato poi istituito con il D.M. 25 settembre 2007, n. 185, il cui art. 3 dispone, tra l’altro, che all'atto dell'iscrizione (da effettuarsi entro il 18 febbraio 2008 o comunque prima che il produttore inizi ad operare nel mercato italiano) al Registro il produttore deve indicare, tra l’altro, per ciascuna categoria di apparecchiature di cui all'allegato 1A del decreto legislativo 25 luglio 2005, n. 151, come ulteriormente suddivisa nell'allegato 1B del medesimo decreto legislativo, il numero e il peso effettivo, o il solo peso effettivo, delle apparecchiature immesse sul mercato nell'anno solare precedente, suddivise tra apparecchiature domestiche e professionali. Tale ultima suddivisione non si applica alle apparecchiature di illuminazione in conformità al disposto dell'articolo 10, comma 4, del medesimo decreto.
L’iscrizione va effettuata presso la Camera di commercio che garantisce la trasmissione delle informazioni, attraverso l’interconnessione telematica diretta, al Comitato di vigilanza e all’ISPRA. È infatti compito del Comitato di vigilanza e di controllo (responsabile della tenuta del Registro), assistito dal Comitato di indirizzo sulla gestione dei RAEE, di calcolare le rispettive quote di mercato dei produttori per l’attribuzione delle responsabilità di finanziamento corrispondenti (art. 15, comma 1, lettera c), del D.Lgs. 151/2005).
Si ricorda altresì che l’art. 6 del D.M. 185/2007 prevede che i produttori di AEE comunicano con cadenza annuale al Comitato di vigilanza e controllo i dati previsti ai commi 6 e 7 dell'articolo 13 del D.Lgs. 151/2005 (v. supra) e che le informazioni sono fornite per via telematica e riguardano, per ciascuna categoria di apparecchiature di cui all'allegato 1A del D.Lgs. 151/2005, come ulteriormente suddivisa nell'allegato 1B del medesimo decreto legislativo:
a) il numero e il peso effettivo o il solo peso effettivo delle apparecchiature elettriche ed elettroniche immesse sul mercato nell'anno solare precedente, suddivise tra apparecchiature domestiche e professionali. Tale ultima suddivisione non si applica alle apparecchiature di illuminazione in conformità al disposto dell'articolo 10, comma 4, del decreto legislativo 25 luglio 2005, n. 151;
b) il peso delle apparecchiature elettriche ed elettroniche raccolte attraverso tutti i canali, reimpiegate, riciclate e recuperate nell'anno solare precedente; in caso di adesione ad un sistema collettivo, le predette informazioni sono comunicate dal sistema collettivo per conto di tutti i produttori ad esso aderenti.
Il comma 2 introduce per i sistemi collettivi di gestione dei RAEE obblighi di comunicazione analoghi a quelli previsti dal comma 1.
Viene infatti previsto che, sempre per consentire l'adempimento degli obblighi di comunicazione alla Commissione europea di cui all'art. 17, comma 1, del D.Lgs. 151/2005, i sistemi collettivi di gestione dei RAEE o, nel caso di produttori di apparecchiature elettriche ed elettroniche professionali non aderenti a sistemi collettivi, i singoli produttori, comunicano entro il 31 dicembre 2009 al Registro nazionale e sempre con le modalità di cui all'art. 3 del D.M. 185/2007, i dati relativi al peso delle AEE raccolte attraverso tutti i canali, reimpiegate, riciclate e recuperate nel 2008, suddivise secondo l'allegato 1A del D.Lgs. 151/2005 e, per quanto riguarda la raccolta, in domestiche e professionali.
Si ricorda, infatti, che anche per i sistemi collettivi è previsto l’obbligo di iscrizione nel Registro nazionale. Ai sensi dell’art. 14, comma 1, del D.Lgs. 151/2005, infatti, all'interno di tale registro è prevista una sezione relativa ai sistemi collettivi o misti istituiti per il finanziamento della gestione dei RAEE.
In sostanza la norma sembra prevedere una proroga dei termini relativi agli obblighi di comunicazione per gli anni 2007 e 2008, consentendo altresì una rettifica dei dati relativi al 2006.
Al riguardo si osserva che l’articolo 16, comma 8 del D.Lgs. 151/2005 commina al produttore che non adempie agli obblighi di comunicazione nei termini e nei modi sopra richiamati una sanzione amministrativa pecuniaria da 2.000 a 20.000 euro. Occorrerebbe pertanto chiarire se la modifica della norma in esame interviene anche sull’applicazione della predetta sanzione.
Il 3 dicembre 2008 la Commissione ha presentato una proposta di rifusione della direttiva sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE) (COM(2008)810), intesa a migliorare, attraverso la rifusione, la normativa esistente (direttiva 2002/96/CE sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche - RAEE) in particolare:
· riducendo i costi amministrativi tramite l'eliminazione di tutti gli oneri amministrativi superflui, senza abbassare il livello di tutela dell'ambiente;
· migliorando l'efficacia e l'attuazione della direttiva attraverso meccanismi che garantiscano un maggiore rispetto delle disposizioni, e riducendo comportamenti opportunistici (il cosiddetto freeriding);
· riducendo gli impatti sull'ambiente della raccolta, del trattamento e del recupero dei RAEE fino a livelli che permettano di ottenere i maggiori benefici per la società.
La proposta della Commissione, inoltre, intende fissare un nuovo obiettivo di raccolta dei RAEE, pari al 65%, da raggiungere ogni anno a partire dal 2016, stabilito in funzione della quantità media di AEE immesse sul mercato nei due anni precedenti. Eventuali misure transitorie per gli Stati membri e una rivalutazione del tasso nel 2012, da parte del Parlamento europeo e del Consiglio sulla base di una proposta della Commissione, dovrebbero introdurre elementi di flessibilità. In materia di riciclaggio, infine, la Commissione propone alcune modifiche volte a favorire il riutilizzo di apparecchi interi e di dispositivi medici.
Si segnala che, sempre il 3 dicembre 2008, la Commissione ha presentato una proposta di rifusione della direttiva sulla restrizione dell'uso di determinate sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche (COM(2008)809) intesa a migliorare la normativa esistente (direttiva 2002/95/CE nota anche come direttiva RoHS – Restriction of Hazardous Substances) chiarendone e semplificandone i meccanismi di funzionamento, perfezionando l'attività di controllo dell'applicazione a livello nazionale, e garantendo l'adeguamento al progresso scientifico e tecnico nonché la coerenza con altre normative comunitarie.
Le due proposte, che seguono la procedura di codecisione, fanno parte di un pacchetto omogeneo che potrebbe essere esaminato dal Consiglio entro la fine del 2009 in modo da consentire l’esame in prima lettura da parte del Parlamento europeo entro la primavera del 2010.
Articolo 5-bis
(Attuazione
della direttiva 2004/35/CE - procedura di infrazione 2007/4679, ex articolo 226
Trattato CE)
1. Ai fini di un ulteriore adeguamento a quanto previsto dal punto 1.2.3 dell’Allegato II alla direttiva 2004/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, sono apportate le seguenti modifiche:
a) all’articolo 311, al comma 2, le parole da: "al ripristino" fino alla fine del comma sono sostituite dalle seguenti: "all’effettivo ripristino a sue spese della precedente situazione e, in mancanza, all’adozione di misure di riparazione complementare e compensativa di cui alla direttiva 2004/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, secondo le modalita` prescritte dall’Allegato II alla medesima direttiva, da effettuare entro il termine congruo di cui all’articolo 314, comma 2, del presente decreto. Quando l’effettivo ripristino o l’adozione di misure di riparazione complementare o compensativa risultino in tutto o in parte omessi, impossibili o eccessivamente onerosi ai sensi dell’articolo 2058 del codice civile o comunque attuati in modo incompleto o difforme rispetto a quelli prescritti, il danneggiante e` obbligato in via sostitutiva al risarcimento per equivalente patrimoniale nei confronti dello Stato, determinato conformemente al comma 3 del presente articolo, per finanziare gli interventi di cui all’articolo 317, comma 5";
b) all’articolo 311, comma 3, sono aggiunti, in fine, i seguenti periodi: "Con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sono definiti, in conformita` a quanto previsto dal punto 1.2.3 dell’Allegato II alla direttiva 2004/35/CE, i criteri di determinazione del risarcimento per equivalente e dell’eccessiva onerosita`, avendo riguardo anche al valore monetario stimato delle risorse naturali e dei servizi perduti e ai parametri utilizzati in casi simili o materie analoghe per la liquidazione del risarcimento per equivalente del danno ambientale in sentenze passate in giudicato pronunciate in ambito nazionale e comunitario. Nei casi di concorso nello stesso evento di danno, ciascuno risponde nei limiti della propria responsabilita` personale. Il relativo debito si trasmette, secondo le leggi vigenti, agli eredi nei limiti del loro effettivo arricchimento. Il presente comma si applica anche nei giudizi di cui ai commi 1 e 2.";
c) all’articolo 303, al comma 1, lettera f), sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: "i criteri di determinazione dell’obbligazione risarcitoria stabiliti dall’articolo 311, commi 2 e 3, si applicano anche alle domande di risarcimento proposte o da proporre ai sensi dell’articolo 18 della legge 18 luglio 1986, n. 349, in luogo delle previsioni dei commi 6, 7 e 8 del citato articolo 18, o ai sensi del titolo IX del libro IV del codice civile o ai sensi di altre disposizioni non aventi natura speciale, con esclusione delle pronunce passate in giudicato; ai predetti giudizi trova, inoltre, applicazione la previsione dell’articolo 315 del presente decreto;";
d) all’articolo 317, al comma 5, alinea, le parole da: "sono versate" fino a: "della spesa" sono sostituite dalle seguenti: "affluiscono al fondo di cui all’articolo 7-quinquies, comma 1, del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009, n. 33, per essere destinate alle seguenti finalita`";
e) all’articolo 317, il comma 6 e` abrogato.
2. All’articolo 2 del decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 208, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2009, n. 13, il comma 7 e` sostituito dal seguente:
"7. I soli proventi di spettanza dello Stato, derivanti dalle transazioni di cui al presente articolo, introitati a titolo di risarcimento del danno ambientale, affluiscono al fondo di cui all’articolo 7-quinquies, comma 1, del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009, n. 33”.
Il comma 1 dell’articolo in esame reca una serie di modifiche alla Parte sesta (Norme in materia di tutela risarcitoria contro i danni all'ambiente) del D.Lgs. 152/2006 (cd. Codice dell’ambiente) al fine, dichiarato nello stesso comma, di un ulteriore adeguamento a quanto previsto dal punto 1.2.3 dell'Allegato II alla direttiva 2004/35/CE.
Il punto 1 dell’Allegato II alla direttiva 2004/35/CE prevede che la riparazione del danno ambientale, in relazione all'acqua o alle specie e agli habitat naturali protetti, è conseguita riportando l'ambiente danneggiato alle condizioni originarie tramite le seguenti misure di riparazione:
a) «primaria»: qualsiasi misura di riparazione che riporta le risorse e/o i servizi naturali danneggiati alle o verso le condizioni originarie;
b) «complementare»: qualsiasi misura di riparazione intrapresa in relazione a risorse e/o servizi naturali per compensare il mancato ripristino completo delle risorse e/o dei servizi naturali danneggiati;
c) «compensativa»: qualsiasi azione intrapresa per compensare la perdita temporanea di risorse e/o servizi naturali dalla data del verificarsi del danno fino a quando la riparazione primaria non abbia prodotto un effetto completo;
Lo stesso punto 1 dispone il ricorso residuale alla riparazione complementare nonché alla riparazione compensativa per compensare le perdite temporanee solo qualora la riparazione primaria non dia luogo a un ritorno dell'ambiente alle condizioni originarie.
Il punto 1.1.3 chiarisce poi che la riparazione compensativa non è una compensazione finanziaria al pubblico ma che è avviata per compensare la perdita temporanea di risorse naturali e servizi in attesa del ripristino e che consiste in ulteriori miglioramenti alle specie, agli habitat o alle acque nel sito danneggiato o in un sito alternativo.
Relativamente poi all’individuazione delle misure di riparazione complementare e compensativa, il punto 1.2.2 dispone che, nel determinare la portata di tali misure, occorre prendere in considerazione in primo luogo l'uso di metodi di equivalenza risorsa-risorsa o servizio-servizio, mentre il punto 1.2.3 disciplina i restanti casi.
In base al punto 1.2.3, infatti, se non è possibile usare, come prima scelta, i metodi di equivalenza risorsa-risorsa o servizio-servizio, si devono utilizzare tecniche di valutazione alternative. L'autorità competente può prescrivere il metodo, ad esempio la valutazione monetaria, per determinare la portata delle necessarie misure di riparazione complementare e compensativa. Se la valutazione delle risorse e/o dei servizi perduti è praticabile, ma la valutazione delle risorse naturali e/o dei servizi di sostituzione non può essere eseguita in tempi o a costi ragionevoli, l'autorità competente può scegliere misure di riparazione il cui costo sia equivalente al valore monetario stimato delle risorse naturali e/o dei servizi perduti.
a) l'art. 311, comma 2, è novellato al fine di una maggiore aderenza al dettato del punto 1.2.3 dell’allegato II della direttiva. L’attuale formulazione del comma 2, infatti, non consente di cogliere le diverse opzioni di riparazione previste dal punto 1 del citato allegato.
Il testo vigente del comma 2 dell’art. 311 prevede, infatti, l’obbligo - per chi arrechi danno all'ambiente, alterandolo, deteriorandolo o distruggendolo in tutto o in parte - del ripristino della precedente situazione e, in mancanza, del risarcimento per equivalente patrimoniale nei confronti dello Stato.
La novella pertanto interviene:
§ innanzitutto chiarendo che il ripristino deve essere effettivo e a spese del danneggiante;
§ introducendo, quale alternativa da praticare prima del risarcimento per equivalente, l’adozione di misure di riparazione complementare e compensativa secondo i criteri indicati nell’allegato II della direttiva ed entro il termine congruo di cui all'art. 314, comma 2;
L’art. 314, comma 2, dispone che l’ordinanza che impone al danneggiante il ripristino ambientale fissi un termine comunque non inferiore a due mesi e non superiore a due anni, salvo ulteriore proroga da definire in considerazione dell'entità dei lavori necessari.
§ chiarendo che il risarcimento per equivalente patrimoniale rappresenta l’ultima ratio, cui è possibile ricorrere quando l'effettivo ripristino o l'adozione di misure di riparazione complementare o compensativa risultino in tutto o in parte omessi, impossibili o eccessivamente onerosi ai sensi dell'art. 2058 c.c. o comunque attuati in modo incompleto o difforme rispetto a quelli prescritti;
§ stabilendo che il citato risarcimento per equivalente sia determinato conformemente al comma 3 del medesimo art. 311 e sia destinato a finanziare gli interventi di cui all'art. 317, comma 5.
L’art. 311, comma 3, del D.Lgs. 152/2006 prevede - nel testo vigente - che il Ministro dell'ambiente provveda alla quantificazione del danno in applicazione dei criteri enunciati negli Allegati 3 e 4 della parte sesta del medesimo decreto. La successiva lettera b) del comma in esame disciplina lo svolgimento di tale compito da parte del Ministro dell’ambiente.
L’art. 317, comma 5, destina le somme introitate a titolo di risarcimento del danno ambientale al finanziamento, anche in via di anticipazione (in quest'ultimo caso, nella misura massima del 10% della spesa), di una serie di interventi che, semplificando, sono riconducibili alla bonifica e al ripristino dei siti inquinati e delle aree per le quali abbia avuto luogo il risarcimento del danno ambientale, nonché alle attività dei centri di ricerca nel campo delle riduzioni delle emissioni di gas ad effetto serra e dei cambiamenti climatici globali.
b) l'art. 311, comma 3, è integrato al fine di dettare le norme per l’applicazione del comma 2, nel nuovo testo previsto dalla lettera a). Viene infatti disposto che il Ministro dell’ambiente provveda alla definizione dei criteri di determinazione del risarcimento per equivalente e dell’eccessiva onerosità mediante apposito decreto da emanarsi entro 60 giorni dall’entrata in vigore della presente disposizione.
Viene altresì disposto che la definizione di tali criteri avvenga:
§ in conformità al punto 1.2.3 dell’allegato II alla direttiva;
§ avendo riguardo anche al valore monetario stimato delle risorse naturali e dei servizi perduti e ai parametri utilizzati in casi simili o materie analoghe per la liquidazione del risarcimento per equivalente del danno ambientale in sentenze passate in giudicato pronunciate in ambito nazionale e comunitario.
La lettera in esame dispone, altresì, che nei casi di concorso nello stesso evento di danno, ciascuno risponde nei limiti della propria responsabilità personale e che il relativo debito si trasmette, secondo le leggi vigenti, agli eredi nei limiti del loro effettivo arricchimento.
La disposizione deroga a due principi generali:
§ al principio affermato dall’art. 2055 del codice civile, in base al quale se il fatto dannoso è imputabile a più persone, tutte sono obbligate in solido al risarcimento del danno e colui che per primo risarcisce ha diritto di regresso verso ciascuno degli altri coobbligati, nella misura determinata dalla gravità della rispettiva colpa e dall’entità delle conseguenze che ne sono derivate. Peraltro, se l’art. 9 della direttiva 2004/35 lascia impregiudicata qualsiasi disposizione del diritto nazionale riguardante l'imputazione dei costi nel caso di pluralità di autori del danno, già il comma 7 dell’art. 18 della legge 349/1986 (che disciplinava il danno ambientale prima dell’abrogazione e sostituzione con la parte sesta del Codice dell’ambiente[23]) disponeva che “Nei casi di concorso nello stesso evento di danno, ciascuno risponde nei limiti della propria responsabilità individuale”;
§ alla regola generale della completa trasmissibilità agli eredi delle situazioni giuridiche patrimoniali (artt. 752 e 754 c.c.), limitando l’obbligo al risarcimento da parte dell’erede all’illecito arricchimento del dante causa con conseguente indebito effettivo arricchimento dell’erede stesso. In sostanza, con questa previsione, che riprende la deroga già prevista dall’art. 1 della legge n. 20 del 1994 in tema di responsabilità per danno erariale[24], il legislatore limita in caso di decesso dell’obbligato le possibilità di conseguire il pieno risarcimento del danno.
La lettera b) dispone infine che le disposizioni del comma 3 si applicano anche nei giudizi di cui ai commi 1 e 2 del medesimo articolo 311.
Si ricorda che il comma 1 dell’art. 311 stabilisce che il Ministro dell'ambiente agisce, anche esercitando l'azione civile in sede penale, per il risarcimento del danno ambientale in forma specifica e, se necessario, per equivalente patrimoniale, oppure procede ai sensi delle disposizioni di cui alla parte sesta del presente decreto.
Il comma 2 prevede che chiunque realizzando un fatto illecito, o omettendo attività o comportamenti doverosi, con violazione di legge, di regolamento, o di provvedimento amministrativo, con negligenza, imperizia, imprudenza o violazione di norme tecniche, arrechi danno all'ambiente, alterandolo, deteriorandolo o distruggendolo in tutto o in parte, è obbligato al ripristino della precedente situazione e, in mancanza, al risarcimento per equivalente patrimoniale nei confronti dello Stato.
c) all'art. 303, al comma 1, lettera f), che esclude dall’applicazione della disciplina del danno ambientale, recata dalla parte sesta del D.Lgs. 152/2006, il danno causato da un evento verificatosi prima dell’entrata in vigore della medesima parte sesta, viene aggiunto un periodo finalizzato all’applicazione dei criteri di determinazione dell'obbligazione risarcitoria stabiliti dall'art. 311, commi 2 e 3, anche alle domande di risarcimento proposte o da proporre, con esclusione delle pronunce passate in giudicato, ai sensi:
§ dell'art. 18 della legge 349/1986, in luogo delle previsioni dei commi 6, 7 e 8 del medesimo articolo 18 e relative al risarcimento del danno e, ove possibile, al ripristino dello stato dei luoghi a spese del responsabile;
§ ai sensi del titolo IX (Dei fatti illeciti) del libro IV (Delle obbligazioni) del codice civile, relativo al risarcimento per fatto illecito;
§ ai sensi di altre disposizioni non aventi natura speciale.
La stessa lettera in esame dispone che ai predetti giudizi trova, inoltre, applicazione la previsione dell'articolo 315 del D.Lgs. 152/2006.
L’art. 315 del D.Lgs. 152/2006 disciplina gli effetti dell'ordinanza sull'azione giudiziaria. Secondo tale articolo, infatti, il Ministro dell'ambiente che abbia adottato l'ordinanza di cui all'art. 313 non può né proporre né procedere ulteriormente nel giudizio per il risarcimento del danno ambientale, salva la possibilità dell'intervento in qualità di persona offesa dal reato nel giudizio penale.
L’art. 313 del medesimo decreto attribuisce al Ministro dell’ambiente il potere di ingiungere ai responsabili del danno, con ordinanza immediatamente esecutiva, il ripristino ambientale a titolo di risarcimento in forma specifica entro un termine fissato. Qualora il responsabile non provveda in tutto o in parte al ripristino nel termine ingiunto, o il ripristino risulti in tutto o in parte impossibile, oppure eccessivamente oneroso ai sensi dell'articolo 2058 del codice civile, allora il comma 2 del medesimo articolo attribuisce al Ministro dell'ambiente di ingiungere, con successiva ordinanza, il pagamento di una somma pari al valore economico del danno accertato o residuato, a titolo di risarcimento per equivalente pecuniario.
d) il comma 5 dell'art. 317, è novellato al fine di modificare la collocazione in bilancio - senza tuttavia variarne le finalità - delle somme derivanti dalla riscossione dei crediti in favore dello Stato per il risarcimento del danno ambientale. Rispetto al testo vigente, che prevede l’afflusso di tali somme ad un fondo di rotazione istituito nell'ambito di apposita U.P.B. dello stato di previsione del Ministero dell'ambiente, la novella in esame prevede l’afflusso di tali somme nel Fondo istituito nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze dall’art. 7-quinquies, comma 1, del D.L. 5/2009 (convertito dalla legge 33/2009) per il finanziamento di interventi urgenti e indifferibili.
Come anticipato, tale diversa collocazione in bilancio non muta la destinazione finale delle somme, che rimane quella stabilita dalle vigenti lettere a), b), c) e d) del comma 5 dell’art. 317, vale a dire, in sintesi, la bonifica e il ripristino dei siti inquinati e delle aree per le quali abbia avuto luogo il risarcimento del danno ambientale, nonché le attività dei centri di ricerca nel campo delle riduzioni delle emissioni di gas ad effetto serra e dei cambiamenti climatici globali.
La stessa lettera d) in esame provvede alla conseguente abrogazione del comma 6 dell’art. 317 recante la disciplina dell’abrogato fondo di rotazione.
Il comma 2 dell'articolo in esame interviene sulla disciplina delle transazioni globali per la bonifica ed il risarcimento del danno ambientale recentemente introdotta dall’art. 2 del D.L. 208/2008, al solo fine di convogliare anche i proventi derivanti da tali transazioni introitati a titolo di risarcimento del danno ambientale verso il fondo previsto dall'articolo 7-quinquies, comma 1, del D.L. 5/2009.
Si ricorda che l'articolo 2 del D.L. 208/2008 ha introdotto una procedura alternativa di risoluzione stragiudiziale del contenzioso relativo alle procedure di rimborso delle spese di bonifica e ripristino di aree contaminate e al risarcimento del danno ambientale, consentendo al Ministero dell’ambiente di predisporre uno schema di contratto per la stipula di una o più transazioni globali, con una o più imprese interessate, pubbliche o private, in ordine alla spettanza e alla quantificazione degli oneri di bonifica e di ripristino, nonché del danno ambientale di cui all’art. 18 della legge n. 349/1986 (ora abrogato) e all’art. 300 del d.lgs. n. 152/2006, e degli altri eventuali danni di cui lo Stato o altri enti pubblici territoriali possano richiedere il risarcimento.
In particolare, l’attuale testo del comma 7 prevede che i proventi derivanti da tali transazioni siano assegnati allo stato di previsione del Ministero dell'ambiente e ne indica anche le finalità.
Il testo vigente del comma 7 dispone, infatti, che tali somme siano destinate “per le finalità previamente individuate con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze” e che “Nei casi in cui nella transazione sia previsto che la prestazione complessivamente dovuta dall'impresa o dalle imprese abbia carattere soltanto pecuniario, le modalità e le finalità di utilizzo della quota di proventi diversa da quella introitata a titolo di risarcimento del danno ambientale sono definite negli strumenti di attuazione”.
Si fa notare che per tali somme, a differenza di quanto avviene per quelle di cui al comma 5 dell’art. 317 del Codice, come modificato, oltre alla sottrazione al Ministero dell’ambiente, non c’è più alcun vincolo al loro utilizzo[25].
Il 31 gennaio 2008 la Commissione ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora per essere venuta meno agli obblighi previsti dagli articoli 1,3,4,6,7 e Allegato II della direttiva 2004/35/CE sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale.
In particolare, la Commissione ha rilevato profili di non conformità nel D.Lgs. n. 152 del 3 aprile 2006 di trasposizione della suddetta direttiva in riferimento a:
· l’art 311, comma 2 del D.Lgs 152/06 limita l’obbligo di ripristino in caso di danno ambientale per l’operatore solo in caso di dolo o colpa, contrariamente a quanto previsto dagli articoli 3 e 6 della direttiva che stabiliscono un regime di responsabilità oggettiva per il danno ambientale causato dalle attività professionali elencate nell’allegato III alla direttiva in esame, nonché un regime di responsabilità per dolo o colpa per il danno alle specie e agli habitat naturali protetti causato da attività professionali non inserite in tale elenco;
· l’art. 303 del DLgs 152/06 elenca una serie di limitazioni al campo di applicazione della direttiva non previste dall’art. 4 della direttiva;
· varie disposizioni del DLgs 152/06 consentono che le misure di riparazione previste dall’art 7 e all’allegato II della direttiva possano essere sostituite da risarcimenti per equivalente pecuniario, contrariamente a quanto previsto dalla direttiva che prevede sì, in taluni casi, l’utilizzo di tecniche di valutazione monetaria, ma da utilizzarsi allo scopo di determinare la portata delle misure di riparazione complementare e compensativa e non allo scopo di sostituire tali misure con risarcimenti pecuniari. Inoltre, le modalità di calcolo del danno equivalente patrimoniale di cui all’art 314, comma 3, consentirebbero, secondo la Commissione, che il pagamento risulti effettivamente svincolato dall’entità del danno ambientale arrecato, contrariamente al principio “chi inquina paga” esplicitamente richiamato all’art. 1 della direttiva.
Articolo 6
(Modifiche al decreto legislativo 27 gennaio
1992, n. 109, recante attuazione della direttiva 89/395/CEE e della direttiva
89/396/CEE concernenti l’etichettatura, la presentazione e la pubblicita` dei
prodotti alimentari)
1. All’allegato 2, sezione III, del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 109, come modificato dal comma 1 dell’articolo 27 della legge 7 luglio 2009, n. 88, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al punto 1, lettera a), le parole: «incluso destrosio e prodotti derivati, purche´» sono sostituite dalle seguenti: «incluso destrosio, nonche´ prodotti derivati purche´»;
b) al punto 1, lettera b), le parole: «a base di grano e prodotti derivati, purche´» sono sostituite dalle seguenti: «a base di grano, nonche´ prodotti derivati purche´»;
c) al punto 6, lettera a), le parole: «grasso di soia raffinato e prodotti derivati, purche´» sono sostituite dalle seguenti: «grasso di soia raffinato, nonche´ prodotti derivati purche´».
2. Resta fermo quanto previsto dal comma 3-bis dell’articolo 29 del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 109, come introdotto dal comma 3 dell’articolo 27 della legge 7 luglio 2009, n. 88.
Il comma 1 dell'articolo 6 è inteso a operare correzioni materiali alle norme che individuano alcune esclusioni dall'elenco degli ingredienti classificati come allergeni alimentari.
Sia l'elenco dei prodotti allergizzanti che le esclusioni in esame sono contenute nella sezione III dell’allegato 2 del D.Lgs. n. 109/92[26] che è stata da ultimo interamente novellata con l'art. 27 della L. n. 88/09 Comunitaria 2008, al fine di recepire le riclassificazioni operate dalla direttiva 2007/68/CE[27].
Il comma 2 specifica che l'intervento correttivo di cui al primo comma non determina alcuna modifica della procedura attualmente prevista per l’aggiornamento della sezione III allo scopo di recepire le direttive comunitarie, in base alla quale debbono essere adottati decreti del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, previo parere della Conferenza Stato-regioni che si esprime entro trenta giorni dalla richiesta[28].
Articolo 7
(Disposizioni per i sistemi di misura
installati nell’ambito delle reti nazionali e regionali di trasporto del gas e
per eliminare ostacoli all’uso e al commercio degli stessi – Procedura d’infrazione
n. 2007/4915)
1. A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto, al fine di semplificare gli scambi sul mercato nazionale ed internazionale del gas naturale, i sistemi di misura relativi alle stazioni per le immissioni di gas naturale nella rete nazionale di trasporto, per le esportazioni di gas attraverso la rete nazionale di trasporto, per l’interconnessione dei gasdotti appartenenti alla rete nazionale e regionale di trasporto con le reti di distribuzione e gli stoccaggi di gas naturale e per la produzione nazionale di idrocarburi non sono soggetti all’applicazione della normativa di metrologia legale. Il livello di tutela previsto dalle norme in materia di misura del gas, ai fini del corretto funzionamento del sistema nazionale del gas e agli effetti di legge, e` assicurato mediante la realizzazione e la gestione degli stessi sistemi di misura secondo modalita` stabilite con decreto del Ministro dello sviluppo economico, sentita l’Autorita` per l’energia elettrica ed il gas, da adottare entro 3 mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, ai sensi del decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164, e per i sistemi di misura della produzione nazionale di idrocarburi, con decreto dello stesso Ministro da adottare ai sensi dell’articolo 14, comma 2, del decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 625, recante attuazione della direttiva 94/22/CEE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 maggio 1994, relativa alle condizioni di rilascio e di esercizio delle autorizzazioni alla prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi.
2. Al fine di assicurare la tutela dei clienti finali direttamente connessi alla rete nazionale e regionale di trasporto del gas naturale, il Ministro dello sviluppo economico, sentita l’Autorita` per l’energia elettrica ed il gas, stabilisce, con uno o piu` decreti da adottare entro 3 mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, i criteri per l’esecuzione dei controlli metrologici legali sui sistemi di misura dei punti di riconsegna del gas naturale agli stessi clienti. I sistemi di misura in servizio alla data di entrata in vigore del presente decreto devono conformarsi alle disposizioni in materia di metrologia legale entro il termine di un anno da tale data. Con i medesimi decreti di cui al presente comma sono stabiliti anche i criteri dei controlli relativi ai sistemi di misura di cui al comma 1.
2-bis. Al fine di dare corretta esecuzione all’obbligo di cui all’articolo 3 della direttiva 2009/28/CE del Parlamento europeo del Consiglio, del 23 aprile 2009, sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, e in coerenza con quanto definito dall’articolo 2, lettera l), della medesima direttiva, al comma 19 dell’articolo 27 della legge 23 luglio 2009, n. 99, le parole: "dall’anno 2011" sono sostituite dalle seguenti: "dall’anno 2012".
3. Dall’attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Le autorita` competenti per l’esecuzione dei controlli provvedono con le risorse umane e strumentali disponibili a legislazione vigente.
L'articolo 7, come evidenziato dalla relazione governativa, reca norme (commi 1 e 2) che in primo luogo rispondono all'esigenza di porre rimedio alle carenze del quadro normativo metrologico-legale applicabile ai sistemi di misura installati nell’ambito delle reti di trasporto del gas naturale, riscontrate dalla Commissione europea che ha evidenziato come tali carenze costituiscono un ostacolo all’uso e alla commercializzazione di contatori del gas di tipo venturimetrico a diaframma impiegati in campo industriale.
La disposizione in esame è infatti diretta a risolvere la procedura di infrazione n. 2007/4915 avviata dalla Commissione europea.
La Commissione ha lamentato la violazione da parte dell'Italia degli artt. 28 e 30 del Trattato CE che vietano agli Stati membri di introdurre restrizioni quantitative all'importazione da altri Stati membri, nonché qualsiasi provvedimento di effetto equivalente, salvo che per motivi di ordine pubblico, sanità o sicurezza pubblica.
In particolare, la Commissione ha rilevato l’incompatibilità del divieto, posto dalla normativa italiana, di utilizzare contatori del gas, tra cui anche quelli importati da altri Stati membri, privi di marchi nazionali certificanti un'avvenuta ispezione iniziale e la consultazione del Comitato centrale metrico. Dal momento che i contatori del gas venturimetrici a diaframma non sono volumetrici e quindi non danno il risultato della misurazione immediatamente negli importi metrici, essi non possono in alcun modo ottenere i bolli ufficiali dal suddetto Comitato per essere legittimamente usati in Italia.
Si segnala, peraltro, che l’art. 27 della legge 99/2009 ha recentemente disposto la soppressione del Comitato centrale metrico (comma 36), prevedendo che,in tutti i casi in cui per disposizione di legge o di regolamento sia prevista l'acquisizione del parere tecnico del Comitato centrale metrico, il Ministero dello sviluppo economico possa chiedere un parere facoltativo agli istituti metrologici primari di cui all'art. 2 della legge 273/1991, ovvero ad istituti universitari, con i quali stipula convenzioni senza oneri aggiuntivi a carico del bilancio dello Stato (comma 37).
In particolare, il comma 1 è finalizzato a semplificare gli adempimenti amministrativi relativi agli scambi commerciali di gas naturale in ambito nazionale ed internazionale, prevedendo che i sistemi di misura utilizzati nelle stazioni per le immissioni di gas naturale nella rete nazionale di trasporto, per le esportazioni di gas tramite la rete medesima, per l’interconnessione dei gasdotti della rete nazionale e regionale di trasporto con le reti di distribuzione e gli stoccaggi di gas e per la produzione nazionale di idrocarburi non siano soggetti all’applicazione delle norme in materia di metrologia legale.
Si ricorda che la metrologia legale prevede una serie di controlli sugli strumenti di misurazione delle merci, al fine di garantire la legalità della misura dei beni nelle transazioni commerciali. In Italia il sistema di metrologia legale, istituito per fissare e mantenere unità di misura e peso legalmente obbligatorie, è stato introdotto dalla prima legge organica di unificazione del sistema di pesi e misure, adottata nel 1861 (legge n. 132 del 28 luglio 1861). La disciplina attuale in materia è contenuta nel regio decreto n. 7088 del 23 agosto 1890 (che ha approvato il testo unico delle leggi sui pesi e sulle misure nel Regno d'Italia del 20 luglio 1890, n. 6991) e successive modificazioni, seguito dal regolamento esecutivo approvato con regio decreto n. 776 del 1907 e dal regolamento n. 747 del 1909, che organizza il servizio metrico statale.
Il principio che caratterizza la disciplina introdotta dal citato R.D. 7088/1890 è la obbligatorietà delle unità di misura; ciò significa che l’utilizzazione di unità di misura diverse da quelle fissate dalla legge non è consentita, quindi solo il riferimento a queste misure “legali” condiziona la validità giuridica degli atti che lo richiedono. Sono, inoltre, previste due specie di verificazione: una denominata “prima verificazione”[29] che segue, di norma, la fabbricazione dello strumento metrico e che interessa esclusivamente i fabbricanti di strumenti metrici; l’altra, destinata a ripetersi nel tempo e per questo denominata “verificazione periodica”, consistente nel controllo di funzionalità degli strumenti, per rilevare le differenze e gli errori che possono derivare dall'uso continuato degli stessi.
Il R.D. 7088/1890 è stato più volte modificato. Tra le altre si segnala la legge 29 luglio 1991, n. 236 (Modifica alle disposizioni del testo unico delle leggi sui pesi e sulle misure, approvato con regio decreto 23 agosto 1890, n. 7088 e successive modificazioni) che ha introdotto modifiche in relazione ai criteri e alle modalità di “prima verificazione”, mediante l'introduzione della concessione di autoverificazione da parte del fabbricante metrico che si sottoponga al sistema di garanzia della qualità e della conformità metrologica della produzione. Con la legge 25 marzo 1997, n. 77 (Disposizioni in materia di commercio e di camere di commercio) sono stati, invece, introdotti nuovi criteri e procedure per le operazioni di “verificazione periodica”, nonché valori temporali diversi in relazione alla tipologia di impiego e alle caratteristiche di affidabilità metrologica degli strumenti metrici. Il provvedimento ha provveduto a delegificare la disciplina della verificazione periodica prevedendo che le modifiche e le integrazioni ad essa apportate siano adottate con decreto ministeriale. Successivamente il regio decreto è stato modificato dall'art. 9, comma 1, della legge 11 maggio 1999, n. 140, recante Norme in materia di attività produttive. Il comma 1 dell’articolo 9 ha novellato l’art. 22, comma 3, lett. e) del R.D. 7088/1890, così come modificato dalla legge 236/1991[30], per superare i rilievi mossi dalla Commissione europea che aveva avviato in proposito un procedimento di infrazione alle norme comunitarie in materia di libera circolazione delle merci (n. 96/2253).
Più recentemente il decreto legislativo 2 febbraio 2007, n. 22 (Attuazione della direttiva 2004/22/CE relativa agli strumenti di misura), adottato in attuazione della delega contenuta nell’articolo 22 della legge 18 aprile 2005, n. 62 (legge comunitaria 2004), ha disposto l’abrogazione dei decreti di recepimento di 17 delle direttive disciplinanti il settore metrologico a livello comunitario, che vengono sostituite dalla citata direttiva 2004/22/CE, con la quale si è inteso instaurare un mercato interno degli strumenti di misura sottoposti a controlli legali, mediante l’introduzione di requisiti essenziali che si configurano come requisiti di prestazione indipendenti dall’evoluzione della tecnologia. Il decreto prevede, altresì, l’abrogazione delle disposizioni contenute nel testo unico delle leggi sui pesi e sulle misure che risultino in contrasto o incompatibili con la nuova disciplina.
Il comma 1 dispone quindi che i predetti sistemi di misura – al fine di assicurare il livello di tutela garantito dalla normativa sulla misura del gas per il regolare funzionamento del sistema nazionale del gas - siano realizzati e gestiti in base ai criteri stabiliti con un decreto del Ministro dello sviluppo economico ai sensi del D.Lgs. 164/2000[31], destinati a sostituire l’approvazione di modello e i controlli metrologici risalenti al R.D. 7088/1890. Il decreto deve essere adottato, sentita l'Autorità per l'energia elettrica e il gas, entro tre mesi dall’entrata in vigore del decreto-legge.
Con specifico riferimento alla realizzazione e alla gestione dei sistemi di misura della produzione nazionale di idrocarburi la norma rinvia invece ad un decreto del Ministro dello sviluppo economico da adottarsi ai sensi dell’art. 14, comma 2, del D.Lgs 625/1996.
Il D.Lgs 25 novembre 1996, n. 625, recanteAttuazione della direttiva 94/22/CEE relativa alle condizioni di rilascio e di esercizio delle autorizzazioni alla prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi, all’art. 14 (Condizioni e requisiti per l'esercizio dei titoli minerari), comma 2, prevede l’aggiornamento del disciplinare-tipo per i permessi di prospezione e di ricerca e per le concessioni di coltivazione e il disciplinare-tipo per le concessioni di stoccaggio di idrocarburi in giacimento entro sei mesi dall’entrata in vigore del decreto legislativo stesso.
Il comma 2, al fine di garantire la tutela dei clienti finali direttamente connessi alle reti di trasporto del gas naturale, reca norme sui criteri per l'esecuzione dei controlli metrologici legali sui sistemi di misura dei punti di riconsegna del gas naturale ai medesimi clienti finali. Come evidenziato dalla relazione illustrativa, tali sistemi di misura sono esclusi dall’applicazione della direttiva 2004/22/CE relativa agli strumenti di misura, recepita nel nostro ordinamento con il D.Lgs. 22/2007 (cfr. supra).
I suddetti criteri saranno determinati attraverso uno o più decreti del Ministro dello sviluppo economico, da adottare, sentita l'Autorità per l'energia elettrica e il gas, entro 3 mesi dall'entrata in vigore del decreto-legge in esame. È stabilito inoltre un termine massimo di un anno per l'adeguamento dei sistemi di misura utilizzati alla data di entrata in vigore del decreto-legge in esame ai nuovi criteri.
Con gli stessi decreti si provvede altresì a definire i criteri dei controlli relativi ai sistemi di misura di cui al comma 1.
In sostanza, le disposizioni di cui al comma 2 sono finalizzate a rendere conformi alle norme di metrologia legale i sistemi di misura utilizzati dagli utenti industriali delsistema del gas naturale, che attualmente operano in conformità a soli standard tecnici essendo esclusi dall’applicazione della direttiva 2004/22/CE recepita con il D.Lgs. 22/2007.
La relazione governativa evidenzia che le norme in esame mantengono il controllo pubblico sulla misura della produzione di idrocarburi in capo all’Ufficio nazionale minerario per gli idrocarburi e la geotermia (UNMIG) del Ministero dello sviluppo economico, cui sono affidati dall’art. 19 del citato D.Lgs. 625/1996 funzioni di controllo e vigilanza esercitate unitamente al Ministero dell’economia e delle finanze.
Il comma 2-bis, introdotto dal Senato, prevede che il termine fissato dall’art. 27, comma 19, della legge 99/2009, per l’attuazione delle disposizioni del comma 18 dello stesso articolo - concernenti il calcolo della quota obbligatoria di energia da fonti rinnovabili in base al consumo anziché in base alla produzione e all'import – decorra dal 2012 anziché dal 2011.
Il comma 18 dell’art. 27 della legge 23 luglio 2009, n. 99[32], trasferisce l'obbligo di immettere nella rete elettrica una quota minima di elettricità prodotta da fonti rinnovabili, previsto dall’art. 11 del D.Lgs. 79/1999[33], dai produttori e importatori ai soggetti che concludono con Terna Spa uno o più contratti di dispacciamento[34] di energia elettrica in prelievo ai sensi della delibera dell’AEEG n. 111/06[35]. In sostanza la norma – motivata espressamente con la finalità “di rendere più efficiente il sistema di incentivazione delle fonti rinnovabili” - dispone che la quota obbligatoria di produzione di energia da fonti rinnovabili sia calcolata sul consumo e non più in base alla produzione e all'import come attualmente previsto.
Il successivo comma 19rinvia ad un decreto del Ministro dello sviluppo economico, da adottare entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge, la definizione delle modalità per procedere all’attuazione – con decorrenza dal 2011 e sulla base dell’energia prelevata l’anno precedente - delle disposizioni di cui al comma 18. Lo stesso decreto provvederà alla rimodulazione degli incrementi della quota minima di cui al citato D.Lgs. 79/1999, art. 11, co. 2, sulla base del trasferimento dell’obbligo previsto dal precedente articolo e in coerenza con gli impegni di sviluppo delle fonti rinnovabili assunti a livello nazionale e comunitario.
Si ricorda inoltre che la direttiva 2009/28/CE[36] sulla promozione delle energie rinnovabili (riguardante in particolare i settori dell’elettricità, del riscaldamento-raffreddamento e dei trasporti), intende fissare obiettivi giuridicamente vincolanti per ciascuno Stato membro, tali da incrementare l’attuale quota complessiva di energie rinnovabili sul consumo energetico finale della UE, pari all’8,5%, fino al 20% nel 2020. Per l’Italia l’incremento finale, entro il 2020, dovrà essere non inferiore al 17%.[37]
Infine il comma 3 precisa che l'attuazione dell’articolo in esame non deve comportare nuovi oneri per la finanza pubblica e che le autorità competenti eseguono i controlli con le risorse umane e strumentali già disponibili.
La Commissione europea ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora ex art 226 (procedura d’infrazione 2007/4915) con la quale contesta l’incompatibilità dell’attuale quadro normativo metrologico-legale applicabile ai sistemi di misura industriali rispetto alle previsioni degli articoli 28 e 30 TCE, che vietano espressamente la possibilità per uno Stato membro di porre in essere restrizioni che costituiscano un mezzo di discriminazione arbitraria, o una restrizione dissimulata al commercio tra gli Stati membri.
In particolare, la Commissione ritiene che il regime di approvazione e dei controlli metrologici riconducibile al testo unico delle leggi sui pesi e sulle misure nel Regno d’Italia del 20 luglio 1890, n. 6991, di cui al Regio decreto del 23 agosto 1890, n. 7088, costituirebbe un ostacolo sproporzionato e ingiustificato alla libera circolazione dei contatori del gas di tipo venturimetrico a diaframma.
Articolo 8
(Numero di emergenza unico europeo.
Attuazione della direttiva n. 2002/22/CE-Procedure d'infrazione n. 2006/2114 e
2008/2258 ex articolo 228 TCE )
1. Ai fini della realizzazione degli interventi connessi con l’implementazione del numero di emergenza unico europeo di cui all’articolo 26 della direttiva 2002/22/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 marzo 2002, e` autorizzata, per l’anno 2009, la spesa di 42 milioni di euro.
2. Agli oneri derivanti dall’attuazione del comma 1, si provvede con le disponibilita` del Fondo di rotazione di cui alla legge 16 aprile 1987, n. 183, che, a tale fine, sono versate all’entrata del bilancio dello Stato e riassegnate ai pertinenti stati di previsione, per essere destinate alle finalita` di cui al presente articolo.
L'articolo in esame è volto a sanare due procedure d'infrazione per l'inadeguata applicazione della direttiva 2002/22/CEdel Parlamento europeo e del Consiglio relativa al servizio universale e al diritto degli utenti in materia di reti e di servizi di comunicazione elettronica (direttiva servizio universale ) recepita con il D.Lgs. 1 agosto 2003, n. 259, Codice delle comunicazioni elettroniche.
In particolare l'art. 26 della direttiva 2002/22/CE prevede che:
§ tutti gli utenti finali di servizi telefonici accessibili al pubblico possono chiamare gratuitamente i servizi di soccorso, digitando il numero di emergenza unico europeo 112;
§ gli Stati membri devono garantire che al numero di emergenza unico europeo siano fornite risposte adeguate e che le chiamate siano trattate in modo più conforme alla struttura nazionale dei servizi di soccorso e in maniera compatibile con le possibilità tecnologiche delle reti;
§ le imprese esercenti reti telefoniche pubbliche devono mettere a disposizione delle autorità incaricate dei servizi di soccorso le informazioni relative all'ubicazione del chiamante.
In relazione al paragrafo 2 dell'art. 26 è in corso la procedura di infrazione n. 2008/2258, ex art 226 del Trattato CE, per la mancanza di garanzia da parte della Repubblica italiana del trasferimento della chiamata dal numero unico di emergenza europeo 112 ad altro centralino d'emergenza.
In merito al paragrafo 3 è in corso la procedura d'infrazione n. 2006/2114, ex art 228 del Trattato CE, e, in data 15 gennaio 2009, è stata emessa una sentenza di condanna della Corte di giustizia della Comunità europea, per l'indisponibilità di informazioni sulla localizzazione delle chiamate al numero 112.
Nella procedura d'infrazione n. 2008/2258 la Commissione europea ha rilevato che il sistema attualmente in vigore in Italia non garantisce un'eguale efficacia di trattamento per le risposte alle chiamate al 112 rispetto alle chiamate dirette ai numeri di emergenze nazionali (113, 115 e 118). Questo accade perché i centralini dell'Arma dei Carabinieri, che rispondono alle chiamate al 112, sono basati su piattaforme analogiche che non consentono il trasferimento diretto (da centralino a centralino) delle chiamate di emergenze ad altro servizio di emergenza. In sostanza il centralino dell'Arma dei Carabinieri può soltanto raccogliere le informazioni pertinenti dalla persona che ha chiamato e trasmetterle al servizio d'emergenza mediante nuova telefonata.
Nella procedura d'infrazione n. 2006/2114 la Commissione europea ha rilevato che, in attesa della realizzazione di una nuova struttura per la gestione delle chiamate al numero 112 e agli altri numeri nazionali d'emergenza prevista per il 2011, l'ipotesi di una soluzione intermedia, proposta dal Governo italiano e volta a rendere gli attuali centri di emergenza 112 in grado di ottenere informazioni relative all'ubicazione delle chiamate solo da reti mobili, tramite un concentratore interforze, non soddisfa i requisiti di cui all'art. 26 par. 3 della direttiva, che non prevede alcuna possibilità di rinvio nell'adempimento dell'obbligo di fornire le indicazioni sull'ubicazione del chiamante per le chiamate effettuate da tutti i telefoni.
Tali procedure sono specificamente illustrate nell’ultimo paragrafo di questa scheda.
L'articolo 8 in esame autorizza la spesa di 42 milioni di euro nel 2009 per interventi connessi all'implementazione del numero di emergenza unico europeo.
Nella relazione tecnica allegata al disegno di legge di conversione del decreto-legge in esame (A.S. 1784) sono indicati gli interventi che potranno essere conseguiti con tali risorse:
§ una rete VPN IP (rete dati e fonia internet dedicato) delle emergenze con collegamenti per il 112, 113, 115 e 118;
§ la realizzazione del sito primario del concentratore CED interforze;
§ l'attivazione della funzionalità di localizzazione del chiamante con possibilità di trasferimento a 115 e 118 per il 50% dei Comandi provinciali dell'Arma dei Carabinieri, delle questure e delle relative articolazioni territoriali;
§ la digitalizzazione delle linee e l'attivazione integrale del 112 NUE (112-113-115-118) su tre sedi pilota.
L’onere per il finanziamento del numero di emergenza unico europeo è posto a carico delle risorse del Fondo di rotazione per l’attuazione delle politiche comunitarie di cui all’articolo 5 della legge n. 183 del 1987. Prima di essere assegnate ai pertinenti capitoli di spesa, tali risorse dovranno essere versate all’entrata del bilancio dello Stato.
Con un emendamento approvato nel corso dell’esame del Senato è stata apportata una correzione formale alla rubrica dell’articolo in esame dove si fa riferimento alla procedura d'infrazione n. 2006/114 in luogo della procedure d'infrazione n. 2006/2114.
Il 21 agosto 2009 la Commissione ha adottato una comunicazione (COM(2009)434) intesa a favorire, entro il 2014, l’installazione del servizio paneuropeo di chiamata d’emergenza “eCall” a bordo di tutti i nuovi veicoli messi in circolazione in Europa.
Il funzionamento del sistema eCall si basa su un Memorandum d'intesa sottoscritto fra la Commissione europea, le case produttrici di autovetture e 15 Stati membri dell'UE, tra cui l’Italia. Secondo le valutazioni della Commissione, il sistema, che consentirà ai veicoli di utilizzare un numero unico di chiamata di emergenza a livello europeo (E-112) in caso di incidente stradale potrebbe permettere di salvare fino a 2.500 vite all’anno.
La comunicazione dà conto dei progressi realizzati nell’attuazione del sistema eCall, che dovrebbe entrare in funzione su base volontaria entro il 2009. In assenza di progressi significativi in tal senso entro tale termine, la Commissione si riserva la facoltà di proporre un quadro regolamentare per rendere il sistema eCall equipaggiamento di serie nei nuovi veicoli omologati in Europa, per ridurre il costo dei sistemi ed assicurarne la diffusione in tutti gli Stati membri dell’UE.
Il 14 maggio 2009 la Commissione ha inviato all’Italia, ai sensi dell’articolo 228 del Trattato CE[38], una lettera di messa in mora (procedura n. 2006/2114) per non aver dato seguito alla sentenza della Corte di giustizia del 15 gennaio 2009 (causa C-539/07) con la quale si contestava all’Italia la violazione della direttiva 2002/22/CE del 7 marzo 2002, relativa al servizio universale e ai diritti degli utenti in materia di reti e di servizi di comunicazione elettronica. Si ricorda che l’Italia ha recepito la direttiva citata con il decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259, entrato in vigore il 16 settembre 2003.
I rilievi della Commissione riguardano in particolare la non corretta applicazione dell’articolo 26, paragrafo 3, della citata direttiva 2002/22/CE in base al quale gli Stati membri provvedono affinché siano messe a disposizione delle autorità incaricate dei servizi di soccorso le informazioni relative all’ubicazione del chiamante per tutte le chiamate telefoniche effettuate al numero di emergenza unico europeo 112.
La Commissione invita il Governo italiano a presentare le proprie osservazioni entro due mesi dalla data di ricevimento della lettera di messa in mora. Dopo aver esaminato tali osservazioni o qualora entro il termine previsto non siano state presentate tali osservazioni, la Commissione può emettere un parere motivato
II 18 settembre 2008 la Commissione ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora (procedura n. 2008/2258) per inadeguata applicazione della citata direttiva 2002/22/CE.
Conformemente all’articolo 26, paragrafo 1, della direttiva 2002/22/CE gli Stati membri provvedono affinché oltre ad altri eventuali numeri di emergenza nazionali specificati dalle autorità nazionali di regolamentazione, tutti gli utenti finali di servizi telefonici accessibili al pubblico, compresi gli utenti di telefoni pubblici a pagamento, possano chiamare gratuitamente i servizi di soccorso digitando il numero unico di emergenza europeo “112”. Inoltre, il paragrafo 2 del medesimo articolo fissa l’obbligo a carico degli Stati membri di garantire che le chiamate al “112” ricevano adeguata risposta e siano trattate nel modo più conforme alla struttura nazionale dei servizi di soccorso e in maniera compatibile con le possibilità tecnologiche delle reti.
La Commissione ritiene che il combinato disposto dell’articolo 26, paragrafi 1 e 2, obblighi gli Stati membri a garantire che il trattamento e le risposte delle chiamate al “112” siano efficaci quanto quelli delle chiamate ai numeri di emergenza nazionali. Tale obbligo di equivalenza ha implicazioni particolari per gli Stati membri in cui i vari servizi di emergenza come polizia, ambulanza o vigili del fuoco hanno propri numeri di emergenza nazionali e gesticono propri centralini per tali chiamate. A tal fine gli Stati membri devono garantire che i centralini del servizio di emergenza responsabile del trattamento delle chiamate al “112” possano trasferire qualsiasi chiamata al centralino di un altro servizio di emergenza competente, senza che l’utente debba formare un altro codice di emergenza.
Secondo le informazioni fornite dalle autorità italiane, le chiamate al “112” in Italia vengono gestite dal centralino dell’Arma dei Carabinieri che, non essendo in grado da un punto di vista strettamente tecnico di trasferire direttamente la chiamata al “112” al centralino nazionale del servizio di emergenza competente, si limita a trasmettergli verbalmente le informazioni raccolte. Questo fa sì che gli utenti del “112” in Italia non ricevano la stessa qualità di trattamento della chiamata e della risposta che potrebbero ricevere se avessero chiamato direttamente il numero di emergenza nazionale competente.
La Commissione sostiene, inoltre, che non è chiaro se il nuovo sistema italiano “112-NUE” (Numero Unico Europeo) - che dovrebbe essere operativo in Italia non prima di ottobre 2009 - istituito con Decreto del Ministero delle Comunicazioni 22 gennaio 2008, riuscirà a risolvere i problemi di interoperabilità tra i nuovi Centri Operativi 112-113 e i centralini nazionali degli altri servizi di emergenza. Conformemente a quanto stabilito nell’allegato 4 del suddetto D.M., infatti, il nuovo centralino di emergenza del 112 si dovrà occupare dello smistamento delle chiamate verso gli altri centri di controllo delle emergenze interessati. Considerato che il D.M. non specifica a tal fine alcuna norma tecnica, né modalità operative, ad avviso della Commissione continuerà a risultare impossibile trasferire le chiamate al 112 verso i centralini nazionali dei servizi di emergenza competenti a trattare i casi specifici.
Articolo 8-bis
(Destinazione di risorse al Centro nazionale
trapianti)
1. All’articolo 22, comma 2, del decreto-legge 1º luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, e nell’ambito del decreto del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, secondo quanto previsto dal predetto articolo 22, comma 2, dopo il secondo periodo e` aggiunto il seguente: «A valere sul fondo di cui al presente comma un importo, in misura non inferiore a 2 milioni di euro annui, e` destinato al Centro nazionale trapianti, al fine dell’attuazione delle disposizioni in materia di cellule riproduttive, di cui al decreto legislativo 6 novembre 2007, n. 191, nonche´ in materia di qualita` e di sicurezza per la donazione, l’approvvigionamento, il controllo, la lavorazione, la conservazione, lo stoccaggio e la distribuzione di tessuti e cellule umani, di cui alle direttive 2006/ 17/CE della Commissione, dell’8 febbraio 2006, e 2006/86/CE della Commissione, del 24 ottobre 2006, in corso di recepimento.
L’articolo 8-bis, introdotto durante l’esame presso il Senato, vincola per un importo non inferiore a 2 milioni di euro annui le risorse del fondo[39] istituito per la realizzazione di interventi nel settore sanitario, a favore del Centro Nazionale Trapianti, per l’attuazione delle disposizioni in materia di cellule riproduttive, di cui al decreto legislativo 6 novembre 2007, n. 191, nonché delle disposizioni in materia di qualità e sicurezza per la donazione, l'approvvigionamento, il controllo, la lavorazione, la conservazione, lo stoccaggio e la distribuzione di tessuti e cellule umani, di cui alle direttive della Commissione europea n. 2006/17/CE e n. 2006/86/CE, in corso di recepimento.
Le due direttive della Commissione europea, la 2006/17/CE e la 2006/86/CE che attuano la direttiva 2004/23/CE del 31 marzo 2004, sulla definizione di norme di qualità e sicurezza per la donazione, l’approvvigionamento, il controllo, la lavorazione, la conservazione, lo stoccaggio e la distribuzione di tessuti e cellule umani, sono in fase di recepimento con lo schema di decreto legislativo n. 129, attualmente all’esame del Parlamento. Peraltro la direttiva da ultimo citata è stata già attuata, nel nostro Paese, con l’emanazione del decreto legislativo 6 novembre 2007, n. 191[40]. Il provvedimento viene adottato sulla base della delega contenuta nella legge 7 luglio 2009, n. 88 (legge comunitaria 2008) che include entrambe le direttive nell’Allegato B (e quindi nell’elenco delle direttive da attuare mediante decreto legislativo)
La norma in esame specifica inoltre che del suddetto intervento si dovrà tenere conto anche nell’ambito del decreto del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, previsto dalla disciplina vigente al fine di definire gli interventi che saranno finanziati dal suddetto fondo.
In proposito si ricorda che l'articolo 22, comma 2, del decreto-legge n. 78 del 2009 ha istituito un fondo di 800 milioni di euro, a favore del settore sanitario, a decorrere dall’anno 2010.
La definizione degli interventi, da finanziare ad opera del citato fondo, è demandata ad un decreto del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.
Articolo 9
(Modifiche al
decreto legislativo 6 novembre 2007, n. 193, recante attuazione della direttiva
2004/41/CE relativa ai controlli in materia di sicurezza alimentare e applicazione
dei regolamenti comunitari
nel medesimo settore)
1. All’articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 6 novembre 2007, n. 193, in fine, e` aggiunto il seguente periodo:
«Per le forniture destinate ai contingenti delle Forze armate impiegati nelle missioni internazionali, l’Autorita` competente e` il Ministero della difesa, che si avvale delle strutture tecnico-sanitarie istituite presso gli organi di vigilanza militare.».
L'articolo 9 dispone in materia di controlli di sicurezza su forniture alimentari destinate ai contingenti militari impiegati nelle missioni all'estero, riconoscendo la specialità della Difesa in materia sanitaria.
In particolare esso provvede ad integrare il dettato dell'articolo 2, comma 1 del decreto legislativo 6 novembre 2008, n. 193 - recante Attuazione della direttiva 2004/41/CE relativa ai controlli in materia di sicurezza alimentare e applicazione dei regolamenti comunitari nel medesimo settore- con una previsione specifica per le Forze Armate.
L'articolo 2, comma 1, del citato decreto legislativo individua le autorità competenti ad effettuare controlli in materia di sicurezza alimentare ai fini dell'applicazione di alcuni regolamenti comunitari[41].
Prima della modifica introdotta dall’articolo in esame erano qualificate come autorità competenti soltanto il Ministero della Salute, le regioni, le province autonome di Trento e Bolzano e la Aziende unità sanitarie locali.
La norma in esame provvede ad individuare nel Ministero della Difesa l'autorità competente ad effettuare controlli di sicurezza alimentare sulle forniture alimentari destinate ai contingenti delle Forze armate dispiegate in missioni all'estero. A tal fine il Ministero della Difesa si avvale delle strutture tecnico-sanitarie presenti in loco ed istituite presso gli organi di vigilanza militare.
Come evidenziato dalla relazione illustrativa al provvedimento, l'integrazione apposta dalla norma in esame "si impone in quanto l’attuale ambito di previsione non consente di assicurare, nelle zone d’impiego all’estero dei contingenti militari, l’applicazione della normativa in materia di igiene alimentare per le derrate destinate alle unità ivi impiegate, [...]". La norma in esame, secondo la medesima relazione, intende quindi colmare una lacuna, per garantire l'effettività dei controlli sanitari riguardanti le forze armate all'estero, coerentemente con le previsioni del Testo unico delle disposizioni in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, di cui al Decreto legislativo n. 81 del 2008[42].
Articolo 10
(Eliminazione dell’obbligo di nominare un
rappresentante fiscale residente in Italia per le imprese assicurative di altri
Stati membri - Procedura d’infrazione n. 2008/4421)
1. All’articolo 4-bis della legge 29 ottobre 1961, n. 1216, dopo il comma 6 e` aggiunto, in fine, il seguente:
«6-bis. Le disposizioni del presente articolo non si applicano alle imprese assicuratrici aventi sede principale negli Stati dell’Unione europea ovvero negli Stati dello Spazio economico europeo che assicurano un adeguato scambio di informazioni.».
L’articolo 10, al fine di sanare la procedura d'infrazione n. 2008/4421 in materia di assicurazioni, elimina l’obbligo delle imprese assicurative degli Stati membri di nominare un rappresentante fiscale residente in Italia ai fini del pagamento dell'imposta sui premi relativi ai contratti conclusi.
All’uopo, la norma modifica l’art. 4-bis della legge 29 ottobre 1961, n. 1216 aggiungendo, in fine, un nuovo comma 6-bis.
Ai sensi dell’articolo 1 della legge 1216/196, le assicurazioni obbligatorie della responsabilità civile per i danni causati dalla circolazione dei veicoli e dei natanti sono soggette all'imposta sui premi con un’aliquota del 12,5 per cento, da applicare anche alle assicurazioni di altri rischi inerenti al veicolo o al natante o ai danni causati dalla loro circolazione.
L’articolo 4-bis della medesima legge reca disposizioni rivolte alle imprese che intendono operare nel territorio della Repubblica in libera prestazione di servizi; esse sono obbligate a nominare un rappresentante fiscale ai fini del pagamento dell'imposta suddetta.
Tale rappresentante deve avere la residenza nel territorio dello Stato e la nomina deve essere comunicata al competente ufficio dell'Agenzia delle entrate di Roma e all'ISVAP. Le imprese obbligate alla nomina del rappresentante che dispongono nel territorio della Repubblica di un proprio stabilimento possono far svolgere da tale stabilimento le funzioni attribuite al rappresentante fiscale. Tra gli obblighi del rappresentante vi è quello di presentare mensilmente, al competente ufficio dell'Agenzia delle entrate di Roma, la denuncia dei premi incassati nel mese precedente. Contestualmente alla denuncia il rappresentante corrisponde l'imposta dovuta.
Per quanto concerne la procedura di infrazione n. 2008/4421, si veda l’ultimo paragrafo di questa scheda.
La nuova norma specifica dunque che l’obbligo di nomina del rappresentante fiscale (e lo svolgimento dei relativi compiti) non opera per le imprese assicuratrici aventi sede principale negli Stati dell'Unione europea, ovvero negli Stati dello Spazio economico europeo, che assicurano un adeguato scambio di informazioni.
Il 19 febbraio 2009 la Commissione ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora (procedura n. 2008/4421) con la quale contesta la violazione dell’articolo 49 del Trattato CE relativo alla libera prestazione dei servizi da parte dell’articolo 4-bis della legge 29 ottobre 1961, n. 1216, recante nuove disposizioni tributarie in materia di assicurazioni private e di contratti vitalizi.
Il citato articolo 4-bis stabilisce l’obbligo per le imprese assicuratrici degli altri Stati membri che intendono operare nel ramo vita in regime di libera prestazione dei servizi di nominare un rappresentante fiscale residente in Italia. Lo stesso articoloprecisa che lo scopo del rappresentante fiscale è espressamente quello di garantire il pagamento dell’imposta prevista dalla citata legge n. 1216/1961, dovuta sui premi relativi ai contratti conclusi.
La Commissione osserva che l’obbligo di nominare un rappresentante fiscale per i contratti di assicurazione vita è ingiustificato per due ordini di motivi:
· dal punto di vista della normativa interna italiana, in quanto l’articolo 13, comma 3, lettera c), del decreto-legislativo 18 febbraio 2000, n. 47, riguardante la riforma della disciplina fiscale della previdenza complementare, ha abolito la tassa sui premi relativi ai contratti vita;
· sul piano del diritto comunitario, in quanto alla luce della sentenza della Corte di giustizia del 5 luglio 2007 (causa C-522/04, Commissione/Regno del Belgio), ad avviso della Commissione:
- la normativa italiana conterebbe disposizioni atte a conseguire il pagamento dell’imposta sui premi assicurativi meno pregiudizievoli per la libera prestazione di servizi rispetto all’obbligo di nominare un rappresentante responsabile residente in Italia. La normativa in questione, infatti, impone anche ad altri soggetti quali l’assicurato, l’assicuratore o altro tipo di intermediario italiano, il vincolo della responsabilità solidale per il pagamento dell’imposta sui premi assicurativi;
- sono pienamente applicabili all’Italia le disposizioni del diritto comunitario riguardanti la reciproca assistenza in materia fiscale. Si tratta, in particolare, dell’articolo 2 della direttiva 76/308/CEE relativa all’assistenza reciproca in materia di recupero dei crediti la cui disciplina riguarda le imposizioni sui premi assicurativi, e dell’articolo 3 della medesima direttiva che precisa che nel caso dell’Italia per imposizioni sui premi assicurativi si intendono le imposte sulle assicurazioni private e sui contratti vitalizi di cui alla legge n. 1216/1961 precedentemente richiamata.
Alla luce delle suddette considerazioni la Commissione ritiene che l’obbligo imposto ad un’impresa di assicurazione stabilita in un altro Stato membro di nominare un rappresentante responsabile in Italia al fine di pagare l’imposta annuale sui contratti di assicurazione sia sproporzionato rispetto alla necessità di garantire il pagamento di tale imposta che può essere effettuato attraverso mezzi meno restrittivi quali accordi per lo scambio di informazioni con gli altri Stati membri unitamente alla responsabilità in solido dei residenti assicurati. Inoltre, tenuto conto dei vincoli e dei costi che comporta, il pagamento della suddetta imposta è suscettibile di dissuadere le imprese dal proporre i propri servizi in Italia e costituisce pertanto un ostacolo alla libera prestazione dei servizi di cui all’articolo 49 del TCE.
Articolo 11
(Soggetti non residenti in presenza di
stabile organizzazione in Italia - Procedura d'infrazione n. 2003/4648 -
sentenza CGCE 16 luglio 2009, resa nella causa C-244/08)
1. Al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al secondo comma dell’articolo 17:
1) nel primo periodo, dopo le parole: «soggetti non residenti» sono inserite le seguenti: «e senza stabile organizzazione in Italia»;
2) nel quarto periodo, dopo le parole: «soggetto non residente» sono inserite le seguenti: «e senza stabile organizzazione in Italia»;
b) al primo comma dell’articolo 38-ter:
1) nel primo periodo, dopo le parole: «Stati membri dell’Unione europea» sono inserite le seguenti: «e senza stabile organizzazione in Italia »;
2) il terzo periodo e` soppresso.
L’articolo 11 interviene apportando modifiche alla disciplina dell’imposta sul valore aggiunto (IVA), di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633[43], per effetto delle quali:
- rimane obbligatoria la nomina del rappresentante fiscale per l'assolvimento degli obblighi e dei diritti in materia di IVA solo per i soggetti privi di stabile organizzazione[44] in Italia (articolo 17 D.P.R. n. 633/1972);
- viene esclusa la possibilità di presentare richieste di rimborsi IVA relativi ad acquisti effettuati in Italia da parte dei soggetti non residenti con stabile organizzazione in Italia. Le suddette richieste potranno continuare ad essere effettuate dai soggetti domiciliati e residenti nella UE privi di stabile organizzazione in Italia (articolo 38-ter D.P.R. n. 633/1972).
L’intervento normativo è diretto ad attrarre nell'ambito dell'operatività della stabile organizzazione le operazioni IVA effettuate in Italia dalla "casa madre" non residente.
Le modifiche introdotte si rendono necessarie a seguito del ricorso presentato dalla Commissione delle Comunità europee (Causa C-244/08) alla Corte di giustizia europea la quale, con sentenza 16 luglio 2009 ha portato a compimento la procedura di infrazione 2003/4648 concernente la questione del rimborso dell’Iva a soggetti passivi residenti in un altro Stato membro o in un paese terzo, ma avente un centro di attività stabile nello Stato membro interessato.
In base alla sentenza, l’Italia sarebbe venuta meno agli obblighi derivanti dall’articolo 1 dell’ottava direttiva 6 dicembre 1979, 79/1072/CEE e dall’articolo 1 della tredicesima direttiva 17 novembre 1986, 86/560/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari - Modalità per il rimborso dell’imposta sul valore aggiunto ai soggetti passivi non residenti all’interno del paese.
Infatti, nel testo previgente alle modifiche apportate dal provvedimento in esame, la normativa italiana obbligava un soggetto passivo stabilito in un altro Stato membro o in un paese terzo, ma che avesse un centro di attività stabile in Italia e che, nel periodo rilevante, avesse effettuato cessioni di beni o prestazioni di servizi in Italia, a chiedere il rimborso dell’imposta sul valore aggiunto a credito secondo le procedure previste dalle citate direttive piuttosto che mediante detrazione, quando l’acquisto per cui era chiesto il rimborso di detta imposta veniva effettuato non tramite il centro di attività stabile in Italia, ma direttamente dallo stabilimento principale di tale soggetto passivo.
In proposito, la relazione illustrativa allegata al provvedimento ricorda che, secondo il parere della Commissione, “una duplicità di posizioni IVA del soggetto non residente (una riferita alla ‘casa madre’ e una alla stabile organizzazione), è incompatibile con il quadro normativo comunitario”.
La lettera a) dell’unico comma interviene sull’articolo 17 del D.P.R. n. 633/1972 recante la individuazione del soggetti passivi IVA.
Ai sensi del secondo comma del richiamato articolo 17, i soggetti non residenti che esercitano attività d’impresa o di lavoro autonomo e che intendono effettuare operazioni in Italia hanno la possibilità di assolvere gli obblighi ed esercitare i diritti previsti dalla disciplina IVA qualora provvedano in alternativa:
- ad identificarsi[45] in Italia ai fini IVA prima di effettuare le operazioni territorialmente rilevanti in Italia;
- a nominare un rappresentante fiscale residente in Italia nelle forme previste dall’articolo 1, comma 4, del D.P.R. n. 441 del 1997[46].
Lo stesso comma, inoltre, dispone l’obbligatorietà della nomina del rappresentante fiscale per i soggetti non residenti – non identificati direttamente ai sensi dell’articolo 35-ter – che effettuano in Italia operazioni IVA nei confronti di soggetti privati non esercenti attività d’impresa o di lavoro autonomo.
Le modifiche introdotte sono dirette a circoscrivere le disposizioni contenute nel richiamato secondo comma dell’articolo 17 ai soggetti non residenti che non hanno una stabile organizzazione in Italia.
Pertanto i soggetti non residenti che hanno una stabile organizzazione in Italia, non potranno nominare un rappresentante fiscale ovvero identificarsi direttamente nei casi in cui le operazioni non siano effettuate da o nei confronti delle medesime stabili organizzazioni. Il soggetto non residente, inoltre, dovrà assolvere gli obblighi IVA tramite la propria stabile organizzazione per le operazioni effettuate nei confronti di clienti non soggetti passivi IVA.
In conseguenza delle modifiche apportate all’articolo 17, come evidenziato anche nella relazione illustrativa allegata al provvedimento, gli adempimenti relativi alle operazioni effettuate direttamente dalla “casa madre” estera nei confronti di soggetti passivi IVA in Italia sono a carico di quest’ultimo (cessionario o committente) il quale dovrà procedere applicando il meccanismo del cosiddetto reverse charge previsto dal terzo comma del medesimo articolo 17.
Si ricorda al riguardo che il reverse charge è un meccanismo di inversione contabile ai fini IVA, ai sensi del quale l’obbligo di versamento dell’imposta è trasferito all’acquirente, se soggetto passivo IVA, in luogo del cedente o prestatore.
Con la lettera b) del comma 1 vengono apportate due modifiche al comma 1 dell'articolo 38-ter del D.P.R. n. 633/1972, concernente l'esecuzione dei rimborsi a soggetti non residenti. Con la prima viene specificato che le richieste di rimborso dell’IVA relativa ad acquisti ed importazioni di beni e servizi in relazione a periodi inferiori all’anno possono essere presentate da soggetti domiciliati e residenti negli Stati membri dell’Unione europea, che non si siano identificati direttamente e che non abbiano nominato un rappresentante fiscale, solo se detti soggetti non residenti sono privi di stabile organizzazione in Italia. Coerentemente, con la seconda modifica viene soppresso l'ultimo periodo del comma 1 dell'articolo 38-ter, diretto ad escludere l'applicazione delle disposizioni dello stesso comma per gli acquisti e le importazioni di beni e servizi effettuati da soggetti residenti all'estero tramite stabili organizzazioni in Italia.
In altri termini, i soggetti non residenti che hanno una stabile organizzazione in Italia non hanno più la possibilità di richiedere il rimborso dell’IVA pagata sugli acquisti effettuati dalla “casa madre”. L’imposta corrisposta rappresenta un credito da considerare ai fini della liquidazione periodica IVA per le operazioni effettuate dalla stabile organizzazione in Italia.
Per effetto di dette modifiche pertanto, in ottemperanza a quanto previsto dalla sentenza della Corte di giustizia del 16 luglio 2009 sopra menzionata, per i rimborsi dell’IVA relativa ad acquisti effettuati in Italia direttamente dalla "casa madre", i soggetti non residenti con stabile organizzazione in Italia dovranno avvalersi della propria stabile organizzazione, facendo confluire detta IVA nelle liquidazioni da questa eseguite.
Articolo 12
(Eliminazione della condizione di residenza
in Italia per le imprese che vogliono aderire al regime SIIQ - Procedura
d’infrazione n. 2008/4524)
1. All’articolo 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296, dopo il comma 141 e` inserito il seguente:
«141-bis. Le disposizioni dei commi da 119 a 141 si applicano altresı` alle societa` residenti negli Stati membri dell’Unione europea e degli Stati aderenti all’Accordo sullo spazio economico europeo che sono inclusi nella lista di cui al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze adottato a sensi del comma 1 dell’articolo 168-bis del testo unico delle imposte sui redditi approvato con il decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, con riferimento alle stabili organizzazioni svolgenti in via prevalente l’attivita` di locazione immobiliare. Dal periodo d’imposta da cui ha effetto l’opzione per il regime speciale, il reddito d’impresa derivante dall’attivita` di locazione immobiliare svolta dalle stabili organizzazioni e` assoggettato ad un’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi e dell’imposta regionale sulle attivita` produttive con aliquota del 20 per cento da versare entro il termine previsto per il versamento a saldo delle imposte sui redditi.».
L'articolo 12 in esame è finalizzato a evitare il prosieguo della procedura d'infrazione 2008/4524 (per cui v. in calce l’apposita scheda di commento), avviata con lettera di costituzione in mora il 27 novembre 2008, nella quale la Commissione europea ha affermato come, a suo avviso, "imponendo alle società per azioni che desiderano, conformemente alla legislazione in vigore, optare per il regime fiscale SIIQ e SIINQ una condizione di residenza in Italia, la Repubblica italiana sia venuta meno agli obblighi imposti dagli articoli 43 e 48 del Trattato CE e 31 dell'Accordo SEE" (articoli relativi alla libertà di stabilimento).
Nella sua lettera di costituzione in mora, la Commissione fa riferimento all'art. 1, commi 119, 121 e 125 della Legge Finanziaria 2007, come modificato, in ultimo, dall'art. 1, comma 374, della Legge Finanziaria 2008, nonché alla Circolare interpretativa n. 8/E del 31 gennaio 2008.
Dette norme prevedono un regime fiscale speciale per le Società d'Investimento Immobiliare Quotate (SIIQ) e non Quotate collegate (SIINQ), con esclusione dall'Imposta sui Redditi (IRES) e dall'Imposta sulle Attività Produttive (IRAP) del reddito derivante dall'attività di locazione e di partecipazione immobiliare.
A fronte di tale esenzione la SIIQ è tenuta all'obbligo di distribuire almeno l'85% degli utili provenienti dalla gestione immobiliare: tali utili divengono soggetti ad imposizione al momento della loro distribuzione direttamente in capo ai soci. Detta imposizione consiste in una ritenuta alla fonte del 20%, da intendersi a titolo di acconto nei confronti dei beneficiari aventi qualità di impresa, e in particolare nei confronti delle società di capitali italiane o delle stabili organizzazioni in Italia di società estere; a titolo definitivo nei confronti delle altre categorie di soggetti passivi, con l'eccezione (in quanto esenti di ritenuta) dei fondi pensione, degli organi di investimento del risparmio collettivo e delle altre SIIQ detenute in gestione.
Come rilevato dalla Commissione, tra le condizioni d'accesso al regime SIIQ vi è quella che la società sia residente in Italia, ossia abbia per la maggior parte del periodo d'imposta la sua sede legale e amministrativa o l'oggetto principale della propria attività nel territorio dello Stato. Tale disposizione sembra escludere la possibilità che ad avvalersi del regime speciale SIIQ siano le stabili organizzazioni in Italia di società residenti in altri Stati membri dell'UE e dello SEE, esclusione che appare peraltro confermata anche dalla citata Circolare interpretativa.
La Commissione, nel contestare l'applicazione della residenza italiana come condizione di accesso a un regime privilegiato, si richiama a una consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia che, pur riconoscendo che, in certi casi, una differenza di trattamento fiscale in funzione della sede della società potrebbe essere giustificata, esclude da tale novero le fattispecie in cui "la legislazione nazionale mette sullo stesso piano ai fini dell'imposizione dei loro benefici, le società aventi sede nel territorio nazionale e le succursali e agenzie di società straniere situate in tale territorio". Osserva ancora la Commissione: "In sostanza, nella misura in cui ai fini dell'imposizione di redditi prodotti in Italia, e in particolare per quanto concerne la determinazione della base imponibile, la legislazione italiana tratta allo stesso modo le società di capitali residenti e le stabili organizzazioni di società residenti all'estero, appare ingiustificato, e quindi discriminatorio, distinguere queste due forme di stabilimento esclusivamente ai fini dell'applicazione di un regime fiscale più favorevole".
Per rispondere ai rilievi formulati dalla Commissione, l'art. 12 del ddl in esame provvede a inserire, dopo il comma 141 dell'art. 1 della Legge Finanziaria 2007, un nuovo comma 141-bis, che estende il regime SIIQ alle stabili organizzazioni di società estere, ma che prevede, d'altro canto, nel caso di società estere che svolgano prevalentemente attività di locazione immobiliare in Italia tramite stabili organizzazioni, l'imposizione del reddito prodotto in Italia con un'aliquota IRES pari alla misura della ritenuta che sarebbe stata applicata sui dividendi prodotti da una SIIQ italiana, vale a dire il venti per cento.
Tale specifica disposizione, ad avviso del Governo, si rende necessaria per il fatto che il regime fiscale previsto per le SIIQ italiane non sarebbe applicabile tout court alle stabili organizzazioni di soggetti esteri in quanto gli utili da esse prodotti, ancorché derivanti da un'attività di locazione immobiliare, sono sempre riconducibili alla società estera cui fa capo la stabile organizzazione, e quindi sottoposti a ritenuta secondo la normativa nazionale vigente nello Stato di residenza del soggetto che li distribuisce. Ben lungi dall'avvantaggiare gli investitori partecipanti nella società estera, la rinuncia all'imposizione nei confronti delle stabili organizzazioni estere andrebbe a beneficio dello Stato estero, che sottoporrebbe a imposizione il reddito originatosi in Italia senza dover accordare un credito d'imposta per le imposte pagate all'estero.
Sempre ad avviso del Governo, la misura proposta, pur non comportando un'equiparazione assoluta dei regimi fiscali applicati alle SIIQ italiane e alle stabili organizzazioni estere, dovrebbe scongiurare il prosieguo della procedura d'infrazione e dovrebbe essere considerata compatibile con i principi comunitari, poiché stabilisce la stessa misura di prelievo fiscale sui redditi prodotti da soggetti residenti e non residenti, con una differenza nei tempi e nelle modalità del prelievo giustificata dal peculiare sistema impositivo previsto per le SIIQ e le SIINQ.
Il 27 novembre 2008 la Commissione ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora (procedura n. 2008/4524) nella quale contesta la violazione degli articoli 43 e 48 del Trattato CE, che fissano il principio della libertà di stabilimento, da parte della normativa italiana che disciplina il regime fiscale per le Società di Investimento Immobiliare Quotate (SIIQ) e non Quotate collegate (SIINQ).
I rilievi della Commissione riguardano in particolare l’articolo 1, commi 119-141, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria per il 2007), modificato da ultimo dall’articolo 1, comma 374, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria per il 2008), che impone una condizione di residenza in Italia per le SIIQ e SIINQ che desiderano optare per un regime civile e fiscale speciale consistente nell’esclusione dall’Imposta sul reddito delle società (IRES) e dall’Imposta sulle attività produttive (IRAP) del reddito derivante dall’attività di locazione immobiliare.
La Commissione ricorda che l’interpretazione delle norme in oggetto è stata confermata dalla circolare n. 8/E dell’Agenzia delle entrate del 31 gennaio 2008, la quale ha precisato peraltro che “la finalità della disciplina è quella di promuovere lo sviluppo del mercato immobiliare italiano (in particolare l’attività di locazione di immobili), accrescendone la trasparenza e rendendolo competitivo rispetto ad altri paesi europei”.
In particolare, considerato che, ai sensi dell’articolo 73, comma 3, del Testo Unico Imposte sui Redditi (TUIR), ai fini dell’IRES si considerano residenti le società e gli organismi che per la maggior parte del periodo di imposta hanno la loro sede legale o la sede amministrativa o l’oggetto principale della loro attività nel territorio italiano, la Commissione rileva che è escluso che possano avvalersi del regime speciale SIIQ le stabili organizzazioni in Italia di società residenti in altri Stati membri dell’UE e dello SEE, in quanto in base all’articolo 162 del TUIR tali organizzazioni sono “una sede fissa di affari per mezzo della quale l’impresa non residente esercita in tutto o in parte la sua attività su territorio dello Stato”.
Alla luce di tali considerazioni, e richiamandosi alla giurisprudenza della Corte di giustizia in materia, la Commissione ritiene che l’esclusione di una stabile organizzazione di una società non residente da un regime fiscale più vantaggioso applicabile alle società residenti costituirebbe una discriminazione nei confronti delle società non residenti ed un ostacolo all’esercizio da parte di tali società dell’attività immobiliare in Italia in condizioni competitive con le società residenti. Considerato che tale ostacolo non si può giustificare sulla base di differenze oggettive dal punto di vista fiscale tra società residenti e stabili organizzazioni di società comunitarie, esso configurerebbe una discriminazione contraria agli articoli 43 e 48 del Trattato CE.
Articolo 13
(Modifiche alle disposizioni tributarie in
materia di imposte di consumo sugli oli lubrificanti rigenerati - Procedura
d’infrazione n. 2004/2190)
1. All’articolo 1, comma 116, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, le parole: «e al primo periodo del comma 5 del medesimo articolo 62 la denominazione «oli usati» deve intendersi riferita agli oli usati raccolti in Italia» sono soppresse.
2. Nel testo unico delle disposizioni legislative concernenti le imposte sulla produzione e sui consumi e relative sanzioni penali e amministrative, di cui al decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all’articolo 62, nel comma 5:
1) il primo periodo e` sostituito dal seguente: «Gli oli lubrificanti ottenuti dalla rigenerazione di oli usati, derivanti da oli, a base minerale o sintetica, gia` immessi in consumo, sono sottoposti all’imposta di cui al comma 1 nella stessa misura prevista per gli oli di prima distillazione.»;
2) il secondo periodo e` sostituito dal seguente: «Per i prodotti energetici ottenuti nel processo di rigenerazione congiuntamente agli oli lubrificanti trovano applicazione le disposizioni di cui all’articolo 21.»;
b) nell’allegato I, l’aliquota relativa all’imposta di consumo sugli oli lubrificanti e` determinata in euro 750,00 per mille chilogrammi.
3. Limitatamente alle basi ed agli oli lubrificanti rigenerati che, alle ore zero della data di entrata in vigore della presente disposizione, risultino giacenti, per fini commerciali, in quantita` complessivamente non inferiore a 1.000 chilogrammi, presso depositi commerciali nazionali e non ancora assoggettati all’imposta di consumo di cui all’articolo 62 del citato decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504, e` applicata l’imposta di consumo prevista, per gli oli e le basi rigenerate, dal medesimo articolo 62 nella formulazione in vigore il giorno precedente alla data di entrata in vigore della presente disposizione.
4. All’articolo 236, comma 12, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) le lettere i) e l) sono sostituite dalle seguenti:
«i) concordare con le imprese che svolgono attivita` di rigenerazione i parametri tecnici per la selezione degli oli usati idonei per l’avvio alla rigenerazione;
l) incentivare la raccolta di oli usati rigenerabili;»;
b) dopo la lettera l) sono inserite le seguenti:
“l-bis) cedere gli oli usati rigenerabili raccolti alle imprese di rigenerazione che ne facciano richiesta in ragione del rapporto fra quantita` raccolte e richieste, delle capacita` produttive degli impianti previste dalle relative autorizzazioni e, per gli impianti gia` in funzione, della pregressa produzione di basi lubrificanti rigenerate di qualita` idonea per il consumo;
l-ter) corrispondere alle imprese di rigenerazione un corrispettivo a fronte del trattamento determinato in funzione della situazione corrente del mercato delle basi lubrificanti rigenerate, dei costi di raffinazione e del prezzo ricavabile dall’avvio degli oli usati al riutilizzo tramite combustione; tale corrispettivo sara` erogato con riferimento alla quantita` di base lubrificante ottenuta per tonnellata di olio usato, di qualita` idonea per il consumo ed effettivamente ricavata dal processo di rigenerazione degli oli usati ceduti dal consorzio all’impresa stessa;
l-quater) assicurare l’avvio alla combustione dell’olio usato non rigenerabile ma riutilizzabile ovvero dell’olio rigenerabile non ritirato dalle imprese di rigenerazione e lo smaltimento dell’olio usato non riutilizzabile nel rispetto delle disposizioni contro l’inquinamento.”.
L’articolo 13 intende sanare l'infrazione sollevata dalla Commissione europea nel giugno 2007 nei confronti dell'Italia, ritenuta responsabile di applicare un regime fiscale discriminatorio in materia di oli lubrificanti rigenerati a danno degli altri Stati membri, contravvenendo all'articolo 90 del TCE in materia di disposizioni fiscali.
Oggetto della controversia è l'articolo 62, comma 5, del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504 (Testo unico sulle accise), che prevede per gli oli lubrificanti (e i prodotti energetici) ottenuti dalla rigenerazione una riduzione del 50% sull'imposta al consumo applicata agli oli di prima distillazione.
Ai sensi dell’articolo 1, comma 116 della legge finanziaria 2006 (legge n. 266 del 2005) e dalla circolare del maggio 2004 emanata dall'Agenzia delle dogane tale riduzione, giustificata dalla necessità di compensare gli elevati costi del processo di rigenerazione, si intende però riferita esclusivamente agli oli usati raccolti in Italia.
L'applicazione di un diverso trattamento a prodotti analoghi sulla base dell'origine della materia prima è ritenuto dalla Commissione europea contrario al principio di non discriminazione enunciato dall'articolo 90 del TCE, che stabilisce che nessuno Stato membro può applicare ai prodotti degli altri Stati membri imposizioni interne superiori a quelle applicate ai prodotti nazionali.
La Commissione europea ha quindi avviato una procedura di infrazione nei confronti dell'Italia, deferendola successivamente alla Corte di Giustizia per non essersi adeguata alle indicazioni fornite nei tempi previsti.
Allo scopo di superare i rilievi mossi in sede comunitaria e di adeguare la normativa nazionale a quella europea, il presente articolo reca varie modifiche alle norme vigenti.
Il comma 1, dispone innanzitutto, la soppressione dall'articolo 116 della legge finanziaria 2006 (legge n. 266/2005), della disposizione interpretativa dell'articolo 62, comma 5, del D.Lgs. n. 504/1995, in base alla quale la denominazione "oli usati" si intende riferita agli oli usati raccolti in Italia, come evidenziato nel successivo testo a fronte.
Peraltro il richiamato comma 116 fissa, a decorrere dal 1° gennaio 2006, in euro 842 per mille chilogrammi l'aliquota dell'imposta di consumo sugli oli lubrificanti indicata all'allegato I al medesimo testo unico.
Legge n. 266/2005 |
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Testo previgente |
Testo modificato |
116. L'articolo 62 del testo unico delle disposizioni legislative concernenti le imposte sulla produzione e sui consumi e relative sanzioni penali e amministrative, di cui al decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504, continua ad esplicare i suoi effetti e al primo periodo del comma 5 del medesimo articolo 62 la denominazione «oli usati» deve intendersi riferita ad oli usati raccolti in Italia. A decorrere dal 1° gennaio 2006 l'aliquota dell'imposta di consumo sugli oli lubrificanti di cui all'allegato I al medesimo testo unico è fissata in euro 842 per mille chilogrammi. |
116. L'articolo 62 del testo unico delle disposizioni legislative concernenti le imposte sulla produzione e sui consumi e relative sanzioni penali e amministrative, di cui al decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504, continua ad esplicare i suoi effetti. A decorrere dal 1° gennaio 2006 l'aliquota dell'imposta di consumo sugli oli lubrificanti di cui all'allegato I al medesimo testo unico è fissata in euro 842 per mille chilogrammi. |
Il comma 2 modifica il richiamato articolo 62, comma 5:
§ eliminando, al primo periodo, la riduzione del 50% sull'aliquota al consumo per gli oli lubrificanti ottenuti dalla rigenerazione degli oli usati derivanti da oli, a base minerale o sintetica, già immessi in consumo, sopprimendo, conseguentemente, la possibilità di variare tale misura (50%) con D.P.C.M.;
§ sottoponendo ad accisa (art. 21 D.Lgs. n. 504/1995) i prodotti energetici ottenuti dal processo di rigenerazione congiuntamente agli oli lubrificanti (precedentemente era prevista la riduzione dell’aliquota del 50% come per gli oli lubrificanti rigenerati);
§ prevedendo per gli oli lubrificanti una riduzione dell’aliquota dagli attuali 842,00 euro a 750,00 euro per mille chilogrammi (attraverso una modifica all’allegato I al D.Lgs n. 504/1995).
In pratica, la perdita di gettito determinata dalla riduzione dell’aliquota da 842 a 750 euro per mille chilogrammi viene compensata dall’abrogazione del regime agevolato (aliquota ridotta del 50%) per gli oli usati raccolti in Italia.
Si osserva che, oltre a modificare l’allegato I al D.Lgs n. 504/1995, sembrerebbe opportuno novellare anche il secondo periodo dell’articolo 1, comma 116, della legge n. 266 del 2005, in quanto continuerebbe ad essere indicata, a decorrere dal 1° gennaio 2006, per gli oli lubrificanti un'aliquota dell'imposta di consumo pari a 842 euro per mille chilogrammi.
D.Lgs n. 504/1995, art. 62 |
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Testo previgente |
Testo modificato |
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5. Gli oli lubrificanti e gli altri prodotti energetici ottenuti congiuntamente dalla rigenerazione di oli usati, derivanti da oli, a base minerale o sintetica, già immessi in consumo, sono sottoposti ad imposta in misura pari al 50 per cento dell'aliquota normale prevista per gli oli di prima distillazione e per gli altri prodotti. La percentuale anzidetta può essere modificata con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro delle finanze, di concerto con i Ministri del tesoro, dell'industria, del commercio e dell'artigianato e dell'ambiente, in relazione alla esigenza di assicurare competitività all'attività della rigenerazione, ferma restando, in caso di diminuzione della percentuale, l'invarianza del gettito sugli oli lubrificanti, da attuare con lo stesso decreto, mediante una corrispondente variazione in aumento dell'aliquota normale. Gli oli lubrificanti usati destinati alla combustione non sono soggetti a tassazione. I prodotti energetici contenuti nei residui di lavorazione della rigenerazione non sono soggetti a tassazione. |
5. Gli oli lubrificanti ottenuti dalla rigenerazione di oli usati, derivanti da oli, a base minerale o sintetica, già immessi in consumo, sono sottoposti all'imposta di cui al comma 1 nella stessa misura prevista per gli oli di prima distillazione. Per i prodotti energetici ottenuti nel processo di rigenerazione congiun-tamente agli oli lubrificanti trovano applicazione le disposizioni di cui all'articolo 21. Gli oli lubrificanti usati destinati alla combustione non sono soggetti a tassazione. I prodotti energetici contenuti nei residui di lavorazione della rigenerazione non sono soggetti a tassazione. |
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Il comma 3 reca una disposizione transitoria, prevedendo che per gli oli rigenerati e le basi rigenerate che alle ore 0.00 del giorno di entrata in vigore del presente decreto-legge (26 settembre 2009) risultino giacenti – in quantità non inferiore a 1.000 chilogrammi – presso i depositi e non siano ancora stati assoggettati ad imposta di consumo si applichi l’imposta ridotta vigente il giorno precedente.
In merito all’applicazione del regime transitorio l’Agenzia delle dogane ha emanato in data 30 settembre 2009 la circolare n. 131159.
Il comma 4 reca alcune novelle all’art. 236, comma 12, del D.Lgs. n. 152 del 2006, relativo al Consorzio nazionale per la gestione, raccolta e trattamento degli oli minerali usati (COOU), relativamente ai compiti che il Consorzio svolge. In particolare la disposizione sostituisce le lettere i) e l) ed aggiunge le lettere da l-bis) a l-ter).
L’articolo 236 stabilisce che, al fine di razionalizzare e organizzare la gestione degli oli minerali usati da avviare obbligatoriamente alla rigenerazione tesa alla produzione di oli base, le imprese indicate al comma 4, sono tenute a partecipare all'assolvimento dei compiti previsti al successivo comma 12 tramite adesione al consorzio.
Si tratta delle imprese che producono, importano o mettono in commercio oli base vergini; che producono oli base mediante un processo di rigenerazione; che effettuano il recupero e la raccolta degli oli usati; che effettuano la sostituzione e la vendita degli oli lubrificanti.
Il testo previgente della lettera i) indica il compito di “garantire ai rigeneratori, nei limiti degli oli usati rigenerabili raccolti e della produzione dell'impianto, i quantitativi di oli usati richiesti a prezzo equo e, comunque, non superiore al costo diretto della raccolta”.
La nuova formulazione della lettera i) specifica che il Consorzio ha il compito di “concordare con le imprese che svolgono attività di rigenerazione i parametri tecnici per la selezione degli oli usati idonei per l'avvio alla rigenerazione”.
Il testo previgente della lettera i) indica il compito di “assicurare lo smaltimento degli oli usati nel caso non sia possibile o economicamente conveniente il recupero, nel rispetto delle disposizioni contro l'inquinamento”.
La nuova formulazione della lettera l) riguarda il compito di incentivare la raccolta di oli usati rigenerabili.
Le nuove lettere da l-bis) a l-ter) del comma 12 elencano i seguenti compiti:
§ cedere gli oli usati rigenerabili raccolti alle imprese di rigenerazione che ne facciano richiesta in ragione del rapporto fra quantità raccolte e richieste, delle capacità produttive degli impianti previste dalle relative autorizzazioni e, per gli impianti già in funzione, della pregressa produzione di basi lubrificanti rigenerate di qualità idonea per il consumo (l-bis);
§ corrispondere alle imprese di rigenerazione un corrispettivo a fronte del trattamento determinato in funzione della situazione corrente del mercato delle basi lubrificanti rigenerate, dei costi di raffinazione e del prezzo ricavabile dall'avvio degli oli usati al riutilizzo tramite combustione; tale corrispettivo sarà erogato con riferimento alla quantità di base lubrificante ottenuta per tonnellata di olio usato, di qualità idonea per il consumo ed effettivamente ricavata dal processo di rigenerazione degli oli usati ceduti dal consorzio all'impresa stessa (l-ter);
§ assicurare l'avvio alla combustione dell'olio usato non rigenerabile ma riutilizzabile ovvero dell'olio rigenerabile non ritirato dalle imprese di rigenerazione e lo smaltimento dell'olio usato non riutilizzabile nel rispetto delle disposizioni contro l'inquinamento (l-quater).
In pratica il Consorzio obbligatorio degli oli usati, (COOU) dovrà incentivare la raccolta degli oli rigenerabili, cedere questi ultimi alle imprese di rigenerazione che ne facciano richiesta e corrispondere ad esse un idoneo corrispettivo.
Conseguentemente il Consorzio ha provveduto ad elevare da 75,00 euro a 155 euro per tonnellata il contributo dovutogli dalle imprese al momento dell’immissione in consumo degli oli lubrificanti, siano essi rigenerati che di prima distillazione.
Il 22 dicembre 2008 la Commissione ha deferito l’Italia dinanzi alla Corte di giustizia europea (causa C-572/08, procedura d’infrazione n. 2004/2190)[47] sostenendo che la concessione di una agevolazione fiscale agli oli lubrificanti rigenerati prodotti da oli usati raccolti in Italia e non anche a quelli prodotti da oli usati raccolti in altri Paesi membri, violerebbe i principi di cui all’articolo 90 del Trattato CE.
Ai sensi di tale articolo “nessuno Stato membro applica direttamente o indirettamente ai prodotti degli altri Stati membri imposizioni interne, di qualsivoglia natura, superiori a quelle applicate direttamente o indirettamente ai prodotti nazionali similari.
Inoltre, nessuno Stato membro applica ai prodotti degli altri Stati membri imposizioni interne intese a proteggere indirettamente altre produzioni”.
Articolo 14
(Regime fiscale applicabile ai proventi
derivanti dalla partecipazione agli organismi di investimento collettivo in
valori mobiliari esteri non armonizzati - Procedura d’infrazione n. 2008/4145)
(Soppresso)
1. Nelle more di interventi di riordino generale del regime tributario dei proventi derivanti dalla partecipazione agli organismi di investimento collettivo in valori mobiliari, l’articolo 10-ter della legge 23 marzo 1983, n. 77, e` sostituito dal seguente:
«Art. 10-ter. - (Disposizioni tributarie sui proventi delle quote di organismi di investimento collettivo in valori mobiliari di diritto estero). – 1. Sui proventi di cui all’articolo 44, comma 1, lettera g), del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n, 917, derivanti dalla partecipazione a organismi di investimento collettivo in valori mobiliari di diritto estero conformi alle direttive comunitarie, situati negli Stati membri dell’Unione europea e negli Stati aderenti all’Accordo sullo spazio economico europeo che sono inclusi nella lista di cui al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze adottato ai sensi dell’articolo 168-bis del medesimo testo unico delle imposte sui redditi e le cui quote sono collocate nel territorio dello Stato ai sensi dell’articolo 42 del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, i soggetti residenti incaricati del pagamento dei proventi medesimi, del riacquisto o della negoziazione delle quote o delle azioni operano una ritenuta del 12,50 per cento. La ritenuta si applica sui proventi distribuiti in costanza di partecipazione all’organismo di investimento e su quelli compresi nella differenza tra il valore di riscatto, di cessione o di liquidazione delle quote od azioni e il valore medio ponderato di sottoscrizione o di acquisto delle quote. In ogni caso come valore di sottoscrizione o acquisto si assume il valore della quota rilevato dai prospetti periodici relativi alla data di acquisto delle quote medesime.
2. La ritenuta del 12,50 per cento e` altresı` applicata dai medesimi soggetti di cui al comma 1 sui proventi di cui all’articolo 44, comma 1, lettera g), del citato testo unico delle imposte sui redditi derivanti dalla partecipazione a organismi di investimento collettivo in valori mobiliari di diritto estero non conformi alle direttive comunitarie e assoggettati a forme dı` vigilanza nei Paesi esteri nei quali sono istituiti, situati negli Stati membri dell’Unione europea e negli Stati aderenti all’accordo sullo spazio economico europeo che sono inclusi nella lista di cui al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze adottato ai sensi dell’articolo 168-bis del medesimo testo unico delle imposte sui redditi e le cui quote sono collocate nel territorio dello Stato ai sensi dell’articolo 42 del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58. La ritenuta si applica sui proventi distribuiti in costanza di partecipazione all’organismo di investimento e su quelli compresi nella differenza tra il valore di riscatto, di cessione o di liquidazione delle quote od azioni e il valore medio ponderato di sottoscrizione o di acquisto delle quote. Il costo di sottoscrizione o acquisto e` documentato dal partecipante. In mancanza della documentazione il costo e` documentato con una dichiarazione sostitutiva.
3. Ai fini dell’applicazione delle ritenute di cui ai commi 1 e 2 si considera cessione anche il trasferimento di quote o azioni a diverso intestatario, salvo che il trasferimento non sia avvenuto per successione o donazione. In questo caso, il contribuente fornisce al soggetto tenuto all’applicazione della ritenuta la necessaria provvista.
4. La ritenuta di cui ai commi 1 e 2 e` applicata a titolo di acconto nei confronti di:
a) imprenditori individuali, se le partecipazioni sono relative all’impresa ai sensi dell’articolo 65 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917;
b) societa` in nome collettivo, in accomandita semplice ed equiparate di cui all’articolo 5 del predetto testo unico;
c) societa` ed enti di cui alle lettere a) e b) del comma 1 dell’articolo 73 del medesimo testo unico e stabili organizzazioni nel territorio dello Stato delle societa` e degli enti di cui alla lettera d) del comma 1 del predetto articolo. Nei confronti di tutti gli altri soggetti, compresi quelli esenti o esclusi dall’imposta sul reddito delle societa`, la ritenuta e` applicata a titolo d’imposta.
5. Nel caso in cui le quote o azioni di cui ai commi 1 e 2 sono collocate all’estero, o comunque i relativi proventi sono conseguiti all’estero, la ritenuta e` applicata dai soggetti di cui all’articolo 23 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, che intervengono nella loro riscossione.
6. I proventi di cui all’articolo 44, comma 1, lettera g), del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, derivanti dalla partecipazione a organismi di investimento collettivo in valori mobiliari di diritto estero, diversi da quelli di cui ai commi 1 e 2, concorrono a formare il reddito imponibile dei partecipanti, sia che vengano percepiti sotto forma di proventi distribuiti sia che vengano percepiti quale differenza tra il valore di riscatto o di cessione delle quote o azioni e il valore di sottoscrizione o acquisto. Il costo unitario di acquisto delle quote si assume dividendo il costo complessivo delle quote acquistate o sottoscritte per la loro quantita`.
7. Sui proventi di cui al comma 6 i soggetti indicati all’articolo 23 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, che intervengono nella loro riscossione operano una ritenuta del 12,50 per cento a titolo d’acconto delle imposte sui redditi.
8. Gli organismi di investimento collettivo in valori mobiliari di diritto estero conformi alle direttive comunitarie e quelli non conformi alle direttive comunitarie e assoggettati a forme di vigilanza nei Paesi esteri nei quali sono istituiti, situati negli Stati membri dell’Unione europea e negli Stati aderenti all’accordo sullo spazio economico europeo che sono inclusi nella lista di cui al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze adottato ai sensi dell’articolo 168-bis del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, possono, con riguardo agli investimenti effettuati in Italia, avvalersi delle convenzioni stipulate dalla Repubblica italiana per evitare le doppie disposizioni relativamente alla parte dei redditi e proventi proporzionalmente corrispondenti alle loro quote possedute da soggetti non residenti in Italia.
9. Le disposizioni di cui al comma 8 si applicano esclusivamente agli organismi aventi sede in uno Stato la cui legislazione riconosca analogo diritto agli organismi di investimento collettivo italiani.».
2. Le disposizioni del comma 1 si applicano ai proventi percepiti a decorrere dal 1º gennaio 2010.
L’articolo 14 è stato soppresso nel corso dell’esame al Senato.
L’articolo 14 aveva lo scopo di sanare la procedura di infrazione n. 2008/4145, di costituzione in mora ex art. 226 del Trattato CE, mediante la quale la Commissione europea ha evidenziato alcuni punti critici del regime fiscale applicato in Italia ai proventi derivanti dalle partecipazioni ad organismi di investimento collettivo in valori mobiliari di diritto estero non conformi alle direttive comunitarie (c.d. fondi non armonizzati).
Secondo la Commissione europea, il regime fiscale di tali fondi presenta dubbi di compatibilità con i principi del diritto comunitario relativi alla liberta di circolazione dei capitali all’interno dell’Unione europea garantiti dall’art. 56 del Trattato CE e dall’art. 40 dell’Accordo sullo Spazio Economico europeo[48].
La procedura di infrazione concerne il disallineamento tra il trattamento fiscale dei proventi, conseguiti da persone fisiche non aventi la qualità di imprenditore aventi la residenza in Italia, derivanti dalla partecipazione a fondi mobiliari non armonizzati di diritto estero, per la parte qualificabile come reddito di capitale, e il trattamento fiscale dei proventi derivanti da fondi mobiliari non armonizzati italiani, sempre conseguiti da persone fisiche non aventi la qualità di imprenditore aventi la residenza in Italia.
L'articolo 14 aveva cercato di porre rimedio a tale discrasia. Tuttavia la disposizione sembrava accentuare il trattamento fiscale differenziato che esiste tra le varie tipologie di organismi di investimento collettivo del risparmio negoziate in Italia. In particolare, i fondi di diritto italiano erano tassati con aliquota sostitutiva del 12,50% sul risultato di gestione maturato nell'anno di riferimento, mentre i fondi esteri erano tassati con aliquota sostitutiva del 12,50% sulla differenza tra il valore di riscatto o di cessione delle quote o azioni e il valore di sottoscrizione o acquisto.
Pertanto, come evidenziato nel corso del dibattito al Senato nella seduta pomeridiana del 3 novembre 2009, è apparso quindi opportuno “che tale differenziazione venga eliminata, anche in considerazione dell'operatività del principio di parità di trattamento di ispirazione comunitaria. Di conseguenza, o l'articolo 14 deve essere soppresso rimandando la disciplina della complessa materia ad un provvedimento ad hoc, oppure dobbiamo inserire la previsione che per i fondi mobiliari chiusi si passi dalla tassazione sul maturato a quella sul realizzato”.
Articolo 15
(Adeguamento alla disciplina comunitaria in
materia di servizi pubblici locali di rilevanza economica)
1. All’articolo 23-bis del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 1, terzo periodo, dopo le parole: «in materia di distribuzione del gas naturale», sono inserite le seguenti: «, le disposizioni del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79, e della legge 23 agosto 2004, n. 239, in materia di distribuzione di energia elettrica, le disposizioni della legge 2 aprile 1968, n. 475, relativamente alla gestione delle farmacie comunali nonche´ quelle del decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422, relativamente alla disciplina del trasporto ferroviario regionale.».
«a-bis) al comma 1, quarto periodo, dopo le parole: "sono determinati" sono inserite le seguenti: ", entro il 31 dicembre 2012,"»;
b) i commi 2, 3 e 4 sono sostituiti dai seguenti:
«2. Il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali avviene, in via ordinaria:
a) a favore di imprenditori o di societa` in qualunque forma costituite individuati mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi del Trattato che istituisce la Comunita` europea e dei princı`pi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, dei princìpi di economicita`, efficacia, imparzialita`, trasparenza, adeguata pubblicita`, non discriminazione, parita` di trattamento, mutuo riconoscimento e proporzionalita`;
b) a societa` a partecipazione mista pubblica e privata, a condizione che la selezione del socio avvenga mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei princı`pi di cui alla lettera a), le quali abbiano ad oggetto, al tempo stesso, la qualita` di socio e l’attribuzione di specifici compiti operativi connessi alla gestione del servizio e che al socio sia attribuita una partecipazione non inferiore al 40 per cento.
3. In deroga alle modalita` di affidamento ordinario di cui al comma 2, per situazioni eccezionali che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non permettono un efficace e utile ricorso al mercato, l’affidamento puo` avvenire a favore di societa` a capitale interamente pubblico, partecipata dall’ente locale, che abbia i requisiti richiesti dall’ordinamento comunitario per la gestione cosiddetta "in house" e, comunque, nel rispetto dei princı`pi della disciplina comunitaria in materia di controllo analogo sulla societa` e di prevalenza dell’attivita` svolta dalla stessa con l’ente o gli enti pubblici che la controllano.
4. Nei casi di cui al comma 3, l’ente affidante deve dare adeguata pubblicita` alla scelta, motivandola in base ad un’analisi del mercato e contestualmente trasmettere una relazione contenente gli esiti della predetta verifica all’Autorita` garante della concorrenza e del mercato per l’espressione di un parere preventivo, da rendere entro sessanta giorni dalla ricezione della predetta relazione. Decorso il termine, il parere, se non reso, si intende espresso in senso favorevole.»;
c) dopo il comma 4, e` inserito il seguente:
«4-bis. I regolamenti di cui al comma 10 definiscono le soglie oltre le quali gli affidamenti di servizi pubblici locali assumono rilevanza ai fini dell’espressione del parere di cui al comma 4.»;
d) i commi 8 e 9 sono sostituiti dai seguenti:
«8. Il regime transitorio degli affidamenti non conformi a quanto stabilito ai commi 2 e 3 e` il seguente:
a) le gestioni in essere alla data del 22 agosto 2008 affidate conformemente ai principi comunitari in materia di cosiddetta "in house" cessano, improrogabilmente e senza necessita` di deliberazione da parte dell’ente affidante, alla data del 31 dicembre 2011. Esse cessano alla scadenza prevista dal contratto di servizio a condizione che entro il 31 dicembre 2011 le amministrazioni cedano almeno il 40 per cento del capitale attraverso le modalita` di cui alla lettera b) del comma 2;
b) le gestioni affidate direttamente a societa` a partecipazione mista pubblica e privata, qualora la selezione del socio sia avvenuta mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi di cui alla lettera a) del comma 2, le quali non abbiano avuto ad oggetto, al tempo stesso, la qualita` di socio e l’attribuzione dei compiti operativi connessi alla gestione del servizio, cessano, improrogabilmente e senza necessita` di apposita deliberazione dell’ente affidante, alla data del 31 dicembre 2011;
c) le gestioni affidate direttamente a societa` a partecipazione mista pubblica e privata, qualora la selezione del socio sia avvenuta mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi di cui alla lettera a) del comma 2, le quali abbiano avuto ad oggetto, al tempo stesso, la qualita` di socio e l’attribuzione dei compiti operativi connessi alla gestione del servizio, cessano alla scadenza prevista nel contratto di servizio;
d) gli affidamenti diretti assentiti alla data del 1º ottobre 2003 a societa` a partecipazione pubblica gia` quotate in borsa a tale data e a quelle da esse controllate ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile, cessano alla scadenza prevista nel contratto di servizio, a condizione che la partecipazione pubblica, si riduca anche progressivamente, attraverso procedure ad evidenza pubblica ovvero forme di collocamento privato presso investitori qualificati e operatori industriali, ad una quota non superiore al 40 per cento entro il 30 giugno 2013 e non superiore al 30 per cento entro il 31 dicembre 2015; ove siffatte condizioni non si verifichino, gli affidamenti cessano improrogabilmente e senza necessita` di apposita deliberazione dell’ente affidante, rispettivamente, alla data del 30 giugno 2013 o del 31 dicembre 2015»
e) le gestioni affidate che non rientrano nei casi di cui alle lettere da a) a d) cessano comunque entro e non oltre la data del 31 dicembre 2010, senza necessita` di apposita deliberazione dell’ente affidante.
9. Le societa`, le loro controllate, controllanti e controllate da una medesima controllante, anche non appartenenti a Stati membri dell’Unione europea, che, in Italia o all’estero, gestiscono di fatto o per disposizioni di legge, di atto amministrativo o per contratto servizi pubblici locali in virtu` di affidamento diretto, di una procedura non ad evidenza pubblica ovvero ai sensi del comma 2, lettera b), nonche´ i soggetti cui e` affidata la gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali degli enti locali, qualora separata dall’attivita` di erogazione dei servizi, non possono acquisire la gestione di servizi ulteriori ovvero in ambiti territoriali diversi, ne´ svolgere servizi o attivita` per altri enti pubblici o privati, ne´ direttamente, ne´ tramite loro controllanti o altre societa` che siano da essi controllate o partecipate, ne´ partecipando a gare. Il divieto di cui al primo periodo opera per tutta la durata della gestione e non si applica alle societa` quotate in mercati regolamentati e al socio selezionato ai sensi della lettera b) del comma 2. I soggetti affidatari diretti di servizi pubblici locali possono comunque concorrere su tutto il territorio nazionale alla prima gara successiva alla cessazione del servizio, svolta mediante procedura competitiva ad evidenza pubblica, avente ad oggetto i servizi da essa forniti.»;
e) al comma 10, nell’alinea, le parole: «centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto» sono sostituite dalle seguenti: «il 31 dicembre 2009»;
f) al comma 10, alla lettera a) la parola: «diretti» e` sostituita dalle seguenti: «cosiddetti in house» e dopo le parole: «patto di stabilita` interno» sono inserite le seguenti: «, tenendo conto delle scadenze fissate al comma 8,»;
g) al comma 10, la lettera e) e` abrogata.
1-bis. Ai fini dell'applicazione dell'articolo 23-bis, comma 8, lettera e), del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, come sostituito dal comma 1 del presente articolo, nelle regioni a Statuto speciale e nelle province autonome di Trento e Bolzano sono fatti salvi, nel rispetto delle attribuzioni previste dagli statuti delle predette regioni e province autonome e dalle relative norme di attuazione, i contratti di servizio in materia di trasporto pubblico locale su gomma di cui all'articolo 61 della legge 23 luglio 2009, n. 99, in atto alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto
1-ter. Tutte le forme di affidamento della gestione del servizio idrico integrato di cui all’articolo 23-bis del citato decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, devono avvenire nel rispetto dei princı`pi di autonomia gestionale del soggetto gestore e di piena ed esclusiva proprieta` pubblica delle risorse idriche, il cui governo spetta esclusivamente alle istituzioni pubbliche, in particolare in ordine alla qualita` e prezzo del servizio, in conformita` a quanto previsto dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, garantendo il diritto alla universalita` ed accessibilita` del servizio»;
2. All’articolo 9-bis, comma 6, del decreto-legge 28 aprile 2009, n. 39, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 giugno 2009, n. 77, il quarto periodo e` soppresso.
2-bis. All’articolo 195, comma 2, lettera e), secondo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, le parole: "diciotto mesi" sono sostituite dalle seguenti: "due anni".
2-ter. All’articolo 6, comma 1, lettera p), del decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36, le parole: "31 dicembre 2009" sono sostituite dalle seguenti: "31 dicembre 2010".
2-quater. All’articolo 8-sexies, comma 2, terzo periodo, del decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 208, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2009, n. 13, la parola: "centoventi" e` sostituita dalla seguente: "duecentodieci".
L’articolo 15 concerne l’affidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza economica. La rubrica dell’articolo evidenzia l’intendimento di operare l’”adeguamento alla disciplina comunitaria” dell’attuale regolamentazione.
In sintesi non esaustiva, la nuova disciplina:
§ esclude, oltre alla distribuzione del gas come previsto dalla normativa previgente, anche la distribuzione di energia elettrica, il trasporto ferroviario regionale e la gestione delle farmacie comunali dalla disciplina di carattere generale sull’affidamento dei servizi pubblici locali di carattere economico;
§ aggiunge, alla fattispecie di conferimento in favore di imprenditori e società in qualunque forma costituiti, l’ulteriore fattispecie di affidamento della gestione dei servizi pubblici locali a società “miste”, purché il socio privato venga selezionato attraverso gare cosiddette “a doppio oggetto” (sulla persona e sull’attività), con l’ulteriore condizione che il socio partecipi con non meno del 40 per cento;
§ introduce un silenzio assenso (che scatta decorsi sessanta giorni) sul parere che l’Antitrust già oggi è chiamato a dare sulle ipotesi “straordinarie” di affidamento “in house” (vale a dire senza gara);
§ detta direttamente il regime transitorio degli affidamenti non conformi, sopprimendo la previgente previsione che lo affidava ad un emanando regolamento governativo. La disciplina transitoria prevede tre diverse scadenze per gli affidamenti “difformi” (gli affidamenti “in house” cessano il 31 dicembre 2011 ovvero alla scadenza del contratto se, a quella data, gli enti affidanti cedono ai privati il 40% della proprietà; gli affidamenti a società quotate cessano alla scadenza del contratto se la quota pubblica scende, anche progressivamente, sotto il 40% entro il 30 giugno 2013 e sotto il 30% entro il 31 dicembre 2015, altrimenti cessano il 30 giugno 2013 o il 31 dicembre 2015; in tutti gli altri casi la scadenza è al 31 dicembre 2010) mentre conserva le scadenze naturali per gli affidamenti già conformi;
§ stabilisce il principio della piena ed esclusiva proprietà pubblica delle risorse idriche.
L’articolo si compone di 7 commi, di cui 5 inseriti nel corso dell’esame del Senato.
L’ampio contenuto del comma 1 modifica in più parti l'articolo 23-bis del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133.
Può essere preliminarmente osservato che resta inalterata quella parte del testo dell’art. 23-bis che circoscrive il quadro di riferimento costituzionale, incluso il riferimento al “diritto di tutti gli utenti alla universalità ed accessibilità dei servizi pubblici locali ed al livello essenziale delle prestazioni, ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettere e) e m), della Costituzione, assicurando un adeguato livello di tutela degli utenti, secondo i principi di sussidiarietà, proporzionalità e leale cooperazione”.
A parte i profili di competenza statale che giustificano gli interventi di una legge di tale rango per i servizi locali di rilevanza economica, la materia dei servizi locali è stata riferita alla competenza legislativa residuale delle regioni (Corte costituzionale, sent. 272/2004, 29/2006, 246/2009).
La lettera a) modifica il comma 1, terzo periodo, dell’art. 23-bis citato, facendo salve (e quindi escludendo dalla disciplina di carattere generale dello stesso art. 23-bis) le disposizioni in materia di distribuzione di energia elettrica e di disciplina del trasporto ferroviario regionale, rispettivamente regolate dal decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79 e dalla legge 23 agosto 2004, n. 239 (per il settore dell’energia elettrica) e dal decreto legislativo 19 novembre 1997 n. 422 (per il trasporto pubblico).
Una modifica introdotta nel corso dell’esame del Senato fa salva anche la disciplina della gestione delle farmacie comunali, regolata dalla legge 2 aprile 1968, n. 475.
Resta invariata la già disposta esclusione del settore della distribuzione del gas naturale operata dalla legge 23 luglio 2009, n. 99 (art. 30, comma 26). Con tale disposizione si era anche provveduto a modificare la disciplina di individuazione degli ambiti territoriali minimi per lo svolgimento delle gare per l’affidamento del servizio di distribuzione del gas, in precedenza regolate dall’art. 46-bis del decreto–legge 1° ottobre 2007, n. 159 (conv. legge 29 novembre 2007, n. 222), affidata, senza la previsione di un termine, al Ministro per lo sviluppo economico, di concerto con il Ministro dei rapporti con le regioni e previo parere della Conferenza unificata e dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas. Con un emendamento approvato dal Senato, è stato introdotto un termine, al 31 dicembre 2012, entro il quale dovranno essere stabiliti detti ambiti territoriali.
La lettera b) sostituisce i commi 2, 3 e 4 dell’art. 23-bis.
Il comma 2, nel testo novellato, aggiunge una seconda modalità “ordinaria” per il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali, oltre a quella della gara tra più imprenditori e società.
Si tratta della possibilità di affidare a società “miste” (vale a dire a partecipazione pubblica e privata), purché :
§ la selezione del socio privato avvenga mediante gara, agli stessi principi già invocati per la le gare tra società non miste[49]; tali gare devono essere “a doppio oggetto”, vale a dire comprendenti:
- la qualità di socio;
- l'attribuzione di specifici (come previsto da una modifica introdotta dal Senato) compiti operativi connessi alla gestione del servizio;
§ al socio sia attribuita una partecipazione non inferiore al 40 per cento.
Il comunicato del Consiglio dei Ministri del 9 settembre 2009 evidenzia come tale previsione sia in linea con la Comunicazione interpretativa della Commissione europea del 5 febbraio 2008[50] sull’applicazione del diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni ai partenariati pubblico-privato istituzionalizzati (PPPI).
Il comma 3 novellato concerne la disciplina del conferimento in deroga (c.d. “in house”).
Le modifiche apportate alla disciplina vigente sono le seguenti:
§ previsione per cui l’affidamento “in house” è possibile per le situazioni particolarmente caratterizzate, tra l‘altro, dall’essere situazioni “eccezionali”;
§ previsione per cui l’affidamento “in house” è possibile solo a favore di società totalmente partecipate dall'ente locale;
§ previsione per cui dette società devono avere i requisiti richiesti dall'ordinamento comunitario per la gestione “in house”;
§ previsione per cui siano comunque rispettati i principi della disciplina comunitaria in materia di controllo analogo sulla società e di prevalenza dell'attività svolta dalla stessa con l'ente o gli enti pubblici che la controllano.
L’ultimo riferimento (al “controllo analogo” ed alla “prevalenza dell'attività svolta dalla società con l'ente o gli enti pubblici che la controllano”) evoca le condizioni alle quali una ormai copiosa giurisprudenza comunitaria, seguita da una pure ampia giurisprudenza nazionale, sottopone la possibilità di affidare direttamente (“in house”) i servizi locali, senza procedere a gara.
Di recente, la Corte di giustizia CE, Sez. III, sentenza 10 settembre 2009 n. C-573/07 ha affermato: “L’applicazione delle regole enunciate agli artt. 12 CE, 43 CE e 49 CE, nonché dei principi generali di cui esse costituiscono la specifica espressione, è tuttavia esclusa qualora, al contempo, l’ente locale che costituisce l’amministrazione aggiudicatrice eserciti sull’ente aggiudicatario un controllo analogo a quello che esso esercita sui propri servizi e detto ente realizzi la parte più importante della sua attività con l’autorità o le autorità che lo controllano.”
Sui criteri intepretativi delle due condizioni, cfr., di recente, nel diritto interno, Consiglio di Stato, Sentenza n. 5082/2009.
Il comma 4 novellato, introduce, nel procedimento che conduce all’affidamento in house, l’istituto del silenzio-assenso (che scatta in sessanta giorni) in relazione al parere che l’Autorità garante della concorrenza e del mercato era già chiamata a dare sulle ipotesi “straordinarie” di affidamento “in house”.
La formulazione (“decorso il termine, il parere, se non reso, si intende espresso in senso favorevole “) non sembra prevedere l’interruzione del decorso dei sessanta giorni in caso di attività interlocutoria, come, ad esempio, un’eventuale richiesta di chiarimenti da parte dell’Autorità in caso di domande non sufficientemente motivate.
Il parere è obbligatorio (deve essere richiesto) ma potrebbe essere ritenuto non vincolante (l’ente locale potrebbe procedere in difformità).
Inoltre, viene eliminato il parere delle autorità di regolazione del settore (ove costituite), previsto dall’art. 23-bis nella sua formulazione originaria, in aggiunta a quello dell’Antitrust.
La lettera c) aggiunge un comma 4-bis all’art. 23-bis.
La disposizione prevede la definizione delle soglie oltre le quali gli affidamenti di servizi pubblici locali assumono rilevanza ai fini dell'espressione del parere che l’Autorità deve esprimere per l’affidamento “in house” (di cui al comma 4).
La definizione di tali soglie, secondo quanto stabilito da una modifica introdotta al Senato, è demandata ai regolamenti governativi previsti dal comma 10 del’art. 23-bis, mentre il testo originario del decreto-legge ne aveva affidato il compito all’Antritrust.
La lettera d) sostituisce i commi 8 e 9 dell’art. 23-bis citato.
Il comma 8 dell’art. 23-bis, nel testo novellato, stabilisce il regime transitorio degli affidamenti “non conformi”, rispetto a quanto stabilito ai (novellati) commi precedenti.
Il comma 10, lettera e) del testo previgente affidava invece ad un regolamento la definizione del regime transitorio (questa parte del testo previgente viene soppressa dalle norma in esame: vedi, infra, lettera g).
Il testo previgente - per questa parte - riguardava solo le concessioni del servizio idrico integrato (che sarebbero cessate automaticamente alla data del 31 dicembre 2010).
A seguito della norma in esame il settore idrico ricade nella generale disciplina transitoria, di seguito descritta:
§ le gestioni “in house” conformi ai principi comunitari, esistenti al 22 agosto 2008, cessano automaticamente ed improrogabilmente il 31 dicembre 2011, a meno che, secondo una integrazione introdotta al Senato, le amministrazioni, entro tale data, non acquisiscano con gara pubblica un socio privato con una quota almeno pari al 40%; in questo caso le gestioni cessano alla scadenza indicata nel contratto;
§ le gestioni affidate senza gara a società miste, qualora vi sia stata gara per la selezione del socio nel rispetto dei principi stabiliti dalla disciplina ordinaria (di cui alla lettera a) del comma 2), ma che non abbiano avuto il “doppio oggetto” (qualità di socio e l'attribuzione dei compiti operativi connessi alla gestione del servizio) cessano anch’esse automaticamente ed improrogabilmente al 31 dicembre 2011;
§ le gestioni rientranti nella fattispecie precedente, affidate però con gare a “doppio oggetto” (qualità di socio e l'attribuzione dei compiti operativi connessi alla gestione del servizio) non decadono, ma cessano alla scadenza prevista;
§ gli affidamenti diretti assentiti alla data del 1° ottobre 2003 a società a partecipazione pubblica già quotate in borsa a tale data e a quelle da esse controllate ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile, sono sottoposti a due diversi regimi:
- cessano alla scadenza prevista gli affidamenti per i quali la partecipazione pubblica si riduca anche progressivamente, con gare o con forme di collocamento privato presso investitori qualificati e operatori industriali, ad una quota non superiore al 30 per cento entro, come stabilito dal Senato, il 31 dicembre 2015 (il testo originario prevede il 31 dicembre 2012). Inoltre, il Senato ha aggiunto l’ipotesi di riduzione minore, al 40% da raggiungere però in un tempo più breve: entro il 30 giugno 2013;
- negli altri casi, gli affidamenti cessano improrogabilmente ed automaticamente al 30 giugno 2013 (per le società in cui il socio pubblico non ha ridotto entro questa data la sua quota nemmeno del 40%) o al 31 dicembre 2015 (per le società in cui il socio pubblico non ha ridotto entro questa data la sua quota almeno del 30%);
§ tutte le altre gestioni (che non rientrano nei casi precedenti) cessano automaticamente entro e non oltre la data il 31 dicembre 2010.
Il comma 9 dell’art. 23-bis, nel testo novellato, riguarda i divieti posti in capo ai titolari di servizi pubblici locali affidati senza gara, divieti che escludono la possibilità di acquisire la gestione di servizi ulteriori ovvero in ambiti territoriali diversi, e di svolgere servizi o attività per altri enti pubblici o privati, né direttamente, né tramite loro controllanti o altre società che siano da essi controllate o partecipate, né partecipando a gare.
La novella definisce diversamente i soggetti, affidatari “in house”, destinatari dell’immodificato divieto e vi aggiunge le società miste affidatarie alle nuove condizioni.
Il divieto vale dunque per:
§ le società, le loro controllate, controllanti e controllate da una medesima controllante, anche non appartenenti a Stati membri dell'Unione europea, che, in Italia o all'estero, gestiscono di fatto o per disposizioni di legge, di atto amministrativo o per contratto servizi pubblici locali in virtù di affidamento diretto, o di una procedura non ad evidenza pubblica ovvero “in house”;
§ le società miste, affidatarie ai sensi del comma 2, lettera b).
Il divieto - specifica ora la disposizione in esame, a differenza di quella previgente - opera per tutta la durata della gestione. Inoltre, come era già nel testo previgente, non si applica alle società quotate in mercati regolamentati e, come aggiunto dal Senato, al socio privato selezionato con gara pubblica.
La disposizione, infine, sopprime quella previgente, secondo cui, per l’affidamento dei servizi entro la data del 31 dicembre 2010, si procede in ogni caso mediante procedura competitiva ad evidenza pubblica.
Un altro emendamento approvato dal Senato ha specificato più in dettaglio le modalità di partecipazione alle gare degli affidatari diretti. In particolare, si prevede che:
§ possono concorrere in tutto il territorio nazionale;
§ la prima gara utile per la loro partecipazione è quella successiva alla cessazione del servizio;
§ possono partecipare a gare avente ad oggetto i servizi da essa forniti.
Le lettere e), f) e g) modificano il comma 10 dell’art. 23-bis.
La lettera e), in particolare, sposta al 31 dicembre 2009 il termine entro cui il Governo, su proposta del Ministro per i rapporti con le regioni e sentita la Conferenza unificata, nonché le competenti Commissioni parlamentari, adotta uno o più regolamenti, ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, per completare la disciplina dei servizi pubblici locali. Il testo previgente fissava il termine, ormai scaduto, a 180 giorni dalla entrata in vigore del decreto-legge 112.
La lettera f) riformula in parte l’oggetto dell’adottando regolamento, specificando che la sottoposizione al patto di stabilità riguarda i soggetti affidatari cosiddetti "in house" (risulterebbero dunque escluse le società miste) e disponendo di tener conto delle scadenze del regime transitorio (fissate al comma 8 novellato).
Società “in house” e società miste restano sottoposte a gara per l’acquisto di beni e servizi e l’assunzione di personale;
La lettera g) sopprime la lettera e) del comma 10 dell’art. 23-bis più volte citato, che demandava al sopra ricordato regolamento la disciplina della fase transitoria, contestualmente “rilegificata”, col contenuto in precedenza illustrato.
Il criterio che veniva indicato al Governo prevedeva il fine del progressivo allineamento delle gestioni in essere alle disposizioni contestualmente dettate, prevedendo tempi differenziati e che gli affidamenti diretti in essere debbano cessare alla scadenza, con esclusione di ogni proroga o rinnovo; ciò esclusi i settori diversi da quello idrico, fermo restando il limite massimo stabilito dall’ordinamento di ciascun settore per la cessazione degli affidamenti effettuati con procedure diverse dall’evidenza pubblica o da quella in house.
Il comma 1-bis, introdotto nel corso dell’esame al Senato, esclude dalla cessazione entro il 31 dicembre 2010 (prevista dal comma 8, lett. e) per le gestioni dirette) i contratti di servizio in materia di trasporto pubblico locale su gomma, affidati con procedura diversa dalla gara, ai sensi dell’art. 61 della legge 23 luglio 2009, n. 99, nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e Bolzano.
Il citato articolo 61 della legge n. 99/2009, richiamando l’articolo 5 del regolamento (CE) n. 1370/2007, consente alle regioni e agli enti locali di svolgere direttamente i servizi di trasporto pubblico regionale e locale o di affidarli, oltre che mediante una procedura di gara, con le seguenti modalità:
§ mediante affidamento in house;
§ mediante aggiudicazione diretta, nei seguenti casi:
- per i contratti di servizio inferiori, per valore o per chilometri annui, ai limiti previsti dal citato regolamento;
- in caso di interruzione del servizio o di pericolo imminente di interruzione;
- per il trasporto ferroviario.
L’esclusione disposta dal comma in esame si applica ai contratti in essere alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto-legge.
Il comma 1-ter, introdotto nel corso dell’esame al Senato, stabilisce il principio della autonomia gestionale del soggetto gestore del servizio idrico integrato e della piena ed esclusiva proprietà pubblica delle risorse idriche, il cui governo spetta esclusivamente alle istituzioni pubbliche, in particolare in ordine alla qualità e prezzo del servizio, in conformità a quanto previsto dal D.Lgs. 152/2006 (Codice ambientale), che lo devono esercitare garantendo il diritto alla universalità ed accessibilità del servizio.
Riguardo allatutela e uso delle risorse idriche, si ricorda innanzitutto che l’art. 144 del D.Lgs. 152/2006 stabilisce che tutte le acque superficiali e sotterranee, ancorché non estratte dal sottosuolo, appartengono al demanio dello Stato. Le acque costituiscono una risorsa che va tutelata ed utilizzata secondo criteri di solidarietà; qualsiasi loro uso è effettuato salvaguardando le aspettative ed i diritti delle generazioni future a fruire di un integro patrimonio ambientale.
Quanto alla proprietà delle infrastrutture idriche, ai sensi dell’art. 143 del D.Lgs. 152/2006 gli acquedotti, le fognature, gli impianti di depurazione e le altre infrastrutture idriche di proprietà pubblica, fino al punto di consegna e/o misurazione, fanno parte del demanio ai sensi degli articoli 822 e seguenti del codice civile e sono inalienabili se non nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge. La tutela di tali beni spetta anche all'autorità d'ambito.
Si ricorda inoltre che l’art. 150 del D.Lgs. 152/2006 disciplina la scelta della forma di gestione del servizio idrico integrato. In particolare, l’autorità d’ambito, sulla base di quanto previsto all'articolo 113, comma 5, del D.Lgs. 267/2000 (TU enti locali) in materia di servizi pubblici locali (ora sostituito dall’art. 23-bis del D.L. 112/2008, come modificato dall’articolo in esame), aggiudica la gestione del servizio mediante gara ovvero a società partecipate esclusivamente e direttamente da comuni o altri enti locali compresi nell'ambito territoriale ottimale, qualora ricorrano obiettive ragioni tecniche od economiche.
Occorrerebbe valutare l’opportunità di un coordinamento delle disposizioni di cui all’art. 150 con la nuova formulazione dell’art. 23-bis introdotta dall’articolo in commento.
Ai sensi dell’art. 151 del D.Lgs. 152/2006, i rapporti fra autorità d'ambito e gestori del servizio idrico integrato sono regolati da convenzioni predisposte dall'autorità d'ambito.A tal fine, le regioni e le province autonome adottano convenzioni tipo, con relativi disciplinari, che devono prevedere in particolare:
a) il regime giuridico prescelto per la gestione del servizio:
b) la durata dell'affidamento, non superiore comunque a trenta anni;
c) l'obbligo del raggiungimento dell'equilibrio economico-finanziario della gestione;
d) il livello di efficienza e di affidabilità del servizio da assicurare all'utenza, anche con riferimento alla manutenzione degli impianti;
e) i criteri e le modalità di applicazione delle tariffe determinate dall'autorità d'ambito e del loro aggiornamento annuale, anche con riferimento alle diverse categorie di utenze;
f) l'obbligo di adottare la carta di servizio sulla base degli atti d'indirizzo vigenti;
g) l'obbligo di provvedere alla realizzazione del Programma degli interventi;
h) le modalità di controllo del corretto esercizio del servizio e l'obbligo di predisporre un sistema tecnico adeguato a tal fine;
i) il dovere di prestare ogni collaborazione per l'organizzazione e l'attivazione dei sistemi di controllo integrativi che l'autorità d'ambito ha facoltà di disporre durante tutto il periodo di affidamento;
l) l'obbligo di dare tempestiva comunicazione all'autorità d'ambito del verificarsi di eventi che comportino o che facciano prevedere irregolarità nell'erogazione del servizio, nonché l'obbligo di assumere ogni iniziativa per l'eliminazione delle irregolarità, in conformità con le prescrizioni dell'autorità medesima;
m) l'obbligo di restituzione, alla scadenza dell'affidamento, delle opere, degli impianti e delle canalizzazioni del servizio idrico integrato in condizioni di efficienza ed in buono stato di conservazione;
n) l'obbligo di prestare idonee garanzie finanziarie e assicurative;
o) le penali, le sanzioni in caso di inadempimento e le condizioni di risoluzione secondo i principi del codice civile;
p) le modalità di rendicontazione delle attività del gestore.
Ai sensi del successivo articolo 153, le infrastrutture idriche di proprietà degli enti locali sono affidate in concessione d'uso gratuita, per tutta la durata della gestione, al gestore del servizio idrico integrato, il quale ne assume i relativi oneri nei termini previsti dalla convenzione e dal relativo disciplinare.
La tariffa del servizio idrico integrato (articolo 154) costituisce il corrispettivo del servizio idrico integrato ed è determinata tenendo conto della qualità della risorsa idrica e del servizio fornito, delle opere e degli adeguamenti necessari, dell'entità dei costi di gestione delle opere, dell'adeguatezza della remunerazione del capitale investito e dei costi di gestione delle aree di salvaguardia, nonché di una quota parte dei costi di funzionamento dell'autorità d'ambito, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio secondo il principio del recupero dei costi e secondo il principio "chi inquina paga". Tutte le quote della tariffa del servizio idrico integrato hanno natura di corrispettivo.Nella modulazione della tariffa sono assicurate agevolazioni per quelli domestici essenziali, nonché per i consumi di determinate categorie, secondo prefissati scaglioni di reddito.
Il comma 2, non modificato dal Senato, dell’articolo 15 in esame elimina – mediante la soppressione del quarto periodo dell’articolo 9-bis, comma 6, del D.L. 39/2009 - la competenza della Commissione nazionale per la vigilanza sulle risorse idriche sul parere preventivo per la concessioni di affidamenti “in house”.
Il testo novellato dell’articolo 23-bis, più volte citato, comma 4, non prevede più, infatti, al riguardo il parere delle autorità di regolazione del settore, ma solo un parere dell’Antitrust.
La Commissione è stata istituita presso il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare dall’articolo 9-bis, comma 6 del D.L. 39/2009 in sostituzione del Comitato per la vigilanza sull'uso delle risorse idriche. Si rammenta che il Comitato aveva a sua volta sostituito (in forza dell’art. 1, comma 5, del D.Lgs. n. 284/2006), subentrando nelle relative competenze, l’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti, ripristinando la situazione preesistente all’emanazione del cd. Codice dell’ambiente (D.Lgs. n. 152/2006), che aveva provveduto a sopprimere il Comitato per sostituirlo con l’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti.
La Commissione predispone il Programma nazionale per il coordinamento delle iniziative di monitoraggio, verifica e consolidamento degli impianti per la gestione dei servizi idrici, per garantire l’efficienza degli impianti e la salvaguardia delle risorse idriche nel territorio nazionale, ai fini della prevenzione e del controllo degli effetti di eventi sismici.
Il comma 2-bis, introdotto nel corso dell’esame al Senato, proroga di ulteriori sei mesi (e quindi fino alla metà di febbraio 2010) l’applicazione della tariffazione ai rifiuti assimilati per le quantità conferite al servizio di gestione dei rifiuti urbani. Il termine attualmente previsto dal decreto legislativo 152/2006 (art. 195, comma 2, lett. e)) è di 18 mesi.
Tale scadenza era già stata prorogata dall’articolo 5, comma 2, del D.L. 208/2008, che aveva previsto il differimento dall’originale scadenza da 12 mesi a 18 mesi, fino alla metà di agosto 2009.
Si ricorda che la lett. e) del comma 2 dell’art. 195 del D.Lgs. n. 152 del 2006 (cd. Codice ambientale) dispone che spetta allo Stato la determinazione dei criteri qualitativi e quali-quantitativi per l'assimilazione, ai fini della raccolta e dello smaltimento, dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani. Le modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 4/2008 hanno quindi previsto che ai rifiuti assimilati, entro un anno (termine prima differito a diciotto mesi e ora prorogato di ulteriori sei mesi) venga applicata esclusivamente una tariffazione per le quantità conferite al servizio di gestione dei rifiuti urbani.
Oltre a nuove specifiche disposizioni in materia di tariffa, nella nuova formulazione è venuto meno il limite dimensionale (relativo alla superficie dell’impresa) in forza del quale la determinazione dei criteri di assimilabilità riguardava i rifiuti speciali ”derivanti da enti e imprese esercitate su aree con superficie non superiore ai 150 metri quadri nei Comuni con popolazione residente inferiore a 10.000 abitanti, o superficie non superiore a 250 metri quadri nei Comuni con popolazione residente superiore a 10.000 abitanti”. Il nuovo testo stabilisce inoltre quali siano i rifiuti non assimilabili agli urbani, aggiungendo alla fattispecie già prevista nel testo originario del codice e relativa ai “rifiuti che si formano nelle aree produttive, compresi i magazzini di materie prime e di prodotti finiti, salvo i rifiuti prodotti negli uffici, nelle mense, negli spacci, nei bar e nei locali al servizio dei lavoratori o comunque aperti al pubblico” anche i rifiuti che si formano nelle strutture di vendita con superficie due volte superiore ai limiti di cui all'art. 4, comma 1, lettera d), del D.Lgs. n. 114/1998.
Il nuovo testo prevede, infine, la definizione con decreto ministeriale (del Ministro dell'ambiente, d'intesa con il Ministro dello sviluppo economico), entro novanta giorni, dei criteri per l'assimilabilità ai rifiuti urbani. Si ricorda che fino all’emanazione di tale decreto continueranno a valere i criteri dettati dalla delibera 27 luglio 1984, come stabilito dall’art. 1, comma 184, lettera b), della legge finanziaria 2007 (n. 296/2006), “nelle more della completa attuazione delle disposizioni recate dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152”.
Il comma 2-ter, introdottonel corso dell’esame al Senato, proroga dal 31 dicembre 2009 al 31 dicembre 2010, il termine entro il quale non sono ammessi in discarica i rifiuti con PCI (Potere calorifico inferiore)[51] superiore a 13.000 kj/kg (il cd. fluff di frantumazione degli autoveicoli), previsto dall’art. 6, comma 1, lett. p) del decreto legislativo n. 36 del 2003.
Si ricorda che l’ultima proroga al 31 dicembre 2009 era stata disposta dall’art. 6, comma 1, del D.L. 208/2008.
Occorre ricordare che tale divieto non era previsto dalla direttiva comunitaria recepita n. 31/999/CE, ma era stato inserito nel decreto legislativo n. 36 con la finalità di potenziare il recupero energetico dei rifiuti attraverso processi di termovalorizzazione.
Il D.Lgs. 13 gennaio 2003, n. 36 ha provveduto a dettare disposizioni attuative della direttiva 31/1999/CE per quel che riguarda i tipi di discarica e i rifiuti da ammettere in discarica. Ai sensi dell’art. 4, le discariche sono state classificate sulla base della tipologia dei rifiuti conferiti, in: discarica per rifiuti inerti; discarica per rifiuti non pericolosi e discarica per rifiuti pericolosi. Tale distinzione, che riproduce la classificazione comunitaria, ha voluto semplificare, razionalizzare ed uniformare i sistemi di classificazione delle discariche introdotti con la deliberazione 27 luglio 1984. L’art. 6 ha quindi indicato i rifiuti che non potranno essere ammessi in discarica, tra i quali rientrano appunto, anche i rifiuti con PCI > 13.000 kJ/kg oggetto della proroga disposta con l’articolo in esame, che dovranno, invece, essere smaltiti in impianti di termovalorizzazione, ai fini di potenziare il recupero energetico.
Appare utile sottolineare come la norma in commento riguardi soprattutto il cd. fluff, residuo del processo di frantumazione di veicoli a fine vita. Tale processo separa il materiale ferroso destinato al riciclo, da quello (il fluff) che ha un elevato potere calorifico e potrebbe essere quindi trattato in maniera specifica, ma che attualmente viene conferito in discarica in mancanza di impianti che ne consentano il recupero energetico in Italia.
Si rammenta, infine, che l’APAT e ARPA, su richiesta del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, hanno pubblicato nel 2006 un’indagine "Studio APAT/ARPA sul fluff di frantumazione degli autoveicoli"[52], con la quale si è inteso definire in maniera più approfondita le caratteristiche di tale rifiuto. Nelle conclusioni dello studio si legge che “Il fluff, come evidenziato da dati di letteratura, risulta avere un potere calorifico elevato; al fine di valutarne il possibile trattamento in inceneritori con recupero energetico, si è reso necessario programmare una ulteriore indagine. L’APAT intende infatti condurre delle prove sperimentali di combustione di un campione di fluff con caratteristiche note, in condizioni controllate, presso impianti di incenerimento dotati di sistemi di controllo in continuo dei parametri di processo e una prova di combustione con torcia al plasma.”.
Il comma 2-quater, introdotto nel corso dell’esame al Senato, differisce il termine (fissato in 120 giorni dall’art. 8-sexies del D.L. 208/2008) entro il quale deve essere fissato l’importo della quota di tariffa non dovuta riferita all'esercizio del servizio di depurazione da restituire da parte dei gestori del servizio idrico integrato. Tale termine è ora spostato a 210 giorni.
Si ricorda che con la sentenza n. 335 dell’8 ottobre 2008 la Corte Costituzionale ha dichiarato:
- l’illegittimità costituzionale dell’art. 14, comma 1, della legge 5 gennaio 1994, n. 36, nella parte in cui prevede che la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione è dovuta dagli utenti “anche nel caso in cui la fognatura sia sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi”;
- l’illegittimità costituzionale, dell’art. 155, comma 1, primo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, nella parte in cui prevede che la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione è dovuta dagli utenti “anche nel caso in cui manchino impianti di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi”.
Conseguentemente, l’articolo art. 8-sexies del D.L. 208/2008 ha ridisciplinato il rapporto con l’utenza da parte dei gestori dei servizi di depurazione e dettato le necessarie norme per l’attuazione della sentenza n. 335 del 2008.
In particolare, viene stabilito che gli oneri relativi alle attività di progettazione e di realizzazione o completamento degli impianti di depurazione, nonché quelli relativi ai connessi investimenti, come espressamente individuati e programmati dai piani d'ambito, costituiscono una componente vincolata della tariffa del servizio idrico integrato che concorre alla determinazione del corrispettivo dovuto dall'utente. Detta componente è pertanto dovuta al gestore dall'utenza, nei casi in cui manchino gli impianti di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi, solo a seguito dell'avvio delle procedure di affidamento delle prestazioni di progettazione o di completamento delle opere necessarie all’attivazione del servizio di depurazione, a condizione che alle stesse si proceda nel rispetto dei tempi programmati.
Il comma 2 dell’articolo disciplina quindi la restituzione, a decorrere dal 1º ottobre 2009, della quota di tariffa non dovuta riferita all'esercizio del servizio di depurazione.
Viene infatti previsto che i gestori del servizio idrico integrato vi provvedano, anche in forma rateizzata, entro il termine massimo di 5 anni e che dall'importo da restituire vadano dedotti gli oneri derivati dalle attività di progettazione, di realizzazione o di completamento avviate qualora manchino gli impianti di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi.
Ai sensi dell’ultimo periodo del comma 2, l’individuazione dell’importo da restituire è demandata alle rispettive autorità d'ambito, che vi dovranno provvedere entro 120 giorni (ora 210) dall’entrata in vigore della legge di conversione al decreto-legge in esame.
Il comma 3 estende l’applicazione delle norme illustrate anche agli enti locali gestori in via diretta dei servizi di acquedotto, fognatura e depurazione, prevedendo altresì che, in tali casi, all'individuazione dell'importo da restituire provvedano i medesimi enti locali.
Il comma 4 prevede l’emanazione, entro 2 mesi dall’entrata in vigore della presente legge di conversione, di decreti del Ministro dell'ambiente - su proposta del Comitato per la vigilanza sull'uso delle risorse idriche – volti a stabilire i criteri e parametri per l'attuazione di quanto previsto dal comma 2. Il Ministro dell’ambiente ha quindi emanato un decreto attuativo in data 30 settembre 2009, in corso di registrazione alla Corte dei conti[53].
Ai sensi del successivo comma 5, nell'ambito delle informazioni fornite all'utenza debbono rientrare anche quelle inerenti il consuntivo delle spese già sostenute ed il preventivo delle spese che il gestore deve ancora sostenere, nonché l'osservanza dei tempi di realizzazione previsti. Il comma 6 affida quindi al Comitato il controllo e il monitoraggio periodico del corretto adempimento degli obblighi informativi da parte del gestore. Lo stesso comma prevede poi, nell'ipotesi di inadempienze da parte del gestore, l'intervento tempestivo dell’autorità d'ambito.
Il Trattato di Lisbona, firmato il 13 dicembre 2007 dai Capi di Stato e di Governo, introduce una specifica base giuridica per l’intervento dell’UE in materia di servizi di interesse generale. In particolare, l’articolo 14 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea stabilisce che, in considerazione dell'importanza dei servizi di interesse economico generale e del loro ruolo ai fini della promozione della coesione sociale e territoriale, l'UE e gli Stati membri, secondo le rispettive competenze e nell'ambito del campo di applicazione dei trattati, provvedono affinché tali servizi funzionino in base a princìpi e condizioni, in particolare economiche e finanziarie, che consentano loro di assolvere i propri compiti. Spetta al Parlamento europeo ed al Consiglio, stabilire tali principi e fissare tali condizioni, fatta salva la competenza degli Stati membri di fornire, fare eseguire e finanziare tali servizi.
A tale proposito il protocollo n. 26 allegato al Trattato di Lisbona stabilisce che i valori comuni dell'Unione con riguardo al settore dei servizi di interesse economico generale comprendono in particolare:
- il ruolo essenziale e l'ampio potere discrezionale delle autorità nazionali, regionali e locali di fornire, commissionare e organizzare servizi di interesse economico generale il più vicini possibile alle esigenze degli utenti;
- la diversità tra i vari servizi di interesse economico generale e le differenze delle esigenze e preferenze degli utenti che possono discendere da situazioni geografiche, sociali e culturali diverse;
- un alto livello di qualità, sicurezza e accessibilità economica, la parità di trattamento e la promozione dell'accesso universale e dei diritti dell'utente.
E’ fatta salva la facoltà degli Stati membri di fornire, commissionare ed organizzare servizi di interesse generale non economico.
Articolo 16
(Made in Italy e prodotti interamente
italiani)
1. Si intende realizzato interamente in Italia il prodotto o la merce, classificabile come made in ltaly ai sensi della normativa vigente, e per il quale il disegno, la progettazione, la lavorazione ed il confezionamento sono compiuti esclusivamente sul territorio italiano.
2. Con uno o piu` decreti del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con i Ministri delle politiche agricole alimentari e forestali, per le politiche europee e per la semplificazione normativa, possono essere definite le modalita` di applicazione del comma 1.
3. Ai fini dell’applicazione del comma 4, per uso dell’indicazione di vendita o del marchio si intende la utilizzazione a fini di comunicazione commerciale ovvero l’apposizione degli stessi sul prodotto o sulla confezione di vendita o sulla merce dalla presentazione in dogana per l’immissione in consumo o in libera pratica e fino alla vendita al dettaglio.
4. Chiunque fa uso di un’indicazione di vendita che presenti il prodotto come interamente realizzato in Italia, quale «100% made in ltaly», «100% Italia», «tutto italiano», in qualunque lingua espressa, o altra che sia analogamente idonea ad ingenerare nel consumatore la convinzione della realizzazione interamente in Italia del prodotto, ovvero segni o figure che inducano la medesima fallace convinzione, al di fuori dei presupposti previsti nei commi 1 e 2, e` punito, ferme restando le diverse sanzioni applicabili sulla base della normativa vigente, con le pene previste dall’articolo 517 del codice penale, aumentate di un terzo.
5. All’articolo 4, comma 49, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, dopo le parole: «pratiche commerciali ingannevoli» sono inserite le seguenti: «, fatto salvo quanto previsto dal comma 49-bis,».
6. Dopo il comma 49 dell’articolo 4 della legge 24 dicembre 2003, n. 350, sono aggiunti i seguenti:
«49-bis. Costituisce fallace indicazione l’uso del marchio, da parte del titolare o del licenziatario, con modalita` tali da indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana ai sensi della normativa europea sull’origine, senza che gli stessi siano accompagnati da indicazioni precise ed evidenti sull’origine o provenienza estera o comunque sufficienti ad evitare qualsiasi fraintendimento del consumatore sull’effettiva origine del prodotto, ovvero senza essere accompagnati da attestazione, resa da parte del titolare o del licenziatario del marchio, circa le informazioni che, a sua cura, verranno rese in fase di commercializzazione sulla effettiva origine estera del prodotto. Il contravventore è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 10.000 ad euro 250.000.
49-ter. E ` sempre disposta la confisca amministrativa del prodotto o della merce di cui al comma 49-bis, salvo che le indicazioni ivi previste siano apposte, a cura e spese del titolare o del licenziatario responsabile dell’illecito, sul prodotto o sulla confezione o sui documenti di corredo per il consumatore.».
7. Le disposizioni di cui ai commi 5 e 6 si applicano decorsi quarantacinque giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto.
8. L’articolo 17, comma 4, della legge 23 luglio 2009, n. 99, e` abrogato.
8-bis. Al fine di consentire una maggiore competitivita` dei prodotti agro-alimentari italiani e sostenere il made in Italy, dopo il comma 2 dell’articolo 1 del decreto legislativo 19 novembre 2004, n. 297, sono inseriti i seguenti:
"2-bis. Non si realizza la fattispecie sanzionabile ai sensi del comma 2 nel caso in cui il soggetto immesso nel sistema di controllo sia stato autorizzato alla smarchiatura ai sensi del regolamento emanato, previa approvazione del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, dal Consorzio di tutela ovvero, in mancanza del provvedimento di riconoscimento del Consorzio, dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e non abbia usufruito, per il prodotto smarchiato, di contributi pubblici. Con apposito decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali sono individuate le condizioni e le modalita` legate all’attività di smarchiatura.
2-ter. L’autorizzazione alla smarchiatura del prodotto deve essere comunicata dal soggetto interessato all’organismo di controllo e non esonera dagli obblighi pecuniari nei confronti del Consorzio di tutela e della struttura di controllo".
L’articolo 16, ai commi 1-8,reca disposizioni – come si legge nella relazione illustrativa – volte a “rendere effettivo, in funzione di tutela della corretta informazione dei consumatori, il divieto di fornire indicazioni incomplete o inesatte sull’origine dei prodotti posti in commercio”.
In primo luogo, i commi da 1 a 4 intendono introdurre una regolamentazione dell’uso di indicazioni di vendita che presentino il prodotto come interamente realizzato in Italia.
Come si legge nella relazione illustrativa “si assiste, infatti, comunemente alla collocazione sul mercato di merci che vengono presentate ai consumatori come interamente prodotte in Italia – attraverso indicazione di vendita varie, quali «100% Made in Italy», «100% prodotto italiano» o simili – in assenza di una regolamentazione della materia e spesso facendo leva sulle sole condizioni che, ai sensi della normativa doganale, consentono l’apposizione dell’indicazione «Made in Italy», le quali condizioni non garantiscono che tutte le fasi del processo produttivo o, comunque, quelle qualificanti in relazione alle diverse categorie merceologiche (quali l’ideazione, il disegno, la progettazione, la lavorazione ed il confezionamento), siano effettivamente compiute, per intero, sul territorio italiano”.
In particolare, il comma 1 individua le condizioni alle quali il prodotto o la merce possono essere qualificati come realizzati interamente in Italia, prevedendo che il disegno, la progettazione, la lavorazione ed il confezionamento dei prodotti e delle merci siano compiuti esclusivamente sul territorio italiano.
Il comma 2 rinvia a successivi decreti ministeriali l’eventuale precisazione delle modalità applicative del comma precedente.
Il comma 4 prevede quindi una sanzione penale per l’uso di un’indicazione di vendita che presenti il prodotto come interamente realizzato in Italia, quale «100% made in Italy», «100% Italia», «tutto italiano», o altra che sia idonea ad ingenerare nel consumatore la convinzione della realizzazione interamente in Italia del prodotto, ovvero per l’uso di segni o figure che inducano la medesima fallace convinzione, ove non ricorrano i presupposti previsti nei commi 1 e 2. Per tale fattispecie, in particolare, vengono comminate le pene di cui all’art. 517 c.p., aumentate di un terzo.
Il comma 3 chiarisce quindi che, ai fini della disposizione del comma 4, per uso dell’indicazione di vendita o del marchio si intende la utilizzazione a fini di comunicazione commerciale ovvero l’apposizione dei medesimi sul prodotto o sulla confezione di vendita o sulla merce dalla presentazione in dogana per l’immissione in consumo o in libera pratica e fino alla vendita al dettaglio.
Si ricorda che presso la X Commissione della Camera è in corso l’esame delle pdl 2624 e abbinate, che recano disposizioni in materia di riconoscibilità e tutela dei prodotti italiani e quindi intervengono su materia analoga a quella affrontata dall’art. 16 del DL 135/2009.
I commi da 5 a 8 dell’articolo in esame invece provvedono a modificare la disciplina di cui al comma 49 dell’art. 4 della legge n. 350/2003 (finanziaria 2004), come da ultimo novellato dall’art. 17, comma 4, della legge n. 99/2009[54]. Le modifiche introdotte con i commi esame da una parte sono volte a superare i limiti interpretativi e applicativi posti dalle disposizioni previste dall’art. 17, comma 4, della legge n. 99/2009, mentre dall’altra si rendono necessarie per evitare possibili profili di contrasto con la normativa comunitaria delle stesse disposizioni.
L'articolo 4, comma 49, della citata legge finanziaria[55], recita che "l'importazione e l'esportazione a fini di commercializzazione ovvero la commercializzazione o la commissione di atti diretti in modo non equivoco alla commercializzazione di prodotti recanti false o fallaci indicazioni di provenienza o di origine costituisce reato ed è punita ai sensi dell'articolo 517 del codice penale. Costituisce falsa indicazione la stampigliatura «made in Italy» su prodotti e merci non originari dall'Italia ai sensi della normativa europea sull'origine; costituisce fallace indicazione, anche qualora sia indicata l'origine e la provenienza estera dei prodotti o delle merci, l'uso di segni, figure, o quant'altro possa indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana incluso l'uso fallace o fuorviante di marchi aziendali ai sensi della disciplina sulle pratiche commerciali ingannevoli ovvero l’uso di marchi di aziende italiane su prodotti o merci non originari dell’Italia ai sensi della normativa europea sull’origine senza l’indicazione precisa, in caratteri evidenti, del loro Paese o del loro luogo di fabbricazione o di produzione, o altra indicazione sufficiente ad evitare qualsiasi errore sulla loro effettiva origine estera. Le fattispecie sono commesse sin dalla presentazione dei prodotti o delle merci in dogana per l'immissione in consumo o in libera pratica e sino alla vendita al dettaglio. La fallace indicazione delle merci può essere sanata sul piano amministrativo con l'asportazione a cura ed a spese del contravventore dei segni o delle figure o di quant'altro induca a ritenere che si tratti di un prodotto di origine italiana. La falsa indicazione sull'origine o sulla provenienza di prodotti o merci può essere sanata sul piano amministrativo attraverso l'esatta indicazione dell'origine o l'asportazione della stampigliatura «made in Italy». Le false e le fallaci indicazioni di provenienza o di origine non possono comunque essere regolarizzate quando i prodotti o le merci siano stati già immessi in libera pratica"[56].
In sintesi, quindi, non è dunque possibile indicare che un prodotto è di origine italiana e/o apporvi l'indicazione "made in Italy" ove l'attività di lavorazione o trasformazione non sia svolta in Italia o l'attività svolta in Italia sia del tutto marginale o irrilevante. Inoltre le seguenti ulteriori previsioni erano state recentemente introdotte nella norma con l’art. 17, co. 4, della L. 99/2009 (abrogato dal comma 8 dell’art. 16 in esame: cfr. infra):
- costituisce fallace indicazione di provenienza o di origine (ed è dunque punibile ai sensi dell'art. 517 c.p.) anche l’uso di marchi di aziende italiane su prodotti o merci non originari dell’Italia ai sensi della normativa europea sull’origine senza l’indicazione precisa, in caratteri evidenti, del loro Paese o del loro luogo di fabbricazione o di produzione, o altra indicazione sufficiente ad evitare qualsiasi errore sulla loro effettiva origine estera[57].
- le false e le fallaci indicazioni di provenienza o di origine non possono comunque essere regolarizzate quando i prodotti o le merci siano stati già immessi in libera pratica.
In particolare, i commi 5 e 6 – come evidenziato dalla relazione illustrativa - introducono i nuovi commi 49-bis e 49-ter all’art. 4 della legge n. 350/2003, sanzionando la condotta del produttore e del licenziatario che maliziosamente omettano di indicare l’origine estera dei prodotti pur utilizzando marchi naturalmente riconducibili a prodotti italiani.
Tale condotta, pur essendo astrattamente riconducibile alla norma previgente (art. 4, co. 49, L. 350/2003, come modificato dall’art. 17, co. 4, L. 99/2009), di fatto era rimasta priva di sanzione per insuperabili limiti interpretativi. La precedente natura di reato poi, per la necessità di configurare l’elemento soggettivo del dolo, rendeva assai oneroso l’accertamento della violazione.
In primo luogo, con i menzionati commi 49-bis e 49-ter si provvede a specificare la condotta sanzionata - superando così i precedenti limiti interpretativi – disponendosi che costituisce fallace indicazione l’uso del marchio, da parte del titolare o del licenziatario, con modalità tali da indurre il consumatore a ritenere che il prodotto sia di origine italiana ai sensi della normativa europea sull’origine, senza che lo stesso sia accompagnato da indicazioni precise ed evidenti sull’origine estera o comunque sufficienti ad evitare qualsiasi fraintendimento del consumatore sull’effettiva origine del prodotto, ovvero senza essere accompagnati da attestazione, resa da parte del titolare o del licenziatario del marchio, circa le informazioni che, a sua cura, verranno rese in fase di commercializzazione sulla effettiva origine estera del prodotto. Inoltre, si qualifica la violazione come illecito amministrativo (di più facile accertamento), con una significativa sanzione amministrativa pecuniaria da euro 10.000 a euro 250.000; al fine di assicurare una tutela efficace e reale per i consumatori, si aggiunge a detta sanzione la confisca amministrativa del prodotto o della merce, salvo che le indicazioni necessarie siano apposte, a cura e spese del titolare o del licenziatario responsabile dell’illecito, sul prodotto o sulla confezione o sui documenti di corredo per il consumatore.
Al fine comunque di assicurare un ragionevole periodo transitorio e consentire agli operatori economici di adeguare le produzioni alle nuove prescrizioni, il comma 7 dell’articolo in esame dispone l’entrata in vigore delle disposizioni dei commi 5 e 6 decorsi quarantacinque giorni dalla data di entrata in vigore del decreto-legge.
Infine - a seguito dell’introduzione all’art. 4 della legge n. 350/2003 della nuova disciplina di cui ai commi 49-bis e 49-ter - si abroga l’art. 17, comma 4, della legge n. 99/2009, di dubbia compatibilità con il diritto comunitario.
Si evidenzia che l’abrogazione dell’art. 17, comma 4, della legge n. 99/2009 (che aveva da ultimo novellato il comma 49 dell’art. 4 della legge n. 350/2003) ha un effetto immediato, mentre la nuova disciplina di cui ai commi 5 e 6 dell’articolo in esame si applicherà solamente dopo 45 giorni dall’entrata in vigore del decreto-legge.
Il comma 8-bis, introdotto dal Senato, reca delle modifiche all’art. 1 del D.lgs. n. 297/04[58], sulle produzioni DOP e IGP, consentendo a seguito di autorizzazione del Consorzio ed in presenza di specifiche norme regolamentari approvate dal Dicastero agricolo, l’immissione al consumo di tali produzioni dopo che siano state private del marchio in precedenza apposto.
Il D.lgs. n. 297/04 definisce un sistema di sanzioni a tutela dell’uso commerciale corretto delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche protette, stabilendo con il comma 2 quale sia la sanzione amministrativa da applicare ai casi di commercializzazione o immissione al consumo dei menzionati prodotti privi della indicazione della denominazione protetta, e già certificati conformi ad essa.
Il comma 8-bis in commento, inserendo un comma 2-bis nell’art. 1 del decreto 297 introduce nella disciplina relativa alle produzioni DOP e IGP le condizioni in presenza delle quali è esclusa l’applicazione delle sanzioni per la commercializzazione di prodotti già certificati ma privi della denominazione protetta. E’ infatti consentita la smarchiatura per l’immissione al consumo di tali produzioni in presenza di un’autorizzazione da parte del Consorzio di tutela, sulla base di un apposito regolamento dallo stesso emanato, regolamento che deve essere preventivamente approvato dal Ministero della politiche agricole.
Con l’introduzione inoltre di un comma 2-ter si precisa che l’autorizzazione alla smarchiature deve essere comunicata dal produttore all’Organismo di controllo e non solleva il medesimo produttore dagli obblighi pecuniari nei confronti sia del consorzio di tutela che dell’organismo di controllo.
Una proposta di regolamento relativa all’indicazione del paese di origine di alcuni prodotti importati da paesi terzi è stata presentata il 16 dicembre 2005 (COM(2005)661). La proposta non è mai stata discussa dal Consiglio mentre il Parlamento europeo, l’11 dicembre 2007, ha adottato una dichiarazione nella quale si ribadiva il diritto dei consumatori europei ad un accesso immediato alle informazioni relative agli acquisti.
Il 20 ottobre il Commissario europeo per il commercio ha preannunciato un programma pilota in materia di denominazioni d'origine. Secondo questo programma a breve termine, in modo facoltativo alcuni prodotti porterebbero etichette “made in” che designano il loro paese di fabbricazione. La Commissione - che ritiene che una simile etichettatura possa favorire scelte consapevoli del consumatore europeo - auspica che la portata limitata dell'iniziativa possa consentirne l'approvazione da parte degli Stati membri, alcuni dei quali diffidano di una regolamentazione in questo settore. Inizialmente, saranno interessati i settori tessile, delle calzature e delle ceramiche. La proposta avanzata dal Commissario Ashton è stata oggetto di un dibattito in seno alla commissione del commercio del Parlamento europeo.
Il 28 maggio 2009 la Commissione ha presentato una comunicazione sulla politica di qualità dei prodotti agricoli (COM(2009)234) in cui avanza proposte per migliorare la comunicazione tra produttori, acquirenti e consumatori sulla qualità dei prodotti agricoli; accrescere la coerenza degli strumenti della politica di qualità dei prodotti agricoli; rendere i vari sistemi di certificazione ed etichettatura più facili da capire e usare per agricoltori, produttori e consumatori.
Nella comunicazione la Commissione propone, tra l’altro:
· l’indicazione obbligatoria del luogo di produzione in etichetta, tenendo conto delle peculiarità di alcuni settori, soprattutto in relazione ai prodotti agricoli trasformati;
· l’introduzione di una norma di commercializzazione generale, che fornisca una descrizione tecnica dei prodotti agricoli e ne indichi la composizione, le caratteristiche e il metodo di produzione;
· un intervento legislativo che riformi la normativa sulle indicazione geografiche;
· nel contesto internazionale, la promozione di una tutela rinforzata del sistema UE nei paesi terzi; iscrizione nei registri ufficiali dell’UE delle indicazioni geografiche extra UE.
Il Consiglio agricoltura del 22 giugno 2009 ha adottato conclusioni sulla comunicazione della Commissione .
Etichettatura prodotti tessili
Il 30 gennaio 2009 la Commissione ha presentato una proposta di regolamento relativo alle denominazioni tessili e all'etichettatura dei prodotti tessili (COM(2009)31) volta a semplificare il quadro regolamentare esistente apportandovi delle modifiche, tra le quali il riconoscimento esplicito della responsabilità degli operatori economici di fornire l'etichetta e le informazioni in essa contenute.
Articolo 17
(6° Censimento generale dell'agricoltura)
1. In considerazione della necessita` e urgenza di far fronte agli obblighi comunitari di cui al regolamento (CE) n. 1166/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008, relativo alle indagini sulla struttura delle aziende agricole e all’indagine sui metodi di produzione agricola, e` autorizzata la spesa di euro 128.580.000 per l’anno 2010 in favore dell’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) per l’esecuzione del 6º Censimento generale dell’agricoltura.
2. Con regolamento di esecuzione da emanarsi ai sensi dell’articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentita la Conferenza unificata di cui al decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, sono stabilite, nel rispetto degli obblighi di rilevazione derivanti dalla normativa nazionale e comunitaria, la data di riferimento delle informazioni censuarie, le modalita` di organizzazione ed esecuzione del censimento, il campo di osservazione, i criteri per l’affidamento di fasi della rilevazione censuaria ad enti od organismi pubblici e privati, i soggetti tenuti all’obbligo di risposta, i criteri di determinazione e ripartizione dei contributi agli organi di censimento, le modalita` di selezione di personale con contratto a tempo determinato, nonche´ le modalita` di conferimento dell’incarico di coordinatore e rilevatore anche con contratti di collaborazione coordinata e continuativa con scadenza entro il 31 dicembre 2011 limitatamente alla durata delle operazioni censuarie, le modalita` di diffusione dei dati, la comunicazione dei dati elementari agli organismi a cui e` affidata l’esecuzione dei censimenti.
3. Per le regioni individuate dal regolamento di esecuzione come affidatarie di fasi della rilevazione censuaria, le spese derivanti dalla progettazione ed esecuzione del censimento sono escluse dal Patto di stabilità interno, nei limiti delle risorse trasferite dall’ISTAT.
4. Per far fronte alle esigenze temporanee ed eccezionali connesse all’esecuzione del censimento, l’ISTAT, gli enti e gli organismi pubblici, indicati nel regolamento di cui al comma 2, possono avvalersi delle forme contrattuali flessibili, ivi compresi i contratti di somministrazione di lavoro, nell’ambito e nei limiti delle risorse finanziarie ad essi assegnate ai sensi dei commi 1 e 2, limitatamente alla durata delle operazioni censuarie e, comunque, non oltre il 2012.
5. Agli oneri derivanti dal presente articolo si fa fronte ai sensi dell’articolo 19, comma 2. A tale fine le risorse sono riversate all’entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnate ad apposito capitolo dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze ai fini del trasferimento all’ISTAT.
Il comma 1 autorizza la spesa di € 128.580.000 per l'anno 2010 in favore dell'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) per l'esecuzione del 6° Censimento generale, al fine di far fronte all'obbligo comunitario recato dal Regolamento (CE) n. 1166/2008 "relativo alle indagini sulla struttura delle aziende agricole e all’indagine sui metodi di produzione agricola e che abroga il regolamento (CEE) n. 571/88 del Consiglio".
Tale regolamento prevede che gli Stati membri nel 2010, 2013 e 2016 conducano indagini sulla struttura delle aziende agricole (art. 7) e sui metodi di produzione agricola (art. 11).
L'art. 7 del Regolamento CEE n. 116/2008 prevede che l'indagine 2010 sia condotta sotto forma di censimento, mentre quelle relative agli anni 2013 e 2016 possono essere condotte sotto forma di indagini campionarie.
L'indagine sui metodi di produzione utilizzati dalle aziende agricole prevista dall'art. 11 può essere condotta sotto forma di indagine campionaria. Gli Stati membri forniscono le informazioni sulle caratteristiche relative ai metodi di produzione agricola elencate nell’allegato V del Regolamento stesso. Per ciascuna azienda oggetto d’indagine gli Stati membri forniscono anche una stima del volume d’acqua utilizzato per l’irrigazione nell’azienda. I risultati di questa indagine vengono collegati ai dati ottenuti attraverso l’indagine 2010 sulla struttura delle aziende agricole a livello delle singole aziende agricole. I dati combinati e convalidati sono trasmessi alla Commissione entro il 31 dicembre 2012.
Il comma 2 dispone che con un regolamento di esecuzione da emanarsi con decreto del Presidente della Repubblica[59] - su proposta del Presidente del Consiglio e sentita la Conferenza unificata - nel rispetto degli obblighi di rilevazione derivanti dalla normativa nazionale e comunitaria, tenuto conto dei dati contenuti nel Sistema informativo agricolo nazionale (SIAN), siano stabilite:
§ la data di riferimento delle informazioni censuarie;
§ le modalità di organizzazione ed esecuzione del censimento;
§ il campo di osservazione;
§ i criteri per l'affidamento di fasi della rilevazione censuaria ad enti od
§ organismi pubblici e privati;
§ i soggetti tenuti all'obbligo di risposta;
§ i criteri di determinazione e ripartizione dei contributi agli organi di
§ censimento;
§ le modalità di selezione di personale con contratto a tempo determinato;
§ le modalità di conferimento dell'incarico di coordinatore e rilevatore; con emendamento approvato dall’altro ramo parlamentare si precisa che il conferimento potrà anche avvenire con contratti di collaborazione coordinata e continuativa con scadenza entro il 31 dicembre 2011 limitatamente alla durata delle operazioni censuarie;
§ le modalità di diffusione dei dati;
§ la comunicazione dei dati elementari agli organismi a cui e' affidata l'esecuzione dei censimenti.
Il primo censimento è stato realizzato secondo le modalità previste dal DPR 6 febbraio 1961, n. 6. Con i DPR 9 dicembre 1970, n. 1392, DPR 19 ottobre 1982, n. 768, DPCM 16 ottobre 1990, n. 297 e DPR 6 giugno 2000, n. 197 sono state dettate le disposizioni relative agli altri quattro censimenti finora effettuati.
Il comma 3 dispone che relativamente alle regioni, individuate dal regolamento di esecuzione come affidatarie di fasi della rilevazione censuaria, le spese sostenute per la progettazione ed esecuzione del censimento siano escluse dal Patto di stabilità interno, nei limiti delle risorse trasferite dall'ISTAT.
Il Patto di Stabilità Interno (PSI) nasce dall'esigenza di far convergere le economie degli Stati membri della UE verso specifici parametri, comuni a tutti e condivisi a livello europeo in seno al Patto di stabilità e crescita e specificamente inseriti nel trattato di Maastricht (Indebitamento netto della Pubblica Amministrazione/P.I.L. inferiore al 3% e rapporto Debito pubblico delle AA.PP./P.I.L. convergente verso il 60%).
Dal 1999[60] ad oggi l'Italia ha formulato il proprio Patto di stabilità interno esprimendo gli obiettivi programmatici per gli enti territoriali ed i corrispondenti risultati ogni anno in modi differenti, alternando principalmente diverse configurazioni di saldi finanziari con misure sulla spesa, per poi tornare agli stessi saldi.
Da ultimo si cita il decreto legge 25 giugno 2008, n. 112[61], che rappresenta una parte rilevante della manovra finanziaria per il triennio 2009/2011, e che disciplina il patto di stabilità interno degli enti locali per gli anni 2009/2011 (art. 77-bis). Con la legge 22 dicembre 2008, n. 203 (legge finanziaria per l’anno 2009) sono state apportate ulteriori modifiche, che non hanno comunque rivisto né gli effetti della manovra di contenimento della finanza locale né l’impianto complessivo delle regole del patto definite dal citato art. 77 bis. Ques'ultimo ha introdotto una rilevante novità in quanto, per la prima volta, lo Stato stabilisce un vincolo per ciascuna Regione e per ciascun Ente locale in termini di indebitamento netto riconoscendo poi alle Regioni la facoltà di differenziare all'interno del loro territorio i vincoli posti dal legislatore nazionale, adattandoli in relazione alle differenze esistenti tra le diverse amministrazioni locali.
Da ultimo il decreto legge n. 78/2009 coordinato con la legge di conversione n. 102 del 3 agosto 2009, ha stabilito l'esclusione dai vincoli del Patto di stabilità per il 2009 per le Province e per i Comuni con più di 5.000 abitanti per quanto attiene ai pagamenti per spese in conto capitale effettuati nel corso dell'anno dagli enti locali virtuosi.
Il comma 4 autorizza l'ISTAT e gli enti e gli organismi pubblici, che saranno indicati nel regolamento di esecuzione, ad utilizzare forme contrattuali flessibili per fronteggiare le esigenze a carattere temporaneo e eccezionale derivanti dall'attuazione del censimento. Il ricorso a tali contratti, che includono per espressa menzione quelli di somministrazione di lavoro, può avvenire nell'ambito e nei limiti delle risorse finanziarie assegnate, esclusivamente per la durata delle operazioni censuarie, e in ogni caso non oltre il 2012.
Disciplinato dalla legge 276/2003, recante "Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30" (artt. 20-28), il contratto di somministrazione di lavoro è l’accordo per la fornitura professionale di manodopera fatto tra un’azienda utilizzatrice e una impresa fornitrice autorizzata (agenzia del lavoro). Può essere stipulato da chiunque e per qualsiasi settore economico; nelle P.A. il ricorso alla somministrazione di lavoro è ammessa solo a tempo determinato.
Il comma 5 reca disposizioni finanziarie e rinvia, quanto alla copertura degli oneri, all'art. 19, comma 2 del provvedimento in esame che stabilisce che le maggiori entrate derivanti dalla sua applicazione siano destinate quanto ad euro 128.580.000 alla copertura dell'articolo 17, con ciò riservandole allo svolgimento del censimento agricolo.
Le suddette risorse saranno iscritte in entrata su apposito capitolo dello stato di previsione del Ministero dell'economia, dal quale saranno trasferite all'ISTAT.
Articolo 17-bis
(Disposizioni in materia di fascicolo
aziendale delle imprese di pesca)
1. Per dare esecuzione agli obblighi derivanti dagli articoli 71 e 83 del regolamento (CE) n. 1198/2006 del Consiglio, del 27 luglio 2006, relativo al Fondo europeo per la pesca, e non incorrere nelle procedure di infrazione comunitarie e nelle rettifiche finanziarie di cui all’articolo 97 del medesimo regolamento, il fascicolo aziendale di cui all’articolo 9 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 1º dicembre 1999, n. 503, relativo a ciascuna impresa di pesca deve contenere anche i dati relativi agli impianti, alle quote, alle quantità di pescato, alle dotazioni strutturali, agli equipaggi e agli esiti dei controlli, delle ispezioni e dei pagamenti effettuati nei confronti di ciascuna impresa o beneficiario, sulla base delle disposizioni impartite dall’autorità di audit di cui all’articolo 58, paragrafo 1, lettera c), del predetto regolamento (CE) n. 1198/2006».
L’articolo 17-bis introdotto nel corso dell’esame in Senato, integra le disposizioni relative al contenuto obbligatorio del fascicolo aziendale di cui all'articolo 9 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 1º dicembre 1999, n. 503 per le imprese di pesca.
Il D.P.R. 1 dicembre 1999, n. 503 Regolamento recante norme per l'istituzione della Carta dell'agricoltore e del pescatore e dell'anagrafe delle aziende agricole, prevede all’articolo 9 l’istituzione nell'ambito dell'anagrafe del fascicolo aziendale, modello cartaceo ed elettronico riepilogativo dei dati aziendali, finalizzato all'aggiornamento, per ciascuna azienda delle informazioni relative ad una serie di dati dettagliati identificativi dell’azienda stessa (art.3).
In particolare sono elencati i dati da inserire nel fascicolo sulla base di disposizioni dall’autorità di audit, prevista dal Regolamento n. 1198/2006 del Consiglio del 27 luglio 2006, relativo al Fondo europeo per la pesca. L’articolo in commento specifica che le disposizioni introdotte rispondono alla finalità di dare esecuzione agli obblighi contenuti nel suddetto Regolamento e non incorrere nelle procedure di infrazione comunitarie e nelle rettifiche finanziarie dallo stesso previste.
Il Regolamento n. 1198/2006 del Consiglio del 27 luglio 2006, relativo al Fondo europeo per la pesca istituisce un nuovo Fondo europeo per la pesca (FEP) per il periodo 2007-2013, ne stabilisce gli obiettivi e gli assi prioritari e ne definisce le competenze e il quadro finanziario. Esso stabilisce inoltre le modalità per la programmazione, la gestione, la sorveglianza e il controllo del FEP. Il nuovo Fondo prevede un aiuto finanziario per agevolare l'applicazione dell'ultima riforma della politica comune della pesca (PCP) e sostenere le necessarie ristrutturazioni correlate all'evoluzione del settore.
L’art. 58, comma 1 lettera c) prescrive agli Stati membri di designare un’autorità di audit, funzionalmente indipendente dall’autorità di gestione e dall’autorità di certificazione responsabile della verifica dell’efficace funzionamento del sistema di gestione e di controllo del “programma operativo” (ossia il documento elaborato dallo Stato membro e approvato dalla Commissione contenente una serie coerente di assi prioritari da realizzare con l’aiuto del Fondo europeo per la pesca).
L’art. 71 prevede che entro dodici mesi dall’approvazione del programma operativo gli Stati membri trasmettono alla Commissione una descrizione dei sistemi, comprendente in particolare l’organizzazione e le procedure relative all’ autorità di gestione e di certificazione e organismi intermedi e all’autorità di audit e ogni altro organismo incaricato di svolgere audit sotto la responsabilità di quest’ultima.
L’art. 83 dispone una serie di obblighi relativi alla ricevibilità delle domande di pagamento.
L’art. 97 prevede, tra l’altro, che la Commissione possa procedere a rettifiche finanziarie sopprimendo in tutto o in parte il contributo comunitario a un programma operativo, qualora, effettuate le necessarie verifiche, essa concluda che il sistema di gestione e di controllo del programma operativo presenta gravi carenze tali da compromettere il contributo comunitario già versato al programma;
Articolo 18
(Disposizioni in materia di prelievo mensile)
1. Al fine di completare l’attuazione del regolamento (CE) n. 72/2009 del Consiglio, del 19 gennaio 2009, attraverso il progressivo riequilibrio tra la quota assegnata e la produzione conseguita, le trattenute e i versamenti di cui all’articolo 5, commi 1 e 2, del decreto-legge 28 marzo 2003, n. 49, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 maggio 2003, n. 119, vengono eseguiti dagli acquirenti nella misura del 5 per cento per il periodo 2009-2010 e nella misura del 10 per cento per il periodo successivo, esclusivamente per le aziende che non superano il livello produttivo conseguito nel periodo 2007-2008.
L'articolo in commento introduce nuove disposizioni in merito alle trattenute, ed ai successivi versamenti, che gli acquirenti di latte sono tenuti ad effettuare nei confronti dei produttori che eccedano la propria quota produttiva secondo le modalità attualmente previste dall’art. 5 del D.L. n. 49/03 sul prelievo supplementare in tema di quote latte[62].
Il comma unico dell’articolo 18 dispone che per le aziende che non superino il quantitativo di latte prodotto nella campagna 2007-2008, le ritenute ed i versamenti da parte degli acquirenti debbono limitarsi al 5% del dovuto per il periodo 2009-2010 ed al 10% per il periodo successivo. Le aziende che godranno di tale beneficio sono pertanto tutte le aziende che produrranno oltre la quota posseduta senza distinzione, in presenza del richiesto requisito, fra quelle che potranno aver titolo alle restituzioni ai sensi del comma 3 o alle ulteriori restituzioni di cui al comma 4-ter del D.L. n. 49/03 (per i quali si veda infra).
Come rilevato dalla relazione al disegno di legge di conversione, la norma consente di evitare un superfluo drenaggio di liquidità ad allevatori che avranno diritto alla restituzione del prelievo pagato, dal momento che non si prevede alcun esubero produttivo nazionale per la campagna in corso, a seguito dell’approvazione del regolamento (CE) n. 72/2009 che ha accordato all'Italia un aumento della quota nazionale. Tale aumento, unito peraltro alla contrazione della produzione, ha comportato una notevole riduzione dell'esubero nazionale[63].
Si ricorda che il regolamento n. 72 del 2009 ha accordato all’Italia una maggiorazione del 5 per cento in unica soluzione nel 2009 del quantitativo globale nazionale, recependo l’accordo politico definito il 20 novembre 2008 in sede di Consiglio dei ministri dell’Unione europea sulla cd. verifica dello stato di salute (health check) della politica agricola comune. Le disposizioni dirette all’assegnazione della maggiore quota nazionale sono contenute nell’articolo 1, comma 2 del decreto legge del 10 febbraio 2009, n. 5 che ha novellato il citato decreto legge n. 49 del 2003.
Il testo originario introduceva le limitazioni del 5% e del 10% in relazione alle sole operazioni di versamento, attribuendo così una maggiore liquidità alle aziende di trasformazione. Un emendamento approvato dal Senato ha disposto anche l’abbattimento delle trattenute, rendendo così beneficiarie della maggiore liquidità le aziende produttrici.
Il decreto legge n. 49 del 2003 disciplina in modo organico il sistema del prelievo supplementare nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari, abrogando le disposizioni a quella data vigenti nella materia. Come noto, nel settore lattiero-caseario vige un contingentamento della produzione, basato sulla attribuzione di quote produttive nazionali, ripartite tra le aziende produttrici. Lo splafonamento delle quote individuali di produzione comporta la trattenuta di un prelievo supplementare, effettuata dall’acquirente al momento dell’acquisizione del prodotto.
L'articolo 5 che definisce gli obblighi degli acquirenti prevede che questi, tra l’altro, debbano:
- trattenere il prelievo supplementare per il latte consegnato in esubero tenendo conto delle variazioni della quota individuale intervenute in corso di periodo (comma 1);
- versare, nel conto corrente istituito presso l'Agea ed entro il secondo mese successivo a quello di riferimento, gli importi trattenuti. In alternativa il versamento può essere sostituito dalla prestazione all'Agea di una fideiussione bancaria, che peraltro acquista carattere di immediata esigibilità (comma 2).
Per quanto concerne la restituzione del prelievo pagato in eccesso, interviene l’articolo 9 che stabilisce al comma 3 quali siano nell’ordine le aziende titolari di quota che possono beneficiare della restituzione :
- i primi beneficiari devono essere coloro che hanno pagato indebitamente o per le quali il prelievo non è più dovuto;
- successivamente si pongono i titolari di aziende ubicate nelle zone di montagna;
- poi quelli delle zone svantaggiate;
- infine hanno titolo alla restituzione le aziende che hanno sofferto il blocco della movimentazione dei capi in conseguenza di un provvedimento emesso dall’autorità sanitaria. Tale restituzione tuttavia non può eccedere il 20% del quantitativo di riferimento assegnato al produttore.
Il successivo comma 4 prevedeva che, nel caso in cui dopo le restituzioni di cui al comma 3 residuassero delle somme, queste venissero ripartite tra i produttori titolari di quota, con esclusione di coloro che avessero superato di oltre il 100 per cento il quantitativo loro assegnato, secondo le seguenti modalità:
- precedenza ai titolari di quota B, per la riduzione da loro subita ai sensi del D.L. n.727/1994, nei limiti di tale riduzione calcolata al netto delle integrazioni di quota disposte dalle regioni in base al D.L. n. 43/99, e per le revoche di quota conseguenti al mancato utilizzo di almeno il 70% della quota di riferimento posseduta (di cui al precedente art. 3 comma 3);
- quindi coloro che hanno superato di non oltre il 20 per cento il quantitativo di riferimento individuale;
- successivamente i produttori la cui produzione lattiera sia stata per intero trasformata in prodotti a denominazioni protetta DOC o IGP;
- infine tutti i produttori, compresi quelli titolari di quota B già beneficiari della precedente ripartizione, per la parte di prelievo non ancora restituita.
Per la campagna in corso 2008-2009, in deroga a quanto appena enunciato, è intervenuto il D.L. n. 5/2009 che introducendo il comma 4-bis ha stabilito che non si applichi l’esclusione dalle restituzioni di quei produttori che abbiano superato di oltre il 100 per cento il quantitativo loro assegnato, produttori che partecipano alle restituzioni con tutti gli altri di cui all’ultimo trattino.
Con il medesimo D.L. n. 5 è stato anche aggiunto il comma 4-ter che ha sostituito i criteri di riparto dell’eventuale residuo finora applicati, e definiti con il comma 4 sopra ricordati, stabilendo che, a decorrere dal periodo 2009-2010, le aziende produttrici abbiano titolo alle restituzioni nel seguente ordine:
a) quelle che non hanno superato il livello produttivo conseguito nel periodo 2007/2008, purché non abbiano successivamente ceduto quota;
b) quindi quelle che non hanno superato di oltre il 6% il proprio quantitativo disponibile individuale.
Alla luce delle illustrate disposizioni, sembra che, a differenza di quanto suggerito nella relazione di presentazione del provvedimento in esame, la platea delle aziende che dovrebbero beneficiare della maggiore liquidità non risulterebbe circoscritta alle sole aziende di cui al comma 4-ter lett. a) dell’art. 9 (aziende che possono beneficiare in seconda battuta del riparto delle sole somme residue), ma sembrerebbe estendersi a qualunque azienda che risponda al requisito richiesto – produrre entro il quantitativo effettivamente prodotto nel periodo 2007-2008 – comprese le aziende di cui al comma 3.
Il Consiglio straordinario del 19 ottobre ha concordato un pacchetto di misure per stabilizzare la situazione del mercato lattiero-caseario e intervenire a sostegno dei produttori di latte. In particolare il Consiglio ha concordato in linea di principio di adottare nel più breve tempo possibile la proposta che conferisce alla Commissione la facoltà di intervenire tempestivamente con contromisure in caso di gravi perturbazioni del mercato nel settore lattiero, ascrivibili ad un aumento o calo dei prezzi. Nella stessa occasione il Consiglio – fatta salva l’approvazione da parte del Consiglio ecofin - ha concordato sull’assegnazione di 280 milioni di euro al settore lattiero-caseario nel 2010. Entrambe le misure sono state approvate dal Parlamento europeo il 22 ottobre. Il Consiglio ha inoltre approvato un regolamento che proroga il regime di intervento pubblico di acquisti mediante gara di burro e latte scremato in polvere fino al 28 febbraio 2010. Nel corso della riunione il Consiglio ha inoltre preso nota della quarta relazione sulla situazione del mercato lattiero (COM (2009) 385) presentata dalla Commissione il 22 luglio scorso.
Nell’ambito delle misure adottate in favore del mercato lattiero, si ricorda che la Commissione ha appena istituito un gruppo di esperti di alto livello, con l’incarico di analizzare le prospettive di medio e lungo termine del mercato lattiero, in particolare in previsione della progressiva abolizione delle quote latte, destinate a scomparire nell’aprile 2015. Il gruppo di lavoro – che dovrebbe produrre una relazione nel giugno 2010 – si è riunito la prima volta il 13 ottobre.
La necessità di misure urgenti in favore del mercato lattiero era stata sottolineata dal Parlamento europeo nella risoluzione approvata il 17 settembre.
Aiuti di stato
Il 28 ottobre la Commissione ha deciso di autorizzare gli Stati membri a versare agli agricoltori, una tantum, un massimo di 15.000 euro sotto forma di aiuti di Stato. L'iniziativa si colloca nel contesto dell'azione condotta dalla Commissione per stabilizzare i redditi dei produttori di latte, ma è rivolta agli agricoltori di tutti i settori. Il provvedimento modifica il cosiddetto Quadro temporaneo anticrisi adottato dalla Commissione nel gennaio del 2009, che offre già varie possibilità di aiuto per agevolare l'accesso delle imprese europee al finanziamento.
Articolo 19
(Recupero degli aiuti di Stato in favore di
imprese di servizi pubblici a prevalente capitale pubblico - Decisione della
Commissione europea del 5 giugno 2002, n. 2003/193/CE)
1. All’articolo 24 del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, dopo il comma 1 e` inserito il seguente:
«1-bis. In sede di determinazione della base imponibile, ai fini del recupero degli aiuti equivalenti alle imposte non corrisposte e dei relativi interessi, non assumono rilevanza le plusvalenze derivanti dalle operazioni straordinarie realizzate dalle societa` di cui al comma 1. Ai fini della corretta determinazione della base imponibile, gli accertamenti emessi dall’Agenzia delle entrate possono essere in ogni caso integrati o modificati in aumento mediante la notificazione di nuovi avvisi. In deroga al comma 3, il pagamento delle somme dovute in base agli accertamenti integrativi deve avvenire entro il quindicesimo giorno successivo alla data di notifica di tali accertamenti.».
2. Le maggiori entrate derivanti dal presente articolo sono destinate quanto ad euro 128.580.000, alla copertura dell’articolo 17 e per la parte residua sono riversate alla contabilita` speciale di cui all’articolo 13-bis, comma 8, del decreto-legge 1º luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, per essere destinate alle finalità di cui al predetto articolo 13-bis, comma 8, previo riversamento all’entrata del bilancio dello Stato.
L’articolo 19, introducendo un nuovo comma all’articolo 24 del decreto-leggen. 185[64] del 2008, interviene sulla disciplina recante le modalità di recupero delle agevolazioni introdotte in favore delle società c.d. ex municipalizzate in quanto il suddetto beneficio fiscale è stato qualificato come aiuto di Stato dalla Commissione europea.
La legge n. 142 del 1990 ha disposto l’obbligo a carico delle Aziende municipalizzate di procedere alla trasformazione in società per azioni a prevalente capitale pubblico.
Al fine di favorire le predette operazioni straordinarie sono state introdotte norme agevolative in favore delle società risultanti dalla trasformazione[65]. In particolare, la legge finanziaria per il 1996 (articolo 3, commi 69 e 70, L. n. 549 del 1995) ha introdotto le seguenti agevolazioni fiscali:
1) esenzione da tutte le imposte e tasse dovute per gli atti e gli adempimenti finalizzati alla trasformazione societaria, ivi compresi quelli di trasferimento di beni già di proprietà del Comune;
2) esenzione triennale, comunque non successiva al 1999, dalle imposte sul reddito d’impresa vigenti in tale periodo, ossia dall’IRPEG (ora IRES) e dall’ILOR.
Con la decisione[66] 2003/193/CE, emanata il 5 giugno 2002, la Commissione europea ha riconosciuto come aiuto di Stato – ai sensi dell’articolo 87, paragrafo 1, del Trattato CE[67] – l’esenzione triennale dall’imposta sul reddito concessa a favore delle società per azioni a partecipazione totale o maggioritaria degli enti locali (c.d. ex municipalizzate), nonché la possibilità per queste di stipulare prestiti a tassi agevolati con la Cassa depositi e prestiti[68], obbligando pertanto l’Italia al recupero delle somme indebitamente erogate (decisione riguardante “l’aiuto di Stato relativo alle esenzioni fiscali e prestiti agevolati concessi dall’Italia in favore di imprese di servizi pubblici a prevalente capitale pubblico - C 27/99”).
A seguito dell’inadempimento dello Stato italiano in relazione all’obbligo di recupero delle somme indebitamente erogate, la Corte di giustizia delle Comunità europee (con sentenza resa in data 1° giugno 2006 nella causa C-207/2005) ha condannato l’Italia per non aver proceduto al recupero delle agevolazioni illegittime. Non avendo tempestivamente provveduto a dare esecuzione alla pronuncia della Corte di Giustizia, la Commissione ha avviato nei confronti dell’Italia la procedura d’infrazione n. 2006/2456, promossa ai sensi dell’articolo 228 del Trattato CE[69].
E’ stato quindi emanato il D.L. 10/2007[70] il quale, all’articolo 1, ha ridefinito[71] la procedura per il recupero degli aiuti illegittimi censurati dalla decisione 2003/193/CE, limitatamente agli aiuti consistenti nell’esenzione dalle imposte sul reddito. La norma ha attribuito all’Agenzia delle Entrate il compito di recuperare gli aiuti concretizzatisi nella mancata corresponsione di imposte, nonché i relativi interessi, in relazione a ciascun periodo di imposta nel quale l’aiuto è stato fruito (commi 1 e 2). Sono stati demandati, inoltre, all’Agenzia la liquidazione degli importi (imposte e relativi interessi) da restituire all’Amministrazione finanziaria ed il recupero degli aiuti nella misura della loro effettiva fruizione, mediante apposita comunicazione recante l’ingiunzione di pagamento delle somme dovute in relazione a ciascuna annualità interessata dal regime agevolativo.
Successivamente, è intervenuto il decreto-legge n. 185 del 2008 il quale, all’articolo 24, ha previsto una nuova procedura per il recupero delle somme dovute dalle ex-municipalizzate. La norma ha disposto, tra l’altro, l’obbligo per l’Agenzia delle entrate di notificare - entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore del D.L. n. 185 (cioè dal 26 settembre 2008) - avvisi di accertamento a tutte le società interessate dalle agevolazioni in commento. Trascorsi inutilmente trenta giorni dalla notifica, anche nel caso di presentazione di ricorso da parte del contribuente, si procede con l’iscrizione a ruolo e il recupero delle somme dovute maggiorate degli interessi.
In merito ai termini di prescrizione dell’attività di accertamento è intervenuto l’articolo 7, comma 2-bis, del decreto-legge n. 5 del 2009. Tale norma, attraverso un rinvio normativo e una interpretazione autentica del termine fissato in 120 giorni, ha prorogato il termine per l’esercizio dell’attività di accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate al 31 dicembre 2009 per la rettifica delle dichiarazioni regolarmente presentate ovvero al 31 dicembre 2010 per le dichiarazioni omesse[72].
L’articolo in esame, inserendo il comma 1-bis al richiamato articolo 24, disponeche per la determinazione della base imponibile ai fini del recupero degli aiuti equivalenti alle imposte non corrisposte non assumono rilevanza le plusvalenze derivanti dalle operazioni straordinarie realizzate dalle società c.d. ex municipalizzate.
La novella si inserisce pertanto nell'articolo 24 del decreto-legge n. 185/2008 con il quale sono state modificate le procedure per il recupero degli aiuti di Stato di cui alla decisione 2003/193/CE della Commissione, limitatamente agli aiuti consistenti nell’esenzione dall’imposta sul reddito in favore delle società c.d. ex municipalizzate. Dette modifiche sono state introdotte al fine di dare maggiore efficacia all’azione di recupero, consentendo all’Agenzia delle entrate di esercitare, ai fini del recupero degli aiuti, poteri di accertamento analoghi a quelli che le sono riconosciuti in materia tributaria.
Secondo quanto riportato nella relazione, all'origine di tale intervento vi sarebbe la circostanza che le operazioni straordinarie sarebbero risultate "neutre" dal punto di vista fiscale se eseguite direttamente dagli enti pubblici di appartenenza, prima della trasformazione (ossia l’ente non avrebbe legittimamente assolto imposte se avesse privatizzato dette società dopo l’operazione straordinaria).
Il secondo periodo del comma 1 consente all'Agenzia delle entrate di integrare o modificare in aumento, con notificazione di nuovi avvisi, gli accertamenti da essa emessi al fine di pervenire alla corretta determinazione della base imponibile.
Viene, inoltre, stabilito che, in deroga al comma 3 dello stesso articolo 24, il pagamento delle somme dovute in base agli accertamenti integrativi debba avvenire entro il termine di quindici giorni (anziché entro trenta giorni) dalla data di notifica degli accertamenti stessi.
Il comma 2 dell'articolo in esame dispone in merito alle maggiori entrate apportate dalla disposizione di cui al comma 1 (stimate dalla Relazione tecnica al provvedimento in circa 400 milioni di euro).
Tali maggiori entrate sono destinate in particolare:
§ per euro 128.580.000, alla copertura dell’articolo 17 del provvedimento stesso (con cui viene autorizzata una spesa di pari importo per l’anno 2010 in favore dell’ISTAT per l’esecuzione del 6º Censimento generale dell’agricoltura);
§ per la parte residua alla contabilità speciale di cui all’articolo 13-bis, comma 8, del decreto-legge 1º luglio n. 78/2009 (scudo fiscale). Con emendamento approvato nel corso dell’esame presso il Senato il comma in esame è stato modificato al fine di precisare che le somme versate nella richiamata contabilità speciale dovranno essere destinate alle finalità previste nel predetto articolo 13-bis, ossia, in sostanza, all’attuazione della manovra di bilancio per l’anno 2010 e seguenti ai sensi dell’articolo 16, comma 3, del D.L. n. 78/2009.
Il 31 gennaio 2008 la Commissione europea ha inviato all’Italia un parere motivato ai sensi dell’articolo 228[73] del Trattato istitutivo della Comunità europea (procedura di infrazione n. 2006/2456) per non completa esecuzione della sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee emessa nella causa C-207/05 TCE. La sentenza ha accertato la mancata adozione da parte dell’Italia, entro i tempi prescritti, dei provvedimenti necessari per recuperare presso i beneficiari gli aiuti sotto forma di esenzioni fiscali e prestiti agevolati concessi a favore di imprese di servizi pubblici a prevalente capitale pubblico, e dichiarati illegittimi con decisione della Commissione n. 2003/193/CE.
Il parere motivato, anche alla luce delle informazioni fornite a più riprese dal Governo italiano tra il 14 febbraio 2007 e il 16 ottobre 2007 in risposta alla lettera di messa in mora ex art. 228 inviata dalla Commissione il 15 dicembre 2006, tra le altre cose, contesta che, per quanto riguarda gli aiuti fiscali, l’Italia avrebbe recuperato dalle imprese beneficiarie soltanto 25 milioni di euro, ossia un quarto dell’importo da recuperare secondo il calcolo delle autorità italiane. Constatando inoltre che numerose ingiunzioni di recupero sono state sospese dai tribunali nazionali, la Commissione ritiene in conseguenza non chiaro se la parte rimanente degli aiuti fiscali sarà recuperato o meno.
Articolo 19-bis
(Perseguimento degli obiettivi del patto di
stabilità e crescita e coordinamento informativo, statistico e informatico dei
dati concernenti i bilanci delle amministrazioni regionali e locali)
1. Al fine di assicurare il raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica determinati con l’adesione al patto di stabilità e crescita, per assicurare il coordinamento informativo, statistico e informatico dei dati dell’amministrazione statale, regionale e locale di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera r), della Costituzione, e per l’istituzione della banca dati per l’attuazione della legge 5 maggio 2009, n. 42, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano trasmettono alla Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale di cui all’articolo 4 della citata legge n. 42 del 2009, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, i dati relativi agli accertamenti e agli impegni, nonche´ agli incassi e ai pagamenti, risultanti dai rendiconti degli esercizi 2006, 2007 e 2008, articolati secondo lo schema di classificazione di cui all’Allegato 1 al presente decreto. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano trasmettono i predetti dati relativi agli esercizi 2009, 2010 e 2011 entro il 30 giugno dell’anno successivo a quello di riferimento, secondo il medesimo schema di classificazione.
2. A decorrere dall’esercizio 2008 e fino a tutto l’anno 2011 le certificazioni concernenti il rendiconto al bilancio degli enti locali recano anche le sezioni riguardanti il ricalcolo delle spese per funzioni e le esternalizzazioni dei servizi, previste dal decreto del Ministero dell’interno 14 agosto 2009, pubblicato nel supplemento ordinario n. 158 alla Gazzetta Ufficiale n. 201 del 31 agosto 2009, recante le modalita` relative alle certificazioni concernenti il rendiconto al bilancio 2008 delle amministrazioni provinciali, dei comuni o unioni di comuni e delle comunita` montane, e dai successivi decreti. I dati concernenti i predetti rendiconti sono trasmessi dal Ministero dell’interno alla Commissione tecnica paritetica di cui all’articolo 4 della legge 5 maggio 2009, n. 42.
3. All’articolo 2, comma 6, terzo periodo, della legge 5 maggio 2009, n. 42, le parole: "Contestualmente all’adozione del primo schema di decreto legislativo, il Governo trasmette alle Camere, in allegato a tale schema" sono sostituite dalle seguenti: "Il Governo trasmette alle Camere, entro il 30 giugno 2010".
Il comma 1 concerne il coordinamento informativo e statistico dei dati di bilancio delle regioni e delle province autonome, in relazione all’attuazione del federalismo fiscale.
Un’esigenza imprescindibile nel processo di attuazione del federalismo fiscale è senz’altro la conoscenza e la confrontabilità dei bilanci degli enti coinvolti, esigenza presente nella legge 42/2009 contenente la delega al Governo in materia di federalismo fiscale. La legge 42 infatti dispone l’istituzione di una Commissione tecnica paritetica a composizione mista Governo-Regioni-Enti locali, con il preciso compito di acquisizione e elaborazione di elementi conoscitivi che supportino il lavoro del Governo nella predisposizione dei decreti legislativi attuativi della delega; l’articolo 5 prevede inoltre la creazione di una banca dati in cui dovranno confluire indicatori di costo, di copertura e di qualità dei servizi (articolo 5, comma 1, lett. g).
La Commissione paritetica è stata istituita con DCPM 3 luglio 2009 ed ha iniziato i suoi lavori. Opera nell’ambito della Conferenza unificata ed è composta da rappresentanti tecnici del Governo, delle Regioni, degli Enti locali, del Parlamento e dei Consigli regionali.
Le disposizioni sono esplicitamente rivolte ad assicurare:
§ il raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica in relazione al patto di stabilità e crescita;
§ il coordinamento informativo, statistico e informatico dei dati dell’amministrazione, di cui all’articolo 117 secondo comma, lettera r) della Costituzione;
§ l’istituzione della banca dati dei cui alla legge 42/2009.
Le regioni e le province autonome devono trasmettere alla Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale i dati risultanti dai propri rendiconti, relativi ad entrate e spese:
§ per gli anni 2006, 2007 e 2008, entro 30 giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione del decreto legge in esame,
§ per il 2009, 2010 e 2011, entro il 30 giugno dell’anno successivo a quello di riferimento.
I dati devono essere trasmessi secondo i prospetti allegati alla norma. Le entrate distinte in accertamenti e incassi sono classificate secondo la codifica SIOPE[74]; le spese, distinte in impegni e pagamenti, sono classificate secondo una doppia codifica, quella SIOPE come per le entrate e la codifica funzionale di II grado che comprende 34 settori di intervento.
Si segnala che la medesima disposizione è stata inserita all’articolo 15, comma 3, della proposta di legge “Legge di contabilità e finanza pubblica”, nel testo approvato dalla Commissione bilancio della Camera (A.C. 2555-A).
Il comma 2 dispone in merito alle informazioni che gli enti locali (province, comuni o unioni di comuni e comunità montane) devono presentare nell’ambito delle certificazioni concernenti il rendiconto[75].
La norma in particolare prevede che, a decorrere dall’esercizio finanziario 2008 e fino a tutto il 2011, le certificazioni relative al rendiconto di bilancio degli enti locali dovranno recare anche le sezioni riguardanti il “ricalcolo delle spese per funzioni” e le “esternalizzazioni dei servizi”, come previsto dal decreto del Ministero dell’interno del 14 agosto 2009, concernente le modalità per le certificazioni di rendiconto al bilancio 2008.
Con il decreto in questione sono approvati i modelli in base ai quali gli enti locali sono tenuti a predisporre e a trasmettere, entro il 31 dicembre 2009, i certificati del rendiconto di bilancio 2008, sotto forma cartacea nonché informatica. I modelli sono riferiti, separatamente, alle amministrazioni provinciali, comunali e unioni di comuni, ed alle comunità montane e presentano diversi quadri, tra i quali quelli relativi alle entrate, alle spese (divise per spese correnti e spese in c/capitale), all’analisi della spesa per trasferimenti, per funzione e destinatario, al conto del patrimonio e al conto economico.
Vi è inoltre una sezione concernente dati sperimentali, finalizzata a perfezionare il quadro conoscitivo fornito al certificato sul rendiconto della gestione ai fini dell’attuazione della legge n. 42 del 2009 sul federalismo fiscale.Nella nota metodologica di presentazione della predetta sezione di dati sperimentali si fa, in particolare, riferimento all’articolo 21 della legge n. 42, che detta norme transitorie per gli enti locali in relazione alla ripartizione funzionale della spesa risultante nell’ultimo certificato di conto consuntivo, alla data di predisposizione dei decreti attuativi delle deleghe contenute nella legge n. 42/2009.
I dati relativi ai predetti rendiconti devono essere trasmessi dal Ministero dell’interno alla Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale.
Si ricorda che l’articolo 4, comma 1, della legge n. 42/2009 sul federalismo fiscale prevede l’istituzione di un organismo tecnico denominato Commissione tecnicaparitetica per l’attuazione del federalismo fiscale, che avrà, in primo luogo, il compito di acquisire ed elaborare elementi conoscitivi per l’attuazione della delega in materia di autonomia finanziaria degli enti territoriali. L’organismo è stato istituito presso il Ministero dell’economia e delle finanze ai sensi del D.P.C.M. 3 luglio 2009, ed opera nell’ambito della Conferenza unificata Stato-regioni-città e autonomie locali.
Si segnala che la medesima disposizione è stata inserita all’articolo 15, comma 4 della proposta di legge “Legge di contabilità e finanza pubblica”, nel testo approvato dalla Commissione bilancio della Camera (A.C. 2555-A).
Il comma 3 dispone una modifica del terzo periodo, del comma 6, dell’articolo 2 della legge n. 42 del 2009 sul federalismo fiscale, relativamente ai tempi di presentazione della relazione concernente il quadro generale di finanziamento degli enti territoriali nonché l’ipotesi di definizione su base quantitativa della struttura fondamentale dei rapporti finanziari tra lo Stato, le Regioni a statuto ordinario e a statuto speciale, le province autonome e gli enti locali, con l’indicazione delle possibili distribuzioni delle risorse.
Il citatocomma 6 stabilisce che tale relazione dove essere presentata in allegato allo schema di decreto legislativo che deve essere adottato entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge n. 42 (stabilita al 21 maggio 2009), avente ad oggetto i principi fondamentali in materia di armonizzazione dei bilanci pubblici di cui al comma 2, lettera h), della medesima legge[76].
La modifica introdotta al comma 6 è volta ad ampliare i termini per la presentazione della relazione concernente il quadro generale di finanziamento degli enti territoriali, prevedendo che essa sia trasmessa alle Camere entro il termine del 30 giugno 2010, anziché in allegato allo schema del primo decreto legislativo attuativo della legge n. 42/2009, entro il 21 maggio 2010, con un margine, dunque, più ampio di 40 giorni.
Si segnala che la medesima disposizione è stata inserita all’articolo 2, comma 6, lettera d), della proposta di legge “Legge di contabilità e finanza pubblica”, nel testo approvato dalla Commissione bilancio della Camera (A.C. 2555-A).
Articolo 19-ter
(Disposizioni di adeguamento comunitario in
materia di liberalizzazione delle rotte marittime)
1. Al fine di adeguare l’ordinamento nazionale ai principi comunitari in materia di cabotaggio marittimo e di liberalizzazione delle relative rotte, a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto e` trasferito a titolo gratuito, da Tirrenia di navigazione S.p.a., il cento per cento del capitale sociale della:
a) Caremar-Campania Regionale Marittima S.p.a. alla regione Campania;
b) Saremar-Sardegna Regionale Marittima S.p.a. alla regione Sardegna;
c) Toremar-Toscana Regionale Marittima S.p.a. alla regione Toscana.
2. Entro dieci giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto sono posti in essere gli atti di perfezionamento del trasferimento delle societa` di cui alle lettere a), b) e c) del comma 1.
3. Entro i novanta giorni successivi al completamento degli atti relativi al trasferimento di cui ai commi 1 e 2, la regione Campania cede, per il tramite della societa` Caremar, alla regione Lazio, a titolo gratuito, il ramo d’azienda di tale societa` costituito dal complesso delle attivita`, passivita` e risorse umane utilizzate per l’esercizio dei collegamenti con l’arcipelago pontino.
4. Le societa` di cui al comma 1, lettere a), b) e c), sono trasferite nello stato di fatto e di diritto in cui si trovano alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, con le attivita` e passivita` connesse.
5. I trasferimenti di cui ai commi 1, 2 e 3, sotto l’aspetto contabile, non determinano sui bilanci rispettivamente della societa` Tirrenia di navigazione e della societa` Caremar riflessi di carattere economico ma solo patrimoniale.
6. Al fine di assicurare le condizioni per la migliore valorizzazione delle societa` esercenti i servizi di collegamento ritenuti essenziali per le finalita` di cui all’articolo 8 della legge 20 dicembre 1974, n. 684, e agli articoli 1 e 8 della legge 19 maggio 1975, n. 169, nelle more della completa liberalizzazione del settore del cabotaggio marittimo attraverso il completamento del processo di privatizzazione entro il 30 settembre 2010, le convenzioni attualmente in vigore sono prorogate fino a tale data nei limiti degli stanziamenti pro quota di cui ai commi da 16 a 18.
7. A decorrere dal 1º gennaio 2010, le funzioni e i compiti di programmazione e di amministrazione relativi ai servizi di cabotaggio marittimo di servizio pubblico che si svolgono all’interno di una regione sono esercitati dalla stessa regione. Per le regioni a statuto speciale il conferimento delle funzioni e dei compiti avviene nel rispetto dei relativi statuti. Per le regioni di cui ai commi 1, lettere a), b) e c), e 3, la gestione dei servizi di cabotaggio e` regolata da contratti di servizio secondo quanto previsto dagli articoli 17 e 19 del decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422, e successive modificazioni, in quanto applicabili al settore.
8. La Tirrenia di navigazione S.p.a. e la Siremar-Sicilia Regionale Marittima S.p.a., nonche´ la Caremar-Campania Regionale Marittima S.p.a., la Saremar-Sardegna Regionale Marittima S.p.a. e la Toremar-Toscana Regionale Marittima S.p.a. sono privatizzate, in conformita` alle disposizioni nazionali e comunitarie vigenti in materia, attraverso procedure di gara aperte, non discriminatorie, atte a determinare un prezzo di mercato, le quali, relativamente alle privatizzazioni realizzate dalle regioni Campania, Lazio, Sardegna e Toscana, possono riguardare sia l’affidamento dei servizi marittimi sia l’apertura del capitale ad un socio privato.
9. Ai fini di cui al comma 8:
a) entro il 31 dicembre 2009:
1) e` pubblicato il bando di gara per la privatizzazione di Tirrenia di navigazione S.p.a., nonche´, per effetto dei trasferimenti di cui ai commi da 1 a 7, della Siremar-Sicilia Regionale Marittima S.p.a.;
2) e` approvato dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, ai sensi della normativa vigente, uno schema di nuova convenzione di durata non superiore a otto anni con la Tirrenia di navigazione S.p.a., costituente uno degli atti della gara di cui al numero 1);
3) e` approvato dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la Regione siciliana, ai sensi della normativa vigente, uno schema di nuova convenzione di durata non superiore a dodici anni con la Siremar-Sicilia Regionale Marittima S.p.a., costituente uno degli atti della gara di cui al numero 1);
4) sono pubblicati dalle regioni Sardegna e Toscana i bandi di gara per la privatizzazione, rispettivamente, di Saremar-Sardegna Regionale Marittima S.p.a. e di Toremar-Toscana Regionale Marittima S.p.a.;
5) sono approvati dalle regioni Sardegna e Toscana, secondo i rispettivi ordinamenti e nel rispetto del mantenimento del servizio universale e della continuita` territoriale con le isole, gli schemi di contratti di servizio di durata non superiore a dodici anni con le societa`, rispettivamente, Saremar e Toremar, costituenti altresı` atti delle gare di cui al numero 4);
b) entro il 28 febbraio 2010, in considerazione di quanto disposto dal comma 3:
1) sono pubblicati dalle regioni Campania e Lazio i bandi di gara per la privatizzazione, rispettivamente, di Caremar-Campania Regionale Marittima S.p.a. e della societa` della regione Lazio derivante dalla cessione del ramo d’azienda di cui al comma 3;
2) sono approvati dalle regioni Campania e Lazio, secondo i rispettivi ordinamenti e nel rispetto del mantenimento del servizio universale e della continuita` territoriale con le isole, gli schemi di contratti di servizio di durata non superiore a dodici anni con le societa`, rispettivamente, Caremar e quella della regione Lazio derivante dalla cessione
del ramo d’azienda di cui al comma 3, costituenti altresı` atti delle gare di cui al numero 1).
10. Le convenzioni e i contratti di servizio di cui al comma 9 sono stipulati all’atto del completamento delle procedure di gara di cui al medesimo comma 9.
11. Le nuove convenzioni di cui al comma 9, stipulate sulla base dei criteri stabiliti dal CIPE e comunque nei limiti degli stanziamenti di cui ai commi da 16 a 18, determinano le linee da servire, le procedure e i tempi di liquidazione del rimborso degli oneri di servizio pubblico, introducendo meccanismi di efficientamento volti a ridurre i costi del servizio per l’utenza, nonche´ forme di flessibilita` tariffaria non distorsive della concorrenza. I contratti di servizio di cui al comma 9 sono stipulati nel rispetto del mantenimento del servizio universale e della continuita` territoriale con le isole.
12. Le nuove convenzioni e i contratti di servizio di cui al comma 9 prevedono la presenza nel collegio sindacale delle singole societa` esercenti i servizi oggetto di convenzione o contratto di servizio di due rappresentanti designati, rispettivamente, dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e dal Ministero dell’economia e delle finanze. Per le societa` Siremar S.p.a. e Tirrenia di navigazione S.p.a. il rappresentante designato dal Ministero dell’economia e delle finanze assume le funzioni di presidente.
13. Per la privatizzazione dell’intero capitale della Tirrenia di navigazione S.p.a., che, a seguito dei trasferimenti di cui ai commi da 1 a 7, comporta altresı` la cessione dell’intero capitale sociale della Siremar-Sicilia Regionale Marittima S.p.a., si applicano, in quanto compatibili con le disposizioni dei commi da 1 a 7, nonche´ dei commi da 8 a 15, le disposizioni del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 13 marzo 2009, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 99 del 30 aprile 2009.
14. Qualora, ai fini delle procedure di privatizzazione di cui ai commi da 8 a 15, si renda necessario l’esercizio dei poteri di cui all’articolo 16 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, il termine per il relativo esercizio e` di trenta giorni dall’avvio del procedimento.
15. All’articolo 2, comma 192, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, e successive modificazioni, il secondo periodo e` soppresso.
16. Le risorse necessarie a garantire il livello dei servizi erogati sulla base delle convenzioni attualmente in vigore e prorogate ai sensi del comma 6, nonche´ delle nuove convenzioni e dei contratti di servizio di cui ai commi da 8 a 15, nel limite di complessivi euro 184.942.251 a decorrere dal 2010, sono ripartite, per il 2010 e per ciascuno degli anni della durata delle nuove convenzioni e dei singoli contratti di servizio, come segue:
a) Tirrenia di navigazione S.p.a.: euro 72.685.642;
b) Siremar-Sicilia Regionale Marittima S.p.a.: euro 55.694.895;
c) Saremar-Sardegna Regionale Marittima S.p.a. - regione Sardegna: euro 13.686.441;
d) Toremar-Toscana Regionale Marittima S.p.a. - regione Toscana: euro 13.005.441;
e) Caremar-Campania Regionale Marittima S.p.a. - regione Campania: euro 29.869.832.
17. Successivamente alla cessione alla regione Lazio del ramo d’azienda per l’esercizio dei collegamenti con l’arcipelago pontino, ai sensi del comma 3, le risorse di cui al comma 16, lettera e), sono cosı` ripartite: ramo Campania: euro 19.839.226; ramo Lazio: euro 10.030.606.
18. Il contributo dello Stato alle regioni a copertura degli oneri di servizio pubblico sui contratti di servizio di cui ai commi da 8 a 15 e` incrementato, senza maggiori oneri per lo Stato, per la durata dei contratti medesimi in misura parametrata al maggiore onere derivante dall’attuazione dell’articolo 19 del decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422, nonche´ dell’articolo 9, comma 4, della legge 7 dicembre 1999, n. 472.
19. Nell’ambito delle risorse iscritte in conto residui, non ancora impegnate alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, relative all’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 1, comma 1046, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, l’importo di 7 milioni di euro, per l’anno 2009, e` finalizzato all’ammodernamento e all’adeguamento alle norme internazionali in materia di sicurezza marittima della flotta del gruppo Tirrenia.
20. Previa richiesta delle regioni interessate al processo di privatizzazione di cui ai commi da 8 a 15, il CIPE, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, delibera in ordine all’utilizzo delle risorse del Fondo per le aree sottoutilizzate relative ai programmi di interesse strategico regionale di cui alla delibera CIPE n. 1/2009 del 6 marzo 2009, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 137 del 16 giugno 2009, per fare fronte a specifiche criticita` nel settore del cabotaggio marittimo.
21. Al fine di garantire la continuita` territoriale con le isole e a fronte degli obblighi di servizio pubblico sono riconosciuti alle societa` oggetto del processo di privatizzazione di cui ai commi da 8 a 15 il mantenimento degli accosti gia` assegnati e la priorita` nell’assegnazione di nuovi accosti, nel rispetto delle procedure di competenza delle Autorita` portuali e marittime e dei princı`pi sanciti dalla legge 28 gennaio 1994, n. 84, nonche´ dal codice della navigazione.
22. All’articolo 7-sexies, comma 3, del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009, n. 33, l’ultimo periodo e` sostituito dal seguente: "Nel limite massimo complessivo di spesa di 15 milioni di euro a valere sulle risorse di cui all’articolo 2, comma 36, della legge 22 dicembre 2008, n. 203, e successive modificazioni, ai dipendenti delle societa` del Gruppo Tirrenia, delle societa` da queste derivanti e di quelle che dalle stesse acquistano o affittano aziende o rami d’azienda, il Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, puo` concedere per dodici mesi l’intero trattamento di integrazione salariale straordinaria previsto dalle vigenti disposizioni di legge, con la relativa contribuzione figurativa e gli assegni per il nucleo familiare ove spettanti".
23. Agli oneri di cui ai commi da 16 a 18, pari a 184.942.251 euro a decorrere dal 2010, si fa fronte mediante utilizzo degli stanziamenti di bilancio allo scopo finalizzati, pari a 181.370.249 euro annui, quanto a 3.550.000 euro per ciascuno degli anni 2010 e 2011 a valere sulle risorse disponibili sulla contabilita` speciale istituita ai sensi del comma 8 dell’articolo 13-bis del decreto-legge 1º luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, che sono versate all’entrata del bilancio dello Stato, per la conseguente riassegnazione alle pertinenti unita` previsionali di base dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze, e quanto a 22.002 euro per ciascuno degli anni 2010 e 2011 e a 3.572.002 euro a decorrere dall’anno 2012 si provvede mediante corrispondente riduzione della dotazione del Fondo per interventi strutturali di politica economica, di cui all’articolo 10, comma 5, del decreto-legge 29 novembre 2004, n. 282, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 dicembre 2004, n. 307. Il Ministro dell’economia e delle finanze e` autorizzato ad apportare le occorrenti variazioni di bilancio.
24. Per le regioni a statuto speciale l’efficacia delle disposizioni di cui ai commi da 1 a 22 e` subordinata all’emanazione, ove occorrente, di apposite norme di attuazione.
25. L’articolo 57 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, nonche´ l’articolo 1, comma 999, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, sono abrogati.
26. Il primo e il secondo periodo del comma 1 dell’articolo 26 del decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 207, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2009, n. 14, sono soppressi.
27. Una quota, pari a 5,6 milioni di euro, delle risorse iscritte per l’anno 2009 sul Fondo per interventi strutturali di politica economica di cui all’articolo 10, comma 5, del citato decreto-legge n. 282 del 2004, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 307 del 2004, e` versata all’entrata del bilancio dello Stato, per essere trasferita nell’anno 2010 alla contabilita` speciale istituita ai sensi del comma 8 dell’articolo 13-bis del decreto-legge 1º luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102. E`altresı` trasferito alla citata contabilita` speciale di cui al periodo precedente, con le medesime modalita`, l’importo di 1,5 milioni di euro a valere sulle risorse di cui all’articolo 7-quinquies, comma 1, del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009, n. 33, intendendosi corrispondentemente ridotta la predetta autorizzazione di spesa.
L’articolo in commento, introdotto dal Senato su proposta del Governo, prescrive, al comma 1, il trasferimento a titolo gratuito in favore delle regioni Campania, Sardegna e Toscana rispettivamente del 100% del capitale della Caremar, della Saremar e della Toremar, già controllate della Tirrenia di navigazione S.p.a., con decorrenza dall'entrata in vigore della legge di conversione del decreto in esame.
Come specificato dal testo, la norma intende adeguare l’ordinamento italiano ai principi comunitari sul cabotaggio marittimo al fine di portare a compimento il processo di liberalizzazione delle relative rotte.
Ai sensi del successivo comma 2, gli atti di perfezionamento della suddetta procedura di trasferimento dovranno essere adottati entro dieci giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.
In merito alla privatizzazione della Tirrenia e delle società da questa controllate (le società CAREMAR, SAREMAR, SIREMAR, TOREMAR), si rammenta che, in precedenza, l’art. 26 del decreto-legge n. 185/2008 (legge n. 2/2009) ha autorizzato la spesa di 65 milioni di euro per gli anni 2009, 2010 e 2011, al fine di attivare le procedure di privatizzazione di Tirrenia e delle società da questa controllate, e consentire la stipula delle nuove convenzioni volte ad assicurare i collegamenti marittimi essenziali.
Da ultimo, si ricorda che il 13 marzo 2009 il Governo ha approvato il decreto che definisce i criteri di privatizzazione e le modalità di dismissione dell'intera partecipazione detenuta dal ministero dell'Economia nel capitale della società Tirrenia di navigazione S.p.A. Il D.P.C.M. del 13 marzo 2009, (G.U. 30 aprile 2009, n.99) ha definito i criteri di privatizzazione nonché le modalità di dismissione della partecipazione detenuta dallo Stato, tramite Fintecna S.p.a., nel capitale della Tirrenia autorizzando il Ministero dell’economia e delle finanze ad alienare il 100% della propria partecipazione indiretta nella società insieme alle partecipazioni totalitarie detenute da questa nelle Società marittime regionali e non trasferite gratuitamente alle Regioni ai sensi dell’art. 57 del decreto-legge n.112/2008 (legge n.133/2008).
Il comma 3 dispone che, entro novanta giorni dal compimento delle procedure di trasferimento di cui sopra, la regione Campania ceda a titolo gratuito alla regione Lazio il ramo d'azienda della Caremar in ordine all’esercizio dei collegamenti con l'arcipelago pontino con riguardo a tutte le attività, passività e risorse umane utilizzate dalla stessa per tali rotte.
La disposizione fa seguito agli accordi di programma, sottoscritti il 3 novembre 2009 presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, per il trasferimento delle società regionali del gruppo Tirrenia.
In base all'accordo siglato la società Caremar verrà, dunque, acquisita a titolo gratuito dalla Regione Campania e dalla Regione Lazio alla quale spetterà, nello specifico, il ramo d'azienda relativo ai collegamenti con le Isole Ponziane. Per i servizi – secondo quanto comunicato in una nota della Regione Lazio – si prevede uno stanziamento da parte dello Stato pari a circa 30 milioni di euro annui, 10 dei quali verranno assegnati al ramo Lazio. L'accordo prevede, inoltre, il trasferimento alla Regione dei mezzi nautici e del relativo personale. Pertanto, dal 1 gennaio 2010, le funzioni e i compiti di programmazione e di amministrazione relativi ai servizi di cabotaggio marittimo di servizio pubblico verranno esercitati direttamente dalla Regione Lazio.[77]
Le società Caremar, Saremar e Toremar, vengono trasferite nello stato di fatto e di diritto in cui si trovano alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, con tutte le attività e passività connesse (comma 4). Si prescrive, altresì, che le cessioni dovranno determinare esclusivamente riflessi di carattere patrimoniale sui bilanci di Tirrenia e Caremar e non anche economico-contabili (comma 5).
Il comma 6 dell’articolo in esame proroga, sino al 30 settembre 2010, la durata delle convenzioni attualmente in corso in cui sia parte la Tirrenia di Navigazione S.p.a. e le compagnie da questa controllate, quali società di navigazione che assicurano i collegamenti marittimi essenziali, con lo specifico obiettivo di assicurare la migliore valorizzazione delle stesse in attesa del completamento del processo di privatizzazione entro la medesima data.
La proroga viene riconosciuta nei limiti degli stanziamenti di cui ai successivi commi 16-18.
Più specificamente la norma in commento si riferisce alle società esercenti i servizi di collegamento ritenuti essenziali per le finalità di cui all'art. 8 della legge 684/1974[78] (i servizi di collegamento con le isole maggiori e minori, nonché eventuali prolungamenti tecnicamente ed economicamente necessari, debbono assicurare il soddisfacimento delle esigenze connesse con lo sviluppo economico e sociale delle aree interessate, ed in particolare del Mezzogiorno) e agli artt. 1 e 8 della legge 169/1975[79] (collegamenti con le isole dell'Arcipelago toscano, Partenopee, Pontine, Eolie, Egadi, Pelagie, di Ustica e di Pantelleria, nonché nel mare Adriatico).
Le società del gruppo Tirrenia, si ricorda, gestiscono i collegamenti marittimi attraverso convenzioni con lo Stato, l’ultima delle quali, scaduta il 31 dicembre 2007, è stata prorogata dal D.L. n.207/2008, cd. “proroga termini” (legge n.14/2009), al 31 dicembre 2009.
Il comma 7 stabilisce che, a decorrere dal 1° gennaio 2010 le funzioni e i compiti di programmazione ed amministrazione relativi ai servizi di cabotaggio marittimo di servizio pubblico che si svolgono all'interno di una regione, siano esercitati dalla medesima regione. Per le regioni a statuto speciale si prevede, poi, che il conferimento delle funzioni e dei compiti avvenga nel rispetto dei relativi statuti.
Con particolare riferimento a Campania, Sardegna, Toscana e Lazio, la gestione dei servizi di cabotaggio sarà regolata da specifici contratti di servizio secondo quanto previsto dagli artt. 17 e 19 del D.Lgs. n.422/1997 in quanto applicabili al settore.
Il D.Lgs. 422/1997[80], in attuazione della delega di cui alla legge 59/1997: individua i servizi pubblici di trasporto regionale e locale (art. 1) e quelli di interesse nazionale (art. 3)[81]; conferisce alle Regioni e agli enti locali tutti i relativi compiti, compresi quelli concernenti la definizione degli oneri di servizio pubblico e la relativa imposizione nonché la conclusione dei contratti di servizio pubblico; stabilisce i criteri di organizzazione dei servizi di trasporto pubblico locale; dispone che per le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano il conferimento delle funzioni, nonché il trasferimento dei relativi beni e risorse, sono disposti nel rispetto degli statuti e attraverso apposite norme di attuazione. Più specificamente il citato art. 17 definisce gli obblighi di servizio pubblico mentre l’art.19 disciplina il contenuto dei contratti di servizio.
Si ricorda che l’art. 57, comma 4 del D.Lgs. n.112/2008 – ora abrogato dal comma 25 dell’articolo in esame - prevede la possibilità che le Regioni affidino l’esercizio di servizi di cabotaggio a società di capitale da esse interamente partecipate, in deroga agli articoli 10, 17 e 18 del D.Lgs. 422/1997 a fronte di comprovate esigenze economiche sociali, ambientali, anche al fine di assicurare il rispetto del principio della continuità territoriale e la domanda di mobilità dei cittadini,.
Il comma 8, sancisce la privatizzazione di Tirrenia di navigazione S.p.a., Siremar-Sicilia Regionale Marittima S.p.a., Caremar-Campania Regionale Marittima S.p.a., Saremar-Sardegna Regionale Marittima S.p.a. e Toremar-Toscana Regionale Marittima S.p.a., in conformità alle disposizioni nazionali e comunitarie vigenti in materia, sulla base di procedure di gara aperte, non discriminatorie ed idonee a determinare un prezzo di mercato.
Con particolare riferimento alle privatizzazioni realizzate dalle regioni Campania, Lazio, Sardegna e Toscana, le suddette procedure potranno riguardare tanto l'affidamento dei servizi marittimi quanto l'apertura del capitale ad un socio privato.
Giova ricordare che la regione Sardegna, ai sensi dello statuto di autonomia (L. cost. 3/1948, art. 4, lett. f)) ha competenza legislativa concorrente in materia di ‘linee (…) marittime di cabotaggio fra i porti (…) della Regione’.
Più in generale, nel settore del trasporto sono state attribuite alla regione le funzioni di cui all’art. 105 del D.Lgs. 112/2008 (il cd. federalismo amministrativo in attuazione della delega contenuta nella legge 59/1997) con D.Lgs. 234/2001 e con DPCM 5 ottobre 2001 sono state individuate e trasferite le risorse strumentali, umane e finanziarie in relazione alle stesse funzioni (nel settore del trasporto i trasferimenti si limitavano alle funzioni inerenti l’autotrasporto).
Successivamente con la legge finanziaria 2007 vengono apportate modifiche al sistema di finanziamento della regione autonoma Sardegna. Le norme (art. 1, commi 834.840, legge n. 296/2006) dispongono, per un verso, un aumento delle risorse finanziarie attribuite alla regione realizzato con le modifiche all’articolo 8 dello statuto, per l’altro verso vengono trasferite alla Regione funzioni fino ad ora esercitate dallo Stato in materia di trasporto pubblico locale (in relazione alle ferrovie in concessione ) e di continuità territoriale. Il nuovo regime andrà in vigore dal 2010.
Da parte sua, la regione Sicilia, ai sensi dello statuto di autonomia (R.D.Lgs. 455/1946, art. 17, lett. a)) ha competenza legislativa concorrente in materia di ‘trasporti regionali di qualsiasi genere’. Le competenze della regione sono disciplinate dal D.P.R. 17-12-1953 n. 1113, Norme di attuazione dello Statuto della Regione siciliana in materia di comunicazioni e trasporti, come modificato e integrato dal DPR 485/1981 e dal D.LGS. 296/2000.
In merito a quanto sopra riportato, il comma 9, alla lett. a), dispone che, entro il 31 dicembre 2009 verrà pubblicato il bando di gara per la privatizzazione di Tirrenia S.p.a., nonché, per effetto dei trasferimenti anzidetti, della Siremar-Sicilia Regionale Marittima S.p.a. (punto 1).
Si prevede, poi, l’approvazione, da parte del Ministro delle Infrastrutture di concerto con il Ministro dell'Economia, di uno schema di convenzione di durata non superiore ad otto anni con la Tirrenia (punto 2) e lo schema di una nuova convenzione, non superiore a dodici anni, con la Siremar (punto 3), costituenti entrambi uno degli atti della gara di cui al numero a)1).
La medesima lettera prescrive inoltre:
§ la pubblicazione, da parte delle regioni Sardegna e Toscana, dei bandi di gara per la privatizzazione, rispettivamente, di Saremar e di Toremar (punto 4);
§ l’approvazione, da parte delle regioni Sardegna e Toscana, di schemi di contratti di servizio di durata non superiore a dodici anni con le società, rispettivamente, Saremar e Toremar, costituenti altresì atti delle gare di cui al numero a)4), secondo i rispettivi ordinamenti e nel rispetto del mantenimento del servizio universale e della continuità territoriale con le isole (punto 5).
La lettera b) prevede che, entro il 28 febbraio 2010, siano pubblicati dalle regioni Campania e Lazio i bandi di gara per la privatizzazione di Caremar e della società della regione Lazio derivante dalla cessione del ramo d'azienda di cui al predetto comma 3 (punto 1).
Prevede, infine, l’approvazione, da parte delle regioni Campania e Lazio, di schemi di contratti di servizio di durata non superiore a dodici anni con le società Caremar e quella della regione Lazio derivante dalla cessione del ramo d'azienda di cui al comma 3, secondo i rispettivi ordinamenti e nel rispetto del mantenimento del servizio universale e della continuità territoriale con le isole (punto 2).
Il comma 10 specifica che le convenzioni e i contratti di servizio di cui al comma 9 sono stipulati all'atto del completamento delle procedure di gara ivi contemplate.
Ai sensi del comma 11, le nuove convenzioni determineranno le linee da servire, le procedure e i tempi di liquidazione del rimborso degli oneri di servizio pubblico, introducendo meccanismi volti a ridurre, in modo efficiente, i costi del servizio per gli utenza introducendo forme di flessibilità tariffaria in ossequio ai principi della concorrenza.
Le medesime convenzioni saranno stipulate sulla base di criteri stabiliti dal CIPE nei limiti degli stanziamenti di cui ai successivi commi da 16-18.
Il comma 12 prescrive che le nuove convenzioni e i contratti di servizio prevedano la presenza nel collegio sindacale delle singole società di due rappresentanti designati dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e dal Ministero dell'economia e delle finanze.
Per Siremar e Tirrenia, il rappresentante designato dal Ministero dell'economia e delle finanze assumerà, inoltre, le funzioni di presidente.
Il comma 13 impone che, in ordine al processo di privatizzazione di Tirrenia S.p.a. ed alla conseguente cessione dell'intero capitale della Siremar-Sicilia S.p.a., si applichino, in quanto compatibili con le norme suddette, le disposizioni del sopra citato D.P.C.M. 13 marzo 2009.
Ai sensi del comma 14, allorché si renda necessario l'esercizio dei poteri dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato in materia di divieto delle operazioni di concentrazione, nell’ambito del procedimento di privatizzazione, il termine per il relativo esercizio è di trenta giorni dall'avvio del procedimento.
Si segnala brevemente che la L. n.287/1990[82], all’art. 16, dispone che le operazioni di concentrazione devono essere preventivamente comunicate all'Autorità qualora il fatturato totale realizzato a livello nazionale dall'insieme delle imprese interessate sia superiore a quattrocentoundici milioni di euro, ovvero qualora il fatturato totale realizzato a livello nazionale dall'impresa di cui è prevista l'acquisizione sia superiore a quarantuno milioni di euro. Tali valori sono incrementati ogni anno di un ammontare equivalente all'aumento dell'indice del deflattore dei prezzi del prodotto interno lordo.
La procedura prevede che, entro cinque giorni dalla comunicazione di una operazione di concentrazione, l'Autorità ne dia notizia al Presidente del Consiglio dei Ministri ed al Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato (oggi Sviluppo economico).
Se l'Autorità ritiene che un'operazione di concentrazione sia suscettibile di essere vietata, avvia entro trenta giorni dal ricevimento della notifica, o dal momento in cui ne abbia comunque avuto conoscenza, l'istruttoria. L'Autorità, a fronte di un'operazione di concentrazione ritualmente comunicata, qualora non ritenga necessario avviare l'istruttoria deve dare comunicazione alle imprese interessate ed al Ministro dello sviluppo economico delle proprie conclusioni nel merito, entro trenta giorni dal ricevimento della notifica. L'Autorità può avviare l'istruttoria dopo la scadenza dei termini di cui al presente articolo, nel caso in cui le informazioni fornite dalle imprese con la comunicazione risultino gravemente inesatte, incomplete o non veritiere.
L'Autorità, entro il termine perentorio di quarantacinque giorni dall'inizio dell'istruttoria di cui al presente articolo, deve comunicare alle imprese interessate ed al Ministro dello sviluppo economico, le proprie conclusioni nel merito. Tale termine può essere prorogato nel corso dell'istruttoria per un periodo non superiore a trenta giorni, qualora le imprese non forniscano informazioni e dati a loro richiesti che siano nella loro disponibilità
Il comma 15 intende modificare l'art. 2, comma 192, della legge n.662/1996[83], sopprimendo la norma in virtù della quale alle partecipazioni azionarie dello Stato e di enti pubblici in imprese assicurative si applica il divieto di cui all'art. 3, comma 2, del D.L. n. 332/1994[84] (L. 30 luglio 1994, n. 474).
Tale disposizione prevede che, con riferimento alle partecipazioni azionarie diverse da quelle detenute da Stato, enti pubblici o soggetti da questi controllati, il superamento del limite massimo di possesso azionario non superiore al 5%, comporta il divieto di esercitare il diritto di voto e comunque i diritti aventi contenuto diverso da quello patrimoniale, attinenti alle partecipazioni eccedenti il limite stesso.
Il comma 16 reca, per il 2010 e per ciascuno degli anni di durata delle nuove convenzioni e dei singoli contratti di servizio, la ripartizione delle risorse, pari ad euro 184.942.251 a decorrere dal 2010, necessarie a garantire il livello dei servizi erogati sulla base delle convenzioni attualmente in vigore e prorogate sino al 30 settembre 2010, nonché delle nuove convenzioni e contratti di servizio, in base alla seguente distribuzione:
§ Tirrenia di navigazione S.p.a.: euro 72.685.642;
§ Siremar-Sicilia Regionale Marittima S.p.a.: euro 55.694.895;
§ Saremar-Sardegna Regionale Marittima S.p.a. - regione Sardegna: euro 13.686.441;
§ Toremar-Toscana Regionale Marittima S.p.a. - regione Toscana: euro 13.005.441;
§ Caremar-Campania Regionale Marittima S.p.a. - regione Campania: euro 29.869.832.
Il successivo comma 17 specifica che, in seguito alla cessione alla regione Lazio del ramo d'azienda per l'esercizio dei collegamenti con l'arcipelago pontino, le somme saranno ripartite in euro 19.839.226 per il ramo Campania, ed euro 10.030.606 per il ramo Lazio.
Il comma 18 dispone un incremento, senza maggiori oneri per lo Stato, del contributo statale in favore delle regioni a copertura degli oneri di servizio pubblico sui contratti di cui ai commi da 8 a 15, per tutta la durata degli stessi, in relazione al maggiore onere derivante dall'attuazione dell'art. 19 del D.Lgs. n.422/1997, nonché dell'art. 9, comma 4, della L. n.472/1999[85].
L'art. 9, co. 4, della L. n. 472/1999 dispone che, al fine di sostenere il processo di liberalizzazione dei servizi di pubblico trasporto, i contributi erariali a favore delle regioni e degli enti locali titolari di contratti di servizio sono incrementati di un ammontare parametrato al maggiore onere ad essi derivante dall'attuazione dell'art. 19 del decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422, recante la disciplina generale dei contratti di servizio, assicurando comunque la neutralità finanziaria per il bilancio dello Stato. Le procedure e le modalità per l'attuazione della presente disposizione sono determinate con decreto interministeriale, sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281.
Il comma 19, intende destinare la somma di 7 milioni di euro per l'anno 2009 all'ammodernamento e all'adeguamento alle norme internazionali in materia di sicurezza marittima della flotta del gruppo Tirrenia, reperibili tra le risorse iscritte in conto residui relative all'autorizzazione di spesa di cui all'art. 1, comma 1046, della legge n.296/2006 (legge finanziaria 2007), in quanto non ancora impegnate all’entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.
Il comma citato, con una spesa di 24 milioni di euro per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009, ha istituito un Fondo per favorire il potenziamento, la sostituzione e l'ammodernamento delle unità navali destinate al servizio di trasporto pubblico locale effettuato per via marittima, fluviale e lacuale, al fine di favorire la demolizione delle unità navali destinate, in via esclusiva, al servizio di trasporto pubblico locale non più conformi ai più avanzati standard in materia di sicurezza della navigazione e di tutela dell'ambiente marino e la cui età è di oltre venti anni e che, alla data del 1° gennaio 2006, risultino iscritte nei registri tenuti dalle Autorità nazionali.
Il comma 20, per fronteggiare specifiche criticità nel settore del cabotaggio marittimo, autorizza il CIPE, su proposta ministeriale, a deliberare in ordine all'utilizzo delle risorse del Fondo per le aree sottoutilizzate relative ai programmi di interesse strategico regionale di cui alla delibera CIPE n.1/2009[86], previa richiesta delle regioni interessate al processo di privatizzazione.
La Delibera CIPE n. 1/2009 (G. U. del 16 giugno 2009) ha inteso aggiornare le assegnazioni del Fondo per le aree sottoutilizzate assegnando ai dicasteri 18.053 milioni di euro in precedenza ripartiti con diverse delibere del CIPE.
Più specificamente, al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti sono stati assegnati 5.000 milioni di euro per il Fondo Infrastrutture Strategiche istituito dall'art. 6-quinquies del D.L. 112/2008, di cui 1.000 milioni di euro per la messa in sicurezza delle scuole e 200 milioni di euro per l'edilizia carceraria (delibera CIPE 3/2009)
Un importo pari a 27.027 milioni di euro è stato poi destinato al finanziamento dei programmi di interesse strategico regionali ed interregionali.
Il comma 21 garantisce alle società oggetto del processo di privatizzazione il mantenimento degli accosti già assegnati e la priorità nell'assegnazione di nuovi accosti, al fine di garantire la continuità territoriale con le isole e a fronte degli obblighi di servizio pubblico e nel rispetto delle procedure di competenza delle Autorità portuali e marittime, dei princìpi sanciti dalla L. n.84/1994[87] nonché dal codice della navigazione.
Il comma 22 modifica l'articolo 7-sexies, comma 3, ultimo periodo, del D.L. n.5/2009 (legge 9 aprile 2009, n.33), prevedendo che, in favore dei dipendenti delle società del Gruppo Tirrenia, delle società da queste derivanti e di quelle che dalle stesse acquistano o affittano aziende o rami d'azienda, il Ministro del lavoro di concerto col Ministro dell'economia e delle finanze, possa concedere, per dodici mensilità, l'intero trattamento di integrazione salariale straordinaria previsto dalle vigenti disposizioni di legge, con la relativa contribuzione figurativa e gli assegni per il nucleo familiare ove spettanti, nel limite massimo complessivo di spesa di 15 milioni di euro a valere sulle risorse di cui all'articolo 2, comma 36, della L. n.203/2008 (legge finanziaria 2009).
In primo luogo si ricorda che l’art. 7-sexies, comma 3 del decreto-legge n. 5/2009 (legge n. 33/2009), ha disposto che, al fine di offrire una parziale copertura del disavanzo 2008 del Gruppo Tirrenia di Navigazione S.p.a., possono essere utilizzate le somme, per un importo pari a 6.615.681 euro, rese disponibili per pagamenti non più dovuti concernenti la sovvenzione degli esercizi precedenti in favore del medesimo Gruppo. La norma consente inoltre che le provvidenze in materia di ammortizzatori sociali, previste nel medesimo provvedimento, possano essere riconosciute anche al personale del Gruppo Tirrenia.
Il citato comma 36 della Finanziaria 2009 rinnova, anche per l’anno in corso, la possibilità di concessione “in deroga” dei trattamenti di integrazione salariale straordinaria, di mobilità e di disoccupazione speciale subordinatamente alla realizzazione di programmi finalizzati alla gestione di crisi occupazionali definiti con specifici accordi in sede governativa.
Più in particolare, il primo periodo, riprendendo di fatto analoghe disposizioni precedenti[88], ha previsto la concessione, entro il 31 dicembre 2009, anche in deroga alla normativa vigente, di trattamenti di integrazione salariale straordinaria, di mobilità e di disoccupazione speciale (anche senza soluzione di continuità), nel limite complessivo di spesa di 600 milioni di euro a carico del Fondo per l’occupazione.
La concessione è subordinata alla realizzazione di programmi finalizzati alla gestione di crisi occupazionali, anche con eventuale riferimento a particolari settori produttivi e ad aree regionali, tali programmi, inoltre, devono essere definiti attraverso specifiche intese stipulate in sede istituzionale territoriale entro il 20 maggio 2009, successivamente recepite in accordi in sede governativa entro il 15 giugno 2009.
Il secondo periodo del comma in esame ha stabilito la riduzione per il 2009 della finalizzazione di spesa di cui all’articolo 68, comma 4, lettera a), della L. 144/1999[89], che disciplina le modalità di copertura degli oneri derivanti dall’intervento relativo all’istituzione dell’obbligo di frequenza di attività formative fino al compimento del diciottesimo anno di età, ad un importo di euro 139.109.570
Il terzo periodo, infine, ha destinato la somma di 150 milioni di euro, per il 2009, per le finalità di cui all’articolo 68, comma 1, della L. 144/1999 (obbligo di frequenza di attività formative fino al compimento del diciottesimo anno di età), nell’ambito delle risorse preordinate allo scopo nel Fondo di rotazione per la formazione professionale, istituito dall’articolo 25 della L. 845/1978[90].
Il comma 23 stabilisce che agli oneri di cui ai predetti commi 16-18, pari a 184.942.251 euro a decorrere dal 2010, si farà fronte mediante utilizzo degli stanziamenti di bilancio allo scopo finalizzati, pari a 181.370.249 euro annui (CAP. 1960, U.P.B. 2.6.2, Disegno di Legge di Bilancio per l’anno 2010), per l’importo di 3.550.000 euro per ciascuno degli anni 2010 e 2011 avvalendosi delle risorse disponibili sulla contabilità speciale istituita ai sensi del dell'art. 13-bis, comma 8, del D.L. n.78/2009 (scudo fiscale)[91], versate all'entrata del bilancio dello Stato per la conseguente riassegnazione alle pertinenti unità previsionali di base dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze,
Quanto a 22.002 euro per ciascuno degli anni 2010 e 2011 e a 3.572.002 euro a decorrere dall'anno 2012 si provvederà mediante corrispondente riduzione della dotazione del Fondo per interventi strutturali di politica economica, di cui all'articolo 10, comma 5, del D.L. n.282/2004[92].
Per quanto sopra il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare le occorrenti variazioni di bilancio.
Il comma 24 specifica che, per le regioni a statuto speciale l'efficacia di tutte le disposizioni sopra indicate è subordinata all'emanazione di apposite norme di attuazione, ove richiesta.
Il comma 25 abroga l'art. 57 del D.L. n.112/2008 nonché l'art. 1, comma 999, della L. n. 296/2006 (legge finanziaria 2007), superate dalle norme di cui al presente articolo.
In breve si ricorda che l’art. 57 del D.L. n.112/2008 dispone che le funzioni e i compiti di programmazione e di amministrazione relative ai servizi di cabotaggio marittimo di servizio pubblico che si svolgono all’interno di una Regione siano esercitati dalla Regione interessata. La norma dispone, altresì, che le risorse statali destinate al finanziamento del servizio pubblico di cabotaggio marittimo siano destinate ad integrare la compartecipazione dello Stato alla spesa sostenuta dalle Regioni per l’erogazione del servizio. Prevede, inoltre, che, su richiesta delle Regioni interessate, da effettuarsi entro 120 giorni dall’entrata in vigore del decreto-legge (ovvero entro il 22 ottobre 2008), l’intera partecipazione detenuta dalla Tirrenia nelle società Caremar, Saremar, Toremar e Siremar è trasferita, a titolo gratuito, alle regioni interessate.
Il comma 999 citato stabilisce che le nuove convenzioni, con scadenza in data non anteriore al 31 dicembre 2012, sono stipulate, sulla base dei criteri stabiliti dal CIPE, dal Ministro dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, e determinano le linee da servire, le procedure e i tempi di liquidazione del rimborso degli oneri di servizio pubblico, introducendo meccanismi di efficientamento volti a ridurre i costi del servizio per l'utenza, nonché forme di flessibilità tariffaria non distorsive della concorrenza..
Il comma 26, sopprime Il primo e secondo periodo del dell'art. 26, comma 1, del D.L. 2008, n.207/2008[93].
L’art. 26 del D.L. n. 207/2008, cd. “proroga termini” (legge n.14/2009), ha prorogato al 31 dicembre 2009 la durata delle convenzioni attualmente in corso in cui siano parte la Tirrenia e le società controllate, al fine di accelerare il completamento del processo di privatizzazione delle società di navigazione che assicurano i collegamenti marittimi essenziali.
Il comma 27 stabilisce che una quota, pari a 5,6 milioni di euro, delle risorse iscritte per l'anno 2009 sul Fondo per interventi strutturali di politica economica di cui all'art. 10, comma 5, del D.L. n.282/2004, sia versata all'entrata del bilancio dello Stato per essere poi trasferita, nell'anno 2010, alla contabilità speciale istituita ai sensi del dell'art. 13-bis, comma 8, del D.L. n. 78/2009 (scudo fiscale).
Trasferisce, inoltre, alla citata contabilità speciale di cui al periodo precedente, con le medesime modalità, l'importo di 1,5 milioni di euro a valere sulle risorse di cui all'articolo 7-quinquies, comma 1, del D.L. n. 5/2009 intendendosi corrispondentemente ridotta la predetta autorizzazione di spesa.
Le disposizioni dell’articolo in esame, nella parte in cui prevedono procedure di trasferimento di società dallo Stato alle regioni e disciplinano la successiva privatizzazione delle società, determinando la tempistica della privatizzazione e dell’approvazione delle convenzioni e dei contratti di servizio, indipendentemente dalla richiesta o dal consenso delle regioni medesime, devono essere valutate alla luce dell’autonomia costituzionalmente riconosciuta alle Regioni.
Deve, in particolare, essere valutata, alla luce della competenza concorrente delle regioni in materia di “grandi reti di trasporto e navigazione” e della giurisprudenza costituzionale, la disposizione del comma 12 che prevede che le convenzioni ed i contratti di servizio assicurano la presenza obbligatoria nel collegio sindacale delle predette società di due rappresentanti del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e del Ministero dell’economia e delle finanze.
Si ricorda in proposito che la Corte costituzionale, nella sentenza n. 270 del 2005, relativa alle modalità di designazione dei membri del collegio sindacale degli IRCCS trasformati in fondazioni, ha rilevato che la intervenuta modificazione del Titolo V della Costituzione, ed in particolare il riconoscimento di una competenza legislativa di tipo concorrente delle Regioni in materia di “tutela della salute” e “ricerca scientifica”, non legittima una presenza obbligatoria per legge di rappresentanti ministeriali in ordinari organi di gestione o di controllo di enti pubblici che non appartengono più all'area degli enti statali.
Articolo 19-quater
(Modifiche all'articolo 47 della legge 29
dicembre 1990, n. 428. Causa 561/07 - procedura d'infrazione 2005/2433)
1. Al fine di dare attuazione alla sentenza di condanna emessa dalla Corte di giustizia delle Comunita` europee l’11 giugno 2009 nella causa C-561/07, all’articolo 47 della legge 29 dicembre 1990, n. 428, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) dopo il comma 4 e` inserito il seguente:
"4-bis. Nel caso in cui sia stato raggiunto un accordo circa il mantenimento, anche parziale, dell’occupazione, l’articolo 2112 del codice civile trova applicazione nei termini e con le limitazioni previste dall’accordo medesimo qualora il trasferimento riguardi aziende:
a) delle quali sia stato accertato lo stato di crisi aziendale, ai sensi dell’articolo 2, quinto comma, lettera c), della legge 12 agosto 1977, n. 675;
b) per le quali sia stata disposta l’amministrazione straordinaria, ai sensi del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270, in caso di continuazione o di mancata cessazione dell’attivita`";
b) al comma 5 sono soppresse le seguenti parole: "aziende o unita` produttive delle quali il CIPI abbia accertato lo stato di crisi aziendale a norma dell’articolo 2, quinto comma, lettera c), della legge 12 agosto 1977, n. 675, o"».
L’articolo in esame reca alcune modifiche all’articolo 47 della L. 29 dicembre 1990, n. 428 (legge comunitaria per il 1990), in materia di trasferimento d’azienda.
L’intervento trae origine dalla sentenza della Corte di Giustizia europea dell’11 giugno 2009 (Causa 567/07 – procedura di infrazione 2005/2433), secondo cui l’articolo 47 commi 5 e 6, della richiamata legge n.428/1990, può costituire una violazione della direttiva 2001/23/CE del Consiglio del 12 marzo 2001 (concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti), in quanto i lavoratori dell’impresa ammessi al regime della CIGS trasferiti all’acquirente non beneficiano dei diritti tutelati dall’articolo 2112 c.c., fatte salve le eventuali garanzie previste da uno specifico accordo sindacale.
Secondo la sentenza, infatti, “mantenendo in vigore le disposizioni di cui all’art. 47, commi 5 e 6, della legge 29 dicembre 1990, n. 428, in caso di «crisi aziendale» (a norma dell’art. 2, quinto comma, lett. c), della legge 12 agosto 1977, n. 675), in modo tale che i diritti riconosciuti ai lavoratori dall’art. 3, nn. 1, 3 e 4, nonché dall’art. 4 della direttiva del Consiglio 12 marzo 2001, 2001/23/CE, non sono garantiti nel caso di trasferimento di un’azienda il cui stato di crisi sia stato accertato, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza di tale direttiva”.
In relazione a ciò, l’articolo in esame introduce un nuovo comma 4-bisal richiamato articolo 47, ai sensi del quale si precisa che in caso di accordo circa il mantenimento, anche parziale, dell'occupazione, l'articolo 2112 c.c. trova applicazione nei termini e con le limitazioni previste dall'accordo medesimo qualora il trasferimento riguardi aziende:
§ delle quali sia stato accertato lo stato di crisi aziendale, ai sensi dell'articolo 2, quinto comma, lettera c), della L. 675/1977;
Secondo l'articolo 2, quinto comma, lettera c), della L. 675/1977 il CIPI[94], su proposta del Ministro per il lavoro e la previdenza sociale (ora: Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali), accerta la sussistenza, ai fini della corresponsione del trattamento di CIGS, di specifici casi di crisi aziendale che presentino particolare rilevanza sociale in relazione alla situazione occupazionale locale ed alla situazione produttiva del settore;
§ per le quali sia stata disposta l'amministrazione straordinaria, ai sensi del D.Lgs. 270/1999, in caso di continuazione o di mancata cessazione dell'attività.
Il D.Lgs. 270/1999[95] definisce l’amministrazione straordinaria come la procedura concorsuale della grande impresa commerciale insolvente, e le attribuisce finalità conservative del patrimonio produttivo, mediante prosecuzione, riattivazione o riconversione delle attività imprenditoriali[96].
Per poter essere ammesse alla procedura le imprese devono essere in possesso di alcuni requisiti, fra cui un numero di lavoratori subordinati non inferiore alle duecento unità, un ammontare complessivo di debiti non inferiore ai due terzi, tanto del totale dell'attivo dello stato patrimoniale, che dei ricavi provenienti dalle vendite e dalle prestazioni dell'ultimo esercizio, la presenza di concrete prospettive di recupero da realizzarsi mediante la cessione dei complessi aziendali o tramite la ristrutturazione economica e finanziaria dell'impresa. Se un'impresa avente i requisiti previsti si trova in stato di insolvenza, il tribunale del luogo in cui essa ha la sede principale, su ricorso dell'imprenditore, di uno o più creditori, del pubblico ministero, ovvero d'ufficio, dichiara tale stato con sentenza in camera di consiglio. Dichiarato lo stato di insolvenza, il commissario giudiziale deposita una relazione sulle cause che lo hanno determinato e una valutazione motivata relativa alla sussistenza delle condizioni previste dalla legge per l'ammissione alla procedura. Depositata la relazione, il tribunale dichiara con decreto motivato l'apertura della procedura di amministrazione straordinaria, ovvero, se non ne sussistono le condizioni, il fallimento dell'impresa.
II Capo V del Titolo III è dedicato alla definizione ed esecuzione del programma del commissario straordinario[97] che deve presentare al Ministro un programma di recupero dell'equilibrio economico dell'impresa da realizzarsi, alternativamente, seguendo la via della cessione dei complessi aziendali ovvero quella della ristrutturazione[98] (art. 54). Ai criteri secondo i quali deve essere definito il programma, la cui redazione avviene sotto vigilanza ministeriale e in maniera conforme agli indirizzi di politica industriali adottati dal Ministero, è dedicato l'art. 55; in particolare deve essere salvaguardata "l'unità operativa dei complessi aziendali, tenuto conto degli interessi dei creditori".
Specificamente, nel programma deve essere contenuta l'indicazione: delle attività che si intende proseguire e di quelle invece da dismettere; del piano di eventuale alienazione dei beni non funzionali all'esercizio dell'impresa; delle previsioni economiche e finanziarie circa la prosecuzione dell'esercizio della stessa; delle modalità secondo cui provvedere alla copertura del fabbisogno finanziario, con la specificazione dei finanziamenti o delle altre agevolazioni pubbliche alle quali si preveda di ricorrere (art. 56). Nel caso si scelga la via della cessione dei complessi aziendali, il programma dovrà inoltre contenere l'indicazione delle relative modalità e delle eventuali offerte pervenute; qualora invece si sia optato per l'indirizzo della ristrutturazione, il programma dovrà indicare anche le eventuali previsioni di ricapitalizzazione dell'impresa e di variazione degli assetti imprenditoriali, insieme a tempi e modalità di soddisfazione dei creditori.
Infine, per esigenze di coordinamento normativo con le nuove disposizioni contenute nel nuovo comma 4-bis, al successivo comma 5 del richiamato articolo 47 viene soppresso il riferimento alle aziende o unità produttive in stato di crisi
L’articolo 2212 c.c. e l’articolo 47 della L. 428/1990
Il trasferimento d’azienda[99] – disciplinato dall’articolo 2112 c.c. e dall’articolo 47[100] della L. 428/1190, come modificati dal D.Lgs. 2 febbraio 2001, n. 18[101], di recepimento della direttiva n. 98/50/CE – consiste nel trasferimento di un'entità economica, vista come un insieme organizzato di mezzi per lo svolgimento di una determinata attività, che mantiene la sua identità, sia pubblica sia privata, indipendentemente dal fatto che venga perseguito o meno un fine di lucro.
Secondo quanto previsto dall’art. 2112 c.c., il trasferimento può anche riguardare un ramo d’azienda, a condizione che l’attività ceduta sia idonea ad essere collocata utilmente sul mercato, costituendo un’entità economica suscettibile di essere oggetto di un'attività autonoma di impresa da parte dell’acquirente, identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento.
Per quanto concerne il rapporto di lavoro, l’articolo 2112 c.c. stabilisce che il rapporto di lavoro continua con il cessionario e pertanto il lavoratore conserva tutti i diritti derivanti dall'anzianità di servizio raggiunta prima del trasferimento, nonché quelli previsti nel contratto individuale, con particolare riferimento ai diritti relativi all’inquadramento di categoria e retributivo. Le condizioni di lavoro determinate nel contratto collettivo applicato al momento della cessione sono mantenute fino alla data della sua scadenza, a meno che il cessionario non applichi un altro contratto collettivo (che quindi prevale).
Il soggetto cedente è obbligato in solido con il cessionario per tutti i crediti che il dipendente vantava al momento del trasferimento; tuttavia il lavoratore può liberare il cedente da tali obbligazioni.
Infine il trasferimento d’azienda non costituisce di per sé giusta causa o giustificato motivo di licenziamento, ferma restando la facoltà del datore di lavoro di recedere dal rapporto secondo quanto previsto dalla disciplina sul licenziamento.
La normativa vigente prevede anche obblighi di informazione e di consultazione in caso di trasferimento d’azienda (o ramo d’azienda) in cui siano occupati più di 15 dipendenti.
L’articolo 47 della L. 428/1990 (attuativo dell’articolo 7 della direttiva 2001/23/CE del 12 marzo 2001), nel caso l’azienda occupi almeno 15 dipendenti, dispone che il cedente e il cessionario siano tenuti ad informare in tempo utile i rappresentanti dei lavoratori sulla data fissata o proposta per il trasferimento, sui motivi del trasferimento, sulle conseguenze giuridiche, economiche o sociali, nonché sulle misure previste nei confronti dei lavoratori medesimi.
In particolare, il comma 5 dell’articolo 47 prevede la non applicazione dell’articolo 2112 c.c. ai lavoratori il cui rapporto di lavoro continui con l’acquirente, salvo che dall'accordo sindacale risultino condizioni di miglior favore, qualora il trasferimento riguardi:
§ aziende o unità produttive delle quali il CIPI abbia accertato lo stato di crisi aziendale a norma dell'articolo 2, quinto comma, lettera c), della L. 12 agosto 1977, n. 675;
§ imprese nei confronti delle quali vi sia stata dichiarazione di fallimento, omologazione di concordato preventivo consistente nella cessione dei beni, emanazione del provvedimento di liquidazione coatta amministrativa ovvero di sottoposizione all'amministrazione straordinaria.
Ambedue le situazioni operano nel caso in cui la continuazione dell'attività non sia stata disposta o sia cessata e nel corso della consultazione sia stato raggiunto un accordo circa il mantenimento anche parziale dell'occupazione.
Il richiamato accordo può altresì prevedere che il trasferimento non riguardi il personale eccedentario e che quest'ultimo continui a rimanere, in tutto o in parte, alle dipendenze dell'alienante.
Il successivo comma 6 ha disposto il diritto di precedenza nelle assunzioni, per i lavoratori che non passano alle dipendenze dell'acquirente, dell'affittuario o del subentrante, per le assunzioni che questi ultimi effettuino entro un anno dalla data del trasferimento, ovvero entro il periodo maggiore stabilito dagli accordi collettivi. Per i richiamati lavoratori, assunti dall'acquirente, dall'affittuario o dal subentrante in un momento successivo al trasferimento d'azienda, non trova applicazione l'articolo 2112c.c..
La direttiva 2001/23/CE
Merita inoltre ricordare che la direttiva 2001/23/CE all’articolo 3, paragrafo 1, stabilisce il principio del trasferimento al cessionario dei diritti e degli obblighi che risultano per il cedente da un contratto di lavoro o da un rapporto di lavoro esistente alla data del trasferimento stesso.
E’ prevista inoltre la facoltà, per gli Stati membri, di prevedere che il cedente, anche dopo la data del trasferimento, sia responsabile, accanto al cessionario, degli obblighi risultanti prima della data del trasferimento da un contratto di lavoro o da un rapporto di lavoro esistente alla data del trasferimento.
In ogni caso, dopo il trasferimento il cessionario mantiene le condizioni di lavoro convenute mediante contratto collettivo, nei termini previsti da quest’ultimo, per il cedente fino alla data della risoluzione o della scadenza del contratto collettivo, o dell’entrata in vigore, o dell’applicazione di un altro contratto collettivo (articolo 3, paragrafo 2).
Il successivo articolo 4 dispone che il trasferimento di un’impresa, di uno stabilimento o di una parte di impresa o di stabilimento non è di per sé motivo di licenziamento da parte del cedente o del cessionario. Tale dispositivo non pregiudica i licenziamenti che possono aver luogo per motivi economici, tecnici o d’organizzazione che comportano variazioni sul piano dell’occupazione.
L’articolo 5, paragrafo 1, dispone la non applicazione dei precedenti articoli 3 e 4, a meno che gli Stati membri dispongano diversamente, nei confronti di trasferimento di imprese, stabilimenti o parti di imprese o di stabilimenti, nel caso in cui il cedente sia oggetto di una procedura fallimentare o di una procedura di insolvenza analoga aperta in vista della liquidazione dei beni del cedente stesso e che si svolgono sotto il controllo di un’autorità pubblica competente.
Inoltre (articolo 5, paragrafo 2), si prevede che uno Stato membro abbia la facoltà, nel caso in cui gli articoli 3 e 4 si applichino ad un trasferimento nel corso di una procedura di insolvenza aperta nei confronti del cedente (indipendentemente dal fatto che la procedura sia stata aperta in vista della liquidazione dei beni del cedente stesso) e a condizione che tali procedure siano sotto il controllo di un'autorità pubblica competente (che può essere un curatore fallimentare determinato dal diritto nazionale):
§ di non disporre il trasferimento degli obblighi risultanti da un contratto di lavoro o da un rapporto di lavoro e pagabili prima dei trasferimento o prima dell'apertura della procedura di insolvenza dal cedente al cessionario a condizione che tali procedure diano adito, in virtù della legislazione dello Stato membro, ad una protezione almeno equivalente a quella prevista nelle situazioni contemplate dalla direttiva 80/987/CEE;
e/o
§ di apportare modifiche, da parte del cessionario, del cedente o della persona o delle persone che esercitano le funzioni del cedente, da un lato, e dei rappresentanti dei lavoratori, dall'altro, alle condizioni di lavoro dei lavoratori intese a salvaguardare le opportunità occupazionali garantendo la sopravvivenza dell'impresa, dello stabilimento o di parti di imprese o di stabilimenti.
Articolo 20
(Modifiche al
decreto legislativo 24 aprile 2006, n. 219: compatibilità tra le attività di
distribuzione all’ingrosso di medicinali
e di gestione di farmacie)
1. All’articolo 100, dopo il comma 4, del decreto legislativo 24 aprile 2006, n. 219, e` inserito il seguente:
«4-bis. Sono fatti salvi gli effetti degli affidamenti della gestione delle farmacie comunali a societa` che svolgono attivita` di distribuzione all’ingrosso di medicinali, nonche´ dell’acquisizione da parte di tali societa` di partecipazioni in societa` affidatarie della gestione di farmacie comunali, effettuati prima della data di entrata in vigore del presente decreto legislativo.
L'articolo 20, modificando l’articolo 100 del decreto legislativo 24 aprile 2006, n. 219[102], introduce una norma transitoria in relazione alla disciplina della compatibilità tra le attività di distribuzione all'ingrosso di medicinali e quella di gestione di farmacie.
La compatibilità tra le due attività, infatti, è stata sancita - in conformità al diritto comunitario, come osserva la relazione illustrativa del disegno di legge di conversione del presente decreto - dall'art. 5 del D.L. 4 luglio 2006, n. 223[103], che ha abrogato ogni norma incompatibile. La specifica disciplina nell’ambito richiamato è stata poi definita dall'art. 2, comma 16, del D.Lgs. 29 dicembre 2007, n. 274[104], che ha modificato il citato articolo 100 del decreto legislativo 24 aprile 2006, n. 219.
L’articolo 100, al comma 1-bis, prevede che i farmacisti e le società di farmacisti, titolari di farmacia ai sensi dell'articolo 7 della legge 8 novembre 1991, n. 362, nonché le società che gestiscono farmacie comunali possono svolgere attività di distribuzione all'ingrosso dei medicinali, nel rispetto delle disposizioni stabilite dal decreto legislativo, e che le società che svolgono attività di distribuzione all'ingrosso di medicinali possono svolgere attività di vendita al pubblico di medicinali attraverso la gestione di farmacie comunali.
Viene introdotto il divieto, per il produttore e il distributore all'ingrosso di praticare, senza giustificazione, nei confronti dei dettaglianti condizioni diverse da quelle preventivamente indicate nelle condizioni generali di contratto.
L'articolo in esame, introducendo un nuovo comma 4-bis al citato articolo 100, sancisce l'efficacia retroattiva del nuovo regime, specificando che sono fatti salvi - benché le fattispecie fossero sorte durante la previgente disciplina di divieto - gli effetti:
§ degli affidamenti della gestione delle farmacie comunali a società che svolgano attività di distribuzione all'ingrosso di medicinali;
§ dell'acquisizione, da parte di tali società, di partecipazioni in società affidatarie della gestione di farmacie comunali.
Articolo 20-bis
(Adeguamento alla normativa comunitaria in
materia di tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni
elettroniche, di cui alla direttiva 2002/58/CE)
1. Al fine di superare a regime la disciplina introdotta dall’articolo 44, comma 1-bis, del decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 207, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2009, n. 14, al codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, sono apportate le seguenti modifiche:
a) al comma 3 dell’articolo 130 sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: "nonche´ ai sensi di quanto previsto dal comma 3-bis del presente articolo";
b) dopo il comma 3 dell’articolo 130 sono inseriti i seguenti:
"3-bis. In deroga a quanto previsto dall’articolo 129, il trattamento dei dati di cui all’articolo 129, comma 1, mediante l’impiego del telefono per le finalita` di cui all’articolo 7, comma 4, lettera b), e` consentito nei confronti di chi non abbia esercitato il diritto di opposizione, con modalita`semplificate e anche in via telematica, mediante l’iscrizione della numerazione della quale e` intestatario in un registro pubblico delle opposizioni.
3-ter. Il registro di cui al comma 3-bis e` istituito con decreto del Presidente della Repubblica da adottare ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, acquisito il parere del Consiglio di Stato e delle Commissioni parlamentari competenti in materia, che si pronunciano entro trenta giorni dalla richiesta, nonche´, per i relativi profili di competenza, il parere dell’Autorita` per le garanzie nelle comunicazioni, che si esprime entro il medesimo termine, secondo i seguenti criteri e princı`pi generali:
a) attribuzione dell’istituzione e della gestione del registro ad un ente o organismo pubblico titolare di competenze inerenti alla materia;
b) previsione che l’ente o organismo deputato all’istituzione e alla gestione del registro vi provveda con le risorse umane e strumentali di cui dispone o affidandone la realizzazione e la gestione a terzi, che se ne assumono interamente gli oneri finanziari e organizzativi, mediante contratto di servizio, nel rispetto del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163. I soggetti che si avvalgono del registro per effettuare le comunicazioni corrispondono tariffe di accesso basate sugli effettivi costi di funzionamento e di manutenzione. Il Ministro dello sviluppo economico, con proprio provvedimento, determina tali tariffe;
c) previsione che le modalita` tecniche di funzionamento del registro consentano ad ogni utente di chiedere che sia iscritta la numerazione della quale e` intestatario secondo modalita` semplificate ed anche in via telematica o telefonica;
d) previsione di modalita` tecniche di funzionamento e di accesso al registro mediante interrogazioni selettive che non consentano il trasferimento dei dati presenti nel registro stesso, prevedendo il tracciamento delle operazioni compiute e la conservazione dei dati relativi agli accessi;
e) disciplina delle tempistiche e delle modalita` dell’iscrizione al registro, senza distinzione di settore di attivita` o di categoria merceologica, e del relativo aggiornamento, nonche´ del correlativo periodo massimo di utilizzabilita` dei dati verificati nel registro medesimo, prevedendosi che l’iscrizione abbia durata indefinita e sia revocabile in qualunque momento, mediante strumenti di facile utilizzo e gratuitamente;
f) obbligo per i soggetti che effettuano trattamenti di dati per le finalita` di cui all’articolo 7, comma 4, lettera b), di garantire la presentazione dell’identificazione della linea chiamante e di fornire all’utente idonee informative, in particolare sulla possibilita` e sulle modalita` di iscrizione nel registro per opporsi a futuri contatti;
g) previsione che l’iscrizione nel registro non precluda i trattamenti dei dati altrimenti acquisiti e trattati nel rispetto degli articoli 23 e 24.
3-quater. La vigilanza e il controllo sull’organizzazione e il funzionamento del registro di cui al comma 3-bis e sul trattamento dei dati sono attribuiti al Garante";
c) all’articolo 162:
1) al comma 2-bis, le parole: "ventimila euro" sono sostituite dalle seguenti: "diecimila euro";
2) e` aggiunto, in fine, il seguente comma:
"2-quater. La violazione del diritto di opposizione nelle forme previste dall’articolo 130, comma 3-bis, e dal relativo regolamento e` sanzionata ai sensi del comma 2-bis del presente articolo".
2. Il registro previsto dall’articolo 130, comma 3-bis, del codice di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, introdotto dal comma 1, lettera b), del presente articolo, e` istituito entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. Fino al suddetto termine, restano in vigore i provvedimenti adottati dal Garante per la protezione dei dati personali ai sensi dell’articolo 154 del citato codice
di cui al decreto legislativo n. 196 del 2003, e successive modificazioni, in attuazione dell’articolo 129 del medesimo codice.
3. All’articolo 44, comma 1-bis, del decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 207, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2009, n. 14, le parole: "sino al 31 dicembre 2009" sono sostituite dalle seguenti: "sino al termine di sei mesi successivi alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135".
4. All’articolo 58 del codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, il comma 1 e` sostituito dal seguente:
"1. L’impiego da parte di un professionista del telefono, della posta elettronica, di sistemi automatizzati di chiamata senza l’intervento di un operatore o di fax richiede il consenso preventivo del consumatore, fatta salva la disciplina prevista dall’articolo 130, comma 3-bis, del codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, per i trattamenti dei dati inclusi negli elenchi di abbonati a disposizione del pubblico".
5. Dall’applicazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
L’articolo 20-bis, introdotto nel corso dell’esame al Senato, di adeguamento alla direttiva comunitaria 2002/58/CE[105], è volto al superamento della disciplina in materia di utilizzo di dati personali contenuti in elenchi telefonici pubblici nonché di comunicazioni indesiderate introdotta dal comma 1-bis dell’art. 44 dell’ultimo decreto proroga-termini (DL n. 207/2008, convertito dalla legge n. 14/2009).
Si tratta, in sostanza, della disciplina relativa al fenomeno delle sempre più frequenti chiamate telefoniche degli operatori di telemarketing che, utilizzando dati degli utenti, offrono al pubblico prodotti e servizi.
Il citato art. 44, comma 1-bis del DL 207/2008 ha autorizzato coloro che prima del 1° agosto 2005 avevano costituito banche dati sulla base di elenchi telefonici pubblici, ad utilizzare i dati personali contenuti in tali elenchi per fini promozionali (dati utilizzabili per dette finalità esclusivamente dagli stessi titolari che le hanno a suo tempo costituite) fino al termine del 31 dicembre 2009. Sino a tale data, quindi, l’attività promozionale può quindi essere svolta in deroga alle disposizioni del cd. Codice della privacy (D.Lgs 196/2003) relative all’informazione e al consenso degli interessati (artt. 13 e 23) nonché in deroga alla direttiva 2002/58/CE.
Si segnala che il 7 aprile 2009, la Commissione europea, rispondendo ad un'interrogazione, ha rilevato il contrasto tra la norma italiana di deroga e il dettato comunitario, preannunciando misure appropriate per il suo rispetto[106].
Specifiche prescrizioni ai titolari di banche dati costituite sulla base di elenchi telefonici formati prima del 1° agosto 2005 a seguito della deroga introdotta sono state dettate con Provvedimento 12 marzo 2009 del Garante per la protezione dei dati personali.
In merito, si ricorda che l’articolo 129 del Codice, rubricato “Elenchi di abbonati”, attribuisce al Garante il compito di individuare, in cooperazione con l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, le modalità di inserimento e di successivo utilizzo dei dati personali relativi agli abbonati negli elenchi cartacei o elettronici a disposizione del pubblico, anche in riferimento ai dati già raccolti prima dell’entrata in vigore del Codice.
In tale provvedimento il Garante deve individuare idonee modalità attraverso le quali l’abbonato può verificare, rettificare o cancellare i propri dati, nonché le modalità mediante le quali egli può:
§ manifestare il consenso alla semplice inclusione negli elenchi (in base al principio della massima semplificazione delle modalità di inclusione negli elenchi a fini di mera ricerca dell'abbonato per comunicazioni interpersonali);
§ manifestare il consenso all’utilizzo dei dati da parti di terzi a fini di invio di materiale pubblicitario o di vendita diretta o per il compimento di ricerche di mercato;
§ manifestare il consenso per il trattamento dei dati a fini diversi.
Il Garante ha provveduto in tal senso con provvedimento del 15 luglio 2004, rubricato Nuovi elenchi telefonici, nell’ambito del quale ha tra l’altro disposto che a partire dal 1° agosto 2005 le scelte operate dagli abbonati telefonici (relativamente alla loro volontà che i dati siano utilizzati per finalità diverse dalla semplice ricerca del numero dell’abbonato per comunicazioni interpersonali) devono essere evidenziate negli elenchi attraverso appositi simboli grafici.
L’art. 20-bis in esame proroga la citata disciplina in materia di utilizzo di dati personali contenuti in elenchi telefonici pubblici sino al termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge in esame (comma 3)
Occorre valutare la compatibilità con la normativa comunitaria sulla protezione dei dati (in particolare con la direttiva 2002/58/CE) della proroga del regime transitorio previsto dall’articolo 44, comma 1-bis, del decreto-legge n. 207 del 2008.
Da un punto di vista sostanziale, la disposizione novella ed integra il Codice della privacy e l’art. 58 del Codice del consumo (D.Lgs 206/2005).
Il comma 1 della nuova disposizione interviene sull’art. 130 del D.Lgs 196/2003 in materia di comunicazioni indesiderate, aggiungendo, con la lett. a), un periodo al comma 3, avente natura di coordinamento con le integrazioni apportate alla stessa disposizione dalla lettera b).
L’art. 130 del D.Lgs 196/2003 stabilisce la necessità del consenso dell’interessato per l'invio di materiale pubblicitario o di vendita diretta o per il compimento di ricerche di mercato o di comunicazione mediante uso di sistemi automatizzati di chiamata senza l'intervento di un operatore (comma 1); analogo consenso è necessario, per le stesse finalità, per comunicazioni mediante posta elettronica, telefax, messaggi Mms (Multimedia Messaging Service), Sms (Short Message Service) o di altro tipo (comma 2).
Il comma 3 stabilisce che - sempre per gli indicati scopi pubblicitari, ecc, - altri tipi di comunicazione sono consentite ai sensi degli articoli 23 e 24 del Codice[107]. Il comma 4 pone alcuni limiti all’utilizzo delle coordinate di poste elettronica da parte del titolare del trattamento che, utilizza tali coordinate, a fini di vendita diretta di propri prodotti o servizi, per la vendita di servizi analoghi e prevede l’informazione all’interessato della possibilità di opporsi in ogni momento al trattamento, in maniera agevole e gratuitamente. Il comma 5 vieta in ogni caso l'invio di comunicazioni per le finalità di cui al comma 1 o, comunque, a scopo promozionale, effettuato camuffando o celando l'identità del mittente o senza fornire un idoneo recapito presso il quale l'interessato possa esercitare i diritti di cui all'articolo 7. In caso di reiterata violazione delle disposizioni dell’art. 130 il Garante può, provvedendo ai sensi dell'articolo 143, comma 1, lettera b), altresì prescrivere a fornitori di servizi di comunicazione elettronica di adottare procedure di filtraggio o altre misure praticabili relativamente alle coordinate di posta elettronica da cui sono stati inviate le comunicazioni (comma 6).
Con i tre nuovi commi aggiuntivi, si prevede:
· in deroga a quanto stabilito dal sopra richiamato art. 129 del Codice, la possibilità di iscrizione del proprio numero telefonico in un istituendo registro pubblico delle opposizioni, iscrizione cui consegue l’opposizione al trattamento dei propri dati mediante l’uso del telefono per finalità pubblicitarie; le telefonate per tali finalità, quindi, sono consentite nei confronti degli abbonati che non abbia esercitato l’opposizione mediante l’iscrizione al registro (nuovo comma 3-bis);
· la vigilanza sul registro (controllo, e organizzazione) da parte del Garante della privacy (nuovo comma 3-quater)
· l’istituzione del registro con D.P.R. su cui è previsto il parere del Consiglio di Stato e delle competenti Commissioni parlamentari nonché, per quanto di competenza, dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. I principi generali relativi al registro sono i seguenti: sua istituzione e gestione da parte di ente o autorità pubblica titolare di competenze in materia ovvero affidamento della realizzazione e gestione ad un privato mediante contratto di servizio (lett. a e b); il pagamento di una tariffa (stabilita dal Ministro dello sviluppo economico) per i soggetti che si avvalgono del registro per effettuare le comunicazioni (lett. b); modalità tecniche di funzionamento ed accesso al registroche consentano comunicazioni semplificate per l’iscrizione della propria numerazione nel registro (anche telefonicamente o per via telematica), possibilità di interrogazioni selettive (con impossibilità di trasferire dati contenuti nel registro) e tracciamento degli accessi (lett. d); individuazione della tempistica e modalità d’iscrizione al registro, durata indefinita e revocabilità gratuita e in ogni tempo dell’iscrizione stessa (lett. e); obbligo dei soggettiche contattano telefonicamente un utente a fini di vendita, pubblicità e comunicazione commerciale di consentire, da un lato, l’identificazione della linea chiamante, dall’altro, di informare l’abbonato della suo possibilità, per il futuro, di opporsi alle chiamate indesiderate mediante l’iscrizione nel registro (lett. f); previsione che, nonostante l’iscrizione al registro, siano consentiti i trattamenti lecitamente acquisiti e trattati ai sensi dei citati artt. 23 e 24 del Codice (v. nota 2) (lett.g) (nuovo comma 3-ter).
In definitiva, l’intervento ribalta il principio espresso dall’articolo 129 della necessità del consenso esplicito per l’utilizzo dei dati per finalità commerciali, sostituendo ad esso l’opposta regola della necessaria manifestazione di un dissenso, in mancanza della quale sono legittime le telefonate per finalità commerciali.
Si segnala che, il Garante della privacy, con un comunicato stampa del 4 novembre, ha sottolineato "gli effetti negativi dell'emendamento approvato dal Senato sulle telefonate promozionali, che finirà col danneggiare lo stesso telemarketing, che apparirà sempre più invadente e insopportabile". "Si tratta di un errore. Gli utenti telefonici – afferma il componente del Garante Mauro Paissan - verranno bombardati di messaggi e si vedranno costretti a iscriversi a un apposito registro per opporsi. Ma questi registri non hanno funzionato in nessun paese dove sono stati istituiti. E comunque molti cittadini, soprattutto gli anziani, troveranno molta difficoltà a manifestare il loro dissenso". "Infine – conclude Paissan – l'Italia con questa norma si rende responsabile di un'ulteriore infrazione comunitaria e Bruxelles ce la farà pagare".
In base al comma 2 dell’articolo 20-bis, il registro delle opposizioni deve essere istituito entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge in esame; si precisa inoltre - nella fase transitoria - la vigenza dei provvedimenti adottati dal Garante della privacy.
L’articolo in esame novella inoltre,al comma 1, lett. c), il comma 2-bis dell’art. 162 del Codice della privacy (aggiunto dall’art. 44 del DL 207/2008) che prevede l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria, da 20.000 a 120.000 euro nelle seguenti ipotesi:
§ trattamento di dati personali effettuato senza il rispetto delle misure minime di sicurezza volte ad assicurare un livello minimo di protezione (ai sensi dell'art. 33 del Codice). In questo caso è escluso il pagamento in misura ridotta;
§ trattamento illecito di dati personali con modalità che integrano gli estremi di una fattispecie di reato ai sensi dell’art. 167 del Codice.
La disposizione, da un lato, dimezza l’attuale limite edittale minimo della sanzione amministrativa pecuniaria portandolo a 10.000 euro; dall’altro aggiunge un nuovo comma 2-quater che estende l’applicazione delle citate sanzioni amministrative alle ipotesi di violazione del diritto di opposizione (ovvero in caso di telefonate a persone che abbiano iscritto la propria numerazione nel registro) ed al relativo regolamento, ai sensi del nuovo comma 3-bis dell’articolo 130.
Il comma 4 integra l’articolo 58 del codice del consumo, che, nel suo testo attuale, richiede il consenso preventivo del consumatore per l’'impiego da parte di un professionista del telefono, della posta elettronica, di sistemi automatizzati di chiamata senza l'intervento di un operatore o di fax. La novella, in particolare, è volta a far salva la disciplina del sopra illustrato articolo 130, comma 3-bis del Codice della privacy.
Il comma 5, infine, contiene la clausola di invarianza finanziaria.
Il Consiglio “affari generali” del 26 ottobre 2009 ha approvato in seconda lettura gli emendamenti del Parlamento europeo alla posizione comune relativa alla proposta di direttiva concernente il servizio universale, la tutela della vita privata ed il rispetto dei consumatori (COM(2009)421).
La proposta è volta a modificare il quadro normativo per le comunicazioni elettroniche e la direttiva 2002/58/CE relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche, a rafforzare i diritti dei consumatori e degli utenti e a garantire che le comunicazioni elettroniche siano sicure ed affidabili, garantendo la massima protezione della riservatezza e dei dati personali degli individui.
Gli emendamenti approvati dal Parlamento europeo alla posizione comune del Consiglio, negoziati con il Consiglio stesso, riguardano, tra l’altro:
- l’introduzione dell’obbligo, per i fornitori di servizi di comunicazione elettronica, di comunicare alle autorità (e, in alcuni casi, agli abbonati o agli individui interessati) le violazioni della sicurezza che riguardano dati personali;
- la fornitura agli utenti di informazioni in merito alle modalità più comuni di utilizzo dei servizi di comunicazione elettronica per attività illecite o per diffondere contenuto dannoso.
Articolo 20-ter
(Modifiche agli articoli 14 e 17 della legge
21 novembre 1967, n. 1185: disciplina dei passaporti)
1. Al fine di dare attuazione all’articolo 1 del regolamento (CE) n. 444/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 maggio 2009, alla legge 21 novembre 1967, n. 1185, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) l’articolo 14 e` sostituito dal seguente:
"Art. 14. - 1. Il passaporto ordinario e` individuale. Esso spetta ad ogni cittadino, fatte salve le cause ostative contemplate nella presente legge.
2. Per i minori di eta` inferiore agli anni quattordici, l’uso del passaporto e` subordinato alla condizione che viaggino in compagnia di uno dei genitori o di chi ne fa le veci, oppure che venga menzionato sul passaporto, o su una dichiarazione rilasciata da chi puo` dare l’assenso o l’autorizzazione ai sensi dell’articolo 3, lettera a), il nome della persona, dell’ente o della compagnia di trasporto a cui i minori medesimi sono affidati.
3. La sottoscrizione di tale dichiarazione deve essere vistata da una autorita` competente al rilascio del passaporto";
b) l’articolo 17 e` sostituito dal seguente:
"Art. 17. - 1. Il passaporto ordinario e` valido per dieci anni. La validita` del passaporto puo` essere tuttavia ridotta a norma delle disposizioni in vigore o su domanda di chi ne abbia facolta` a norma di legge.
2. Per i minori di eta` inferiore a tre anni, la validita` del passaporto e` di tre anni; per i minori di eta` compresa tra tre e diciotto anni, la validita` del passaporto e` di cinque anni.
3. In caso di urgenza ovvero in caso di impossibilita` temporanea alla rilevazione delle impronte digitali, o per particolari esigenze, puo` essere emesso un passaporto temporaneo, di validita` pari o inferiore a dodici mesi".
L’articolo 20-ter, introdotto nel corso dell’esame al Senato, modifica la legge 1185/1967, Norme sui passaporti, al fine di dare attuazione al regolamento (CE) 444/2009.
Il regolamento (CE) 444/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, a sua volta modifica il regolamento (CE) 2252/2004, relativo alle norme sulle caratteristiche di sicurezza e sugli elementi biometrici dei passaporti e dei documenti di viaggio rilasciati dagli Stati membri.
Entrambi i regolamenti citati intendono rendere più sicuri i passaporti e i documenti di viaggio stabilendo un legame più stretto tra il titolare e il relativo passaporto o documento di viaggio.
In particolare il regolamento (CE) 22252/2004 prevede l’obbligo generale di rilevare le impronte digitali e di conservarle nel supporto di memorizzazione del documento di viaggio che contiene altresì un’immagine del volto del titolare.
D’altra parte, il regolamento (CE) 444/2009 dispone che entro il 26 giugno 2012 gli Stati membri dovranno applicare il principio dei controlli “uno a uno”, ovvero un passaporto per ogni persona. Tale procedura viene infatti riconosciuta la più idonea per accrescere la sicurezza dei bambini, poiché in tal modo i dati biometrici saranno riconducibili esclusivamente al titolare del passaporto. Attualmente, i bambini possono figurare sul passaporto dei genitori senza che i loro dati siano presenti sul supporto di memorizzazione e ciò rende difficile effettuare controlli affidabili sulla loro identità.
Il regolamento, partendo dal presupposto che gli Stati membri saranno tenuti a rilasciare passaporti individuali ai minori, intende pertanto fornire un’impostazione comune riguardo alle norme sulla protezione dei bambini che attraversano le frontiere esterne degli Stati membri. La Commissione viene pertanto incaricata di presentare, entro il 26 giugno 2012, una relazione che esamini l’affidabilità e la fattibilità tecnica dell’utilizzazione, ai fini dell’identificazione, delle impronte digitali dei bambini.
Pertanto, l’articolo 20-ter modifica la citata legge 1185/1967, intervenendo in particolare sugli articoli 14 e 17.
Il vigente articolo 14 prevede che possano ottenere il passaporto individuale tutti i cittadini che abbiano compiuto il decimo anno di età. Tuttavia, il passaporto individuale può essere rilasciato anche ai minori di dieci anni purché utilizzato esclusivamente nei casi in cui il minore sia accompagnato da uno dei genitori o da chi ne fa le veci. Diversamente, deve essere riportato il nome della persona o dell'ente, cui il minore viene affidato, sullo stesso passaporto o in una dichiarazione di accompagno, sottoscritta da chi esercita sul minore la potestà e vistata dagli organi competenti al rilascio del passaporto.
L'iscrizione dei minori sul passaporto di uno dei genitori può essere richiesta fino all'età di sedici anni.
Il novellato articolo 14, introdotto dalla lettera a) della norma in esame, abolisce il limite di dieci anni, disponendo indirettamente che il passaporto spetti ad ogni cittadino, indipendentemente dall’età. Vengono introdotte ulteriori forme di garanzia, prevedendo che per tutti i minori, di età inferiore ai quattordici anni, l’uso del passaporto sia subordinato alla condizione che viaggino accompagnati o con l’indicazione dell’affidamento. Contestualmente, in conformità del principio “una persona – un passaporto” viene eliminata la possibilità dell’iscrizione del minore sul passaporto del genitore.
La successiva lettera b) sostituisce l’articolo 17 della legge 1185/1967. La validità generale del passaporto viene confermata a dieci anni, con le riduzioni previste a norma di legge.
Contestualmente il secondo periodo del novellato articolo 17 stabilisce delle eccezioni relativamente alla validità del passaporto dei minori, prevedendo che:
§ per i minori di età inferiore ai tre anni, la validità del passaporto è di tre anni;
§ per i minori di età compresa tra i tre e i diciotto anni la validità del passaporto è di cinque anni.
Il terzo periodo dispone che i titolari dei documenti di viaggio sono esentati dall’obbligo di rilevamento delle impronte digitali in caso di impossibilità temporanea o per particolari esigenze, disponendo che in questi casi possa essere emesso un passaporto di validità pari o inferiore a dodici mesi.
A tale proposito si rileva che anche il regolamento (CE) 444/2009 indica le eccezioni all’obbligo generale di rilevamento delle impronte digitali, riconoscendole per:
§ i bambini al di sotto dei dodici anni. Durante i progetti pilota condotti in alcuni Stati membri, è emerso che le impronte digitali dei bambini al di sotto dei sei anni non sono qualitativamente sufficienti per i controlli d’identità "uno a uno", subendo cambiamenti significativi che le rendono difficili da controllare durante l’intero periodo di validità del passaporto o documento di viaggio. Pertanto, il regolamento esclude dall'obbligo di rilevamento delle impronte digitali i bambini di età inferiore ai 12 anni. Tale limite è provvisorio e suscettibile di modifica, fermo restando che gli Stati membri che nella propria legislazione nazionale, adottata prima del 26 giugno 2009, abbiano previsto una soglia di età inferiore (comunque non al di sotto dei sei anni) possono continuare ad applicarla in via transitoria per altri quattro anni al massimo.
§ I soggetti per i quali il rilevamento delle impronte è fisicamente impossibile, o in via permanente, oppure temporaneamente. In tale ipotesi, è consentito il rilevamento delle impronte delle altre dita. Se non è possibile raccogliere nessuna impronta, deve essere rilasciato un passaporto temporaneo di durata massima pari a 12 mesi.
[2] A. Merlin, Con il d.lgs. 24 giugno 2003, n. 209, veicoli fuori uso smaltiti correttamente, in “Ambiente e sicurezza” n. 19/2003.
[3] Le percentuali fissate sono tutte superiori all’80% del peso medio per veicolo e per anno.
[4] R. De Nictolis, “La riforma del Codice appalti”, in: Urbanistica e appalti n. 9/2009.
[5] La direttiva 2009/17/CE deve essere recepita entro il 30 novembre 2010. La delega per il suo recepimento è contenuta nel disegno di legge comunitaria per il 2009, approvato dalla Camera dei deputati ed attualmente all’esame del Senato (A.S. 1781).
[6] La direttiva 2002/59/CE è stata recepita in Italia con il D.Lgs. 19 agosto 2005, 196, successivamente modificato dal D.Lgs. 17 novembre 2008, n. 187.
[7] Il “SafeSeaNet” è un sistema per lo scambio in formato elettronico di informazioni relative alla sicurezza portuale e marittima, alla protezione dell’ambiente marino e all’efficienza del traffico e del trasporto marittimi. Il sistema si compone di una rete di sistemi nazionali e di una banca dati centrale.
[9]www.agcm.it/AGCM_ITA/DSAP/SEGNALA.NSF/9794d4cce9ab047fc1256775004%20ac1aa/afc506faaafd1625c125747f002a3676/$FILE/AS455.pdf
[10] Tali riflessioni sono state ribadite nel corso dell’audizione presso la Commissione Ambiente della Camera del 3 dicembre 2008.
[11] Nel testo originario si usava l’espressione “soppresse”, corretta nel corso dell’esame al Senato.
[12] Si ricorda che la joint implementation (JI) o attuazione congiunta degli obblighi individuali e i clean development mechanisms (CDM) o meccanismi per lo sviluppo pulito rappresentano, insieme all’emission trading (di cui si occupa la direttiva 2003/87/CE), i meccanismi flessibili previsti per garantire un’attuazione flessibile del Protocollo e una riduzione di costi gravanti complessivamente sui sistemi economici dei paesi soggetti ai vincoli sanciti dal Protocollo stesso.
[13] Nella versione originaria del decreto-legge compariva l’ambigua dizione “registro”, poi correttamente esplicitata nel corso dell’esame al Senato.
[14] Pubblicata nella G.U. n. 195 del 24 agosto 2009.
[15] Fino ad oggi sono stati emanati: il D.M. 31 gennaio 2005, quattro D.M. in data 29 gennaio 2007 e altri cinque D.M. in data 1° ottobre 2008. I testi dei citati decreti sono reperibili all’indirizzo internet http://aia.minambiente.it/documentazione.aspx.
[16] Eco-Management and Audit Scheme. Tale regolamento viene spesso indicato come EMAS II, dato che il sistema fu introdotto dal regolamento n. 1836/93/CE.
[17] L. 23 luglio 2009, n. 99, Disposizioni per lo sviluppo e l'internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia.
[18] D.Lgs. 8 febbraio 2007, n. 20, Attuazione della direttiva 2004/8/CE sulla promozione della cogenerazione basata su una domanda di calore utile nel mercato interno dell'energia, nonchè modifica alla direttiva 92/42/CEE.
[19] Si ricorda preliminarmente che qualunque processo di produzione termoelettrica è in grado di trasformare solo in parte l’energia chimica dei combustibili in energia elettrica. Una buona parte dell’energia primaria prende infatti forma di calore che di norma viene disperso. Negli impianti con cogenerazione il calore residuo viene recuperato in una forma sfruttabile da utilizzatori civili o industriali. In questo modo l’energia totale fornita (elettricità più calore) diventa più elevata a parità di combustibile consumato, rispetto a un impianto senza cogenerazione.
L'art. 6, comma 1 del decreto legislativo n. 20/2007 dispone, al secondo periodo, l’applicazione alla cogenerazione ad alto rendimento dei benefici derivanti dall'applicazione dei provvedimenti attuativi dell'art. 9, comma 1, del decreto legislativo n. 79/1999 e dell'art. 16, comma 4, del decreto legislativo n. 164/2000.
L'art. 9, comma 1, del decreto legislativo n. 79/1999 disciplina l'obbligo delle imprese distributrici di connettere alle proprie reti tutti i soggetti che ne facciano richiesta, senza compromettere la continuità del servizio e purché siano rispettate le regole tecniche nonché le deliberazioni emanate dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas in materia di tariffe, contributi ed oneri.
L'art. 16, comma 4, del decreto legislativo n. 164/2000, di attuazione della direttiva 98/30/CE recante norme comuni per il mercato interno del gas naturale, a norma dell'articolo 41 della L. 17 maggio 1999, n. 144, definisce le modalità con cui le imprese di distribuzione del gas perseguono il risparmio energetico e lo sviluppo delle fonti rinnovabili, in coerenza con gli impegni previsti dal protocollo di Kyoto.
[20] Si ricorda che l'articolo 14 del decreto legislativo 8 febbraio 2007, n. 20, reca disposizioni transitorie relativamente ai diritti acquisiti da soggetti titolari di impianti realizzati o in fase di realizzazione in attuazione dell'articolo 1, comma 71, della legge 23 agosto 2004, n. 239, come vigente al 31 dicembre 2006. Il citato comma 71, che attribuiva il diritto all’emissione dei certificati verdi - fra l’altro - all’energia prodotta da impianti di cogenerazione abbinati al teleriscaldamento, limitatamente alla quota di energia termica effettivamente utilizzata per il teleriscaldamento, è stato abrogato dal comma 1120 dell’articolo 1 della legge finanziaria per il 2007.
[21] Per il testo della sentenza e relativo commento si veda C. Rovito, Una condanna per l’Italia dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee per la mancata adozione dei “piani di raccolta e gestione dei rifiuti portuali”, tratto dalla rivista on line “Diritto all’ambiente” e disponibile all’indirizzo internet http://www.simoline.com/clienti/dirittoambiente/file/acque_marino_45.pdf.
[22] Tale comunicato (IP/09/772 del 14 maggio 2009) è disponibile all’indirizzo web:
[23] Sui rapporti tra vecchia e nuova disciplina si veda S. Leoni, L’articolo 18 della legge n. 349/1986 è stato realmente abrogato?, in “Ambiente e sviluppo” n. 7/2009.
[24] Legge 14 gennaio 1994, n. 20, Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti.
[25] Già il comma 7 dell’art. 2 del D.L. 208/2008 era stato da più parti criticato per non aver posto un vincolo all’utilizzo di tali somme per gli interventi di bonifica http://www.regioni.it/mhonarc/details_news.aspx?id=155095.
[26] D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 109 Attuazione della direttiva 89/395/CEE e della direttiva 89/396/CEE concernenti l'etichettatura, la presentazione e la pubblicità dei prodotti alimentari.
[27] Dir. 27 novembre 2007, n. 2007/68/CE“che modifica l’allegato III bis della direttiva 2000/13/CE del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto concerne l'inclusione di alcuni ingredienti alimentari.
[28] Tale procedura è definita dall'art. 29, comma 3-bis dello stesso D.Lgs. n. 109 (comma inserito dall'art. 27, comma 3, della L. n. 88/09 Comunitaria 2008).
[29] Cui gli strumenti metrici devono essere sottoposti prima dell'immissione in commercio che, di norma, segue la fabbricazione dello strumento metrico e che interessa esclusivamente i fabbricanti di strumenti metrici. La verifica consiste nell’accertamento della corrispondenza dello strumento a tutte le prescrizioni contenute nello specifico decreto di approvazione (emanato secondo la normativa nazionale, ovvero comunitaria) di quel modello di strumento, nonché la compatibilità con eventuali altri strumenti ad esso collegati.
[30] La citata disposizione, disciplinando la procedura di verificazione dei misuratore di gas, prevedeva, tra l’altro, che il Ministro dell’industria, con proprio decreto ne stabilisse forme e modalità nonché la determinazione - in base al criterio di reciprocità - dei controlli sugli strumenti prodotti nei Paesi appartenenti alla Comunità europea e armonizzati dalla normativa comunitaria. Oggetto dei rilievi della Commissione europea era stato, essenzialmente, il richiamo al “principio di reciprocità”, per il quale l’ordinamento italiano riconosceva al soggetto di un altro ordinamento, condizioni e diritti eguali a quelli di cui i soggetti italiani godono in quest’ultimo ordinamento. Con la modifica introdotta è stata eliminata dalla citata disposizione del testo unico il riferimento al “principio di reciprocità”, lasciando, quale unico criterio informatore degli scambi intracomunitari, quello del mutuo riconoscimento delle normative tecniche adottate in ciascuno dei paesi di provenienza, in attuazione del principio generale di libera circolazione delle merci fissato nei trattati istitutivi dell’Unione. Inoltre, riprendendo i più recenti orientamenti della giurisprudenza comunitaria, tesi a sviluppare la reciproca fiducia tra gli stati dell’Unione, la riformulazione recata dal comma 1 ha specificato che i prodotti importati dai paesi membri dell’UE o dello Spazio economico europeo non possano essere assoggetti a verificazione, al momento della loro immissione in commercio, se le medesime prove e verificazioni siano già state effettuate nello Stato di origine ed i relativi risultati siano a disposizione delle autorità italiane.
[31] D.Lgs. 23 maggio 2000, n. 164, Attuazione della direttiva 98/30/CE recante norme comuni per il mercato interno del gas naturale, a norma dell'articolo 41 della L. 17 maggio 1999, n. 144.
[32] Disposizioni per lo sviluppo e l'internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia.
[33] L’art. 11 del D.Lgs. 79/1999 pone a carico dei produttori ed importatori di energia elettrica prodotta da fonti non rinnovabili l’obbligo di immettere nella rete elettrica, a decorrere dal 2002, una quota minima di elettricità prodotta da impianti alimentati da fonti rinnovabili entrati in esercizio dopo il 1° aprile 1999. Tale quota, inizialmente fissata al 2%, è applicata sulla produzione e sulle importazioni dell’anno precedente, decurtate dell’elettricità prodotta in cogenerazione, degli autoconsumi di centrale, delle esportazioni, con una “franchigia” di 100 GWh, ridotta a 50 GWh dalla successiva legge di riordino del settore energetico. La menzionata quota è stata poi innalzata dall’art. 4 del D.Lgs. 387/2003, che ne ha stabilito un incremento annuo dello 0,35% per il triennio 2004-2006, demandando a successivi decreti la fissazione degli ulteriori incrementi per i trienni successivi. Su tale norma è successivamente intervenuta la legge finanziaria 2008 (L. 244/2007, comma 146 dell’art. 2), che ha fissato l’incremento annuo della quota minima d'obbligo, con riferimento al periodo 2007-2012, in 0,75 punti percentuali, prevedendo che gli ulteriori incrementi per gli anni successivi al 2012 saranno stabiliti con decreti ministeriali.
[34] Il servizio di dispacciamento consiste nella gestione dei flussi di energia sulla rete in modo che l'offerta e la domanda siano sempre in equilibrio.
[35] Autorità per l’energia elettrica e il gas, delibera n. 111/06 recante Condizioni per l’erogazione del pubblico servizio di dispacciamento dell’energia elettrica sul territorio nazionale e per l’approvvigionamento delle relative risorse su base di merito economico, ai sensi degli articoli 3 e 5 del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79. Con tale provvedimento l’AEEGha deliberato una riforma rilevante delle condizioni del dispacciamento di merito economico. La delibera è stata modificata più volte, da ultimo con la delibera ARG/elt 52/09 con la quale l’Autorità ha introdotto alcune significative novità per i servizi di dispacciamento, con l’obiettivo di aumentare la concorrenza nel mercato e di contenere i prezzi dell’energia elettrica, in coerenza con quanto previsto dal decreto-legge n. 185/2008 (d.l. “anti-crisi”).
[36] Tale direttiva – insieme alla decisione n. 406/2009/CE - rientra tra le misure previste dal pacchetto legislativo “energia-clima” volte a combattere i cambiamenti climatici e a promuovere le energie rinnovabili, che consentiranno alla UE di ridurre del 20% le emissioni di gas a effetto serra, di portare al 20% il risparmio energetico e di aumentare al 20% la quota di energia da fonti rinnovabili sul consumo finale di energia da qui al 2020.
[37] Si consideri che il comma 167 dell’art. 2 della legge finanziaria 2008 (L. 244/2007), come novellato dall’art. 8-bis del D.L. 208/2008, prevede che il Ministro dello sviluppo economico di concerto con il Ministro dell’ambiente, d’intesa con la Conferenza permanente Stato-regioni, definisca con uno o più decreti la ripartizione fra le regioni della quota minima di incremento dell’energia elettrica prodotta con fonti rinnovabili necessaria per raggiungere l’obiettivo del 17 per cento del consumo interno lordo entro il 2020, e dei successivi aggiornamenti proposti dall’Unione europea.
[38] In base all’articolo 228 del TCE, nel caso in cui uno Stato membro non abbia ottemperato ad una sentenza emessa dalla Corte di giustizia per violazione del diritto comunitario ai sensi dell’articolo 226 del Trattato CE, la Commissione invia una lettera di messa in mora, nella quale esprime raccomandazioni volte a porre fine all’illecito e invita lo Stato membro in questione a presentare le sue osservazioni. Qualora lo Stato membro persista nell’inottemperanza, la Commissione invia un parere motivato, nel quale sono indicati precisamente i punti sui quali lo Stato membro in questione non si è conformato alla sentenza della Corte di giustizia. Nel caso in cui lo Stato membro non rispetti il termine fissato dalla Commissione per l’adozione dei provvedimenti di esecuzione della sentenza, la Commissione ha la facoltà di adire la Corte di giustizia, precisando nel ricorso l'importo della somma forfetaria o della penalità. La Corte di giustizia, qualora accolga il ricorso della Commissione, pronuncia una sentenza di condanna nei confronti dello Stato medesimo.
[39] Cfr. l'articolo 22, comma 2, del decreto-legge 1º luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102.
[40] Norme di qualità e sicurezza per la donazione, l’approvvigionamento il controllo la lavorazione la conservazione lo stoccaggio e la distribuzione di tessuti e cellule umane
[41] Si tratta, in particolare, del regolamento (CE) n. 852/2004 sull'igiene dei prodotti alimentari, del regolamento (CE) n. 853/2004, che stabilisce le norme specifiche in materia d'igiene per i prodotti alimentari di origine animale e del regolamento (CE) 854/2004, che stabilisce norme particolareggiate per l'organizzazione dei controlli ufficiali sui prodotti di origine animale destinati al consumo umano.
[42] Recante Attuazione dell'articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.
[43] Istituzione e disciplina dell'imposta sul valore aggiunto
[44] Ai sensi dell’articolo 162 del D.P.R. n. 917 del 1986 (TUIR) l'espressione "stabile organizzazione" designa una sede fissa di affari per mezzo della quale l'impresa non residente esercita in tutto o in parte la sua attività sul territorio dello Stato.
[45] La identificazione dei soggetti non residenti ai fini IVA è disciplinata dall’articolo 35-ter del medesimo D.P.R. n. 633/1972.
[46] Regolamento recante norme per il riordino della disciplina delle presunzioni di cessione e di acquisto
[47] La Commissione aveva notificato in precedenza all’Italia un parere motivato.
[48] L’art. 56 del Trattato CE vieta tutte le restrizioni ai movimenti di capitali tra Stati membri, nonché tra Stati membri e paesi terzi, nonché tutte le restrizioni sui pagamenti tra Stati membri, nonché tra Stati membri e paesi terzi. Tuttavia, in base all’art. 58 del Trattato CE, le disposizioni dell'articolo 56 non pregiudicano il diritto degli Stati membri: a) di applicare le pertinenti disposizioni della loro legislazione tributaria in cui si opera una distinzione tra i contribuenti che non si trovano nella medesima situazione per quanto riguarda il loro luogo di residenza o il luogo di collocamento del loro capitale; b) di prendere tutte le misure necessarie per impedire le violazioni della legislazione e delle regolamentazioni nazionali, in particolare nel settore fiscale e in quello della vigilanza prudenziale sulle istituzioni finanziarie, o di stabilire procedure per la dichiarazione dei movimenti di capitali a scopo di informazione amministrativa o statistica, o di adottare misure giustificate da motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza. Inoltre, tali misure e procedure non devono costituire un mezzo di discriminazione arbitraria, né una restrizione dissimulata al libero movimento dei capitali e dei pagamenti di cui all'articolo 56.
Secondo l’art. 40 dell’Accordo sullo Spazio Economico europeo, fra le Parti contraenti non debbono sussistere restrizioni ai movimenti di capitali appartenenti a persone residenti negli Stati membri della Comunità o negli Stati AELS (EFTA) né discriminazioni di trattamento fondate sulla nazionalità o sulla residenza delle parti o sul luogo del collocamento dei capitali.
[49] Si tratta dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento e proporzionalità.
[51] Il potere calorifico rappresenta la quantità di calore, espressa in kilocalorie o megajoule, prodotta da un chilogrammo di combustibile, quando questo brucia completamente in condizioni standard. Si definisce potere calorifico inferiore il calore rilasciato dalla combustione di una massa unitaria di campione, a pressione costante di 1 atmosfera, dove l’acqua rimane allo stato di vapore.
[53]http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Norme%20e%20Tributi/2009/10/Decreto-ministeriale-su-servizio-depurazione.pdf?uuid%3D45c7efec-b508-11de-8f36-108a94177710
[54] L. 23 luglio 2009, n. 99, Disposizioni per lo sviluppo e l'internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia.
[55] Come modificato prima dal comma 9 dell'art. 1, D.L. 14 marzo 2005, n. 35, poi dall'art. 2-ter, D.L. 30 settembre 2005, n. 203, poi ancora dal comma 941 dell’articolo 1 della legge finanziaria per il 2007 (L. 296/2006), quindi infine dal comma 4 dell’articolo 17 della L. 99/2009.
[56] Va ricordato che l’art. 517 c.p., come recentemente novellato dalla legge n. 99 del 2009 (Disposizioni per lo sviluppo e l'internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia), prevede che chiunque pone in vendita o mette altrimenti in circolazione opere dell'ingegno o prodotti industriali, con nomi, marchi o segni distintivi nazionali o esteri, atti a indurre in inganno il compratore sull'origine, provenienza o qualità dell'opera o del prodotto, è punito, se il fatto non è previsto come reato da altra disposizione di legge, con la reclusione fino a 2 anni e con la multa fino a 20.000 euro.
[57] In sostanza, a seguito delle modifiche introdotte all'art. 4, co. 49, della L. 350/2003 con la L. 99/2009, la configurabilità del reato di cui all’art. 517 c.p. veniva estesa anche alla circostanza di mancata indicazione precisa del Paese di origine o comunque di informazioni chiare sull’origine del prodotto, nel caso in cui si faccia uso di marchi di aziende italiane, su prodotti o merci non originari dell’Italia. Pertanto, un prodotto con marchio appartenente a una azienda italiana, che però sia stato fabbricato all’estero e su cui non è chiaramente indicato il Paese di origine, sarebbe potuto rientrare nella fattispecie di reato di cui all’art. 517 c.p., anche se sullo stesso non è apposta la dicitura “Made in Italy”.
[58] D.Lgs. 19-11-2004 n. 297 Disposizioni sanzionatorie in applicazione del regolamento (CEE) n. 2081/92, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine dei prodotti agricoli e alimentari.
[59] A norma dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, recante "Disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri" e successive modificazioni.
[60] In particolare con l'art. 28 della Legge Finanziaria per il 1999 (Legge n. 488/1998).
[61] Convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2008, n. 133.
[62] Decreto legge 28 marzo 3003, n. 49 Riforma della normativa in tema di applicazione del prelievo supplementare nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 maggio 2003, n. 119.
[63] In merito va precisato che pur in presenza di esuberi produttivi di singoli produttori in relazione alla quota da loro posseduta, la produzione globale nazionale può, a seguito dell’espletamento delle procedure di compensazione fra i produttori eccedentari con quelli deficitari, risultare in linea con il quantitativo assegnato al paese.
[64] Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale" convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2.
[65] Articolo 66, comma 14, del D.L. 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, e articolo 3, comma 70, della legge 28 dicembre 1995, n. 549.
[66] La decisione comunitaria – ai sensi dell’articolo 249, comma 4, del Trattato CE – è un atto normativo obbligatorio in tutti i suoi elementi per i destinatari ivi individuati. Essa rappresenta lo strumento utilizzato dalle istituzioni quando sono chiamate ad applicare il diritto comunitario a singole fattispecie concrete. I destinatari delle decisioni possono essere sia gli Stati (anche tutti gli Stati dell’Unione europea) sia persone fisiche o giuridiche.
[67] Il Trattato che istituisce la Comunità europea (TCE), nel prevedere tra i suoi obiettivi il rafforzamento della competitività dell'industria comunitaria, ha vietato gli aiuti di Stato alle imprese, in quanto distorsivi del principio della libera concorrenza, tranne in casi esplicitamente indicati. In particolare, ai sensi dell’articolo 87, paragrafo 1, del Trattato, sono ritenuti “incompatibili con il mercato comune, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza”.
[68] Articolo 9-bis del D.L. 1° luglio 1986, n. 318, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 1986, n. 488 che riconosce, in favore delle spa a prevalente capitale pubblico che prestano servizi pubblici la possibilità di contrarre prestiti a tassi agevolati con la Cassa depositi e prestiti.
[69] Il citato articolo 228, paragrafo 2, Trattato CE, prevede che la Commissione possa avviare un’apposita procedura nei confronti di uno Stato che – sebbene condannato dalla Corte di giustizia per violazione di uno degli obblighi su di esso incombenti in virtù del Trattato – non abbia adottato i provvedimenti derivanti dall’esecuzione della sentenza della Corte.
[70] Recante “Disposizioni volte a dare attuazione ad obblighi comunitari ed internazionali” e convertito dalla legge n. 46 del 2007.
[71] Il primo intervento per il recupero degli aiuti di Stato di cui alla citata decisione 2003/193/CE è costituito dall’articolo 27 della legge n. 62 del 2005 (Legge Comunitaria 2004) il quale ha disciplinato, ai commi da 1 a 7, il recupero delle agevolazioni fiscali e, ai commi da 8 a 16, la restituzione degli aiuti consistenti nella concessione di prestiti a tassi agevolati. Successivamente, i commi da 1 a 7 sono stati abrogati dall’articolo 1 del D.L. 10/2007 che ha anche ridisciplinato le procedure di recupero.
[72] Ai sensi dell’articolo 43 del D.P.R. n. 600/1973 il termine ordinario di prescrizione dell’attività di accertamento è fissato al 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione, ovvero del quinto anno nei casi di omessa presentazione della dichiarazione o di presentazione di dichiarazione nulla.
[73] In base all’articolo 228 TCE, qualora la Corte di giustizia Quando la Corte di giustizia riconosca che uno Stato membro ha mancato ad uno degli obblighi ad esso incombenti in virtù del trattato, tale Stato è tenuto a prendere i provvedimenti che l'esecuzione della sentenza della Corte di giustizia comporta. Nel caso in cui lo Stato si sia reso inottemperante alla sentenza della Corte, la Commissione invia una lettera di messa in mora, nella quale esprime raccomandazioni volte a porre fine all’illecito e invita lo Stato membro in questione a presentare le sue osservazioni. Qualora lo Stato membro persista nell’inottemperanza, la procedura prosegue con l’invio, da parte della Commissione, di un parere motivato, nel quale sono indicati precisamente i punti sui quali lo Stato membro in questione non si è conformato alla sentenza della Corte di giustizia. Nel caso in cui lo Stato membro non rispetti il termine fissato dalla Commissione per l’adozione dei provvedimenti di esecuzione della sentenza, la Commissione ha infine la facoltà diadire la Corte di giustizia, precisando nel ricorso l'importo della somma forfetaria o della penalità. La Corte di giustizia, qualora accolga il ricorso della Commissione, pronuncia una sentenza di condanna nei confronti dello Stato medesimo.
[74] Il SIOPE (Sistema informativo sulle operazioni degli enti pubblici), è un sistema di rilevazione telematica degli incassi e dei pagamenti effettuati dai tesorieri di tutte le amministrazioni pubbliche, che nasce dalla collaborazione tra la Ragioneria Generale dello Stato, la Banca d'Italia e l' ISTAT, in attuazione dall'articolo 28 della legge n. 289/2002.
[75] L’articolo 161, comma 1, del TUEL (D.Lgs. 267 del 2000) prevede che gli enti locali siano tenuti a redigere apposite certificazioni sui principali dati del bilancio di previsione e del rendiconto. Le modalità per la redazione delle certificazioni sono stabilite tre mesi prima della scadenza di ciascun adempimento con decreto del Ministro dell'interno d'intesa con l'Anci, Upi e Uncem. Le modalità relative alle certificazioni concernenti il rendiconto al bilancio 2008 sono stabilite con il D.M. 14 agosto 2009.
[76] La citata lettera h) reca l’individuazione di principi fondamentali di armonizzazione dei bilanci pubblici, previamente ‘concordati’ in sede di Conferenza unificata e coerenti con quelli che disciplinano la redazione del bilancio dello Stato. E’ inoltre richiesto che il legislatore delegato individui il termine entro il quale regioni ed enti locali devono comunicare al Governo i propri bilanci preventivi e consuntivi, prevedendo sanzioni in caso di mancato rispetto di tale termine, nonché l’individuazione dei princìpi fondamentali per la redazione, entro un determinato termine il cui mancato rispetto comporti sanzioni, dei bilanci consolidati delle regioni e degli enti locali in modo tale da assicurare le informazioni relative ai servizi esternalizzati.
[77] Fonte:http://www.regioni.it/newsletter/newsletter.asp?newsletter_data=2009-11-04&newsletter_numero=1471#art2
[78] Ristrutturazione dei servizi marittimi di preminente interesse nazionale.
[79] Riordinamento dei servizi marittimi postali e commerciali di carattere locale.
[80] Decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422, Conferimento alle regioni ed agli enti locali di funzioni e compiti in materia di trasporto pubblico locale, a norma dell'articolo 4, comma 4, della L. 15 marzo 1997, n. 59.
[81] Ai sensi dell’articolo 3 costituiscono servizi pubblici di trasporto di interesse nazionale:
a) i servizi di trasporto aereo, ad eccezione dei collegamenti che si svolgono esclusivamente nell'ambito di una regione e dei servizi elicotteristici;
b) i servizi di trasporto marittimo, ad eccezione dei servizi di cabotaggio che si svolgono prevalentemente nell'ambito di una regione;
c) i servizi di trasporto automobilistico a carattere internazionale, con esclusione di quelli transfrontalieri, e le linee interregionali che collegano più di due regioni;
d) i servizi di trasporto ferroviario internazionali e quelli nazionali di percorrenza medio-lunga caratterizzati da elevati standards qualitativi. Detti servizi sono tassativamente individuati con decreto del Ministro dei trasporti e della navigazione, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. Qualora la predetta intesa non sia raggiunta entro quarantacinque giorni dalla prima seduta in cui l'oggetto è posto all'ordine del giorno, provvede il Consiglio dei Ministri;
e) i servizi di collegamento via mare fra terminali ferroviari;
f) i servizi di trasporto di merci pericolose, nocive ed inquinanti.
[82] L. 10-10-1990 n. 287, Norme per la tutela della concorrenza e del mercato, pubblicata nella Gazz. Uff. 13 ottobre 1990, n. 240
[83] L. 23-12-1996 n. 662, Misure di razionalizzazione della finanza pubblica, pubblicata nella Gazz. Uff. 28 dicembre 1996, n. 303, S.O.
[84] D.L. 31-5-1994 n. 332, Norme per l'accelerazione delle procedure di dismissione di partecipazioni dello Stato e degli enti pubblici in società per azioni, pubblicato nella Gazz. Uff. 1° giugno 1994, n. 126 e convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, L. 30 luglio 1994, n. 474 (Gazz. Uff. 30 luglio 1994, n. 177).
[85] L. 7-12-1999 n. 472, Interventi nel settore dei trasporti, pubblicata nella Gazz. Uff. 16 dicembre 1999, n. 294, S.O.
[86] “Aggiornamento dotazione del fondo aree sottoutilizzate, assegnazione risorse ai programmi strategici regionali, interregionali e agli obiettivi di servizio e modifica della delibera 166/2007” , 6 marzo 2009.
[87] L. 28-1-1994 n. 84, Riordino della legislazione in materia portuale, pubblicata nella Gazz. Uff. 4 febbraio 1994, n. 28, S.O.
[88] Articolo 1, comma 155, della L. 311/2004 (legge finanziaria per il 2005), articolo 1, comma 410, della L. 266/2005 (legge finanziaria per il 2006), articolo 1, comma 1190, della L. 296/2006 (legge finanziaria per il 2007) e articolo 2, comma 521, della L. 244/2007 (legge finanziaria per il 2008)
[89] L. 17 maggio 1999, n. 144, Misure in materia di investimenti, delega al Governo per il riordino degli incentivi all'occupazione e della normativa che disciplina l'INAIL, nonché disposizioni per il riordino degli enti previdenziali.
[90] L. 21 dicembre 1978, n. 845, Legge-quadro in materia di formazione professionale.
[91] D.L. 1-7-2009 n. 78, Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini, pubblicato nella Gazz. Uff. 1° luglio 2009, n. 150.
[92] D.L. 29-11-2004 n. 282, Disposizioni urgenti in materia fiscale e di finanza pubblica, pubblicato nella Gazz. Uff. 29 novembre 2004, n. 280 e convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, L. 27 dicembre 2004, n. 307
[93] D.L. 30-12-2008 n. 207, Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni finanziarie urgenti, pubblicato nella Gazz. Uff. 31 dicembre 2008, n. 304 e convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, L. 27 febbraio 2009, n. 14.
[94] Comitato interministeriale per il coordinamento della politica industriale. Il CIPI – come numerosi altri Comitati- è stato soppresso dall’art. 1, comma 21, della L. 537/1993 (Interventi correttivi di finanza pubblica); ai sensi del comma 24 dello stesso articolo sono attribuiti alla responsabilità individuale dei Ministri con competenza prevalente le funzioni e i compiti settoriali svolti dai soppressi Comitati.
[95] Nuova disciplina dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, a norma dell'articolo 1 della L. 30 luglio 1998, n. 274.
[96] Si ricorda che il D.Lgs. 270/1999 reca la disciplina “generale” in materia di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, mentre successivamente con il D.L. 347/2003 è stata introdotta una disciplina “speciale” - caratterizzata dal fatto di svolgersi sotto la “supervisione” del Ministro competente piuttosto che dell’autorità giudiziaria - che si applica alle imprese di maggiori dimensioni (in termini di dipendenti e di indebitamento).
[97] Il commissario straordinario, che subentra al commissario giudiziale, viene nominato dopo l’apertura della procedura di amministrazione straordinaria con il compito di gestire la procedura.
[98] Il DL 134/2008 (art. 1, co. 1-bis), per le società operanti nel settore dei servizi pubblici essenziali, prevede un ulteriore indirizzo alternativo in base al quale può essere redatto il programma, consistente nella cessione dei complessi di beni e contratti.
[99] Più in generale, la materia del trasferimento d’azienda è stata caratterizzata, negli ultimi anni, dall’intervento di vari provvedimenti, sia a livello nazionale sia a livello comunitario.
In particolare, con il richiamato D.Lgs. 18/2001 emanato in attuazione della delega contenuta nella legge comunitaria per il 2000 (L. 526/1999), il legislatore è intervenuto in maniera significativa sull’articolo 2112 c.c. e sull’articolo 47 della L. 428/1990.
In particolare, oltre alla modifica dei termini utilizzati di alienante e acquirente in cedente e cessionario, l’articolo 1 del richiamato D.Lgs. 18/2001 modificò il quinto comma dell’articolo 2112 c.c., definendo, per la prima volta nell’ordinamento, il concetto di trasferimento d’azienda (qualsiasi operazione comportante il mutamento nella titolarità di un’attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi, preesistente al trasferimento e che conserva la propria identità) nonché introducendo la nozione legislativa di ramo d’azienda (intesa come articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata preesistente al trasferimento e che conserva la propria identità).
Successivamente all’entrata in vigore del D.Lgs. 18/2001, con l’emanazione della direttiva n. 2001/23/CE del 12 marzo 2001, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese, contestualmente all’abrogazione delle precedenti direttive 77/187/CEE e 98/50/CE, è stata dettata una disciplina complessiva dell’istituto in oggetto, anche se in larga parte coincidente con le previgenti disposizioni.
In particolare, la direttiva in oggetto in primo luogo ha specificato che la sua disciplina si applica ai trasferimenti di imprese, stabilimenti o parti di essi ad un nuovo imprenditore in seguito a cessione contrattuale o fusione (articolo 1, paragrafo 1.a); inoltre ha definito come trasferimento di azienda quello di un’entità economica che conservala propria identità intesa come insieme di mezzi organizzati al fine dello svolgimento di un’attività economica, sia essenziale o accessoria.
Della richiamata direttiva 2001/23/CE è stata espressamente prevista l’attuazione nell’articolo 1, comma 2, lettera p), della L. 14 febbraio 2003, n. 30 , il quale ha stabilito la revisione del D.Lgs. 18/2001 con le seguenti finalità:
§ completo adeguamento dell’ordinamento nazionale alla disciplina comunitaria mediante, appunto, il recepimento della richiamata direttiva 2001/23/CE;
§ previsione del requisito dell’autonomia funzionale del ramo d’azienda nel momento del suo trasferimento;
§ previsione di un regime particolare di solidarietà tra appaltante e appaltatore, nei limiti prescritti dall’articolo 1676 c.c. nelle ipotesi in cui il contratto di appalto sia connesso alla cessione del ramo d’azienda.
In relazione a ciò, l’articolo 32 del D.Lgs. 276/2003, attuativo della delega di cui alla L. 30/2003, ha riformulato il quinto comma dell’articolo 2112 c.c., aggiungendo infine un ulteriore comma allo stesso articolo.
Le modificazioni sostanziali introdotte dal predetto decreto legislativo sono riassumibili nelle seguenti:
· limitazione della fattispecie alla cessione contrattuale o alla fusione;
· eliminazione del riferimento alla produzione o alla scambio di beni e servizi;
· identificazione del ramo d’azienda, inteso come articolazione funzionalmente autonoma di un’attività organizzata, da parte del cedente e del cessionario al momento del trasferimento;
· previsione del regime di solidarietà di cui all’art. 1676 c.c.
Più specificamente:
· si è precisato, recependo il dettato della richiamata direttiva 2001/23/CE, che il mutamento della titolarità dell’attività organizzata può intervenire “in seguito a cessione contrattuale o fusione”. E’ da ritenere che nell’espressione “cessione contrattuale” si voglia ricomprendere non solo il contratto di compravendita, ma anche i contratti di affitto e di usufrutto di azienda, il cui esplicito riferimento viene eliminato nella nuova formulazione;
· viene precisato che il ramo d’azienda, inteso come articolazione funzionalmente autonoma dell’azienda, può constare anche esclusivamente di beni immateriali;
· è stato previsto che il requisito dell’autonomia funzionale sussista al momento del trasferimento del ramo d’azienda e sia identificata come tale dalle parti del contratto al momento del suo trasferimento.
Inoltre, con un nuovo sesto comma è stato disposto che qualora al trasferimento sia connesso un contratto di appalto, tra appaltante e appaltatore opera il “regime di solidarietà di cui all’articolo 1676 ” del codice civile. Successivamente, l’articolo 9 del D.Lgs. 251/2004 ha novellato il sesto comma dell’art. 2112 del c.c., facendo riferimento, ai fini del regime di solidarietà tra appaltante e appaltatore non più all’art. 1676 c.c., bensì all’art. 29 comma 2, del D.Lgs. 276 del 2003. Tale disposizione prevede che, in caso di appalto di opere o di servizi il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l'appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali ulteriori subappaltatori entro il limite di due anni dalla cessazione dell'appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi e i contributi previdenziali dovuti.
[100] Attuativo della direttiva n. 77/187/CE.
[101] “Attuazione della direttiva 98/50/CE relativa al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti”
[102] Attuazione della direttiva 2001/83/CE (e successive direttive di modifica) relativa ad un codice comunitario concernente i medicinali per uso umano, nonché della direttiva 2003/94/CE
[103] Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 248/2006.
[104] Disposizioni correttive al decreto legislativo 24 aprile 2006, n. 219, recante attuazione della direttiva 2001/83/CE relativa ad un codice comunitario concernente medicinali per uso umano.
[105] La Direttiva 2002/58/CE (sul trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche), demanda agli Stati il compito di assicurare che «gli abbonati abbiano la possibilità di decidere se i loro dati personali – e, nell'affermativa, quali – debbano essere riportati in un elenco pubblico» (art. 12), nonché di adottare «le misure appropriate per garantire che, gratuitamente, le comunicazioni indesiderate a scopo di commercializzazione diretta […] non siano permesse se manca il consenso degli abbonati interessati oppure se gli abbonati esprimono il desiderio di non ricevere questo tipo di chiamate» (art. 13).
[106] La risposta scritta della Commissione europea all’interrogazione P-1463/2009 (on. Cappato) affermava che “La Commissione ha rilevato le divergenze tra la recente legge (ndr. art. 44, comma 1bis, l. n.14 del 2009) e le decisioni del Garante e solleverà con le autorità italiane la questione della compatibilità di tale legge con la direttiva relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche. Se necessario adotterà misure appropriate per garantire il rispetto della legislazione comunitaria sulla protezione dei dati, in particolare della direttiva 2002/58/CE“.
[107] L’art. 23ammette il trattamento di dati personali da parte di privati o di enti pubblici economici solo con il consenso espresso dell'interessato (comma 1).In particolare, l’art. 24 non prevede la richiesta del consenso quando il trattamento dei dati: a) è necessario per adempiere ad un obbligo previsto dalla legge, da un regolamento o dalla normativa comunitaria; b) è necessario per eseguire obblighi derivanti da un contratto del quale è parte l'interessato o per adempiere, prima della conclusione del contratto, a specifiche richieste dell'interessato; c) riguarda dati provenienti da pubblici registri, elenchi, atti o documenti conoscibili da chiunque, fermi restando i limiti e le modalità che le leggi, i regolamenti o la normativa comunitaria stabiliscono per la conoscibilità e pubblicità dei dati; d) riguarda dati relativi allo svolgimento di attività economiche, trattati nel rispetto della vigente normativa in materia di segreto aziendale e industriale; e) è necessario per la salvaguardia della vita o dell'incolumità fisica di un terzo. Se la medesima finalità riguarda l'interessato e quest'ultimo non può prestare il proprio consenso per impossibilità fisica, per incapacità di agire o per incapacità di intendere o di volere, il consenso è manifestato da chi esercita legalmente la potestà, ovvero da un prossimo congiunto, da un familiare, da un convivente o, in loro assenza, dal responsabile della struttura presso cui dimora l'interessato. Si applica la disposizione di cui all'articolo 82, comma 2; f) con esclusione della diffusione, è necessario ai fini dello svolgimento delle investigazioni difensive di cui alla legge 7 dicembre 2000, n. 397, o, comunque, per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria, sempre che i dati siano trattati esclusivamente per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento, nel rispetto della vigente normativa in materia di segreto aziendale e industriale; g) con esclusione della diffusione, è necessario, nei casi individuati dal Garante sulla base dei princìpi sanciti dalla legge, per perseguire un legittimo interesse del titolare o di un terzo destinatario dei dati, anche in riferimento all'attività di gruppi bancari e di società controllate o collegate, qualora non prevalgano i diritti e le libertà fondamentali, la dignità o un legittimo interesse dell'interessato; h) con esclusione della comunicazione all'esterno e della diffusione, è effettuato da associazioni, enti od organismi senza scopo di lucro, anche non riconosciuti, in riferimento a soggetti che hanno con essi contatti regolari o ad aderenti, per il perseguimento di scopi determinati e legittimi individuati dall'atto costitutivo, dallo statuto o dal contratto collettivo, e con modalità di utilizzo previste espressamente con determinazione resa nota agli interessati all'atto dell'informativa ai sensi dell'articolo 13; i) è necessario, in conformità ai rispettivi codici di deontologia di cui all'allegato A), per esclusivi scopi scientifici o statistici, ovvero per esclusivi scopi storici presso archivi privati dichiarati di notevole interesse storico ai sensi dell'articolo 6, comma 2, del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, di approvazione del testo unico in materia di beni culturali e ambientali o, secondo quanto previsto dai medesimi codici, presso altri archivi privati