Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento istituzioni
Titolo: Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica - D.L. 92/2008 - A.C. 1366 - Schede di lettura
Riferimenti:
AC N. 1366/XVI   DL N. 92 DEL 23-MAG-08
Serie: Progetti di legge    Numero: 14
Data: 27/06/2008
Descrittori:
ORDINE PUBBLICO   PUBBLICA SICUREZZA
Organi della Camera: I-Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni
II-Giustizia
Altri riferimenti:
L N. 125 DEL 24-LUG-08   AS N. 692/XVI


Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

SERVIZIO STUDI

 

Progetti di legge

Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica

D.L. 92/2008 - A.C. 1366

Schede di lettura

 

 

 

 

n. 14

 

 

26 giugno 2008

 


DIPARTIMENTO istituzioni

SIWEB

 

 

Dipartimento giustizia

SIWEB

Hanno partecipato alla redazione del dossier l'Ufficio Rapporti con l'Unione europea e l’Avvocatura, Osservatorio sulle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo.

 

 

I dossier dei servizi e degli uffici della Camera sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.

 

 

File: D08092.doc

 


INDICE

Schede di lettura

§      Articolo 1 (Modifiche al codice penale)3

§      Art. 2 (Modifiche al codice di procedura penale)37

§      Art. 2-bis (Modifiche alle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271)50

§      Art. 2-ter (Sospensione dei processi penali relativi a fatti commessi fino al 30 giugno 2002).53

§      Art. 3 (Modifiche al decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274)60

§      Art. 4 (Modifiche al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni)62

§      Articolo 5 (Modifiche al testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286).71

§      Art. 6 (Modifica del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, in materia di attribuzioni del sindaco nelle funzioni di competenza statale)75

§      Art. 6-bis (Modifica all’articolo 16 della legge 24 novembre 1981, n. 689)86

§      Art. 7 (Collaborazione della polizia municipale e provinciale nell’ambito dei piani coordinati di controllo del territorio)89

§      Art. 7-bis (Concorso delle Forze armate nel controllo del territorio)92

§      Art. 8 (Accesso della polizia municipale al Centro elaborazione dati del Ministero dell’interno)98

§      Art. 8-bis (Accesso degli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria appartenenti al Corpo delle Capitanerie di porto al Centro elaborazione dati del Ministero dell'interno)104

§      Art. 9 (Centri di identificazione ed espulsione)107

§      Articolo 10 (Modifiche alla legge 31 maggio 1965, n. 575)110

§      Art. 10-bis (Modifiche al decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356)128

§      Art. 11 (Modifiche alla legge 22 maggio 1975, n. 152)133

§      Art. 11-bis (Modifiche alla legge 3 agosto 1988, n. 327)137

§      Art. 11-ter (Abrogazione)139

§      Articolo 12 (Modifiche al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12)140

§      Art. 12-bis (Modifiche alla legge 18 marzo 2008, n. 48)143

§      Art. 12-ter (Modifiche al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115)145

§      Art. 12-quater (Modifica all'articolo 25 delle disposizioni di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 448)148

§      Art. 13 (Entrata in vigore)150

 

 


Schede di lettura

 


 

Articolo 1
(Modifiche al codice penale)

 

Testo originario

Testo approvato dal Senato

Articolo 1.

(Modifiche al codice penale).

 

Articolo 1.

(Modifiche al codice penale).

 

  1. Al codice penale sono apportate le seguenti modificazioni:

1. Identico:

  a) l'articolo 235 è sostituito dal seguente:

  a) identico:

«Art. 235. - (Espulsione od allontanamento dello straniero dallo Stato). - Il giudice ordina l'espulsione dello straniero ovvero l'allontanamento dal territorio dello Stato del cittadino appartenente ad uno Stato membro dell'Unione europea, oltre che nei casi espressamente preveduti dalla legge, quando lo straniero sia condannato alla reclusione per un tempo superiore ai due anni.

    «Art. 235. - (Espulsione od allontanamento dello straniero dallo Stato). - Il giudice ordina l'espulsione dello straniero ovvero l'allontanamento dal territorio dello Stato del cittadino appartenente ad uno Stato membro dell'Unione europea, oltre che nei casi espressamente preveduti dalla legge, quando lo straniero o il cittadino appartenente ad uno Stato membro dell'Unione europea sia condannato alla reclusione per un tempo superiore ai due anni.

 

    Ferme restando le disposizioni in materia di esecuzione delle misure di sicurezza personali, l'espulsione e l'allontanamento dal territorio dello Stato sono eseguiti dal questore secondo le modalità di cui, rispettivamente, all'articolo 13, comma 4, del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e all'articolo 20, comma 11, del decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 30.

   Il trasgressore dell'ordine di espulsione od allontanamento pronunciato dal giudice è punito con la reclusione da uno a quattro anni»;

Il trasgressore dell'ordine di espulsione od allontanamento pronunciato dal giudice è punito con la reclusione da uno a quattro anni. In tal caso è obbligatorio l'arresto dell'autore del fatto, anche fuori dei casi di flagranza, e si procede con rito direttissimo»;

   b) l'articolo 312 è sostituito dal seguente:

   b) identico:

«Art. 312. - (Espulsione od allontanamento dello straniero dallo Stato). - Il giudice ordina l'espulsione dello straniero ovvero l'allontanamento dal territorio dello Stato del cittadino appartenente ad uno Stato membro dell'Unione europea, oltre che nei casi espressamente preveduti dalla legge, quando lo straniero o il cittadino di Stato dell'Unione europea sia condannato ad una pena restrittiva della libertà personale per taluno dei delitti preveduti da questo titolo.

  «Art. 312. - (Espulsione od allontanamento dello straniero dallo Stato). - Il giudice ordina l'espulsione dello straniero ovvero l'allontanamento dal territorio dello Stato del cittadino appartenente ad uno Stato membro dell'Unione europea, oltre che nei casi espressamente preveduti dalla legge, quando lo straniero o il cittadino appartenente ad uno Stato membro dell'Unione europea sia condannato ad una pena restrittiva della libertà personale per taluno dei delitti preveduti da questo titolo. Ferme restando le disposizioni in materia di esecuzione delle misure di sicurezza personali, l'espulsione e l'allontanamento dal territorio dello Stato sono eseguiti dal questore secondo le modalità di cui, rispettivamente, all'articolo 13, comma 4, del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e all'articolo 20, comma 11, del decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 30.

 Il trasgressore dell'ordine di espulsione od allontanamento pronunciato dal giudice è punito con la reclusione da uno a quattro anni.»;

 Il trasgressore dell'ordine di espulsione od allontanamento pronunciato dal giudice è punito con la reclusione da uno a quattro anni. In tal caso è obbligatorio l'arresto dell'autore del fatto, anche fuori dei casi di flagranza, e si procede con rito direttissimo»;

 

   b-bis) all'articolo 416-bis sono apportate le seguenti modificazioni:

 

      1) al primo comma, le parole: «da cinque a dieci anni» sono sostituite dalle seguenti: «da sette a dodici anni»;

 

         2) al secondo comma, le parole: «da sette a dodici anni» sono sostituite dalle seguenti: «da nove a quattordici anni»;

 

    3) al quarto comma, le parole: «da sette» sono sostituite dalle seguenti: «da nove» e le parole: «da dieci» sono sostituite dalle seguenti: «da dodici»;

 

       4) all'ottavo comma, dopo le parole: «comunque localmente denominate,» sono inserite le seguenti: «anche straniere,»;

 

 5) la rubrica è sostituita dalla seguente: «Associazioni di tipo mafioso anche straniere»;

 

   b-ter) l'articolo 495 è sostituito dal seguente:

 

   «Art. 495. - (Falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri).

Chiunque dichiara o attesta falsamente al pubblico ufficiale l'identità, lo stato o altre qualità della propria o dell'altrui persona è punito con la reclusione da uno a sei anni.

 

 La reclusione non è inferiore a due anni:

 

    1) se si tratta di dichiarazioni in atti dello stato civile;

 

 2) se la falsa dichiarazione sulla propria identità, sul proprio stato o sulle proprie qualità personali è resa all'autorità giudiziaria da un imputato o da una persona sottoposta ad indagini, ovvero se, per effetto della falsa dichiarazione, nel casellario giudiziale una decisione penale viene iscritta sotto falso nome»;

 

  b-quater) dopo l'articolo 495-bis, è inserito il seguente:

 

  «Art. 495-ter. - (Fraudolente alterazioni per impedire l'identificazione o l'accertamento di qualità personali). - Chiunque, al fine di impedire la propria o altrui identificazione, altera parti del proprio o dell'altrui corpo utili per consentire l'accertamento di identità o di altre qualità personali, è punito con la reclusione da uno a sei anni.

 

   Il fatto è aggravato se commesso nell'esercizio di una professione sanitaria»;

 

  b-quinquies) l'articolo 496 è sostituito dal seguente:

 

«Art. 496. - (False dichiarazioni sulla identità o su qualità personali proprie o di altri). - Chiunque, fuori dei casi indicati negli articoli precedenti, interrogato sulla identità, sullo stato o su altre qualità della propria o dell'altrui persona, fa mendaci dichiarazioni a un pubblico ufficiale o a persona incaricata di un pubblico servizio, nell'esercizio delle funzioni o del servizio, è punito con la reclusione da uno a cinque anni»;

 

  b-sexies) all'articolo 576, primo comma, è aggiunto il seguente numero:

 

«5-bis) contro un ufficiale o agente di polizia giudiziaria, ovvero un ufficiale o agente di pubblica sicurezza, nell'atto o a causa dell'adempimento delle funzioni o del servizio»;

c) all'articolo 589 sono apportate le seguenti modificazioni:

 c) identico:

   1) al secondo comma, la parola: «cinque» è sostituita dalla seguente: «sei»;

1) al secondo comma, la parola: «cinque» è sostituita dalla seguente: «sette»;

2) dopo il secondo comma, è inserito il seguente:

 2) identico;

«Si applica la pena della reclusione da tre a dieci anni se il fatto è commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale da:

 

      1) soggetto in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell'articolo 186, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni;

 

  2) soggetto sotto l'effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope.»;

 

    3) al terzo comma, le parole: «anni dodici» sono sostituite dalle seguenti: «anni quindici»;

 3) identico;

 

     c-bis) all'articolo 157, sesto comma, le parole: «589, secondo e terzo comma» sono sostituite dalle seguenti: «589, secondo, terzo e quarto comma»;

  d) al terzo comma dell'articolo 590, è aggiunto il seguente periodo:

  d) identica;

  «Nei casi di violazione delle norme sulla circolazione stradale, se il fatto è commesso da soggetto in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell'articolo 186, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, ovvero da soggetto sotto l'effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope, la pena per le lesioni gravi è della reclusione da sei mesi a due anni e la pena per le lesioni gravissime è della reclusione da un anno e sei mesi a quattro anni»;

 

 e) dopo l'articolo 590 è inserito il seguente:

   e) identico:

 «Art. 590-bis. - (Computo delle circostanze). - Quando ricorre la circostanza di cui all'articolo 589, terzo comma, ovvero quella di cui all'articolo 590, quarto comma, le concorrenti circostanze attenuanti, diverse da quelle previste dagli articoli 98 e 114, non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste e le diminuzioni si operano sulla quantità di pena determinata ai sensi delle predette circostanze aggravanti.»;

  «Art. 590-bis. - (Computo delle circostanze). - Quando ricorre la circostanza di cui all'articolo 589, terzo comma, ovvero quella di cui all'articolo 590, terzo comma, ultimo periodo, le concorrenti circostanze attenuanti, diverse da quelle previste dagli articoli 98 e 114, non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste e le diminuzioni si operano sulla quantità di pena determinata ai sensi delle predette circostanze aggravanti.»;

f) all'articolo 61, primo comma, dopo il numero 11 è inserito il seguente:

 f) all'articolo 61, primo comma, dopo il numero 11 è aggiunto il seguente:

 «11-bis. Se il fatto è commesso da soggetto che si trovi illegalmente sul territorio nazionale.».

 «11-bis. l'avere il colpevole commesso il fatto mentre si trova illegalmente sul territorio nazionale.»;

 

 f-bis) all'articolo 62-bis, dopo il secondo comma, è aggiunto il seguente:

 

      «In ogni caso, l'assenza di precedenti condanne per altri reati a carico del condannato non può essere, per ciò solo, posta a fondamento della concessione delle circostanze di cui al primo comma».

 

 

L'articolo 1 è composto da un unico comma, originariamente suddiviso in sei lettere – divenute dodici a seguito delle modifiche apportate nel corso dell’esame in Senato - ognuna delle quali modifica o sostituisce disposizioni del codice penale.

Lett. a) e lett. b): espulsione dello straniero e allontanamento del cittadino comunitario

Le lettere a) e b) modificano la disciplina codicistica in materia di espulsione dello straniero dal territorio dello Stato, disposta con provvedimento giurisdizionale a titolo di misura di sicurezza personale non detentiva.

Tale disciplina è contenuta negli artt. 235 c.p. (originariamente dedicato all'espulsione dello straniero condannato alla reclusione per un tempo non inferiore a 10 anni) e 312 c.p. (espulsione dal territorio nazionale dello straniero condannato a una pena restrittiva della libertà personale per un delitto contro la personalità dello Stato, quale che sia la durata della pena inflitta).

Alla misura di sicurezza dell'espulsione dello straniero il decreto-legge affianca quella dell'allontanamento dal territorio dello Stato del cittadino appartenente ad uno Stato membro dell'Unione europea.

 

Si ricorda che l'espulsione dello straniero dal territorio nazionale può essere disposta:

(1) per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato, a prescindere dalla regolarità dell'ingresso o della permanenza. Tale forma di espulsione amministrativa può essere disposta dal Ministro dell'interno, ai sensi dell'art. 13, comma 1, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286[1] (di seguito il "Testo unico immigrazione");

(2) quando vi sono fondati motivi di ritenere che la sua permanenza nel territorio dello Stato possa in qualsiasi modo agevolare organizzazioni o attività terroristiche, anche internazionali o se egli appartiene ad una delle categorie di cui all'art. 18 della legge 22 maggio 1975, n. 152[2]. Tale forma di espulsione amministrativa può essere disposta dal Ministro dell'interno o, su sua delega, dal prefetto, ai sensi dell'art. 3, comma 1, del decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144[3] (c.d. decreto Pisanu);

(3) quando lo straniero: a) è irregolare, in quanto entrato nel territorio dello Stato sottraendosi ai controlli di frontiera e non è stato respinto; b) è irregolare, in quanto si è trattenuto nel territorio dello Stato senza aver richiesto il permesso di soggiorno nel termine prescritto ovvero con permesso di soggiorno revocato, annullato o scaduto da più di 60 giorni senza che ne sia stato chiesto il rinnovo; c) a prescindere dalla regolarità dell'ingresso o della permanenza, appartiene a una delle categorie di persone pericolose per le quali è prevista l'applicabilità di misure di prevenzione. Tale forma di espulsione amministrativa può essere disposta dal prefetto, ai sensi dell'art. 13, comma 2, del Testo unico immigrazione;

(4) quando lo straniero è stato condannato alla reclusione per un tempo non inferiore a 2 anni, ai sensi dell'art. 235 c.p. (come modificato dal D.L. in corso di conversione);

(5) quando lo straniero è stato condannato a una pena restrittiva della libertà personale per un delitto contro la personalità dello Stato (quale che sia la durata della pena inflitta), ai sensi dell'art. 312 c.p.;

(6) quando lo straniero è stato condannato per taluno dei delitti previsti dagli artt. 380 (casi di arresto obbligatorio in flagranza) e 381 (casi di arresto facoltativo in flagranza) c.p.p., sempre che risulti socialmente pericoloso, ai sensi dell'art. 15 del Testo unico immigrazione;

(7) quando lo straniero è stato condannato per uno dei reati previsti dal D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309[4], ai sensi dell'art. 86 dello stesso D.P.R.;

(8) nel caso di sentenza di condanna o di patteggiamento per un reato non colposo a una pena detentiva non superiore a 2 anni, quando: non ricorrono le condizioni per la sospensione condizionale della pena di cui all'art. 163 c.p.; lo straniero si trova in una condizione per cui potrebbe essere espulso in via amministrativa dal prefetto e non sussistono gli ostacoli all'espulsione di cui all'art. 14, comma 1, del Testo unico (che elenca i casi in cui l'espulsione non può essere eseguita immediatamente). Tale sanzione sostitutiva della pena è prevista dall'art. 16, comma 1, del Testo unico immigrazione;

(9) nei confronti dello straniero, identificato, detenuto, che si trova in taluna delle situazioni indicate nell'art. 13, comma 2, del Testo unico, che deve scontare una pena detentiva, anche residua, non superiore a 2 anni. Tale sanzione alternativa alla detenzione è prevista dall'art. 16, commi 5 e ss., del Testo unico.

I casi di cui ai numeri da (1) a (3) costituiscono espulsioni in via amministrativa (ossia con provvedimento non giurisdizionale). Gli altri sono espulsioni giurisdizionali. In particolare, nei casi di cui ai numeri da (4) a (7) l'espulsione è disposta a titolo di misura di sicurezza personale non detentiva. Il caso di cui al numero (8) costituisce, secondo la Corte costituzionale, una sanzione amministrativa comminata dal giudice[5].

 

Per quanto concerne l'allontanamento del cittadino comunitario, si ricorda che, ai sensi dell'art. 27 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio n. 2004/38/CE del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, gli Stati membri possono limitare la libertà di circolazione di un cittadino dell'Unione o di un suo familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica. I provvedimenti adottati per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza devono rispettare il principio di proporzionalità e sono adottati esclusivamente in relazione al comportamento personale della persona nei riguardi della quale essi sono applicati. La sola esistenza di condanne penali non giustifica automaticamente l'adozione di tali provvedimenti. Il comportamento personale deve rappresentare una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave da pregiudicare un interesse fondamentale della società. Giustificazioni estranee al caso individuale o attinenti a ragioni di prevenzione generale non sono prese in considerazione.

Lo Stato membro ospitante non può adottare provvedimenti di allontanamento dal territorio nei confronti del cittadino dell'Unione o del suo familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, che abbia acquisito il diritto di soggiorno permanente nel suo territorio se non per gravi motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza. Il cittadino dell'Unione non può essere oggetto di una decisione di allontanamento, salvo se la decisione è adottata per motivi imperativi di pubblica sicurezza definiti dallo Stato membro, qualora: a) abbia soggiornato nello Stato membro ospitante i precedenti dieci anni; o b) sia minorenne, salvo qualora l'allontanamento sia necessario nell'interesse del bambino, secondo quanto contemplato dalla convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989.

In attuazione di tali previsioni, l'art. 20 del decreto legislativo 6 febbraio 2007 n. 30[6] prevede, tra l'altro, che i motivi imperativi di pubblica sicurezza sussistono quando la persona da allontanare abbia tenuto comportamenti che costituiscono una minaccia concreta, effettiva e grave ai diritti fondamentali della persona ovvero all'incolumità pubblica, rendendo urgente l'allontanamento perché la sua ulteriore permanenza sul territorio è incompatibile con la civile e sicura convivenza. Ai fini dell'adozione del provvedimento, si tiene conto anche di eventuali condanne, pronunciate da un giudice italiano o straniero, per uno o più delitti non colposi, consumati o tentati, contro la vita o l'incolumità della persona, o per uno o più delitti corrispondenti alle fattispecie indicate nell'art. 8 della legge 22 aprile 2005, n. 69, di eventuali ipotesi di applicazione della pena su richiesta a norma dell'art. 444 c.p.p. per i medesimi delitti, ovvero dell'appartenenza a taluna delle categorie di cui all'art. 1 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 o di cui all'art. 1 della legge 31 maggio 1965, n. 575, nonché di misure di prevenzione o di provvedimenti di allontanamento disposti da autorità straniere.

 

 

In particolare, la lettera a) sostituisce l'art. 235 del codice penale, stabilendo:

§         che l'espulsione dello straniero ovvero l'allontanamento del cittadino comunitario siano ordinati, oltre che nei casi espressamente previsti dalla legge, a seguito di condanna alla reclusione per un tempo non inferiore a 2 anni, in luogo dei 10 anni originariamente previsti ;

Al riguardo, appare opportuno un approfondimento dei profili di compatibilità della previsione relativa all’allontanamento dei cittadini comunitari con quanto disposto dalla direttiva 2004/38/CE.

L’articolo 27, paragrafo 2, della direttiva prevede, infatti, che la sola esistenza di condanne penali non giustifica autonomamente l'adozione di provvedimenti di allontanamento dei cittadini comunitari.

Tale disposizione è – tra l’altro – ribadita dall’art. 20, co. 4, del D.Lgs. 30/2007, che, nel recepire la direttiva comunitaria, ha stabilito che l’esistenza di condanne penali non giustifica di per sé l'adozione di provvedimenti di allontanamento.

Va peraltro ricordato che, ai sensi della disciplina generale sulle misure di sicurezza, queste sono irrogate dal giudice “soltanto alle persone socialmente pericolose”, che abbiano commesso un fatto preveduto dalla legge come reato (art. 202 c.p.).

 

Come ricorda la relazione illustrativa al disegno di legge di conversione, questa previsione è ribadita dall’art. 31, co. 2, della L. 663/1986[7].

L’art. 203 c.p. collega la valutazione giudiziale di pericolosità sociale alla sussistenza della probabilità che la persona “commetta nuovi fatti preveduti dalla legge come reati”. Si tratta di un parametro di valutazione diverso da quello che giustifica l’allontanamento per motivi imperativi di pubblica sicurezza ex art. 20, co. 3, D.Lgs. 30/2007 (v. supra).

L’impossibilità di adottare un provvedimento di allontanamento di un cittadino comunitario come automatica conseguenza di una condanna penale è ribadita dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunità europee sviluppatasi con riferimento alle direttive vigenti in materia prima dell’adozione della direttiva 2004/38/CE. In particolare, la Corte ha evidenziato come «l'adozione di una normativa interna, che stabilisce alcune cause di espulsione automatica a seguito della commissione di reati applicabile per "gli stranieri", è incompatibile con il diritto comunitario. Il diritto di un cittadino comunitario di entrare e di soggiornare in uno Stato membro non è incondizionato, ma può essere vietato solo nel caso in cui sussistano motivi di ordine pubblico o di sicurezza pubblica che possono essere invocati solo a seguito di una valutazione specifica. Il provvedimento di espulsione non può essere applicato in modo automatico per la sola sussistenza di condanne penali, ma l'autorità competente deve verificare se il comportamento personale è una minaccia effettiva per la sicurezza pubblica nel momento in cui decide l'allontanamento»[8].

 

In ogni caso, le disposizioni in esame sembrano presentare margini di sovrapponibilità con quelle contenute nell’art. 20 del D.Lgs. 30/2007 per l’allontanamento del cittadino comunitario per motivi imperativi di pubblica sicurezza.

In particolare, oltre ai già segnalati profili di contraddittorietà tra la nuova formulazione dell’art. 235 c.p. e all’art. 20, co. 4, del D.Lgs. 30/2007, si rileva che in base all’articolo 20, co. 3, del D.Lgs 30 le sentenze di condanna per taluni delitti per i quali sono previste condanne anche più gravi di quelle di cui all’art. 235 c.p. costituiscono solo un elemento di valutazione ai fini dell’adozione del provvedimento di allontanamento;

§         che, ferme restando le disposizioni in materia di esecuzione delle misure di sicurezza personali, l'espulsione e l'allontanamento dal territorio dello Stato sono eseguiti dal questore nel rispetto delle modalità previste per gli stranieri dall’art. 13, comma 4, del T.U. immigrazione, e per i cittadini comunitari dall’art. 20, comma 11, del decreto legislativo n. 30 del 2007;Tale disposizione è stata introdotta nel corso dell’esame in Senato.

 

Ai sensi dell’articolo 13, comma 4, del T.U. immigrazione, l'espulsione dello straniero è eseguita dal questore con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica.

Per quanto riguarda, invece, l'allontanamento del cittadino comunitario, l'art. 20, comma 11, del D.Lgs. 30/2007 (come modificato dal D.Lgs. 32/2008) stabilisce che il relativo provvedimento (se adottato per motivi di sicurezza dello Stato o per motivi imperativi di pubblica sicurezza) è immediatamente eseguito dal questore e che si applicano le disposizioni di cui all'art. 13, comma 5-bis, del T.U., L’art. 13 del T.U. disciplina l’espulsione amministrativa dello straniero.

Il comma 5-bis prevede che, nei casi di espulsione con accompagnamento alla frontiera, il questore comunica immediatamente e, comunque, entro 48 ore (decorrenti dal momento della comunicazione del provvedimento alla cancelleria) al giudice di pace territorialmente competente, il provvedimento con il quale è disposto l’accompagnamento. L’esecuzione del provvedimento del questore di allontanamento dal territorio nazionale è sospesa fino alla decisione sulla convalida , che avviene in udienza camerale, con decreto motivato, entro le 48 ore successive, garantito il contraddittorio. In attesa della definizione del procedimento di convalida, lo straniero espulso è trattenuto in uno dei CPT (centri di permanenza temporanea) salvo che il procedimento possa essere definito nel luogo in cui è stato adottato il provvedimento di allontanamento anche prima del trasferimento in uno dei centri disponibili. Quando la convalida è concessa, il provvedimento di accompagnamento alla frontiera diventa esecutivo. Se la convalida non è concessa ovvero non è osservato il termine per la decisione, il provvedimento del questore perde ogni effetto. Avverso il decreto di convalida è proponibile ricorso per cassazione. Il relativo ricorso non sospende l’esecuzione dell’allontanamento dal territorio nazionale. Il termine di quarantotto ore entro il quale il giudice di pace deve provvedere alla convalida.

 

§         che il trasgressore dell'ordine di espulsione od allontanamento sia punito con la reclusione da 1 a 4 anni[9]. A seguito di una modifica approvata dal Senato, in ogni caso è obbligatorio l’arresto di colui che trasgredisce l’ordine, anche fuori dei casi di flagranza, e si procede con rito direttissimo (comma 3).

Con riferimento alla formulazione della disposizione, appare opportuna una migliore definizione della fattispecie sanzionata, al fine di precisare con maggiore chiarezza se la trasgressione all’ordine di espulsione debba intendersi riferita solo al mancato abbandono del territorio nazionale (ancorché l’espulsione sia eseguita dal questore con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica) ovvero anche alla violazione del divieto di reingresso.

In quest’ultima ipotesi, peraltro, sembrerebbe necessario un coordinamento della disposizione con quella attualmente vigenti in materia di espulsione degli stranieri extracomunitari e di allontanamento dei cittadini dell’Unione europea.

 

Con riferimento agli stranieri extracomunitari, si segnala che – con disposizioni che paiono applicabili anche alla fattispecie in esame – l’art. 13, co. 13-bis e 13-ter, del T.U. sull’immigrazione già prevede che “nel caso di espulsione disposta dal giudice, il trasgressore del divieto di reingresso è punito con la reclusione da uno a quattro anni” e che per tale delitto “è obbligatorio l'arresto dell'autore del fatto anche fuori dei casi di flagranza e si procede con rito direttissimo”.

Per quanto riguarda, invece, i cittadini dell’Unione europea, si rileva che l’articolo 20, commi 14 e 16, del D.Lgs. 30/2007 prevede che il destinatario del provvedimento di allontanamento che rientra nel territorio nazionale in violazione del divieto di reingresso, è punito con la reclusione fino a due anni, nell'ipotesi di allontanamento per motivi di sicurezza dello Stato, ovvero fino ad un anno, nelle altre ipotesi. Per tali delitti si procede con rito direttissimo. Sull’aspetto sanzionatorio di tali fattispecie interviene, peraltro, lo schema di decreto legislativo integrativo e correttivo del D.Lgs. 30/2007 attualmente all’esame delle Camere[10], nel quale si prevede che il destinatario del provvedimento di allontanamento per motivi di sicurezza dello Stato che rientra nel territorio nazionale in violazione del divieto di reingresso sia punito con la reclusione da uno a quattro anni. Non viene invece innalzata la sanzione (reclusione fino ad un anno) prevista per la violazione del divieto di reingresso da parte di cittadini allontanati per motivi diversi da quelli attinenti alla sicurezza dello Stato.

 

Si ricorda, infine, che la Corte costituzionale in una recente pronuncia (sentenza n. 22 del 2007 –sulla quale v. più ampiamente il commento alla lettera f)) ha evidenziato che il quadro normativo in materia di sanzioni penali per l’illecito ingresso o trattenimento di stranieri nel territorio nazionale, presenta squilibri, sproporzioni e disarmonie, tali da rendere problematica la verifica di compatibilità con i principi costituzionali di uguaglianza e di proporzionalità della pena e con la finalità rieducativa della stessa, invitando il legislatore a compiere una valutazione sistematica di tutte le norme che prevedono sanzioni penali per violazioni di provvedimenti amministrativi in materia di pubblica sicurezza.

 

La lettera b) sostituisce l'art. 312 del codice penale, prevedendo, in analogia con gli interventi operati dalla lettera precedente:

§         che l'espulsione dello straniero ovvero l'allontanamento del cittadino comunitario siano ordinati, oltre che nei casi espressamente previsti dalla legge, a seguito di condanna alla reclusione per uno dei delitti contro la personalità dello Stato, a prescindere dall’entità della pena inflitta. Per effetto di una modifica apportata dal Senato, anche in questo caso l'espulsione e l'allontanamento sono eseguiti dal questore nel rispetto delle modalità previste per gli stranieri dall’art. 13, comma 4, del T.U. immigrazione, e per i cittadini comunitari dall’art. 20, comma 11, del decreto legislativo n. 30 del 2007 (v. supra);

Anche in relazione a tale fattispecie, appare opportuno un approfondimento dei profili di compatibilità della previsione relativa all’allontanamento dei cittadini comunitari con quanto disposto dalla direttiva 2004/38/CE (sulla quale v. supra) e valutare un maggiore coordinamento con la disciplina dell’allontanamento prevista nel D.Lgs. 30/2007.

§         che anche il trasgressore dell'ordine di espulsione o di allontanamento disposto dal giudice nei confronti del condannato per un delitto contro la personalità dello Stato sia punito con la reclusione da 1 a 4 anni. A seguito di un emendamento approvato dal Senato, in ogni caso è obbligatorio l’arresto di colui che trasgredisce l’ordine, anche fuori dei casi di flagranza, e si procede con rito direttissimo.

Anche in relazione a questa fattispecie valgono le osservazioni formulate con riferimento al terzo periodo dell’art. 235 c.p. come sostituito dalla lettera a) della disposizione in esame.

Lettera b-bis): la fattispecie di associazione di tipo mafioso

La lettera b-bis), inserita nell’articolo 1 nel corso dell’esame in Senatomodifica l’articolo 416-bis c.p., in materia di associazione di tipo mafioso,  prevedendo in primo luogo un inasprimento delle sanzioni.

In particolare, si prevede che la partecipazione ad un’associazione di tipo mafioso formata da tre o più persone sia punita con la reclusione da 7 a 12 anni (in luogo degli attuali da 5 a 10 anni).

Per coloro che promuovono, dirigono o organizzano l'associazione, è prevista la reclusione da 9 a 14 anni (in luogo degli attuali da 7 a 12 anni).

Infine, in caso di associazione armata il minimo edittale passa da 7 a 9 anni per il partecipante e da 10 a 12 anni per coloro che promuovono, dirigono o organizzano l'associazione.

Un’ulteriore modifica è apportata al comma ottavo dello stesso articolo 416-bis, e mira ad ampliare l’applicazione delle disposizioni che regolano la fattispecie di associazione mafiosa anche alle associazioni straniere, comunque  siano denominate, che valendosi della forza intimidatrice del vincolo associativo perseguono scopi corrispondenti a quelli delle associazioni di tipo mafioso.

Si ricorda che l’articolo 416-bis, ottavo comma, prevede che le disposizioni che regolano la fattispecie dell’associazione di tipo mafioso si applicano anche alla camorra e delle altre associazioni, comunque localmente denominate, che valendosi della forza intimidatrice del vincolo associativo perseguono scopi corrispondenti a quelli delle associazioni di tipo mafioso..

 

Contestualmente si interviene, con finalità di coordinamento, sostituendo l’attuale rubrica dell’art. 416-bis con “Associazioni di tipo mafioso anche straniere”.

 

Lettere b-ter) e b-quater): falsità personale

Le lettere b-ter) e b-quater), introdotte nel corso dell’esame del provvedimento in Senato, intervengono sui delitti in materia di falsità personale, sostituendo gli articoli 495 e 496 c.p. e introducendo il nuovo art. 495-ter c.p., con lo scopo di potenziare gli strumenti di identificazione e accertamento delle qualità personali.

In particolare, la lettera b-ter) sostituisce l'art. 495 c.p., recante il delitto di falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri.

 

Si ricorda che la formulazione attualmente in vigore dell’articolo 495 c.p., prevede la reclusione fino a tre anni per chiunque dichiari o attesti falsamente a pubblico ufficiale l'identità o lo stato o altre qualità della propria o dell'altrui persona in un atto pubblico ovvero in una dichiarazione destinata a essere riprodotta in un atto pubblico.

 

La lettera in esame prevede:

§         l'inasprimento della sanzione: reclusione da 1 a 6 anni, in luogo della reclusione fino a tre anni;

§         l'ampliamento dell'ambito dell'applicazione della disposizione, mediante l'eliminazione del riferimento al fatto che la falsa attestazione o dichiarazione debba essere effettuata in un atto pubblico ovvero in una dichiarazione destinata ad essere riprodotta in un atto pubblico: la falsa attestazione o dichiarazione assume rilevanza penale, qualunque sia la modalità con la quale è resa;

§         l'inasprimento dell'aggravante in caso di falsa dichiarazione o attestazione resa in atti dello stato civile o all'autorità giudiziaria : reclusione non inferiore a due anni invece che non inferiore ad un anno;

§         il restringimento dell'ambito di applicazione dell'aggravante, che non colpisce più la persona sottoposta ad indagini che rende falsa dichiarazione sulla propria identità alla polizia giudiziaria delegata alle indagini, ma solo all'autorità giudiziaria;

§         l'eliminazione della attenuante per chi abbia dichiarato il falso con l'intenzione di ottenere, per sé o per gli altri, il rilascio di certificati o di autorizzazioni amministrative sotto falso nome, o con altre indicazioni mendaci.

 

La lettera b-quater) introduce nel codice penale un nuovo articolo 495-ter, che punisce con la reclusione da 1 a 6 anni chi, al fine di impedire la propria o altrui identificazione, altera parti del proprio o dell’altrui corpo utili per consentire l’accertamento di identità o di altre qualità personali. Il fatto è aggravato se commesso nell’esercizio di una professione sanitaria.

Si segnala che per i delitti di cui agli articoli 495 e 495-ter c.p. l’articolo 2 del decreto legge, come modificato dal Senato (v. infra), prevede l'arresto obbligatorio in flagranza.

 

Infine la lettera b-quinquies) sostituisce l'art. 496 c.p., recante il delitto di false dichiarazioni sull'identità o su qualità personali proprie o di altri, inasprendone la sanzione. Mentre attualmente è prevista la reclusione fino a un anno o la multa fino a 516 euro, la lettera in esame prevede la reclusione da 1 a 5 anni.

 

Lettera b-sexies): aggravante del delitto di omicidio

La lettera b-sexies), introdotta dal Senato, novella l’art. 576 c.p. in tema di circostanze aggravanti del delitto di omicidio. In particolare, la disposizione prevede che sia punito con l’ergastolo chiunque cagiona la morte di un ufficiale o agente di polizia giudiziaria, ovvero di un ufficiale o agente di pubblica sicurezza, nell’atto o a causa dell’adempimento delle funzioni o del servizio.

 

La polizia giudiziaria svolge ogni indagine e attività disposta o delegata dall’autorità giudiziaria. In particolare le sue funzioni (art. 55 c.p.p.) consistono nel prendere, anche di propria iniziativa, notizia dei reati, impedire che vengano portati a conseguenze ulteriori, ricercarne gli autori, compiere gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant’altro possa servire per l’applicazione della legge penale.

Secondo l’art. 57 c.p.p., sono ufficiali di polizia giudiziaria:

§         i dirigenti, i commissari, gli ispettori, i sovrintendenti e gli altri appartenenti alla polizia di Stato ai quali l’ordinamento dell’amministrazione della pubblica sicurezza riconosce tale qualità;

§         gli ufficiali superiori e inferiori e i sottufficiali dei carabinieri, della guardia di finanza, degli agenti di polizia penitenziaria e del corpo forestale dello Stato nonché gli altri appartenenti alle predette forze di polizia ai quali l’ordinamento delle rispettive amministrazioni riconosce tale qualità;

§         il sindaco dei comuni ove non abbia sede un ufficio della polizia di Stato ovvero un comando dell’arma dei carabinieri o della guardia di finanza.

Sono, invece, agenti di polizia giudiziaria:

§         il personale della polizia di Stato al quale l’ordinamento dell’amministrazione della pubblica sicurezza riconosce tale qualità;

§         i carabinieri, le guardie di finanza, gli agenti di polizia penitenziaria, le guardie forestali e, nell’ambito territoriale dell’ente di appartenenza, le guardie delle province e dei comuni quando sono in servizio.

Sono altresì ufficiali e agenti di polizia giudiziaria, nei limiti del servizio cui sono destinate e secondo le rispettive attribuzioni, le persone alle quali le leggi e i regolamenti attribuiscono le funzioni previste dall’art. 55 c.p.p..

Gli ufficiali e agenti di pubblica sicurezza svolgono funzioni prevalentemente inerenti alla prevenzione dei reati (mantenimento dell’ordine pubblico, tutela dell’incolumità delle persone, raccolta di prove di reati) e procedono alla scoperta e all’arresto dei delinquenti, ai sensi dell’art. 34 del regio decreto 31 agosto  1907, n. 690[11]. A differenza della polizia giudiziaria, la qualifica di agente e di ufficiale di pubblica sicurezza è attribuita a tutto il personale delle forze di polizia (Polizia di Stato, Carabinieri, Guardia di finanza, Corpo forestale dello Stato, Corpo delle guardie penitenziarie), ai sensi degli artt. 17 e 18 del suddetto R.D. 690/1907. Successivamente, i provvedimenti di organizzazione di ciascun corpo hanno disciplinato l’attribuzione di tali qualifiche: la legge 1 aprile 1981, n. 121[12] per la Polizia di Stato (art. 39); il decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 198[13] per l’Arma dei Carabinieri (artt. 3 e 13); il decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 199[14] per la Guardia di finanza (artt. 4 e 76); la legge 15 dicembre 1990, n. 395[15] per la Polizia penitenziaria (art. 14). Anche al personale che svolge servizio di polizia municipale può essere attribuita, a determinate condizioni la qualifica di agente di pubblica sicurezza[16]. Tali qualifiche possono, inoltre, essere attribuite con legge agli appartenenti ad altre strutture dello Stato (si veda ad esempio l’attribuzione della qualifica di agente di pubblica sicurezza al personale degli Enti parco nazionali, in virtù dell’art. 1, comma 117, della legge 27 dicembre 2006, n. 296[17]).

 

 

Lettere c), c-bis), d) ed e): omicidio colposo e lesioni colpose

Le lettere c), c-bis), d) ed e) prevedono un inasprimento delle pene per il soggetto che abbia commesso un omicidio colposo o cagionato ad altri lesioni colpose, con particolare riferimento a quando ciò sia avvenuto come conseguenza di guida in stato di ebbrezza o sotto l'influsso di sostanze stupefacenti o psicotrope.

 

Si segnala che le lettere c), d) ed e) corrispondono all'art. 1, comma 1, lettere h), i) ed l) dell'A.C. 3241 della XV legislatura, recante "Disposizioni in materia di reati di grave allarme sociale e di certezza della pena", presentato alla Camera dei deputati dal Ministro della giustizia il 13 novembre 2007. Tale disegno di legge era stato assegnato in sede referente alla Commissione giustizia, che non ne ha iniziato l'esame.

 

In particolare, la lettera c) interviene sull'art. 589 c.p., inasprendo le pene per il delitto di omicidio colposo commesso in violazione delle norme sulla circolazione stradale o di quelle sulla prevenzione degli infortuni.

A seguito di una modifica approvata dal Senato, il massimo edittale è portato a sette anni, in luogo degli attuali 5 anni.[18]

La ratio di tale innalzamento è quella di consentire l'applicabilità del fermo di polizia, quando sussiste il pericolo di fuga.

 

Si ricorda, infatti, che, ai sensi dell'art. 384 c.p.p., anche fuori dei casi di flagranza, quando sussistono specifici elementi che, anche in relazione alla impossibilità di identificare l'indiziato, fanno ritenere fondato il pericolo di fuga, il pubblico ministero dispone il fermo della persona gravemente indiziata di un delitto per il quale la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel minimo a due anni e superiore nel massimo a sei anni ovvero di un delitto concernente le armi da guerra e gli esplosivi o di un delitto commesso per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell'ordine democratico. Prima che il pubblico ministero abbia assunto la direzione delle indagini, gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria procedono al fermo di propria iniziativa.

 

La stessa lettera c) aggiunge poi un nuovo quarto comma all’art. 589, in forza del quale si applica la pena della reclusione da 3 a 10 anni se il fatto è commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale da:

§         un soggetto in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell'art. 186, comma 2, lettera c) del Codice della strada (ossia un soggetto al quale sia stato accertato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi per litro);

§         un soggetto sotto l'effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope.

Infine, intervenendo sul comma terzo dell’articolo 589, viene innalzato da 12 a 15 anni di reclusione il limite massimo di pena per il caso di morte di più persone ovvero di morte di una o più persone e di lesioni di una o più persone.

 

La lettera c-bis), introdotta nel corso dell'esame in Senato, apporta una modifica all'art. 157, sesto comma, c.p. relativo all'istituto della prescrizione, strettamente consequenziale a quanto disposto nella lettera c) appena descritta.

Infatti, in conformità all'inserimento nell'art. 589 c.p. di un nuovo quarto comma (v. sopra), si prevede che il raddoppio dei termini di prescrizione di cui all’articolo 157, sesto comma, si applichi anche alle fattispecie di cui al suddetto quarto comma dell’articolo 589 c.p (in materia di omicidio colposo commesso da soggetto in stato di ebbrezza alcolica o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti).

Si ricorda che l’articolo 157, sesto comma, attualmente prevede che i termini di prescrizione sono raddoppiati, tra l'altro, per i reati di cui all'art. 589, secondo e terzo comma, c.p..

 

La lettera d), apporta modifiche analoghe alla disciplina delle lesioni personali colpose gravi e gravissime, aggiungendo al terzo comma dell'art. 590 c.p. un nuovo periodo, ai sensi del quale, nei casi di violazione delle norme sulla circolazione stradale, se un soggetto in stato di ebbrezza alcolica (v. sopra) o sotto l'effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope cagiona ad altri:

§         lesioni personali gravi, la pena è della reclusione da sei mesi a 2 anni;

§         lesioni personali gravissime, la pena è della reclusione da 1 anno e sei mesi a 4 anni.

 

Infine, la lettera e) introduce nel codice penale un nuovo art. 590-bis, rubricato "Computo delle circostanze", ai sensi del quale quando ricorre la circostanza di cui all'art. 589, terzo comma, ovvero quella di cui all'art. 590, terzo comma, ultimo periodo[19], le concorrenti circostanze attenuanti non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste e le diminuzioni si operano sulla quantità di pena determinata ai sensi delle predette circostanze aggravanti.

Tale regola non si applica per le circostanze di cui agli artt. 98 e 114 c.p..

 

Si ricorda che l’art. 98 c.p. prevede un’attenuante per la minore età del colpevole mentre l’art. 114 c.p. prevede che il giudice possa diminuire la pena: a) se ritiene che l'opera prestata da talune delle persone che sono concorse nel reato abbia avuto minima importanza nella preparazione o nell'esecuzione del reato stesso; b) per chi è stato determinato a commettere il reato o a cooperare nel reato da qualcuno che esercitava nei suoi confronti un’autorità o una vigilanza; c) per la persona in stato di infermità o deficienza psichica; d) per chi è stato determinato a commettere il reato o a cooperare nel reato da un genitore.

 

Lettere f) e lett. f-bis): circostanze aggravanti e attenuanti

La lettera f), inserendo il numero 11-bis al primo comma dell'articolo 61 c.p., prevede una nuova circostanza aggravanteche consiste nell’«avere il colpevole commesso il fatto mentre si trova illegalmente sul territorio nazionale»[20].

 

L'art. 61 c.p. elenca le circostanze aggravanti comuni, ossia le circostanze aggravatrici di pena che sono previste dalla parte generale del codice penale, in quanto potenzialmente applicabili ad un insieme non predeterminabile di reati[21]. Le aggravanti comuni comportano un aumento fino ad un terzo della pena che si sarebbe altrimenti inflitta per il reato-base.

Pertanto, l'art. 61 c.p. stabilisce che aggravano il reato quando non ne sono elementi costitutivi o circostanze aggravanti speciali le circostanze seguenti:

1. l'avere agito per motivi abietti o futili;

2. l'aver commesso il reato per eseguirne od occultarne un altro, ovvero per conseguire o assicurare a sé o ad altri il prodotto o il profitto o il prezzo ovvero la impunità di un altro reato;

3. l'avere, nei delitti colposi, agito nonostante la previsione dell'evento;

4. l'avere adoperato sevizie, o l'aver agito con crudeltà verso le persone;

5. l'avere profittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona tali da ostacolare la pubblica o privata difesa;

6. l'avere il colpevole commesso il reato durante il tempo, in cui si è sottratto volontariamente alla esecuzione di un mandato o di un ordine di arresto o di cattura o di carcerazione spedito per un precedente reato;

7. l'avere, nei delitti contro il patrimonio o che comunque offendono il patrimonio, ovvero nei delitti determinati da motivi di lucro, cagionato alla persona offesa dal reato un danno patrimoniale di rilevante gravità;

8. l'avere aggravato o tentato di aggravare le conseguenze del delitto commesso;

9. l'avere commesso il fatto con abuso dei poteri, o con violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione o a un pubblico servizio, ovvero alla qualità di ministro di un culto;

10. l'avere commesso il fatto contro un pubblico ufficiale o una persona incaricata di un pubblico servizio, o rivestita della qualità di ministro del culto cattolico o di un culto ammesso nello Stato, ovvero contro un agente diplomatico o consolare di uno Stato estero, nell'atto o a causa dell'adempimento delle funzioni o del servizio;

11. l'avere commesso il fatto con abuso di autorità o di relazioni domestiche, ovvero con abuso di relazioni di ufficio, di prestazione d'opera, di coabitazione, o di ospitalità;

 

Si segnala che nel corso dell’esame del provvedimento al Senato, le previsioni di cui alla lettera f) dell’articolo 1 sono state oggetto di un approfondito dibattito, nell’ambito del quale sono emersi alcuni profili relativi alla compatibilità costituzionale della circostanza aggravante della “clandestinità”.

Al riguardo è stato sottolineato che tale aggravante riguarda un mero status soggettivo della persona, che andrebbe valutato alla luce del principio di eguaglianza sancito dall'articolo 3 della Costituzione, e del divieto di discriminazioni fondate sulla cittadinanza, di cui all'articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea.

 

Si ricorda che, per quanto concerne la determinazione della qualità e della quantità delle sanzioni, e quindi la congruità della pena rispetto alla gravità del reato, la Corte costituzionale, sin dalla sentenza n. 26 del 1979, ha affermato che tale determinazione rientra nella discrezionalità del legislatore.

Tale discrezionalità, tuttavia, non è assoluta, in quanto la Corte costituzionale può esercitare il sindacato di costituzionalità su scelte normative:

(1) palesemente arbitrarie ovvero

(2) radicalmente ingiustificate ovvero

(3) contrastanti in modo manifesto con il canone della ragionevolezza,

che si traducono in un uso distorto della discrezionalità (v. anche, tra le decisioni più recenti, sentenze n. 313 del 1995, n. 217 del 1996 e n. 287 del 2001, nonché ordinanze numeri 110 e 323 del 2002, n. 172 del 2003 e n. 158 del 2004).

Si ricorda inoltre che, con particolare riferimento alla materia dell'immigrazione, la Corte ha recentemente affermato che "il quadro normativo in materia di sanzioni penali per l’illecito ingresso o trattenimento di stranieri nel territorio nazionale, risultante dalle modificazioni che si sono succedute negli ultimi anni, anche per interventi legislativi successivi a pronunce di questa Corte, presenta squilibri, sproporzioni e disarmonie, tali da rendere problematica la verifica di compatibilità con i principi costituzionali di uguaglianza e di proporzionalità della pena e con la finalità rieducativa della stessa" (sentenza n. 22 del 2007). Nella medesima sentenza, la Corte costituzionale ha invitato il legislatore a compiere una valutazione sistematica di tutte le norme che prevedono sanzioni penali per violazioni di provvedimenti amministrativi in materia di pubblica sicurezza e, con specifico riferimento al reato di indebito trattenimento nel territorio nazionale dello straniero espulso (che costituiva oggetto del giudizio), ha posto l'attenzione sul fatto che esso riguarda la semplice condotta di inosservanza dell'ordine di allontanamento dato dal questore, con una fattispecie che prescinde da una accertata o presunta pericolosità dei soggetti responsabili.

 

La lettera f-bis), inserita nel corso dell’esame in Senato, inserisce un ulteriore comma nell’articolo 62 c.p. in tema di circostante attenuanti generiche.

 

Il primo comma dell’art. 62-bis c.p. prevede che il giudice possa prendere in considerazione altre circostanze, diverse da quelle previste dall’art. 62 c.p. (attenuanti comuni), qualora le ritenga tali da giustificare una diminuzione della pena.

Le attenuanti generiche consentono al giudice di diminuire la pena fino a un terzo e generalmente i motivi che conducono al riconoscimento delle attenuanti sono i più svariati: incensuratezza dell'imputato, comportamento processuale corretto, modesti precedenti penali, scarsa gravità del fatto che non configuri l'attenuante comune della speciale tenuità del danno ecc.

 

Tale disposizione è volta ad escludere che l’assenza di precedenti condanne per altri reati a carico del condannato possa essere ragione di concessione delle circostanze attenuanti generiche.

 

Documenti all’esame delle istituzioni dell’Unione europea
(a cura dell’Ufficio Rapporti con l’Unione europea)

Proposta di direttiva sul rimpatrio

Il 1° settembre 2005 la Commissione ha presentato una proposta di direttiva[22], che stabilisce norme comuni in materia di rimpatrio di cittadini di Paesi terzi in condizioni di soggiorno irregolare.

La proposta di direttiva intende stabilire norme e procedure comuni da applicarsi negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi soggiornanti illegalmente nel rispetto dei diritti fondamentali in quanto principi generali del diritto comunitario e del diritto internazionale, compresi gli obblighi in materia di protezione dei rifugiati e di diritti umani.

Sulla proposta, che segue la procedura di codecisione, la commissione LIBE del Parlamento europeo ha approvato il 20 settembre 2007 un progetto di risoluzione legislativa (relatore Manfred Weber, PPE/DE). La proposta è stata discussa in numerose riunioni del Consiglio e il raggiungimento di un accordo su di essa costituisce una delle priorità della presidenza slovena. A tale proposito, in esito ad un lungo processo di negoziazione tra i rappresentanti della Commissione, del Parlamento europeo e la Presidenza, il 23 aprile 2008 è stato raggiunto un compromesso, sottoposto all’esame del Consiglio e del Parlamento europeo.

In particolare, il 18 giugno 2008 il Parlamento europeo ha approvato (369 voti favorevoli, 197 contrari e 106 astensioni) la relazione di Manfred Weber che accoglie il compromesso negoziato con il Consiglio e la Commissione[23].

Il nucleo essenziale della proposta è contenuto nel Capo II (artt. 6-9), dedicato alla procedura per la fine del soggiorno irregolare[24], che affronta le seguenti questioni:

·       decisione di rimpatrio;

·       partenza volontaria;

·       allontanamento;

·       rinvio dell’allontanamento;

·       rimpatrio e allontanamento di minori non accompagnati;

·       divieto di ingresso.

In particolare, l’articolo 6, relativo alla decisione di rimpatrio stabilisce che:

1. Gli Stati membri adottano una decisione di rimpatrio nei confronti di qualunque cittadino di un paese terzo in posizione irregolare nel loro territorio, fatte salve le deroghe previste ai paragrafi seguenti.

2. I cittadini di paesi terzi in posizione irregolare nel territorio di uno Stato membro e in possesso di un permesso di soggiorno valido o altra autorizzazione che conferisca il diritto di soggiornare rilasciati da un altro Stato membro devono recarsi senza indugio nel territorio di quest'ultimo Stato membro. In caso di mancata osservanza di questa prescrizione da parte del cittadino di un paese terzo interessato ovvero qualora motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico impongano la sua immediata partenza, si applica il paragrafo 1.

3. Gli Stati membri possono astenersi dal decidere il rimpatrio di un cittadino di paese terzo in posizione irregolare nel proprio territorio qualora accordi o intese bilaterali vigenti alla data di entrata in vigore della direttiva prevedano che il cittadino in questione possa essere riconsegnato ad un altro Stato membro. In tal caso lo Stato membro cui è stato riconsegnato il cittadino in questione applica il paragrafo 1.

4. In qualsiasi momento, gli Stati membri possono decidere di rilasciare un permesso di soggiorno autonomo o altra autorizzazione che conferisca il diritto di soggiornare per motivi caritatevoli, umanitari o di altra natura a cittadini di paesi terzi in posizione irregolare nel loro territorio. In questi casi la decisione di rimpatrio non è presa. Qualora sia già stata presa, la decisione di rimpatrio è revocata o sospesa per il periodo di validità del titolo di soggiorno o di altra autorizzazione che conferisca il diritto di soggiornare.

5. Qualora un cittadino di un paese terzo in posizione irregolare nel territorio di uno Stato membro abbia iniziato una procedura per il rinnovo del proprio permesso di soggiorno o di altro permesso conferente il diritto di soggiornare, lo Stato membro in questione valuta l'opportunità di astenersi dal decidere il rimpatrio fino al completamento della procedura,fatto salvo il paragrafo seguente.

6. Le disposizioni della direttiva non ostano a che gli Stati membri decidano di porre fine al soggiorno regolare e dispongano contestualmente il rimpatrio e/o l'allontanamento e/o il divieto di ingresso in un'unica decisione o atto amministrativo o giudiziario in conformità della legislazione nazionale, fatte salve le garanzie procedurali previste dal capo III e da altre pertinenti disposizioni del diritto comunitario e nazionale.

In base all’articolo 6-bis del testo di compromesso approvato dal Parlamento europeo, relativo alla partenza volontaria, la decisione di rimpatrio fissa un periodo congruo per la partenza volontaria di durata compresa tra sette e trenta giorni, fatte salve specifiche deroghe, espressamente previste.

In particolare, gli Stati membri possono prevedere nella legislazione nazionale che tale periodo sia concesso unicamente su richiesta del cittadino di un paese terzo interessato. In tal caso, gli Stati membri informano i cittadini di paesi terzi interessati della possibilità di inoltrare tale richiesta. Il periodo previsto non esclude la possibilità per i cittadini di paesi terzi interessati di partire prima. Il paragrafo 2 dell’articolo 6-bis prevede che “gli Stati membri prorogano, ove necessario, il periodo per la partenza volontaria in modo congruo, tenendo conto delle circostanze specifiche del singolo caso, quali la durata del soggiorno, l'esistenza di figli che frequentano la scuola e l'esistenza di altri legami familiari e sociali”. Al paragrafo 3 si stabilisce che per la durata del periodo, possono essere imposti obblighi diretti a evitare il rischio di fuga, come l'obbligo di presentarsi periodicamente alle autorità, la costituzione di una garanzia finanziaria adeguata, la consegna dei documenti o l’obbligo di dimorare in un determinato luogo. Infine, in base al paragrafo 4, se sussiste il rischio di fuga o se una domanda di soggiorno regolare è stata respinta in quanto manifestamente infondata o fraudolenta o se l'interessato costituisce un pericolo per la sicurezza pubblica, l'ordine pubblico o la sicurezza nazionale, gli Stati membri possono astenersi dal concedere un periodo per la partenza volontaria o concederne uno inferiore a sette giorni.

All’ articolo 7, relativo all’allontanamento, si stabilisce che:

1. Gli Stati membri adottano tutte le misure necessarie per eseguire la decisione di rimpatrio qualora non sia stato concesso un periodo per la partenza volontaria a norma dell’articolo 6-bis o per mancato adempimento dell’obbligo di rimpatrio entro il periodo per la partenza volontaria concesso conformemente all'articolo 6-bis.

2. Qualora lo Stato membro abbia concesso un periodo per la partenza volontaria a norma dell’articolo 6-bis, la decisione di rimpatrio può essere eseguita unicamente alla scadenza di tale periodo, a meno che nel periodo in questione non sorga un rischio di cui all'articolo 6-bis, paragrafo 4.

3. Gli Stati membri possono adottare una decisione o un atto amministrativo o giudiziario distinto che ordina l'allontanamento.

4. Ove gli Stati membri ricorrano - in ultima istanza - a misure coercitive per allontanare un cittadino di un paese terzo che oppone resistenza, tali misure sono proporzionate e non eccedono un uso ragionevole della forza. Esse sono attuate conformemente a quanto previsto dalla legislazione nazionale in ottemperanza ai diritti fondamentali e nel debito rispetto della dignità e dell'integrità fisica del cittadino di un paese terzo interessato.

5. Nell’effettuare l’allontanamento per via aerea, gli Stati membri tengono conto degli orientamenti comuni sulle disposizioni di sicurezza per l’allontanamento congiunto per via aerea allegati alla decisione 2004/573/CE.

6. Gli Stati membri prevedono un sistema di monitoraggio efficace dei rimpatri forzati.

In base all’articolo 8, gli Stati membri rinviano l'allontanamento:

-      qualora esso violi il principio di non-refoulement oppure

-      purché sia concesso l'effetto sospensivo ai sensi della direttiva.

L’articolo dispone inoltre che gli Stati membri possono rinviare l'allontanamento per un congruo periodo, tenendo conto delle circostanze specifiche per ciascun caso. Gli Stati membri tengono conto in particolare:

-      delle condizioni fisiche o mentali della persona;

-      delle ragioni tecniche, come l'assenza di mezzi di trasporto o il mancato allontanamento a causa dell'assenza di identificazione.

L’articolo 8-bis, rimpatrio e allontanamento di minori non accompagnati, stabilisce che prima di adottare una decisione di rimpatrio nei confronti di un minore non accompagnato, è fornita un'assistenza da parte di organismi appropriati diversi delle autorità che eseguono il rimpatrio tenendo nel debito conto l'interesse superiore del minore.

L’articolo prevede inoltre che prima di allontanare un minore non accompagnato dal loro territorio, le autorità dello Stato membro si accertino che questi sarà ricondotto ad un membro della sua famiglia, a un tutore designato o presso adeguate strutture di accoglienza nello Stato di ritorno.

In base all’articolo 9 (Divieto di ingresso)  le decisioni di rimpatrio sono corredate di un divieto di ingresso:

- qualora non sia stato concesso un periodo per la partenza volontaria oppure

- qualora non sia stato ottemperato all'obbligo di rimpatrio.

In altri casi le decisioni di rimpatrio possono essere corredate di un divieto di ingresso.

La durata del divieto di ingresso è determinata tenendo debitamente conto di tutte le circostanze pertinenti per ciascun caso e non supera di norma i cinque anni. Può superare i cinque anni se il cittadino di un paese terzo costituisce una grave minaccia per l'ordine pubblico, la sicurezza pubblica o la sicurezza nazionale.

L’articolo stabilisce inoltre che gli Stati membri valutino la possibilità di revocare o sospendere un divieto di ingresso qualora un cittadino di un paese terzo colpito da un divieto di ingresso disposto in conformità del paragrafo 1, secondo comma, possa dimostrare di aver lasciato il territorio di uno Stato membro in piena ottemperanza ad una decisione di rimpatrio.  Particolari deroghe sono previste per le vittime della tratta di esseri umani cui è stato concesso un permesso di soggiorno ai sensi della direttiva 2004/81/CE.

Gli Stati membri possono astenersi dall'imporre un divieto di ingresso, revocarlo o sospenderlo in singoli casi, per motivi umanitari.

Inoltre, gli Stati membri possono revocare o sospendere un divieto di ingresso in singoli casi o in talune categorie di casi per altri motivi. Qualora uno Stato membro preveda di rilasciare un permesso di soggiorno o altra autorizzazione che conferisca il diritto di soggiornare ad un cittadino di un paese terzo colpito da un divieto di ingresso disposto da un altro Stato membro, esso consulta preliminarmente lo Stato membro che lo ha disposto e tiene conto degli interessi di quest'ultimo in conformità delle disposizioni dell’articolo 25 della convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen.

Le disposizioni del presente articolo non pregiudicano il diritto alla protezione internazionale, quale definita dalla direttiva 2004/83/CE, negli Stati membri.

Il Capo III della proposta, relativo alle garanzie procedurali, prevede il diritto a un ricorso effettivo avverso le decisioni di rimpatrio e i provvedimenti di allontanamento. L'autorità o l'organo summenzionato ha la facoltà di rivedere decisioni connesse al rimpatrio, compresa la possibilità di sospenderne temporaneamente l'esecuzione, a meno che la sospensione temporanea sia già applicabile ai sensi del diritto interno.

Il Capo IV regola il trattenimento ai fini dell’allontanamento, con l’intenzione di limitare il ricorso alla custodia temporanea, subordinandolo al rispetto del principio di proporzionalità. L’art. 14 stabilisce che salvo se nel caso concreto possano essere efficacemente applicate altre misure sufficienti ma meno coercitive, gli Stati membri possono trattenere il cittadino di un paese terzo sottoposto a procedure di rimpatrio soltanto per preparare il rimpatrio e/o effettuare l'allontanamento specie quando sussiste un rischio di fuga oil cittadino del paese terzo evita o ostacola la preparazione del rimpatrio o dell'allontanamento.Il trattenimento ha durata quanto più breve possibile ed è mantenuto solo per il tempo necessario all'espletamento diligente delle modalità di rimpatrio”. Si dispone inoltre che ciascuno Stato membro stabilisca un periodo limitato di trattenimento, che non può superare i sei mesi. Gli Stati membrinon possono prolungare tale periodo salvo per un periodo limitato non superiore ad altri dodici mesi conformemente alla legislazione nazionale nei casi in cui, nonostante siano stati compiuti tutti gli sforzi che è lecito aspettarsi, l'operazione di allontanamento rischi di durare più a lungo a causa:           

·         della mancata cooperazione da parte del cittadino di un paese terzo o

·         dei ritardi nell'ottenimento della necessaria documentazione dai paesi terzi.

L’articolo 15, relativo alle condizioni di trattenimento, stabilisce che esso avvenga di norma in appositi centri di permanenza temporanea. Qualora uno Stato membro non possa ospitare il cittadino di un paese terzo interessato in un apposito centro di permanenza temporanea e debba sistemarlo in un istituto penitenziario, i cittadini di paesi terzi trattenuti sono tenuti separati dai detenuti ordinari.

L’articolo prevede inoltre che i cittadini di paesi terzi trattenuti abbiano la possibilità - su richiesta - di entrare, a tempo debito, in contatto con rappresentanti legali, familiari e autorità consolari competenti. Particolare attenzione è prestata alla situazione delle persone vulnerabili.Sono assicurati le prestazioni di pronto soccorso e il trattamento essenziale delle malattie. Le pertinenti e competenti organizzazioni ed organismi nazionali, internazionali e non governativi hanno la possibilità di accedere ai centri di permanenza temporanea nella misura in cui essi sono utilizzati per trattenere cittadini di paesi terzi in conformità del presente capo.Tali visite possono essere soggette ad autorizzazione.I cittadini di paesi terzi trattenuti sono sistematicamente informati delle norme vigenti nel centro e dei loro diritti e obblighi.Ciò comprende informazioni sul loro diritto, ai sensi della legislazione nazionale, di mettersi in contatto con le su indicate organizzazioni ed organismi.

La proposta di direttiva, secondo il testo di compromesso prevede inoltre deroghe per le situazioni di emergenza. In particolare, nei casi in cui un numero eccezionalmente elevato di cittadini di paesi terzi da rimpatriare comporti un notevole aggravio imprevisto per la capacità dei centri di permanenza temporanea di uno Stato membro o per il suo personale amministrativo o giudiziario, la direttiva consente, sino a quando persiste la situazione anomala, di accordare per il riesame giudiziario periodi di tempo superiori e prendere misure urgenti quanto alle condizioni di trattenimento, dandone comunicazione alla Commissione europea. E' peraltro precisato che ciò non autorizza gli Stati membri a derogare al loro obbligo generale di adottare «tutte le misure di carattere generale e particolare atte ad assicurare l’esecuzione degli obblighi derivanti dalla presente direttiva».

La proposta di direttiva, nel testo di compromesso già approvato dal Parlamento europeo in prima lettura, secondo la procedura di codecisione, è in attesa di essere sottoposta all’approvazione del Consiglio.

Proposta di direttiva relativa a sanzioni contro i datori di lavoro

Nel quadro dell’impegno dell’Unione europea contro l’immigrazione illegale e lo sfruttamento dei lavoratori clandestini, il 16 maggio 2007, la Commissione ha presentato una proposta di direttiva (COM(2007)249), relativa a sanzioni contro i datori di lavoro che impiegano cittadini di paesi terzi in posizione irregolare. La proposta, che mira ad introdurre un deterrente all’utilizzo di manodopera irregolare, intende ridurre le discrepanze fra le misure preventive, le sanzioni e le modalità di applicazione già esistenti nei vari Stati membri, creando, inoltre, condizioni di parità tra le imprese.

La proposta di direttiva prevede sanzioni per i datori di lavoro (persone fisiche o giuridiche, ma anche privati cittadini quando agiscono in qualità di datori di lavoro) che impieghino cittadini di paesi terzi in posizione irregolare, senza aver svolto le necessarie verifiche. In base alla proposta infatti, e come misura preventiva, i datori di lavoro, prima dell’assunzione sono tenuti a verificare che i cittadini di paesi terzi siano in possesso di permesso di soggiorno o di altra autorizzazione analoga. Oltre a multe ed altre sanzioni amministrative, la Commissione propone, per i casi più gravi anche sanzioni penali.In particolare, la proposta di direttiva dispone che la violazione del divieto di impiego illegale, se intenzionale, costituisca reato se:

la violazione prosegue, oppure è reiterata, dopo che le autorità o i giudici nazionali competenti, in un periodo di due anni, hanno accertato che il datore di lavoro l’ha già commessa due volte;

-la violazione riguarda un numero significativo di cittadini di paesi terzi in posizione irregolare (almeno quattro);

-la violazione è accompagnata da situazioni di particolare sfruttamento, ad esempio, da condizioni lavorative sensibilmente diverse da quelle di cui godono i lavoratori assunti legalmente, oppure

-il datore di lavoro ricorre al lavoro o ai servizi di una persona nella consapevolezza che tale persona è vittima della tratta di esseri umani.

La proposta prevede che gli Stati membri predispongano un meccanismo che consenta ai cittadini di paesi terzi interessati di presentare denunce, sia direttamente che tramite terzi, come sindacati o associazioni. Gli Stati membri dovrebbero inoltre rilasciare permessi di soggiorno per un periodo limitato – a seconda della durata dei procedimenti nazionali – ai cittadini dei paesi terzi vittime di sfruttamento e che cooperino ad azioni penali contro i datori di lavoro. La proposta prevede infine che gli Stati membri effettuino un numero minimo di ispezioni nelle imprese stabilite nei loro territori.

La proposta di direttiva, che segue la procedura di codecisione, dovrebbe essere esaminata dal Parlamento europeo nella seduta del 18 novembre 2008.

Si ricorda che il Consiglio europeo del 21-22 giugno 2007 aveva sottolineato l’importanza della proposta, in considerazione del fatto che il lavoro illegale costituisce uno dei principali fattori di attrazione per gli immigrati clandestini[25].

Il Consiglio europeo del 19-20 giugno 2008

Il Consiglio europeo nelle sue conclusioni ha sottolineato la necessità di intensificare gli sforzi relativi alla promozione di una politica migratoria europea globale, compiacendosi per la presentazione, da parte della Commissione, della comunicazione “Una politica d’immigrazione comune per l’Europa: princìpi, azioni e strumenti[26] e dichiarando di attendere con interesse la presentazione da parte della prossima Presidenza francese di una proposta relativa ad un patto su immigrazione e asilo.

Il Consiglio europeo ha altresì invitato il Consiglio ad adottare le proposte sull'ammissione di cittadini di paesi terzi che intendono svolgere lavori altamente qualificati[27], su sanzioni dissuasive per la lotta al lavoro non dichiarato[28] nonché su una procedura unica di domanda e un insieme comune di diritti per i cittadini di paesi terzi[29].

Il Consiglio ha ribadito, inoltre, la necessità di una politica efficace di rimpatrio e di riammissione, sottolineando a tale riguardo la necessità di concludere urgentemente accordi di riammissione con i principali paesi di origine e di transito. Sottolineando l'importanza di proseguire il dialogo, il partenariato e la cooperazione con i paesi terzi sulle questioni migratorie, ha accolto con favore l'avvio di partenariati pilota per la mobilità con Capo Verde e la Repubblica moldova[30] e l'apertura di un dialogo su tali partenariati con la Georgia e il Senegal.

Strumenti finanziari 2007-2013

Nell’ambito delle nuove prospettive finanziarie per il 2007, il programma quadro “Solidarietà e gestione dei flussi migratori” per il periodo 2007-2013 (COM(2005)123-1)[31] intende rispondere al problema della ripartizione equa delle responsabilità tra gli Stati membri, per quanto riguarda l’onere finanziario conseguente all’introduzione di una gestione integrata delle frontiere esterne e all’attuazione di politiche comuni in materia di asilo e immigrazione[32]. Il programma quadro si sostanzia nei seguenti strumenti finanziari specifici:

·       Fondo europeo per le frontiere esterne“, con una dotazione di 1820 milioni di euro per il periodo 2007-2013 (decisione 574/2007/CE del 7 maggio 2007);

·       Fondo europeo per i rifugiati”, con una dotazione di 699,3 milioni di euro per il periodo 2008-2013 (decisione 573/2007/CE del 7 maggio 2007);

·       Fondo europeo per il rimpatrio”, con una dotazione di 676 milioni di euro per il periodo 2008-2013 (decisione 575/2007/CE del 7 maggio 2007);

·       “Fondo europeo per l’integrazione dei cittadini di paesi terzi”, con dotazione pari a 825 milioni di euro per il periodo 2007-2013 (decisione 2007/435/CE del 25 giugno 2007).

Il 26 giugno 2007, la Commissione, secondo quanto preannunciato nella comunicazione del 25 gennaio 2006 “Programma tematico di cooperazione con i paesi terzi nei settori dell’emigrazione e dell’asilo” (COM(2006)26),ha presentato il programma di cooperazione con i paesi terzi nel campo dell’immigrazione e dell’asilo, con una dotazione di 380 milioni di euro per il periodo 2007-2013, destinato a sostituire il vigente programma Aeneas.

Sanzioni per violazioni al codice della strada

Il 19 marzo 2008 la Commissione ha presentato una proposta di direttivaintesa ad agevolare l’applicazione transfrontaliera della normativa in materia di sicurezza stradale (COM(2008)151), in particolare per quanto riguarda l’applicazione di sanzioni ai conducenti che commettono un’infrazione in uno Stato membro diverso da quello in cui risiedono.

In base all’articolo 2, comma 1, della proposta le disposizioni da essa contenute si applicano solo se la sanzione relativa all’infrazione in questione è o comprende una sanzione pecuniaria.

Nelle intenzioni della Commissione le misure proposte contribuiranno alla realizzazione dell’obiettivo fissato nel libro bianco sulla politica comune dei trasporti (COM(2001)370) di dimezzare, entro il 2010, il numero delle vittime di incidenti stradali.Tale documento, infatti, individuava nel perseguimento delle infrazioni stradali e nella corretta applicazione delle sanzioni uno degli strumenti più importanti per ridurre il numero della strada.

La direttiva proposta non è intesa ad armonizzare le norme al codice della strada o le sanzioni per le relative infrazioni, che rimangono competenza degli Stati membri, ma persegue l’obiettivo di assicurare che la normativa in materia di infrazioni sia applicata indipendentemente dal luogo nell'Unione europea in cui l'infrazione è commessa e dal luogo di immatricolazione del veicolo con cui l'infrazione è commessa, con l’obiettivo finale di garantire parità di trattamento tra trasgressori residenti e non residenti.

Le infrazioni che rientrano nel campo di applicazione della direttiva sono l'eccesso di velocità, la guida in stato di ebbrezza, il mancato uso della cintura di sicurezza e il transito con semaforo rosso. La Commissione, tuttavia, si riserva, in funzione degli sviluppi futuri, di valutare la possibilità di estendere il campo di applicazione della direttiva ad altre infrazioni al codice della strada considerate gravi sotto il profilo della sicurezza stradale quali la guida sotto l'effetto di sostanze stupefacenti, l'uso del telefono cellulare durante la guida e la guida senza copertura assicurativa.

Come si precisa nella relazione introduttiva alla proposta, tenuto conto delle differenze fra il diritto interno dei vari Stati membri, le misure prospettate si applicano indipendentemente dalla natura civile o penale delle infrazioni e non modificano la legislazione nazionale in materia di responsabilità per le infrazioni in questione.

La proposta istituisce una rete telematica europea per lo scambio di informazioni tra gli Stati membri quando un’infrazione è commessa in uno Stato membro con un veicolo immatricolato in un altro Stato membro. Tale scambio di informazioni deve avvenire nel pieno rispetto della direttiva 95/46/CE relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati. Il sistema proposto, che sarà sottoposto a verifica due anni dopo l’entrata in vigore della direttiva, segue le modalità tradizionali di trattamento delle infrazioni transfrontaliere, nel senso che esse continuano ad essere oggetto di un procedimento nello Stato membro in cui sono state commesse. Il suo valore aggiunto è costituito dalla possibilità per le autorità competenti di identificare e sanzionare i trasgressori stranieri.

La proposta integra la decisione quadro 2005/214/GAI relativa all'applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sanzioni pecuniarie, anche quelle applicabili alle infrazioni al codice della strada. Mentre, infatti, la direttiva proposta si applica alle fasi precedenti l'imposizione di una sanzione, la decisione quadro si applica quando il trasgressore non ha pagato la sanzione allorché è stata emessa una decisione che lo obbliga a farlo.

La proposta, che segue la procedura di codecisione, dovrebbe essere esaminata in prima lettura dal Parlamento europeo il 21 ottobre 2008 e poi essere sottoposta alla prima lettura del Consiglio.

Guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti

La guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti figura tra le principali cause di incidenti stradali, come ricordato in una serie di documenti in materia di sicurezza stradale adottati dalla Commissione europea e ribadito anche dal Consiglio e dal Parlamento europeo in occasione del loro esame.

Gli interventi intesi a prevenire o a sanzionare tali comportamenti di guida pericolosi sono considerati prioritari dalle istituzioni europee anche al fine di contribuire al raggiungimento dell’obiettivo di dimezzare, entro il 2010, il numero delle vittime di incidenti stradali, sopra richiamato.

 

Misure specifiche volte ad arginare il fenomeno della guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti sono previste dal programma di azione sulla sicurezza stradale relativo al periodo 2003-2010 (COM(2003)311) che prospetta tra l’altro:

-        l’applicazione della raccomandazione del 17 gennaio 2001 sul tasso massimo di alcolemia al volante nonché la prova di alcolemia antiavviamento;

-        la promozione di studi riguardanti gli effetti di droghe e medicine ed un’adeguata classificazione per i farmaci che hanno effetti sull’idoneità alla guida;

-        la revisione delle norme minime concernenti l’idoneità fisica e mentale alla guida;

-        la riabilitazione degli autori di infrazioni gravi al codice della strada;

-        una revisione della direttiva 91/439/CEE sulla patente di guida al fine di introdurre norme minime per gli esaminatori e un accesso progressivo ai veicoli motorizzati[33]. La Commissione ritiene, inoltre, che gli Stati membri dovrebbero accelerare l’applicazione della Convenzione di Vienna del 1998 relativa al ritiro della patente di guida al fine di ridurre le differenze esistenti a livello comunitario per quanto riguarda le sanzioni applicate. Per contribuirvi, la Commissione intende favorire la realizzazione di una rete di informazione[34] fra le amministrazioni nazionali competenti in materia di patenti di guida e dare il proprio sostegno a campagne di informazione su scala europea;

-        incoraggiare gli utenti ad un migliore comportamento mediante un rafforzamento dei controlli di polizia e la promozione di campagne di sensibilizzazione e di educazione;

-        promuovere i lavori specifici sui giovani conducenti e sugli anziani nel quadro della patente di guida e dell’educazione stradale.

Infine, partendo dal presupposto che la guida pericolosa è assimilabile alla criminalità, nel programma di azione la Commissione preannuncia l’intenzione di presentare iniziative nel quadro della politica comunitaria in materia di giustizia.

 

Successivamente, anche una raccomandazione sull’applicazione della regolamentazione in materia di sicurezza stradale (2004/345/CE)[35] ha ribadito che le principali infrazioni, cause di incidenti mortali, continuano ad essere, oltre al mancato uso delle cinture di sicurezza, l’eccesso di velocità e la guida in stato di ebbrezza. Considerato che una migliore applicazione della regolamentazione relativa a queste infrazioni ridurrebbe di più del 50% il numero delle vittime, la Commissione ha deciso di formulare alcune raccomandazioni esclusivamente su questi aspetti della sicurezza stradale.

La Commissione, tra l’altro, invita gli Stati membri a fare in modo che tutte le infrazioni ai limiti di velocità registrate dai dispositivi di controllo siano perseguite, ad effettuare controlli a campione dell’alcolemia specialmente nei luoghi e nei momenti in cui si registra il maggior numero di infrazioni, ad applicare sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive o misure correttive per le infrazioni constatate nel corso dei controlli intensivi, ad assicurare la notifica delle infrazioni commesse da conducenti cittadini di altri Stati membri al rispettivo Stato di appartenenza.

 

Da ultimo nella comunicazione del 7 febbraio 2007 “Un quadro normativo competitivo nelsettore automobilisticoper il XXI secolo – Posizione della Commissione sulla relazione finale del gruppo ad alto livello CARS 21”, (COM(2007)22), la Commissione, dopo aver ribadito la necessità che un'efficace strategia di sicurezza stradale sia basata su un approccio integrato che comprenda miglioramenti in materia di tecnologia dei veicoli, infrastrutture stradali, comportamenti di guida ed applicazione delle norme, sollecita gli Stati membri a migliorare ulteriormente le attività di repressione della guida in stato di ebbrezza e degli eccessi di velocità.

 

Anche il Consiglio ed il Parlamento europeo si sono pronunciati in varie occasioni su questi aspetti, associandosi alle preoccupazioni espresse dalla Commissione ed invitando all’adozione di misure tempestive e dissuasive.

In particolare, il Parlamento europeo nella risoluzione del 18 gennaio 2007 relativa allacomunicazione sul bilancio intermedio delle misure previste nel programma d’azione sulla sicurezza stradale (COM(2006)74) sottolinea che, nel breve periodo, il modo più efficace per favorire il miglioramento delle norme di idoneità alla guida nell'Unione europea consiste nel fare rispettare il codice della strada degli Stati membri, in particolare per quanto riguarda l'eccesso di velocità e la guida in stato di ebbrezza.

Inoltre, il 5 settembre 2007 il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione sulla strategia comunitaria volta ad affiancare gli Stati membri nei loro sforzi per ridurre i danni derivanti dal consumo di alcool, nella quale, con specifico riferimento alla stretta correlazione tra consumo di alcol e sicurezza stradale.

 

Anche il Consiglio trasporti dell’8 e 9 giugno 2006 ha adottato conclusioni sulla medesima comunicazione con le quali invita a rafforzare le misure di contrasto della guida sotto l'influenza di alcol o droga e dell'eccesso di velocità.

 

 

Elementi per la valutazione di compatibilità con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo
(a cura dell’Avvocatura, Osservatorio sulle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo)

La giurisprudenza della Corte EDU in tema di espulsioni

La nozione di espulsione è considerata dalla giurisprudenza della Corte EDU una nozione autonoma, indipendente da definizioni di legislazione interna e, anche se gli Stati parti della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) godono di discrezionalità in materia, il relativo potere non può essere esercitato in modo tale da compromettere i diritti garantiti dalla CEDU[36] e, in ogni caso, lo straniero non può essere espulso che in esecuzione di una decisione adottata in conformità alla legge nazionale, dall’autorità competente nel rispetto delle regole materiali e procedurali stabilite.

L’esigenza di non compromettere con le decisioni d espulsione i diritti garantiti dalla CEDU è particolarmente evidente con riferimento all’art. 3 CEDU (divieto di trattamenti inumani e degradanti): ad avviso della Corte, i divieti stabiliti da tale articolo hanno valore assoluto. Infatti, questa disposizione non prevede limitazioni ai suddetti divieti, a differenza di quanto stabilito dalla maggior parte delle clausole stabilite dalla Convenzione, nè è suscettibile  di deroga ai sensi dell’art. 15 CEDU (precedenti Irlanda c. Regno Unito, sentenza 8 gennaio 1978, e Chahal c. Regno Unito, sentenza 15 novembre 1996).

 

Secondo la Corte EDU, a fronte dell’assolutezza del divieto, la natura degli addebiti che possono essere mossi ai soggetti passivi dell’espulsione, che si dolgono della violazione dell’art. 3 CEDU, risulta irrilevante. Perciò, se è vero che nè la Convenzione nè i suoi Protocolli garantiscono il diritto di asilo e gli Stati parti della Convenzione, in base ad un consolidato principio di diritto internazionale, hanno il diritto di controllare l’ingresso e il soggiorno sul territorio nazionale e di disporne l’espulsione (precedenti Abdulaziz, Cabales e Balkandali c. Royaume-Uni, del 28 maggio 1985, Boujlifa c. Francia, del 21 ottobre 1997), tuttavia, quest’ultimo provvedimento  può comportare responsabilità  ai sensi della Convenzione stessa. Ciò qualora sussistano reali e comprovati fatti che consentano di  ritenere che un’espulsione  esponga un soggetto a trattamenti contrari all’art. 3 CEDU nel paese di destinazione (precedenti, tra gli altri, Soering c. Regno Unito del 7 luglio 1989, H.L.R. c. Francia, del 29 aprile 1997, Salah Sheekh c. Paesi Bassi dell’11 gennaio 2007, Saadi c. Italia del 28 febbraio 2008).

 

D’altro canto, la Corte ha precisato che il limite derivante dall’art. 3 CEDU non può giungere fino a porre un obbligo per gli Stati membri, limitativo della possibilità di espulsione, fondato su esigenze di alleviare disparità in tema di condizioni economiche, sociali e mediche rispetto ai Paesi verso i quali l’espulsione condurrebbe[37].

 

Occorre poi ricordare che ai sensi dell’art. 39 del regolamento di procedura avanti la Corte EDU la stessa Corte può disporre misure provvisorie nell’interesse delle parti, ivi compresa la sospensione della decisione nazionale oggetto di ricorso.

 

Con riguardo ai luoghi di permanenza, ai sensi dell’art. 5 CEDU, par. 1 lett. f), ogni persona ha diritto alla libertà e alla sicurezza e nessuno può essere privato della libertà, se non nei casi indicati e nei modi previsti dalla legge, tra i quali l’arresto o la detenzione regolari per impedire l’ingresso illegale nel territorio, o se è in corso un procedimento di espulsione o di estradizione.

 

Quanto ai luoghi di permanenza a seguito di entrata irregolare sul territorio nazionale, nella sentenza Riad e Idiab c. Belgio del 24.1.08, la Corte EDU ha ricordato la propria giurisprudenza secondo la quale deve sussistere un legame tra il motivo invocato ai fini della privazione della libertà personale e il luogo e il regime della detenzione (nella fattispecie, in cui si trattava della zona di transito aeroportuale, la Corte ha considerato un rapporto del Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene inumane e degradanti secondo il quale la zona di transito non costituiva luogo appropriato). D'altro canto, però, nella sentenza Gebremedhin c. Francia, la Corte non ha ritenuto violato l'art. 5 CEDU (privazione della libertà personale) in conseguenza della detenzione del richiedente asilo in un centro di attesa: ciò considerato che questi era senza documenti e la detenzione era durata un tempo ragionevole, avuto riguardo all'esigenza di accertare l'identità dell'individuo.

 

 


Art. 2
(Modifiche al codice di procedura penale)

Testo originario

Testo approvato dal Senato

Articolo 2.

(Modifiche al codice di procedura penale).

 

Articolo 2.

(Modifiche al codice di procedura penale).

 

 1. Al codice di procedura penale sono apportate le seguenti modificazioni:

1. Identico:

 

     0a) all'articolo 51:

 

   1) al comma 3-ter, dopo le parole: «Nei casi previsti dal comma 3-bis» sono inserite le seguenti: «e dai commi 3-quater e 3-quinquies»;

 

    2) al comma 3-quater, il secondo periodo è soppresso;

 

   0b) all'articolo 328:

 

 1) al comma 1-bis, le parole: «comma 3-bis» sono sostituite dalle seguenti: «commi 3-bis e 3-quater»;

 

   2) il comma 1-ter è abrogato;

 

  3) è aggiunto, in fine, il seguente comma:

 

 «1-quater. Quando si tratta di procedimenti per i delitti indicati nell'articolo 51, comma 3-quinquies, le funzioni di giudice per le indagini preliminari e le funzioni di giudice per l'udienza preliminare sono esercitate, salve specifiche disposizioni di legge, da un magistrato del tribunale del capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente»;

   a) all'articolo 260, dopo il comma 3 sono aggiunti i seguenti:

  a) identico:

 «3-bis. L'autorità giudiziaria procede, altresì, anche su richiesta dell'organo accertatore alla distruzione delle merci di cui sono comunque vietati la fabbricazione, il possesso, la detenzione o la commercializzazione quando le stesse sono di difficile custodia, ovvero quando la custodia risulta particolarmente onerosa o pericolosa per la sicurezza, la salute o l'igiene pubblica ovvero quando, anche all'esito di accertamenti compiuti ai sensi dell'articolo 360, risulti evidente la violazione dei predetti divieti. L'autorità giudiziaria dispone il prelievo di uno o più campioni con l'osservanza delle formalità di cui all'articolo 364 e ordina la distruzione della merce residua.

 «3-bis. L'autorità giudiziaria procede, altresì, anche su richiesta dell'organo accertatore, alla distruzione delle merci di cui sono comunque vietati la fabbricazione, il possesso, la detenzione o la commercializzazione quando le stesse sono di difficile custodia, ovvero quando la custodia risulta particolarmente onerosa o pericolosa per la sicurezza, la salute o l'igiene pubblica ovvero quando, anche all'esito di accertamenti compiuti ai sensi dell'articolo 360, risulti evidente la violazione dei predetti divieti. L'autorità giudiziaria dispone il prelievo di uno o più campioni con l'osservanza delle formalità di cui all'articolo 364 e ordina la distruzione della merce residua.

 3-ter. Nei casi di sequestro nei procedimenti a carico di ignoti, la polizia giudiziaria, decorso il termine di tre mesi dalla data di effettuazione del sequestro, può procedere alla distruzione delle merci contraffatte sequestrate, previa comunicazione all'autorità giudiziaria. La distruzione può avvenire dopo 15 giorni dalla comunicazione salva diversa decisione dell'autorità giudiziaria. È fatta salva la facoltà di conservazione di campioni da utilizzare a fini giudiziari.»;

3-ter. Identico»;

 

 a-bis) nella rubrica dell'articolo 260 sono aggiunte le seguenti parole: «. Distruzione di cose sequestrate»;

  b) al comma 1 dell'articolo 371-bis, dopo le parole: «nell'articolo 51, comma 3-bis» sono inserite le seguenti: «e in relazione ai procedimenti di prevenzione»;

   b) al comma 1 dell'articolo 371-bis, dopo le parole: «nell'articolo 51, comma 3-bis» sono inserite le seguenti: «e in relazione ai procedimenti di prevenzione antimafia»;

 

 b-bis) all'articolo 381, comma 2, sono aggiunte, in fine, le seguenti lettere:

 

  «m-ter) falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri, prevista dall'articolo 495 del codice penale;

 

   m-quater) fraudolente alterazioni per impedire l'identificazione o l'accertamento di qualità personali, previste dall'articolo 495-ter del codice penale»;

  c) il comma 4 dell'articolo 449 è sostituito dal seguente:

  c) identico:

«4. Il pubblico ministero, quando l'arresto in flagranza è già stato convalidato, procede al giudizio direttissimo presentando l'imputato in udienza non oltre il quindicesimo giorno dall'arresto, salvo che ciò pregiudichi gravemente le indagini.»;

  «4. Il pubblico ministero, quando l'arresto in flagranza è già stato convalidato, procede al giudizio direttissimo presentando l'imputato in udienza non oltre il trentesimo giorno dall'arresto, salvo che ciò pregiudichi gravemente le indagini.»;

d) al comma 5 dell'articolo 449, il primo periodo è sostituito dal seguente: «Il pubblico ministero procede inoltre al giudizio direttissimo, salvo che ciò pregiudichi gravemente le indagini, nei confronti della persona che nel corso dell'interrogatorio ha reso confessione.»;

d) al comma 5 dell'articolo 449, il primo periodo è sostituito dal seguente: «Il pubblico ministero procede inoltre al giudizio direttissimo, salvo che ciò pregiudichi gravemente le indagini, nei confronti della persona che nel corso dell'interrogatorio ha reso confessione.». Al medesimo comma 5 dell'articolo 449, al secondo periodo, la parola: «quindicesimo» è sostituita dalla seguente: «trentesimo»;

   e) al comma 1 dell'articolo 450, le parole: «Se ritiene di procedere a giudizio direttissimo,» sono sostituite dalle seguenti: «Quando procede a giudizio direttissimo,»;

   e) identica;

 f) al comma 1 dell'articolo 453, le parole: «il pubblico ministero può chiedere», sono sostituite dalla seguente: «salvo che ciò pregiudichi gravemente le indagini, il pubblico ministero chiede»;

     f) al comma 1 dell'articolo 453, le parole: «il pubblico ministero può chiedere», sono sostituite dalle seguenti: «salvo che ciò pregiudichi gravemente le indagini, il pubblico ministero chiede»;

g) all'articolo 453, dopo il comma 1 sono inseriti i seguenti:

 g) identica;

 «1-bis. Il pubblico ministero richiede il giudizio immediato, anche fuori dai termini di cui all'articolo 454, comma 1, e comunque entro centottanta giorni dall'esecuzione della misura, per il reato in relazione al quale la persona sottoposta alle indagini si trova in stato di custodia cautelare, salvo che la richiesta pregiudichi gravemente le indagini.

 

  1-ter. La richiesta di cui al comma 1-bis è formulata dopo la definizione del procedimento di cui all'articolo 309, ovvero dopo il decorso dei termini per la proposizione della richiesta di riesame.»;

 

  h) all'articolo 455, dopo il comma 1 è aggiunto il seguente:

   h) identica;

 «1-bis. Nei casi di cui all'articolo 453, comma 1-bis, il giudice rigetta la richiesta se l'ordinanza che dispone la custodia cautelare è stata revocata o annullata per sopravvenuta insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza.»;

 

 i) all'articolo 599, i commi 4 e 5 sono abrogati;

   i) identica;

  l) all'articolo 602, il comma 2 è abrogato;

 l) identica;

  m) all'articolo 656, comma 9, lettera a), dopo le parole: «della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni,» sono inserite le seguenti: «nonché di cui agli articoli 423-bis, 600-bis, 624-bis, e 628 del codice penale,».

   m) all'articolo 656, comma 9, lettera a), dopo le parole: «della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni,» sono inserite le seguenti: «nonché di cui agli articoli 423-bis, 624, quando ricorrono due o più circostanze tra quelle indicate dall'articolo 625, 624-bis del codice penale, e per i delitti in cui ricorre l'aggravante di cui all'articolo 61, primo comma, numero 11-bis), del medesimo codice,».

 

 

L'articolo 2 è composto da un unico comma suddiviso in diciassette lettere (molte delle quali inserite durante l’esame al Senato) che introducono significative modifiche al codice di procedura penale.

 

Lettere 0a) e 0b): competenza degli uffici giudiziari

Le lettere 0a) e 0b), aggiunte nel corso dell'esame al Senato, prevedono alcune modifiche alla competenza degli uffici giudiziari conseguenti all'approvazione della legge 18 marzo 2008, n. 48, che ha autorizzato la Ratifica della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla criminalità informatica, fatta a Budapest il 23 novembre 2001. L'articolo 11 di tale legge , infatti, ha aggiunto all'art. 51 c.p.p. il comma 3-quinquies, che dispone per una serie di delitti elencati, che le funzioni di pubblico ministero siano esercitate, nelle indagini preliminari e nei procedimenti di primo grado, dai magistrati della procura della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente. (vedi anche l’articolo 12-bis del decreto legge in esame, che fissa la decorrenza di tale disposizione alla data successiva a quella di entrata in vigore della legge 48/2008 - ossia a decorrere dal 5 aprile 2008).

 

Si tratta dei procedimenti per i seguenti delitti, consumati o tentati:  artt. 600-bis (prostituzione minorile), 600-ter (pornografia minorile), 600-quater (detenzione di materiale pornografico), 600-quater.1 (pornografia virtuale), 600-quinquies (iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile), 615-ter (accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico), 615-quater (detenzione e diffusione abusiva di codici di accesso a sistemi informatici o telematici), 615-quinquies (diffusione di apparecchiature, dispositivi o programmi informatici diretti a danneggiare o interrompere un sistema informatico o telematico), 617-bis (installazione di apparecchiature atte ad intercettare od impedire comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche), 617-ter (falsificazione, alterazione o soppressione del contenuto di comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche), 617-quater (intercettazione, impedimento o interruzione illecita di comunicazioni informatiche o telematiche), 617-quinquies (installazione di apparecchiature atte ad intercettare, impedire o interrompere comunicazioni informatiche o telematiche), 617-sexies (falsificazione, alterazione o soppressione del contenuto di comunicazioni informatiche o telematiche), 635-bis (danneggiamento di informazioni, dati e programmi informatici), 635-ter (danneggiamento di informazioni, dati e programmi informatici utilizzati dallo Stato o da altro ente pubblico o comunque di pubblica utilità), 635-quater (danneggiamento di sistemi informatici o telematici), 640-ter (frode informatica) e 640-quinquies (frode informatica del soggetto che presta servizi di certificazione di firma elettronica).

 

La lettera 0a) estende ai procedimenti per i delitti di cui all'art. 51, comma 3-quinquies, c.p.p., la possibilità che le funzioni di pubblico ministero per il dibattimento siano esercitate da un magistrato designato dal procuratore della Repubblica presso il giudice competente, come già previsto dallo stesso art. 51, ai commi 3-ter (per i gravi delitti di criminalità organizzata di cui al comma 3-bis) e 3-quater (per i reati di terrorismo).

Per motivi di coerenza sistematica si integra la formulazione del comma 3-ter dell’art. 51, accorpando in tale comma tutti i casi in cui le funzioni di pubblico ministero in dibattimento possono essere attribuite a procuratori dei circondari (e sopprimendo conseguentemente il secondo periodo del comma 3-quater).

 

La citata legge 48/2008 ha modificato, per quanto riguarda i delitti di cui all’articolo 51, comma 3-quinquies, solo le competenze dell'ufficio del pubblico ministero, e non quelle del giudice per le indagini preliminari. Sì è dunque verificata una discrasia alla luce della quale mentre le funzioni requirenti sono concentrate nel capoluogo del distretto, le funzioni giudicanti sono ancora distribuite tra i vari tribunali del distretto, con conseguenti diseconomie nella gestione dei procedimenti.

Per ovviare a tale situazione la  lettera 0b) modifica il comma 1-bis dell'art. 328 c.p.p. Tale comma attualmente attribuisce le funzioni di giudice per le indagini preliminari ad un magistrato del tribunale del capoluogo del distrettonel cui ambito ha sede il giudice competente quando si tratta di procedimenti per i gravi delitti per i quali l'art. 51 comma 3-bis c.p.p. (associazione a delinquere finalizzata alla tratta o alla riduzione o mantenimento in schiavitù o servitù, associazione mafiosa e reati connessi, sequestro di persona a scopo di estorsione, riduzione in schiavitù o servitù, tratta di persone, ecc.) stabilisce che le funzioni di pubblico ministero siano a loro volta concentrate presso la procura distrettuale.

La lettera 0b), aggiungendo il comma 1-quater all’articolo 328 c.p. attribuisce, in parallelo a quanto già avviene per il pubblico ministero, al giudice per le indagini preliminari  presso il tribunale distrettuale la competenza anche con riferimento ai procedimenti per i citati reati di cui all'art. 51, comma 3-quinquies, c.p.p..

Per motivi di coerenza sistematica, la lettera 0b) concentra nel comma 1-bis dell'art. 328 tutte le deroghe alla competenza territoriale del GIP, nel quale viene inserito anche il riferimento ai delitti di cui all'art. 51, comma 3-quater, c.p.p. (terrorismo), attualmente contenuto nell'art. 328, comma 1-ter, c.p.p. (del quale, conseguentemente, si prevede l'abrogazione).

Lettere a) e a-bis): distruzione di cose sottoposte a sequestro

La lettera a) integra il contenuto dell’art. 260 c.p.p. con due nuovi commi (3-bis ed il 3-ter) che estendono il novero dei casi in cui si procede alla distruzione di cose sottoposte a sequestro nel corso di un procedimento penale, al fine di risolvere le difficoltà di carattere economico e pratico che la custodia e la conservazione di ingenti quantitativi di merce può porre.

 

Il sequestro del "corpo del reato e delle cose pertinenti al reato necessarie per l’accertamento dei fatti" è disciplinato dagli artt. 253 e ss. c.p.p. tra i mezzi di ricerca della prova. Tale sequestro viene definito probatorio ed ha come finalità l’apprensione di una cosa determinata, mobile o immobile, che costituisce il corpo del reato o cosa a questo pertinente, per garantire al giudizio il mezzo di prova. In particolare gli artt. 253-263 c.p.p. definiscono fattispecie specifiche di sequestri, aventi ad oggetto beni di rilevanza quali la corrispondenza, documenti bancari o atti coperti dal segreto di Stato o professionale.

L’art. 260 c.p.p. descrive le attività materiali che vengono eseguite al fine di impedire che le cose sottoposte a sequestro vengano manipolate o ne venga modificato lo status quo. In particolare, il terzo comma precisa che in presenza di cose che possono alterarsi (prodotti alimentari, farmaceutici o altri prodotti soggetti a deperimento o alterazione nel tempo), l’autorità giudiziaria può ordinare l’alienazione o la distruzione. Ai sensi dell'art. 83 delle norme di attuazione del codice di procedura penale, l'autorità giudiziaria prima di procedere alla distruzione, dispone il prelievo dei campioni, quando ciò è possibile, dando avviso al difensore. Delle operazioni di distruzione è redatto verbale da allegare agli atti.

 

Il nuovo comma 3-bis dell'art. 260 c.p.p., introdotto dalla lettera a), dispone che l'autorità giudiziaria deve procedere, anche su richiesta dell'organo accertatore, alla distruzione delle cose di cui sono vietati la fabbricazione, il possesso, la detenzione o la commercializzazione, in presenza delle seguenti condizioni:

-   le cose sono di difficile custodia (ad es. per l’ingente  quantità) ovvero

-   la loro custodia risulta particolarmente onerosa o pericolosa per la sicurezza, la salute o l'igiene pubblica ovvero

-   la violazione dei predetti divieti di fabbricazione, possesso, detenzione o commercializzazione risulta evidente, anche in esito ad eventuali accertamenti tecnici non ripetibili compiuti  disposti dal PM ai sensi dell'art. 360 c.p.p..

 

L'autorità giudiziaria, prima di ordinare la distruzione, deve disporre il prelievo di uno o più campioni con l'osservanza delle garanzie difensive di cui all'art. 364 c.p.p. (invito all’indagato e al suo difensore ad assistere alle operazioni).

 

La relazione illustrativa del decreto legge segnala che un tipo analogo di distruzione è prevista dall'art. 171-sexies della legge 22 aprile 1941, n. 633 sul diritto d’autore, che stabilisce che l'autorità giudiziaria possa ordinare la distruzione di materiale sequestrato che per entità, sia di difficile custodia, osservate le disposizioni del già menzionato art. 83 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale.

 

Il nuovo comma 3-ter dell’art. 260 c.p.p.introdotto dalla lettera a), prevede che nei procedimenti a carico di ignoti, la polizia giudiziaria può procedere alla distruzione delle merci contraffatte sequestrate, previa comunicazione all'autorità giudiziaria, decorsi tre mesi dalla data di effettuazione del sequestro. La distruzione può avvenire 15 giorni dalla comunicazione, salva diversa decisione dell'autorità giudiziaria. In questo caso, è fatta salva la mera facoltàdi conservazione di campioni da utilizzare a fini giudiziari.

 

La lettera a-bis), introdotta nel corso dell'esame al Senato, ha natura di coordinamento, adeguando il contenuto della rubrica del suddetto art. 260 c.p.p. alle modifiche introdotte dalla lettera a) alla norma in tema di distruzione di cose sequestrate.

 

Lettera b): attività di coordinamento del P.N.A. (Procuratore nazionale antimafia).

La lettera b) modifica l'art. 371-bis c.p.p., estendendo l'attività di coordinamento del P.N.A. (Procuratore nazionale antimafia) anche ai procedimenti di prevenzione antimafia già esercitata in relazione ai delitti di criminalità organizzata indicati nell'articolo 51, comma 3-bis, c.p.p.  (con riferimento alle misure di prevenzione vedi anche gli articoli da 10 a 12).

 

 

La lettera b-bis): l'arresto obbligatorio in flagranza

 

La lettera b-bis), introdotta nel corso dell'esame al Senato ha modificato l'art. 381 c.p.p., prevedendo l'arresto obbligatorio in flagranza anche per il delitto di:

-   falsa attestazione o dichiarazione a pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri, previsto dall'art. 495 c.p. (come modificato dall'articolo 1 del decreto-legge, vedi sopra)

-   fraudolente alterazioni e mutilazioni per impedire l'identificazione o l'accertamento di qualità personali, di cui al nuovo art. 495-ter, introdotto nel codice penale nel corso dell’esame al Senato (vedi sopra).

 

 

Le lettere c), d) ed e) : disciplina del giudizio direttissimo

 

Le lettere c), d) ed e) apportano modifiche alla disciplina del giudizio direttissimo, con l'intenzione di far sì che la scelta del rito in questione divenga la regola in relazione a tutte le indagini che non richiedono attività ulteriori da parte del pubblico ministero.

 

In particolare, la lettera c) novella l’art. 449 c.p.p., comma 4, prevedendo -  quando l'arresto in flagranza è già stato convalidato - l’obbligo (anziché la facoltà) per il pubblico ministero di procedere con il rito direttissimo, salvo che ciò pregiudichi gravemente le indagini.

Con un emendamento approvato dal Senato è stato esteso da 15 a 30 giorni dall'arresto il termine entro il quale il PM deve presentare l'imputato in udienza.

La lettera d) modifica nello stesso senso l’art. 449, comma 5, prevedendo per il pubblico ministero analogo obbligo di scelta del rito direttissimo se sia stata resa confessione nel corso dell'interrogatorio. Per esigenze di coordinamento, con modifica introdotta dal Senato si è previsto il raddoppio da 15 a 30 giorni del termine entro cui l’imputato reo confesso deve essere presentato all’udienza.

 

La lettera e) novella l’art. 450 c.p.p. coordinando il contenuto del comma 1 (che prevede che il PM faccia condurre l’imputato arrestato in flagranza o in stato di custodia cautelare direttamente in udienza) all’introdotto obbligo di procedere al rito direttissimo.

 

 

Le lettere f), g) ed h) : disciplina del giudizio immediato

 

Le lettere f), g) e h) apportano modifiche dello stesso tenore alla disciplina del giudizio immediato di cui agli artt. 453 e ss. del codice processuale penale.

Infatti, la lettera f) prevede che, qualora ne ricorrano i presupposti e salvo che ciò pregiudichi gravemente le indagini, il pubblico ministero chiede (non più facoltà dunque, ma obbligo) il giudizio immediato.

 

Le lettere g) e h) sono volte ad accelerare l'instaurazione del giudizio immediato, nelle ipotesi in cui a carico dell'indagato sia stata emessa un'ordinanza di custodia cautelare e la valutazione circa la sussistenza della gravità indiziaria sia stata confermata in sede di riesame.

Secondo la relazione illustrativa infatti, sia quando la prognosi di qualificata probabilità di colpevolezza - presupposto della misura custodiale - ha ricevuto un significativo avallo in sede di riesame, sia anche quando l'indagato non ha validamente attivato tale rimedio, è opportuno che il pubblico ministero attivi il procedimento in esame, anche al di fuori del termine di 90 giorni dalla notizia di reato previsto dall'art. 454, comma 1, c.p.p..

Pertanto, la lettera g), introducendo i nuovi commi 1-bis e 1-ter all'art. 453 c.p.p., prevede che il pubblico ministero debba richiedere il giudizio immediato, anche fuori dal termine di 90 giorni di cui all’art. 454, comma 1, e comunque entro 180 giorni dall’esecuzione della misura, per il reato in relazione al quale l’indagato si trovi in stato di custodia cautelare, salvo che la richiesta pregiudichi gravemente le indagini. Tale richiesta è formulata dopo la definizione del procedimento di riesame ovvero dopo il decorso dei termini per la proposizione della richiesta di riesame.

 

Ai sensi della lettera h), che introduce un nuovo comma 1-bis all'art. 455 c.p.p., il giudice deve rigettare la richiesta se l’ordinanza che dispone la custodia cautelare è stata revocata o annullata per sopravvenuta insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza.

 

 

Le lettere i) ed l): patteggiamento in appello

 

Le lettere i) ed l) hanno abrogato, rispettivamente, i commi 4 e 5 dell'art. 599 c.p.p. ed il comma 2 dell'art. 602 c.p.p., che prevedevano l'accordo tra le parti per l'accoglimento, in tutto o in parte, dei motivi di appello con rideterminazione della pena e rinuncia agli altri motivi (il c.d. patteggiamento in appello).

Al riguardo, si osserva che il cd. patteggiamento in appello di cui all’abrogato art. 599 c.p.p., comma 4, rappresentava un istituto distinto rispetto al patteggiamento di cui all'art. 444 del medesimo codice. L'art. 599, comma 4, prevedeva che la corte d’appello, se le parti ne facevano richiesta - dichiarando di concordare sull’accoglimento, in tutto o in parte, dei motivi d’appello - poteva decidere sul punto in camera di consiglio. Se i motivi dei quali veniva chiesto l’accoglimento comportavano una diversa determinazione della pena (rispetto al primo grado), le parti (PM, imputato e persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria) potevano accordarsi sull’entità della stessa indicandola al giudice. Questi se accoglieva la richiesta pronunciava sentenza, altrimenti ordinava la citazione a comparire al dibattimento (art. 599, comma 5). Il diniego del giudice non precludeva, comunque alle parti di riproporre la stessa richiesta in dibattimento.

A sua volta, l’art. 602, secondo comma, c.p.p. stabiliva, in caso di concorde richiesta delle parti per l'accoglimento, in tutto o in parte, dei motivi di appello a norma dell'art. 599, comma 4, che il giudice - quando riteneva che la richiesta dovesse essere accolta - provvedesse immediatamente oppure disponesse per la prosecuzione del dibattimento.

La relazione illustrativa del provvedimento afferma che le motivazioni dell’eliminazione di tale istituto risiedono essenzialmente nel fatto che, pur diverso, sia come funzione che come struttura processuale, dal patteggiamento di cui all’art. 444 c.p.p. il patteggiamento in appello ha, nella pratica, provocato il rimidensionamento dell’interesse a chiedere l’applicazione del patteggiamento vero e proprio già in primo grado, così vanificando le finalità deflattive per cui era stato introdotto.

Inoltre, il ricorso alla richiesta di cui all’art. 602, secondo comma, provocava grazie alla rimodulazione della pena, un abnorme abbattimento della misura della stessa, potendo, tra l’altro il giudice, accogliere la richiesta senza particolari oneri di motivazione (in tale ultimo senso, v. Cassazione penale, sentenza 24 maggio 1995).

 

La lettera m) : sospensione dell’esecuzione della pena detentiva

 

La lettera m) -  novellando il comma 9 dell’art. 656 c.p.p. - dispone che in relazione a specifici reati che suscitano particolare allarme sociale è esclusa la sospensione dell’esecuzione della pena detentiva prevista dall'art. 656, comma 5, c.p.p..

Si ricorda infatti che l’art. 656 c.p.p. (Esecuzione delle pene detentive) prevede, al comma 5, in caso di pena detentiva, anche se costituente residuo di maggiore pena, non superiore a tre anni (o sei anni nei casi di cui agli artt. 90 e 94 del testo unico in materia di stupefacenti), che il pubblico ministero, salvo quanto previsto dai commi 7 (la sospensione è prevista una sola volta) e 9 (deroghe alla disciplina generale), ne sospende l'esecuzione.

L'ordine di esecuzione e il decreto di sospensione sono notificati al condannato e al difensore, con l'avviso che entro trenta giorni può essere presentata istanza volta ad ottenere la concessione di una delle misure alternative alla detenzione di cui all’ordinamento penitenziario (legge 354/1975) e di cui all'art. 94 del testo unico in materia di stupefacenti ovvero la sospensione dell'esecuzione della pena di cui all'art. 90 dello stesso testo unico. L'avviso informa altresì che, ove non sia presentata l'istanza o la stessa sia inammissibile ai sensi degli artt. 90 e ss. del citato testo unico, l'esecuzione della pena avrà corso immediato

Il comma 9 del suddetto art. 656 c.p.p. introduce delle deroghe, stabilendo (prima dell'entrata in vigore del decreto-legge in esame) che la sospensione dell'esecuzione di cui al comma 5 non poteva essere disposta nei confronti:

a) dei condannati per i delitti di cui all'art. 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, fatta eccezione per coloro che si trovano agli arresti domiciliari disposti ai sensi dell'art. 89 del testo unico in materia di stupefacenti;

b) di coloro che, per il fatto oggetto della condanna da eseguire, si trovano in stato di custodia cautelare in carcere nel momento in cui la sentenza diviene definitiva;

c) dei condannati ai quali sia stata applicata la plurirecidiva prevista dall'art. 99, quarto comma, c.p..

 

La lettera m) amplia quindi, l'elenco dei casi in cui la sospensione dell'esecuzione di cui all'art. 656, comma 5, non può essere disposta, ricomprendendovi i condannati per una serie di reati, il cui catalogo è stato oggetto di modifica nel corso dell’esame al Senato:

-   incendio boschivo (art. 423-bis c.p.);

-   furto (art. 624 c.p.), in presenza di due o più delle aggravantii di cui all’art. 625;

-   furto in abitazione e con strappo (art. 624-bis c.p.);

-   delitti in cui ricorre la nuova aggravante della clandestinità (art. 61, comma 1, numero 11-bis, c.p, inserita dalla lettera f) dell’articolo 1 del decreto legge);

 

 

Documenti all’esame delle istituzioni dell’Unione europea
(a cura dell’Ufficio Rapporti con l’Unione europea)

Contraffazione

Il 24 giugno 2006 la Commissione ha presentato una proposta modificata di direttiva (COM(2006)168)[38], relativa alle misure penali finalizzate ad assicurare il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale.

In particolare, la proposta della Commissione prevede che gli Stati membri qualifichino penalmente ogni violazione intenzionale del diritto di proprietà intellettuale commessa su scala commerciale e il relativo tentativo nonché la complicità e l’incitamento, introducendo le seguenti sanzioni:

a) per le persone fisiche, pene restrittive della libertà;

b) per le persone fisiche e giuridiche:

·       ammende,

·       confisca dell’oggetto, degli strumenti e dei prodotti originati dai reati, o di beni il cui valore corrisponde a questi prodotti.

In base alla proposta gli Stati membri dovrebbero inoltre prevedere, nei casi opportuni, l’applicabilità delle sanzioni seguenti:

a) la distruzione dei beni che causano una violazione del diritto di proprietà intellettuale;

b) la chiusura, totale o parziale, definitiva o temporanea, dello stabilimento principalmente usato per commettere la violazione in questione;

c) l’interdizione permanente o temporanea di esercitare attività commerciali;

d) il controllo giudiziario;

e) la liquidazione giudiziaria;

f) il divieto di accedere a sovvenzioni e aiuti pubblici;

g) la pubblicazione delle decisioni giudiziarie.

Per quanto riguarda il livello delle sanzioni, la proposta di direttiva prevede che gli Stati membri garantiscano che il massimo della pena comminabile alle persone fisiche responsabili dei suddetti reati non sia inferiore a 4 anni di reclusione quando tali reati siano commessi nell’ambito di un’organizzazione criminale ai sensi della decisione quadro sulla lotta contro la criminalità organizzata, in corso di esame (vedi infra) e comportino un rischio per la salute o la sicurezza delle persone.

Inoltre, le sanzioni devono comprendere ammende penali o non penali:

·       di un massimo non inferiore a 100 000 euro per i casi meno gravi;

·       di un massimo non inferiore a 300 000 euro per i casi in cui tali reati siano commessi nell’ambito di un’organizzazione criminale ai sensi della decisione quadro sulla lotta contro la criminalità organizzata, in corso di esame e comportino un rischio per la salute o la sicurezza delle persone.

La proposta di direttiva prevede inoltre ampi poteri di confisca e gli Stati membri adottano le misure necessarie a permettere la confisca, totale o parziale, dei beni appartenenti a persone fisiche o giuridiche condannate conformemente alle disposizioni della decisione quadro 2005/212/GAI del 24 febbraio 2005 relativa alla confisca di beni, strumenti e proventi di reati, quantomeno quando i reati siano stati commessi nell’ambito di un’organizzazione criminale e qualora comportino un rischio per la salute o la sicurezza delle persone.

La proposta, che segue la procedura di codecisione, è stata esaminata dal Parlamento europeo in prima lettura il 25 aprile 2007. Il Parlamento europeo ha adottato il progetto di risoluzione legislativa presentato dall’europarlamentare Nicola Zingaretti (PSE- IT) e contenente alcuni emendamenti. In particolare per quanto riguarda la qualifica di reato, il Parlamento europeo ritiene che per violazione commessa su scala commerciale si debba intendere “la violazione di un diritto di proprietà intellettuale commesso per ottenere un vantaggio commerciale” escludendo perciò gli atti compiuti da un utilizzatore privato per fini personali e non di lucro. Il testo è in attesa di esame da parte del Consiglio.

Il tema della lotta alla contraffazione è stato affrontato anche nell’ambito della risoluzione su norme e procedure efficaci in tema d'importazione ed esportazione al servizio della politica commerciale, adottata dal Parlamento europeo il 5 giugno 2008.

In particolare il Parlamento europeo ha sottolineato la necessità di predisporre, a livello di Unione europea, un piano di lotta alla contraffazione e alla pirateria; insistendo sulla necessità di rafforzare la cooperazione al riguardo, in seno alla Commissione, tra i servizi responsabili delle norme sulla proprietà intellettuale, della politica commerciale e della politica doganale.

Decisioni di confisca

Il 14 gennaio 2008 è stata presentata la proposta di decisione quadro (JAI(2008)2) relativa all’esecuzione delle sentenze contumaciali e che modifica varie decisioni quadro, tra cui la decisione quadro 2006/783/GAI, relativa all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni di confisca.

La proposta è volta a facilitare l’applicazione del principio del reciproco riconoscimento, armonizzando le disposizioni a livello UE, in modo da superare la diversità di soluzioni attualmente previste, nel caso in cui le sentenze siano pronunciate in contumacia.

Sulla proposta, che segue la procedura di consultazione, la Commissione Libertà civili, giustizia e affari interni del Parlamento europeo ha adottato un progetto di relazione (relatore Armando França, PSE) il 7 aprile 2008, in vista dell’esame in plenaria che dovrebbe svolgersi nella seduta del 2 settembre 2008. Il Consiglio ha raggiunto un orientamento generale nella riunione del 5 giugno 2008.

 


 

Art. 2-bis
(Modifiche alle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271)

Testo originario

Testo approvato dal Senato

 

Art. 2-bis.

(Modifiche alle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271).

 

 

  1. L'articolo 132-bis delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, è sostituito dal seguente:

 

  «Art. 132-bis. - (Formazione dei ruoli di udienza) - 1. Nella formazione dei ruoli di udienza e nella trattazione dei processi il giudice assegna precedenza assoluta ai procedimenti relativi ai delitti puniti con la pena dell'ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a dieci anni, ai delitti di cui agli articoli 51, commi 3-bis e 3-quater, e 407, comma 2, lettera a), del codice, ai delitti di criminalità organizzata, ai procedimenti con imputati detenuti, anche per reato diverso da quello per cui si procede, e ai procedimenti da celebrare con giudizio direttissimo e con giudizio immediato.

 

 2. Nella formazione dei ruoli di udienza il giudice assicura priorità assoluta alla trattazione dei procedimenti relativi a reati commessi in violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro».

 

 

Nel corso dell’esame al Senato sono stati approvati due articoli aggiuntivi, l’articolo 2-bis e l’articolo 2-ter, che introducono deroghe alla ordinaria disciplina del processo penale prevedendo, rispettivamente:

la precedenza, nei ruoli d’udienza, per la trattazione dei processi di maggior allarme sociale;

la corrispondente sospensione per un anno dei processi per reati ritenuti meno gravi, purché commessi entro il 30 giugno 2002.

 

L’articolo 2-bisriformula l’art. 132-bis delle Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale (D.Lgs n. 271 del 1989) che attualmente prevede che, nella formazione dei ruoli di udienza, venga assicurata priorità assoluta alla trattazione dei procedimenti quando ricorrono ragioni di urgenza con riferimento alla scadenza dei termini di custodia cautelare.

La norma riformulata elenca i reati per i quali è introdotta una corsia preferenziale nella trattazione dei relativi procedimenti penali stabilendo che, nella formazione dei ruoli e nella trattazione dei processi, il giudice debba dare precedenza assoluta::

-          ai procedimenti per delitti puniti con ergastolo o reclusione superiore nel massimo a 10 anni;

-          ai procedimenti per i delitti di cui agli artt. 51, commi 3-bis[39]e 3-quater[40], e 407, comma 2, lett. a) c.p.p[41].;

-          ai procedimenti per delitti di criminalità organizzata;

-          ai procedimenti con imputati detenuti (anche per reato diverso da quello per cui si procede)

-          ai procedimenti da celebrare con rito direttissimo ed immediato.

 

E’ inoltre specificato (comma 2 dell’art. 132-bis) che nella formazione dei ruoli di udienza il giudice assicura priorità assoluta alla trattazione dei procedimenti relativi a reati commessi in violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro.

 

Ai sensi del nuovo art. 132-bis, Disp. att. c.p.p., l’urgenza del procedimento riferita alla scadenza dei termini cautelari non costituisce più motivo di priorità nella formazione dei ruoli d’udienza.

 

Con riferimento ai criteri da osservare per la formazione dei ruoli di udienza e per la trattazione dei procedimenti, si ricorda che l’articolo 227 del D.Lgs 51 del 1998, che ha introdotto il giudice unico di primo grado, stabilisce che “anche indipendentemente dalla data del commesso reato o da quella delle iscrizioni del procedimento, si tiene conto della gravità e della concreta offensività del reato”, oltre che del pregiudizio che può derivare dal ritardo per la formazione della prova e per l'accertamento dei fatti, nonché dell'interesse della persona offesa.

 


 

Art. 2-ter
(Sospensione dei processi penali relativi a fatti commessi fino al 30 giugno 2002).

Testo originario

Testo approvato dal Senato

 

Art. 2-ter.

(Sospensione dei processi penali relativi a fatti commessi fino al 30 giugno 2002).

 

 

  1. Al fine di assicurare la priorità assoluta alla trattazione dei procedimenti di cui all'articolo 132-bis delle citate norme di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, nonché dei procedimenti da celebrare con giudizio direttissimo e con giudizio immediato, i processi penali relativi a fatti commessi fino al 30 giugno 2002, che si trovino in uno stato compreso tra la fissazione dell'udienza preliminare e la chiusura del dibattimento di primo grado, sono immediatamente sospesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto per la durata di un anno. In caso di pluralità di reati contestati, si ha riguardo alla data dell'ultimo reato.

 

 2. Nei casi di cui al comma 1, il corso della prescrizione rimane sospeso durante la sospensione del procedimento o del processo penale. La prescrizione riprende il suo corso dal giorno in cui è cessata la sospensione.

 

 3. La comunicazione della sospensione del processo con l'eventuale indicazione della nuova data di udienza è notificata, con le modalità di cui all'articolo 148, comma 2-bis, del codice di procedura penale, ai difensori delle parti e al pubblico ministero.

 

   4. Nel processo sospeso, ove ne ricorrano i presupposti, il giudice può comunque provvedere ai sensi degli articoli 392 e 467 del codice di procedura penale.

 

 5. La parte civile costituita può trasferire l'azione in sede civile. In tal caso, i termini a comparire di cui all'articolo 163-bis del codice di procedura civile sono abbreviati fino alla metà, e il giudice fissa l'ordine di trattazione delle cause dando precedenza al processo relativo all'azione trasferita.

 

  6. La sospensione non opera nei procedimenti relativi ai delitti di cui agli articoli 51, commi 3-bis e 3-quater, e 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale, ai delitti di criminalità organizzata, ai delitti puniti con la pena dell'ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a dieci anni determinata a norma dell'articolo 4 del codice di procedura penale, ai reati commessi in violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro e, in ogni caso, ai procedimenti con imputati detenuti, anche per reato diverso da quello per cui si procede.

 

 7. Al fine di assicurare la priorità assoluta alla trattazione dei procedimenti di cui al comma 1, il presidente del tribunale può sospendere i processi quando i reati in essi contestati sono prossimi alla prescrizione e la pena eventualmente da infliggere non sarebbe eseguibile ai sensi della legge 31 luglio 2006, n. 241.

 

  8. L'imputato può richiedere al presidente del tribunale di non sospendere il processo. Il presidente del tribunale, valutate le ragioni della richiesta, le esigenze dell'ufficio e lo stato del processo, provvede con ordinanza, notificata con le modalità di cui al comma 3.

 

 9. L'imputato o il suo difensore munito di procura speciale e il pubblico ministero possono formulare la richiesta di cui all'articolo 444 del codice di procedura penale entro tre giorni dalla notifica di cui al comma 3 o nella prima udienza utile successiva alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, anche nei processi nei quali, alla medesima data, risulti decorso il termine previsto dall'articolo 446, comma 1, del codice di procedura penale e fino alla dichiarazione di chiusura del dibattimento. La richiesta può essere formulata anche quando sia stata già presentata nel corso del procedimento, ma vi sia stato il dissenso da parte del pubblico ministero ovvero sia stata rigettata dal giudice, e sempre che la nuova richiesta non costituisca mera riproposizione della precedente.

 

 

Il secondo articolo aggiuntivo, l’articolo 2-ter, trae le premesse dal contenuto dell’illustrato art. 2-bis.

 

La nuova norma sospende per un anno, dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto legge, i processi penali relativi a reati commessi entro il 30 giugno 2002 quando il processo si trovi nella fase compresa tra la fissazione dell’udienza preliminare e la chiusura del dibattimento di primo grado.

La finalità della sospensione del processo (che a condizioni date, è obbligatoria per il giudice) è fatta risalire alla necessità di assicurare la priorità assoluta alla trattazione dei procedimenti urgenti, identificati dall’art. 132-bis, disp. att. c.p.p., come riformulato dall’art. 2-bisdel decreto-legge (v. ante) ovvero da celebrare con rito direttissimo (artt. 449 e ss., c.p.p.) e immediato (art. 453 e ss. c.p.p.).

E’ precisato, ai fini dell’applicazione della sospensione, che in caso di pluralità di reati contestati deve farsi riferimento alla data dell’ultimo reato (comma 1).

 

Nel corso del dibattito che si è svolto al Senato, è stato da alcuni evidenziato che, poiché l’istituto della sospensione differisce nel tempo la definizione dei processi oggetto della norma, andrebbe approfondita la coerenza di tale disposizione con il principio della ragionevole durata del processo (art. 111, secondo comma, Cost.), con riguardo sia ai diritti dell’imputato che delle altre parti processuali.

 

Una deroga a tale disciplina della sospensione del processo penale è dettata dal comma 6 del nuovo art. 2-ter.

Non sono, infatti, sospendibili i processi:

§         relativi ai reati di grave allarme sociale di cui ai già menzionati artt. 51, commi 3-bis e 3-quater e 407, comma 2, lett. a), c.p.p ;

§         per reati punibili con l’ergastolo o la reclusione superiore nel massimo a 10 anni

§         relativi ai delitti di criminalità organizzata;

§         relativi ai reati commessi in violazione delle norme sugli infortuni sul lavoro;

§         La sospensione, infine, non opera nei procedimenti con imputati detenuti, anche per reato diverso da quello per cui si procede.

Potrebbe risultare opportuna una precisazione in merito “ai delitti di criminalità organizzata”, essendo questi ultimi in gran parte già ricompresi tra quelli di cui agli artt. 51, comma 3-bis, e 407, comma 2, lett. a), del codice processuale penale, già richiamati nello stesso comma.

 

Durante la sospensione del processo è sospeso il corso della prescrizione, che riprende a decorrere dal giorno di cessazione della sospensione (comma 2).

 

La sospensione del processo va comunicata ai difensori delle parti ed al PM eventualmente indicando la data della nuova udienza; la notifica avviene “con mezzi tecnici idonei” ai sensi dell’art. 148, comma 2-bis, c.p.p. (comma 3).

In tal caso, l'ufficio che ha trasmesso l'atto attesta, in calce ad esso, di aver trasmesso il testo in originale (art. 54, disp. att. c.p.p.).

 

Il comma 4, precisa che, in presenza dei presupposti, il giudice possa - anche a processo sospeso – “provvedere ai sensi degli artt. 392 e 467 del codice di procedura penale”. Potrà, quindi, procedere all’incidente probatorio (testimonianze, confronti, perizie, ecc.) quando l’assunzione di tale mezzo di prova appaia come atto urgente non rinviabile.

 

Il successivo comma 5 stabilisce che la parte civile nel processo penale sospeso possa trasferire l’azione in sede civile. Per tale ipotesi, è introdotta una corsia preferenziale  che prevede:

- l’abbreviazione della metà dei termini di comparizione (quello ordinario è di 90 gg.);

- la precedenza della causa trasferita nell’ordine di trattazione delle cause fissato dal giudice civile.

 

Sempre per dare priorità ai procedimenti urgenti di cui al comma 1, un’ulteriore ipotesi di sospensione del processo penale è dettata dal comma 7 e riguarda, in tali procedimenti, la possibilità per il Presidente del tribunale di sospendere il processo quando:

-          i reati contestati siano prossimi alla prescrizione;

-          la pena eventuale da infliggere sia “coperta” da indulto, ex legge n. 241/2006(reati commessi fino al 2 maggio 2006, puniti in misura non superiore a tre anni di reclusione o non superiore a 10.000 euro per pene pecuniarie sole o congiunte a pene detentive).

 

Con riguardo alla formulazione del testo, si osserva che il riferimento ai reati “prossimi alla prescrizione” potrebbe risultare non sufficientemente determinato.

 

Va osservato altresì che il comma 7, non prevedendo espressamente un termine per la sospensione dei processi, a differenza delle ipotesi di cui al comma 1, potrebbe dar luogo ad una sospensione sine die dei processi stessi.

A tale riguardo, può risultare opportuno un approfondimento in relazione ai principi della ragionevole durata del processo (art. 111, secondo comma, Cost.) e della tutela del diritto di azione e di difesa (art. 24 Cost.), anche alla luce della giurisprudenza costituzionale in materia (in tale senso si vedano le sentenze n. 354 del 1996 e n. 24 del 2004).

Ancor prima che fosse espressamente sancito in Costituzione il principio della ragionevole durata del processo, nella giurisprudenza costituzionale si è affermato un indirizzo consolidato secondo il quale la sospensione del processo senza limiti temporali comporti una lesione dei principi costituzionali. In particolare, la Corte nella sentenza n. 24 del 2004 aveva evidenziato che “una stasi del processo per un tempo indefinito e indeterminabile vulnerasse il diritto di azione e di difesa (sentenza n. 354 del 1996) e che la possibilità di reiterate sospensioni ledesse il bene costituzionale dell'efficienza del processo (sentenza n. 353 del 1996)”.

 

Dalla formulazione testuale del comma 7, inoltre, non si desume con chiarezza se nelle ipotesi di sospensione ivi previste resti sospeso il corso della prescrizione, come esplicitamente previsto al comma 2 per i processi di cui al comma 1. Qualora non restasse sospeso il corso della prescrizione, per i reati in questione si potrebbe verificare un’agevolazione ex lege della maturazione della stessa prescrizione.

 

Il comma 8 prevede la possibilità, per l’imputato, di chiedere al Presidente del tribunale di non sospendere il processo; il Presidente provvede sulla richiesta con ordinanza, valutate le ragioni, le esigenze dell’ufficio e lo stato del processo.

 

Non appare chiaro dalla formulazione della norma se la facoltà di richiedere la prosecuzione del processo sia attribuita all’imputato con riferimento alle sole ipotesi del comma 7 (sospensione facoltativa) o anche alle ipotesi di cui al comma 1 (sospensione obbligatoria). Ove tale facoltà non sia riconosciuta nelle ipotesi di sospensione obbligatoria, sarebbe opportuno valutare la norma alla luce del diritto di difesa dell’imputato (art. 24 Cost.).

 

Il comma 9 prevede, nei procedimenti sospesi, la possibilità per l’imputato, il difensore e il pubblico ministero di richiedere il patteggiamento:

§         anche quando siano decorsi i termini previsti dall’art. 446, comma 1, c.p.p. e fino alla dichiarazione di chiusura del dibattimento;

§         anche quando sia già stata presentata nel procedimento analoga richiesta su cui il PM abbia espresso dissenso ovvero questa sia stata rigettata dal giudice, sempre che la nuova richiesta non sia mera riproposizione della precedente.

L’art. 446, comma 1, c.p.p. prevede che le parti possono formulare la richiesta di applicazione della pena su richiesta, nella udienza preliminare fino alla presentazione delle conclusioni del PM e dei difensori in sede di discussione (compreso il caso d’integrazione probatoria disposta ex art. 422 c.p.p.) e fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado nel giudizio direttissimo. Se è stato notificato il decreto di giudizio immediato, la richiesta è formulata entro 15 gg. da tale notifica e depositata dal’imputato nella cancelleria del GIP, con la prova dell’avvenuta notifica al pubblico ministero.

In tali casi, la richiesta di patteggiamento va avanzata entro 3 gg. dalla notifica di sospensione o nella prima udienza utile successiva alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto legge in esame.

Elementi per la valutazione di compatibilità con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo
(a cura dell’Avvocatura, Osservatorio sulle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo)

La giurisprudenza della Corte EDU in tema di ragionevole durata del processo

Ai sensi dell’art. 6, paragrafo 1, CEDU ogni persona ha diritto a che la propria causa sia esaminata entro un tempo ragionevole.

Per consolidata giurisprudenza della Corte EDU, la ragionevolezza della durata va apprezzata tenendo conto delle circostanze della causa, del comportamento delle parti, nonché di quello delle autorità nazionali.

Nei confronti dell’Italia, con particolare riferimento ai procedimenti civili, la Corte EDU, a partire  dalla sentenza Bottazzi del 1999 e poi, in particolare con la sentenza Von Berger del 2000, ha riscontrato l’esistenza in Italia di una prassi contraria alla Convenzione risultante dall’accumulo di cause rispetto all’esigenza del termine ragionevole e, nella misura in cui tali mancanze vengono constate, ciò costituisce un’aggravante della violazione dell’art. 6.

Fermo restando il diritto di ogni individuo ad una ragionevole durata del processo, la Corte ha anche affermato, mettendo a confronto i rimedi all’eccessiva durata  di tipo indennitario con quelli di tipo acceleratorio, che spetta ad ogni Stato, in virtù del principio di sussidiarietà scegliere il tipo di rimedio, strutturandolo in modo coerente con il proprio sistema giuridico (così Scordino c. Italia G.C. 29 marzo 2006).

Con specifico riferimento ai procedimenti penali,  la Corte EDU, con decisione Asociacion de victimas del terrorismo c. Spagna del 29 marzo 2001 ha affermato che la Convenzione non garantisce un diritto all’avvio dell’azione penale verso terzi, perchè il diritto di accesso ad un tribunale di cui all’art. 6 par. 1 CEDU, che dispone per la tutela dei diritti civili, non comprende ad un diritto all’avvio del processo penale per ottenere la condanna di un terzo.

Infine, nell’esame di fattispecie di tipo civile nelle quali veniva in considerazione il diritto alla ragionevole durata del processo, la Corte ha affermato che  una “diligenza eccezionale” si imporrebbe, all’occorrenza, nonostante il numero di cause da trattare, nei casi in cui il ritardo rischi di privare di utilità la decisione che il giudice dovrebbe rendere (così nella sentenza X. C. Francia del 31 marzo 1992, ove il ricorrente era un emofiliaco che aveva contratto AIDS, nonché in altre fattispecie relative a minori, cause di lavoro e pensionistiche).

 


 

Art. 3
(Modifiche al decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274)

Testo originario

Testo approvato dal Senato

Articolo 3.

(Modifiche al decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274).

 

Articolo 3.

(Modifiche al decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274).

 

   1. All'articolo 4, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, dopo le parole: «derivi una malattia di durata superiore a venti giorni» sono inserite le seguenti: «, nonché ad esclusione delle fattispecie di cui all'articolo 590, terzo comma, quando si tratta di fatto commesso da soggetto in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell'articolo 186, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, ovvero da soggetto sotto l'effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope,».

    Identico.

 

 

L'articolo 3 modifica l'articolo 4, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, in materia di competenza del giudice di pace.

In particolare, sono sottratte alla competenza del giudice di pace, le ipotesi di lesioni colpose gravi e gravissime di cui all'art. 590, terzo comma, c.p., commesse con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale, quando si tratta di reato commesso da soggetto in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell'art. 186, comma 2, lettera c), del decreto legislativo n. 285 del 1992 (Codice della strada) - ossia un soggetto al quale sia stato accertato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi per litro - ovvero da soggetto sotto l'effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope[42].

 

Si ricorda che l’articolo 590, terzo comma, del codice penale disciplina le fattispecie delle lesioni personali colpose gravi e gravissime che siano commesse con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale o di quelle  per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, stabilendo che la pena per le lesioni gravi è la reclusione da tre mesi ad un anno o la multa da euro 500 a euro 2000 e la pena per le lesioni gravissime è la reclusione da uno a tre anni.

Attualmente l’articolo 4, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 prevede la competenza del giudice di pace, tra l'altro, per i delitti consumati o tentati previsti dall'art. 590 c.p., limitatamente alle fattispecie perseguibili a querela di parte e ad esclusione:

- delle fattispecie connesse alla colpa professionale;

- dei fatti commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all'igiene del lavoro;

- dei fatti che abbiano determinato una malattia professionale quando, nei casi anzidetti, derivi una malattia di durata superiore a venti giorni.

 

Si osserva che il richiamo all’articolo 590, terzo comma, c.p. potrebbe essere più propriamente fatto con specifico riferimento al secondo periodo di tale comma, inserito dal decreto in esame, in quanto è in tale periodo che sono disciplinate le ipotesi in cui la violazione delle norme sulla circolazione stradale sia compiuta in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell'art. 186, comma 2, lettera c), del Codice della strada, ovvero sotto l’effetto di sostanze stupefacenti.


 

Art. 4
(Modifiche al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni)

Testo originario

Testo approvato dal Senato

Articolo 4.

(Modifiche al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni).

 

Articolo 4.

(Modifiche al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni).

 

 

 01. Alla tabella allegata all'articolo 126-bis del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, al capoverso «Art. 187», le parole: «commi 7 e 8» sono sostituite dalle seguenti: «commi 1 e 8».

1. All'articolo 186 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:

    1. Identico:

  a) al comma 2, lettera b), le parole: «l'arresto fino a tre mesi» sono sostituite dalle seguenti: «l'arresto fino a sei mesi»;

           a) identica;

b) al comma 2, lettera c), le parole: «l'arresto fino a sei mesi» sono sostituite dalle seguenti: «l'arresto da tre mesi ad un anno» e sono aggiunti, in fine, i seguenti periodi: «Con la sentenza di condanna ovvero di applicazione della pena a richiesta delle parti, anche se è stata applicata la sospensione condizionale della pena, è sempre disposta la confisca del veicolo con il quale è stato commesso il reato ai sensi dell'articolo 240, comma 2, del codice penale, salvo che il veicolo stesso appartenga a persona estranea al reato. Il veicolo sottoposto a sequestro può essere affidato in custodia al trasgressore. La stessa procedura si applica anche nel caso di cui al comma 2-bis.»;

   b) al comma 2, lettera c), le parole: «l'arresto fino a sei mesi» sono sostituite dalle seguenti: «l'arresto da tre mesi ad un anno» e sono aggiunti, in fine, i seguenti periodi: «Con la sentenza di condanna ovvero di applicazione della pena a richiesta delle parti, anche se è stata applicata la sospensione condizionale della pena, è sempre disposta la confisca del veicolo con il quale è stato commesso il reato ai sensi dell'articolo 240, secondo comma, del codice penale, salvo che il veicolo stesso appartenga a persona estranea al reato. Il veicolo sottoposto a sequestro può essere affidato in custodia al trasgressore, salvo che risulti che abbia commesso in precedenza altre violazioni della disposizione di cui alla presente lettera. La procedura di cui ai due periodi precedenti si applica anche nel caso di cui al comma 2-bis»;

 

   b-bis) il comma 2-bis è sostituito dal seguente:

 

 «2-bis. Se il conducente in stato di ebbrezza provoca un incidente stradale, le pene di cui al comma 2 sono raddoppiate e, fatto salvo quanto previsto dalla lettera c) del medesimo comma 2, è disposto il fermo amministrativo del veicolo per novanta giorni ai sensi del capo I, sezione II, del titolo VI, salvo che il veicolo appartenga a persona estranea al reato. È fatta salva in ogni caso l'applicazione delle sanzioni accessorie previste dagli articoli 222 e 223»;

       c) dopo il comma 2-quater è inserito il seguente:

      c) identica;

   «2-quinquies. Salvo che non sia disposto il sequestro ai sensi del comma 2, il veicolo, qualora non possa essere guidato da altra persona idonea, può essere fatto trasportare fino al luogo indicato dall'interessato o fino alla più vicina autorimessa e lasciato in consegna al proprietario o al gestore di essa con le normali garanzie per la custodia. Le spese per il recupero ed il trasporto sono interamente a carico del trasgressore.»;

 

   d) al comma 7, il primo e il secondo periodo sono sostituiti dal seguente:

      d) identica;

  «Salvo che il fatto costituisca più grave reato, in caso di rifiuto dell'accertamento di cui ai commi 3, 4 o 5, il conducente è punito con le pene di cui al comma 2, lettera c);

 

  e) al comma 7, terzo periodo, le parole: «Dalle violazioni conseguono» sono sostituite dalle seguenti: «La condanna per il reato di cui al periodo che precede comporta»;

   e) al comma 7, il terzo periodo è sostituito dal seguente: «La condanna per il reato di cui al periodo che precede comporta la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida per un periodo da sei mesi a due anni e della confisca del veicolo con le stesse modalità e procedure previste dal comma 2, lettera c), salvo che il veicolo appartenga a persona estranea alla violazione»;

   f) al comma 7, quinto periodo, le parole: «Quando lo stesso soggetto compie più violazioni nel corso di un biennio,», sono sostituite dalle seguenti: «Se il fatto è commesso da soggetto già condannato nei due anni precedenti per il medesimo reato,».

   f) identica.

  2. Al comma 1 dell'articolo 187 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, sono apportate le seguenti modificazioni:

    2. Identico.

   a) le parole: «è punito con l'ammenda da euro 1000 a euro 4000 e l'arresto fino a tre mesi», sono sostituite dalle seguenti: «è punito con l'ammenda da euro 1.500 a euro 6.000 e l'arresto da tre mesi ad un anno»;

 

 b) alla fine è aggiunto il seguente periodo: «Si applicano le disposizioni dell'articolo 186, comma 2, lettera c), quinto e sesto periodo, nonché quelle di cui al comma 2-quinquies del medesimo articolo 186.».

 

 

  2-bis. All'articolo 187, comma 1-bis, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, le parole: «ed è disposto il fermo amministrativo del veicolo per novanta giorni ai sensi del capo I, sezione II, del titolo VI,» sono sostituite dalle seguenti: «e si applicano le disposizioni dell'ultimo periodo del comma 1,».

 3. All'articolo 189 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modifiche:

     3. Identico.

      b) al comma 7, le parole: «da sei mesi a tre anni» sono sostituite dalle seguenti: «da un anno a tre anni».

 

 4. All'articolo 222, comma 2, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Se il fatto di cui al terzo periodo è commesso da soggetto in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell'articolo 186, comma 2, lettera c), ovvero da soggetto sotto l'effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope, il giudice applica la sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente.».

 4. All'articolo 222, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Se il fatto di cui al terzo periodo è commesso da soggetto in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell'articolo 186, comma 2, lettera c), ovvero da soggetto sotto l'effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope, il giudice applica la sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente.».

 

 

L'articolo 4, comma 1, reca modifiche all'articolo 186 del decreto legislativo n. 285 del 1992 (codice della strada) in materia di guida sotto l'influenza dell'alcool.

Si ricorda che in materia di guida in stato di ebbrezza alcolica, di cui all’articolo 186 del codice della strada, il legislatore è intervenuto a più riprese. Da ultimo  l’articolo 5 del decreto legge 3 agosto 2007, n. 117, (Disposizioni urgenti modificative del codice della strada per incrementare i livelli di sicurezza nella circolazione) convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 2 ottobre 2007, n. 160, ha introdotto un rilevante inasprimento del quadro sanzionatorio connesso alle fattispecie di guida in stato di ebbrezza.

In particolare il comma 2 dell’articolo 186 è stato ampiamente modificato, al fine di introdurre tre diverse fattispecie, di gravità crescente:

a) in caso di accertamento di un tasso alcolemico superiore a 0,5 e fino a 0,8%, si prevede l’ammenda da 5000 a 2000 euro, e la sospensione della patente da tre a sei mesi

b) per un tasso alcolemico superiore a 0,8 e fino a 1,5%, si prevede l’arresto fino a tre mesi, l’ammenda da 800 a 3200 euro e la sospensione della patente da sei mesi a un anno;

c) per un tasso alcolemico superiore a 1,5%, si prevede l’arresto fino a sei mesi, l’ammenda da 1500 a 6000 euro e la sospensione della patente da uno a due anni;

 

 

In particolare, il comma 01, introdotto nel corso dell’esame del provvedimento al Senato, interviene in materia di patente a punti, recando una disposizione di mero coordinamento con la normativa vigente. È infatti previsto che, nella tabella allegata all’articolo 126-bis del codice della strada (patente a punti), tra le norme violate del suddetto codice, cui consegue la sottrazione dei punti alla patente, vi sia l’articolo 187 (Guida in stato di alterazione psico-fisica per uso di sostanze stupefacenti) non più con riferimento ai commi 7 ed 8, bensì con riferimento ai commi 1 ed 8. La necessità di tale modifica deriva dall’abrogazione del comma 7 del suddetto articolo, da parte dell'articolo 5 del decreto legge 3 agosto 2007, n. 117, (Disposizioni urgenti modificative del codice della strada per incrementare i livelli di sicurezza nella circolazione) convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 2 ottobre 2007, n. 160.

L'articolo 5 del decreto legge 3 agosto 2007, n. 117, ha disposto l’abrogazione del comma 7 dell’articolo 187, che fa rinvio per le sanzioni conseguenti alla guida in stato di alterazione dovuta a sostanze stupefacenti all’articolo 186, comma 2, in materia di guida in stato di ebbrezza. L’ abrogazione consegue all’autonomo sistema sanzionatorio introdotto dai nuovi commi 1 e 2 dell’articolo 187, come modificato dal suddetto decreto legge.

 

 

Il comma 1, lettera a) modifica l'articolo 186, comma 2, lettera b), elevando da tre a sei mesi il massimo edittale della pena dell'arresto, irrogabile a chi guida con un tasso alcolemico superiore a 0,8 e non superiore a 1,5 grammi per litro (g/l);

Si ricorda che l'articolo 186, comma 2, lettera b) del codice della strada oltre alla pena predetta, che ora viene inasprita, prevede l'irrogazione dell'ammenda da euro 800 a euro 3.200 e che all'accertamento del reato consegue in ogni caso la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da sei mesi ad un anno.

 

Il comma 1, lettera b) modifica l'articolo 186, comma 2, lettera c) prevedendo:

•   l'elevazione fino ad un anno (in luogo di sei mesi) del massimo edittale della pena dell'arresto, per chi guida con un tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi per litro (g/l); viene altresì fissato a tre mesi il minimo della pena;

•   che alla sentenza di condanna o applicazione della pena su richiesta della parti consegua la confisca del veicolo con il quale è stato commesso il reato, ai sensi dell'articolo 240, secondo comma, del codice penale, salvo che il veicolo stesso appartenga a persona estranea al reato;

 

Si ricorda che il richiamato articolo 240, secondo comma, del codice penale dispone la confisca obbligatoria:

1) delle cose che costituiscono il prezzo del reato, sempre che la cosa non appartenga a persona estranea al reato;

2) delle cose, la fabbricazione, l'uso, il porto, la detenzione o l'alienazione delle quali costituisce reato, anche se non è stata pronunciata condanna.

 

• che il veicolo sottoposto a sequestro possa essere affidato in custodia al trasgressore. In base ad una modifica apportata nel corso dell’esame del provvedimento al  Senato, è escluso l'affidamento in custodia qualora risulti che il trasgressore abbia commesso in precedenza altre violazioni della stessa norma (guida con un tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi per litro).

 

L’applicazione della descritta procedura riguardante la confisca e l’affidamento in custodia è estesa anche al caso di incidente stradale provocato dal conducente in stato di ebbrezza (art. 186, comma 2-bis),

 

Il comma 1, lettera b-bis) interviene sull’articolo 186, comma 2-bis con una norma di coordinamento.

Il comma 2-bis stabilisce attualmente che se il conducente in stato di ebbrezza provoca un incidente stradale, la pene di cui al comma 2 sono raddoppiate. In tali casi è inoltre applicato il fermo amministrativo del veicolo per novanta giorni, salvo che questo appartenga a persona estranea al reato. La lettera b-bis) lascia immutata la norma, specificando però che è fatto salvo quanto previsto dall’articolo 2, comma 2, lettera c), riferendosi evidentemente ai casi di confisca del veicolo.

 

 

Il comma 1, lettera c), inserisce un nuovo comma 2-quinquies all'articolo 186 prevedendo che:

•   salvo che non sia disposto il sequestro ai sensi del comma 2 dell’articolo 186 (vedi sopra), il veicolo, qualora non possa essere guidato da altra persona idonea, può essere fatto trasportare fino al luogo indicato dall’interessato o fino alla più vicina autorimessa e lasciato in consegna al proprietario o al gestore di essa con le normali garanzie per la custodia;

• le spese per il recupero ed il trasporto sono interamente a carico del trasgressore.

 

Il comma 1, lettere d) e) f) modifica il comma 7 dell'articolo 186, ripristinando la rilevanza penale della condotta di rifiuto di sottoporsi agli accertamenti relativi al tasso alcolemico. La misura della sanzione è determinata tramite il rinvio al comma 2, lettera c) del medesimo articolo 186 - come modificato dalla lettera b) del comma 1, dell'articolo 4 - il quale, come precedentemente illustrato, prevede:

§         l’arresto da tre mesi ad un anno;

§         l’ammenda da euro 1.500 a euro 6.000.

 

In conseguenza della modifica dell’articolo 186, comma 7, la rilevanza penale della condotta di rifiuto di sottoporsi agli accertamenti e le relative sanzioni si applicano anche in caso di accertamenti relativi all’uso di sostanze stupefacenti. L’articolo 187, comma 8, che disciplina tali ipotesi rinvia infatti, per le sanzioni, all’articolo 186, comma 7.

 

Si ricorda che la depenalizzazione del rifiuto di sottoporsi agli accertamenti relativi al tasso alcolemico è stata introdotta dal più volte citato decreto legge 3 agosto 2007, n. 117, il quale prevedeva per tali fattispecie la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 2.500 a euro 10.000 e quella più elevata da 3.000 a 12.000 euro se la violazione è commessa in occasione di un incidente stradale in cui è rimasto coinvolto il conducente.

Il testo vigente dell'articolo 186, comma 7, prevede anche:

•   la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida per un periodo da sei mesi a due anni;

•   il fermo amministrativo del veicolo per un periodo di centottanta giorni, salvo che il veicolo appartenga a persona estranea alla violazione;

• la visita medica obbligatoria del trasgressore;

• la revoca della patente in caso di più violazioni nel biennio.

 

 

L'articolo 4, comma 2, reca modifiche all'articolo 187 del codice della strada in materia di guida in stato di alterazione psicofisica per uso di sostanze stupefacenti.

Il comma 2, lettera a), modifica l'articolo 187, comma 1, elevando:

•   la misura dell'ammenda irrogabile, che viene stabilita in un minimo di 1.500 euro (in luogo degli attuali 1000 euro) ed un massimo di 6.000 euro (in luogo degli attuali 4.000 euro);

•   la pena dell'arresto, determinata in almeno tre mesi e fino ad un anno (attualmente il massimo irrogabile è tre mesi).

Si ricorda che l’art. 187, comma 1, fa conseguire all’accertamento del reato la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da sei mesi ad un anno e la revoca della patente quando il reato è commesso dal conducente di un autobus o di un veicolo di massa complessiva a pieno carico superiore a 3,5 t. o di complessi di veicoli, ovvero in caso di recidiva nel biennio.

 

Il comma 2, lettera b) aggiunge un periodo all'articolo 187, comma 1, disponendo, mediante rinvio all'articolo 186, comma 2, lettera c del medesimo codice della strada (così come modificato dall'articolo 4, comma 1, lettera b del decreto legge):

• la confisca del veicolo con il quale è stato commesso il reato, ai sensi dell'articolo 240, comma 2, del codice penale, salvo che il veicolo stesso appartenga a persona estranea al reato;

• che il veicolo sottoposto a sequestro possa essere affidato in custodia al trasgressore, sempre che questi non abbia precedentemente compiuto violazioni della stessa norma.

 

Il medesimo comma 2, lettera b) opera un rinvio all'articolo 186, comma 2-quinquies del codice – introdotto dall'articolo 4, comma 1, lettera c) - prevedendo che:

•   salvo che non sia disposto il sequestro ai sensi dell'articolo 186, comma 2, il veicolo, qualora non possa essere guidato da altra persona idonea, può essere fatto trasportare fino al luogo indicato dall’interessato o fino alla più vicina autorimessa e lasciato in consegna al proprietario o al gestore di essa con le normali garanzie per la custodia;

•   le spese per il recupero ed il trasporto sono interamente a carico del trasgressore.

 

Il comma 2-bis, inserito nel corso dell’esame al Senato, modifica l’articolo 187, comma 1-bis - che disciplina l’ipotesi di incidente stradale provocato da soggetto sotto effetto di sostanze stupefacenti - richiamando l’applicazione dell’ultimo periodo del comma 1, come modificato dal comma 2, lettera b). Come si è appena illustrato tale ultimo periodo prevede a sua volta il rinvio al comma 2, lettera c), quinto e sesto periodo, nonché al comma 2-quinqies dell’articolo 186.

In conseguenza di tale rinvio si applicano anche all’ipotesi di incidente stradale causato da soggetto sotto effetto di sostanze stupefacenti:

•   la confisca del veicolo con il quale è stato commesso il reato, ai sensi dell'articolo 240, comma 2, del codice penale, salvo che il veicolo stesso appartenga a persona estranea al reato;

•   l’affidamento in custodia del veicolo sottoposto a sequestro al trasgressore, sempre che questi non abbia precedentemente compiuto violazioni della stessa norma.

•   la possibilità, salvo che non sia disposto il sequestro ai sensi dell'articolo 186, comma 2, che il veicolo, qualora non possa essere guidato da altra persona idonea, sia fatto trasportare fino al luogo indicato dall’interessato o fino alla più vicina autorimessa e lasciato in consegna al proprietario o al gestore di essa con le normali garanzie per la custodia;

•   la disposizione per cui le spese per il recupero ed il trasporto sono interamente a carico del trasgressore.

 

 

Il comma 3, reca modifiche all'articolo 189 del codice della strada in materia di comportamento in caso d'incidente.

Il comma 3, lettera a), modifica l'articolo 189, comma 6, elevando da tre a sei mesi il minimo della pena della reclusione, irrogabile all'utente della strada che, in caso di incidente comunque ricollegabile al suo comportamento, nel quale vi siano danni alle persone, non ottemperi all’obbligo di fermarsi. Resta fermo il limite superiore di pena, pari a tre anni.

 

Si ricorda che l’art. 189, comma 6, prevede, altresì:

•   la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da uno a tre anni;

•   l'applicazione delle misure previste dagli articoli 281 (divieto di espatrio) 282 (obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria) 283 (obbligo di dimora) e 284 (arresti domiciliari) del codice di procedura penale, anche al di fuori dei limiti previsti dall'articolo 280 (condizioni di applicabilità delle misure coercitive) del medesimo codice, e la possibilità di procedere all'arresto, ai sensi dell'articolo 381 (arresto facoltativo in flagranza) del codice di procedura penale, anche al di fuori dei limiti di pena ivi previsti.

 

Il comma 3, lettera b), modifica l'articolo 189, comma 7, elevando da sei mesi ad un anno il minimo della pena della reclusione, irrogabile all'utente della strada che non presta assistenza alle persone ferite in caso di incidente, comunque ricollegabile al suo comportamento, nel quale vi siano danni alle persone. Resta fermo il limite superiore di tre anni.

 

L’art. 189, comma 7, prevede altresì, la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida per un periodo non inferiore ad un anno e sei mesi e non superiore a cinque anni.

 

 

Il comma 4 aggiunge infine un periodo all'articolo 222, comma 2, del codice della strada, disponendo che il giudice applichi la sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente quando dall'incidente derivi un omicidio colposo e sia stato causato da soggetto:

•   in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell’articolo 186, comma 2, lettera c) del codice (tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi per litro);

•   sotto l’effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope.

 

L’articolo 222, del codice della strada dispone che quando dalla violazione delle norme del codice della strada derivino danni alle persone, il giudice applica con la sentenza di condanna le sanzioni amministrative pecuniarie previste, nonché le sanzioni amministrative accessorie della sospensione o della revoca della patente. Qualora derivi una lesione personale colposa la sospensione della patente è da quindici giorni a tre mesi. Quando dal fatto derivi una lesione personale colposa grave o gravissima la sospensione della patente è fino a due anni. Nel caso di omicidio colposo la sospensione è fino a quattro anni.

 

 


 

Articolo 5
(Modifiche al
testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286).

Testo originario

Testo approvato dal Senato

Articolo 5.

(Modifiche al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286).

Articolo 5.

(Modifiche al testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286).

 

       01. All'articolo 12, comma 5, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Quando il fatto è commesso in concorso da due o più persone, ovvero riguarda la permanenza di cinque o più persone, la pena è aumentata da un terzo alla metà».

  1. All'articolo 12 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, dopo il comma 5 è inserito il seguente:

   1. Identico:

 1. All'articolo 12 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, dopo il comma 5 è inserito il seguente:

 

    «5-bis. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque cede a titolo oneroso un immobile di cui abbia la disponibilità ad un cittadino straniero irregolarmente soggiornante nel territorio dello Stato è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. La condanna con provvedimento irrevocabile comporta la confisca dell'immobile, salvo che appartenga a persona estranea al reato. Si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni vigenti in materia di gestione e destinazione dei beni confiscati. Le somme di denaro ricavate dalla vendita, ove disposta, dei beni confiscati sono destinate al potenziamento delle attività di prevenzione e repressione dei reati in tema di immigrazione clandestina.».

 «5-bis. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque a titolo oneroso, al fine di trarre ingiusto profitto, dà alloggio ad uno straniero, privo di titolo di soggiorno, in un immobile di cui abbia disponibilità, ovvero lo cede allo stesso, anche in locazione, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. La condanna con provvedimento irrevocabile ovvero l'applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell'articolo 444 del codice di procedura penale, anche se è stata concessa la sospensione condizionale della pena, comporta la confisca dell'immobile, salvo che appartenga a persona estranea al reato. Si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni vigenti in materia di gestione e destinazione dei beni confiscati. Le somme di denaro ricavate dalla vendita, ove disposta, dei beni confiscati sono destinate al potenziamento delle attività di prevenzione e repressione dei reati in tema di immigrazione clandestina.».

 

 1-bis. All'articolo 13, comma 3, quinto periodo, del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, la parola: «quindici» è sostituita dalla seguente: «sette».

 

1-ter. All'articolo 22, comma 12, del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, le parole: «con l'arresto da tre mesi ad un anno e con l'ammenda di 5.000 euro per ogni lavoratore impiegato» sono sostituite dalle seguenti: «con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa di 5.000 euro per ogni lavoratore impiegato».

 

 

L’articolo 5 modifica l’articolo 12 del decreto legislativo n 286 del 1998 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero).

Il comma 01, inserito nel corso dell’esame al Senato, introduce nell’articolo 12, comma 5, del citato Testo unico, alcune specifiche circostanze aggravanti del reato di agevolazione della permanenza illegale dello straniero, ivi previsto. La pena, in base alla modifica in esame, è aumentata da un terzo alla metà quando il fatto:

-   è commesso in concorso da due o più persone;

-   ovvero, riguarda la permanenza di cinque o più persone.

 

Si ricorda che il Testo Unico sull’immigrazione, all’articolo 12, comma 5, punisce con la reclusione fino a quattro anni e con la multa fino a lire trenta milioni chiunque, al fine di trarre un ingiusto profitto (delitto a dolo specifico) dalla condizione di illegalità dello straniero, favorisce la permanenza illegale di questi nel territorio dello Stato.

 

 

Il comma 1 inserisce, dopo il comma 5 dell’articolo 12, il comma 5-bis, nel quale è disciplinata una nuova fattispecie di reato, che sanziona la condotta di cessione a titolo oneroso ad uno straniero irregolarmente soggiornante, di un immobile di cui si abbia la disponibilità. Tale comma è stato oggetto di significative modifiche nel corso dell’esame del provvedimento al Senato.

Gli elementi caratterizzanti tale nuova figura di reato, così come risultante dalle modifiche apportate dal Senato, sono i seguenti:

-   la condotte incriminate consistono nel “dare alloggio” e del “cedere, anche in locazione” un immobile che è nella propria disponibilità, sempre a titolo oneroso. Rispetto alla originaria formulazione del decreto - che faceva riferimento generico allla “cessione a titolo oneroso” -  vi è nel testo approvato dal Senato una più analitica descrizione delle condotte penalmente rilevanti.

-   è necessario il dolo specifico di sfruttamento: nel corso dell’esame al Senato è stata infatti inserita la necessità, perché si configuri la fattispecie di reato, del “fine di trarre ingiusto profitto”;

 - la fattispecie si applica “salvo che il fatto costituisca più grave reato”

-   la pena è determinata nella reclusione da sei mesi a tre anni;

 

Sembra da valutare, in ottica sistematica, il rapporto della fattispecie in esame con quella prevista dall’articolo 12, comma 5 del testo unico. Tale norma prevede infatti la fattispecie di reato a carico di  chiunque, al fine di trarre un ingiusto profitto dalla condizione di illegalità dello straniero, favorisce la permanenza illegale di questi nel territorio dello Stato.

 

 

La condanna con provvedimento irrevocabile, ovvero l’applicazione della pena su richiesta delle parti, comporta la confisca dell'immobile, salvo che esso appartenga a persona estranea al reato (ciò può verificarsi, ad esempio, ove il reo abbia la materiale disponibilità ma non la titolarità dell’immobile).

Al riguardo, la disposizione rinvia alla normativa vigente in materia, imprimendo però uno specifico vincolo di destinazione ai proventi della vendita dei beni confiscati: è infatti specificato che le relative somme vanno impiegate in attività di contrasto dell’immigrazione clandestina.

Si ricorda che, in base all’articolo 240 c.p., in caso di condanna il giudice può ordinare la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato, e delle cose che ne sono il prodotto e il profitto. Inoltre, è sempre ordinata la confisca delle cose che costituiscono il prezzo del reato e delle cose la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione o alienazione costituisce reato. L’istituto della confisca, in base alla stessa disposizione, subisce varie limitazioni quando la cosa appartiene a persona estranea al reato.

Lo stesso codice penale (art. 446) e diverse leggi penali speciali prevedono poi ulteriori casi di confisca obbligatoria (ad es. in materia di armi ed esplosivi; di stupefacenti; di reati mafiosi; di edilizia).

 

 

Il comma 1-bis, inserito nel corso dell’esame in Senato, apporta una novella all’articolo 13, comma 3 del testo unico, attraverso la quale si abbrevia il termine a sette giorni, in luogo degli attuali quindici, per la formazione del silenzio-assenso sulla richiesta di nulla-osta all’espulsione dello straniero presentata dal questore all’autorità giudiziaria.

Si ricorda che, in base all’articolo 13, comma 3, del Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero quando lo straniero è sottoposto a procedimento penale e non si trova in stato di custodia cautelare in carcere, il questore, prima di eseguire l'espulsione, richiede il nulla osta all'autorità giudiziaria, che può negarlo solo in presenza di inderogabili esigenze processuali valutate in relazione all'accertamento della responsabilità di eventuali concorrenti nel reato o imputati in procedimenti per reati connessi, e all'interesse della persona offesa. In tal caso l'esecuzione del provvedimento è sospesa fino a quando l'autorità giudiziaria comunica la cessazione delle esigenze processuali. Il questore, ottenuto il nulla osta, provvede all'espulsione. Il nulla osta si intende concesso qualora l'autorità giudiziaria non provveda entro quindici giorni dalla data di ricevimento della richiesta. In attesa della decisione sulla richiesta di nulla osta, il questore può adottare la misura del trattenimento presso un centro di identificazione ed espulsione.

 

 

Il comma 1-ter,introdotto nel corso dell’esame al Senato,  modifica l’articolo 22, comma 12, del citato Testo unico, in materia di occupazione di lavoratori stranieri privi di regolare permesso di soggiorno.

La modifica prevede che il datore di lavoro[43]. che occupa alle proprie dipendenze lavoratori stranieri privi del permesso di soggiorno ovvero il cui permesso sia scaduto e del quale non sia stato chiesto, nei termini di legge, il rinnovo, sia punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa di cinquemila euro per ogni lavoratore irregolare impiegato.

In base a tale modifica – oltre che un inasprimento della pena detentiva – si determina la trasformazione del reato, da contravvenzione a delitto.

In base al testo vigente infatti, la suddetta condotta è sanzionata con l'arresto da tre mesi ad un anno e con l'ammenda di cinquemila euro per ogni lavoratore impiegato.

 

Con riferimento all’elemento soggettivo del reato, si ricorda che, in base alla disciplina del codice penale, coloro che commettono dei delitti sono punibili, salvo diversa previsione, se la condotta è posta in essere con dolo; per le contravvenzioni è invece sufficiente, di norma, la colpa (art. 42).

Art. 6
(Modifica del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, in materia di attribuzioni del sindaco nelle funzioni di competenza statale)

Testo originario

Testo approvato dal Senato

Articolo 6.

(Modifica del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, in materia di attribuzioni del sindaco nelle funzioni di competenza statale).

 

Articolo 6.

(Modifica del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, in materia di attribuzioni del sindaco nelle funzioni di competenza statale).

 

1. L'articolo 54 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, è sostituito dal seguente:

   1. Identico:

  «Art. 54. - (Attribuzioni del sindaco nelle funzioni di competenza statale) - 1. Il sindaco, quale ufficiale del Governo, sovrintende:

 «Art. 54. - (Attribuzioni del sindaco nelle funzioni di competenza statale) - 1. Identico:

  a) all'emanazione degli atti che gli sono attribuiti dalla legge e dai regolamenti in materia di ordine e sicurezza pubblica;

      a) identica;

   b) allo svolgimento delle funzioni affidategli dalla legge in materia di pubblica sicurezza e di polizia giudiziaria;

     b) identica;

  c) alla vigilanza su tutto quanto possa interessare la sicurezza e l'ordine pubblico, informandone il prefetto.

  c) alla vigilanza su tutto quanto possa interessare la sicurezza e l'ordine pubblico, informandone preventivamente il prefetto.

  2. Il sindaco, nell'esercizio delle funzioni di cui al comma 1, concorre ad assicurare anche la cooperazione della polizia locale con le Forze di polizia statali, nell'ambito delle direttive di coordinamento impartite dal Ministro dell'interno-Autorità nazionale di pubblica sicurezza.

    2. Identico.

 3. Il sindaco, quale ufficiale del Governo, sovrintende, altresì, alla tenuta dei registri di stato civile e di popolazione e agli adempimenti demandatigli dalle leggi in materia elettorale, di leva militare e di statistica.

      3. Identico.

  4. Il sindaco, quale ufficiale del Governo, adotta, con atto motivato e nel rispetto dei princìpi generali dell'ordinamento, provvedimenti contingibili e urgenti al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana. I provvedimenti di cui al presente comma sono tempestivamente comunicati al prefetto anche ai fini della predisposizione degli strumenti ritenuti necessari alla loro attuazione.

 4. Il sindaco, quale ufficiale del Governo, adotta con atto motivato provvedimenti, anche contingibili e urgenti nel rispetto dei princìpi generali dell'ordinamento, al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana. I provvedimenti di cui al presente comma sono preventivamente comunicati al prefetto anche ai fini della predisposizione degli strumenti ritenuti necessari alla loro attuazione.

 

4-bis. Con decreto del Ministro dell'interno è disciplinato l'ambito di applicazione delle disposizioni di cui ai commi 1 e 4 anche con riferimento alle definizioni relative alla incolumità pubblica e alla sicurezza urbana.

5. Qualora i provvedimenti di cui ai commi 1 e 4 possano comportare conseguenze sull'ordinata convivenza delle popolazioni dei comuni contigui o limitrofi, il prefetto indìce un'apposita conferenza alla quale prendono parte i sindaci interessati, il presidente della provincia e, qualora ritenuto opportuno, soggetti pubblici e privati dell'ambito territoriale interessato dall'intervento.

 5. Qualora i provvedimenti adottati dai sindaci ai sensi dei commi 1 e 4 comportino conseguenze sull'ordinata convivenza delle popolazioni dei comuni contigui o limitrofi, il prefetto indìce un'apposita conferenza alla quale prendono parte i sindaci interessati, il presidente della provincia e, qualora ritenuto opportuno, soggetti pubblici e privati dell'ambito territoriale interessato dall'intervento.

 

        5-bis. Il sindaco segnala alle competenti autorità, giudiziaria o di pubblica sicurezza, la condizione irregolare dello straniero o del cittadino appartenente ad uno Stato membro dell'Unione europea, per la eventuale adozione di provvedimenti di espulsione o di allontanamento dal territorio dello Stato.

  6. In casi di emergenza, connessi con il traffico o con l'inquinamento atmosferico o acustico, ovvero quando a causa di circostanze straordinarie si verifichino particolari necessità dell'utenza o per motivi di sicurezza urbana, il sindaco può modificare gli orari degli esercizi commerciali, dei pubblici esercizi e dei servizi pubblici, nonché, d'intesa con i responsabili territorialmente competenti delle amministrazioni interessate, gli orari di apertura al pubblico degli uffici pubblici localizzati nel territorio, adottando i provvedimenti di cui al comma 4.

   6. Identico.

 7. Se l'ordinanza adottata ai sensi del comma 4 è rivolta a persone determinate e queste non ottemperano all'ordine impartito, il sindaco può provvedere d'ufficio a spese degli interessati, senza pregiudizio dell'azione penale per i reati in cui siano incorsi.

 7. Identico.

  8. Chi sostituisce il sindaco esercita anche le funzioni di cui al presente articolo.

  8. Identico.

 9. Nell'ambito delle funzioni di cui al presente articolo, il prefetto può disporre ispezioni per accertare il regolare svolgimento dei compiti affidati, nonché per l'acquisizione di dati e notizie interessanti altri servizi di carattere generale.

       9. Identico.

 10. Nelle materie previste dai commi 1 e 3, nonché dall'articolo 14, il sindaco, previa comunicazione al prefetto, può delegare l'esercizio delle funzioni ivi indicate al presidente del consiglio circoscrizionale; ove non siano costituiti gli organi di decentramento comunale, il sindaco può conferire la delega a un consigliere comunale per l'esercizio delle funzioni nei quartieri e nelle frazioni.

 10. Identico.

  11. Nelle fattispecie di cui ai commi 1, 3 e 4, anche nel caso di inerzia del sindaco o del suo delegato nell'esercizio delle funzioni previste dal comma 10, il prefetto può intervenire con proprio provvedimento.

   11. Nelle fattispecie di cui ai commi 1, 3 e 4, nel caso di inerzia del sindaco o del suo delegato nell'esercizio delle funzioni previste dal comma 10, il prefetto può intervenire con proprio provvedimento.

 12. Il Ministro dell'interno può adottare atti di indirizzo per l'esercizio delle funzioni previste dal presente articolo da parte del sindaco.».

    12. Identico».

 

 

L’articolo 6 apporta, sostituendolo integralmente, alcune modifiche sostanziali all’art. 54 del testo unico sull’ordinamento degli enti locali (D.Lgs. 267/2000[44], nel prosieguo, TUEL), che disciplina le attribuzioni del sindaco nelle funzioni di competenza statale (si veda il testo a fronte).

La principale innovazione introdotta dalla disposizione in esame consiste nell’ampliamento dei poteri di ordinanza del sindaco, al fine di consentirgli l’adozione di provvedimenti, sia in via ordinaria, sia con procedura di urgenza, qualora si renda necessario prevenire ed eliminare gravi pericoli non solo per l’incolumità pubblica, come già previsto, ma anche per la sicurezza delle aree urbane.

 

D.Lgs. 267/2000
Testo previgente

D.Lgs. 267/2000
Testo modificato dal D.L. 92/2008
come emendato dal Senato

Art. 54.
Attribuzioni del sindaco nei servizi di competenza statale

Art. 54.
Attribuzioni del sindaco nelle funzioni di competenza statale

1. Il sindaco, quale ufficiale del Governo, sovraintende:

1. Il sindaco, quale ufficiale del Governo, sovrintende:

a) alla tenuta dei registri di stato civile e di popolazione ed agli adempimenti demandatigli dalle leggi in materia elettorale, di leva militare e di statistica;

Si veda il comma 3

b) alla emanazione degli atti che gli sono attribuiti dalle leggi e dai regolamenti in materia di ordine e di sicurezza pubblica;

a) all’emanazione degli atti che gli sono attribuiti dalla legge e dai regolamenti in materia di ordine e sicurezza pubblica;

c) allo svolgimento, in materia di pubblica sicurezza e di polizia giudiziaria, delle funzioni affidategli dalla legge;

b) allo svolgimento delle funzioni affidategli dalla legge in materia di pubblica sicurezza e di polizia giudiziaria;

d) alla vigilanza su tutto quanto possa interessare la sicurezza e l'ordine pubblico, informandone il prefetto.

c) alla vigilanza su tutto quanto possa interessare la sicurezza e l’ordine pubblico, informandone preventivamente il prefetto.

 

2. Il sindaco, nell’esercizio delle funzioni di cui al comma 1, concorre ad assicurare anche la cooperazione della polizia locale con le Forze di polizia statali, nell’ambito delle direttive di coordinamento impartite dal Ministro dell’interno-Autorità nazionale di pubblica sicurezza.

Si veda il comma 1, lettera a)

3. Il sindaco, quale ufficiale del Governo, sovrintende, altresì, alla tenuta dei registri di stato civile e di popolazione e agli adempimenti demandatigli dalle leggi in materia elettorale, di leva militare e di statistica.

2. Il sindaco, quale ufficiale del Governo, adotta, con atto motivato e nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico, provvedimenti contingibili e urgenti al fine di prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità dei cittadini; per l'esecuzione dei relativi ordini può richiedere al prefetto, ove occorra, l'assistenza della forza pubblica.

4. Il sindaco, quale ufficiale del Governo, adotta con atto motivato provvedimenti, anche contingibili e urgenti nel rispetto dei princìpi generali dell'ordinamento, al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana. I provvedimenti di cui al presente comma sono preventivamente comunicati al prefetto anche ai fini della predisposizione degli strumenti ritenuti necessari alla loro attuazione.

 

4-bis. Con decreto del Ministro dell'interno è disciplinato l'ambito di applicazione delle disposizioni di cui ai commi 1 e 4 anche con riferimento alle definizioni relative alla incolumità pubblica e alla sicurezza urbana.

 

5. Qualora i provvedimenti adottati dai sindaci ai sensi dei commi 1 e 4 comportino conseguenze sull’ordinata convivenza delle popolazioni dei comuni contigui o limitrofi, il prefetto indíce un’apposita conferenza alla quale prendono parte i sindaci interessati, il presidente della provincia e, qualora ritenuto opportuno, soggetti pubblici e privati dell’ambito territoriale interessato dall’intervento.

 

5-bis. Il sindaco segnala alle competenti autorità, giudiziaria o di pubblica sicurezza, la condizione irregolare dello straniero o del cittadino appartenente ad uno Stato membro dell'Unione europea, per la eventuale adozione di provvedimenti di espulsione o di allontanamento dal territorio dello Stato.

3. In casi di emergenza, connessi con il traffico e/o con l'inquinamento atmosferico o acustico, ovvero quando a causa di circostanze straordinarie si verifichino particolari necessità dell'utenza, il sindaco può modificare gli orari degli esercizi commerciali, dei pubblici esercizi e dei servizi pubblici, nonché, d'intesa con i responsabili territorialmente competenti delle amministrazioni interessate, gli orari di apertura al pubblico degli uffici pubblici localizzati nel territorio, adottando i provvedimenti di cui al comma 2.

6. In casi di emergenza, connessi con il traffico o con l’inquinamento atmosferico o acustico, ovvero quando a causa di circostanze straordinarie si verifichino particolari necessità dell’utenza o per motivi di sicurezza urbana, il sindaco può modificare gli orari degli esercizi commerciali, dei pubblici esercizi e dei servizi pubblici, nonché, d’intesa con i responsabili territorialmente competenti delle amministrazioni interessate, gli orari di apertura al pubblico degli uffici pubblici localizzati nel territorio, adottando i provvedimenti di cui al comma 4.

4. Se l'ordinanza adottata ai sensi del comma 2 è rivolta a persone determinate e queste non ottemperano all'ordine impartito, il sindaco può provvedere d'ufficio a spese degli interessati, senza pregiudizio dell'azione penale per i reati in cui fossero incorsi.

7.Se l’ordinanza adottata ai sensi del comma 4 è rivolta a persone determinate e queste non ottemperano all’ordine impartito, il sindaco può provvedere d’ufficio a spese degli interessati, senza pregiudizio dell’azione penale per i reati in cui siano incorsi.

5. Chi sostituisce il sindaco esercita anche le funzioni di cui al presente articolo.

8.Identico.

6. Nell'àmbito dei servizi di cui al presente articolo, il prefetto può disporre ispezioni per accertare il regolare funzionamento dei servizi stessi nonché per l'acquisizione di dati e notizie interessanti altri servizi di carattere generale.

9. Nell’ambito delle funzioni di cui al presente articolo, il prefetto può disporre ispezioni per accertare il regolare svolgimento dei compiti affidati, nonché per l’acquisizione di dati e notizie interessanti altri servizi di carattere generale.

7. Nelle materie previste dalle lettere a), b), c) e d) del comma 1, nonché dall'articolo 14, il sindaco, previa comunicazione al prefetto, può delegare l'esercizio delle funzioni ivi indicate al presidente del consiglio circoscrizionale; ove non siano costituiti gli organi di decentramento comunale, il sindaco può conferire la delega ad un consigliere comunale per l'esercizio delle funzioni nei quartieri e nelle frazioni.

10. Nelle materie previste dai commi 1 e 3, nonché dall’articolo 14, il sindaco, previa comunicazione al prefetto, può delegare l’esercizio delle funzioni ivi indicate al presidente del consiglio circoscrizionale; ove non siano costituiti gli organi di decentramento comunale, il sindaco può conferire la delega a un consigliere comunale per l’esercizio delle funzioni nei quartieri e nelle frazioni.

8. Ove il sindaco o chi ne esercita le funzioni non adempia ai compiti di cui al presente articolo, il prefetto può nominare un commissario per l'adempimento delle funzioni stesse.

11. Nelle fattispecie di cui ai commi 1, 3 e 4, nel caso di inerzia del sindaco o del suo delegato nell’esercizio delle funzioni previste dal comma 10, il prefetto può intervenire con proprio provvedimento.

9. Alle spese per il commissario provvede l'ente interessato.

 

10. Ove il sindaco non adotti i provvedimenti di cui al comma 2, il prefetto provvede con propria ordinanza.

 

 

12. Il Ministro dell’interno può adottare atti di indirizzo per l’esercizio delle funzioni previste dal presente articolo da parte del sindaco.

 

Come emerge dalla relazione illustrativa del provvedimento, il potenziamento degli strumenti giuridici a disposizione del sindaco per il contrasto della criminalità locale è il frutto di un bilanciamento tra le prerogative statali in tema di sicurezza pubblica e l’esigenza di valorizzare, anche in tale ambito materiale, il ruolo degli enti locali[45].

Nell’ottica governativa, la posizione del sindaco viene ad essere in tal modo quella di “fulcro” di una nuova sinergia tra le istituzioni nella lotta alla criminalità, in considerazione del fatto che la qualità di amministratore locale permette di conoscere più a fondo le problematiche del territorio che comportano rischi per la sicurezza.

Il testo originario dell’articolo in esame riproduceva pressoché integralmente quello dell’art. 13 del disegno di legge C. n. 3278, recante disposizioni in materia di sicurezza urbana, presentato dal ministro dell’interno Amato nella precedente legislatura e facente parte del “pacchetto sicurezza”[46].

 

In primo luogo, viene data autonoma evidenza alle funzioni relative all’ordine e alla sicurezza pubblica di spettanza del sindaco in qualità di ufficiale del Governo già previste in precedenza: esse sono disciplinate in modo unitario nel comma 1 dell’art. 54 TUEL come riformulato. Tale innovazione formale è volta, nelle intenzioni del Governo, a conferire “maggiore rilievo e pregnanza” a dette funzioni.

Il testo approvato dal Senato precisa che l’informativa al prefetto sulle iniziative del sindaco in materia di vigilanza dev’essere preventiva.

Il nuovo comma 2 attribuisce al sindaco il compito di concorrere ad assicurare la cooperazione fra le forze di polizia locali e statali, in modo da consentire una maggiore partecipazione dell’amministratore locale alla tutela della sicurezza dei cittadini. Le forme di tale cooperazione istituzionale sono demandate ad apposite direttive adottate dal Ministro dell’interno, in qualità di Autorità nazionale di pubblica sicurezza.

 

Ai fini di un inquadramento costituzionale della norma in esame, va ricordato che l’art. 117 Cost. attribuisce allo Stato la potestà legislativa esclusiva in tema di ordine pubblico e sicurezza, fatta eccezione per la polizia amministrativa locale (comma secondo, lett. h)).

L’art. 1 della L. 121/1981[47] attribuisce al ministro dell'interno la responsabilità della tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica, qualificandolo come autorità nazionale di pubblica sicurezza. Il ministro dell'interno ha l'alta direzione dei servizi di ordine e sicurezza pubblica e coordina in materia i compiti e le attività delle forze di polizia.

Nell’ordinamento vigente, una forma di coinvolgimento del sindaco nella materia della sicurezza è prevista dall’art. 20 della L. 121/1981. La disposizione ha istituito il Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, quale organo collegiale di consulenza del prefetto per l'esercizio delle sue attribuzioni di autorità provinciale di pubblica sicurezza. L’organo, presieduto dal prefetto, è composto dal questore, dal sindaco del comune capoluogo e dal presidente della provincia, dai comandanti provinciali dei Carabinieri, della Guardia di Finanza e del Corpo Forestale dello Stato, nonché dai sindaci degli altri comuni interessati, quando devono trattarsi questioni riferibili ai rispettivi ambiti territoriali.

Inoltre, l’art. 15 della L. 121/1981 stabilisce che il sindaco quale ufficiale di Governo esercita i poteri di autorità locale di pubblica sicurezza nei comuni in cui non hanno sede commissariati di polizia. Al riguardo si ricorda quanto previsto dall’art. 57 del codice di procedura penale, secondo il quale il sindaco è ufficiale di polizia giudiziaria nei comuni in cui non è presente un ufficio della Polizia di Stato, o un comando dell'Arma dei Carabinieri o della Guardia di Finanza.

Il medesimo art. 15 della L. 121/1981 dispone inoltre che, quando sia richiesto da eccezionali esigenze di servizio, il prefetto, o il questore su autorizzazione del prefetto, può inviare funzionari della Polizia di Stato nei comuni sprovvisti di un ufficio di polizia per assumere temporaneamente la direzione dei servizi di pubblica sicurezza. In tal caso resta sospesa la competenza dell'autorità locale di pubblica sicurezza.

Infine, le autorità provinciali di pubblica sicurezza (i questori), ai fini dell'ordine e della sicurezza pubblica e della prevenzione e difesa dalla violenza eversiva, sollecitano la collaborazione delle amministrazioni locali e mantengono rapporti con i sindaci dei comuni (art. 15, co. 4°).

 

Il comma 3 conferma le funzioni statali di competenza del sindaco (già previste dal previgente co. 1, lett. a)) relative alla tenuta dei registri di stato civile e di popolazione e agli adempimenti demandati al sindaco dalle leggi in materia elettorale, di leva militare e di statistica.

Il comma 4 novellato amplia il potere del sindaco di emanare ordinanze contingibili e urgenti, prevedendo, quale situazione legittimante il provvedimento extra ordinem, il grave pericolo per la “sicurezza urbana” (che si affianca così al grave pericolo per l’“incolumità dei cittadini”, già previsto, che viene ridefinita come “incolumità pubblica”).

A questo potere viene inoltre aggiunta una competenza per così dire “ordinaria” ad adottare provvedimenti con le medesime finalità.

Il termine “anche”, inserito durante la discussione in Assemblea al Senato[48], chiarisce infatti che i provvedimenti di cui si parla possono anche non rientrare tra quelli “contingibili e urgenti”, i cui presupposti e limiti sono stati definiti dalla giurisprudenza nel corso degli anni.

 

Sul tema del potere di ordinanza dei sindaci esiste una consolidata giurisprudenza che, nel tener conto del carattere di urgenza e di necessità dei presupposti che sottendono all'emanazione delle ordinanze, sottolinea che le stesse devono avere un'efficacia limitata nel tempo, un'adeguata motivazione e un'efficace pubblicazione, conformemente ai principi dell'ordinamento giuridico[49].

Secondo il Consiglio di Stato, la potestà propria del sindaco di adottare provvedimenti contingibili e urgenti, ai sensidell’art. 54, comma 2, del TUEL, va considerata strettamente finalizzata a prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità dei cittadini. Il potere di urgenza, quindi, si può esercitare solo al fine di affrontare situazioni aventi carattere eccezionale, imprevisto, costituenti concreta minaccia per la pubblica incolumità e per le quali sia impossibile utilizzare i normali mezzi apprestati dall'ordinamento giuridico; il tutto, ovviamente, previo accertamento della situazione, accertamento che deve fondarsi su prove concrete e non su mere presunzioni.

Ne consegue che se il sindaco si trova a poter fronteggiare la situazione con rimedi di carattere corrente, nell'esercizio ordinario dei suoi poteri, o la situazione può essere prevenuta con i normali strumenti apprestati dall'ordinamento, tali presupposti, con evidenza, non ricorrono, e quindi, non possono dirsi legittimamente fondati i provvedimenti ad essi conseguenti (Consiglio di Stato, Sezione V, sentenza n. 6366 del 11 dicembre 2007).

Il potere del sindaco di emanare ordinanze contingibili e urgenti non può prescindere dalla sussistenza di uno stato di effettivo e concreto pericolo per la pubblica incolumità, non fronteggiabile con gli ordinari strumenti di amministrazione attiva, da motivare sempre e debitamente ad esito di approfondita istruttoria (Consiglio di Stato, Sezione V, sentenza n. 2109 dell'8 maggio 2007).

La conformità dei provvedimenti contingibili e urgenti del sindaco ai principi dell’ordinamento giuridico richiede che il potere di ordinanza trovi la sua ragione giustificatrice non tanto nella imprevedibilità dell’evento, quanto nella impossibilità di utilizzare tempestivamente i rimedi ordinari offerti dall’ordinamento, nel suo carattere residuale (Consiglio di Stato, Sezione V, 29 luglio 1998, n. 1128 e Sezione IV, 13 dicembre 1999, n. 1844).

 

La disposizione illustrata ha recentemente trovato applicazione.

Ai sensi del co. 4 dell’art. 54 del TUEL, come riformulato dal D.L. in esame, il sindaco di Venezia ha adottato, il 13 giugno 2008, un provvedimento urgente[50] per la tutela della sicurezza urbana e l'incolumità pubblica in relazione al contrasto del commercio su aree pubbliche in forma itinerante nel centro storico del Comune di Venezia.

L’ordinanza vieta dal 16 giugno al 31 dicembre 2008, in via sperimentale, “il trasporto senza giustificato motivo di mercanzia in grandi sacchi di plastica, borsoni (o in altri analoghi contenitori) nel centro storico del Comune di Venezia. Il predetto trasporto, se accompagnato con la sosta prolungata nello stesso luogo od in aree limitrofe sarà considerato come atto direttamente finalizzato alla vendita su area pubblica in forma itinerante”.

 

Tali provvedimenti – sia ordinari, sia extra ordinem – devono essere preventivamente comunicati al prefetto, in quanto la situazione che li legittima attiene alla sicurezza, tematica che – secondo la relazione – vede comunque un ruolo centrale e “strategico” dell’autorità locale di Governo, cui competono in via generale gli interventi attuativi dell’ordinanza sindacale.

Si ricorda che, in base al testo previgente, il ruolo del prefetto era limitato alla cooperazione nei casi in cui il sindaco richiedesse l’uso della forza pubblica ai fini dell’esecuzione delle ordinanze adottate. Nel nuovo testo, il sindaco informa dei provvedimenti adottati il prefetto, il quale può predisporre gli strumenti ritenuti necessari per la loro attuazione.

Rimane invece confermata la previsione secondo cui i provvedimenti del sindaco devono essere adottati con atto motivato e nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento.

L’estensione e i limiti del potere di intervento del sindaco, come ridefinito e ampliato dal comma 4, non sono più precisamente individuati dal testo in esame, ma da un successivo atto di natura non legislativa.

La determinazione dell’ambito di applicazione delle relative disposizioni è infatti rimessa dal comma 4-bis[51] ad un decreto del ministro dell’interno, al quale spetterà anche apprestare una definizione normativa – oggi assente nell’ordinamento – alla locuzione “sicurezza urbana”; definizione indispensabile proprio al fine di circoscrivere i poteri del sindaco in materia.

Si osserva che il testo non precisa se il decreto ministeriale in oggetto ha natura regolamentare, né stabilisce un termine per la sua emanazione; non è chiaro, inoltre, se il potere di ordinanza è esercitabile dai sindaci immediatamente o subordinatamente all’effettiva emanazione del decreto.

Il comma 5 del testo novellato introduce una forma di coordinamento fra amministratori locali, che viene attivata dal prefetto quando i provvedimenti dei sindaci in tema di sicurezza appaiono suscettibili di incidere anche sulla ordinata convivenza nei comuni contigui o limitrofi. In tali evenienze, il prefetto convoca una conferenza cui partecipano, necessariamente, i sindaci interessati e il presidente della provincia; eventualmente, anche altri soggetti pubblici o privati legati all’ambito territoriale di applicazione del provvedimento.

La relazione illustrativa afferma che la conferenza in questione non è tipizzata ed è diversa dalla conferenza di servizi di cui alla legge 241/1990[52]. La lettera della disposizione sembra peraltro lasciar intendere che la conferenza intervenga successivamente all’adozione del provvedimento del sindaco.

Il comma 5-bis attribuisce ai sindaci anche una nuova funzione “collaborativa” in tema di contrasto dell’immigrazione irregolare: gli amministratori locali sono chiamati a segnalare alle competenti autorità – giudiziaria o di pubblica sicurezza – la condizione irregolare dello straniero o del cittadino appartenente ad uno Stato membro dell’Unione europea, per la eventuale adozione di provvedimenti di espulsione o di allontanamento dal territorio dello Stato.

La disposizione si ricollega al ruolo maggiore che viene assegnato alla polizia municipale nell’attività di pubblica sicurezza dagli artt. 7 e 8 del provvedimento (vedi infra). In particolare, il comma 1 dell’articolo da ultimo citato, in connessione con la disposizione illustrata, consente l’accesso del personale della polizia municipale con qualifica di agente di pubblica sicurezza alle informazioni concernenti i permessi di soggiorno contenute nella banca dati per l’attività operativa e investigativa delle Forze di Polizia.

 

Per una ricognizione dei casi di espulsione e di allontanamento previsti dall’ordinamento vigente si veda la scheda relativa all’art. 1 del provvedimento in esame.

 

I commi 6, 7, 8, 9 e 10 (già commi 3, 4, 5, 6 e 7 del previgente art. 54) sono stati riscritti senza modifiche ad eccezione di quelle conseguenti al rinnovato assetto sistematico. Nel nuovo testo del comma 6, inoltre, viene aggiunto il riferimento ai “motivi di sicurezza urbana” tra i presupposti che legittimano il sindaco a modificare gli orari degli esercizi commerciali, dei pubblici esercizi e dei servizi pubblici, nonché quelli degli uffici pubblici.

Dal nuovo testo dell’art. 54 sono state espunte le norme, contenute nel previgente comma 8, che in precedenza consentivano la nomina di un commissario ad acta da parte del prefetto, nei casi di inerzia del sindaco nell’espletamento dei servizi di competenza statale. La relazione illustrativa afferma che la soppressione di tali previsioni è in sintonia col mutato quadro costituzionale di riferimento (a seguito della riforma del Titolo V) che ha delineato un nuovo assetto dei rapporti tra Stato e autonomie locali.

Conseguentemente è stato eliminato il successivo comma 9 che poneva a carico dell’ente interessato le spese per il commissario.

Peraltro, i commi 11 e 12 del testo novellato recano nuovi, significativi poteri in capo all’amministrazione dell’interno.

Al prefetto viene attribuito il potere di surrogare con propri provvedimenti, in caso di inerzia, l’amministratore locale nelle funzioni relative all’ordine pubblico, alla sicurezza pubblica, alla polizia giudiziaria, all’incolumità pubblica e alla sicurezza urbana (anche con ordinanze urgenti) e negli adempimenti in ordine allo stato civile, alla materia elettorale, alla leva militare e alla statistica (comma 11).

La disposizione sembra da intendersi nel senso che il potere di surroga del prefetto in caso di inerzia del sindaco si estende all’adozione di provvedimenti sia “ordinari”, sia contingibili e urgenti.

Viene inoltre previsto in via generale il potere del Ministro di adottare atti d’indirizzo per l’esercizio di tutte le funzioni previste in capo al sindaco dall’art. 54 del TUEL come novellato (comma 12).

 

Secondo quanto emerso durante il dibattito presso le competenti Commissioni del Senato, tali poteri dell’amministrazione dell’interno sono volti a bilanciare le nuove attribuzioni dei sindaci, nell’ottica della leale collaborazione e dell’equilibrio fra le prerogative dei diversi livelli di governo.

 

Si segnala che, mentre il potere ministeriale “di indirizzo” non era contemplato dal testo previgente, quello prefettizio “di surroga” interviene in luogo di alcuni strumenti già previsti (nomina di commissario; adozione in prima persona da parte del prefetto di ordinanze urgenti). Analogamente a quanto previsto per gli strumenti precedentemente a disposizione del prefetto, i quali potevano essere utilizzati solo in caso di inerzia dell’amministratore locale, la surroga diretta qui introdotta non può prescindere da tale condotta omissiva.


 

Art. 6-bis
(Modifica all’articolo 16 della legge 24 novembre 1981, n. 689)

Testo originario

Testo approvato dal Senato

 

Art. 6-bis.

(Modifica all'articolo 16 della legge 24 novembre 1981, n. 689).

 

 

 1. Il secondo comma dell'articolo 16 della legge 24 novembre 1981, n. 689, è sostituito dal seguente:

 

  «Per le violazioni ai regolamenti ed alle ordinanze comunali e provinciali, la Giunta comunale o provinciale, all'interno del limite edittale minimo e massimo della sanzione prevista, può stabilire un diverso importo del pagamento in misura ridotta, in deroga alle disposizioni del primo comma».

 

 

L’articolo 6-bis,inserito durante la discussione in Assemblea al Senato[53], reca una novella all’art. 16 della L. 689/1981[54], introducendo una deroga alla disciplina generale del pagamento in misura ridotta delle sanzioni amministrative, con riferimento alle violazioni dei regolamenti e delle ordinanze comunali e provinciali.

 

In via generale l’art. 16 della L. 689/1981 prevede che in caso di violazione di una disposizione che prevede una sanzione amministrativa, il trasgressore possa procedere al pagamento della sanzione in una misura ridotta, pari a un terzo del massimo della sanzione prevista per la violazione commessa, ovvero - qualora il calcolo sia più favorevole e sia previsto un minimo della sanzione edittale - pari al doppio di tale ultimo importo, oltre alle spese del procedimento. Il pagamento in misura ridotta deve essere effettuato entro un termine di sessanta giorni che decorre dalla contestazione immediata o, in assenza della contestazione, dalla notificazione degli estremi della violazione.

 

L. 689/1981
Testo vigente

L. 689/1981
Testo modificato dal D.L. 92/2008
come emendato dal Senato

Art. 16.
Pagamento in misura ridotta

Art. 16.
Pagamento in misura ridotta

È ammesso il pagamento di una somma in misura ridotta pari alla terza parte del massimo della sanzione prevista per la violazione commessa, o, se più favorevole e qualora sia stabilito il minimo della sanzione edittale, pari al doppio del relativo importo, oltre alle spese del procedimento, entro il termine di sessanta giorni dalla contestazione immediata o, se questa non vi è stata, dalla notificazione degli estremi della violazione.

Identico.

Nei casi di violazione del testo unico delle norme sulla circolazione stradale e dei regolamenti comunali e provinciali continuano ad applicarsi, rispettivamente l'art. 138 del testo unico approvato con D.P.R. 15 giugno 1959, n. 393 , con le modifiche apportate dall'art. 11 della L. 14 febbraio 1974, n. 62, e l'art. 107 del testo unico delle leggi comunali e provinciali approvato con R.D. 3 marzo 1934, n. 383.

Per le violazioni ai regolamenti ed alle ordinanze comunali e provinciali, la Giunta comunale o provinciale, all'interno del limite edittale minimo e massimo della sanzione prevista, può stabilire un diverso importo del pagamento in misura ridotta, in deroga alle disposizioni del primo comma.

Il pagamento in misura ridotta è ammesso anche nei casi in cui le norme antecedenti all'entrata in vigore della presente legge non consentivano l'oblazione.

Identico.

 

In particolare, la disposizione in esame – sostituendo una norma sostanzialmente priva di efficacia giuridica a seguito delle abrogazioni succedutesi nel tempo[55] – prevede che per le violazioni ai regolamenti e alle ordinanze provinciali e comunali le rispettive Giunte possano – entro i limiti minimi e massimi previsti per la sanzione amministrativa - prevedere che il pagamento in misura ridotta sia effettuato in un importo inferiore o superiore a quello risultante dall’applicazione dalla regola generale di cui al primo comma dell’art. 16.

 

La disciplina introdotta appare per molti profili analoga a quella che era contenuta nell’abrogato articolo 107 del T.U. della legge comunale e provinciale del 1934[56], che veniva richiamati dalla precedente formulazione del secondo comma dell’articolo 16 della L. 689/1981.

Ai fini del pagamento in misura ridotta delle sanzioni per le contravvenzioni alle disposizioni dei regolamenti comunali nonché alle ordinanze del Sindaco in conformità alle leggi ed ai regolamenti, l’art. 107 rimetteva infatti ad una ordinanza del Podestà (del Sindaco) la competenza ad individuare in via generale, per ciascuna specie di contravvenzione, la misura della somma che doveva essere pagata dal responsabile della violazione, all'atto della contestazione della contravvenzione,

L’ordinanza poteva altresì stabilire che per determinate categorie di contravvenzioni non si facesse luogo al pagamento in misura ridotta con oblazione.

In via generale per quanto riguarda le sanzioni amministrative per violazioni di disposizioni emanate dagli enti locali, si segnala che nel nostro ordinamento – anche alla luce del combinato disposto degli articoli 3 e 7 del T.U.E.L.[57] – è riconosciuta agli enti locali piena autonoma potestà regolamentare nelle materie di propria competenza, e che si ritiene comunemente che tale competenza si estenda anche alla definizione delle sanzioni applicabili alle norme precettive recate dagli stessi regolamenti.

Al riguardo la giurisprudenza di legittimità – nel vigore del T.U. del 1934 – ha precisato che “il principio di legalità dell'illecito amministrativo, contenuto nell'art. 1 legge n. 689 del 1981, non si estende, quanto al precetto, ai regolamenti comunali (e provinciali), i quali trovano il loro fondamento costituzionale nel riconoscimento delle autonomie locali, affermato negli artt. 5 e 128 Cost., con cui deve coordinarsi il principio della riserva di legge, di carattere relativo, previsto dall'art. 23 Cost.”[58].

Con più specifico riferimento alle sanzioni, si ricorda che l’art. 7-bis del T.U.E.L. prevede che – in assenza di una diversa disposizione di legge - per le violazioni delle disposizioni dei regolamenti comunali e provinciali si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da 25 euro a 500 euro e che la medesima sanzione amministrativa si applichi anche alle violazioni alle ordinanze adottate dal sindaco e dal presidente della provincia sulla base di disposizioni di legge, ovvero di specifiche norme regolamentari

 


Art. 7
(Collaborazione della polizia municipale e provinciale nell’ambito dei piani coordinati di controllo del territorio)

Testo originario

Testo approvato dal Senato

Articolo 7.

(Collaborazione della polizia municipale nell'ambito dei piani coordinati di controllo del territorio).

 

Articolo 7.

(Collaborazione della polizia municipale e provinciale nell'ambito dei piani coordinati di controllo del territorio).

 

 1. I piani coordinati di controllo del territorio di cui al comma 1 dell'articolo 17 della legge 26 marzo 2001, n. 128, determinano i rapporti di reciproca collaborazione fra i contingenti di personale della polizia municipale e gli organi di Polizia dello Stato. Per le stesse finalità, con decreto da adottare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, il Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell'interno, con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro della difesa, determina le procedure da osservare per assicurare, nel caso di interventi in flagranza di reato, l'immediata denuncia agli organi di Polizia dello Stato per il prosieguo dell'attività investigativa.

1. I piani coordinati di controllo del territorio di cui al comma 1 dell'articolo 17 della legge 26 marzo 2001, n. 128, che possono realizzarsi anche per specifiche esigenze dei comuni diversi da quelli dei maggiori centri urbani, determinano i rapporti di reciproca collaborazione fra i contingenti di personale della polizia municipale e provinciale e gli organi di Polizia dello Stato.

  (Si veda il comma 1).

 2. Con decreto da adottare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, il Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro della giustizia, con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro della difesa, determina le procedure da osservare per assicurare, nel corso dello svolgimento di tali piani coordinati di controllo del territorio, le modalità di raccordo operativo tra la polizia municipale, la polizia provinciale e gli organi di Polizia dello Stato.

 

 

 

L’articolo 7, comma 1, attribuisce una nuova funzione ai piani coordinati di controllo del territorio previsti dalla L. 128/2001[59], ai fini della collaborazione della polizia locale alla sicurezza pubblica: viene demandata ai suddetti piani la “determinazione dei rapporti di reciproca collaborazione” fra polizia locale (municipale e provinciale) e Polizia dello Stato. La portata innovativa della disposizione parrebbe risiedere nella partecipazione automatica della polizia locale ai piani, in precedenza da attivarsi previa richiesta del sindaco.

Inoltre, viene estesa anche ai comuni diversi dai maggiori centri urbani la possibilità di realizzare detti piani coordinati[60].

Il comma 2 dispone in ordine alle modalità di raccordo operativo tra la polizia municipale, la polizia provinciale e la Polizia dello Stato. La definizione di tali modalità è demandata ad un decreto del Ministro dell’interno di concerto con gli altri ministri interessati (giustizia, economia, difesa) da emanarsi entro tre mesi dalla data di entrata in vigore del decreto[61].

La disposizione in esame sembra da porre in relazione con il potenziamento del ruolo degli amministratori locali nella lotta alla criminalità, in una prospettiva di sinergia con il livello di governo centrale (si veda in proposito la scheda relativa all’articolo 6).

 

Si ricorda che, in base all’articolo 17 della L. 128/2001, il Ministro dell'interno impartisce e aggiorna annualmente le direttive per la realizzazione, a livello provinciale e nei maggiori centri urbani, di piani coordinati di controllo del territorio da attuare a cura dei competenti uffici della Polizia di Stato e comandi dell'Arma dei carabinieri e, per i servizi pertinenti alle attività d'istituto, del Corpo della Guardia di finanza, con la partecipazione di contingenti dei corpi o servizi di polizia municipale, previa richiesta al sindaco, o nell'àmbito di specifiche intese con la predetta autorità, prevedendo anche l'istituzione di presìdi mobili di quartiere nei maggiori centri urbani (il cosiddetto “poliziotto di quartiere”), nonché il potenziamento e il coordinamento, anche mediante idonee tecnologie (ad esempio impianti di videosorveglianza), dei servizi di soccorso pubblico e pronto intervento per la sicurezza dei cittadini[62].

 

Si rileva che la locuzione “determinazione dei rapporti di reciproca collaborazione” appare di senso non univoco, e comunque suscettibile di coordinamento col disposto del novellato articolo 54, comma 2, del TUEL (vedi sopra, il commento all’art. 6) e con la normativa già vigente in materia, in particolare con il citato art. 17 della legge 128/2001. Infatti, i piani coordinati di controllo del territorio come individuati dall’art. 17 riguardano da un lato la polizia municipale (e non anche la polizia provinciale) e dall’altro le tre forze di polizia principali (Polizia di Stato, Carabinieri e Guardia di finanza), mentre la disposizione in esame si riferisce alla sola Polizia di Stato. Inoltre, come accennato, l’art. 17 prevede la partecipazione di contingenti di polizia municipale previa richiesta del sindaco, mentre ora sembrerebbe potersi attivare in modo automatico.

Potrebbe pertanto, sul piano del drafting, valutarsi una riformulazione della disposizione come novella alla L. 128/2001.

 

Si ricorda inoltre che, in base all’art. 3 della L. 65/1986[63], gli addetti al servizio di polizia municipale collaborano, nell'ambito delle proprie attribuzioni, con le Forze di polizia dello Stato, previa disposizione del sindaco, quando ne venga fatta, per specifiche operazioni, motivata richiesta dalle competenti autorità.

Il successivo art. 5, al co. 4, stabilisce che nell'esercizio delle funzioni di agente e di ufficiale di polizia giudiziaria e di agente di pubblica sicurezza, il personale di polizia municipale, messo a disposizione dal sindaco, dipende operativamente dalla competente autorità giudiziaria o di pubblica sicurezza nel rispetto di eventuali intese fra le dette autorità e il sindaco.

Anche il codice di procedura penale, all’art. 57, si occupa degli agenti di polizia municipale, nonchè degli agenti della polizia provinciale (“guardie delle province e dei comuni”), attribuendo ad essi la qualifica di agenti di polizia giudiziaria, seppure con delle limitazioni territoriali e temporali.

Per la nozione di agente e ufficiale di polizia giudiziaria e di pubblica sicurezza si veda la scheda a commento dell’art. 1.

 


Art. 7-bis
(Concorso delle Forze armate nel controllo del territorio)

Testo originario

Testo approvato dal Senato

 

Art. 7-bis.

(Concorso delle Forze armate nel controllo del territorio).

 

 

        1. Per specifiche ed eccezionali esigenze di prevenzione della criminalità, ove risulti opportuno un accresciuto controllo del territorio, può essere autorizzato un piano di impiego di un contingente di personale militare appartenente alle Forze armate, preferibilmente carabinieri impiegati in compiti militari o comunque volontari delle stesse Forze armate specificatamente addestrati per i compiti da svolgere. Detto personale è posto a disposizione dei prefetti delle province comprendenti aree metropolitane e comunque aree densamente popolate, ai sensi dell'articolo 13 della legge 1o aprile 1981, n. 121, per servizi di vigilanza a siti e obiettivi sensibili, nonché di perlustrazione e pattuglia in concorso e congiuntamente alle Forze di polizia. Il piano può essere autorizzato per un periodo di sei mesi, rinnovabile per una volta, per un contingente non superiore a 3.000 unità.

 

 2. Il piano di impiego del personale delle Forze armate di cui al comma 1 è adottato con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro della difesa, sentito il Comitato nazionale dell'ordine e della sicurezza pubblica integrato dal Capo di stato maggiore della difesa e previa informazione al Presidente del Consiglio dei Ministri. Il Ministro dell'interno riferisce in proposito alle competenti Commissioni parlamentari.

 

 3. Nell'esecuzione dei servizi di cui al comma 1, il personale delle Forze armate non appartenente all'Arma dei carabinieri agisce con le funzioni di agente di pubblica sicurezza e può procedere alla identificazione e alla immediata perquisizione sul posto di persone e mezzi di trasporto a norma dell'articolo 4 della legge 22 maggio 1975, n. 152, anche al fine di prevenire o impedire comportamenti che possono mettere in pericolo l'incolumità di persone o la sicurezza dei luoghi vigilati, con esclusione delle funzioni di polizia giudiziaria. Ai fini di identificazione, per completare gli accertamenti e per procedere a tutti gli atti di polizia giudiziaria, il personale delle Forze armate accompagna le persone indicate presso i più vicini uffici o comandi della Polizia di Stato o dell'Arma dei carabinieri. Nei confronti delle persone accompagnate si applicano le disposizioni dell'articolo 349 del codice di procedura penale.

 

 4. Agli oneri derivanti dall'attuazione del decreto di cui al comma 2, stabiliti entro il limite di spesa di 31,2 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009, comprendenti le spese per il trasferimento e l'impiego del personale e dei mezzi e la corresponsione dei compensi per lavoro straordinario e di un'indennità onnicomprensiva determinata ai sensi dell'articolo 20 della legge 26 marzo 2001, n. 128, e comunque non superiore al trattamento economico accessorio previsto per le Forze di polizia, individuati con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con i Ministri dell'interno e della difesa, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2008-2010, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2008, allo scopo parzialmente utilizzando: quanto a 4 milioni di euro per l'anno 2008 e a 16 milioni di euro per l'anno 2009, l'accantonamento relativo al Ministero dell'economia e delle finanze; quanto a 9 milioni di euro per l'anno 2008 e a 8 milioni di euro per l'anno 2009, l'accantonamento relativo al Ministero della giustizia; quanto a 18,2 milioni di euro per l'anno 2008 e a 7,2 milioni di euro per l'anno 2009, l'accantonamento relativo al Ministero degli affari esteri.

 

 5. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

 

 

L’articolo 7-bis del provvedimento in esame reca talune disposizioni riguardanti la possibilità di fare ricorso alle Forze armate per lo svolgimento di compiti di sorveglianza e vigilanza del territorio.

 

In particolare, il comma 1 del citato articolo stabilisce che, in relazione a specifiche ed eccezionali esigenze di prevenzione della criminalità, al fine di assicurare un maggior controllo del territorio in talune zone del Paese, è consentito impiegare personale militare delle forze armate utilizzando preferibilmente i Carabinieri impegnati in compiti militari o, comunque, volontari specificamente addestrati per i compiti da svolgere (comma 1).

 

Per quanto riguarda i carabinieri impiegati in compiti militari si ricorda che l’articolo 7 del decreto legislativo n. 297 del 2000, recante Norme in materia di riordino dell'Arma dei carabinieri[64], reca talune disposizioni concernenti l’assolvimento dei compiti militari da parte dell’Arma dei carabinieri.

In particolare, la citata disposizione stabilisce che sulla base delle direttive del Capo di Stato Maggiore della difesa, il Comandante generale dell'Arma dei carabinieri individua i reparti ed il personale da impiegare per l'assolvimento dei compiti di cui agli articoli 5 e 6 e ne assicura la disponibilità, nonché l'autonomia logistica, fermo restando l'assolvimento degli altri compiti istituzionali previsti dalla legge. È responsabile del relativo addestramento e approntamento.

A loro volta i citati articoli 5 6 riguardano, rispettivamente, la partecipazione dell’Arma dei Carabinieri ad operazioni militari in Italia ed all'estero e le funzioni di polizia militare da parte della citata Arma.

 

A tal fine il Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro della difesa, adotta uno specifico piano per l’utilizzo di tale personale da parte dei prefetti delle province in cui si sono verificate le specifiche ed eccezionali esigenze sopra citate. Il personale militare è posto a disposizione dei prefetti ai sensi dell’articolo 13 della legge 1° aprile 1981, n. 121, “Nuovo ordinamento dell’Amministrazione della pubblica sicurezza” (comma 1), per servizi di vigilanza a luoghi e obiettivi sensibili.

L’articolo 13 della legge n. 121/1981 stabilisce che il prefetto è l’autorità provinciale di pubblica sicurezza e ne definisce i compiti stabilendo, tra l’altro, che questi “dispone della forza pubblica e delle altre forze eventualmente poste a sua disposizione in base alle leggi vigenti e ne coordina le attività”.

Il citato piano, riguardante un contingente massimo di 3.000 unità ed avente una durata massima di sei mesi, rinnovabile per una sola volta,è adottato sentito il Comitato nazionale per l'ordine e per la sicurezza pubblica[65], cui è chiamato a partecipare il Capo di Stato maggiore della difesa e previa informazione al Presidente del Consiglio dei ministri.

Ai sensi del comma 2 dell’articolo in esame il Ministro dell’interno riferisce alle Camere in merito al citato piano d’impiego.

In relazione alla disposizione in esame, al fine di evitare possibili dubbi interpretativi, andrebbe valutata l’opportunità di specificare che la citata relazione al Parlamento deve essere effettuata prima dell’adozione o del rinnovo del piano d’impiego.

 

Il comma 3 dell’articolo 8, delinea le funzioni dei militari impiegati nelle operazioni descritte all’articolo precedente, specificando, al riguardo, che essi agiscono con le funzioni di agenti di pubblica sicurezza.

 

Nello specifico, i citati militari possono procedere alla identificazione e alla immediata perquisizione sul posto di persone e mezzi di trasporto al fine di prevenire o impedire comportamenti che possono mettere in pericolo l'incolumità di persone o la sicurezza dei luoghi o delle infrastrutture vigilati, ovvero nel caso in cui sia necessario accertare l'eventuale possesso di armi, esplosivi e strumenti di effrazione, da parte di persone il cui atteggiamento o la cui presenza, in relazione a specifiche e concrete circostanze di luogo e di tempo non appaiono giustificabili.

 

Sono espressamente escluse tutte le funzioni spettanti alla polizia giudiziaria.

 

Laddove, infatti si rendano necessari atti di polizia giudiziaria, i militari delle Forze armate impegnati nelle operazioni di vigilanza e controllo sono tenuti ad accompagnare le persone sottoposte ad identificazione presso i più vicini uffici o comandi della Polizia di Stato o dell'Arma dei carabinieri.

 

In relazione alla disposizione in esame, si segnala che la possibilità di fare ricorso alle Forze armate per lo svolgimento di compiti di sorveglianza e vigilanza del territorio, con particolare riferimento alle aree di interesse strategico nazionale destinate alla raccolta e al trasporto dei rifiuti nella Regione Campania, è stata da ultimo prevista dall’articolo 2 del decreto legge n. 90 del 2008 (c.d. decreto rifiuti).

In precedenza, gli articoli 18 e 19 della legge 26 marzo 2001, n. 128, “Interventi legislativi in materia di tutela della sicurezza dei cittadini”, avevano attribuito alle Forze armate impegnate nel controllo degli obiettivi fissi alcune funzioni proprie delle autorità di pubblica sicurezza, in casi eccezionali di necessità ed urgenza. Le funzioni attribuite sono analoghe a quelle già riconosciute alle Forze armate, nell’ambito dell’operazione “Vespri siciliani”, dal D.L. 25 luglio 1992, n. 349, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 settembre 1992, n. 386, e successivamente estese alla Calabria, al comune di Napoli ed al Friuli Venezia-Giulia, e reiterate nel tempo da una serie di decreti legge. Più precisamente la novella dispone che, in casi eccezionali di necessità e urgenza, si applicano le disposizioni dell'articolo 4 della legge 22 maggio 1975, n. 152.

L’articolo 4 della legge n. 152/1975, recante “Disposizioni a tutela dell'ordine pubblico”, prevede che, in casi eccezionali di necessità e d’urgenza, che non permettono un tempestivo provvedimento dell'autorità giudiziaria, gli ufficiali ed agenti della polizia giudiziaria e della forza pubblica nel corso di operazioni di polizia possono procedere, oltre che all'identificazione, all'immediata perquisizione sul posto, al solo fine di accertare l'eventuale possesso di armi, esplosivi e strumenti di effrazione, di persone il cui atteggiamento o la cui presenza, in relazione a specifiche e concrete circostanze di luogo e di tempo, non appaiono giustificabili. In tali casi la perquisizione può estendersi, per le stesse finalità, al mezzo di trasporto utilizzato da tali persone per giungere sul posto. Di tali perquisizioni deve essere redatto un verbale che va trasmesso, entro quarantott'ore al procuratore della Repubblica.

 

I commi 4 e 5 recano, da ultimo, la copertura finanziaria del provvedimento.

 

Nello specifico, il comma 4 quantifica in 31,2 milioni di euro l’onere complessivo derivante dall’attuazione della disposizione in esame e comprensivo delle spese per il trasferimento, l’impiego del personale, dei mezzi e l’indennità da riconoscere ai militari impiegati nelle sopra richiamate funzioni.

A tali oneri si provvederà facendo ricorso allo stanziamento previsto per il fondo speciale di parte corrente iscritto (ai fini del bilancio triennale 2008-2010) nell’ambito del programma “Fondi di riserva speciali” della Missione “Fondi da ripartire” dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2008, utilizzando a tal fine specifici accantonamenti.


 

Art. 8
(Accesso della polizia municipale al Centro elaborazione dati del Ministero dell’interno)

Testo originario

Testo approvato dal Senato

Articolo 8.

(Accesso della polizia municipale al Centro elaborazione dati del Ministero dell'interno).

 

Articolo 8.

(Accesso della polizia municipale al Centro elaborazione dati del Ministero dell'interno).

 

 1. All'articolo 16-quater del decreto-legge 18 gennaio 1993, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 marzo 1993, n. 68, sono apportate le seguenti modificazioni:

   1. Identico:

 a) al comma 1, le parole: «schedario dei veicoli rubati operante» sono sostituite dalle seguenti: «schedario dei veicoli rubati o rinvenuti e allo schedario dei documenti d'identità rubati o smarriti operanti»;

 a) al comma 1, le parole: «schedario dei veicoli rubati operante» fino alla fine del comma sono sostituite dalle seguenti: «schedario dei veicoli rubati e allo schedario dei documenti d'identità rubati o smarriti operanti presso il Centro elaborazione dati di cui all'articolo 8 della predetta legge n. 121. Il personale della polizia municipale in possesso della qualifica di agente di pubblica sicurezza può altresì accedere alle informazioni concernenti i permessi di soggiorno rilasciati e rinnovati, in relazione a quanto previsto dall'articolo 54, comma 5-bis, del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni»;

   b) dopo il comma 1 è inserito il seguente:

      b) identico:

   «1-bis. Il personale di cui al comma 1 può essere, altresì, abilitato all'inserimento, presso il Centro elaborazione dati ivi indicato, dei dati di cui al comma 1 acquisiti autonomamente.».

   «1-bis. Il personale di cui al comma 1 addetto ai servizi di polizia stradale ed in possesso della qualifica di agente di pubblica sicurezza può essere, altresì, abilitato all'inserimento, presso il Centro elaborazione dati ivi indicato, dei dati relativi ai veicoli rubati e ai documenti rubati o smarriti, di cui al comma 1, acquisiti autonomamente».

 

   1-bis. I collegamenti, anche a mezzo della rete informativa telematica dell'Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI), per l'accesso allo schedario dei documenti d'identità rubati o smarriti, nonché alle informazioni concernenti i permessi di soggiorno di cui al comma 1, sono effettuati con le modalità stabilite con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita l'ANCI.

 

 

L’articolo 8 interviene sull’art. 16-quater del D.L. 8/1993[66], convertito con modificazioni dalla L. 68/1993, in materia di disposizioni relative ai servizi di polizia stradale della polizia municipale.

La nuova formulazione dell’art. 16-quater (per la quale, si veda il testo a fronte) amplia la possibilità di accesso del personale della polizia municipale ai dati presenti nella banca dati interforze CED del Ministero dell’interno.

 

D.L. 8/1993
Testo previgente

D.L. 8/1993
Testo modificato dal D.L. 92/2008
come emendato dal Senato

Art. 16-quater
Disposizioni relative ai servizi di polizia stradale della polizia municipale

Art. 16-quater
Disposizioni relative ai servizi di polizia stradale della polizia municipale

1. Il personale della polizia municipale addetto ai servizi di polizia stradale accede ai sistemi informativi automatizzati del pubblico registro automobilistico e della direzione generale della motorizzazione civile e può accedere, in deroga all'articolo 9 della legge 1° aprile 1981, n. 121, e successive modificazioni, qualora in possesso della qualifica di agente di pubblica sicurezza, allo schedario dei veicoli rubati operante presso il Centro elaborazione dati di cui all'articolo 8 della predetta legge n. 121.

1. Il personale della polizia municipale addetto ai servizi di polizia stradale accede ai sistemi informativi automatizzati del pubblico registro automobilistico e della direzione generale della motorizzazione civile e può accedere, in deroga all'articolo 9 della legge 1° aprile 1981, n. 121 , e successive modificazioni, qualora in possesso della qualifica di agente di pubblica sicurezza, allo schedario dei veicoli rubati e allo schedario dei documenti d’identità rubati o smarriti operanti presso il Centro elaborazione dati di cui all'articolo 8 della predetta legge n. 121. Il personale della polizia municipale in possesso della qualifica di agente dì pubblica sicurezza può altresì accedere alle informazioni concernenti i permessi di soggiorno rilasciati e rinnovati, in relazione a quanto previsto dall'articolo 54, comma 5-bis, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni.

 

1-bis. Il personale di cui al comma 1 addetto ai servizi di polizia stradale ed in possesso della qualifica di agente di pubblica sicurezza può essere, altresì, abilitato all’inserimento, presso il Centro elaborazione dati ivi indicato, dei dati relativi ai veicoli rubati e ai documenti rubati o smarriti, di cui al comma 1, acquisiti autonomamente.

2. I collegamenti, anche a mezzo della rete informativa telematica dell'ANCI, sono effettuati con le modalità stabilite con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con i Ministri dei trasporti e delle finanze, sentiti l'ANCI e l'Automobile club d'Italia (ACI).

2. Identico.

Si veda anche l’art. 8, co. 1-bis, del D.L. 92/2008, che recita:

1-bis. I collegamenti, anche a mezzo della rete informativa telematica dell'Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI), per l'accesso allo schedario dei documenti d'identità rubati o smarriti, nonché alle informazioni concernenti i permessi di soggiorno di cui al comma 1, sono effettuati con le modalità stabilite con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita l'ANCI.

3. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto sono apportate le occorrenti modificazioni al regolamento, previsto dall'articolo 11, primo comma, della legge 1° aprile 1981, n. 121, approvato con D.P.R. 3 maggio 1982, n. 378.

3. Identico.

 

Il CED – Centro elaborazione dati, è la banca dati che fornisce il supporto informatico per l’attività operativa e investigativa delle Forze di Polizia. Il Centro è incardinato nel Servizio per il Sistema informativo interforze alle dipendenze della Direzione centrale della polizia criminale del Dipartimento della pubblica sicurezza; la relativa gestione operativa è affidata alla seconda divisione di tale Servizio[67].

Istituito ai sensi dell’art. 8 della L. 121/1981[68], il Centro provvede alla raccolta, elaborazione, classificazione e conservazione delle informazioni e dei dati in materia di:

§         tutela dell'ordine, della sicurezza pubblica e di prevenzione e repressione della criminalità e loro diramazione. Tali dati devono riferirsi a notizie risultanti da documenti conservati dalla pubblica amministrazione o da enti pubblici, da sentenze o provvedimenti dell'autorità giudiziaria nonché da atti concernenti l'istruzione penale o derivanti da indagini di polizia;

§         tutela dell'ordine, della sicurezza pubblica e di prevenzione e repressione della criminalità e loro diramazione in possesso delle polizie degli Stati appartenenti alla Comunità europea, e di ogni altro Stato con il quale siano raggiunte specifiche intese in tal senso;

§         operazioni o posizioni bancarie nei limiti richiesti da indagini di polizia giudiziaria e su espresso mandato dell'autorità giudiziaria, senza che possa essere opposto il segreto da parte degli organi responsabili delle aziende di credito o degli istituti di credito di diritto pubblico.

L’art. 21 della  L. 128/2001[69], prevede inoltre che nel CED debbano confluire tutte le notizie e le informazioni acquisite dalla Forze di Polizia nel corso delle attività di prevenzione e repressione dei reati e di quelle amministrative.

L’accesso ai dati contenuti nel CED, regolamentato dal successivo art. 9 della L.121/1981[70], è consentito agli ufficiali di polizia giudiziaria, agli ufficiali di pubblica sicurezza, ai funzionari dei servizi di informazione e sicurezza e agli agenti di polizia giudiziaria debitamente autorizzati. L'accesso ai dati e alle informazioni è altresì consentito all'autorità giudiziaria ai fini degli accertamenti necessari per i procedimenti in corso e nei limiti stabiliti dal c.p.p. 

È comunque vietata ogni utilizzazione delle informazioni e dei dati per finalità diverse da quelle di tutela dell’ordine, della sicurezza pubblica e di prevenzione e repressione della criminalità. È altresì vietata ogni circolazione delle informazioni all'interno della pubblica amministrazione e la raccolta di informazioni e dati sui cittadini per il solo fatto della loro razza, fede religiosa od opinione politica, o della loro adesione a movimenti sindacali, cooperativi, assistenziali, culturali, nonché per le attività svolte come appartenenti ad organizzazioni legalmente operanti in tali settori.

Il controllo sul CED è esercitato dal Garante per la protezione dei dati personali, nei modi previsti dalla legge e dai regolamenti.

Il D.P.R. 378/1982[71] contiene il regolamento concernente le procedure di raccolta, accesso, comunicazione, correzione, cancellazione ed integrazione dei dati e delle informazioni, registrati negli archivi magnetici del CED.

 

Prima dell’entrata in vigore del provvedimento in esame, il personale di polizia municipale – se addetto ai servizi di polizia stradale e in possesso della qualifica di agente di pubblica sicurezza – poteva accedere, presso il CED, allo schedario dei veicoli rubati[72]. A seguito delle modifiche introdotte dal decreto, lo stesso personale può accedere anche allo schedario dei documenti d’identità rubati o smarriti. Inoltre, viene data facoltà al personale della polizia municipale, previa apposita abilitazione, di svolgere un ruolo attivo, immettendo nel CED i dati raccolti autonomamente.

Il  testo emendato dal Senato introduce un’ulteriore innovazione al comma 1, disponendo che il personale della polizia municipale in possesso della qualifica di agente di pubblica sicurezza, possa accedere alle informazioni contenute nel CED e concernenti i permessi di soggiorno rilasciati e rinnovati.

Appare opportuno chiarire in maniera puntuale se – come sembra – la facoltà di accesso è riferibile a tutto il personale della polizia municipale in possesso della qualifica di agente di pubblica sicurezza o solamente agli addetti ai servizi stradali in possesso di tale qualifica. Nel primo caso, dovrebbe essere modificata anche la rubrica dell’art. 16-quater, che oggi fa riferimento ai soli servizi di polizia stradale della polizia municipale.

 

Il D.P.R. 242/2004[73] reca I’indicazione dei sistemi informativi automatizzati già realizzati o in fase di realizzazione presso le amministrazioni pubbliche, da utilizzare nelle attività previste dai procedimenti di cui al testo unico in materia di immigrazione (D.Lgs. 286/1998[74]).

L’art. 2 del decreto indica fra gli altri sistemi informativi:

§         l'archivio informatizzato dei permessi di soggiorno, tenuto dal Ministero dell'interno - Dipartimento della pubblica sicurezza;

§         l'archivio informatizzato per l'emersione-legalizzazione di lavoro irregolare, tenuto dal Ministero dell'interno - Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione;

§         il casellario nazionale d'identità, tenuto dal Ministero dell'interno - Dipartimento della pubblica sicurezza;

§         l'archivio informatizzato dei richiedenti asilo, tenuto dal Ministero dell'interno - Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione;

§         l'archivio informatizzato dei rifugiati, tenuto dal Ministero dell'interno - Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione.

Il D.Lgs. 196/2003, Codice in materia di protezione dei dati personali, dedica inoltre il Titolo II della Parte II al trattamento da parte delle Forze di Polizia, prevedendo per le stesse un particolare regime a causa della specificità dell’attività investigativa e della rilevante finalità di prevenzione, accertamento o repressione dei reati. Il capo IV del Titolo IV relativo ai trattamenti in ambito pubblico dedica l’art. 64 ai dati in materia di Cittadinanza, immigrazione e condizione dello straniero considerati di rilevante interesse pubblico ammettendone il trattamento al fine:

§         del rilascio e al rinnovo di visti, permessi, attestazioni, autorizzazioni e documenti anche sanitari;

§         del riconoscimento del diritto di asilo o dello stato di rifugiato, o all'applicazione della protezione temporanea e di altri istituti o misure di carattere umanitario, ovvero all'attuazione di obblighi di legge in materia di politiche migratorie;

§         degli obblighi dei datori di lavoro e dei lavoratori, ai ricongiungimenti, all'applicazione delle norme vigenti in materia di istruzione e di alloggio, alla partecipazione alla vita pubblica e all'integrazione sociale.

Infine, il D.Lgs. 135/1999[75], all’art. 7, ribadisce il rilevante interesse pubblico delle attività dirette all'applicazione della disciplina in materia di cittadinanza, di immigrazione, di asilo, di condizione dello straniero e di profugo e sullo stato di rifugiato.

 

La disposizione in commento sembra doversi leggere in correlazione con l’attribuzione al sindaco, da parte del precedente articolo 6 (vedi supra) del potere di segnalare alle competenti autorità le condizioni di irregolarità dello straniero, ai fini dell’espulsione o dell’allontanamento dal territorio nazionale.

 

Il successivo comma 1-bis dell’articolo 8 in commento dispone infine che per l'accesso ai dati e alle informazioni indicati nel comma 1 siano previsti i collegamenti anche a mezzo della rete informativa telematica dell'ANCI. Tali collegamenti sono effettuati con le modalità stabilite con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita l'ANCI.

Ai fini di una miglior formulazione del testo, sembra opportuno configurare tale disposizione quale ulteriore novella al menzionato art. 16-quater del D.L. 8/1993.

 

 


Art. 8-bis
(Accesso degli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria appartenenti al Corpo delle Capitanerie di porto al Centro elaborazione dati del Ministero dell'interno)

Testo originario

Testo approvato dal Senato

 

Art. 8-bis.

(Accesso degli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria appartenenti al Corpo delle capitanerie di porto al Centro elaborazione dati del Ministero dell'interno).

 

 

     1. Gli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria appartenenti al Corpo delle capitanerie di porto, per finalità di sicurezza portuale e dei trasporti marittimi, possono accedere ai dati e alle informazioni del Centro elaborazione dati di cui al primo comma dell'articolo 9 della legge 1o aprile 1981, n. 121, in deroga a quanto previsto dallo stesso articolo, limitatamente a quelli correlati alle funzioni attribuite agli stessi ufficiali e agenti di polizia giudiziaria. Detto personale può essere, altresì, abilitato all'inserimento presso il medesimo Centro dei corrispondenti dati autonomamente acquisiti.

 

 2. Con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sono individuati i dati e le informazioni di cui al comma 1 e sono stabilite le modalità per effettuare i collegamenti per il relativo accesso.

 

  3. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto sono apportate le occorrenti modificazioni al regolamento, previsto dall'articolo 11, primo comma, della legge 1o aprile 1981, n. 121, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 3 maggio 1982, n. 378.

 

 

L’articolo 8-bis, introdotto durante l’esame al Senato, dispone che gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria appartenenti al Corpo delle capitanerie di porto hanno facoltà di accedere ai dati e alle informazioni, correlati alle funzioni loro attribuite, presso il Centro elaborazione dati – CED (a questo proposito si fa riferimento a quanto illustrato nella scheda relativa all’art. 8 del provvedimento in esame) di cui al primo comma dell’art. 9 della L. 121/1981[76], nonché di inserire, previa apposita abilitazione, dati autonomamente acquisiti.

 

La facoltà di accesso al CED, è disposta in deroga a quanto previsto dallo stesso art. 9 della L. 121/1981, che prevede che l’utilizzo dei dati e delle informazioni sia consentito agli ufficiali di polizia giudiziaria appartenenti alle forze di polizia, agli ufficiali di pubblica sicurezza e ai funzionari dei servizi di sicurezza, nonché agli agenti di polizia giudiziaria delle forze di polizia debitamente autorizzati da parte dei capi dei rispettivi uffici e servizi, quando non siano questi a fare diretta richiesta dei dati e delle informazioni (successivo art. 11, co. 2).

 

L’accesso ai dati e alle informazioni, nonché l’inserimento dei dati autonomamente acquisiti, è consentito per finalità di sicurezza portuale e dei trasporti marittimi.

 

Il Corpo delle Capitanerie di porto - Guardia costiera è uno dei corpi tecnici della Marina Militare. Le attività delle Capitanerie di porto vanno dalle incombenze amministrative svolte come strutture periferiche del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti a quelle, per lo stesso Ministero, di Polizia marittima e afferenti alla disciplina della navigazione marittima, al controllo del traffico marittimo, alla sicurezza nei porti, alle inchieste sui sinistri marittimi, al controllo del demanio marittimo, ai collaudi e alle ispezioni periodiche di depositi costieri e di altri impianti pericolosi.

Il decreto interministeriale 14 Luglio 2003, Disposizioni in materia di contrasto all'immigrazione clandestina, ha inoltre affidato al Corpo, compiti di vigilanza, prevenzione e contrasto dell'immigrazione clandestina via mare, affidando in via primaria alle Capitanerie di porto le attività di soccorso, in linea con le competenze relative alla salvaguardia della vita umana in mare.

Le funzioni di ufficiale ed agente di polizia giudiziaria sono attribuite al personale appartenente al Corpo delle Capitanerie di porto, e agli altri soggetti impegnati nei servizi afferenti alle attività marittime e portuali, dall'art. 1235 delle Disposizioni processuali di cui alla Parte III, Libro I, Titolo IV, del Codice della navigazione; in materia di pesca, dall'art. 21 della L. 963/1965[77] e, in materia di ambiente e tutela del territorio, dall'art. 23 della L. 979/1982[78].

 

Il comma 2 dispone che i dati e le informazioni in materia di sicurezza portuale e dei trasporti marittimi correlati alle funzioni svolte dagli ufficiali e dagli agenti di polizia giudiziaria, appartenenti al Corpo delle Capitanerie di porto, siano individuati tramite decreto del ministro dell’interno, di concerto con il ministro delle infrastrutture e dei trasporti.

 

Il comma 3 dell’articolo stabilisce infine che, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del decreto, siano apportate le necessarie modifiche correttive al regolamento sulle procedure di raccolta, accesso, comunicazione, correzione, cancellazione, ed integrazione dei dati e delle informazioni, registrati negli archivi magnetici del centro elaborazione dati di cui all'art. 8 della legge 1° aprile 1981, n. 121, di cui al D.P.R. 378/1982[79].

Parrebbe opportuno riferire la disposizione di cui al comma 3 anche alle modifiche apportate dal precedente articolo 8 alla disciplina legislativa in materia di accesso al CED.

 


Art. 9
(Centri di identificazione ed espulsione)

Testo originario

Testo approvato dal Senato

Articolo 9.

(Centri di identificazione ed espulsione).

 

Articolo 9.

(Centri di identificazione ed espulsione).

 

 1. Le parole: «centro di permanenza temporanea» ovvero: «centro di permanenza temporanea ed assistenza» sono sostituite, in generale, in tutte le disposizioni di legge o di regolamento, dalle seguenti: «centro di identificazione ed espulsione» quale nuova denominazione delle medesime strutture.

    Identico.

 

 

L’articolo 9 modifica la denominazione dei centri di permanenza temporanea o centri di permanenza temporanea e assistenza (noti anche con gli acronimi CPT/CPTA): in tutti gli ambiti normativi – legislativi e regolamentari - in cui le predette locuzioni compaiano, esse sono sostituite da quella di “centro di identificazione ed espulsione”.

La relazione illustrativa non fornisce elementi di delucidazione circa le ragioni di tale modifica, né circa la presenza dei requisiti di necessità e urgenza che consentono, ai sensi del’art. 77 Cost., l’adozione di provvedimenti provvisori con forza di legge.

 

Un chiarimento circa le finalità della modifica di denominazione è stato fornito dal rappresentante del Governo intervenuto in sede di replica nel corso dell’esame in sede referente: “Quanto al mutamento del nome dei Centri di permanenza temporanea, egli [il Sottosegretario di Stato Mantovano] sottolinea come tale scelta nasca con l'intento di distinguere tali strutture dai Centri di prima accoglienza, dai Centri di accoglienza richiedenti asilo e da altre strutture similari, rilevando che la struttura cui si riferisce il decreto in titolo è chiamata a svolgere, al contrario delle altre, i compiti di identificazione del clandestino e di espulsione dello stesso, qualora ne ricorrano le condizioni, con accompagnamento coatto nel Paese di provenienza”[80][81].

 

Si consideri che, sul piano del corretto uso delle fonti, introdurre modifiche nei regolamenti con fonte primaria (come avviene nel caso in esame) dà luogo alla problematica coesistenza, nello stesso testo, di norme di diverso livello gerarchico. In questo senso si vedano le Regole e raccomandazioni per la formulazione tecnica dei testi legislativi[82].

Il disegno di legge A.S. 733, strettamente collegato al provvedimento in esame (anch’esso fa parte del “pacchetto sicurezza” approvato dal Consiglio dei ministri il 21 maggio scorso) contiene una disposizione sui CPTA. Questa prevede l’estensione del termine di trattenimento fino ad un massimo di 18 mesi, anticipando di fatto il contenuto di una proposta di direttiva comunitaria approvata di recente dal Parlamento europeo[83].

 

I centri di permanenza temporanea e assistenza, ora centri di identificazione ed espulsione, sono luoghi di trattenimento del cittadino straniero in attesa di esecuzione di provvedimenti di espulsione (i motivi di possibile trattenimento sono i seguenti: perché occorre procedere al soccorso dello straniero, ad accertamenti supplementari in ordine alla sua identità o nazionalità, ovvero all'acquisizione di documenti per il viaggio, ovvero a giudizio di convalida, ovvero per l'indisponibilità di vettore o altro mezzo di trasporto idoneo)[84].

In tali strutture lo straniero deve essere trattenuto con modalità tali da assicurare la necessaria assistenza ed il pieno rispetto della sua dignità (art. 14, co. 2, D.Lgs. 286/1998).

Il trattenimento è disposto con provvedimento del questore per un periodo di 30 giorni, prorogabile, su richiesta del questore e solo in presenza di gravi difficoltà, di altri 30 giorni.

Sono, inoltre, trattenuti nei CPTA, ora CIE, coloro che fanno richiesta di asilo dopo essere stati oggetto di un provvedimento di espulsione, ad esclusione dell’espulsione a causa di ingresso clandestino o di trattenimento nel territorio nazionale senza aver fatto richiesta del permesso di soggiorno[85]. In questi due ultimi casi i richiedenti asilo sono ospitati in altre strutture, denominate centri di accoglienza, che hanno sostituito i centri di identificazione introdotti dalle legge 189/2002 (la cosiddetta legge Bossi-Fini). Nei centri di accoglienza sono trattenuti anche i richiedenti asilo in attesa di identificazione e i respinti alla frontiera.

Va ricordato che, in base alla disciplina posta dall’articolo 20, comma 11, del D.Lgs. 30/2007[86], come modificato nel corso della passata legislatura dal D.Lgs. 32/2008, il trattenimento negli ex CPT può riguardare anche i cittadini comunitari colpiti da un provvedimento di allontanamento, nelle more della procedura di convalida.

La verifica delle condizioni di vita nei centri di permanenza temporanea e assistenza (CPTA), anche in vista della loro riforma, è stato l’obiettivo principale di una speciale commissione d’indagine sui CPTA istituita nella scorsa legislatura dal ministro dell’interno e presieduta dall’ambasciatore Staffan de Mistura.

La Commissione ha concluso i suoi lavori nel gennaio 2007 con la pubblicazione di un dettagliato rapporto, in cui si propone il “superamento” dei CPTA attraverso un processo di svuotamento di tutte le categorie di persone per le quali non c’è necessità di trattenimento[87].

Il Governo pro-tempore è intervenuto in questa direzione con alcuni provvedimenti amministrativi. Innanzitutto, sono stati chiusi i centri di Brindisi, Crotone e Ragusa e si è avviato un approfondito studio sulle altre strutture, in vista di ulteriori, eventuali, soppressioni o riqualificazione. Sono stati adottati, inoltre, nuovi criteri per l’accesso ai Centri, volti ad accrescere la trasparenza sull’attività ed i servizi resi agli ospiti[88], e sono state avviate nuove procedure che, attraverso una più stretta collaborazione tra le autorità carcerarie e le forze di polizia, consentono l’espletamento di tutte le pratiche necessarie all’identificazione durante la permanenza in carcere degli extracomunitari, mentre in precedenza l’identificazione avveniva prevalentemente nei CPTA[89].

Attualmente sono operativi i centri di permanenza temporanea e assistenza localizzati a Torino, Milano, Bologna, Modena, Roma, Lecce, Lametia Terme, Caltanissetta, Agrigento, Lampedusa, Trapani.

Il numero dei CPTA, ora CIE, sembra destinato ad aumentare: infatti, i ministri dell’interno e della difesa del governo in carica sono concordi sulla necessità di individuare nuovi centri. A tal proposito, è stato deciso di istituire un gruppo di lavoro tra i due ministeri per procedere all’individuazione dei siti idonei a ospitare le nuove strutture, anche presso strutture militari dismesse, come proposto dal ministro della difesa[90].

 


 

Articolo 10
(Modifiche alla legge 31 maggio 1965, n. 575)

Testo originario

Testo approvato dal Senato

Articolo 10.

(Modifiche alla legge 31 maggio 1965, n. 575).

Articolo 10.

(Modifiche alla legge 31 maggio 1965, n. 575).

  1. Alla legge 31 maggio 1965, n. 575, sono apportate le seguenti modifiche:

  1. Alla legge 31 maggio 1965, n. 575, sono apportate le seguenti modificazioni:

 

 a) all'articolo 1, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «nonché ai soggetti indiziati di uno dei reati previsti dall'articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale».

  a) l'articolo 2 è sostituito dal seguente:

     b) identico:

     «Art. 2. - 1. Nei confronti delle persone indicate all'articolo 1 possono essere proposte dal Procuratore nazionale antimafia, dal Procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo di distretto ove dimora la persona, dal questore o dal direttore della Direzione investigativa antimafia, anche se non vi è stato il preventivo avviso, le misure di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza e dell'obbligo di soggiorno nel comune di residenza o di dimora abituale, di cui al primo e al terzo comma dell'articolo 3 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, e successive modificazioni.

      «Art. 2. - 1. Nei confronti delle persone indicate all'articolo 1 possono essere proposte dal procuratore nazionale antimafia, dal procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo di distretto ove dimora la persona, dal questore o dal direttore della Direzione investigativa antimafia, anche se non vi è stato il preventivo avviso, le misure di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza e dell'obbligo di soggiorno nel comune di residenza o di dimora abituale, di cui al primo e al terzo comma dell'articolo 3 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, e successive modificazioni.

  2. Quando non vi è stato il preventivo avviso e la persona risulti definitivamente condannata per un delitto non colposo, con la notificazione della proposta il questore può imporre all'interessato sottoposto alla misura della sorveglianza speciale il divieto di cui all'articolo 4, quarto comma, della legge 27 dicembre 1956, n. 1423; si applicano le disposizioni dei commi quarto, ultimo periodo, e quinto del medesimo articolo 4.»;

 2. Quando non vi è stato il preventivo avviso e la persona risulti definitivamente condannata per delitto non colposo, con la notificazione della proposta il questore può imporre all'interessato sottoposto alla misura della sorveglianza speciale il divieto di cui all'articolo 4, quarto comma, della legge 27 dicembre 1956, n. 1423. Si applicano le disposizioni dei commi quarto, ultimo periodo, e quinto del medesimo articolo 4.

 

 3. Nelle udienze relative ai procedimenti per l'applicazione delle misure di prevenzione richieste ai sensi della presente legge, le funzioni di pubblico ministero sono esercitate dal procuratore della Repubblica di cui al comma 1»;

   b) all'articolo 2-bis, comma 1, dopo le parole: «Il procuratore della Repubblica» sono inserite le seguenti: «, il procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo di distretto in relazione ai reati previsti dall'articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale»;

 c) all'articolo 2-bis:

     1) al comma 1, dopo le parole: «Il procuratore della Repubblica» sono inserite le seguenti: «, il direttore della Direzione investigativa antimafia»;

 

 

   2) dopo il comma 6, è aggiunto il seguente:

 

  «6-bis. Le misure di prevenzione personali e patrimoniali possono essere richieste e applicate disgiuntamente. Le misure patrimoniali possono essere disposte anche in caso di morte del soggetto proposto per la loro applicazione. Nel caso la morte sopraggiunga nel corso del procedimento, esso prosegue nei confronti degli eredi o comunque degli aventi causa»;

   c) all'articolo 2-ter, sono apportate le seguenti modifiche:

  d) all'articolo 2-ter:

   1) al secondo comma, dopo le parole: «A richiesta del procuratore della Repubblica,» sono inserite le seguenti: «del procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo di distretto in relazione ai reati previsti dall'articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale,»;

 1) al secondo comma, dopo le parole: «A richiesta del procuratore della Repubblica,» sono inserite le seguenti: «del direttore della Direzione investigativa antimafia,»;

 

   2) il primo periodo del terzo comma è sostituito dal seguente: «Con l'applicazione della misura di prevenzione il tribunale dispone la confisca dei beni sequestrati di cui la persona, nei cui confronti è instaurato il procedimento, non possa giustificare la legittima provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulti essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica, nonché dei beni che risultino essere frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego»;

    2) al sesto comma, dopo le parole: «su richiesta del procuratore della Repubblica» sono inserite le seguenti: «, del procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo di distretto in relazione ai reati previsti dall'articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale,»;

   3) al sesto e al settimo comma, dopo le parole: «del procuratore della Repubblica,» sono inserite le seguenti: «del direttore della Direzione investigativa antimafia,»;

   3) al settimo comma, dopo le parole: «su proposta del procuratore della Repubblica» sono inserite le seguenti: «, del procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo di distretto in relazione ai reati previsti dall'articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale,»;

 

 

 4) sono aggiunti, in fine, i seguenti commi:

        «Se la persona nei cui confronti è proposta la misura di prevenzione disperde, distrae, occulta o svaluta i beni al fine di eludere l'esecuzione dei provvedimenti di sequestro o di confisca su di essi, il sequestro e la confisca hanno ad oggetto denaro o altri beni di valore equivalente. Analogamente si procede quando i beni non possano essere confiscati in quanto trasferiti legittimamente, prima dell'esecuzione del sequestro, a terzi in buona fede.
        La confisca può essere proposta, in caso di morte del soggetto nei confronti del quale potrebbe essere disposta, nei riguardi dei successori a titolo universale o particolare, entro il termine di cinque anni dal decesso.
        Quando risulti che beni confiscati con provvedimento definitivo dopo l'assegnazione o la destinazione siano rientrati, anche per interposta persona, nella disponibilità o sotto il controllo del soggetto sottoposto al provvedimento di confisca, si può disporre la revoca dell'assegnazione o della destinazione da parte dello stesso organo che ha disposto il relativo provvedimento.
        Quando accerta che taluni beni sono stati fittiziamente intestati o trasferiti a terzi, con la sentenza che dispone la confisca il giudice dichiara la nullità dei relativi atti di disposizione.
        Ai fini di cui al comma precedente, fino a prova contraria si presumono fittizi:

                a) i trasferimenti e le intestazioni, anche a titolo oneroso, effettuati nei due anni antecedenti la proposta della misura di prevenzione nei confronti dell'ascendente, del discendente, del coniuge o della persona stabilmente convivente, nonché dei parenti entro il sesto grado e degli affini entro il quarto grado;

                b) i trasferimenti e le intestazioni, a titolo gratuito o fiduciario, effettuati nei due anni antecedenti la proposta della misura di prevenzione»;

d) all'articolo 3-bis sono apportate le seguenti modifiche:

                1) al settimo comma, dopo le parole: «su richiesta del procuratore della Repubblica» sono inserite le seguenti: «, del procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo di distretto in relazione ai reati previsti dall'articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale,»;

 

 e) all'articolo 3-bis, settimo comma, dopo le parole: «su richiesta del procuratore della Repubblica» sono inserite le seguenti: «, del direttore della Direzione investigativa antimafia»;

   e) all'articolo 3-quater sono apportate le seguenti modifiche:

                1) al comma 1, dopo le parole: «il Procuratore della Repubblica» sono inserite le seguenti: «, il Procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo di distretto in relazione ai reati previsti dall'articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale»;

 

      f) all'articolo 3-quater, ai commi 1 e 5, dopo le parole: «il procuratore della Repubblica» sono inserite le seguenti: «presso il tribunale del capoluogo del distretto, il direttore della Direzione investigativa antimafia»;

     2) al comma 5, dopo le parole: «il procuratore della Repubblica» sono inserite le seguenti: «, il procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo di distretto in relazione ai reati previsti dall'articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale»;

 

    f) all'articolo 10-quater, secondo comma, dopo le parole: «su richiesta del procuratore della Repubblica» sono inserite le seguenti: «, del procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo di distretto in relazione ai reati previsti dall'articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale».

   g) all'articolo 10-quater, secondo comma, dopo le parole: «su richiesta del procuratore della Repubblica» sono inserite le seguenti: «, del direttore della Direzione investigativa antimafia».

 

 

L'articolo 10 è composto da un unico comma (suddiviso in lettere) che interviene sulla legge 31 maggio 1965, n. 575 (Disposizioni contro la mafia), al fine di rafforzare i poteri della procura distrettuale e della direzione investigativa antimafia e di garantire una maggiore efficacia delle misure di prevenzione.

Il testo ha subito numerose modifiche nel corso dell’esame del disegno di legge di conversione presso l’altro ramo del Parlamento.

La lettera a), introdotta dal Senato, modifica l'art. 1 della legge 575/1965, al fine di estendere l'ambito di applicazione della medesima legge – che attualmente riguarda gli indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso, alla camorra o ad altre associazioni, comunque localmente denominate, che perseguono finalità o agiscono con metodi corrispondenti a quelli delle associazioni di tipo mafioso – anche agli indiziati per uno dei reati di cui all'art. 51, comma 3-bis[91], c.p.p.

Si tratta degli indiziati per:

§      i delitti, consumati o tentati, di cui agli articoli 416, sesto comma, c.p. (Associazione per delinquere diretta a commettere uno dei delitti di cui agli artt. 600, 601 e 602 c.p.); 600 c.p. (Riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù); 601 c.p. (Tratta di persone), 602 c.p. (Acquisto e alienazione di schiavi), 416-bis c.p. (Associazione di tipo mafioso) e 630 c.p. (Sequestro di persona a scopo di estorsione);

§      i delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416-bis (Associazione di tipo mafioso[92]) ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo,

§      i delitti di cui all'art. 74 del testo unico approvato con il D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309[93]. In particolare, il citato art. 74 prevede e sanziona l'associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope;

§      i delitti previsti dall'art. 291-quater del testo unico approvato con D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43[94]. In particolare, l'art. 291-quater prevede e sanziona l'associazione a delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri[95].

 

Si segnala che una disposizione di carattere analogo è contenuta nell'art. 10 dell'A.S. 733, che presenta comunque un contenuto più ampio in quanto estende l'ambito di applicazione della legge 575/1965 non solo ai reati previsti dall'art. 51, comma 3-bis, c.p.p., ma anche ai reati di cui all'art. 12-quinquies, comma 1, del decreto-legge 8 giugno 1992 n. 306[96] (concernente il trasferimento fraudolento di valori).

 

La lettera b) sostituisce l'art. 2 della legge 575/1965, relativo all'applicazione delle misure di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza e dell'obbligo di soggiorno nel comune di residenza o di dimora abituale (di cui al primo e al terzo comma dell'art. 3 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423[97]) nei confronti delle persone indicate all’art. 1 (indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso e similari o di aver commesso uno dei delitti di cui all’art. 51, comma 3-bis, c.p.p.).

 

L’ordinamento prevede, accanto alle misure cautelari e di sicurezza che trovano fondamento negli artt. 13 e 25 Cost., le misure di prevenzione. Queste ultime si caratterizzano per il fatto di trovare applicazione indipendentemente dalla commissione di un precedente reato; esse costituiscono espressione del principio di “prevenzione e sicurezza sociale, per il quale l’ordinato e pacifico svolgimento dei rapporti fra i cittadini deve essere garantito, oltre che dal sistema di norme repressive dei fatti illeciti, anche da un parallelo sistema di adeguate misure preventive contro il pericolo del loro verificarsi nell’avvenire” (Corte Costituzionale, sentenza n. 27 del 1959).

Le misure di prevenzione possono avere natura personale o patrimoniale.

Le misure di prevenzione personali (rimpatrio con foglio di via obbligatorio, sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, divieto od obbligo di soggiorno) sono disciplinate dalla legge 1423/1956, che ne prevede l’applicazione nei confronti dei seguenti soggetti:

§       coloro che debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che sono abitualmente dediti a traffici delittuosi;

§       coloro che per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose;

§       coloro che per il loro comportamento debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che sono dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l'integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica (art. 1).

L’art. 3 della citata legge 1423/1956 prescrive che alle persone sopra indicate che non abbiano cambiato condotta nonostante l'avviso orale del questore[98], quando siano pericolose per la sicurezza pubblica, può essere applicata la misura di prevenzione della sorveglianza speciale della pubblica sicurezza (comma 1). Alla sorveglianza speciale può essere aggiunto, ove le circostanze del caso lo richiedano, il divieto di soggiorno in uno o più comuni, diversi da quelli di residenza o di dimora abituale o in una o più province (comma 2). Inoltre, ai sensi del comma 3 dello stesso art. 3, nei casi in cui le altre misure di prevenzione non sono ritenute idonee alla tutela della sicurezza pubblica può essere imposto l'obbligo di soggiorno nel comune di residenza o di dimora abituale.

La legge 31 maggio 1965, n. 575 ha esteso le misure preventive di natura personale di cui alla suddetta legge 1423/1956 agli indiziati di appartenere ad associazioni mafiose, camorristiche e assimilabili e ha previsto (art. 2-bis) la possibilità di disporre nei confronti dei suddetti soggetti misure preventive di carattere patrimoniale (quali il sequestro e la confisca).

La possibilità di disporre misure di prevenzione patrimoniali di cui alla legge 575/1965 è stata estesa (dall’art. 19 della legge 22 maggio 1975, n. 152[99]) ad alcuni degli originari destinatari delle misure personali di cui alla legge 1423/1956, ossia a:

§       coloro che debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che sono abitualmente dediti a traffici delittuosi;

§       coloro che per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose.

Per quanto concerne le più recenti iniziative legislative in materia, si segnala che nella XIV legislatura, la Commissione Giustizia della Camera dei deputati ha approvato, in sede referente, il provvedimento A.C. 5362-A; l’iter legislativo non si è tuttavia concluso. Nella XV legislatura, sempre alla Camera è stato presentato, senza che ne iniziasse l’esame, il disegno di legge, recante Misure di contrasto alla criminalità organizzata. Delega al Governo per l'emanazione di un testo unico delle misure di prevenzione. Disposizioni per il potenziamento degli uffici giudiziari e sul patrocinio a spese dello Stato (A.C. 3242).

Si osserva che alcune modifiche alla disciplina dettata dalla legge 575/1965 sono contenute anche negli artt. da 10 a 15 del disegno di legge governativo, recante Disposizioni in materia di sicurezza pubblica (A.S. 733).

 

Più nel dettaglio, il comma 1 del nuovo art. 2 della legge 575/1965 attribuisce la facoltà di proporre l’applicazione delle suddette misure di prevenzione (anche senza preventivo avviso) al procuratore nazionale antimafia, al procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo di distretto ove dimora la persona, al questore e al direttore della Direzione investigativa antimafia (DIA).

Il previgente comma 1 del citato art. 2 conferiva tale facoltà esclusivamente al procuratore nazionale antimafia, al procuratore della Repubblica presso il tribunale nel cui circondario dimorava la persona e al questore.

Per quanto riguarda le procure distrettuali, la relazione illustrativa al disegno di legge di conversione afferma che da più parti era stata evidenziata l'incongruenza della normativa previgente in tema di attribuzioni del pubblico ministero in materia di misure di prevenzione, in quanto essa prevedeva che fosse il pubblico ministero localmente competente ad effettuare le indagini e ad intervenire nel corso del procedimento di applicazione delle suddette misure. E' stato quindi ritenuto opportuno valorizzare in proposito l'esperienza delle Direzioni distrettuali antimafia.

 

Ai sensi dell'art. 70-bis di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12 (Ordinamento giudiziario), per la trattazione dei procedimenti relativi ai reati indicati nell'art. 51, comma 3-bis, c.p.p. il procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto costituisce, nell'ambito del suo ufficio, una direzione distrettuale antimafia designando i magistrati che devono farne parte per la durata non inferiore a due anni. Per la designazione, il procuratore distrettuale tiene conto delle specifiche attitudini e delle esperienze professionali. Della direzione distrettuale non possono fare parte uditori giudiziari. La composizione e le variazioni della direzione sono comunicate senza ritardo al C.S.M.

Il procuratore distrettuale o un suo delegato è preposto all'attività della direzione e cura, in particolare, che i magistrati addetti ottemperino all'obbligo di assicurare la completezza e la tempestività della reciproca informazione sull'andamento delle indagini ed eseguano le direttive impartite per il coordinamento delle investigazioni e l'impiego della polizia giudiziaria.

Salvi casi eccezionali, il procuratore distrettuale designa per l'esercizio delle funzioni di pubblico ministero, nei procedimenti riguardanti i reati indicati nell'art. 51, comma 3-bis, c.p.p., i magistrati addetti alla direzione.

La designazione dei magistrati avviene sentito il procuratore nazionale antimafia. Delle eventuali variazioni nella composizione della direzione, il procuratore distrettuale informa preventivamente il procuratore nazionale antimafia.

 

Per quanto riguarda invece l'inserimento nella legge 575/1965 della competenza del direttore della Direzione investigativa antimafia, la relazione evidenzia che tale previsione non ha valore innovativo, in quanto la competenza in questione era già prevista da precedenti provvedimenti. Si tratta dunque di un intervento di semplificazione, volto a far sì che un'unica norma elenchi in maniera chiara ed esaustiva tutte le competenze in materia.

 

Al riguardo, si ricorda che l'art. 1-quinquies del decreto-legge 6 settembre 1982, n. 629[100] conferiva i poteri di indagine e la facoltà di proporre l’applicazione delle misure di prevenzione all'Alto Commissario per il coordinamento della lotta contro la delinquenza mafiosa. Successivamente, l'art. 2, comma 2-quater, del decreto-legge 29 ottobre 1991, n. 345[101] ha trasferito le competenze dell'Alto Commissario al Ministro dell'interno con facoltà di delega ai prefetti e al direttore della Direzione investigativa antimafia, nonché agli altri organi e uffici dell'Amministrazione della pubblica sicurezza, secondo criteri che tengano conto delle competenze attribuite dalla normativa vigente ai medesimi organi, uffici e autorità. La relazione illustrativa specifica che, in attuazione di tale previsione di legge, la facoltà di proporre le misure di prevenzione è stata conferita al direttore della DIA con i decreti ministeriali del 23 dicembre 1992 e del 30 novembre 1993.

 

Il comma 2 del nuovo art. 2 della legge 575/1965 ripropone le previsioni già contenute nel previgente comma 1-bis dello stesso articolo.

 

Tale comma 1-bis precisa che, quando non c’è stato il preventivo avviso e la persona risulta definitivamente condannata per delitto non colposo, con la notificazione della proposta di applicazione di misure preventive il questore può imporre all'interessato sottoposto alla misura della sorveglianza speciale il divieto di possedere o utilizzare, in tutto o in parte, qualsiasi apparato di comunicazione radiotrasmittente, radar e visori notturni, indumenti e accessori per la protezione balistica individuale, mezzi di trasporto blindati o modificati al fine di aumentarne la potenza o la capacità offensiva, ovvero comunque predisposti al fine di sottrarsi ai controlli di polizia, nonché programmi informatici ed altri strumenti di cifratura o crittazione di conversazioni e messaggi.

In tali casi si applicano inoltre le disposizioni dei commi quarto, ultimo periodo, e quinto del medesimo articolo 4, ove si sancisce che il divieto del questore è opponibile davanti al giudice monocratico e che chiunque violi il citato divieto è punito con la reclusione da uno a tre anni e con la multa da 1.549 a 5.164 euro. Gli strumenti, gli apparati, i mezzi e i programmi posseduti o utilizzati sono confiscati ed assegnati alle Forze di polizia, se ne fanno richiesta, per essere impiegati nei compiti di istituto.

 

Durante l’esame al Senato è stato introdotto un ulteriore comma 3 nel citato art. 2 della legge 575/1965, in virtù del quale nelle udienze relative ai procedimenti per l'applicazione delle misure di prevenzione richieste ai sensi della medesima legge 575/1965, le funzioni di pubblico ministero sono esercitate dal procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo di distretto ove dimora la persona.

 

La lettera c) interviene sull'art. 2-bis della legge 575/1965, modificando il comma 1 e introducendo il comma 6-bis.

Quanto al comma 1, si estende al direttore della Direzione investigativa antimafia il potere di effettuare indagini:

§      sul tenore di vita, sulle disponibilità finanziarie e sul patrimonio dei soggetti indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso e similari nei cui confronti possa essere proposta la misura di prevenzione della sorveglianza speciale della pubblica sicurezza con o senza divieto od obbligo di soggiorno;

§      sull'attività economica facente capo agli stessi soggetti allo scopo anche di individuare le fonti di reddito.

Il testo originario del decreto-legge riconosce tali poteri di indagine, oltre che al procuratore della Repubblica e al questore territorialmente competenti (come già previsto in precedenza), anche al procuratore distrettuale in relazione ai reati previsti dall'art. 51, comma 3-bis, c.p.p., senza contemplare la competenza del direttore della Direzione investigativa antimafia.

Durante l’esame del provvedimento al Senato, è stato inserito nel citato art. 2-bis il nuovo comma 6-bis, secondo il quale:

§      le misure di prevenzione personali e patrimoniali possono essere richieste e applicate disgiuntamente;

§      le misure patrimoniali possono essere disposte anche in caso di morte del soggetto proposto per la loro applicazione;

§      il procedimento prosegue nei confronti degli eredi o comunque degli aventi causa, ove la morte della persona interessata sopraggiunga nel corso del procedimento stesso.

 

Attualmente, alle misure di prevenzione patrimoniale è riconosciuta una natura accessoria rispetto a quelle personali. Il sequestro può dunque essere disposto sia durante l'iter applicativo della misura personale che successivamente ma, in ogni caso, prima che ne sia cessata l'esecuzione. La morte del destinatario del provvedimento determina attualmente la riconsegna dei beni sequestrati agli eredi, poiché alla morte consegue la cessazione della pericolosità sociale e quindi il venir meno della misura di prevenzione personale, che trascina con sé anche la misura patrimoniale.

La relazione sullo stato di attuazione della normativa e delle prassi applicative in materia di sequestro, confisca e destinazione dei beni della criminalità organizzata (Doc. XXIII, n. 3) prodotta nella scorsa legislatura dalla Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della criminalità organizzata mafiosa o similare segnalava al riguardo la necessità di:

1) procedere a modifiche normative nel senso della recisione del nesso di pregiudizialità tra le misure di prevenzione personali e le misure patrimoniali, al fine di assicurare la possibilità di ricorrere alle misure patrimoniali indipendentemente dalla persistenza delle condizioni personali per la loro applicazione;

2) prevedere, conseguentemente, la possibilità che, in caso di morte del proposto, il procedimento di prevenzione patrimoniale continui nei confronti degli eredi quali beneficiari di un illecito arricchimento, senza la prevenzione di alcun termine di decadenza dall'azione[102].

 

Si segnala che una disposizione di carattere analogo è contenuta nell'art. 12 del disegno di legge del Governo in materia di sicurezza pubblica (A.S. 733).

 

La lettera d) modifica i commi secondo, terzo, sesto e settimo dell'art. 2-ter della legge 575/1965 e introduce nello stesso articolo ulteriori cinque commi.

Il testo riformulato del secondo comma del citato art. 2-ter estende al direttore della Direzione investigativa antimafia la facoltà di richiedere al presidente del tribunale, nei casi di particolare urgenza, il provvedimento di sequestro sui beni delle persone indiziate di reati di mafia[103].

Il testo originario del decreto-legge estende il potere di chiedere il sequestro in casi urgenti (già conferito dalla disciplina previgente al procuratore della Repubblica, al questore e agli organi incaricati di svolgere ulteriori indagini) al procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo di distretto in relazione ai reati previsti dal citato articolo 51, comma 3-bis, c.p.p., senza far riferimento al direttore della Direzione investigativa antimafia.

Al terzo comma dell’art. 2-ter, per effetto di un emendamento approvato dal Senato, viene sostituito il primo periodo, il quale, nel testo vigente, prevede che, con l'applicazione della misura di prevenzione, il tribunale dispone la confisca dei beni sequestrati dei quali non sia dimostrata la legittima provenienza.

Il testo approvato dal Senato statuisce che il tribunale dispone la confisca dei beni sequestrati:

§      di cui la persona interessata dal procedimento non possa giustificare la legittima provenienza;

§      di cui la persona stessa, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulti essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica;

§      che risultino essere frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego.

 

Si osserva che una disposizione di carattere analogo è contenuta nell'art. 11 del disegno di legge del Governo in materia di sicurezza pubblica (A.S. 733).

 

Al sesto e al settimo comma, il testo approvato dal Senato conferisce ulteriori poteri al direttore della Direzione investigativa antimafia.

Più nel dettaglio, a seguito della riformulazione del sesto comma dell’articolo 2-ter, i provvedimenti di sequestro e di confisca contemplati nello stesso articolo possono essere ora adottati, quando ne ricorrono le condizioni, anche dopo l'applicazione della misura di prevenzione, ma prima della sua cessazione, non solo su richiesta del procuratore della Repubblica e del questore (come già previsto in precedenza), ma anche su istanza del direttore della Direzione investigativa antimafia. Sulla richiesta è chiamato a provvedere il tribunale che ha disposto la misura di prevenzione, con le forme previste per il relativo procedimento e nel rispetto dei diritti dei terzi.

Analogamente, il settimo comma conferisce anche al direttore della Direzione investigativa antimafia (oltre che al procuratore della Repubblica e al questore competente per il luogo di ultima dimora dell'interessato, come previsto dalla disciplina previgente) la facoltà di proporre la prosecuzione o l’avvio del procedimento di prevenzione, anche in caso di assenza, residenza o dimora all'estero della persona alla quale potrebbe applicarsi la misura di prevenzione, ai soli fini dell'applicazione dei provvedimenti di sequestro e confisca relativamente ai beni che si ha motivo di ritenere che siano il frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego.

Il testo originario del decreto-legge si limita ad estendere i sopra descritti poteri al procuratore distrettuale in relazione ai reati previsti dal predetto art. 51, comma 3-bis, c.p.p., senza prevedere la specifica competenza del direttore della Direzione investigativa antimafia.

Infine, nel corso dell’esame presso il Senato sono stati aggiunti all'art. 2-ter della legge 575/1965 ulteriori cinque commi.

Le novità più rilevanti risultano le seguenti:

§      se la persona nei cui confronti è proposta la misura di prevenzione disperde, distrae, occulta o svaluta i beni al fine di eludere l'esecuzione dei provvedimenti di sequestro o di confisca su di essi, il sequestro e la confisca hanno ad oggetto denaro o altri beni di valore equivalente. Analogamente si procede quando i beni non possano essere confiscati in quanto trasferiti legittimamente, prima dell'esecuzione del sequestro, a terzi in buona fede;

§      la confisca può essere proposta, in caso di morte del soggetto nei confronti del quale potrebbe essere disposta, nei riguardi dei successori a titolo universale o particolare, entro il termine di 5 anni dal decesso;

§      quando risulti che i beni confiscati con provvedimento definitivo dopo l'assegnazione o la destinazione siano rientrati, anche per interposta persona, nella disponibilità o sotto il controllo del soggetto sottoposto al provvedimento di confisca, si può disporre la revoca dell'assegnazione o della destinazione da parte dello stesso organo che ha disposto il relativo provvedimento;

§      nei casi in cui è accertato che taluni beni sono stati fittiziamente intestati o trasferiti a terzi, il giudice, con la sentenza che dispone la confisca, dichiara la nullità dei relativi atti di disposizione;

§      fino a prova contraria si presumono fittizi:

-        i trasferimenti e le intestazioni, anche a titolo oneroso, effettuati nei 2 anni antecedenti la proposta della misura di prevenzione nei confronti dell'ascendente, del discendente, del coniuge o della persona stabilmente convivente, nonché dei parenti entro il sesto grado e degli affini entro il quarto;

-        i trasferimenti e le intestazioni, a titolo gratuito o fiduciario, effettuati nei 2 anni antecedenti la proposta della misura di prevenzione.

 

La lettera e) interviene sul settimo comma dell’art. 3-bis della legge 575/1965, estendendo al direttore della Direzione investigativa antimafia il potere (già riconosciuto dalla normativa previgente in capo al procuratore della Repubblica e al questore) di richiedere la rinnovazione della cauzione disposta dal tribunale congiuntamente all'applicazione della misura di prevenzione, anche per somma superiore a quella originaria.

Il testo originario del decreto-legge attribuisce, invece, tale facoltà (oltre che ai soggetti originariamente previsti) anche al procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo di distretto, in relazione ai reati previsti dall'art. 51, comma 3-bis, c.p.p., senza far riferimento al direttore della Direzione investigativa antimafia.

 

La lettera f) modifica i commi 1 e 5 dell’art. 3-quater della legge 575/1965. Le nuove disposizioni demandano al procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto e al direttore della Direzione investigativa antimafia il potere di richiedere al tribunale:

§      ulteriori indagini e verifiche su attività economiche che agevolano l'attività mafiosa nonché l'obbligo, nei confronti di chi ha la proprietà o la disponibilità, a qualsiasi titolo, di beni o altre utilità di valore non proporzionato al proprio reddito o alla propria capacità economica, di giustificarne la legittima provenienza (comma 1[104]);

§      il sequestro dei beni pertinenti ad attività economiche che agevolano l'attività mafiosa dei quali sia stata sospesa l'amministrazione, in considerazione del concreto pericolo che i beni siano dispersi, sottratti o alienati (comma 5[105]).

Il testo originario del decreto-legge prevede, invece, che tali richieste siano formulate, oltre che dal procuratore della Repubblica e dal questore (come stabilito dalla normativa previgente), dal procuratore distrettuale, in relazione ai reati previsti dall'art. 51, comma 3-bis, c.p.p., senza far riferimento al direttore della Direzione investigativa antimafia.

 

La lettera g), modificando il secondo comma dell'art. 10-quater della legge 575/1965, attribuisce al direttore della Direzione investigativa antimafia il potere di richiedere al tribunale, anche dopo l'applicazione della misura di prevenzione, i provvedimenti di cui al comma 4 dell'art. 10.

Il testo originario del decreto-legge attribuiva tale facoltà al procuratore distrettuale, in relazione ai reati previsti dall'art. 51, comma 3-bis, c.p.p. (oltre che al procuratore della Repubblica e al questore, come già previsto dalla normativa previgente), senza conferire analogo potere al direttore della Direzione investigativa antimafia.

 

Ai sensi del citato comma 4 dell’art. 10 della legge 575/1965 il tribunale dispone che i divieti e le decadenze previsti dai commi 1 e 2 operino anche nei confronti di chiunque conviva con la persona sottoposta alla misura di prevenzione nonché nei confronti di imprese, associazioni, società e consorzi di cui la persona sottoposta a misura di prevenzione sia amministratore o determini in qualsiasi modo scelte e indirizzi. In tal caso i divieti sono efficaci per un periodo di cinque anni.

Il comma 1 stabilisce che le persone alle quali sia stata applicata con provvedimento definitivo una misura di prevenzione non possono ottenere:

§       licenze o autorizzazioni di polizia e di commercio;

§       concessioni di acque pubbliche e diritti ad esse inerenti nonché concessioni di beni demaniali allorché siano richieste per l'esercizio di attività imprenditoriali;

§       concessioni di costruzione, nonché di costruzione e gestione di opere riguardanti la pubblica amministrazione e concessioni di servizi pubblici;

§       iscrizioni negli albi di appaltatori o di fornitori di opere, beni e servizi riguardanti la pubblica amministrazione e nell'albo nazionale dei costruttori, nei registri della camera di commercio per l'esercizio del commercio all'ingrosso e nei registri di commissionari astatori presso i mercati annonari all'ingrosso;

§       altre iscrizioni o provvedimenti a contenuto autorizzatorio, concessorio, o abilitativo per lo svolgimento di attività imprenditoriali, comunque denominati;

§       contributi, finanziamenti o mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee, per lo svolgimento di attività imprenditoriali.

Ai sensi del successivo comma 2, il provvedimento definitivo di applicazione della misura di prevenzione determina la decadenza di diritto dalle licenze, autorizzazioni, concessioni, iscrizioni, abilitazioni ed erogazioni di cui al comma 1, nonché il divieto di concludere contratti di appalto, di cottimo fiduciario, di fornitura di opere, beni o servizi riguardanti la pubblica amministrazione e relativi subcontratti, compresi i cottimi di qualsiasi tipo, i noli a caldo e le forniture con posa in opera. Le licenze, le autorizzazioni e le concessioni sono ritirate e le iscrizioni sono cancellate a cura degli organi competenti.

 

Documenti all’esame delle istituzioni dell’Unione europea
(a cura dell’Ufficio Rapporti con l’Unione europea)

Lotta alla criminalità organizzata

Il 19 febbraio 2005 la Commissione ha presentato la proposta di decisione quadro relativa alla lotta contro la criminalità organizzata (COM(2005)6).

La proposta di decisione mira ad armonizzare la legislazione degli Stati membri per quanto riguarda la definizione di organizzazione criminale e all’entità delle sanzioni penali che vengono comminate in relazione alla partecipazione ad una organizzazione criminale e ai delitti commessi nel quadro di attività criminali organizzate. La decisione quadro dovrebbe abrogare l’azione comune 98/733/GAI del 21 dicembre 1998, relativa alla partecipazione ad un’organizzazione criminale negli Stati membri dell’UE, attualmente vigente.

In base all’accordo politico raggiunto sulla proposta dal Consiglio del 27-28 aprile 2006, per "organizzazione criminale" si intende un'associazione strutturata di più di due persone stabilita da tempo, che agisce in modo concertato allo scopo di commettere reati punibili con una pena privativa della libertà o con una misura di sicurezza privativa della libertà non inferiore a quattro anni o con una pena più grave per ricavarne, direttamente o indirettamente, un vantaggio finanziario o un altro vantaggio materiale.

Per quanto riguarda i reati relativi alla partecipazione ad un'organizzazione criminale, ciascuno Stato membro è tenuto a prendere le misure necessarie per far sì che siano considerati reati i tipi di comportamento connessi con un'organizzazione criminale di cui alla lettera a) o il tipo di comportamento di cui alla lettera b):

a) il comportamento di una persona che, intenzionalmente ed essendo a conoscenza dello scopo e dell'attività generale dell'organizzazione o dell'intenzione di quest'ultima di commettere i reati in questione, partecipi attivamente alle attività criminali dell'organizzazione, ivi compresi la fornitura di informazioni o mezzi materiali, il reclutamento di nuovi membri nonché qualsiasi forma di finanziamento delle sue attività, essendo inoltre consapevole che la sua partecipazione contribuirà alla realizzazione delle attività criminali di tale organizzazione;

b) il comportamento di una persona consistente in un'intesa con una o più altre persone per porre in essere un'attività che, se attuata, comporterebbe la commissione di reati ai sensi della decisione quadro, anche se la persona in questione non partecipa all'esecuzione materiale dell'attività.

Per quanto concerne le sanzioni, ciascuno Stato membro prende le misure necessarie per far sì che:

-   il reato di cui alla lettera a) sia passibile di una pena privativa della libertà di durata massima compresa tra due e cinque anni o

-   che il reato di cui alla lettera b) sia passibile di una pena privativa della libertà di durata massima pari a quella prevista per il reato a cui è finalizzata l'intesa o compresa tra due e cinque anni.

Per quanto riguarda le persone giuridiche, la proposta prevede che esse siano considerate responsabili quando tali reati siano commessi (o tali comportamenti siano adottati) per conto suo da qualsiasi persona, che agisca individualmente o in quanto parte di un organo di una persona giuridica, che eserciti una posizione dirigente (di fatto o di diritto) in essa. Inoltre si prevede che persona giuridica possa essere considerata responsabile anche quando la carenza di sorveglianza o di controllo da parte della persona in una posizione preminente abbia reso possibile commettere reati a suo beneficio. L'avvio di procedimenti penali contro le persone giuridiche non esclude l'avvio parallelo di procedimenti penali contro le persone fisiche.

 

La proposta, che segue la procedura di consultazione, è in attesa di decisione finale da parte del Consiglio.

Il 7 agosto 2006 la Commissione ha presentato una comunicazione relativa all’elaborazione di una coerente strategia globale per la misurazione della criminalità e della giustizia penale, contenente un Piano d’azione dell’Unione europea per il 2006-2010 (COM(2006)437).

Scopo della comunicazione è delineare un quadro coerente all’interno del quale si elaboreranno dati statistici sula criminalità e sulla giustizia penale al livello dell’Unione europea, principalmente mediante azioni della Commissione europea, con l’appoggio dei rappresentanti degli Stati membri e il coordinamento con le competenti organizzazioni dell’UE e internazionali. Il piano d’azione incluso nella comunicazione delinea i principali interventi per il prossimo quinquennio e prevede l’istituzione di un gruppo di esperti composto di rappresentanti degli Stati membri, incaricato di coadiuvare la Commissione nella rilevazione delle esigenze politiche in materia di dati sulla criminalità e sulla giustizia penale a livello UE.

Il Consiglio giustizia e affari interni del 12-13 giugno 2007 ha adottato conclusioni, in cui stabilisce le priorità dell’Unione europea nel contrasto alla criminalità organizzata, sulla base della relazione Europol sulla valutazione della minaccia rappresentata dalla criminalità organizzata per il 2007[106].

Il Consiglio ritiene che la lotta contro questo tipo di criminalità debba innanzitutto:

-   colpire gli ostacoli che si oppongono allo smantellamento dei gruppi criminali organizzati, grazie alla loro dimensione e alla loro influenza internazionale;

-   agire sul grado di penetrazione della criminalità organizzata nella società (tra l’altro, nell’amministrazione pubblica e nell’economia) e, in particolare, sull’utilizzo abusivo di strutture commerciali legali (specialmente nel settore dei trasporti);

-   contrastare l’utilizzo abusivo della tecnologia da parte dei gruppi criminali.

Una relazione sullo stato di attuazione da parte degli Stati  membri delle priorità definite nelle conclusioni è stata esaminata dal Consiglio giustizia e affari interni del 5-6 giugno 2008.

Si segnala inoltre che il 13 febbraio 2008 la Commissione ha presentato uno studio in cui vengono esaminati i collegamenti tra criminalità organizzata e corruzione.

Strumenti finanziari

Nell’ambito del programma quadro “Sicurezza e tutela delle libertà” per il periodo 2007-2013 (COM(2005)124-1)[107] è stato adottato il programma specifico “Prevenzione e lotta contro la criminalità” (decisione 2007/125/GAI), con dotazione pari a 605,6 milioni di euro.

Il programma si articola in tre temi: a) attività repressiva; b) prevenzione della criminalità e criminologia; c) protezione dei testimoni e delle vittime. Esso intende contribuire ai seguenti obiettivi specifici:

-   - promuovere e organizzare azioni di coordinamento, cooperazione e comprensione reciproca tra le autorità di contrasto, le altre autorità nazionali e gli organismi affini dell’Unione;

-   - incoraggiare, promuovere ed elaborare i metodi e gli strumenti orizzontali necessari per una strategia di prevenzione e lotta contro la criminalità, per esempio la cooperazione tra il settore pubblico e quello privato, l’elaborazione di migliori pratiche per la prevenzione della criminalità, l’elaborazione di statistiche comparabili e la criminologia applicata;

-   - promuovere ed elaborare le migliori pratiche per la protezione delle vittime di reati e dei testimoni.

Il programma non riguarda la cooperazione giudiziaria. Può, tuttavia, finanziare azioni finalizzate alla cooperazione tra autorità giudiziarie e autorità di contrasto.

 


 

Art. 10-bis
(Modifiche al decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356)

Testo originario

Testo approvato dal Senato

 

Art. 10-bis.

(Modifiche al decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356).

 

1. All'articolo 12-sexies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, dopo il comma 2-bis, sono inseriti i seguenti:

 

 «2-ter. Nel caso previsto dal comma 2, quando non è possibile procedere alla confisca in applicazione delle disposizioni ivi richiamate, il giudice ordina la confisca delle somme di denaro, dei beni e delle altre utilità delle quali il reo ha la disponibilità, anche per interposta persona, per un valore equivalente al prodotto, profitto o prezzo del reato.

 

2-quater. Le disposizioni del comma 2-bis si applicano anche nel caso di condanna e di applicazione della pena su richiesta a norma dell'articolo 444 del codice di procedura penale per taluno dei delitti previsti dagli articoli 629, 630, 648, esclusa la fattispecie di cui al secondo comma, 648-bis e 648-ter del codice penale, nonché dall'articolo 12-quinquies del presente decreto e dagli articoli 73, esclusa la fattispecie di cui al comma 5, e 74 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309».

 

 

L’articolo 10-bis inserisce i commi 2-ter e 2-quater nell'art. 12-sexies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306[108], che disciplina ipotesi particolari di confisca.

 

Il citato art. 12-sexies (comma 1) prevede che nei casi di condanna o di applicazione della pena su richiesta a norma dell'art. 444 c.p.p. (c.d. “patteggiamento”) per alcuni delitti, è sempre disposta la confisca del denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica. Le suddette disposizioni si applicano anche in caso di condanna e di applicazione della pena su richiesta, a norma dell'art. 444 c.p.p., per taluno dei delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine costituzionale.

Le figure criminose interessate dalla norma sono le seguenti:

§       peculato (art. 314 c.p.), peculato mediante profitto dell’errore altrui (art.316 c.p.), malversazione a danno dello Stato (art. 316-bis), indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato (art. 316-ter c.p.), concussione (art. 317 c.p.), corruzione per un atto di ufficio (318 c.p.), corruzione per un atto contrario ai doveri di ufficio (art. 319 c.p.), corruzione in atti giudiziari (art. 319-ter c.p.), corruzione di persona incaricata di un pubblico servizio (art. 320 c.p.), istigazione alla corruzione (art. 322 c.p.), peculato, concussione, corruzione e istigazione alla corruzione di membri degli organi delle Comunità europee e di funzionari delle Comunità europee e degli Stati esteri (art. 322-bis c.p.), Utilizzazione di invenzioni o scoperte conosciute per ragioni di ufficio (art. 325 c.p.), associazione diretta a commettere taluno dei delitti di cui agli artt. 600, 601 e 602 (art. 416, sesto comma, c.p.), associazione di tipo mafioso (art. 416-bis c.p.), riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù (art. 600 c.p.); tratta di persone (art. 601 c.p.), acquisto e alienazione di schiavi (art. 602 c.p.), estorsione (art. 629 c.p.), sequestro di persona a scopo di estorsione (art. 630 c.p.), usura (art. 644 c.p.), usura impropria (art. 644-bis c.p.), ricettazione (art.  648 c.p., esclusi i casi particolare tenuità di cui al secondo comma), riciclaggio (art. 648-bis c.p.), impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita (art. 648-ter c.p.);

§       trasferimento fraudolento di valori (art. 12-quinquies, comma 1, del D.L. n. 306 del 1992);

§       produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope (art. 73, esclusi i casi di lieve entità di cui al comma 5 del testo unico delle leggi in materia di stupefacenti) e associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope (art. 74 del testo unico delle leggi in materia di stupefacenti).

Il comma 2 prescrive che le disposizioni del comma 1 si applicano anche nei casi di condanna o di patteggiamento, per un delitto commesso avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416-bis (Associazione di tipo mafioso) c.p., ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo, nonché a chi è stato condannato per un delitto in materia di contrabbando quando ricorrono le aggravanti di cui all'articolo 295, secondo comma, del testo unico approvato con D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43.

Ai sensi del comma 2-bis, in caso di confisca di beni per uno dei delitti previsti dagli artt. 314 (peculato), 316 (peculato mediante profitto dell’errore altrui), 316-bis (malversazione a danno dello Stato), 316-ter (indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato), 317 (Concussione), 318 (Corruzione per un atto di ufficio), 319 (Corruzione per un atto contrario ai doveri di ufficio), 319-ter (Corruzione in atti giudiziari), 320 (Corruzione di persona incaricata di un pubblico servizio), 322 (Istigazione alla corruzione), 322-bis (Peculato, concussione, corruzione e istigazione alla corruzione di membri degli organi delle Comunità europee e di funzionari delle Comunità europee e degli Stati esteri), 325 (Utilizzazione di invenzioni o scoperte conosciute per ragioni di ufficio) del codice penalesi applicano le disposizioni degli artt. 2-novies, 2-decies e 2-undecies della citata legge 575/1965.

L’art. 2-novies stabilisce che i beni confiscati sono devoluti allo Stato. Dopo la confisca, l'amministratore nominato dal tribunale con il provvedimento di sequestro svolge le proprie funzioni sotto il controllo del competente ufficio del Ministero delle finanze. La norma indica, inoltre, le modalità con le quali l'amministratore gestisce i beni (rinviando all’art. 20 della legge 23 dicembre 1993, n. 559, all’art. 2-octies della citata legge 575/1965 e al D.M. 27 marzo 1990[109]). Al rimborso ed all'anticipazione delle spese nonché alla liquidazione dei compensi che non trovino copertura nelle risorse della gestione, provvede il dirigente del competente ufficio del territorio del Ministero delle finanze.

L’art. 2-decies demanda ad un provvedimento del direttore centrale del demanio del Ministero delle finanze la determinazione della destinazione dei beni immobili e dei beni aziendali confiscati, fissando i termini entro i quali tale provvedimento deve essere adottato e le relative attività istruttorie. Anche prima dell'emanazione del citato provvedimento, per la tutela dei beni confiscati si applica il secondo comma dell'art. 823 c.c., in base al quale l’autorità amministrativa può procedere alla tutela del demanio sia in via amministrativa che mediante i mezzi ordinari a difesa della proprietà.

L’art. 2-undecies fa obbligo al predetto amministratore dei beni di versare all'ufficio del registro:

§       le somme di denaro confiscate che non debbano essere utilizzate per la gestione di altri beni confiscati o che non debbano essere utilizzate per il risarcimento delle vittime dei reati di tipo mafioso;

§       le somme ricavate dalla vendita, anche mediante trattativa privata, dei beni mobili non costituiti in azienda, ivi compresi quelli registrati, e dei titoli, al netto del ricavato della vendita dei beni finalizzata al risarcimento delle vittime dei reati di tipo mafioso;

§       le somme derivanti dal recupero dei crediti personali.

Quanto ai beni immobili, essi sono:

§       mantenuti al patrimonio dello Stato per finalità di giustizia, di ordine pubblico e di protezione civile e, ove idonei, anche per altri usi istituzionali;

§       trasferiti per finalità istituzionali o sociali, in via prioritaria, al patrimonio del comune ove l'immobile è sito, ovvero al patrimonio della provincia o della regione. Gli enti territoriali possono amministrare direttamente il bene o assegnarlo in concessione a titolo gratuito a comunità, ad enti, ad associazioni rappresentative degli enti locali, ad organizzazioni di volontariato, a cooperative sociali, o a comunità terapeutiche e centri di recupero e cura di tossicodipendenti, nonché ad associazioni ambientaliste riconosciute. Se entro un anno dal trasferimento l'ente territoriale non ha provveduto alla destinazione del bene, il prefetto nomina un commissario con poteri sostitutivi;

§       trasferiti al patrimonio del comune ove l'immobile è sito, se confiscati per il reato di cui all'art. 74 (associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope) del testo unico approvato con D.P.R. 309/1990. Il comune può amministrare direttamente il bene o assegnarlo in concessione, anche a titolo gratuito ad associazioni, comunità o enti per il recupero di tossicodipendenti operanti nel territorio ove è sito l'immobile.

I beni aziendali sono mantenuti al patrimonio dello Stato e destinati:

-      all'affitto, quando vi siano fondate prospettive di continuazione o di ripresa dell'attività produttiva, a titolo oneroso a società e ad imprese pubbliche o private, ovvero a titolo gratuito, senza oneri a carico dello Stato, a cooperative di lavoratori dipendenti dell'impresa confiscata;

-      alla vendita a soggetti che ne abbiano fatto richiesta o alla liquidazione, qualora vi sia una maggiore utilità per l'interesse pubblico o qualora la vendita o la liquidazione siano finalizzate al risarcimento delle vittime dei reati di tipo mafioso.

Le descritte operazioni sono svolte dal competente ufficio del territorio del Ministero delle finanze (che può affidarle all'amministratore) entro 6 mesi dall’emanazione del provvedimento del direttore centrale del demanio del Ministero delle finanze.

Le somme ricavate nonché i proventi derivanti dall'affitto, dalla vendita o dalla liquidazione dei beni sono destinati al finanziamento degli interventi per l'edilizia scolastica e per l'informatizzazione del processo.

Nella scelta del cessionario o dell'affittuario dei beni aziendali l'Amministrazione delle finanze procede mediante licitazione privata ovvero, qualora ragioni di necessità o di convenienza, specificatamente indicate e motivate, lo richiedano, mediante trattativa privata. I sopraccitati provvedimenti sono immediatamente esecutivi. I trasferimenti e le cessioni disposti a titolo gratuito sono esenti da qualsiasi imposta.

 

Il nuovo comma 2-ter specifica che, nel caso previsto dal menzionato comma 2, quando non è possibile procedere alla confisca in applicazione delle disposizioni ivi richiamate, il giudice ordina la confisca delle somme di denaro, dei beni e delle altre utilità delle quali il reo ha la disponibilità, anche per interposta persona, per un valore equivalente al prodotto, profitto o prezzo del reato.

 

La confisca è regolata, in via generale, dall’art. 240 c.p. tra le misure di sicurezza patrimoniali. Ai sensi del citato articolo possono essere oggetto di confisca:

§       le cose che servirono o furono destinate a commettere il reato;

§       le cose che del reato costituiscono il prodotto od il profitto.

In aggiunta a tale confisca facoltativa, l'art. 240 c.p. prevede la confisca obbligatoria:

§       delle cose che costituiscono il prezzo del reato;

§       delle cose, la fabbricazione, l'uso, il porto, la detenzione o l'alienazione delle quali costituisce reato (anche se non è stata pronunciata condanna).

Le disposizioni citate non si applicano se la cosa appartiene a persona estranea al reato.

L'art. 240 c.p. richiede dunque, quale condizione per poter procedere alla confisca, che tra il bene ed il reato sussista una relazione diretta, attuale e strumentale.

Per ovviare alle difficoltà insite nel provare l'esistenza di tale relazione, il legislatore è intervenuto, in più occasioni, introducendo nel nostro ordinamento la figura della c.d. confisca per equivalente. La confisca in questione assume connotazioni del tutto peculiari in quanto “esime dallo stabilire quel «rapporto di pertinenzialità» tra reato e provvedimento ablatorio dei proventi illeciti, che caratterizza invece la misura ex art. 240 c.p”. Essa, costituendo pertanto “una «forma di prelievo pubblico a compensazione di prelievi illeciti», viene ad assumere un carattere preminentemente sanzionatorio” (Cass., Sez. Un. Pen., n. 41936 del 25 ottobre 2005). Tale istituto si configura, tra l’altro, nei seguenti casi:

- art. 644, ultimo comma, c.p. (usura);

- art. 19, comma 2, del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 (responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica);

- art. 600-septies c.p. (delitti contro la personalità individuale);

- art. 322-ter c.p. (delitti contro la pubblica amministrazione);

- art. 640-quater c.p. (truffa aggravata e frode informatica);

- art. 11 della legge 16 marzo 2006, n. 146 (crimine organizzato transnazionale);

- art. 1, comma 143, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (reati in materia di imposte sui redditi e IVA di cui agli artt. 2, 3, 4, 5, 8, 10-bis, 10-ter, 10-quater e 11 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74).

 

Il comma 2-quater estende il campo di applicazione del comma 2-bis dell'art. 12-sexies del decreto-legge 306/1992 (che reca peculiari disposizioni in materia di amministrazione, destinazione dei beni confiscati e relativi adempimenti procedurali), anche ai casi di condanna o di “patteggiamento” per i seguenti delitti:

§      estorsione (art. 629 c.p.),

§      sequestro di persona a scopo di estorsione (art. 630 c.p.),

§      ricettazione (art. 648 c.p., esclusi i casi particolare tenuità di cui al secondo comma),

§      riciclaggio (art. 648-bis c.p.),

§      impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita (art. 648-ter c.p.),

§      trasferimento fraudolento di valori (art. 12-quinquies del citato decreto-legge n. 306 del 1992)

§      delitti previsti dagli artt. 73 (Produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope), esclusi i casi di lieve entità di cui al comma 5, e 74 (Associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope) del testo unico di cui al D.P.R. 309 del 1990.

 


Art. 11
(Modifiche alla legge 22 maggio 1975, n. 152)

Testo originario

Testo approvato dal Senato

Articolo 11.

(Modifiche alla legge 22 maggio 1975, n. 152).

Articolo 11.

(Modifiche alla legge 22 maggio 1975, n. 152).

1. All'articolo 19, primo comma, della legge 22 maggio 1975, n. 152, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «In deroga a quanto previsto dall'articolo 2 della legge 31 maggio 1965, n. 575, nei casi previsti dal presente comma competente a richiedere le misure di prevenzione è anche il Procuratore della Repubblica presso il tribunale nel cui circondario dimora la persona.».

 1. Alla legge 22 maggio 1975, n. 152, sono apportate le seguenti modificazioni:

            a) all'articolo 18, quarto comma, le parole: «, anche in deroga all'articolo 14 della legge 19 marzo 1990, n. 55,» sono soppresse;

            b) all'articolo 19, primo comma, sono aggiunti, in fine, i seguenti periodi: «Nei casi previsti dal presente comma, le funzioni e le competenze spettanti, ai sensi della legge 31 maggio 1965, n. 575, al procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto sono attribuite al procuratore della Repubblica presso il tribunale nel cui circondario dimora la persona. Nelle udienze relative ai procedimenti per l'applicazione delle misure di prevenzione di cui al presente comma, le funzioni di pubblico ministero possono essere esercitate anche dal procuratore della Repubblica presso il tribunale competente».

 

 

L'articolo 11 interviene sempre in materia di misure di prevenzione, novellando gli art. 18 e 19 della legge 22 maggio 1975, n. 152[110].

Per quanto attiene al citato art. 18, il testo approvato dal Senato prevede una limitata modifica al quarto comma.

 

Attualmente, il predetto art. 18 della legge 152/1975 stabilisce, al primo comma, che le disposizioni dettate dalla legge 575/1965, relative alle misure di prevenzione per gli indiziati di appartenere ad associazioni a delinquere di stampo mafioso e similari, si applicano anche a coloro che:

a.       operanti in gruppi o isolatamente, pongano in essere atti preparatori, obiettivamente rilevanti, diretti a sovvertire l'ordinamento dello Stato, con la commissione di uno dei reati previsti dal capo I del titolo VI del libro II del codice penale (delitti di comune pericolo mediante violenza) o dagli artt. 284 (insurrezione armata contro i poteri dello Stato), 285 (devastazione, saccheggio, strage), 286 (guerra civile), 306 (Banda armata: formazione e partecipazione), 438 (epidemia), 439 (avvelenamento di acque o di sostanze alimentari), 605 (sequestro di persona) e 630 (sequestro di persona a scopo di estorsione) c.p. nonché alla commissione dei reati con finalità di terrorismo anche internazionale;

b.       abbiano fatto parte di associazioni politiche disciolte ai sensi della legge 20 giugno 1952, n. 645[111], e nei confronti dei quali debba ritenersi, per il comportamento successivo, che continuino a svolgere una attività analoga a quella precedente;

c.       compiano atti preparatori, obiettivamente rilevanti, diretti alla ricostituzione del partito fascista, in particolare con l'esaltazione o la pratica della violenza;

d.       fuori dei casi precedenti, siano stati condannati per uno dei delitti previsti nella legge 2 ottobre 1967, n. 895 (Disposizioni per il controllo delle armi), e negli artt. 8 e seguenti della legge 14 ottobre 1974, n. 497 (Nuove norme contro la criminalità), quando debba ritenersi, per il loro comportamento successivo, che siano proclivi a commettere un reato della stessa specie col fine indicato nella lettera a).

Tali disposizioni si applicano, altresì, agli istigatori, ai mandanti e ai finanziatori (secondo comma), intendendosi per finanziatore colui il quale fornisce somme di denaro o altri beni, conoscendo lo scopo a cui sono destinati (terzo comma).

Il quarto comma del citato art. 18 stabilisce, infine, che le disposizioni di cui al primo comma dello stesso articolo possono essere applicate, anche in deroga all'art. 14 della legge 19 marzo 1990, n. 55[112], alle persone fisiche e giuridiche segnalate al Comitato per le sanzioni delle Nazioni Unite, o ad altro organismo internazionale competente per disporre il congelamento di fondi o di risorse economiche, quando vi sono fondati elementi per ritenere che i fondi o le risorse possano essere dispersi, occultati o utilizzati per il finanziamento di organizzazioni o attività terroristiche, anche internazionali[113].

In proposito, il citato art. 14 della legge 55/1990 definisce il campo di applicazione di alcune disposizioni della legge 575/1965 (ossia di quelle concernenti le indagini e le misure preventive patrimoniali e di quelle che impongono divieti e decadenze per i soggetti destinatari di misure preventive, ai sensi degli artt. da 10 a 10-sexies) ai:

§       soggetti indiziati di appartenere alle associazioni criminali di stampo mafioso e similari;

§       soggetti indicati nei numeri 1) e 2) del primo comma dell'art. 1 della legge 1423/1956 (ossia coloro che, sulla base di elementi di fatto, sono abitualmente dediti a traffici delittuosi e coloro che per la condotta ed il tenore di vita vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose), quando l'attività delittuosa da cui si ritiene derivino i proventi sia una di quelle previste dagli artt. 600 (riduzione o mantenimento in schiavitù o servitù), 601 (tratta di persone), 602 (acquisto e alienazione di schiavi), 629 (estorsione), 630 (sequestro di persona a scopo di estorsione), 644 (usura), 648-bis (riciclaggio) o 648-ter (impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita) c.p. ovvero quella di contrabbando (comma 1).

Nei confronti dei citati soggetti, la riabilitazione prevista dall'art. 15 della legge 3 agosto 1988, n. 327 (v. infra) può essere richiesta dopo cinque anni dalla cessazione della misura di prevenzione (comma 2). Ai sensi del comma 3 del medesimo articolo, la riabilitazione comporta la cessazione dei divieti (relativi alle licenze o autorizzazioni di polizia o commercio, alle concessioni di acque pubbliche, alle concessioni di costruzione, alle iscrizioni negli albi di appaltatori o di fornitori di opere, ai contributi, ai finanziamenti, ai mutui agevolati) previsti dall'art. 10 della legge 575/1965.

 

Il nuovo testo del comma 4 dell’art. 18 non contempla più la possibilità di derogare all'art. 14 della legge 55/1990 ai fini dell’applicazione delle misure di prevenzione previste dalla legge 575/1965 alle persone fisiche e giuridiche segnalate al Comitato per le sanzioni delle Nazioni Unite, o ad altro organismo internazionale competente a disporre il congelamento di fondi e risorse economiche. La soppressione del riferimento all’art. 14 della legge 55/1990 appare conseguente all’abrogazione di tale articolo da parte dell’art. 11-ter del decreto-legge in commento (v. infra).

Quanto all’art. 19 della legge 152/1975, sono stati aggiunti due nuovi periodi al comma 1. Più nel dettaglio, le nuove norme, come riformulate dal Senato, prevedono che con riferimento alle misure di prevenzione da applicare ai soggetti indicati all'art. 1, nn. 1) e 2), della legge 1423/1956, le funzioni e le competenze spettanti, ai sensi della legge 575/1965, al procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto, sono attribuite al procuratore della Repubblica presso il tribunale nel cui circondario dimora la persona.

 

Il primo comma dell’art. 19 della suddetta legge 152/1975 precisa, infatti, che le disposizioni di cui alla legge 575/1965 trovano applicazione anche nei confronti delle persone indicate nell'art. 1, numeri 1) e 2) della suddetta legge 1423/1956, ossia nei confronti di:

§         coloro che debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che sono abitualmente dediti a traffici delittuosi;

§         coloro che per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose.

 

La novella chiarisce, inoltre, che nelle udienze relative ai procedimenti per l'applicazione delle citate misure di prevenzione, le funzioni di pubblico ministero possono essere esercitate anche dal procuratore della Repubblica presso il tribunale competente.

Il testo originario del decreto-legge in commento prevede che, in deroga all'art. 2 della legge 575/1965 (v. l’articolo 10 del decreto-legge in esame), il potere di richiedere le misure di prevenzione, nei casi in cui esse riguardino soggetti abitualmente dediti a traffici delittuosi o che vivono abitualmente con i proventi di attività delittuose, spetti anche (e non esclusivamente) al procuratore della repubblica presso il tribunale nel cui circondario dimora la persona.

 


 

Art. 11-bis
(Modifiche alla legge 3 agosto 1988, n. 327)

Testo originario

Testo approvato dal Senato

 

Art. 11-bis.

(Modifiche alla legge 3 agosto 1988, n. 327).

 

 

  1. All'articolo 15 della legge 3 agosto 1988, n. 327, dopo il comma 3 è aggiunto il seguente:

 

   «3-bis. Quando è stata applicata una misura di prevenzione personale nei confronti dei soggetti di cui all'articolo 1 della legge 31 maggio 1965, n. 575, la riabilitazione può essere richiesta dopo cinque anni dalla cessazione della misura di prevenzione personale. La riabilitazione comporta, altresì, la cessazione dei divieti previsti dall'articolo 10 della legge 31 maggio 1965, n. 575».

 

 

L'articolo 11-bis, introdotto nel corso dell’esame presso l’altro ramo del Parlamento,aggiunge il comma 3-bis all’art. 15 della legge 3 agosto 1988, n. 327[114], recante disposizioni in materia di applicazione di misure di prevenzione personali.

 

Il citato art. 15 prescrive che dopo tre anni dalla cessazione della misura di prevenzione, l'interessato può chiedere la riabilitazione; quest’ultima è concessa, se il soggetto ha fornito prova costante ed effettiva di buona condotta, dalla corte di appello nel cui distretto ha sede l'autorità giudiziaria che dispone l'applicazione della misura di prevenzione o dell'ultima misura di prevenzione (primo comma).

Ai sensi del secondo comma, la riabilitazione comporta la cessazione di tutti gli effetti pregiudizievoli connessi alle misure di prevenzione.

Infine, il terzo comma dispone l’osservanza delle norme del codice di procedura penale riguardanti la riabilitazione, in quanto compatibili.

 

Il comma aggiuntivo del citato art.15prevede che quando è stata applicata una misura di prevenzione personale nei confronti dei soggetti di cui all'art. 1 della legge 575/1965 (che secondo il testo riformulato dal Senato - v. supra art. 10 del decreto-legge in commento - riguarda, oltre che gli indiziati di appartenere ad associazioni a carattere mafioso e simili, anche gli indiziati per i reati di cui all’art. 51, comma 3-bis, c.p.p.), la riabilitazione può essere richiesta dopo 5 anni dalla cessazione della misura di prevenzione personale.

La riabilitazione comporta la cessazione dei divieti previsti dall'art. 10 della legge 575/1965 (ossia, come già detto, dei divieti concernenti le licenze o le autorizzazioni di polizia o commercio, le concessioni di acque pubbliche, le concessioni di costruzione, le iscrizioni negli albi di appaltatori o di fornitori di opere, i contributi, i finanziamenti, i mutui agevolati da parte dello Stato).

 

 


Art. 11-ter
(Abrogazione)

Testo originario

Testo approvato dal Senato

 

Art. 11-ter.

(Abrogazione).

 

 

  1. L'articolo 14 della legge 19 marzo 1990, n. 55, è abrogato.

 

 

L’articolo 11-ter, introdotto nel corso dell’esame presso il Senato, abroga

il già citato art. 14 della legge 55/1990, in coerenza con le disposizioni dettate dall’art. 11, comma 1, lett. a), del decreto-legge in esame.

 

 

 


Articolo 12
(Modifiche al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12)

Testo originario

Testo approvato dal Senato

Articolo 12.

(Modifiche al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12).

 

Articolo 12.

(Modifiche al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12).

 

 1. Dopo l'articolo 110-bis del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, è inserito il seguente:

    1. Identico:

     «Art. 110-ter. - (Applicazione di magistrati in materia di misure di prevenzione). - 1. Il Procuratore nazionale antimafia può disporre, nell'ambito dei poteri attribuiti in materia di misure di prevenzione e previa intesa con il competente procuratore distrettuale, l'applicazione temporanea di magistrati della direzione nazionale antimafia alle procure distrettuali per la trattazione di singoli procedimenti di prevenzione. Si applica, in quanto compatibile, l'articolo 110-bis.

   «Art. 110-ter. - (Applicazione di magistrati in materia di misure di prevenzione). - 1. Il procuratore nazionale antimafia può disporre, nell'ambito dei poteri attribuitigli dall'articolo 371-bis del codice di procedura penale e sentito il competente procuratore distrettuale, l'applicazione temporanea di magistrati della Direzione nazionale antimafia alle procure distrettuali per la trattazione di singoli procedimenti di prevenzione patrimoniale. Si applica, in quanto compatibile, l'articolo 110-bis.

 

 

L’articolo 12 del decreto-legge introduce nel R.D. 30 gennaio 1941, n. 12 (Ordinamento giudiziario) il nuovo art.110-ter, ai sensi del quale il procuratore nazionale antimafia può disporre nell’ambito dei poteri attribuitigli dall’art. 371-bis c.p.p. e sentito il competente procuratore distrettuale l’applicazione temporanea di magistrati della Direzione nazionale antimafia alle procure distrettuali per la trattazione di singoli procedimenti di prevenzione patrimoniale (comma 1). La norma stabilisce che in tali casi si applica, in quanto compatibile, l’articolo 110-bis[115]del R.D. 12/1941, che disciplina particolari ipotesi di impiego di magistrati del pubblico ministero per la trattazione dei procedimenti relativi ai delitti indicati nel citato art. 51, comma 3-bis, c.p.p.

Il riferimento ai poteri di coordinamento e d’impulso, di cui al novellato art. 371-bis del codice processuale penale, è frutto di un emendamento approvato dal Senato. Rispetto al testo originario del decreto-legge, la nuova formulazione prevede che il procuratore nazionale antimafia si avvalga dei descritti poteri non più previa intesa con il competente procuratore distrettuale, ma dopo averlo semplicemente sentito. Inoltre, la portata innovativa della disposizione è stata limitata ai procedimenti di prevenzione patrimoniale (con esclusione, quindi, di quelli relativi a misure preventive personali, originariamente compresi nel decreto-legge).

L’art. 371-bis c.p.p. come modificato dall’art. 2, comma 1, lett. b) del decreto-legge in esameestende proprio ai procedimenti di prevenzione antimafiale funzioni del procuratore nazionale antimafia gia esercitate in relazione ai delitti di criminalità organizzata indicati nell'articolo 51, comma 3-bis, c.p.p. A tal fine, il procuratore nazionale antimafia si avvale della direzione investigativa antimafia e dei servizi centrali e interprovinciali delle forze di polizia (comma 1).

Il procuratore nazionale antimafia esercita funzioni d’impulso nei confronti delle procure distrettuali per garantire il coordinamento delle indagini, per una maggiore funzionalità nell’impiego della polizia giudiziaria e per assicurare completezza e tempestività alle investigazioni (comma 2).

Per lo svolgimento delle funzioni attribuitegli dalla legge, il comma 3 prescrive che il procuratore nazionale antimafia:

§       d'intesa con i procuratori distrettuali interessati, assicura il collegamento investigativo, anche per mezzo dei magistrati della Direzione nazionale antimafia;

§         cura, mediante applicazioni temporanee dei magistrati della Direzione nazionale e delle direzioni distrettuali antimafia, la necessaria flessibilità e mobilità in relazione a specifiche esigenze investigative o processuali;

§         ai fini del coordinamento investigativo e della repressione dei reati, provvede all'acquisizione e all'elaborazione di notizie, informazioni e dati attinenti alla criminalità organizzata;

§         impartisce ai procuratori distrettuali specifiche direttive per prevenire o risolvere contrasti riguardanti le modalità di coordinamento delle indagini;

§         riunisce i procuratori distrettuali interessati per risolvere i contrasti che, malgrado le direttive impartite, sono insorti;

§         dispone con decreto motivato, reclamabile al procuratore generale presso la Corte di Cassazione, l'avocazione delle indagini preliminari relative a taluno dei delitti indicati nell'articolo 51, comma 3-bis, c.p.p., quando non hanno dato esito le riunioni disposte al fine di promuovere o rendere effettivo il coordinamento e questo non è stato possibile a causa della perdurante e ingiustificata inerzia nell’attività di indagine ovvero della ingiustificata e reiterata violazione dei doveri di coordinamento delle indagini previsti dall'art. 371 c.p.p.

Il procuratore nazionale antimafia provvede all’avocazione dopo aver assunto le necessarie informazioni personalmente o tramite un magistrato della DNA all'uopo designato. Salvi casi particolari, il procuratore nazionale o il magistrato da lui designato non può delegare per il compimento degli atti di indagine altri uffici del pubblico ministero (comma 4).

 

Il comma 2 del nuovo art. 110-ter del R.D. 12/1941 prevede, inoltre, che, qualora ne faccia richiesta il procuratore distrettuale, il procuratore generale presso la Corte d'appello possa, per giustificati motivi, disporre che le funzioni di pubblico ministero per la trattazione delle misure di prevenzione siano esercitate da un magistrato designato dal procuratore della Repubblica presso il giudice competente.

Si segnala che il testo novellato dell’art. 371-bis c.p.p. riferisce i poteri di coordinamento del procuratore nazionale antimafia genericamente a tutte le misure di prevenzione antimafia (sia personali che patrimoniali), mentre il nuovo art. 110-ter del R.D. 12/1941 prevede la facoltà del procuratore nazionale antimafia di disporre l’applicazione temporanea di magistrati della direzione investigativa antimafia in relazione ai soli procedimenti di prevenzione di natura patrimoniale.

 


 

Art. 12-bis
(Modifiche alla legge 18 marzo 2008, n. 48)

Testo originario

Testo approvato dal Senato

 

Art. 12-bis.

(Modifiche alla legge 18 marzo 2008, n. 48).

 

 

   1. All'articolo 11 della legge 18 marzo 2008, n. 48, dopo il comma 1 è aggiunto il seguente:

 

 «1-bis. Le disposizioni di cui al comma 3-quinquies dell'articolo 51 del codice di procedura penale, introdotto dal comma 1 del presente articolo, si applicano solo ai procedimenti iscritti nel registro di cui all'articolo 335 del codice di procedura penale successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge».

 

 

L’articolo 12-bis, inserito nel corso dell’esame al Senato, introduce il comma 1-bis nell’art. 11 della citata legge 48/2008 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla criminalità informatica, fatta a Budapest il 23 novembre 2001, e norme di adeguamento dell'ordinamento interno).

 

L’art. 11 di tale legge, come già ricordato, ha novellato l’art. 51 c.p.p., introducendovi il comma 3-quinquies, che accentra nell‘ufficio del pubblico ministero presso il tribunale del capoluogo del distretto (nel cui ambito ha sede il giudice competente) le funzioni di PM nelle indagini preliminari e nei procedimenti di primo grado per una serie di delitti di particolare allarme sociale (v. supra, l’art. 2 del decreto-legge in esame).

 

Il nuovo comma 1-bis dell’art. 11 della legge 48/2008 limita l’applicazione del citato comma 3-quinquies dell’art. 51 c.p.p. (che prevede il trasferimento di competenza alla procura distrettuale per talune ipotesi delittuose) ai procedimenti che risultino iscritti nel registro delle notizie di reato (di cui all’art. 335 c.p.p.) in data successiva a quella di entrata in vigore della legge 48/2008 (ossia a decorrere dal 5 aprile 2008).

 

Per quanto concerne la formulazione dell’art. 12-bis del decreto-legge in esame, si segnala che la novella ivi contenuta potrebbe essere riferita all’atto legislativo modificato, ossia all’art. 51, c.p.p., anziché all’atto legislativo modificante, ossia all’art. 11 della legge 48/2008.

 


Art. 12-ter
(Modifiche al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115)

Testo originario

Testo approvato dal Senato

 

Art. 12-ter.

(Modifiche al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115).

 

 

 1. Al testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, sono apportate le seguenti modificazioni:

 

  a) all'articolo 76, dopo il comma 4 è aggiunto il seguente:

 

 «4-bis. Per i soggetti già condannati con sentenza definitiva per i reati di cui agli articoli 416-bis del codice penale, 291-quater del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, 73, limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi dell'articolo 80, e 74, comma 1, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, nonché per i reati commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto articolo 416-bis ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo, ai soli fini del presente decreto, il reddito si ritiene superiore ai limiti previsti»;

 

   b) all'articolo 93, il comma 2 è abrogato;

 

 c) all'articolo 96, comma 1, le parole: «, ovvero immediatamente, se la stessa è presentata in udienza a pena di nullità assoluta ai sensi dell'articolo 179, comma 2, del codice di procedura penale,» sono soppresse;

 

 d) all'articolo 96, comma 2, dopo le parole: «tenuto conto» sono inserite le seguenti: «delle risultanze del casellario giudiziale,».

 

 

L’articolo 12-ter, anch’esso introdotto dal Senato, apporta modifiche al testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia (D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115), in relazione alla disciplina del gratuito patrocinio.

In primo luogo, viene modificato l’art. 76 del citato testo unico, introducendovi il comma 4-bis, che prevede l’esclusione dal gratuito patrocinio per i condannati con sentenza irrevocabile per alcune categorie di reati di particolare allarme sociale (lettera a)). Per tali soggetti è, infatti, stabilita una presunzione di superamento delle condizioni reddituali necessarie per accedere a tale beneficio.

La condanna definitiva deve riguardare i seguenti reati:

·         associazione mafiosa (art. 416-bis c.p.);

·         associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri (art. 291-quater, D.P.R.23 gennaio 1973, n. 43);

·         produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope, limitatamente alle ipotesi aggravate (artt. 73 e 74, comma 1, del testo unico di cui al D.P.R. 309/1990)[116];

·         reati commessi avvalendosi dell’intimidazione connessa all’appartenenza all’associazione mafiosa o al fine di agevolare l’attività associativa.

L’art. 76 del citato T.U. 115/2002detta le condizioni per l'ammissione al gratuito patrocinio. In particolare, è ammesso chi è titolare di un reddito imponibile ai fini IRPEF, risultante dall'ultima dichiarazione, non superiore a euro 9.723,84.

Salvo quanto previsto dall'art. 92, che prevede specifiche elevazioni dei limiti di reddito, se l'interessato convive con il coniuge o con altri familiari, il reddito è costituito dalla somma dei redditi conseguiti nel medesimo periodo da ogni componente della famiglia, compreso l'istante.

Ai fini della determinazione dei limiti di reddito, si tiene conto anche dei redditi che per legge sono esenti dall'imposta sul reddito delle persone fisiche o che sono soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta, ovvero ad imposta sostitutiva.

Si tiene conto del solo reddito personale quando sono oggetto della causa diritti della personalità, ovvero nei processi in cui gli interessi del richiedente sono in conflitto con quelli degli altri componenti il nucleo familiare con lui conviventi.

 

L’articolo in commento abroga, inoltre, il comma 2 dell’art. 93 e sopprime un inciso al comma 1 dell’art. 96 del predetto testo unico sulle spese di giustizia, intervenendo sulle modalità di presentazione dell’istanza di ammissione al gratuito patrocinio. In particolare, le novelle, che risultano strettamente connesse e consequenziali, comportano l’esclusione della facoltà del difensore di presentare l’istanza di ammissione al gratuito patrocinio direttamente in udienza (lettere b) e c)).

 

Il predetto art. 93 del D.P.R. 115/2002 stabilisce che l'istanza di ammissione al gratuito patrocinio è presentata esclusivamente dall'interessato o dal difensore, ovvero inviata, a mezzo raccomandata, all'ufficio del magistrato innanzi al quale pende il processo. Se procede la Corte di cassazione, l'istanza è presentata all'ufficio del magistrato che ha emesso il provvedimento impugnato (comma 1). Il comma 2 precisa, inoltre, che l'istanza può essere presentata dal difensore direttamente in udienza. Ai sensi del comma 3, per il richiedente detenuto, internato in un istituto, in stato di arresto o di detenzione domiciliare, ovvero custodito in un luogo di cura, il direttore o l'ufficiale di polizia giudiziaria che hanno ricevuto l'istanza, ai sensi dell'articolo 123 del codice di procedura penale, la presentano o inviano, a mezzo raccomandata, all'ufficio del magistrato davanti al quale pende il processo.

L’art. 96 dello stesso D.P.R. 115/2002 prevede che nei 10 giorni successivi a quello in cui è stata presentata o è pervenuta l'istanza di ammissione, ovvero immediatamente, se la stessa è presentata in udienza a pena di nullità assoluta ai sensi dell'articolo 179, comma 2, del codice di procedura penale, il magistrato davanti al quale pende il processo o il magistrato che ha emesso il provvedimento impugnato, se procede la Corte di -Cassazione, verificata l'ammissibilità dell'istanza, ammette l'interessato al patrocinio a spese dello Stato se ricorrono le prescritte condizioni di reddito (comma 1). Il magistrato respinge l'istanza se vi sono fondati motivi per ritenere che l'interessato non versa nelle condizioni di cui agli articoli 76 e 92, tenuto conto del tenore di vita, delle condizioni personali e familiari, e delle attività economiche eventualmente svolte. A tale fine, prima di provvedere, il magistrato può trasmettere l'istanza, unitamente alla relativa dichiarazione sostitutiva, alla Guardia di finanza per le necessarie verifiche (comma 2).

Infine, è stato integrato il contenuto del comma 2 del medesimo art. 96 del testo unico sulle spese di giustizia, includendo tra gli elementi da valutare ai fini dell’ammissione al gratuito patrocinioanche le risultanze del casellario giudiziale (lettera d)).

 

 


Art. 12-quater
(Modifica all'articolo 25 delle disposizioni di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 448)

Testo originario

Testo approvato dal Senato

 

Art. 12-quater.

(Modifica all'articolo 25 delle disposizioni di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 448).

 

 

 1. All'articolo 25 delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 448, dopo il comma 2-bis, è aggiunto il seguente:

 

 «2-ter. Il pubblico ministero non può procedere al giudizio direttissimo o richiedere il giudizio immediato nei casi in cui ciò pregiudichi gravemente le esigenze educative del minore».

 

 

L’articolo 12-quater, inserito nel corso dell’iter del provvedimento al Senato, aggiunge il comma 2-ter all’art. 25 del D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448[117], concernente l’applicazione dei procedimenti speciali nell’ambito del processo minorile.

In particolare, la nuova norma esclude che il pubblico ministero possa procedere con rito direttissimo o chiedere il giudizio immediato, quando ciò possa recare grave pregiudizio alle esigenze educative del minore.

 

Il menzionato art. 25 del D.P.R. 448/1988 prescrive che nel procedimento davanti al tribunale per i minorenni non si applicano le disposizioni relative all’applicazione della pena su richiesta delle parti (titolo II) e al procedimento per decreto di cui al libro VI del codice di procedura penale (comma 1). Il comma 2 precisa che le disposizioni concernenti il giudizio direttissimo (titolo III del libro VI del codice di procedura penale) si applicano solo se è possibile compiere gli accertamenti sulla personalità del minorenne previsti dall'art. 9 e assicurare al minorenne l'assistenza affettiva e psicologica prevista dall'art. 12. Infine, il comma 2-bis prevede che, salvo quanto stabilito dal comma 2, il pubblico ministero può procedere al giudizio direttissimo anche nei confronti del minorenne accompagnato presso gli uffici di polizia giudiziaria in quanto colto in flagranza di un delitto non colposo per il quale la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni, a norma dell'articolo 18-bis del medesimo D.P.R. 448/1988.

 

 


Art. 13
(Entrata in vigore)

Testo originario

Testo approvato dal Senato

Articolo 13.

(Entrata in vigore).

 

 

 1.  Il presente decreto entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e sarà presentato alle Camere per la conversione in legge.

 

  Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.

 

 

 

L’articolo 13 riguarda, infine, l’entrata in vigore del decreto-legge, che decorre dal giorno successivo a quello della pubblicazione nella Gazzetta ufficiale.

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1]    “Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero".

[2]    "Disposizioni a tutela dell'ordine pubblico".

[3]    "Misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale", convertito, con modificazioni, dalla legge 31 luglio 2005, n. 155.

[4]    “Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza”.

[5]    «L’espulsione prevista dalla norma in discussione, pur se disposta dal giudice in sostituzione di una pena detentiva, non si può configurare come una sanzione criminale, ma come una misura amministrativa per i caratteri che assume [...] le caratteristiche formali e sostanziali dell’espulsione dello straniero devono far escludere che quest’ultima ... possa farsi rientrare nel genus delle sanzioni penali, sebbene la circostanza per cui l’espulsione sia disposta dal giudice investito di un’azione penale ne metta in risalto il carattere assolutamente peculiare rispetto ad altre ipotesi, pur presenti nel nostro ordinamento, in cui il giudice penale é chiamato ad applicare misure di natura amministrativa» (ordinanza n. 369 del 1999).

[6]    "Attuazione della direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri". Tale decreto legislativo era stato modificato dal decreto-legge 1° novembre 2007, n. 181, non convertito in legge, e successivamente dal decreto legislativo 28 febbraio 2008, n. 32.

[7]     L. 10 ottobre 1986, n. 663, Modifiche alla legge sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà.

[8] In tal senso vedi, da ultimo, la sentenza della Corte di giustizia CE, sezione I, 27 aprile 2006, causa C-441/02, Commissione delle Comunità europee c. Repubblica federale di Germania.

[9]    Nella formulazione antecedente al decreto legge in corso di conversione, l’art. 235, secondo comma , faceva rinvio alle sanzioni stabilite dalle leggi di pubblica sicurezza per il caso di contravvenzione all'ordine di espulsione emanato dall'Autorità amministrativa.

[10]   Art. 1, co. 1, lett. i) dello schema n. 5, Ulteriori modifiche e integrazioni al decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 30, di attuazione della direttiva 2004/38/CE, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri.

[11]    Testo unico della legge sugli ufficiali ed agenti di pubblica sicurezza.

[12]   Nuovo ordinamento dell’Amministrazione della pubblica sicurezza.

[13]    Attuazione dell’art. 3 della L. 6 marzo 1992, n. 216, in materia di riordino dei ruoli e modifica delle norme di reclutamento, stato ed avanzamento del personale non direttivo e non dirigente dell’Arma dei carabinieri.

[14]    Attuazione dell’art. 3 della L. 6 marzo 1992, n. 216, in materia di nuovo inquadramento del personale non direttivo e non dirigente del Corpo della Guardia di finanza.

[15]    Ordinamento del Corpo di polizia penitenziaria.

[16]   Legge 7 marzo 1986, n. 65, Legge-quadro sull’ordinamento della polizia municipale.

[17]    Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007).

[18] Il decreto legge nella sua formulazione originaria prevede il massimo della pena in sei anni.

[19]   Il testo del decreto legge fa riferimento alle circostanze di cui all’art. 589, comma 3 e 590, comma 4. Nel corso dell’esame in Senato, è stato approvato un emendamento del Governo volto a chiarire che il divieto di bilanciamento dovrebbe in realtà riguardare la circostanza di cui all'art. 590, terzo comma, ultimo periodo (relativo all'ebbrezza alcolica) e non quarto comma (che riguarda invece le lesioni di più persone).

[20] La formulazione originaria della lettera f) dell’articolo 1 del decreto legge recita “Se il fatto e' commesso da soggetto che si trovi illegalmente sul territorio nazionale”. La formulazione del nuovo numero 11-bis appare linguisticamente differente rispetto a quella dei numeri precedenti. Mentre le lettere da 1 a 11 formulano l'aggravante con riferimento alle modalità del compimento dell'azione o alle finalità della stessa ("l'avere commesso il fatto per/con/durante/ecc."), il nuovo numero è formulato con riferimento alla condizione del soggetto agente ("se il fatto è commesso da soggetto che..."). Durante l’esame al Senato è stata approvata una modifica approvato un che riformula l'aggravante in esame, armonizzandola con l’ elencazione di cui all’art. 61 c.p..

[21]   Sono invece definite speciali quelle circostanze che sono previste soltanto in rapporto a specifiche figure di reato.

[22]            COM(2005)391.

[23]   Con 114 voti favorevoli, 538 contrari e 11 astensioni, peraltro, il Parlamento non ha accolto la proposta di Verdi e GUE/NGL di respingere in toto la proposta di direttiva.

[24]   A tal fine si intende per soggiorno irregolare”: la presenza nel territorio di uno Stato membro di un cittadino di un paese terzo che non soddisfi o non soddisfi più le condizioni d'ingresso di cui all'articolo 5 del codice frontiere Schengen o altre condizioni d'ingresso, di soggiorno o di residenza in tale Stato membro;

      Si segnala che gli Stati membri potranno decidere di non applicare le disposizioni della direttiva ai cittadini di paesi terzi:

·          sottoposti a respingimento alla frontiera, conformemente all'articolo 13 del codice frontiere Schengen, ovvero fermati o scoperti dalle competenti autorità in relazione all'attraversamento irregolare via terra, mare o aria della frontiera esterna di uno Stato membro, e che non hanno successivamente ottenuto un'autorizzazione o un diritto di soggiorno in tale Stato membro,

·          sottoposti a rimpatrio come sanzione penale o come conseguenza di una sanzione penale, in conformità con la legislazione nazionale, o sottoposti a procedure di estradizione.

Il testo precisa inoltre che, in conformità dei principi generali del diritto comunitario, le decisioni adottate in base alla direttiva «dovrebbero essere applicate caso per caso e tenendo conto di criteri obiettivi, non limitandosi quindi a prendere in considerazione il semplice fatto del soggiorno irregolare».

La proposta lascia impregiudicate le disposizioni più favorevoli vigenti in forza di accordi bilaterali o multilaterali tra la Comunità, o la Comunità e i suoi Stati membri, e uno o più paesi terzi, nonché di accordi bilaterali o multilaterali tra uno o più Stati membri e uno o più paesi terzi. Non inficia, poi, le disposizioni più favorevoli ai cittadini di paesi terzi previste dall'acquis comunitario in materia di immigrazione e di asilo, né la facoltà degli Stati membri di introdurre o mantenere disposizioni nazionali più favorevoli, purché siano «compatibili con le norme» stabilite dalla direttiva.

E’ infine sottolineato che nell’applicare la direttiva, gli Stati membri devono tenere nella dovuta considerazione l'interesse superiore del minore, la vita familiare, le condizioni di salute del cittadino di un paese terzo interessato, e deve essere rispettato il principio di "non-refoulement".

 

[25] A questo proposito si segnala che il 24 ottobre 2007 la Commissione ha presentato una comunicazione (COM(2007)628) sul rafforzamento della lotta contro il lavoro non dichiarato.

[26] Il 17 giugno 2008 la Commissione europea ha presentato la comunicazione "Una politica d'immigrazione comune per l'Europa: principi, azioni e strumenti" (COM(2008)359)[26] nella quale ha esposto la propria visione dello sviluppo futuro della politica comune europea di immigrazione e invitato il Consiglio europeo ad approvare i dieci principi comuni proposti, insieme con una selezione di azioni concrete. I principi comuni sono raggruppati nelle seguenti rubriche:

·         Prosperità e immigrazione: 1 – Regole chiare e condizioni di parità. 2 – Incontro tra qualifiche ed esigenze. 3 – Integrazione: la chiave di un'immigrazione riuscita.

·         Solidarietà e immigrazione: 4 – Trasparenza, fiducia e cooperazione. 5 – Uso efficace e coerente dei mezzi disponibili. 6 – Partenariati con i paesi terzi.

·         Sicurezza e immigrazione: 7 - Una politica dei visti al servizio degli interessi dell’Europa. 8 – Gestione integrata delle frontiere. 9 – Intensificare la lotta all'immigrazione illegale e tolleranza zero contro la tratta di persone. 10 – Politiche di rimpatrio sostenibili ed efficaci.

      La comunicazione sottolinea che la politica d'immigrazione comune sarà il frutto di un partenariato tra Stati membri e istituzioni dell'Unione e sarà sottoposta a follow-up regolare tramite un nuovo meccanismo di monitoraggio e valutazione comprendente anche la valutazione annuale e le raccomandazioni che il Consiglio europeo di primavera formulerà sulla scorta di una relazione della Commissione sulla situazione dell’immigrazione nell’Unione europea.

[27]  Proposta di direttiva COM(2007)637 relativa all’ammissione nell’Unione di migranti per posti di lavoro altamente qualificati, presentata dalla Commissione europea il 23 ottobre 2007

[28]   Proposta di direttiva (COM(2007)249), relativa a sanzioni contro i datori di lavoro che impiegano cittadini di paesi terzi in posizione irregolare, presentata dalla Commissione il 16 aprile 2007 (vedo supra).

[29] Proposta di direttiva (COM(2007)638), che istituisce una procedura unica per la richiesta di permesso unico di residenza e lavoro e stabilisce un insieme comune di diritti per i lavoratori dei paesi terzi che soggiornano legalmente in uno Stato membro, presentata dalla Commissione il 23 ottobre 2007.

[30]   I partenariati in questione, lanciati il 5 maggio 2008 con la firma di dichiarazioni comuni, sono concepiti in funzione della specificità di ogni paese terzo interessato nonché del livello di impegno che il paese terzo è disposto ad assumere per combattere la migrazione illegale e facilitare il reinserimento dei migranti di rientro. Gli impegni della CE e degli Stati membri partecipanti comprendono: migliori opportunità di migrazione legale per cittadini del paese terzo; assistenza ai paesi terzi per lo sviluppo della loro capacità di gestire i flussi migratori legali; misure per affrontare il rischio della fuga di cervelli e promuovere la migrazione circolare o di rientro; miglioramento e/o facilitazione delle procedure per il rilascio di visti di breve durata a cittadini di un paese terzo.

      La dichiarazione comune con la Repubblica moldova è stata firmata dal Commissario europeo alle relazioni esterne, dalla presidenza del Consiglio GAI; dal ministro degli interni della Repubblica moldova e dai ministri degli interni degli Stati membri interessati (Germania, Bulgaria, Cipro, Francia, Grecia, Ungheria, Italia, Lituania, Polonia, Portogallo, Romania, Repubblica ceca, Slovacchia, Slovenia e Svezia). La dichiarazione comune con Capo Verde è stata firmata dal Commissario europeo allo sviluppo, dalla presidenza del Consiglio GAI, dal Ministro degli interni di Capo verde e dagli Stati membri interessati (Spagna, Francia, Lussemburgo e Portogallo).

[31] La comunicazione della Commissione (COM(2005)123-1), istitutiva del programma quadro Solidarietà e gestione dei flussi migratori, è stata favorevolmente accolta dal Parlamento europeo con una risoluzione il 24 ottobre 2006.

[32] Esso opera in funzione di complementarietà rispetto alle altre iniziative ed organi operanti nel contesto della stessa politica comune, quali l’Agenzia per la gestione delle frontiere esterne (Frontex), il Sistema di informazione visti (VIS) e il Sistema di informazione Schengen (SIS).

[33] In esito a tale revisione è stata adottata la direttiva 2006/126/CE che ha operato una rifusione della direttiva 91/439/CEE e delle successive modifiche.

[34]Nel 2004 la Commissione ha avviato una progetto per la creazione di una rete telematica, RESPER, volta a facilitare lo scambio di informazioni fra le autorità nazionali competenti per il rilascio delle patenti, il riconoscimento dei documenti e dei diritti acquisiti in altri Stati membri e la lotta contro le frodi.

[35] La raccomandazione è stata pubblicata nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, serie L, n. 111, del 17 aprile 2004.

[36]    Così Agee c. Regno Unito, 17 dicembre 1976, recentemente richiamata in  Bolat c. Russia del 5 ottobre 2006.

[37] In tal senso la sentenza della Grande Camera N. c. Regno Unito 27 maggio 2008.

[38] La proposta modifica la predente proposta presentata dalla Commissione il 12 luglio 2005 (COM(2005)276, 1-2,costituita da una proposta di direttiva relativa alle misure penali finalizzate ad assicurare il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale e da una proposta di decisione quadro relativa al rafforzamento del quadro penale per la repressione delle violazioni della proprietà intellettuale e da una proposta di decisione quadro), al fine di adeguarla alla sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee del 13 settembre (2005C-176/03 Commissione contro Consiglio), alla luce della quale le disposizioni di diritto penale necessarie all’effettiva attuazione del diritto comunitario sono disciplinate dal trattato CE. Il nuovo testo integra pertanto le disposizioni relative al livello delle sanzioni e agli ampi poteri di confisca che figuravano nella proposta di decisione quadro.

[39] Si tratta dei seguenti delitti:

§          i delitti, consumati o tentati, di cui agli articoli 416, sesto comma, c.p. (Associazione per delinquere diretta a commettere uno dei delitti di cui agli artt. 600, 601 e 602 c.p.); 600 c.p. (Riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù); 601 c.p. (Tratta di persone), 602 c.p. (Acquisto e alienazione di schiavi), 416-bis c.p. (Associazione di tipo mafioso) e 630 c.p. (Sequestro di persona a scopo di estorsione);

§          i delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416-bis (Associazione di tipo mafioso ) ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo,

§          i delitti di cui all'art. 74 del testo unico approvato con il D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 . In particolare, il citato art. 74 prevede e sanziona l'associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope;

§          i delitti previsti dall'art. 291-quater del testo unico approvato con D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 . In particolare, l'art. 291-quater prevede e sanziona l'associazione a delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri

[40]    Si tratta dei delitti consumato o tentati con finalità di terrorismo.

[41]    Si tratta dei delitti di particolare gravità di cui agli articoli 285 (Devastazione, saccheggio e strage), 286 (Guerra civile), 416-bis (Associazione mafiosa) e 422 (Strage) del codice penale, 291-ter e quater del DPR n. 43/1973 (ipotesi aggravate di contrabbando di tabacchi lavorati esteri e del corrispondente reato associativo); dei delitti di cui agli articoli 575 (Omicidio), 628, terzo comma (rapina aggravata), 629, secondo comma (Estorsione aggravata) e 630 (Sequestro di persona a scopo di estorsione) dello stesso codice penale; delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall'articolo 416-bis c.p. ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni mafiose; delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordinamento costituzionale per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni o nel massimo a dieci anni, nonché delitti di cui agli articoli 270, terzo comma (Associazione sovversiva aggravata) e 306, secondo comma (Partecipazione a banda armata) del codice penale; delitti di illegale fabbricazione, introduzione nello Stato, messa in vendita, cessione, detenzione e porto in luogo pubblico o aperto al pubblico di armi da guerra o tipo guerra o parti di esse, di esplosivi, di armi clandestine nonché di più armi comuni da sparo escluse quelle previste dall'articolo 2, comma terzo, della legge 18 aprile 1975, n. 110 (armi comuni denominate «da bersaglio da sala», o ad emissione di gas, nonché armi ad aria compressa o gas compressi, lanciarazzi, ecc.); delitti di cui agli articoli 73 del DPR 309/1990 (Produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope), limitatamente a specifiche ipotesi aggravate; del delitto di cui all'articolo 416 c.p. (Associazione mafiosa) nei casi in cui è obbligatorio l'arresto in flagranza; dei delitti previsti dagli articoli 600 (Riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù), 600-bis, comma 1 (Induzione alla prostituzione minorile), 600-ter, comma 1 (Pornografia minorile), 601 (Tratta di persone), 602 (Acquisto e alienazione di schiavi), 609-bis (Violenza sessuale) nelle ipotesi aggravate di cui agli artt. 609-ter (Circostanze aggravanti), 609- quater (Atti sessuali con minorenne) e 609-octies (Violenza sessuale di gruppo) del codice penale.

[42]   La disposizione va letta in combinato con quanto disposto dall’articolo 1, lettera d) del decreto legge, che aggiunge un periodo al comma terzo dell’art. 590 c.p., disponendo un aggravio di pena quando la violazione delle norme sulla circolazione stradale sia compiuta in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell'art. 186, comma 2, lettera c), del Codice della strada, ovvero sotto l’effetto di sostanze stupefacenti (vedi supra).

[43]   Si ricorda che con riferimento al reato di occupazione di stranieri irregolari la Corte di cassazione ritiene che, il "datore di lavoro" è non soltanto l'imprenditore o colui che gestisce professionalmente un'attività di lavoro organizzata, ma anche il semplice cittadino che assume alle proprie dipendenze una o più persone per svolgere attività lavorativa subordinata di qualsiasi natura, a tempo determinato o indeterminato, come nel caso di collaboratrici domestiche o badanti (Sez. I, sent. n. 25665 del 12 giugno 2003).

[44]    D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali.

[45]   La relazione illustrativa ricorda che l’introduzione nel 1993 dell’elezione diretta del sindaco e la riforma del Titolo V della Costituzione nel 2001 hanno portato alla rivendicazione da parte degli enti locali di un ruolo sempre più incisivo anche in materia di ordine e sicurezza pubblica, in ossequio al principio di sussidiarietà e alla opportunità di allocare funzioni e poteri pubblici ai livelli istituzionali più prossimi al cittadino.

[46]   Alla fine del 2007 il Governo Prodi ha varato cinque disegni di legge in materia di sicurezza dei cittadini e di contrasto all’illegalità diffusa; l’insieme di norme in essi contenute costituisce quello che fu denominato dai mezzi di informazione “pacchetto sicurezza”. I provvedimenti, presentati alle Camere nel novembre 2007, sono stati assegnati alle Commissioni competenti per l’esame in sede referente; lo svolgimento della sessione di bilancio e le vicende che hanno portato alla fine anticipata della legislatura non hanno consentito il seguito dell’iter parlamentare.

[47]   L. 1 aprile 1981, n. 121, Nuovo ordinamento dell'Amministrazione della pubblica sicurezza.

[48]   Cfr. emendamento del Governo 6.1000, seduta pomeridiana del 18 giugno 2008.

[49]   Camera dei Deputati, seduta 5 dicembre 2007, Svolgimento dell’interpellanza urgente n. 2-00863 (Iniziative per l'annullamento straordinario dell'ordinanza del sindaco di Cittadella – Padova - in materia di iscrizione all'anagrafe dei cittadini stranieri), intervento del Sottosegretario di Stato per l'interno, Rosato.

[50]   L’ordinanza in questione (il cui testo è riportato nel sito web del Comune di Venezia all’indirizzo http://www.comune.venezia.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/18028), essendo stata adottata prima della conversione in legge del decreto-legge in esame, non tiene conto delle modifiche ad esso apportate in sede parlamentare e, in particolare, della nuova facoltà attribuita al sindaco di adottare provvedimenti per la tutela della sicurezza urbana e l'incolumità pubblica anche in assenza dei motivi di urgenza.

[51]   Inserito dall’emendamento del Governo 6.1001, in connessione con la nuova formulazione del comma 4.

[52]   L. 7 agosto 1990, n. 241, Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi.

[53]   Cfr. emendamento del Governo 6.0.1000, seduta pomeridiana del 18 giugno 2008.

[54]   L. 24 novembre 1981, n. 689, Modifiche al sistema penale.

[55]   Il secondo comma dell’articolo 16 è stato infatti abrogato, a decorrere dal 1° gennaio 1993, dall'art. 231, D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, per la parte relativa al T.U. delle norme sulla circolazione stradale, approvato con D.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, e alle sue modificazioni. Il T.U. delle leggi comunali e provinciali di cui al R.D. 3 marzo 1934, n. 383, è stato invece abrogato dall'art. 274, del nuovo T.U. sugli enti locali (D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267).

[56]   R.D. 3 marzo 1934, n. 383, Approvazione del testo unico della legge comunale e provinciale.

[57]   D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali.

[58]   Cass. civ., Sez. I, sentenza n. 12779 del 13 dicembre 1995. Negli stessi termini v. anche Cass.civ. sez. III, sentenza n. 1865 del 18 febbraio 2000.

[59]    L. 26 marzo 2001, n. 128, Interventi legislativi in materia di tutela della sicurezza dei cittadini.

[60]    La modifica è stata apportata con l’approvazione dell’emendamento 7.700 sen. Bricolo ed altri nella seduta dell’Assemblea del Senato n. 23 del 18 giugno 2008 (pom.) con la motivazione della gravità dei problemi di sicurezza dei comuni con minore popolazione.

[61]    Anche tale disposizione deriva dall’approvazione del citato em. 7.700 e trae origine dall’esigenza di evitare qualsiasi forma di subordinazione delle attività di polizia giudiziaria delle polizie locali alle forze di polizia di Stato.

[62]    Si segnala che le innovazioni introdotte dall’articolo in esame erano prefigurate anche dal cd. “pacchetto Amato”, presentato nella scorsa legislatura alla Camera (A.C. 3278, art. 12), del quale non è iniziato l’esame.

[63]    L. 7 marzo 1986 n. 65, Legge-quadro sull'ordinamento della polizia municipale.

[64]   A norma dell'articolo 1 della legge n. 78 del 2000, recante la Delega al Governo in materia di riordino dell'Arma dei carabinieri, del Corpo forestale dello Stato, del Corpo della Guardia di finanza e della Polizia di Stato.

[65]    Il Comitato nazionale dell'ordine e della sicurezza pubblica, disciplinato dagli articoli 18 e 19 della legge n. 121/1981, già citata nel testo, è un organo ausiliario di consulenza del Ministro dell'interno per l'esercizio delle sue attribuzioni di alta direzione e di coordinamento in materia di ordine e sicurezza pubblica. Il Comitato è presieduto dal Ministro dell'interno ed è composto da un Sottosegretario di Stato per l'interno, designato dal Ministro con funzioni di vice presidente, dal capo della polizia-direttore generale della pubblica sicurezza, dal comandante generale dell'Arma dei carabinieri, dal comandante generale del Corpo della guardia di finanza, dal direttore generale dell’Amministrazione penitenziaria e dal dirigente generale capo del Corpo forestale dello Stato. Il Ministro dell'interno può richiamare a partecipare alle riunioni del Comitato: dirigenti generali del Ministero dell'interno, l'ispettore generale del Corpo delle capitanerie di porto, nonché altri rappresentanti dell'Amministrazione dello Stato e delle Forze armate, e può invitare alle stesse riunioni componenti dell'Ordine giudiziario, d’intesa con il procuratore competente. Il Comitato ha il compito di esaminare le questioni di carattere generale relative alla tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica e all'ordinamento ed organizzazione delle Forze di polizia ad esso sottoposte dal Ministro dell'interno, e deve esprimersi su determinati atti previsti dalla legge.

 

[66]   D.L. 18 gennaio 1993, n. 8, convertito con modificazioni dalla L. 68/1993, Disposizioni urgenti in materia di finanza derivata e di contabilità pubblica.

[67]   Art. 4 del D.L. 31 marzo 2005, n. 45, Disposizioni urgenti per la funzionalità dell'Amministrazione della pubblica sicurezza, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, L. 31 maggio 2005, n. 89.

[68]   L. 1 aprile 1981, n. 121, Nuovo ordinamento dell'Amministrazione della pubblica sicurezza.

[69]   L. 26 marzo 2001, n. 128, Interventi legislativi in materia di tutela della sicurezza dei cittadini.

[70]   Art. modificato dalla L. 10 ottobre 1986, n. 668, Modifiche e integrazioni alla legge 1° aprile 1981, n. 121, e relativi decreti di attuazione, sul nuovo ordinamento dell'Amministrazione della pubblica sicurezza e dal D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, Codice in materia di protezione dei dati personali.

[71]   D.P.R. 3 maggio 1982, n. 378, Approvazione del regolamento concernente le procedure di raccolta, accesso, comunicazione, correzione, cancellazione ed integrazione dei dati e delle informazioni, registrati negli archivi magnetici del centro elaborazione dati di cui all'art. 8 della legge 1° aprile 1981, n. 121.

[72]   Art. 10-bis del D.P.R. 378/1982: “1. (…) il personale della polizia municipale addetto ai servizi di polizia stradale in possesso della qualifica di agente di pubblica sicurezza, autorizzato dal comando, ufficio o servizio di appartenenza può accedere ai dati e alle informazioni contenute nello "schedario veicoli rubati" operante presso il centro elaborazione dati di cui al presente regolamento (…), per le finalità relative allo svolgimento dei servizi di polizia stradale ed alla prevenzione e repressione dei reati concernenti i veicoli ed i relativi contrassegni di identificazione.

      2. Le autorizzazioni all'accesso possono essere conferite in via permanente o per un periodo di tempo determinato, e sono comunicate all'Ufficio per il coordinamento e la pianificazione (…). La sospensione dal servizio e la sospensione o revoca della qualifica di agente di pubblica sicurezza comportano l'immediata decadenza dell'autorizzazione.”

[73]   D.P.R. 27 luglio 2004, n. 242, Regolamento per la razionalizzazione e la interconnessione delle comunicazioni tra Amministrazioni pubbliche in materia di immigrazione.

[74]   D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero.

[75]   D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 135, Disposizioni integrative della L. 31 dicembre 1996, n. 675, sul trattamento di dati sensibili da parte dei soggetti pubblici.

[76]   L. 1 aprile 1981, n. 121, Nuovo ordinamento dell'Amministrazione della pubblica sicurezza.

[77]   L. 14 luglio 1965, n. 963, Disciplina della pesca marittima.

[78]   L. 31 dicembre 1982, n. 979, Disposizioni per la difesa del mare.

[79]   D.P.R. 3 maggio 1982, n.378.

[80]    Senato della Repubblica, Commissioni 1° e 2° riunite, Resoconto sommario n. 3 del 4 giugno 2008.

[81]    Si ricorda che, nello scrutinio giurisdizionale sui presupposti della decretazione d'urgenza, la Corte costituzionale utilizza indici testuali, tra i quali l’epigrafe e il preambolo del provvedimento, la relazione illustrativa del d.d.l. di conversione, il resoconto del dibattito parlamentare (vedi le sentenze 128/2008 e 171/2007).

[82]    Circolare della Presidenza del Consiglio dei ministri del 20 aprile 2001, cap. 3, lett. e): “Non si ricorre all’atto legislativo per apportare modifiche frammentarie ad atti non aventi forza di legge, al fine di evitare che questi ultimi presentino un diverso grado di resistenza ad interventi modificativi successivi”.

[83]    Proposta di direttiva Com(2005)391 approvata dal Parlamento europeo il 18 giugno 2008.

[84]    Art. 14, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero.

[85]    D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, Attuazione della direttiva 2005/85/CE recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato.

[86]    D.Lgs. 6 febbraio 2007, n. 30, Attuazione della direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri.

[87]    Commissione per le verifiche e le strategie dei centri per gli immigrati, Rapporto conclusivo, 31 gennaio 2007, p. 25.

[88]    I provvedimenti sono stati adottati con due direttive del Ministro dell’interno del 24 aprile 2007.

[89]    Direttiva del Ministro dell’interno e del Ministro della giustizia 24 luglio 2007.

[90]    Ministero dell’interno, comunicato stampa del 27 maggio 2008, www.interno.it).

 

[91]   In tali ipotesi le funzioni di pubblico ministero sono esercitate nelle indagini preliminari e nei procedimenti di primo grado dall’ufficio del pubblico ministero presso il tribunale del capoluogo di distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente.

[92]   In particolare, l'associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri, ovvero al fine di impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a sé o ad altri in occasione di consultazioni elettorali.

[93]   Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza.

[94]   Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale.

[95]   In tali casi le funzioni di pubblico ministero sono affidate al pubblico ministero presso il tribunale del capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente.

[96]   Modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356.

[97]   Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità.

[98]   In particolare, il questore avvisa oralmente la persona che esistono sospetti a suo carico, indicando i motivi che li giustificano e la invita a tenere una condotta conforme alla legge, redigendo il processo verbale dell'avviso al solo fine di dare allo stesso data certa.

[99]   Disposizioni a tutela dell'ordine pubblico.

[100]Misure urgenti per il coordinamento della lotta contro la delinquenza mafiosa, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 ottobre 1982, n. 726.

[101]Disposizioni urgenti per il coordinamento delle attività informative e investigative nella lotta contro la criminalità organizzata, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 1991, n. 410.

[102]In particolare, la relazione afferma che "L'indissolubile relazione che la norma fissa tra la pericolosità del soggetto e la possibilità di sottoporre a confisca i patrimoni nella sua disponibilità espone, dunque, i provvedimenti ablatori dei patrimoni alle sorti dei provvedimenti giudiziari concernenti la pericolosità sociale del soggetto stesso. Appare, pertanto opportuno procedere a modifiche normative nel senso della separazione tra le misure di prevenzione personali e le misure patrimoniali, al fine di prevenire che provvedimenti modificativi della misura di prevenzione concernente il soggetto travolgano le misure patrimoniali disposte sui beni di cui è stata accertata la provenienza illecita e che in ragione di tale accertata illecita provenienza sono dotati di una perdurante pericolosità e di un insito potere destabilizzante per l'economia lecita. Questo renderebbe possibile, innanzitutto, che, in caso di morte del proposto, il procedimento di prevenzione patrimoniale continui nei confronti degli eredi quali beneficiari di un illecito arricchimento. In sintesi, si immagina una sorta di "perdurante illiceità dei beni" strettamente connessa alla formazione degli stessi".

[103]Tale provvedimento deve essere convalidato nei dieci giorni successivi dal tribunale, pena l’inefficacia. Nei casi ordinari, il secondo comma dell’art. 2-ter stabilisce che, salvo quanto disposto dagli articoli 22, 23 e 24 della legge 22 maggio 1975, n. 152, il tribunale, anche d'ufficio, ordina con decreto motivato il sequestro dei beni dei quali la persona nei cui confronti è iniziato il procedimento risulta poter disporre, direttamente o indirettamente, quando il loro valore risulta sproporzionato al reddito dichiarato o all'attività economica svolta ovvero quando, sulla base di sufficienti indizi, si ha motivo di ritenere che gli stessi siano il frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego.

[104]Ai sensi del comma 1 dell’articolo 3-quater tali misure possono essere adottate quando, a seguito degli accertamenti di cui all'articolo 2-bis o di quelli compiuti per verificare i pericoli di infiltrazione da parte della delinquenza di tipo mafioso, ricorrono sufficienti indizi per ritenere che l'esercizio di determinate attività economiche, comprese quelle imprenditoriali, sia direttamente o indirettamente sottoposto alle condizioni di intimidazione o di assoggettamento previste dall'articolo 416-bis del codice penale o possa, comunque, agevolare l'attività delle persone nei confronti delle quali è stata proposta o applicata una delle misure di prevenzione, ovvero di persone sottoposte a procedimento penale per taluno dei delitti indicati nel comma 2, e non ricorrono i presupposti per l'applicazione delle misure di prevenzione.

[105]In particolare, il comma 5 del citato art. 3-quater stabilisce che tale misura può essere richiesta al tribunale, quando vi sia concreto pericolo che i beni sottoposti al provvedimento di sospensione temporanea dell’amministrazione vengano dispersi, sottratti o alienati. Il sequestro è disposto per un periodo non superiore a 6 mesi, rinnovabile una sola volta. Ai sensi del comma 2 dello stesso articolo il tribunale dispone la sospensione temporanea dall'amministrazione dei beni utilizzabili, direttamente o indirettamente, per determinate attività economiche, quando ricorrono sufficienti elementi per ritenere che il libero esercizio delle stesse agevoli l'attività delle persone nei confronti delle quali è stata proposta o applicata una misura di prevenzione, ovvero di persone sottoposte a procedimento penale per taluno dei delitti previsti dagli artt. 416-bis (Associazione di tipo mafioso), 629 (Estorsione), 630 (Sequestro di persona a scopo di estorsione), 644 (Usura), 648-bis (Riciclaggio) e 648-ter (Impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita) del codice penale.

[106] Il Consiglio aggiorna le priorità ogni due anni. Il prossimo documento in questo senso è atteso per il 2009.

[107] La comunicazione della Commissione (COM(2005)124-1), istitutiva del programma quadro Sicurezza e tutela delle libertà, è stata presentata il 6 aprile 2005.

[108]Modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356.

[109]Pubblicato nella G.U. n. 98 del 28 aprile 1990.

[110]Disposizioni a tutela dell'ordine pubblico.

[111]Norme di attuazione della XII disposizione transitoria e finale (comma primo) della Costituzione.

[112]Nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione di pericolosità sociale.

[113]La norma statuisce inoltre che agli stessi soggetti possono essere applicate le disposizioni dell'art. 22 della legge 152/1975, che prevedono, congiuntamente o disgiuntamente alla misura di prevenzione, la possibilità di sospensione provvisoria dall'amministrazione dei beni personali.

[114]Norme in materia di misure di prevenzione personali.

[115]Ai sensi del citato art. 110-bis, il procuratore nazionale antimafia può applicare temporaneamente alle procure distrettuali i magistrati appartenenti alla Direzione nazionale antimafia e quelli appartenenti alle direzioni distrettuali antimafia nonché, con il loro consenso, magistrati di altre procure della Repubblica presso i tribunali, con riferimento a procedimenti di cui all’articolo 51, comma 3-bis, c.p.p.:

a) che siano di particolare complessità o richiedano specifiche esperienze e competenze professionali.

b) quando sussistano protratte vacanze di organico,

c) in caso di inerzia nella conduzione delle indagini ovvero di specifiche e contingenti esigenze investigative o processuali.

L'applicazione è disposta con decreto motivato, sentiti i procuratori generali e i procuratori della Repubblica interessati. Quando si tratta di applicazioni alla procura distrettuale avente sede nel capoluogo del medesimo distretto, il decreto è emesso dal procuratore generale presso la corte di appello. In tal caso il provvedimento è comunicato al procuratore nazionale antimafia (comma 1). L'applicazione non può superare la durata di 1 anno e può essere rinnovata per un periodo non superiore a un ulteriore anno (comma 2). Il decreto è immediatamente esecutivo ed è trasmesso senza ritardo al C.S.M. e al Ministro della giustizia (comma 3). Il capo dell'ufficio al quale il magistrato è applicato non può designare il medesimo per la trattazione di affari diversi da quelli indicati nel citato decreto (comma 4).

[116]Le aggravanti ricorrono: a) nei casi in cui le sostanze stupefacenti e psicotrope sono consegnate o comunque destinate ad un minore; b) nei casi di concorso di più di 5 persone, per i promotori e organizzatori del reato, per chi ha determinato al reato persone a lui soggette in virtù di poteri di autorità, direzione e vigilanza (art. 112 c.p., primo comma, nn. 1, 2 e 3); c) per chi ha indotto a commettere o a cooperare nella commissione del reato, persona dedita all'uso di sostanze stupefacenti; d) se il fatto è stato commesso da persona armata o travisata; e) se le sostanze stupefacenti sono adulterate o commiste ad altre in modo che ne risulti accentuata la potenzialità lesiva; f) se l'offerta o la cessione è finalizzata ad ottenere prestazioni sessuali da parte di persona tossicodipendente; g) se l'offerta o la cessione è effettuata all'interno o in prossimità di scuole di ogni ordine o grado, comunità giovanili, caserme, carceri, ospedali, strutture per la cura e la riabilitazione dei tossicodipendenti. Ricorre, inoltre, l’aggravante se il fatto riguarda quantità ingenti di sostanze stupefacenti o se il colpevole, per commettere il delitto o per conseguirne per sé o per altri il profitto, il prezzo o l'impunità, ha fatto uso di armi.

[117]Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni.