Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione
(Versione per stampa)
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento cultura | ||
Titolo: | Equo compenso nel settore giornalistico - A.C. 3555-B - Elementi per l'istruttoria legislativa | ||
Riferimenti: |
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Serie: | Progetti di legge Numero: 509 Progressivo: 1 | ||
Data: | 14/11/2012 | ||
Descrittori: |
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Organi della Camera: | VII-Cultura, scienza e istruzione |
SIWEB
14 novembre 2012 |
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n. 509/1 |
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Equo compenso nel settore giornalistico A.C. 3555-BElementi per l’istruttoria legislativa |
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Numero del progetto di legge |
3555-B |
Titolo |
Equo compenso nel settore giornalistico |
Iniziativa |
Parlamentare |
Iter al Senato |
Sì |
Numero di articoli |
5 |
Date: |
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Trasmesso dal Senato |
8 novembre 2012 |
assegnazione |
13 novembre 2012 |
Commissione competente |
VII (Cultura) |
Sede |
Referente |
Pareri previsti |
I (Affari Costituzionali), II (Giustizia), V (Bilancio), IX (Trasporti) e XI (Lavoro) |
La proposta di legge introduce norme volte a promuovere l’equo compenso nel lavoro giornalistico, con riferimento alle retribuzioni dei giornalisti iscritti all’albo di cui all’art. 27 (rectius: 26) della L. 69/1963[1],titolari di un rapporto di lavoro non subordinato in quotidiani e periodici, anche telematici, nelle agenzie di stampa e nelle emittenti radiotelevisive (i c.d. free lance).
Rispetto al testo approvato dalla Camera,ilSenato ha apportato alcune modifiche motivate con un adeguamento alle novità introdotte dalla legge n. 92 del 2012, di riforma del mercato del lavoro[2].
Al riguardo si ricorda che l’art. 1, co. 23, della L. 92/2012 (modificando l’art. 63 del d.lgs. 276/2003) ha innovato la disciplina del corrispettivo per i lavoratori a progetto, prevedendo che lo stesso corrispettivo deve essere adeguato alla quantità e alla qualità del lavoro eseguito e, in relazione a ciò, non può essere inferiore ai minimi stabiliti per ciascun settore di attività (eventualmente articolati per i relativi profili professionali tipici e in ogni caso sulla base dei minimi salariali applicati nel settore medesimo alle mansioni equiparabili svolte dai lavoratori subordinati) dai contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale a livello interconfederale o di categoria ovvero, su loro delega, ai livelli decentrati. In assenza di contrattazione collettiva specifica, il compenso non può essere inferiore, a parità di estensione temporale dell'attività oggetto della prestazione, alle retribuzioni minime previste dai contratti collettivi nazionali di categoria applicati nel settore di riferimento alle figure professionali il cui profilo di competenza e di esperienza sia analogo a quello del collaboratore a progetto.
Al fine di razionalizzare il ricorso alle collaborazioni rese da titolari di partita IVA, l’art. 1, co. 26-27, della medesima L. 92/2012 ha introdotto la presunzione che tali prestazioni siano da considerarsi rapporti di collaborazione coordinata e continuativa in presenza di alcuni presupposti(collaborazione con il medesimo committente di durata complessiva superiore a otto mesi annui per due anni consecutivi; corrispettivo derivante da tale collaborazione, anche se fatturato a più soggetti riconducibili al medesimo centro d'imputazione di interessi, che costituisce più dell'80 per cento dei corrispettivi annui complessivamente percepiti dal collaboratore nell'arco di due anni solari consecutivi; collaboratore che disponga di una postazione fissa di lavoro presso una delle sedi del committente).
Il provvedimento si compone, nel testo come modificato dal Senato, di 5 articoli.
L’articolo 1 reca finalità, definizioni e ambito applicativo dell’intervento, che si propone in attuazione dell’art. 36, primo comma, della Costituzione.
In particolare, per compenso equo si intende la corresponsione di una remunerazione proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, tenendo conto della natura, del contenuto e delle caratteristiche della prestazione, nonché della coerenza con i trattamenti previsti dalla contrattazione collettiva nazionale di categoria in favore dei giornalisti titolari di un rapporto di lavoro subordinato.
Rispetto al testo dell’art. 1 approvato
dalla Camera, è stata, in particolare, sostituita l’espressione “equità
retributiva” con l’espressione “equo compenso”[3] ed è stato
eliminato il riferimento ai “requisiti minimi” della stessa equità retributiva.
Con riferimento a tale eliminazione, la sottocommissione per i pareri della 5a
Commissione del Senato, il 7 novembre
La retribuzione del lavoro dei giornalisti con
contratto di lavoro subordinato è regolata dal Contratto collettivo nazionale
(CCNL del
Per quanto attiene, invece, alle prestazioni professionali autonome dei giornalisti titolari di un rapporto di lavoro non subordinato (e, quindi, non regolate dal contratto collettivo nazionale), l’ultimo Tariffario (Compensi minimi per le prestazioni professionali giornalistiche nei quotidiani, nei periodici, anche telematici, nelle agenzie di stampa e nelle emittenti radiotelevisive[4]) che definisce i compensi minimi in relazione alle diverse tipologie di attività prestate (notizia, articolo, servizio, fotografia, collaborazioni, ecc.) è stato adottato con la delibera dell’Ordine nazionale dei giornalisti n. 101 del 20 dicembre 2006.
In particolare, il punto A) del Titolo VIII prevede che “Il presente tariffario indica cifre minime, al lordo delle ritenute fiscali di legge, al di sotto delle quali l’Ordine dei Giornalisti ritiene che non sia possibile andare, stabilendo in tal caso la incongruità del compenso. In ogni caso la determinazione dell’effettivo ammontare dei corrispettivi deve tenere conto della qualità del committente, dei compiti in concreto demandati al giornalista, dell’impegno necessario, del tempo richiesto”.
L’articolo 2 prevede
l’istituzione, entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore della legge, della
Commissione per la valutazione dell’equo
compenso nel lavoro giornalistico.
Essa è composta di 7 membri: in particolare, è presieduta dal Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri con delega per l’informazione, la comunicazione e l’editoria ed è composta da un rappresentante per ciascuno dei seguenti soggetti: Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Ministero dello sviluppo economico, Consiglio nazionale dell'ordine dei giornalisti, Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani (INPGI), organizzazioni sindacali dei giornalisti comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei committenti comparativamente più rappresentative sul piano nazionale nel settore delle imprese di quotidiani e periodici, anche telematici, agenzie di stampa ed emittenti radiotelevisive.
L’elenco è costantemente aggiornato.
Si rileva, tuttavia, che, in relazione al termine di durata della Commissione, non appare chiaro a chi competerà l’aggiornamento dell’elenco previsto al comma 3, lett. b), dopo la cessazione della stessa Commissione.
Non è, inoltre, chiaro con quale tipologia di atto sarà formalizzata la definizione del compenso equo (si veda, infra, quanto prevedeva il testo approvato dalla Camera).
Infine, non è esplicitata la tipologia di atto con il quale si procederà alla nomina della Commissione.
Ai componenti della Commissione non è corrisposto alcun compenso, emolumento, indennità o rimborso spese.
Rispetto al testo dell’art. 2 approvato dalla Camera, le novità principali riguardano:
-
la composizione
della Commissione (il testo approvato dalla Camera prevedeva che
- la definizione di termini per l’istituzione e per la cessazione della Commissione;
- l’eliminazione della previsione di intervento di un DPCM per la definizione dell’equo compenso a seguito del lavoro della Commissione[5].
Ai sensi dell’articolo
Al riguardo si evidenzia che non appare chiaro il funzionamento del meccanismo descritto - con particolare riferimento all’annualità interessata dalla decadenza e dalla ricostituzione del diritto all’accesso - alla luce del fatto che i contributi all’editoria sono erogati su base annua.
Sull’argomento si ricorda, peraltro, che l’art. 29, co.
3, del D.L. 201/2011 (L. 214/2011) ha disposto la cessazione del sistema di
erogazione dei contributi diretti di cui alla L. 250/1990 dal 31.12.2014, con
riferimento alla “gestione
Di fatto, il primo intervento normativo è stato operato con norma primaria: è, infatti, intervenuto il D.L. 63/2012 (L. 103/2012), che si è posto quale disciplina transitoria, nelle more della “ridefinizione delle forme di sostegno all’editoria”, affidata ad un disegno di legge delega, attualmente in corso di esame (A.C. 5270).
In particolare, per quanto qui più direttamente interessa, il D.L. 63/2012 ha ridefinito i requisiti per l’accesso ai contributi, al fine di razionalizzare l’uso delle risorse attraverso meccanismi in grado di correlare il contributo erogato agli effettivi livelli di vendita e di occupazione professionale delle imprese editoriali (art. 1).
Lo stesso articolo 3, inoltre, prevede che il patto contenente condizioni contrattuali in violazione dell’equo compenso è nullo.
Il testo dell’art. 3 approvato dalla Camera prevedeva che a decorrere dal 1° gennaio 2012 l’iscrizione nell’elenco era requisito necessario per l’accesso a qualsiasi contributo pubblico a favore dell’editoria.
Non era poi espressamente prevista la nullità del patto contenente condizioni contrattuali in violazione dell’equo compenso.
L’articolo 4, introdotto dal Senato, dispone la presentazione alle Camere, da parte del Presidente del Consiglio, di una relazione annuale sull’attuazione della legge.
L’articolo 5 dispone che dall’attuazione della legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica (invarianza finanziaria).
La proposta di legge era corredata di relazione illustrativa.
Come ante illustrato, si è intervenuti con norme primarie sia in materia di corrispettivi per i lavoratori a progetto che, da ultimo, in materia di requisiti per avere accesso ai contributi pubblici all’editoria.
Le norme contenute nella proposta di legge possono essere ricondotte alle materie di potestà legislativaesclusiva statale “ordinamento civile”, di cuiall’articolo 117, secondo comma, lett. l), Cost., e “sistema tributario e contabile dello Stato”, di cui all’articolo 117, secondo comma, lett. e), Cost.
Inoltre, è possibile fare riferimento alla materia di potestà concorrente Stato-regioni “professioni”, di cui all’articolo 117, terzo comma, Cost.
Sulla questione
delle tariffe minime,
Sulla medesima questione è intervenuta anche l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Antitrust), la quale nel documento conclusivo dell’indagine conoscitiva sul Settore degli ordini professionali (conclusa il 15 gennaio 2009, IC34)[6] ha ricordato, in via generale, che regolamentazioni restrittive possono essere giustificate in quanto proporzionali, in ragione degli interessi pubblici connessi con l’esercizio di una determinata professione. In ogni caso, le limitazioni alla libertà di iniziativa economica dei professionisti, di derivazione sia normativa che pattizia (anche per le professioni che incidono su interessi pubblici), devono essere effettivamente funzionali ed indispensabili per la tutela di interessi pubblici. In tal senso l’Autorità ha ricordato che la verifica della necessità e della proporzionalità delle limitazioni della concorrenza tra professionisti impone che le restrizioni devono essere “oggettivamente necessarie per raggiungere un obiettivo di interesse generale chiaramente articolato e legittimo e devono costituire il meccanismo meno restrittivo della concorrenza atto a raggiungere tale obiettivo”.
L’Autorità ha peraltro sottolineato che “tra le restrizioni all’esercizio delle professioni intellettuali, l’adozione di tariffe uniformi minime e fisse sono quelle che destano maggiori preoccupazioni, in quanto le restrizioni di prezzo riducono significativamente la concorrenza tra i professionisti ed impediscono ai fruitori dei servizi professionali di remunerare i servizi offerti con prezzi competitivi derivanti dal libero gioco della concorrenza”. Con specifico riferimento all’attività giornalistica, nel documento citato l’Antitrust ha evidenziato la necessità di rimuovere il vigente Tariffario (v. par. Contenuto), in quanto un sistema di tariffe obbligatorie risulta lesivo della concorrenza.
Con riferimento alle restrizioni alla concorrenza nel
settore delle professioni, si segnala
In esito a tale relazione, il Parlamento europeo, il 12 ottobre
Il medesimo orientamento emerge dalla giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee che, con riferimento alla professione forense, nella sentenza 5 dicembre 2006 (cause riunite Cipolla C-94/2004, Capodarte e Macrino, C-202/2004), ha statuito che «il divieto di derogare convenzionalmente ai minimi tariffari, come previsto dalla legislazione italiana, può rendere più difficile l'accesso degli avvocati stabiliti in uno Stato membro diverso dalla Repubblica italiana al mercato italiano dei servizi legali, ed è in grado quindi di ostacolare l'esercizio delle loro attività di prestazione di servizi in quest'ultimo Stato membro. Tale divieto si rivela pertanto una restrizione ai sensi dell'art. 49 CE».
L’articolo 2 del
D.L. 223/2006 (L. 248/2006) prevede, in primo luogo, che “in conformità al
principio comunitario di libera concorrenza ed a quello di libertà di
circolazione delle persone e dei servizi, nonché al fine di assicurare agli
utenti un'effettiva facoltà di scelta nell'esercizio dei propri diritti e di
comparazione delle prestazioni offerte sul mercato, sono abrogate tutte le disposizioni legislative e regolamentari che
prevedono con riferimento alle attività libero professionali e intellettuali
l'obbligatorietà di tariffe fisse o minime ovvero il divieto di pattuire
compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti” (comma 1).
Inoltre, dispone che “le disposizioni
deontologiche e pattizie e i codici di autodisciplina che contengono le
prescrizioni di cui al comma 1 sono adeguate, anche con l'adozione di misure a
garanzia della qualità delle prestazioni professionali, entro il 1° gennaio
Non vi sono lavori legislativi in corso sulla materia.
La platea dei giornalisti potenzialmente coinvolta dalle disposizioni della proposta di legge è costituita dagli iscritti alla gestione separata dell’INPGI. Dal bilancio INPGI 2011 risultano iscritti a tale gestione 34.335 giornalisti, di cui 27.693 attivi (15.129 liberi professionisti e 12.564 Co.co.co e 4.969 titolari di una doppia qualifica).
All’art. 1, co. 1, appare più corretto fare riferimento all’art. 26 della L. 69/1963, in quanto l’art. 27, come si è visto, disciplina solo il contenuto dell’albo.
Mentre all’art. 1, co. 1, eall’art. 2, co. 3, sia nell’alinea che nella lett. a), si fa riferimento ai quotidiani e ai periodici, anche telematici, nella lett. b) dello stesso co. 3 sembrerebbe che l’aggettivo “telematici” sia riferito solo ai periodici.
All’art. 2, co. 1, è necessario sostituire le parole “Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri per l’informazione, la comunicazione e l’editoria”, con le parole “con il Presidente del Consiglio dei Ministri ovvero, se nominato, con il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri con delega all'informazione, alla comunicazione e all'editoria” (si veda, in tal senso, l’art. 3 della L. 128/2011, relativa al prezzo dei libri).
All’art. 2, co. 3, non appare coerente che si preveda lo stesso termine (due mesi dall’insediamento della Commissione) per la definizione del compenso equo, nonché per la redazione dell’elenco delle imprese che garantiscono il rispetto dello stesso compenso equo.
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7V., in particolare, par. 29, nell’ambito del cap. “Prospettive future”:
http://eurlex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=COM:2005:0405:FIN:IT:PDF
Dipartimento Cultura ( 3255 - *st_cultura@camera.it
Dipartimento Lavoro ( 4884 - *st_lavoro@camera.it
I dossier dei servizi e degli uffici della Camera sono destinati alle esigenze
di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei
parlamentari.
[1] Ai sensi dell’art. 1 della legge n. 69 del 1963, all’Ordine dei giornalisti appartengono i giornalisti professionisti e i pubblicisti iscritti nei rispettivi elenchi dell’albo. Sono professionisti coloro che esercitano in modo esclusivo e continuativo la professione di giornalista; sono pubblicisti coloro che svolgono attività giornalistica non occasionale e retribuita anche se esercitano altre professioni o impieghi.
Le funzioni relative alla tenuta dell’albo e quelle relative alla disciplina degli iscritti sono esercitate, per ciascuna regione o gruppi di regioni, da un Consiglio dell’Ordine. A ciascun albo sono iscritti i giornalisti che hanno la loro residenza nel territorio compreso nella circoscrizione del Consiglio (art. 26). L’art. 27 citato nel testo disciplina il contenuto dell’albo.
[3] Nella
seduta della 11a Commissione del Senato del
[5] Il DPCM doveva intervenire entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge: si trattava, peraltro, di un termine incongruente in relazione all’assenza di un termine per l’istituzione della Commissione e alla previsione che la stessa definisse i requisiti minimi di equità retributiva entro tre mesi dal suo insediamento.