Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento cultura
Titolo: Autogoverno delle istituzioni scolastiche, scelta educativa delle famiglie, stato giuridico dei docenti - A.C. 953
Riferimenti:
AC N. 953/XVI     
Serie: Progetti di legge    Numero: 18
Data: 01/07/2008
Descrittori:
AUTONOMIA AMMINISTRATIVA PATRIMONIALE E CONTABILE   FORMAZIONE PROFESSIONALE
INSEGNANTI   SCUOLA
SVILUPPO DI CARRIERA     
Organi della Camera: VII-Cultura, scienza e istruzione


Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

SERVIZIO STUDI

 

Progetti di legge

Autogoverno delle istituzioni scolastiche, scelta educativa delle famiglie, stato giuridico dei docenti

A.C. 953

Schede di lettura

 

 

 

 

n. 18

 

 

1 luglio 2008

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il presente dossier è stato redatto in collaborazione con i dipartimenti Giustizia e Lavoro.

 

 

 

 

Dipartimento Cultura

 

SIWEB

 

I dossier dei servizi e degli uffici della Camera sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.

 

 

File: CU0012

 

 


INDICE

Schede di lettura

CAPO I – Governo delle Istituzioni Scolastiche  3

§      Qualificazione delle norme e ambito di applicazione (art. 1, commi 1 e 7)3

§      Principi generali (art. 1, commi 2- 6)5

§      Gli organi delle istituzioni scolastiche (artt. 3, 4, 5, 6, 7, 8 e 10)6

§      Partecipazione e diritti degli studenti e delle famiglie (art. 9)12

§      Trasformazione delle istituzioni scolastiche in fondazioni (art. 2)13

CAPO II – Autonomia finanziaria delle istituzioni scolastiche e liberta’ di scelta educativa delle famiglie  19

§      Decentralizzazione (art. 11)19

CAPO III – Stato giuridico, modalita’ di formazione iniziale e reclutamento dei docenti23

§      Formazione iniziale, reclutamento, carriera e valutazione dei docenti (artt.12, 13, 15, 16, 17)23

§      Vicedirigenza delle istituzioni scolastiche (art. 18)35

§      Albo regionale, associazioni professionali, organismi tecnici rappresentativi (artt. 14, 19-21 )37

§      Contrattazione, area contrattuale autonoma e rappresentanza regionale sindacale unitaria d’area (art. 22)40

 


Schede di lettura

 


CAPO I – Governo delle Istituzioni Scolastiche

Il Capo I (artt. 1-10) disciplina il governo delle istituzioni scolastiche.

 

Di seguito, si forniscono le linee di lettura, nell’ordine, degli articoli:

·         1, commi 1 e 7 (qualificazione delle norme e ambito di applicazione);

·         1, commi da 2 a 6 (principi generali);

·         da 3 a 8 e 10 (organi delle istituzioni scolastiche);

·         9 (partecipazione e diritti degli studenti e delle famiglie);

·         2 (trasformazione delle istituzioni scolastiche in fondazioni).

Qualificazione delle norme e ambito di applicazione (art. 1, commi 1 e 7)

L’articolo 1, c. 1, della proposta di legge in commento precisa che le disposizioni da essa recate costituiscono “norme generali sull’istruzione” ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lett. n), della Costituzione.

 

Come è noto, tale disposizione costituzionale rimette le “norme generali sull’istruzione” alla competenza legislativa esclusiva dello Stato (per una sintesi sui criteri di riparto della potestà legislativa nel settore dell’istruzione, si veda il paragrafo relativo al Capo II).

La Corte costituzionale, nella sentenza n. 279 del 2005, ha precisato che «le norme generali in materia di istruzione sono quelle sorrette, in relazione al loro contenuto, da esigenze unitarie e, quindi, applicabili indistintamente al di là dell’ambito propriamente regionale». In tal senso, le norme generali si differenziano anche dai “principi fondamentali”, i quali, «pur sorretti da esigenze unitarie, non esauriscono in se stessi la loro operatività, ma informano, diversamente dalle prime, altre norme, più o meno numerose». In tale prospettiva, la Corte ha considerato espressione della potestà legislativa esclusiva dello Stato: l’indicazione delle finalità di ciascun ordine di scuola; la determinazione dei livelli minimi di monte-ore di insegnamento validi per l’intero territorio nazionale; la scelta della tipologia contrattuale da utilizzare per gli incarichi di insegnamento facoltativo da affidare agli esperti e l’individuazione dei titoli richiesti ai medesimi esperti; la fissazione dell’età minima di accesso alle scuole; la definizione dei compiti e dell’impegno orario del personale docente, dipendente dallo Stato (in questo caso, però, si tratta di questioni che rientrano nella materia “ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato”), nonché la definizione degli standard minimi formativi, richiesti per la spendibilità dei titoli professionali (materia che viene ricondotta alla “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”).

 

Quanto all’ambito di applicazione delle norme della proposta di legge, il comma 7 include, oltre alle scuole statali, le istituzioni educative e le scuole paritarie.

 

Ai sensi della legge n. 62/2000[1], le scuole private e quelle degli enti locali sono, a domanda, riconosciute come scuole paritarie ed abilitate al rilascio di titoli di studio aventi valore legale a condizione che:

•      adottino un progetto educativo in armonia con i princìpi della Costituzione e con gli ordinamenti e le disposizioni vigenti;

•      accolgano chiunque, accettando il progetto educativo, richieda di iscriversi, compresi gli alunni con handicap o in condizioni di svantaggio;

•      abbiano bilanci pubblici, locali, arredi e attrezzature idonee, organi interni improntati alla partecipazione democratica, insegnanti forniti del titolo di abilitazione all'insegnamento e assunti nel rispetto dei contratti collettivi nazionali di lavoro;

•      si sottopongano alle valutazioni operate dal sistema nazionale di valutazione secondo gli standard stabiliti per le corrispondenti scuole statali.

La medesima legge ha, peraltro, configurato le scuole paritarie, private e degli enti locali, elementi costitutivi del sistema nazionale di istruzione, accanto alle scuole statali (art. 1, c. 1).

 

Per quanto concerne le istituzioni educative, si ricorda che esse sono costituite dai convitti nazionali e dagli educandati femminili dello Stato[2] per i quali l’art. 53, c. 2, del D.lgs. n. 297/2004[3] prevede l’istituzione con decreto del Ministro della pubblica istruzione, di concerto con i Ministri dell’interno e del tesoro.

Entrambi, ai sensi, rispettivamente, degli artt. 203 e 204 del citato decreto, hanno personalità giuridica pubblica e sono sottoposti alla tutela dei provveditori agli studi (le cui funzioni sono ora attribuite agli uffici scolastici regionali o provinciali)[4]. Lo scopo è quello di curare l’educazione e lo sviluppo intellettuale e fisico dei/delle giovani che vi sono accolti. La loro amministrazione è affidata ad un consiglio di amministrazione, nominato con decreto del Ministro dell’istruzione[5].

Al fine di razionalizzare la rete scolastica, il citato decreto prevede la graduale soppressione dei convitti nazionali e degli istituti di educazione femminile[6]: misura di recente confermata dall’art. 2, c. 642, della legge finanziaria per il 2008[7].

 

Tuttavia, con riferimento all’ambito di applicazione, il comma 7 sottolinea l’esigenza di tener conto delle specificità ordinamentali delle scuole paritarie e delle istituzioni educative. In particolare, per le  scuole paritarie, resta fermo che:

a)      la responsabilità amministrativa appartiene all’ente gestore, il cui rappresentante o persona da questo delegata presiede il consiglio di amministrazione;

b)      la responsabilità del gestore è disciplinata dalle norme del codice civile;

c)      si applica l’art. 1, c. 4, lett. c), della l. n. 62/2000, in base al quale le scuole paritarie devono assicurare l'istituzione e il funzionamento degli organi collegiali improntati alla partecipazione democratica.

 

Peraltro, alcune disposizioni della proposta di legge recano riferimenti anche alle istituzioni formative (cfr. articoli 17, 19 e 21).

Principi generali (art. 1, commi 2- 6)

Al governo delle istituzioni scolastiche è previsto che concorrano il dirigente scolastico, i docenti, i genitori, gli alunni, i rappresentanti degli enti locali ed eventualmente, su deliberazione delle singole istituzioni scolastiche, rappresentanti delle realtà culturali, sociali, produttive, professionali e dei servizi.

Le istituzioni scolastiche, nella loro autonomia (sulla quale si veda, ampiamente, il paragrafo relativo al Capo II):

·         costituiscono i propri organi di governo, e ne disciplinano il funzionamento;

·         costituiscono organi di partecipazione degli studenti e delle famiglie.

La relazione illustrativa precisa, al riguardo, che si intende rafforzare gli organi interni alle istituzioni scolastiche, utilizzare la partecipazione degli studenti e delle famiglie come efficace strumento di indirizzo e di controllo, e aprire la scuola all’apporto di esperti esterni e di altre risorse esterne già oggi competenti in ambiti che interessano la gestione della medesima scuola, quali l’orientamento, il diritto allo studio e l’handicap.

Oltre che concorrere alla definizione e realizzazione degli obiettivi educativi e formativi, che trovano compiuta espressione nel piano dell’offerta formativa (sul quale si veda la nota n. 11), agli organi di governo è affidata la valorizzazione:

·         della funzione educativa dei docenti;

·         del diritto di apprendimento e di partecipazione degli alunni alla vita della scuola;

·         della libertà di scelta dei genitori;

·         del patto educativo fra famiglie e docenti e fra istituzione scolastica e territorio.

Il principio fondante della riorganizzazione è la distinzione tra le funzioni di indirizzo e di programmazione (spettanti al consiglio di amministrazione e al collegio dei docenti) e quelle di gestione e coordinamento (spettanti al dirigente scolastico).

Gli organi delle istituzioni scolastiche (artt. 3, 4, 5, 6, 7, 8 e 10)

Gli organi sono così individuati (art. 3):

·         Dirigente scolastico;

·         Consiglio di amministrazione;

·         Collegio dei docenti;

·         Organi di valutazione collegiale degli alunni;

·         Nucleo di valutazione.

 

L’istituzione degli organi collegiali della scuola risale al D.P.R. n. 416/1974[8] che, al fine di dare alla scuola il carattere di una comunità interagente con la comunità sociale e civica, prevedeva l’istituzione degli organi in questione a livello di circolo, di istituto, distrettuale, provinciale e nazionale.

Le disposizioni sugli organi collegiali costituti a livello di circolo[9] (nelle scuole materne ed elementari) e di istituto (nelle scuole secondarie) sono, poi, confluite negli articoli da 5 a 10 e da 26 a 50 del già citato D.Lgs. n. 297/1994. Sulle funzioni di alcuni degli organi collegiali sono, poi, intervenuti, in particolare, i regolamenti attuativi dell’art. 21 della legge n. 59/1997[10].

Essisi articolano come segue:

- il consiglio di intersezione (nelle scuole materne: ora, scuola dell’infanzia), di interclasse (nelle scuole elementari: ora, scuola primaria), e di classe (negli istituti di istruzione secondaria) (art. 5 D.lgs.) è composto dai docenti e da rappresentanti dei genitori  nonché, nelle scuole superiori, da rappresentanti degli studenti. A ciascuno di essi compete, tra gli altri, il compito di formulare al collegio dei docenti proposte in ordine all’azione educativa e didattica e quello di agevolare ed estendere i rapporti fra docenti, genitori ed alunni. Hanno, inoltre, il compito – in tal caso operando con la sola presenza dei docenti – di valutare gli alunni;

- il collegio dei docenti (art. 7 D.lgs.) èpresieduto dal direttore didattico o dal preside (ora: dirigente scolastico)ed è composto dal personale docente di ruolo e non di ruolo in servizio nel circolo o nell’istituto. Al collegio sono affidati, in particolare, la programmazione dell'azione educativa (che, a seguito delD.P.R. n. 275/1999, si sostanzia nella elaborazione del piano dell’offerta formativa[11]), e l’esercizio delle attribuzioni inerenti il funzionamento didattico dell'istituto;

- il consiglio di circolo o di istituto (art. 8 D.lgs.) è composto da rappresentanti del personale docente, del personale amministrativo, tecnico ed ausiliario, dei genitori e - nella scuola secondaria superiore - degli studenti, nonché dal direttore didattico o dal preside (ora: dirigente scolastico). Il consiglio elegge nel suo seno una giunta esecutiva che ha funzioni istruttorie nei confronti del consiglio medesimo e cura l’attuazione delle relative delibere. Attualmente, il consiglio delibera il documento contabile annuale[12] e dispone in ordine all'impiego dei mezzi finanziari per il funzionamento amministrativo e didattico; ha competenza in ordine all’adozione del Regolamento interno; determina gli indirizzi generaliper le attività della scuola e le scelte generali di gestione e amministrazione, sulla base dei quali il collegio dei docenti elabora il piano dell’offerta formativa; adotta il medesimo piano dell’offerta formativa[13].

Ai sensi dell’art. 4 del D.P.R. n. 567/1996[14], infine, il consiglio di istituto ha competenze relative alla predisposizione di iniziative complementari e integrative dell’iter formativo degli studenti[15].

 

Rispetto all’articolazione degli organi sopra descritta, la proposta in esame conferisce, anzitutto, esplicitamente il ruolo di organo al dirigente scolastico[16](art. 4).

 

Per quanto concerne le funzioni di tale nuovo organo, la proposta prevede che restino ferme le disposizioni legislative vigenti. Il riferimento esplicito è all’art. 25 del D.lgs n. 165/2001[17].

 

Si rappresenta l’opportunità di coordinare il comma 4 dell’art. 1, che prevede l’ invarianza delle funzioni del dirigente scolastico, con l’art. 4 in esame che, pur richiamando esplicitamente l’art. 25 del D.lgs. n. 165/2001, se ne differenzia in parte dal punto di vista terminologico[18].

 

Il Consiglio di amministrazione (artt. 5 e 6) appare, sostanzialmente, sostitutivo, per parte delle sue competenze, del Consiglio di circolo o di istituto di cui agli artt. 8-10 del D.lgs. n. 297/1994.

A differenza di quest’ultimo, non ha articolazioni interne e opera su proposta del dirigente scolastico. I suoi compiti attengono all’indirizzo generale dell’attività di istruzione scolastica.

In particolare, si conferma in capo al Consiglio di amministrazione  l’approvazione del piano dell’offerta formativa. Il Consiglio è, poi, chiamato a deliberare, oltre che il regolamento relativo al proprio funzionamento, il regolamento di istituto - che definisce i criteri per l’organizzazione e il funzionamento dell’istituzione scolastica, per la partecipazione degli studenti e delle famiglie all’attività della scuola e per la designazione dei responsabili dei servizi e dei progetti - e il programma annuale delle attività. Infine, al Consiglio spetta la nomina dei docenti esperti e dei membri esterni del nucleo di valutazione (sui quali, si veda infra).

 

Sarebbe opportuno chiarire:

·         in che cosa il programma annuale delle attività si differenzi dal piano dell’offerta formativa;

·         se al Consiglio di amministrazione faranno capo le attribuzioni relative alla deliberazione del documento contabile annuale di cui all’art. 2, c. 3, del citato DM n. 44/2001;

·         se le ulteriori attribuzioni dell’attuale consiglio di istituto o di circolo (nonché, per quanto riguarda i provvedimenti disciplinari a carico degli alunni, della giunta esecutiva), di cui all’art. 10 del D.lgs. n. 297/1994, faranno capo al consiglio di amministrazione.

 

La durata del consiglio di amministrazione, al pari di quella del consiglio di circolo o di istituto, è fissata in tre anni scolastici.

Nell’ipotesi che si verifichino persistenti e gravi irregolarità o vi sia impossibilità di funzionamento o continuata inattività del Consiglio, il dirigente dell’ufficio scolastico regionale provvede al suo scioglimento, nominando un commissario straordinario che resta in carica fino alla costituzione del nuovo consiglio.

 

Potrebbe essere opportuno chiarire con riferimento a quale rosa di soggetti viene operata questa nomina.

 

Per quanto concerne la composizione, si prescrive che nel consiglio di amministrazione sia assicurata la rappresentanza dei docenti, dei genitori e, negli istituti di istruzione secondaria di secondo grado, degli studenti, categorie già presenti nel consiglio di circolo o di istituto. Non è, invece, prevista la rappresentanza del personale amministrativo, tecnico ed ausiliario.

E’ altresì previsto – ed è un elemento di novità rispetto al consiglio di circolo o di istituto - che siano presenti rappresentanti dell’ente tenuto per legge alla fornitura dei locali della scuola ed esperti esterni scelti in ambito educativo, tecnico o gestionale.

Il numero dei membri del consiglio non deve essere superiore ad 11 - compreso il dirigente scolastico, che ne fa parte di diritto – indipendentemente, quindi, dalla popolazione scolastica.

Ne deriva la indiretta rimessione ai singoli regolamenti relativi al funzionamento della determinazione del numero esatto dei membri del consiglio in ogni singola istituzione scolastica e anche della ripartizione del numero complessivo fra le categorie[19].

 

Con riferimento agli esperti esterni scelti in ambito educativo, tecnico o gestionale, appare necessario chiarire meglio il riferimento al regolamento di istituto di cui all’articolo 5, comma 1, lettera d) – che, in realtà, cita “la designazione dei responsabili dei servizi e dei progetti” – e valutare se non sia opportuno indicare almeno alcuni principi generali ai quali ispirare questa scelta.

 

Il consiglio di amministrazione è presieduto dal dirigente scolastico[20]. La segreteria è, invece, affidata al direttore dei servizi generali e amministrativi.

 

Appare opportuno chiarire se il direttore dei servizi generali e amministrativi – al quale è precluso il diritto di voto solo per le delibere riguardanti il programma annuale delle attività – sia uno dei membri del consiglio di amministrazione.

 

Il collegio dei docenti (art. 7) è l’organo di indirizzo, programmazione, coordinamento e monitoraggio delle attività didattiche ed educative.

Trattasi di una formulazione che sembra includere, in termini riassuntivi, le specifiche attribuzioni disposte, in capo al collegio dei docenti, dall’art. 7 del D.lgs. n. 297/1994.

Viene evidenziato che il collegio procede, in particolare, alla elaborazione del piano dell’offerta formativa, che – ai sensi dell’art. 1, comma 5, della proposta - deve tenere conto delle prevalenti richieste delle famiglie e deve essere comprensivo delle diverse opzioni eventualmente espresse da singoli o da gruppi di insegnanti nell’ambito della libertà di insegnamento. A tale elaborazione il collegio dei docenti provvede all’inizio dell’anno scolastico.

 

Si rende opportuno chiarire come si raccordi la previsione temporale relativa al momento di elaborazione del piano dell’offerta formativa con la situazione normativa vigente, che prevede che il piano sia reso noto alle famiglie all’atto dell’iscrizione.

 

Il collegio si articola – e trattasi di un elemento di novità – in dipartimenti disciplinari, presieduti da un docente coordinatore, o in altri moduli organizzativi determinati dal medesimo collegio.

 

La norma prevede che le modalità organizzative del collegio siano recepite dal regolamento di istituto. Al riguardo, occorre considerare che il regolamento di istituto – di cui si prevede esclusivamente la possibilità di modifica decorsi sei mesi dal primo insediamento – fa capo al consiglio di amministrazione, che si rinnova ogni tre anni, mentre ogni anno il nuovo collegio dei docenti potrebbe determinare – per esplicita previsione della norma - moduli organizzativi nuovi.

 

Occorre, inoltre, precisare chi presiede il collegio nelle sedute collegiali e quali docenti ne fanno parte[21].

 

La valutazione degli alunni (art. 8), periodica e alla fine dell’anno, è affidata ai docenti in sede collegiale, secondo le modalità indicate dal regolamento di istituto.

 

Si osserva che la rubrica dell’articolo 8 utilizza il termine “organi”. Il testo dell’articolo, però, fa riferimento alla valutazione espressa dai docenti in sede collegiale, facendo con ciò stesso pensare – dal punto di vista testuale - alla sede del collegio dei docenti. Poiché, verosimilmente, non è questa l’intenzione, sarebbe opportuno esplicitare a quali docenti, in sede collegiale, fa capo la valutazione dei singoli alunni[22].

 

Per quanto concerne i Nuclei di valutazione del funzionamento dell’istituto (art. 10), la proposta prevede che ogni istituzione scolastica costituisca, anche in raccordo con i servizi di valutazione di competenza regionale, con il Servizio nazionale di valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione e  con l’INVALSI, un nucleo di valutazione dell’efficienza, dell’efficacia e della qualità complessive del servizio scolastico. Le valutazioni, da esprimere annualmente, sono assunte come parametro di riferimento per l’elaborazione del piano dell’offerta formativa e del programma annuale delle attività.

 

Il Servizio nazionale di valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione è stato istituito, ai fini del progressivo miglioramento e dell’armonizzazione della qualità del sistema educativo, con il d.lgs. n. 286 del 2004[23]. Suo scopo è quello di valutare l’efficacia e l’efficienza del sistema educativo, inquadrando la valutazione nel contesto internazionale. Il medesimo decreto prevede che al conseguimento dell’obiettivo concorrono, fra gli altri, le regioni in relazione ai propri ambiti di competenza.

L’INVALSI – Istituto nazionale di valutazione del sistema dell’istruzione – è stato istituito dal d.lgs n. 258 del 1999[24], quale trasformazione del Centro europeo dell’educazione. All’istituto sono attribuiti, fra gli altri compiti, lo studio delle cause dell’insuccesso e della dispersione scolastica; la conduzione di attività di valutazione sulla soddisfazione dell’utenza; la fornitura di supporto alle singole istituzioni scolastiche per la realizzazione di autonome iniziative di valutazione; l’assicurazione della partecipazione italiana a progetti di ricerca internazionale in campo valutativo. Alcune  disposizioni adottate nel corso della XV legislatura hanno attribuito all’INVALSI ulteriori compiti in materia di osservazione dei livelli di apprendimento e predisposizione delle prove degli esami conclusivi dei corsi di istruzione secondaria[25]; infine la legge finanziaria per il 2008 (L.244/2007, art. 1, c. 612-614) ha riordinato gli organi di gestione dell’Istituto ed ha esteso l’attività dell’ente alla formulazione di proposte e procedure per la valutazione dei dirigenti scolastici.

 

Del nucleo fanno parte docenti esperti (come definiti dall’art. 17, comma 2, della proposta) e non più di due membri esterni, il cui compenso è determinato dal regolamento di istituto.

Partecipazione e diritti degli studenti e delle famiglie (art. 9)

Agli studenti e alle famiglie, dei quali le istituzioni scolastiche devono valorizzare la partecipazione alle attività della scuola, è garantito l’esercizio dei diritti di riunione e di associazione.

Il regolamento di istituto può prevedere forme di partecipazione aggiuntive, sia per i genitori che per gli studenti, rispetto alla partecipazione al consiglio di amministrazione.

A questo fine, è previsto che la scuola regolamenti anche per i genitori l’esercizio del diritto di riunione, l’esercizio del diritto di associazione all’interno della scuola, l’esercizio del diritto di svolgere iniziative all’interno della scuola e di utilizzare i locali, previsti per gli studenti dall’articolo 2, commi 9 e 10, del D.P.R. n. 249/1998[26].

 

È opportuno chiarire se questa norma – che richiama previe disposizioni applicabili nelle scuole secondarie – debba applicarsi anche negli altri ordini di scuole.

 

Nell’ordinamento vigente, il diritto di assemblea dei genitori degli alunni delle scuole di ogni ordine e grado e degli studenti della scuola secondaria superiore è disciplinato negli artt. da 12 a 15 del D.lgs. n. 297/1994. In particolare, l’art. 13 prevede che i rappresentanti degli studenti nei consigli di classe possano esprimere un comitato studentesco di istituto che formula proposte direttamente al consiglio di istituto. L’art. 4 del D.P.R. n. 567/1996, come modificato dall'art. 5 del D.P.R. n. 105 del 2001[27], ha poi previsto che il comitato studentesco, integrato con i rappresentanti degli studenti nel consiglio di istituto e nella consulta provinciale (composta da due rappresentanti degli studenti per ciascun istituto ), formuli proposte ed esprima pareri su tutte le attività integrative e le iniziative complementari nelle istituzioni scolastiche.

Trasformazione delle istituzioni scolastiche in fondazioni (art. 2)

L’articolo 2 della proposta di legge in commento prevede la possibilità per tutte le istituzioni scolastiche di trasformarsi in fondazioni.

La relazione illustrativa cita, al riguardo, la recente esperienza maturata in Inghilterra.

 

La possibilità di trasformare le scuole in fondazioni è stata di recente ampiamente incentivata nel Regno Unito. In tale direzione, infatti, è stato promulgato (8 novembre 2006) l’Education and Inspection Act, con il quale il legislatore britannico ha inteso favorire una maggiore autonomia degli istituti scolastici, sottraendoli al controllo e ai poteri esercitati dalle autorità locali[28]. A tal fine, si prevede:

- la possibilità per tutte le scuole gestite dalle autorità locali competenti di trasformarsi da “community schools” in “trust schools, formando accordi con soggetti esterni e diversi dagli enti locali (università, associazioni di vario genere, comunità religiose, imprese, ecc.), i quali potranno nominare la maggioranza dei componenti degli organi direttivi degli istituti. Alla trasformazione segue un particolare regime di autonomia: tali scuole, infatti, diverranno proprietarie dei loro beni, potranno selezionare autonomamente il personale della scuola e stabilire i criteri di ammissione degli studenti, pur sempre nel rispetto della legge e restando soggette al controllo dell’ispettorato centrale nazionale (Office for Standards in Education-OFSTED), al pari delle altre scuole finanziate con fondi pubblici;

- la trasformazione del ruolo delle autorità locali, con passaggio da compiti di amministrazione e gestione diretta degli istituti a quelli di impulso e controllo del sistema scolastico nel suo insieme (from provider to commissioner). Agli enti locali spetterà, quindi, assicurare che vi sia la possibilità di una scelta effettiva, diversificata e di alto livello qualitativo, in modo da corrispondere al potenziale educativo di ciascuno degli studenti del territorio. In particolare, questi hanno il dovere di identificare ogni alunno della scuola dell’obbligo che non frequenti le lezioni e, inoltre, di rispondere alle rappresentanze di genitori del territorio che non siano soddisfatte del numero e della qualità delle scuole esistenti nella zona. Infine, spetta alle autorità locali nominare i c.d. School Improvement Partners (SIPs) per le scuole pubbliche[29], assumere le decisioni relative alla programmazione territoriale delle scuole, nonché promuovere azioni di sostegno per i giovani tra i 13 e i 19 anni.

- una attenzione particolare ai criteri di ammissione scelti dalle scuole che, al fine di evitare ogni forma di discriminazione basata sulla bravura e sullo status socio-economico degli studenti, devono agire in conformità ad un “Code on School Admissions”.

 

La pdl non disciplina nel dettaglio la trasformazione delle scuole in fondazioni, ma detta alcuni criteri generali e rinvia ad un regolamento governativo[30], da adottarsi su proposta del Ministro della pubblica istruzione (ora: dell’istruzione, dell’università e della ricerca), per la determinazione delle modalità di costituzione, nonché dei requisiti delle fondazioni stesse.

 

A tal proposito, si ricorda che, nell’ordinamento giuridico italiano, la fondazione è una figura giuridica soggettiva di diritto privato. L’istituto viene classicamente definito come «stabile organizzazione predisposta per la destinazione di un patrimonio ad un determinato scopo di pubblica utilità»[31].

Al pari delle associazioni, la fondazione rientra, dunque, nel novero delle organizzazioni collettive mediante le quali i privati perseguono scopi che superano la sfera individuale. Secondo la tradizionale ricostruzione della dottrina, a differenza delle società, fondazioni e associazioni si caratterizzano per l’assenza di uno scopo di lucro (distribuzione di utili). Tuttavia, per quanto concerne la fondazione, l’opinione dominante nella dottrina ne individua la peculiarità non tanto in questo criterio negativo, quanto, piuttosto, nel perseguimento di fini di rilevante interesse collettivo.

Una disciplina di carattere generale delle fondazioni (insieme con quella delle associazioni riconosciute) è contenuta nel Libro I del Codice civile (artt. 14-35). Le norme richiamate stabiliscono, innanzitutto, i requisiti dell’atto costitutivo e dello statuto della fondazione, con i quali il fondatore (soggetto privato o ente pubblico) enuncia un determinato scopo, predispone la struttura organizzativa che dovrà provvedere alla sua realizzazione e la fornisce dei mezzi patrimoniali necessari. Sono, inoltre, regolati i profili relativi alle responsabilità degli amministratori, al controllo dell’autorità governativa sull’amministrazione, all’estinzione e alla trasformazione della fondazione. La disciplina generale è completata dalle norme del D.P.R. 10 febbraio 2000, n. 361, con il quale è stato riformato il procedimento per l’acquisto della personalità giuridica ed il sistema dei controlli sulle persone giuridiche private[32].

Accanto al modello codicistico, occorre però sottolineare che, negli ultimi anni, il legislatore ha più volte fatto ricorso alla forma organizzativa della fondazione, dettando singole discipline settoriali per specifiche categorie di enti. Con riferimento ai più recenti e significativi interventi, si ricorda la normativa relativa alle fondazioni bancarie[33], quella relativa alle fondazioni lirico-sinfoniche[34] e, infine, quella relativa alle fondazioni universitarie[35].

Da ultimo, merita segnalare che il d.l. n. 112/2008[36] introduce la facoltà delle università di trasformarsi in fondazioni di diritto privato mediante delibera del Senato accademico, assunta a maggioranza assoluta e soggetta ad approvazione ministeriale (articolo 16). Il testo esplicita che le fondazioni universitarie sono enti non commerciali e che non è ammessa la distribuzione di utili, in qualsiasi forma.

Quanto agli spazi di libertà garantiti, il decreto legge riconosce in capo alle fondazioni autonomia gestionale, organizzativa e contabile. Lo statuto - che può prevedere l’ingresso nella fondazione di nuovi soggetti - e i regolamenti di amministrazione e di contabilità devono essere approvati con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze.

Le disposizioni richiamate stabiliscono il principio di continuità giuridica per le università che optino per la trasformazione, così come resta fermo il sistema di finanziamento pubblico, con la precisazione che l’entità dei finanziamenti privati di ciascuna fondazione costituirà elemento di valutazione, a fini perequativi.

La vigilanza sulle fondazioni universitarie spetta al Ministro dell’istruzione e dell’università, di concerto con il Ministro dell’economia (è prevista l’ipotesi di commissariamento), mentre alla Corte dei Conti è attribuito il controllo sulla gestione finanziaria.

 

In relazione alla trasformazione in fondazione, che verrebbe a modificare la natura giuridica ed il regime applicabile alle istituzioni scolastiche, è opportuno ricordare che, in base all’assetto normativo in vigore, le istituzioni scolastiche sono dotate, ai sensi dell’articolo 21 della già citata l. n. 59/1997, di autonomia didattica e di ricerca, nonché di autonomia organizzativa, amministrativa e finanziaria.

 

Più specificamente:

Ø       l’autonomia didattica si sostanzia nella scelta libera e programmata di metodologie, strumenti, organizzazione e tempi di insegnamento, e in ogni iniziativa che sia espressione di libertà progettuale, compresa l'eventuale offerta di insegnamenti opzionali, facoltativi o aggiuntivi (art. 21, c. 9); le istituzioni scolastiche hanno anche autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo nei limiti del proficuo esercizio dell'autonomia didattica e organizzativa;

Ø       l’autonomia organizzativa è finalizzata alla realizzazione della flessibilità e della diversificazione, da realizzare anche mediante il superamento dei vincoli in tema di unità oraria della lezione, di unitarietà del gruppo classe e in tema di impiego dei docenti;

Ø       con l’autonomia amministrativa si fa riferimento al trasferimento alle scuole delle funzioni, relative alla carriera scolastica e al rapporto con gli alunni, all'amministrazione e alla gestione del patrimonio e delle risorse e allo stato giuridico ed economico del personale, che non siano riservate all'amministrazione centrale e periferica[37]. In proposito, si ricorda che dalle attribuzioni delle istituzioni scolastiche è escluso il reclutamento del personale docente e non docente, che rientra nelle competenze del Ministero (art. 15, c. 1, D.P.R. 8 marzo 1999, n. 275);

Ø       l’autonomia finanziaria si sostanzia in autonomia di destinazione della dotazione ordinaria statale (l’unico vincolo è quello dell'utilizzazione prioritaria per lo svolgimento delle attività di istruzione) e autonomia di reperire risorse finanziarie aggiuntive, pubbliche e private, per l'attuazione di progetti promossi e finanziati con risorse a destinazione specifica[38].

Alle istituzioni scolastiche è, altresì, riconosciuta autonomia contabile[39], nonché il potere di stipulare convenzioni con altre istituzioni scolastiche, università, enti, associazioni o agenzie che intendano dare il loro apporto per la realizzazione di obiettivi specifici; esse possono, altresì, aderire a consorzi pubblici e privati per assolvere compiti istituzionali e per acquisire beni e servizi[40].

 

Il citato articolo 21 ha, inoltre, esteso a tutti gli istituti la personalità giuridica – fino a quel momento limitata agli istituti tecnici e professionali ed agli istituti d’arte (r.d. 15 giugno 1931, n. 889) – pur in presenza di alcuni requisiti[41]. Il riconoscimento della personalità giuridica rileva prevalentemente sotto il profilo gestionale; in tal modo, infatti, le scuole vengono a godere di una maggiore libertà nella gestione del patrimonio e nella stipulazione dei contratti, acquistano la capacità di diventare proprietari di beni, possono accettare direttamente lasciti e donazioni (operazioni in precedenza soggette ad autorizzazioni), nonché agire e resistere in giudizio.

 

Come esplicitato nel comma 1 dell’articolo in esame, le scuole costituite in fondazione possono operare in collaborazione con altri soggetti che ne sostengano l’attività, partecipino ai loro organi di governo e contribuiscano a raggiungere gli obiettivi indicati nel piano dell’offerta formativa.

La proposta detta, al riguardo, alcuni principi generali. In particolare:

a.      i soggetti partecipanti alla fondazione possono essere enti pubblici e privati, altre fondazioni, associazioni di genitori o cittadini, organizzazioni non profit;

b.      nello statuto delle istituzioni scolastiche trasformate in fondazioni deve essere previsto l’obbligo di rendere conto delle scelte organizzative e didattiche alle amministrazioni pubbliche competenti, nonché di informare ed orientare costantemente genitori e studenti.

Da ultimo, si prevede che le istituzioni trasformate adottino regolamenti interni, attraverso i quali definire le funzioni e gli strumenti di indirizzo, coordinamento e trasparenza dell’attività didattica e finanziaria.

 

Appare opportuno:

·         chiarire se agli istituti scolastici che scelgono la trasformazione in fondazioni si applichino le norme sugli organi di cui agli articoli 3 e seguenti della proposta in esame, oppure se la materia sarà disciplinata nei singoli statuti;

·         chiarire a quali autorità pubbliche le scuole costituite in fondazioni debbano rendere conto circa le scelte effettuate a livello organizzativo o didattico.

 


CAPO II – Autonomia finanziaria delle istituzioni scolastiche e liberta’ di scelta educativa delle famiglie

Decentralizzazione (art. 11)

Il Capo II consta di un solo articolo che prevede norme sul procedimento per l’individuazione ed il trasferimento delle risorse finanziarie, umane e strumentali dallo Stato alle regioni, necessarie all’esercizio delle funzioni e dei compiti conferiti a regioni ed enti locali nell’ambito del sistema educativo di istruzione e di formazione, ai sensi degli articoli 117 e 118 Cost.

 

In relazione ai richiamati articoli del testo costituzionale, si ricorda sinteticamente che il nuovo articolo 117, relativo ai criteri di riparto della potestà legislativa, prevede: a) un primo elenco di materie la cui disciplina è demandata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato (art. 117, secondo comma); b) un secondo elenco di materie – che la stessa norma costituzionale definisce “di legislazione concorrente” – in cui “spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei princìpi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato” (art. 117, terzo comma); c) una norma di chiusura, secondo cui la potestà legislativa su ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato spetta alle Regioni (competenza generale “residuale”: art. 117, quarto comma).

Nel settore dell’istruzione, il nuovo assetto costituzionale, da un lato, rimette alla competenza esclusiva statale la disciplina delle “norme generali sull’istruzione” (art. 117, secondo comma, lett. n)) e la “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” (lett. m)). Dall’altro, attribuisce la materia “istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale” alla competenza concorrente Stato-regioni (terzo comma). L’art. 116, terzo comma, prevede inoltre che ulteriori forme di autonomia in materia scolastica possano essere attribuite alle regioni con legge dello Stato, approvata a maggioranza assoluta, sulla base di un’intesa fra lo Stato e la regione interessata. Infatti, le materie oggetto di attribuzione di ulteriori funzioni possono essere le materie di legislazione concorrente ed alcune materie di legislazione esclusiva dello Stato, tra le quali figurano le norme generali sull’istruzione (oltre a giustizia di pace; tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali)[42].

Per quanto attiene, invece, ai criteri di riparto delle funzioni amministrative di cui all’art. 118 Cost., la riforma del titolo V ha stabilito in via generale l’attribuzione delle funzioni amministrative presso il livello di governo più vicino al cittadino, e dunque, in via generale ai comuni, salvo conferimento agli altri livelli di governo sulla base dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza[43].

 

Nei suoi aspetti generali, la materia trattata nell’articolo 11 è oggi regolata dalla legge 5 giugno 2003, n. 131 (c.d. legge La Loggia), che ha stabilito norme per l’attuazione delle disposizioni del nuovo Titolo V della Costituzione.

 

In particolare, l’articolo 7 della legge prevede che lo Stato e le Regioni, secondo le rispettive competenze, debbono provvedere a conferire le funzioni amministrative da loro esercitate alla data di entrata in vigore della legge, sulla base dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza (comma 1)[44]. In attuazione di ciò e, comunque, ai fini del trasferimento delle occorrenti risorse, si prevede:

- la stipula di accordi con le Regioni e le autonomie locali, da concludere in sede di Conferenza unificata, diretti, in particolare, all’individuazione dei beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative necessarie per l’esercizio delle funzioni e dei compiti da conferire (art. 7, c. 1);

- la presentazione al Parlamento, da parte del Governo, uno o più disegni di legge collegati alla manovra finanziaria annuale, per il recepimento dei suddetti accordi (art. 7, c. 2);

- una disciplina transitoria, che consente, sulla base dei medesimi accordi e nelle more dell’approvazione dei disegni di legge citati, di avviare i trasferimenti dei suddetti beni e risorse secondo principi di invarianza di spesa, presentando uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri. Sugli schemi di decreto, ciascuno dei quali deve essere corredato di idonea relazione tecnica, deve essere acquisito il parere da parte delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per le conseguenze di carattere finanziario, da rendere entro trenta giorni dall’assegnazione (art. 7, c. 3 e 4).

L’articolo 7 non ha ancora ricevuto alcuna attuazione.

Alcune iniziative per il settore istruzione sono state adottate dalla Conferenza delle regioni e delle province autonome che, nella seduta del 16 dicembre 2006, ha approvato un documento al fine della predisposizione di un piano di azioni per l’attuazione del titolo V della Costituzione (“Attuazione del Titolo V per il settore dell’istruzione. Master plan delle azioni”). Il planning prevede le seguenti scansioni procedurali: 1) proposta condivisa tra le regioni relativamente all’oggetto, ai tempi, agli strumenti e alle modalità del trasferimento; 2) accordo quadro Stato-regioni, definito in sede di Conferenza unificata; 3) intesa Stato-regioni sui criteri per la ripartizione tra le regioni delle risorse e del personale; 4) decreto ministeriale di ripartizione tra le regioni delle risorse complessive di personale ed economiche, sulla base dei criteri suindicati; 5) singole intese e decreti di trasferimento (uno o più DPCM).

 

La proposta di legge in esame affida a DPCM, sulla base di accordi da concludere in sede di Conferenza unificata, l’individuazione di modalità e tempi per il trasferimento delle risorse inerenti al sistema di istruzione e formazione. Prevede, altresì, che ai trasferimenti si applichi la disciplina transitoria stabilita dalla legge La Loggia, sopra illustrata.

Dalla lettura della norma, la procedura sembrerebbe, dunque, suddivisa in due passaggi: a primi DPCM - necessari per la definizione delle modalità e del tempi dei trasferimenti - seguirebbero altri DPCM per disporre i finanziamenti. Solo a questi ultimi si applicherebbero le disposizioni previste dalla legge La Loggia a proposito della disciplina transitoria, tra le quali figura, in particolare, il rispetto del principio di invarianza della spesa, la necessità della relazione tecnica, nonché il parere delle competenti Commissioni parlamentari.

 

Si segnala che, su questo punto, il testo della proposta di legge in commento riprende quanto già stabilito dall’art. 28, c. 4, del d.lgs. n. 226/2005 a proposito del trasferimento di risorse alle regioni, in stretta correlazione con l’attuazione dei percorsi di istruzione e formazione professionale.

 

L’articolo 11, c. 1, precisa, inoltre, che il trasferimento di risorse nei confronti delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano venga disposto, ove queste non siano già titolari delle funzioni da trasferire, sulla base dei rispettivi statuti.

Dispone, infine, al comma 2, i criteri in base ai quali le regioni devono distribuire le risorse trasferite alle istituzioni scolastiche accreditate. Il criterio principale è individuato in una quota a testa per ciascun istituto, individuata dagli enti regionali e calcolata in base al numero degli alunni iscritti, tenuto conto del costo medio per alunno[45].

 

In relazione alla norma di esame, merita segnalare che, attualmente, il governo delle risorse delle istituzioni scolastiche si fonda su un sistema accentrato. Infatti, spetta allo Stato sia la determinazione dell’ammontare delle risorse finanziarie da destinare alle scuole, sia la diretta assegnazione di tali risorse (art. 137, d. lgs. n. 112/1998[46]; art. 1, l. n. 440/1997[47]). La partecipazione di regioni ed enti locali è limitata al parere della Conferenza unificata circa i criteri di ripartizione delle assegnazioni perequative (art. 6, D.P.R. 18 giugno 1998, n. 233).

 

In relazione all’articolo 11, appare opportuno chiarire il riferimento alle “istituzioni scolastiche accreditate”, contenuto nel comma 2.

Ciò, alla luce del fatto che l’espressione “accreditamento” viene riferita dalla normativa vigente – il riferimento è all’art. 15 del citato d.lgs. n. 226/2005 (secondo ciclo del sistema educativo) – alle “istituzioni” per le quali le regioni e le province autonome abbiano accertato il rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni dei percorsi di istruzione e formazione professionale, di competenza delle stesse regioni.

 

 


CAPO III – Stato giuridico, modalita’ di formazione iniziale e reclutamento dei docenti

 

Il Capo III (artt.12-22) disciplina lo stato giuridico, la formazione iniziale ed il reclutamento dei docenti.

Di seguito, si forniscono le linee di lettura, nell’ordine, degli articoli:

 

·         12, 13, 15, 16, 17 (formazione iniziale, reclutamento, carriera e valutazione dei docenti);

·         18 (istituzione della vice dirigenza);

·         14 e 19, 20, 21 (Albo regionale, associazioni professionali, organismi tecnici rappresentativi);

·         22 (contrattazione, area contrattuale autonoma e rappresentanza regionale sindacale unitaria d’area).

Formazione iniziale, reclutamento, carriera e valutazione dei docenti (artt.12, 13, 15, 16, 17)

L’art. 12 stabilisce che la Repubblica riconosce e valorizza la professione dell'insegnante e ne garantisce la qualità attraverso una formazione specifica iniziale e continua, un efficace sistema di reclutamento ed uno sviluppo di carriera e retributivo per merito.

La prioritaria finalità della funzione docente è quella di educare i giovani all’autonomia personale e alla responsabilità, nonché di perseguire, per ciascuno, idonei livelli di competenza, nel rispetto delle differenze individuali e delle singole individualità.

L’assolvimento di tali compiti – per il  quale è prevista la collaborazione della famiglia – e i risultati educativi costituiscono l’oggetto della specifica responsabilità professionale dell’insegnante, al quale sono assicurate libertà di insegnamento ed autonomia professionale.

 

In proposito, merita segnalare che la libertà di insegnamento è garantita dall’art. 33 della Costituzione.

Altre norme generali sulla funzione docente sono contenute nel già citato D.lgs. n. 297/1994, Testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione. In particolare:

·         l’art. 1 delD.lgs. (Formazione della personalità degli alunni e libertà di insegnamento) ripropone il principio costituzionale della libertà di insegnamento “intesa come autonomia didattica e come libera espressione culturale del docente”, fissandone i limiti (le norme costituzionali e quelle relative all’ordinamento scolastico) e la finalità (la formazione della personalità degli alunni);

·         l’art. 395 del D.lgs. (Funzione docente) definisce i compiti dei docenti, riassumibili nell’espletamento dell’attività di insegnamento e delle attività a questa connesse(aggiornamento culturale e professionale; realizzazione delle iniziative educative della scuola; contatti con le famiglie), nonché nella partecipazione al governo della comunità scolastica;

·         nel Titolo I della Parte III (Personale) del D.lgs., riservata al personale docente, educativo, direttivo ed ispettivo, sono contenute - unitamente a disposizioni su reclutamento, mobilità, cessazione dal servizio - norme attinenti lo stato giuridico (diritti e doveri; sanzioni disciplinari, regime delle incompatibilità ecc.).

Ulteriori misure che incidono su diversi profili dello stato giuridico (orario di lavoro, mobilità, riconversione professionale ecc.) sono state adottate, infine, nell’ambito di provvedimenti (solitamente leggi finanziarie o provvedimenti collegati) finalizzati a razionalizzare il settore scolastico.

 

 

L’art. 13 prevede che i percorsi di formazione iniziale dei docenti del sistema educativo nazionale si svolgano nei corsi di laurea magistrale istituiti presso le università (eventualmente anche in concorso tra più facoltà dello stesso ateneo e in convenzione fra più atenei) e nei corsi accademici di secondo livello istituiti presso le istituzioni di alta formazione artistica e musicale (commi 1 e  5).

 

Si ricorda, preliminarmente, che è ormai entrata a regime la riforma dei percorsi universitari (cosidetto 3+2) avviata dall’art. 17, c. 95, della L. 127/1997 (così detta “Bassanini 2”[48]) per uniformare gli ordinamenti didattici al sistema europeo. L’art. citato ha demandato ad uno o più decreti del Ministro dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica[49] (ora Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca) la definizionedi nuove tipologie dei titoli di studio universitari in sostituzione o in aggiunta a quelli esistenti[50], nonché l'indicazione della durata e dell'eventuale serialità dei corsi e degli obiettivi formativi qualificanti. La stessa norma ha affidato, poi, ai regolamenti didattici di ateneo laconcreta definizione dei percorsi universitari, entro margini di autonomia delimitati dai citati provvedimenti ministeriali.

In attuazione di tale norma è stato adottato il regolamento, approvato con D.M. 509/1999[51], poi sostituito dal D.M. 270/2004[52], che ha definito i nuovi titoli di studio (laurea, conseguibile in esito a corsi di durata triennale; laurea specialistica – ora magistrale - conseguibile in ulteriori due anni) ed ha demandato ad ulteriori decreti ministeriali la definizione delle classi dei corsi di laurea, degli obiettivi formativi qualificanti e delle attività formative indispensabili (afferenti a uno o più ambiti disciplinari)[53].

Uno dei concetti fondamentali del nuovo sistema è costituito dalla nozione di “crediti formativi universitari”, che misurano la quantità di lavoro di apprendimento richiesta allo studente (comprensiva dello studio individuale e della partecipazione a lezioni, esercitazioni e tirocini). A ciascun credito corrispondono, di norma, 25 ore di impegno complessivo; il lavoro di un anno corrisponde convenzionalmente a 60 crediti; per il conseguimento della laurea (triennale) sono, infatti, necessari 180 crediti; per il conseguimento della laurea magistrale sono necessari ulteriori 120 crediti (art. 7 del DM 270/2004).

Si ricorda, inoltre, che la legge n. 508/1999[54] ha attribuito al sistema dell’alta formazione artistica e musicale (Accademie, Conservatori, Istituti superiori per le industrie artistiche) un’autonomia paragonabile a quella delle università; tali istituzioni organizzano corsi per il conseguimento di diplomi accademici di I e di II livello (secondo la disciplina recata dal DPR n. 212/2005[55]) in esito ai quali  viene rilasciato un titolo (di primo o secondo  livello) pari a quello universitario.

 

Per la definizione dei nuovi percorsi finalizzati all’insegnamento, l’art. 13 in commento prescrive l’emanazione di regolamenti - adottati con decreti ministeriali, ai sensi dell'articolo 17, comma 95, della L. n. 127/1997 - volti ad individuare:

·         le classi dei corsi di laurea magistrale;

·         il profilo formativo e professionale dei docenti;

·         le attività didattiche (comprensive delle attività di laboratorio e di tirocinio, anche con funzione di verifica delle attitudini relazionali, comunicative e organizzative proprie della funzione docente, nonché concernenti l’integrazione di alunni con handicap);

·         gli ambiti disciplinari[56] di riferimento ;

·         i crediti didattici da conseguire; questi ultimi, sulla base di quanto previsto per i corsi universitari dal citato DM n. 270/2004, sono per una percentuale (in questo caso l’80%) determinati dai decreti ministeriali, per il resto disciplinati dai regolamenti didattici di ateneo. Si precisa, inoltre, che, in deroga all’art.  10, comma 2, del DM n. 270/2004[57], all’area pedagogico-professionale non deve afferire più del 25 per cento dei crediti formativi.

I decreti possono prevedere anche che la formazione iniziale si svolga attraverso la frequenza di stage all’estero.

 

Sarebbe opportuno:

·         al comma 1, esplicitare che i corsi accademici di secondo livello sono quelli attivati dalle istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica;

·         chiarire perché, al comma 2, lettera c), si faccia riferimento al corso di diploma universitario[58]: sembrerebbe, infatti, corretto il riferimento ai diplomi accademici di secondo livello di cui al comma 1;

·         chiarire perché il comma 3 limiti alla formazione degli insegnanti della scuola secondaria di primo grado e del secondo ciclo il principio secondo cui le classi dei corsi di laurea magistrale sono individuate con riferimento all’insegnamento delle discipline impartite nei relativi gradi di istruzione.

Si segnala, inoltre, che al comma 2 il riferimento corretto sembrerebbe essere all’art. 19, comma 4, del DM n. 270/2004, relativo alle lauree magistrali e non al comma 2,   riferito alle lauree (triennali).

 

 

Oltre che la deroga già sopra citata, nella emanazione dei regolamenti l’articolo in commento consente anche la deroga alla disciplina generale relativa ai requisiti di ammissione ai corsi di studio, recata dall’art. 6, comma 2, del DM n.  270/2004[59].

 

Si prevede, inoltre, che le classi di abilitazione per l’insegnamento nella scuola secondaria di primo grado e nel secondo ciclo siano individuate con decreti del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca  (comma 6).

 

Si ricorda che attualmente il Decreto Ministeriale 30 gennaio 1998, n. 39 reca il testo coordinato delle disposizioni impartite in materia di ordinamento delle classi di concorso (ivi compresi insegnamenti tecnico-pratici) nelle scuole ed istituti di istruzione secondaria ed artistica; tali classi risultano complessivamente nel numero di 100[60].

Si segnala, inoltre, che l’articolo 64, comma 4, del DL 112/2008, in corso di conversione alla Camera(AC 1386), prevede, nel quadro della riorganizzazione del sistema scolastico, la razionalizzazione e l’accorpamento delle classi di concorso, per una maggiore flessibilità nell’impiego dei docenti; tale revisione è affidata a regolamenti governativi destinati a dare attuazione alle misure previste dal DL e dal successivo piano programmatico.

 

Sembrerebbe opportuno precisare nell’art. 13 –anziché nel successivo art. 14 – che l’abilitazione si consegue a seguito del superamento dell’esame di Stato.

 

Infine, il comma 7 disciplina lo svolgimento dei compiti di supervisione del tirocinio e di coordinamento del medesimo con le altre attività didattiche svolte nell’ambito dei corsi di laurea magistrale, prevedendo che resti ferma la possibilità di utilizzare personale docente in servizio presso le istituzioni scolastiche nonché, a certe condizioni, personale docente e dirigente della scuola elementare (ora, scuola primaria), prevista dai commi 4 e 5 dell’articolo 1 della l. n. 315/1998[61].

Conclusivamente, per effetto delle disposizioni sin qui commentate in ordine alla formazione iniziale, viene di fatto ripristinata la disciplina prevista dal D.lgs. n. 227/2005[62], abrogato dall’art. 2, comma  416, della l. n. 244/2007 (finanziaria 2008) che, tuttavia, non era entrata a regime per la mancata emanazione dei necessari regolamenti.

 

Si ricorda, infatti, che l’art. 2, comma  416, della legge finanziaria per il 2008 ha rinviato ad un regolamento del Ministro della pubblica istruzione[63] la definizione di una nuova disciplina dei requisiti e delle modalità di formazione degli insegnanti, nonché delle procedure di reclutamento, prevedendo comunque, l’utilizzazione dello strumento del concorso, da bandire con cadenza biennale, nei limiti delle risorse disponibili e fermo restando il regime autorizzatorio delle assunzioni. In relazione a tale nuova disciplina, è stato abrogato, oltre che il D.lgs. n. 227/2005, anche l’art. 5 della legge n. 53/2003, che ne era alla base, che stabilivano anche, da un punto di vista di periodicità dei reclutamenti, concorsi triennali, secondo le esigenze della programmazione e fermo restando il regime autorizzatorio delle assunzioni.

Per effetto delle abrogazioni menzionate, e nelle more dell’adozione del regolamento previsto dalla legge finanziaria per il 2008, la formazione dei docenti attualmente resta disciplinata dalla legge n. 341/1990[64] che prevede un apposito titolo di laurea (in scienza della formazione) per l’insegnamento nelle scuole materne ed elementari (ora: scuola dell’infanzia e scuola primaria), ed un titolo di specializzazione post-laurea (in esito a corsi biennali presso Scuole di specializzazione all’insegnamento secondario, cosiddette “SSIS”) per l’insegnamento nelle scuole secondarie.

 

L’articolo 15 disciplina il contratto di inserimento formativo al lavoro, che – ai sensi del successivo articolo 16 - rappresenta un requisito necessario per l’ammissione ai concorsi per docenti.

Si tratta di una novità nell’ambito dell’ordinamento delle pubbliche amministrazioni. In base alla normativa vigente, infatti, esse possono utilizzare come istituto contrattuale che coniuga l’attività lavorativa con la formazione del personale, il contratto di formazione e lavoro, con caratteristiche differenti.

 

Il contratto di formazione e lavoro (CFL) è un particolare tipo di contratto di lavoro a termine, caratterizzato da una causa mista che risulta dallo scambio fra la prestazione di lavoro da parte del giovane e un'erogazione non soltanto retributiva, ma anche di addestramento professionale specifico, da parte del datore di lavoro. A seguito della riforma del lavoro del 2003, il CFL è utilizzabile solamente dalle pubbliche amministrazioni, essendo stato sostituito nel settore privato dal nuovo istituto del contratto di inserimento[65].

 

In particolare, il comma 1 dell’articolo in esame dispone che coloro che hanno ottenuto l’abilitazione ai sensi dell’articolo 13, svolgono un anno di applicazione con uno specifico contratto di inserimento formativo al lavoro. L’ufficio scolastico regionale competente, in base alle esigenze e alle richieste delle istituzioni scolastiche, effettua l’assegnazione dei docenti alle stesse istituzioni scolastiche ai fini della stipulazione del contratto di inserimento formativo al lavoro, al quale si applica la disciplina vigente in materia di rapporto di lavoro a termine nel comparto scuola.

 

Si ricorda che il rapporto di lavoro a tempo determinato del personale docente è disciplinato, oltre che dalla norma generale di cui al D.lgs. n. 368/2001[66], anche dalla contrattazione collettiva e, in particolare, dall’art. 40 del CCNL relativo al personale del Comparto Scuola per il quadriennio normativo 2006-2009 e biennio economico 2006-2007[67] (Accordo 29 novembre 2007).

 

Il comma 2 dispone che i docenti svolgono il periodo annuale di applicazione, che comporta l’assunzione della responsabilità dell’insegnamento, sotto la supervisione di un tutor designato dal collegio dei docenti, precisando che per lo svolgimento della funzione di tutor è attribuito uno specifico compenso determinato dalla contrattazione collettiva.

Ai sensi del comma 3, nel periodo annuale di applicazione il docente è tenuto ad effettuare, in aggiunta al normale orario di servizio, anche attività di formazione connesse all’esperienza di insegnamento in corso di svolgimento, coordinate dall’università in base alle indicazioni del tutor.

Il comma 4 prevede quindi che, dopo aver concluso l’anno di applicazione, il docente discute dinanzi alla commissione di valutazione di cui all’art. 17, comma 4 (cfr. infra) una relazione sulle esperienze maturate e sulle attività svolte durante l’anno di applicazione che devono essere specificamente documentate. All’esito della discussione, la commissione provvede alla formulazione di un giudizio e all’attribuzione di un punteggio, prendendo anche in considerazione gli elementi di valutazione forniti dal tutor. La norma precisa che, qualora la commissione esprima un giudizio negativo, l’anno di applicazione può essere ripetuto una volta solamente.

Infine, il comma 5 dispone che, relativamente ai profili non disciplinati dall’articolo in esame, ai docenti che svolgono il periodo annuale di applicazione si applica la disciplina definita dalla contrattazione collettiva relativa al personale del comparto scuola.

 

L’articolo 16 reca modifiche significative ad alcuni profili relativi alla disciplina dei concorsi per docenti.

In particolare si dispone che, a decorrere dall’anno scolastico successivo a quello di conclusione dei corsi previsti dall’art. 13, requisito esclusivo per l’ammissione ai concorsi per docenti sia costituito dal possesso dell’abilitazione all’insegnamento attestato dall’iscrizione all’albo regionale previsto dall’art. 14, unitamente alla valutazione positiva all’esito del periodo annuale di applicazione effettuato secondo quanto previsto dall’art. 15.

Si dispone, inoltre, che i concorsi per docenti siano indetti dalle istituzioni scolastiche statali almeno ogni tre anni, in base alle esigenze della programmazione e ai fini di realizzare la copertura dei posti disponibili e vacanti accertati dagli uffici scolastici provinciali e regionali.

 

Sembrerebbe opportuno specificare nel testo in quale modo la previsione di concorsi per docenti indetti dalle singole istituzioni scolastiche si coordini con la disciplina autorizzatoria delle assunzioni nelle pubbliche amministrazioni, quale sia la tipologia di concorso e quali le forme di pubblicità dei bandi.

 

L’articolo 39, c. 1, della legge n. 449/2007[68] (collegata alla manovra finanziaria per il 1998), ha, anzitutto, posto in campo agli organi di vertice delle amministrazioni pubbliche il dovere di una programmazione triennale delle stesse assunzioni.

Ai sensi del comma 3-bis, quindi, a decorrere dal 1999, a tutte le amministrazioni e per tutte le nuove procedure di reclutamento e le nuove assunzioni si applica la disciplina autorizzatoria previstadal comma 3. In base a quest’ultimo,a decorrere dal 2000, per consentire lo sviluppo dei processi di riqualificazione delle p.a. connessi all'attuazione della riforma amministrativa, garantendo il rispetto degli obiettivi di riduzione programmata del personale, il Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, definisce preliminarmente le priorità da soddisfare, tenuto conto, in particolare, delle esigenze di introduzione di nuove professionalità. In tale quadro, entro il primo semestre di ciascun anno, il Consiglio dei ministri determina il numero massimo complessivo delle assunzioni compatibile con gli obiettivi di riduzione numerica e con i dati sulle cessazioni dell'anno precedente. Le assunzioni restano comunque subordinate all'indisponibilità di personale da trasferire secondo le procedure di mobilità e possono essere disposte esclusivamente presso le sedi che presentino le maggiori carenze di personale.

Il c. 3-ter dispone, altresì, che le richieste di autorizzazione ad assumere devono essere corredate da una relazione illustrativa delle iniziative di riordino e riqualificazione, adottate o in corso, finalizzate alla definizione di modelli organizzativi rispondenti ai principi di semplificazione e di funzionalità rispetto ai compiti e ai programmi, con specifico riferimento, eventualmente, anche a nuove funzioni e qualificati servizi da fornire all'utenza.

Per quanto concerne, poi, le procedure di reclutamento, il comma 3 dell’art. 35 del già citato D.lgs. n. 165/2001 detta i principi cui devono conformarsi le pubbliche amministrazioni (tra i quali, l’adeguata pubblicità della selezione); il comma 4 ricorda che le determinazioni relative all’avvio delle medesime procedure sono adottate da ciascuna amministrazione sulla base della programmazione triennale del fabbisogno deliberata ai sensi dell’art. 39 della l. n. 449/1997 e stabilisce che l’avvio delle procedure medesime è subordinato all’emanazione di un apposito decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottare su proposta del Ministro della funzione pubblica, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze[69]. Il comma 5, infine, prevedendo che i concorsi pubblici nelle amministrazioni dello Stato si espletano, di norma, a livello regionale, stabilisce che eventuali deroghe, per ragioni tecnico amministrative o di economicità, sono autorizzate dal Presidente del Consiglio dei ministri.

Per quanto riguarda specifica disciplina per il reclutamento dei docenti, come anticipato sopra, recentemente l’art. 2, comma 416, della legge finanziaria 2008 ha demandato ad un regolamento del Ministro della pubblica istruzione[70] la ridefinizione delle modalità della formazione e dell’accesso alla docenza. Attualmente quest’ultimo  (art. 399 -401 del D. lgs. 297/1994) ha luogo, per il 50 per cento dei posti disponibili, mediante concorsi per titoli ed esami indetti dal Ministero con cadenza triennale[71] ed espletati a livello regionale; per il restante 50 per cento, si attinge a graduatorie provinciali, nel passato permanenti ed aggiornate con cadenza biennale, da poco trasformate  in graduatorie ad esaurimento[72].

 

L’art. 17 articola la carriera del personale docente in tre livelli - docente iniziale, docente ordinario e docente esperto - caratterizzati da distinte funzioni e retribuzioni, ma non implicanti subordinazioni gerarchiche (comma 1).

Per ciascun livello è previsto un trattamento economico differenziato ed una progressione economica automatica per anzianità, con cadenza biennale, entrambi da quantificare in sede di contrattazione collettiva (comma 3).

I docenti esperti possono assumere responsabilità di coordinamento e di valutazione, nonché esercitare funzioni relative alla formazione ed all’aggiornamento del personale. Esclusivamente a docenti ordinari o esperti possono essere affidati eventuali incarichi aggiuntivi rispetto all’insegnamento, remunerati a carico del fondo di istituto[73](comma 2).

 

Viene introdotta, inoltre, la valutazione periodica dell’attività dei due primi livelli della docenza (docente iniziale e docente ordinario),  con riguardo a specifici parametri (efficacia dell’azione didattica e formativa; impegno professionale nell’ideazione e attuazione del Piano dell’offerta formativa; apporto all’attività dell’istituzione scolastica; titoli acquisiti in servizio).

Tale verifica, affidata ad una commissione di 5 membri (dirigente scolastico, tre docenti esperti, un rappresentante dell’organismo tecnico rappresentativo, vedi infra), salvo casi particolari non produce effetti sanzionatori e costituisce un credito ai fini della progressione di carriera (commi 4-6).

Ai sensi del precedente art. 15, comma 4, la medesima commissione formula un giudizio ed attribuisce un punteggio alla relazione predisposta dai docenti al termine dell’anno di applicazione.

 

Si ricorda che, attualmente, la valutazione dei docenti è limitata alla valutazione del servizio ai fini della conferma in ruolo al termine dell’anno di formazione (costituente periodo di prova dopo la nomina), ovvero ai fini della riabilitazione dopo l’erogazione di una sanzione disciplinare (rispettivamente, ai sensi degli artt. 440 e 501 del D.lgs. n. 297/1994). All’adempimento provvede il comitato per la valutazione del servizio, istituito presso ogni circolo didattico o istituto scolastico (art. 11 del D.lgs.); l’organismo è composto da un numero di membri variabile da due a quattro ed è presieduto dal dirigente scolastico.

Merita segnalare, infine, che la normativa relativa alle sanzioni disciplinari, ai provvedimenti cautelari ed alle relative procedure di irrogazione per il personale docente è contenuta negli artt. 492-508 del D.lgs. n. 297/1994; le funzioni in materia sono attribuite principalmente al dirigente scolastico ed ai dirigenti degli uffici scolastici regionali[74] .

 

Al comma 4 sembrerebbe opportuno specificare la periodicità della valutazione.

 

Con riguardo alle progressioni di carriera, si specifica che il passaggio da docente iniziale ad ordinario avviene, a domanda, sulla base di una selezione per soli titoli effettuata da apposite commissionitenendo conto della valutazione periodica citata sopra; invece, per l’avanzamento al livello di docente esperto è previsto un periodo di formazione ed un concorso  espletato a livello di reti di scuole (commi 7 e 8) .

 

L’art. 7 (Reti di scuole) del DPR n. 275/1999 prevede la possibilità di accordi e convenzioni tra istituzioni scolastiche per il raggiungimento di finalità di interesse comune; l’accordo in questione individua le finalità del progetto, la sua durata, nonché le risorse professionali e finanziarie messe a disposizione dalle singole scuole, ferma restando l’autonomia finanziaria di ciascuna di esse.

 

Appare opportuno specificare a chi spetti la determinazione dei titoli professionali valutabili ai fini della selezione per il passaggio dal livello di docente iniziale a quello di docente ordinario e quale sia la tipologia del concorso da sostenere per l’avanzamento al livello di docente esperto.

 

Il contingente massimo di personale docente dei due livelli (docenti ordinari ed esperti) è determinato annualmente con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze; il provvedimento disciplina anche modalità per il coordinamento delle procedure selettive (espletate dalle singole istituzioni scolastiche) cui possono partecipare docenti interni o provenienti da altre istituzioni (comma 9).

 

Appare opportuno un chiarimento –coordinamento in ordine alle previsioni del comma 8 - che fa riferimento ad un concorso espletato a livello di reti di scuole –e del comma 9 che, invece, fa riferimento a procedure selettive espletate dalle singole istituzioni scolastiche.

 

Si prevede, infine, (comma 10) che il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca stabilisca con regolamento ministeriale, sentite le Commissioni parlamentari competenti, le modalità per la composizione delle commissioni per l'avanzamento dal livello di docente iniziale a quello di docente ordinario, le procedure di valutazione e i tempi per il loro espletamento, nonché le eventuali competenze amministrative alle stesse delegate.

Per il ricorso allo strumento regolamentare, il comma in esame fa riferimento all’art. 17, comma 3, della legge L. 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri) – che   autorizza l’adozione di regolamenti con decreto ministeriale nelle materie di competenza del Ministro o di autorità sottordinate al Ministro, quando la legge espressamente conferisca tale potere -, nonché  all’art. 117, sesto comma, della Costituzione - che autorizza l’emanazione di regolamenti statali nelle materie di competenza esclusiva -.

Si prescrive, infine, l’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano[75] per  le disposizioni del regolamento relative alle istituzioni formative.

 

Tale ultima previsione sembra estendere l’ambito di applicazione dell’articolo in commento alle istituzioni formative preposte alla realizzazione dei percorsi di istruzione e formazione professionale di competenza delle regioni (ai sensi del Capo III del citato D.lgs. n. 226/2005).

Va segnalato, inoltre, che l’istruzione e formazione professionale è menzionata anche all’art. 21, comma 4, della proposta di legge, con riferimento all’articolazione - per ordini di scuola - delle commissioni disciplinari istituite presso gli organismi tecnico rappresentativi regionali.

 

Si ricorda, in proposito, che, ai sensi dell’art. 117 della Costituzione, l’istruzione e formazione professionale ricade nella competenza legislativa esclusiva delle regioni, fatta salva la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, attribuita allo Stato.

Il Capo III (articolo 15-22) del citato D.lgs. n. 226/2005 ha dettato i livelli essenziali (L.E.P) per i percorsi di istruzione e formazione professionale organizzati dalle Regioni. I L.E.P.- riguardanti offerta formativa, orario annuale, requisiti dei docenti, valutazione e certificazione delle competenze, adeguatezza delle strutture - costituiscono i requisiti per l'accreditamento e l'attribuzione dell'autonomia alle istituzioni formative delle regioni e delle province autonome di Trento e Bolzano. Le modalità di accertamento del rispetto dei livelli essenziali sono demandate ad apposito regolamento.

Con riguardo ai livelli essenziali dei requisiti dei docenti. l’art. 19 del D.lgs.226/2005 precisa esclusivamente che le regioni devono avvalersi di personale in possesso  di abilitazione all'insegnamento.

 

Vicedirigenza delle istituzioni scolastiche (art. 18)

Alcomma 1, si introduce l’istituto della vicedirigenza delle istituzioni scolastiche, alla quale si accede mediante procedure concorsuali per titoli ed esami (comma 3, primo periodo).

La relazione illustrativa qualifica tale istituto come ulteriore livello di carriera.

 

L’istituto della vicedirigenza è stato introdotto per il personale delle pubbliche amministrazioni dall’articolo 7, comma 3, della L. n. 145/2002[76], che ha aggiunto l’articolo 17-bis al citato D.lgs. n. 165/2001.

Quest’ultimo ha appunto disposto, nell’ambito della contrattazione collettiva del comparto Ministeri, l'istituzione di un'apposita separata area della vicedirigenza.

In tale area è ricompreso il personale laureato appartenente alle posizioni C2 e C3, che abbia maturato complessivamente cinque anni di anzianità in dette posizioni o nelle corrispondenti qualifiche VIII e IX del precedente ordinamento.

Tale disposizione trova applicazione, ove compatibile, al personale dipendente dalle altre amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, dello stesso D.lgs. n.  165/2001, appartenente a posizioni equivalenti alle posizioni C2 e C3 del comparto Ministeri. Lo stesso articolo, inoltre, in relazione alle modalità di costituzione dell’area della vicedirigenza, ha previsto una adempimento preliminare, consistente nell’emanazione di un decreto interministeriale di equiparazione tra le categorie omologhe a quelle C2 e C3 del Comparto Ministeri.

Inoltre, ai sensi dell’articolo 10, comma 3, della L. n. 145/2002, la disciplina delle disposizioni riferibili alla costituzione dell’area della vicedirigenza, che trovano applicazione a decorrere dal periodo contrattuale successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della legge stessa, resta affidata alla contrattazione collettiva.

Merita segnalare, in proposito, che la disciplina della vicedirigenza, nonostante alcuni espliciti richiami alla sua introduzione nei verbali allegati a diversi accordi collettivi, non ha ancora trovato attuazione nella contrattazione collettiva.

Al riguardo, il Protocollo d’intesa Governo-Sindacati del 4-6 febbraio 2002 ha ribadito la competenza della contrattazione collettiva per la disciplina dell’area della vicedirigenza, prevedendo altresì che le risorse all’uopo destinate debbano essere aggiuntive rispetto a quelle previste per i rinnovi contrattuali.

Sulla base di ciò, il CCNL relativo al personale del Comparto Ministeri per il quadriennio normativo 2002 – 2005 e biennio economico 2002 – 2003, del 12 giugno 2003, all’articolo 9 ha istituito un’apposita Commissione paritetica con il compito, tra gli altri, di “formulare proposte in ordine alla verifica della disciplina dell’area della vice dirigenza e di quella dei professionisti, ai sensi del Protocollo di intesa siglato nel febbraio 2002 tra Governo ed organizzazioni sindacali”.

Nel prosieguo, si sono registrate posizioni di dissenso[77].

 

Il comma 2 definisce i compiti del vicedirigente, il quale svolge attività di collaborazione diretta con il dirigente dell'istituzione scolastica, secondo le indicazioni di quest'ultimo, ed è tenuto al pieno rispetto dell'indirizzo organizzativo dell'istituzione stessa. Lo stesso comma dispone la possibilità che al vicedirigente possano essere delegate le funzioni del dirigente in caso di assenza o di impedimento di quest’ultimo, tranne che per gli atti di gestione di natura discrezionale e gli atti conclusivi di procedimenti amministrativi. Il vicedirigente è sovraordinato gerarchicamente ai docenti per le funzioni delegate e nel caso di sostituzione del dirigente.

 

Il successivo comma 3, oltre a stabilire, come accennato in precedenza, le modalità di accesso alla qualifica, precisa che le procedure concorsuali richiamate siano indette con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, a livello regionale e con cadenza periodica, cui sono ammessi i docenti esperti in possesso di laurea e al cui esito sono costituite graduatorie di idoneità permanenti di livello provinciale per ogni ordine e grado di istituzioni scolastiche.

 

Si osserva che, attualmente, con l’espressione “laurea” si fa riferimento al titolo di studio conseguito in esito a corsi di durata triennale. L’articolo 12 della proposta di legge, invece, già per l’esercizio della funzione docente richiede il possesso della laurea magistrale.

 

Infine, è previsto che il vicedirigente possa essere esonerato dal servizio scolastico (comma 4).

Albo regionale, associazioni professionali, organismi tecnici rappresentativi (artt. 14, 19-21 )

Ulteriori elementi di novità introdotti dalla proposta di legge sono l’istituzione di albi regionali dei docenti, il riconoscimento della funzione dell’associazionismo professionale e l’istituzione di organismi tecnici rappresentativi della funzione docente.

L’art. 14 prevede, infatti, che, dopo il conseguimento del titolo di studio richiesto, nonché dell’abilitazione all’insegnamento, e  sulla base del punteggio acquisito in quest’ultima, gli aspiranti all’insegnamento siano iscritti  in un albo, istituito presso gli uffici scolastici regionali, e distinto in quattro sezioni (corrispondenti agli ordini di scuola[78]) ed in classi di abilitazione.

 

Si ricorda, in proposito, che l’art. 2229 del Codice civile affida alla legge la determinazione delle professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione ad appositi albi. Quest’ultima, pertanto, costituisce attestazione del possesso dei requisiti indispensabili e inserisce il professionista all’interno di un gruppo con la conseguente assunzione di diritti e doveri.

Con riguardo ai docenti, l’art. 88 del R.D. n. 2480/1926[79] ha istituito presso ogni provveditorato agli studi (le cui funzioni sono ora in gran parte confluite negli uffici scolastici regionali) un albo regionale delle persone abilitate all'esercizio professionale dell'insegnamento di materie impartite nei regi istituti medi d'istruzione (purchè non si trattasse di  docenti di ruolo[80]). L’articolo in questione non è confluito nel D. lgs. n. 297/1994); si ricorda, comunque, che, ai sensi dell’art. 676 del medesimo D.lgs., le disposizioni non inserite restano vigenti nella misura in cui non sono incompatibili con la disciplina recata dal provvedimento[81].

Va segnalato, comunque, che la dottrina[82] non è concorde nella classificazione di tale albo alla stregua degli albi professionali, anche in ragione della particolare natura dell’insegnamento, non rivestendo quest’ultimo le caratteristiche di un lavoro  autonomo.  

 

Alla tenuta degli albi regionali sono preposti gli organismi tecnici regionali rappresentativi della funzione docente (disciplinati dagli artt. 20 e 21 della proposta).

Questi ultimi si articolano in una struttura nazionale ed in varie strutture regionali; hanno autonomia organizzativa e finanziaria e sono composti da membri eletti dai docenti o designati da associazioni professionali ed università. Si prevede che una parte minoritaria dei loro componenti sia designata dalle associazioni professionali, disciplinate dall’art. 19 della proposta, e dalle università.

 

Sarebbe opportuno chiarire a chi compete la determinazione del numero dei componenti degli organismi; precisare se questi ultimi abbiano carattere elettivo; stabilire i parametri per la quantificazione della parte minoritaria.

 

All’organismo nazionale competono:

·         la raccolta dei dati contenuti negli albi regionali dei docenti;

·         la predisposizione e l’ aggiornamento del codice deontologico;

·         l’esercizio di poteri disciplinari sugli iscritti negli albi regionali;

·         la formulazione di proposte sulla formazione iniziale dei docenti, sull’abilitazione e sugli standard professionali;

·         la formulazione di proposte e pareri obbligatori su obiettivi, criteri di valutazione e mezzi per il conseguimento del sistema nazionale di istruzione e di formazione e sulle modalità di reclutamento dei docenti.

 

Sarebbe opportuno chiarire per quali fattispecie può essere esercitata l’azione disciplinare nei confronti degli iscritti agli albi.

 

Gli organismi regionali svolgono funzioni di consulenza nei confronti della struttura nazionale e provvedono alla tenuta degli albi regionali dei docenti.

All’interno delle strutture regionali si costituiscono, inoltre, le commissioni disciplinari con riferimento ai quattro distinti ordini di scuola (scuola dell'infanzia; primaria; secondaria di primo grado, secondaria di secondo grado e all’istruzione e formazione professionale).

 

Quanto alle libere associazioni professionali di docenti (artt. 12, comma  2, e art. 19), se ne consente l’attività anche all’interno delle singole istituzioni scolastiche e formative e si dispone che ne sia tutelata la possibilità di comunicazione anche attraverso appositi spazi.

Si attribuisce, inoltre, alle associazioni formative accreditate ai sensi della normativa vigente, nelle diverse articolazioni territoriali (nazionale, regionale, locale), una funzione propositiva e di consulenza in merito alla didattica e alla formazione iniziale e permanente dei docenti.

 

Occorerebbe chiarire se per associazioni accreditate ai sensi della normativa vigente si intendano le associazioni che offrono formazione per il personale della scuola di cui, ad esempio, al DM n. 177 del 10 luglio 2000[83].

 

Con riferimento agli organismi tecnici rappresentativi (nazionale e regionali) dei docenti di cui all’art. 20della proposta di legge, va segnalata l’affinità di questi ultimi  sia con la struttura organizzativa degli ordini professionali - anch’essi di regola caratterizzati da una struttura decentrata (a base regionale, provinciale o altro) e da un organo nazionale con funzioni di coordinamento – che, seppur parzialmente, con le funzioni da essi svolte (art. 21).

 

Si ricorda, in proposito, che la struttura degli ordini e collegi professionali[84] - pur non esistendo una disciplina unica e generale - si ricava dai singoli ordinamenti professionali e, per le categorie in esso contemplate[85], dal D.lgs. lgt. 23 novembre 1944, n. 382[86]. Tale struttura è caratterizzata da un organismo nazionale, con funzioni di coordinamento, ed organi periferici (entrambi costituiti su base elettiva). Le articolazioni periferiche sono a base circoscrizionale, provinciale, regionale o altro[87].

 

In relazione alle funzioni, va segnalata - ai sensi dell’art. 21 della proposta di legge - l’attribuzione di poteri disciplinari (sugli iscritti agli albi regionali) sia all’organismo tecnico regionale che a quello nazionale, competenti rispettivamente per le decisioni di primo grado e di appello.

Con particolare riferimento a tali prerogative, sembra opportuno coordinare la nuova disciplina con quella vigente, che attribuisce analoghi poteri disciplinari ai dirigenti scolastici, ai dirigenti degli uffici scolastici regionali e, in qualche caso, al Ministro.

Le disposizioni relative alle sanzioni disciplinari, ai provvedimenti cautelari ed alle relative procedure di irrogazione per il personale docente sono contenute negli artt. 492-508 del D.lgs. n. 297/1994; le funzioni in materia sono attribuite principalmente al dirigente scolastico ed ai dirigenti degli uffici scolastici regionali[88]; in qualche caso (ad esempio, sospensione cautelare facoltativa, art. 506 del D.lgs.) al Ministro.

Contrattazione, area contrattuale autonoma e rappresentanza regionale sindacale unitaria d’area (art. 22)

Il comma 1 provvede ad istituire l'area contrattuale della professione docente, come articolazione autonoma del comparto scuola.

Lo stesso comma, inoltre, dispone che le materie riservate alla contrattazione nazionale e integrativa regionale e di istituto sono individuate secondo criteri di essenzialità e di compatibilità con i principi fissati dalla proposta.

 

Si segnala, in proposito, che il comma in esame, subordinando le materie riservate alla contrattazione collettiva ai richiamati criteri di essenzialità e compatibilità con le disposizioni contenute nel provvedimento in esame, sancisce una rilegificazione su materie attualmente demandate totalmente all’autonomia contrattuale. La relazione illustrativa, peraltro, motiva ampiamente tale scelta.

 

Contestualmente all’introduzione dell’area contrattuale della professione docente, il successivo comma 2 istituisce la rappresentanza regionale sindacale unitaria d'area. Tale organo, composto esclusivamente da rappresentanti sindacali dell'area dei docenti, sostituisce la rappresentanza sindacale unitaria dell'istituzione scolastica, che viene conseguentemente soppressa.

Alla richiamata rappresentanza si applicano le disposizioni di cui all'articolo 43, commi 3 e seguenti, del già citato D.lgs. n. 165/2001, nonché all'accordo collettivo quadro 7 agosto 1998, concernente la costituzione delle rappresentanze sindacali unitarie per il personale dei comparti delle pubbliche amministrazioni e la definizione del relativo regolamento elettorale.

 

Al riguardo, si osserva che mentre la proposta di legge in esame dispone ex lege l’istituzione di una rappresentanza sindacale unitaria d’area a livello regionale, l’art. 2 del menzionato Accordo del 7 agosto 1998 prevede, nel caso di amministrazioni con una pluralità di sedi o strutture periferiche, la possibilità di costituzione di rappresentanze sindacali unitarie presso le sedi individuate dai contratti collettivi nazionali come livelli di contrattazione collettiva integrativa.

 

L’articolo 43, commi 3 e seguenti, del D.lgs. n.165/2001 disciplina la rappresentatività sindacale ai fini della contrattazione collettiva, fissando i requisiti di rappresentatività che le organizzazioni sindacali devono possedere per essere ammesse alla contrattazione collettiva nazionale con l’ARAN. Inoltre, sono stabiliti appositi criteri per la sottoscrizione dei contratti collettivi nazionali da parte dell’ARAN e si rinvia alla contrattazione collettiva nazionale per quanto riguarda i soggetti e le procedure della contrattazione integrativa.

 

Per quanto attiene all’Accordo del 7 agosto 1998, con esso si è data attuazione all'articolo 47 del D.lgs. n. 29/93, attualmente “confluito” nell’articolo 42 del D.lgs. 165/2001, recante norme sulla elezione ed il funzionamento degli organismi di rappresentanza sindacale unitaria del personale.

L’Accordo è strutturato in due parti: la prima è diretta a regolare le modalità di costituzione e funzionamento dei predetti organismi; la seconda reca il regolamento elettorale.

Per quanto attiene alla prima parte, si prevede (articolo 2) che le associazioni sindacali rappresentative che abbiano sottoscritto o abbiano formalmente aderito all’Accordo stesso[89] possano promuovere la costituzione di rappresentanze sindacali unitarie (RSU) nelle Amministrazioni che occupino più di 15 dipendenti. Si dispone peraltro che, nel caso di amministrazioni con una pluralità di sedi o strutture periferiche, le stesse associazioni sindacali possano promuovere la costituzione di RSU anche presso le sedi individuate dai contratti collettivi nazionali come livelli di contrattazione collettiva integrativa.

E’ inoltre disposto che entro cinque giorni dalla stipulazione dell’Accordo, le organizzazioni sindacali di categoria rappresentative ad esso aderenti possano chiedere per iscritto all'ARAN di avviare trattative per regolamentare mediante appositi accordi eventuali integrazioni e modifiche su specifici aspetti indicati al fine di facilitare la costituzione delle RSU nei rispettivi comparti.

Alla costituzione delle RSU si procede mediante elezione a suffragio universale ed a voto segreto con il metodo proporzionale tra liste concorrenti (articolo 3).

L’Accordo stabilisce anche il numero dei componenti delle RSU (articolo 4).

Riguardo ai compiti e alle funzioni delle RSU, esse (articolo 5) subentrano alle RSA o alle analoghe strutture sindacali esistenti comunque denominate ed ai loro dirigenti nella titolarità dei diritti sindacali e dei poteri riguardanti l'esercizio delle competenze contrattuali ad esse spettanti. I CCNL di comparto possono, inoltre, disciplinare le modalità con le quali la RSU può esercitare in via esclusiva i diritti di informazione e partecipazione alle rappresentanze sindacali.

Infine, nella contrattazione collettiva integrativa, i poteri e le competenze contrattuali vengono esercitati dalle RSU e dai rappresentanti delle organizzazioni sindacali di categoria firmatarie del relativo CCNL di comparto. 

In favore delle RSU sono, pertanto, garantiti complessivamente i diritti inerenti ai permessi retribuiti e a quelli non retribuiti, nonché il diritto ad indire l'assemblea dei lavoratori ed il diritto ai locali e di affissione secondo le vigenti disposizioni.

Inoltre, le associazioni sindacali rappresentative restano esclusive intestatarie dei distacchi sindacali previsti dai vigenti accordi (articolo 6).

I componenti della RSU restano in carica per tre anni, al termine dei quali decadono automaticamente con esclusione della prorogabilità (articolo 7).

Le decisioni relative all'attività della RSU sono assunte a maggioranza dei componenti (articolo 8).

Infine, la carica di componente della RSU è incompatibile con qualsiasi altra carica in organismi istituzionali o carica esecutiva in partiti e/o movimenti politici. Per altre incompatibilità valgono quelle previste dagli statuti delle rispettive organizzazioni sindacali (articolo 9).

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1]    L. 10 marzo 2000, n. 62, Norme per la parità scolastica e disposizioni sul diritto allo studio e all'istruzione.

[2]    Originariamente erano disciplinati dal R.D. n. 2392 del 1929 e dal R.D. n. 1312 del 1931.

[3]    D. lgs.16 aprile 1994, n. 297, Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado.

[4]    Il recente regolamento di riorganizzazione del Ministero della pubblica istruzione (D.P.R. 21 dicembre 2007, n. 260) reca, da ultimo, la disciplina degli Uffici periferici del Ministero (art. 7);  si specifica che in ciascun capoluogo di regione ha sede un ufficio scolastico regionale di livello dirigenziale generale costituente un autonomo centro di responsabilità amministrativa, al quale sono assegnate tutte le funzioni già spettanti agli uffici periferici dell'amministrazione della pubblica istruzione; a livello provinciale e/o subprovinciale operano i centri servizi amministrativi, ora denominati Uffici Scolastici Provinciali.

[5]    Agli stessi possono essere annesse scuole elementari, scuole medie e scuole di istruzione secondaria superiore (artt. 139 e 173, D.lgs. citato).

[6]    In particolare, l’art. 52 del d.lgs n. 297/2004 ha disposto che, nell’ambito del piano di razionalizzazione della rete scolastica, si preveda la graduale soppressione dei convitti nazionali, dei convitti annessi agli istituti tecnici e professionali e degli educandati femminili dello Stato che accolgono meno di 30 convittori o semiconvittori. In attuazione di tale disposizione è intervenuto il DM 15 marzo 1997 (Misure di razionalizzazione della rete scolastica, art. 9).

[7]   Legge 24 dicembre 2007, n. 244. La norma citata ha disposto che, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della pubblica istruzione, sono individuati e messi in liquidazione i convitti nazionali e gli istituti pubblici di educazione femminile che abbiano esaurito il proprio scopo o fine statutario o che non risultino più idonei ad assolvere la funzione educativa e culturale cui sono destinati.

[8]    D.P.R. 31 maggio 1974, n. 416, Istituzione e riordinamento di organi collegiali della scuola materna, elementare, secondaria ed artistica.

[9]     Il circolo didattico costituisce una circoscrizione amministrativa, affidata al direttore didattico (ora: dirigente scolastico), che raggruppa classi di più scuole elementari (ora: scuola primaria). Per la scuola materna (ora: scuola dell’infanzia) l'istituzione dei circoli, pure prevista dall’art. 30 del D.P.R. n. 416/1974 (ora, art. 44 del D.lgs. n. 297/1994) non è stata mai effettuata, e trova quindi ancora applicazione la norma transitoria (art. 33 del D.P.R. n. 416/1974: ora, art. 47 del D.lgs. n. 297/1994) in base alla quale gli organi collegiali della scuola materna sono costituiti presso il competente circolo didattico di scuola elementare.

[10]   L. 15 marzo 1997, n. 59, Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica amministrazione e per la semplificazione amministrativa. La norma ha riconosciuto alle istituzioni scolastiche l’autonomia, rimettendone la concreta disciplina a successivi regolamenti di delegificazione tra i quali si ricorda, in particolare, il D.P.R. 8 marzo 1999, n. 275, Regolamento recante norme in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche, ai sensi dell'art. 21 della L. 15 marzo 1997, n. 59.

[11]   Il piano (P.O.F.) è il documento fondamentale costitutivo dell'identità culturale e progettuale delle istituzioni scolastiche ed esplicita la progettazione curricolare, extracurricolare, educativa ed organizzativa che le singole scuole adottano nell'ambito della loro autonomia (art. 3 del D.P.R. n. 275/1999). Esso è elaborato tenendo conto dei pareri delle famiglie e, nelle scuole superiori, degli studenti. Il documento è reso noto alle famiglie all’atto dell’iscrizione.

[12]   Ai sensi dell’art. 2, comma 3, del DM 1 febbraio 2001, n. 44, Regolamento concernente le «Istruzioni generali sulla gestione amministrativo-contabile delle istituzioni scolastiche», l’attività finanziaria delle istituzioni scolastiche si svolge sulla base di un unico documento contabile annuale, che è proposto dalla giunta esecutiva con apposita relazione. Nella relazione sono illustrati gli obiettivi da realizzare e la destinazione delle risorse in coerenza con le previsioni del piano dell'offerta formativa (P.O.F.) e sono sinteticamente illustrati i risultati della gestione in corso alla data di presentazione del documento.

[13]   Tale competenza è stata attribuita al consiglio di istituto dall’art. 3, comma 3, del già citato D.P.R.  n. 275/1999.

[14]    D.P.R. 10 ottobre 1996, n. 567, Regolamento recante la disciplina delle iniziative complementari e delle attività integrative nelle istituzioni scolastiche. L’art. 4 citato è stato oggetto di modifica ad opera dell’art. 3 del D.P.R. n. 156/1999 e dell’art. 5 del D.P.R. n. 105/2001.

[15]   Le iniziative complementari dell'iter formativo, che negli istituti o scuole di istruzione secondaria superiore possono essere proposte anche da gruppi di almeno 20 studenti e da associazioni studentesche, sono sottoposte al previo esame del collegio dei docenti per il necessario coordinamento con le attività curricolari e per l'eventuale adattamento della programmazione didattico-educativa, con conseguente inserimento nel piano dell'offerta formativa.

[16]   La qualifica dirigenziale per i capi di istituto è stata istituita dall’art. 1 del Decreto legislativo 6 marzo 1998, n. 59, Disciplina della qualifica dirigenziale dei capi di istituto delle istituzioni scolastiche autonome, a norma dell'articolo 21, comma 16, della L. 15 marzo 1997, n. 59.

[17]   Decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche. Nell’articolo 25 di tale decreto sono confluiti gli articoli 25 bis e 25 ter del decreto legislativo n. 29/1993, aggiunti dall’art. 1 del decreto legislativo n. 59/1998.

[18]   Ci si riferisce al concetto di “responsabilità della gestione delle risorse umane”, contenuto nell’art. 4 della proposta di legge, a fronte degli “autonomi poteri di direzione, di coordinamento e di valorizzazione delle risorse umane”, contenuto nell’art. 25 del d.lgs. n. 165/2001.

[19]   L’art. 8 del d.lgs. n. 297/1994 prevede che i componenti del consiglio di circolo o di istituto siano 14 nelle scuole con popolazione scolastica fino a 500 alunni (di cui, 6 rappresentanti dei docenti, uno del personale ATA, 6 dei genitori, più il direttore  o il preside) e 19 nelle scuole con popolazione superiore a 500 alunni (di cui, 8 rappresentanti dei docenti, 2 del personale ATA, 8 dei genitori, più il direttore o il preside).

[20]   Il consiglio di circolo o di istituto, invece, è presieduto da uno dei membri, eletto tra i rappresentanti dei genitori.

[21]   L’art. 7 del D.lgs. n. 297/1994 prevede che il collegio sia presieduto dal direttore didattico o dal preside (ora: dirigente scolastico) e stabilisce che ne fanno parte i docenti di ruolo e non di ruolo in servizio nel circolo o nell’istituto, nonché i docenti di sostegno. Disciplina, inoltre, l’ipotesi di più istituti o scuole di istruzione secondaria superiore di diverso ordine e tipo aggregati, stabilendo che ciascuno di tali istituti o scuola mantiene un proprio collegio dei docenti.

[22]   Gli artt. 177 e 192 del D.lgs. n. 297/1994, rispettivamente per la scuola elementare e media (ora: scuola primaria e scuola di istruzione secondaria di primo grado) e per la scuola superiore (ora: scuola di istruzione secondaria di secondo grado), attribuivano il compito valutativo al consiglio di classe. Attualmente, gli artt. 8 e 11 del d.lgs. 19 febbraio 2004, n. 59, recante Definizione delle norme generali relative alla scuola dell’infanzia e al primo ciclo dell’istruzione, a norma dell’articolo 1 della L. 28 marzo 2003, n. 53, e l’art. 13 del d.lgs. 17 ottobre 2005, n. 226, recante Norme generali e livelli essenziali delle prestazioni relativi al secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione, a norma dell’articolo 2 della legge 28 marzo 2003, n. 53, prevedono che la valutazione, periodica e annuale, degli apprendimenti e del comportamento degli studenti e la certificazione delle competenze (nonché, nel caso del secondo ciclo, delle abilità e capacità) da essi acquisite sono affidate ai docenti responsabili delle attività educative e didattiche (nonché, nel caso del secondo ciclo, degli insegnamenti) previste dai piani di studio personalizzati. Si ricorda che i piani  di studio personalizzati sono stati previsti, tra i principi e i criteri direttivi, dall’art. 2, c. 1, lettera l), della legge n. 53/2003 (Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull'istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale), la quale stabilisce che, nel rispetto dell'autonomia delle istituzioni scolastiche, essi contengono un nucleo fondamentale, omogeneo su base nazionale, che rispecchia la cultura, le tradizioni e l'identità nazionale, e prevedono una quota, riservata alle regioni, relativa agli aspetti di interesse specifico delle stesse, anche collegata con le realtà locali.

[23]   D.lgs.19 novembre 2004, n. 286, Istituzione del Servizio nazionale di valutazione del sistema di istruzione e di formazione, nonché riordino dell’omonimo istituto, a norma degli articoli 1 e 3 della legge 28 marzo 2003, n. 53.

[24]   D.lgs. 20 luglio 1999, n. 258, Riordino del Centro europeo dell'educazione, della biblioteca di documentazione pedagogica e trasformazione in Fondazione del museo nazionale della scienza e della tecnica «Leonardo da Vinci», a norma dell'articolo 11 della L. 15 marzo 1997, n. 59.

[25]   Cfr. articolo 1, L. 11 gennaio 2007, n. 1, Disposizioni in materia di esami di Stato conclusivi dei corsi di studio di istruzione secondaria superiore e delega al Governo in materia di raccordo tra la scuola e le università, nonché articolo 1, D.L. 7 settembre 2007, n. 147, Disposizioni urgenti per assicurare l'ordinato avvio dell'anno scolastico 2007-2008 ed in materia di concorsi per ricercatori universitari, convertito, in legge, con modificazioni, dall’art. 1, L. 25 ottobre 2007, n. 176.

[26]   D.P.R. 24 giugno 1998, n. 249, Regolamento recante lo statuto delle studentesse e degli studenti della scuola secondaria.

[27]   D.P.R. 13 febbraio 2001, n. 105, Regolamento recante ulteriori modifiche ed integrazioni al D.P.R. 10 ottobre 1996, n. 567, concernente la disciplina delle iniziative complementari e delle attività integrative nelle istituzioni scolastiche.

[28]   Cfr. Rassegna dell’attività legislativa e istituzionale di Paesi stranieri, Servizio Biblioteca, Legislazione Straniera n. 6, novembre-dicembre 2006, pp. 52-53, nonché la documentazione disponibile sul sito del governo inglese all’indirizzo:

http://www.dfes.gov.uk/publications/educationandinspectionsact/.

[29]   School Improvement Partner è uno strumento di collegamento tra la scuola, l’autorità locale e il governo centrale. Nominato dalle autorità locali, il SIP riferisce sullo stato dell’istituzione scolastica e collabora all’individuazione delle misure di sostegno per il miglioramento di questa. I SIPs devono essere accreditati a livello nazionale dal National College for School Leadership.

[30]   Si ricorda che, ai sensi dell’articolo 17, c. 1, della l. n. 400/1988, i regolamenti governativi sono adottati con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il parere del Consiglio di Stato che deve pronunziarsi entro novanta giorni dalla richiesta. I regolamenti sono sottoposti al visto ed alla registrazione della Corte dei conti e pubblicati nella Gazzetta Ufficiale.

[31]   F. Galgano, Fondazione 1) Diritto civile, voce Enciclopedia giuridica, 1989.

[32]   L’acquisto della personalità giuridica consegue all’iscrizione nel registro delle persone giuridiche, istituito presso le prefetture e tenuto sotto la diretta sorveglianza del prefetto.

[33]   Le fondazioni bancarie, frutto di un lungo percorso di trasformazione del sistema creditizio avviato dalla c.d. legge Amato (legge n. 218 del 1990), sono attualmente disciplinate dal d.lgs. 17 maggio 1999, n. 153 e dal regolamento di cui al d.m. 18 maggio 2004, n. 150.

[34]   Gli enti lirici sono stati trasformati in fondazioni di diritto privato con il d.lgs. 29 giugno 1996, n. 367, al fine di eliminare rigidità organizzative connesse alla natura pubblica dei soggetti e di rendere disponibili risorse private in aggiunta al finanziamento statale.

[35]   L’articolo 59, c. 3, della l. finanziaria per il 2001 (l. n. 388/2000) prevede la possibilità per una o più università di costituire fondazioni di diritto privato, con la partecipazione di enti ed amministrazioni pubbliche e soggetti privati, per lo svolgimento delle attività strumentali e di supporto alla didattica e alla ricerca. Il regolamento di tali fondazioni è stato adottato con successivo D.P.R. 24 maggio 2001, n. 254.

[36]   D.L. 25 giugno 2008, n. 112, Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione Tributaria, attualmente all’esame del Parlamento per la conversione in legge (A.C. 1386).

[37]   Cfr. art. 14, c. 1, D.P.R. n. 275/1999.

[38]   Cfr. art. 21, c. 5, l. n. 59/1997 e art. 6, D.P.R. n. 233/1998.

[39]   Per quanto riguarda l’amministrazione, la gestione del bilancio e dei beni e le modalità di definizione e di stipula dei contratti di prestazione d’opera, possono essere disposte deroghe alle norme vigenti in materia di contabilità dello Stato. Cfr. art. 21, c. 1 e 14, l. n. 59/1997 e il regolamento concernente le istruzioni generali sulla gestione amministrativo-contabile delle istituzioni scolastiche, adottato con DM n. 44/2001.

[40]   Cfr. art. 7, D.P.R. n. 275/1999.

[41]   Nel dettaglio, il D.P.R. n. 233/1998 ha previsto che per acquisire o mantenere la personalità giuridica, gli istituti debbano avere, di norma, una popolazione compresa tra i cinquecento e i novecento alunni, individuata come quella idonea ad assicurare l’ottimale impiego delle risorse professionali e strumentali (art. 2, c. 2).

[42]   Per dare avvio a questa procedura si sono attivate le Regioni Lombardia e Veneto. In entrambi i casi, è stato approvato da parte del Consiglio regionale un atto con il quale viene dato mandato al Presidente della Regione di avviare il confronto con il Governo e vengono individuate le materie oggetto del confronto, per ciascuna delle quali è redatta una scheda in cui sono evidenziate funzioni e compiti che la Regione vorrebbe acquisire. In particolare, per quanto concerne l’istruzione – scolastica e universitaria – la Regione Veneto richiede competenze legislative relative alle norme generali sull’istruzione più direttamente incidenti sul sistema regionale; competenze legislative ed amministrative relative al personale della scuola; competenze relative alla programmazione dell’offerta formativa universitaria. Questo ultimo aspetto è in comune con la Regione Lombardia che limita la materia alla programmazione dell’offerta formativa e delle sedi dell’istruzione universitaria.

[43]   Si ricorda che tali principi sono stati sanciti, in precedenza, dall’art. 4, comma 3, lett. a), h), g), della legge n. 59/1997.

[44]   Sono attribuite agli enti posti a livello territorialmente superiore (Province, Città metropolitane, Regioni e Stato) soltanto quelle funzioni di cui occorra assicurare l’unitarietà di esercizio per motivi di buon andamento, efficienza o efficacia dell’azione amministrativa, ovvero per motivi funzionali o economici o esigenze di programmazione o di omogeneità territoriale.

[45]   A sua volta, il costo medio deve essere calcolato in relazione al contesto territoriale, alla tipologia dell'istituto, alle caratteristiche qualitative delle proposte formative, all'esigenza di garantire stabilità nel tempo ai servizi di istruzione e di formazione offerti, nonché a criteri di equità e di eccellenza.

[46]   D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 112, Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della L. 15 marzo 1997, n. 59.

[47]   L. 18 dicembre 1997, n. 440, Istituzione del Fondo per l'arricchimento e l'ampliamento dell'offerta formativa e per gli interventi perequativi.

[48]   L. 15 maggio 1997, n. 127, Misure urgenti per lo snellimento dell'attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo.

[49]    Sentiti il Consiglio universitario nazionale (CUN) e le Commissioni parlamentari competenti. L'art. 1 del D.P.R. 2 dicembre 1997, n. 491, istitutivo del Consiglio nazionale degli studenti universitari (CNSU), ha prescritto il parere anche di quest'ultimo organismo.

[50]   Ai sensi dell’art.1 della legge 341/1990: diploma universitario, diploma di laurea, diploma di specializzazione.

[51]   DM 3 novembre 1999, n. 509, Regolamento recante norme concernenti l'autonomia didattica degli atenei.

[52]   DM 22 ottobre 2004, n. 270, Modifiche al regolamento recante norme concernenti l'autonomia didattica degli atenei, approvato con D.M. 3 novembre 1999, n. 509 del Ministro dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica.

[53]   I provvedimenti in questione (emanati nel 2000) sono stati recentemente sostituiti da due decreti adottati il 16 marzo 2007 relativi, rispettivamente, alle lauree  ed alle lauree magistrali.

[54]   Legge 21 dicembre 1999, n. 508, Riforma delle Accademie di belle arti, dell'Accademia nazionale di danza, dell'Accademia nazionale di arte drammatica, degli Istituti superiori per le industrie artistiche, dei Conservatori di musica e degli Istituti musicali pareggiati.

[55]   D.P.R. 8 luglio 2005, n. 212, Regolamento recante disciplina per la definizione degli ordinamenti didattici delle Istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica, a norma dell'articolo 2 della L. 21 dicembre 1999, n. 508.

[56]   Ai sensi dell’art. 1 del DM 270/2004, per àmbito disciplinare si intende l’insieme di settori scientifico-disciplinari culturalmente e professionalmente affini.

[57]   L’art. 10, comma 2, del DM n. 270/2004 stabilisce che i decreti ministeriali determinano, per ciascuna classe dei corsi di laurea (triennale), il numero minimo di crediti che gli ordinamenti didattici riservano ad ogni attività formativa e ad ogni ambito disciplinare, rispettando il vincolo percentuale, sul totale dei crediti necessari per conseguire il titolo di studio, non superiore al 50 per cento dei crediti stessi, fatti salvi i corsi preordinati all’accesso alle attività professionali.

[58]   Ai sensi dell’art. 2, comma 1, della legge 19 novembre 1990, n. 341, Riforma degli ordinamenti didattici universitari, il corso di diploma universitario ha una durata non inferiore a due anni e non superiore a tre, e comunque corrispondente a quella eventualmente stabilita dalle norme della Comunità economica europea per i diplomi universitari di primo livello ed ha il fine di fornire agli studenti adeguata conoscenza di metodi e contenuti culturali e scientifici orientata al conseguimento del livello formativo richiesto da specifiche aree professionali.

[59]  Il comma 2 citato stabilisce che per essere ammessi ad un corso di laurea magistrale occorre essere in possesso della laurea o del diploma universitario di durata triennale; che nel caso di corsi di laurea magistrale per i quali non sia previsto il numero programmato, l'università stabilisce per ogni corso di laurea magistrale specifici criteri di accesso che prevedono, comunque, il possesso di requisiti curriculari e l'adeguatezza della personale preparazione verificata dagli atenei, con modalità definite nei regolamenti didattici; che l'iscrizione ai corsi di laurea magistrale può essere consentita dall'università anche ad anno accademico iniziato, purché in tempo utile per la partecipazione ai corsi nel rispetto delle norme stabilite nei regolamenti stessi.

 

[60]   Si ricorda, inoltre, che per la scuola secondaria di primo grado, l’articolo 14 del D.lgs. n. 59/2004 (attuativo della “legge Moratti” per quanto attiene il primo ciclo di istruzione)  ha, poi, stabilito che entro un anno dalla data della sua entrata in vigore fossero ridefinite le classi di abilitazione all'insegnamento, in coerenza con i nuovi piani di studio della medesima scuola.  A sua volta, l’art. 2, comma 7, del citato d.lgs n. 226/2005 (recante riforma del secondo ciclo), ha affidato ad un decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca  l’individuazione delle classi di abilitazione per l’insegnamento delle discipline impartite nella scuola secondaria di primo grado e nel secondo ciclo. I provvedimenti citati non sono stati adottati in relazione al mancato perfezionamento della riforma della formazione iniziale dei docenti di cui al D.lgs. n. 227/2005.

[61]   L. 3 agosto 1998, n. 315, Interventi finanziari per l’università e la ricerca.

[62]   Decreto legislativo 17 ottobre 2005, n. 227, Definizione delle norme generali in materia di formazione degli insegnanti ai fini dell’accesso all’insegnamento, a norma dell’articolo 5 della legge 28 marzo 2003, n. 53.

[63]   Il provvedimento - per la cui adozione non è fissato un termine - risulta dal concerto con il Ministro per l’università e la ricerca, previa consultazione dei Ministri dell’economia e delle riforme nella pubblica amministrazione; l’atto è sottoposto al parere delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per le conseguenze di carattere finanziario.

[64]    Artt. 3, c. 2 e 4, c. 2.

[65]    L’articolo 1 del D.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla L. 14 febbraio 2003, n. 30,
precisa che dalle previsioni della riforma del mercato del lavoro resta escluso il personale alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni. Il contratto di inserimento utilizzabile nel settore privato trova la sua disciplina negli artt. 54 e ss.

[66]   Decreto legislativo 6 novembre 2001, n. 368, Attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall'UNICE, dal CEEP e dal CES.

[67]     Il menzionato articolo 40 dispone che, nei casi di assunzione a termine in sostituzione di personale assente, nel contratto individuale è specificato per iscritto il nominativo del dipendente sostituito. In tali casi, qualora il docente titolare si assenti in un'unica soluzione a decorrere da una data anteriore di almeno sette giorni all'inizio di un periodo predeterminato di sospensione delle lezioni e fino a una data non inferiore a sette giorni successivi a quello di ripresa delle lezioni, il rapporto di lavoro a tempo determinato è costituito per l'intera durata dell'assenza. Viene specificato che rileva esclusivamente l’oggettiva e continuativa assenza del titolare, indipendentemente dalle sottostanti procedure giustificative dell’assenza del titolare medesimo. Le domeniche, le festività infrasettimanali e il giorno libero dell'attività di insegnamento, ricadenti nel periodo di durata del rapporto medesimo, sono retribuite e da computarsi nell'anzianità di servizio. Inoltre, ai sensi del medesimo articolo, il personale assunto a termine, con orario settimanale inferiore alla cattedra oraria, ha diritto, in presenza della disponibilità delle relative ore, al completamento o, comunque, all’elevazione del medesimo orario settimanale.

[68]   Legge 27 dicembre 2007, n. 449, Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica.

[69]   In attuazione di tale disposizione, sono stati adottati i DPR 21 ottobre 2002 e 3 luglio 2004,  relativi al reclutamento di dirigenti scolastici. Per quanto concerne il personale docente occorre, invece, ricordare che, da ultimo, l’art. 1, comma 605, lettera c), della legge n. 296/2006 (finanziaria 2007), nel tentativo di dare soluzione al problema del precariato, ha previsto un Piano triennale per l’assunzione a tempo determinato di 150.000 docenti per gli anni 2007-2009, stabilendo, comunque, che le assunzioni fossero sottoposte a verifica annuale ed effettuate nel rispetto del regime autorizzatorio di cui all’art. 39, commi 3 e 3-bis, della l. n. 449/1997.

[70]   Il provvedimento - per la cui adozione non è fissato un termine - risulta dal concerto con il Ministro per l’università e la ricerca, previa consultazione dei Ministri dell’economia e delle riforme nella pubblica amministrazione; l’atto è sottoposto al parere delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per le conseguenze di carattere finanziario.

[71]   L’indizione del concorso è tuttavia subordinata all’effettiva disponibilità di cattedre.

[72]   Art.1, comma 605, lett. c), della legge finanziaria per il 2007 (L.296/2006).

[73]   Si ricorda, in proposito, che le istituzioni scolastiche godono di autonomia didattica, organizzativa e finanziaria sulla base dell’art. 21 (in particolare, comma 4) della legge n. 59/1997(cosidetta “Bassanini 1”) e successivi regolamenti di attuazione. La destinazione del fondo di istituto per trattamenti economici accessori è periodicamente disciplinata, ai sensi dell’art. 45 del D.lgs.165/2001 in sede di contrattazione integrativa; da ultimo, si vedano gli artt. 6 e 88  dell’Accordo 29 novembre 2007 (Contratto collettivo nazionale di lavoro relativo al personale del Comparto scuola per il quadriennio normativo 2006-2009 e biennio economico 2006-2007). Va ricordato, inoltre, per completezza di informazione che l’art.1, comma 601, della legge finanziaria 2007 (legge 296/2006) ha rafforzato l’autonomia finanziaria delle scuole disponendo la riaggregazione degli stanziamenti di alcune unità previsionali di base dello stato di previsione del Ministero della pubblica istruzione e la diretta assegnazione delle risorse ivi allocate alle istituzioni scolastiche, secondo criteri stabiliti con decreto del Ministro della pubblica istruzione, al quale compete altresì il monitoraggio delle spese da queste ultime effettuate.

[74]   Il recente regolamento di riorganizzazione del ministero della pubblica istruzione (D.P.R. 21 dicembre 2007, n. 260) reca,  da ultimo, la disciplina degli Uffici periferici del ministero (art. 7); si specifica che in ciascun capoluogo di regione ha sede un ufficio scolastico regionale di livello dirigenziale generale costituente un autonomo centro di responsabilità amministrativa, al quale sono assegnate tutte le funzioni già spettanti agli uffici periferici dell'amministrazione della pubblica istruzione; a livello provinciale e/o subprovinciale operano i centri servizi amministrativi, ora denominati Uffici Scolastici Provinciali.

[75]   La Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome (detta anche Conferenza Stato-Regioni) è un organo collegiale disciplinato, da ultimo, dal D.lgs. n. 281/1997.

[76]   Legge 15 luglio 2002, n. 145  Disposizioni per il riordino della dirigenza statale e per favorire lo scambio di esperienze e l'interazione tra pubblico e privato.

[77] Ad esempio, nel verbale della Commissione paritetica per il sistema classificatorio istituita ai sensi dell’art. 9 del CCNL del comparto dei Ministeri stipulato in data 12 giugno 2003, redatto il 18 novembre 2004, nell’ambito del settore relativo alla valorizzazione delle elevate professionalità, la posizione di maggioranza si è pronunciata contro scelte che modificassero gli assetti del sistema classificatorio, al contrario della posizione di minoranza che invece individuava la soluzione alla questione rappresentata nell’attuazione dell’area della vicedirigenza.

Da ultimo, nel contratto collettivo quadro per la definizione dei comparti di contrattazione per il quadriennio 2006-2009, dell’11 giugno 2007, è stato dichiarato a verbale il dissenso per  “il mancato recepimento della norma che istituisce la vicedirigenza che ha aperto la strada alla possibile disapplicazione della norma che produce un danno ai colleghi che già sono in possesso dei requisiti nonché a tutti quei colleghi che potrebbero accedervi successivamente nel corso della loro carriera”.

[78]   Scuola dell'infanzia, scuola primaria e la scuola secondaria di primo e di secondo grado.

[79]   R.D. 9 dicembre 1926, n. 2480, Regolamento per i concorsi a cattedre nei regi istituti medi d'istruzione e per le abilitazioni all'esercizio professionale dell'insegnamento medio. 

[80]   L’art. 71 del R.D. 27 gennaio 1933, n. 153, Approvazione del regolamento per i concorsi ai posti di direttore, insegnante ed istruttore pratico nelle Regie scuole e nei Regi corsi secondari di avviamento professionale,  reca analoghe disposizioni per i docenti delle scuole di avviamento professionale.

[81]   Si ricorda, peraltro, che l’albo regionale era previsto anche dall’art. 5 del D.lgs. 17 ottobre 2005, n. 227  (recante norme generali in materia di formazione degli insegnanti), poi abrogato dall’art. 2, comma 416, della legge finanziaria 2008. Da informazioni acquisite presso il Ministero dell’istruzione, università e ricerca  risulterebbe, comunque, che le previsioni normative concernenti l’albo non abbiano trovato compiuta applicazione.

[82]   C. Gessa, P. Tacchi, “Albi di esercenti professioni ed attività economiche” voce dell’ Enciclopedia giuridica , 1989.

[83] Accreditamento dei soggetti che offrono formazione per il personale della scuola e riconoscimento delle associazioni professionali e delle associazioni professionali collegate a comunità scientifiche quali soggetti qualificati per attività di formazione.

[84]   Le organizzazioni professionali si distinguono in ordini e in collegi - in gran parte vigilati dal Ministero della giustizia - a seconda che, per l'esercizio della professione, occorra avere conseguito una laurea o un diploma universitario ovvero un diploma di istruzione secondaria di secondo grado; peraltro tale distinzione vale come principio, sussistendovi rilevanti deroghe.

[85]   Ingegnere, architetto,  chimico, professionista in economia e commercio, attuario, agronomo,  ragioniere,  geometra,  perito agrario e perito industriale.

[86]   Norme sui Consigli degli ordini e collegi e sulle Commissioni centrali professionali.

[87]   Gli ordini locali svolgono numerose funzioni. In particolare, attraverso il consiglio, gli ordini esercitano compiti: di vigilanza sull'esercizio professionale e sul rispetto delle norme deontologiche, e conseguentemente disciplinari, caratterizzate dall'applicazione di sanzioni graduate; di tenuta degli albi professionali; tributarie, determinando - nei limiti posti dal Consiglio nazionale - e riscuotendo i contributi e le tasse a carico degli iscritti, finalizzati alla copertura delle spese; di espressione di parere in ordine alle controversie sulla liquidazione degli onorari.

L'organo nazionale di ogni ordine è il Consiglio nazionale, cui sono attribuiti compiti: di vigilanza e di coordinamento dell'attività dei consigli locali; di formazione professionale e di elaborazione della deontologia professionale; di vigilanza sull'esercizio della professione e di decisione sui ricorsi elettorali e avverso le pronunzie (in materia,disciplinare, di iscrizione e cancellazione dagli albi) dei consigli locali;; di determinazione delle tariffe professionali, da approvarsi dal ministro vigilante. Il Consiglio svolge inoltre funzioni di consulenza, su richiesta del ministro vigilante, su schemi di provvedimenti normativi riguardanti la professione o su provvedimenti di scioglimento degli organi locali; designa i rappresentanti dell'ordine presso enti, commissioni e pubbliche amministrazioni; predispone regolamenti interni di procedura da approvarsi a cura del ministro vigilante.

[88]   Il recente regolamento di riorganizzazione del ministero della pubblica istruzione (D.P.R. 21 dicembre 2007, n. 260) reca, da ultimo, la disciplina degli Uffici periferici del ministero (art. 7); si specifica che in ciascun capoluogo di regione ha sede un ufficio scolastico regionale di livello dirigenziale generale costituente un autonomo centro di responsabilità amministrativa, al quale sono assegnate tutte le funzioni già spettanti agli uffici periferici dell'amministrazione della pubblica istruzione; a livello provinciale e/o subprovinciale operano i centri servizi amministrativi, ora denominati Uffici Scolastici Provinciali.

[89]   Oltre alle associazioni sindacali richiamate possono comunque presentare liste per l'elezione delle RSU anche altre organizzazioni sindacali, purché costituite in associazione con proprio statuto e aderenti al medesimo Accordo.