Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento istituzioni
Titolo: Insequestrabilità di opere d'arte prestate da uno Stato estero durante l'esposizione in Italia A.C. 4432-Nuovo testo - Elementi per la valutazione degli aspetti di legittimità costituzionale
Riferimenti:
AC N. 4432/XVI     
Serie: Note per la I Commissione affari costituzionali    Numero: 346
Data: 20/12/2011
Descrittori:
BENI CULTURALI ED ARTISTICI   ESPOSIZIONI E MOSTRE
IMPIGNORABILITA' E INSEQUESTRABILITA'   OPERE D'ARTE
Organi della Camera: I-Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni

 

20 dicembre 2011

 

n. 346

Insequestrabilità di opere d’arte prestate da uno Stato estero durante l’esposizione in Italia

A.C. 4432-Nuovo testo

Elementi per la valutazione degli aspetti di legittimità costituzionale

 

Numero del progetto di legge

4432

Titolo

Disposizioni in materia di insequestrabilità delle opere d'arte prestate da uno Stato, da un ente o da un'istituzione culturale stranieri, durante la permanenza in Italia per l'esposizione al pubblico

Iniziativa

Parlamentare

Iter al Senato

Numero di articoli

1

Date:

 

adozione quale testo base

9 novembre 2011

richiesta di parere

 

Commissione competente

VII Cultura

Sede e stato dell’iter

Concluso esame in sede referente

Iscrizione nel programma dell’Assemblea

No

 

 


Contenuto

Il progetto di legge A.C. 4432, già approvato dal Senato[1], - il cui contenuto era pressoché simile a quello degli A.C. 1937 e 3832, abbinati - era volto a garantire, con alcune eccezioni, l’insequestrabilità delle opere d’arte prestate all’Italiaper esposizioni temporanee. Costituiva dunque una deroga ai principi generali del diritto penale interno.

Durante l’esame in Commissione, l’articolo 1 è stato completamente riformulato.

Il nuovo testo prevede il rilascio di una garanzia di restituzione con decreto interministeriale, allo scopo di semplificare l’importazione temporanea di beni culturali destinati ad esposizioni e mostre presso musei o altre istituzioni culturali italiane.

Il titolo non corrisponde più, dunque, al contenuto del nuovo testo.

 

Preliminarmente, appare opportuno ricordare che la circolazione dei beni culturali in ambito internazionale è disciplinata dal Capo V del Codice dei beni culturali e del paesaggio[2]”. In particolare, l’art. 64-bis, chiarendo il principioispiratore dell’intero Capo V, specifica che il controllo sulla circolazione è finalizzato a preservare l'integrità del patrimonio culturale in tutte le sue componenti; è esercitato “nel rispetto degli indirizzi e dei vincoli fissati in ambito comunitario, nonché degli impegni assunti mediante la stipula e la ratifica di Convenzioni internazionali” e costituisce funzione di preminente interesse nazionale[3].

In particolare, gli aspetti che in questa sede appaiono più interessanti riguardano l’ingresso nel territorio nazionale di beni culturali di altri paesi, la disciplina in materia di restituzione, nell’ambito della UE, di beni illecitamente usciti dal territorio di uno Stato membro, nonché la disciplina in materia di interdizione della illecita circolazione internazionale dei beni culturali.

Sotto il primo profilo, l’art. 72 del Codice dispone che l’ingresso nel territorio nazionale di beni culturali di altri Paesideve essere certificato, a domanda, dall'ufficio di esportazione. Non si distingue tra ingresso a carattere temporaneo o definitivo, mentre si distingue tra certificato di avvenuta spedizione,per beni provenienti da Paesi dell’UE,e certificato di importazione, per beni provenienti da un paese terzo. Entrambi i certificati sono rilasciati sulla base di documentazione idonea ad identificare il bene e a comprovarne la provenienza dal territorio del Paese dai quali lo stesso è stato spedito o importato e, ai fini del rilascio, non è ammessa la produzione, da parte degli interessati, di atti di notorietà o di dichiarazioni sostitutive. La validità dei certificati è quinquennale, prorogabile a domanda. I criteri per il rilascio e la proroga “con particolare riguardo all’accertamento della provenienza del bene spedito o importato” sono definiti con DM (che, ad oggi, non risulta intervenuto).

 

Quanto al secondoaspetto, gli artt. 75-86 - che recepiscono la direttiva CEE 93/7/CEE,come modificata dalle direttive 96/100/CE e 2001/38/CE - disciplinano il procedimento di restituzione dei beni culturali usciti illecitamente da uno Stato UE, intendendo come tali quelli qualificati, anche dopo la loro uscita dal territorio di uno Stato membro in applicazione delle disposizioni ivi vigenti, come appartenenti al patrimonio culturale nazionale.

La restituzione è ammessa:

- per i beni indicati nell’allegato A della direttiva citata[4];

- per i beni che, pur non rientrando nelle categorie indicate nell’all. A, sono inventariati come appartenenti a collezioni pubbliche museali, archivi e fondi di conservazione di biblioteche o sono inclusi in inventari ecclesiastici.

Si considera illecita l'uscita dei beni da uno Stato membro in violazione della legislazione di quest’ultimo sulla protezione del patrimonio culturale nazionale o del regolamento CEE; l’illiceità si estende, inoltre, al mancato rientro dei beni alla scadenza del provvedimento che autorizza la spedizione temporanea ed alla violazione di prescrizioni recate dal medesimo (art. 75).

L'azione di restituzione è proposta dallo Stato richiedente davanti all’autorità giudiziaria ordinaria dello Stato richiesto e si conclude, in caso di accoglimento, con la restituzione del bene; l’atto di citazione viene notificato, oltre che al possessore/detentore del bene, al Ministero per i beni e le attività culturali che redige apposito registro delle domande giudiziali di restituzione (art. 77)[5].

Il ministero è tenuto a fornire assistenza e collaborazione agli Stati UE (art. 76) attraverso i suoi organi periferici (Soprintendenze) e con la cooperazione di altri organi dello Stato, regioni ed enti pubblici territoriali; in questo quadro è prevista, tra l’altro, l’esecuzione di ricerche volte alla localizzazione di un bene e la notifica allo Stato interessato del ritrovamento nel territorio nazionale di un bene culturale la cui illecita uscita da uno Stato membro possa presumersi per indizi precisi. Sono infine attivate procedure informative e di collaborazione con i Paesi UE e sono previste la costituzione presso il Ministero di una banca dati dei beni illecitamente sottratti e obblighi informativi alla Commissione europea e al Parlamento italiano (artt.84-86)[6].

 

L’interdizione della circolazione illecita di beni culturali in ambito internazionale, relativamente ai Paesi non appartenenti alla UE, è disciplinata dagli artt. 87 e 87-bis che prevedono che restino ferme la Convenzione UNIDROIT,sul ritorno internazionale dei beni culturali rubati o illecitamente esportati, adottata a Roma il 24 giugno 1995, e la Convenzione Unesco, adottata a Parigi il 14 novembre 1970, per contrastare gli illeciti in materia di importazione, esportazione e trasferimento di proprietà dei beni culturali, per i beni in esse indicati.

La Convenzione Unesco (art. 87-bis) ha formulato i principi fondamentali per la protezione e per il trasferimento dei beni culturali. Essa ha definito, innanzitutto, beni culturali quelli che da ciascuno Stato sono designati come importanti per l’archeologia, la storia, la letteratura, l’arte, la scienza e che appartengono alle categorie specificamente indicate (art. 1)[7]. Ha, inoltre, previsto l’istituzione di un certificato di esportazione che legittimi l’uscita di un bene dal territorio di uno Stato (art. 6).

Per quanto concerne la sfera di applicazione, la Convenzione haimpegnato gli Stati contraenti a (art. 7):

- impedire l’acquisizione, da parte di musei e istituzioni similari, di beni culturali provenienti daunaltro Stato parte della Convenzione, esportati illecitamente dopo la sua entrata in vigore;

- proibire l’importazione di beni culturali rubati inun museo o inun monumento pubblico civile o religioso,o in una istituzione similare, nel territorio di un altro Stato parte della Convenzione, a condizione che venga provato che tali beni sianoda esso già inventariati;

- recuperare e restituire,su richiesta dello Stato d’origine parte della Convenzione, qualsiasi bene culturale rubato e importato dopo la sua entrata in vigore, corrispondendo un equo indennizzo al possessore in buona fede.

L’art. 15 della Convenzione, comunque, precisa che la stessa Convenzione non impedisce agli Stati parte di concludere tra di essi accordi particolari o di proseguire l’esecuzione di accordi già conclusi concernenti la restituzione di beni culturali esportati prima dell’entrata in vigore della Convenzione per gli Stati interessati.

La Convenzione è stata ratificata con L. 30 ottobre 1975, n. 873.

La Convenzione Unidroit (art. 87), intervenuta per colmare alcune carenze della Convenzione Unesco[8], si applica alle richieste di carattere internazionale volte ad ottenere la restituzione di beni culturali rubati o esportati illecitamente dal territorio di uno Stato contraente (art. 1). I beni culturali considerati (art. 2 e Annesso 1) sono sostanzialmente quelli già previsti all’art. 1 della Convenzione UNESCO, ma non è più richiesta la condizione della previa designazione del bene da parte degli Stati.

I beni culturali rubati devono essere restituiti. Si prescrive l’obbligatorietà dell’atto e sono fissati i termini di prescrizione della richiesta di restituzione[9] (artt. 3-4).

Il ritorno dei beni illecitamente esportati (ai quali sono assimilati i beni temporaneamente esportati a fini di esposizione, ricerca o restauro, ma non riconsegnati alla scadenza del termine di autorizzazione) può essere richiesto solo da un’autorità statale ed è ordinato dal giudice o da altra autorità competente dello Stato convenuto, qualora lo Stato richiedente dimostri che l'illecita uscita del bene culturale dal proprio territorio ha pregiudicato determinati interessi legati alla conservazione del bene stesso, oppure che quest’ultimo riveste importanza culturale significativa (artt.5-7).

La procedura di restituzione - che nella Convenzione Unesco non è disciplinata - sia nel caso di furto che di esportazione illegale prevede il diritto ad un equo indennizzo al possessore in buona fede.

Le richieste di restituzione sono ammesse a condizione che il furto o l’esportazione illecita sia avvenuto dopo che la Convenzione è entrata in vigore in entrambi gli Stati contraenti implicati. Tuttavia, la stessa Convenzione non legittima in alcun modo un'operazione illecita di qualunque natura che ha avuto luogo prima della sua entrata in vigore, né limita il diritto di uno Stato o di ogni altra persona di intentare, al di là della Convenzione, un'azione per la restituzione o il ritorno di un bene culturale rubato o illecitamente esportato prima della sua entrata in vigore (art. 10).

Nell’art. 13 si specifica che la Convenzione non deroga alle norme internazionali vincolanti per ogni Stato contraente e che contengono disposizioni sulle materie regolate dalla Convenzione stessa.

Ai sensi dell’art. 16, gli Stati contraenti devono dichiarare la procedura da seguire nei loro confronti per la presentazione delle domande di ritorno o di restituzione.

 

Si segnala che, ai sensi dell’art. 2 della legge di ratifica (L. 7 giugno 1999, n. 213), l'Italia assicura, a condizione di reciprocità, agli altri Stati contraenti la cooperazione amministrativa necessaria per portare a termine la procedura di restituzione. Ai sensi dell’art. 3 della legge – che si ricollega all’art. 16 della Convenzione - , la domanda di restituzione o di ritorno si propone dinanzi al tribunale del luogo in cui si trova il bene. Infine, in base all’art. 7 - che si ricollega all’art. 13 della Convenzione -, le disposizioni della stessa Convenzione non si applicano nei rapporti con gli Stati contraenti membri dell’UE regolati dalla direttiva 93/7/CEE.

Da ultimo, si evidenzia che secondo una certa impostazione giurisprudenziale, l’obbligo di restituzione di beni culturali rubati o illecitamente esportati sarebbe sancito dal diritto internazionale generale: in particolare, esso risulterebbe garantito da una norma di diritto internazionale consuetudinario, suscettibile, come tale, di assumere rilievo per il nostro ordinamento attraverso il disposto dell’art. 10, primo comma, Cost. (cfr. Consiglio di Stato, VI sezione, 23 giugno 2008, n. 3154).

 

Il nuovo testo fa, anzitutto, salvo quanto disposto dalle norme e dai trattati internazionali, nonché dalla normativa comunitaria (evidentemente, in materia di circolazione di beni culturali a livello internazionale o all’interno della UE), stabilendo che al fine, ante evidenziato, di semplificarne l’importazione temporanea, il Ministero per i beni e le attività culturali, su richiesta dell’istituzione culturale che riceve in prestito il bene, può rilasciare al soggetto straniero che concede lo stesso bene una garanzia di restituzione. La domanda per l’ottenimento della garanzia di restituzione è formulata secondo modalità definite con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali, da adottare entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge.

Qualora non rinvenga incompatibilità con le disposizioni internazionali o comunitarie, il Ministero per i beni e le attività culturali, di concerto con il Ministero degli affari esteri (rectius, in entrambi i casi: il Ministro), adotta uno o più decreti, definendo la garanzia di restituzione, descrivendo il bene e indicando la provenienza dello stesso, il periodo di esposizione in Italia, i soggetti autorizzati all’esposizione. Questi ultimi ricevono il bene in affidamento e si impegnano a restituirlo all’ente o istituzione straniera che lo ha messo a disposizione.

La garanzia di restituzione può essere prestata a condizione che fino al momento di emanazione del decreto non sia stato fatto valere ufficialmente un titolo di proprietà sul bene e che nel contratto di prestito sia esplicitamente indicato che a conclusione dell’esposizione i beni torneranno nello Stato da cui sono stati prestati.

 

Alla luce del quadro normativo vigente, ante esposto (art. 72 del d.lgs. 42/2004), che distingue fra spedizione - per i beni provenienti da Paesi UE- e importazione - per i beni provenienti da un paese terzo -, occorrerebbe chiarire l’ambito oggettivo di riferimento. Da un lato, infatti, si prevede il rispetto anche della normativa comunitaria, dall’altro si utilizza l’espressione “importazione”.

Occorrerebbe, inoltre, chiarire la connessione fra le competenze attribuite dalla normativa vigente all’ufficio di esportazione – in particolare in materia di identificazione del bene e di verifica della provenienza dello stesso dal Paese dal quale lo stesso è stato spedito o importato (sia pur sulla base di criteri che devono essere definiti con un decreto ministeriale allo stato non intervenuto) – e le stesse competenze attribuite al Ministro per i beni e le attività culturali, di concerto con il Ministro degli affari esteri, con riferimento a ciascuna esposizione.

Occorrerebbe, altresì, coordinare quanto prevede il comma 1 in termini di facoltà accordata al Ministro (può… rilasciare) e quanto prevede come obbligo, al verificarsi delle circostanze indicate, il comma 3.

Infine, occorrerebbe chiarire se l’accordo di prestito debba essere sempre raggiunto con uno Stato estero (come farebbe pensare il comma 4), ovvero se il prestito possa essere concesso da parte di enti o istituzioni straniere, come letteralmente previsto al comma 1.

 

In linea generale, occorrerebbe valutare l’inserimento delle nuove disposizioni normative nell’ambito del codice per i beni e le attività culturali, attraverso novella, poiché integrative dello stesso.

 

 

Relazioni allegate

La pdl era corredata di relazione illustrativa.

Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite

Le disposizioni sono riconducibili alle materie «politica estera e rapporti internazionali dello Stato» e «ordinamento civile», la cui disciplina è riservata dalle lettere a) ed l) dell’art. 117, secondo comma, Cost., alla competenza legislativa esclusiva dello Stato.

Rileva, inoltre, poiché nella sostanza si integrano le disposizioni del Codice dei beni culturali, la materia valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali che, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost., rientra tra le materie di legislazione concorrente.

 

 

Collegamento con lavori legislativi in corso

Non risultano lavori legislativi in corso sulla materia.

 

 

Attribuzione di poteri normativi

Il comma 2 prevede l’emanazione di un decreto ministeriale. Il comma 3 prevede l’emanazione di decreti interministeriali per ogni mostra o esposizione per la quale sia richiesta la garanzia di restituzione.

 

 

Formulazione del testo

Al comma 1, potrebbe valutarsi di sostituire le parole da “Fermo restando” fino a “di carattere bilaterale” con la locuzione, mutuata dall’art. 120, secondo comma, Cost., “Fermo restando quanto disposto dalle norme e dai trattati internazionali e dalla normativa comunitaria”. Alle stesse norme e trattati potrebbe farsi riferimento nel comma 3.

Allo stesso comma 3: alla lett. a), non sembra necessario fare riferimento ai commi 2 e 4; alla lett. b), non sembra opportuno parlare di “lista descrittiva”, poiché potrebbe trattarsi di un solo bene: più appropriato sembrerebbe il termine “descrizione”, che comunque andrebbe coordinato con il verbo utilizzato nel capoverso.

 

 


 

 

 

Servizio Studi – Dipartimento Istituzioni e Cultura

( 066760-9475 – *st_istituzioni@camera.it

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File: Cost346-AC4432.doc



[1]    A.S. 996, al quale era abbinato l’A.S. 747, assorbito in sede di approvazione finale: esso riproduce, con alcune modifiche introdotte nel corso dell’iter, il testo dell’A.C. 2811-A, del quale la VII Commissione della Camera aveva concluso l’esame in sede referente nel corso della XIV legislatura.

[2]   D.lgs. 42/2004. Il Capo V del Codice è stato integrato dal D.lgs. 62/2008, allo scopo di chiarire i rapporti tra diritto italiano da una parte e diritto internazionale e diritto comunitario dall'altra: si veda F. Lafarge, “La circolazione internazionale dei beni culturali dopo le modifiche al Codice”, Aedon, n. 1/2009 http://www.aedon.mulino.it/archivio/2009/1/lafarge.htm.

[3]   Il medesimo articolo dispone, infine, che, sotto il profilo della circolazione internazionale, i beni costituenti il patrimonio culturale non sono assimilabili a merci. E’ stato osservato, peraltro (F. Lafarge, Aedon, n. 1/2009, art. citato), che tale nozione è contraria al diritto comunitario e al  diritto internazionale vigenti, per i quali i beni culturali sono merci alle quali è però riconosciuto un regime particolare.

[4]   Reperti archeologici, monumenti e libri aventi più di 100 anni, carte geografiche stampate aventi più di 200 anni, archivi e supporti aventi più di 50 anni, mezzi di trasporto aventi più di 75 anni, quadri, pitture, mosaici e stampe fatti interamente a mano, incisioni, fotografie, film, incunaboli e manoscritti, comprese le carte geografiche e gli spartiti musicali, collezioni ed esemplari provenienti da collezioni di zoologia, botanica, mineralogia, anatomia, collezioni aventi interesse storico, paleontologico, etnografico o numismatico, nonché altri oggetti di antiquariato aventi più di 50 anni. Per tutti gli elementi indicati, la direttiva è applicabile solo se il loro valore è almeno pari a quello previsto dalla stessa direttiva, allegato, parte B.

[5]   Sono inoltre fissati i termini di decadenza e prescrizione dell’azione di restituzione, rispettivamente - salvo alcune eccezioni - un anno dal momento in cui lo Stato richiedente individua la localizzazione del bene culturale e trenta anni dalla data dell’uscita illecita. In determinate condizioni, lo Stato cui appartiene il bene culturale può liquidare un indennizzo a chi ne ha acquisito il possesso (artt. 78-80).

[6]    L’ultima relazione, datata 29 luglio 2010, è allegata, come di consueto, allo stato di previsione del MIBAC nel ddl di bilancio per il 2011 (A.C. 3779, Tabella XIII, pag. 365).

[7]   Si tratta di: collezioni ed esemplari rari di flora, fauna, mineralogia, anatomia; oggetti di interesse paleontologico; beni inerenti alla storia, compresa la storia delle scienze e della tecnica; prodotti di scavi archeologici (regolari e clandestini) e di ritrovamenti archeologici; elementi provenienti dallo smembramento di monumenti; oggetti di antiquariato aventi oltre 100 anni (come iscrizioni, monete e sigilli incisi); materiale etnologico; beni di interesse artistico, quali quadri, dipinti e disegni fatti interamente a mano, produzioni originali dell'arte statuaria e della scultura, incisioni, stampe e litografie originali, assemblaggi e montaggi artistici originali in qualunque materia, manoscritti rari ed incunaboli, libri, documenti e pubblicazioni antichi d'interesse particolare, francobolli, marche da bollo e simili, archivi, compresi gli archivi fotografici, fotografici e cinematografici, oggetti d'arredo di oltre cent'anni di età e strumenti musicali antichi.

[8]    Come si è visto, la Convenzione Unesco limita il proprio ambito di applicazione agli oggetti provenienti da musei o da istituzioni analoghe e figuranti nei relativi inventari. Inoltre, prescrive  un diritto all'indennizzo dell'acquirente in buona fede, ma non ne disciplina la procedura. Lo stesso accade per quanto riguarda l'esportazione illecita.

[9]    In linea di massima, tre anni dal momento in cui il richiedente è venuto a conoscenza sia dell'ubicazione dell'oggetto rubato, sia dell'identità del suo possessore e, in ogni caso, 50 anni dalla data del furto; quest’ultima condizione è esclusa per i beni facenti parte integrante di un monumento, un sito archeologico, una collezione pubblica.