Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento cultura
Titolo: Revisione della normativa in materia di diritto allo studio e valorizzazione dei collegi universitari legalmente riconosciuti - Schema di D.Lgs. n. 436 (art. 5, commi 1, lett. a) e d), 3, lett. f), 6 e 7, L. 240/2010) - Schede di lettura
Riferimenti:
SCH.DEC 436/XVI     
Serie: Atti del Governo    Numero: 388
Data: 06/03/2012
Descrittori:
DIRITTO ALLO STUDIO   L 2010 0240
UNIVERSITA'     
Organi della Camera: VII-Cultura, scienza e istruzione
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Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di
Atti del Governo

Revisione della normativa in materia di diritto allo studio e valorizzazione dei collegi universitari legalmente riconosciuti

Schema di D.Lgs. n. 436

(art. 5, commi 1, lett. a) e d), 3, lett. f),
6 e 7, L. 240/2010)

Schede di lettura

 

 

 

 

 

n. 388

 

 

 

6 marzo 2012

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Cultura

( 066760-3255 – * st_cultura@camera.it

 

 

 

 

 

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File: CU0405.doc


INDICE

Premessa  1

Il quadro normativo di riferimento  5

Schede di lettura

§      Articoli 1, 2, 4 e 5 (Definizioni, finalità e principi, destinatari, libertà di scelta)15

§      Articolo 3 (Attribuzioni e compiti dello Stato, delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano, delle università e delle istituzioni per l’alta formazione artistica e musicale)21

§      Articoli 6 e 7 (Strumenti e servizi per il conseguimento del successo formativo e definizione dei livelli essenziali delle prestazioni)29

§      Articolo 8 (Requisiti di eleggibilità per l’accesso ai LEP)37

§      Articolo 9 (Graduazione dei contributi per la frequenza ai corsi di livello universitario ed esoneri dalle tasse e dai contributi)41

§      Articoli 10 (Controllo della veridicità delle dichiarazioni)47

§      Articolo 11 (Attività a tempo parziale degli studenti)49

§      Articolo 12 (Raccordo fra istituzioni e accordi per la sperimentazione di modelli innovativi)51

§      Articoli 13 e 14 (Tipologie di strutture residenziali destinate agli studenti universitari e utenti)53

§      Articoli 15, 16 e 17 (Collegi universitari: definizione, riconoscimento, accreditamento)61

§      Articoli 18 e 19 (Sistema di finanziamento e disponibilità finanziaria)69

§      Articoli 20, 21 e 22 (Monitoraggio sull’attuazione del diritto allo studio)79

§      Articoli 23 e 24 (Norme finali e abrogazioni)81

Normativa di riferimento

§      L. 2 dicembre 1991, n. 390. Norme sul diritto agli studi universitari87

§      L. 14 novembre 2000, n. 338. Disposizioni in materia di alloggi e residenze per studenti universitari99

§      D.P.C.M. 9 aprile 2001. Disposizioni per l'uniformità di trattamento sul diritto agli studi universitari, a norma dell'art. 4 della L. 2 dicembre 1991, n. 390  103

Documentazione

Camera dei deputati, Rapporto sull’attuazione del diritto agli studi universitari (Anni 1992-1996). Doc. CXXXVIII, n. 1, trasmesso il 2 giugno 1998  127

Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, L’università in cifre 2009-2010 (settembre 2011)153

§      Le risorse dell’università. Le borse di studio rappresentano l’intervento più rilevante di diritto allo studio  153

§      Le risorse dell’università. Il 60% delle domande di alloggio viene soddisfatto  156

§      L’alta formazione artistica e musicale. Le famiglie spendono oltre 47 milioni di euro per l’istruzione negli istituti AFAM   158

Conferenza delle Regioni e delle Province autonome 12/23/CSR1/C9  161

 

 


SIWEB

Premessa

Lo schema di decreto legislativo – deliberato in via preliminare dal Consiglio dei Ministri l’11 novembre 2011 – è predisposto in attuazione della delega prevista dall’art. 5, comma 1, lettere a), secondo periodo, e d), della L. 30 dicembre 2010, n. 240, e dei criteri direttivi di cui ai commi 3, lettera f), e 6, nell’ambito degli interventi volti ad incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitario.

In particolare, l’art. 5 della L. 240/2010 prevede che il Governo debba adottare, entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi, finalizzati alla riforma di differenti aspetti del sistema universitario, tra cui: la “valorizzazione dei collegi universitari legalmente riconosciuti, ivi compresi i collegi storici, mediante la previsione di una apposita disciplina per il riconoscimento e l’accreditamento degli stessi anche ai fini della concessione del finanziamento statale” (comma 1, lett. a), secondo periodo); la ’’revisione, in attuazione del titolo V della parte II della Costituzione, della normativa di principio in materia di diritto allo studio, al fine di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano l’accesso all’istruzione superiore, e contestuale definizione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) erogate dalle università statali” (comma 1, lett. d)).

 

Ai sensi del comma 7, lo schema concernente il diritto allo studio è adottato previa intesa con la Conferenza Stato-regioni. Quest’ultima non è intervenuta alla data di presentazione dello schema alle Camere e il Governo si è, quindi, riservato di trasmetterla.

Si evidenzia, tuttavia, che nella seduta della Conferenza del 22 febbraio scorso le regioni hanno presentato alcune proposte al Governo, subordinando l’espressione dell’intesa all’accoglimento di alcuni emendamenti.Il testo è stato pubblicato sul sito www.regioni.it (sezione “conferenze”[1]) ed è inserito in questo dossier, nella sezione Documentazione.

 

I principi e criteri direttivi per garantire la valorizzazione dei collegi universitari legalmente riconosciuti - qualificati strutture a carattere residenziale, di rilevanza nazionale, di elevata qualificazione culturale, che assicurano agli studenti servizi educativi, di orientamento e di integrazione dell’offerta formativa degli atenei - sono così individuati:

§      previsione di requisiti e standard minimi, a carattere istituzionale, logistico e funzionale, necessari per il riconoscimento da parte del MIUR;

§      successivo accreditamento riservato ai collegi legalmente riconosciuti da almeno cinque anni;

§      accesso ai finanziamenti statali riservato ai collegi accreditati.

Infine, si stabilisce che il decreto legislativo in materia contenga il rinvio ad un decreto ministeriale che definirà la disciplina delle procedure di iscrizione, delle modalità di verifica del permanere dei requisiti richiesti e delle modalità di accesso ai finanziamenti statali riservati ai collegi accreditati (comma 3, lett. f).

Conclusivamente, quindi, le disposizioni citate hanno introdotto il sistema di accreditamento per i collegi universitari, subordinando a quest’ultimo l’assegnazione dei finanziamenti statali.

 

I principi e criteri direttivi ai fini dell’esercizio della delega in materia di diritto allo studio sono i seguenti (comma 6):

§      definire i LEP (che, come si è detto, in base al comma 1, lettera d), riguardano le prestazioni erogate dalle università statali), anche con riferimento ai requisiti di merito ed economici, in modo da assicurare gli strumenti ed i servizi, quali borse di studio, trasporti, assistenza sanitaria, ristorazione, accesso alla cultura, alloggi, già disponibili a legislazione vigente, per il conseguimento del pieno successo formativo degli studenti dell’istruzione superiore e rimuovere gli ostacoli di ordine economico, sociale e personale che limitano l’accesso ed il conseguimento dei più alti gradi di istruzione superiore agli studenti capaci e meritevoli, ma privi di mezzi (lett. a));

§      garantire agli studenti la più ampia libertà di scelta in relazione alla fruizione dei servizi per il diritto allo studio universitario (lett. b));

§      definire i criteri per l’attribuzione alle regioni e alle province autonomedi Trento e di Bolzano del Fondo integrativo per la concessione di prestiti d’onore e di borse di studio (lett. c));

§      favorire il raccordo tra le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, le università e le diverse istituzioni che concorrono al successo formativo degli studenti, al fine di potenziare la gamma dei servizi e degli interventi posti in essere dalle predette istituzioni, nell’ambito della propria autonomia statutaria (lett. d));

§      prevedere la stipula di specifici accordi con le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, per la sperimentazione di nuovi modelli nella gestione e nell’erogazione degli interventi (lett. e));

§      definire le tipologie di strutture residenziali destinate agli studentiuniversitari e le caratteristiche peculiari delle stesse (lett. f)).

 

Allo schema di decreto legislativo sono allegati la relazione illustrativa, la relazione tecnica, l’analisi di impatto della regolamentazione (AIR), l’analisi tecnico-normativa (ATN), alcune note intercorse fra il MIUR e il MEF. Di seguito si estrapoleranno alcuni passaggi dei suddetti documenti, di cui si ritiene utile dar conto preliminarmente all’avvio dell’esame degli articoli dello schema. Questioni specifiche trattate nei suddetti documenti saranno, invece, illustrate nelle singole schede.

 

Fra le criticità che, in base all’AIR, si risolverebbero con l’intervento normativo proposto dallo schema di decreto – le cui disposizioni, in base all’art. 23, comma 3, hanno effetto a decorrere dall’a.a. 2012/2013 - vi sono: la riduzione del numero elevato di studenti idonei che non beneficiano degli interventi, soprattutto nelle regioni meridionali (al riguardo l’AIR reca alcune tabelle che fanno riferimento all’a.a. 2009-2010); l’adeguamento dell’offerta abitativa nazionale alle richieste degli studenti idonei; il superamento della difformità nell’identificazione dello “studente fuori sede” da parte delle regioni e della creazione di modelli autonomi per la valutazione della condizione economica; la revisione dei criteri di merito ormai inadeguati rispetto ai nuovi cicli di studio; la maggiore considerazione della disabilità; la risoluzione dei ritardi nella definizione dei finanziamenti; l’adeguamento degli importi delle borse di studio ai costi di mantenimento differenti a seconda della città in cui ha sede l’università; la valorizzazione delle opportunità offerte dall’UE, per favorire l’internazionalizzazione delle esperienze di studio, e l’adeguamento del modello di gestione del diritto allo studio ai paesi comunitari.

Gli indicatori che permetteranno la verifica del grado di raggiungimento degli obiettivi riguardano il confronto fra gli a.a. successivi al 2012-2013 e gli a.a. precedenti e sono costituiti, in base all’AIR, dal numero dei servizi abitativi, di orientamento e tutorato, di ristorazione, di trasporto, delle attività a tempo parziale, per la mobilità internazionale, nonché di ulteriori servizi erogati e definiti da regioni, province autonome, università, AFAM; dalla quantità di materiale didattico; dalla qualità e quantità dell’assistenza sanitaria; dal grado di accesso alla cultura.

Come stabilito dal DPCM n. 212 del 2009, dopo un biennio dall’entrata in vigore delle nuove disposizioni si procederà ad effettuare una verifica e, laddove dovessero riscontrarsi lacune o criticità, saranno prese in esame misure integrative o correttive.

Con riferimento ai destinatari dell’intervento normativo, l’AIR, utilizzando dati MIUR riferiti all’a.a. 2009/2010, evidenzia che sono risultati iscritti ad università e istituzioni AFAM 1.840.282 studenti (rispettivamente, 1.799.541 - dei quali 1.738.250 sono studenti italiani, 13.884 sono studenti comunitari e 47.407 sono studenti extracomunitari - e 40.741).

Evidenzia, altresì, che le università si sono dichiarate disponibili a dare corso immediato all’adozione delle nuove procedure e che le regioni si avvarranno delle Agenzie per il diritto allo studio universitario.

 

Lo schema è diviso in 6 Capi.

Il Capo I (artt. 1 e 2) reca i principi generali.

Il Capo II (artt. 3-12) riguarda attuazione e destinatari del diritto allo studio, strumenti e servizi per il successo formativo, raccordi e accordi fra le istituzioni.

Il Capo III (artt. 13-17) riguarda strutture residenziali e collegi universitari legalmente riconosciuti.

Il Capo IV (artt. 18 e 19) riguarda il sistema di finanziamento e la copertura finanziaria.

Il Capo V (artt. 20-22) riguarda il monitoraggio sull’attuazione del diritto allo studio.

Il Capo VI (artt. 23 e 24) reca disposizioni finali.

 

Complessivamente, si è in presenza di un testo che in parte ridisciplina aspetti già disciplinati a livello legislativo, in parte disciplina a livello legislativo aspetti finora regolati da norme secondarie (si veda, in particolare, l’art. 9). A sua volta, dispone l’intervento di vari atti secondari (si vedano gli articoli 3, co. 5; 7, co. 7 e 8; 13, co. 7; 16, co. 1 e 3; 17, co. 1; 20, co. 1).

 

A seguire si esporrà, innanzitutto, il quadro normativo generale di riferimento, mentre questioni particolari saranno illustrate nelle singole schede di lettura.

Il dossier è corredato dei principali riferimenti normativi.

Inoltre, nella sezione Documentazione sono riportati alcuni dati tratti dalla pubblicazione del MIUR “L’università in cifre 2009-2010”, edita a settembre 2011.

 


Il quadro normativo di riferimento

La normativa vigente fa ancora riferimento, in larga parte, alla L. 390 del 1991 che, per la prima volta, ha introdotto indicazioni tese ad uniformare, a livello nazionale, l’applicazione dei criteri di individuazione dei destinatari degli interventi per il diritto allo studio, superando la precedente frammentarietà registrata a livello regionale[2].

La legge indicata attribuisce allo Stato funzioni di indirizzo, coordinamento e programmazione in materia (art. 3). In particolare, l’art. 4 prevede che con DPCM, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’università e della ricerca scientifica, sentiti il CUN e la Consulta nazionale per il diritto agli studi universitari[3], sono stabiliti ogni tre anni:

§       i criteri per la determinazione del merito e delle condizioni economiche degli studenti, nonché per la definizione delle relative procedure di selezione ai fini dell’accesso ai servizi. Le condizioni economiche devono essere individuate sulla base della natura e dell’ammontare del reddito imponibile e dell’ampiezza del nucleo familiare;

§       le tipologie minime e i livelli degli interventi che devono attuare le regioni;

§       gli indirizzi per la graduale riqualificazione della spesa a favore degli interventi riservati agli studenti capaci e meritevoli privi di mezzi.

Il DPCM deve essere emanato 6 mesi prima dell’inizio del primo dei tre anni accademici di riferimento, acquisito il parere della Conferenza Stato-regioni[4].

Il Ministro presenta al Parlamento ogni 3 anni un rapporto sull’attuazione del diritto allo studio universitario, tenuto conto dei dati trasmessi dalle regioni e dalle università sull’attuazione del diritto medesimo (art. 5).

 

Alle regioni è attribuito il compito di attivare gli interventi (art. 3).

A tal fine, l’art. 7 indica i principi cui deve conformarsi la disciplina legislativa delle regioni a statuto ordinario, che riguardano: la parità di trattamento degli studenti nell’accesso ai servizi e alle provvidenze, indipendentemente dalle aree geografiche di provenienza e dai corsi di studio cui sono iscritti; la partecipazione degli studenti ai costi dei servizi, fatta salva la gratuità o particolari agevolazioni disposte dagli enti per il diritto agli studi universitari in favore di studenti capaci e meritevoli privi di mezzi; la definizione di procedure selettive per l’accesso ai servizi che non siano fruibili da tutti gli studenti; la non cumulabilità delle borse di studio, tranne che con quelle concesse per integrare, con soggiorni all’estero, l’attività di formazione o ricerca dei borsisti; la possibilità di disposizioni particolari per l’accesso degli studenti disabili ai benefici e ai servizi e la possibilità di maggiorazione dei benefici in relazione a condizioni di particolare disagio socio-economico o fisico.

Gli interventi regionali specifici, attuati nei limiti degli stanziamenti dei rispettivi bilanci, riguardano l’erogazione di servizi collettivi, quali mense, alloggi, trasporti; l’assegnazione di borse di studio (a tal fine, le regioni determinano annualmente la quota dei fondi da devolvere all’erogazione di borse di studio, che possono essere trasferiti alle università); l’orientamento al lavoro e l’assistenza sanitaria.

Per quanto concerne le borse di studio, le regioni determinano la quota dei fondi destinati agli interventi per il diritto allo studio da devolvere annualmente agli studenti che rispondono ai requisiti di merito e di condizione economica stabiliti con il DPCM di cui all’art. 4. Possono anche trasferire i fondi alle università, affinché le borse di studio siano erogate da queste (art. 8).

Al fine di uniformare gli interventi, le regioni promuovono incontri periodici (art. 9).

Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano esercitano le competenze in materia di diritto allo studio ad esse spettanti in base agli statuti e alle relative norme di attuazione (art. 11).

 

Alle università spetta il compito diorganizzare i propri servizi in modo da rendere effettivo e proficuo lo studio universitario (art. 3). In particolare, ad esse è attribuito il compito di erogare le borse di studio nei casi in cui abbiano ricevuto i trasferimenti finanziari dalle regioni (art. 8), di esonerare totalmente o parzialmente gli studenti meritevoli dal pagamento delle tasse di iscrizione, sulla base dei criteri definiti con il DPCM di cui si è detto ante; di agevolare la frequenza ai corsi e lo studio individuale, anche mediante l’apertura in ore serali di biblioteche e laboratori; di promuovere corsi per studenti lavoratori e corsi a distanza, nonché attività culturali, sportive e ricreative; di promuovere interscambi di studenti e di sostenere le attività formative autogestite dagli stessi studenti (art. 12); di organizzare corsi intensivi per gli studenti svantaggiati (art. 14); di attivare collaborazioni part-time con gli studenti per attività connesse ai servizi resi (art. 13).

Le università possono concorrere agli interventi di competenza dello Stato e delle regioni, con oneri esclusivamente a carico dei propri bilanci (art. 15).

 

Regioni, università ed enti aventi competenza per l’attuazione del diritto allo studio universitario collaborano fra loro, stipulando accordi e convenzioni per la realizzazione di specifiche attività (art. 3).

Norme particolari riguardano i prestiti d’onore (art. 16 – si veda la scheda relativa all’art. 3 dello schema) e il Fondo di incentivazione (art. 17).

 

L’art. 18 dispone in materia di piani per l’edilizia residenziale pubblica. Per tale aspetto si rinvia alla scheda relativa agli articoli 13 e 14 dello schema.

 

Ai sensi dell’art. 19 le regioni possono stipulare convenzioni con le università per assicurare prestazioni sanitarie agli studenti all’interno delle sedi universitarie (sul punto si veda, più ampiamente, la scheda relativa agli artt. 6 e 7 dello schema).

 

L’art. 20 concerne gli studenti stranieri (sul punto si veda la scheda relativa agli artt. 1, 2, 4 e 5 dello schema).

 

Per l’art. 21 - che sarà l’unico articolo della L. 390/1991 non abrogato a seguito dell’intervento delle nuove disposizioni - si veda la scheda relativa agli artt. 23 e 24 dello schema.

 

Per l’accesso ai beneficiè prevista un’autocertificazione attestante le condizioni economiche proprie e dei componenti del nucleo familiare. Sono previsti controlli e verifiche fiscali, nonché sanzioni (art. 22 e 23) (sul punto, si veda la scheda relativa all’art. 10 dello schema).

 

Infine, l’art. 25 della legge 390/1991 ha previsto che le regioni adeguassero la propria legislazione entro 2 anni dalla data di entrata in vigore della legge, in particolare costituendo per ogni università un organismo di gestione[5], dotato di autonomia amministrativa e gestionale, e prescrivendo che il relativo consiglio di amministrazione fosse composto da un ugual numero di rappresentanti della regione e dell’università[6].

 

In adempimento dell’art. 4 della L. 390/1991 è, da ultimo, intervenuto, come in precedente nota indicato, il DPCM 9 aprile 2001, cheha continuato ad applicarsi sin’ora in virtù del suo art. 1, comma 2, in base al quale le disposizioni “entrano in vigore a decorrere dall’anno accademico 2001/2002, hanno vigenza triennale e, comunque, continuano ad avere efficacia sino all’emanazione del successivo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in materia di ‘Uniformità di trattamento sul diritto agli studi universitari[7]’”.

Al riguardo è utile evidenziare che l’art. 8, comma 5, dello schema in esame dispone che, sino all’emanazione del D.I. per la determinazione dell’importo della borsa di studio e dei requisiti di merito e di condizione economica per l’accesso alla stessa, restano in vigore le disposizioni del DPCM 9 aprile 2001 relative ai requisiti di merito e di condizione economica. Con ciò lascia intendere che, invece, le altre disposizioni decadono dall’a.a. 2012/2013.

 

L’art. 2 del DPCM 9 aprile 2001 dispone che per servizi ed interventi non destinati alla generalità degli studenti si intendono le borse di studio, i prestiti d’onore, i servizi abitativi e i contributi per la mobilità internazionale degli studenti italiani concessi dalle regioni e dalle province autonome agli studenti capaci e meritevoli privi di mezzi, nonché i contributi per la mobilità internazionale degli studenti italiani e le borse di studio erogati dalle università ai medesimi soggetti.

Dispone, altresì, che ove regioni, province autonome e università realizzino altri servizi non destinati alla generalità degli studenti, possono determinare autonomamente i requisiti di ammissione, relativi a merito e condizione economica, e i criteri per la definizione delle graduatorie.

Inoltre, le università determinano i requisiti relativi a merito e condizione economica per l’ammissione degli studenti al concorso per attività a tempo parziale, che non sono considerate prestazioni sociali agevolate. Tra gli studenti che presentano tali requisiti, è data priorità agli studenti idonei non beneficiari di borse di studio concesse da regioni e province autonome nell’a.a. precedente.

Non sono considerate prestazioni sociali agevolate neanche le borse di studio finalizzate all’incentivazione e alla razionalizzazione della frequenza universitaria: le università concedono le stesse con modalità determinate autonomamente.

 

L’art. 3 individua i corsi di studio per i quali sono concessi i benefici. Si tratta di corsi di laurea, di laurea specialistica, di specializzazione - ad eccezione di quelli dell’area medica -, di dottorato di ricerca. Accedono ai benefici gli studenti che si iscrivono entro il termine previsto nei bandi e che risultano idonei in relazione al possesso dei requisiti di condizione economica e di merito definiti agli articoli 5 e 6.

Lo stesso art. disciplina i periodi di tempo per i quali sono concessi i benefici in rapporto a ciascuna tipologia di corso.

 

L’art. 4 disciplina le procedure per la selezione dei beneficiari.

In particolare, per gli iscritti per la prima volta al primo anno dei corsi di laurea, o al primo anno dei corsi di laurea specialistica a ciclo unico, i benefici sono attribuiti sulla base dei requisiti relativi alla condizione economica. I requisiti di merito sono valutati ex-post.

Per gli iscritti al primo anno dei corsi di laurea specialistica (non a ciclo unico) i benefici sono attribuiti sulla base dei requisiti relativi alla condizione economica, ma è richiesto anche il riconoscimento di almeno 150 crediti.

Per gli iscritti al primo anno dei corsi di specializzazione e di dottorato di ricerca, i benefici sono attribuiti agli studenti che presentano i requisiti relativi alla condizione economica, ammessi ai corsi secondo le modalità previste dai rispettivi ordinamenti didattici.

Per gli studenti iscritti agli anni successivi di tutti i corsi, il diritto è mantenuto esclusivamente sulla base dei criteri di merito. Disposizioni particolari sono, però, previste per i corsi di laurea specialistica a ciclo unico.

Lo stesso art. indica le modalità per la costituzione di graduatorie nel caso in cui una regione prevede che i benefici non possono essere concessi a tutti gli studenti idonei e affida a regioni, province autonome e università la definizione della condizione degli studenti, sulla base della loro provenienza, secondo le tipologie di studenti in sede, studenti pendolari, studenti fuori sede (per ciascuna delle quali sono indicati i parametri di riferimento).

Dal punto di vista dei tempi del procedimento, l’art. 4 dispone:

-            la pubblicazione dei bandi per l’attribuzione dei benefici almeno 45 giorni prima della scadenza;

-            il completamento delle procedure amministrative almeno 15 giorni prima dell’inizio dei corsi per i servizi abitativi ed entro l’inizio dei corsi per le borse di studio, con la pubblicazione delle graduatorie;

-            l’erogazione della prima rata semestrale delle borse di studio e dei prestiti d’onore entro due mesi dalla pubblicazione delle graduatorie e, comunque, non oltre il 31 dicembre. La seconda rata semestrale della borsa, per gli studenti iscritti ad anni successivi al primo è erogata entro il 30 giugno dell’anno successivo;

-            il servizio abitativo deve essere garantito entro un mese dalla pubblicazione delle graduatorie.

 

L’art. 5 individua i criteri per la determinazione delle condizioni economiche, individuate sulla base dell’Indicatore della situazione economica equivalente (si veda infra, scheda artt. 6 e 7). Sono previste come modalità integrative di selezione l’Indicatore della situazione economica all’estero e l’Indicatore della situazione patrimoniale equivalente.

Dopo aver disciplinato la definizione del nucleo familiare e le modalità di calcolo dei due Indicatori integrativi, l’art. dispone che dall’a.a. 2002/2003 i limiti massimi degli stessi Indicatori sono aggiornati annualmente con DM emanato entro il 28 febbraio.

Al riguardo si ricorda che con DM 22 febbraio 2011[8] il limite massimo dell'Indicatore della situazione economica equivalente, stabilito per l'a.a. 2010/2011 tra i 14.465,28 ed i 19.287,04 euro, è stato aggiornato per l'a.a. 2011/2012 tra i 14.696,72 ed i 19.595,63 euro. Il limite massimo dell'Indicatore della situazione patrimoniale equivalente, stabilito per l'a.a. 2010/2011 tra i 25.314,25 ed i 32.546,88 euro, è stato aggiornato tra i 25.719,28 ed i 33.067,63 euro.

L’art. 6 individua i criteri per la determinazione del merito, utilizzando come parametro i crediti formativi universitari, da conseguire entro i termini indicati, distinti per tipologia di corso e per anno di frequenza.

 

L’art. 7 affida alla autonomia delle università statali la valutazione della condizione economica degli studenti ai fini della graduazione dei contributi universitari, sulla base dei criteri definiti dall’art. 3, co. 1 e 2, del DPR 306 del 1997, mentre l’art. 8 detta i criteri per l’esonero totale o parziale dalla tassa di iscrizione e dai contributi (per entrambi  gli aspetti si rinvia alla scheda relativa all’art. 9 dello schema).

 

L’art. 9 individua le tipologie minime e i livelli degli interventi regionali.

In particolare dispone che la borsa di studio è concessa agli studenti iscritti ai corsi di laurea, di laurea specialistica e di specializzazione obbligatori per l’esercizio della professione.

Agli studenti ammessi ai corsi di dottorato di ricerca che non beneficiano della borsa di studio prevista, per tale tipologia di corsi, dal DM 224/1999[9], sono concessi una borsa di studio e un prestito d’onore fino a 10.000 euro.

Agli studenti ammessi a corsi di specializzazione è concesso un prestito d’onore fino a 10.000 euro.

Inoltre, esplicitato che la definizione dell’importo delle borse di studio e dei prestiti d’onore persegue l’obiettivo della copertura delle spese di mantenimento sostenute dagli studenti nelle diverse sedi, indica l’importo minimo delle borse di studio, demandando ad un DM da emanare ogni anno entro il 28 febbraio l’aggiornamento degli importi, a partire dall’a.a. 2002/2003.

Al riguardo si ricorda che per l'a.a. 2011/2012 gli importi minimi delle borse di studio sono stati definiti dal DM 22 febbraio 2011[10] in € 4.776,44 per gli studenti fuori sede, € 2.633,17 per gli studenti pendolari, € 1.800,34 per gli studenti in sede.

Infine, l’art. 9 del DPCM detta ulteriori disposizioni per fattispecie particolari (ad es., riduzione degli importi ove le regioni siano in grado di assicurare il servizio abitativo e di ristorazione gratuitamente).

 

L’art. 10 riguarda i contributi per la mobilità internazionale, disponendo che gli studenti beneficiari di borsa di studio hanno diritto, per una sola volta per ciascun corso universitario, e per una sola volta per gli iscritti ai corsi AFAM, ad una integrazione della stessa per la partecipazione a programmi di mobilità internazionale, a condizione, fra l’altro, che il periodo all’estero abbia un riconoscimento accademico in termini di crediti nell’ambito del proprio corso di studi in Italia.

Il contributo è attribuito anche ad altri soggetti, fra i quali gli studenti idonei non beneficiari di borsa di studio, compresi gli iscritti ai corsi di dottorato.

 

L’art. 11 detta indirizzi per la graduale riqualificazione della spesa, mentre l’art. 12 riguarda le borse di studio concesse dalle università, disponendo che le stesse università attingono in via prioritaria alle graduatorie degli idonei non beneficiari delle borse di studio concesse da regioni e province autonome. Gli importi delle borse sono determinati applicando le stesse norme vigenti per quelle concesse da regioni e province autonome.

 

L’art. 13 riguarda gli interventi a favore degli studenti stranieri non appartenenti all’UE (per tale aspetto si veda la scheda relativa agli artt. 1, 2, 4 e 5 dello schema), mentre l’art. 14 riguarda gli interventi a favore degli studenti in situazioni di handicap (per tale aspetto si veda la scheda relativa all’art. 8 dello schema).

 

L’art. 15 riguarda gli interventi a favore degli iscritti alle istituzioni AFAM, ricordando che ad essi, sulla base dell’art. 6 della L. 508/1999, si applicano le disposizioni di cui alla L. 390/1991. Lo stesso art. dispone che, conseguentemente, si applicano alle istituzioni AFAM le disposizioni sulla tassa regionale per il diritto allo studio di cui alla L. 549/1995.

 

L’art. 16 dispone i criteri per il riparto del Fondo integrativo per la concessione di prestiti d’onore e borse di studio (per questo aspetto, si veda la scheda relativa all’art. 3 dello schema).

 


Schede di lettura

 


Articoli 1, 2, 4 e 5
(Definizioni, finalità e principi, destinatari, libertà di scelta)

 

L’articolo 1fornisce le definizioni dei termini ricorrenti nel testo. In particolare, chiarisce che:

-    per “università”, si intendono le istituzioni universitarie statalie le università non statali legalmente riconosciute.

A differenza di altri schemi di decreti legislativi emanati in attuazione dell’art. 5 della L. 240/2010[11], non sono esplicitamente citati gli istituti universitari ad ordinamento speciale, cui peraltro si dovrebbero applicare anche le disposizioni recate dallo schema in esame, considerato che le stesse derivano da una delega che, come si è detto, è intesa a riformare “il sistema universitario”.

 

-    Per “istituzioni per l’alta formazione artistica, musicale e coreutica, si intendono le istituzioni di cui alla L. 508 del 1999 (Accademie di belle arti, Accademia nazionale di danza, Accademia nazionale di arte drammatica, Istituti superiori per le industrie artistiche, Conservatori di musica e Istituti musicali pareggiati- AFAM);

 

-    per “corsi” si intendono:

·       i corsiattivati dalle università ai sensi dell’art. 3 del DM 270 del 2004 (corsi di laurea, laurea magistrale, specializzazione, dottorato di ricerca, perfezionamento scientifico e alta formazione permanente e ricorrente);

·       i corsi attivati dalle istituzioni AFAM ai sensi dell’art. 3 del DPR 212 del 2005 (corsi di diploma accademico di primo e di secondo livello, di specializzazione, di formazione alla ricerca, di perfezionamento).

Si segnala che il Dipartimento della ragioneria generale dello Stato, con nota (allegata allo schema) inviata il 18 gennaio 2012, Prot. 3859, all’Ufficio legislativo del MEF, ha ribadito che le Istituzioni AFAM non sembrano essere ricomprese nella delega prevista dall’art. 5 della L. 240/2010. Come emerge dalla nota dell’Ufficio legislativo del MIUR prot. 100/UFFLEG/97/R.U. dell’11 gennaio 2012 (allegata allo schema), la questione era già stata posta con nota della stessa Ragioneria prot. 117460 del 21 novembre 2011. Al riguardo, l’ufficio legislativo del MIUR, integrando le motivazioni già espresse con nota del 15 dicembre 2011 (anch’essa allegata allo schema, Prot. N. UR/1442/1.3.4./2011), evidenzia il rischio che, per effetto del venir meno della normativa in materia di diritto allo studio recata dalla L. 390/1991, applicabile anche alle Istituzioni AFAM ai sensi dell’art. 6 della L. 508/1999, si verifichino ingiustificate lesioni di posizioni soggettive già riconosciute ai relativi studenti, nonché situazioni di disparità di trattamento tra essi e gli studenti universitari. Quanto alla proposta avanzata dalla Ragioneria generale in ordine alla proroga dell’efficacia della L. 390/1991 per le sole Istituzioni AFAM, al fine di evitare il vuoto normativo, l’ufficio legislativo del MIUR sottolinea che essa non pare idonea a risolvere i rischi di disparità di trattamento tra gli studenti di tali Istituzioni e gli studenti universitari, con potenziali profili di incostituzionalità.

·       i corsi attivati dalle Scuole superiori per mediatori linguistici abilitate a rilasciare titoli equipollenti a tutti gli effetti ai diplomi di laurea conseguiti presso le università.

Al riguardo si ricorda che il Regolamento emanato con DM 10 gennaio 2002, n. 38 ha riordinato la disciplina delle Scuole superiori per interpreti e traduttori (di cui alla L. n. 697 del 1986), che hanno assunto la denominazione di Scuole superiori per mediatori linguistici. In base all’art. 1, co. 2, esse rilasciano, ove istituite e attivate ai sensi del regolamento, titoli di studio, conseguibili al termine di corsi di studi superiori di durata triennale, equipollenti a tutti gli effetti ai diplomi di laurea rilasciati dalle università al termine dei corsi afferenti alla classe delle «Lauree universitarie in scienze della mediazione linguistica». L’art. 2 ha disposto la presentazione di istanza di riconoscimento al Ministero da parte dei soggetti pubblici e privati, gestori di scuole, che intendono ottenere il riconoscimento e il co. 9 ha specificato che il decreto di riconoscimento indica la sede nella quale la scuola è abilitata ad istituire e ad attivare i corsi rilasciando il relativo titolo.

L’art. 6, co. 4, infine, ha disposto che “In favore degli iscritti ai corsi si applicano le norme vigenti in àmbito universitario in materia di diritto allo studio”.

 

L’inclusione nello schema in esame delle istituzioni di Alta formazione e specializzazione artistica e musicale e delle Scuole superiori per mediatori linguistici deve essere oggetto di attenta valutazione, poiché le stesse non sono considerate nella delega conferita dall’art. 5 della L. 240/2010.

Si suggerisce, pertanto, di estrapolare i riferimenti relativi alle istituzioni AFAM dal testo dello schema e di procedere con distinto provvedimento[12].

Per quanto concerne le Scuole superiori per mediatori linguistici - parimenti non considerate nella delega - poiché l’art. 6 del DM 38/2002 fa riferimento alle “norme vigenti in materia di diritto allo studio” non sembra esserci dubbio che alle stesse Scuole si applicheranno le nuove disposizioni.

Fra l’altro, si segnala che negli articoli successivi dello schema di decreto, mentre si fa sempre riferimento alle università e alle istituzioni AFAM, non si fa quasi mai riferimento alle Scuole superiori per mediatori linguistici (si veda, peraltro, la differenza riscontrabile, quanto ai destinatari, fra i commi 1 e 2 dell’art. 4).

Dal punto di vista della formulazione del testo, si segnala che, in base alla legge n. 508/1999, la formulazione corretta è “Istituzioni dell’alta formazione e specializzazione artistica e musicale”.

Dal punto di vista della correttezza dei riferimenti normativi, si segnala che il riferimento corretto è all’art. 2, comma 9 (e non all’art. 9, comma 2), del DM 38/2002.

 

L’articolo 2 indica le finalità e i principi dello schema di decreto, sostanzialmente sintetizzando il perché dell’intervento – quale derivante dall’art. 5, comma 1, lett. d), della L. 240/2010 – l’obiettivo dello stesso e gli strumenti attraverso i quali conseguirlo.

E’ opportuno far presente subito che l’art. 24 dello schema dispone, fra l’altro, l’abrogazione della L. 390/1991, ad eccezione dell’art. 21. Ove possibile, dunque, nelle schede di lettura si evidenzieranno le disposizioni della L. 390/1991 destinate ad essere sostituite dalle nuove disposizioni.

 

In particolare, lo schema di decreto, in attuazione degli articoli 3 e 34 della Costituzione, detta norme finalizzate a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano l’uguaglianza dei cittadini nell’accesso all’istruzione superiore e a consentire ai capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, di raggiungere i gradi più alti degli studi. Si tratta dell’obiettivo già enunciato dall’art. 1 della L. 390/1991.

Le disposizioni dello schema di decreto costituiscono anche attuazione del titolo V della parte II della Costituzione, individuando gli strumenti e i servizi per il diritto allo studio -che la Repubblica deve promuovere in un sistema integrato - e i relativi livelli essenziali delle prestazioni (LEP), da garantire uniformemente su tutto il territorio nazionale, nonché i requisiti di eleggibilità per l’accesso alle prestazioni (commi 1 e 2).

Le finalità indicate nel comma 1, in base al comma 5, si perseguono attraverso la valorizzazione del merito degli studenti, il potenziamento dei servizi per i soggetti diversamente abili, l’individuazione degli strumenti e dei servizi finalizzati a facilitare la condizione di studente non impegnato a tempo pieno negli studi[13], la predisposizione di interventi per favorire la mobilità verso le sedi universitarie più adatte ai bisogni dello studente, la valorizzazione e la diffusione delle opportunità offerte, soprattutto dall’UE, per favorire l’internazionalizzazione delle esperienze di studio e ricerca e ogni altra forma di scambio culturale e scientifico.

Si valuti l’opportunità di sostituire l’espressione “studente non impegnato a tempo pieno negli studi” con l’espressione “studente impegnato in attività lavorative”, mutuata dall’art. 5, co. 6, del DM 270/2004.

 

In base al comma 4, Stato, regioni e province autonome, università e istituzioni AFAM sviluppano, diversificano, conseguono l’efficienza, l’efficacia e la coerenza degli strumenti e degli istituti, avvalendosi della collaborazione dei soggetti competenti in materia di diritto allo studio e in armonia con le strategie UE (sul punto si veda anche l’art. 3, co. 1).

L’espressione corretta sembrerebbe “collaborazione dei”.

 

Infine, si enunciano gli ulteriori obiettivi dello schema, ossia la definizione delle tipologie di strutture residenziali destinate agli studenti universitari – che, comunque, rappresenta uno dei criteri direttivi per l’esercizio della delega in materia di diritto allo studio – e la valorizzazione dei collegi universitari legalmente riconosciuti e dei collegi storici (comma 3).

 

Ai sensi dell’articolo 4, destinatari degli strumenti e dei servizi del diritto allo studio sono gli studenti iscritti ai corsi di istruzione superiore nella regione o nella provincia autonoma in cui ha sede legale l’università o l’istituzione AFAM (comma 1).

Destinatari dei LEP sonogli studenti iscritti ai corsi di istruzione superiore di cui all’art. 1, comma 1, lett. d) - quindi, gli studenti iscritti ai corsi universitari, ai corsi delle istituzioni AFAM e ai corsi delle Scuole superiori per mediatori linguistici - che rispondono ai requisiti di eleggibilità disciplinati dall’art. 8 (dunque, ai requisiti per l’accesso alla borsa di studio).

Nell’erogazione dei LEP è garantita parità di trattamento, indipendentemente dalla regione o provincia autonoma di provenienza (commi 2 e 3).

 

Si evidenzia che per i LEP si fa riferimento alle tre tipologie di corsi considerate nell’art. 1, co. 1, lett. d), mentre per gli strumenti e i servizi in materia di diritto allo studio si fa riferimento solo agli studenti delle università e delle istituzioni AFAM.

 

Per quanto concerne gli studenti stranieri, gli apolidi e i rifugiati politici, si dispone che essi usufruiscono degli strumenti e dei servizi previsti dal decreto secondo le vigenti disposizioni legislative (comma 4).

 

Al riguardo si ricorda che l’art. 30 del d.lgs. 286 del 1998 dispone che in materia di accesso all'istruzione universitaria e di relativi interventi per il diritto allo studio è assicurata la parità di trattamento tra lo straniero e il cittadino italiano, nei limiti e con le modalità previste dalla stessa legge.

L’art. 46, co. 5, del regolamento di attuazione, DPR n. 394 del 1999, dispone che gli studenti stranieri accedono, a parità di trattamento con gli studenti italiani, ai servizi e agli interventi per il diritto allo studio, compresi gli interventi non destinati alla generalità degli studenti, quali le borse di studio, i prestiti d'onore ed i servizi abitativi, in conformità alle disposizioni generali in materia, che prevedono criteri di valutazione del merito e delle condizioni economiche, tenuto, altresì, conto del rispetto dei tempi previsti dall'ordinamento degli studi[14].

Con riferimento ai rifugiati e agli apolidi, si ricorda, innanzitutto, che, ai sensi dell’art. 2 del d.lgs. 251/2007, per «rifugiato» s’intende il cittadino straniero il quale, per il timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o opinione politica, si trova fuori dal territorio del Paese di cui ha la cittadinanza e non può o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di tale Paese, oppure l’apolide che si trova fuori dal territorio nel quale aveva precedentemente la dimora abituale per le stesse ragioni succitate e non può o, a causa di siffatto timore, non vuole farvi ritorno.

Quanto all’accesso all’istruzione, l’art. 26 equipara pienamente ai cittadini italiani i minori che beneficino della protezione internazionale; quanto ai maggiorenni, la loro posizione è equiparata a quella delle altre categorie di stranieri legalmente soggiornanti[15].

Lo stesso concetto è contenuto nell’art. 20, co. 3, della L. 390/1991, mentre il comma 4 precisa che, al fine indicato, il MAE, entro il mese di settembre di ogni anno comunica alle regioni quali studenti stranieri, apolidi o rifugiati politici hanno diritto alle prestazioni regionali.

Ulteriori disposizioni applicative sono recate dall’art. 13 del DPCM 9 aprile 2001.

 

L’art. 5, declinando il principio direttivo di cui all’art. 5, co. 1, lett. b), della L. 240/2010,dispone che, in attuazione del principio di sussidiarietà, ai destinatari è garantita libertà di scelta nella fruizione degli strumenti e dei servizi per il diritto allo studio, sulla base delle modalità organizzative definite da regioni, province autonome, università e istituzioni AFAM per gli interventi di rispettiva competenza (comma 1).

Gli strumenti possono essere erogati anche in forma di voucher (comma 2).

 


Articolo 3
(Attribuzioni e compiti dello Stato, delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano, delle università e delle istituzioni per l’alta formazione artistica e musicale)

 

L’articolo 3 ridefinisce la ripartizione delle competenze in materia di diritto allo studio (aspetto che nella L. 390/1991 è trattato agli artt. 3, 4, 7, 8, 11, 12, 15) e introduce una nuova disciplina del prestito d’onore (di cui all’art. 16 della L. 390/1991).

 

Preliminarmente si evidenzia che un comma dell’articolo risulta barrato. Lo stesso non sarà, dunque, oggetto di commento.

 

Con riferimento al primo aspetto, la relazione illustrativa dedica un paragrafo all’analisi dei LEP e della competenza legislativa esclusiva dello Stato, su cui già la relazione illustrativa del disegno di legge A.S. 1905 si era soffermata.

In particolare, la relazione ricorda che la Corte costituzionale, nella sentenza n. 282/2000[16],haprecisato che la determinazione dei LEP concernenti i diritti civili e sociali non rappresenta una “materia” in senso stretto, ma “una competenza del legislatore statale idonea ad investire tutte le materie, rispetto alle quali il legislatore stesso deve poter porre le norme necessarie per assicurare a tutti, sull’intero territorio nazionale, il godimento di prestazioni garantite, come contenuto essenziale di tali diritti, senza che la legislazione regionale possa limitarle o condizionarle”.

L’AIR evidenzia che la legge n. 390 del 1991 stabiliva il principio di uniformità di trattamento, ma assegnava un ruolo accentratore allo Stato, che unilateralmente stabiliva i requisiti socio-economici e le condizioni di merito scolastico minimo per l’accesso ai servizi. Anche la disciplina organizzativa dell’Agenzia per il diritto allo studio universitario costituita, in base alla stessa legge n. 390, presso ogni università, era molto rigida. Tutto ciò, evidenzia l’AIR, “aveva determinato da parte delle regioni un esercizio non innovativo della potestà legislativa esclusiva in materia di diritto allo studio, poiché l’esercizio di tale potestà doveva rimanere allineato ai vincoli e ai contenuti individuati dallo Stato in contraddizione con la riforma del Titolo V della Costituzione”.

Al riguardo, il documento fa presente che il gruppo di lavoro istituito con decreto del Direttore generale dell’università n. 103 del 24 marzo 2011[17] ha individuato fra le criticità la necessità di innalzare le soglie dell’ISEE e di attribuire il prestito fiduciario (in realtà, il testo dello schema prevede il “prestito d’onore”) come strumento integrativo e non sostitutivo della borsa di studio e dei posti alloggio.

Lo stesso gruppo di lavoro ha comparato tre ipotesi. Una prima ipotesi avrebbe visto ogni regione intervenire a sostegno degli studenti in essa residenti, ovunque essi studiassero. In tal modo, evidenzia l’AIR, si sarebbe valorizzata l’autonomia delle regioni, ma non si sarebbe determinato un miglioramento a livello nazionale nell’attuazione del diritto allo studio; inoltre, l’ipotesi di previsione di benefici offerti solo ai residenti ha suscitato dubbi di compatibilità con la normativa europea.

Una seconda ipotesi si fondava su un sistema accentrato di diritto allo studio basato sul cofinanziamento di Stato, regioni e università e su requisiti di eleggibilità univoci, attribuendo agli studenti un voucher spendibile su tutto il territorio. Tale ipotesi avrebbe avuto il merito, in base all’AIR, di accentuare la mobilità studentesca e di incrementare la concorrenza fra università nel miglioramento dei propri servizi.

La terza ipotesi, che è quella scelta, istituisce un sistema per il diritto allo studio decentrato, in cui lo Stato fissa i livelli essenziali delle prestazioni, che le regioni possono aumentare (il testo dello schema, tuttavia, istituisce un obbligo), nei limiti delle proprie risorse. Sotto il profilo finanziario, l’opzione prevede che lo Stato finanzi i LEP con una quota fissa annuale e le regioni si impegnino solo con le risorse provenienti dalla tassa per il diritto allo studio. L’opzione, prosegue l’AIR, consente certezza e programmabilità della spesa, favorisce la semplicità di rendicontazione attraverso la ripartizione del Fondo a seconda del numero di idonei per regione, e l’assegnazione dei fondi in tempi rapidi, elimina sperequazioni territoriali.

 

Il comma 1 dello schema, ribadendo un concetto già espresso nell’art. 2, comma 1, dispone che all’attuazione delle disposizioni previste dal decreto si provvede attraverso un sistema integrato di strumenti e servizi al quale partecipano, nell’ambito delle rispettive competenze, Stato, regioni, province autonome di Trento e di Bolzano, enti locali, università, istituzioni AFAM,nonché altre istituzioni, pubbliche e private, che offrono servizi relativi al diritto allo studio.

Sembrerebbe opportuno specificare che si tratta delle disposizioni previste dal decreto “in materia di diritto allo studio” (poiché, come si è visto, lo schema disciplina anche altre questioni). Inoltre, l’espressione “servizi di diritto allo studio” dovrebbe essere sostituita con l’espressione “servizi relativi al diritto allo studio”.

 

In base ai commi da 2 a 4, il sistema delle competenze è articolato nei seguenti termini:

-             lo Stato[18] ha competenza esclusiva in materia di determinazione dei LEP, al fine di garantirne l’uniformità su tutto il territorio nazionale;

-             le regioni (a statuto ordinario)[19] esercitano la competenza esclusiva in materia di diritto allo studio, disciplinando e attivando gli interventi per rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale per il concreto esercizio dello stesso. Inoltre, nei limiti delle proprie disponibilità di bilancio, possono integrare la gamma degli strumenti e dei servizi di cui all’art. 6 dello schema;

-             le regioni a Statuto speciale[20] e le province autonome di Trento e di Bolzano esercitano le competenze ad esse spettanti ai sensi dei rispettivi statuti e delle relative norme di attuazione, tenendo conto dei LEP[21].

-             le università[22] e le istituzioni AFAM, nei limiti delle risorse disponibili nei propri bilanci:

o     organizzano i propri servizi, compresi quelli di orientamento e tutorato, in modo da garantire il successo negli studi;

o     promuovono i servizi di orientamento e tutorato delle associazioni, delle cooperative studentesche e dei collegi universitari legalmente riconosciuti.

Si tratta di una possibilità già prevista dall’art. 7, co. 1, del D.L. 212/2002 (L. 268/2002) che, infatti, viene richiamato. In base alla disposizione citata, dall’a.a. 2002-2003, al fine di potenziare i servizi di orientamento e tutorato, favorire la formazione culturale degli studenti e promuovere il diritto allo studio, le università hanno potuto promuovere, sostenere e pubblicizzare le attività di servizio agli studenti iscritti ai propri corsi, svolte da associazioni e cooperative studentesche e dai collegi universitari legalmente riconosciuti, ai quali già avevano potuto ricorrere gli organismi di gestione costituiti presso le università ai sensi dell’art. 25, co. 2, della L. 390 del 1991.

o     agevolano la frequenza dei corsi e lo studio individuale anche mediante l’apertura serale e nei giorni festivi di biblioteche, laboratori e sale studio;

o     promuovono e pubblicizzano attività culturali, sportive e ricreative, anche in collaborazione con le regioni e le province autonome, avvalendosi delle associazioni e cooperative studentesche e promuovendo, eventualmente, le attività di servizio da queste svolte;

o     curano l’informazione sulle possibilità offerte per lo studio e la formazione, in particolare con riferimento ai programmi internazionali e dell’UE, e pubblicizzano gli interventi in materia di diritto allo studio;

o     promuovono scambi di studenti con altre università italiane e straniere, in conformità alle disposizioni in materia di riconoscimento di corsi e titoli;

o     sostengono le attività formative autogestite dagli studenti nei settori della cultura, degli scambi culturali, dello sport, del tempo libero, fatte salve quelle disciplinate da disposizioni legislative.

Al riguardo si ricorda che si tratta della previsione recata dall’art. 12, co. 1, lett. g), della L. 390/1991 che, al riguardo, richiama l’art. 6, co. 1, lett. c), della L. 341/1990. Quest’ultimo dispone chegli statuti delle università debbono prevedere, fra l’altro, attività formative autogestite dagli studenti nei settori della cultura e degli scambi culturali, dello sport, del tempo libero, fatte salve quelle disciplinate da apposite disposizioni legislative in materia.

Alla lett. g) del comma 4, sembrerebbe opportuno mantenere il riferimento all’art. 6, comma 1, lett. c), della L. 341/1990 e chiarire il riferimento alle attività formative autogestite dagli studenti “disciplinate da apposite disposizioni legislative”.

 

I commi da 5 a 7 riguardano i prestiti d’onore, recando una disciplina nuova rispetto a quella derivante dall’art. 16 della L. 390/1991, con particolare riferimento:

- all’attribuzione della competenza a disciplinare la concessione degli stessi, oltre che alle regioni, anche alle province autonome, alle università e alle istituzioni AFAM;

- alla previsione che i prestiti sono concessi esclusivamente “nei limiti delle disponibilità di bilancio” dei soggetti indicati. Infatti, le risorse dell’attuale Fondo integrativo per la concessione di prestiti d’onore e borse di studio relative al 2012 sono destinate al Fondo integrativo per le borse di studio istituito dall’art. 18;

- alla ridefinizione della platea dei destinatari.

E’ utile evidenziare qui che l’art. 24 dello schema dispone l’abrogazione dell’art. 4, co. 99 e 100, della L. 350/1993, che aveva previsto la concessione di prestiti fiduciari (abrogando a sua volta, le disposizioni relative al prestito d’onore: per una illustrazione ampia della questione, si veda infra).

 

In particolare, il comma 5 dispone che, sulla base di criteri definiti con decreto (per la cui emanazione non è indicato un termine) del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato-regioni, le regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano, le università e le istituzioni AFAM, nei limiti delle proprie disponibilità di bilancio:

-       disciplinano le modalità per la concessione di prestiti d’onore agli studenti che possiedono i requisiti di merito;

-       concedono garanzie sussidiarie sugli stessi e corrispondono le quote degli interessi.

 

Al riguardo, ricordato che l’art. 5, co. 5, lett. c), della L. 240/2010 ha disposto la definizione di criteri per l’attribuzione alle regioni e alle province autonome del Fondo integrativo per la concessione di prestiti d’onore e di borse di studio di cui all’art. 16, co. 4, della L. 390/1991 (che ora è abrogato)[23], si evidenzia che lo schema di decreto:

-       nell’articolo in esame prevede che i prestiti d’onore sono concessi nei limiti delle disponibilità di bilancio delle istituzioni citate (peraltro, dal punto di vista della formulazione del testo, le parole “nei limiti delle proprie disponibilità di bilancio” dovrebbero essere collocate prime della parole “provvedono alla concessione di…”);

-       nell’art. 18, co. 6, dispone la confluenza delle risorse del nuovo Fondo integrativo statale per le borse di studio in fondi a destinazione vincolata attribuiti alle regioni.

 

Ai sensi del comma 6, gli stessi soggetti indicati nel comma 5 possono concedere agli studenti che hanno i requisiti per il conseguimento della borsa di studio (di cui all’art. 8) iscritti ai corsi di laurea magistrale e di dottorato, ovvero agli iscritti dal quarto anno dei corsi di laurea magistrale a ciclo unico, un prestito d’onore aggiuntivo rispetto alla borsa di studio, a condizioni agevolate, in misura massima pari all’importo della borsa, disciplinando le modalità agevolate di restituzione.

Al riguardo si segnala che mentre il comma 6 prevede la “possibilità” di concedere il prestito d’onore, il comma 5 dispone in termini prescrittivi la concessione di garanzie sussidiarie e la corresponsione delle quote degli interessi.

Infine, il comma 7 dispone che gli studenti iscritti ai corsi di master universitario o di perfezionamento e alle scuole di specializzazione possono accedere al prestito d’onore con le modalità “di cui alle disposizioni del presente articolo”.

 

La relazione tecnica chiarisce che gli studenti cui sono concessi i prestiti sono quelli degli ultimi anni di corso, nonché quelli che frequentano dottorati e master[24].

Dal punto di vista della formulazione del testo, si suggerisce, per una più agevole comprensione della nuova disciplina, di riportare nel comma 6 le categorie di studenti indicate nel comma 7 e, al comma 5, di inserire, dopo le parole “agli studenti” le parole “di cui al comma 6”, sopprimendo le parole “in possesso dei requisiti di merito”, poiché il comma 6 fa riferimento ai requisiti di eleggibilità di cui all’art. 8 (che attengono, oltre che al merito, alla condizione economica).

Occorrerebbe, inoltre, che già nella rubrica dell’articolo risultasse il riferimento alla disciplina dei prestiti d’onore.

 

Si ricorda che il prestito d’onore è stato previsto dall’art. 16 della L. 390 del 1991 per sopperire alle esigenze di ordine economico connesse alla frequenza. Esso èrimborsato ratealmente, senza interessi, dopo il completamento o la definitiva interruzione degli studi e non prima dell’inizio dell’attività lavorativa[25]. La disciplina delle modalità per la concessione dei prestiti d’onore è stata affidata alle regioni a statuto ordinario[26] - sulla base di criteri definiti con decreto del Ministro del tesoro, di concerto con il Ministro dell’istruzione, sentita la Conferenza Stato-regioni - che, nei limiti degli appositi stanziamenti di bilancio, provvedono alla concessione di garanzie sussidiarie sugli stessi e alla corresponsione degli interessi (art. 16, co. 1, 2 e 3).

Ad integrazione delle disponibilità finanziarie destinate dalle regioni, il co. 4 del medesimo art. 16 ha istituito presso il MIUR il Fondo di intervento integrativo per la concessione dei prestiti d’onore, stabilendo che il medesimo sia ripartito (fra le regioni che abbiano attivato le procedure per la concessione dei prestiti) con DPCM, sentita la Conferenza Stato-regioni, in misura non superiore, per ogni regione, allo stanziamento destinato dalla stessa per i prestiti d’onore[27].

Successivamente, il co. 89 dell’art. 1 della L. n. 662 del 1996 ha consentito la destinazione del Fondo di intervento integrativo anche alla erogazione di borse di studio previste dall'art. 8 della medesima L. n. 390 del 1991, modificandone conseguentemente la denominazione.

In seguito, l’art. 4, co. 99, della L. 350 del 2003 (L. finanziaria 2004) ha previsto la concessione di prestiti fiduciari per il finanziamento degli studi. A tal fine, il co. 100 ha istituito un Fondo finalizzato alla costituzione di garanzie sul rimborso dei prestiti fiduciari concessi dalle banche e dagli altri intermediari finanziari iscritti all’elenco speciale previsto dall’art. 107 del TU delle leggi in materia bancaria e creditizia (D.lgs. 385/1993), nonché alla concessione di contributi in conto interessi nel caso di studenti capaci e meritevoli privi di mezzi. Il co. 101 ha affidato la gestione del Fondo a Sviluppo Italia Spa sulla base di criteri ed indirizzi stabiliti dal MIUR, di concerto con il MEF, sentita la Conferenza Stato-regioni, mentre il co. 102 ha stabilito una dotazione del Fondo pari a 10 milioni di euro per il 2004, disponendo che lo stesso può essere incrementato anche con i contributi di regioni, fondazioni e altri soggetti pubblici e privati. Il co. 103 ha dispostol’abrogazione dei primi tre commi dell’art. 16 della L. 390 del 1991.

La Corte costituzionale, con sentenza 13-21 ottobre 2004, n. 308, ha dichiarato l’illegittimità del co. 103 della L. 350/2003 nella parte in cui non prevede che l’abrogazione delle norme dell’art. 16 della L. 390/1991 decorra dalla data di entrata in vigore della disciplina attuativa del prestito fiduciario. Con la medesima sentenza la Corte ha anche censurato la procedura di ripartizione individuata dal co. 101, per il mancato coinvolgimento delle regioni. La norma, infatti, affidando la gestione del fondo a Sviluppo Italia S.p.a., interamente partecipata dallo Stato, assegnava alle regioni un ruolo meramente consultivo. A seguito della decisione della Corte, un nuovo intervento normativo (art. 6, co. 7, del D.L. 35/2005) ha disposto che il riparto avviene con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca sulla base di criteri ed indirizzi definiti d’intesacon la Conferenza Stato-regioni. In attuazione di tale disposizione è stato emanato il DM 3 novembre 2005[28].

In base all’art. 16 del DPCM 9 aprile 2001, il Fondo è ripartito sulla base dei seguenti criteri:

-    il 50 per cento, in proporzione alla spesa che le regioni, le province autonome ed eventualmente le università e le istituzioni AFAM sostengono per la concessione delle borse di studio, nonché per lo svolgimento di attività a tempo parziale da parte degli studenti presso gli organismi regionali di gestione e per la mobilità internazionale degli studenti;

-    il 35 per cento, in proporzione al numero di idonei nelle graduatorie per la concessione del diritto allo studio, con un coefficiente correttivo per gli studenti fuori sede, che sono “pesati” con un parametro raddoppiato (pari, cioè, a 2);

-    il 15 per cento in proporzione al numero di posti alloggio gestiti dagli enti per il diritto allo studio.

L’importo assegnato a ciascuna regione non può essere superiore alle disponibilità finanziarie ottenute attraverso risorse proprie e entrate da tassa regionale relative all’anno precedente. Al fine di garantire un’adeguata e tempestiva programmazione degli interventi, ciascuna regione non può ottenere nel riparto del Fondo una somma inferiore all’80% di quella ottenuta l’anno precedente.

Con DPCM 19 gennaio 2011, pubblicato nella GU n. 79 del 6 aprile 2011, è stato ripartito il Fondo per l’anno 2010, pari a € 96.699.843,00 al netto delle risorse, quantificate in € 2.990.717,00, riferite alle Province Autonome di Trento e di Bolzano per effetto della legge n. 191/2009 (sul punto, si veda la scheda relativa agli artt. 23 e 24 dello schema)[29].

Con note n. 1755 del 16 dicembre 2011 e n. 1797 del 28 dicembre 2011 il MIUR ha trasmesso lo schema di riparto del Fondo relativo al 2011 alla Conferenza Stato-regioni, che si è espressa positivamente il 2 febbraio[30].

 

 


Articoli 6 e 7
(Strumenti e servizi per il conseguimento del successo formativo e definizione dei livelli essenziali delle prestazioni)

 

L’art. 6 indica gli strumenti e i servizi per il conseguimento del successo formativo degli studenti - si tratta di trasporti, assistenza sanitaria, ristorazione, accesso alla cultura, alloggi, servizi di orientamento e tutorato, attività a tempo parziale, servizi per la mobilità internazionale, materiale didattico - e affida a regioni, province autonome di Trento e di Bolzano, università, istituzioni AFAM, la definizione di altri servizi.

Specifica, inoltre, che per gli studenti capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, che possiedano i requisiti di eleggibilità di cui all’art. 8, il conseguimento del pieno successo formativo è garantito attraverso l’erogazione della borsa di studio.Come si vedrà, il concetto è ripetuto, con una specifica, nel comma 1 dell’art. 7.

 

Infatti, l’art. 7 definisce i LEP con riferimento alla borsa di studio e all’assistenza sanitaria, disponendo, peraltro, per la definizione dell’importo della borsa di studio, l’intervento di decreti ministeriali.

Sull’argomento si ricorda che l’art. 13, co. 4, del d.lgs. 68/2011 ha affidato ad un DPCM il compito di effettuare una ricognizione dei LEP nel settore, fra gli altri, dell’istruzione (sull’argomento si veda, più ampiamente, la scheda relativa agli artt. 18 e 19 dello schema).

 

Alla borsa di studio sono dedicati i commi 1-5, nonché 7 e 8, all’assistenza sanitaria il comma 6.

 

Al riguardo si evidenzia che, mentre l’art. 5, comma 6, lett. a), della L. 240/2010 fa riferimento alla definizione dei LEP citando strumenti e servizi “quali borse di studio, trasporti, assistenza sanitaria, ristorazione, accesso alla cultura, alloggi”, lo schema di decreto prende in considerazione trasporti, ristorazione, accesso alla cultura, alloggi (oltre che materiale didattico) quali voci di costo da considerare ai fini della determinazione dell’importo standard della borsa di studio (strumento nel quale, unitamente all’assistenza sanitaria garantita a tutti gli studenti, sembra concretizzare l’obiettivo di determinazione dei LEP).

Poiché, peraltro, l’art. 2, comma 2, dello schema, nello spirito della L. 240/2010, riferisce l’individuazione dei LEP agli strumenti e ai servizi per il diritto allo studio, utilizzando la locuzione “i relativi”, sembrerebbe necessario un chiarimento[31].

 

Il comma 1 ribadisce che la concessione delle borse di studio è assicurata a tutti gli studenti che hanno i requisiti di eleggibilità di cui all’art. 8 ma, a fronte della garanzia (senza vincoli) prevista dall’art. 6, co. 2, qui si fa riferimento ai limiti delle risorse disponibili a legislazione vigente nello stato di previsione del MIUR. Sull’argomento, si veda anche l’art. 18, comma 1, e l’art. 19.

Dispone, dunque, al fine di garantire l’erogazione dei LEP in modo uniforme su tutto il territorio nazionale, che la determinazione dell’importo standard della borsa di studio tiene in considerazione le differenze territoriali correlate ai costi di mantenimento agli studi.

Il concetto è specificato nel comma 2, laddove si dispone che i costi di mantenimento agli studi sono valutati, in modo distinto per condizione abitativa dello studente, con riferimento alle voci di costo individuate.

Sembrerebbe opportuno chiarire se con l’espressione “modo distinto per condizione abitativa dello studente” si intenda fare riferimento agli studenti in sede, fuori sede e pendolari. Al riguardo si segnala, peraltro, che mentre l’AIR segnala fra le criticità che si risolverebbero con l’intervento normativo anche quella del superamento della difformità nell’identificazione dello studente fuori sede da parte delle regioni, i concetti di studente fuori sede, in sede e pendolare non sono esplicitati nello schema. Occorre chiarire se saranno esplicitati nel decreto interministeriale che, ai sensi del co. 7 - e, prima, del co. 8 -, definirà l’importo standard della borsa di studio[32].

Le voci di costo sono così individuate:

Ø      materiale didattico: la voce comprende la spesa per libri di testo e strumenti didattici indispensabili per lo studio. Questi ultimi non sono, però, individuati, salvo specificare che non è compresa la spesa per l’acquisto di PC e altri strumenti o attrezzature tecniche o informatiche.

Occorrerebbe chiarire che cosa si intenda con l’espressione “strumenti didattici indispensabili per lo studio”, vista l’esplicita esclusione delle spese per le attrezzature informatiche e tecniche.

Ø      Trasporto: la voce comprende la spesa effettuata per gli spostamenti dall’abitazione alla sede di studio, in area urbana (quindi, studente in sede) ed extraurbana (quindi, studente pendolare), nonché, per gli studenti fuori sede, il costo per raggiungere la sede di origine due volte l’anno, in entrambi i casi con riferimento alle tariffe più economiche degli abbonamenti del servizio pubblico.

Si valuti l’opportunità di chiarire il concetto di “sede di origine” e di chiarire se, per gli studenti fuori sede, si intende fare riferimento al costo di andata e di ritorno.

Ø      Ristorazione: la voce comprende, per gli studenti fuori sede, la spesa per due pasti giornalieri erogati dalle mense universitarie o da strutture convenzionate o “la spesa per mangiare in casa”;per gli studenti in sede e pendolari, la spesa per un pasto giornaliero.

Al riguardo si segnala che con riferimento alla “spesa per mangiare in casa” (prevista per gli studenti fuori sede – dal punto di vista della formulazione del testo, si valuti l’utilizzo dell’espressione in una norma primaria) non sono chiari i parametri di riferimento relativi a misura e tipologie di pasti o di prodotti acquistabili. Per gli studenti in sede o pendolari non è chiaro il parametro di riferimento relativo alle strutture presso cui fruire di un pasto giornaliero.

Ø      Alloggio: la voce riguarda gli studenti fuori sede e comprende la spesa per l’affitto in camera doppia o in una residenza universitaria e le relative spese accessorie per il condominio, le utenze (ad eccezione del telefono) e la tassa sui rifiuti. In tal caso si tiene conto dei canoni di locazione mediamente praticati nei diversi comuni sede dei corsi.

Ø      Accesso alla cultura: la voce include la “spesa essenziale” effettuata dagli studenti per frequentare eventi culturali presso la città sede dell’ateneo per il completamento del percorso formativo. Dunque, l’evento culturale deve essere “funzionale” al completamento del percorso formativo.

Non è chiaro come la funzionalità indicata possa essere valutata. Inoltre, occorrerebbe esplicitare il concetto di “spesa essenziale”.

 

Il comma 3 dispone che la spesa (evidentemente riferita alle voci di costo indicate al comma 2) verrà stimata in un valore standard con riferimento, come specificato dalla relazione illustrativa, alla situazione economica degli studenti: in particolare, il riferimento saranno gli studenti il cui nucleo familiare ha un valore dell’indicatore della situazione economica equivalente (ISEEU) sino al 20% superiore al limite massimo previsto dai requisiti di eleggibilità di cui all’art. 8, computatosu 11 mesi.

Si segnala il refuso “computata” invece che “computato”.

L’Indicatore della Situazione Economica Equivalente (ISEE) è stato introdotto nel nostro ordinamento dall’art. 1 del D.Lgs. 109/1998 allo scopo di individuare criteri unificati di valutazione della situazione economica di coloro che richiedono prestazioni o servizi sociali o assistenziali non destinati alla generalità dei soggetti o comunque collegati nella misura o nel costo a determinate situazioni economiche[33].

Al momento di avvio del sistema, l’ISEE è stato utilizzato soprattutto a livello nazionale[34]per le prestazioni previste dalla normativa di settore. Successivamente le amministrazioni locali lo hanno utilizzato in virtù delle capacità selettive e della semplicità di utilizzazione del Sistema informativo[35]. A legislazione vigente, la platea dei beneficiari delle prestazioni erogate attraverso l’ISEE non può essere esclusivamente identificata con le famiglie in condizione di bisogno economico: l’ISEE è infatti utilizzato anche per stabilire la compartecipazione al costo di servizi a destinazione generale (prestazioni per il diritto allo studio universitario e per gli asili nido).

Si ricorda in proposito che il disegno di legge di delega al Governo per la riforma fiscale e assistenziale (art.10, co. 1, n. 1-6 A.C. 4566) contempla, tra i principi e i criteri direttivi per l’esercizio della delega, anche la complessiva revisione dell’ISEE, con particolare attenzione alla composizione del nucleo familiare.

Successivamente, l’art. 5 del D.L. 201 del 2011 (L. 214/2011) ha disposto una revisione delle modalità di determinazione e dei campi di applicazione dell’ISEE, a tal fine rafforzando la rilevanza degli elementi collegati alla ricchezza patrimoniale della famiglia e ai trasferimenti monetari, anche se esenti da imposizione fiscale.

Da ultimo, l’art. 16 del D.L. 5/2012 (attualmente all’esame del Parlamento), nell’ambito di interventi volti a semplificare e razionalizzare i flussi informativi in materia di interventi e servizi sociali, prevede (co. 1) che gli enti erogatori di interventi e servizi sociali debbano inviare all’INPS le informazioni sui beneficiari e le prestazioni concesse, raccordando i flussi informativi del Sistema informativo servizi sociali, del casellario dell’assistenza nonché dei dati relativi alle prestazioni sociali agevolate e dei dati sui controlli ISEE.

Infine, l’ISSEU è un ricalcolo dell’ISEE che tiene conto di alcuni criteri specifici previsti per l’Università dal DPCM 9 aprile 2001, quali redditi e patrimoni dei fratelli o sorelle, calcolati al 50 per cento, considerazione redditi e patrimoni posseduti all’estero, studente con nucleo familiare a sé stante considerato indipendente nel caso si verifichino condizioni specifiche previste dal citato DPCM.

 

I commi 7 e 8 riguardano l’importo della borsa di studio, il primo per la definizione a regime, il secondo per la definizione in via transitoria.

In particolare, il comma 7 stabilisce che l’importo della borsa di studio (sembrerebbe, l’importo standard) è determinato, sulla base di quanto previsto ai commi 2 e 3, con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, d’intesa con la Conferenza stato-regioni, sentito il Consiglio nazionale degli studenti universitari. Il decreto, che è aggiornato ogni tre anni, definisce anche i criteri e le modalità di riparto del fondo integrativo statale per la concessione delle borse di studio - istituito ai sensi dell’art. 18 dello schema (il cui comma 4, peraltro, ripete lo stesso concetto) - nonché, ai sensi dell’art. 8, comma 1, i requisiti di eleggibilità per l’accesso alle borse di studio, con riferimento a criteri relativi al merito e alla condizione economica degli studenti.

Il comma 8 dispone che l’importo della borsa di studio per i primi tre anni accademici dalla data di entrata in vigore del decreto è determinato, con decreto emanato, con le modalità previste dal comma 7, entro 90 giorni dalla medesima data, “in misura diversificata in relazione alla condizione economica e abitativa dello studente”. La previsione sembrerebbe doversi leggere nel senso che vi saranno importi differenziati a seconda, oltre che della condizione economica dello studente (per la quale, come si è visto, continueranno ad applicarsi le previsioni del DPCM 9 aprile 2001), anche del fatto che lo stesso sia studente in sede, fuori sede, o pendolare.

 

Appare necessario chiarire perché il comma 8 non faccia riferimento alla definizione dei criteri di ripartizione del Fondo integrativo.

Inoltre, al comma 7 si segnala la presenza del refuso “sentiti” (invece che “sentito”) e si suggerisce di inserire le parole “di cui all’art. 18, comma 1”, dopo le parole “fondo integrativo statale per la concessione delle borse di studio”.

Al comma 8, considerato che il decreto interministeriale da emanare entro 90 giorni riguarda comunque i primi tre anni accademici, occorre valutare se è necessario anche il riferimento alle “more della definizione dei criteri di cui ai commi 2 e 3”.

 

I commi 4 e 5 dispongono sui destinatari delle borse di studio.

In particolare, il comma 4 dispone che la borsa di studio è attribuita per concorso agli studenti che si iscrivono ai corsi entro il termine previsto dal bando e che risultano idonei al conseguimento della stessa borsa in quanto possiedono i requisiti di eleggibilità di cui all’art. 8, indipendentemente dal numero di anni trascorsi dal conseguimento del titolo precedente.

Rispetto alla previsione recata, in materia, dall’art. 3, co. 1, del DPCM 9 aprile 2001 - in quel caso con riferimento a tutti i servizi e gli interventi previsti dall’art. 2 (dunque, borse di studio, prestiti d’onore, servizi abitativi, contributi per la mobilità internazionale degli studenti) -, ora si supera l’eccezione là disposta per gli studenti dei corsi di specializzazione dell’area medica.

Dal punto di vista della formulazione del testo, le parole “al loro” devono essere sostituite con le parole “al suo”, poiché il riferimento è solo alla borsa di studio.

Il comma 5 dispone che la borsa di studio è destinata anche agli studenti iscritti ai corsi universitari nelle scienze della difesa e della sicurezza, mentre non riguarda gli allievi delle Accademie militari per gli ufficiali delle Forze armate e della Guardia di Finanza e degli altri Istituti militari di istruzione superiore.

La disposizione è analoga a quella recata dall’art. 3, co. 2, del DPCM 9 aprile 2001.

Si segnala che, con riferimento al d.lgs. n. 464 del 1997 il riferimento corretto è all’art. 2, co. 3 (e non all’art. 3, co. 2). Si valuti, inoltre, l’opportunità di sostituire le parole  “corsi di istruzione superiore” con le parole “corsi di laurea e di laurea specialistica o magistrale”.

Infine, si segnala che la previsione di attribuzione della borsa di studio indipendentemente dal numero di anni trascorso dal conseguimento del titolo precedente era riferita, nel co. 6 dell’art. 3 del DPCM 9 aprile 2001, anche alla fattispecie disciplinata nel co. 5 dello schema in esame, che ora ne rimane esclusa. Si valuti se sia effettivamente questa l’intenzione.

 

Si ricorda che, ai sensi dell’art. 4 del DM 509/1999 e dell’art. 2, c. 3, del d.lgs. 464/1997, recante riforma delle Forze armate, è stato emanato, al fine di fornire i criteri generali per la definizione degli ordinamenti didattici dei corsi di studio universitari adeguati alla formazione degli ufficiali delle Forze armate e della Guardia di finanza, il DM 12 aprile 2001, con il quale sono state determinate le classi delle lauree e delle lauree specialistiche nelle scienze della difesa e della sicurezza.

Infatti, oltre che attraverso la formazione nelle accademie militari, alle quali si accede mediante concorso, si può accedere al ruolo degli ufficiali anche attraverso concorsi a nomina diretta riservati a cittadini italiani in possesso di uno dei diplomi di laurea adeguati al corpo militare prescelto. A tal fine, l’art. 719 del codice dell’ordinamento militare (d.lgs. 66/2010) prevede che gli ordinamenti didattici dei corsi finalizzati alla formazione di ufficiali delle forze armate vengono definiti dalle università d’intesa con le accademie militari e con gli istituti militari di istruzione superiore[36], sulla base di criteri generali definiti con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, d’intesa con il Ministro della difesa e il Ministro dell’economia e delle finanze[37].

Il 18 marzo 2011 è stato presentato alle Camere per l’espressione del parere lo schema di decreto ministeriale Atto n. 355, concernente una nuova definizione delle classi dei corsi di laurea e di laurea magistrale in scienze della difesa e della sicurezza, al fine di adeguare anche le suddette classi alle novità intervenute nel sistema universitario a seguito del DM 270/2004, che ha sostituito il DM 509/1999 (sulla cui base era stato emanato il sopra citato DM 12 aprile 2001)[38].

 

Il comma 6 riguarda, comeante indicato, i livelli essenziali delle prestazionidi assistenza sanitaria e dispone che gli stessi sono garantiti a tutti gli studenti iscritti ai corsi, uniformemente su tutto il territorio nazionale. In particolare, gli studenti fruiscono dell’assistenza sanitaria di base nella regione o provincia autonoma in cui ha sede l’università o l’istituzione AFAM, anche se diversa da quella di residenza. I relativi costi sono compensati tra le regioni e le province autonome nell’ambito delle procedure che disciplinano la mobilità sanitaria[39].

Sull’argomento si ricorda che i livelli essenziali delle prestazioni di assistenza sanitaria sono indicati nel D.P.C.M. 29 novembre 2001, mentre in base all’art. 7, co. 3, della L. 390/1991 le regioni a statuto ordinario realizzano, nei limiti degli stanziamenti dei rispettivi bilanci, interventi specifici, riguardanti anche l’assistenza sanitaria. L’art. 19 della stessa legge dà facoltà alle regioni, nell'ambito della programmazione regionale, di stipulare convenzioni con le università per assicurare prestazioni sanitarie agli studenti all'interno delle sedi universitarie.

Le convenzioni stipulate sono finanziate con i fondi per il diritto allo studio senza alcun intervento delle risorse sanitarie e possono offrire vari livelli di assistenza.

Questa disciplina riguarda l’assistenza sanitaria “interna” per gli studenti fuori sede che non vogliono cambiare medico di base.

Nella mobilità sanitaria è, invece, inclusa l'assistenza medica di base a tempo determinato a favore degli assistiti non residenti che cambiano medico di base temporaneamente. Al riguardo si ricorda, in particolare, che l'iscrizione temporanea, ai sensi della normativa vigente, nell'elenco degli assistiti di una ASL dà diritto a ricevere tutte le prestazioni incluse nei livelli uniformi di assistenza di cui al citato DPCM 29 novembre 2001, fatta eccezione per le prestazioni escluse dalla compensazione della mobilità sanitaria[40].

 

Al riguardo, sembrerebbe opportuno chiarire se il comma 6 intenda introdurre l’obbligo per gli studenti universitari di fruire dell’assistenza sanitaria di base nella regione o provincia autonoma sede del corso di studio.

Inoltre, il suo contenuto dovrebbe essere ricollocato in maniera tale da non interrompere la sequenza delle disposizioni che riguardano la borsa di studio.

Infine, mentre si utilizza l’espressione “corsi” - che, in base all’art. 1, riguarda i corsi universitari, quelli delle istituzioni AFAM e quelli attivati dalle Scuole superiori per mediatori linguistici - con riferimento alla sede si fa riferimento solo a quella dell’università o dell’istituzione AFAM.

 

 

 


Articolo 8
(Requisiti di eleggibilità per l’accesso ai LEP)

 

Preliminarmente si evidenzia che l’art. 8 dispone non solo in materia di requisiti di eleggibilità per l’accesso ai LEP, ma anche in materia di requisiti per la fruizione degli altri strumenti e servizi relativi al diritto allo studio, assegnando la competenza relativa al primo aspetto ad un decreto interministeriale e la competenza relativa al secondo aspetto a regioni, province autonome, università e istituzioni AFAM.

 

E’, dunque, necessaria una integrazione della rubrica.

Dal punto di vista terminologico, si valuti, inoltre, l’eliminazione della locuzione “di eleggibilità”.

 

Come si è già anticipato nella scheda relativa all’art. 7, i requisiti di eleggibilità per l’accesso alle borse di studio, relativamente al merito e alla condizione economica degli studenti, sono definiti con il decreto interministeriale che determina a regime anche l’importo della borsa di studio e i criteri e le modalità di riparto del fondo integrativo statale (comma 1). Se ne deduce, pertanto, che anche i requisiti in questione sono aggiornati con cadenza triennale.

Ai sensi del comma 5, fino all’emanazione dello stesso decreto rimangono in vigore le disposizioni sui requisiti di merito e sulla condizione economica recate dal DPCM 9 aprile 2001.

 

Il comma 2 riguarda i requisiti di merito per l’accesso ai LEP, stabilendo che, per quanto riguarda i corsi di studio universitari, essi sono definiti altresì al fine di garantire il completamento dei corsi di studio entro la durata normale[41], anche con riferimento ai valori mediani della classe del corso di studi.

In relazione ai corsi delle istituzioni AFAM, invece, il riferimento alla durata ordinaria[42] dei corsi afferenti alle scuole[43], anche relativamente ai valori mediani, riguarda l’accertamento dei requisiti di merito.

Letteralmente, cioè, la finalità di “sprone” è indicata solo con riferimento ai corsi universitari. Occorre riflettere se l’intenzione sia effettivamente questa[44].

 

Si ricorda che la mediana di una variabile è il valore dell’unità che si trova a metà della distribuzione, in modo che il 50% del collettivo abbia un valore della variabile uguale o inferiore a esso e il restante 50% un valore superiore[45].

 

Pertanto, sembrerebbe opportuno un chiarimento circa le modalità applicative della norma, poiché il concetto di “durata normale” non appare conciliabile con quello di “valore mediano”. Infatti, mentre la “durata normale” di un corso di studi è univocamente definita dall’ordinamento, il concetto di “valore mediano” dipende dal tempo impiegato dagli studenti iscritti a quel corso – nel periodo preso a riferimento (peraltro, qui non specificato) – per conseguire il titolo di studio.

In ogni caso, al comma 2 è almeno necessario sostituire le parole “valori mediani” con le parole “valori mediani della durata”.

Si evidenzia, inoltre, che anche in questo articolo non si fa riferimento ai corsi presso le Scuole superiori per mediatori linguistici[46].

 

Il comma 3 riguarda le condizioni economiche dello studente iscritto o che intenda iscriversi a corsi di istruzione superiore,stabilendo che le stesse sono individuate sulla base dell’Indicatore della situazione economica equivalente, anche tenuto conto della situazione economica del territorio in cui ha sede l’università o l’istituzione AFAM. Dispone, inoltre, che sono previste modalità integrative di selezione, quali l’Indicatore della situazione economica all’estero e l’Indicatore della situazione patrimoniale equivalente.

Al riguardo, richiama l’art. 3, co. 1, del D.lgs. n. 109 del 1998.

La disposizione citata stabilisce che gli enti erogatori, ai quali compete la fissazione dei requisiti per fruire di ciascuna prestazione sociale agevolata, possono prevedere, accanto all'indicatore della situazione economica equivalente, criteri ulteriori di selezione dei beneficiari.

Su questa base è intervenuto, da ultimo, l’art. 5 del DPCM 9 aprile 2001 (Si veda il par. relativo al Quadro normativo di riferimento).

 

Occorre chiarire se il riferimento all’Indicatore della situazione economica all’estero e all’Indicatore della situazione patrimoniale equivalente escluda ogni altra modalità integrativa (come sicuramente è nella formulazione del DPCM 9 aprile 2001), ovvero se si pensi alla possibilità di altre modalità integrative di selezione, come lascerebbe pensare l’utilizzo della locuzione “quali”.

 

Il comma 4 dispone che per gli altri servizi relativi al diritto allo studio enunciati nell’art. 6, nonché per gli eventuali altri strumenti previsti dalle regioni, l’entità e le modalità delle erogazioni, nonché i requisiti di eleggibilità, sono stabiliti dalle stesse regioni, dalle province autonome, dalle università e dagli istituti AFAM per gli interventi di rispettiva competenza, E, però, richiesta “coerenza con quanto previsto per le condizioni economiche dal comma 3”.

Conseguentemente, l’art. 18, comma 8, dispone che l’erogazione degli altri strumenti e servizi per il diritto allo studio, diversi da quelli relativi alla garanzia dei LEP, è finanziata dalle risorse proprie degli stessi soggetti, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

Con riferimento alla formulazione dell’art. 18, comma 8, si segnala l’opportunità di sopprimere l’aggettivo “essenziali”, anche per non ingenerare confusione con i livelli essenziali delle prestazioni.

Il comma 6, infine, dispone che gli interventi delle regioni, delle province autonome e delle università (in questo caso non sono citate le istituzioni AFAM) sono realizzati in modo da garantire che le persone con disabilità possano mantenere il controllo di ogni aspetto della propria vita, senza subire condizionamenti da parte dei singoli assistenti o degli enti eroganti. Stabilisce, inoltre, che gli interventi di tutorato possono essere affidati ai “consiglieri alla pari”, cioè persone con disabilità che hanno già affrontato e risolto problemi simili.

Si tratta esattamente della stessa disposizione recata dall’art. 14, co. 10, del DPCM 9 aprile 2001, con la modifica del termine “handicap” in “disabilità”.

Lo stesso articolo 14 dispone che le regioni, le province autonome e le università, per gli interventi di rispettiva competenza, forniscono agli studenti in situazioni di handicap ampio accesso alle informazioni intese ad orientarle nei percorsi formativi e alle procedure amministrative connesse, nonché quelle relative ai servizi e alle risorse disponibili e alle relative modalità di accesso. Tali servizi sono articolati in considerazione dei diversi ostacoli posti dalle specifiche tipologie di disabilità.

Per gli stessi soggetti sono prese in considerazione le possibili differenze compensative nella valutazione dei criteri per l’attribuzione dei servizi e degli interventi, istituendo, per gli studenti con disabilità non inferiore al 66%, requisiti di merito individualizzati che possono discostarsi da quelli previsti per gli altri studenti fino ad un massimo del 40%. I requisiti di merito individualizzati non potranno, comunque, essere inferiori a quelli specificamente indicati.

Inoltre, regioni, province autonome e università provvedono a definire particolari criteri di determinazione delle condizioni economiche, intesi a favorire l’accesso degli studenti in questione ai servizi per il diritto allo studio.

 


Articolo 9
(Graduazione dei contributi per la frequenza ai corsi di livello universitario ed esoneri dalle tasse e dai contributi)

 

L’art. 9 disciplina in maniera diretta alcune situazioni di esonero totale dal pagamento di tasse e contributi, e affida alle università e alle istituzioni AFAM la possibilità di prevedere ulteriori esoneri, nei limiti delle proprie possibilità di bilancio, nonché la valutazione della condizione economica degli iscritti ai fini della graduazione dei contributi.

Si è in presenza di una rilegificazione di argomenti finora disciplinati con norme di rango secondario (artt. 7 e 8 DPCM 9 aprile 2001).

 

In alcuni casi le disposizioni sono riferite a “le università”, in altri a “le università statali”.

 

Il comma 1 dispone che, ai fini della graduazione dell’importo dei contributi dovuti per la frequenza dei corsi, le università statalie le istituzioni AFAM valutano la condizione economica degli iscritti con le modalità indicate dall’art. 8, comma 3, e possono tenere conto dei differenziali di costo di formazione riconducibili alle diverse aree disciplinari.

Non vi è una parallela previsione per le università non statali legalmente riconosciute.

Nell’ambito del DPCM 9 aprile 2001, all’argomento è dedicato l’art. 7, che, riferendosi alle sole università statali, dispone che esse valutano autonomamente la situazione economica degli iscritti, sulla base dei criteri definiti dall’art. 3, co. 1 e 2, del DPR 306 del 1997. Questi ultimi dispongono che le università graduano l'importo dei contributi universitari secondo criteri di equità e solidarietà, in relazione alle condizioni economiche dell'iscritto, utilizzando metodologie adeguate a garantire un'effettiva progressività, anche allo scopo di tutelare gli studenti di più disagiata condizione economica. Ai fini della graduazione e della valutazione della condizione economica degli iscritti, dall’a.a. 1998-1999 sono diventate vincolanti le previsioni dello stesso DPCM 9 aprile 2001, al quale è stata anche rimessa la determinazione degli esoneri totali o parziali.

 

Poiché all’art. 1 si specifica che cosa si intende con il termine “corsi”, nel comma 1 dell’art. 9 non sembra necessario utilizzare la locuzione “di livello universitario”.

 

I commi da 2 a 4 riguardano la definizione diretta di situazioni di esonero totale.

In particolare, il comma 2 dispone che le università (in questo caso non si specifica che si tratta delle università statali, ma si veda poi il comma 8)e le istituzioni AFAM esonerano totalmente dalla tassa di iscrizione e dai contributi universitari gli studenti che presentano i requisiti di eleggibilità per il conseguimento della borsa di studio e gli studenti in situazione di handicap con invalidità riconosciuta pari o superiore al 66 per cento.

Per questi casi il comma 6, specificando che si tratta degli studenti iscritti ai corsi di laurea, di laurea magistrale, di laurea magistrale a ciclo unico, di dottorato di ricerca, nonché ai corsi accademici di primo e di secondo livello, dispone il rimborso della prima rata della tassa di iscrizione e dei contributi versata;in particolare, nel caso in cui le graduatorie per il conseguimento della borsa di studio non sono pubblicate al momento della scadenza delle iscrizioni ai corsi, il rimborso è effettuato entro un mese dalla stessa pubblicazione.

E’ necessario chiarire perché nel co. 6 dell’art. 9 si faccia riferimento solo agli studenti di alcuni corsi di studio, mentre l’art. 4, co, 2, con specifico riferimento ai LEP - che, come si è visto, sono declinati nell’art. 7 dello schema con riferimento alla borsa di studio - cita gli studenti “iscritti ai corsi di cui all’art. 1, comma 1, lett. d” (si veda la scheda relativa).

E’ altresì necessario chiarire se l’intenzione sia quella di far comunque versare la prima rata della tassa di iscrizione e dei contributi (per comprendere meglio la questione, si operi il raffronto testuale con l’art. 7, co. 8, del DPCM 9 aprile 2001).

 

In base al comma 3, lo stesso esonerototaleè concesso dalle università e dalle istituzioni AFAM agli studenti stranieri beneficiari di borsa di studio erogata dal Governo italianonell’ambito dei programmi di cooperazione allo sviluppo e degli accordi intergovernativi culturali e scientifici e dei relativi programmi esecutivi. Negli anni successivi al primo, l’esonero è condizionato al rinnovo della borsa di studio da parte del Ministero degli affari esteri, nonché al rispetto dei requisiti di merito di cui all’art. 8, co. 2, preventivamente comunicati dall’università o istituzione AFAM allo stesso MAE.

La locuzione onnicomprensiva “programma bilaterale culturale” (con una certa fungibilità lessicale si impiegano espressioni similari quali “programma esecutivo”, o “programma esecutivo di collaborazione”, o anche “protocollo esecutivo”) designa gli strumenti di programmazione pluriennale con i quali si dà concreta attuazione agli accordi tra l’Italia ed uno Stato estero)[47].

In ragione delle sue peculiarità, la cooperazione internazionale nei campi della ricerca scientifica e dell’innovazione tecnologica - e quindi la connessa attuazione dei relativi protocolli di esecuzione - è gestita da una specifica Unità per la cooperazione scientifica e tecnologica della Direzione generale per la promozione del Sistema Paese del MAE che si occupa dell’internazionalizzazione della ricerca italiana[48].

Anche sul versante dell’aiuto pubblico italiano allo sviluppo, disciplinato dalla L. n. 49 del 1987 e dal DPR n. 177 del 1988, è prevista l’erogazione di sovvenzioni per agevolare la formazione in Italia di cittadini provenienti dai Paesi in via di sviluppo.

Le attività formative in Italia, che prevalentemente riguardano studi di livello universitario e post lauream, sono realizzate tramite l’assegnazione di borse di studio (la cd. “gestione diretta”) a cittadini dei PVS e l’erogazione di contributi a corsi/programma organizzati da università italiane ed altri enti specializzati a prevalente partecipazione pubblica.

Le borse di studio "a gestione diretta" sono assegnate a seguito di richieste formali presentate alla Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo del MAE dalle autorità governative dei paesi di provenienza dei candidati per il tramite delle ambasciate italiane all’estero. Sono finalizzate al conseguimento dei titoli di laurea, specializzazioni post lauream e dottorati di ricerca, in settori tecnico-scientifici. I borsisti sono tenuti a sostenere un numero annuale di esami, al di sotto del quale perdono il beneficio[49].

Sia nell’assegnazione delle borse che nel finanziamento dei corsi/programma, vengono privilegiate quattro aree tematiche: la gestione delle risorse primarie ("Acqua, Agricoltura, Ambiente"); lo sviluppo della piccola e media impresa; il potenziamento degli apparati sanitari; la capacity e l’institution building

 

In base al comma 4, sono altresì esonerati totalmente dal pagamento di tasse e contributi universitari gli studenti costretti ad interrompere gli studi a causa di infermità gravi e prolungate debitamente certificate, per il periodo di infermità. Si è in presenza di una restrizione degli esoneri rispetto a quanto previsto dal DPCM 9 aprile 2001 (si veda infra).

 

Il comma 5 disciplina la possibilità per le università statali e le istituzioni AFAM di disporre ulteriori esoneri. In particolare, esse, nei limiti delle proprie disponibilità di bilancio, possono prevedere autonomamente, e tenuto conto della condizione economica dello studente, la concessione di esoneri totali o parziali dalla tassa di iscrizione e dai contributi universitari, con riferimento a:

-       studenti diversamente abili con invalidità inferiore al 66 per cento;

-       studenti che concludono gli studi entro i termini previsti dai rispettivi ordinamenti con regolarità nell’acquisizione dei crediti previsti dal piano di studi;

-       studenti che svolgono una documentata attività lavorativa.

 

Il comma 7 dispone che gli studenti che presentano i requisiti di eleggibilità per il conseguimento della borsa di studio che si iscrivono ad un anno successivo di corso, non devono pagare la tassa di iscrizione e i contributi fino alla pubblicazione delle graduatorie per il conseguimento della borsa di studio.

 

Si segnala la presenza del refuso “e dei contributi” (invece che “e i contributi”).

 

Il comma 8 dispone che le università non statali legalmente riconosciute riservano agli studenti capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, una quota del contributo statale di cui alla L. 243 del 1991 concedendo gli esoneri totali di cui al comma 2 (relativi, cioè, agli studenti con i requisiti di eleggibilità per il conseguimento della borsa di studio e agli studenti con un grado di invalidità superiore al 66% - non viene, quindi, fatto riferimento agli esoneri di cui ai commi 3 e 4) ed ulteriori esoneri stabiliti autonomamente, tenendo conto dei criteri di cui al comma 5.

Al fine di garantire alle stesse università una adeguata copertura degli oneri finanziari, il comma 10 dispone che, nel riparto dei contributi di cui alla citata L. 243 del 1991, il Ministro definisce specifici incentivi che tengono conto dell’impegno nelle politiche per il diritto allo studio, con particolare riferimento all’incremento del numero degli esoneri totali dalla tassa di iscrizione e dai contributi universitari, rispetto all’a.a. 2000-2001, degli studenti che presentino i requisiti di eleggibilità per il conseguimento della borsa di studio.

 

Il riferimento all’a.a. 2001/2002 è spiegabile in relazione al fatto che l’art. 4, co. 2, del D.L. 212/2002 (L. 268/2002), al fine di assicurare l'uniformità di trattamento sul diritto allo studio agli studenti iscritti alle università non statali legalmente riconosciute, ha autorizzato la spesa di 10 milioni di euro a decorrere dal 2002, da destinare alle predette istituzioni[50].

Il comma 9 dispone che le università e le istituzioni AFAM comunicano entro il 30 aprile di ogni anno al MIUR e al Consiglio nazionale degli studenti universitari il numero degli studenti esonerati totalmente o parzialmente dalla tassa di iscrizione e dai contributi universitari, secondo le diverse tipologie di esonero, nonché la distribuzione degli studenti per classi di importo delle tasse e dei contributi.

 

Nell’ambito del DPCM 9 aprile 2001 agli argomenti trattati nei commi da 2 a 10 dell’articolo in esame è dedicato l’art. 8.

In particolare, il co. 1 dell’art. 8 del DPCM è raffrontabile con il co. 2 dell’art. in esame. Le differenze riguardano il riferimento, presente nel comma 1 dell’art. 8, anche agli studenti beneficiari dei prestiti d’onore e agli studenti risultati idonei al conseguimento delle borse di studio concesse dalla regioni e dalle province autonome che, per scarsità di risorse, non siano risultati beneficiari delle stesse.

Il co. 2 dell’art. 8 è raffrontabile con il co. 3 dell’art. in esame. La differenza riguarda l’introduzione, nel testo in esame, della condizione relativa al rispetto dei requisiti di merito.

I co. 4, 5 e 6 dell’art. 8 sono raffrontabili con il co. 4 dell’art. in esame. Le differenze riguardano la considerazione, nell’art. 8, di altre categorie di soggetti esonerati e una serie di prescrizioni ulteriori che nel testo in esame non sono presenti. In particolare, quanto alle categorie, i co. 4 e 5 dell’art. 8 dispongono l’esonero anche per gli studenti che intendono ricongiungere la carriera dopo un periodo di interruzione degli studi di almeno 2 a.a., per gli a.a. in cui non sono risultati iscritti (per tale periodo essi devono pagare un diritto fisso annuale stabilità dall’università), per l’anno di svolgimento del servizio militare di leva o del servizio civile e per le studentesse nell’anno di nascita di ciascun figlio.

Quanto alle prescrizioni, il co. 6 dell’art. 8 stabilisce che gli studenti che beneficiano delle disposizioni di cui al co. 4 non possono effettuare negli a.a. di interruzione alcun atto di carriera, che la richiesta del beneficio non è revocabile nel corso dell’a.a. e che il periodo di interruzione non è preso in considerazione ai fini della valutazione del merito.

Il co. 7 dell’art. 8 è raffrontabile con il co. 5 dell’art. in esame. La differenza riguarda l’esplicito riferimento, nel testo in esame, ai limiti delle disponibilità di bilancio e alla necessità di tener conto della condizione economica dello studente.

Il co. 8 dell’art. 8 è raffrontabile con il co. 6 dell’art. in esame. Non è chiaro se nel testo in esame intervenga una differenza sostanziale (si veda osservazione ante).

Il co. 9 dell’art. 8 è raffrontabile con il co. 8 dell’art. in esame. La differenza riguarda la previsione che, nella definizione autonoma di ulteriori esoneri, le università non statali devono ora tener conto dei criteri indicati per le università statali, per l’autonoma deliberazione dei relativi esoneri.

Il co. 10 dell’art. 8 è raffrontabile con il co. 9 dell’art. in esame. La differenza riguarda l’eliminazione della previsione di comunicare i dati richiesti anche alla Consulta nazionale per il diritto agli studi universitari.

Il co. 11 dell’art. 8 è raffrontabile con il co. 10 dell’art. in esame. Le differenze riguardano il riferimento, nel co. 11, al riparto delle risorse aggiuntive per la quota di incentivazione del FFO (che rendeva anche più comprensibile, rispetto al testo in esame, la finalità di garantire una adeguata copertura degli oneri finanziari), e i parametri di riferimento che, nel testo in esame, come si è visto, riguardano gli esoneri dalla tassa di iscrizione e dai contributi degli studenti che presentano i requisiti di eleggibilità per la borsa di studio, mentre nel co. 11 dell’art. 8 riguardano gli esoneri relativi agli studenti idonei non beneficiari di borsa di studio e i contributi per la mobilità internazionale.

 

 


Articoli 10
(Controllo della veridicità delle dichiarazioni)

 

L’articolo 10 - raffrontabile con gli articoli 22 e 23 della L. 390/1991 - conferisce a regioni, province autonome, università e istituzioni AFAM, nonché agli enti erogatoridei servizi concernenti il diritto allo studio, nelle more dell'attuazione delle disposizioni di cui all'art. 38, co. 2, del D.L. n. 78/2010(L. 122/2010),la potestà di procedere al controllo della veridicità della situazione familiare dichiarata dallo studente, confrontando i dati reddituali e patrimoniali dichiarati dai beneficiari degli interventi con i dati in possesso del sistema informativo dell' Agenzia delle Entrate. Al fine indicato, le università, le istituzioni AFAM e gli enti erogatori dei servizipossono accedere direttamente al sistema SIATEL, ovvero al sistema di interscambio anagrafe tributaria degli Enti Localidell’Agenzia delle Entrate, previa stipula di apposita convenzione[51].

Si tratta, dunque, di una disciplina transitoria.

Infatti, i commi da 1 a 3 dell’art. 38 citato dispongono lo svolgimento di appositi controlli sulle prestazioni sociali agevolate - comprese quelle sul diritto allo studio universitario - erogate ai cittadini richiedenti, in base all'indicatore della situazione economica equivalente e alla presentazione della dichiarazione sostitutiva unica. In particolare, il comma 2 affida a una convenzione tra l'INPS e l'Agenzia delle entrate la definizione delle modalità attuative e le specifiche tecniche per lo scambio delle informazioni necessarie ai fini degli accertamenti sulla sussistenzao meno - in relazione al reddito - del diritto alle prestazioni sociali godute.

 

Il comma 2 reca le modalità di interscambio dei dati. In particolare, spetta agli enti erogatori dei servizi per il diritto allo studio l’invio degli elenchi dei beneficiari all'Amministrazione finanziaria, con potere di richiedere all’Amministrazione finanziaria l'effettuazione di controlli e verifiche.

 

In estrema sintesi, si ricorda che la disciplina dei controlli e delle verifiche fiscali è recata dagli articoli 51 e ss.gg. del D.P.R. n. 633/1972 in materia di IVA, nonché dagli articoli 31 e ss.gg. del D.P.R. n. 600/1973 in materia di imposte sui redditi, con modalità e procedure sostanzialmente analoghe. I principi generali dell’azione di controllo fiscale sono contenuti, oltre che nella Carta Costituzionale (articolo 14), anche nello Statuto del Contribuente (L. n. 212/2000).

L’Amministrazione finanziaria dispone di un’ampia gamma di poteri di controllo nei confronti del contribuente, principalmente sotto forma di verifica: essa comprende una serie di operazioni che iniziano con l’accesso, eventualmente seguito da altri accertamenti (ad es. ispezioni documentali), e si concludono con un processo verbale di constatazione. Nel corso dell’ultimo biennio, i poteri ispettivi e di controllo del fisco sono stati sostanzialmente rafforzati: si ricordano in questa sede le norme che hanno potenziato le cd. “indagini finanziarie” (D.L. 98 del 2011, articolo 23) e quelle che hanno introdotto in capo a banche e intermediari l’obbligo di comunicare all’Amministrazione finanziaria anche le movimentazioni dei conti correnti (articolo 11 del D.L. 201 del 2011).

 

Lo schema prevede inoltre che i titolari del nucleo familiare di appartenenza degli studenti che beneficiano dei servizi siano inseriti nelle categorie che vengono assoggettate, ai sensi della vigente normativa, ai massimi controlli.

 

Si osserva che la formulazione della disposizione - peraltro testualmente ripresa dall’art. 22, co. 3, della L. 390/1991 - appare alquanto generica: sembra a tal fine opportuno precisare in che modo la locuzione “massimi controlli” connoti l’attività svolta dall’Amministrazione finanziaria (se essa debba prendere in considerazione specifici elementi reddituali, ovvero se si intenda far riferimento alla frequenza dei controlli da effettuare, ovvero ancora se in tal modo si richieda la predisposizione di specifica attività ispettiva).

 

Il comma 3 dispone una sanzione amministrativa pecuniaria consistente nel pagamento di una somma di importo doppio rispetto a quella percepita o al valore dei servizi indebitamente fruiti, nonché la sanzione accessoria della perdita del diritto ad ottenere altre erogazioni per la durata del corso degli studi, nei confronti dei soggetti che, senza trovarsi nelle condizioni stabilite dalle disposizioni statali e regionali, presentino dichiarazioni non veritiere, proprie o dei membri del nucleo familiare, al fine di fruire degli interventi.

Viene fatta salva in ogni caso l'applicazione della sanzione pecuniaria da 500 a 5.000 euro, irrogata dall'INPS, in caso di illegittima fruizione delle prestazioni sociali agevolate, in relazione al maggior reddito accertato o anche alla discordanza tra il reddito dichiarato ai fini fiscali e quello indicato nella dichiarazione sostitutiva unica (richiamato articolo 38, comma 3, del D.L. n. 78/2010), nonché delle norme penali, ove i fatti costituiscano reato.


Articolo 11
(Attività a tempo parziale degli studenti)

 

L’art. 11 introduce una nuova disciplina delle attività a tempo parziale degli studenti, sostitutiva di quella recata dall’art. 13 della L. 390/1991.

 

Il comma 1 dispone che le università e le istituzioni AFAM, nonché gli enti delle regioni e delle province autonome che erogano servizi per il diritto allo studio, sentiti gli organismi di rappresentanza degli studenti previsti dallo Statuto[52], disciplinano con propri regolamenti le forme di collaborazione degli studenti ad attività connesse ai servizi (resi anche dai collegi universitari non statali legalmente riconosciuti),escluse quelle relative alle attività di docenza, allo svolgimento degli esami e all’assunzione di responsabilità amministrative.

In base al comma 4, i regolamenti sono emanati rispettando i criteri specificamente indicati, relativi a:

-       selezione degli studenti valorizzando il merito negli studi;

-       prestazioni per un numero massimo di ore non superiore a 200 per ogni anno accademico;

-       a parità di curriculum formativo, precedenza agli studenti in condizioni economiche maggiormente disagiate.

 

Al comma 4, lett. b), si suggerisce di sostituire le parole “prestazioni lavorative” con la parola “collaborazione” (in considerazione del fatto che il comma 3 dispone che la collaborazione non configura un rapporto di lavoro).

 

In base al comma 2, le collaborazioni sono assegnate nei limiti delle risorse disponibili nel bilancio dell’università e delle istituzioni AFAM, con esclusione di ogni onere aggiuntivo a carico del bilancio dello Stato, e sulla base di graduatorie formulate secondo criteri di merito e condizione economica.

Si valuti l’opportunità di inserire, alla fine del comma 2, le parole “nel rispetto di quanto disposto alle lettere a) e c) del comma 4” (che, letteralmente, riguardano solo i regolamenti e non anche le graduatorie).

Il comma 3 disciplina gli aspetti relativi alla regolamentazione della collaborazione. In particolare, stabilisce che:

-       allo studente è erogato un corrispettivo per le collaborazioni, che è esente da imposte, entro il limite di 3.500 euro annui;

-       il corrispettivo orario, che può variare in relazione al tipo di attività svolta, è determinato dalle università e dalle istituzioni AFAM (non si citano gli enti erogatori di servizi per il diritto allo studio), comunque, nel limite di 200 ore per ogni a.a.;

-       le università e le istituzioni AFAM provvedono alla copertura assicurativa contro gli infortuni, nonché al versamento dei contributi previdenziali (anche in questo caso non si citano gli enti erogatori di servizi per il diritto allo studio);

-       la collaborazione non configura un rapporto di lavoro subordinato e non dà luogo ad alcuna valutazione ai fini dei pubblici concorsi.

Rispetto alla disciplina recata dall’art. 13 della L. 390 del 1991, le novità sono così sintetizzabili:

-       le università disciplinano (e non più “possono disciplinare”) forme di collaborazione degli studenti;

-       le collaborazioni riguardano, oltre che le università e le istituzioni AFAM, gli enti per il diritto allo studio. Si tratta di un adeguamento normativo a quella che è già una prassi[53];

-       per la formulazione delle graduatorie non si fa più riferimento ai requisiti di merito e di condizione economica “generali”[54];

-       il numero massimo di ore per ogni anno accademico è elevato da 150 a 200;

-       si determina, in termini di importo massimo, il corrispettivo economico;

-       si prevede il versamento dei contributi previdenziali;

-       non vi è più una prescrizione “rigida” sulla valutazione del merito degli studenti[55] e non è più previsto che al termine di ciascun anno viene fatta una valutazione sull'attività svolta da ciascun percettore dei compensi e sull'efficacia dei servizi attivati.

 

 


Articolo 12
(Raccordo fra istituzioni e accordi per la sperimentazione di modelli innovativi)

 

L’art. 12 declina i criteri direttivi di cui all’art. 5, comma 6, lett. d) ed e), della L. 240/2010.

 

Il comma 1, parzialmente raffrontabile con gli artt. 9 e 10 della L. 390/1991, dispone, infatti, che il MIUR, sentito il MEF, promuove accordi di programma e protocolli di intese, anche con l’attribuzione di specifiche risorse nei limiti delle proprie disponibilità di bilancio, per favorire il raccordo tra tutte le strutture che concorrono al successo formativo degli studenti e per potenziare la gamma di servizi e interventi posti in essere dalle stesse.

Rispetto al quadro vigente, dunque, si prevede un ruolo di impulso centrale.

La L. 390/1991, infatti, prevede incontri periodici fra le regioni per uniformare gli interventi e conferenze per il coordinamento tra gli interventi della regioni e quelli dell’università.

Si segnala che alla fine del comma 1 si apre un secondo periodo costituito, però, solo dalla preposizione “Sul”.

 

I commi da 2 a 4 riguardano la possibilità di sperimentare nuovi modelli nella gestione degli interventi per la qualità e l’efficienza del sistema universitario.

La formulazione lascerebbe pensare ad un ambito più vasto di quello relativo al diritto allo studio. Si renderebbe necessario un chiarimento.

In particolare, in base al comma 2, al fine sopra indicato, il Ministro può stipulare protocolli e intese sperimentali con le regioni e le province autonome, sentiti il CNSU, il CNAM e la CRUI, anche con l’attribuzione di specifiche risorse nei limiti delle proprie disponibilità di bilancio.

Il comma 3 dispone che i risultati dei protocolli e degli accordi sono sottoposti a verifica e valutazione da parte del MIUR. A tal fine, i soggetti gestori predispongono ogni anno una relazione sui risultati della sperimentazione, sui benefici derivanti dalle novità, sulle eventuali linee correttive.

Il comma 4, infine, dispone che i risultati delle sperimentazioni sono pubblicati sul sito del MIUR e precisa che essi sono consultabili da tutti i soggetti che concorrono all’attuazione del diritto allo studio.

 

Sull’argomento si ricorda che l’art. 4 del D.L. 212/2002 (L. 268/2002) modificando l'art. 4, comma 1, primo periodo, della L. 370/1999, ha inserito fra le finalità del Fondo per l'incentivazione dell'impegno didattico dei professori e dei ricercatori universitari (si veda più ampiamente infra, scheda artt. 18 e 19) anche quella relativa a progetti sperimentali e innovativi sul diritto allo studio proposti dalle regioni mediante programmazione concordata con il MIUR. La finalità è stata esplicitamente fatta salva dall’art. 1, co. 1, del D.L. 105/2003.

 

Al comma 3 sembrerebbe necessario inserire un riferimento ai protocolli ed accordi “di cui al comma 2” (poiché accordi e protocolli sono previsti anche dal comma 1).

Al comma 4 si segnala la presenza di un refuso (“pubblicate” invece che “pubblicati”). Inoltre, poiché i risultati sono pubblicati sul sito del Ministero, non sembrerebbe necessaria la specifica successiva. Né sembrerebbe necessario l’utilizzo dell’aggettivo “istituzionale”.

 

 

 

 


Articoli 13 e 14
(Tipologie di strutture residenziali destinate agli studenti universitari e utenti)

 

L’art. 13 declina il criterio direttivo di cui all’art. 5, comma 6, lett. f), della L. 240/2010, disponendo in materia di tipologie e caratteristiche delle strutture residenziali destinate agli studenti universitari, mentre l’art. 14 individua gli utenti delle stesse strutture.

Sul punto appare opportuno premettere un riepilogo normativo.

 

Ai sensi dell’art. 18 della L. 390/1991 – abrogato dalle disposizioni recate dal presente schema di decreto - le regioni predispongono interventi pluriennali per l’edilizia residenziale universitaria finalizzati alla costruzione, all’ampliamento, alla ristrutturazione e alla manutenzione delle strutture destinate ad alloggi per studenti universitari, ovvero alla concessione di contributi alle province e ai comuni dove esistano sedi universitarie, per la ristrutturazione di immobili di loro proprietà da adibire alla medesima destinazione. Per tali fini, esse possono utilizzare quote delle risorse disponibili per la realizzazione di programmi pluriennali per l’edilizia residenziale pubblica.

Inoltre, esse disciplinano le modalità per l’utilizzazione di alloggi da parte degli studenti non residenti, anche mediante l’erogazione di prestiti monetari o mediante la stipula di convenzioni con cooperative, enti e soggetti individuali.

 

In seguito, la L. 338/2000 ha dettato disposizioni in materia di alloggi e residenze per gli studenti universitari.

In particolare, essa ha previsto il concorso dello Stato alla realizzazione di interventi necessari al recupero o all’adeguamento di immobili, ovvero alla costruzione degli stessi o all’acquisto di aree da utilizzare per la costruzione di alloggi e residenze universitarie da parte di regioni, province autonome, enti per il diritto allo studio, collegi e consorzi universitari, cooperative di studenti senza fini di lucro e organizzazioni non lucrative di utilità sociale operanti nel settore del diritto allo studio, a tal fine stanziando 60 miliardi di lire per ciascuno degli anni dal 2000 al 2001 e rimettendo alla legge finanziaria la determinazione dell’ammontare della spesa per gli anni successivi[56]. Il cofinanziamento si attua attraverso un contributo non superiore al 50% del costo totale.

La medesima legge ha disposto che gli alloggi e le residenze hanno la finalità di ospitare gli studenti universitari – con priorità per quelli capaci e meritevoli privi di mezzi - ma anche quella di offrire agli altri iscritti alle università servizi di supporto alla didattica e alla ricerca e attività culturali e ricreative. A tal fine, la definizione degli standard minimi qualitativi degli interventi, nonché le linee guida relative ai parametri tecnici ed economici per la loro realizzazione è stata affidata ad un decreto ministeriale (D.M. 9 maggio 2001, n. 118, e, poi, D.M. 22 maggio 2007, n. 43 e D.M. 7 febbraio 2011, n. 27[57]).

Per quanto riguarda la procedura, la legge ha disposto che i soggetti sopra citati elaborano progetti per la realizzazione degli interventi, attenendosi alle indicazioni individuate con decreto ministeriale (D.M. 9 maggio 2001, n. 116 e, poi, D.M. 22 maggio 2007 e D.M. 7 febbraio 2011, n. 26). Previa istruttoria di una apposita commissione istituita presso il MIUR, il Ministro individua i progetti ammessi al cofinanziamento e procede alla ripartizione dei fondi con un piano triennale.

In particolare, il DM. 7 febbraio 2011, n. 26[58] dispone che possono presentare richieste di cofinanziamento le regioni, gli organismi e le aziende regionali e provinciali per l'edilizia residenziale pubblica, gli organismi regionali di gestione per il diritto allo studio universitario, le università statali, ad esclusione delle università telematiche, ovvero le fondazioni di cui all'art. 59, co. 3, della L. n. 388/2000, le università non statali legalmente riconosciute, ad esclusione delle università telematiche, o le fondazioni e le associazioni senza scopo di lucro promotrici delle università e ad esse stabilmente collegate, le istituzioni AFAM, i collegi universitari legalmente riconosciuti, i consorzi e gli enti istituzionali ed operativi delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano costituiti appositamente per le finalità di cui alla legge n. 338/2000, le cooperative di studenti, a condizione che lo statuto preveda tra gli scopi la costruzione e/o la gestione di residenze ed alloggi o servizi da destinare agli studenti universitari, le organizzazioni non lucrative di utilità sociale operanti nel settore del diritto allo studio provviste di riconoscimento giuridico, il cui statuto preveda tra gli scopi la costruzione e/o la gestione di residenze ed alloggi o servizi da destinare agli studenti universitari, nonché le fondazioni e le istituzioni senza scopo di lucro, provviste di riconoscimento giuridico, il cui statuto preveda tra gli scopi l'housing sociale e/o la costruzione e/o la gestione di residenze ed alloggi o servizi da destinare agli studenti universitari.

Sono ammissibili ai benefici gli interventi di manutenzione straordinaria, recupero, ristrutturazione edilizia ed urbanistica, restauro, risanamento, gli interventi di nuova costruzione o ampliamento di alloggi o residenze per studenti universitari, nonché l'acquisto di edifici da adibire ad alloggi o residenze per studenti universitari[59].

Al cofinanziamento degli interventi previsti dal decreto sono destinati 18,660 milioni di euro per ciascuno degli anni 2011, 2012 e 2013, previsti dalla legge di stabilità 2011 e le residue risorse disponibili di cui ai piani approvati con il DM 30 luglio 2008, n. 41 «Primo piano triennale di cofinanziamento degli interventi per tipologia A1, A2, A3, alloggi e residenze universitarie», e con il DM 14 novembre 2008, n. 72 «Secondo piano triennale, cofinanziamento interventi tipologia B, C, D, alloggi e residenze universitarie».

Il medesimo DM dispone che per un utilizzo più efficiente delle residenze, nei periodi di chiusura estiva è data facoltà all'operatore di concedere posti alloggi anche a soggetti diversi da studenti universitari. La medesima facoltà è concessa negli altri periodi dell'anno per far fronte a esigenze abitative di carattere temporaneo, fino ad un massimo del dieci per cento del totale dei posti alloggio, previa definizione delle modalità e dei requisiti di accesso attraverso convenzione da stipulare con la regione o la provincia autonoma competente per territorio[60].

 

 

Il comma 1 dispone la collaborazione fra Stato, regioni, province autonome, enti locali, università, istituzioni AFAM e altre istituzioni pubbliche e private che offrono servizi per il diritto allo studio, per il potenziamento dell'offerta abitativa nazionale.

Gli stessi soggetti sono chiamati, inoltre, a favorire la programmazione integrata della disponibilità di alloggi pubblici e privati, anche mediante specifici accordi con le parti sociali, i collegi universitari legalmente riconosciuti (per queste istituzioni si veda la scheda relativa all’art. 15) e i collegi di cui all'articolo 1, comma 603, della legge 296 del 2006[61].

 

I commi da 2 a 4 individuano le caratteristiche e le tipologie delle strutture, sembrando intervenire su ambiti già trattati dalla L. 388/2000 (in particolare, sui commi 3 e 4 dell’art. 1, di cui però, non si dispone l’abrogazione).

In particolare, il comma 2 dispone che una struttura ricettiva è qualificata "struttura residenziale universitaria" se dispone di adeguate dotazioni di spazi e servizi ed è in grado di garantire agli studenti di permanere nella sede universitaria per la frequenza dei corsi, favorendone l'integrazione sociale e culturale nello specifico contesto.

 

Si tratta di concetti in parte già presenti nel citato DM n. 27 del 2011, recante gli standard minimi dimensionali e qualitativi e linee guida relative ai parametri tecnici ed economici concernenti la realizzazione di alloggi e residenze per studenti universitari.

In particolare, l’allegato A) dispone che la realizzazione di alloggi e residenze per studenti universitari deve garantire allo studente le necessarie condizioni di permanenza nella città sede dell’università, tale da agevolare la frequenza dei corsi e il conseguimento del titolo di studio, sia per quanto attiene alle funzioni residenziali e a quelle di supporto correlate, sia per quanto attiene alle funzioni di supporto alla didattica e alla ricerca e alle funzioni culturali e ricreative. Il servizio abitativo deve, inoltre, favorire l’integrazione sociale e culturale degli studenti nella vita cittadina.

In base allo stesso allegato, il modello organizzativo secondo cui strutturare gli alloggi e le residenze può essere liberamente definito dal soggetto proponente. Tra le tipologie più diffuse, riportate a titolo esemplificativo, il DM cita il modello organizzativo ad albergo - con le camere che si affacciano su corridoi -, a minialloggi, a nuclei integrati - costituiti da un numero variabile di camere che fanno riferimento per alcune funzioni, quali i pasti, ad ambiti spaziali riservati -, misti.

La residenza, inoltre, deve essere in grado di ospitare differenti tipi di utenti (studenti, borsisti, studenti sposati, etc.), al fine di favorire i processi di integrazione e socializzazione.

Nella residenza devono essere garantite diverse aree funzionali. Si tratta delle aree AF1 - residenza -, AF2 - servizi culturali e didattici al di fuori dell’ambito privato -, AF3 - servizi ricreativi, - AF4 - servizi di supporto, gestionali e amministrativi, inclusi parcheggi.

Il punto 7 dell’allegato indica i criteri relativi al dimensionamento funzionale delle diverse aree.

 

Dal punto di vista della formulazione del testo, si segnala la necessità di correggere il verbo “consentirgli”, sostituendolo con “consentire loro”.

 

I commi 3 e 4 riguardano la differenziazione delle strutture residenziali universitarie.

Da questo punto di vista, il comma 3 fa riferimento alla differenziazione derivante dalle funzioni ospitate, dai servizi erogati e dalle modalità organizzative e gestionali adottate, ribadendo il concetto, già espresso al comma 1, che rientrano in tale tipologia le strutture ricettive che prevedono la presenza di spazi per lo svolgimento di funzioni residenziali, culturali e di socializzazione.

Il comma 4 fa riferimento alla differenziazione fra collegi universitari e residenze universitarie.

In entrambi i casi si parla di “strutture ricettive, dotate di spazi polifunzionali, idonee allo svolgimento di funzioni residenziali”.

Inoltre, per i collegi sono previsti servizi alberghieri connessi e funzioni formative, culturali e ricreative.

Per le residenze universitarie le funzioni residenziali possono essere assicurate “anche con servizi alberghieri” (dunque, sembrerebbe ribadirsi una delle possibili modalità gestionali previste dal DM n. 27 del 2011). Esse devono essere strutturate in modo che siano ottemperate le esigenze di individualità e di socialità e possono svolgere funzioni di carattere formativo e ricreativo (mentre non si fa riferimento alle funzioni di carattere culturale, previste per i collegi).

 

In base al comma 7, le caratteristiche tecniche peculiari dei collegi universitari e delle residenze universitarie, nonché le specifiche relative allo svolgimento di funzioni residenziali, culturali e di socializzazione, sono definite entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, emanato previa intesa con la Conferenza Stato-regioni e sentito il Consiglio nazionale degli studenti universitari.

Al comma 4 si valuti l’opportunità di chiarire meglio la distinzione fra “servizi alberghieri connessi” (previsti per i collegi) e “anche con servizi alberghieri” (previsti per le residenze).

Inoltre, non appare chiara la previsione in base alla quale, da un lato, le residenze devono ottemperare alle esigenze di socialità, dall’altro “possono” avere funzioni di carattere ricreativo.

Infine, in relazione alle disposizioni recate dal complesso dei commi 3, 4 e 7, occorre valutare la necessità di abrogare alcune disposizioni della L. 388/2000.

 

Il comma 5 dispone che, nel caso di strutture residenziali universitarie private, il rapporto che intercorre tra il gestore e l'utilizzatore è disciplinato da un contratto di ospitalità di carattere alberghiero, redatto in forma scritta e in base alle modalità definite dallo stesso decreto di cui al comma 7.

Il contratto di ospitalità di natura alberghiera (cd. contratto d’albergo) non è espressamente disciplinato né dal codice civile, né da leggi speciali.[62].

In mancanza di una precisa definizione da parte del legislatore, la giurisprudenza ha chiarito che “il contratto di albergo costituisce un contratto atipico o misto, con il quale l'albergatore si impegna a fornire al cliente, dietro corrispettivo, una serie di prestazioni eterogenee, quali la locazione di alloggio, la fornitura di servizi, il deposito, senza che la preminenza riconoscibile alla locazione d'alloggio possa valere, sotto il profilo causale, a dare carattere accessorio alle altre prestazioni” (Cass., III sez., sentenza 20 gennaio 2005, n. 1150; analogamente, Cass., III sez., sentenza 28 novembre 1994, n. 10158; Cass., II sez., sentenza 24 luglio 2000, n. 9662)[63].

Il comma 6 prevede che le strutture residenziali universitarie realizzate con i contributi di cui alla legge n. 338 del 2000 possono essere trasferite ai fondi immobiliari istituiti anche con il piano nazionale di edilizia abitativa di cui al DPCM 16 luglio 2009. Rimane in ogni caso fermo il finanziamento ministeriale e i connessi obblighi derivanti dallo stesso.

Si ricorda che il DPCM 16 luglio 2009 dispone l’approvazione di un Piano nazionale di edilizia abitativa articolato in sei linee di intervento, tra le quali la costituzione di un sistema integrato nazionale e locale di fondi immobiliari per l'acquisizione e la realizzazione di immobili per l'edilizia residenziale, disciplinato all’art. 11 dell’allegato Piano. Il sistema prevede che uno o più fondi immobiliari chiusi[64], alla sottoscrizione delle cui quote sono ammessi esclusivamente investitori istituzionali di lungo termine, possono partecipare all’apposito Fondo istituito nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti di cui al comma 12 dell’art. 11 del D.L. n. 112/2008 (L. 133/2008). Tali fondi immobiliari, in particolare, devono essere dedicati allo sviluppo di una rete di fondi o altri strumenti finanziari che contribuiscano a incrementare la dotazione di alloggi sociali come definiti dal decreto interministeriale del Ministro delle infrastrutture di concerto con i Ministri della solidarietà sociale, delle politiche per la famiglia, e per le politiche giovanili e le attività sportive approvato il 22 aprile 2008[65], ai fini dell'esenzione dei relativi contributi dall'obbligo di notifica degli aiuti di Stato, ai sensi degli articoli 87 e 88 del Trattato istitutivo UE[66].

 

L’articolo 14, comma 1, primo periodo, individua i soggetti che accedono alle strutture residenziali universitarie, stabilendo che essi sono gli studenti universitari cui è destinata la prevalenza delle giornate di presenza su base annua. Il comma 2 specifica, peraltro, che, al fine di favorire l'integrazione delle diverse figure del mondo universitario e lo scambio di esperienze e conoscenze, è consentito l'utilizzo dei posti alloggio per dottorandi, borsisti, assegnisti, docenti e altri esperti coinvolti nell'attività didattica e di ricerca.

Inoltre, in base al secondo periodo del comma 1, e al comma 3, è facoltà del gestore destinare eventualmente gli spazi realizzati per servizi di supporto alla didattica e alla ricerca, e le attività culturali e ricreative delle medesime strutture, anche a studenti non residenti nella struttura stessa, nonché, al fine di un utilizzo più efficiente delle strutture, destinare posti in alloggi anche a soggetti diversi da quelli di cui ai commi 1 e 2, in particolare nei periodi di chiusura estiva.

La relazione illustrativa, riferendosi agli studenti “cui sono destinate la prevalenza delle giornate di presenza su base annua”, evidenzia che sono inclusi gli studenti partecipanti ai programmi di mobilità internazionale, ma questa specifica non è presente nel testo (a differenza dell’art. 15, comma 3, lett. f).

 

Al riguardo, sembra opportuno chiarire il concetto di “prevalenza” citato ai commi 1 e 3, in particolare esplicitando se per studenti “cui sono destinate la prevalenza delle giornate di presenza su base annua” si intende “presenza degli studenti universitari per oltre la metà delle giornate annue”. In ogni caso, andrebbe modificata la formulazione del testo, sostituendo le parole “sono destinate” con le parole “è destinata”.

 

Sull’argomento, si ricorda che l’art. 1, comma 6, della L. 388/2000 stabilisce che gli alloggi e le residenze realizzate usufruendo del cofinanziamento statale sono prioritariamente destinati al soddisfacimento delle esigenze degli studenti capaci e meritevoli privi di mezzi, sulla base dei criteri di valutazione della condizione economica e del merito stabiliti con il DPCM applicativo dell’art. 4 della L. 390/1991.

Il punto 4 dell’Allegato A del già citato DM 7 febbraio 2011, n. 27, individua gli utenti delle residenze in studenti residenti, altri residenti in foresteria, personale di gestione. Esse, inoltre, devono consentire anche agli studenti non residenti che gravitano nello specifico bacino di utenza di usufruire e condividere i servizi culturali, didattici e ricreativi offerti dalla struttura.

Per gli studenti residenti, oltre alla categoria dei capaci e meritevoli privi di mezzi, è individuata la categoria di “altri studenti”, compresi gli iscritti a corsi di dottorato e master universitari, a corsi delle istituzioni AFAM, nonché i partecipanti a programmi di mobilità e scambio.


Articoli 15, 16 e 17
(Collegi universitari: definizione, riconoscimento, accreditamento)

 

Gli articoli da 15 a 17 declinano l’aspetto della delega recata dall’art. 5, comma 1, lett. a), secondo periodo, della L. 240/2010, per la quale, si ricorda, i principi e criteri direttivi sono recati dal comma 3, lett. f). L’obiettivo è la valorizzazione dei collegi universitari legalmente riconosciuti e la necessità dell’accreditamento - ottenibile dopo che siano trascorsi almeno 5 anni dal riconoscimento - per l‘accesso al finanziamento statale.

Al riguardo si ritiene opportuno, preliminarmente, riportare il quadro normativo vigente.

 

I collegi universitari legalmente riconosciuti, distribuiti complessivamente in 14 città[67], sono istituzioni private che esercitano funzioni di interesse pubblico, contribuendo ad ampliare l'offerta formativa universitaria mediante la realizzazione di progetti educativi destinati alla crescita intellettuale, professionale e umana degli studenti. Le attività sono prevalentemente svolte nell'ambito di strutture a carattere residenziale, nelle quali sono anche assicurati servizi tesi a facilitare il raggiungimento del titolo di studio universitario nei tempi previsti. Essi garantiscono, inoltre, sostegno agli studenti bisognosi e meritevoli, ampliando in tal modo le possibilità di accesso agli studi superiori. I collegi realizzano attività didattiche, scientifiche, di orientamento e di tutorato e, sulla base di un' intesa con la CRUI, stipulano convenzioni con le Università per il riconoscimento di alcune attività didattiche, alle quali vengono riconosciuti crediti accademici. Un apposito organismo, la Conferenza permanente dei collegi universitari legalmente riconosciuti (CCU), svolge funzioni di rappresentanza e di coordinamento dei vari istituti[68].

In particolare, il 15 maggio 2002 è stato firmato il protocollo d'intesa, rinnovato nel 2010, tra CRUI e CCU, per il riconoscimento in crediti formativi universitari delle conoscenze acquisite dagli studenti anche all'esterno degli atenei e, in particolare, di alcune delle attività formative offerte dai collegi[69], ritenute qualificate e idonee a soddisfare le crescenti e differenziate esigenze degli studenti universitari[70].

Il fondamento giuridico del riconoscimento dei collegi universitari è costituito dall’art. 191 del R.D. 31 agosto 1933, n. 1592, che stabiliva che “le Opere e le fondazioni che hanno per fine l’incremento degli studi superiori e l’assistenza nelle sue varie forme agli studi nelle Università e negli Istituti di istruzione superiore, sono sottoposte alla vigilanza del Ministero della pubblica istruzione”. In altri termini, la vigilanza del Ministero veniva prevista proprio in virtù delle finalità istituzionali dei collegi universitari.

In base all’art. 33 della legge n. 942 del 1966[71] i collegi universitari, in considerazione delle finalità espletate, sono stati per la prima volta ammessi alla concessione di contributi statali, al pari delle Università e delle Opere universitarie.

Con l’art. 42 della L. n. 641 del 1967, i Collegi legalmente riconosciuti sono stati ammessi a godere di contributi destinati alla realizzazione di nuovi Collegi o alla manutenzione di quelli operanti, oppure a contrarre mutui agevolati con istituzioni pubbliche.

In seguito, l’art. 25, co. 3, della L. n. 390 del 1991 ha fatto salve le “vigenti disposizioni concernenti i collegi universitari legalmente riconosciuti e posti sotto la vigilanza del Ministero”.

Infine, la L. n. 338 del 2000, all’art. 1, co. 3, ha inserito i collegi universitari legalmente riconosciuti tra i soggetti destinatari di interventi di cofinanziamento statale per la realizzazione di strutture residenziali.

 

In particolare, l’articolo 15 detta norme per la definizione dei collegi universitari legalmente riconosciuti.

Il comma 1 riprende la definizionerecata dall’art. 5, comma 3, lett. f), della L. 240/2010, con alcune variazioni: in particolare, si specifica che i collegi – già definiti dalla legge strutture a carattere residenziale - sono aperti a studenti di atenei italiani o stranieri. Di essi si specifica, altresì, l’elevata qualificazione formativa, che si aggiunge all’elevata qualificazione culturale già prevista dalla legge.Si specifica, inoltre,che perseguono la valorizzazione del merito e l'interculturalità della preparazione, assicurando a ciascuno studente, sulla base di un progetto personalizzato, servizi educativi, di orientamento e di integrazione dei servizi formativi (laddove, con riferimento all’ultimo passaggio, la legge parla di “integrazione dell’offerta formativa degli atenei).

Non appare ripreso dalla legge il carattere di “rilevanza nazionale” dei collegi.

Si dispone, infine, che i collegi universitari legalmente riconosciuti sono gestiti da soggetti che non perseguono fini di lucro.

 

Il comma 2 dispone che, nell'ambito delle proprie finalità istituzionali, i collegi legalmente riconosciuti sostengono gli studenti meritevoli, anche se privi di mezzi. Ribadisce, inoltre, che, ai sensi dell’art. 4, comma 4, della L. n. 240 del 2010, l'ammissione presso gli stessi collegi, a seguito del relativo bando di concorso, costituisce titolo valutabile per i candidati, ai fini della predisposizione delle graduatorie per la concessione dei contributi a carico del Fondo per il merito.

Si ricorda che la finalità del Fondo per il merito, istituito presso il MIUR dall’art. 4 della L. 240/2010, è lapromozione dell’eccellenza e del merito fra gli studenti universitari dei corsi di laurea e di laurea magistrale. Il Fondo eroga buoni studio e premi di studio e fornisce la garanzia sui finanziamenti concessi dagli istituti di credito. L'art. 9, co. 3-16, del D.L. 70/2011 (L. 106/2011) ne ha affidato la gestione alla Fondazione per il merito.

 

Con riferimento alla parte del comma 2 che fa riferimento all’ammissione ai collegi quale titolo valutabile per la concessione dei contributi a carico del Fondo per il merito, si osserva che la disposizione dell’articolo 4, comma 4, della L. n. 240 del 2010 risulta immediatamente precettiva (non essendoci, dunque, bisogno di ripeterla nel presente schema di decreto), e si estende, peraltro, ai collegi di cui all'articolo 1, co. 603, della legge finanziaria per il 2007 (si veda ante), qui non citati.

 

Il comma 3 individua le categorie nelle quali, di norma (e, dunque, si intende, senza preclusione per altre categorie), devono rientrare gli ospiti dei collegi universitari legalmente riconosciuti, specificando che si tratta di studenti universitari dotati di comprovate capacità e meriti curriculari, che sono:

a)  iscritti a corsi di laurea di primo e di secondo livello;

b)  iscritti a corsi promossi dalle istituzioni AFAM (in base all’art. 1, il riferimento è a tutti i corsi previsti dall’art. 3 del DPR 212/2005);

c)  iscritti a corsi di specializzazione di livello universitario;

d)  iscritti a corsi di dottorato e master universitari;

e)  partecipanti a programmi di mobilità e scambio di studenti universitari, in ambito nazionale e internazionale.

 

Considerato che l’art. 1 dello schema, per la definizione di “corsi”, fa riferimento a quelli attivati ai sensi dell’art. 3 del DM 270/2004 e dell’art. 3 del DPR 212/2005 (nonché dell’art. 2, co. 9, del DM 38/2002), si valuti se l’elenco derivante dalle lett. a), d) ed f) (che, correttamente, sono a), c) e d)) è necessario. Inoltre, nell’alinea dovrebbe essere eliminato l’aggettivo “universitari”, considerato il riferimento anche gli iscritti a corsi delle Istituzioni AFAM.

 

Si segnala che, secondo quanto risulta dai dati contenuti nel Rapporto dei collegi universitari legalmente riconosciuti relativo all’a.a. 2008-2009, gli studenti ospitati nelle 45 strutture collegiali presenti in Italia sono stati 2.552, di cui 272 stranieri, iscritti a corsi universitari, dottorati di ricerca, scuole di specializzazione e master[72].

Gli studenti post-laurea rappresentano una quota dell’8%, impegnati soprattutto nella frequenza di dottorati di ricerca (44,5%) e scuole di specializzazione (37%) e, in percentuale minore (18,5%), in master.

 

L’articolo 16 stabilisce la procedura per la richiesta, da parte dei collegi universitari, del riconoscimento della qualifica di “collegio universitario di merito”.

In particolare, il comma 1 prevede che, con proprio decreto, il MIUR concede il riconoscimento alle strutture residenziali che ne fanno richiesta, entro 120 giorni dal ricevimento della domanda avanzata dalle stesse strutture.

Dal punto di vista della formulazione del testo, sembrerebbe preferibile uniformare la terminologia utilizzata nel comma 1 a quella utilizzata al comma 2, che fa riferimento al “collegio universitario” (mentre il comma 1 utilizza l’espressione “strutture residenziali”). Inoltre, è necessario inserire una virgola dopo la parola “richiesta”.

In base al comma 2, ai fini del riconoscimento, il collegio universitario deve dimostrare di possedere requisiti e standard minimi a carattere istituzionale, logistico e funzionale, non inferiori a quelli previsti per l'accesso ai finanziamenti di cui alla legge n. 338 del 2000.

In particolare:

a)   lo statuto deve prevedere uno scopo formativo, svolto in maniera sistematica e continuativa. Inoltre, il collegio deve fornire adeguata dimostrazione del possesso delle conseguenti qualificazioni e strutture organizzative necessarie alla sua realizzazione;

b)   il collegio deve disporre di strutture ricettive dotate di spazi polifunzionali ed infrastrutture idonee allo svolgimento di funzioni residenziali, con connessi servizi alberghieri, di attività formative, culturali e ricreative, concepite con alti standard qualitativi. Si tratta dei requisiti già previsti dall’art. 13, comma 4, lett. a), dello schema[73];

c)   il collegio deve disporre di strutture ricettive in grado di ospitare utenti italiani, provenienti da più regioni sul territorio nazionale, e stranieri, con particolare riguardo a quelli provenienti da paesi dell'Unione Europea, anche in una prospettiva di sviluppo interculturale.

Sembrerebbe opportuno chiarire la specifica recata dalla lett. c), rispetto alla previsione recata dalla lett. b).

 

Il comma 3 prevede che il DM con il quale, ai sensi dell’art. 5, comma 3, lett. f), ultimo periodo, della L. 240/2010 sono indicate le modalità di dimostrazione dei requisiti di cui alle lettere a), b), e c), del comma 2, nonché le modalità di verifica della loro permanenza, è emanato entro 90 giorni dalla data di pubblicazione del decreto legislativo nella Gazzetta Ufficiale.

Dal punto di vista della formulazione del testo, si segnala che l’espressione corretta è “pubblicazione nella Gazzetta ufficiale”.

 

Con il riconoscimento di cui al comma 1 il collegio universitario acquisisce - come ante evidenziato - la qualifica di "collegio universitario di merito" (comma 4).

Infine, il comma 5 dispone che restano ferme restando le disposizioni vigenti in materia di collegi universitari legalmente riconosciuti.

La disposizione sembra sovrapporsi a quella recata dal comma 2 dell’art. 23,  nella parte in cui la stessa prevede che restano ferme le disposizioni vigenti per i collegi universitari legalmente riconosciuti alla data di entrata in vigore del presente decreto. Lo stesso comma 2 dispone, inoltre, che tali collegi si considerano già riconosciuti ed accreditati ai sensi degli artt. 16 e 17 e, in ogni caso, grava sugli stessi l'obbligo di adeguarsi agli standard e requisiti ivi previsti entro due anni dall'entrata in vigore del decreto di cui all'art. 16, comma 3.

Dunque, si dispone una procedura particolare per i collegi universitari legalmente riconosciuti già esistenti, che dovrebbero essere i collegi storici previsti dalla L. 240/2010[74].

 

E’ pertanto necessario chiarire se si sia in presenza, nell’art. 16, comma 5, e nell’art. 23, comma 2, di una duplicazione dello stesso concetto. Inoltre, è opportuno esplicitare a quali disposizioni si intenda fare riferimento, considerato che la prosecuzione dell’accesso ai finanziamenti previsti dalla L. 338 del 2000 sembrerebbe già essere garantito dal comma 2 dell’art. 16.

 

L’articolo 17 detta la disciplina per l’accreditamento, disponendo, al comma 1, che il Ministro, con proprio decreto, concede lo stesso accreditamento su domanda avanzata dai collegi universitari di merito che abbiano ottenuto il riconoscimento da almeno cinque anni. Ai sensi del comma 4, il decreto è emanato entro 60 giorni dal ricevimento della domanda, ove sussistano i requisiti richiesti.

 

Al comma 1, si suggerisce di inserire le parole “di cui all’articolo 16”, dopo le parole “il riconoscimento”.

Si suggerisce, inoltre, di riportare il contenuto del comma 4 nel comma 1, anche per eliminare la discrasia fra il riferimento al “Ministro” nel comma 1 e al “Ministero” nel comma 4.

 

Il comma 2 stabilisce che per la concessione dell'accreditamento di cui al comma 1 il collegio universitario di merito deve dimostrare di possedere requisiti e standard minimi a carattere istituzionale, logistico e funzionale.

In tal caso, a differenza di quanto disposto all’art. 16, comma 2, non si opera il riferimento al parametro dei requisiti previsti per l'accesso ai finanziamenti di cui alla legge n. 338 del 2000. Si dispone, invece, che, al fine di ottenere l’accreditamento, la domanda deve essere corredata della documentazione che attesti e dimostri:

a)      l'esclusiva finalità di gestione di collegi universitari;

b)      il prestigio acquisito dal collegio in ambito culturale;

c)      la qualificazione posseduta dal collegio in ambito formativo;

d)      la rilevanza internazionale dell'istituzione, non solo in termini di ospitalità, ma anche nelle attività che favoriscono la mobilità internazionale degli studenti iscritti.

 

Le modalità di dimostrazione ed attestazione dei predetti requisiti e le modalità di verifica della permanenza dei requisiti medesimi sono indicate nel decreto di accreditamento (comma 3)[75].

 

Il comma 5 ribadisce quanto già indicato nell’art. 5, comma 1, lett. a), secondo periodo, della L. 240/2010, in merito all’accreditamento quale condizione necessaria per la concessione del finanziamento statale, specificando, tuttavia, che ciò avviene compatibilmente con le risorse finanziarie disponibili[76].

Come dispone l’art. 5, comma 3, lett. f), della L. 240/2010, le modalità e le condizioni di accesso sono definite con decreto del Ministro.

Il comma 6, peraltro, attribuisce al decreto di accreditamento la definizione delle modalità di accesso ai finanziamenti statali.

 

Si rende quindi necessario chiarire se si pensa ad un unico decreto ministeriale che definisca le modalità e le condizioni di accesso al finanziamento (in tal senso sembrerebbe doversi leggere il comma 5), oppure se si pensa alla definizione delle stesse modalità e condizioni in ciascun decreto di accreditamento (come si legge nel comma 6).

 


Articoli 18 e 19
(Sistema di finanziamento e disponibilità finanziaria)

 

L’articolo 18 individua il sistema di finanziamento delle borse di studio - nelle quali, come si è visto nella scheda di lettura relativa agli artt. 6 e 7, si concretizza la declinazione dei LEP -, disponendo, altresì, sul finanziamento degli altri strumenti e servizi relativi al diritto allo studio.

Preliminarmente si fa presente che un comma dell’articolo (l’originario comma 5 - a cui peraltro continua a fare in parte riferimento la relazione tecnica -) è barrato. Lo stesso non sarà, pertanto, oggetto di commento.

Si segnala la conseguente necessità di rinumerare tutti i commi dell’articolo.

Inoltre, si potrebbe valutare l’idea di riorganizzare la sequenza dei commi in modo tale che i concetti risultino più accorpati.

In tal modo si procederà nel commento a seguire.

 

Per coprire il fabbisogno finanziario necessario per garantire le borse di studio a tutti gli studenti capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, che presentino i requisiti di eleggibilità di cui all'articolo 8, il comma 1 detta una disciplina transitoria, nelle more dell’attuazione delle disposizioni della legge n. 42/2009 sul federalismo fiscale.

 

In proposito si ricorda che l’art. 2, co. 2, lett. f), della L. n. 42/2009 dispone la determinazione del costo e del fabbisogno standard quale costo e fabbisogno che, valorizzando l’efficienza e l’efficacia, costituisce l’indicatore rispetto al quale comparare e valutare l’azione pubblica, e la definizione degli obiettivi di servizio cui devono tendere le amministrazioni regionali e locali nell’esercizio delle funzioni riconducibili ai livelli essenziali delle prestazioni.

Allo scopo l’art. 13, co. 4, del D.lgs. 6 maggio 2011, n. 68 demanda ad un DPCM – che al momento non risulta emanato - il compito di effettuare una ricognizione dei LEP nelle materie dell’assistenza, dell’istruzione e del trasporto pubblico locale.

L’art. 15, co. 1, dello stesso D.lgs. dispone che, a decorrere dal 2013, le fonti di finanziamento delle spese per cui sono previsti dalla legge dello Stato i LEP sono costituite da una serie di entrate tributarie, nonché da una quota del Fondo perequativo. Quest’ultimo, istituito dall'anno 2013, è alimentato dal gettito prodotto da una compartecipazione al gettito dell'IVA determinata in modo tale da garantire in ogni regione il finanziamento integrale delle spese relative alla garanzia dei LEP.

 

Per la copertura del fabbisogno indicato, il comma 1 fa riferimento al Fondo integrativo statale per la concessione di borse di studio (che sembrerebbe essere un nuovo Fondo, poiché si parla di “istituzione” e perché si differenzia, nella denominazione e nelle finalizzazioni, dal Fondo esistente) e al gettito derivante dalla tassa regionale per il diritto allo studio.

In particolare, la lett. a) specifica che il Fondo è istituito ai sensi dell'articolo 119, quinto comma, della Costituzione[77]nello stato di previsione del MIUR (senza, peraltro, indicare se il meccanismo di rifinanziamento resterà uguale a quello attualmente previsto per il Fondo di intervento integrativo per i prestiti d’onore e le borse di studio) e assegnato in misura proporzionale alfabbisogno finanziario relativo ai LEP, tenuto conto di quanto previsto ai commi 2 e 3.

Ai sensi del comma 2, infatti, le regioni e le province autonome assicurano, nell'ambito delle risorse proprie, la definizione dei requisiti di eleggibilità riferiti alla condizione economica dello studente in misura superiore almeno del 10% rispetto a quelli assicurati dallo Stato a garanzia dei livelli delle prestazioni (si veda anche il comma 5-bis).

 

Sul punto si segnala, peraltro, che la relazione illustrativa dispone in termini di “possibilità” per le regioni e le province autonome di prevedere forme di garanzia del diritto allo studio più favorevoli di quelle determinate dallo Stato con riferimento ai LEP, mentre il testo dispone in termini di obbligo, indicando anche la misura minima di tale obbligo. Considerata la ripartizione di competenze in materia di diritto allo studio – nonché la previsione di cui all’art. 3, comma 3, dello schema per le regioni a statuto speciale e le province autonome - la questione deve essere attentamente valutata.

 

Il comma 3 dispone che l'impegno delle regioni è valutato attraverso l'assegnazione di specifici incentivi nel riparto del Fondo integrativo statale e del FFO alle università stataliche hanno sede nel rispettivo contesto territoriale.

 

Sul Fondo integrativo statale intervengono anche i commi 1-bis, 4, 5 e 6.

 

In particolare, il comma 1-bisstabilisce che,a decorrere dal 2012, nel Fondo confluiscono le risorse previste a legislazione vigente per il Fondo integrativo per la concessione di borse di studio e prestiti d'onore di cui all'articolo 16 della legge n. 390 del 1991.

Il comma 5, peraltro, dispone, sempre a decorrere dal 2012, un incremento dell’autorizzazione di spesa per il Fondo, pari a 500.000 euro, a valere su una corrispondente riduzione di spesa delle risorse stanziate in base all'articolo 4, comma 1, della legge n. 370 del 1999.

Al riguardo, rinviando per la disciplina del Fondo integrativo per la concessione delle borse di studio e dei prestiti d’onore alla scheda di lettura relativa all’art. 3, qui si segnala che le risorse destinate allo stesso sono allocate nello stato di previsione del MIUR, Missione 2 – Istruzione universitaria, Programma 2.1 – Diritto allo studio nell'istruzione universitaria, cap. 1695. Tale capitolo, a carattere rimodulabile, è esposto in Tabella C e, come risulta dalla legge di stabilità 2012 (L. n. 183/2011),per l’anno 2012 è stato rifinanziatoper un importo pari a 24.955.000euro[78], con una diminuzione, rispetto all’analoga voce contenuta nella legge di stabilità 2011 (L. n. 220/2010), di 818.000 euro.

In proposito, la nota al cap. 1695 del ddl di bilancio 2012 esplicita che tale importo corrisponde a somme non più spettanti alle province autonome di Trento e Bolzano, ai sensi dell’art. 2, co.109, della L. finanziaria 2010 (L. n. 191/2009) (si veda la scheda relativa agli artt. 23 e 24).

Oltre agli importi in Tabella C, l’art. 33, co. 27, della L. di stabilità 2012 ha incrementato la dotazione del Fondo di 150 milionidi euro per l’anno 2012. Pertanto, a legislazione vigente, come si evince dalla legge di bilancio n. 184/2011, in tale Fondo risultano risorse pari a 174.955.000 per il 2012, con un aumento di circa 49,7 milioni di euro rispetto all’analogo stanziamento previsto per il 2011 dalla L. di bilancio n. 221/2010[79].

 

Con riferimento all’autorizzazione di spesa ridotta per consentire l’incremento del Fondo, si ricorda che l’art. 4, co. 1, della L. n. 370/1999 ha autorizzato la spesa[80] per l'istituzione, nello stato di previsione del Ministero dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica, di un Fondo integrativo per l'incentivazione dell'impegno didattico dei professori e dei ricercatori universitari, ripartito tra gli atenei secondo criteri da stabilire con decreto ministeriale[81], per obiettivi di adeguamento quantitativo e di miglioramento qualitativo dell'offerta formativa, con riferimento anche al rapporto tra studenti e docenti nelle diverse sedi e nelle strutture didattiche, all'orientamento e al tutorato, e - come disposto dall’art. 4, co. 4-bis, del D.L. 212/2002 - per progetti sperimentali e innovativi sul diritto allo studio. Questi ultimi sono proposti dalle regioni mediante programmazione concordata con il Ministero.

In seguito, peraltro, l’art. 1 del D.L. 105 del 2003 ha assegnato al Fondo - senza novellare l’art. 4, comma 1, della L. 370/1999 - le finalità di assicurare un adeguato livello di servizi destinati agli studenti e potenziarne la mobilità internazionale, incentivare le iscrizioni a corsi di studio di particolare interesse nazionale e comunitario, incrementare il numero dei giovani dotati di elevata qualificazione scientifica, conseguentemente modificandone la denominazionein“Fondo per il sostegno dei giovani e per favorire la mobilità degli studenti”. Le risorse del Fondo sono state destinate anche al cofinanziamento degli assegni di ricerca[82].

 

Il comma 4 ripete, come già evidenziato, un concetto già presente nell’art. 7, comma 7.

Sul rinvio al decreto di cui all’art. 7, comma 7, appare peraltro necessario un chiarimento, considerato che, ai sensi del comma 8 dello stesso art. 7 - che prevede un ulteriore decreto per la determinazione dell’importo delle borse di studio per i primi tre anni accademici - lo stesso decreto non dovrebbe intervenire prima di 3 anni accademici dall’entrata in vigore del decreto legislativo.

 

Il comma 6 dispone sulla natura delle risorse del Fondo integrativo statale.

In particolare, il primo periodo dispone che tali risorse confluiscono dal bilancio dello Stato, mantenendo le proprie finalizzazioni, in appositi fondi a destinazione vincolata attribuiti alle regioni, in attuazione dell'art. 16 della L. n. 42/2009.

Si ricorda che l’art. 16della L. 42/2009reca i principi e criteri direttivi a cui dovranno conformarsi i decreti legislativi attuativi dell’art. 119, quinto comma, della Costituzione. Tra questi, in particolare, la lett. b) del comma 1 fa riferimento alla confluenza dei contributi statali speciali in appositi fondi a destinazione vincolata attribuiti agli enti territoriali e locali, fermo restando il vincolo finalistico di tali contributi.

Viene in sostanza ribadito che si tratta di ‘contributi statali speciali’ in attuazione dell’articolo 119, quinto comma, della Costituzione e dunque destinati a fondi a destinazione vincolata, al di fuori dell’ordinario sistema di finanziamento.

 

La seconda parte del comma dispone che le medesime risorse sono escluse dalle riduzioni di risorse erariali di cui all'articolo 14, comma 2, del D.L. n. 78/2010 (L. n. 122/2010), a qualunque titolo spettanti alle regioni a statuto ordinario. Fanno eccezione le riduzioni già concordate in sede di Conferenza Stato-Regioni alla data di entrata in vigore del decreto legislativo.

 

Con l’art. 14, co. 2, secondo periodo, del D.L. 78/2010 è stata disposta la riduzione delle risorse statali a qualunque titolo spettanti alle regioni a statuto ordinario nella misura di 4.000 milioni di euro nel 2011 e 4.500 milioni a decorrere dal 2012. Queste riduzioni sostanziano il concorso delle regioni alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica per il triennio 2011-2013, definito e quantificato per ciascun comparto degli enti territoriali (regioni a statuto ordinario, regioni a statuto speciale, province e comuni) al comma 1 del medesimo articolo 14.

Gli obiettivi finanziari fissati originariamente dall’art. 14, co. 1, del D.L. n. 78/2010 sono stati successivamente integrati dai decreti-legge approvati nell’estate 2011 (D.L. n. 98/2011 art. 20, comma 4, modificato dal D.L. n. 138/2011) – con i quali è stata operata la manovra di stabilizzazione dei conti pubblici 2012-2014 – che hanno imposto alle autonomie territoriali, a partire dal 2012, un ulteriore concorso alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica. Per le regioni a statuto ordinario, l’ulteriore concorso è pari, in termini di fabbisogno e di indebitamento netto, a 1.600 milioni di euro a decorrere dall’anno 2012. Nel complesso, dunque, il concorso complessivo alla manovra è stato ridefinito per le regioni a statuto ordinario in 6.100 milioni di euro a decorrere dal 2012. Sulla base di queste somme sono definiti gli obiettivi di risparmio imposti a ciascuna regione con il patto di stabilità[83].

Si segnala che il riferimento al solo art. 14, comma 2, del D.L. 78/2010, fa sì che l'esclusione sia esplicita solo in relazione al taglio di 4.500 milioni di euro a decorrere dal 2012 e non anche all'ulteriore riduzione di risorse, determinata, come detto, dai D.L. 98 e 138 del 2011 e pari a ulteriori 1.600 milioni di euro per il comparto delle regioni a statuto ordinario.

Dal momento che sugli obiettivi di finanza pubblica è basata l'applicazione del patto di stabilità, non risulta chiaro, inoltre, se l'esclusione delle risorse del Fondo dai tagli significhi anche l'esclusione delle spese sostenute dalle regioni per l'utilizzo di tali fondi, dal computo delle spese considerate ai fini del patto di stabilità.

Con riferimento alla formulazione del testo del comma 6, appare necessario indicare che il “Fondo integrativo statale” è quello di cui al comma 1, lett. a); in proposito, la finalizzazione del Fondo recata nel medesimo comma 6 andrebbe più correttamente collocata nell’ambito del predetto comma 1, lett. a). Appare altresì necessario precisare la lettera relativa al principio direttivo richiamato (lett. b)) del comma 1 all’articolo 16 della citata legge n. 42/2009).

Appare infine opportuno modificare l’ultimo periodo del comma 6 sostituendo le parole “sono fatte salve”, con le parole “ad eccezione”, considerato che la norma in esame non appare a favore delle autonomie territoriali indicate.

 

Come ante evidenziato, la seconda modalità di copertura del fabbisogno finanziario necessario per garantire, attraverso la borsa di studio, i LEP, è costituita dal gettito derivante dall'importo della tassa regionale per il diritto allo studio (comma 1, lett. b). Si conferma, dunque, la destinazione della tassa già prevista a legislazione vigente.

 

La tassa regionale per il diritto allo studio universitario è stata istituita dall’art. 3, comma 20, della L. n. 549 del 1995, a decorrere dall’a.a. 1996-1997, al fine di incrementare le disponibilità finanziarie delle regioni finalizzate all'erogazione di borse di studio e di prestiti d'onore agli studenti universitari capaci e meritevoli, ma privi di mezzi, quale tributo proprio delle regioni e delle province autonome. Per l’iscrizione ai corsi di studio delle università statali e legalmente riconosciute, degli istituti universitari e degli istituti superiori di grado universitario che rilasciano titoli di studio aventi valore legale, gli studenti sono tenuti al pagamento della tassa per il diritto allo studio universitario alla regione o alla provincia autonoma nella quale l'università o l'istituto hanno la sede legale,ad eccezione dell'università degli studi della Calabria “per la quale la tassa è dovuta alla medesima università ai sensi dell’art. 26, comma 2, della L. n. 390 del 1991”.

I commi da 21 a 23 del predetto articolo 3 affidano alle regioni e alle province autonome la determinazione dell’importo della tassa per il diritto allo studio, a partire dallamisura minima di 120 mila lire ed entro il limite massimo di 200 mila lire, prevedendo che, ove non si proceda alla medesima determinazione, la tassa è dovuta nella misura minima e che per gli a.a. successivi, il limite massimo della tassa è aggiornato sulla base del tasso di inflazione programmato.

Le regioni e le province autonome concedono l'esonero parziale o totale dal pagamento della tassa agli studenti capaci e meritevoli privi di mezzi; sono comunque esonerati dal pagamento gli studenti beneficiari delle borse di studio e dei prestiti d'onore, nonché gli studenti risultati idonei nelle graduatorie per l'ottenimento di tali benefici. Il gettito della tassa è interamente devoluto alla erogazione delle borse di studio e dei prestiti d'onore.

Si ricorda, altresì, che le disposizioni sulla tassa regionale per il diritto allo studio si applicano anche alle istituzioni AFAM sulla base dell’art. 15 del DPCM 9 aprile 2001, e che la tassa resterebbe attribuita alle regioni, nell’ambito della ridefinizione del quadro delle entrate tributarie regionali prevista dall’art. 8 del sopra richiamato D.lgs. n. 68/2011, in attuazione del c.d. “federalismo regionale” che trasforma in tributi propri, a decorrere dal 1° gennaio 2013,alcunitributi regionali “minori”in relazione al gettito da essi proveniente.

 

Rispetto al quadro così descritto, il comma 7 modifica la disciplina in materia di determinazione dell’importo della tassa, che è articolato in 3 fasce.

La misura minima della fascia più bassa è stabilita in 120 euro e si applica a coloro che presentano una condizione economica non superiore al livello minimo dell'indicatore di situazione economica equivalente corrispondente ai requisiti di eleggibilità per l'accesso ai LEP.

I valori della tassa minima per le altre due fasce sono fissati in 140 euro e 160 euro e riguardano coloro che presentano un indicatore di situazione economica equivalente superiore, rispettivamente, al livello minimo e al doppio del livello minimo previsto dai requisiti di eleggibilità per l'accesso ai LEP.

Il livello massimo della tassa è fissato in 200 euro.

Qualora le regioni e le province autonome non stabiliscano con proprie leggi, entro il 30 giugno di ciascun anno a decorrere dal 2012, l'importo della tassa di ciascuna fascia, la stessa è dovuta nella misura di 140 euro. Per gli anni accademici successivi, il limite massimo della tassa è aggiornato sulla base del tasso di inflazione programmato.

 

Appare necessario chiarire il riferimento all’applicazione della misura minima della fascia più bassa della tassa a coloro che presentano una situazione economica non superiore al livello minimo dell’indicatore di situazione economica equivalente corrispondente ai requisiti di eleggibilità per l’accesso ai LEP, in relazione al fatto che il comma 22 dell’art. 3 della L. 549/1995 - che non è oggetto di modifica - dispone che “Sono comunque esonerati dal pagamento gli studenti beneficiari delle borse di studio….”.

Inoltre, per la seconda fascia occorre precisare (quantificandolo) il riferimento all’ISEE “superiore al livello minimo”, considerato che la terza fascia riguarda “il doppio del livello minimo”.

Dal punto di vista della formulazione del testo, al quinto periodo sembrerebbe opportuno sostituire le parole “2012 e degli anni successivi” con le parole “di ciascun anno”. Si valuti, inoltre, se sia necessario l’intervento di una legge regionale annuale.

Sotto lo stesso profilo della formulazione del testo, l’alinea del comma 7 deve essere così riformulato: “Il comma 21 dell’art. 3 della legge 28 dicembre 1995, n. 549, è sostituito dal seguente:”.

 

I commi 5-bis, 8 e 9 recano disposizioni riguardanti ulteriori profili.

Il comma 5-bis, al fine di razionalizzare l'uso delle risorse disponibili, autorizza le regioni e le province autonome a destinare alle borse di studio le residue risorse di cui all'articolo 4, commi 99 e 100, della legge n. 350 del 2003, relative all’attivazione del prestito fiduciario.

 

Nel rinviare, per quanto concerne l’illustrazione delle disposizioni richiamate, alla scheda relativa all’art. 3, in questa sede si evidenzia che la relazione tecnica fa presente che la ripartizione del fondo di 10 milioni di euro previsto dall’art. 4, co. 99 e 100, della L. 350/1993 è avvenuta con DM 15 dicembre 2005, n. 67, mentre la conseguente erogazione è avvenuta con i DM 5 dicembre 2006 e 8 giugno 2007[84].

Con nota del 6 novembre 2009, il MIUR ha invitato le regioni a trasmettere la relazione sull’attuazione degli interventi. La conseguente ricognizione operata a novembre 2010 ha evidenziato una parziale utilizzazione da parte delle regioni. La relazione tecnica conclude evidenziando che, “al fine di razionalizzare gli interventi e recuperare le attuali risorse disponibili per le finalità della delega, è apparso pertanto opportuno prevedere, al nuovo comma 5-bis, che le regioni siano autorizzate ad utilizzare le risorse residue non utilizzate a valere su tale Fondo per la erogazione delle borse di studio”.

Sembra, pertanto, di intendere che ciascuna regione e provincia autonoma potrà utilizzare le risorse a suo tempo ad essa assegnate e non ancora utilizzate, così superandosi la previsione recata dal DM 3 novembre 2005 in base alla quale, come evidenziato nella scheda relativa all’art. 3, le risorse recuperate a seguito del mancato utilizzo dovevano essere trasferite alle regioni e province autonome che non avevano potuto soddisfare le richieste, malgrado l’impegno di risorse proprie.

 

Del comma 8 si è già parlato nella scheda relativa all’art. 8.

 

Il comma 9, infine, prevedeche le Università e le Istituzioni AFAM, nell’ambito della propria autonomia, possono destinare una quota del gettito dei contributi universitari all'erogazione degli interventi per il diritto allo studio.

 

Al riguardo si ricorda che, in base all’art. 2 del DPR n. 306 del 1997, i contributi e la tassa di iscrizione rappresentano un contributo degli studenti alla copertura del costo dei servizi offerti dalle università. In particolare, i contributi sono determinati autonomamente dalle università in relazione ad obiettivi di adeguamento della didattica e dei servizi per gli studenti, nonché sulla base della specificità del percorso formativo[85].

 

L’articolo 19 dispone che all’attuazione delle disposizioni del decreto si provvede nei limiti delle risorse finanziarie disponibili a legislazione vigente, stanziate negli appositi programmi dello stato di previsione del MIUR per l'anno 2012 e per gli esercizi successivi.

La relazione tecnica esplicita che per il 2012 le risorse disponibili ammontano a circa 175 milioni di euro (che, come si è visto ante, corrispondono allo stanziamento previsto per il Fondo di intervento integrativo per le borse di studio e i prestiti d’onore).

 

Dal punto di vista della formulazione del testo, poiché le risorse relative al Diritto allo studio nell’istruzione universitaria sono allocate nel programma 2.1, omonimo, l’espressione “negli appositi programmi” non appare la più appropriata.

 

 

 


Articoli 20, 21 e 22
(Monitoraggio sull’attuazione del diritto allo studio)

 

L'articolo 20 apreil Capo V dello schema decreto, che disciplina il monitoraggio sull'attuazione del diritto allo studio, disponendo l’istituzione con decreto del Ministro, presso la Direzione generale per l'università, lo studente e il diritto allo studio universitario, dell’Osservatorio nazionale per il diritto allo studio universitario.

Al riguardo si ricorda che l’art. 6 della L. 390/1991 aveva previsto l’istituzione di una Consulta nazionale per il diritto agli studi universitari, le cui competenze in parte coincidono con quelle assegnate dalla disposizione in esame all’Osservatorio[86].

L’Osservatorio ha il compito di:

a)   creare un sistema informativo, correlato a quelli delle regioni e delle province autonome, per l'attuazione del diritto allo studio e per il monitoraggio dell'attuazione delle disposizioni recate dal decreto, anche attraverso una banca dati dei beneficiari delle borse di studio, aggiornata periodicamente a cura dei soggetti erogatori.

Al riguardo si ricorda che l’art. 24 della L. 390/1991 dispone che l’elenco dei beneficiari delle provvidenze da essa previste, ripartiti per tipologia di interventi, è pubblicato a cura delle università con decorrenza semestrale[87].

b)   procedere ad analisi, confronti e ricerche, anche attraverso incontri con gli enti delle regioni e delle province autonome erogatori dei servizi, le Università e le Istituzioni AFAM, sui criteri e le metodologie adottate, con particolare riferimento alla valutazione dei costi di mantenimento agli studi, nonché sui risultati ottenuti;

c)   presentare al Ministro proposte per migliorare l'attuazione del principio di garanzia dei LEP su tutto il territorio nazionale.

 

L’Osservatorio, che è coordinato, nelle sue attività, dalla Direzione generale presso cui è istituito, è composto da rappresentanti del MIUR, del MEF, del Ministero della gioventù, delle regioni e delle province autonome, del Consiglio nazionale degli studenti universitari (CNSU), della Conferenza dei rettori delle università italiane (CRUI), del Convegno permanente dei direttori e dei dirigenti dell'università, dei collegi universitari legalmente riconosciuti e di quelli ad essi equiparati, nonché da esperti del settore. I membri sono nominati con decreto del Ministro e durano in carica 3 anni. Ad essi non spettano compensi, gettoni di presenza e rimborsi spese (commi 2, 3 e 5).

 

Al comma 2, si ricorda che nell’assetto attuale il riferimento corretto è al Dipartimento della gioventù.

 

Entro il mese di marzo di ogni anno l'Osservatorio presenta al Ministero una relazione annuale sull'attuazione del diritto allo studio a livello nazionale (comma 4).

 

L'articolo 21 dispone che ogni 3 anniilMinistro per l’istruzione, l’università e la ricerca presenta al Parlamento un rapporto sull'attuazione del diritto allo studio, tenendo conto anche dei dati trasmessi all'Osservatorio da parte di regioni, province autonome, università e Istituzioni AFAM.

Si tratta di disposizione già prevista, con qualche variazione, dall’art. 5, co. 1, della L. 390/1991.

In particolare, l’art. 5, co. 1, della L. n. 390/1991, prevedeva che il Rapporto fosse predisposto sentita la Consulta nazionale per il diritto agli studi universitari e che fosse presentato unitamente a quello sullo stato dell’istruzione universitaria di cui all’art. 2, co. 1, lett. a), della legge n. 168/1989.

L’unico Rapporto sull’attuazione del diritto agli studi universitari è stato presentato l’8 giugno 1998 in relazione al quinquennio 1992-1996 ed è inserito in questo dossier.

 

L’articolo 22 dispone l’acquisizione dei dati raccolti ed elaborati in attuazione del decreto alla banca dati delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 13 della legge 196/2009, e successive modificazioni[88].


Articoli 23 e 24
(Norme finali e abrogazioni)

 

Il comma 1 dell’art. 23 dispone che per l'Università della Calabria sono fatte salve le specifiche disposizioni in materia di diritto allo studio, di cui alla legge 12 marzo 1968, n. 442.

 

La disposizione in commento riproduce il comma 2 dell’art. 26 della L. n. 390/1991.

Si ricorda che la L. 442 del 1968 ha disposto l’istituzione dell'Università statale in Calabria comprendente le facoltà di lettere e filosofia, scienze matematiche, fisiche e naturali, ingegneria e scienze economiche e sociali, precisando che l'università ha carattere residenziale.

L’art. 11 della legge ha previsto, tra l’altro, la realizzazione di un “centro residenziale dotato delle necessarie attrezzature sportive, ricreative, associative e sanitarie destinato ad accogliere per la durata dei corsi il personale insegnante e non insegnante in servizio presso l'università, nonché una quota non inferiore al 70 per cento degli studenti iscritti ai corsi di laurea e di specializzazione”.

Si ricorda anche che l’art. 3, co. 20, della già citata L. 549/1995 ha disposto che per l’università degli studi della Calabria la tassa regionale per il diritto allo studio è corrisposta direttamente alla medesima università.

 

Sembrerebbe opportuno puntualizzare il riferimento alla L. 442/1968.

 

Del comma 2 si è parlato nella scheda relativa all’art. 16.

 

In base al comma 3, come già indicato in premessa, le nuove disposizioni hanno effetto a decorrere dall'anno accademico 2012/2013.

 

Il comma 4 dispone che per le province autonome di Trento e Bolzano rimane fermo quanto disposto dall'art. 2, co. 109, della legge n. 191 del 2009, che ha sancito la soppressione di ogni erogazione, prevista da leggi di settore, a carico del bilancio dello Stato in favore delle province autonome medesime.

I commi da 106 a 125 della L. 191/2009 adeguano l’ordinamento finanziario della Regione Trentino Alto Adige e delle province autonome di Trento e di Bolzano agli obiettivi di perequazione e solidarietà stabiliti per le regioni a statuto speciale e le province autonome dall’art. 27 della L. 42/2009[89].

Specificamente, il comma 109 dispone che, a partire dal 2010, sono abrogati gli artt. 5 e 6 della L. n. 368 del 1989. In particolare, l’art. 5 abrogato disponeva che le province autonome partecipano alla ripartizione di fondi speciali istituiti per garantire livelli minimi di prestazioni in modo uniforme su tutto il territorio nazionale e che i finanziamenti recati dalla legge statale, in cui sia previsto il riparto o l'utilizzo a favore delle regioni, sono assegnati alle province autonome ed affluiscono al bilancio delle stesse per essere utilizzati, secondo normative provinciali, nell'ambito del corrispondente settore[90].

 

L’art. 24 dispone le abrogazioni a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto.

Non si tratta di un elenco esaustivo, poiché si utilizza l’espressione “in particolare” (e, come già indicato in precedenti schede, occorrerebbe riflettere sulla opportunità di ulteriori abrogazioni).

 

La prima abrogazione riguarda la L. n. 390 del 1991, ad eccezione dell'articolo 21.

 

L’articolo 21 prevede che alle regioni è concesso l'uso perpetuo e gratuito dei beni immobili dello Stato e del materiale mobile ivi presente, destinati esclusivamente a servizi per la realizzazione del diritto agli studi universitari, con oneri di manutenzione ordinaria e straordinaria posti a carico delle stesse regioni. Inoltre, alle regioni è concesso l’uso di beni immobili delle università e del materiale mobile in essi esistenti, destinati alla realizzazione dei fini istituzionali già propri delle opere universitarie[91].

Nel caso di beni immobili non destinati esclusivamente alle finalità indicate, l'uso di una parte degli stessi connesso alla realizzazione del diritto agli studi universitari è disciplinato con apposita convenzione tra regione e Stato o tra regione ed università.

Le regioni subentrano alle università e alle opere universitarie, aventi sede nel loro territorio, nei rapporti contrattuali da esse conclusi con terzi, relativi all'uso dei beni immobili e mobili destinati alla realizzazione dei fini istituzionali già propri delle opere universitarie.

Lo Stato e le università hanno facoltà di concedere in uso alle regioni altri immobili mediante apposite convenzioni. L'uso può essere gratuito ove la regione si assuma tutti gli oneri derivanti allo Stato o all'università dalla proprietà dei beni.

 

La seconda abrogazione riguarda l'articolo 20, co. 10, della legge n. 59 del 1997, il cui attuale contenuto non ha alcuna pertinenza con l’oggetto dello schema di decreto.

Infatti, il testo vigente dell’art. 20, comma 10, della L. 59/1997 prevede l’individuazione, da parte degli organi responsabili di direzione politica e di amministrazione attiva, di forme stabili di consultazione e di partecipazione delle organizzazioni di rappresentanza delle categorie economiche e produttive e di rilevanza sociale, interessate ai processi di regolazione e di semplificazione.

Al riguardo si evidenzia che l’art. 1, comma 2, della L. 229 del 2003, prevedendo l’intera sostituzione dell’art. 20 della legge n. 59/1997, ha già di fatto abrogato l’originaria disposizione del comma 10, che aveva consentito l’emanazione del D.P.C.M. applicativo dell’art. 4 della L. 390/1991 anche nelle more della costituzione della Consulta nazionale per il diritto agli studi universitari.

 

Occorre, dunque, sopprimere la previsione di abrogazione disposta.

 

Della terza abrogazione, relativa all'articolo 4, co. 99 e 100, della legge n. 350 del 2003, si è già parlato nella scheda relativa all’art. 3.

Qui si segnala solo che i commi 101 e 102 dello stesso art. 4 dovrebbero essere parimenti abrogati, in quanto richiamano il comma 100.

Dovrebbe, altresì, essere abrogato il comma 103 - che abrogava i co. 1, 2 e 3 dell’art. 16 della L. 390/1991 e che era stato oggetto di dichiarazione di illegittimità costituzionale con sentenza 308/2004 - vista la prevista abrogazione, recata dallo schema in esame, dell’intera L. 390/1991, ad eccezione dell’art. 21.

Infine, occorre disporre anche l’abrogazione dell’art. 6, co. 7, del D.L. 35/2005, che riguarda la ripartizione del prestito fiduciario, ora abrogato.

 




[2]    Occorre ricordare che l’art. 44 del DPR 616 del 1977 ha previsto il trasferimento alle regioni, a decorrere dal 1° novembre 1979, delle funzioni amministrative esercitate dallo Stato in materia di assistenza scolastica a favore degli studenti universitari, nonché, con riferimento alle regioni a statuto ordinario, dei beni e del personale delle opere universitarie di cui all’art. 180 del R.D. n. 1592 del 1933, che erano deputate a promuovere, attuare e coordinare le varie forme di assistenza materiale, morale e scolastica degli studenti. Con D.L. 536/1979 (L. 642/1979), inoltre, alle regioni sono state attribuite anche le entrate di natura tributaria e contributiva precedentemente assegnate alle opere universitarie. In seguito, le regioni hanno legiferato, ricorrendo a soluzioni differenziate per quanto riguarda gli aspetti istituzionali e organizzativi.

[3]    Istituita presso il Ministero con il compito di formulare pareri e proposte al Ministro e composta da 5 rappresentanti delle università, 5 delle regioni e 5 degli studenti.

[4]    In attuazione, sono intervenuti i DPCM 13 aprile 1994 (triennio 1994-1997), 30 aprile 1997 (triennio 1997-2000; successiva estensione all’a.a. 2000-2001) e 9 aprile 2001 (si veda infra).

[5]    E’ stata peraltro prevista la possibilità che le leggi regionali disciplinassero l’aggregazione volontaria delle università al fine della costituzione di un unico organismo di gestione, in tutti i casi in cui ciò fosse opportuno per una maggiore razionalità ed efficienza della gestione.

[6]    L’organismo di gestione può avvalersi di servizi resi da enti, soggetti individuali, associazioni o cooperative studentesche operanti nelle università.

[9]    Ai sensi dell’art. 7 del DM 224/1999, le borse di studio sono assegnate previa valutazione comparativa del merito e secondo l'ordine definito nella relativa graduatoria. In caso di parità di merito prevale la valutazione della situazione economica. L’art. 7 prevedeva anche, sulla base dell’art. 4 della L. 210 del 1998, che il numero di borse di studio conferite dalle università non doveva essere inferiore alla metà dei dottorandi. L’art. 19 della L. 240/2010 ha, poi, soppresso la previsione di tale numero minimo di borse di studio.

[11]   Si veda art. 1 del d.lgs. 27 ottobre 2011, n. 199 (Disciplina del dissesto finanziario e del commissariamento delle università); art. 3 Atto n. 396 (Valorizzazione dell’efficienza delle università, introduzione di meccanismi premiali, valorizzazione dei ricercatori); art. 1 Atto n. 437 (Programmazione, monitoraggio e valutazione delle politiche di bilancio e di reclutamento degli atenei), nonché AIR allegata ad Atto n. 395 (Contabilità economico-patrimoniale, contabilità analitica e bilancio unico nelle università).

[12]   Da questo punto di vista, infatti, non è corretta l’interpretazione presente nella nota MIUR Port. 100/UFFLEG/97/R.U., secondo la quale l’art. 6 della L. 508/1999, prevedendo che agli studenti delle istituzioni AFAM si applicano le disposizioni “di cui alla L. 390/1991 ‘e successive modificazioni’, ha l’evidente finalità di rendere dinamica nel tempo l’attuazione della normativa sul diritto allo studio universitario, così assicurando che le istituzioni citate siano destinatarie delle modifiche alla citata l. n. 390 del 1991 e, perciò, anche della revisione generale della legge stessa, realizzata con il decreto legislativo in esame”. Tecnicamente, infatti, l’espressione “e successive modificazioni” riguarda esclusivamente le modifiche esplicite (novelle, abrogazioni) alla legge citata.

[13]   Si ricorda che lo “studente non impegnato a tempo pieno negli studi” è lo studente lavoratore. Infatti, l’art. 5, co, 6, del DM 270/2004 dispone che “I regolamenti didattici di ateneo possono prevedere forme di verifica periodica dei crediti acquisiti […] e il numero minimo di crediti da acquisire da parte dello studente in tempi determinati, diversificato per studenti impegnati a tempo pieno negli studi universitari o contestualmente impegnati in attività lavorative.

[14]   In particolare, la condizione economica e patrimoniale degli studenti stranieri è certificata con apposita documentazione rilasciata dalle competenti autorità del Paese ove i redditi sono stati prodotti e tradotta in lingua italiana dalle autorità diplomatiche italiane competenti per territorio. Tale documentazione è resa dalle competenti rappresentanze diplomatiche o consolari estere in Italia per quei Paesi ove esistono particolari difficoltà a rilasciare la certificazione attestata dalla locale ambasciata italiana e legalizzata dalle prefetture - Uffici territoriali del Governo. Le regioni possono consentire l'accesso gratuito al servizio di ristorazione agli studenti stranieri in condizioni, opportunamente documentate, di particolare disagio economico. Si ricorda, da ultimo, che le competenti rappresentanze diplomatiche consolari italiane rilasciano anche le dichiarazioni sulla validità locale, ai fini dell'accesso agli studi universitari, dei titoli di scuola secondaria stranieri, fornendo contestualmente informazioni sulla scala di valori e sul sistema di valutazioni locali cui fa riferimento il voto o giudizio annotato sul titolo di studio.

[15]   Inoltre, è assicurata l’applicazione della disciplina prevista per i cittadini italiani quanto al riconoscimento di titoli di studio stranieri.

[17]   Al quale hanno partecipato, sempre in base all’AIR, rappresentanti di MIUR, MEF, Consiglio nazionale degli studenti universitari (CNSU), Consiglio nazionale universitario (CNU), Conferenza dei rettori (CRUI), Commissione istruzione presso la Conferenza delle regioni, nonché rappresentanti di organismi per il diritto allo studio come l’Azienda nazionale organismi per il diritto allo studio (ANDISU), i collegi universitari riconosciuti (CCU), l’Azienda lombarda di edilizia universitaria (ALTER), l’Associazione dei collegi e delle residenze universitarie (ACRU), l’Osservatorio della regione Piemonte sul diritto allo studio.

[18]   Artt. 3 e 4 L. 390/1991.

[19]   Artt. 3, 7 e 8 L. 390/1991.

[20]   Art. 11 L. 390/1991.

[21]   Ad es., la provincia autonoma di Trento ha disciplinato gli interventi a favore degli studenti dell'istruzione superiore negli artt. da 78 a 83 della legge provinciale n. 5 del 2006 (oggetto di successive modifiche); la provincia autonoma di Bolzano ha disciplinato il diritto allo studio universitario con la legge provinciale n. 9 del 2004 (anch’essa oggetto di successive modifiche).

[22]   Artt. 3 e 12 L. 390/1991.

[23]   Le province autonome, tuttavia, non possono più ricevere le risorse del Fondo, a seguito delle disposizioni recate dall’art. 2, co. 109, della L. 191/2009 (si veda infra, scheda artt. 23 e 24).

[24]   L’art. 16 della L. 390/1991 non poneva limitazioni analoghe.

[25]   Decorsi comunque cinque anni dal completamento o dalla interruzione degli studi, il beneficiario che non abbia iniziato alcuna attività lavorativa è tenuto al rimborso del prestito e, limitatamente al periodo successivo al completamento o alla definitiva interruzione degli studi, alla corresponsione degli interessi al tasso legale.

[26]   A titolo di esempio, si citano l’art. 21 della L. della regione Calabria 10-12-2001, n. 34, Norme per l'attuazione del diritto allo studio universitario in Calabria, e l’art. 28 della L. della regione Liguria 8-6-2006, n. 15, Norme ed interventi in materia di diritto all'istruzione e alla formazione.

[27]   Il Fondo era stato previsto per gli anni 1991 e 1992. Successivamente, la legge n. 147 del 1992 ha stabilito che gli interventi previsti dagli articoli 16 e 17 della L. 390/1991 fossero attuati con le medesime modalità e procedure anche per gli anni successivi, quantificando l’onere per gli anni 1993 e 1994 e demandando alla legge finanziaria la determinazione per gli anni successivi. Con riferimento al 2012 il capitolo 1695 dello stato di previsione del MIUR reca uno stanziamento pari a circa 175 milioni di euro. Per il 2013 e 2014 lo stanziamento è pari a 12,5 milioni di euro.

[28]   L’art. 2 del DM stabilisce che per la ripartizione del fondo destinato alle erogazioni dei prestiti fiduciariviene utilizzato come parametro di riferimento il numero degli studenti iscritti, e regolarmente in corso, nell'a.a. 2003-2004, ai corsi delle università e delle istituzioni AFAM, che hanno sede legale nel territorio di riferimento. L’art. 3 stabilisce, poi, che possono accedere ai prestiti fiduciari gli studenti capaci e meritevoli iscritti: al terzo anno dei corsi di laurea triennale, dei corsi accademici di I livello e delle Scuole superiori per mediatori linguistici; agli ultimi tre anni dei corsi di laurea specialistica o magistrale a ciclo unico; ai corsi di laurea specialistica o magistrale e di diploma accademico di II livello; ai corsi di specializzazione, ad eccezione di quelli dell'area medica; ai corsi di dottorato di ricerca; ai master. Affida, quindi, a ciascuna regione e provincia autonoma la definizione delle procedure e dei requisiti necessari per accedere ai prestiti fiduciari, nonché di eventuali priorità sia per il livello di studio sia per i settori scientifico-disciplinari di riferimento. Infine, l’art. 5 dispone che la mancata attivazione, entro ventiquattro mesi, del Fondo di garanzia erogato a ciascuna regione e provincia autonoma autorizza il MIUR a revocare l'assegnazione della quota non attivata. Le eventuali complessive risorse recuperate sono, conseguentemente, trasferite alle regioni e province autonome che dimostrino di non aver potuto soddisfare le richieste presentate dagli studenti per carenza di risorse finanziarie, malgrado l'impegno di risorse proprie (sul punto si veda, però, quanto dispone l’art. 18, comma 5-bis, dello schema in esame).

[29]   Il decreto dispone che i trasferimenti sul Fondo sono destinati dalle Regioni alla concessione di borse di studio di cui all'art. 8 della L. 390/1991, sino all'esaurimento delle graduatorie degli idonei al loro conseguimento. A questo fine, le regioni utilizzano prioritariamente le risorse proprie e quelle derivanti dal gettito della tassa regionale per il diritto allo studio e successivamente quelle del Fondo. Le eventuali risorse del Fondo eccedenti, per esaurimento delle graduatorie degli idonei, sono destinate alla concessione di borse di studio e di prestiti d'onore nell'a.a. successivo.

[31]   A sua volta, l’AIR evidenzia come “la borsa di studio e il contributo per la mobilità internazionale [al quale, però, il testo non fa cenno] siano gli strumenti per garantire i LEP in termini di copertura di costi standard per il mantenimento agli studi”.

[32]   L’art. 4, co. 8, del DPCM 9 aprile 2001 dispone che lo studente in sede è residente nel comune o nell’area circostante la sede del corso di studio frequentato; lo studente pendolare è residente in luogo che consente il trasferimento quotidiano presso la sede del corso di studi frequentato; le regioni, le province autonome e le università, per gli interventi di rispettiva competenza, possono considerare pendolari anche studenti residenti nel comune nel quale ha sede il corso di studio frequentato, in relazione a particolari distanze o tempi di percorrenza dei sistemi di trasporto pubblico; lo studente fuori sede è residente in un luogo distante dalla sede del corso frequentato e che per tale motivo prende alloggio a titolo oneroso nei pressi di tale sede, utilizzando le strutture residenziali pubbliche o altri alloggi di privati o enti per un periodo non inferiore a dieci mesi. Qualora lo studente residente in luogo distante dalla sede del corso prenda alloggio nei pressi di tale sede a titolo non oneroso è considerato studente pendolare.

[33]   Le informazioni contenute in questa sezione sono state tratte da: Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Rapporto ISEE 2011, Quaderni della ricerca sociale 13, marzo 2011.http://www.lavoro.gov.it/NR/rdonlyres/FD9DD2FE-182C-4054-81A5-0533E9AC2083/0/RapportoISEE2011.pdf

[34]   A livello nazionale fra le prestazioni nazionali erogate sulla base dell’ISEE si ricordano: social card, assegno per nuclei familiari con almeno tre figli, assegni di maternità per madri prive di altra garanzia assicurativa, fornitura gratuita o semigratuita di libri di testo, erogazione borse di studio, prestazioni del diritto allo studio universitario, tariffa sociale per il servizio di distribuzione o vendita dell’energia elettrica, agevolazioni per il canone telefonico.

[35]   A livello locale fra le prestazioni nazionali erogate sulla base dell’ISEE si ricordano:asili nidi e altri servizi per l’infanzia, mense scolastiche, servizi sociosanitari diurni e residenziali, altre prestazioni assistenziali.

[36]   Le accademie militari (dell’Esercito italiano; navale; aeronautica; dell’Arma dei carabinieri) sono previste dall’art. 221 del Codice dell’ordinamento militare che le definisce quali istituti di istruzione che consentono agli allievi ufficiali l’accesso ai ruoli normali degli ufficiali in servizio permanente. Il medesimo articolo dispone, altresì, che l’accademia navale e l’accademia aeronautica devono occuparsi anche del completamento della formazione iniziale degli ufficiali dei vari ruoli, costituendo a tale scopo istituti militari di istruzione superiore. Tali istituti sono individuati dall’art. 224 in Istituto alti studi della difesa, Istituto superiore di Stato maggiore interforze, Istituto di studi militari marittimi, Istituto di scienze militari aeronautiche, Scuola di applicazione e Istituto di studi militari dell’Esercito italiano, Scuola ufficiali carabinieri. Presso le accademie militari si acquisisce un’approfondita formazione militare ed un diploma di laurea in diverse discipline (ad es: Scienze Strategiche, Ingegneria, Medicina e Chirurgia, Scienze Politiche, Giurisprudenza, Economia, Informatica, Farmacia, Veterinaria).

[37]   Per finalità di aggiornamento professionale e per il conseguimento dei nuovi titoli universitari, ai citati corsi universitari accedono, altresì, gli ufficiali già in servizio nelle citate Forze armate. 

[38]   In particolare, l’art. 1 dello schema dispone che i regolamenti didattici di ateneo vigenti devono essere modificati a decorrere dall’a.a. 2012/2013 ed entro l’a.a. 2013/2014. Dall’a.a. 2014/2015 sono conseguentemente soppresse le classi di laurea e di laurea specialistica di cui al DM 12.4.2001, fatta salva la conclusione dei corsi di studio secondo gli ordinamenti didattici vigenti per gli studenti già iscritti ai corsi. La VII Commissione della Camera ha espresso il parere il 13 aprile 2011. Lo schema, peraltro, non risulta aver completato il suo iter.

[39]   Sulla mobilità sanitaria interregionale, l'art. 8-sexies, co. 8, del D.lgs. 502/1992, prevede che il Ministro della sanità, d'intesa con la Conferenza Stato-regioni, sentita l'Agenzia per i servizi sanitari regionali, con apposito decreto, definisce i criteri generali per la compensazione dell'assistenza prestata a cittadini in regioni diverse da quelle di residenza. Nell'ambito di tali criteri, le regioni possono stabilire specifiche intese e concordare politiche tariffarie, anche al fine di favorire il pieno utilizzo delle strutture e l'autosufficienza di ciascuna regione, nonché l'impiego efficiente delle strutture che esercitano funzioni a valenza interregionale e nazionale. La compensazione interregionale della mobilità sanitaria è stata inizialmente disciplinata dalle note del Ministero della Salute 100/scps/4.4583 del 23 marzo 1994, 100/scps/4.6593 del 9 maggio 1996 e 100/scps/4.344spec. del 28 gennaio 1997. La Conferenza delle Regioni e delle Province autonome approva documenti annuali che disciplinano la compensazione interregionale della mobilità sanitaria, riguardante: Ricoveri ospedalieri e day hospital, Medicina generale, Specialistica ambulatoriale, Farmaceutica, Cure termali, Somministrazione diretta di farmaci, Trasporti con ambulanza ed elisoccorso.

[40]   In base all’Accordo 8 maggio 2003 tra Governo, regioni e Province autonome, le ASL iscrivono temporaneamente, in apposito elenco, i cittadini non iscritti negli elenchi anagrafici del/dei comune/i incluso/i nel proprio territorio, che vi dimorino abitualmente, per periodi superiori a tre mesi, per motivi lavorativi, di studio o di salute. L'iscrizione ha scadenza annuale ed è rinnovabile. In ogni caso, l'ASL, che riceve la richiesta, provvede all'iscrizione temporanea, solo previo accertamento dell'avvenuta cancellazione dell'assistito dagli elenchi dei medici di medicina generale o dei pediatri di libera scelta dell'ASL di residenza, e ne informa tempestivamente la regione.

[41]   L’art. 8 del DM 270/2004 stabilisce che per ogni corso di studio è definita di norma una durata in anni proporzionale al numero di crediti formativi universitari, tenendo conto che ad un anno corrispondono sessanta crediti (e che per conseguire la laurea lo studente deve aver acquisito 180 crediti, e per conseguire la laurea magistrale deve aver acquisito ulteriori 120 crediti). In particolare, specifica che la durata normale dei corsi di laurea è di tre anni; la durata normale dei corsi di laurea magistrale è di ulteriori due anni dopo la laurea. Con riferimento ai corsi di laurea magistrale a ciclo unico, il DM 16 marzo 2007 ricorda che essi hanno durata normale di 5 o 6 anni (art. 4, comma 3).

[42]   L’art. 8 del DPR 212/2005 stabilisce che per ogni corso è definita una durata in anni, proporzionale al numero totale di crediti, tenendo conto che ad un anno corrispondono, di norma, 60 crediti (e che, per conseguire il diploma accademico di primo livello, lo studente deve aver acquisito almeno 180 crediti, e per conseguire il diploma accademico di secondo livello, lo studente deve aver acquisito ulteriori 120 crediti). In particolare, la misura dei crediti per conseguire il diploma accademico di secondo livello può essere modificato con decreto del ministro, in relazione alle esigenze specifiche di alcune materie artistiche o musicali, anche con riferimento alla necessità di allineamento ai parametri di riconoscimento internazionale dei titoli.

Di durata ordinaria si parla, invece, in alcuni regolamenti didattici delle singole scuole. Si veda, a titolo esemplificativo:

http://www.accademiabelleartiroma.it/accademia/regolamenti/regolamento-didattico.aspx

[43]   L’offerta formativa delle istituzioni AFAM è articolata in corsi di vario livello afferenti alle scuole, individuate nella tabella A. In base all’art. 5, co. 1, del DPR 212/2005, con successivo regolamento, sentito il CNAM, si provvede a modifiche e integrazioni della stessa tabella, anche in relazione a innovazioni didattiche connesse a nuovi corsi di studio. Di recente la competente Direzione generale del MIUR ha chiarito per le vie brevi che non risultano intervenute modifiche.

[44]   Al riguardo l’AIR evidenzia che le nuove modalità di erogazione [che, peraltro, non sono esplicitate nello schema], evitano comportamenti opportunistici di studenti nazionali e comunitari. Tali modalità si ispirano al criterio della corresponsione delle quote delle borse durante l’a.a. condizionata al conseguimento dei crediti, mentre in passato la borsa era corrisposta per oltre la metà dell’importo subito dopo l’iscrizione.

[46]   L’art. 6, comma 2, del DM n. 38 del 2002 dispone che i corsi di studio hanno durata triennale, corrispondente a 180 crediti formativi universitari.

[47]   Per un quadro completo di tali strumenti, sia nel settore culturale che in quello scientico-tecnologico v. http://www.esteri.it/MAE/IT/Politica_Estera/Cultura/CooperCulturale/ProgrammiEsecutivi/.

[48]   Per la valorizzazione dei settori di eccellenza della ricerca scientifica e tecnologica e per il sostegno all'affermazione delle imprese italiane che operano in settori di tecnologia avanzata, tale Unità si avvale di una rete di esperti, provenienti in maggioranza dai ruoli dello Stato (MIUR) e di enti pubblici (ENEA, CNR). La rete consta (aprile 2011) di 21 unità di personale che operano presso Sedi diplomatiche italiane all’estero nei Paesi dell’Europa (8), delle Americhe (6) dell’Asia (4), dell’Oceania (1) e del Mediterraneo (2). A tale riguardo si segnala che MAE, MIUR, CRUI e CUN hanno realizzato la piattaforma http://accordi-internazionali.cineca.it/, che mira a raccogliere tutti gli elementi informativi necessari riguardanti tali intese.

Parallelamente, gli atenei hanno sviluppato politiche di internazionalizzazione che hanno portato ad un forte incremento del numero di intese di collaborazione universitaria stipulate direttamente tra università italiane e straniere. Tali intese possono parimenti prevedere l’assegnazione di borse di studio per ricercatori e docenti degli atenei parte dell’accordo.

[49]   La materia è disciplinata dalla circolare del Ministero degli Affari esteri del 3 novembre 1994, n. 13.

[50]   Per il riparto relativo al 2011, si veda il DM 8 novembre 2011, n. 452 http://attiministeriali.miur.it/anno-2011/novembre/dm-08112011-(1).aspx.

[51]   L’Agenzia delle Entrate mette a disposizione i propri servizi per l’accesso in cooperazione informatica ai dati presenti in Anagrafe Tributaria, a seguito della stipula di un’apposita Convenzione, secondo specifiche modalità. In particolare, i servizi di consultazione on line consentono l’accesso di un utente dell’Ente ad un applicativo di proprietà dell’Agenzia per l’interrogazione on line delle informazioni presenti in Anagrafe Tributaria oltre che, per particolari servizi, il download di flussi anticipatamente predisposti dall’Agenzia. Tali servizi vengono attualmente erogati attraverso la piattaforma Siatel v2.0 – Punto Fisco.

Entro il 15 aprile 2011 gli Enti che già fruivano dei servizi di cooperazione informatica dell’Agenzia, al fine di continuare ad utilizzare tali servizi hanno dovuto, a seguito di quanto prescritto dall’Autorità Garante per la protezione dei dati personali, sottoscrivere obbligatoriamente una nuova convenzione e adottare le misure in essa contenute.

[52]   Ad es., la rappresentanza degli studenti nel Consiglio di amministrazione è disciplinata nell’art. 8 dello statuto dell’EDUCatt, Ente per il diritto allo studio istituito dall’Università Cattolica del Sacro Cuore http://www.educatt.it/documenti/statuto.asp. Sempre a titolo di es., l’art. 27 dello Statuto dell’università di Bari fa riferimento ai rappresentanti degli studenti eletti nel Consiglio di Amministrazione dell'Ente di Diritto allo Studio Universitario (http://www.uniba.it/ateneo/regolamenti/regol-gen/018-testo-statuto-per-il-web-1.pdf).

[54]   In particolare, l’art. 13, co. 1, della L. 390/1991 dispone che le graduatorie sono formulate “secondo i criteri di merito e di reddito di cui all’art. 4, comma 1, lettera a)”. Si tratta dei requisiti per l’accesso ai servizi non destinati alla generalità degli studenti. Nello schema di decreto, i requisiti di merito e di condizione economica definiti a livello centrale sono quelli per l’accesso ai LEP, mentre, ai sensi dell’art. 8, co. 4, i requisiti di merito e di condizione economica per l’accesso agli altri servizi previsti dall’art. 6, co. 1 (fra i quali l’attività a tempo parziale), sono definiti direttamente da regioni, province autonome, università e istituzioni AFAM.

[55]   L’art. 13, co. 3, lett. a), della L. 390/1991 dispone che i regolamenti universitari devono disporre l’assegnazione dei compensi a studenti che abbiano superato almeno i due quinti degli esami previsti dal piano di studio prescelto con riferimento all'anno di iscrizione.

[56]   Nella legge di bilancio 2012 il cap. 7273 ha una dotazione pari a € 18 milioni.

[57]   Pubblicato nella GU n. 97 del 28 aprile 2011.

[58]   Pubblicato nella GU n. 97 del 28 aprile 2011.

[59]   Con esclusione dell'acquisto, da parte di cooperative di studenti, organizzazioni non lucrative di utilità sociale e fondazioni di edifici già adibiti a tale scopo.

[60]   Con Decreto direttoriale 21 marzo 2011, n. 127 è stato adottato un modello informatizzato per la formulazione delle richieste di cofinanziamento relative agli interventi per alloggi e residenze per studenti universitari, con note per la compilazione. http://attiministeriali.miur.it/anno-2011/marzo/dd-21032011.aspx.

[61]   L’art. 1, co. 603, della L. 296/2006 (legge finanziaria 2007) equipara ai collegi universitari legalmente riconosciuti tutti i collegi universitari gestiti da fondazioni, enti morali, nonché enti ecclesiastici che abbiano le finalità di ospitare studenti universitari, nonché offrire anche agli altri iscritti alle università servizi di supporto alla didattica e alla ricerca e attività culturali e ricreative (art. 1, co. 4, primo periodo, della L. 338/2000), purché iscritti nei registri delle prefetture. L’equiparazione consente, dunque, di usufruire dei finanziamenti per interventi per alloggi e residenze degli studenti universitari previsti dalla citata L. 338/2000 e beneficiare altresì, ai sensi del co. 604, dell’esenzione dal pagamento dell’IVA.

[62]  Il codice civile conosce, tuttavia, una specifica disciplina del cd. “Deposito di albergo” (artt. 1783-1786) che detta i limiti della responsabilità dell’albergatore per le cose portate o consegnate in albergo dal cliente, nonché, all’art. 2760 “Crediti dell’albergatore” , il privilegio dell’albergatore sui beni dell’ospite per il pagamento dei propri crediti.

[63]   Nella citata decisione del 2005, la Suprema Corte ha, inoltre, chiarito che “secondo i principi applicabili in tema di contratto misto, il negozio deve essere assoggettato alla disciplina unitaria dell'uno o dell'altro contratto in base alla prevalenza degli elementi, salva l'applicazione degli elementi del contratto non prevalente se regolati da norme compatibili con quelle del contratto prevalente”.

[64]   Tale tipologia di fondi è disciplinata ai sensi del D. Lgs. n. 58 del 1998 (art. 37, comma 1, lett. d-bis) che definisce la struttura dei fondi comuni di investimento la cui attività è legata, esclusivamente o prevalentemente, ad operazioni in beni immobili, diritti reali immobiliari e partecipazioni in società immobiliari.

[65]   Tale decreto è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 24 giugno 2008, n. 146.

[66]   Per ulteriori approfondimenti sul tema, si veda http://temiap.intra.camera.it/temiap/main.html?area=23&tema=107&mode=viewInter.

 

[67]   Cfr. http://www.collegiuniversitari.it,  sito che evidenzia, tra l’altro, la mappa delle strutture cui il MIUR riconosce il ruolo di collegio universitario. Si veda anche, sul sito del MIUR, http://www.istruzione.it/web/universita/collegi-alloggi-e-residenze.

[68]  Il terzo rapporto (Rapporto annuale 2008/2009) finora pubblicato su impulso della CCU è in http://www.collegiuniversitari.it/Rapporto_CCU_2008-2009.pdf.

[69]   Tali attività non si sostituiscono alla didattica degli Atenei, ma hanno l’obiettivo di integrare e approfondire la conoscenza di alcune tematiche specifiche, in accordo con i singoli corsi di laurea, rispondendo alle esigenze di integrazione degli studenti.

[70]   Nel rapporto annuale 2008/2009 citato in precedente nota si evidenzia che “I corsi universitari promossi dai Collegi e accreditati da 20 Atenei differenti, dislocati su tutto il territorio nazionale, come corsi universitari a tutti gli effetti aperti anche ai non collegiali, sono stati 124 nell’anno accademico 2008-2009, per un totale di 15.205,5 CFU riconosciuti”.

[71]   Disposizione abrogata dal combinato disposto del comma 1 dell’art. 1 e dell’allegato al D.lgs. 13 dicembre 2010, n. 212, a decorrere dal 16 dicembre 2010.

[72]   Tale computo non esplicita espressamente il numero degli studenti, italiani o stranieri, iscritti ai corsi promossi dalle Istituzioni AFAM.

[73]   Nel rapporto annuale 2008/2009 citato in precedente nota, si evidenzia che “La superficie complessiva delle aree funzionali delle 45 residenze della CCU è pari a 134.725,16 mq: una percentuale del 18% è dedicata alle aree riservate allo studio e all’attività culturale e formativa (in particolare aule, laboratori informatici e biblioteche) mentre ai servizi ricreativi (soprattutto emeroteche, sale lettura e palestre) è adibito il 13% degli spazi. Il resto va ripartito tra refettori e cucine, lavanderie, camere per gli studenti (ogni collegio offre ospitalità in stanze quasi sempre singole e dotate di servizi personali) e spazi accessori. Le aree informatizzate superano il 60%. Poco meno di 1000 i mq attivati nell’anno 2008”.

[74]   In proposito si deve rilevare che non appare possibile definire normativamente una definizione di “collegi storici”. Per essi, infatti, appare rinvenibile esclusivamente la definizione comunemente accolta di istituti di più antica tradizione, considerati come “storici” per l'ormai consolidata presenza sul territorio.

[75]   Si ricorda che la L. 240/2010 ha disciplinato differentemente l’accreditamento delle sedi e dei corsi di studio universitari. Sull’argomento, è intervenuto lo schema n. 396 - approvato dal Consiglio dei Ministri il 20 gennaio 2012, ma pubblicato nella GU al momento della chiusura del presente dossier - che, negli articoli da 4 ad 8 dispone che l’accreditamento iniziale delle sedi e dei corsi di studio universitari è effettuato sulla base di indicatori definiti dall’ANVUR, volti a misurare e verificare i requisiti didattici, strutturali, organizzativi, di qualificazione dei docenti e della ricerca idonei a garantire qualità, efficienza ed efficacia, nonché a verificare la sostenibilità finanziaria delle attività. L’accreditamento periodico verifica la persistenza dei requisiti almeno ogni 5 anni per le sedi e 3 anni per i corsi di studio. Per le sedi e i corsi di studio già esistenti/attivati alla data di entrata in vigore del decreto, la procedura di accreditamento è rimessa ad un programma stabilito dall’ANVUR entro 120 giorni dalla stessa data che, per l’accreditamento dei corsi di studio, indica gli adempimenti degli atenei, mentre la procedura di accreditamento di nuove sedi è disciplinata da norme direttamente contenute nel medesimo schema di decreto legislativo.

[76]   Lo stanziamento per i collegi universitari legalmente riconosciuti è allocato nel cap. 1696 dello stato di previsione del MIUR.

[77]   L’art. 119, quinto comma della Costituzione dispone che, per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà speciale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati comuni, province, città metropolitane e regioni (e non invece per la generalità degli stessi, come prevede la lettera a) del comma 1). Va anche segnalato che il d.lgs. 88/2011, nel dare una prima attuazione all’art. 16 della L. 42/2009, relativo agli interventi di cui all’art. 119, quinto comma, della Costituzione, ha inteso la stessa disposizione come operante esclusivamente sul piano degli interventi di parte capitale. In particolare, l’oggetto, come espresso nell’art. 1, comma 1, è quello di “(…) promuovere lo sviluppo economico e la coesione sociale e territoriale, di rimuovere gli squilibri economici, sociali, istituzionali ed amministrativi del Paese e di favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona”.

[78]   La Tab. C ha inoltre previsto il finanziamento di 12.529.000 euro per ciascuno degli anni 2013 e 2014.

[79]   Infatti, l’art. 1, co. 26, della L. di stabilità 2011 aveva disposto l’incremento della dotazione del Fondo di 100 milioni di euro per il 2011.

[80]   Nel limite massimo di lire 80 miliardi per il 1999, lire 81 miliardi per il 2000 e lire 91 miliardi a decorrere dall'anno 2001.

[81]   Sentiti la CRUI, il CUN, il CNSU, ove costituito, le organizzazioni sindacali e le associazioni professionali dei professori e dei ricercatori universitari comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

[82]   A decorrere dal 2003, il Fondo è ripartito tra gli atenei in base a criteri e modalità determinati con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, sentita la CRUI e il CNSU, adottato il 23 ottobre 2003, n. 198 http://attiministeriali.miur.it/anno-2003/ottobre/dm-23102003-n-198.aspx. Le risorse sono allocate sul cap. 1713 dello stato di previsione del MIUR e per il 2012 ammontano a 72,7 milioni di euro, comprensivi, però, del contributo alla scuola di ateneo per la formazione europea Jean Monnet.

[83]   Si veda da ultimo l'articolo 32 della legge di stabilità 2012 ( L. 183/2011).

[84]   A valere sul capitolo 7368 dello stato di previsione del MEF- UPB 3.2.3.45.

[85]   L’art. 5 dispone chela contribuzione studentesca non può eccedere il 20% dell’importo del finanziamento ordinario dello Stato e che le università devono comunicare annualmente al MIUR, fra l’altro, il gettito della contribuzione studentesca dell’anno precedente e il numero di studenti esonerati totalmente o parzialmente dalla tassa di iscrizione e dai contributi nell’anno in corso.

L’art. 6 dispone che le università non statali determinano autonomamente la tassa di iscrizione e i contributi universitari.

[86]   In particolare, in base all’art. 6, la Consulta doveva formulare pareri e proposte al Ministro, indicare i criteri per la formulazione del rapporto triennale del Ministro al Parlamento previsto dall’art. 5 (vedi infra, nel testo) - a tal fine promuovendo indagini e ricerche sulla condizione studentesca e sui servizi di orientamento e tutorato - ed esprimere il parere sullo stesso, nonché esprimere il parere sul decreto triennale previsto dall’art. 4 per la definizione dei criteri per la determinazione del merito e delle condizioni economiche degli studenti e delle tipologie minime degli interventi.

[87]   Nel sito del MIUR, i dati sui servizi erogati in materia di diritto allo studio sono consultabili all’indirizzo http://statistica.miur.it/scripts/DSU_BD/BD_DSU_A.asp. Allo stato sono presenti i dati relativi all’a.a. 2009/2010. I dati di sintesi sono riportati nella sezione Documentazione di questo dossier.

[88]   L’art. 13, della L. n. 196/2009, modificato dall’art. 7, c. 1, lett. d), della L. n. 39/2011, prevede l’istituzione, presso il MEF, di una banca dati delle pubbliche amministrazioni accessibile da parte di tutte le amministrazioni pubbliche chiamate ad alimentarla e dall’ISTAT. Le modalità di accesso sono definite con decreto ministeriale, sentita la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, l’ISTAT e il CNIPA. L’art. 14, co. da 6 a 11, prevede espressamente la prosecuzione dell’alimentazione e dell’utilizzo della banca dati SIOPE che ha provveduto a fornire, antecedentemente, informazioni relative agli andamenti finanziari dei diversi centri di spesa, mediante un sistema di rilevazione telematica degli incassi e dei pagamenti effettuati dai tesorieri di tutte le amministrazioni pubbliche, tra i quali le Università. A tal fine, è stata operata una standardizzazione ed una codificazione dei dati contabili, di cui si effettua il monitoraggio.

 

[89]   Le disposizioni, in conformità a quanto dispone l’art. 104 dello statuto speciale di autonomia (DPR 670/1972), costituiscono il contenuto dell’accordo sottoscritto in proposito tra il Governo, la regione e le due province autonome in data 30 novembre 2009.

[90]   L’art. 6 della L. 386 del 1989 disponeva, invece, in materia di IVA.

[91]   All'accertamento di tali beni è chiamata a provvedere, per ciascuna regione sede di università, una commissione nominata dal Ministro, composta da rappresentanze paritetiche della regione, del comune, dell'università, del Ministero e del Ministero delle finanze, che accerta, nel termine di 90 giorni dalla costituzione, la condizione giuridica dei beni stessi.