Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento cultura
Titolo: Disposizioni per il sostegno dello sport femminile - A.C. 1286 - Schede di lettura e normativa di riferimento
Riferimenti:
AC N. 1286/XVI     
Serie: Progetti di legge    Numero: 134
Data: 16/03/2009
Descrittori:
DONNE   GRAVIDANZA E PUERPERIO
PARITA' TRA SESSI   SPORT
Organi della Camera: VII-Cultura, scienza e istruzione
XI-Lavoro pubblico e privato

 

Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di
Progetti di legge

Disposizioni per il sostegno dello sport femminile

A.C. 1286

Schede di lettura e normativa di riferimento

 

 

 

 

 

 

n. 134

 

 

 

16 marzo 2009

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Cultura e Dipartimento Lavoro

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File: CU0065.doc

 


INDICE

Schede di lettura

§      Art. 1 (Principi generali)3

§      Art. 2 (Introduzione dell’articolo 65-bis  del testo unico di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, in materia di tutela delle atlete in maternità)9

§      Art. 3 (Copertura finanziaria)15

§      D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151. Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell'articolo 15 della L. 8 marzo 2000, n. 53  29

Normativa comunitaria

§      Risoluzione 5 giugno 2003. Risoluzione del Parlamento europeo su "donne e sport" (2002/2280(INI))79

 

 


SIWEB

Schede di lettura

 


Art. 1
(Principi generali)

Il comma 1 affida allo Stato la tutela delle pari opportunità nella pratica sportiva, il riconoscimento della parità di valore allo sport praticato dai due sessi, la promozione di azioni finalizzate al superamento delle diversità e delle difficoltà presenti nello sport femminile.

Al riguardo, la relazione illustrativa evidenzia che scopo precipuo della proposta è quello di estendere alle atlete che praticano attività sportiva agonistica a livello dilettantistico la normativa in materia di tutela della maternità prevista dal d.lgs. n. 151 del 2001 (si veda infra, commento all’art. 2) e spiega che, attualmente, la legge n. 91 del 1981 riconosce la tutela sanitaria, previdenziale e antinfortunistica solo agli atleti che praticano gli sport qualificati come professionisti. Evidenzia, inoltre, il fatto che può accadere che, all’interno della singola disciplina sportiva, gli atleti siano qualificati come professionisti, mentre le atlete siano considerate dilettanti.

 

Di seguito si opera una breve ricostruzione normativa relativa allo sport professionistico e dilettantistico, alla qualificazione agonistica, e alla promozione delle pari opportunità.

Con riferimento al primo aspetto, si ricorda che la legge n. 91 del 1981[1] stabilisce che l’esercizio dell’attività sportiva, sia svolta in forma individuale o collettiva, sia in forma professionistica o dilettantistica, è libero. Prevede, quindi, che sono sportivi professionisti gli atleti, gli allenatori, i direttori tecnico-sportivi e i preparatori atletici che esercitano l’attività sportiva a titolo oneroso con carattere di continuità nell’ambito delle discipline regolamentate dal CONI e che conseguono la qualificazione dalle Federazioni sportive nazionali, secondo le norme emanate dalle Federazioni stesse, con l’osservanza delle direttive stabilite dal CONI per la distinzione dell’attività dilettantistica da quella professionistica[2].

I criteri per la distinzione dell’attività sportiva dilettantistica da quella professionistica sono stati adottati con deliberazione del Consiglio nazionale del CONI n. 469 del 2 marzo 1988. La delibera evidenzia che è attività sportiva professionistica quella definita o inquadrata come tale nelle norme statutarie delle Federazioni sportive nazionali, approvate dal CONI, in armonia con l’ordinamento delle rispettive Federazioni sportive internazionali. Sancisce, quindi, che, su tale base, l’attività professionistica è svolta nella Federazione ciclistica italiana, nella Federazione italiana golf, nella Federazione italiana gioco calcio, nella Federazione motociclistica italiana e nella Federazione pugilistica italiana. A tali Federazioni, con deliberazione del Consiglio nazionale del CONI n. 707 del 27 luglio 1994, è stata aggiunta la Federazione italiana pallacanestro.

Nelle restanti Federazioni riconosciute dal CONI – che, allo stato, sono 45[3] – non si svolge, quindi, attività professionistica.

 

Con riferimento al secondo aspetto, si ricorda che, ai sensi dell’art. 1, secondo comma, del DM 18 febbraio 1982[4], la qualificazione agonistica a chi svolge attività sportiva è demandata alle Federazioni sportive nazionali o agli enti sportivi riconosciuti.

 

Per quanto concerne il terzo aspetto, merita ricordare, anzitutto, che, al punto 29 dell’allegato 2 della deliberazione CONI n. 1352 del 28 febbraio 2007[5], è previsto che gli statuti delle Federazioni sportive nazionali e delle Discipline sportive associate devono garantire la tutela della posizione sportiva delle atlete madri in attività per tutto il periodo della maternità fino al loro rientro all’attività agonistica.

In ambito europeo, si ricorda, sul settore specifico, l’adozione da parte del Parlamento europeo della risoluzione 5 giugno 2003 su “donne e sport” (2002/2280(INI) che – preliminarmente rappresentando alla Convenzione europea la necessità di istituire una base giuridica per lo sport nel futuro trattato dell’Unione[6] - chiede agli Stati membri e all’Unione europea di assicurare alle donne e agli uomini pari condizioni di accesso alla pratica sportiva, chiede alla Commissione di sostenere la promozione dello sport femminile nei programmi e nelle azioni comunitarie e propone di inserire nella strategia quadro comunitaria in materia di parità fra donne e uomini 2006-2010 un obiettivo operativo dedicato alla partecipazione delle donne alla pratica sportiva.

La risoluzione sollecita, inoltre, gli Stati membri e il movimento sportivo a sopprimere la distinzione fra pratiche maschili e femminili nelle procedure di riconoscimento delle discipline di alto livello; alle federazioni nazionali, chiede di garantire gli stessi diritti in termini di reddito, di condizioni di supporto e allenamento, di accesso alle competizioni, di protezione sociale e di formazione professionale, nonché di reinserimento sociale attivo al termine delle carriere sportive. Infine, agli Stati membri e alle autorità di tutela la risoluzione chiede di condizionare la propria autorizzazione e il sovvenzionamento delle associazioni sportive a disposizioni statutarie che garantiscano una rappresentanza equilibrata delle donne e degli uomini a tutti i livelli e per tutte le cariche decisionali.

Le esortazioni enunciate sono state riprese anche nella relazione del Parlamento europeo sul ruolo dello sport nell’educazione 2007/2086(INI) che, in particolare, invita Eurostat ad elaborare indicatori e a raccogliere migliori statistiche qualitative sulla partecipazione maschile e femminile allo sport a tutti i livelli e insiste sulla necessità di assicurare parità di accesso e di partecipazione di donne e uomini a tutti i livelli, funzioni e settori dello sport, nonché alla formazione e al proseguimento di una carriera nello sport.

Nell’ordinamento italiano, si ricorda che la competenza statale in materia di pari opportunità nei rapporti di lavoro e di azioni positive è stata attribuita al Presidente del Consiglio dei Ministri con d.l. n. 181 del 2006[7]. Con DPCM 15 giugno 2006 e, poi, con DPCM 13 giugno 2008, tali funzioni sono state, quindi, delegate al Ministro per le pari opportunità. In particolare, il Ministro è stato delegato ad esercitare le funzioni di programmazione, indirizzo e coordinamento di tutte le iniziative, anche normative, nonché ogni altra funzione attribuita dalle vigenti disposizioni al Presidente del Consiglio dei Ministri nelle materie concernenti la promozione dei diritti della persona, delle pari opportunità e della parità di trattamento, nonché la prevenzione e rimozione di ogni forma e causa di discriminazione.

Si ricorda, altresì, che, in attuazione dell’art. 6 della legge n. 245 del 2006[8], con d.lgs.  11 aprile 2006, n.198 è stato adottato il Codice delle pari opportunità, entrato in vigore il 15 giugno 2006, che raccoglie in un unico testo le disposizioni previgenti[9].

 

Il comma 2 prevede che le regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano, le province e i comuni, d’intesa con il CONI, con le Federazioni sportive nazionali, con gli enti di promozione e con le associazioni sportive, istituiscono una rete di supporto allo sport femminile con l’obiettivo di aiutare le atlete a conciliare lo sport con la maternità e con il tempo da dedicare alla famiglia.

 

Le Federazioni sportive nazionali e le discipline sportive associate (art. 15 del D.Lgs. 242/1999[10], come modificato dall’art. 1 del D.Lgs. 8/2004[11]) hanno natura di associazione con personalità giuridica di diritto privato[12]. Esse svolgono l'attività sportiva in armonia con le deliberazioni delle Federazioni internazionali e del CONI; non perseguono fini di lucro e sono soggette, per quanto non espressamente previsto dal decreto citato, alla disciplina recata dal primo libro del codice civile e dalle relative disposizioni di attuazione. A fini sportive, esse sono riconosciute dal Consiglio nazionale.

Gli enti di promozione sportiva sono organizzazioni polisportive d’importanza nazionale che svolgono attività di diffusione e promozione dello sport: la qualifica viene riconosciuta dal CONI (art. 32, c. 2, del D.P.R. n. 157/1986[13]) e ne consegue l’attribuzione di contributi[14].

Altro tipo di associazioni sportive sono le associazioni sportive dilettantistiche. La relativa disciplina è recata dall’articolo 90 della legge n. 289 del 2002[15], il cui comma 17 – come successivamente modificato dall’art. 4 del dl n. 72 del 2004[16] - specifica che esse possono assumere una delle seguenti forme: associazione sportiva priva di personalità giuridica disciplinata dagli articoli 36 e seguenti del codice civile; associazione sportiva con personalità giuridica di diritto privato ai sensi del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 febbraio 2000, n. 361[17]; società sportiva di capitali o cooperativa costituita secondo le disposizioni vigenti, ad eccezione di quelle che prevedono le finalità di lucro. Il medesimo articolo reca, inoltre, prescrizioni relative ai contenuti dello statuto delle società ed alla compatibilità delle cariche.

 

Alla luce della ricognizione normativa sopra riportata, potrebbe essere opportuno chiarire se con l’espressione “associazioni sportive” si intenda fare riferimento anche alle associazioni sportive dilettantistiche e alle discipline sportive associate.

 

Può essere opportuno evidenziare che una dichiarazione di impegno formale a promuovere l’attivazione di una rete fra referenti istituzionali e istituzioni dello sport, al fine di favorire l’adozione dei provvedimenti e delle iniziative che migliorino l’attenzione alle politiche di genere, con particolare riferimento al sostegno della maternità e alla conciliazione fra tempi di vita e attività sportiva, è stata adottata il 24 gennaio 2007 dalla provincia di Torino, unitamente alla regione Piemonte e al Comune di Torino[18], in occasione delle Universiadi 2007 e del 2007 Anno europeo per le pari opportunità.

 

 


Art. 2
(Introduzione dell’articolo 65-bis  del testo unico di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, in materia di tutela delle atlete in maternità)

L'articolo 2 introduce l’articolo 65-bis al Testo unico di cui al D.lgs. 151 del 2001[19], volto aprevedere una speciale forma di tutela della maternità delle atlete che esercitano attività sportiva in forma esclusiva ma non professionistica.

Con la norma proposta si dispone che alle atlete che esercitano attività sportiva dilettantistica a livello agonistico in ambito nazionale o internazionale da almeno un anno sia corrisposta un'indennità giornaliera di maternità, per gli otto mesi antecedenti la data del parto e per i quattro mesi successivi alla stessa.

 

Come si legge nella relazione illustrativa della proposta di legge, l’obiettivo perseguito è quello di ampliare il periodo nel corso del quale le atlete percepiscono l'indennità di maternità in virtù della particolarità della loro attività, dal momento che tale indennità verrebbe corrisposta alle atlete, di fatto, sin dall'inizio della gravidanza (onde non mettere a repentaglio la vita del bambino) e fino ai quattro mesi successivi al parto, al fine di consentire ad esse una piena ripresa prima di tornare all’attività sportiva.

 

Si evidenzia l’opportunità di specificare se la suddetta normativa per le atlete che praticano attività sportiva agonistica dilettantistica in modo esclusivo sia da intendersi quale disciplina speciale rispetto a quella applicabile, alla medesime atlete, in qualità di titolari di un rapporto di lavoro dipendente (e, in particolare, in quanto appartenenti a corpi militari  o assimilati).

 

 

L’indennità di maternità

La funzione propria del trattamento economico della maternità, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale[20], è quella di tenere indenne la lavoratrice – sia pure in maniera non completa – dalla perdita di reddito che altrimenti subirebbe a causa dell’astensione dal lavoro per gravidanza e puerperio.

In altre parole, sulla base dei riferimenti di cui agli articoli 37, comma 1, e 3, comma 2, della Costituzione, nell’opinione della Corte l’istituto è volto a rifondere la donna del lucro cessante determinato dall’astensione dal lavoro per la gravidanza e il puerperio, garantendole la libera scelta della maternità senza condizionamenti di carattere economico. Peraltro, con tale indennità si salvaguarda l’essenziale funzione familiare della donna e si rendono compatibili le esigenze di madre con quelle di lavoratrice.

In tal modo, l’indennità di maternità è volta, da un lato, ad assicurare alla donna il diritto di scegliere liberamente di essere madre e dall’altro di avere la possibilità di vivere la gravidanza senza una radicale riduzione del tenore di vita che il lavoro le ha consentito di raggiungere. Si evita così che alla maternità si ricolleghi uno stato di bisogno economico pregiudizievole per il benessere della donna e del bambino, dal momento che il valore della maternità non può subire condizionamenti, specialmente di ordine economico.

La stessa finalità viene perseguita anche nelle ipotesi in cui l’indennità viene riconosciuta, ai sensi dell’articolo 24 del D.lgs. 151/2001, in mancanza di un rapporto di lavoro in atto al momento in cui inizia il periodo di congedo di maternità. In tali casi, l’indennità di maternità non assume carattere di mero sussidio o premio alla maternità, ma serve a indennizzare la lavoratrice per la perdita della retribuzione ricavabile dal lavoro che potrebbe svolgere se non fosse impedita dalla maternità.

 

La tutela legale inderogabile

In caso di gravidanza, l’articolo 2110, comma 1, del codice civile, attribuisce alla lavoratrice dipendente il diritto a percepire la retribuzione o un’indennità equivalente. Nel settore privato tale indennità economica è a carico dell’INPS e il suo importo è stabilito dalla legge[21]. Per le dipendenti, anche a tempo determinato, delle amministrazioni pubbliche e degli altri enti pubblici, le indennità previste dal D.lgs.151/2001 corrispondono ai trattamenti economici previsti dai relativi contratti.

I trattamenti economici, sia nel settore pubblico che in quello privato, non possono essere inferiori alle indennità stabilite dalla legge, integrabili dalla contrattazione collettiva o da norme legislative solo qualora prevedano condizioni di migliore favore.

Le indennità a carico dell’INPS sono erogate con le modalità di cui all’articolo 1 del D.L. 663/1979[22] e con i criteri previsti per la corresponsione dell’indennità di malattia da parte dell’ente previdenziale presso il quale la lavoratrice o il lavoratore sono assicurati.

 

Il quadro di riferimento relativo alle lavoratrici dipendenti aventi diritto ai vari trattamenti di maternità a carico dell’INPS è il seguente.

Hanno diritto all’indennità giornaliera di maternità spettante per i periodi di congedo di maternità[23]:

·         tutte le lavoratrici alle dipendenze dei privati datori di lavoro, nonché le mezzadre e le colone e le dipendenti da società cooperative anche se loro socie; tra le categorie assimilate va ricompresa quella delle dipendenti delle Amministrazioni dello Stato con contratto di diritto privato;

·         le detenute e le internate che lavorano, le quali hanno diritto a fruire di tale indennità secondo le norme in vigore per il settore e categoria di appartenenza;

·         le lavoratrici a domicilio, sia per il congedo di maternità, sia per il periodo di interdizione dal lavoro disposto dal servizio ispettivo;

·         le lavoratrici addette ai servizi domestici e familiari, in presenza dei requisiti contributivi previsti dalla legge per il periodo di congedo anche quando sia anticipato dal provvedimento del servizio ispettivo;

·         le lavoratrici italiane operanti all’estero in paesi extracomunitari, con i quali non siano in vigore accordi di sicurezza sociale, alle dipendenze di società italiane con sedi nel territorio nazionale; non hanno diritto all’indennità a carico dell’INPS le lavoratrici volontarie in servizio civile in paesi in via di sviluppo;

·         le lavoratrici straniere non comunitarie con regolare permesso di soggiorno, le quali hanno parità di trattamento e piena uguaglianza di diritti rispetto alle lavoratrici italiane.

 

Hanno diritto all’indennità economicaa carico dell’INPSper il periodo di congedo parentale di cui al capo V del D.lgs. 151/2001(artt. da 32 a 38)le lavoratrici sopra indicate, mentre per quelle addette ai servizi domestici e a domicilio, nonché le mezzadre e le colone, vi sono norme apposite[24]. Si ricorda che con l’istituto del congedo parentale viene riconosciuta una astensione facoltativa della lavoratrice o del lavoratore a sospendere unilateralmente la prestazione di lavoro, esercitabile da parte delle lavoratrici vincolate da un rapporto di lavoro pienamente produttivo degli effetti suoi propri[25].

 

Le lavoratrici sopra indicate (escluse quelle addette ai servizi domestici e familiari e quelle a domicilio) hanno inoltre diritto al trattamento economico per i riposi giornalieri di cui al capo VI del D.lgs. 151/2001 (artt. da 39 a 46).

 

Si fa presente, infine, che già la legge 104/2006[26] ha esteso la tutela previdenziale relativa alla maternità prevista dal D.lgs. 151/2001 alle lavoratrici e ai lavoratori appartenenti alla categoria dei dirigenti che prestano la loro opera alle dipendenze di datori di lavoro privati.

 

Il comma 2 dell’articolo 65-bis prevede che l’indennità di maternità sia corrisposta secondo le modalità stabilite per le lavoratrici autonome dal capo XI del D.lgs. 151/2001.

 

Al capo XI del D.lgs. 151/2001 sono disciplinate la modalità di corresponsione dell’indennità di maternità. Essa viene erogata dall’INPS su domanda corredata da certificato medico rilasciato dalla ASL locale competente per territorio, attestante la data di inizio della gravidanza e quella presunta del parto ovvero dell'interruzione della gravidanza spontanea o volontaria ai sensi della legge 194/1978[27].

L'indennità giornaliera è disciplinata dall’articolo 68, ove è determinata, per i due mesi antecedenti la data del parto e per i tre mesi successivi alla stessa, nella seguente misura:

·         per le lavoratrici autonome, artigiane ed esercenti attività commerciali, nell’80 per cento del salario minimo giornaliero stabilito dall’articolo 1 del D.L. 402/1981[28], nella misura risultante per la qualifica di impiegato dalla tabella A;

·         per le coltivatrici dirette, colone e mezzadre e per le imprenditrici agricole, nell’80 per cento della retribuzione minima giornaliera per gli operai agricoli a tempo indeterminato, come previsto dall’articolo 14, comma 7, del D.L. 791/1981[29];

·         nei casi di interruzione della gravidanza, spontanea o volontaria, l’indennità giornaliera viene corrisposta per un periodo di trenta giorni[30].

 

Per le libere professioniste l’articolo 70 del D.lgs. 151/2001 prevede la corresponsione dell’indennità di maternità per i due mesi antecedenti la data del parto e i tre mesi successivi alla stessa. La misura dell’indennità è pari all’80 per cento di cinque dodicesimi del reddito percepito dalla libera professionista nel secondo anno precedente a quello dell'evento. In ogni caso, tale indennità è contenuta entro dei minimi e dei massimi riferiti ai redditi della qualifica di impiegato. L’indennità è corrisposta dall’ente che gestisce forme obbligatorie di previdenza in favore dei liberi professionisti su domanda dell’interessata a partire dal sesto mese di gravidanza.

L’indennità di maternità spetta anche nei casi di adozione o affidamento, a condizione che il bambino non abbia superato i sei anni di età.

 


Art. 3
(Copertura finanziaria)

 

L'articolo 3 reca la copertura finanziaria degli oneri, valutati in 5 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2008. A tal fine, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2008-2010, nell'ambito del fondo speciale di parte corrente dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2008, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al medesimo Ministero. Conseguentemente il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

 

Nella relazione illustrativa allegata al provvedimento si legge che la copertura è posta a carico dello Stato in quanto l’intervento normativo ha valenza sociale perché contiene misure a sostegno della natalità, ma anche perché rientrante nelle azioni positive che consentono di allineare l'Italia a quanto richiesto dall'Unione europea in materia di conciliazione dei tempi di lavoro con quelli della famiglia.

 

Si segnala che la norma di copertura deve essere aggiornata in modo da far decorrere il finanziamento delle spese dall’anno 2009, facendo, altresì, riferimento al Fondo speciale di parte corrente del MEF iscritto nel bilancio triennale 2009-2011.

 

 




[1]    Legge 23 marzo 1981, n. 91, Norme in materia di rapporti fra società e sportivi professionisti.

[2]    L’art. 3, primo comma, della legge prevede, quindi, che la prestazione a titolo oneroso costituisce oggetto di contratto di lavoro subordinato. Se, tuttavia, ricorre uno dei requisiti previsti dal secondo comma, si è in presenza di un contratto di lavoro autonomo.

[3]    L’elenco è disponibile alla pagina http://coni.it/index.php?id=91.

[4]    DM 18 febbraio 1982, Norme per la tutela sanitaria dell'attività sportiva agonistica.

[5]    Principi fondamentali degli statuti delle Federazioni sportive nazionali, delle Discipline sportive associate e delle Associazioni benemerite.

[6]    La base giuridica è stata introdotta dal Trattato di Lisbona, firmato il 13 dicembre 2007, che entrerà in vigore al completamento del processo di ratifica da parte di tutti gli Stati membri. Il Trattato attribuisce all’Unione la competenza a svolgere azioni intese a sostenere, coordinare o completare l’azione degli Stati membri, senza, quindi, sostituirsi alla loro competenza.

[7]    Decreto legge 18 maggio 2006, n. 181, Disposizioni urgenti in materia di riordino delle attribuzioni della Presidenza del Consiglio dei Ministri e dei Ministeri, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, L. 17 luglio 2006, n. 233. Precedentemente, la competenza faceva capo al Ministro del lavoro e delle politiche sociali e, per quanto riguarda l’imprenditoria femminile, al Ministro delle attività produttive.

[8]    Legge 28 novembre 2005, n. 246, Semplificazione e riassetto normativo per l'anno 2005.

[9]  Il Codice si articola in 4 libri, dei quali il primo contiene disposizioni generali per la promozione delle pari opportunità tra uomo e donna, il secondo concerne le pari opportunità nei rapporti etico – sociali, il terzo le pari opportunità nei rapporti economici, il quarto le pari opportunità nei rapporti civili e politici.

[10]   Decreto legislativo 23 luglio 1999, n. 242, Riordino del Comitato olimpico nazionale italiano - C.O.N.I., a norma dell'articolo 11 della L. 15 marzo 1997, n. 59.

[11]   Decreto legislativo 8 gennaio 2004, n. 15, Modifiche ed integrazioni al D.Lgs. 23 luglio 1999, n. 242, recante «Riordino del Comitato olimpico nazionale italiano - CONI», ai sensi dell'articolo 1 della L. 6 luglio 2002, n. 137.

[12]   Le discipline sportive associate sono strutturate come le Federazioni ma, diversamente da queste, preposte al governo ed all’organizzazione di una determinata disciplina sportiva non olimpica.

[13]   D.P.R. 28 marzo 1986, n. 157, Nuove norme di attuazione della legge 16 febbraio 1942, n. 426, recante costituzione e ordinamento del Comitato olimpico nazionale italiano (C.O.N.I.).

[14]   L’art. 16-bis del già citato d.lgs. 23 luglio 1999, n. 242, aggiunto dall’art. 1, c. 25, del già citato d.lgs. 8 gennaio 2004, n. 15, prevede che gli enti di promozione sportiva sono tenuti a presentare ogni anno alla Giunta Nazionale il bilancio di previsione ed il conto consuntivo, nonché una relazione documentata in ordine all'utilizzazione dei contributi ricevuti dal CONI, da tenere in considerazione per l'assegnazione relativa agli esercizi successivi. Qualora  la Giunta nazionale riscontri irregolarità relative all'utilizzazione dei finanziamenti per attività o spese non attinenti alle finalità degli enti, adotta i provvedimenti necessari e può proporre al Consiglio nazionale la sospensione o la riduzione dei contributi e, nei casi più gravi, la revoca del riconoscimento sportivo.

[15]   L. 27 dicembre 2002, n. 289, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2003).

[16]   Decreto legge 22 marzo 2004, n. 72, Interventi per contrastare la diffusione telematica abusiva di opere dell'ingegno, nonché a sostegno delle attività cinematografiche e dello spettacolo, convertito in legge, con modificazioni, dall'art.1, L. 21 maggio 2004, n. 128.

[17]   D.P.R. 10 febbraio 2000, n. 361, Regolamento recante norme per la semplificazione dei procedimenti di riconoscimento di persone giuridiche private e di approvazione delle modifiche dell'atto costitutivo e dello statuto (n. 17 dell'allegato 1 della L. 15 marzo 1997, n. 59).

[18]   Il testo della dichiarazione di impegno è disponibile all’indirizzo http://www.consiglieraparitatorino.it/documents/Impegno-firme.pdf.

[19]   D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151, Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell'articolo 15 della L. 8 marzo 2000, n. 53”.

[20]   Corte Costituzionale, sent. n. 132 del 18 marzo 1991. Allo stesso modo la Corte di Cassazione, sez. lavoro, sent. 21218 del 5 novembre 2004.

[21]   In tal senso gli artt. 22, 29 e 43, comma 1, del D.lgs. 151/2001. Spesso la contrattazione collettiva prevede, a carico del datore di lavoro, un’integrazione, avente natura retributiva a tutti gli effetti, dell’indennità economica previdenziale.

[22]   D.L. 30 dicembre 1979, n. 663, “Finanziamento del Servizio sanitario nazionale nonché proroga dei contratti stipulati dalle pubbliche amministrazioni in base alla L. 1° giugno 1977, n. 285, sulla occupazione giovanile”, convertito in legge, con modificazioni, con l’articolo 1, L. 29 febbraio 19809, n. 33.

[23]   Si fa presente che il trattamento economico del congedo di paternità è lo stesso riconosciuto alla madre per il congedo di maternità.

[24]   In tale senso, nel D.lgs. 151/2001 all’articolo 61 vi è la norma riguardante le lavoratrici a domicilio e all’articolo 62 vi è quella concernente le lavoratrici addette ai servizi domestici. Per le mezzadre e le colone si applica invece l’articolo 66.

[25]   Pertanto, tale diritto non può essere esercitato dalle lavoratrici sospese a zero ore e dalle disoccupate ovvero impossibilitate per altro motivo a prestare attività di lavoro.

[26]   L. 24 febbraio 2006, n. 104, “Modifica della disciplina normativa relativa alla tutela della maternità delle donne dirigenti”.

[27]   L. 22 maggio 1978, n. 194, “Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza”.

[28]   D.L. 29 luglio 1981, n. 402, “Contenimento della spesa previdenziale e adeguamento delle contribuzioni”, convertito in legge, con modificazioni, con L. 26 settembre 1981, n. 537.

[29]   D.L. 22 dicembre 1981, n. 791, “Disposizioni in materia previdenziale”, convertito in legge, con modificazioni, con L. 26 febbraio 1982, n. 54.

[30]   Nei casi previsti dagli articoli 4, 5 e 6 della legge 194/1978.