Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione
(Versione per stampa)
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento bilancio | ||
Altri Autori: | Servizio Bilancio dello Stato , Ufficio Rapporti con l'Unione Europea | ||
Titolo: | Analisi annuale della crescita 2012 | ||
Serie: | Documentazione e ricerche Numero: 316 | ||
Data: | 31/01/2012 | ||
Descrittori: |
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Organi della Camera: |
V-Bilancio, Tesoro e programmazione
XIV - Politiche dell'Unione europea |
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Camera dei deputati |
XVI LEGISLATURA |
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Documentazione e ricerche |
Analisi annuale della crescita 2012 |
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n. 316 |
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31 gennaio 2012 |
Servizi responsabili: |
Servizio Studi – Area finanza pubblica ( 066760-9496 * st_finanze@camera.it
Servizio Bilancio dello
Stato ( 066760-2174 / 066760-9455 – * bs_segreteria@camera.it
Segreteria Generale – Ufficio Rapporti con l’Unione europea ( 066760-2145 – * cdrue@camera.it |
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§ I capitoli sul Semestre europeo e sull’attuazione di Europa 2020 sono stati curati dall’Ufficio rapporti con l'Unione europea, che ha altresì redatto negli altri capitoli le parti attinenti ai contenuti dell’analisi della crescita. § La parte relativa ai profili macroeconomici, nonché i paragrafi relativi alla gestione del debito pubblico ed alla spesa per pensioni in Italia, sono stati redatti dal Servizio Bilancio dello Stato. § I capitoli di approfondimento settoriale sono stati redatti dal Servizio Studi. |
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I dossier dei servizi e degli uffici della Camera sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge. |
File: BI0480.doc |
INDICE
Premessa........................................................................................................... 1
Il semestre europeo e la nuova governance economica............................ 3
§ L’Analisi annuale della crescita...................................................................... 3
§ La disciplina del semestre europeo............................................................... 6
§ Il nuovo quadro di governance economica dell’UE........................................ 9
Quadro macroeconomico e di finanza pubblica......................................... 13
§ Le previsioni di crescita e gli squilibri macroeconomici............................... 13
§ Le finanze pubbliche..................................................................................... 18
§ Le riforme strutturali volte a sostenere la crescita e a correggere gli squilibri macroeconomici 23
Politiche fiscali a sostegno della crescita................................................... 33
§ Consolidamento delle finanze pubbliche...................................................... 33
- Riscossione, tax compliance e lotta all’evasione fiscale........................ 34
- Il gruppo di lavoro sull’erosione fiscale.................................................... 36
§ Redistribuzione del carico fiscale................................................................ 38
- Le recenti tendenze del tax design in Italia.............................................. 38
§ Ruolo del semestre europeo e scambio di migliori pratiche........................ 45
§ Coordinamento fiscale e normativa UE....................................................... 47
Controllo e gestione del bilancio per il sostegno alla crescita................ 51
§ I contenuti dell’analisi della crescita............................................................. 51
§ I decreti-legge di manovra............................................................................ 54
§ Il pareggio di bilancio in Costituzione........................................................... 55
§ Il controllo della spesa pubblica.................................................................... 56
§ Sostegno del bilancio della UE alla crescita................................................ 65
§ Project bond................................................................................................. 68
§ Lotta contro i ritardi dei pagamenti della P.A................................................ 69
Sistema creditizio e mercati finanziari......................................................... 73
§ Rafforzamento della patrimonializzazione delle banche............................. 73
§ Accesso delle banche ai finanziamenti........................................................ 78
§ Creazione di un regime specifico per le PMI................................................ 81
§ Collaborazione con la Banca europea per gli investimenti.......................... 82
§ Nuova disciplina del venture capital............................................................. 83
§ Nuovo quadro normativo per i mercati finanziari.......................................... 85
§ Le tensioni sui mercati finanziari in Italia...................................................... 88
§ La gestione del debito pubblico in Italia........................................................ 93
Mercato unico................................................................................................. 97
§ I contenuti dell’analisi della crescita............................................................. 97
§ La direttiva “servizi”.................................................................................... 101
§ Il commercio estero.................................................................................... 102
§ Tecnologie abilitanti fondamentali.............................................................. 103
§ Appalti pubblici............................................................................................ 103
Mercato ed economia digitale..................................................................... 107
§ I contenuti dell’analisi della crescita........................................................... 107
§ La situazione in Italia.................................................................................. 110
Dimensione esterna della crescita............................................................. 113
§ I contenuti dell’analisi della crescita........................................................... 113
§ Piccole medie e micro imprese................................................................. 115
§ Il commercio estero.................................................................................... 116
Mercato del lavoro, istruzione e formazione............................................ 119
§ I contenuti dell’analisi della crescita........................................................... 119
§ Mercato del lavoro...................................................................................... 122
§ Green economy.......................................................................................... 127
§ Ricerca e sviluppo...................................................................................... 128
§ Istruzione e formazione.............................................................................. 129
Pensioni......................................................................................................... 135
§ I contenuti dell’analisi della crescita........................................................... 135
§ Adeguamento dei requisiti per il pensionamento alla speranza di vita...... 136
§ Innalzamento dell’età pensionabile............................................................. 137
§ Tendenza della spesa pubblica per pensioni in Italia................................. 138
Misure sociali................................................................................................ 141
§ I contenuti dell’analisi della crescita........................................................... 141
§ Misure di contrasto alla povertà e di promozione dell’inclusione sociale... 143
Modernizzazione della P.A.......................................................................... 145
§ I contenuti dell’analisi della crescita........................................................... 145
§ Semplificazione dei rapporti con la pubblica amministrazione.................. 147
§ Semplificazione dei rapporti con le imprese.............................................. 149
§ Sistema di valutazione delle strutture pubbliche........................................ 150
§ Informatizzazione della pubblica amministrazione.................................... 151
§ Migliorare l’efficienza della giustizia civile................................................... 152
L’attuazione della strategia "Europa 2020”.............................................. 155
Il presente dossier espone ed analizza i contenuti dell’ “Analisi annuale della crescita per il 2012”, presentatadalla Commissione Europea il 23 novembre 2011, con la quale è stato avviata la procedura annuale del "semestre europeo" per il coordinamento ex ante delle politiche economiche degli stati membri dell'UE.
A tale scopo il dossier riporta per ciascuno dei settori di intervento identificati dall’Analisi medesima e dai documenti ad essa allegati (concernenti il quadro macroeconomico, l’attuazione della strategia Europa 2020, l’occupazione e le politiche fiscali per la crescita):
§ gli obiettivi e le iniziative proposte dalla Commissione europea e le eventuali misure già all'esame delle Istituzioni dell'UE;
§ un'analisi della situazione italiana, con particolare riguardo ai provvedimenti già adottati o in corso di esame presso le Camere.
Due specifici capitoli, infine, posti rispettivamente all’inizio ed in chiusura del dossier, sono dedicati:
§ il primo alla disciplina del semestre europeo e alla nuova governance economica europea, con particolare riferimento alla recente dichiarazione sulla crescita approvata dai Capi di stato e di governo dell'area euro il 30 gennaio 2012;
§ il secondo allo stato di attuazione della Strategia Europa 2020.
L’analisi annuale della crescita, oggetto del presente dossier, è stata presentata dalla Commissione europea il 23 novembre 2011 e segna l’avvio, per la seconda volta, del semestre europeo per il coordinamento ex ante delle politiche economiche.
L’analisi annuale della crescita si compone di cinque parti:
§ una parte generale recante l’indicazione delle azioni ritenute prioritarie per l’economia europea;
§ una relazione sui progressi compiuti per quanto riguarda la strategia per la crescita e l’occupazione UE 2020 (allegato I);
§ una relazione macroeconomica, che illustra le prospettive macroeconomiche e indica le misure più atte a produrre effetti positivi favorevoli alla crescita (allegato II);
§ il progetto di relazione comune sull'occupazione, che esamina la situazione occupazionale e le politiche connesse al mercato del lavoro (allegato III);
§ una comunicazione sulle politiche fiscali più favorevoli alla crescita negli Stati membri e un miglior coordinamento fiscale nell’UE (allegato IV);
I successivi passaggi del semestre europeo prevedono che il Consiglio europeo dell’1-2 marzo 2012 individui le priorità per ciascuno degli Stati membri in materia di riforme strutturali e di risanamento di bilancio, nonché quelle per l’Unione europea nei suoi settori di competenza diretta, in particolare il mercato interno.
Le decisioni del Consiglio europeo di marzo saranno oggetto di esame preliminare in seno all’Eurogruppo e al Consiglio Ecofin che di svolgeranno il 14 e 15 marzo.
In coerenza con gli orientamenti delineati dal Consiglio europeo di marzo, gli Stati membri presenteranno entro aprile, contestualmente, i programmi nazionali di riforma e i programmi di stabilità o di convergenza.
Alle azioni per il rilancio della crescita in Europa è stata dedicata una specifica dichiarazione approvata, ai margini della riunione straordinaria del Consiglio europeo del 30 gennaio 2012, dai Capi di stato e di governo dei Paesi membri dell’UE. La dichiarazione “Verso un risanamento favorevole alla crescita e una crescita favorevole alla creazione di posti di lavoro” conferma, integrandoli parzialmente, gli obiettivi e le misure prospettate dall’analisi annuale per la crescita e sembra, pertanto, prefigurare il contenuto delle priorità che saranno definite dal Consiglio europeo dell’1-2 marzo. La dichiarazione rileva, in via preliminare, che per tornare a un livello più elevato di crescita strutturale occorre abbinare alle misure per la stabilità finanziaria iniziative per modernizzare l’economia e rafforzare la competitività, preservando il modello sociale europeo. A questo scopo nella dichiarazione, i Capi di stato e di governo dell’Area euro concordano che il Consiglio europeo di marzo, nel fornire gli orientamenti sulle politiche economiche e dell’occupazione degli Stati membri (nell’ambito del semestre europeo), dovrebbe porre in particolare l’accento sul pieno sfruttamento del potenziale di crescita eco-sostenibile e sull’accelerazione delle riforme strutturali. L’azione congiunta dei Paesi membri e dell’UE dovrebbe concentrarsi prevalentemente nei seguenti tre settori: 1. Stimolare l’occupazione, soprattutto per i giovani, riformando i mercati del lavoro e affrontare il costo del lavoro in relazione alla produttività. Ciascuno Stato membro indicherà, nel programma nazionale di riforma (PNR), le misure concrete che adotterà per affrontare tali questioni ("piani nazionali per l'occupazione"), la cui attuazione sarà soggetta a un monitoraggio rafforzato, nel quadro del semestre europeo. La dichiarazione sottolinea che le misure volte a tagliare i costi indiretti del lavoro, come la riduzione del cuneo fiscale, possono avere un forte impatto sulla domanda di manodopera concernente lavoratori poco qualificati e giovani. Con riferimento al problema specifico della disoccupazione giovanile, la dichiarazione sottolinea la necessità, a livello nazionale, di: § intensificare gli sforzi per promuovere la prima esperienza lavorativa dei giovani: l'obiettivo dovrebbe essere che entro alcuni mesi dal completamento del percorso scolastico i giovani ricevano un'offerta qualitativamente buona di occupazione, proseguimento degli studi, apprendistato o tirocinio; § sfruttare appieno il portale della mobilità professionale EURES per facilitare collocamenti transfrontalieri di giovani; § aprire ulteriormente i settori protetti attraverso l'eliminazione di restrizioni ingiustificate ai servizi professionali e al settore del commercio al dettaglio. L'UE sosterrà tali sforzi: § riorientando i fondi UE disponibili offrendo ai giovani un sostegno per entrare nel mondo del lavoro o intraprendere una formazione; § accrescendo la mobilità degli studenti attraverso un notevole aumento del numero di collocamenti presso imprese nell'ambito del programma Leonardo da Vinci; § utilizzando il Fondo sociale europeo (FSE) per sostenere la creazione di programmi analoghi all'apprendistato nonché regimi di sostegno per i giovani neoimprenditori e gli imprenditori sociali; § accrescendo la mobilità transfrontaliera della forza lavoro, attraverso la revisione delle norme UE in materia di reciproco riconoscimento delle qualifiche professionali, ivi compresi la carta professionale europea e il passaporto europeo delle competenze, l'ulteriore potenziamento di EURES e la realizzazione di progressi sull'acquisizione e la salvaguardia dei diritti a pensione complementare dei lavoratori migranti. Per approfondire questa parte si veda il capitolo “Mercato del lavoro, istruzione e formazione”. 2. Completare il mercato unico mediante: § l’approvazione entro la fine di giugno del pacchetto di proposte sulla normalizzazione europea[1] (COM(2011)315), della nuova normativa in materia di appalti pubblici[2] e di obblighi di rendicontazione contabile delle imprese[3]; § la rapida attuazione del piano d'azione della Commissione sul commercio elettronico[4], la presentazione di una nuova proposta sulla firma elettronica entro giugno 2012 e un accordo sulle norme in materia di risoluzione delle controversie online[5] e sul roaming[6] entro giugno 2012; § la modernizzazione del regime europeo di proprietà intellettuale, per sfruttare appieno il potenziale dell'economia digitale, contrastando con maggior efficacia la pirateria e tenendo conto della diversità culturale; § progressi nelle discussioni strutturate sul coordinamento delle questioni di politica fiscale e sulla prevenzione di pratiche fiscali dannose nel contesto del Patto euro plus. Gli Stati membri si impegnano inoltre a raggiungere entro giugno 2012 un accordo definitivo sulla proposta di regolamento per l’istituzione di una tutela brevettuale unitaria[7] e sull’abbinata proposta di regolamento in relazione al regime di traduzione applicabile al brevetto[8], entrambe adottate nell’ambito di una cooperazione rafforzata tra 25 Stati membri (v. infra). Prima del Consiglio europeo di giugno 2012 il Consiglio dell’UE valuterà i progressi compiuti nell'attuazione della legislazione sul mercato unico in base al quadro di valutazione della Commissione, che riferirà in giugno anche sui possibili modi per rafforzare l'attuazione della legislazione sul mercato unico e migliorarne l'applicazione. Per approfondire questa parte si veda il capitolo “Mercato unico”. Incrementare il finanziamento dell'economia, in particolare delle PMI La dichiarazione sottolinea che le autorità di vigilanza nazionali e l’Autorità bancaria europea (European banking authority, EBA) devono garantire che la ricapitalizzazione delle banche non comporti una riduzione della leva finanziaria, che avrebbe effetti negativi per il finanziamento dell'economia, assicurando nel contempo un'applicazione rigorosa da parte di tutte le banche della legislazione dell'UE che limita i bonus. Per quanto concerne il sostegno alle PMI, “spina dorsale” dell’economia europea, si concorda di attuare entro giugno le seguenti misure urgenti: § mobilitare meglio i fondi strutturali, accelerando l'attuazione dei programmi e progetti esistenti, se del caso riprogrammando fondi e impegnando rapidamente i fondi non ancora assegnati a progetti specifici; § rafforzare il sostegno della Banca europea per gli investimenti (BEI) alle PMI e all'infrastruttura; si invitano il Consiglio, la Commissione e la BEI a valutare anche le possibilità per il bilancio UE di moltiplicare la capacità di finanziamento del gruppo BEI; § esaminare celermente le proposte della Commissione su una fase pilota per l'utilizzo dei project bond al fine di stimolare il finanziamento privato dei principali progetti infrastrutturali; § garantire un migliore accesso al capitale di rischio in tutta Europa concordando il passaporto UE entro giugno[9]; § promuovere il ruolo dello strumento Progress di microfinanza a sostegno delle microimprese[10]; § rinnovare gli sforzi per migliorare il contesto in cui operano le PMI, in particolare per quanto riguarda la riduzione degli oneri amministrativi e normativi ingiustificati. Per approfondire questa parte si veda il capitolo “Sistema creditizio e mercati finanziari”. |
Il nuovo testo del regolamento (CE) n. 1466/97, come modificato dal regolamento (UE) n. 1175/2011[11], introduce, una apposita disciplina del semestre europeo per il coordinamento ex ante delle politiche economiche degli Stati membri.
Il “semestre europeo” ha trovato prima applicazione nel 2011 in base alla procedura così articolata:
§ gennaio: presentazione da parte della Commissione dell’indagine annuale sulla crescita (per il 2012, su richiesta del Consigli europeo, la presentazione è stata anticipata a fine novembre 2012);
§ febbraio/marzo: il Consiglio europeo elabora le linee guida di politica economica e di bilancio a livello UE e a livello di Stati membri;
§ metà aprile: gli Stati membri sottopongono contestualmente i Piani nazionali di riforma (PNR, elaborati nell’ambito della nuova Strategia per la crescita e l’occupazione UE 2020) ed i Piani di stabilità e convergenza (PSC, elaborati nell’ambito del Patto di stabilità e crescita), tenendo conto delle linee guida dettate dal Consiglio europeo;
§ inizio giugno: sulla base dei PNR e dei PSC, la Commissione europea elabora le raccomandazioni di politica economica e di bilancio rivolte ai singoli Stati membri (per l’anno 2011, le raccomandazioni della Commissione sono state pubblicate il 20 giugno 2011);
§ giugno: il Consiglio ECOFIN e, per la parte che gli compete, il Consiglio Occupazione e affari sociali, approvano le raccomandazioni della Commissione europea, anche sulla base degli orientamenti espressi dal Consiglio europeo di giugno (per il 2011, le raccomandazioni sono state adottate dal Consiglio dell’UE il 12 luglio 2011);
§ seconda metà dell’anno: gli Stati membri approvano le rispettive leggi di bilancio, tenendo conto delle raccomandazioni ricevute. Nell’indagine annuale sulla crescita dell’anno successivo, la Commissione dà conto dei progressi conseguiti dai Paesi membri nell’attuazione delle raccomandazioni stesse.
Il citato regolamento riconduce al semestre europeo, pur non indicando la precisa cadenza temporale stabilita dal Consiglio (ad eccezione dei termini di presentazione dei programmi di stabilità), gli strumenti di coordinamento e sorveglianza multilaterale sulle politiche economiche previsti dal Trattato sul funzionamento dell’UE (peraltro già stati utilizzati a tale scopo nell’ambito del primo semestre europeo):
§ l'elaborazione e il controllo di attuazione degli indirizzi di massima per le politiche economiche degli Stati membri e dell'Unione in conformità dell'articolo 121, paragrafo 2, del Trattato sul funzionamento dell’UE[12] (TFUE);
§ la formulazione e l'esame dell'attuazione degli orientamenti per le politiche in materia di occupazione di cui gli Stati membri devono tenere conto in conformità dell'articolo 148, paragrafo 2, del TFUE[13];
§ la presentazione (il cui termine viene fissato al 30 aprile) e la valutazione dei programmi di stabilità o di convergenza degli Stati membri;
§ la presentazione e la valutazione dei programmi nazionali di riforma degli Stati membri a supporto della strategia dell'Unione per la crescita e l'occupazione, definiti in base alle linee guida di cui alle precedenti lettere a) e b) e alle indicazioni generali fornite agli Stati membri dalla Commissione e dal Consiglio europeo all'inizio del ciclo annuale di sorveglianza;
§ la sorveglianza di bilancio volta a prevenire e correggere gli squilibri macroeconomici eccessivi.
Il regolamento stabilisce che nel corso del semestre:
gli Stati membri tengono debitamente conto delle indicazioni loro rivolte dal Consiglio nello sviluppare le proprie politiche economiche, occupazionali e di bilancio e prima di adottare decisioni aventi una notevole incidenza sui propri bilanci per gli anni successivi;
la mancata adozione da parte di uno Stato di interventi conformi alle indicazioni ricevute dal Consiglio, secondo gli strumenti sopra indicati, può dar luogo a:
- ulteriori raccomandazioni ad adottare misure specifiche;
- un avvertimento della Commissione ai sensi dell’ articolo 121, paragrafo 4, del TFUE[14];
- misure sulla prevenzione e la correzione dei disavanzi o degli squilibri macroeconomici (previste dagli appositi regolamenti inclusi nel cosiddetto six pack[15]), quando ne ricorrano le condizioni.
Anche negli altri regolamenti contenuti nel pacchetto in esame sono contenute disposizioni espressamente o implicitamente riconducibili all’attuazione del semestre europeo.
L'attuazione delle misure previste nell’ambito del semestre è soggetta ad un monitoraggio costante da parte della Commissione, anche attraverso missioni di sorveglianza negli Stati membri (analoga previsione è introdotta per la prevenzione e correzione dei disavanzi eccessivi e degli squilibri eccessivi).
Il nuovo testo regolamento stabilisce l’associazione del Parlamento europeo al semestre mediante il c.d. “dialogo economico” con il Consiglio e la Commissione.
Il preambolo del regolamentosottolinea inoltre l’esigenza che, compatibilmente con gli ordinamenti giuridici e politici dei singoli Stati membri, i parlamenti nazionali siano “debitamente coinvolti nel semestre europeo e nella preparazione dei programmi di stabilità, dei programmi di convergenza e dei programmi nazionali di riforma, onde rafforzare la trasparenza, la titolarità e la responsabilità delle decisioni prese”.
Il semestre europeo costituisce uno dei pilastri del nuovo sistema di governance economica dell’UE, che peraltro è ancora in corso di definizione.
Il nuovo sistema si articola in sei principali assi di intervento:
1) il semestre europeo;
2) una più rigorosa applicazione del Patto di stabilità e crescita, per effetto di tre regolamenti approvati in via definitiva nel novembre 2011 (nell’abito di un pacchetto complessivo di sei atti legislativi già richiamati). In particolare, si stabilisce:
§ l’obbligo per gli Stati membri di convergere verso l'obiettivo il pareggio di bilancio con un miglioramento annuale dei saldi pari ad almeno lo 0,5%;
§ l’obbligo per i Paesi il cui debito supera il 60% del PIL di adottare misure per ridurlo ad un ritmo soddisfacente, nella misura di almeno 1/20 della eccedenza rispetto alla soglia del 60%, calcolata nel corso degli ultimi tre anni. Nel caso dell’Italia, che ha un rapporto debito/PIL di circa il 120%, l’applicazione della nuova regola richiederà una riduzione annua del debito in misura pari al 3% del PIL (circa 46 miliardi di euro);
§ un semi-automatismo delle procedure per l’irrogazione delle sanzioni per i Paesi che violano le regole del Patto. Le sanzioni sono infatti sono raccomandate dalla Commissione e si considerano approvate dal Consiglio a meno che esso non la respinga con voto a maggioranza qualificata ("maggioranza inversa") degli Stati dell'area euro (non si tiene conto del voto dello Stato interessato);
Nella mozione 1-00800 approvata dalla Camera il 25 gennaio 2012, si impegna il Governo, tra le altre cose ad assicurare la continuità fra le misure adottate in materia di «six pack» ed il nuovo trattato[16], in particolare per quanto riguarda gli obblighi di riduzione del debito eccessivo che devono tener conto dell'andamento del ciclo economico, e di altri fattori tra cui l'ammontare del debito pensionistico e del livello dell’indebitamento privato.
Nella mozione 1-00822, anch’essa approvata nella medesima seduta, si chiede altresì l'esclusione dal computo, ai fini della determinazione dei parametri per il rispetto dei Trattati europei, di alcune fattispecie di investimenti concordate in sede europea.
3) l’introduzione, mediante appositi regolamenti, di una sorveglianza sugli squilibri macroeconomici (definiti come ogni tendenza che possa determinare sviluppi negativi sul corretto funzionamento dell'economia di uno Stato, dell'Unione economica e monetaria o dell'intera Unione) che include anch’essa meccanismi di allerta e di sanzione;
4) la fissazione di requisiti comuni per i quadri nazionali di bilancio. In particolare ogni Stato dovrà: introdurre regole di bilancio e parametri numerici che recepiscano i valori di riferimento previsti a livello europeo e una pianificazione di bilancio pluriennale (almeno triennale), assegnando chiaramente le responsabilità di bilancio tra i diversi livelli di governo e stabilendo adeguate procedure di controllo;
5) il Patto “europlus”, approvato dal Capi di Stato o di governo della zona euro nella riunione dell’11 marzo 2011, che impegna gli Stati membri dell’area euro e alcuni altri Stati aderenti a porre in essere ulteriori interventi in materia di politica economica, quali:
§ assicurare un'evoluzione dei costi in linea con la produttività, riesaminando gli accordi salariali e laddove necessario, il grado di accentramento del processo negoziale e i meccanismi d'indicizzazione e garantendo che gli accordi salariali del comparto pubblico corrispondano allo sforzo di competitività del settore privato;
§ incrementare la produttività, mediante l'ulteriore apertura dei servizi professionali e del commercio al dettaglio, il miglioramento dei sistemi di istruzione e la promozione della ricerca e dello sviluppo, l'innovazione e le infrastrutture, l’eliminazione degli oneri amministrativi e il miglioramento del quadro normativo per le PMI;
§ riforme del mercato del lavoro per promuovere la "flessicurezza", ridurre il lavoro sommerso e aumentare la partecipazione al mercato del lavoro e l’apprendimento permanente e la riduzione dell'imposizione sul lavoro;
§ la sostenibilità di pensioni, assistenza sanitaria e prestazioni sociali, ad esempio allineando l'età pensionabile all’effettiva alla speranza di vita, limitando i regimi di pensionamento anticipato e ricorrendo ad incentivi mirati per assumere lavoratori anziani (fascia superiore ai 55 anni);
§ il recepimento nelle Costituzioni o nella legislazione nazionale delle regole del Patto di stabilità e crescita (al riguardo il Governo ha presentato un disegno di legge costituzionale per la riforma dell’articolo 81 della Costituzione al fine di recepire la regola del pareggio di bilancio, approvato in prima lettura alla Camera e al Senato);
§ il coordinamento delle politiche fiscali nazionali, anche nel settore delle imposte dirette, in particolare sulle società.
6) l’istituzione di un fondo per la stabilizzazione dell’area euro, per il triennio 2020-2012, concordato dai Capi di Stato e di Governo dell’area euro nel maggio 2010 e oggetto di numerose modifiche. Il fondo, denominato Fondo europeo di stabilità finanziaria (European financial stability facility, EFSF) opera avvalendosi delle garanzie degli Stati membri e dovrebbe essere affiancato e/o sostituito, già nel corso del 2012, dal meccanismo permanente per la stabilità della zona euro (European stability mechanism, ESM), previsto da una modifica dell’articolo 136 del Trattato sul funzionamento dell’UE, adottata dal Consiglio europeo del 24-25 marzo 2011 e in via di approvazione da parte di ciascuno Stato membro secondo le rispettive norme costituzionali. Peraltro, mentre alcuni Stati sostengono che il EFSF dovrebbe continuare ad operare fino all’esaurimento delle sue risorse, altri ritengono che dovrebbe cessare dalle sue funzioni nel momento in cui entrerà in funzione l’ESM.
Una prima versione del trattato che istituisce il meccanismo europeo di stabilità (MES) era stata concordata dai Capi di stato e di governo dell’area euro nel maggio 2011, facendo seguito alla adozione della richiamata modifica dell’art. 136 del TFUE, ed aperta alla ratifica o approvazione da parte degli Stati membri.
A seguito della crisi del debito sovrano che ha investito ulteriori Paesi dell’area euro, si è reso necessario apportare alcune modifiche al Trattato, concordate dai Capi di stato e di governo dell’eurozona. a margine del Consiglio europeo del 30 dicembre 2012.
Nella comunicazione adottata dai Capi di stato e di governo si indica che il nuovo trattato relativo al MES è pronto per la firma e l’obiettivo è che entri in vigore a luglio 2012.
Il MES sarebbe costituito quale organizzazione intergovernativa nel quadro del diritto pubblico internazionale con sede in Lussemburgo.
L'accesso all'assistenza finanziaria del MES sarebbe offerto sulla base di una rigorosa condizionalità politica nell'ambito di un programma di aggiustamento macroeconomico e di un'analisi scrupolosa della sostenibilità del debito pubblico effettuata dalla Commissione insieme al Fondo monetario internazionale (FMI) e di concerto con la Banca centrale europea (BCE). Lo Stato membro beneficiario sarà tenuto a realizzare una forma adeguata di partecipazione del settore privato in funzione delle circostanze specifiche e secondo modalità pienamente conformi alle prassi dell'FMI:
§ il MES avrebbe una capacità effettiva di prestito pari a 500 miliardi di euro. Si cercherà di integrare la capacità di prestito del MES attraverso la partecipazione del FMI alle operazioni di assistenza finanziaria, mentre gli Stati membri che non fanno parte della zona euro potranno anche partecipare su una base ad hoc;
Nella citata comunicazione dei Capi di Stato e di governo dell’eurozona del 30 gennaio si sottolinea che il tema dell’adeguatezza delle risorse del EMS verrà nuovamente valutato nella riunione del Consiglio europeo di marzo 2012;
§ il MES avrebbe un capitale sottoscritto totale di 700 miliardi di euro. La ripartizione dei contributi di ciascuno Stato membro al capitale sottoscritto totale del MES sarà basata sulla partecipazione al capitale versato della BCE. Gli Stati membri, ratificando il trattato istitutivo del MES, si impegnano giuridicamente a fornire un contributo al capitale sottoscritto totale;
A tale proposito, si riporta di seguito la tabella relativa alle percentuali di sottoscrizione del capitale della BCE da parte delle Banche centrali nazionali:
Banche centrali |
capitale sottoscritto in % |
Banque Nationale de Belgique (Belgio) |
2,42% |
Deutsche Bundesbank (Germania) |
18,93% |
Eesti Pank (Estonia) |
0,17% |
Central Bank of Ireland (Irlanda) |
1,11% |
Banca di Grecia |
1,96% |
Banco de España (Spagna) |
8,3% |
Banque de France (Francia) |
14,22% |
Banca d’Italia |
12,49% |
Banca centrale di Cipro |
0,13% |
Banque centrale du Luxembourg (Lussemburgo) |
0,17% |
Central Bank of Malta |
0,06% |
De Nederlandsche Bank (Paesi Bassi) |
3,98% |
Oesterreichische Nationalbank (Austria) |
1,94% |
Banco de Portugal (Portogallo) |
1,75% |
Banka Slovenije (Slovenia) |
0,32% |
Národná banka Slovenska (Slovacchia) |
0,69% |
Suomen Pankki (Finlandia) |
1,25% |
Il MES potrà finanziare la ricapitalizzazione degli istituti finanziari mediante prestiti ai governi, anche nei Paesi che non partecipano al programma, nonché intervenire sui mercati secondari in base a un'analisi della BCE che riconosca l'esistenza di circostanze eccezionali sui mercati finanziari e rischi per la stabilità finanziaria.
Nella citata mozione 1-00800 si chiede l'aumento delle risorse del Fondo europeo di stabilità finanziaria; la rapida entrata in funzione dell'European stability mechanism (Esm), migliorato quanto a modalità di azione e a quantità di risorse.
La crisi del debito sovrano che si è manifestata in alcuni paesi, il rialzo dei tassi di interesse e la fragilità del settore bancario hanno influito negativamente sulle aspettative degli operatori e sulle prospettive di crescita, che resta sotto tono.
Al contempo, gli elevati deficit e debiti accumulati in seguito al prolungarsi della crisi e, per alcuni paesi l’elevato costo del ricorso al mercato, non consentono, ad avviso della Commissione, di adottare misure espansive. In tale contesto, il necessario consolidamento fiscale deve essere portato avanti in modo tale da non deprimere ulteriormente la crescita: esso deve quindi essere accompagnato da misure strutturali che aumentino l’efficienza complessiva dell’economia europea e ne migliorino la capacità di adattamento alle nuove sfide imposte dalla globalizzazione dei mercati.
Di seguito si ripercorrono i punti principali della Relazione, integrando l’analisi della Commissione con elementi informativi volti ad evidenziare la posizione dell’Italia rispetto agli altri Paesi UE.
La Relazione sottolinea come nel periodo immediatamente successivo alla crisi del 2008-2009 la crescita dell’economia europea sia restata sotto tono, con effetti negativi sull’occupazione. Più penalizzati risultano i paesi (come Grecia, Portogallo, Spagna e Italia) che, presentando deficit di bilancio elevati, hanno dovuto adottare misure più pesanti di consolidamento fiscale che si sono riflesse sulla crescita.
In aggiunta ai tagli alla spesa pubblica che incidono direttamente sulla domanda aggregata, l’aumento della pressione fiscale ha contribuito a ridurre il reddito disponibile, deprimendo i consumi. Su questi incide parimenti il negativo andamento, effettivo e atteso, dell’occupazione. Le prospettive non favorevoli circa l’andamento dell’economia, la presenza di ampi margini di capacità inutilizzati e gli elevati livelli di scorte, insieme al costo elevato di ricorso all’indebitamento (e, in alcuni casi, una vera e propria difficoltà di raccolta) non hanno, d’altro canto, incentivato la ripresa degli investimenti.
Le tensioni che si sono manifestate, a partire dall’estate del 2011, sui mercati finanziari, hanno portato ad un ulteriore rallentamento delle prospettive di crescita. A livello europeo, per il 2012, è atteso un aumento del PIL pari allo 0,6 per cento in media annua a fronte di un +1,5 per cento nel 2013 che non riesce, tuttavia, a incidere significativamente sul mercato del lavoro: nei due anni la disoccupazione si riduce di appena due decimi di punto (dal 9,8 al 9,6 per cento rispetto al 7,1 per cento del 2008).
I dati aggregati nascondono forti differenze tra i paesi: secondo le previsioni della Commissione[17] mentre la Germania, la Spagna e la Francia crescerebbero sostanzialmente in linea con la media europea (rispettivamente, +0,8%, +0,7% e +0,6% nel 2012, a fronte di +1,5%, +1,4% e +1,4% nel 2013), l’Italia crescerebbe nei due anni dello 0,1% e dello 0,7%, mentre sia la Grecia che il Portogallo conoscerebbero una forte riduzione del PIL nell’anno in corso (rispettivamente, -2,8% e -3%) a fronte di una crescita contenuta nel 2013 (+0,7% e +1,1%).
Diversa è la situazione della disoccupazione, che riflette in alcuni paesi situazioni “più strutturali” che vengono accentuate dalla più o meno rapida uscita dalla crisi e dalla necessità di eventuali ulteriori manovre di contenimento del deficit pubblico: in Germania il tasso di disoccupazione si situa al di sotto della media europea (5,9% nel 2012 e 5,8% nel 2013) e degli stessi valori registrati nel paese prima della crisi (7,5% nel 2008), mentre in Francia poco al di sopra (10% in ciascuno dei due anni). Molto elevato è il tasso di disoccupazione nei paesi che più hanno risentito della crisi e che devono affrontare processi di consolidamento fiscale: per la Grecia si prevede un tasso di disoccupazione che non scende al di sotto del 18,4%, per la Spagna arriva al 20,9 nel 2012 per poi ridursi lievemente (20,3%) nel 2013, mentre in Portogallo è intorno al 13,6-13,7%. Per quanto riguarda l’Italia, la disoccupazione dovrebbe attestarsi intorno all’8,2% nei due anni, inferiore quindi alla media europea ma più elevata 1,5 punti rispetto al livello pre-crisi.
Previsioni più recenti, rispetto a quelle formulate a novembre dalla Commissione, indicano un quadro più sfavorevole sia per l’economia globale che per quella del nostro Paese. In particolare il FMI, a fronte di una caduta del PIL nell’area euro pari allo 0,5% nel 2012, prevede per l’Italia una riduzione del 2,2 per cento nell’anno in corso a fronte di -0,6% nel 2013. Tali stime sono più negative di quelle di Banca d’Italia[18] che, sottolineando la forte incertezza circa l’evoluzione della crisi dei debiti sovrani e dei riflessi sui mercati finanziari, sulla stabilità del settore bancario e sulla capacità di concedere prestiti all’economia, indica due scenari alternativi basati su ipotesi differenti circa l’andamento dei tassi di interesse. Nel caso in cui i rendimenti sui titoli di Stato rimanessero fermi per un biennio sui valori di inizio gennaio (circa 7% per i titoli a lungo termine, segnando un differenziale con il Bund tedesco a 10 anni pari a 500 punti base), il PIL diminuirebbe dell’1,5 % nell’anno in corso a fronte di una crescita nulla nella media del 2013; qualora si arrivasse ad una quantomeno parziale normalizzazione delle condizioni sui mercati finanziari tale da consentire una rapida discesa[19] dei tassi sui titoli di Stato (circa il 5% per i titoli a lungo termine, con uno spread di 300 punti base) e un rientro delle tensioni sul credito, il PIL diminuirebbe dell’1,2% nel 2012 e aumenterebbe dello 0,8% nel 2013. Rispetto a tali scenari, ulteriori rischi al ribasso per l’attività produttiva conseguirebbero da un peggioramento della fiducia nella capacità dei governi europei di affrontare la crisi del debito, mentre un miglioramento delle prospettive di crescita potrebbe derivare da misure strutturali per il rilancio dell’economia italiana, i cui effetti non sono incorporati nelle suddette previsioni.
Secondo la Relazione, il rallentamento dell’economia ha carattere strutturale e si riflette sul PIL potenziale[20], che nei prossimi 10 anni dovrebbe crescere ad un tasso di poco superiore all’1 per cento, inferiore di 1 punto percentuale rispetto alla decade precedente (v. grafico 6[21]).
Tale andamento va inquadrato in una tendenza di lungo periodo, che ha visto l’Europa rimanere indietro in termini di crescita sia nei confronti degli USA che dei Paesi emergenti, la cui intensità di competizione nell’economia mondiale è destinata ad aumentare nei prossimi decenni. Già ora questi paesi competono con successo nelle esportazioni di beni a tecnologia avanzata rispetto ai quali l’Europa godeva tradizionalmente di un vantaggio comparato.
Grafico 6 |
|
Fonte: servizi della Commissione |
Per tali motivi, la Commissione ritiene che il risanamento delle finanze pubbliche debba essere accompagnato da politiche di sostegno alla crescita e di rilancio della competitività, dirette a ridurre gli squilibri macroeconomici sia intra-area che verso i paesi non Ue.
A tale riguardo si ricorda che nel decennio precedente la crisi, l’Europa ha registrato un forte aumento di tali squilibri. In particolare, si è determinata una profonda divergenza nelle condizioni di competitività, e il miglioramento continuo della Germania si è contrapposto al contestuale peggioramento di molti altri paesi, tra cui l’Italia. La divergenza delle posizioni competitive si è riflessa nell’accumulo di squilibri nelle partite correnti, accompagnati da tassi di crescita del PIL più contenuti (v. grafico 1).
Grafico 1 |
|
Fonte: servizi della Commissione |
In Italia, il saldo di parte corrente in quota di PIL è passato da una situazione di sostanziale equilibrio nel 2000 a un disavanzo pari al 2% nel 2009, cresciuto al 3,5% del PIL nel 2010. Il peggioramento nel’ultimo anno riflette quello del saldo merci, largamente attribuibile a due comparti: gli apparecchi elettronici sulle cui importazioni (prevalentemente dalla Germania) ha influito anche l’aumento dei sussidi pubblici al settore, e le materie prime energetiche, il cui deficit è aumentato prevalentemente per il rincaro delle quotazione petrolifere. La dinamica più marcata delle importazioni (beni intermedi e strumentali) rispetto alle esportazioni (prodotti meccanici) ha portato, inoltre, ad un significativo aumento del disavanzi nei confronti della Cina. E’ aumentato, invece, il surplus nei confronti degli USA per effetto di un aumento delle esportazioni che ha riguardato la generalità dei settori[22].
Secondo le ultime stime disponibili, nel 2011 si è manifestata la tendenza alla riduzione del disavanzo di conto corrente, come riflesso del miglioramento del saldo merci e, in misura minore, dei servizi[23].
Più in generale va osservato che l’Italia, a differenza di altri paesi europei come la Germania che sono riusciti recuperare il livello delle esportazioni pre-crisi, si trovava alla fine del 2010 ancora ad un livello di vendite inferiore del 5 per cento. Come rilevato nell’analisi di B.I., la maggiore capacità di espansione verso i mercati esterni all’area euro, in particolare quelli caratterizzati da una più forte dinamica della domanda, spiega il migliore andamento delle esportazioni tedesche dopo la crisi. La quota di esportazione della Germania verso i mercati asiatici è aumentata tra il 2007 e il 2010, mentre l’Italia non ha registrato aumenti significativi.
La Commissione rileva in proposito come, in alcuni dei paesi che hanno dovuto affrontare manovre di bilancio più severe (Grecia, Portogallo, Spagna, Irlanda), la conseguente riduzione dei consumi abbia favorito un più rapido aggiustamento dei conti con l’estero ed in particolare dello squilibrio del partite correnti della bilancia dei pagamenti che, tuttavia, resta elevato. Al tempo stesso, altri paesi hanno visto un’espansione della domanda e una riduzione del loro surplus commerciale (v. grafico 2).
E’ importante sottolineare che, secondo il regolamento (UE)1176/2011, sono considerati espressione di squilibri macroeconomici non solo i disavanzi della bilancia corrente, ove superiori ad una determinata soglia, ma anche i surplus, in quanto sintomo di una domanda interna insufficiente[24].
Grafico 2 |
Fonte: servizi della Commissione |
La divergenza delle posizioni competitive e il deterioramento delle finanze pubbliche sono analizzati congiuntamente dalla Commissione, che identifica i paesi che presentano, al contempo, squilibri macroeconomici e fiscali e che dispongono, quindi, di un minore margine di manovra nell’ambito delle politiche di bilancio e degli interventi a sostegno dell’economia.
Utilizzando come misura la combinazione di deficit pubblico e di disavanzo commerciale con l’estero, nel 2011 quattordici paesi risultano presentare squilibri tanto sul versante fiscale che su quello degli scambi esteri; altri sei paesi presentano uno squilibrio di bilancio (deficit superiore al 3 per cento del PIL); sei paesi non manifestano squilibri.
Al riguardo, si rileva che l’Italia si colloca fra i paesi con squilibri sia di bilancio che di saldo estero. A fronte di un indebitamento netto che, secondo le stime della Commissione[25], dovrebbe essere pari al 4% del PIL nel 2011, il disavanzo del conto corrente della bilancia dei pagamenti è pari al 3,6%. Tale valore si situa al di sotto della soglia (-4% del PIL) proposta dai servizi della Commissione nell’ambito del c.d. meccanismo di allerta precoce previsto dalla procedura di prevenzione e correzione degli squilibri macroeconomici di cui al regolamento (UE)1176/2011 (cfr infra).
Nel corso del 2011 vi è stato un miglioramento complessivo delle posizioni di bilancio: a livello di Unione europea, il deficit è passato dal 6,6 per cento del PIL nel 2010 al 4,7 per cento (v. grafico 9 e tavola 1).
Il debito, tuttavia, dopo essere aumentato di oltre 20 punti in seguito alla crisi finanziaria (dal 59 per cento del PIL nel 2007 all’82,5 per cento nel 2011) resta elevato ed è atteso aumentare nel 2012 (85 per cento) prima di stabilizzarsi su tale livello.
L’aumento osservato rispecchia quello dei deficit di bilancio, aumentati durante la crisi per una molteplicità di fattori: le minori entrate o maggiori spese conseguenti all’operare degli stabilizzatori automatici, le misure discrezionali anticicliche adottate da numerosi Paesi europei secondo quanto previsto dal Piano europeo di ripresa economica approvato dalla Commissione nel dicembre 2008, e gli interventi di salvataggio delle banche. 6
Grafico 9 |
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Fonte: servizi della Commissione |
A fronte dei più elevati deficit che hanno portato ben 23 paesi sotto la procedura di infrazione, gli Stati membri si sono impegnati a risanare le finanze pubbliche, scendendo sotto la soglia del 3 per cento entro il 2013.
Tuttavia, secondo le previsioni “a politiche invariate” formulate nel novembre scorso dalla Commissione (v. tavola 1), in assenza di ulteriori misure 16 paesi presenterebbero nel 2013 un rapporto deficit/PIL al di sopra della soglia del 3 per cento prevista dai vigenti Trattati. Al di là dei paesi per i quali i programmi di assistenza finanziaria prevedono specifici obiettivi di rientro e relative scadenze[26], per i restanti sarebbe necessario adottare manovre correttive tali da consentire una riduzione del disavanzo entro le date indicate nelle rispettive procedure di infrazione[27].
Soltanto due paesi (Finlandia e Svezia), inoltre, presenterebbero alla fine del periodo di previsione (2013) un saldo in termini strutturali in attivo, mentre dei restanti soltanto cinque (Lussemburgo, Germania, Italia, Estonia e Bulgaria) presenterebbero un deficit compreso tra lo 0,5% e l’1% del PIL, come richiesto dai recenti regolamenti comunitari e dalc.d. Patto di bilancio previsto dalla bozza del nuovo Trattato.
Al riguardo si precisa che per quanto riguarda l’Italia, a fronte delle stime della Commissione di un deficit in termini nominali pari a -1,2% del PIL nel 2013, la manovra correttiva (circa 1,3 punti di PIL in ciascun anno) successivamente adottata dovrebbe consentire, secondo il Governo, di raggiungere il pareggio di bilancio nel 2013. In mancanza di dati aggiornati circa l’andamento delle variabili strutturali, non è possibile valutare quali siano i risultati attesi in termini di saldo strutturale.
Oltre al rispetto della soglia del 3% del PIL in termini nominali e allo scopo di lasciare un margine di sicurezza adeguato rispetto ad essa, i regolamenti comunitari prevedono uno obiettivo a medio termine, specifico per ogni Stato membro, calcolato sulla base delle rispettive posizioni di bilancio. Secondo quanto previsto dai regolamenti recentemente approvati[28], si richiede un saldo strutturale (corretto per il ciclo e al netto delle misure temporanee e una tantum) compreso tra -1% e pareggio o attivo di bilancio. Tali soglie sono ulteriormente specificate dal Fiscal compact previsto dalla bozza del Trattato, secondo cui la regola del bilancio in pareggio o in attivo si intende rispettata se il disavanzo strutturale rispetta l’obiettivo a medio termine con un deficit che non ecceda lo 0,5% del PIL; qualora il rapporto debito/PIL risulti significativamente al di sotto della soglia del 60% e qualora i rischi per la sostenibilità a medio termine delle finanze pubbliche siano bassi, il valore di riferimento può essere più elevato, ma comunque non può eccedere il limite dell’1%. Disavanzi più elevati possono essere temporaneamente consentiti in presenza di circostanze economiche eccezionali (eventi inconsueti che sfuggono al controllo dello Stato interessato) e in periodi di grave recessione, a condizione che tale disavanzo non pregiudichi la sostenibilità a medio termine.
Il Fiscal compact ribadisce inoltre quanto previsto dai regolamenti[29] per quanto riguarda le condizioni sul debito, per il quale si richiede la riduzione di un ventesimo all’anno, nella media dei tre anni, per la parte eccedente la soglia del 60% del PIL prevista dai Trattati. Nella valutazione del percorso di rientro del debito sono presi in considerazioni una pluralità di “fattori significativi”, tra cui il potenziale di crescita del Paese, l’evoluzione della posizione di bilancio a medio termine, i fattori di rischio connessi al debito, incluse la struttura per scadenze e le valute in cui è denominato, l’aggiustamento stock-flussi, le garanzie collegate al settore finanziario, le passività implicite legate all’invecchiamento della popolazione, il debito del settore privato[30].
Tabella 1 -Saldo di bilancio
|
|||||||
|
Saldo di bilancio nominale (% PIL) |
Saldo di bilancio strutturale (% PIL) |
Scadenza correzione PDE |
||||
|
2011 |
2012 |
2013 |
2011 |
2012 |
2013 |
|
Belgio |
-3,6 |
-4,6 |
-4,5 |
-3,0 |
-4,0 |
-4,0 |
2012 |
Germania |
-1,3 |
-1 |
-0,7 |
-1,3 |
-0,7 |
-0,4 |
2013 |
Estonia |
0,8 |
-1,8 |
-0,8 |
-0,2 |
-0,5 |
-0,9 |
Non PDE |
Irlanda |
-10,3 |
-8,6 |
-7,8 |
-9,1 |
-8,3 |
-8,1 |
2015 |
Grecia |
-8,9 |
-7 |
-6,8 |
-5,0 |
-2,9 |
-3,4 |
2014 |
Spagna |
-6,6 |
-5,9 |
-5,3 |
-4,9 |
-4,2 |
-4,3 |
2013 |
Francia |
-5,8 |
-5,3 |
-5,1 |
-4,7 |
-4,0 |
-3,9 |
2013 |
Italia |
-4 |
-2,3 |
-1,2 |
-3,1 |
-1,3 |
-0,5 |
2012 |
Cipro |
-6,7 |
-4,9 |
-4,7 |
-5,9 |
-4,2 |
-4,2 |
2012 |
Lussemburgo |
-0,6 |
-1,1 |
-0,9 |
0,5 |
0,0 |
-0,2 |
Non PDE |
Malta |
-3 |
-3,5 |
-3,6 |
-3,1 |
-3,5 |
-3,8 |
2011 |
Paesi Bassi |
-4,3 |
-3,1 |
-2,7 |
-3,2 |
-1,8 |
-1,4 |
2013 |
Austria |
-3,4 |
-3,1 |
-2,9 |
-3,1 |
-2,7 |
-2,8 |
2013 |
Portogallo |
-5,8 |
-4,5 |
-3,2 |
-6,9 |
-2,5 |
-1,8 |
2013 |
Slovenia |
-5,7 |
-5,3 |
-5,7 |
-3,8 |
-3,8 |
-4,7 |
2013 |
Slovacchia |
-5,8 |
-4,9 |
-5 |
-4,9 |
-4,5 |
-4,6 |
2013 |
Finlandia |
-1 |
-0,7 |
-0,7 |
0,1 |
0,3 |
0,1 |
Non PDE |
Bulgaria |
-2,5 |
-1,7 |
-1,3 |
-1,2 |
-0,7 |
-0,7 |
2011 |
Repubblica ceca |
-4,1 |
-3,8 |
-4 |
-3,6 |
-2,9 |
-3,2 |
2013 |
Danimarca |
-4 |
-4,5 |
-2,1 |
-2,1 |
-2,3 |
-1,4 |
2013 |
Lettonia |
-4,2 |
-3,3 |
-3,2 |
-3,2 |
-3,3 |
-3,1 |
2012 |
Lituania |
-5 |
-3 |
-3,4 |
-4,2 |
-2,9 |
-3,2 |
2012 |
Ungheria |
3,6 |
-2,8 |
-3,7 |
-5,0 |
-2,6 |
-3,2 |
2011 |
Polonia |
-5,6 |
-4 |
-3,1 |
-5,5 |
-3,6 |
-2,5 |
2012 |
Romania |
-4,9 |
-3,7 |
-2,9 |
-3,7 |
-2,6 |
-2,2 |
2012 |
Svezia |
0,9 |
0,7 |
0,9 |
0,9 |
0,9 |
1,0 |
Non PDE |
Regno Unito |
-9,4 |
-7,8 |
-5,8 |
-8,0 |
-6,3 |
-4,5 |
2014/15 |
UE (27) |
-4,7 |
-3,9 |
-3,2 |
n.d. |
n.d. |
n.d. |
- |
Area euro |
-4,1 |
-3,4 |
-3 |
n.d. |
n.d. |
n.d. |
- |
Fonte: Commissione UE, Autumn Forecast 2011 |
Il processo di consolidamento fiscale è, tuttavia, reso ora più difficile dal nuovo rallentamento dell’economia atteso per l’anno in corso. D’altra parte, le tensioni che si sono manifestate fin dall’estate scorsa sui mercati finanziari, l’estendersi del rischio del debito sovrano e l’aumento dei tassi di interesse sui titoli di Stato, le difficoltà di finanziamento del settore bancario e il rischio di credit crunch per l’economia, rendono necessario, secondo la Commissione, procedere lungo il percorso di aggiustamento, nonostante gli effetti restrittivi che potranno discendere dalle manovre correttive. Eventuali ritardi potrebbero causare aumenti dei tassi di interesse con effetti ulteriormente recessivi per l’economia: questo rischio è considerato concreto per quei paesi che presentano elevati deficit di bilancio e/o squilibri dei conti con l’estero.
Nel riaffermare la necessità del consolidamento fiscale, la Commissione ritiene che esso possa avvenire con velocità differenti a secondo degli specifici rischi fiscali e macro-finanziari relativi ai vari paesi[31]. In particolare:
§ gli Stati destinatari dei programmi di assistenza finanziaria e quelli che sono sotto l’attenzione dei mercati finanziari in quanto considerati più rischiosi, devono mantenere gli obiettivi previsti nonostante possibili cambiamenti del contesto macroeconomico;
§ gli Stati sotto procedura di deficit eccessivo che devono compiere ancora significativi aggiustamenti o che comunque presentano elevati disavanzi devono continuare nel processo di consolidamento. Eventuali, limitate, revisioni dello scenario macroeconomico non devono comportare ritardi nella correzione del deficit;
§ negli Stati che non presentano deficit eccessivi e che si trovano lungo il percorso di aggiustamento verso l’obiettivo di medio termine, la politica di bilancio può svolgere pienamente il suo ruolo anti-ciclico e stabilizzatore, a condizione di non mettere in forse la sostenibilità fiscale nel medio e lungo periodo.
La Commissione sottolinea, inoltre, come il consolidamento debba avvenire in modo tale da limitare gli effetti negativi nel breve periodo sulla crescita. Il percorso di rientro del deficit dovrà pertanto basarsi non solo e non tanto sulle entrate quanto, soprattutto, sulla riduzione e sulla riqualificazione della spesa.
Per quanto riguarda il primo aspetto, si ricorda che il regolamento (CE) n.1466/97, come modificato dal regolamento (UE) n. 1175/2011, prevede una regola per la crescita annua della spesa primaria, secondo la quale essa non dovrebbe superare un “tasso prudente” di crescita del PIL potenziale a medio termine, a meno che il superamento non sia coperto da misure discrezionali sul lato delle entrate. Per gli Stati membri che non abbiano ancora raggiunto l’obiettivo di bilancio a medio termine, la crescita della spesa dovrebbe essere inferiore a quella del prodotto.
Con riferimento all’Italia, si ricorda che per effetto delle manovre correttive adottate negli ultimi anni, si è determinato un abbassamento del profilo di crescita della spesa primaria: secondo quanto indicato dalla Relazione al Parlamento presentata nello scorso mese di dicembre[32], tale aggregato, pari a 723,3 miliardi nel 2010, era atteso scendere a 721,8 miliardi nel 2011 e rimanere su tale livello nel 2012 (721,7 miliardi), per poi aumentare a 743,1 miliardi nel 2014. In termini di peso sul PIL, si passava dal 46,5% del 2010 al 45,5% dello scorso esercizio e al 43,9% nel 2014. Per effetto della manovra correttiva di cui al D.L. 201/2011, tale dinamica dovrebbe ulteriormente ridursi: a fronte di un tasso medio annuo di variazione pari a +0,7 % nel triennio 2012-2014[33], a fine periodo l’incidenza sul prodotto delle spese al netto degli interessi dovrebbe essere pari al 43,5%[34].
La Commissione indica, pertanto, le priorità di seguito elencate (per un approfondimento cfr infra .):
§ sotto il profilo della riqualificazione e dell’efficienza della spesa, i tagli dovranno essere mirati, in modo da salvaguardare il più possibile la spesa per investimenti e, al suo interno, quella relativa ai progetti a più elevato rendimento. Essi dovranno essere accompagnati da un programma di riqualificazione della spesa che ne aumenti l’efficienza, a tutti i livelli di governo. Tale complesso di misure dovrà inoltre tener conto di un principio di equità nella distribuzione dei sacrifici imposti dall‘aggiustamento;
§ per quanto riguarda le entrate, la Commissione sollecita, da un lato, un aumento dell’efficienza dell’amministrazione finanziaria ed una riduzione delle aree di evasione/elusione, dall’altro, delle vere e proprie riforme dei sistemi di tassazione tali da favorire la crescita;
§ i sistemi pensionistici, sanitari e assistenziali in un’ottica di lungo periodo dovranno essere in grado di far fronte all’invecchiamento della popolazione e, al tempo stesso, essere compatibili con finanze pubbliche sostenibili. Sotto tale profilo, l’accento è posto, da un lato, sull’innalzamento dell’età pensionabile ed il legame con le aspettative di vita e, dall’altro, sull’efficacia della spesa assistenziale e sul rigore dei controlli all’accesso alle prestazioni, in particolare di quelle per invalidità.
L’insieme delle misure di consolidamento fiscale richieste dalla Commissione si inserisce nella cornice della riforma della governance europea delineata dai recenti regolamenti (c.d. The six-pack) e dalla Direttiva sui quadri di bilancio, nonché dalla costituzionalizazzione del principio del pareggio del bilancio adotatta da alcuni Paesi e ora oggetto della bozza del nuovo Trattato.
Come già evidenziato nel grafico 6, a seguito della crisi, il potenziale di crescita dell’Europa è diminuito di oltre 1 punto percentuale, riflettendo a sua volta una caduta della produttività (v. grafico 12).
Grafico 12 |
|
Fonte: servizi della Commissione |
Per ripristinare migliori prospettive di crescita, che tra l’altro ridurrebbero lo sforzo necessario a conseguire gli obiettivi di bilancio pubblico, la Commissione sollecita l’adozione di riforme strutturali.
Il termine può essere inteso in due sensi. Possono definirsi innanzitutto come riforme strutturali tutte quelle azioni capaci di incrementare su base permanente i livelli della produttività e quindi il potenziale di crescita. Sono altresì strutturali quelle riforme a cui consegue una maggiore flessibilità del sistema economico, requisito necessario sia per ridurre i costi di aggiustamento indotti dal verificarsi di eventi sfavorevoli, sia per ricomporre i differenziali di competitività intra-area.
Rientra nel primo campo un insieme piuttosto vasto di interventi, in genere ad effetto differito nel tempo, che vanno dalla liberalizzazione dei mercati, al miglioramento di efficienza delle pubblica amministrazione, alle misure capaci di accompagnare una migliore allocazione di risorse fra settori produttivi. Nella seconda accezione rientrano, invece, gli interventi che stabiliscono un più stretto collegamento fra dinamica dei salari e della produttività.
Rinviando alle schede di approfondimento per l’esame delle politiche proposte dalla Commissione e delle azioni intraprese finora dall’Italia, si rileva che a conclusione delle analisi e dei suggerimenti di policy, la Relazione reca una tabella comparativa, di seguito riportata, dei principali risultati realizzati dai paesi europei nelle quattro dimensioni di analisi considerate: crescita e occupazione; competitività; finanze pubbliche; mercati finanziari. Salvo diversa indicazione, i dati sono riferiti al 2010.
.
Tali indicatori riprendono, secondo quanto specificato dalla Relazione medesima, quelli indicati nel testo sul patto Euro Plus di cui alle conclusioni del Consiglio europeo del marzo 2011. Essi si discostano sia da quelli contenuti nel documento dei servizi della Commissione del novembre scorso[35], sia da quelli della Relazione annessa all’Analisi annuale sulla crescita 2011.
Rispetto alla Relazione 2011, si segnalano le differenze più significative:
§ crescita e occupazione: restano confermati gli indicatori relative al PIL (PIL procapite e tasso di variazione atteso del prodotto nell’anno in corso). Per il mercato del lavoro, il tasso di occupazione è riferito ad una fascia di popolazione più ampia, ricomprendendo i giovani dai 15 anni di età (e non più dai 20 anni), non è invece presente il tasso di variazione annua dell’occupazione; per la disoccupazione, invece di un tasso a livello aggregato, sono indicati (in percentuale della popolazione attiva) quelli relativi ai lavoratori più a rischio, e cioè i disoccupati di lunga durata e i giovani; vi è infine il tasso di partecipazione della popolazione attiva;
§ competitività: rispetto ai precedenti indicatori di squilibri macroeconomici, resta il saldo delle partite correnti in percentuale del PIL (che tuttavia è riferito ad un unico esercizio, anziché alla media degli ultimi tre anni), accompagnato dal nuovo indicatore relativo alla variazione registrata rispetto all’anno precedente nella quota di esportazioni di beni e servizi; non vi sono più gli indicatori relativi al tasso di cambio effettivo reale, al livello delle attività nette sull’estero in percentuale del PIL e al tasso di inflazione. Per quanto riguarda la produttività del lavoro, non viene riproposto l’indicatore aggregato, mentre si aggiungono quelli relativi al costo del lavoro per unità di prodotto (CLUP) (in termini di tasso variazione annuo e riferito, rispettivamente, all’intera economia, ai servizi e al settore manifatturiero), e alla compensazione nominale per dipendente (tasso di variazione annuo registrato nel settore pubblico e in quello privato);
§ finanze pubbliche: sono confermati i tradizionali indicatori (espressi in percentuale del PIL) relativi al saldo di bilancio, al debito pubblico e alla pressione fiscale; per la sostenibilità a lungo termine, oltre al’indicatore S2 già utilizzato nella precedente Relazione, si considerano l’età effettiva di uscita dalla forza lavoro e la speranza di vita a 60 anni;
§ stabilità finanziaria: sono confermati gli indicatori relativi all’indebitamento del settore privato in percentuale del PIL, al differenziale (in punti base) nei tassi di interesse sui titoli a lungo termine rispetto alla Germania rilevato alla data del settembre 2011, alle sofferenza in percentuale dei prestiti, al rendimento del capitale, mentre non è più considerato il coefficiente di adeguatezza patrimoniale.
Al riguardo si osserva che:
§ la tavola annessa alla Relazione 2012 reca un insieme diverso e più ampio di indicatori rispetto sia alla Relazione dello scorso anno, che a quelli contenuti nel documento della Commissione. Ciò, per tener conto delle (sia pur generiche) indicazioni che emergono dal Patto Euro Plus. D’altra parte, lo stesso documento della Commissione appare destinato ad un aggiornamento e completamento in tempi brevi alla luce della risoluzione del Parlamento europeo, che ne sollecita la modifica e l’integrazione;
§ data la rilevanza dei due set di indicatori, nonostante il diverso grado di vincolatività degli stessi (giuridica, se allegati al regolamento per la prevenzione degli squilibri eccessivi, più riconducibili ad una moral suasion se derivanti dal Patto), appare opportuno giungere quanto prima ad una definizione di un unico quadro di indicatori, sulla base del quale effettuare la valutazione di uno Stato membro sia ai fini del meccanismo di allerta precoce, che per una più generale verifica del processo di convergenza;
§ nell’ottica poi di valutare i progressi, o viceversa i passi indietro, compiuti da un Paese, è inoltre necessario disporre di un raffronto dei valori assunti da un medesimo indicatore in più anni: nel caso delle Relazioni 2011 e 2012, tale confronto è possibile, come si è detto, solo per un numero limitato di indicatori.
Con riferimento alla tavola contenuta nella Relazione 2012, si rileva inoltre che:
§ gli indicatori non dovrebbero essere, di norma, riferiti puntualmente ai risultati di un unico esercizio ma, così come indicato dai servizi della Commissione, prendere in considerazioni una media su più anni, ai fini di evitare oscillazioni dovuti ad eventi di carattere transitorio;
§ in alcuni casi, sono forniti indicatori relativi ad alcuni sotto-comparti, accrescendo così il livello di informazione; manca, tuttavia, un indicatore a livello aggregato (quale, ad esempio, il tasso di disoccupazione o la produttività del lavoro per l’intera economia), come previsto invece dalla Relazione precedente;
§ con riferimento al comparto della “competitività”, il quadro si arricchisce di alcuni indicatori di flusso (variazione delle quote di mercato misurate sul valore delle esportazioni), ma si perdono indicatori di stock (posizione finanziaria netta) che, da un lato, rappresentano il risultato di un accumulo negli anni di disavanzi (o avanzi) e, dall’altro, segnalano una eventuale vulnerabilità nei confronti dei mercati finanziari. La non riproposizione, accanto al saldo delle partite correnti[36], del tasso di cambio effettivo reale[37] consente una spiegazione solo parziale dell’andamento della competitività, in quanto fa venir meno un’indicazione circa l’effetto che l’andamento dei prezzi relativi ha avuto sulla variazione delle quote di mercato;
§ manca, infine, un indicatore relativo all’inflazione. Sia pure in un contesto di crescita contenuta dell’economia (globale ed europea) e di aspettative di una riduzione del tasso di inflazione nell’anno in corso[38], ciò sembra costituire una lacuna informativa: persiste, infatti, una dinamica sostenuta del prezzo dei prodotti energetici, in alcuni casi accompagnati da aumenti delle accise sui carburanti. Ulteriori effetti sui prezzi possono inoltre derivare da un aumento dell’imposizione indiretta (prevista da alcuni Paesi nell’ambito delle manovre di consolidamento e/o di riforme del sistema fiscale in linea con quanto prescritto dalla UE). Nella stessa direzione agiscono gli aumenti delle tariffe o dei prezzi regolamentati diretti a garantire la copertura del costo dei servizi erogati.
Per l’Italia, le stime della Commissione contenute nella Tabella annessa alla Relazione, possono essere sintetizzati sulla base del posizionamento assunto rispetto agli altri paesi in ognuna delle dimensioni analizzate. Questo esercizio contribuisce a evidenziare le principali urgenze con cui si confronta la politica economica italiana, nel confronto europeo sulla base delle indicazioni contenute nella Relazione macroeconomica della Commissione.
Nella Tabella 2, per ciascuno degli indicatori contenuti nella Tabella annessa alla Relazione, è illustrata la posizione relativa dell’Italia all’interno della graduatoria formata dai 27 paesi europei. Dove gli indicatori sono confermati, è riportato anche il dato contenuto nella precedente Relazione.
La graduatoria è costruita, per ciascun indicatore, “dal migliore al peggiore”: di conseguenza, una posizione contrassegnata da un numero basso (elevato) indica una buona (cattiva) performace dell’Italia rispetto agli altri paesi.
Tavola 2 – Indicatori e posizionamento relativo dell’Italia* (graduatoria all’interno della Ue27) |
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Indicatori |
Valore Italia |
Valore UE 27 |
Posizione Italia |
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R. 2011 |
R. 2012 |
R. 2011 |
R. 2012 |
R. 2011 |
R. 2012 |
1. CRESCITA E OCCUPAZIONE |
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Pil pro-capite (UE27=100) |
97,0 |
100 |
100,0 |
100 |
12 |
12 |
Tasso di crescita del Pil (2012) |
1,3 |
0,1 |
1,9 |
0,6 |
24 |
24 |
Tasso di occupazione (%) |
61,7 |
56,9 |
69,1 |
64,1 |
25 |
25 |
Disoccupazione di lunga durata (% popolazione attiva) |
- |
4,1 |
- |
3,9 |
- |
16 |
Disoccupazione giovanile (%popolazione attiva) |
- |
27,8 |
- |
21,1 |
- |
20 |
Tasso partecip. popolazione attiva |
- |
62,2 |
- |
71 |
- |
26 |
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2. COMPETITIVITA’ |
|
|
|
|
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|
Saldo partite correnti (% PIL) |
-2,7 |
-3,.5 |
-1,1 |
-0,2 |
12 |
18 |
Quota di mercato esportazioni |
- |
-4,4 |
- |
- |
- |
17 |
Retribuzioni nominali unitarie - Settore pubblico - Settore privato |
- - |
1,3 - |
- - |
- - |
- - |
12 - |
CLUP (var % annua) - intera economia - servizi - settore manifatturiero |
- - - |
-0,3 0,4 -4,8 |
- - - |
-0,4 - - |
- - - |
17 13 11 |
|
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|
|
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|
3. FINANZE PUBBLICHE |
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|
Indebitamento netto (% PIL) |
-5,2 |
-4,6 |
-6,8 |
6,6 |
11 |
12 |
Debito pubblico (% PIL) |
116,0 |
118,4 |
74,0 |
85,4 |
26 |
26 |
Sostenibilità di bilancio (S2) |
2,6 |
2 |
7,5 |
6,0 |
5 |
2 |
Pressione fiscale (% PIL) |
43,4 |
42,6 |
39,8 |
39,5 |
22 |
24 |
Età di uscita da forza lavoro |
- |
60,1 |
- |
61,4 |
- |
20 |
Speranza di vita a 60 anni |
- |
- |
- |
- |
- |
- |
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4. MERCATI FINANZIARI |
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Debito del settore privato (% PIL) |
176,0 |
- |
208,0 |
- |
7 |
- |
Prestiti in sofferenza (%) |
6,9 |
7,2 |
3,9 |
- |
20 |
16 |
Differenziale tassi interesse a lungo
termine con Germania |
1,5 |
3,9 |
1,2 |
2,1 |
14 |
18 |
Rendimento del capitale (%) |
4,0 |
4,0 |
0,6 |
- |
14 |
19 |
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*Se non diversamente specificato, i dati si intendono riferiti al 2010 Fonte: elaborazione degli Uffici della Camera su i dati contenuti nella tabella annessa alla Relazione macroeconomica |
Dal posizionamento assunto dall’Italia rispetto agli altri paesi si possono trarre le seguenti osservazioni.
Crescita e occupazione - L’Italia è in posizione intermediaper quanto riguarda i livelli di PIL pro-capite (12o posto), ma è in fondo alla graduatoria per prospettive di crescita del PIL (24o) e per il tasso di occupazione (25o). Il basso tasso di partecipazione della popolazione attiva (26°), che denota sia problemi strutturali del mercato del lavoro che fenomeni congiunturali di “scoraggiamento” durante le fasi negative del ciclo economico, contribuisce a ridurre i livelli comunque elevati e in aumento della disoccupazione giovanile (20°)[39], mentre su quella di lunga durata (16°) influiscono positivamente gli istituti di protezione previsti dall’ordinamento (cassa integrazioni, pre-pensionamento, ecc). Il confronto europeo mostra, dunque, come l’azione di rilancio della crescita sia particolarmente necessaria e come essa debba accompagnarsi a un consistente aumento dell’occupazione, soprattutto nelle fasce più deboli e a rischio di emarginazione dal mondo del lavoro.
Competitività – L’Italia è posizionata al centro della graduatoria Europea per quanto riguarda sia il costo del lavoro per unità di prodotto, in riduzione come nella maggior parte dei paesi europei, che le retribuzioni nominali unitarie.
Per quanto riguarda quest’ultimo indicatore, la tavola annessa alla Relazione riporta per l’Italia il dato relativo al solo settore pubblico. Al riguardo si precisa che nel 2010 le retribuzioni di fatto per unità di lavoro dipendente sono cresciute in termini nominali del 2,1% nell’intera economia (+0,6% al netto dell’inflazione), a fronte di un aumento del 2,6% nel settore privato e dell’1,3% del settore pubblico. Nel 2011 le retribuzioni hanno registrato un incremento più contenuto (+1%) a fronte di una dinamica negativa nei servizi pubblici (-0,5%). Secondo le stime di Banca d’Italia[40], la dinamica delle retribuzioni rimarrebbe negativa in termini reali nel biennio 2012-2013. Per quanto riguarda il CLUP, dopo la riduzione registrata nel 2010 e una sostanziale stabilità nel primo trimestre del 2011, nei mesi successivi si è registrata un aumento di circa il 2% nel settore privato, dove la frenata dei redditi per ora lavorata è stata in parte compensata dal calo della produttività oraria riflettendo il calo del valore aggiunto.
Risulta, invece deteriorata la posizione sull’estero (dal 12° al 18° posto) inseguito all’aumento registrato tra il 2009 e il 2010 nel disavanzo della bilancia commerciale (peraltro con una tendenza a ridursi, secondo le prime stime 2011) e nella ulteriore perdita di quote di mercato (17°). Pur non emergendo particolari criticità, miglioramenti dovrebbero essere conseguiti con riferimento a tali indicatori.
Finanza pubblica - Nonostante il debito pubblico italiano sia il secondo più alto in Europa, il livello di indebitamento è attualmente collocato al 12o posto, ben sotto la media europea e, come è evidenziato dalla tavola 2 (cfr supra) è attesa una consistente riduzione entro il periodo di previsione preso in considerazione dalla Commissione. Grazie alle riforme pensionistiche attuate già negli anni passati e nonostante un’età di uscita dalla forza lavoro che colloca l’Italia al 20° posto, l’indicatore di sostenibilità di bilancio nel lungo periodo S2[41] si presenta uno dei migliori valori in Europa, collocandosi al 2o posto della graduatoria: il valore positivo dell’indicatore segnala tuttavia la necessita di uno sforzo fiscale supplementare sebbene di gran lunga inferiore a quello richiesto alla maggior parte dei paesi europei. Questi dati sono associati a un livello di pressione fiscale fra i più elevati in Europa (24°). La riduzione del debito e l’abbassamento della pressione fiscale a fronte di una politica di contenimento e riqualificazione della spesa, paiono essere i due obiettivi da conciliare con riferimento alla finanza pubblica italiana.
Con riferimento al significato dell’indicatore S2 e al fatto che un valore positivo segnali la necessità di uno sforzo di consolidamento fiscale supplementare, si rileva l’opportunità di qualificare tale affermazione alla luce del fatto che l’indicatore si basa su dati riferiti al 2010, che risultano ormai superati. Essi non tengono conto delle ulteriori manovre correttive presentate dal Governo nel 2011, ed in particolare di quella del dicembre scorso (successiva quindi alla presentazione della Relazione in esame che rispecchia l’Autumn Forecast della Commissione), e dei loro effetti sia sull’avanzo primario strutturale che sul contenimento, nel breve come nel lungo periodo, della spesa pensionistica; a fronte di tali elementi, che giocano in favore della riduzione del debito, sono intervenute previsioni meno favorevoli sulla crescita del PIL effettivo e potenziale, mentre resta incerto il contesto di riferimento per quanto riguarda l’evoluzione attesa dei tassi di interesse.
Tali considerazioni evidenziano l’opportunità di un aggiornamento delle previsioni di finanza pubblica ed in particolare dei parametri rilevanti ai fini della valutazione della sostenibilità.
Mercati finanziari - L’Italia è al 16o posto per dimensione delle sofferenze e al 19o posto per rendimento del capitale. Quanto al differenziali dei tassi a lungo termine con i Bund tedeschi, l’indicazione (18° posto) riflette la situazione al settembre scorso: rispetto a quel periodo, si sono registrati successivamente ulteriori aumenti degli spread, poi ridottisi nei mesi di dicembre e gennaio. L’estrema incertezza che ancora caratterizza i mercati finanziari e la pluralità dei fattori che incidono sull’evoluzione dei rendimenti dei titoli italiani non consentono, come si è detto, di formulare previsioni affidabili e convergenti al riguardo.
Va, infine, segnalato che la Relazione non offre indicazioni sull’indebitamento del settore privato per il nostro Paese. Secondo il Documento dei servizi della Commissione, la soglia di allerta di tale indicatore, considerato rilevante dai regolamenti ai fini della valutazione complessiva circa la sostenibilità del debito nel lungo periodo, è pari al 160% del PIL.
Secondo i dati BI[42], ai fini del calcolo del debito del settore privato (famiglie e imprese non finanziarie), se si tiene conto solo dei titoli e dei prestiti a breve e a lungo termine, l'incidenza sul PIL é pari a circa il 128% sia nel 2009 che nel 2010. Se si considerano anche gli "altri conti" (soprattutto debiti commerciali) si passa a circa il 174% nel 2009 e al 175% nel 2010 (183% nel 2009 e al 184% nel 2010, se si includono le riserve tecniche di assicurazione). Sulla base di tali dati, si può ritenere che la precedente Relazione macroeconomica - che indicava per l’Italia un valore (riferito al 2009) pari al 176% del PIL[43] - faceva riferimento all’aggregato comprensivo degli “altri conti”. Ove la Relazione 2012, riprendendo la metodologia indicata nel documento dei Servizi della Commissione del novembre 2011[44], facesse riferimento all’aggregato comprensivo dei titoli e dei prestiti a breve e a lungo termine, escludendo quindi gli “altri conti”, il debito del settore privato sarebbe pari, nel 2010, al 128,7% del PIL. Tale valore posizionerebbe il nostro Paese al 6° posto in una graduatoria di 20 paesi.
Al riguardo, appare opportuno un chiarimento circa la metodologia utilizzata al fine del calcolo del suddetto indicatore sia nella Relazione che in prospettiva, ai fini della valutazione della rischiosità del debito complessivo di un Paese.
I contenuti dell’analisi della crescita e la situazione in Italia
L'analisi annuale attribuisce un particolare rilievo al contributo che le politiche fiscali dei singoli Stati membri e il miglioramento del coordinamento fiscale nell'UE possono offrire per combinare gli obiettivi di risanamento di bilancio con quelli di sostegno alla crescita.
A tale scopo all’indagine è allegata una apposita relazione della Commissione europea che dà attuazione all’invito del Consiglio europeo del 24 giugno 2011, a riferire sui progressi compiuti nelle discussioni strutturate riguardanti le politiche fiscali nell'ambito del patto Euro Plus.
L’elemento di maggiore novità è costituito dall’enfasi attribuita al coordinamento fiscale, quale fattore per stimolare la crescita rimuovendo gli ostacoli al funzionamento del mercato interno.
Politiche fiscali nazionali
La Commissione identifica due obiettivi comuni a tutti gli Stati membri, per il perseguimento dei quali propone, nella relazione allegata, alcuni possibili interventi:
§ aumentare il contributo delle entrate al risanamento del bilancio, per compensare gli effetti della crisi e le misure di stimolo fiscale adottate in alcuni ordinamenti;
§ l’orientamento dei sistemi impositivi secondo un approccio più favorevole alla crescita;
Nell’indicare gli interventi per aumentare il gettito fiscale al fine di contribuire al consolidamento delle finanze pubbliche, come un complemento del controllo della spesa, la Commissione sembra prospettare un approccio differenziato tra gli Stati membri che tenga conto sia del grado di sostenibilità dei rispettivi bilanci sia del potenziale di crescita del gettito tributario rispetto al PIL. In particolare, la relazione allegata all’indagine rileva che:
§ per i Paesi in cui la situazione finanziaria non è sostenibile ma nei quali, al tempo stesso, c’è margine per un eventuale aumento del gettito fiscale (in particolare quando il rapporto gettito fiscale/PIL è basso) andrebbe considerato prioritario il miglioramento della riscossione piuttosto che l’introduzione di nuove imposte;
Riscossione, tax compliance e lotta all’evasione fiscale
I numerosi interventi normativi operati nell’ultimo anno in materia di accertamento e riscossione dei tributi hanno mirato a molteplici obiettivi: non solo, dunque alla semplificazione degli adempimenti del contribuente, ma soprattutto alla lotta all'evasione /elusione fiscale. Contemporaneamente, sono state introdotte disposizioni premiali volte al miglioramento della tax compliance.
Sotto il primo profilo (lotta al’evasione), l'attenzione del legislatore si è anzitutto rivolta al fronte della tracciabilità dei pagamenti, con progressiva riduzione della soglia massima per l’utilizzo del contante e dei titoli al portatore, ridotta da ultimo a 1000 euro (articolo 12 del D. L. 201/2011).
Con finalità di emersione di base imponibile, è stato inasprito il trattamento sanzionatorio (articolo 2, comma 5 del D.L. 138/2011) nei confronti dei professionisti cui siano state contestate reiterate violazioni dell’obbligo di emettere il documento certificativo dei corrispettivi, prevedendo la sospensione dell’iscrizione all’albo o all’ordine di appartenenza. Nel medesimo filone si muovono le disposizioni (articolo 2, comma 36-vicies del medesimo D.L. 138) che assoggettano all’obbligo di emissione di ricevuta o scontrino fiscale anche le prestazioni rese, sul litorale demaniale, da parte dei titolari dei relativi provvedimenti amministrativi di concessione.
Scopi antielusivi hanno le norme che colpiscono (articolo 2, commi da 36-terdecies a 36-duodevicies del medesimo D.L. 138/2011) l’uso di beni intestati fittiziamente a società: viene considerata “reddito diverso” ai fini IRPEF la differenza tra il valore di mercato e il corrispettivo annuo per la concessione in godimento di beni dell’impresa a soci o familiari dell’imprenditore. Inoltre è prevista l’indeducibilità dei costi relativi ai beni concessi ai soci o ai familiari per un corrispettivo annuo inferiore al valore di mercato. Completano il quadro le disposizioni (articolo 2, comma 36-vicies semel) che novellano, inasprendola, la disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e IVA, con l’intento generale di eliminare disposizioni di favore o abbassare la soglia di imposta evasa a partire dalla quale scatta l'applicazione delle sanzioni penali. Ulteriori disposizioni riguardano i termini di prescrizione dei suddetti reati e i presupposti per l’accesso al beneficio della sospensione condizionale della pena.
Nel corso del 2011 sono state apportate numerose modifiche anche alla disciplina in materia di poteri di controllo e indagine da parte degli organi dell'Amministrazione finanziaria: in primo luogo sono stati rafforzati i poteri del fisco in sede di indagini finanziarie, in particolare consentendo (articolo 23 del D.L. 98 del 2011) agli uffici di acquisire informazioni anche da società ed enti di assicurazione per quanto riguarda le attività di natura finanziaria; sono state introdotte inoltre norme volte a razionalizzare l’attività di indagine, mediante accesso, sull’industria finanziaria. Sempre nell'ottica di rafforzare i poteri del fisco:
§ è stata introdotta (dal citato D.L. 201 del 2011) la fattispecie penale di esibizione o trasmissione di atti o documenti falsi, ovvero di fornitura di dati e notizie non rispondenti al vero in tutto o in parte, in occasione di richieste formulate dall’Amministrazione finanziaria nell’esercizio dei poteri di accertamento delle imposte dirette e dell’IVA;
§ è stato imposto agli operatori finanziari, dal 1° gennaio 2012, di comunicare periodicamente all’anagrafe tributaria anche tutte le movimentazioni relative ai rapporti finanziari intrattenuti con i contribuenti.
Sotto il profilo della tax compliance, il contribuente è stato progressivamente incentivato a scegliere la rateizzazione dei debiti tributari, con una serie di misure volte a eliminare, per quanto possibile, gli adempimenti a carico del soggetto passivo di imposta (quale, ad esempio, il gravoso obbligo di prestare idonea garanzia per accedere al beneficio della dilazione).
Per favorire la tax compliance dei soggetti a maggior rischio di evasione, inoltre, il citato D.L. 201 del 2011 ha introdotto norme volte, complessivamente, a promuovere la trasparenza e l'emersione di base imponibile: sono riconosciuti benefici fiscali nei confronti di artisti, professionisti, persone fisiche e società di persone esercenti attività imprenditoriali, a condizione che essi adempiano a una serie di obblighi di trasparenza.
Nel filone della lotta all’evasione e alle frodi in materia di IVA si segnala, inoltre, che durante l’esame in sede referente del disegno di legge Comunitaria 2011 sono state introdotte disposizioni (articolo 20 dell’A.C. 4623-A) volte ad estendere il meccanismo dell’inversione contabile alla cessione di quote di emissioni di CO2, nonché alle cessioni di “certificati verdi” e “certificati bianchi”.
Alle norme espressamente richiamate, relative a provvedimenti emanati nel 2011, sono stati ascritti effetti di maggior gettito stimati, nel triennio 2012-2014 in termini di fabbisogno e indebitamento netto, in 1,13 miliardi nel 2012, 1,52 miliardi nel 2013 e 1,45 miliardi nel 2014.
Tali valori rappresentano solo una parte degli effetti complessivamente ascritti alle disposizioni che, sin dall’inizio della legislatura in corso, sono state introdotte con la finalità di contrastare l’evasione fiscale (si ricordano, in particolare, i decreti legge n. 112 e n. 185 del 2008 , i decreti legge n. 5 e n. 78 del 2009, nonché i decreti legge n. 40 e n. 78 del 2010).
La Relazione concernente i risultati derivanti dalla lotta all’evasione fiscale presentata dal Ministro dell’economia e delle finanze in data 20 dicembre 2011 (Doc. LXVIII, n. 3) illustra, relativamente all’anno 2010, l'ammontare delle “somme recuperate sia attraverso l’azione sinergica delle competenti strutture dell’Amministrazione finanziaria (Agenzia delle Entrate, Agenzia delle Dogane, Guardia di Finanza), sia per l’efficacia delle misure di contrasto all’evasione ed elusione fiscale introdotte con i provvedimenti legislativi nel triennio 2008-2010”. Tali somme ammontano a 25,5 miliardi di euro, così ripartiti:
§ 8,1 miliardi di euro, di cui 6 miliardi riferiti alle imposte dirette e indirette e 2,1 miliardi relativi a sanzioni ed interessi;
§ 2,5 miliardi per tributi non erariali;
§ 6,6 miliardi relativi a rettifica delle compensazioni indebitamente fruite;
§ 6,4 miliardi per contributi INPS;
§ 1,9 miliardi derivanti dalle riscossioni relative ad altri enti da parte di Equitalia.
Nel corso dell’audizione svoltasi presso la VI Commissione (Finanze) della Camera il 31 gennaio u.s., il direttore dell’Agenzia delle Entrate ha rilevato che, in base alle prime analisi dei dati conseguiti nel 2011, l’attività di recupero dell’evasione si è ulteriormente rafforzata rispetto agli anni precedenti. Infatti, relativamente alle sole attività di accertamento per tutti i settori impositivi, di controllo formale delle dichiarazioni dei redditi e degli atti / dichiarazioni sottoposte a registrazione, nonché di liquidazione delle dichiarazioni, sono state recuperate entrate per almeno 11,5 miliardi di euro (tale dato è provvisorio ed è stato elaborato sulla base dei flussi informativi acquisiti alla data dell’audizione).
§ nei Paesi in cui la riscossione fiscale è già elevata e/o le necessità di aumentare le imposte non possono essere soddisfatte soltanto migliorando la riscossione fiscale, occorre prendere in considerazione misure di ampliamento della base imponibile quali il riesame di agevolazioni fiscali e aliquote IVA ridotte (v. infra);
§ quale ultima opzione, va considerato, ove necessario, l’aumento delle aliquote fiscali o l’introduzione di nuove tasse o imposte, tenendo in particolare conto dei seguenti fattori:
- se nel passato recente si è già fatto ricorso estensivamente a misure per l’aumento del gettito fiscale;
- se è possibile aumentare le entrate da categorie di imposte meno nocive per la crescita.
Dovrebbero inoltre essere eliminate le agevolazioni fiscali dannose per l'ambiente.
Il gruppo di lavoro sull’erosione fiscale
Il riordino dei regimi agevolativi è previsto nel disegno di legge di iniziativa governativa recante Delega al Governo per la riforma fiscale e assistenziale, in discussione alla Camera dei deputati (A.C. 4566).
In relazione a tale riordino, il gruppo di lavoro sull’erosione fiscale, costituito dal precedente Ministro dell’Economia e delle Finanze Giulio Tremonti, ha avuto assegnata come finalità quella di “analizzare l’area dell’erosione fiscale, in specie l’area della amplissima forbice aperta dalla dialettica tra la regola (il principio generale dell’imposizione fiscale) e l’eccezione (la deviazione legale da questo principio, via esenzioni, agevolazioni, regimi sostitutivi di favore, etc.)”. Ad esso hanno aderito organizzazioni sindacali, associazioni di categoria e ordini professionali; sul portale del Dipartimento delle Finanze è disponibile la Relazione finale del gruppo, il cui lavoro è stato coordinato da Vieri Ceriani[45].
Oggetto dell’analisi del gruppo di lavoro sono state le cd. tax expenditures, intese come fattori di erosione fiscale, ovvero tutti gli scostamenti previsti dalla normativa (inclusi i regimi sostitutivi di favore) rispetto al principio generale dell’imposizione fiscale, “che in qualche modo trascende rispetto alla legislazione vigente e fa riferimento a un modello ideale di sistema fiscale ispirato a principi generali. E’ sembrato, in sostanza, che al gruppo di lavoro sull’erosione sia stato affidato il compito di effettuare una ricognizione delle cosiddette tax expenditures (spese fiscali), al pari di quanto viene sistematicamente effettuato in altri Paesi”.
Accanto all’illustrazione degli effetti finanziari delle expenditures, il gruppo ha assegnato ad ogni misura uno o più codici di classificazione, nell’intento di fornire un’indicazione di massima sulle finalità della misura stessa e di fornire, al futuro riformatore fiscale, dei criteri di valutazione utili per il suo operato.
La Commissione sottolinea che nell'individuare le priorità per il risanamento su base fiscale, gli Stati membri fisseranno probabilmente le priorità in funzione del margine di manovra in termini di bilancio, della congiuntura economica in cui si trovano e di altri fattori microeconomici o istituzionali.
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Entrate fiscali in percentuale del PIL |
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||||||||||
Lavoro |
Consumi |
Capitale |
||||||||||
2000 |
2008 |
2009 |
2000 |
2008 |
2009 |
2000 |
2008 |
2009 |
2000 |
2008 |
2009 |
|
EU27 |
40.5 |
39.3 |
38.4 |
35.7 |
33.8 |
32.9 |
20.8 |
21.4 |
20.9 |
25.0 |
25.3 |
24.6 |
Eurozona |
41.1 |
39.7 |
39.1 |
34.5 |
34.0 |
33.5 |
20.4 |
20.7 |
20.4 |
25.1 |
25.2 |
24.7 |
Belgio |
45.2 |
44.4 |
43.5 |
43.6 |
42.5 |
41.5 |
21.8 |
21.2 |
20.9 |
29.6 |
32.6 |
30.9 |
Bulgaria |
31.5 |
32.3 |
28.9 |
38.1 |
27.4 |
25.5 |
18.5 |
24.9 |
21.4 |
: |
: |
: |
Repubblica |
33.8 |
35.5 |
34.5 |
40.7 |
39.2 |
36.4 |
19.4 |
21.1 |
21.6 |
20.9 |
19.8 |
19.3 |
Danimarca |
49.4 |
48.1 |
48.1 |
41.0 |
36.2 |
35.0 |
33.4 |
32.6 |
31.5 |
36.0 |
43.4 |
43.8 |
Germania |
41.9 |
39.4 |
39.7 |
40.7 |
39.2 |
38.8 |
18.9 |
19.7 |
19.8 |
28.4 |
23.0 |
22.1 |
Estonia |
31.0 |
32.1 |
35.9 |
37.8 |
33.7 |
35.0 |
19.5 |
21.1 |
27.6 |
6.0 |
10.5 |
14.0 |
Irlanda |
31.5 |
29.7 |
28.2 |
28.5 |
25.3 |
25.5 |
25.5 |
23.3 |
21.6 |
: |
16.3 |
14.9 |
Grecia |
34.6 |
31.7 |
30.3 |
34.5 |
32.2 |
29.7 |
16.5 |
14.8 |
14.0 |
19.9 |
: |
: |
Spagna |
33.9 |
33.2 |
30.4 |
30.5 |
33.1 |
31.8 |
15.7 |
14.1 |
12.3 |
29.9 |
31.7 |
27.2 |
Francia |
44.1 |
42.9 |
41.6 |
42.0 |
41.5 |
41.1 |
20.9 |
19.1 |
18.5 |
38.4 |
38.1 |
35.6 |
Italia |
41.8 |
42.9 |
43.1 |
42.2 |
43.0 |
42.6 |
17.9 |
16.5 |
16.3 |
29.5 |
35.6 |
39.1 |
Cipro |
30.0 |
39.1 |
35.1 |
21.5 |
24.7 |
26.1 |
12.7 |
20.8 |
17.9 |
: |
: |
: |
Lettonia |
29.5 |
29.1 |
26.6 |
36.6 |
28.5 |
28.7 |
18.7 |
17.4 |
16.9 |
11.2 |
17.0 |
10.3 |
Lituania |
30.1 |
30.2 |
29.3 |
41.2 |
32.7 |
33.1 |
17.9 |
17.6 |
16.5 |
7.2 |
12.7 |
10.9 |
Lussemburgo |
39.1 |
35.3 |
37.1 |
29.9 |
31.7 |
31.7 |
23.0 |
27.3 |
27.3 |
: |
: |
: |
Ungheria |
39.0 |
40.0 |
39.5 |
41.4 |
42.1 |
41.0 |
27.5 |
26.6 |
28.2 |
17.1 |
18.6 |
18.8 |
Malta |
28.2 |
33.9 |
34.2 |
20.6 |
19.6 |
20.2 |
15.9 |
19.3 |
19.5 |
: |
: |
: |
Paesi Bassi |
39.9 |
39.1 |
38.2 |
34.5 |
36.2 |
35.5 |
23.8 |
26.9 |
26.2 |
20.7 |
16.6 |
15.4 |
Austria |
43.2 |
42.6 |
42.7 |
40.1 |
41.3 |
40.3 |
22.1 |
21.6 |
21.7 |
27.7 |
26.5 |
27.0 |
Polonia |
32.6 |
34.3 |
31.8 |
33.5 |
32.6 |
30.7 |
17.8 |
21.1 |
19.0 |
20.5 |
22.8 |
20.5 |
Portogallo |
31.1 |
32.8 |
31.0 |
22.3 |
23.3 |
23.1 |
18.2 |
18.0 |
16.2 |
31.3 |
37.5 |
33.8 |
Romania |
30.2 |
28.0 |
27.0 |
33.5 |
27.3 |
24.3 |
17.0 |
17.7 |
16.9 |
: |
: |
: |
Slovenia |
37.5 |
37.2 |
37.6 |
37.7 |
35.9 |
34.9 |
23.5 |
23.9 |
24.2 |
15.7 |
21.7 |
21.0 |
Slovacchia |
34.1 |
29.2 |
28.8 |
36.3 |
33.1 |
31.2 |
21.7 |
18.7 |
17.3 |
22.9 |
16.9 |
17.1 |
Finlandia |
47.2 |
43.1 |
43.1 |
44.0 |
41.4 |
40.4 |
28.5 |
26.0 |
25.7 |
36.4 |
28.0 |
29.9 |
Svezia |
51.5 |
46.5 |
46.9 |
46.8 |
41.2 |
39.4 |
26.3 |
27.8 |
27.6 |
42.8 |
26.2 |
33.5 |
Regno Unito |
36.7 |
37.5 |
34.9 |
25.6 |
26.4 |
25.1 |
18.9 |
17.5 |
16.8 |
44.0 |
44.7 |
38.9 |
Entrate fiscali e tassazione per lavoro, consumi e capitale
(Fonte: dati Eurostat)
Sostegno alla crescita
Anche in merito alla definizione di politiche fiscali nazionali più favorevoli alla crescita la relazione allegata all’analisi prospetta diverse opzioni di intervento.
In via preliminare la Commissione rileva che, come già riscontrato dall’AGS 2011, la maggior parte degli Stati membri dovrebbe ridurre in via prioritaria l'onere fiscale sul fattore lavoro (imposta sul reddito delle persone fisiche e contributi di previdenza sociale) onde stimolare la domanda di manodopera e la creazione di posti di lavoro.
Le recenti tendenze del tax design in Italia
Il legislatore italiano nell’ultimo anno ha complessivamente perseguito l’intento di spostare il baricentro dell’imposizione dal “lavoro” al consumo e al patrimonio.
Per quanto concerne l’alleggerimento del carico fiscale del lavoro, è stata recentemente (decreto-legge n. 201 del 2011) disposta l’integrale deducibilità delle imposte dirette - IRES IRPEF – dalla quota dell’IRAP dovuta per il costo del lavoro, ferma restando la deducibilità di una quota (10 per cento) della medesima imposta dovuta sugli interessi passivi e sugli oneri assimilati. Per favorire l’accesso al lavoro da parte di donne e giovani, è stata aumentata la misura della deduzione IRAP per l’assunzione dei predetti soggetti, con particolare attenzione alle regioni del Mezzogiorno.
Sotto il profilo delle imposte indirette, si ricorda in questa sede il progressivo aumento delle aliquote IVA: l’aliquota ordinaria è passata dal 20 al 21 per cento da agosto 2011 mentre dal 1° ottobre 2012 le aliquote del 10 e del 21 per cento sono incrementate di 2 punti percentuali (passando rispettivamente, al 12 e al 23, per cento per effetto delle norme del D.L. 201 del 2011). A decorrere dal 1° gennaio 2014 le predette aliquote sono ulteriormente incrementate di 0,5 punti percentuali.
Sempre sotto il profilo delle imposte indirette, sono stati registrati aumenti delle aliquote di accisa sia sui prodotti energetici (con lo scopo, tra l’altro, di far fronte ad eventi calamitosi che hanno colpito l’Italia nel corso del 2011) che sui tabacchi lavorati.
Nel documento che illustra la manovra di dicembre 2011[46], tra le misure che hanno introdotto elementi di tassazione reale il Governo ricorda
§ la tassazione degli gli immobili situati in Italia, sostanzialmente con la reintroduzione dell’imposta patrimoniale sulla prima casa; viene anticipata al 2012 l’operatività dell’Imposta Municipale, prevista dalle disposizioni attuative della delega sul federalismo fiscale, estendendola altresì alla “prima casa” dei contribuenti, seppure con aliquota agevolata e contemperata da una detrazione;
§ l’imposta sugli immobili detenuti all’estero;
§ la modifica “a scaglioni” dell’imposta di bollo, introdotta con la manovra di agosto sui soli conti bancari, estendendola alle fattispecie in precedenza escluse;
§ la tassazione delle attività finanziarie detenute all’estero;
§ la tassazione di alcune manifestazioni di ricchezza, quali i veicoli di grossa cilindrata (potenziando quanto già disposto con la manovra di agosto), gli aerei e le imbarcazioni da diporto di maggiori dimensioni.
Per quanto concerne le prospettive sulla tassazione immobiliare, il medesimo documento ricorda l’inadeguatezza rispetto ai valori di mercato delle attuali rendite catastali, su cui si basa in larga parte la tassazione immobiliare; tra le ragioni delle discrasie viene citata la circostanza che le rendite catastali sono state rivalutate nel 1990 con riferimento al biennio 1988-1989. Inoltre, si ricorda che l’inadeguatezza del sistema dipende dal fatto strutturale che il sistema a categorie e classi è fermo al periodo di “costruzione” del catasto urbano e, dunque, la denominazione e la classificazione delle unità immobiliari non è più adeguata ai tempi. Si precisa altresì che il classamento, ovvero l’operazione di classificare in una categoria ed in una classe di valore un bene immobile ordinario, è rimasto quello iniziale delineato dall’originario impianto normativo del catasto e gli unici aggiornamenti sono riconducibili a comunicazioni effettuate dai soggetti interessati, in occasione di attività di ristrutturazioni e variazioni edilizie.
Di conseguenza, per favorire una maggiore equità nella determinazione delle basi imponibili catastali e conseguire una perequazione effettiva tra i diversi territori urbani, il documento reputa necessario porre in essere una riforma del sistema estimativo del catasto edilizio urbano, imperniato sui seguenti elementi:
§ la costituzione di un sistema catastale che contempli assieme alla rendita (ovvero il reddito medio ordinariamente ritraibile al netto delle spese di manutenzione e gestione del bene), il valore patrimoniale del bene, al fine di assicurare una base imponibile adeguata da utilizzare per le diverse tipologie di tassazione;-
§ la rideterminazione della classificazione dei beni immobiliari;-
§ il superamento del sistema vigente per categorie e classi in relazione agli immobili ordinari, attraverso un sistema di funzioni statistiche che correlino il valore del bene o il reddito dello stesso alla localizzazione e alle caratteristiche edilizie;-
§ il superamento, per abitazioni e uffici, del “vano” come unità di misura della consistenza a fini fiscali, sostituendolo con la “superficie” espressa in metri quadrati;-
§ la riqualificazione dei metodi di stima diretta per gli immobili speciali.
Viene inoltre sottolineata la necessità di una riforma dei sistemi fiscali e agevolazioni fiscali al fine di facilitare la partecipazione delle seconde fonti di reddito al mercato del lavoro e ridurre i casi di occupazione non dichiarata e di dipendenza dai sussidi. A questo scopo la Commissione prospettata le seguenti opzioni:
1. l’aumento della tassazione sul consumo (negli Stati membri in cui l’imposizione al riguardo è relativamente bassa), opzione cui molti Paesi hanno già fatto ricorso;
Al riguardo, si segnala che la Commissione ribadisce alcuni degli obiettivi e delle opzioni già illustrate nella recente comunicazione sulla nuova strategia dell’UE in materia di imposta sul valore aggiunto (COM(2011)851), che fa seguito alla consultazione svolta sul Libro verde presentato il 1° dicembre 2010.
Ad avviso della Commissione, il nuovo sistema IVA dovrebbe perseguire i seguenti tre obiettivi principali:
- riduzione degli oneri amministrativi a carico delle imprese, per agevolare il commercio transfrontaliero, attraverso l’introduzione dello "sportello unico" e la standardizzare delle dichiarazioni IVA;
- ampliamento della base imponibile e limitazione del ricorso alle aliquote ridotte;
- potenziamento degli attuali meccanismi antifrode, per ridurre la perdita di entrate dovute all'IVA non versata.
La Commissione sottolinea inoltre che la questione del passaggio ad un sistema IVA basato sull'imposizione nel Paese di origine non è più rilevante. Pertanto, l'IVA continuerà ad essere riscossa nel Paese di destinazione (ossia il Paese in cui ha sede l'acquirente).
La relazione allegata all’AGS ribadisce che, limitando le esenzioni IVA e l’applicazione di aliquote ridotte, si amplierebbe la base imponibile e semplificherebbe la disciplina dell’imposta e si ridurrebbero le distorsioni economiche in molti Stati membri.
Nel programma di lavoro per il 2012 la Commissione preannuncia anche la presentazione, per l’anno 2014, di una proposta di revisione della direttiva relativa al sistema generale dell’IVA (direttiva 2006/112/CE) per quanto riguarda la tassazione a destinazione degli scambi intra-UE.
Nel documento approvato il 18 ottobre 2011 (DOC XVIII, n. 51) all’esito dell’esame del Libro verde sul futuro dell'IVA, la Commissione VI Finanze della Camera ha manifestato il proprio orientamento favorevole a procedere verso un sistema IVA basato sul principio della tassazione nel Paese di origine, nonché ad assicurare una forte armonizzazione delle aliquote IVA, al fine di impedire che le differenze di aliquota influiscano sulla decisione del luogo di acquisto, definendo un adeguato sistema di compensazione che garantisca l’afflusso del gettito allo Stato membro di consumo.
Nell’ottica di attuare le dovute riforme secondo i principi del Libro Verde, la VI Commissione ha dunque espresso preferenza per il ricorso a regolamenti, al fine di correggere i richiamati difetti di uniformità legislativa ed ha rilevato la necessità di procedere ad una razionalizzazione del sistema delle aliquote, attraverso la definizione di un'unica aliquota normale e un'unica aliquota agevolata per beni e servizi considerati meritevoli di tale beneficio a livello comunitario, eliminando le differenziazioni nazionali che determinano effetti distorsivi della concorrenza e al contempo assicurando che tale opera di omogeneizzazione non determini spinte inflazionistiche.
Si reputa altresì opportuno:
- valutare l'opportunità di istituire un regime speciale a favore delle piccole e medie imprese, basato su una soglia comune di accesso;
- provvedere in generale alla riduzione degli oneri amministrativi connessi all'assolvimento dell'imposta attraverso – tra l’altro - la predisposizione di una modulistica unica europea per tutti gli adempimenti relativi alla dichiarazione ed al versamento dell'imposta;
- procedere incisivamente nell'azione di contrasto al fenomeno dell'evasione fiscale in materia di IVA, anche attraverso una maggiore estensione dell'obbligo di fatturazione elettronica delle operazioni, l’introduzione di modalità automatiche di assolvimento dell'imposta con modalità (mediante banche o istituti di moneta elettronica) che consentano la piena tracciabilità delle transazioni e l’estensione ulteriore del meccanismo dell'inversione contabile (cosiddetto reverse charge; in materia cfr. il box sull’evasione ed erosione fiscale);
- rimediare alla vulnerabilità nei confronti dei comportamenti fraudolenti mostrato in ordine alla tassazione IVA delle operazioni transfrontaliere intra-UE.
La Commissione ritiene infatti che gli Stati membri che impongono un carico fiscale relativamente elevato sul reddito delle imprese dovrebbero cercare di evitarne un aumento nella congiuntura attuale in quanto ciò potrebbe compromettere l’accumulo di capitale e ridurre gli investimenti.
2. Più in generale, si ipotizza una riconfigurazione dell’imposizione fiscale sull’occupazione in relazione a tutti i livelli di reddito. In particolare, per incoraggiare la mobilità lavorativa ed aumentare l’efficacia della distribuzione dell’offerta degli alloggi potrebbe essere giustificato riequilibrare l’imposizione sugli alloggi basandola su imposte periodiche anziché su imposte relative alle transazioni.
La Commissione ritiene inoltre necessaria una riduzione della distorsione a favore del debito (debt bias) nel finanziamento degli investimenti determinata in molti Stati membri (tra cui l’Italia) dai sistemi di imposta sul reddito delle imprese e dalla tassazione degli investimenti immobiliari.
Con riguardo al primo profilo, la distorsione discende dal fatto che il pagamento degli interessi sui debiti delle imprese è deducibile dagli utili imponibili mentre il rendimento del capitale non lo è.
Anche nel settore immobiliare la distorsione a favore del debito è dovuta anche al fatto che gli interessi pagati sul prestito ipotecario (o addirittura i rimborsi di capitale) sono deducibili dall’imposta sul reddito delle persone fisiche e ciò incoraggia un’accumulazione dell’indebitamento nonché investimenti immobiliari eccessivi. Ne consegue una cattiva allocazione delle risorse a spese di investimenti (più) produttivi.
Tale regime fiscale ha inoltre contribuito ad aumentare i prezzi immobiliari e il debito eccessivo (leverage) e quindi le speculazioni sul mercato immobiliare.
La relazione sottolinea che a causa di questi due tipi di distorsione a favore del debito, le decisioni finanziarie delle famiglie e delle imprese a favore di un maggiore leverage sono guidate da considerazioni fiscali e non economiche. Tali distorsioni aumentano il rischio e la volatilità in economia e possono accentuare le conseguenze economiche negative quando questi rischi si concretizzano.
La relazione allegata all’indagine ricorda inoltre che le agevolazioni fiscali (deduzioni, esenzioni e deroghe), sebbene giustificate da finalità di giustizia e ridistribuzione, per correggere fattori economici esterni o creare incentivi positivi o negativi, possono spesso rappresentare regimi preferenziali ingiustificati che creano distorsioni economiche e riducono l’efficienza del sistema fiscale.
La Commissione sottolinea dunque come l'eliminazione delle agevolazioni fiscali dalle imposte sul reddito delle persone fisiche e/o delle imprese, oltre ad ampliare la base imponibile, aumentando le entrate supplementari ad aliquote fiscali costanti (o persino inferiori), potrebbe migliorare di gran lunga il contesto imprenditoriale riducendo la complessità del sistema fiscale, riducendo i costi di riscossione, e semplificando le procedure di pagamento.
In materia di tassazione delle imprese, si segnala che proposta di direttiva relativa ad una base imponibile consolidata comune per l’imposta sulle società (COM(2011)121), che intende agevolare l’attività transfrontaliera delle imprese attraverso la creazione di un regime opzionale per calcolare la base imponibile di una società o di un gruppo e l’introduzione di uno sportello unico per la presentazione delle dichiarazioni dei redditi. La proposta verrà esaminata secondo la procedura legislativa speciale (unanimità in seno al Consiglio e parere del PE, previsto per la sessione del 28 marzo 2012);
Nel documento finale approvato (DOC XVIII, n. 41 del 25 maggio 2011) all’esito dell’esame della predetta proposta, la Commissione Finanze ha espresso alcuni rilievi in proposito.
Da un lato la Commissione ha evidenziato che il consolidamento fiscale previsto dalla proposta permetterebbe di superare numerosi problemi di doppia tassazione e che verrebbero ridotti in misura rilevante gli oneri regolamentari per le società europee con attività transnazionale. Tuttavia, nel documento finale si sottolinea che i contenuti della proposta non sembrano ancora sufficienti a raggiungere risultati veramente significativi, poiché si limitano a prevedere la creazione a livello europeo di meccanismi di “consolidamento” fiscale senza affrontare alcuni aspetti dell'armonizzazione fiscale, quali, soprattutto, la definizione di aliquote comuni o l'individuazione di un livello minimo e massimo entro il quale i singoli Stati sono tenuti a fissare le aliquote d'imposta applicabili alle imprese. Si rileva come il regime comune previsto dalla proposta di direttiva abbia portata limitata, in quanto concerne esclusivamente il calcolo della base imponibile tra imprese consociate e ha natura opzionale.
La Commissione rileva poi che la proposta di direttiva inciderebbe in misura marginale sulle distorsioni determinate dalla previsione, in alcuni Stati membri, di aliquote molto basse e di altre regole volte a mantenere un livello di imposizione sulle società nettamente inferiore al livello generalmente applicato nei medesimi Paesi.
Accanto alla valutazione positiva della possibilità - concessa dalla proposta ai gruppi di imprese che optino per l'applicazione della base imponibile consolidata comune - di interagire con una sola amministrazione fiscale in tutta l'Unione europea, si osserva che, qualora ciò non si accompagnasse ad una più forte armonizzazione dei regimi tributari sotto il profilo sostanziale (segnatamente per quanto riguarda il livello delle aliquote), l’innovazione comporterebbe il rischio di favorire ulteriormente fenomeni di vero e proprio shopping fiscale, riducendo ancora di più la capacità, in molti casi già piuttosto limitata, degli Stati, di esercitare la leva tributaria come strumento di politica economica.
Si obietta poi che la proposta di direttiva sembra conformata più che altro sulle caratteristiche delle imprese di maggiori dimensioni, delle imprese transnazionali e dei gruppi di imprese, mentre non tiene conto adeguatamente delle esigenze delle imprese di dimensioni medie, piccole e piccolissime, che costruiscono invece l'ossatura fondamentale del sistema economico-imprenditoriale italiano.
Di conseguenza, la Commissione ha invitato il Governo ad adoperarsi nelle competenti sedi decisionali dell'Unione europea al fine, tra l’altro, di rendere obbligatoria - anziché facoltativa - l'applicazione della base imponibile consolidata; affinché siano fissate regole comuni di applicazione generale della base imponibile dell'imposta a tutte le società di capitali; al fine di accompagnare la definizione di una base imponibile comune alla fissazione di una o più aliquote minime di imposta, sul modello dell'IVA e delle accise.
Inoltre, il Governo è invitato a sottoporre alle Camere una valutazione approfondita dell'impatto sul gettito tributario della proposta di direttiva, comparandolo anche agli effetti potenziali delle ipotesi di introduzione di una base imponibile unica ed obbligatoria per l'imposta sulle società e di fissazione di aliquote minime.
3. un aumento delle tasse ambientali, che possono contribuire al risanamento fiscale producendo effetti a medio termine sulla crescita, il reddito, la produttività e il gettito fiscale. Peraltro, la Commissione riconosce che loro base imponibile rimane generalmente piuttosto modesta e il loro obiettivo principale è di correggere le distorsioni ambientali.
La Commissione, rilevato che nella congiuntura attuale è estremamente difficile finanziarie con nuove spese misure di politica ambientale, considera importante per il perseguimento degli obiettivi dell’Ue nel settore:
eliminare sovvenzioni fiscali dannose (sovvenzioni a favore del consumo energetico mediante la riduzione delle aliquote IVA, il trattamento fiscale favorevole delle autovetture di servizio delle società e prezzi incongrui per le emissioni di CO2, le sovvenzioni implicite per il diesel).
consolidare il coordinamento internazionale ed europeo in materia, in modo da beneficiare delle esperienze degli Stati membri che hanno fatto ricorso intensivamente alle imposte ambientali e contribuire ad una concorrenza equa per le imprese dell’UE.
Riguardo alla tassazione in materia ambientale, si segnala che la Commissione ha già presentato proposta di direttiva sulla tassazione dell’energia (COM(2011)168), che mira ad adeguare i meccanismi del mercato interno alle nuove esigenze ambientali. In particolare, le imposte sull'energia vigenti sarebbero divise in due componenti:
una parte, basata sulle emissioni di CO2 rilasciate dal prodotto energetico, ammonterebbe a 20 euro per tonnellata di CO2;
l'altra basata sul contenuto energetico (energia effettiva generata dal prodotto misurata in gigajoule (GJ)), corrisponderebbe a 9,6 euro/GJ per i carburanti per motori, e 0,15 euro/GJ per i combustibili per riscaldamento. Essa si applicherebbe a tutti i carburanti e combustibili utilizzati per i trasporti e il riscaldamento.
La direttiva entrerebbe in vigore a partire dal 2013. Per allineare completamente la tassazione del contenuto energetico sono previsti lunghi periodi transitori, fino al 2023, in modo da lasciar tempo al settore di adeguarsi al nuovo regime. La proposta verrà esaminata secondo la procedura legislativa speciale, che prevede il parere del Parlamento europeo (atteso per la seduta del 17 aprile 2012) e l’unanimità in seno al Consiglio dell’UE.
In materia di fiscalità, la Commissione ha altresì presentato una proposta di direttiva relativa ad un sistema comune d’imposta sulle transazioni finanziarie (COM(2011)594), volta ad introdurre un’imposta sulle transazioni finanziarie in tutti i 27 Stati membri dell’Unione europea. Tale imposta si applicherebbe a tutte le transazioni di strumenti finanziari tra enti per le quali almeno una controparte della transazione sia stabilita all’interno dell’UE. Lo scambio di azioni e obbligazioni sarebbe tassato con un’aliquota dello 0,1%, mentre per i derivati il tasso sarebbe dello 0,01%. Secondo i calcoli della Commissione, che propone l’entrata in vigore dell’imposta il 1o gennaio 2014, il gettito potrebbe aggirarsi intorno ai 57 miliardi di euro ogni anno.
Nell’ambito dell’esame in seno al Consiglio, è emerso il parere nettamente contrario del Regno Unito e della Svezia. Il PE si dovrebbe esprimere sulla proposta nella sessione del 12 giugno 2012, ma già in una risoluzione non legislativa dello scorso 8 marzo 2011 ha auspicato l’introduzione di una tale imposta;
Nelle mozioni 1-00800 e 1-00822, approvate dalla Camera il 25 gennaio 2012, si impegna il Governo, tra le altre cose, a sostenere l'introduzione di una tassazione sulle transazioni finanziarie prospettando l'opportunità che essa si applichi a tutti Paesi membri dell'Unione europea e perseguendo contemporaneamente una più ampia intesa globale.
Si segnala che la Commissione Finanze della Camera ha avviato l’esame di alcune proposte di legge volte ad istituire un’imposta sulle transazioni finanziarie (ITF), con l’obiettivo, da una parte, di stabilizzare il sistema bancario e scoraggiare le transazioni a carattere speculativo e, dall’altra, di coprire in parte i costi generati dalla crisi, reperendo al contempo risorse da destinare allo sviluppo non solo interno ma anche in favore dei Paesi meno sviluppati.
La Commissione propone, nel quadro del semestre europeo, di sviluppare un dialogo rafforzato tra la Commissione e gli Stati membri dell’UE sugli orientamenti di politica fiscale e sulla loro attuazione nelle seguenti sedi:
§ nell’ambito del Gruppo ad alto livello "Questioni fiscali"[47] gli Stati membri dovrebbero scambiarsi pareri sui contenuti e sull’iter dei rispettivi interventi in materia, da usare come tabelle di marcia per i futuri lavori nel settore del coordinamento della politica fiscale;
§ nell’ambito del gruppo "Politica fiscale"[48] andrebbe intensificato il dibatto già avviato tra la Commissione e gli Stati membri su come creare e calcolare imposte atte a favorire la crescita, in particolare sull’esperienza acquisita in materia di introduzione di tasse ambientali e sulle questioni relative all’amministrazione fiscale per aiutare gli Stati membri a garantire una migliore riscossione delle imposte;
§ nel quadro del Consiglio ECOFIN, in particolare del Comitato di politica economica (CPE)[49], si dovrebbero tenere discussioni tecniche sui principi orizzontali delle politiche a favore della crescita e della sostenibilità basate sulle esperienze nazionali onde rafforzare ulteriormente le basi metodologiche e analitiche degli orientamenti per la politica fiscale.
I lavori sullo scambio di migliori pratiche potrebbero essere inoltre potenziati mediante lo sviluppo ulteriore del portale Internet della Commissione europea sulle caratteristiche principali delle riforme fiscali nazionali, compresa la valutazione della loro efficacia e se del caso, mediante l’identificazione di obiettivi indicativi.
Il disegno di legge di delega per la riforma fiscale e assistenziale
Alla fine di luglio 2011 è stato presentato alla Camera il disegno di legge n. 4566, di iniziativa governativa, recante la delega legislativa per la riforma fiscale e assistenziale, in un'ottica di semplificazione e razionalizzazione del quadro normativo vigente. Il ddl è attualmente all’esame della Commissione VI Finanze della Camera. Parallelamente, è in corso al Senato un’indagine conoscitiva sulla medesima delega.
La relazione illustrativa al disegno di legge evidenzia che il vigente sistema italiano presenta squilibri nella distribuzione del carico fiscale, che risulta eccessivo rispetto al lavoro e, al contempo, piuttosto contenuto per quanto riguarda il consumo. Il disegno di legge intende inoltre semplificare il quadro normativo, al fine di ridurre il tempo necessario per adempiere agli obblighi fiscali. Al contempo, si rende necessaria una riforma in materia socio-assistenziale per riqualificare e riordinare la relativa spesa e per superare le sovrapposizioni e duplicazioni di servizi e prestazioni che rendono poco efficace e antieconomico il sistema.
Tra i princìpi e criteri direttivi sulla base dei quali il governo è chiamato ad operare il riordino del sistema fiscale (articolo 1 del DDL) si ricordano: il rispetto dei princìpi fondamentali dell'ordinamento comunitario e degli obblighi derivanti dai trattati internazionali e il divieto della doppia imposizione giuridica e del divieto di applicazione analogica delle norme che stabiliscono i presupposti soggettivi ed oggettivi dell'imposizione, le esenzioni e le agevolazioni.
Gli articoli da 2 a 7 contengono i principi e criteri di delega relativi a ciascuna imposta.
In particolare, l’articolo 2 prevede che l'imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) sia determinata in base alle tre aliquote del 20 per cento, del 30 per cento e del 40 per cento, da applicare “ad un imponibile per quanto possibile non eroso dalle diverse agevolazioni introdotte nel corso degli anni”. La copertura finanziaria della rimodulazione delle aliquote è assicurata mediante l'eliminazione o la riduzione totale o parziale dei regimi di favore fiscale attualmente vigenti, fatta eccezione per i regimi introdotti in esecuzione di accordi internazionali, ovvero in ottemperanza alla normativa dell'Unione europea. Altri principi riguardano, nell’ottica di ampliare la base imponibile, l’inclusione fra i soggetti passivi degli enti non commerciali.
Tra i principi e i criteri direttivi per la riforma dell’IVA,nel rispetto dell’ordinamento comunitario, il legislatore intende rivedere gradualmente le aliquote (cfr. infra).
§ la riduzione delle forme di indetraibilità e delle distorsioni della base imponibile;
§ il coordinamento della disciplina IVA con quella delle accise;
§ la razionalizzazione dei sistemi speciali in relazione alla particolarità dei settori interessati.
Per quanto concerne il riordino della disciplina delle accise (articolo 5) prospetta tra l’altro una graduale rimodulazione delle aliquote delle singole accise e, tra l’altro, anche la correzione degli effetti esterni negativi dell’imposizione su ambiente salute e benessere”.
Alcune disposizioni originariamente contenute nel disegno di legge di delega sono state tradotte in normativa vigente successivamente alla presentazione del DDL.
Tra di esse si annovera il meccanismo di “Aiuto alla crescita economica –ACE”, (articolo 7 dell’A.C. 4566) tramite il quale, ai fini della tassazione del reddito di impresa, si rende deducibile il rendimento del capitale di rischio, valutato tramite l'applicazione di un rendimento nozionale al nuovo capitale proprio (articolo 2 del D.L. 201 del 2011).
Con il D.L. 138 del 2011 ha trovato attuazione la riforma dei redditi di natura finanziaria (ai sensi dell’articolo 2 del disegno di legge di delega), al fine di assoggettare tali redditi ad un’imposta sostitutiva con aliquota unica (ordinariamente fissata al 20 per cento, salve specifiche ipotesi di aliquote ridotte). E’ stato disposto anche l’innalzamento progressivo delle aliquote IVA (cfr. box successivo).
Per quanto attiene alla parte della delega relativa alla riforma del sistema assistenziale, sono state recate novità importanti in materia di ISEE – indicatore della situazione economica equivalente; l’articolo 5 del più volte citato D.L. 201/2011 reca disposizioni volte a rivedere le modalità di determinazione e i campi di applicazione dell’ISEE, rafforzando la rilevanza degli elementi collegati alla ricchezza patrimoniale della famiglia e ai trasferimenti monetari, anche se esenti da imposizione fiscale (l’articolo 10 del disegno di legge di delega indica, tra i principi e i criteri direttivi, anche la ridefinizione degli indicatori volti ad individuare la reale situazione economica dei singoli cittadini, con particolare attenzione ai nuclei familiari).
La Commissione sottolinea che il coordinamento fiscale e la normativa dell’UE sono particolarmente importanti, nella prospettiva del sostegno delle politiche fiscali alla crescita, per tre principali ragioni:
1. contribuire ad eliminare gli ostacoli al mercato interno e creare condizioni di parità per imprese e singoli cittadini, superando il problema della doppia imposizione e degli altri ostacoli transfrontalieri agli investimenti nell’UE;
2. limitare e prevenire la non imposizione e gli abusi, che mettono in pericolo l’equità e l’efficacia dell’interazione tra i sistemi fiscali degli Stati membri, migliorando il rispetto degli obblighi fiscali e creando nuove entrate necessarie per i bilanci nazionali.
3. evitare la concorrenza fiscale dannosa e il conseguente "livellamento verso il basso" dell’imposizione, che riduce la capacità degli Stati membri di prelevare imposte su basi imponibili mobili e li costringe a riscuotere le entrate su basi imponibili meno mobili, come la manodopera, soprattutto quella poco specializzata. Il coordinamento potrebbe restituire agli Stati membri un certo margine di manovra per una migliore elaborazione delle loro politiche fiscali.
La Commissione, rilevato che la concorrenza fiscale dannosa può essere affrontata soltanto attraverso la cooperazione all’interno e al di fuori dell’UE, ricorda che lo strumento sinora adoperato in ambito UE, il codice di condotta sulla tassazione delle imprese[50], pur stabilendo norme giuridicamente vincolanti, ha contribuito ad eliminare molte misure fiscali dannose, attraverso l’opera del del gruppo “codice di condotta” [51].
La Commissione ricorda, in particolare, che dal 2010, su invito del Consiglio dell’UE, ha avviato un dibattito con la Svizzera e il Liechtenstein sull’applicazione dei principi e dei criteri del codice in questi due Paesi.
Per il futuro la Commissione ritiene neccessario rafforzare il mandato del gruppo, tenendo conto che la pianificazione fiscale a livello di imprese sia diventata sempre più sofisticata negli ultimi 15 anni: alcune imprese non si limitano a beneficiare dei regimi fiscali preferenziali di un solo paese, ma praticano un’ingegneria fiscale complessa che permette loro di ottenere agevolazioni fiscali grazie all’allineamento imperfetto dei sistemi fiscali di due o più paesi.
Ad avviso della Commissione, dagli squilibri esistenti potrebbero nascere addirittura situazioni di doppia non imposizione con grave pregiudizio per il gettito fiscale nazionale.
In mancanza di risultati entro la fine del 2012, la Commissione si riserva di ricorrere al suo diritto di iniziativa legislativa per affrontare le questioni sopra richiamate.
La relazione allegata all’indagine sottolinea che la doppia imposizione è considerata come uno degli ultimi ostacoli importanti al mercato unico: al riguardo, la Commissione ha presentato una comunicazione nella quale preannuncia che:
§ presenterà nel 2012 soluzioni per la doppia imposizione transfrontaliera dei dividendi distribuiti a investitori di portafoglio;
§ si adopererà per istituire un forum sulla doppia imposizione per questioni fiscali riguardanti esclusivamente l’UE, proporre un codice di condotta sulla doppia imposizione e valutare la fattibilità di un meccanismo di risoluzione delle controversie efficiente.
In materia di lotta antifrode ed evasione fiscale, la Commissione rileva che, a livello nazionale, la qualità della governance amministrativa e una migliore comprensione del comportamento dei contribuenti sono di fondamentale importanza per ottimizzare i risultati complessivi dei sistemi fiscali e ridurre i costi dell’amministrazione. In secondo luogo, l’efficacia delle attività di contrasto, a suo avviso, dipende dalle risorse (umane e informatiche) che saranno effettivamente impiegate per accertare le violazioni delle leggi, dalle sanzioni comminate per le violazioni e dal controllo sull’efficacia dell’insieme delle azioni di contrasto. A livello UE, gli Stati membri dovrebbero usare al meglio gli strumenti esistenti per la lotta contro la frode fiscale, ad esempio il programma Fiscalis[52], che prevede una serie di azioni congiunte a favore della cooperazione tra Stati membri.
In tema di lotta all’evasione, si segnala che è già al’esame dell istituzioni UE la proposta di direttiva in materia di tassazione dei redditi da risparmio sotto forma di pagamenti di interessi (COM(2008)727), che mira ad estendere il campo di applicazione della direttiva, per includervi non solo i pagamenti di interessi ma anche tutti i redditi da risparmio, nonché i prodotti che generano interessi o redditi equivalenti, e a rinegoziare gli accordi con i Paesi terzi in materia.
Il Parlamento europeo si è espresso approvando, il 24 aprile 2009, una risoluzione che reca emendamenti alla proposta. Il dibattito in seno al Consiglio è tuttora in corso; la Commissione auspica che si raggiunga un accordo sulle direttiva per i negoziati con i Paesi terzi entro marzo 2012.
Entro la fine del 2012 è attesa la presentazione di una proposta della Commissione europea per affrontare il problema dei paradisi fiscali.
La Commissione europea, tenuto conto che le restrizioni di bilancio limitano notevolmente il margine di manovra per uno stimolo fiscale a livello nazionale, riconosce l’importanza di un utilizzo pieno ed efficace delle risorse previste dal bilancio dell’UE.
In particolare, l’analisi sottolinea come il pieno uso dei Fondi strutturali dell'UE, per i quali nel periodo 2007-2013 è previsto un bilancio di 347miliardi di euro, possa dare un contributo importante a favore della crescita e della competitività.
Al riguardo, la Commissione rileva come:
§ per gli Stati membri beneficiari di programmi di assistenza finanziaria, la stessa Commissione ha proposto di aumentare i tassi di cofinanziamento onde garantire l'immediata realizzazione degli investimenti necessari nonostante le serie difficoltà dei bilanci nazionali.
A tale riguardo, va segnalato il regolamento (UE) n. 1311/2011, recante modifica del regolamento (CE) n. 1083/2006 del Consiglio per quanto riguarda talune disposizioni in materia di gestione finanziaria per alcuni Stati membri che si trovano o rischiano di trovarsi in gravi difficoltà relativamente alla loro stabilità finanziaria, adottato in via definitiva il 13 dicembre 2011. Il regolamento in questione prevede un aumento temporaneo, pari al 10%, dei tassi di cofinanziamento UE dei fondi strutturali e del fondo di coesione per gli Stati membri che beneficiano dell’assistenza finanziaria del meccanismo europeo di stabilizzazione (Grecia, Irlanda e Portogallo) e del sostegno finanziario delle bilance dei pagamenti (Lettonia, Romania e Ungheria).
Per quanto concerne l’Italia, nell’ambito del “Piano d’azione coesione” (vedi infra), a seguito di una visita in Italia del Commissario alle politiche regionali, Johannes Hahn, è stato concordato di aumentare il tasso di cofinanziamento UE, per i progetti interessati, dal 50% al 65%. In questo modo si riduce la quota parte di cofinanziamento a carico dell’Italia;
§ vi sia ancora un ampio margine per l'impiego o la riprogrammazione dei fondi disponibili.
Per quanto concerne l’Italia, il 15 dicembre 2011 il Governo e le Regioni Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sardegna e Sicilia hanno approvato un “Piano d’azione coesione” (al quale hanno già aderito anche Abruzzo e Molise) per accelerare e riqualificare l’utilizzo dei Fondi strutturali comunitari.
L’intervento si è reso necessario al fine di utilizzare interamente i fondi strutturali, concentrando gli investimenti in tre settori ad alto impatto socioeconomico (scuola, ferrovie e agenda digitale), e di sostenere l’occupazione dei lavoratori svantaggiati, maggiormente colpiti dalle difficoltà di questa fase congiunturale negativa.
Vengono riallocati complessivamente 3,1 miliardi di euro. In particolare:
- la riprogrammazione all’interno dei Programmi regionali di 1,5 miliardi di euro. Così divisi: scuola, 974 milioni di euro; agenda digitale, 423 milioni di euro; credito per l’occupazione, 142 milioni di euro;
- la costituzione di un Fondo da 1,6 miliardi di euro a favore di investimenti su reti e nodi ferroviari, che porta a circa 6,5 miliardi di euro l’insieme dei finanziamenti per le ferrovie nel Sud.
In esito alla riunione straordinaria del Consiglio europeo del 30 gennaio 2012 è stata approvata una dichiarazione sulla promozione della crescita e dell’occupazione. In tale dichiarazione, tra le altre cose, si sottolinea l’opportunità di riorientare i fondi UE disponibili, offrendo ai giovani un sostegno per entrare nel mondo del lavoro o intraprendere una formazione.
Dando seguito alla dichiarazione, il 31 gennaio il Presidente della Commissione europea, Barroso, ha inviato ai governi degli 8 Paesi UE che registrano un tasso di disoccupazione giovanile superiore al 30% (Italia, Irlanda, Grecia, Portogallo, Slovacchia, Spagna, Lettonia e Lituania) una lettera nella quale propone la costituzione di un action team, formato da funzionari nazionali e della Commissione europea, al fine di:
§ individuare i necessari elementi di un piano per l’occupazione giovanile da includere nel Programma nazionale di riforma. Il piano dovrebbe definire, ad esempio, misure specifiche a livello di politiche e di bilancio per sostenere la creazione di posti di lavoro e la formazione per i giovani, cercando di conciliare la domanda e l’offerta di competenze e di arginare l’abbandono scolastico;
§ i programmi di sostegno alle PMI a cui occorre trasferire stanziamenti dall’attuale assegnazione di fondi UE.
§ per contribuire alla realizzazione delle infrastrutture necessarie nei settori dei trasporti, dell'energia e delle tecnologie per l’informazione e la comunicazione (TIC), la Commissione ha proposto altresì di utilizzare i project bond.
Il 19 ottobre 2011 la Commissione ha presentato una comunicazione (COM(2011)660) riguardante l’avvio di un progetto pilota, nel periodo 2012-2013, per l’emissione di prestiti obbligazionari privati (cosiddetti project bond). Tale iniziativa si inserisce nel quadro più vasto volto a promuovere il ricorso agli strumenti finanziari innovativi che costituisce uno degli elementi centrali del prossimo quadro finanziario pluriennale (QFP) dell’UE per il 2014-2020, che prevede un incremento degli stanziamenti complessivi del bilancio europeo destinati all’emissione di tale tipologia di strumenti dall’1%, previsto nell’attuale periodo di programmazione 2007-2013, al 2%, nel 2014-2020.
A fronte dell’aumento del fabbisogno di investimenti infrastrutturali nell’UE, l’emissione dei project bond, da un lato risponde all’esigenza di reperire sul mercato consistenti finanziamenti per investimenti strategici nei settori dei trasporti, dell’energia e delle tecnologie digitali. Per altro verso, si intende porre rimedio alla ridotta disponibilità di capitale di rischio, determinata dalla crisi economica e finanziaria, per investimenti nei settori sopra indicati, che sono considerati essenziali per la ripresa dell’economia europea e, più in generale, per il perseguimento degli obiettivi di crescita e occupazione previsti dalla Strategia Europa 2020.
Il progetto pilota sarà attuato in collaborazione con la Banca europea per gli investimenti (BEI), anche se, a partire dal 2014, la Commissione si riserva la facoltà di coinvolgervi altre istituzioni finanziarie pubbliche.
Il progetto pilota relativo ai project bond è strettamente connesso all’istituzione, nell’ambito del QFP dell’UE per il 2014-2020, del nuovo meccanismo per collegare l'Europa (Connecting Europe Facility - CEF) con il quale l’UE intende promuovere il finanziamento di determinate infrastrutture prioritarie che rispettino i criteri di sviluppo sostenibile definiti dalla Strategia Europa 2020 (COM(2011)665)[53].
Il CEF si avvarrebbe sia di sovvenzioni sia di strumenti finanziari che comprenderebbero, oltre a strumenti di capitale proprio, anche strumenti con ripartizione del rischio tra cui project bond.
Pertanto, il progetto pilota – che sarà oggetto, entro la seconda metà del 2013 di una revisione - si configura come una fase sperimentale in vista della emissione a regime, a partire dal 2014, di project bonds nell’ambito del CEF. A partire da tale data, inoltre, lo strumento potrebbe essere aperto a finanziamenti in altri settori come, per esempio, le infrastrutture sociali, le energie rinnovabili e determinati progetti spaziali.
Nella mozione 1-00800 approvata dalla camera il 25 gennaio si impegna il Governo a porre al centro della riflessione politica europea le politiche dello sviluppo e della crescita, il completamento del mercato interno, in particolare di quello dei servizi, l'innovazione e la ricerca scientifica con l'obiettivo di fare dell'Europa l'economia della conoscenza più grande del mondo, considerando in tale ambito anche la possibile adozione di strumenti innovativi di finanziamento allo sviluppo, quali eurobond e project bond.
Un impegno analogo è contenuto anche nella mozione 1-00823[54], in cui si auspica l’introduzione di project bond ai fini dei necessari investimenti infrastrutturali.
La situazione in Italia
Il deterioramento delle prospettive di crescita determinatosi nel corso del corso del 2011, che si è accentuato nel seconda metà dell’anno ed i cui effetti continueranno a manifestarsi, secondo le più recenti previsioni economiche, anche nel corso del 2012, hanno comportato anche nel nostro Paese un peggioramento delle condizioni di finanziamento dello Stato. Ciò ha reso ancora più stringente l’urgenza da un lato di porre sotto controllo le dinamiche di aumento della spesa pubblica e, dall’ altro, di avviare azioni volte a stimolare la crescita, nell’ambito delle risorse disponibili ed in quadro volto ad un più efficiente utilizzo delle stesse.
In relazione a tali esigenze, nell’ordinamento sono ravvisabili diverse linee di intervento volte a consentire il controllo del bilancio dello Stato e di quelli delle autonomie territoriali, nonché una migliore regolamentazione della gestione della spesa pubblica, per una sua più efficace destinazione a finalità di sviluppo. Va in particolare dato specifico rilievo, oltre ai decreti-legge di manovra varati nel 2011, alla disciplina costituzionale del pareggio di bilancio, alle regole di controllo sull’impiego delle risorse finanziarie( contenimento della spesa, spending review, responsabilità degli amministratori, armonizzazione dei bilanci), allo stato ed alla nuova normativa sull’utilizzo dei fondi strutturali, ai c.d. project bond e, da ultimo, alla questione dei tempi dei pagamenti da parte delle amministrazioni pubbliche.
Nel mese di luglio, in relazione al persistere di forti tensioni sui mercati finanziari derivanti dal peggioramento della situazione economica di alcuni paesi europei, viene emanato il decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (L. n. 111/2011) che si inserisce nell’ambito del piano concordato in sede europea per il rientro dalla situazione di disavanzo eccessivo. A tal fine il decreto-legge reca interventi principalmente in materia di riduzione dei costi della politica e degli apparati, controllo e monitoraggio della spesa delle amministrazioni pubbliche, contenimento della spesa per pubblico impiego, sanità, istruzione, previdenza, enti territoriali nonché disposizioni in materia di entrate: Esso prevede altresì misure per lo sviluppo, quali un regime fiscale di vantaggio per l’imprenditoria giovanile, interventi per la realizzazione delle infrastrutture di telecomunicazione a banda larga, l’istituzione di Fondo per le opere ferroviarie e stradali, un regime sperimentale degli orari dei negozi nelle località turistiche ed alcune agevolazioni fiscali per gli emolumenti destinati al settore privato.
Pur in presenza di quest’ultimo intervento, tuttavia, la crisi finanziaria si intensifica nel mese di agosto, investendo anche i tassi dei titoli del debito pubblico dell’Italia; viene conseguentemente emanato un nuovo provvedimento d’urgenza, il decreto-legge 13 agosto 2011, n.138 (L. n. 148/2011), che reca misure di razionalizzazione e contenimento della spesa finalizzate al nuovo obiettivo concordato in sede europea di conseguire, già nell’anno 2013, il pareggio di bilancio, nonché interventi in materia di liberalizzazioni e privatizzazioni, per il rilancio dello sviluppo e il sostegno all’occupazione.
Il ripresentarsi, nell'ultimo bimestre dell'anno, di nuovi e consistenti segnali di debolezza della congiuntura internazionale, nonché di una intensificazione delle tensioni sui mercati finanziari, con riferimento anche si titoli dei debiti sovrani, incluso quello italiano, rendono necessaria, ad opera del nuovo governo presieduto dal senatore Monti, una ulteriore manovra correttiva, effettuata con il decreto-legge 6 dicembre 2011, n.201 (L. n. 214/2011). Dal lato della spesa le principali misure di contenimento riguardano il settore previdenziale, con l’estensione del calcolo della pensione con il metodo contributivo anche per i soggetti finora esclusi (sulla base del criterio del pro-rata), la riduzione di trasferimenti al comparto delle regioni e degli enti locali, la soppressione di enti ed organismi e la riduzione dei costi di funzionamento di Autorità indipendenti, province ed altri enti pubblici. Oltre ai numerosi interventi volti all’incremento del gettito fiscale sono poi introdotte misure in favore della crescita, mediante l’introduzione di un meccanismo di favore fiscale, denominato ACE, finalizzato a favorire una maggiore capitalizzazione delle imprese attraverso la deducibilità del nuovo capitale proprio; ladeducibilità integrale dall’IRES e dall’IRPEF dell’IRAP relativa alla quota imponibile delle spese del personale; la deduzione dell’IRAP per favorire l’assunzione di donne e giovani di età inferiore a 35 anni assunti a tempo indeterminato, agevolazioni nell’accesso al credito da parte delle imprese, ed un intervento di rafforzamento e stabilità del sistema creditizio prevedendo la possibilità della garanzia dello Stato sulle passività delle banche italiane.
Al netto delle risorse destinate alla crescita, l’effetto di risanamento dei conti pubblici determinato dall’insieme dei tre provvedimenti è di assoluta rilevanza, risultando stimato in una riduzione dell’indebitamento netto pari a circa il 3% del Pil nel 2012, il 4,6% nel 2013 ed il 4,8% per il 2014.
La Camera ha approvato, il 30 novembre 2011, una proposta di legge recante l’introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale, poi confermata nel medesimo testo con l’approvazione, il successivo 15 dicembre, da parte del Senato. Secondo l'art. 138 della Costituzione, il provvedimento dovrà essere adottato nuovamente, nel medesimo testo, da entrambe le Camere in un intervallo non minore di tre mesi dalla prima deliberazione.
Il testo ha lo scopo di dare attuazione al principio del pareggio di bilancio, correlandolo a un vincolo di sostenibilità del debito di tutte le pubbliche amministrazioni, nel rispetto delle regole in materia economico-finanziaria derivanti dall’ordinamento europeo. Le modifiche proposte, che intervengono novellando gli articoli 81, 97, 117 e 119 della Costituzione, incidono sulla disciplina di bilancio dell’intero aggregato delle pubbliche amministrazioni, compresi pertanto gli enti territoriali (regioni, province, comuni e città metropolitane).
In particolare, nel nuovo articolo 81 si dispone che lo Stato debba assicurare l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle diverse fasi - avverse o favorevoli - del ciclo economico; il ricorso all’indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico. Per circoscrivere e per rendere effettivamente straordinario il ricorso all’indebitamento, si dispone che quest’ultimo sia autorizzato con deliberazioni conformi delle due Camere con una procedura aggravata, che prevede un voto a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti.
Il contenuto della legge di bilancio e i criteri volti ad assicurare l’equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci e la sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche vengono demandati ad una apposita legge, oggetto di approvazione (entro il termine del 28 febbraio 2013) a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera; i principi di questa sorta di “legge quadro di contabilità”, sono definiti con legge costituzionale. L'obbligo del rispetto del principio del pareggio dei bilancio e della sostenibilità del debito pubblico viene esteso, con apposita novella all’articolo 97 Cost., a tutte le amministrazioni pubbliche.
Per quanto concerne la disciplina di bilancio degli enti territoriali, viene modificato l'articolo 119 della Costituzione, al fine di specificare che l'autonomia finanziaria di Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni, è assicurata nel rispetto dell’equilibrio dei relativi bilanci; viene inoltre costituzionalizzato il principio del concorso di tali enti all’adempimento dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea. Per gli enti in questione, infine, il ricorso all'indebitamento (possibile solo per le spese di investimento) è subordinato alla contestuale definizione di piani di ammortamento e alla condizione che per il complesso degli enti di ciascuna Regione sia rispettato l’equilibrio dei bilanci.
Ulteriori disposizioni del testo in esame, infine, dettano i principi cui dovrà attenersi la “legge quadro di contabilità” sopra detta, stabilendo tra l’altro che alle Camere sia affidata la funzione del controllo sulla finanza pubblica e che, anche a tale scopo, presso le medesime venga istituito un organismo indipendente per la verifica degli andamenti di finanza pubblica e per la valutazione dell’osservanza delle regole di bilancio.
L’ esigenza di stabilizzare l’evoluzione della spesa pubblica è stata affrontata direttamente in via normativa, stabilendo, da un lato, vincoli puntuali all’incremento di determinate categorie di spesa - mirati a contenere l’andamento delle voci di spesa nei grandi comparti della pubblica amministrazione (consumi intermedi, pubblico impiego, spesa sanitaria e previdenziale, spesa degli enti territoriali) -, ovvero riduzioni di carattere trasversale di stanziamenti di spesa statale, attraverso tagli lineari delle dotazioni di bilancio che hanno interessato le spese rimodulabili del bilancio dello Stato.
Con il medesimo obiettivo, si è dato in oltre avvio, sin dalla XV legislatura, ad un programma straordinario di analisi e valutazione della spesa, comunemente denominato, sulla base di analoghe esperienze internazionali, “spending review”. Il rafforzamento dei meccanismi di controllo quantitativo e qualitativo della spesa pubblica costituisce uno degli elementi centrali nell'impianto legislativo complessivo definito dalla nuova legge di contabilità e finanza pubblica (legge n. 196/2009), la quale ha previsto l’istituzionalizzazione del processo di analisi e valutazione della spesa delle amministrazioni centrali attraverso la costituzione di appositi Nuclei di analisi e valutazione della spesa, disponendo, altresì, la graduale estensione del programma alle altre amministrazioni pubbliche.
Negli ultimi anni, lo strumento prevalente per il controllo della spesa statale sono state le riduzioni alle dotazioni rimodulabili[55] delle missioni di spesa dei Ministeri, sebbene attenuate dalla previsione di taluni margini di flessibilità gestionale assegnata ad ogni amministrazione.
Tuttavia, la metodologia del taglio lineare indifferenziato degli stanziamenti rimodulabili, per l’entità acquisita negli ultimi anni e, dunque, la sostenibilità delle medesime misure, nonché per l’effetto che ne è conseguito su specifiche tipologie di spesa, in particolare, quella in conto capitale, presenta taluni profili problematici[56].
Per quanto concerne le riduzioni lineari disposte negli ultimi anni, si ricorda innanzitutto, il decreto-legge n. 112/2008, il quale ha disposto una riduzione lineare delle dotazioni finanziarie delle missioni di spesa dei vari Ministeri iscritte nel bilancio a legislazione vigente per gli anni 2009, 2010 e 2011. Il taglio lineare è stato pari al 22,7% per il 2009, al 24% nel 2010 e al 41,6% nel 2011. Il totale delle riduzioni operate è stato pari a oltre 8 miliardi nel 2009 (di cui la parte preponderante, oltre 6 miliardi, su spese predeterminate per legge), 9 miliardi nel 2010 e oltre 15 miliardi per il 2011. A fronte delle consistenti riduzioni, è stato concesso alle singole Amministrazioni un ampio margine di discrezionalità in ordine alla allocazione delle risorse nei programmi di spesa di loro pertinenza, consentendo di rimodulare, seppure con vari limiti, le dotazioni finanziarie tra i programmi di spesa di ciascuna missione, anche mediante modifica delle autorizzazioni legislative di spesa ad essi sottostanti.
Successivamente, il D.L. n. 78/2010ha disposto una ulteriore riduzione lineare del 10%delle spese rimodulabili[57] delle missioni di ciascun Ministero, per importi pari a 2,4 miliardi di euro nel 2011, 2,2 miliardi nel 2012 e 2,4 miliardi nel 2013.
Più di recente, i due decreti-legge di manovra approvati nell’estate 2011 (D.L. n. 98/2011 e D.L. n. 138/2011) hanno disposto nuove e più consistenti riduzioni delle spese delle amministrazioni centrali dello Stato, che si applicano a decorrere dal 2012. In termini di saldo netto da finanziare, le riduzioni di spesa sono state pari a 10,7 miliardi di euro nel 2012 e a 5 miliardi in ciascuno degli anni 2013-2014 (D.P.C.M. 28 settembre 2011.
Per quanto concerne le misure di contenimento della spesa di carattere puntuale, esse hanno riguardato diversi ambiti.
In primo luogo, relativamente al settore dei consumi intermedi, si ricordano le disposizioni introdotte, da ultimo, dal D.L. n. 78/2010[58], in materia di riduzione delle spese delle Amministrazioni pubbliche per studi e incarichi di consulenza, relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità, rappresentanza, auto di servizio e indennità dei componenti gli organi collegiali, per i quali è stato disposto un complessivo riordino anche mediante soppressione o accorpamento delle strutture.
Un secondo filone di attenzione ha riguardato, in generale, le retribuzioni e gli emolumenti del personale a carico delle pubbliche amministrazioni e delle società non quotate a partecipazione pubblica, prevedendo la fissazione di tetti retributivi, accompagnata da specifici obblighi di pubblicità [59].
La riduzione della spesa per ilpersonale delle amministrazioni pubbliche è stata, inoltre, specificamente perseguita anche attraverso la limitazione delle assunzioni.
Tali interventi[60], salvo specifiche deroghe, hanno proseguito in tal senso, limitando, e, in alcuni casi restringendo ulteriormente, la spesa per il turn over nelle pubbliche amministrazioni.
Per quanto attiene agli interventi di contenimento della spesa pensionistica, al fine di garantire il sostenimento del sistema previdenziale, si rimanda al Capitolo sulla previdenza.
Quanto al tema del controllo della spesa sanitaria, le principali misure che hanno concorso alla realizzazione di questo obiettivo sono contenute nella legge finanziaria per il 2010[61] che ha dato attuazione al Patto per la salute 2010-2012 e in due leggi successive, il D.L. n. 78/2010[62] e la legge di stabilità 2011[63]. Oltre alla fissazione dei livelli di finanziamento del Servizio sanitario nazionale, le norme indicate rivestono particolare importanza per la messa a punto – in attuazione del citato Patto per la salute – di nuove regole per i Piani di rientro e per il commissariamento delle regioni con elevati disavanzi sanitari, regole che realizzano un meccanismo di governance del sistema della spesa sanitaria fondato su una forte responsabilizzazione sia delle regioni virtuose che di quelle in disavanzo.
Oltre a ridurre al 5% il livello di squilibrio economico (in precedenza fissato al 7%), per la presentazione del Piano di rientro regionale, viene modificata la procedura per la predisposizione e l’approvazione del Piano, nonché il procedimento di diffida della regione e della nomina di commissari ad acta.. Ciò comporta, oltre all’applicazione delle disposizioni già vigenti, l’automatica adozione di misure restrittive e sanzionatorie verso la regione (sospensione dei trasferimenti erariali a carattere non obbligatorio, decadenza dei direttori generali, amministrativi e sanitari, incremento delle aliquote).
La legge di stabilità 2011 ha concesso, per l’esercizio 2010, che le regioni che non hanno attuato completamente il loro piano, possono provvedere al disavanzo sanitario con risorse proprie, purché le misure di copertura siano adottate entro il 31 dicembre 2010, ed ha previsto:
§ il divieto di intraprendere o proseguire fino al 31dicembre 2011 azioni esecutive nei confronti delle aziende sanitarie locali e ospedaliere delle regioni sottoposte ai piani di rientro e commissariate alla data dell’entrata in vigore del D.L. 31 maggio 2010, n. 78.
§ una deroga del 10 per cento del blocco automatico del turn-over del personale sanitario.
Alcune misure specifiche dirette a potenziare la strumentazione concernente i Piani di rientro dai deficit sanitari e a rafforzare il sistema di governance nel settore sanitario sono state poi previste dal decreto-legge 98/2011.
Una serie di misure ha poi riguardato i costi della rappresentanza politica. Tra i più recenti interventi normativi si ricordano le disposizioni contenute nel decreto-legge. n. 98/2011, quali: il livello remunerativo Italia - Europa, in virtù del quale il trattamento economico di titolari di cariche elettive e i vertici di enti e istituzioni non può superare la media, ponderata rispetto al PIL, degli analoghi trattamenti economici percepiti dai titolari di omologhe cariche negli altri sei principali Stati dell'Area euro e, ai fini dell’applicazione della misura in commento, l’istituzione di una apposita Commissione governativa per il livellamento retributivo Italia - Europa[64]; la riduzione di determinati benefits (auto blu e voli di Stato), il divieto di attribuire una serie di benefici ai titolari di incarichi o cariche pubbliche, elettive o conseguite per nomina, dopo la cessazione dall’ufficio, nonché la riduzione delle dotazioni finanziarie degli organi costituzionali.
L’ulteriore decreto-legge n. 138/2011, è nuovamente intervenuto in materia di riduzione dei costi delle istituzioni con riguardo alle indennità parlamentari, alle incompatibilità della carica di parlamentare e di membro del Governo con cariche pubbliche elettive in enti pubblici territoriali, all’obbligo di svolgimento dei referendum in una unica data annuale.
Si è altresì operato un contenimento dei contributi per le spese elettorali, in prima battuta nel corso dell’anno 2010 (con il decreto-legge n. 78/2010), attraverso la riduzione di tali costi a partire dalla prossima legislatura e successivamente con il D.L. 98/2011.
In ultima analisi rilevano alcune misure di riduzione dei costi della rappresentanza politica introdotte con riferimento agli enti locali. Il decreto-legge. n. 138/2011 ha previsto: la riduzione del numero dei consiglieri e degli assessori regionali; la riduzione degli emolumenti percepiti dagli stessi, la commisurazione del trattamento economico all'effettiva partecipazione alle sedute del consiglio, il passaggio al sistema previdenziale contributivo per i consiglieri regionali; l'istituzione del Collegio dei revisori dei conti quale organo di vigilanza del Consiglio regionale ; il dimezzamento del numero dei consiglieri e gli assessori provinciali, a decorrere dal primo rinnovo degli organi di governo delle Province; la riduzione dei costi relativi alla rappresentanza politica nei comuni e razionalizzazione dell'esercizio delle funzioni locali attraverso le unioni di comuni.
Per quanto concerne, infine, gli enti territoriali, si ricorda come anch’essi, attraverso il patto di stabilità interno, sono stati chiamati, a partire dal 1999, a concorrere al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica assunti dal nostro Paese in sede europea, con l’adesione al patto di stabilità e crescita.
Con il patto di stabilità interno, infatti, sono stati fissati obiettivi quantitativi relativi alla gestione finanziaria degli enti territoriali – in particolare, imposizione di tetti alla crescita del disavanzo e/o delle spese a carico delle autonomie territoriali - funzionali al raggiungimento dell’obiettivo di saldo complessivo del Paese.
Le regole del patto di stabilità interno sono sempre state formulate in sede di manovra di finanza pubblica. Da ultimo, con la legge di stabilità per il 2012 (legge n. 183/2011) sono state definite le regole del Patto di stabilità interno sia per le regioni che per gli enti locali, valide a decorrere dall’anno 2012, che si inseriscono nella nuova linea di disciplina del patto, articolata sulla base di criteri di virtuosità, introdotta dai decreti-legge di manovra dell'estate 2011, già citati.
Per quanto concerne il concorso finanziario richiesto alle autonomie territoriali ai fini del raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica per gli anni 2011 e successivi, si ricorda che essi, fissati dal D.L. n. 78/2010, sono stati via via incrementati con le successive manovre finanziarie.
In particolare, gli obiettivi finanziari fissati originariamente dall’articolo 14, comma 1, del D.L. n. 78/2010 (sono stati successivamente integrati dai decreti-legge approvati nell’estate 2011 (D.L. n. 98/2011 e D.L. n. 138/2011) – con i quali è stata operata la manovra di stabilizzazione dei conti pubblici 2012-2014 – che hanno imposto alle autonomie territoriali, a partire dal 2012, un ulteriore concorso alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica
Nel complesso, a partire dall’anno 2012 il concorso alla manovra richiesto agli enti locali risulta ridefinito nelle seguenti misure, in termini di indebitamento netto:
§ regioni a statuto ordinario: 6.100 milioni di euro a decorrere dal 2012;
§ regioni a statuto speciale e province autonome: 3.000 milioni a decorrere dal 2012;
§ province: 1.200 milioni di euro per il 2012 e a 1.300 milioni a decorrere dal 2013;
§ comuni (con popolazione superiore a 5.000 abitanti): 4.200 milioni di euro per il 2012 e a 4.500 milioni a decorrere dal 2013.
A fronte delle difficoltà di contenimento della spesa pubblica è emersa la necessità di elaborare nuove modalità per il contenimento della spesa di carattere più strutturale e selettivo, attraverso l’introduzione di strumenti finalizzati a potenziare il monitoraggio dei flussi di finanza pubblica e a consentire un più penetrante controllo anche qualitativo della spesa.
In tale prospettiva si collocano un complesso di iniziative avviate in materia di bilancio e di allocazione delle risorse, quali l’avvio di un vasto programma pluriennale di analisi e valutazione della spesa pubblica, volto a riesaminare in modo sistematico l’insieme dei programmi di spesa valutandone efficacia, efficienza ed economicità, c.d. “spending review”.
Avviato in via sperimentale in base alle disposizioni della legge finanziaria 2007, il rafforzamento dei meccanismi di controllo quantitativo e qualitativo della spesa pubblica costituisce uno dei cardini della nuova legge di contabilità e finanza pubblica (legge n. 196/2009), la quale ha previsto l’istituzionalizzazione del processo di analisi e valutazione della spesa delle amministrazioni centrali e la graduale estensione del programma a tutte le amministrazioni pubbliche.
In particolare, la legge di contabilità prevede l’avvio di una collaborazione del Ministero dell’economia e delle finanze con le amministrazioni centrali dello Stato, per il tramite dei Nuclei di analisi e valutazione della spesa, finalizzata alla verifica dei risultati programmatici rispetto agli obiettivi relativi all’indebitamento netto, al saldo di cassa e al debito delle amministrazioni pubbliche, nonché alla pressione fiscale complessiva. La collaborazione tra Ministero dell’economia ed amministrazioni centrali consiste in particolare nel supporto metodologico che il Ministero fornisce ad esse per la definizione delle previsioni di spesa e dei fabbisogni associati ai programmi, con riferimento alla formulazione del bilancio di previsione, nonché per l’individuazione degli indicatori di risultato associati ai predetti obiettivi.
E’ stata, inoltre, prevista (articolo 41, legge n. 196) la presentazione, ogni tre anni, di uno specifico Rapporto sulla spesa delle amministrazioni dello Stato, volto ad illustrare la composizione e l’evoluzione della spesa, i risultati conseguiti con le misure adottate ai fini del suo controllo e quelli relativi al miglioramento del livello di efficienza delle medesime amministrazioni.
Da ultimo, con i due decreti-legge approvati nell’estate 2011 – con i quali è stata operata la manovra di risanamento dei conti pubblici sono state introdotte ulteriori disposizioni in tema di spending review.
In particolare, l’articolo 01 del D.L. n. 138/2011 prevede l'avvio, da parte del Ministero dell'economia e delle finanze - Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, d’intesa con i Ministeri interessati, a partire dall'anno 2012, di un ciclo di “spending review” mirata alla definizione dei costi standard dei programmi di spesa delle amministrazioni centrali dello Stato. Per le amministrazioni periferiche dello Stato, invece, sono proposte specifiche metodologie di quantificazione dei costi, anche ai fini della allocazione delle risorse nell'ambito della loro dotazione complessiva.
Tale previsione è legata ad un vasto programma di riorganizzazione della spesa pubblica, e soprattutto di quella primaria, previsto dal D.L. n. 138/2011.
Più in dettaglio, l’articolo 01 del D.L. n. 138/2011 attribuisce al Ministro dell'economia e finanze il compito di presentare al Parlamento, entro il 30 novembre 2011[65], un programma per la riorganizzazione della spesa pubblica. Con la risoluzione parlamentare che sarà approvata in sede di esame del Documento di economia e finanza 2012, che verrà presentato ad aprile 2012, saranno indicati i disegni di legge collegati alla manovra finanziaria per il triennio 2013-2015, con cui il Governo viene delegato ad attuare la riorganizzazione stessa della spesa, secondo le priorità elencate dalla norma medesima. Nella misura delle risorse finanziarie che si rendessero disponibili a seguito dell’attuazione del suddetto programma di revisione integrale della spesa pubblica, si prevede la progressiva riduzione della spesa corrente primaria in rapporto al PIL nel corso degli anni 2012 e 2013, nelle seguenti misure:
§ le spese di funzionamento relative alle missioni di spesa di ciascun Ministero potranno essere ridotte fino all'1% per ciascun anno rispetto alle spese risultanti dal bilancio consuntivo relativo all'anno 2010;
§ le dotazioni finanziarie delle missioni di spesa di ciascun Ministero relative agli interventi potranno essere ridotte fino all'1,5%;
§ le dotazioni finanziarie delle missioni di spesa per ciascun Ministero relative agli oneri comuni di parte corrente e di conto capitale potranno invece essere ridotte fino allo 0,5% per ciascuno dei due anni.
In seguito, per gli anni 2014, 2015 e 2016, la spesa primaria del bilancio dello Stato potrà aumentare in termini nominali, in ciascun anno, rispetto alla spesa corrispondente registrata nel rendiconto dell'anno precedente, di una percentuale non superiore al 50% dell'incremento del PIL previsto dal Documento di economia e finanza (DEF).
Il decreto-legge n.138/2011 ha in sostanza confermato, con l’aggiunta della fissazione di specifici obiettivi di risultato, quanto già previsto nel precedente decreto-legge. n. 98 del 2011, anche nel quale è stato previsto, a decorrere dal medesimo anno 2012, l’avvio di un analogo ciclo di analisi e valutazione della spesa mirato alla definizione dei fabbisogni standard dei programmi di spesa delle amministrazioni centrali dello Stato, al fine di razionalizzare la spesa stessa delle amministrazioni e superare il criterio della spesa storica.
Si rammenta, infine, che una specifica e sistematica attività di analisi e valutazione della spesa è stata recentemente prevista anche ai sensi del decreto legislativo 30 giugno 2011, n. 123, di attuazione della delega di cui all’articolo 49 della legge n. 196/2009, il quale ha dettato norme per la riforma dei controlli di regolarità amministrativa e contabile e il potenziamento e la graduale estensione a tutte le amministrazioni pubbliche dell'attività di analisi e valutazione della spesa. Il citato decreto legislativo n. 123/2011 pone in risalto la funzione strategica dell’attività di analisi e valutazione della spesa effettuata dai nuclei di analisi e valutazione per il miglioramento del grado di efficienza ed efficacia della spesa pubblica anche in relazione al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica.
Nell’ambito degli interventi volti al controllo e alla realizzazione di una maggiore trasparenza della spesa – presupposto necessario per favorire una gestione del bilancio che riesca ad orientare maggiormente in favore della crescita le risorse disponibili – viene introdotta, nell’ambito della normativa attuativa delle legge delega n.42/2009 sul federalismo fiscale, una nuova disciplina della responsabilità degli amministratori e della dirigenza degli enti territoriali, ad opera del decreto legislativo 6 settembre 2011, n.149[66].
A tal fine, viene previsto per le regioni l’innovativo istituto della relazione di fine legislatura, da presentare da parte del Presidente della Giunta regionale non oltre i tre mesi precedenti la data di scadenza della legislatura, mediante cui si espone la situazione finanziaria ed organizzativa dell’ente, fornendo uno strumento informativo nei confronti della collettività territoriale di forte significatività, con cui si dà trasparenza all’operato degli amministratori rispetto al cittadino-elettore. Operato che, qualora determini situazioni di dissesto finanziario, con riferimento al disavanzo sanitario (che, com’è noto, costituisce la parte preponderante della spesa regionale) viene sanzionato mediante il nuovo istituto della “responsabilità politica” del Presidente della Giunta, che comporta la rimozione, e la successiva incandidabilità (oltre ad alcune incompatibilità), del Presidente medesimo, nonché la decadenza dei dirigenti sanitari della regione, se ritenuti responsabili, e del collegio dei revisori dei conti.
Tale meccanismo viene trasposto anche nei confronti degli enti locali, mediante, da un lato, lo strumento della “relazione di fine mandato provinciale e comunale (tra i cui elementi va annoverato anche quello di quantificare la misura dell’indebitamento dell’ente”) e, dall’altro, la responsabilità politica, rispettivamente, del presidente di provincia e del sindaco, qualora ritenuti responsabili di una situazione di dissesto finanziario[67]. La responsabilità, che può estendersi anche ai componenti del collegio dei revisori dei conti, è anche in tal caso sanzionata con la successiva incandidabilità, nonché con alcune incompatibilità.
Il decreto legislativo prevede altresì, secondo modalità più generali e meno prescrittive, una forma di responsabilità sui risultati della gestione finanziaria anche nei confronti dei Ministri, stabilendo che gli esiti dei raffronti tra i fabbisogni di spesa delle amministrazioni centrali e le spese effettivamente sostenute, come risultanti a consuntivo, siano trasmessi annualmente dal Governo alle Camere per le eventuali determinazioni delle stesse, ivi incluse quelle attinenti il rapporto fiduciario ai sensi dell’articolo 94 Cost.
L’intensificarsi dell’attività dei controllo e gestione efficiente della spesa ha evidenziato, nel suo attuarsi, alcune criticità dei sistemi contabili sia dell’amministrazione centrale che di quelle territoriali: criticità ravvisabili nelle difformità delle procedure e dei sistemi, anche da parte di enti dello stesso comparto, con una frequente eterogeneità sia dei bilanci di previsione che dei consuntivi, in una generale problematicità nel verificare la rispondenza dei conti pubblici alle condizioni previste dalla disciplina dell’Unione europea e, non da ultimo, nella difficoltà di avere il necessario grado di conoscenza delle condizioni finanziarie degli enti, con una incerta affidabilità, in taluni casi, dei dati di finanza pubblica.
Sono stati pertanto emanati due distinti decreti legislativi, in attuazione, rispettivamente, di una delega prevista nella legge di contabilità (L. n. 196/2009) e di un’altra e parallela delega recata dal federalismo fiscale (L. n. 42/2009).
Il decreto legislativo 31 maggio 2011, n. 91, concerne l’armonizzazione dei bilanci per le amministrazioni centrali dello Stato, introducendo per esse, quale strumento per consolidare e monitorare i conti nelle fasi sia di previsione che di gestione e rendicontazione, il Piano dei conti integrato, costituito da conti che rilevano, contestualmente, entrate e spese, sia in termini dicontabilità finanziaria, sia in termini di contabilità economico patrimoniale. Per le amministrazioni pubbliche tenute al regime di contabilità civilistica si prevede la definizione di una tassonomia per la riclassificazione dei dati contabili e di bilancio, volta a consentire la trasformazione dei dati economico-patrimoniali in dati di natura finanziaria. Si prescrive inoltre il generale obbligo di adottare un sistema di indicatori di risultatosemplici, misurabili e riferiti ai programmi del bilancio, secondo criteri e metodologie comuni alle diverse amministrazioni. Infine, allo scopo di superare la rigidità e la scarsa significatività gestionale del vigente principio di competenza giuridica, si definisce un nuovo principio di competenza finanziaria, per consentire di circoscrivere il fenomeno dei residui passivi, quantificare in modo più puntuale l'ammontare dei debiti delle amministrazioni pubbliche, nonché di determinare una minore rigidità di bilancio e una maggiore effettività della rappresentazione della gestione
In termini analoghi interviene il decreto legislativo 23 giugno 2011, n.118 per i bilanci delle regioni e degli enti locali con lo scopo di realizzare un regime contabile che fornisca dati contabili omogenei e confrontabili per il consolidamento dei conti delle pubbliche amministrazioni, anche al fine della raccordabilità dei sistemi di bilancio degli enti territoriali con i sistemi adottati in ambito europeo. Anche in questo decreto si dispone pertanto che le regioni, gli enti locali ed i loro enti strumentali (aziende società, consorzi ed altri) adottino la contabilità finanziaria, cui devono affiancare, a fini conoscitivi, un sistema di contabilità economico-patrimoniale, per garantire, precisa il decreto, “la rilevazione unitaria dei fatti gestionali sia sotto il profilo finanziario che sotto il profilo economico-patrimoniale”. Anche in questo provvedimento un elemento significativo è costituito dal nuovo principio della competenza finanziaria sopra illustrato, per le identiche finalità del decreto legislativo n.91/2011. Di specifico rilievo in questo decreto è l’obbligo per le regioni e gli enti locali di predisporre schemi di bilancio consolidato con i propri enti strumentali, aziende e società controllate e partecipate, nonché di allegare al bilancio una rappresentazione riassuntiva delle spese per i costi sostenuti .
Attesa la complessità dell’implementazione dei nuovi sistemi contabili, entrambi i decreti prevedono una fase sperimentale biennale.
Le risorse dei fondi comunitari assegnate all’Italia, alle quali si affiancano quelle di cofinanzimento nazionale, sono state programmate con il Quadro strategico nazionale 2007-2013 (QSN), il quale ha considerato complessivamente risorse per circa 124,9 miliardi di euro: si tratta di oltre 28,5 miliardi di fondi strutturali provenienti dalla UE e di circa 31,6 miliardi di risorse di cofinanziamento nazionale. A tali risorse vanno aggiunti 64,4 miliardi di risorse del Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS).
(milioni di euro)
Obiettivi |
Contributi UE |
Cofinanziamento nazionale |
Totale |
Convergenza |
21.640,4 |
21.958,9 |
43.599,3 |
Competitività |
6.324,9 |
9.489,5 |
15.814,4 |
Cooperazione territoriale |
546,4 |
159,2 |
705,6 |
TOTALE |
28.511,7 |
31.607,6 |
60.119,3 |
Nella successiva tavola sono riportati, relativamente alle risorse disponibili (fondi comunitari + cofinanziamento nazionale), sia per fondo strutturale (Fondo sociale europeo e Fondo europeo di sviluppo regionale) che per obiettivo, i dati sulle risorse impegnate e sui pagamenti effettuati alla data del 31 agosto 2011 sugli interventi cofinanziati dai Fondi strutturali UE 2007/2013.
(milioni di euro)
OBIETTIVI |
Contributo 2007/2013 |
Attuazione finanziaria |
|||
Impegni |
Pagamenti |
(b)/(a) |
(c)/(a) |
||
(a) |
(b) |
(c ) |
|||
Convergenza |
43.599,2 |
16.153,3 |
5.211,8 |
37,05% |
11,95% |
Competitività |
15.814,3 |
7.037,2 |
3.825,5 |
44,50% |
24,19% |
Cooperazione territoriale |
705,6 |
356,4 |
85,9 |
50,51% |
12,17% |
TOTALE |
60.119,1 |
23.546,9 |
9.123,2 |
39,17% |
15,18% |
La tavola suesposta – dati al 31 agosto 2011 - evidenzia un notevole ritardo nell’utilizzo dei fondi strutturali, tuttavia migliore di quello riferito al 31 dicembre 2010, quando la percentuale dei pagamenti effettuati risultava pari al 7,4%.
Al fine di evitare la perdita delle risorse (c.d. disimpegno), nel 2011 con il D.L. n. 70/2011 è stato previsto l’utilizzo dei fondi comunitari per il credito d’imposta per nuovo lavoro stabile nel Mezzogiorno (art. 2) e per il credito d’imposta per gli investimenti nel Mezzogiorno (art. 2-bis).
Il D.L. n. 138/2011, all’articolo 5-bis ha introdotto,in favore delle regioni ricomprese nell’Obiettivo convergenza, una deroga ai limiti di spesa previsti dal patto di stabilità interno a valere sulle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione sociale (ex FAS), sui cofinanziamenti nazionali dei fondi comunitari a finalità strutturale, nonché sulle risorse del Fondo infrastrutture. Successivamente, in relazione a tale deroga il D.L. n. 201, all’articolo 3, ha disposto il limite finanziario – in termini di cassa – di 1 miliardo di euro per ciascuna annualità 2012-2014.
Va peraltro ricordato che con il decreto legislativo n. 88 del 2011, attuativo delle legge sul federalismo fiscale per quanto riguarda le risorse aggiuntive e gli interventi speciali, il Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS) è stato ridenominato “Fondo per lo sviluppo e la coesione”, con la funzione di dare unità programmatica e finanziaria a tutti gli interventi aggiuntivi a finanziamento nazionale rivolti al riequilibrio economico e sociale tra le diverse aree del Paese. Il decreto ha inoltre definito le linee di programmazione del Fondo in vista del nuovo ciclo di programmazione 2014-2020.
In particolare il decreto n. 88 prefigura un nuovo quadro di strumenti procedurali e di assetti organizzativi volti a superare le criticità che finora hanno ostacolato il raggiungimento di risultati soddisfacenti nell’utilizzo delle risorse destinate alla promozione delle aree sottoutilizzate. Si tratta in particolare del Documento di indirizzo strategico, che individua criteri e requisiti secondo cui destinare le risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione, nonché del contratto istituzionale di sviluppo, che definendo in forma vincolante tempi, obiettivi e compiti di ciascuno dei contraenti che operano l’intervento, definisce le responsabilità di ciascuno di essi, prevedendo a tal fine anche le condizioni di definanziamento dei progetti ovvero la attribuzione delle relative risorse ad altro livello di governo, nel rispetto del principio della sussidiarietà.
Per quanto riguarda gli aspetti non legislativi, si ricorda che nel novembre 2010, il Governo Berlusconi ha approvato il “Piano nazionale per il Sud”, le cui priorità operative e finanziarie sono state definite con le delibere del CIPE n. 1, n. 62 e n. 78 del 2011. In particolare con la delibera n. 62 sono stati stanziati 1.653 milioni a favore di interventi infrastrutturali di rilevanza nazionale e 5.818 milioni per quelli interregionali e regionali, a valere sulle risorse già assegnate ai programmi attuativi regionali (PAR) ai programmi attuativi interregionali (PAIN) e ai c.d. obiettivi di servizio (risorse premiali). Analogamente la delibera n. 72 ha invece individuato e finanziato (oltre un miliardo di euro) interventi nel sistema universitario delle regioni del Mezzogiorno che verranno individuati attraverso appositi contratti istituzionali di sviluppo.
Inoltre il 15 dicembre 2011 il Governo e le Regioni Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sardegna e Sicilia hanno condiviso un accordo per accelerare e riqualificare l’utilizzo dei Fondi strutturali comunitari, approvando un Piano d’azione coesione,al quale hanno aderito anche le Regioni Abruzzo e Molise. Il Piano, precedentemente concordato con le autorità comunitarie ha lo scopo di utilizzare interamente i fondi strutturali, concentrando gli investimenti in tre settori ad alto impatto socio-economico (scuola, ferrovie e agenda digitale) e di sostenere l’occupazione dei lavoratori svantaggiati. Esso provvede alla riallocazione di 3,1 miliardi di euro, così destinati:
§ 974 milioni per la scuola, 423 milioni per l’agenda digitale e 142 milioni al credito per l’occupazione;
§ 1,6 miliardi per la costituzione di un Fondo a favore di investimenti su reti e nodi ferroviari.
Il dibattito sui project bond a livello nazionale è strettamente intrecciato a quello che si è sviluppato negli ultimi mesi in relazione alla necessità di rilanciare la realizzazione delle infrastrutture attraverso il ricorso a fonti finanziarie diverse da quelle tradizionali considerato il quadro di sempre maggiore esiguità delle risorse pubbliche a disposizione.
In tale contesto, pertanto, oltre alla definizione di una serie di misure volte a incentivare il ricorso a capitali privati, sono state previste nel decreto-legge 1/2012, recante disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività (A.S. 3110), due specifiche misure volte a prevedere e a incentivare l’utilizzo dei project bond. Si tratta, in particolare, dell’articolo 41 che riguarda l’emissione di obbligazioni da parte delle società di progetto costituite al fine di realizzare e gestire una singola infrastruttura o un nuovo servizio di pubblica utilità. Tale possibilità era, in realtà, già prevista dall’articolo 157 del Codice dei contratti pubblici (d.lgs. 163/2006) che ne prevedeva la garanzia tramite ipoteca. L’art. 41 del citato decreto provvede, pertanto, a novellare tale disposizione al fine di semplificare l’emissione delle obbligazioni attraverso la garanzia del sistema bancario e la sottoscrizione da parte di investitori qualificati.
L’articolo 54 del decreto-legge n. 1 del 2012 prevede inoltre la possibilità di emettere obbligazioni di scopo da parte degli enti locali vincolate alla realizzazione di opere pubbliche. Il patrimonio a garanzia delle obbligazioni è formato da beni immobili disponibili di proprietà degli enti locali ed è specificamente destinato alla soddisfazione degli obbligazionisti.
Le misure sopracitate rappresentano un’ulteriore possibilità cui fare ricorso nel finanziamento delle opere pubbliche, di cui sarà pertanto opportuno valutare in futuro l’efficacia.
La problematica relativa ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, sia tra privati che tra privati e pubbliche amministrazioni, è affrontata nell’Allegato all’Analisi annuale della crescita 2012, in cui è proposto l’anticipo di un anno per il recepimento della Direttiva 2011/7/UE del Parlamento europeo e del Consiglio,relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, quale azione considerata funzionale all’accrescimento del potenziale di crescita economica dell’Area e costituente una specifica misura di aiuto nei confronti delle PMI.
La direttiva 2011/7/UE - che interviene sulla materia dei ritardi di pagamento dettando nuove e più dettagliate disposizioni abrogando la precedente normativa contenuta nella direttiva 2000/35/CE - è entrata in vigore il 15 marzo 2011 e indica quale termine per il recepimento nel diritto interno degli Stati membri il 16 marzo 2013 (articoli 12 e 14).
La proposta di anticipare de facto di un anno il recepimento di tale Direttiva negli ordinamenti nazionali è stata accolta, limitatamente alle transazioni commerciali tra imprese, a livello parlamentare, in sede di esame del disegno di legge comunitaria 2011 (articolo 14, A.C. 4623-A).
Per quanto concerne, invece, i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali tra imprese e pubbliche amministrazioni, l’attuazione della Direttiva è demandata a successivi decreti legislativi che dovranno essere adottati entro il termine dei due mesi precedenti la scadenza per il recepimento fissata a livello comunitario (cfr. articolo 14, comma 21, A.C. 4623-A).
Si ricorda che già a seguito dell’adozione della precedente direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio 2000/35/CE del 29 giugno 2000, recepita nell’ordinamento nazionale con il D.Lgs. 9 ottobre 2002, n. 231[68] sulla base della delega contenuta nell'articolo 26 della legge comunitaria 2001 (legge 1° marzo 2002, n. 39), sono stati via via introdotti nell’ordinamento un complesso di interventi legislativi finalizzati a dare concreta attuazione alla problematica dei ritardi dei pagamenti nelle transazioni commerciali, affrontata a livello comunitario, con particolare riferimento ai ritardi di pagamenti da parte delle pubbliche amministrazioni nei confronti delle imprese nelle transazioni relative a contratti di fornitura di beni e servizi.
Tra le prime misure adottate in attuazione della direttiva 2000/35/CE si ricordano quelle contenute nell’articolo 9 del D.L. 1 luglio 2009, n. 78 (legge n. 102/2009), specificamente volte a prevenire la formazione di nuove situazioni debitorie della pubblica amministrazione - attraverso:
§ l’obbligo per le PP.AA. rientranti nel conto economico consolidato di adottare, entro il 31 dicembre 2009, le opportune misure organizzative atte a garantire il tempestivo pagamento da parte delle P.A. delle somme dovute;
§ la previsione della responsabilità disciplinare e amministrativa dei funzionari pubblici chiamati ad adottare provvedimenti che comportano impegni di spesa, laddove questi non accertino preventivamente la conformità del programma dei pagamenti con i relativi stanziamenti di bilancio;
§ l’obbligo di procedere alla liquidazione dei debiti dei Ministeri già in essere alla data di entrata del 1° luglio 2009 per somministrazioni, forniture ed appalti.
Con la direttiva emanata dal Presidente del Consiglio dei Ministri il 3 luglio 2009 le predette amministrazioni sono state autorizzate ad emettere, entro il 1° agosto 2009, titoli di pagamento per crediti esigibili vantati dalle imprese private riferibili a somme dovute per somministrazioni, forniture ed appalti, per 7 miliardi di euro.
Con riferimento alla problematica relativa allo smaltimento dei debiti pregressi delle Amministrazioni pubbliche, va ricordato che già con il D.L. n. 185/2008, articolo 9 (come successivamente modificato dall’articolo 6 del D.L. n. 5/2009), oltre a rifinanziare l’apposito Fondo per l’estinzione dei debiti pregressi delle amministrazioni centrali dello Stato, è stata definita una nuova procedura volta a far fronte alle situazioni debitorie dei Ministeri alla data del 31 dicembre 2008 attraverso l'intervento delle imprese di assicurazione e della SACE s.p.a. – i cui ambiti operativi sono stati così estesi - nella prestazione di garanzie finalizzate ad agevolare la riscossione dei crediti vantati dai fornitori di beni e servizi nei confronti delle amministrazioni pubbliche con priorità per le ipotesi nelle quali sia contestualmente offerta una riduzione dell'ammontare del credito originario.
La SACE, inoltre, può rilasciare garanzie sui crediti concessi dalle banche a piccole e medie imprese, con provvista resa disponibile da Cassa depositi e Prestiti. Tale provvista viene concessa da CDP facendo uso delle risorse del risparmio postale
Con riferimento specifico ai crediti vantati dalle imprese nei confronti delle Amministrazioni regionali e locali per somministrazioni, forniture e appalti, il legislatore è intervenuto con l’articolo 9 comma 3-bis, del D.L. 185/2009, il quale reca la disciplina della certificazione, da parte degli enti territoriali debitori, dei crediti in questione nei confronti dei soggetti interessati ai fini della cessione pro-soluto dei medesimi crediti nei confronti di banche o intermediari finanziari.
In particolare, il comma 3-bis ha stabilito che a partire dall’anno 2009 - su istanza del creditore di somme dovute per somministrazioni, forniture e appalti, le regioni e gli enti locali[69]- nel rispetto dei limiti imposti dal patto di stabilità interno - certificano, entro il termine di sessanta giorni dalla data di ricezione dell'istanza, se il relativo credito sia certo, liquido ed esigibile, anche al fine di consentire al creditore la cessione pro soluto a favore di banche o intermediari finanziari riconosciuti dalla legislazione vigente.
Ildecreto-legge n. 78/2010 ha successivamente introdotto un ulteriore intervento finalizzato allo smaltimento dei debiti da parte degli enti territoriali. In particolare, l’articolo 31, commi 1-bis, del citato decreto-legge ha disposto che, a partire dal 1° gennaio 2011, i crediti non prescritti, certi, liquidi ed esigibili, maturati nei confronti delle regioni, degli enti locali e degli enti del Servizio sanitario nazionale per somministrazione, forniture e appalti, possono essere compensati con le somme dovute a seguito di iscrizione a ruolo.
Sulla problematica inerente i pagamenti da parte delle amministrazioni locali verso le imprese fornitrici è intervenuta la legge di stabilità per il 2011 (legge n. 220/2010), che all’articolo 1, comma 59, prevede l’istituzione di un Fondo per velocizzare i pagamenti da parte dei Comuni verso le imprese fornitrici, dotato di 60 milioni di europer il 2011, finalizzato al pagamento degli interessi passivi maturati dai comuni per il ritardato pagamento dei fornitori.
Da ultimo, l’articolo 35 del decreto-legge n. 1/2012[70] - attualmente all’esame del Senato per la conversione in legge - introduce misure per la tempestività dei pagamenti e per l’estinzione dei debiti pregressi dello Stato per transazioni commerciali relative alla fornitura di beni e servizi.
In particolare, tale articolo prevede:
§ per lo smaltimento dei crediti commerciali esistenti alla data del 24 gennaio 2012, un incremento dei fondi di bilancio per la rassegnazione dei residui passivi perenti di parte corrente e di conto capitale, rispettivamente di 2 miliardi di euro per il 2012 e di 700 milioni di euro per il 2012;
§ la possibilità alternativa - in luogo del pagamento attraverso le sopra citate risorse finanziarie - di estinzione, su richiesta dei soggetti creditori, dei crediti maturati alla data del 31 dicembre 2011, anche mediante assegnazione di titoli di stato, nel limite di 2 miliardi di euro;
§ l’incremento del Fondo per l'estinzione dei debiti pregressi delle amministrazioni centrali (art. 1, comma 50, legge n. 266/2005) di 1 miliardo per il 2012.
I contenuti dell’analisi della crescita e la situazione in Italia
La Commissione europea sottolinea che, al fine di porre rimedio alla fragilità generalizzata nel settore bancario che rischia di frenare la ripresa economica, occorre rassicurare gli investitori spezzando il legame fra crisi del debito sovrano e settore finanziario. In questa prospettiva, a breve termine la Commissione individua 6 azioni prioritarie.
1. rafforzare, ove necessario, le condizioni patrimoniali delle banche di rilevanza sistemica per riflettere i maggiori rischi sui mercati del debito sovrano, al tempo stesso non limitando indebitamente l'erogazione di prestiti all'economia reale. Le misure adottate a tal fine si baseranno “sulla proposta dell'Autorità bancaria europea”. Inoltre, le banche dovranno rispettare le regole concordate in materia di premi e retribuzioni.
L’Autorità bancaria europea (EBA) ha adottato, l’8 dicembre 2011, una raccomandazione sulla ricapitalizzazione delle banche europee[71], che prevede la creazione, in via eccezionale e temporanea, entro la fine di giugno 2012, di una riserva supplementare di fondi propri da parte delle banche per raggiungere un livello pari al 9% il rapporto tra il capitale di classe 1 e le attività ponderate per il rischio.
La costituzione di tale riserva supplementare viene motivata dall’EBA richiamando l’esigenza di creare un cuscinetto di capitale (buffer) a fronte delle esposizioni delle banche in questione verso gli emittenti sovrani.
La decisione si applicherà ad alcune delle 71 grandi banche europee banche che hanno partecipato all’esercizio di capitale promosso dall’EBA il 26 ottobre 2011. Il fabbisogno di fondi propri supplementari è stato stimato dall’EBA a 114,685 miliardi di euro, di cui 15,366 miliardi per le banche italiane.
Ammontare delle ricapitalizzazioni per Stato membro
Importi in milioni di euro
Austria |
3,923 |
Belgio |
6,313 |
Cipro |
3,531 |
Germania |
13,107 |
Spagna |
26,170 |
Francia |
7,324 |
Grecia |
30,000 |
Italia |
15,366 |
Paesi bassi |
0,159 |
Portogallo |
6,950 |
Slovenia |
0,320 |
Norvegia |
1,520 |
Totale |
114,685 |
Risoluzione in Commissione 7-00754
La Commissione Finanze della Camera ha approvato il 24 gennaio 2012 una risoluzione volta a fornire indicazioni al Governo, anche in vista del Consiglio europeo straordinario del 30 gennaio, sulle problematiche derivanti dalle iniziative assunte dall'EBA relativamente al rafforzamento della capitalizzazione delle banche.
In primo luogo si chiede di verificare la possibilità di differire l'applicazione delle raccomandazioni dell'EBA, nonché di rivedere, entro i prossimi mesi, la dimensione del buffer aggiuntivo di capitale richiesto alle banche a fronte di esposizioni su debiti sovrani.
Inoltre si sottolinea come le richieste di ricapitalizzazione dell'EBA debbano essere valutate caso per caso, con riferimento alle singole banche interessate, dalle autorità di vigilanza dei singoli Paesi.
Un ulteriore aspetto di grande rilevo evidenziato dalla risoluzione riguarda la necessità di accelerare l'assunzione di decisioni definitive, a livello europeo, che rendano operativo e che a rafforzino il Fondo Europeo di Stabilità Finanziaria - European Financial Stability Facility (ESFS), con l'obiettivo di preservare la stabilità finanziaria europea, fornendo assistenza finanziaria agli Stati dell'area euro in difficoltà economica.
La risoluzione segnala quindi l'esigenza di introdurre schemi di garanzia europei sulle nuove passività bancarie a medio e a lungo termine, al fine di interrompere il circolo vizioso tra qualità creditizia delle banche e qualità del debito sovrano dei rispettivi Paesi.
Infine, si chiede di sostenere l'esigenza che l'attuazione delle misure del pacchetto Basilea 3 siano accompagnate da decisioni politiche, a livello europeo, efficaci e credibili relativamente alle problematiche del debito sovrano, in linea con gli orientamenti definiti già nel settembre scorso dal Consiglio europeo per il rischio sistemico.
Tale ultima richiesta è stata sollecitata anche dal Presidente dell’Eba nel corso dell’indagine in corso presso la Commissione Finanze sulle questioni connesse con l’applicazione del pacchetto “Basilea 3”. In particolare, il Presidente dell’Eba ha sottolineato l’esigenza di accompagnare queste misure con soluzioni di policy efficaci e credibili sul debito sovrano, per scongiurare i rischi di contagio ad altri paesi dell’area dell’euro.
Nel corso della medesima indagine, alcuni auditi hanno sollecitato una maggiore certezza giuridica delle raccomandazioni dell’EBA: le recenti raccomandazioni relative al calcolo dell’adeguatezza patrimoniale, comportano infatti un inasprimento del requisito di capitale. L’effetto finale di questa decisione è la modifica di una normativa vigente e ciò appare in chiaro contrasto con l’iter di emanazione delle leggi e delle norme in Europa, in particolare con riferimento all’analisi di impatto della regolamentazione.
Va altresì ricordato che un più generale riassetto dei requisiti patrimoniali delle banche e delle imprese di investimento è prospettato nelle proposte legislative presentate il 20 luglio 2011 dalla Commissione europea (una proposta di regolamento (COM(2011)452) ed una proposta di direttiva (COM(2011)453)) volte a recepire a livello UE l’accordo di Basilea III sui requisiti patrimoniali delle banche.
In particolare, le due proposte, pur tenendo fermo l’attuale requisito per cui le banche devono detenere un patrimonio di vigilanza totale dell'8% in rapporto alle attività ponderate per il rischio ne modificano la composizione stabilendo:
§ una definizione rafforzata del patrimonio di base di classe 1 (c.d. Tier 1) affinché includa soltanto il common equity (composto dal capitale azionario e riserve di bilancio provenienti da utili non distribuiti al netto delle imposte), in quanto componente di migliore qualità del patrimonio stesso, e strumenti finanziari che rispettino 14 criteri (sulla composizione in dettaglio del patrimonio di base si rinvia all’apposita scheda del presente dossier);
§l’innalzamento del requisito minimo relativo al common equity al 4,5% (a fronte del 2% previsto da Basilea 2), e del requisito minimo complessivo relativo al capitale Tier 1 al 6% (a fronte dell’attuale 4%).
I nuovi requisiti saranno introdotti gradualmente, in misura del 20% all’anno dal 2014 per raggiungere il 100% nel 2018.
Come ulteriore tutela contro le perdite, oltre ai requisiti patrimoniali minimi, si prevede l’introduzione di due riserve di capitale (c.d. buffer o cuscinetti):
- una cosiddetta “riserva di conservazione del capitale” pari al 2,5% costituita da capitale di qualità primaria, identica per tutte le banche nell’UE, al fine di consentire che il capitale rimanga disponibile per sostenere l’operatività corrente della banca nelle fasi di tensione. Il mancato rispetto di tale requisito comporterà vincoli nella politica di distribuzione degli utili fino alla ricostituzione della riserva;
- una “riserva di capitale anticiclica” specifica per ogni banca al fine di consentirle di creare in tempi di crescita economica una base finanziaria sufficiente che consenta loro di assorbire le perdite in periodi di crisi.
Il Parlamento europeo e il Consiglio avvieranno prossimamente l’esame delle proposte in prima lettura, secondo la procedura legislativa ordinaria.
Si ricorda che sulle due proposte è stato avviato l’esame, ai sensi dell’articolo 127 del Regolamento, da parte della Vi Commissione finanze e, per il parere, della XIV Commissione politiche UE.
Valutazione dell’impatto di Basilea 3 sull’ordinamento interno
Al fine di valutare compiutamente gli effetti degli atti in esame ed in considerazione delle forti tensioni che stanno coinvolgendo il sistema creditizio e finanziario mondiale, e delle evidenti ricadute che le previste modifiche alla disciplina sui requisiti di patrimonializzazione delle banche potrebbero avere sia sui mercati dei capitali sia sulle prospettive dell'economia reale, la Commissione Finanze della Camera ha avviato un'indagine conoscitiva volta ad approfondire le complesse questioni connesse con l’attuazione di Basilea 3.
I forti incrementi richiesti nella capitalizzazione delle banche - che porterebbero in particolare un innalzamento dall'8 per cento al 10,5 per cento del requisito minimo patrimoniale complessivo, indifferenziato per tutti i portafogli - potrebbero infatti tradursi, in ultima istanza, in una riduzione delle risorse disponibili per il finanziamento del sistema produttivo italiano, la cui principale fonte di finanziamento è costituita dal canale bancario.
Ciò vale soprattutto per le piccole e medie imprese, in relazione alle quali, paradossalmente, il pacchetto di proposte in esame non prevede regole specifiche, salva la previsione di cui all'articolo 485 della proposta di regolamento, la quale, peraltro, si limita a stabilire che la Commissione europea presenti, entro 24 mesi dall'entrata in vigore del regolamento, una relazione sull'impatto dei requisiti in materia di fondi propri sui prestiti alle PMI e alle persone fisiche, con eventuali proposte legislative. Non sono quindi previsti, come da più parti sollecitato, fattori di correzione per i crediti concessi alle PMI volti a compensare l'incremento quantitativo del requisito patrimoniale minimo.
Secondo quanto emerso nel corso dell’indagine, Confindustria, Rete Imprese Italia, Alleanza delle Cooperative Italiane e ABI hanno sottoposto alla Commissione europea e agli europarlamentari italiani un documento congiunto recante alcuni emendamenti alle proposte legislative in esame per ridurre i potenziali “effetti collaterali” sull'erogazione del credito. Il documento propone, in particolare, l’applicazione dell'aumento dei requisiti patrimoniali - laddove i crediti siano concessi alle PMI, con una eventuale estensione anche alle ONLUS e alle cooperative sociali - mediante l'introduzione di un “fattore correttivo” del 76,19 per cento nella formula per il calcolo dei risk weighted assets (ovvero le attività per cassa e fuori bilancio classificate e ponderate in base a differenti coefficienti connessi ai rischi, secondo le normative bancarie emanate dagli organi di vigilanza per il calcolo dei coefficienti di solvibilità).
Con riferimento alle banche, da più parti è emersa l’esigenza di valutare la diversa composizione del portafoglio di business delle banche europee, che vede, da un lato, le tradizionali banche commerciali italiane e spagnole, per cui il peso del finanziamento all’economia rappresenta più del 60% delle attività complessive, e, dall’altro, le banche inglesi, francesi e tedesche, maggiormente orientate ad attività strettamente finanziarie, per cui gli impieghi rappresentano tra il 30% e il 40% del business. In via più generale, è emersa l’esigenza di introdurre discount factor anche temporanei per mitigare gli effetti del ciclo economico in relazione alle specifiche del paese, senza generare disparità competitive e distorsioni di carattere concorrenziale.
Per soddisfare le esigenze delle PMI, che, come noto, si avvalgono in misura rilevante del credito bancario per finanziare sia la gestione corrente sia le attività consolidate, il sistema finanziario italiano ha sviluppato le proprie capacità di servizio nei campi dell’intermediazione tradizionale, con un modello operativo connotato da bassa esposizione verso il trading finanziario e, più in generale, verso le attività finanziarie ad alto rischio. Tutto ciò in un quadro di regolamentazione secondaria dell’attività bancaria sensibilmente più severo che in altri Stati, come sembra emergere da quanto al momento rende noto l’EBA.
Tale circostanza rende evidente l’esigenza che le singole autorità di vigilanza possano introdurre discount factor, anche temporanei, per mitigare gli effetti del ciclo economico in relazione alle specifiche del paese, senza generare disparità competitive e distorsioni di carattere concorrenziale.
In particolare, è stata lamentata una insufficiente considerazione delle peculiarità strutturali delle banche popolari e cooperative, per le quali i costi amministrativi di adeguamento alla nuova normativa sono più rilevanti. In tal senso, il principio di proporzionalità, peraltro correttamente richiamato nel testo della proposta legislativa, deve essere opportunamente declinato, consentendo alle piccole banche flessibilità sufficiente tra le diverse metodologie previste nel quadro di Basilea 2 e lo sviluppo e l’utilizzo di metodologie interne coerenti con il proprio modello di business e non eccessivamente complesse.
In relazione alle disposizioni secondo cui gli strumenti ibridi di capitale computabili nel Tier 1 e nel Tier 2 potranno essere obbligatoriamente convertiti in azioni ordinarie in caso di mancato rispetto dei requisiti patrimoniali e in situazioni di crisi aziendale, è stato rilevato come la conversione obbligatoria può generare problemi in relazione ai limiti di possesso azionario per i soci delle banche cooperative. Una soluzione al riguardo può essere rappresentata dalla previsione di un periodo di transizione antecedente alla conversione, che consentirebbe alle banche di intervenire con provvedimenti alternativi (ad es.: aumenti di capitale). Altre soluzioni possono riferirsi a una deroga temporale ai limiti di possesso azionario, per cui a seguito della conversione obbligatoria le posizioni individuali eccedenti i limiti verrebbero assorbite nell’arco di un periodo definito.
In relazione alla valutazione dei titoli del debito pubblico da effettuare a prezzi di mercato, superando le disposizioni precedenti che prevedevano la contabilizzazione dei titoli iscritti nel portafoglio bancario detenuto a scadenza, al valore di acquisto, è stato rilevato come tale valutazione, in apparenza neutrale, presenta in realtà conseguenze fortemente negative per gli istituti italiani e per le banche di quei Paesi il cui debito sovrano è al momento sottoposto a forti tensioni speculative e pertanto soggetto a grande deprezzamento, con il risultato di ridurre la loro capacità di finanziare l’economia reale, contribuendo così ad alimentare la crisi. Le banche italiane, evidentemente, sono esposte in misura rilevante sui titoli di stato nazionali mentre detengono una quantità limitata di titoli esteri; le banche tedesche e francesi, invece, potranno compensare le perdite sui titoli dei Paesi “periferici” con le “plusvalenze” potenziali dei titoli di debito del proprio Paese.
Con riferimento al rischio di liquidità, sono state sollecitate modifiche che assicurino una maggiore considerazione dello specifico modello di business delle banche popolari e cooperative e della loro organizzazione a rete, nonché degli schemi di tutela istituzionale.
In tema di governance, gli auditi hanno evidenziato come la deroga alla regola generale, sulla cui base è possibile considerare come un’unica carica, ai fini del computo del limite, gli incarichi ricoperti all’interno di un gruppo, dovrebbe essere estesa, in analogia a quanto già previsto in altri ambiti della proposta legislativa, anche agli incarichi rivestiti in società aderenti, direttamente o indirettamente, a un sistema di tutela istituzionale.
2. agevolare l'accesso delle banche ai finanziamenti a termine attraverso misure temporanee (come le garanzie statali) per evitare il rischio di contrazione del flusso creditizio all'economia reale e di un ulteriore inasprimento delle condizioni di credito. La prestazione di garanzie statali dovrà essere pienamente coerente con le norme in materia di aiuti di Stato.
La seguente tabella riporta l’ammontare degli aiuti di Stato autorizzati dalla Commissione europea per ciascun Stato membro nel periodo 2008-2011.
Interventi a sostegno della liquidità delle banche
Il decreto-legge n. 201 del 2011 - in analogia con un primo gruppo di disposizioni relative al settore creditizio già inserito nel decreto-legge 9 ottobre 2008, n. 155 - ha introdotto alcune misure per alleviare le tensioni sul sistema creditizio derivanti dalla crisi del debito sovrano. In questo ambito è previsto che le banche italiane possano beneficiare di una garanzia pubblica per le proprie passività almeno fino al giugno del 2012. L’intervento del Governo italiano è volto a consentire alle banche di raccogliere i fondi necessari a finanziare i prestiti alle imprese e alle famiglie. Le modalità di accesso alle garanzie pubbliche sono definite in conformità con le Raccomandazioni della Commissione europea in merito all’applicazione delle norme sugli aiuti di Stato alle misure dei sostegno alla banche nel contesto della crisi finanziaria.
A seguito dell'intervento della garanzia dello Stato, la banca è tenuta a rimborsare all'erario le somme pagate dallo Stato maggiorate degli interessi al tasso legale fino al giorno del rimborso, nonché a presentare un piano di ristrutturazione dal quale risulti che la banca è fermamente decisa a intraprendere gli sforzi di ristrutturazione necessari e a ripristinare la redditività senza ritardi.
La misura non ha effetti sull’indebitamento netto e, fino all’eventuale escussione della garanzia, sul debito delle Amministrazioni pubbliche. Per beneficiare della garanzia dello Stato le banche devono soddisfare requisiti definiti in modo che la garanzia venga fornita solo a intermediari solidi che affrontano temporanei problemi di liquidità. La norma specifica le passività che possono beneficiare di garanzia, in modo da evitare l’estensione di quest’ultima al complesso delle passivo degli intermediari.
Inoltre, può produrre effetti indiretti positivi sulla crescita l’estensione della possibilità per gli istituti creditizi e finanziari di trasformare le attività iscritte in bilancio per imposte anticipate (Deferred Tax Asset, DTA) in crediti di imposta, prevista dall’articolo 9 del medesimo decreto-legge n. 201 del 2011. La trasformazione rende “liquide” queste attività e le rende quindi computabili nel patrimonio di vigilanza delle banche allentando i vincoli di patrimonializzazione imposti su queste ultime dall’accordo di Basilea 3 che si riflettono direttamente sull’offerta di credito alle imprese.
Si ricorda inoltre che, per favorire la liquidità delle banche, il 21 dicembre scorso la Banca centrale europea ha collocato 489,19 miliardi di euro mediante un'asta di rifinanziamento senza limiti con cui Francoforte ha assegnato fondi a tre anni agli istituti di credito europei a un tasso agevolato dell'1 per cento. Un tasso molto basso che, nelle intenzioni della Bce, potrebbe sbloccare in parte i prestiti sull'interbancario e i finanziamenti a famiglie e piccole e medie imprese. Le Banche italiane hanno ottenuto 40 miliardi.
3. creare un regime specifico per le PMI, rendendole più visibili per gli investitori e assoggettandole a requisiti proporzionati per la quotazione. Rivedere le norme prudenziali per evitare che penalizzino indebitamente l'erogazione di prestiti alle PMI.
A questo scopo, nell’allegato all’analisi annuale la Commissione rileva la necessità di accelerare l’iter di esame:
§ della proposta di direttiva relativa alla contabilità delle microentità (COM(2009)83), sulla quale andrebbe definito l’accordo politico entro la fine del 2011.
La proposta prospetta una modifica della citata direttiva 78/660/CEE allo scopo di semplificare il contesto imprenditoriale e in particolare gli obblighi in materia di informativa finanziaria a carico delle microentità, al fine di accrescerne la competitività e realizzare il loro potenziale di crescita.
Il Parlamento europeo ha esaminato la proposta in seconda lettura il 13 dicembre 2011, nell’ambito della procedura legislativa ordinaria, sulla base di un accordo di compromesso raggiunto con il Consiglio che dovrà a sua volta adottare formalmente la proposta in seconda lettura.
§ della proposta di direttiva (COM(2011)684) che prospetta una revisione dellecosiddette “direttive contabili” (direttive 78/660/CEE e 83/349/CEE.
Lo scopo della revisione è quello di:
§ ridurre e semplificare gli oneri amministrativi, specialmente per le PMI;
§ aumentare la chiarezza e la comparabilità dei bilanci, con particolare riferimento alle imprese che svolgono attività transfrontaliere;
§ tutelare le esigenze essenziali degli utilizzatori al fine di conservare le informazioni contabili ad essi necessarie;
§ migliorare la trasparenza dei pagamenti allo Stato da parte di imprese delle industrie estrattive e di imprese utilizzatrici di aree forestali primarie.
La proposta dovrebbe essere esaminata in prima lettura dalla commissione Affari giuridici del Parlamento europeo il 10 luglio 2012, e dalla plenaria il 10 settembre 2012, nell’ambito della procedura legislativa ordinaria.
La Commissione sottolinea che l’adozione delle due proposte semplificherebbe gli obblighi di rendicontazione per le piccole imprese, in particolare tramite esenzioni per le microimprese.
Con riferimento alla revisione delle norme prudenziali al fine di non penalizzare l’erogazione di prestiti alle PMI, si segnala che Confindustria, Rete Imprese Italia, Alleanza delle Cooperative Italiane e Abi avrebbero, secondo fonti informali, già sottoposto alla Commissione europea e agli europarlamentari italiani un documento congiunte recante alcuni emendamenti alle proposte legislative relative all’attuazione dell’accordo di Basilea 3.
Il documento proporrebbe, in particolare, che l’aumento dei requisiti patrimoniali venga applicato - laddove i crediti siano concessi alle PMI - mediante l’introduzione di un “fattore correttivo” del 76,19% nella formula per il calcolo dei risk weighted assets (le attività per cassa e fuori bilancio classificate e ponderate in base a differenti coefficienti connessi ai rischi, secondo le normative bancarie emanate dagli organi di vigilanza per il calcolo dei coefficienti di solvibilità).
L’accesso delle PMI ai mercati di capitali
Nel corso dell'indagine conoscitiva sul mercato degli strumenti finanziari recentemente svolta dalla Commissione Finanze della Camera dei deputati, sono emerse le caratteristiche di un mercato dei capitali effettivamente accessibile alle piccole e medie imprese:
§essere caratterizzato da un minore livello di regolamentazione e da un minore livello di costi per l'accesso ed il mantenimento alla quotazione ed alla negoziazione dei titoli di tali imprese;
§disciplinare in termini più rigorosi il coinvolgimento degli intermediari che accompagnano in Borsa una società, rispetto alle responsabilità connesse con il riscontro dei requisiti per l'ammissione alla quotazione, innescando in tal modo un meccanismo di trasparenza che tuteli, ed al tempo stesso incentivi, gli investitori non professionali, i quali potrebbero comunque agire attraverso la sottoscrizione di fondi;
§essere meno strettamente legato al sistema bancario, onde evitare i rischi di eventuali conflitti di interesse tra l'esercizio del credito e l'accompagnamento alla quotazione di soggetti affidati: in tale ambito è emersa anche la proposta di incentivare lo sviluppo di agenzie di rating a livello regionale/locale, al fine di consentire anche alle PMI di essere oggetto di rating, incrementando in tal modo la possibilità, per queste ultime, di accedere ai mercati finanziari in condizioni di maggiore trasparenza.
4. collaborare con la Banca europea per gli investimenti (BEI) per mantenere e intensificare la sua attività di erogazione di prestiti alle PMI, sviluppando contemporaneamente le sinergie con il Fondo europeo per gli investimenti mediante operazioni di condivisione del rischio e la creazione di un fondo dei fondi onde erogare capitale ai fondi che investono in più di uno Stato membro;
Per quanto concerne la BEI, nel corso del 2010 (ultimo dato disponibile) ha concesso alle banche intermediarie linee di credito per 10 miliardi di euro, per la successiva erogazione di prestiti alle PMI, mentre il Fondo europeo per gli investimenti (FEI)[72] ha fornito a beneficio delle PMI garanzie e capitali di rischio per un totale di 2,8 miliardi di euro.
Complessivamente, i prestiti BEI/FEI alle PMI in Italia avrebbero raggiunto i 2,4 miliardi di euro.
Interventi per agevolare l’accesso al credito delle PMI
Una delle principali misure a favore delle PMI, per favorirne l’accesso al credito, è consistita nel rifinanziamento del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese, i cui interventi sono stati estesi anche alle imprese artigiane e sono assistiti dalla garanzia dello Stato. Da ultimo, il decreto-legge n. 201 del 2011 ha incrementato la dotazione del Fondo di 400 milioni di euro annui per ciascuno degli anni 2012, 2013 e 2014.
Il medesimo decreto-legge ha inoltre introdotto disposizioni relative alla patrimonializzazione dei Confidi. In particolare la norma, anche in deroga alle disposizioni di legge che prevedono divieti o limiti di partecipazione, consente alle imprese non finanziarie di grandi dimensioni e agli enti pubblici e privati l’ingresso nel capitale sociale dei confidi e delle banche cooperative di garanzia collettiva dei fidi. Tale ingresso, tuttavia, deve essere minoritario: le piccole e medie imprese socie devono disporre di almeno la metà più uno dei voti esercitabili nell’assemblea; inoltre la nomina dei componenti degli organi che esercitano funzioni di gestione e di supervisione strategica deve essere riservata all’assemblea.
Successivamente, il decreto-legge n. 216 del 2011 (articolo 22, comma 1) ha previsto la possibilità di una proroga delle convenzioni con il Mediocredito centrale per la gestione operativa del Fondo centrale di garanzia per la copertura dei rischi derivanti dalle operazioni di credito a medio termine, al fine di garantire continuità agli interventi a sostegno delle imprese.
Durante l’esame del disegno di legge di conversione del predetto D.L. n. 216/2011 in sede referente, è stata inserita una disposizione (articolo 22, comma 1-ter) ai sensi della quale il Ministro dell'economia e delle finanze, entro 10 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione, avvierà un tavolo di consultazione tra il Governo, l'ABI e le organizzazioni imprenditoriali, con lo scopo di prorogare al 2012 l'Accordo per il credito alle piccole e medie imprese sottoscritto il 16 febbraio 2011. Tale accordo – attraverso misure di dilazione e temporanea sospensione dei pagamenti effettuati dalle imprese nei confronti del sistema creditizio - mira a favorire il riequilibrio della struttura finanziaria delle PMI.
5. instaurare una nuova disciplina europea del venture capital volta, tra le altre cose, a reperire capitale in tutto il mercato unico, mediante un'unica registrazione presso lo Stato di origine e obblighi semplificati in materia di rendicontazione nonché norme organizzative e comportamentali adattate.
Il 7 dicembre 2011 la Commissione ha presentato una proposta di regolamento (COM(2011)860) volta a migliorare i finanziamenti tramite venture capital, vale a dire le attività di investimento in capitale di rischio realizzate da operatori professionali destinate in particolare a PMI innovative nelle fasi iniziali del loro sviluppo (start-up).
Le nuove misure dovrebbero consentire alle PMI di ricorrere ad investitori in capitale di rischio a lungo termine anziché soltanto a prestiti bancari a breve termine, migliorandone di conseguenza la competitività ed il potenziale di crescita in un mercato globale.
Il Parlamento europeo e il Consiglio avvieranno prossimamente l’esame delle proposte in prima lettura, secondo la procedura legislativa ordinaria.
I Fondi di Venture Capital e le cambiali finanziarie
L'articolo 31 del decreto-legge n. 98 del 2001 – modificato, da ultimo, dall’articolo 90 del D.L. n. 1 del 2012 -, al fine di favorire l'accesso al c.d. venture capital e sostenere l’avvio e la crescita di nuove imprese, prevede specifici incentivi a vantaggio dei sottoscrittori di "Fondi di Venture Capital" specializzati nelle fasi di avvio delle nuove imprese, esentandone da imposizione i proventi derivanti dalla partecipazione.
Si tratta di fondi comuni di investimento che investono prevalentemente in strumenti finanziari quotati (azioni, obbligazioni, ecc.), che investono almeno il 75% dei capitali raccolti in società non quotate nella fase di sperimentazione (seed financing); costituzione (start-up financing); avvio dell’attività (early-stage financing); sviluppo del prodotto (expansion financing).
Le società destinatarie dei FVC devono possedere le seguenti caratteristiche:
§ non essere quotate;
§ avere sede operativa in Italia;
§ le relative quote ed azioni devono essere direttamente detenute, in via prevalente, da persone fisiche;
§ essere soggette all’imposta sul reddito delle società (o imposta analoga prevista dalla legislazione locale) senza possibilità di esenzione né totale né parziale;
§ esercire attività di impresa da non più di 36 mesi;
§ avere un fatturato non superiore ai 50 milioni di euro (in base all’ultimo bilancio approvato prima dell’investimento del FVC).
Le quote di investimento oggetto delle suddette misure devono essere inferiori a 2,5 milioni di euro per piccola e media impresa destinataria, su un periodo di dodici mesi.
La Commissione Finanze ha inoltre avviato l’esame di alcune proposte di legge volte a migliorare la fruibilità delle cambiali finanziarie, che esse considerano uno strumento di finanziamento alternativo ai normali canali di approvvigionamento di capitale, utile per sostenere esigenze di liquidità stagionali e altre necessità operative contingenti, grazie a meccanismi di concessione rapidi e costi contenuti. In tal modo, si intende ampliare gli strumenti di finanziamento delle imprese alternativi al tradizionale meccanismo del credito bancario, che non appare più sufficiente, da solo, a sostenere adeguatamente la struttura fondamentale del sistema produttivo nazionale, anche alla luce dell'attuale crisi finanziaria.
L’opportunità di rilanciare tale strumento era stata peraltro sollecitata da più parti nel corso dell'indagine conoscitiva sul mercato degli strumenti finanziari recentemente svolta dalla Commissione Finanze della Camera dei deputati, ed è contenuta nelle proposte del documento conclusivo dell'indagine, approvato dalla stessa Commissione il 19 luglio 2011.
6. completare la realizzazione di un nuovo quadro normativo per i mercati finanziari dell'UE in conformità degli impegni del G20 e rafforzare le nuove disposizioni sulla vigilanza finanziaria applicabili a livello dell'UE.
Si ricorda che la disciplina europea del settore dei mercati finanziari – già oggetti di numerosi interventi legislativi a partire dal 2008 – sono attualmente all’esame delle Istituzioni europei le seguenti proposte legislative:
- una proposta di modifica alla direttiva relativa ai mercati degli strumenti finanziari (COM(2011)656) che prevede tra l’altro: il conferimento di maggiori poteri alle autorità di regolamentazione; regole di funzionamento chiare per tutte le attività di negoziazione; l’introduzione di una nuova sede di negoziazione (i sistemi di negoziazione organizzati - OTF); la creazione di un "marchio di qualità" specifico per i mercati delle PMI; nuove tutele per quanto riguarda le attività di trading effettuate mediante le nuove tecnologie; migliori condizioni di concorrenza per alcuni servizi post-negoziazione essenziali, come la compensazione; una maggiore trasparenza delle attività di negoziazione sui mercati dei capitali e per i mercati non azionari.
La proposta dovrebbe essere esaminata in prima lettura dalla commissione Affari economici e monetari del Parlamento europeo il 9 luglio 2012 e dalla plenaria l’11 settembre 2012, nell’ambito della procedura legislativa ordinaria.
- un pacchetto di misure (COM(2011)746 e 747) intese a rafforzare il quadro normativo vigente in materia di agenzie di rating, che, al fine di rafforzare la disciplina già introdotta di recente, stabilisce: 1) l’obbligo per gli istituti di credito di procedere a valutazioni interne, evitando l’eccessivo affidamento ai rating esterni, in linea con quanto stabilito nel pacchetto sui requisiti patrimoniali delle banche (COM(2011)452 e 453); 2) l’obbligo per le agenzie di informare gli emittenti della pubblicazione del rating con sufficiente anticipo, effettuare rating del debito sovrano con maggiore frequenza e pubblicare i rating sovrani dopo l’ora di chiusura delle sedi di negoziazione dell’UE; 3) il conferimento all’Autorità europea dei mercati e degli strumenti finanziari (AESFEM) del potere di limitare o sospendere temporaneamente l’emissione dei rating del debito sovrano in circostanze eccezionali e garantire la conformità delle metodologie di rating alla normativa UE in materia; 4) lo sviluppo di una rete di piccole e medie agenzie di rating e l’armonizzazione delle scale di rating per migliorarne la comparabilità; 5) l’istituzione di un indice europeo di rating (EURIX); 6) la responsabilità civile delle agenzieper i rating emessi in violazione della normativa UE che arrecano danno agli investitori; 7)l’obbligo per gli emittenti di cambiare periodicamente agenzia di rating.
Le proposte dovrebbero essere esaminate in prima lettura dalla commissione Affari economici e monetari del Parlamento europeo il 21 maggio 2012 e dalla plenaria il 4 luglio 2012, nell’ambito della procedura legislativa ordinaria.
- un pacchetto di misure (COM(2011)651 e 654) relativo all'abuso di informazioni privilegiate e alla manipolazione del mercato e alle relative sanzioni penali, che prospetta un’estensione del campo di applicazione della direttiva 2003/6/CE sugli abusi di mercato a tutti gli strumenti finanziari ammessi alla negoziazione su sistemi multilaterali di negoziazione (Multilateral trading facilities – MTF) o su altri nuovi tipi di sistemi organizzati di negoziazione (Organised trading Facilities -OTF), nonché a tutti gli strumenti finanziari collegati negoziati OTC (Over the counter) suscettibili di avere un impatto sul mercato sottostante. Ciò al fine di evitare arbitraggi normativi tra sedi di negoziazione, e vietare la manipolazione del mercato tra l’altro attraverso i CDS (credit default swap).
- Inoltre, si prospetta l'obbligo per gli Stati membri di stabilire norme minime sulla definizione dei reati più gravi di abuso di mercato e sui livelli minimi delle sanzioni penali corrispondenti.
Le proposte dovrebbero essere esaminate in prima lettura dalla commissione Affari economici e monetari del Parlamento europeo il 9 luglio 2012 e dalla plenaria l’11 settembre 2012, nell’ambito della procedura legislativa ordinaria.
Nella mozione 1/00822 (Donadi ed altri), approvata dalla Camera il 25 gennaio 2012, in vista del Consiglio europeo del 30 gennaio 2012 che segnerà la conclusione del negoziato relativo al nuovo trattato intergovernativo sulla stabilità, il coordinamento, e la governance dell’unione economica e monetaria (cd. fiscal compact), si impegna tra l’altro il Governo a proporre:
- una riforma europea delle regole della finanza, introducendo trasparenza, limitando i conflitti di interesse e gli accumuli di potere eccessivo, risolvendo il problema degli istituti too-big-to-fail, regolando meglio le banche e gli altri operatori (speculativi e non), valutando l'abolizione di alcuni strumenti finanziari (come alcuni derivati over-the-counter) e ponendo in essere qualsiasi altra azione necessaria a ricondurre l'operato dei mercati nell'alveo del pubblico interesse e del bene comune;
- l'adozione di regole che separino l'attività delle banche di credito ordinario da quella delle banche d'investimento;
- la creazione di un'agenzia di rating europea indipendente ed autorevole, nonché ad implementare con più incisività sul piano giuridico il concetto di responsabilità per le conseguenze delle valutazioni errate delle stesse agenzie.
Anche nella mozione 1/00800 (Franceschini ed altri)approvata dalla Camera nella medesima sede si impegna il Governo a considerare l'opportunità in sede europea di riesaminare il ruolo delle agenzie di rating, considerando la possibilità di smantellare posizioni di oligopolio nel settore o anche quella di istituire una agenzia di rating europea.
Le proposte della Commissione Finanze
Nel documento conclusivo dell’indagine conoscitiva sui mercati degli strumenti finanziari, la Commissione Finanze ha innanzitutto rilevato l'esigenza di promuovere taluni interventi correttivi, che dovranno essere realizzati sia attraverso misure di carattere normativo, sia mediante l'attività di vigilanza svolta sul settore dalle autorità competenti:
§ estendere e diversificare i canali e gli strumenti attraverso cui le risorse finanziarie affluiscono al sistema delle imprese, affiancando al finanziamento bancario altri meccanismi che prevedano un più ampio ricorso al mercato dei capitali;
§ favorire la liquidità, ampiezza e trasparenza dei mercati dei capitali, al fine di consentire a questi ultimi di esprimere appieno le loro potenzialità di creazione di valore e di sostegno alla crescita del sistema imprenditoriale, garantendo, al contempo, la tutela dei risparmiatori;
§ innovare la cultura dell'imprenditoria e della finanza italiana, nel senso di superare quelle resistenze che si oppongono in maniera ingiustificata ad una maggiore apertura del capitale delle imprese;
§ semplificare le regole e gli adempimenti amministrativi e regolamentari in sede di ammissione alla quotazione, evitare duplicazioni e sovrapposizioni normative, sia a livello europeo sia a livello nazionale, nonché assicurare maggiore stabilità nel tempo delle regole vigenti in materia, assicurando un equilibrato bilanciamento tra le predette esigenze di semplificazione delle regole e di riduzione dei costi con quelle di tutela degli azionisti di minoranza;
§ rivedere ed uniformare a livello europeo la disciplina delle offerte pubbliche di acquisto (OPA), al fine di: porre tutti gli operatori economici nelle medesime condizioni giuridiche; bilanciare l'esigenza di contendibilità delle imprese con quella di non indurre il ricorso a forme di controllo articolate ed opache; assicurare la trasparenza delle condizioni e degli obiettivi di tali acquisizioni; salvaguardare il patrimonio sociale e tutelare gli azionisti di minoranza;
§ ripensare la disciplina sui prospetti e sulla trasparenza dei prodotti finanziari, che non dovrebbe essere più basata prioritariamente sui contenuti informativi del prospetto, sottolineando invece maggiormente la responsabilità, per gli intermediari che collocano presso il pubblico i prodotti, di fornire alla clientela retail un'efficace informativa sul singolo strumento finanziario;
§ aprire una riflessione relativamente alla revisione della disciplina sulla quotazione, in particolare per quanto riguarda la ripartizione di compiti fra CONSOB e Borsa Italiana rispetto alle funzioni di listing, assicurando in tale contesto un adeguato contemperamento tra l'esigenza di sviluppo del mercato e quella di tutela degli investitori e della clientela retail;
§ riorganizzare il sistema dei mercati degli strumenti di equity su più livelli, nei quali le regole ed il grado di trasparenza siano commisurati adeguatamente alle dimensioni, alle caratteristiche ed agli obiettivi delle società quotate, e superando il concetto di mercato dedicato alle piccole e medie imprese, che non si è rivelato produttivo nel contesto italiano, tenendo conto a questo riguardo degli approfondimenti che la CONSOB sta svolgendo in merito con gli operatori del mercato;
§ eliminare dall'ordinamento tributario quegli elementi che possono indurre distorsioni nelle scelte di finanziamento delle imprese, introducendo, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, meccanismi fiscali agevolativi che favoriscano gli investimenti nel capitale delle imprese, soprattutto di piccole e medie dimensioni;
§ valorizzare nuovi strumenti, aggiuntivi e non sostitutivi del capitale privato, di sostegno pubblico o misto pubblico - privato alla capitalizzazione delle imprese, soprattutto di piccole e medie dimensioni, garantendo a tal fine criteri che disciplinino chiaramente condizioni e tempi della partecipazione al capitale; piena trasparenza nella selezione delle iniziative imprenditoriali che si intende sostenere; massima conoscibilità di tali strumenti da parte dei soggetti privati interessati; temporaneità della partecipazione al capitale; meccanismi di fuoriuscita dal capitale che non risultino traumatici per l'impresa partecipata;
§ ampliare il panorama del mercato del debito, ad esempio rilanciando lo strumento delle cosiddette «carte commerciali» (commercial papers), anche attraverso la revisione della legge n. 43 del 1994, definendo le condizioni per rilanciare un mercato specifico sul quale negoziare tali titoli di debito, che sia in grado di assicurare la rigorosa tutela degli investitori, di consentire la conoscenza e trasparenza degli emittenti e di ridurre i costi di emissione.
Al di là delle questioni specifiche, la Commissione ha rimarcato l'esigenza che la politica si riappropri della capacità di governare i processi di evoluzione che stanno interessando il settore finanziario, in particolare migliorando la capacità di definire un quadro normativo armonizzato e stabile. Il dato più preoccupante che emerge dalle vicende di questi anni, anche alla luce delle turbolenze che stanno caratterizzando gli ultimi mesi, sta infatti nella condizione di subalternità in cui i decisori politici versano rispetto alle istanze dei mercati finanziari, che sembrano ormai in grado di dettare l'intonazione delle variabili macroeconomiche e di fissare gli obiettivi, i contenuti e la tempistica della politica economica perseguita dagli Stati.
Il deterioramento delle prospettive di crescita globale ha fortemente accresciuto l’attenzione degli investitori sul livello del debito pubblico e i timori circa la sua sostenibilità soprattutto per le economie – come quella italiana – gravate da un alto debito in rapporto al PIL.
In Italia, le tensioni sui mercati finanziari si sono manifestati dallo scorso mese di giugno.
Andamento dello spread tra BTP e Bund decennali
Come evidenzia il grafico, a decorrere da giugno 2011 il valore dello spread[73] ha registrato un andamento fortemente crescente, raggiungendo il valore massimo (553 punti) il 9 novembre 2011.
Tale andamento rispecchia una crescita dei tassi di rendimento dei titoli di Stato italiani sul mercato secondario a fronte di un andamento sostanzialmente stabile e, negli ultimi mesi, in riduzione dei titoli tedeschi.
L’andamento crescente dei tassi di rendimento ha interessato non solo i titoli decennali (rispetto ai quali viene generalmente determinato lo spread), ma anche titoli con scadenze diverse, compresi quelli infrannuali. Un’analisi dei rendimenti delle diverse tipologie di titoli evidenzia - oltre alla crescita generalizzata delle remunerazioni - un andamento anomalo della curva (valutata rispetto alla durata del titolo) nel periodo più critico (novembre 2011), quando i rendimenti dei titoli con scadenza a breve è risultato superiore a quelli con scadenza maggiore[74]; già dal mese di dicembre, tuttavia, tale situazione si è normalizzata (cfr Approfondimento “La gestione del debito pubblico in Italia – 2011”).
Alla data del 9 novembre 2011 i tassi di rendimento dei titoli a 3 mesi, 6 mesi, 1 anno, 2 anni e 5 anni erano, rispettivamente, 6,448%, 5,976%, 7,663%, 7,141% e 7,57% (mostrando quindi l’anomalia per cui il tasso a 6 mesi era inferiore di quello a tre mesi e il tasso a 1 anno era superiore di quelli a 2 anni e a 5 anni). Alla data del 17 gennaio 2012 i medesimi rendimenti risultano, rispettivamente, 1,511%, 2,204%, 2,773%, 4,00% e 5,538% (mostrando quindi una normalizzazione della curva dei rendimenti).
Per fronteggiare la crisi dei mercati finanziari la Banca Centrale Europea (BCE) è intervenuta mediante l’acquisto sul mercato secondario di titoli di Stato dei Paesi membri, la riduzione dei tassi di interessi ufficiali e l’introduzione di misure a favore del settore creditizio.
A novembre del 2011 il Presidente della BCE Mario Draghi, in occasione del suo intervento di inizio mandato, ha comunque tenuto a precisare che gli interventi della BCE sui mercati attraverso l’acquisto di titoli del debito pubblico non possono rappresentare una soluzione definitiva alla crisi europea. Ciò che, invece, il Presidente Draghi ha indicato come elemento importante per iniziare a restaurare la credibilità dell’area Euro è un nuovo contratto di finanza pubblica (fiscal compact) che assicuri l’Unione economica e monetaria attraverso una riscrittura fondamentale delle regole di bilancio.
L’acquisto sul mercato secondario dei titoli di Stato emessi dai Paesi dell’area euro colpiti dalla crisi economico-finanziaria rientra nel programma della BCE, approvato nel mese di maggio del 2010 (Securities Markets Programme - SMP). Tali operazioni “non convenzionali” sono dirette ad evitare che tensioni su alcuni segmenti dei titoli di Stato, indotte dall’avversione al rischio da parte degli investitori, impediscano il corretto funzionamento dei meccanismi di trasmissione della politica monetaria, e a garantire l’accesso al mercato finanziario e la stabilità dei prezzi[75].
Il seguente grafico mostra l’andamento degli acquisti dei titoli di Stato da parte della BCE. In proposito, si segnala che nella fase iniziale la BCE ha acquistato prevalentemente titoli di Stato della Grecia (nella prima settimana il valore degli acquisti è stato di 16,5 miliardi), mentre a decorrere da agosto 2011 gli acquisti sono stati rivolti anche ai titoli italiani e spagnoli (nella settimana terminata il 12 agosto il valore degli acquisti è stato di 22 miliardi di euro).
L’ammontare complessivo degli acquisti di titoli governativi dei Paesi in difficoltà effettuati fino al 6 gennaio 2012 ammonta a 213 miliardi di euro.
Per quanto riguarda gli interventi della BCE sui tassi di interesse, il tasso applicato sulle operazioni di rifinanziamento principale è stato ridotto una prima volta dall’1,5% all’1,25% il 3 novembre 2011 e, il successivo 8 dicembre, di ulteriori 0,25 punti, fissandolo all’1%[76].
La riduzione del costo del denaro, che avrebbe dovuto incentivare le banche ad incrementare i prestiti in favore delle imprese e delle famiglie e/o praticare condizioni di credito più favorevoli, ha prodotto gli effetti desiderati in misura contenuta. Le motivazioni possono essere attribuite, in linea generale, alla situazione di incertezza dei mercati dei titoli di debito sovrano che si rifletteva anche in un forte rallentamento delle operazioni sui mercati interbancari, nonché ai crescenti rischi di insolvenza da parte delle imprese e delle famiglie. Non hanno infine influito favorevolmente, almeno in un primo momento, le richieste di rafforzamento patrimoniale presentate dall’European Banking Authority (EBA) alle aziende di credito (cfr supra).
L’Autorità bancaria europea (EBA) ha effettuato una verifica dei patrimoni delle banche chiedendo alle stesse di applicare il criterio mark to market per la valutazione dei titoli di Stato posseduti emessi da paesi europei. In base a tale criterio, il portafoglio dei beni di investimento deve essere valutato quotidianamente sulla base dei prezzi espressi dal mercato in luogo di quello basato sui costi storici di acquisizione dei beni. Conseguentemente, tenuto conto della crisi in atto, il patrimonio delle banche è stato svalutato e, pertanto, l’EBA ha chiesto una ulteriore patrimonializzazione.
In più sedi è stato evidenziato che l’applicazione del mark to market risulta pro-ciclico in quanto le banche non sono incentivate ad acquistare titoli di Stato in un momento in cui la richiesta degli stessi andrebbe sostenuta per evitare un incremento dei tassi di rendimento, quindi dello spread, nonché una perdita di fiducia nei mercati finanziari che determina una perdita di valore dei titoli governativi medesimi[77].
In tale situazione, le banche hanno preferito limitare temporaneamente la concessione dei crediti, trattenendo la liquidità monetaria. Nel periodo critico della crisi, infatti, risultano elevati e con andamento crescente i depositi presso la BCE: le banche hanno, infatti, preferito “investire” la loro liquidità in depositi sicuri (anche se con basso rendimento) piuttosto che concedere prestiti in condizioni di incertezza mettendo a rischio la propria solidità finanziaria e patrimoniale.
Attraverso lo strumento del deposit facility, le banche possono utilizzare la liquidità disponibile effettuando depositi presso la BCE a brevissimo termine (overnight) sui quali è riconosciuto, tuttavia, un contenuto tasso di interesse (0,5%). L’andamento di tali depositi evidenzia che, fino a giugno 2011, l’ammontare medio non superava gli 80 milioni, mentre a decorrere da giugno l’importo è cresciuto sensibilmente fino a raggiungere, nel dicembre 2011, un ammontare superiore a 300 milioni di euro. Si è verificata, in altre parole, una situazione di eccesso di liquidità dovuta prevalentemente alla prudenza delle banche che, invece di rimettere in circolazioni i fondi – concedendo prestiti a famiglie e imprese ovvero ad altri istituti di credito in difficoltà – hanno preferito rinunciare ad una parte dei proventi (il tasso offerto dalla BCE è inferiore a quello di mercato) e assicurarsi la disponibilità monetaria. Pertanto, sul piano dell’economia reale, le imprese e le famiglie hanno dovuto limitare le proprie scelte in materia di consumi e di investimenti, mentre le banche che necessitavano di liquidità si sono finanziate presso la BCE attraverso il marginal lending facility ossia lo strumento con cui la BCE eroga denaro per un tempo brevissimo chiedendo un elevato tasso di interesse.
Per limitare il rischio del credit crunch, ossia il rischio che le banche riducano fortemente le erogazioni di prestito – applicando, peraltro, elevati tassi di interesse - con pesanti conseguenze sull’economia reale, la BCE è intervenuta nel mese di dicembre 2011[78] con le seguenti ulteriori misure:
1) rifinanziamento alle banche con prestiti a medio termine (fino a 36 mesi) al tasso dell’1%. In data 21 dicembre 2011 le banche europee hanno ottenuto finanziamenti per complessivi 489 miliardi di euro (di cui circa 50 miliardi alle grandi banche italiane). L’effettiva nuova immissione di liquidità, al netto delle operazioni in scadenza, è stata pari a 210 miliardi. Una seconda operazione è prevista per il 28 febbraio 2012;
2) individuazione di un più ampio ventaglio di titoli ammessi in garanzia dei prestiti erogati dalla banca centrale di ciascuno Stato agli istituti di credito del Paese;
3) riduzione dal 2% all’1% del tasso di riserva obbligatoria, liberando in tal modo parte delle risorse detenute in garanzia dagli istituti di credito.
L’immissione di nuova liquidità ha prodotto effetti positivi sia in termini di tassi di interesse, sia in termini di maggiore tranquillità sui mercati finanziari e quindi sugli indici di Borsa.
Le tensioni sperimentate dai mercati finanziari hanno condotto, da un lato, ad una progressiva lievitazione dei rendimenti dei titoli di Stato italiani e, dall’altro, il deterioramento della liquidità sul mercato secondario, che hanno peggiorato le condizioni di emissione per l’emittente. In questo scenario sono stati utilizzati tutti gli strumenti per la gestione del debito pubblico per limitare le potenziali disfunzioni del mercato.
Nella politica di gestione del debito pubblico italiano[79] il Tesoro ha mantenuto, nel corso del 2011, una continuità e regolarità nella strategia di emissione perseguendo, compatibilmente con le condizioni del mercato, i due tradizionali obiettivi: il contenimento del costo del debito e la riduzione dei rischi di mercato, in particolar modo il rischio di rifinanziamento[80] e il rischio tasso[81].
Confrontando la vita media del debito pubblico italiano[82] rispetto agli altri paesi, si osserva che la durata media residua dei titoli di Stato italiani si attesta ad un valore pari a 7,2 anni, risultando tra i più elevati dell’area Euro, come evidenziato nella tabella riportata di seguito. Tale affermazione risulta sostanzialmente confermata anche alla luce dei dati più recenti che indicano, al 31 dicembre 2011, una vita media residua dei titoli del debito pubblico pari a 6,99 anni[83].
Vita media residua dei titoli di Stato
Paese |
Vita media residua dei titoli di Stato |
Italia |
7,2 |
Germania |
5,6 |
Francia |
7,0 |
Spagna |
6,2 |
Grecia |
6,9 |
Portogallo |
6,0 |
Irlanda |
6,2 |
Regno Unito |
13,9 |
Stati Uniti |
5,1 |
Giappone |
5.8 |
Fonte: Banca d’Italia. Rapporto sulla stabilità finanziaria – novembre 2011
Rispetto ad un debito stimato in circa 1.905 miliardi di euro[84], la struttura del debito pubblico al 31 dicembre 2011 si presenta così composta:
Analizzando lo sviluppo delle emissioni nel corso del 2011, si osserva che nella prima metà dell’anno è stata mantenuta la presenza di tutti i comparti, ad eccezione dei BTP€i a 30 anni, e nell’asta dell’8 giugno 2011 è stato collocato il nuovo titolo indicizzato all’inflazione a 15 anni (BTP€i 15 anni).
Nel corso dell’estate 2011, l’acuirsi delle tensioni sui mercati finanziari ha determinato un forte incremento dei rendimenti dei titoli italiani che perdevano terreno nei confronti di quelli spagnoli, con l’azzeramento del differenziale sul comparto a 10 anni nei primi giorni di agosto. Gli interventi della BCE nel corso del mese di agosto, con l’acquisto di titoli italiani e spagnoli sul mercato secondario finalizzati al contenimento dei tassi di rendimento, hanno in un primo tempo conseguito l’obiettivo di porre un tetto ai rendimenti decennali. Tale risultato è stato raggiunto anche grazie all’assenza di emissioni di titoli italiani per tutto il mese di agosto, che ha consentito di alleggerire la pressione sui mercati.
A fronte del deterioramento del mercato, a partire dal mese di settembre[85], il Tesoro è intervenuto sul fronte delle emissioni, intensificando l’offerta dei titoli off the run[86], sostituendo quelli più a lunga scadenza meno richiesti dal mercato e più costosi. Ha inoltre effettuato con più frequenza operazioni straordinarie di concambio e riacquisto finalizzate alla riduzione del comparto a breve.
Già a partire dal 2009, in vista dell’approssimarsi del 2012, anno in cui si concentra la scadenza di molti titoli di Stato a medio-lungo termine, la gestione del debito si era focalizzata sulla necessità di modificarne la struttura temporale. Pertanto, negli anni 2010 e 2011, al fine di ridurre l’impatto delle scadenze dei titoli a medio–lungo termine concentrate nei mesi di febbraio marzo e aprile 2012 sono state effettuate operazioni di concambio e riacquisto di titoli sul mercato per un totale di circa 8,9 miliardi, di cui 7,3 miliardi relativamente al periodo febbraio, marzo e aprile 2011[87]. Si è inoltre perseguita una graduale riduzione delle emissioni di BOT, per cui il peso relativo di questi titoli a breve sullo stock complessivo dei titoli di Stato è passato dal 10,71% del 2008 al 8,52% del 2010.
Tuttavia, alla luce delle difficoltà emerse nella seconda metà del 2011, pur perseguendo la linea strategica di riduzione del segmento a breve, il Tesoro ha aumentato le emissioni di tale comparto per compensare la necessaria riduzione della pressione sul titolo a lungo termine. Sebbene vi sia stato un incremento in termini assoluti dello stock di BOT, anche nel 2011 si è mantenuto un trend in discesa in termini relativi, con un valore pari all’8,3% sul totale delle emissioni. Inoltre, al fine di contenere gli effetti delle scadenze sui primi quattro mesi del 2012, nel IV trimestre 2011 non sono stati emessi BOT a tre mesi.
Con l’acuirsi della crisi, nel mese di novembre si è osservato un disallineamento nella curva dei rendimenti che ha reso più complicate le operazioni straordinarie di concambio e riacquisto. Le criticità sul versante della domanda dei titoli di Stato hanno avuto un impatto differenziato sul comparto a breve rispetto a quello a più lungo termine. Le tensioni si sono concentrate sul segmento a 1, 2 e 5 anni determinando un calo del corso dei titoli con un corrispondente incremento dei rendimenti che, nel mese di novembre, a più riprese sono saliti oltre il 7-7,5 per cento, ben al di sopra dei rendimenti dei titoli a 10 anni.
Nel mese di dicembre si è osservato un riallineamento della curva dei rendimenti grazie anche all’iniezione di liquidità verso il settore bancario operata della BCE, che ha consentito di sostenere la domanda di titoli di Stato, i cui rendimenti sono tornati a livelli più contenuti su tutti i comparti.
Come già ricordato, il 2012 si presenta come un anno importante dal punto di vista della gestione del debito pubblico, per il concentrarsi nella prima parte dell’anno della scadenza di molti titoli a medio–lungo termine. Al fine di gestire più agevolmente il rinnovo delle scadenze, la politica di emissione del Tesoro, per i primi mesi del 2012, sarà caratterizzata da un più frequente utilizzo di strumenti flessibili attraverso il collocamento di titoli a breve (BOT, carta commerciale e titoli fino a tre anni), per poi tornare nella seconda metà dell’anno ad una più uniforme distribuzione delle emissioni, al fine di evitare l’accorciamento della vita del debito. Si stima che il totale delle emissioni lorde al netto dei concambi sarà per il 2012 pari a circa 450 miliardi di euro, in leggero aumento rispetto al 2011 ma inferiore al 2008, 2009 e 2010[88].
Servizi
Nell’ambito delle iniziative necessarie al fine di promuovere la crescita e la competitività nell’UE, nell’Analisi annuale per la crescita la Commissione attribuisce un ruolo determinante alla creazione di un vero e proprio mercato interno dei servizi.
In tale contesto la Commissione rileva che la direttiva 2006/123/CE sui servizi nel mercato interno (cosiddetta “direttiva servizi”) non trova ancora integrale applicazione in taluni Stati membri. Di conseguenza molti operatori economici non sono pienamente consapevoli delle opportunità che tale direttiva offre. Inoltre, in molti Stati membri mancano gli sportelli unici, previsti dalla citata direttiva, al fine di aiutare le imprese ad ottenere le informazioni pertinenti e ad espletare le necessarie formalità.
Alla luce di tali considerazioni la Commissione raccomanda di:
§ aumentare la concorrenza e la competitività nel settore del commercio al dettaglio, riducendo gli ostacoli all’entrata e all’uscita delle imprese ed eliminando le restrizioni ingiustificate applicate alle imprese e ai servizi professionali, alle professioni giuridiche, alla consulenza contabile o tecnica, alla sanità e ai servizi sociali;
§ rimuovere gli ostacoli tecnici, amministrativi e sociali alle tecnologie e ai processi di produzione innovativi.
Inoltre, nell’allegato all’Analisi annuale per la crescita relativa si chiede di:
§ procedere all’applicazione integrale della “direttiva servizi” da parte di tutti gli Stati membri entro la fine del 2011;
§ presentare una relazione che monitori lo stato di attuazione entro la fine del 2011 o l’inizio del 2012;
§ completare l’istituzione degli sportelli unici entro la fine del 2011;
§ realizzare, entro il secondo trimestre del 2012, test volti a valutare l’efficacia e l’adeguatezza della direttiva, e adottare misure di applicazione entro la fine del 2012;
§ presentare, nel primo semestre del 2012, una proposta volta ad eliminare le restrizioni alle vendite basate sulla nazionalità o la residenza. Come previsto all’articolo 20 della citata direttiva 2006/123/CE.
Il completamento ed il buon funzionamento del mercato dei servizi, determinanti al fine di promuovere la crescita dell’economia europea e la creazione di posti di lavoro, costituisce uno dei 12 settori prioritari di intervento dell’’Atto per il mercato unico (COM(2011)206), presentato dalla Commissione europea il 13 aprile 2011 con l’obiettivo di rilanciare il mercato unico europeo al fine di sfruttarne pienamente le potenzialità e consentire ai cittadini e alle imprese di beneficiare delle opportunità che esso offre in termini di crescita e sviluppo.
Oltre alla completa attuazione della direttiva servizi da parte di tutti gli Stati membri e la realizzazione di test di efficacia (con particolare riferimento all’applicazione della direttiva ai servizi nel settore del turismo, dell’edilizia e delle imprese), nell’Atto per il mercato unico vengono individuate ulteriori azioni prioritarie nel settore dei servizi:
§ l’estensione del sistema europeo di standardizzazione ai servizi al fine difavorire l’integrazione del mercato dei servizi a livello europeo, una rapida adozione delle norme e una maggiore partecipazione delle PMI e delle altre parti interessate. Tale questione è affrontata in un pacchetto di misure presentate dalla Commissione europea il 1° giugno 2011 (COM(2011)311 e 315);
§ il contrasto alle pratiche commerciali sleali tra imprese allo scopo di stimolare la concorrenza tra gli operatori;
§ la creazione di un gruppo ad alto livello per studiare le inefficienze e le lacune del mercato dei servizi alle imprese;
§ la promozione della qualità dell’istruzione fornita in un contesto di libera circolazione dei servizi.
Ulteriori iniziative
Nell’allegato all’Analisi annuale per la crescita relativa al 2012 si chiede al Parlamento europeo e al Consiglio di adottare con iter accelerato, entro la fine del 2012,le proposte della Commissione indicate qui di seguito volte a dare attuazione ad alcune delle priorità individuate nell’Atto per il mercato unico (COM(2011)206), presentato dalla Commissione europea il 13 aprile 2011, con il quale vengono prospettate 12 azioni prioritarie per rilanciare il mercato unico europeo.
Per approfondimenti su questo aspetto si rinvia al paragrafo “Crediti e mercati finanziari” del presente dossier.
Il 20 dicembre 2011 la Commissione europea ha presentatoun pacchetto di misure[89]volte ad operare una profonda modernizzazione della normativa esistente fissata dalle direttive 2004/17/CE (appalti degli enti erogatori di acqua e di energia e degli enti che forniscono servizi di trasporto e servizi postali), 2004/18/CE (appalti pubblici di lavori, forniture e servizi) e 2009/81/CE (appalti di lavori, forniture e servizi nei settori della difesa e della sicurezza).
Il pacchetto comprende:
§ una proposta di direttiva sulle procedure d'appalto degli enti erogatori nei settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e dei servizi postali (COM(2011)895);
§ una proposta di direttiva sugli appalti pubblici (COM(2011)896);
§ una proposta di direttiva sull’aggiudicazione dei contratti di concessione (COM(2011)897).
Gli obiettivi prioritari della riforma sono: 1) la semplificazione delleprocedure mediante un maggiore ricorso alla trattativa ed agli appalti online; 2) un migliore accesso delle PMI agli appalti pubblici mediante la riduzione degli oneri amministrativi e la suddivisione degli appalti in lotti; 3) una maggiore attenzione ai vincoli sociali ed ambientali; 4) la lotta ai conflitti di interesse, ai favoritismi ed alla corruzione anche mediante la designazione di un’autorità nazionale unica incaricata della vigilanza, dell’esecuzione e del controllo degli appalti pubblici; 5) per quanto riguarda le modifiche in corso di esecuzione, da un lato si prospetta l’obbligo, in caso di modifiche sostanziali, di procedere ad una nuova aggiudicazione, e dall’altro, si prevede un certo grado di flessibilità nel caso in cui tali modifiche siano dovute a circostanze imprevedibili.
Per quanto riguarda in particolare le concessioni, si prevede tra l’altro l’estensione della maggior parte degli obblighi applicabili alle concessioni di lavori pubblici a tutte le concessioni di servizi, nonché la pubblicazione obbligatoria nella Gazzetta Ufficiale dell’UE delle concessioni di importo pari o superiore a 5 milioni di euro.
Il Parlamento europeo e il Consiglio avvieranno prossimamente l’esame delle proposte in prima lettura, secondo la procedura legislativa ordinaria.
Il 19 dicembre 2011 la Commissione ha presentato una proposta di direttiva nella quale si prospettano modifiche alla direttiva 2005/36/CE relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali (COM(2011)883).
A fronte della crescente richiesta di personale altamente qualificato, la proposta intende favorire la mobilità dei professionisti all’interno dell’UE in particolare mediante: 1) l’introduzione di una tessera professionale europea per facilitare il riconoscimento delle qualifiche professionali conseguite nell’UE; 2) un migliore accesso alle informazioni relative al riconoscimento delle qualifiche professionali mediante gli sportelli unici; 3) un aggiornamento dei requisiti minimi di formazione (che risalgono a 20-30 anni fa) per medici, dentisti, farmacisti, infermieri, ostetriche, veterinari ed architetti; 4) l’introduzione di un sistema di allerta ai fini della segnalazione tra le autorità competenti dei singoli Stati membri dei professionisti che lavorano in ambito sanitario cui è stato proibito di esercitare la propria attività professionale da un’autorità pubblica o un tribunale; 5) la creazione di un quadro di formazione e di verifiche professionali comuni al fine di estendere il riconoscimento automatico a nuove professioni.
Il Parlamento europeo e il Consiglio avvieranno prossimamente l’esame della proposta in prima lettura, secondo la procedura legislativa ordinaria.
La Commissione dovrebbe presentare, durante il secondo trimestre del 2012 come previsto nel programma di lavoro della Commissione per il 2012, una proposta riguardante l’istituzione di un quadro normativo sicuro e affidabile in materia di riconoscimento reciproco dell’identificazione e dell’autentificazione elettronica in tutta l’UE - anche mediante la revisione della direttiva 1999/93/CE sulla firma elettronica - al fine di semplificare le procedure e rimuovere gli ostacoli all’interoperabilità.
Nell’allegato all’Analisi annuale per la crescita relativa al 2012 figura la richiesta al Consiglio dei ministri dei 25 Stati membri partecipanti alla cooperazione rafforzata per la creazione del brevetto unico europeo e di un tribunale unico europeo per la risoluzione delle controversie in materia brevettuale - oggetto di due specifiche proposte di regolamento (COM(2011)215 e 216) presentate dalla Commissione europea il 13 aprile 2011 - di pervenire ad un accordo politico dopo il voto del Parlamento europeo previsto per il 14 febbraio 2012.
La cooperazione rafforzata, autorizzata con la decisione 2011/167/UE del Consiglio, è stata sostenuta da tutti gli Stati membri dell’UE, ad eccezione di Italia e Spagnache, oltre a giudicarla un ostacolo per il mercato interno, considerano lesiva del principio di parità linguistica l’ipotesi di basare il regime di traduzione del futuro brevetto UE sull’utilizzo di inglese, francese o tedesco. Il brevetto unico, pertanto, non avrà efficacia in questi due paesi, che tuttavia potranno decidere di aderire alla cooperazione rafforzata in qualsiasi momento, anche dopo il suo avvio.
Il 31 maggio 2011il Governo italiano aveva presentato ricorso alla Corte di giustizia dell’UE (che a tutt’oggi non si è ancora pronunciata) per chiedere l’annullamento della decisione sopra richiamata (per un approfondimento si rinvia al bollettino Esami di atti e documenti dell’UE n. 87 del 6 giugno 2011 a cura dell’Ufficio Rapporti con l’Unione europea).
Da ultimo risulterebbe che in occasione del Consiglio competitività del 5 e 6 dicembre 2011 il Ministro per le Politiche europee, Enzo Moavero Milanesi, avrebbe comunicato la decisione di aderire alla cooperazione rafforzata per quanto riguarda la creazione del tribunale unico europeo;rimarrebbe invece invariata la decisione di non partecipare alla cooperazione rafforzata sugli aspetti relativi al regime linguistico.
Si segnala a tale proposito che l’8 giugno 2011 la XIV Commissione Politiche dell’UE della Camera ha esaminato le due proposte di regolamento al fine di valutarne la conformità al principio di sussidiarietà ai sensi dell'articolo 6 del Protocollo n. 2 allegato al Trattato sull'Unione europea (TUE) e al Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE). In esito all’esame, la XIV Commissione ha approvato un parere motivato che è stato trasmesso ai Presidenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione europea, nel quale si sottolinea tra l’altro che le proposte in questione non sono conformi al principio di proporzionalità in riferimento agli obiettivi di semplificazione e riduzione dei costi di traduzione in quanto determinerebbero un’eccessiva distorsione della concorrenza. Esse, infatti, non forniscono una motivazione dettagliata a giustificazione dell’opzione basata sulla scelta del trilinguismo francese, inglese e tedesco, rispetto al regime di traduzione basato sulla sola lingua inglese proposto dal Governo italiano.
Nelle mozioni 1/00800 (Franceschini ed altri), 1/00822 (Donadi ed altri) e 1/00825 (Misiti ed altri),approvate dalla Camera il 25 gennaio 2012, in vista del Consiglio europeo del 30 gennaio 2012 che segnerà la conclusione del negoziato relativo al nuovo trattato intergovernativo sulla stabilità, il coordinamento, e la governance dell’unione economica e monetaria (cd. fiscal compact), si impegna tra l’altro il Governo a porre al centro della riflessione politica europea il completamento del mercato interno, in particolare di quello dei servizi, al fine di rilanciare la crescita, la competitività e la coesione sociale.
La situazione in Italia
L’attuazione della direttiva “servizi”[90] 2006/123/CE nell’ordinamento italiano è avvenuta con il D.Lgs. 59/2010, che ha previsto l’eliminazione di molte autorizzazioni, sostituite con istituti semplificati, e l’abolizione di ruoli ed elenchi, rimuovendo così gran parte degli ostacoli di natura burocratica che sino ad oggi rallentavano lo sviluppo e la capacità di espansione delle PMI nel mercato nazionale ed europeo.
Per consentire agli operatori economici di conoscere le possibilità offerte dalla direttiva “servizi”, il Dipartimento politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri gestisce il sito internet www.direttivaservizi.eu, totalmente dedicato a fornire materiale informativo sulla direttiva, ed ha realizzato una serie di incontri informativi territoriali e seminari in numerose città italiane.
In adempimento della direttiva “servizi”, il Governo italiano ha provveduto, sulla base dei principi e criteri specificati dalla delega parlamentare, alla semplificazione ed al riordino della disciplina dello Sportello unico per le attività produttive (SUAP), già previsto presso i Comuni fin dal 1998.
Lo Sportello unico dovrà essere l’unico punto di accesso di tutte le pratiche amministrative riguardanti l’attività produttiva del richiedente, con il compito di fornire una risposta unitaria e tempestiva al posto di tutte le amministrazioni coinvolte nel procedimento.
Per i Comuni che non istituiscono lo Sportello unico, le relative funzioni saranno esercitate dalle Camere di commercio. Nei casi in cui sia sufficiente la presentazione della segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) - la cui disciplina ha sostituito quella della dichiarazione di inizio attività (DIA), sarà possibile avviare immediatamente l’attività d’impresa con il rilascio da parte dello Sportello unico di una ricevuta.
I progressi dell’integrazione economica internazionale ed il ruolo crescente che stanno assumendo i mercati emergenti, attribuiscono al sistema di istituzioni e strumenti per il sostegno pubblico all’internazionalizzazione delle imprese un rilievo maggiore che in passato. Ciò è particolarmente importante per economie, come quella italiana, in cui la persistente debolezza della domanda interna accentua la necessità di rafforzare la competitività internazionale delle imprese.
All’interno dell’insieme di politiche che possono essere usate per aumentare il grado di apertura internazionale dell’economia italiana, al Ministero dello Sviluppo Economico spettano, tra l’altro, compiti di indirizzo e coordinamento degli strumenti di sostegno finanziario e reale all’internazionalizzazione delle imprese e, in particolare, il compito di definire le linee direttrici delle attività di promozione delle esportazioni, realizzate da diversi organismi pubblici in collaborazione con le Camere di commercio e le organizzazioni imprenditoriali.
In questo sistema un ruolo centrale di agenzia tecnica specializzata è stato svolto finora dall’ICE, che integra le iniziative promozionali con un’ampia gamma di servizi di assistenza alle imprese.
Di recente l’ICE, che era stato soppresso con passaggio delle funzioni a livello ministeriale, è stato ricostituito dall’articolo 22 del D.L. 201/2011, convertito, con modificazioni, dalla L. 214/2011, come nuovo ente di diritto pubblico denominato “ICE – Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane”, sottoposto a poteri d’indirizzo e vigilanza del Ministero dello sviluppo economico.
Anche per gli strumenti di supporto finanziario all’internazionalizzazione, sono state realizzate innovazioni interessanti. La Simest, finanziaria di sviluppo e promozione delle imprese italiane all'estero, ha introdotto due nuovi prodotti, il primo orientato ad accrescere la solidità patrimoniale delle piccole e medie imprese esportatrici, ed il secondo mirato a promuovere la partecipazione di imprese italiane in società dell’Unione europea, a condizioni di mercato e senza agevolazioni, per sviluppare investimenti produttivi nei settori ad elevato contenuto tecnologico. Al fine di rispondere meglio alla ripresa del commercio internazionale e alla crescente domanda di copertura contro i rischi, la SACE, gruppo assicurativo-finanziario, attivo – fra l’altro - nel credito all’esportazione e nell’assicurazione del credito, ha potenziato la propria rete distributiva e ha ampliato l’offerta di garanzie assicurative per le piccole e medie imprese. Inoltre, nel mese di aprile 2011, è stata firmata la nuova Convenzione relativa alla “Export Banca”, che prevede il supporto finanziario della Cassa Depositi e Prestiti, unitamente alla garanzia di SACE ed al pieno coinvolgimento del sistema bancario, nell’organizzazione delle operazioni di finanziamento alle imprese esportatrici italiane.
Le tecnologie industriali del futuro, anche dette “tecnologie abilitanti fondamentali (KETs), come la nanotecnologia, la micro e la nanoelettronica, la fotonica, i materiali avanzati e la biotecnologia, rappresentano un settore strategico per fornire un vantaggio competitivo all’industria, in quanto la maggior parte dei prodotti avanzati utilizzano combinazioni di KETs.
Per le imprese italiane che presentano profili di eccellenza tecnologica ed innovativa, il decreto-legge 98/2011, recentemente modificato dall’articolo 90 del D.L. n. 1/2012, ha introdotto una misura a sostegno del venture capital, onde favorire l'afflusso di capitale di rischio verso le nuove imprese.
Inoltre, per gli anni 2011 e 2012, è prevista per le imprese che finanziano progetti di ricerca in Università o enti pubblici di ricerca, un’agevolazione fiscale strutturata come credito d’imposta[91].
A livello nazionale la disciplina degli appalti pubblici è stata interessata, nel corso degli ultimi anni, da numerosi interventi normativi volti a modificare il decreto legislativo n. 163 del 2006 (Codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture), che ha sistematizzato la disciplina nazionale in tale materia - in attuazione delle direttive comunitarie n. 17 e n. 18 del 2004 - e la cui esecuzione è stata demandata al regolamento contenuto nel DPR n. 207 del 2010.
Soffermandosi rapidamente sui più recenti interventi normativi, il D.L. 70/2011 reca – all’articolo 4 - numerose novelle al Codice dei contratti pubblici volte a modificare le procedure di affidamento, ridurre il contenzioso e migliorare il sistema dei controlli. In questa sede, si ricordano le modifiche alla disciplina dei requisiti di ordine generale per la partecipazione alle procedure di affidamento dei contratti pubblici, nonché per l’affidamento di subappalti. Viene introdotta, altresì, la tipizzazione delle cause di esclusione dalle gare nonché la standardizzazione dei bandi e dei modelli di dichiarazione sostitutiva dei requisiti di partecipazione. Si disciplina l'utilizzo della Banca dati nazionale dei contratti pubblici attraverso l'inserimento in essa dei certificati nei settori dei servizi e delle forniture. Per quanto riguarda lo svolgimento delle procedure di gara, viene elevato da 500.000 a 1 milione di euro il limite di importo entro il quale è consentito affidare i lavori con la procedura negoziata senza bando prevedendo contestualmente l’aumento del numero minimo dei soggetti che devono essere obbligatoriamente invitati alla procedura nonché le modalità e i termini di pubblicazione dell’avviso sui risultati. Viene, altresì, elevata da 1 a 1,5 milioni di euro la soglia entro la quale è esperibile, per gli appalti di lavori, la procedura ristretta semplificata [92]e da 500.000 euro a 1 milione di euro la soglia per l'applicazione della procedura negoziata nei lavori relativi ai beni culturali. Di particolare importanza anche l’introduzione di un limite all’importo complessivo delle riserve, che non può in ogni caso superare il 20% dell’importo contrattuale.
Allo scopo di incentivare la partecipazione delle piccole e medie imprese nella realizzazione delle opere pubbliche, l’articolo 44, comma 7 del D.L. 201/2011, recante disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici, ha introdotto una norma di principio volta a favorire la suddivisione degli appalti in lotti funzionali e a coinvolgere le PMI nella realizzazione delle grandi infrastrutture. Anche la legge 180/2011, recante lo Statuto delle imprese, ha previsto specifiche misure per migliorare l’informazione delle micro, piccole e medie imprese negli appalti pubblici.
Nel decreto-legge 1/2012, recante disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività (A.S. 3110), l’articolo 52 introduce la possibilità di ridurre e accorpare la progettazione preliminare e definitiva nell’ottica di accelerare e semplificare l’approvazione dei progetti
Ulteriori interventi hanno riguardato gli appalti pubblici, pur non traducendosi in novelle al Codice dei contratti, e precisamente le misure volte a deflazionare il contenzioso, attraverso disposizioni che rafforzano il ricorso all'accordo bonario e all'arbitrato quale sistema preferenziale di risoluzione delle controversie (decreto legislativo n. 53/2010), e quelle riguardanti la tracciabilità dei flussi finanziari nelle procedure relative a lavori, servizi e forniture pubbliche (articolo 3 della legge 136/2010) [93]. Il citato decreto-legge n. 70/2011 ha, inoltre, previsto l’istituzione, presso ogni prefettura, di un elenco di fornitori e prestatori di servizi non soggetti a rischio di inquinamento mafioso, ai quali possono rivolgersi gli esecutori di lavori pubblici, servizi e forniture (white list).
Successivi interventi dovranno essere adottati non appena saranno approvate definitivamente le proposte che modificano le direttive comunitarie n. 17 e n. 18 del 2004. Il Parlamento ha seguito il dibattito in corso a livello comunitario che ha portato all’adozione di tali proposte di direttive. In proposito, l’VIII Commissione ambiente ha esaminato il Libro verde sulla modernizzazione degli appalti pubblici di lavori, servizi e forniture (COM2011)15 definitivo), con il quale si è aperta una consultazione in ordine alla modifica delle direttive, approvando un documento finale nella seduta del 14 aprile 2011. Anche al Senato è stata svolta un’indagine conoscitiva su tali questioni [94].
Le tecnologie dell’informazione e comunicazione (TIC) sono considerate uno dei principali fattori di crescita dell’economia mondiale.
Il 19 maggio 2010 la Commissione europea ha adottato la comunicazione “Un’agenda digitale europea” (COM(2010)245) che, nell’ambito delle iniziative faro di “Europa 2020”, mira a stabilire il ruolo chiave delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione (TIC) per raggiungere gli obiettivi che l'UE si è prefissata per il 2020.
In particolare, si individuano le azioni fondamentali per affrontare in modo sistematico sette aree problematiche nelle TIC, tra le quali: la frammentazione dei mercati digitali, la mancanza di interoperabilità, l’aumento della criminalità informatica, la mancanza di investimenti nelle reti, l’impegno insufficiente nella ricerca e nell’innovazione, la mancanza di alfabetizzazione informatica.
L’allegato 1 evidenzia, come elementi di criticità su cui intervenire con decisione, l’aumento di larghezza di banda, la richiesta di una maggiore disponibilità di bande di frequenza dovuta all’aumento del traffico Internet e il potenziale di crescita del commercio elettronico.
Il mercato unico del digitale UE viene indicato come uno degli esempi potenziali di crescita che può essere raggiunta mediante alcuni strumenti:
§ la costruzione di un mercato unico per i sistemi sicuri di pagamento via cellulare e online, con una forte attenzione alla normativa sulla protezione dei dati e alla promozione dell'uso delle informazioni del settore pubblico;
Si ricorda che l’11 gennaio la Commissione europea ha avviato una consultazione pubblica, che si concluderà l’11 aprile 2012, su un Libro verde (COM(2011)941) nel quale vengono analizzati gli ostacoli alla creazione di un mercato europeo integrato dei pagamenti mediante carta di credito, internet e cellulari, a beneficio dei consumatori, dei commercianti e dei fornitori di servizi di pagamento.
§ l’aumento del numero di radiofrequenze soprattutto per i dati mobili e delle connessioni veloci a banda larga. L’analisi, tra l’altro, con riferimento alle modalità per aumentare il contributo delle entrate al risanamento di bilancio, sottolinea che le riforme tributarie, che sono già in atto in molti Stati membri, devono tener conto che cominceranno a essere disponibili nuove fonti di entrate nazionali, tra le quali la vendita all'asta delle frequenze.
Il Consiglio Trasporti del 13 dicembre ha adottato la posizione in prima lettura sulla proposta di decisione relativa al primo programma sulla politica in materia di spettro radio (COM(2010)471) che l’11 maggio scorso l’Assemblea plenaria del PE aveva approvato con emendamenti in prima lettura. Il testo della posizione, frutto di un negoziato fra la presidenza polacca, il Parlamento europeo e la Commissione europea, dovrebbe essere approvato nell’ambito della sessione plenaria nel mese di febbraio 2012.
§ la riduzione dei costi e il miglioramento della qualità della fornitura di beni e servizi acquistati online, anche attraverso misure per la protezione dei consumatori,
nonché
§ la creazione di strumenti per la rapida risoluzione online delle controversie dei consumatori e per un arbitrato rapido e affidabile per le imprese in caso di conflitto;
Nell’ambito della strategia Europa 2020, il 10 novembre è stata presentata dalla Commissione europea una proposta di regolamento relativa al programma “Consumatori” 2014-2020 (COM(2011)707) con una dotazione finanziaria complessiva di 197 milioni di euro e con l’obiettivo di consentire ai cittadini UE di godere appieno dei vantaggi del mercato unico. In particolare: migliorando l'informazione dei consumatori sui loro diritti, dando impulso a meccanismi alternativi di soluzione delle controversie.
Il 20 dicembre 2011 la Commissione mercato interno e protezione dei consumatori del Parlamento europeo ha avviato l’esame del pacchetto di proposte presentato dalla Commissione europea il 29 novembre sulle soluzioni stragiudiziali delle controversie dei consumatori nell'UE tese a risolvere le varie questioni a prescindere dal tipo di prodotto o servizio su cui verte il contenzioso e del luogo del mercato unico europeo in cui ha avuto luogo l’acquisto. Si tratta:
- della proposta di direttiva sulla risoluzione alternativa delle controversie dei consumatori (ADR) (COM(2011)793) che prevede l’istituzione di enti stragiudiziali di alta qualità, competenti su qualsiasi contenzioso relativo a contratti tra un consumatori e imprese;
- della proposta di regolamento sulla soluzione online del contenzioso (COM(2011)794) che prevede l’istituzione di uno sportello unico per l’invio automatico del reclamo del consumatore all'ente nazionale competente agevolando la soluzione del contenzioso nel giro di trenta giorni.
I provvedimenti di cui sopra, che seguono la procedura legislativa ordinaria, dovrebbero essere esaminati dall’Assemblea plenaria del Parlamento europeo nell’ambito della sessione del 2-3 luglio 2012.
§ l’eliminazione delle limitazioni alle vendite basate sulla nazionalità o sulla residenza anche tramite l’emanazione di orientamenti relativi all'applicazione dell'articolo 20 della direttiva sui servizi;
§ l’utilizzazione delle tecnologie dell’informazione e delle comunicazioni (TIC) per creare sistemi energetici e di trasporto "intelligenti" che colleghino l'intera UE.
Tra le proposte specifiche a livello UE con un notevole potenziale di crescita, sono indicate alcune azioni consistenti nell’accelerare l’adozione di quanto è ancora all’esame del Parlamento europeo e del Consiglio. Tra queste l’accordo sulla revisione del regolamento sul roamingche aumenterà le opportunità per le imprese e offrirà prezzi più bassi ai consumatori
In particolare si chiede il raggiungimento, entro il primo semestre 2012, di un accordo del Consiglio e del PE sulla proposta di regolamento sul roaming (COM(2011)402), del 6 luglio 2011.
La proposta di regolamento sul roaming (costi dei telefoni cellulari e di altri dispositivi mobili quando si viaggia nell’UE) intende rivedere il regolamento attuale, le cui disposizioni scadranno il 30 giugno prossimo, inserendovi misure strutturali a favore della concorrenza e prorogandone la validità fino al 30 giugno 2022: dal 1° luglio 2014, infatti, i clienti avrebbero la possibilità di firmare un contratto più conveniente per i servizi di roaming, separato dal contratto per i servizi di telefonia mobile nazionale, mantenendo però lo stesso numero. La proposta darebbe inoltre agli operatori mobili (compresi i cosiddetti “operatori mobili virtuali”, ossia quelli che non dispongono di una rete propria) il diritto di utilizzare le reti di altri operatori, in altri Stati membri, a prezzi all’ingrosso regolamentati.
Il Consiglio del 12 e 13 dicembre 2011 ha discusso la proposta che è stata accolta favorevolmente. Tuttavia la maggior parte delle delegazioni ha chiesto precisazioni in relazione all'esatto ambito di applicazione dell'obbligo di accesso all'ingrosso, ha posto domande sulla fattibilità tecnica e pratica del disaccoppiamento dei servizi di telefonia mobile nazionale e dei servizi di roaming internazionale e sul calendario di attuazione di particolari azioni illustrate nel regolamento. Le delegazioni hanno inoltre espresso alcune preoccupazioni sul livello dei massimali tariffari proposti e sul margine dei massimali tariffari all'ingrosso e al dettaglio.
Il primo regolamento (CE/717/2007) sul roaming, adottato nel giugno 2007, contemplava solo il traffico vocale. Nel giugno 2009 è stato modificato dal regolamento CE/544/2009 per ampliarne l'ambito di applicazione anche alla regolamentazione degli SMS e dei servizi di dati in roaming all'ingrosso.
Il Parlamento europeo in sessione plenaria dovrebbe esaminare il provvedimento nella seduta del 18 aprile 2012.
Nell’allegato all’Analisi annuale per la crescita relativa al 2012, tra le azioni da adottare con iter accelerato da parte della Commissione nei prossimi mesi viene segnalata, nel primo trimestre del 2012, una proposta sulla gestione collettiva dei diritti per favorire la realizzazione di un mercato unico della musica onlinee modernizzare la gestione dei diritti d’autore nell’UE. Tale scadenza è stata confermata nel programma di lavoro della Commissione relativo al 2012.
Nell’Analisi annuale si Invita altresì il Consiglio ed il Parlamento europeo a raggiungere un accordo sulla proposta entro la fine del 2012.
Si segnala che una delle azioni chiave dell’Atto per il mercato unico (COM(2011)206), che prospetta interventi articolati in 12 priorità al fine di rilanciare il mercato unico, contempla l’adozione di misure volte a semplificare e rendere più trasparente la concessione delle licenze dei diritti di autore per le offerte legali on-line.
Al fine della realizzazione degli obiettivi indicati dall’Agenda digitale europea, che prevedono il diritto di accesso a internet per tutti i cittadini “ad una velocità di connessione superiore a 30 Mb/s” (e almeno per il 50% “al di sopra di 100 Mb/s”), con una recente disposizione normativa - contenuta nel decreto-legge n. 98 del 2011 - è stato affidato al Ministero dello sviluppo economico il compito di predisporre un apposito progetto strategico, nel quale devono essere individuati interventi per la realizzazione di infrastrutture di telecomunicazione a banda larga e ultralarga, anche mediante la valorizzazione di infrastrutture già esistenti. Le infrastrutture ricomprese nel progetto strategico costituiscono servizio di interesse economico generale, in conformità all’articolo 106 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea. Il progetto è finalizzato alla realizzazione di infrastrutture passive, aperte e neutre, necessarie per accelerare il raggiungimento dei predetti obiettivi.
Il progetto si inserisce in un più ampio quadro di iniziative da tempo avviate per il progressivo superamento del digital divide che tuttora caratterizza molte zone del territorio nazionale. In tale direzione è stato avviato dal Governo il Piano Nazionale Banda Larga, che dovrebbe consentire entro il 2013, ai cittadini ancora nelle condizioni di divario digitale, di usufruire di una moderna infrastruttura di telecomunicazioni, con positivi effetti di sviluppo per settori importanti, e in particolare quello dei servizi per i cittadini e per le imprese.
Il Piano è coordinato dal Ministero dello Sviluppo Economico - Dipartimento per le Comunicazioni, e dovrà essere attuato dalla società Infratel Italia, mediante accordi di Programma con le Regioni.
Il Ministero ha recentemente pubblicato, tramite Infratel Italia, il quarto bando di gara per la progettazione esecutiva e la realizzazione di infrastrutture costituite da impianti in fibra ottica per una rete a banda larga. La gara riguarda le regioni Sicilia, Basilicata, Campania, Molise, Lazio, Marche, Toscana, Sardegna e Veneto. L’importo complessivo dei lavori supera i 69 milioni di euro e si inserisce nel quarto intervento attuativo, che prevede un investimento di oltre 95 milioni di euro per l’abilitazione all’offerta dei servizi a larga banda, mediante la costruzione di circa 2000 km di rete in fibra ottica in oltre 400 aree comunali e sub comunali, in prevalenza in zone ad alta intensità rurale e distretti produttivi, per un totale di oltre 358.000 cittadini.
Per quanto concerne la definizione delle regole per l’accesso alle infrastrutture di nuova generazione, le cui competenze sono attribuite all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, va segnalata la recente delibera n. 1 del 2012, con la quale l’Autorità ha provveduto alla individuazione degli obblighi regolamentari per i servizi di accesso alle reti di nuova generazione.
La stessa AGCom ha inviato il 12 gennaio scorso una Segnalazione al Governo (“Un'agenda digitale per l'ltalia”) - illustrata nel corso dell’audizione del Presidente di AGCom presso la Commissione trasporti della Camera, svoltasi il 18 gennaio scorso - nella quale si delinea un quadro di iniziative per lo sviluppo delle reti e dei servizi di nuova generazione.
L’AGCom rileva che l'Europa si è dotata di un'agenda digitale che traguarda ambiziosi risultati entro il 2020 e spetta quindi agli Stati membri, mediante l'adozione di un'agenda digitale nazionale, di individuare e realizzare concretamente le tappe che permettano il raggiungimento degli obiettivi. Nel nostro Paese i dati di alfabetizzazione informatica, di copertura di rete fissa e di sviluppo dei servizi on line, sia sotto il profilo di utilizzo da parte dei consumatori che delle imprese, sono nettamente al di sotto della media EU. Secondo l’Autorità, nel 2015 nel Nord Europa il peso sul PIL dell'economia internet raddoppierà, mentre per l'ltalia il peso dell'economia digitale rischia di rimanere modesto. Si rende quindi necessario procedere rapidamente ad interventi che garantiscano una netta inversione di tendenza. Per assicurare un quadro organico di fattibilità a tali intervento, l’AGCom propone, mediante l’adozione di un decreto del Ministero dello sviluppo economico, l’istituzione della Agenda digitale per l'ltalia, documento programmatico e operativo che, attraverso adeguate politiche e strumenti, deve consentire il raggiungimento degli obiettivi dell'Agenda digitale europea.
Fra le misure concretamente proposte da AGCom per lo sviluppo delle reti di nuova generazione figurano: la semplificazione ed armonizzazione delle procedure amministrative per la stesura delle reti; il rafforzamento della normativa di settore per l’accesso alle infrastrutture civili ai fini della realizzazione di reti in fibra ottica; l’aumento dell'utilizzo e della diffusione delle aree wi-fi nei luoghi pubblici.
Fra le considerazioni svolte nel documento, emerge il confronto fra i dati poco confortanti che il nostro Paese fa registrare in termini di copertura di rete fissa, e la crescita esponenziale dell’accesso a internet mediante dispositivi che sfruttano le linee mobili (notebook, smart-phone, tablet, ecc.).
Proprio al fine di garantire un’adeguata capacità di espansione e di prestazioni alla banda larga mobile, è stata portata a compimento, il 29 settembre 2011, la procedura di gara per l’assegnazione agli operatori telefonici delle frequenze rese disponibili dalla transizione al digitale. L’asta ha determinato per l’erario introiti - molto superiori a quelli preventivati - per un totale di 3.945.295.100 euro.
Altre proposte contenute nella segnalazione dell’Autorità riguardano il settore del commercio elettronico. Posto che è ancora limitato, rispetto alla media europea, il numero di italiani che utilizzano internet per comprare, pagare, interagire con le imprese e pubblica amministrazione, completando le relative transazioni on-line, si propone: di istituire con norma primaria il principio per cui la digitalizzazione è un'opportunità e non un costo per il cittadino, sul quale deve pertanto gravare solo il costo di accesso alla rete (connessione), e non maggiori costi (o qualità inferiori) per fruire del servizio in digitale; di semplificare le condizioni di fruizione, anche mediante l'impiego di tecnologie cloud per i servizi della PA, garantendo la piena interoperabilità e fornendo al primo accesso ai servizi pubblici digitali un account cloud (profilo digitale) ad ogni cittadino; di procedere in tempi certi alla introduzione dell'identità elettronica e della cartella clinica elettronica[95].
Con più specifico riferimento alle transazioni commerciali, il documento delinea alcune misure che potrebbero promuovere l’utilizzo della moneta elettronica e, quindi, sviluppare le transazioni on line, tra le quali una definizione dei requisiti minimi di qualità sui prodotti e servizi digitali.
Secondo la Commissione, al fine di promuovere la crescita e la competitività dell’UE nell’immediato e per il futuro, occorre sfruttare il potenziale del commercio estero, aiutando le imprese dell’UE - e in particolare le piccole e medie imprese - a beneficiare della crescita dei paesi terzi. Da loro proverrà infatti nei prossimi anni il 90% della crescita mondiale.
Strategia commerciale dell’UE fino al 2015
L’importanza del commercio estero come motore per la crescita economica e la creazione di posti di lavoro è sottolineata dalla Commissione nella comunicazione "Commercio, crescita e affari internazionali - La politica commerciale quale componente essenziale della strategia 2020 dell'UE” (COM(2010) 612) del 9 novembre 2010, in cui viene individuata la strategia commerciale dell’UE fino al 2015.
Tale strategia mira a ridurre le barriere commerciali, aprire i mercati globali e ottenere condizioni eque per le imprese europee, valorizzando la politica commerciale per superare l'attuale crisi e creare condizioni che favoriscano una forte economia UE. In particolare la Commissione si prefigge di:
§ contribuire a completare l’ambiziosa agenda di negoziati in seno all'Organizzazione mondiale del commercio (Doha round) e concludere i negoziati per accordi di libero scambio con i principali partner commerciali, come l'India e il Mercato comune del Cono Sud (Mercosur). Il completamento di quest'agenda aumenterebbe il PIL europeo di oltre l'un percento all'anno;
§ approfondire le relazioni commerciali con altri partner strategici come USA, Cina, Russia e Giappone, concentrandosi sulle barriere commerciali non tariffarie;
§ aiutare le imprese europee ad accedere ai mercati globali mediante l'istituzione di un meccanismo UE atto a garantire e aumentare la simmetria nell'accesso ai mercati degli appalti pubblici nei paesi sviluppati e ai mercati delle grandi economie emergenti;
§ sostenere le PMI che intendono sviluppare le loro attività internazionali. A tal fine, il 9 novembre 2011 la Commissione ha presentato la comunicazione "Piccole imprese, grande mondo — un nuovo partenariato per aiutare le PMI a cogliere le opportunità globali (COM (2011) 702). La comunicazione propone di rivedere i meccanismi di sostegno esistenti a favore delle PMI, evidenzia i principali punti problematici, propone una serie di azioni in cui l'intervento a livello europeo può conferire il massimo valore aggiunto, e stabilisce principi guida ai fini di una maggior coerenza e di un uso più efficiente delle scarse risorse finanziarie per agire in mercati prioritari quali Cina, Brasile, India, Russia, Stati Uniti e Giappone;
§ garantire il rispetto dei diritti dell’UE, rivedendo la strategia sull'attuazione dei diritti di proprietà intellettuale nei paesi terzi e pubblicando una relazione annuale sul commercio e gli investimenti per il Consiglio europeo di primavera come strumento fondamentale volto a controllare le barriere commerciali e le misure protezionistiche e ad avviare se del caso adeguate azioni di tutela[96];
§ garantire un commercio equo ed inclusivo, a beneficio di tutti. A tal fine, come previsto dalla strategia, la Commissione ha presentato una proposta legislativa volta a riformare il sistema di preferenze generalizzate per i paesi in via di sviluppo. Tale proposta - presentata a maggio 2011 (COM (2011) 241) – limita a 80 paesi la concessione delle preferenze all'importazione per far sì che a beneficiarne siano unicamente i paesi in via di sviluppo più bisognosi.
Accordi di libero scambio
In questa prospettiva, la Commissione ritiene necessario pubblicizzare adeguatamente le opportunità che possono derivare alle imprese dagli accordi commerciali con i paesi del vicinato e, soprattutto, dal recente accordo di libero scambio (ALS) con la Repubblica di Corea.
Studi indipendenti sul potenziale in termini quantitativi e qualitativi di un accordo di libero scambio con la Repubblica di Corea sono stati svolti per conto della Commissione nel 2007; un ulteriore studio sull’impatto economico dell’accordo è stato pubblicato nel maggio 2010. In linea generale tali studi mostrerebbero un aumento del reddito reale, della produzione e del PIL da entrambe le parti; i vantaggi sarebbero tuttavia maggiori per l’economia coreana, sia in termini assoluti che relativi. I negoziati con la Repubblica di Corea, avviati nel maggio 2007, dopo l’adozione da parte del Consiglio delle direttive negoziali, si sono conclusi il 15 ottobre 2009, con la sigla dell’accordo da parte dei negoziatori. Firmato il 6 ottobre 2010, l’accordo di libero scambio è applicato in via provvisoria dal 1° luglio 2011.
L’accordo in oggetto rappresenta il primo accordo commerciale dell'UE con un paese asiatico e il primo di una serie di ALS futuri, ancora in via di negoziazione[97]: si tratta, ad avviso della Commissione, di un accordo senza precedenti per portata e ritmo della liberalizzazione tariffaria ed apre nuove prospettive poiché affronta importanti barriere non tariffarie all'interno di tutti i settori, compreso quello automobilistico, farmaceutico e dell'elettronica di consumo. La Corea del sud e l'UE elimineranno il 98,7% dei dazi doganali, in valore degli scambi commerciali, entro un quinquennio dall'entrata in vigore dell'ALS. Alla fine dei periodi di transizione verranno eliminate le tariffe all'importazione su tutti i prodotti industriali e su gran parte dei prodotti agricoli, con alcune eccezioni, come ad esempio il riso.
A partire dalla data di applicazione dell’accordo, secondo la valutazione della Commissione, il volume e il valore delle esportazioni di alcuni prodotti dell’UE (quali vino, cioccolata e marchi di lusso) hanno subito un balzo in avanti. L’UE ha raggiunto il suo primo surplus con la Corea da 10 anni a questa parte.
In aggiunta agli accordi di libero scambio in via di negoziazione, il Consiglio del 14 dicembre 2011 ha autorizzato la Commissione a negoziare accordi di libero scambio con Egitto, Giordania, Marocco e Tunisia.
La situazione in Italia
Per favorire la crescita,sono state emanate delle disposizioni volte a creare nuove opportunità e sinergie, riconoscendo a imprese con determinate caratteristichevantaggi fiscali, amministrativi e finanziari, nonché la possibilità di stipulare convenzioni con l'A.B.I.[98] Lo strumento utilizzato dal legislatore è stato il contratto di rete, con il quale più imprenditori perseguono lo scopo di accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato. A tal fine, si obbligano, sulla base di un programma comune di rete, a collaborare in forme e in ambiti predeterminati, attinenti all’esercizio delle proprie imprese, ovvero a scambiarsi informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica, o, ancora, ad esercitare in comune una o più attività rientranti nell’oggetto della propria impresa. Il contratto può anche prevedere l’istituzione di un fondo patrimoniale comune e la nomina di un organo comune, incaricato di gestire, in nome e per conto dei partecipanti, l’esecuzione del contratto o di singole parti o fasi dello stesso.
Alcune delle politiche per le PMI hanno trovano attuazione con la recentissima legge 180/2012 (statuto delle imprese). La nuova disciplina è volta a stabilire alcuni principi di carattere generale anche con riferimento alle micro, piccole e medie imprese, come sollecitato dalle indicazioni contenute nello "Small Business Act [99]" e nella sua revisione[100], adottati dall'Unione europea. Tra le finalità della legge vi sono: il sostegno per l'avvio di nuove imprese, in particolare da parte dei giovani e delle donne; la valorizzazione del potenziale di crescita, di produttività e di innovazione delle imprese, con particolare riferimento alle MPMI; e, infine, l’adeguamento dell'intervento pubblico alle esigenze delle MPMI. Sono poi disciplinati i rapporti tra imprese e istituzioni, in un’ottica di semplificazione e trasparenza. A tal fine il Governo è delegato ad emanare norme finalizzate ad eliminare i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, al riordino degli incentivi alle imprese, e, infine, alla loro internazionalizzazione:
Si segnala che all’esame della Commissione Attività produttive vi è un provvedimento in materia di riduzione dei termini di pagamento nelle transazioni commerciali (A.C. 3970 e abb.).
Nel cosiddetto decreto “salva Italia”[101] sono state emanate altre disposizioni a favore delle PMI. Più in particolare, l’articolo 3, comma 4, prevede un aumento della dotazione del Fondo di garanzia a favore delle piccole e medie imprese[102] di 400 milioni di euro annui per ciascuno degli anni 2012, 2013 e 2014, mentre l’articolo 39, commi 1-6, prevede che in materia di fondo di garanzia a favore delle piccole e medie imprese, la garanzia diretta e la controgaranzia possono essere concesse a valere sulle disponibilità del Fondo di garanzia a favore delle piccole e medie imprese fino all'80 per cento dell'ammontare delle operazioni finanziarie.
Ulteriori norme di liberalizzazione delle attività economiche e di riduzione degli oneri amministrativi sulle imprese sono recate dall’articolo 1 del D.L. n. 1/2012.
I progressi dell’integrazione economica internazionale ed il ruolo crescente che stanno assumendo i mercati emergenti, attribuiscono al sistema di istituzioni e strumenti per il sostegno pubblico all’internazionalizzazione delle imprese un rilievo maggiore che in passato. Ciò è particolarmente importante per economie, come quella italiana, in cui la persistente debolezza della domanda interna accentua la necessità di rafforzare la competitività internazionale delle imprese.
All’interno dell’insieme di politiche che possono essere usate per aumentare il grado di apertura internazionale dell’economia italiana, al Ministero dello Sviluppo Economico spettano, tra l’altro, compiti di indirizzo e coordinamento degli strumenti di sostegno finanziario e reale all’internazionalizzazione delle imprese e, in particolare, il compito di definire le linee direttrici delle attività di promozione delle esportazioni, realizzate da diversi organismi pubblici in collaborazione con le Camere di commercio e le organizzazioni imprenditoriali.
In questo sistema un ruolo centrale di agenzia tecnica specializzata è stato svolto finora dall’ICE, che integra le iniziative promozionali con un’ampia gamma di servizi di assistenza alle imprese.
Di recente l’ICE, che era stato soppresso con passaggio delle funzioni a livello ministeriale, è stato ricostituito dall’articolo 22 del D.L. 201/2011, convertito, con modificazioni, dalla L. 214/2011, come nuovo ente di diritto pubblico denominato “ICE – Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane”, sottoposto a poteri d’indirizzo e vigilanza del Ministero dello sviluppo economico.
Anche per gli strumenti di supporto finanziario all’internazionalizzazione, sono state realizzate innovazioni interessanti. La Simest, finanziaria di sviluppo e promozione delle imprese italiane all'estero, ha introdotto due nuovi prodotti, il primo orientato ad accrescere la solidità patrimoniale delle piccole e medie imprese esportatrici, ed il secondo mirato a promuovere la partecipazione di imprese italiane in società dell’Unione europea, a condizioni di mercato e senza agevolazioni, per sviluppare investimenti produttivi nei settori ad elevato contenuto tecnologico. Al fine di rispondere meglio alla ripresa del commercio internazionale e alla crescente domanda di copertura contro i rischi, la SACE, gruppo assicurativo-finanziario, attivo – fra l’altro - nel credito all’esportazione e nell’assicurazione del credito, ha potenziato la propria rete distributiva e ha ampliato l’offerta di garanzie assicurative per le piccole e medie imprese. Inoltre, nel mese di aprile 2011, è stata firmata la nuova Convenzione relativa alla “Export Banca”, che prevede il supporto finanziario della Cassa Depositi e Prestiti, unitamente alla garanzia di SACE ed al pieno coinvolgimento del sistema bancario, nell’organizzazione delle operazioni di finanziamento alle imprese esportatrici italiane.
Mercato del lavoro
La Commissione rileva che dall’inizio della crisi (anno 2008) si è registrato un forte aumento della disoccupazione, che attualmente colpisce nell’UE 23 milioni di persone.
Nel progetto di relazione comune sull’occupazione allegato all’analisi annuale della crescita, si precisa che il tasso di disoccupazione dell'UE ha raggiunto il suo massimo (9,7%) alla metà del 2010 e dopo una leggera diminuzione nel corso del primo semestre del 2011, è risalito a 9,7%. Dall’analisi della Commissione risulta che durante il periodo 2007-2010, quasi i tre quarti dell'aumento del numero di disoccupati nell'UE potevano essere attribuiti a soli quattro Stati membri: la Spagna, il Regno Unito, l'Italia e la Francia. Il miglioramento della situazione (+ 1,5 milioni di posti di lavoro) registrato alla metà del 2011 non ha tuttavia compensato le perdite massicce subite durante la crisi, in cui 6 milioni di posti di lavoro sono stati soppressi. Peraltro, gli aumenti di occupazione registrati nel 2011 sono in gran parte imputabili ad un incremento dei posti di lavoro a tempo parziale, mentre prima della crisi l'occupazione progrediva soprattutto grazie all'aumento degli impieghi a tempo pieno, a testimonianza del bisogno delle imprese di adeguarsi a condizioni e prospettive economiche deboli e incerte.
La percentuale di disoccupati di lunga durata è cresciuta, con il rischio di un'esclusione permanente dal mondo del lavoro.
Ad avviso della Commissione, l'attuazione di strategie equilibrate in materia di flessicurezza può aiutare i lavoratori a gestire i cambiamenti di situazione professionale o del mercato del lavoro. Parallelamente, l'effetto dell'invecchiamento demografico accelera l'uscita di lavoratori esperti dal mercato occupazionale e in diversi Stati membri si profila un ristagno/calo della popolazione in età lavorativa.
Il tasso di disoccupazione dei giovani è passato dal 15,5% al 20,9% tra il 2008 e il 2010 e il tasso di inattività è aumentato dal 55,6% al 56.9%. Nello stesso periodo, la quota di giovani in età tra i 15 e i 24 anni che non lavora, non studia e non segue una formazione è aumentata di 2 punti percentuali.
La cosiddetta curva di Beveridge (che mette in relazione il tasso di disoccupazione e il tasso di posti di lavoro vacanti come risulta dall'indicatore di penuria di manodopera) mostra che l'aumento dei posti di lavoro vacanti nel 2010 e nel 2011 non ha un impatto sulla disoccupazione, il che lascia supporre un crescente divario tra i bisogni del mercato del lavoro e le qualifiche. La ridotta capacità di adattare la domanda di posti di lavoro all'offerta e di creare nuovi posti di lavoro dimostra, secondo la Commissione, i limiti dell'efficacia dei mercati del lavoro europei, in particolare in una congiuntura nella quale la progressiva ridistribuzione delle risorse e un rapido adeguamento sono sempre più necessari per fronteggiare i grandi choc esterni, come quelli causati dalla crisi economica e finanziaria.
Sul piano della formazione, la Commissione rileva che nel 2000 il 22% delle persone occupate possedeva qualifiche elevate mentre il 29% era poco qualificato. Nel 2010, la situazione si è invertita. Entro il 2020, il 35% dei posti di lavoro richiederà qualifiche elevate e solo il 15% sarà a disposizione delle persone poco qualificate. I risultati in materia di istruzione non rispondono al livello di qualificazione crescente richiesto per i posti di lavoro disponibili, dato che nel 2010, un giovane di età tra i 18 e i 24 anni su sette (14,1%) nell'UE ha abbandonato il sistema educativo avendo completato solo il primo ciclo dell'insegnamento secondario e non segue alcun altro programma di istruzione e di formazione (abbandoni scolastici prematuri). Il tasso di disoccupazione di questi giovani era pari al 53% nel 2010, vale a dire il doppio del tasso di disoccupazione medio dei giovani nel loro complesso.
In questo quadro, per promuovere una ripresa fonte di occupazione, la Commissione ritiene che gli Stati membri debbano provvedere in via prioritaria a:
§ mettere in pratica le raccomandazioni concordate sulla revisione dei meccanismi di fissazione dei salari, secondo le prassi nazionali di dialogo sociale, onde riflettere meglio l'andamento della produttività e adattare ulteriormente i sussidi di disoccupazione, parallelamente a un'attivazione più efficace e a opportuni programmi di formazione e di supporto, per agevolare il ritorno alla vita attiva;
§ aumentare la mobilità dei lavoratori rimuovendo gli ostacoli giuridici che ancora sussistono, agevolando il riconoscimento delle qualifiche e dell'esperienza professionale, intensificando la cooperazione tra i servizi di collocamento pubblici e riesaminando il funzionamento dei mercati abitativi e la fornitura di infrastrutture di trasporto;
§ limitare l'accesso ai regimi di prepensionamento e le altre possibilità di cessazione precoce dell'attività e favorire al tempo stesso l'allungamento della vita lavorativa agevolando l'accesso alla formazione permanente, adattando i posti di lavoro in funzione della maggiore eterogeneità dei lavoratori e sviluppando le opportunità occupazionali per i lavoratori più anziani, anche per mezzo di incentivi;
§ promuovere la creazione di imprese e il lavoro autonomo, compresa l'imprenditoria sociale, migliorando la qualità dei sistemi di supporto e favorire lo sviluppo delle competenze imprenditoriali;
§ incentivare le iniziative atte a facilitare lo sviluppo dei settori con il potenziale di occupazione più elevato, anche nell'ambito dell'economia a basse emissioni di carbonio ed efficiente nell'impiego delle risorse ("posti di lavoro verdi"), dei settori sanitario e sociale ("posti di lavoro bianchi") e dell'economia digitale.
Si segnala che nelle raccomandazioni adottate il 12 luglio 2011 sul programma nazionale di riforma 2011 dell’Italia, in tema di politiche per l’occupazione, il Consiglio aveva invitatoil Governo a:
§ rafforzare le misure intese a combattere la segmentazione del mercato del lavoro, anche rivedendo aspetti specifici della legislazione a tutela dell’occupazione, comprese le norme e le procedure che disciplinano i licenziamenti, e rivedendo il sistema di indennità di disoccupazione, attualmente frammentario, tenendo conto dei vincoli di bilancio;
§ intensificare gli sforzi intesi a contrastare il lavoro non dichiarato;
§ adottare inoltre misure per promuovere una maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro, aumentando la disponibilità di asili e servizi di assistenza in tutto il Paese e fornendo incentivi finanziari alle persone che costituiscono la seconda fonte di reddito familiare per accedere ai posti di lavoro in un modo neutro in termini di bilancio;
§ adottare ulteriori misure, sulla base dell'accordo di riforma del quadro di contrattazione collettiva del 2009 e in consultazione con le parti sociali, in conformità delle prassi nazionali, volte a garantire che la crescita dei salari rifletta meglio l’evoluzione in termini di produttività e le condizioni locali e delle singole imprese, ivi incluse eventuali clausole intese a permettere che la contrattazione a livello d'impresa vada in questa direzione.
Istruzione e formazione
Nel settore dell’istruzione e della formazione la Commissione europea ritiene prioritario che gli Stati membri provvedano a:
§ promuovere le competenze imprenditoriali tra i giovani - disoccupati e non;
§ promuovere contratti di apprendistato e tirocinio di qualità propedeutici all’ingresso nel mercato del lavoro;
§ riformare la normativa sulla tutela dell'occupazione, in consultazione con le parti sociali, riducendo le eccessive rigidità dei contratti permanenti e assicurando protezione e un accesso più agevole al mercato del lavoro, in particolare i giovani;
§ adeguare ulteriormente la qualità dei sistemi di istruzione e formazione in funzione delle condizioni del mercato del lavoro e della domanda di competenze;
§ riesaminare la qualità e le modalità di finanziamento delle università, prevedendo programmi di prestiti agli studenti e borse di studio, o il ricorso a fonti di finanziamento alternative che mobilitino anche investimenti privati.
In tale contesto, si segnala che il 20 dicembre 2011 la Commissione europea ha adottato una comunicazione relativa all’iniziativa “Opportunità per i giovani" (COM(2011)933) che propone il finanziamento di azioni che contrastino la disoccupazione giovanile.
I principali interventi finanziati direttamente dalla Commissione comprenderanno: il sostegno agli Stati membri (attraverso uno stanziamento complessivo di 4 milioni di euro) nella realizzazione del progetto "garanzia per i giovani”, volto ad assicurare che, entro quattro mesi dalla conclusione degli studi, i giovani siano impegnati nel proseguimento di studi di livello superiore, nel lavoro o nella formazione; il supporto all’apprendistato attraverso un finanziamento di 1,3 milioni di euro del Fondo sociale europeo (FSE); l’impiego di 3 milioni di euro del FSE per aiutare gli Stati membri nella predisposizione di schemi di sostegno ai giovani che avviano nuove imprese o imprese sociali; il supporto finanziario per i tirocini nell’ambito dei programmi ERASMUS e Leonardo da Vinci.
La situazione in Italia
L’emergenza occupazionale legata alla crisi finanziaria ed economica internazionale emerge anche dalle ultime rilevazioni dell’ISTAT (novembre 2011).
I soggetti occupati, pari a 22.906.000 unità, sono in diminuzione dello 0,3% (-67.000 unità) rispetto al novembre 2010, con un calo riguardante la sola componente femminile.
Il tasso di occupazione si attesta al 56,9% (-0,2% in termini tendenziali). Il numero dei disoccupati, pari a 2.142.000, aumenta dello 0,7% (+15.000 unità) su base mensile, con una crescita riguardante la componente femminile, e del 5,6% (+114.000 unità) su base annua. Il tasso di disoccupazione si attesta all'8,6%, (aumento dello 0,1% su base mensile e dello 0,4% su base annua). Il tasso di disoccupazione giovanile è pari al 30,1%, (aumento dello 0,9% su base mensile e dell'1,8% su base annua). Gli inattivi diminuiscono dello 0,1% rispetto al mese precedente, con il tasso di inattività stabile al 37,8%.
Per quanto concerne i dati di genere, va evidenziata la crescita del tasso di occupazione maschile (pari al 67,6%), in aumento dello 0,3% in termini congiunturali e dello 0,1% rispetto a novembre 2010, mentre il tasso di occupazione femminile (pari al 46,2%) è in calo nel confronto con il mese precedente dello 0,4% e dello 0,3% in termini tendenziali.
La disoccupazione maschile diminuisce del 3,7% rispetto al mese precedente, mentre aumenta del 6% nei dodici mesi. Il numero di donne disoccupate cresce del 6% rispetto a ottobre e del 5,2% su base annua.
Il tasso di disoccupazione maschile (pari al 7,6%) scende dello 0,3% nell'ultimo mese e cresce dello 0,4% nel confronto con il 2010; il tasso di disoccupazione femminile (pari al 9,9%) è in aumento di 0,6 % in termini congiunturali e dello 0,5 % rispetto a novembre 2010.
Tra i provvedimenti adottati nella XVI legislatura per fronteggiare l'emergenza occupazionale si evidenzia, anzitutto, l’Accordo Stato–Regioni del 12 febbraio 2009, con cuisono stati destinati 8 miliardi di euro, nel biennio 2009-2010, per azioni di sostegno al reddito e di politica attiva del lavoro.
L’intervento, rivolto ai lavoratori destinatari degli ammortizzatori sociali “in deroga”, è connotato da un contributo nazionale, impiegato per il pagamento dei contributi figurativi e per la parte maggioritaria del sostegno al reddito, e da un contributo regionale (programmi regionali FSE), impiegato per azioni formative o di politica attiva governata dalla Regione. Gli stanziamenti sono stati ripartiti tra un intervento statale, di 5.350 milioni di euro, e contributi regionali (di 2.650 milioni di euro) a valere sui programmi regionali del Fondo Sociale Europeo (FSE).
Tali interventi sono stati prorogatial biennio 2011-2012 dal successivo Accordo Stato-Regioni del 20 aprile 2011.
L'accordo si arricchisce anche di una sezione specifica dedicata alle misure di politica attiva per un più rapido e mirato ricollocamento dei lavoratori e per evitare il formarsi di bacini di disoccupazione di lunga durata. Viene confermata ed estesa al 2011-2012 l’intesa del 17 febbraio 2010 sulle linee guida per la formazione. L'Accordo conferma lo stanziamento previsto dalla legge di stabilità di 1 miliardo di euro per gli interventi a sostegno del reddito, a cui si aggiungono 600 milioni di residui del biennio 2009-2010. Le Regioni concorrono con la parte non utilizzata dello stanziamento di 2,2 miliardi di euro, fino al suo esaurimento. La proporzione di utilizzo delle risorse tra politiche passive e attive viene modificata da 70-30 a 60-40. L'Accordo, inoltre, prevede l'attribuzione di un ruolo precipuo ai Servizi per l’impiego nei processi di riqualificazione e di ricollocazione dei lavoratori; il ricorso ai Fondi Interprofessionali e agli enti bilaterali nelle politiche attive, nella formazione e nelle azioni di sostegno al redditi; misure per assicurare l'utilizzo più rigoroso degli strumenti di sostegno al reddito, per evitare situazioni di cronica dipendenza ed usi impropri degli stessi; il sostegno offerto dalle risorse del Fondo sociale europeo.
Con successiviprovvedimenti (D.L. 185/2008, 5/2009 e 78/2009) è stata prorogata la durata dei trattamenti oltre i limiti temporali e l’estensione del loro campo di applicazione (ammortizzatori “in deroga”).
Si ricorda, infine, che il Parlamento ha conferito una ampia delega al Governo per la revisione della disciplina degli ammortizzatori sociali con la legge n.247/2007 (articolo 1, comma 28) e che il termine per il suo esercizio è fissato al 24 novembre 2012 (per effetto della proroga disposta, da ultimo, dall’articolo 46 della legge n. 183/2010).
La XI Commissione della Camera ha svolto alcune indagini conoscitive in materia di lavoro:
§ sul lavoro nero, il caporalato e lo sfruttamento di manodopera straniera dove si sono individuati alcuni possibili interventi volti a fronteggiare tali fenomeni (documento finale del 26 maggio 2010);
§ sul sistema delle relazioni industriali e la contrattazione collettiva, dove sono stati prospettati indirizzi ai fini della modernizzazione dell'assetto sviluppatosi a seguito del Protocollo tra le parti sociali del luglio 1993 (con documento dell'8 aprile 2009);
§ sul mercato del lavoro, volta ad analizzare le dinamiche di accesso e i fattori di sviluppo (documento del 29 novembre 2011).
Il maggiore intervento normativo a carattere generale in materia di lavoro è fin qui rappresentato dalla legge 183/2010 (c.d. collegato lavoro), che ha conferito alcune ampie deleghe al Governo in materia di ammortizzatori sociali, occupazione femminile, lavori usuranti e apprendistato (queste ultime due deleghe sono state esercitate) e varie disposizioni che intervengono in diversi settori della materia lavoristica.
Le quattro deleghe al Governo riguardano:
§ la possibilità di accesso anticipato al trattamento pensionistico per i lavoratori dipendenti impegnati in lavori o attività connotati da un particolare indice di stress psico-fisico (“attività usuranti”). La delega è stata esercitata con il D.Lgs. 67/2011, nel quale viene concesso a specifiche categorie di lavoratori dipendenti impegnati nelle c.d. attività usuranti il diritto al conseguimento del pensionamento anticipato con requisiti inferioririspetto a quelli della generalità dei lavoratori dipendenti[103];
§ la riorganizzazione di una serie di enti vigilati dal Ministero del lavoro e la ridefinizione del rapporto di vigilanza del medesimo Ministero sugli stessi enti;
§ il riordino della normativa in materia di congedi, aspettative e permessi, comunque denominati, fruibili dai dipendenti pubblici e privati;
§ l'armonizzazione del sistema di tutela previdenziale e assistenziale dei Vigili del fuoco.
Sono state inoltre prorogati i termini per l'esercizio delle deleghe in materia di ammortizzatori sociali, di servizi per l'impiego, di incentivi all'occupazione, di apprendistato e di occupazione femminile (già conferite dalla legge 247/2007).
Altre misure riguardano il contrasto del lavoro sommerso, la sicurezza sul lavoro, la conciliazione e l'arbitrato nelle controversie di lavoro, le Agenzie del lavoro, il lavoro a termine, l'apprendistato, il lavoro a progetto, la somministrazione di lavoro, nonché il personale delle università, della sanità, della difesa e delle Forze dell'ordine.
La contrattazione collettiva c.d. di secondo livello è stata interessata negli ultimi tempi da una serie di interventi.
Un primo filone normativo ha riguardato gli sgravi fiscali per la produttività.
Tra le misure introdotte si evidenziano:
§ la tassazione agevolata dei contratti di produttività, introdotta dall’articolo 2, comma 1, lettera c) del D.L. 93/2008, originariamente in via transitoria e con natura sperimentale, e poi prorogata al 2011 dall’articolo 1, comma 47 della legge 220/2010 in favore dei lavoratori dipendenti del settore privato con reddito annuo per lavoro dipendente non superiore a 30.000 euro. Il beneficio fiscale consiste nell’applicazione, sulle remunerazioni oggetto di agevolazione, di un’imposta sostitutiva dell’IRPEF e delle relative addizionali fissata in misura pari al 10%;
§ lo sgravio contributivo dei contratti di produttività è previsto dall’articolo 1, commi 67 e 68 della legge 247/2007, in via sperimentale, con effetto dal 1° gennaio 2008 e poi anch’essa prorogata al 2011 dall’articolo 1, comma 47 della legge 220/2010;
§ il regime fiscale e contributivo agevolato per il 2012, previsto dall’articolo 26 della del decreto-legge 98/2011, relativo agli emolumenti retributivi previsti da accordi o contratti collettivi territoriali o aziendali, sottoscritti da associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative a livello nazionale (compresi i contratti aziendali sottoscritti ai sensi dell'accordo interconfederale del 28 giugno 2011), concernenti i lavoratori dipendenti del settore privato.
Un altro filone è stato invece definito attraverso gli accordi contrattuali in materia, e precisamente con l’accordo quadro sulla riforma degli assetti contrattuali del 22 gennaio 2009 e con l’accordo interconfederale del 28 giugno 2011 in materia di rappresentanza sindacale e contrattazione nazionale e aziendale.
Con il primo accordo (sperimentale per la durata di 4 anni) è stato confermato l’assetto della contrattazione collettiva su due livelli (operativa sia per il settore pubblico sia per quello privato), il contratto collettivo nazionale di categoria e il contratto di secondo livello come definito da specifiche intese. L’accordo fa specifico riferimento alla “incentivazione di misure volte ad incrementare la contrattazione di secondo livello”.
Con il secondo accordo è stato previsto le parti sociali diano ulteriore sostegno allo sviluppo della contrattazione collettiva aziendale, prevedendo, in particolare, che i contratti collettivi aziendali, per le parti economiche e normative, siano efficaci per tutto il personale e vincolino tutte le associazioni sindacali firmatarie dell’accordo operanti all’interno dell’azienda se approvati dalla maggioranza dei componenti delle rappresentanze sindacali unitarie elette secondo le regole interconfederali vigenti.
L’intervento normativo di maggior rilievo è tuttavia rappresentato dall’articolo 8 del decreto-legge 138/2011.
Tale norma ha introdotto il principio che i contratti collettivi di lavoro aziendali o territoriali possano realizzare specifiche intese con efficacia nei confronti di tutti i lavoratori interessati (a condizione di essere sottoscritte sulla base di un criterio maggioritario di rappresentanza sindacale) finalizzate alla maggiore occupazione, alla qualità dei contratti di lavoro, all’adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, alla emersione del lavoro irregolare, agli incrementi di competitività e di salario, alla gestione delle crisi aziendali e occupazionali, agli investimenti e all’avvio di nuove attività.
In specifiche materie, le intese possano prevedere deroghe alle norme di fonte pubblica o contrattuale, fermo restando il rispetto della Costituzione e dei vincoli derivanti dalle normative comunitarie e dalle convenzioni internazionali sul lavoro. Si tratta delle materie concernenti:
§ gli impianti audiovisivi e alla introduzione di nuove tecnologie;
§ le mansioni del lavoratore, alla classificazione e inquadramento del personale;
§ i contratti a termine, ai contratti a orario ridotto, modulato o flessibile, al regime della solidarietà negli appalti e ai casi di ricorso alla somministrazione di lavoro;
§ la disciplina dell’orario di lavoro;
§ le modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro, comprese la trasformazione e conversione dei contratti di lavoro ed il recesso dal rapporto di lavoro, tranne alcune specifiche eccezioni (es. licenziamento discriminatorio e licenziamento nel periodo della maternità).
Infine, si prevede che tutti i contratti collettivi aziendali vigenti, approvati e sottoscritti prima dell'accordo interconfederale del 28 giugno 2011, sono efficaci nei confronti di tutto il personale delle unità produttive cui il contratto si riferisce, a condizione che il contratto sia stato approvato con votazione a maggioranza dei lavoratori.
Al fine di contrastare in maniera più efficace il fenomeno degli incidenti sul lavoro, nella scorsa legislatura il Parlamento ha approvato la legge 123/2007, recante un''ampia delega per la riforma del sistema di tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro. Il Governo è quindi intervenuto, in attuazione della delega, dapprima con il D.Lgs. 81/2008 (aprile 2008) e, nella attuale legislatura, con un decreto correttivo, il D.Lgs. 106/2009 (agosto 2009).
Anche se non ha natura di “testo unico”, il D.Lgs. n. 81/2008 ha operato il riassetto e la riforma della disciplina vigente in materia. In particolare, ha introdotto un sistema di prevenzione e sicurezza a livello aziendale basato sulla partecipazione attiva di una serie di soggetti interessati alla realizzazione di un ambiente di lavoro idoneo a garantire la salute e la protezione dei lavoratori.
Inoltre, si è intervenuto sul monitoraggio dei rischi e l’attuazione di azioni volte alla loro riduzione, gli interventi sugli impianti, sui metodi di lavorazione, sulle materie prime o comunque sulle materie da lavorare, sulla protezione individuale o collettiva dei lavoratori, e sulle procedure di informazione, formazione, consultazione e partecipazione dei lavoratori alla gestione della sicurezza, sull’apparato sanzionatorio, con la rimodulazione degli obblighi (e delle conseguenti sanzioni, in caso di violazioni) dei diversi soggetti del sistema aziendale, sulla base delle responsabilità e dell’effettività dei compiti rispettivamente svolti.
Successivamente, è stato adottato il D.Lgs. 106/2009, correttivo del decreto n. 81/2008, resosi necessario a seguito delle segnalazioni di criticità emerse nei primi mesi di applicazione. In particolare, si è modificata la disciplina relativa all’appalto, l’apparato sanzionatorio, le disposizioni sulla sospensione dell’attività imprenditoriale in seguito a violazioni nell’impiego di personale e si è intervenuti per il potenziamento del ruolo degli organismi paritetici.
Il settore della green economy, in cui sono compresi vari settori dell’economia nazionale, ha un elevato potenziale nella creazione di nuovi posti di lavoro.
Attraverso il recepimento delle direttive comunitarie in materia di fonti rinnovabili e risparmio ed efficienza energetici, la legislazione nazionale (di cui si ricordano il D.Lgs. 28/2011 ed il D.Lgs. 115/2008) ha fornito un notevole impulso allo sviluppo di un'economia verde, tanto che secondo indagini recenti il 40% delle piccole e medie imprese italiane vuole puntare sulla green economy per superare la crisi in atto con prodotti o tecnologie in grado di garantire un risparmio energetico e di minimizzare l’impatto ambientale.
Con l’approvazione delle mozioni 1-00342 e 1-00346 nella seduta del 17 marzo 2010, la Camera ha rilevato la necessità di sostenere incentivandolo il settore della green economy al fine di rilanciare politiche di risparmio energetico utili all'economia del Paese ed alla soluzione dei principali problemi dell'ambiente.
Uno dei settori più rilevanti in tema di green economy è quello degli acquisti verdi o green public procurement (GPP). Per agevolare e incentivare l’applicazione degli acquisti verdi, l’Unione europea ha promosso l’adozione di specifici piani d’azione nazionali. In Italia si è proceduto con il Piano d’azione nazionale sul green public procurement (PAN GPP) emanato tramite il D.M. 11 aprile 2008 cui hanno fatto seguito numerosi decreti volti a fissare i criteri ambientali minimi da inserire nei bandi di gara della PA.
Altri esempi di “green business” sono il turismo sostenibile, l’agricoltura biologica, la finanza etica, nonché tutte le attività di filiera correlate con lo sviluppo delle fonti rinnovabili e dell’efficienza energetica. In relazione a questi ultimi aspetti, si segnala che nel 2011 in Italia è stato emanato il decreto legislativo 28/2011, in attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione delle energie rinnovabili, che interviene anche sui sistemi di incentivazione dell'efficienza energetica. In particolare, si dispone che gli interventi di incremento dell'efficienza energetica e di produzione di energia termica da fonti rinnovabili sono incentivati mediante contributi a valere sulle tariffe del gas naturale per gli interventi di piccole dimensioni o per le altre fattispecie mediante il rilascio dei certificati bianchi di cui si razionalizza la disciplina.
Per quanto riguarda l’attività parlamentare, si segnala che la Commissione ambiente sta svolgendo un’indagine conoscitiva sulle politiche ambientali in relazione alla produzione di energia da fonti rinnovabili.
Al fine di incentivare la riqualificazione energetica degli immobili, di recente con il D.L. 201/2011 è stata prorogata a tutto il 2012 l’incentivazione fiscale già vigente del 55%. Dall’anno successivo detti incentivi saranno sostituiti con le detrazioni fiscali del 36%, ordinariamente utilizzate per le ristrutturazioni edilizie.
Con il D.Lgs. 15/2011 è stata inoltre recepita la direttiva 2009/125/CE sull’elaborazione di specifiche per la progettazione ecocompatibile dei prodotti connessi all’energia.
In tema di green economy si segnalano, infine, l’iniziativa intitolata “Manifesto per un futuro sostenibile per l'Italia” che è stata presentata il 7 novembre 2011 [104] e l’istituzione, presso il CNEL, della Consulta Nazionale per lo sviluppo sostenibile [105] in cui le parti sociali possono discutere proposte per la transizione verso un'economia verde e un'agenda delle priorità per uno sviluppo equo e sostenibile, in cui le politiche industriali innovative giochino un ruolo di primo piano per rendere più competitivo il sistema produttivo.
Il 23 marzo 2011 il CIPE ha approvato il Programma nazionale della ricerca (PNR) 2011-2013, che persegue quali obiettivi strategici la crescita della competitività del Paese in aree tecnologiche prioritarie, il miglioramento della qualità della ricerca pubblica e privata e la promozione del trasferimento dei risultati della ricerca al settore produttivo, il consolidamento e l’incremento degli investimenti in ricerca e sviluppo, la valorizzazione del capitale umano, il sostegno all’internazionalizzazione delle imprese, la partecipazione alle infrastrutture di ricerca europee. Questi obiettivi sono declinati in 18 azioni di ricerca, nell’ambito delle quali sono individuati 14 “Progetti bandiera” che devono essere realizzati dagli enti di ricerca pubblici ai quali è destinato il Fondo di finanziamento ordinario.
Con riferimento a questi ultimi, si ricorda che nel corso del 2011, a seguito del riordino realizzato con il d.lgs. 213/2009, sono stati approvati i nuovi statuti e sono stati nominati i nuovi presidenti e consigli di amministrazione. Inoltre, per la prima volta nel 2011, una quota del Fondo di finanziamento ordinario, pari al 7%, è stata destinata al finanziamento premiale di specifici programmi e progetti.
Infine, il 3 novembre 2011 è stata avviata la Valutazione della qualità della ricerca (VQR) 2004-2010, affidata all’ANVUR. La valutazione dei risultati della ricerca, organizzata nelle 14 aree indicate dal Consiglio Universitario Nazionale (CUN), riguarda, in particolare, università statali, università non statali autorizzate a rilasciare titoli accademici, enti di ricerca vigilati dal MIUR, dipartimenti. La relazione finale sarà stilata dall’ANVUR entro il 30 giugno 2013.
In materia di agevolazioni a favore della ricerca, tra le più recenti si segnalano l’istituzione di un credito d’imposta, per gli anni 2011 e 2012, in favore delle imprese che finanziano progetti di ricerca in Università o enti pubblici di ricerca, in ragione del 90% della spesa incrementale di investimento, rispetto alla media di investimenti in ricerca effettuati nel triennio 2008-2010 (D.L. 70/2011 - L. 106/2011) e l’introduzione di nuove forme di contratti di programma per la ricerca con soggetti pubblici o privati, anche in forma associata, al fine di realizzare iniziative oggetto di programmazione negoziata volte a valorizzare prevalentemente le aree sottoutilizzate e del Mezzogiorno.
Per favorire l’avvio di imprese italiane che presentano profili di eccellenza tecnologica ed innovativa, inoltre, il decreto-legge 98/2011 ha introdotto una misura a sostegno del venture capital.
Le politiche perseguite nel corso della XVI legislatura in ambito scolastico e universitario hanno inteso riorganizzare i relativi sistemi al fine di razionalizzare la spesa, rilanciare la qualità e connettere maggiormente il sistema formativo con il mondo del lavoro.
In ambito scolastico, le riforme hanno anche perseguito l’obiettivo di raggiungere adeguati livelli di apprendimento e superare fenomeni di dispersione e di insuccesso. Per quanto, in particolare, attiene al secondo ciclo, le linee direttrici della riformariguardante istituti professionali, istituti tecnici e licei – (D.P.R. 87, 88 e 89/2010), quali illustrate nelle relazioni governative, sono consistite nel riaffermare la specifica identità di ciascuno dei percorsi, semplificare i piani di studio, ridurre gli indirizzi curriculari e l’orario settimanale di lezione, potenziare la dimensione laboratoriale dell’apprendimento, al contempo, garantendo l’autonomia alle istituzioni scolastiche, che possono tener conto della specificità del territorio e dell’utenza. In particolare, nell’ambito degli istituti tecnici e professionali è stata prevista la creazione di un Comitato tecnico-scientifico finalizzato a rafforzare il raccordo tra gli obiettivi educativi della scuola, le innovazioni della ricerca, le esigenze del territorio e i fabbisogni del mondo produttivo. E’ stato, inoltre, ribadito l’obiettivo di fornire agli studenti competenze spendibili per l’inserimento nel mondo del lavoro e per il passaggio ai livelli superiori di istruzione. Pertanto, fra gli strumenti didattici sono stati inseriti stage e alternanza scuola-lavoro.
Nelle distinte linee guida per il secondo biennio e il quinto anno degliistituti tecnici e degli istituti professionali adottate dal MIUR il 18 gennaio 2012, e ora all’esame della Corte dei conti, si evidenzia che i nuovi Istituti tecnici sono chiamati ad intercettare l’evoluzione del fabbisogno di competenze che emerge dalle richieste del mondo del lavoro e ad offrire una risposta alle nuove necessità occupazionali e che gli Istituti professionali perseguono l’obiettivo di far acquisire al diplomato, nell’ambito di settori produttivi relativamente ampi, capacità operative che lo mettano in grado di applicare le tecnologie a processi specifici e di prospettare e realizzare soluzioni anche innovative. Si sottolinea, inoltre, che il riordino di entrambi i segmenti formativi vuole corrispondere alla necessità non solo di modernizzare l’impianto curricolare, ma anche di aumentare le possibilità di scelta degli studenti oltre il ciclo secondario, anche verso il “nuovo cantiere” dell’Istruzione tecnica superiore.
Occorre altresì ricordare l’adozione, nel gennaio 2011, delle linee guida per la realizzazione di raccordi fra i percorsi degli istituti professionali e i percorsi di istruzione e formazione professionale di competenza delle regioni. Tali raccordi sono infatti finalizzati a sostenere e garantire l’organicità sul territorio dell’offerta dei percorsi a carattere professionale, prevenire la dispersione scolastica e formativa, facilitare i passaggi tra i sistemi formativi. In un quadro di sussidiarietà, peraltro, il Regolamento di riordino ha previsto che gli Istituti professionali possano svolgere un “ruolo integrativo e complementare” rispetto al sistema di istruzione e formazione professionale.
Come prima accennato, da settembre 2011 sono stati attivati, quale nuovo canale di istruzione terziaria non universitaria, 59 Istituti tecnici superiori, che si propongono come percorso professionalizzante di alta specializzazione tecnica. Tali Istituti si presentano come fondazioni costituite da scuole, università e imprese, con percorsi di norma biennali, finalizzati al rilascio di un diploma afferente ad aree tecnologiche prioritarie per gli indirizzi di programmazione economica anche in relazione al quadro strategico dell’UE (efficienza energetica, mobilità sostenibile, nuove tecnologie della vita, nuove tecnologie per il made in Italy, tecnologie innovative per i beni e le attività culturali, tecnologie dell’informazione e della comunicazione).
Un ulteriore intervento è stato costituito dalla nuova disciplina dell’apprendistato, intervenuta nell’ottobre 2011 (D.Lgs. n. 167/2011). Delle tre tipologie di apprendistato previste, infatti, due sono finalizzate al conseguimento di titoli di studio, vale a dire apprendistato per i giovani dai 15 ai 25 anni finalizzato alla qualifica e al diploma professionale (e pertanto per l’assolvimento dell’obbligo di istruzione), la cui regolamentazione con riferimento ai profili formativi è rimessa alle regioni e alle province autonome, e l’apprendistato di alta formazione e ricerca per i giovani dai 18 ai 29 anni, per il conseguimento di diplomi di istruzione secondaria superiore, titoli di studio universitari o di alta formazione, compreso il dottorato di ricerca, diplomi rilasciati dagli ITS, nonché per attività di ricerca e per il praticantato finalizzato all’accesso alle professioni ordinistiche. La disciplina di dettaglio- per i profili formativi - è affidata alle regioni, in accordo con le parti sociali e le istituzioni formative implicate; queste ultime potranno comunque stipulare apposite convenzioni con i datori di lavoro in caso di inerzia delle regioni.
Per i giovani dai 18 ai 29 anni è individuata una terza tipologia di apprendistato a carattere professionalizzante (o contratto di mestiere), per il conseguimento di una qualifica professionale a fini contrattuali. La disciplina è rimessa agli accordi interconfederali e ai contratti collettivi.
Il piano formativo individuale deve essere definito entro 30 giorni dalla stipulazione del contratto, mentre viene inoltre rafforzato l’apparato ispettivo e sanzionatorio vigente e prevista la possibilità di assumere come apprendisti i lavoratori in mobilità.
Gli standard formativi sono rimessi a un decreto interministeriale (in corso di emanazione), mentre gli standard professionali sono definiti nella contrattazione collettiva o in intese specifiche da sottoscrivere a livello nazionale o interconfederale.
E’ interessante segnalare anche l’estensione della possibilità di svolgere attività di intermediazione in materia di lavoro ai consorzi universitari e l’estensione agli istituti di scuola secondaria di secondo grado (statali e paritari), del vincolo, già previsto per le università, di rendere pubblici e gratuitamente accessibili, sui relativi siti istituzionali, i curricula dei propri studenti all'ultimo anno di corso, per almeno 12 mesi successivi alla data del conseguimento del titolo di studio (D.L. 98/2011).
Infine, ulteriori interventi finalizzati a favorire il successo scolastico degli studenti, qualificare la docenza, facilitare i contatti scuola-famiglia, hanno riguardato l’innovazione digitale nella scuola (nonché nell’università), il sostegno degli alunni affetti da disturbi specifici di apprendimento (L. 170/2010), il riordino della formazione iniziale degli insegnanti (DM 249/2010). E’ in corso l’iter del regolamento volto alla ridefinizione dell’assetto dei Centri di istruzione per gli adulti.
Con riferimento al dato statistico, si segnala che, secondo i dati Eurostat per l’anno 2010, la percentuale dei giovani italiani tra i 20 e i 24 anni che hanno raggiunto almeno un livello di istruzione secondaria di secondo grado si attesta intorno al 76,3%[106], a fronte di una media dell’UE del 79%, mentre, con riferimento allo stesso anno, la percentuale di giovani tra i 18 e i 24 anni che hanno abbandonato prematuramente i percorsi di istruzione e di formazione è pari al 18,8% (in diminuzione rispetto al livello 2009, pari al 19,2%), rispetto ad una media UE pari a 14,1%[107].
Dalle statistiche dell’ISTAT elaborate dal CENSIS[108] si evince, inoltre, che il più alto tasso di dispersione è concentrato nelle isole (oltre il 25% dei 18-24enni residenti), mentre il più basso (14,8%) è registrato al Centro.
Con riferimento all’università, i recenti interventi di riforma sonostati i volti aconiugare autonomia e responsabilità,valorizzare il merito,combinare didattica e ricerca (L. 240/2010).L’obiettivo dell’intervento, come esplicitato già nelle Linee guida del Governo per l’università del novembre 2008, è consistito nel mettere in atto misure di miglioramento del posizionamento complessivo degli atenei italiani e di sviluppo del potenziale competitivo, in un quadro di sostenibilità economica.
Sono stati, pertanto, ridefiniti i meccanismi di governance e ilsistema di reclutamento del personale docente e sono stati previsti l’accreditamento iniziale e periodico dei corsi di studio, la revisione del sistema di contabilità universitario, l’introduzione del costo standard per studente, l’applicazione di meccanismi premiali nella distribuzione dei fondi, l’attribuzione di una quota del FFO (Fondo per il finanziamento ordinario) sulla base della valutazione delle politiche di reclutamento.
E’ stato, inoltre, istituito un Fondo per il merito, volto alla promozione dell’eccellenza degli studenti universitari.
Infine, il 2 maggio 2011 si è insediata l’Agenzia nazionale per la valutazione dell’università e della ricerca (ANVUR).
Con riferimento al dato statistico, nel periodo 2004-2009 la percentuale di laureati tra la popolazione di 30-34 anni è cresciuta dal 16 al 19%, a fronte dell’obiettivo del 40% fissato dall’Unione Europea per il 2020[109]
Secondo i dati resi in un’audizione del CENSIS presso la XI Commissione (Lavoro) della Camera dei deputati, in relazione ad un’indagine conoscitiva sul mercato del lavoro[110], in Italia lavora il 66,9% dei laureati di 25-34 anni, contro una media europea dell’84% (in Francia 87,1% e in Germania 88%). Il tasso di occupazione tra i laureati italiani di 25-34 anni è più basso di quello dei diplomati della stessa fascia di età (69,5%) e si è andato riducendo nel tempo, scendendo dal 71,3% del 2007 al 66,9% del 2010.
Secondo gli ultimi dati ISTAT e MIUR elaborati dal CENSIS, inoltre, il tasso di immatricolazione per l’a.a. 2009-2010 della popolazione dei giovani di 19 anni è stato pari al 48%, in lieve diminuzione rispetto all’anno accademico precedente. Nel 2010 il numero complessivo dei laureati è stato pari a 208.000 circa[111] e l’età della laurea, al netto dell’immatricolazione ritardata, è stata di 25,1 anni per i laureati di secondo livello e di 26,8 anni, per i laureati pre-riforma 2004[112].
Si segnala infine per il nostro Paese un tasso relativamente alto di giovani che non mostrano interesse né per lo studio, né per il lavoro (c.d. NEET), pari al 12,1% (3,4% della media europea).
AI fini del risanamento del bilancio, la Commissione europea sottolinea che gli Stati membri devono, tra le altre cose, contenere l'aumento della spesa pubblica al di sotto del tasso di crescita del PIL a medio termine. In questo quadro la Commissione ritiene proficuo che gli Stati membri si impegnino a riformare e modernizzare i sistemi pensionistici, nel rispetto delle tradizioni nazionali di dialogo sociale, per garantire la sostenibilità finanziaria e l'adeguatezza delle pensioni, attraverso interventi volti a:
§ allineare l'età pensionabile all'aumento della speranza di vita;
§ limitare l'accesso ai regimi di prepensionamento;
§ favorire l'allungamento della vita lavorativa;
§ equiparare l'età pensionabile per uomini e donne;
§ sostenere lo sviluppo della previdenza integrativa per i pensionati;
La Commissione ritiene inoltre che tale modernizzazione debba essere affiancata da una riforma dei sistemi sanitari volta a promuoverne l'efficienza in termini di costi e la sostenibilità.
Relativamente ai sistemi pensionistici si ricorda che la Commissione europea ha presentato, nel luglio 2010, il Libro verde “Verso sistemi pensionistici adeguati, sostenibili e sicuri in Europa” (COM(2010)365).
Il documento ha costituito la base per una consultazione pubblica, conclusasi il 15 novembre, volta a raccogliere le opinioni delle parti interessate sulle grandi sfide che i sistemi pensionistici devono affrontare e sull'azione che l'UE può svolgere a sostegno degli sforzi intrapresi dagli Stati membri per garantire pensioni adeguate e sostenibili. Ribadendo che il compito di erogare le prestazioni previdenziali è degli Stati membri e che non possono essere messi in discussione né le prerogative degli Stati né il ruolo delle parti sociali, la Commissione ha sottolineato che il contributo dell'UE può consistere in misure di sorveglianza, di coordinamento e di apprendimento reciproco (ad esempio, scambi di buone pratiche, definizione di obiettivi e di indicatori, raccolta di statistiche comparabili). A tal fine la consultazione si è concentrata sui seguenti temi: adeguatezza e sostenibilità delle pensioni; eliminazione degli ostacoli alla mobilità delle pensioni a tutela dei cittadini che si trasferiscono in altro Stato membro; sicurezza e trasparenza nel settore dei fondi pensione; miglioramento della comparabilità tra i dati relativi ai sistemi pensionistici dei diversi Stati membri.
I risultati della consultazione confluiranno nel Libro Bianco che la Commissione europea intende presentare nei primi mesi del 2012.
La Camera dei deputati ha svolto l’esame del Libro verde, ex articolo 127 del Regolamento, presso l’XI Commissione lavoro pubblico e privato, con il parere della XIV Commissione Politiche dell’Unione europea.
Si segnala che nel Programma di lavoro per il 2012, la Commissione europea prevede la presentazione di una proposta legislativa sulla protezione dei diritti alla pensione complementare delle persone che cambiano lavoro, al fine di affrontare in particolare la questione dei periodi di garanzia (durata di occupazione prima che i diritti alla pensione siano irrevocabilmente garantiti).
La situazione in Italia
Per quanto attiene al nostro ordinamento, le politiche in materia previdenziale, nel corso della XVI Legislatura, sono state improntate all'esigenza di garantire la sostenibilità di lungo periodo del sistema e si sono progressivamente sviluppate attraverso una serie di provvedimenti (D.L. 78/2009, 78/2010 e 201/2011) che hanno previsto, in particolare, l'aggancio automatico dell'età pensionabile all'incremento della speranza di vita, un generale incremento dei requisiti pensionistici e, da ultimo, l’estensione generalizzata del principio della commisurazione del trattamento pensionistico ai contributi versati (sistema contributivo).
Attualmente, il sistema pensionistico si fonda sui seguenti principi qualificanti.
Nell’ambito degli interventi volti al progressivo innalzamento dei requisiti anagrafici per il diritto all’accesso dei trattamenti pensionistici, nel corso della XVI Legislatura hanno acquisito rilievo sostanziale i provvedimenti, rivolti a tutti i lavoratori, aventi lo scopo di adeguare i richiamati requisiti all’incremento della speranza di vita accertato dall’ISTAT e convalidato dall’EUROSTAT, con riferimento ai 5 anni precedenti.
Attualmente, secondo le disposizioni dell’articolo 24, commi 12-13, del D.L. 201/2011, il primo adeguamento è stato anticipato al 1° gennaio 2013; allo stesso tempo, è stato anticipato al 2011 l’obbligo per l'ISTAT di rendere disponibili i dati relativi alla variazione della speranza di vita. Inoltre, è stato previsto un secondo aggiornamento a decorrere dal 2019, mentre successivamente si avranno aggiornamenti con cadenza biennale. Contestualmente è stato introdotto l’adeguamento alla speranza di vita dell’anzianità contributiva.
Infine, per valori del requisito anagrafico superiori a 65 anni è stato contestualmente disposto l’adattamento dei coefficienti di trasformazione, al fine di assicurare trattamenti pensionistici correlati alla maggiore anzianità lavorativa maturata.
Negli ultimi anni numerosi interventi legislativi hanno avuto per oggetto l’innalzamento dell’età pensionabile, ma una revisione complessiva del sistema pensionistico è stata attuata dall’articolo 24 del recente D.L. 201/2011.
In primo luogo, è stato introdotto il principio generale di un limite anagrafico minimo per l’accesso alla pensione di vecchiaia per i lavoratori e le lavoratrici la cui pensione è liquidata a carico dell'AGO e delle forme esclusive e sostitutive della medesima, nonché della gestione separata INPS, non inferiore a 67 anni, per i soggetti, in possesso dei predetti requisiti, che maturino il diritto alla prima decorrenza utile del pensionamento dall'anno 2021.
Per il raggiungimento di tale soglia è stato altresì previsto un progressivo adeguamento del requisito minimo di anzianità anagrafica pari a 66 anni per accedere alla pensione di vecchiaia (sia per i lavoratori dipendenti sia per quelli autonomi), nonché l’anticipazione della disciplina a regime dell’innalzamento progressivo dell’età anagrafica delle lavoratrici dipendenti private entro il 2018.
Inoltre, l’ordinamento ha mantenuto, modificandone però i requisiti, un ulteriore canale per l’accesso al trattamento pensionistico indipendentemente dai requisiti anagrafici. In particolare, è stato innalzato il precedente limite massimo di 40 anni richiesto ai fini del riconoscimento del diritto al pensionamento in base al solo requisito di anzianità contributiva a prescindere dall’età anagrafica (c.d. “quarantesimi”).
Sulla base delle nuove disposizioni, l’accesso al trattamento pensionistico è consentito esclusivamente qualora risulti maturata un’anzianità contributiva di:
§ nel 2012, 42 anni e 1 mese per gli uomini e 41 anni e 1 mese per le donne;
§ nel 2013, 42 anni e 2 mesi per gli uomini e 41 anni e 2 mesi per le donne;
§ a decorrere dal 2014, 42 anni e 3 mesi per gli uomini e 41 anni e 3 mesi per le donne.
In virtù di tale disposizione è stata soppressa, sempre a decorrere dal 2012, la possibilità di accedere al pensionamento anticipato con il sistema delle cd. “quote” (che continua a trovare applicazione per i lavori “usuranti”) introdotto dalla L. 247/2007, con un’anzianità minima compresa tra 35 e 36 anni di contributi. Si ricorda, inoltre, che i requisiti indicati non possono comunque essere considerati a regime, bensì sottoponibili ad eventuali ulteriori riparametrazioni in relazione all’adeguamento della speranza di vita.
Inoltre, è stata prevista l’applicazione di una riduzione percentuale del trattamento pensionistico per ogni anno di pensionamento anticipato rispetto all’età di 62 anni (pari all’1%, con elevazione al 2% per ogni ulteriore anno di anticipo rispetto a 2 anni).
Va ricordato, inoltre, che la stessa riforma ha previsto un regime agevolato di accesso al sistema pensionistico per i lavoratori dipendenti del settore privato con pensioni liquidate a carico dell’AGO e delle forme sostitutive della medesima, in possesso di specifici requisiti (comma 15-bis), successive deroghe sono state poi disposte, in particolare, per i cd. lavoratori “esodati” ed i lavoratori precoci (rispettivamente articolo 6, commi 2-ter e 2-quater del D.L. 216/2011, attualmente in fase di conversione).
Il processo di innalzamento dell’età pensionabile senza distinzione di genere ha tratto un’ulteriore motivazione anche, a decorrere 2008 specificamente per il settore pubblico, con la sentenza del 13 novembre 2008 , emessa a seguito della procedura di infrazione avviata nel luglio 2005 dalla Commissione europea, la Corte di giustizia delle Comunità europee ha condannato l’Italia per aver mantenuto in vigore una normativa in forza della quale i dipendenti pubblici avevano diritto a percepire la pensione di vecchiaia a età diverse a seconda che siano uomini o donne.
Per tale settore, quindi, Il legislatore ha inteso dare attuazione alla richiamata sentenza, modificando la disciplina relativa ai requisiti anagrafici richiesti ai fini del diritto al trattamento pensionistico di vecchiaia delle lavoratrici dipendenti iscritte alle forme esclusive dell'AGO (cioè le dipendenti pubbliche).
Analogo percorso ha interessato le lavoratrici del settore privato.
In particolare, tutti i recenti interventi effettuati nel 2011 hanno recato una parificazione dell’età pensionabile di genere, norme tuttavia superate da quanto disposto dal richiamato D.L. 201/2011.
L’ultima previsione dell’andamento della spesa pubblica per pensioni, in termini di indebitamento netto, prima dell’approvazione delle modifiche recate dal D.L. n. 201/2011, riportata nella Relazione al Parlamento 2011, dava il seguente quadro, che incorporava le modifiche intervenute fino al novembre del medesimo 2011:
(milioni di euro) |
||
2012 |
2013 |
2014 |
252.089 |
259.420 |
268.750 |
Il D.L. n. 201/2011 ha, come detto, introdotto nel sistema pensionistico modifiche profonde i cui risparmi, al lordo degli effetti fiscali, sono stati quantificati come segue, in termini di indebitamento netto[113]:
(milioni di euro) |
|||||||||
2012 |
2013 |
2014 |
2015 |
2016 |
2017 |
2018 |
2019 |
2020 |
2021 |
2.202 |
5.003 |
7.169 |
10.199 |
12.570 |
15.338 |
17.559 |
19.275 |
19.860 |
18.830 |
Con riferimento agli effetti di medio-lungo periodo, le modifiche da ultimo approvate determinano una riduzione dell’incidenza della spesa in rapporto al PIL crescente nel tempo da circa 0,1 punti percentuale del 2012 a circa 1,2 punti percentuali nel 2020, per poi scendere a 0,8 punti percentuali nel 2030, a circa 0,4 punti percentuali al 2035 per poi azzerarsi attorno al 2045, come risulta dalla tabella che segue:
2012 |
2015 |
2020 |
2025 |
2030 |
2035 |
2040 |
2045 |
2050 |
0,1 |
0,6 |
1,2 |
0,9 |
0,8 |
0,4 |
0,1 |
0,0 |
-0,1 |
Tali valutazioni sono state effettuate mediante il modello di previsione della spesa pensionistica del Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato[114].
La Commissione rileva che negli Stati membri per i quali sarebbero già disponibili dati sul reddito che riflettano la crisi economica è stato registrato un crollo del reddito disponibile delle famiglie (più del 15% in Lituania e in Lettonia, 8% in Estonia e 2-4% in Spagna, in Irlanda e nel Regno Unito). In generale, la crisi avrebbe colpito gravemente le fasce che erano già vulnerabili e creato nuove categorie di persone a rischio di povertà. In tale quadro, nell’ambito della Strategia Europa 2020, l’Unione europea ha varato l’iniziativa faro «Piattaforma europea contro la povertà e l’esclusione sociale: un quadro europeo per la coesione sociale e territoriale" (COM(2011)758), presentata dalla Commissione europea il 16 dicembre 2011.
L’iniziativa prevede l’impegno delle istituzioni UE a:
§ trasformare il metodo aperto di coordinamento su esclusione e protezione sociale in una piattaforma di cooperazione, che comprenda il principio di revisione inter pares e lo scambio di buone pratiche;
Si ricorda in proposito che il metodo di coordinamento aperto, conformemente al principio della sussidiarietà, completa e sostiene le iniziative nazionali senza addivenire all’adozione di misure legislative a livello europeo. In particolare, il metodo implica la fissazione di obiettivi comuni, la loro attuazione nelle strategie di politica nazionali e, come parte integrante di un processo di scambio reciproco di esperienze, il controllo regolare dei progressi raggiunti sulla base, per quanto possibile, di indicatori concordati e definiti congiuntamente.
§ promuovere la mobilità sociale per le categorie più vulnerabili, offrendo possibilità di istruzione, formazione e occupazione alle comunità svantaggiate, nonché l'integrazione dei migranti;
§ valutare l'adeguatezza e la sostenibilità dei regimi pensionistici e di protezione sociale e riflettere su come migliorare l'accesso ai sistemi sanitari.
A livello nazionale, gli Stati membri saranno tenuti a:
§ promuovere la responsabilità collettiva e individuale nella lotta alla povertà e all'esclusione sociale;
§ definire e attuare misure incentrate sulla situazione specifica delle categorie particolarmente a rischio (famiglie monoparentali, donne anziane, minoranze, Rom, disabili e senzatetto);
§ utilizzare pienamente i propri regimi previdenziali e pensionistici per garantire un sufficiente sostegno al reddito e un accesso adeguato all'assistenza sanitaria.
Nella relazione sull’attuazione della Strategia Europa 2020, allegata all’Analisi della crescita. la Commissione rileva tuttavia che, a giudicare dagli obiettivi nazionali, l'obiettivo UE di far uscire dalla povertà e dall'esclusione sociale almeno 20 milioni di europei entro il 2020 non sarà raggiunto: secondo una stima preliminare di tutti gli obiettivi fissati, entro il 2020 saranno stati sottratti alla povertà e all'esclusione sociale circa 12 milioni di persone. La Commissione ritiene che tale cifra potrà aumentare del 25%, tenendo conto degli effetti di ricaduta di strategie incentrate, ad esempio, sulla lotta contro la povertà infantile o sulla riduzione della disoccupazione di lunga durata, ma rimarrà comunque inferiore di almeno 5 milioni (25%) all'obiettivo principale dell'UE.
In questo quadro, nell’ambito dell’Analisi annuale della crescita per il 2012, la Commissione ritiene che gli Stati membri debbano provvedere in via prioritaria a:
§ migliorare ulteriormente l'efficacia dei regimi di protezione sociale e garantire il buon funzionamento degli stabilizzatori sociali automatici, evitando di affrettare il ritiro delle passate estensioni della copertura e dell'ammissibilità fintanto che la crescita dell'occupazione non sarà veramente ripartita;
§ attuare strategie di inclusione attiva comprendenti misure di attivazione del mercato del lavoro ed erogare servizi sociali adeguati e economicamente accessibili per evitare l'emarginazione delle categorie vulnerabili;
La relazione sull’attuazione della strategia Europa 2020 sottolinea che considerare i servizi pubblici nel reddito delle famiglie riduce considerevolmente le stime sulla povertà: i tassi relativi al rischio di povertà subiscono una forte diminuzione (quasi del 40%) se si utilizza una soglia di povertà fluttuante e un calo ancora più pronunciato (intorno all'80%) se si utilizza una soglia di povertà fissa.
§ garantire l'accesso a servizi che favoriscano l'inserimento nel mercato del lavoro e nella società, tra cui un conto di pagamento di base, la fornitura di elettricità agli utenti vulnerabili e la possibilità di ottenere un alloggio a un prezzo accessibile.
La Commissione europea rileva in proposito che sui 30 milioni di Europei di più di 18 anni che non dispongono di un conto bancario, 6,4 milioni siano impossibilitati ad aprirlo o abbiano timore di chiederne l’apertura. La situazione all’interno dell’UE è molto eterogenea, con punte di particolare gravità in Romania e Bulgaria, La raccomandazione della Commissione sull’accesso a un conto di pagamento di base C(2011) 4977 del 18 luglio 2011 specifica le azioni necessarie per combattere l'esclusione finanziaria.
Per quanto riguarda gli alloggi, la Commissione sottolinea che nel 2010 il 38% delle persone a rischio di povertà ha speso per l'alloggio oltre il 40% del reddito disponibile, cioè più del sestuplo rispetto al resto della popolazione (6%). Al tempo stesso, la quota dei costi abitativi rispetto al reddito disponibile complessivo è arrivata al 32% e più per metà delle persone a rischio di povertà contro il 16% per il resto della popolazione. Secondo l'indagine della Commissione sui bilanci delle famiglie, l'acqua, l'elettricità, il gas e gli altri combustibili sono la principale voce di spesa delle famiglie (27,7% del consumo familiare). Questo dimostrerebbe l'importanza di un'applicazione integrale della direttiva 2009/72/CE relativa a norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica, compreso l'articolo 3, paragrafo 8, riguardante la necessità di affrontare la povertà energetica.
La situazione in Italia
A partire dal giugno 2008, allo scopo di fronteggiare la sempre più pressante crisi economica che ha coinvolto la gran parte dei Paesi occidentali, sono state approvate dal Parlamento italiano diverse norme dirette a prevedere benefici di varia natura destinati ai soggetti ed ai nuclei familiari in difficoltà.
Dai dati Istat relativi al 2010 risulta, infatti che in Italia, sono 2 milioni 734 mila le famiglie in condizione di povertà relativa[115] (l’11% delle famiglie residenti); si tratta di 8 milioni 272 mila individui poveri, il 13,8% dell’intera popolazione. D’altra parte, i profili delle famiglie più povere vengono disegnati dalla misura di povertà assoluta che, nel 2010, in Italia, interessa 1 milione e 156 mila famiglie (il 4,6% delle famiglie residenti) che risultano in condizione di povertà assoluta[116], per un totale di 3 milioni e 129 mila individui (il 5,2% dell’intera popolazione).
Per quanto attiene, alle misure di carattere più squisitamente sociale, esse sono state introdotte essenzialmente in alcuni interventi legislativi d’urgenza adottati nella forma del decreto-legge.
In primo luogo va ricordata l’istituzione del «Fondo di credito per i nuovi nati», con una dotazione di 25 milioni di euro per ciascuno degli anni 2009, 2010, 2011, finalizzato al rilascio di garanzie dirette, anche fidejussorie, alle banche e agli intermediari finanziari per favorire l'accesso al credito delle famiglie con un figlio nato o adottato nell'anno di riferimento (articolo 4, comma 1, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185)3. L’articolo12 della legge di stabilità per il 2012[117] ha esteso agli anni 2012, 2013 e 2014, le misure relative al Fondo di credito per i nuovi nati. L'accesso al fondo prescinde dalla situazione reddituale del nucleo familiare e permette, alle famiglie i cui figli siano nati o siano stati adottati nell’anno di riferimento, di richiedere un finanziamento di 5.000 euro, a tasso fisso, rimborsabile in 5 anni. Al relativo onere si provvede mediante utilizzazione delle risorse complessivamente disponibili alla data del 31 dicembre 2011 sull’apposito conto corrente infruttifero, aperto presso la Tesoreria centrale dello Stato, nonché di quelle successivamente recuperate in ragione del Fondo stesso.
E’ stato inoltre introdotto il bonus straordinario in favore dei nuclei familiari che, nel 2008, hanno realizzato un basso reddito (art. 1 del decreto-legge n. 185/2008).
L’ammontare del bonus è fissato per scaglioni di reddito e in base alla numerosità del nucleo familiare, e varia da un minimo di 200 euro (spettante a nuclei con un solo componente percettore di reddito di pensione di ammontare annuo non superiore a 15.000 euro) ad un massimo di 1.000 euro (per i nuclei con più di cinque componenti ed un reddito complessivo non superiore a 22.000 euro ovvero per i nuclei con reddito non superiore a 35.000 euro in caso di presenza di soggetti disabili).
Va infine citata l’istituzione di un Fondo di solidarietà per i cittadini meno abbienti per la concessione della Carta acquisti (art. 81 del decreto-legge n. 112/2008). La Carta acquisti viene concessa, con onere a carico dello Stato, ai richiedenti residenti con cittadinanza italiana che versano in condizione di maggior disagio economico, ovvero ai cittadini nella fascia di bisogno assoluto di età uguale o superiore ai 65 anni o con bambini di età inferiore ai tre anni. La Carta è utilizzabile per il sostegno della spesa alimentare e sanitaria e per il pagamento delle spese energetiche. Essa vale 40 euro al mese e viene caricata ogni due mesi con 80 euro, sulla base degli stanziamenti disponibili.
E’ stato inoltre previsto l'accredito di un importo aggiuntivo mensile (pari a 25 euro) a titolo di concorso alle spese occorrenti per l'acquisto di latte artificiale e pannolini[118]. Le risorse sono state collocate nel Fondo Carta acquisti. In ultimo, è stato disposto l’accredito di un importo aggiuntivo mensile di 10 euro per i titolari della Carta Acquisti che siano utilizzatori, sul territorio nazionale, di gas naturale o GPL[119]. Con il proroga termini 2011[120], ha preso avvio una sperimentazione, della durata di un anno e con un limite di impegno massimo di risorse fino a 50 milioni di euro, a favore degli enti caritativi operanti nei comuni con più di 250.000 abitanti.
La Commissione europea ritiene che la qualità della pubblica amministrazione nei vari livelli di governo, europeo, nazionale, regionale e locale sia un elemento determinante a rafforzare la competitività.
L’analisi rileva inoltre che in molti Stati membri occorre migliorare l'efficienza dei servizi pubblici nonché la trasparenza e la qualità della pubblica amministrazione e dell'apparato giudiziario.
In particolare, occorre migliorare l'efficienza del sistema giudiziario civile per consentire la composizione delle vertenze entro tempi ragionevoli; In tale contesto, la Commissione intende migliorare l'efficacia delle norme sull'insolvenza transfrontaliera. Un'altra questione per la quale occorre conciliare obiettivi strategici diversi è il rilascio dei permessi urbanistici.
Iniziative in corso
La Commissione ricorda di aver recentemente presentato iniziative riconducibili agli obiettivi sopra richiamati:
1) il programma di regolamentazione intelligente, volto a migliorare la qualità della normativa europea ed alla sua semplificazione. Altrettanto importante è il programma della Commissione volto a ridurre gli oneri amministrativi (la Commissione ha già superato l'obiettivo di riduzione del 25% presentando proposte che, se adottate dal colegislatore, ridurranno gli oneri amministrativi del 31%).
Il programma d’azione, varato nel 2007, aveva l’obiettivo di ridurre del 25% gli oneri amministrativi derivanti dalla legislazione UE entro il 2012. Il programma d’azione per la riduzione degli onori amministrativi si è concentrato in via prioritaria su 13 aree prioritarie (agricoltura, diritto contabile e delle società, politica di coesione, ambiente, servizi finanziari, pesca, sicurezza alimentare, legislazione farmaceutica; appalti pubblici, statistiche, imposta sul valore aggiunto (IVA), trasporti, diritto del lavoro).
2) un piano d’azione a favore delle micro e piccole imprese, [121] presentato dalla Commissione il 23 novembre 2011, volto ad esentarle dall'applicazione di nuove regolamentazioni UE a meno che non siano addotti validi motivi per includerle nel campo di applicazione delle norme stesse.
Tale piano d’azione si colloca nel contesto delle azioni previste dall’iniziativa Small business Act, adottata nel giugno del 2008 dalla Commissione europea, volta a migliorare a livello europeo il contesto amministrativo e regolamentare in cui operano le PMI.
Dal gennaio 2012 la Commissione si adopererà per:
intensificare la ricerca, nella legislazione europea vigente e futura, di esenzioni o di riduzioni degli oneri per le microimprese;
rafforzare i processi di consultazione delle microimprese e di altre PMI ai fini del riesame della normativa vigente dell’UE e dell’elaborazione di nuove norme europee;
definire quadri di valutazione annuali con l’indicazione di tutte le esenzioni e i regimi agevolati per le PMI per determinare i vantaggi effettivi per le imprese e garantire costante attenzione alle loro esigenze e ai loro interessi.
Si ricorda, inoltre, che in tema di miglioramento del sistema giudiziario civile, l’Unione europea ha adottato - nell’ambito delprogramma quadro “Diritti fondamentali e giustizia” - il programma specifico “Giustizia Civile” (decisione del Parlamento europeo e del Consiglio 1149/2007/CE), con dotazione prevista pari a 109,3 milioni di euro per il periodo 2007-2013;
Il programma è volto a promuovere la cooperazione giudiziaria in materia civile allo scopo di:
§ garantire la certezza del diritto e migliorare l’accesso alla giustizia;
§ promuovere il riconoscimento reciproco delle decisioni nelle controversie civili e commerciali;
§ rimuovere gli ostacoli ai contenziosi transfrontalieri creati dalle disparità legislative e procedurali in materia civile e promuovere, a tal fine, la necessaria compatibilità delle legislazioni;
§ garantire una corretta amministrazione della giustizia, evitando i conflitti di giurisdizione.
Priorità per gli Stati membri
La Commissione indica agli Stati membri le seguenti priorità:
§ migliorare il clima imprenditoriale riducendo al minimo gli oneri amministrativi, il che significa anche evitare una regolamentazione eccessiva in sede di recepimento della normativa UE e ridurre il numero di regolamenti e autorizzazioni superflui, e introdurre procedure più semplici e più rapide, in particolare nei rispettivi sistemi giudiziari;
§ garantire la possibilità di effettuare elettronicamente gli scambi delle amministrazioni con le imprese e i cittadini;
§ agevolare la creazione di nuove imprese rispettando l'impegno assunto nello Small Business Act di ridurre a 3 giorni i tempi di costituzione di un'impresa. I venticinque Stati membri che non l'hanno ancora fatto devono introdurre i cambiamenti necessari per conseguire questo obiettivo entro la fine del 2012;
§ sviluppare la capacità amministrativa per aumentate il tasso di assorbimento dei fondi strutturali dell'UE.
La situazione in Italia
Dal 2008 ad oggi, per incrementare la qualità e la trasparenza della pubblica amministrazione sono state adottate misure finalizzate alla riduzione dei costi amministrativi e, pertanto, al contenimento della spesa pubblica.
Il legislatore ha innanzitutto adottato singole misure di semplificazione dei rapporti tra cittadini ed imprese, da un lato, ed amministrazioni, dall’altro.
Tra queste, di particolare rilievo è l’introduzione del meccanismo del c.d. taglia-oneri amministrativi (art. 25, D.L. 112/2008[122]). Tale meccanismo presuppone l’approvazione da parte del Consiglio dei ministri di un programma di misurazione degli oneri amministrativi.
A ciò segue, l’adozione da parte di ciascun ministro di un piano di riduzione degli oneri, che definisce le misure normative, organizzative e tecnologiche finalizzate al raggiungimento dell’obiettivo della riduzione stessa. Entro il 30 settembre 2012, sulla base degli esiti della misurazione degli oneri amministrativi gravanti su ciascun settore, entro il 30 settembre 2012, il Governo è autorizzato ad adottare uno o più regolamenti di delegificazione, contenenti gli interventi normativi volti a ridurre gli oneri amministrativi gravanti sulle imprese nei diversi settori ed a semplificare e riordinare la relativa disciplina.
Il Piano per la semplificazione amministrativa per le imprese e le famiglie 2010-2012, presentato dal Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione e accolto dal Consiglio dei Ministri del 7 ottobre 2010 ha definito obiettivi, strumenti, piani operativi e tempi per raggiungere entro il 2012 il traguardo di un taglio pari ad almeno il 25% dei costi della burocrazia, stimati complessivamente in circa 68 miliardi di euro l'anno. Inoltre dà conto delle attività fin qui svolte nel processo di misurazione degli oneri amministrativi nelle diverse aree amministrative.
Ulteriori significative disposizioni sono state adottate con la legge n. 69/2009[123] che, attraverso puntuali modifiche alla normativa vigente (l. 241/1990[124]), ha inteso rafforzare le principali forme di tutela a disposizione dei cittadini nei confronti dell’attività amministrativa.
Tra le maggiori novità, si segnalano quelle stabilite al fine di ridurre e conferire maggiore certezza ai tempi di conclusione dei procedimenti amministrativi. Salvo che non sia individuato un termine diverso da disposizioni di legge, si dispone che tutti i procedimenti di competenza delle amministrazioni pubbliche devono concludersi entro il termine di 30 giorni e comunque non oltre i 90 giorni. Solo in taluni casi, il termine può raggiungere i 180 giorni. La mancata emanazione del provvedimento nei termini costituisce elemento di valutazione della responsabilità dei dirigenti, anche al fine della corresponsione della retribuzione di risultato.
È inoltre introdotto, a carico di tutte le amministrazioni pubbliche, l’obbligo di risarcire il danno ingiusto causato dall’inosservanza, dolosa o colposa, dei termini procedimentali. Le controversie in materia di mancato rispetto dei termini, sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, e il diritto al risarcimento si prescrive in cinque anni.
Contestualmente, è stata modificata la disciplina generale relativa all’acquisizione di pareri nell’ambito dell’istruttoria del procedimento amministrativo, al fine di abbreviare e dare maggiore certezza ai tempi di conclusione della fase consultiva (20 giorni dalla richiesta, a fronte dei 45 giorni precedentemente previsti).
Sempre con finalità di semplificazione dei procedimenti amministrativi, si segnalano tre novità di carattere generale.
Si tratta, da un lato, della riforma della disciplina in materia di dichiarazione di inizio attività, divenuta segnalazione certificata di inizio attività" che sostituisce "ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, comprese le domande per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per l'esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale” (art. 49, co. 4-bis, D.L. 78/2010).
Dall’altro, è stata profondamente modificata la disciplina della conferenza di servizi – strumento organizzativo utilizzato per accelerare i processi decisionali delle amministrazioni coinvolte in procedimenti comuni - al fine di semplificarne la procedura e di accelerare ulteriormente i tempi per l’adozione del provvedimento finale (art. 49, D.L. 78/2010).
In terzo luogo, la legge 69/2009 ha rafforzato la posizione dei cittadini, prevedendo (art. 10) che il complesso di tutele volto a garantire la partecipazione dell’interessato al procedimento amministrativo, l’individuazione del responsabile, e la certezza dei termini, è ricondotto all’interno dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali da garantirsi in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale, come previsto dall’articolo 117 della Costituzione, secondo comma, lettera m).
In ragione delle sue finalità di interesse pubblico generale, il diritto di accesso ai documenti amministrativi viene inoltre indicato come principio generale dell’attività amministrativa, mentre l’ambito di applicazione della legge, oggi riferito alle amministrazioni statali e agli enti pubblici nazionali, è esteso alle società con totale o prevalente capitale pubblico ed alle amministrazioni regionali e locali. Il criterio di imparzialità viene inserito tra i principi generali dell’attività amministrativa a sottolineare il diritto dei cittadini al rispetto dei tempi di conclusione dei procedimenti.
Di particolare rilievo anche la previsione (l. 69/2009, art. 30) che le carte dei servizi, predisposte da coloro che erogano servizi pubblici o di pubblica utilità, devono prevedere, in favore degli utenti che lamentino la violazione di un diritto o di un interesse giuridico rilevante, la possibilità di promuovere la risoluzione non giurisdizionale della controversia entro i 30 giorni successivi alla richiesta e di ricorrere a meccanismi di sostituzione dell'amministrazione o del soggetto erogatore inadempiente.
Inoltre, al fine di ridurre la frequenza e il numero delle procedure di rinnovo delle carte di identità con l’obiettivo di semplificare in questo settore i rapporti tra cittadini e amministrazione, il legislatore ha prolungato da 5 a 10 anni il periodo di validità della carta d’identità e stabilisce che essa debba essere munita - oltre che della fotografia - anche delle impronte digitali del titolare (art. 31, D.L. 112/2008).
Da ultimo, si segnala l’approvazione di una delega al Governo per la predisposizione di una codificazione in materia di pubblica amministrazione (L. 174/2011[125]), attraverso la quale raccogliere le principali disposizioni in materia di procedimento amministrativo, documentazione amministrativa e rapporto di impiego alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni.
Al fine di semplificare le procedure per l’avvio e lo svolgimento dell'attività d'impresa, è stato affidato al Governo (D.L. 112/2008, art. 38) il compito di procedere - tramite apposito regolamento e sulla base di specifici principi e criteri - alla semplificazione e al riordino della disciplina dello Sportello unico per le attività produttive (SUAP), che dovrà essere l’unico punto di accesso in relazione a tutte le vicende amministrative riguardanti l’attività produttiva del richiedente, con il compito di fornire una risposta unica e tempestiva in luogo di tutte le amministrazioni coinvolte nel procedimento.
In base alla nuova disciplina (D.P.R. 160/2010), lo sportello unico – già individuato come canale unico tra imprenditore ed Amministrazione per eliminare ripetizioni istruttorie e documentali – è caratterizzato dall’introduzione dell’esclusivo utilizzo degli strumenti telematici.
Tra le numerose novità che consentono di velocizzare l’avvio di un’impresa, si segnala la possibilità di una contestuale presentazione della segnalazione certificata di inizio attività (Scia) e della comunicazione unica per la nascita dell’impresa presso il Registro delle imprese.
Per quanto riguarda le comunicazioni iniziali per l'avvio dell'attività d'impresa, si ricorda inoltre che il legislatore (art. 9, D.L. 7/2007) prevede che gli adempimenti amministrativi a carico delle imprese per l’iscrizione al Registro delle imprese, ai fini previdenziali, assicurativi e fiscali, nonché per l’ottenimento del codice fiscale e della partita IVA, siano assolti tramite una comunicazione unica presentata per via telematica o su supporto informatico all’Ufficio del Registro delle imprese delle Camere di commercio, il quale rilascia una ricevuta che costituisce titolo per l’immediato avvio dell’attività imprenditoriale e si fa carico di informare le altre amministrazioni competenti dell'avvenuta presentazione della comunicazione unica. Tale procedura si applica anche in caso di modifiche o cessazione dell’attività d’impresa.
Il tema della semplificazione amministrativa per le imprese è stato affrontato anche con la legge 99/2009 (all’art. 5), che delega il Governo al riordino e coordinamento degli adempimenti procedurali da rispettare ai fini della realizzazione di impianti produttivi e dello svolgimento di attività di impresa, e (art. 6) introduce disposizioni per l’abolizione di alcune certificazioni dovute dalle imprese ai fini dell’ottenimento di titoli autorizzatori o concessori o di partecipazione a procedure di evidenza pubblica.
Ulteriori disposizioni in materia di semplificazione amministrativa sono contenute nella legge 15/2009[126] che fra l’altro (art. 4) delega il Governo a disciplinare il sistema di valutazione delle prestazioni delle strutture pubbliche e del personale dipendente. A tal fine, viene introdotto l’obbligo, per tutte le amministrazioni pubbliche, di predisporre un sistema di indicatori di produttività per la valutazione del rendimento del personale, correlati agli obiettivi assegnati e alla pianificazione strategica.
Al Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro (CNEL) viene attribuito (art. 9) il compito di redigere una relazione annuale al Parlamento e al Governo sui livelli e la qualità dei servizi erogati alle imprese e ai cittadini dalle pubbliche amministrazioni centrali e locali; e di promuovere lo svolgimento di una conferenza annuale sui servizi da queste prestate.
In materia di informatizzazione delle pubbliche amministrazioni, il legislatore è intervenuto con disposizioni finalizzate a promuovere ulteriormente l’utilizzo delle tecnologie telematiche nelle comunicazioni tra i cittadini e le imprese e le amministrazioni pubbliche (art. 16-bis, D.L. 185/2008[127]).
A tale fine, sono previste nuove modalità per l’effettuazione da parte dei cittadini delle dichiarazioni anagrafiche (iscrizioni, modifiche, cancellazioni) e delle comunicazioni concernenti lo stato civile (nascite, morti, matrimoni, ecc.). In questa sede, si dispone che la richiesta al cittadino da parte dell’amministrazione di presentare documenti diversi da quelli ritenuti indispensabili per la formazione e l’annotazione degli atti di stato civile e di anagrafe costituisce violazione dei doveri d’ufficio ai fini della responsabilità disciplinare.
Al fine di diffondere l’uso della posta elettronica certificata – PEC tra i cittadini, lo stesso provvedimento rende obbligatorio l'uso della PEC da parte delle pubbliche amministrazioni centrali, con effetto equivalente alla notificazione per mezzo posta. In tale ottica, viene attribuita una casella ad ogni cittadino che ne faccia richiesta o analogo indirizzo di posta elettronica basato su tecnologie che certifichino data e ora dell’invio e della ricezione delle comunicazioni e l’integrità del contenuto delle stesse. Le amministrazioni pubbliche sono tenute ad utilizzare tale strumento per le comunicazioni e le notificazioni aventi come destinatari i dipendenti della stessa o di altra amministrazione.
Per sollecitare le amministrazioni pubbliche ad operare verso la dematerializzazione, mediante la sostituzione dei supporti tradizionali in favore del documento informatico, dal primo gennaio 2009, la PA è stata obbligata a ridurre del 50% rispetto al 2007, la spesa per la stampa, per le pubblicazioni distribuite gratuitamente o inviate ad altra amministrazione (art. 27, D.L. 112/2008). Sempre a partire dal 1° gennaio 2009, è stata prevista una diversa modalità di abbonamento alla Gazzetta Ufficiale da parte delle amministrazioni e degli enti pubblici, stabilendo la sostituzione degli abbonamenti in formato cartaceo con gli abbonamenti telematici.
Nel percorso di razionalizzazione delle risorse delle pubbliche amministrazioni, si inquadra l’utilizzo dei servizi VoIP (Voice over Internet Protocol), che rende possibile effettuare una conversazione telefonica sfruttando una connessione Internet, o altra rete dedicata, con risparmi sulle chiamate e minori costi infrastrutturali. La legge 69/2009 affida al Centro nazionale per l’informatica nella pubblica amministrazione (CNIPA) il compito di realizzare e gestire un nodo per i servizi VOIP.
Il Sistema pubblico di connettività (SPC) raccorda invece i sistemi informatici di tutte le pubbliche amministrazioni statali, regionali e locali configurandosi come l’intranet della PA. La stessa legge stabilisce la predisposizione di un programma biennale che assicuri, entro il 2010, l’adesione al SPC di tutte le amministrazioni pubbliche e la realizzazione di progetti di cooperazione tra i rispettivi sistemi operativi nonché la piena interoperabilità delle banche dati, dei registri e delle anagrafi per ampliare la tipologia dei servizi online, erogati a cittadini ed imprese.
L’informatizzazione delle pubbliche amministrazioni è rafforzata anche al fine di incrementare la trasparenza amministrativa.
In questa direzione, si segnala che la citata L. 69/2009 (art. 21) pone a carico delle pubbliche amministrazioni l’obbligo di pubblicare nel proprio sito internet le retribuzioni annuali, i curricula vitae, gli indirizzi di posta elettronica e i numeri telefonici ad uso professionale dei dirigenti e dei segretari comunali e provinciali e di rendere allo stesso modo pubblici i tassi di assenza e di maggiore presenza del personale, distinti per uffici di livello dirigenziale di appartenenza. Ancora in tema di trasparenza, è stata inserita nel Codice dell’amministrazione digitale una disposizione che istituisce, ai fini di trasparenza amministrativa, l’indice degli indirizzi delle pubbliche amministrazioni.
Nel corso dell’attuale legislatura il tema della riforma del processo civile è stato affrontato in più occasioni dal Parlamento, consapevole dei costi per il Paese di un sistema giudiziario civile lento e, conseguentemente, inefficiente.
Il nucleo della riforma del processo civile è contenuto nella legge 69/2009 che, oltre a prevedere una parziale riforma del codice di rito, ha delegato il Governo a operare la semplificazione e riduzione dei riti di cognizione ed a disciplinare la mediazione delle controversie civili.
Le principali linee di intervento cui si ispira la riforma del processo civile sono le seguenti:
§ ampliamento della competenza del giudice di pace;
§ semplificazione del contenuto della sentenza e modifiche al relativo regime di pubblicità;
§ modifica della disciplina della prova testimoniale nel processo di cognizione, tra cui si segnala la facoltà per il giudice, su accordo delle parti, di assumere testimonianze scritte;
§ abbreviazione di numerosi termini processuali, tra cui il dimezzamento del “termine lungo” per le impugnazioni;
§ introduzione del "filtro in Cassazione", ossia di un esame preliminare di ammissibilità dei ricorsi in Cassazione;
§ introduzione del procedimento sommario di cognizione. Il procedimento è attivabile per le cause di competenza del tribunale in composizione monocratica, si caratterizza per la semplificazione della trattazione e si conclude con la pronuncia di un'ordinanza.
Il Governo ha esercitato entrambe le deleghe:
§ con il decreto legislativo 150/2011 ha ridotto e semplificato i numerosi procedimenti civili di cognizione che rientrano nell’ambito della giurisdizione ordinaria, riconducendoli ad uno dei tre modelli base previsti dal codice processuale civile: rito ordinario, rito sommario, rito del lavoro;
§ con il decreto legislativo 28/2010 ha disciplinato la mediazione civile e commerciale, affidandola ad organismi iscritti in un registro tenuto dal Ministero della Giustizia. Per un'ampia serie di controversie l'esperimento di un preventivo tentativo di conciliazione costituisce condizione di procedibilità dell'azione.
Si segnala, inoltre, che la legge 99/2009 ha riformato l’istituto dell’azione collettiva risarcitoria a tutela degli interessi dei consumatori. Nella nuova disciplina, la class action ha la finalità di tutelare i diritti di una pluralità di consumatori e utenti che versano nei confronti di una stessa impresa in situazione identica; può trattarsi di danni derivanti dalla violazione di diritti contrattuali o di diritti comunque spettanti al consumatore finale del prodotto (a prescindere da un rapporto contrattuale), da comportamenti anticoncorrenziali o da pratiche commerciali scorrette.
La relazione sull’attuazione della strategia "Europa 2020”, allegata alla analisi annuale per la crescita, dà conto, per un verso, dello stato di realizzazione dei grandi obiettivi della medesima strategia e, per altro verso, delle misure adottate a livello europeo nel corso del 2011 (con particolare riguardo alle 7 iniziative faro previste dalla strategia).
Con riguardo al primo aspetto, la Commissione rileva progressi insufficienti verso il raggiungimento degli obiettivi programmati e nell’attuazione da parte degli Stati membri raccomandazioni specifiche indirizzate a ciascuno di essi dal Consiglio nel luglio 2011 in esito al primo semestre europeo.
La Commissione ricorda, in via preliminare, come le raccomandazioni, basate sulla valutazione dei programmi nazionali di riforma e dei programmi di stabilità o di convergenza, riflettevano la necessità di accelerare le riforme strutturali in determinati settori onde sbloccare il potenziale di crescita dell'Europa, con particolare attenzione all'apertura dei mercati dei servizi, al miglioramento del quadro normativo, alla garanzia dell'accesso ai finanziamenti e alla promozione dell'efficienza energetica.
La gravità della crisi economica rende, ad avviso della Commissione, fondamentale e urgente il perseguimento degli obiettivi e delle azioni sottese alle raccomandazioni, superando la distinzione tra interventi a breve e medio termine.
Avendo la crisi evidenziato come le prospettive economiche a lungo termine abbiano un impatto immediato a breve termine sui costi di finanziamento del debito sovrano e del sistema produttivo ciascun Paese dovrebbe, parallelamente alle misure a breve termine, attuare anche le riforme strutturali a lungo termine.
Livello di attuazione dei cinque grandi obiettivi della Strategia 2020
La relazione registra un livello insufficiente di realizzazione degli obiettivi della strategia, ritenendo non adeguati gli impegni assunti dagli Stati membri nei programmi nazionali di riforma presentati nella primavera 2011, in particolare per quanto riguarda l'efficienza energetica.
Nessun obiettivo sarebbe raggiunto entro il 2020 seguendo il ritmo indicato dai vari Stati membri nei rispettivi programmi (cfr. le tabelle riportate in allegato alla presente scheda).
Tenuto conto degli impegni dichiarati dagli Stati membri nei rispettivi PNR, l'obiettivo globale dell'UE riguardante il tasso di abbandono scolastico non sarebbe pienamente raggiunto entro il 2020, attestandosi al 10,5%, livello di poco superiore rispetto a quello programmatico del 10%.
Sulla base degli ultimi dati disponibili la Commissione ricorda che nel 2010 il tasso medio di abbandono scolastico nell'UE è sceso al 14,1% rispetto al 14,4% nel 2009. Permangono, tuttavia, notevoli differenze esistenti tra i diversi paesi membri e al loro interno.
Nel proprio Programma nazionale di riforma (PNR) presentato nel 2011, l’Italia ha indicato come obiettivo quello di ridurre il tasso di abbandono dall’attuale 18,8% (dati Eurostat) al 15-16%.
Anche per quanto riguarda il possesso di un diploma di istruzione superiore (fascia di età tra 30-34 anni), che negli obiettivi della strategia 2020 era fissato nel 40%, si potrebbe credibilmente ad arrivare a un livello del 37% nel 2020. Tuttavia, la Commissione ritiene che, dal momento che il tasso di completamento dell'istruzione terziaria nell'UE è passato dal 32,3% nel 2009 al 33,6% nel 2010, se fosse confermata questa tendenza di crescita, l'obiettivo del 40% potrebbe essere raggiunto nel 2020 per la fascia di età 30-34 anni.
Per quanto riguarda l’Italia, l’obiettivo è incrementare il tasso attuale (19,8%) e portarlo al 26-27%.
Cumulando gli obiettivi indicati nei PNR, l'obiettivo di portare il tasso di occupazione medio europeo al 75% nel 2020 non sarebbe raggiunto, secondo le stime della Commissione, per 1,0-1,3 punti percentuali.
A differenza del settore dell’istruzione, per l’obiettivo in questione nel 2011 non si sono registrati progressi degni di nota, per effetto del ristagno economico: il tasso di occupazione dell'UE-27 dovrebbe superare di poco il livello del 2010 (68,6%), rimanendo nettamente al di sotto del livello massimo del 70,3% precedente alla crisi.
Per raggiungere l’obiettivo in esame entro il 2020 la Commissione stima che 17,6 milioni di persone dovrebbero entrare nel mondo del lavoro.
Nel suo PNR l’Italia, ha indicato l’obiettivo si portare il tasso di occupazione dall’attuale 61,1% al 67-69%.
La relazione riporta che, considerati gli obiettivi nazionali, l'UE non riuscirebbe a raggiungere l'obiettivo di portare al 3% del PIL di spesa in ricerca e sviluppo, attestandosi tra il 2,7 e il 2,72 %.
La relazione riporta che nel 2009 il tasso di investimento in R&S era del 2,01% e si prevedono pochi progressi nel 2011.
L’Italia mira a raggiungere l’1,53% (livello attuale: 1,26%).
Considerando i traguardi fissati nei PNR, l'obiettivo UE di far uscire dalla povertà e dall'esclusione sociale almeno 20 milioni di europei entro il 2020 non sarebbe raggiunto. Secondo una stima preliminare della Commissione, entro il 2020 sarebbero sottratti alla povertà e all'esclusione sociale circa 12 milioni di persone. Questa cifra aumenterebbe del 25% tenendo conto degli effetti di ricaduta di strategie incentrate, ad esempio, sulla lotta contro la povertà infantile o sulla riduzione della disoccupazione di lunga durata, ma rimarrebbe comunque inferiore di almeno 5 milioni (25%) all'obiettivo della Strategia 2020.
L’Italia intende ridurre di 2,2 milioni l’attuale cifra di 14,7 milioni di persone a rischio povertà ed esclusione sociale.
La relazione riporta che, secondo le recenti proiezioni sulla riduzione delle emissioni, l'UE nel suo insieme raggiungerebbe l’obiettivo di riduzione del 20% delle emissioni di gas serra, mentre alcuni Stati membri avrebbero bisogno di strategie supplementari per conseguire i loro obiettivi nazionali (giuridicamente vincolanti in quanto previsti non solo dalla Strategia 2020 ma dal pacchetto clima energia[128]).
Per quanto riguarda l'efficienza energetica, è ancora in corso un'analisi globale degli obiettivi nazionali degli Stati membri e una relazione della Commissione al riguardo dovrebbe essere pronta a breve.
Il terzo obiettivo, quota del 20% di energia rinnovabile, sarebbe invece raggiunto entro il 2020 se gli Stati membri daranno piena attuazione ai loro piani d'azione sulle energie rinnovabili.
A livello di UE la quota è passata dal 10,34% nel 2008 all'11,6% nel 2009.
Per quanto concerne l’Italia, il Piano nazionale di riforme ha fissato i seguenti obiettivi:
§ 17% di energie rinnovabili (ultimo dato disponibile per l’anno 2009: 8,9%);
§ 27,90 di riduzione del consumo di energia (l’indice attuale è 140,1);
§ riduzione del 13% delle emissioni di gas serra.
Obiettivi di Europa 2020[129]
*Paesi che hanno espresso i loro obiettivi nazionali in relazione a un indicatore diverso da quello dell’obiettivo principale dell’UE
Obiettivi degli Stati membri |
Tasso di occupazione (in %) |
R&S in % del PIL |
Obiettivi in termini di riduzione delle emissioni (rispetto ai livelli del 2005)[130] |
Energie rinnovabili |
Efficienza energetica – riduzione del consumo di energia in Mtep[131] |
Abbandono scolastico in % |
Istruzione terziaria in % |
Riduzione della popolazione a rischio di povertà o di esclusione sociale in numero di persone |
AT |
77-78% |
3,76% |
-16% |
34% |
7,16 |
9,5% |
38% (compreso il livello 4A del CITE, che è attualmente al 12% circa) |
235 000 |
BE |
73.2% |
3,0% |
-15% |
13% |
9,80 |
9,5% |
47% |
380 000 |
BG |
76% |
1,5% |
20% |
16% |
3,20 |
11% |
36% |
500 000* |
CY |
75-77% |
0,5% |
-5% |
13% |
0,46 |
10% |
46% |
27 000 |
CZ |
75% |
1% (solo settore pubblico) |
9% |
13% |
n.d. |
5,5% |
32% |
Mantenimento del numero di persone a rischio di povertà o di esclusione sociale al livello del 2008 (15,3% della popolazione totale) cercando di ridurlo di 30 000 |
DE |
77% |
3% |
-14% |
18% |
38,30 |
<10% |
42% (compreso il livello 4 del CITE, che è attualmente dell'11,4%) |
330 000 (disoccupati di lunga durata)* |
DK |
80% |
3% |
-20% |
30% |
0,83 |
<10% |
Almeno il 40% |
22 000 (persone che vivono in famiglie con un'intensità di lavoro molto bassa)* |
EE |
76% |
3% |
11% |
25% |
0,71 |
9,5% |
40% |
Sottrazione di 61 860 persone al rischio di povertà* |
EL |
70% |
Nessun obiettivo disponibile |
-4% |
18% |
2,70 |
9,7% |
32% |
450 000 |
ES |
74% |
3% |
-10% |
20% |
25,20 |
15% |
44% |
1 400 000-1 500 000 |
FI |
78% |
4% |
-16% |
38% |
4,21 |
8% |
42% (definizione nazionale ristretta) |
150 000 |
FR |
75% |
3% |
-14% |
23% |
34,00 |
9.5% |
50% |
Riduzione di un terzo del tasso di rischio di povertà ancorato per il periodo 2007-2012 o di 1,600 000 persone* |
HU |
75% |
1.8% |
10% |
14.65% |
2,96 |
10% |
30,3% |
450 000 |
IE |
69-71% |
circa il 2%- 2,5% del PIL. |
-20% |
16% |
2,75 |
8% |
60% |
186 000 entro il 2016* |
IT |
67-69% |
1.53% |
-13% |
17% |
27,90 |
15-16% |
26-27% |
2 200 000 |
LT |
72.8% |
1.9% |
15% |
23% |
1,14 |
<9% |
40% |
170 000 |
LU |
73% |
2,3-2,6% |
-20% |
11% |
0,20 |
<10% |
40% |
Nessun obiettivo |
LV |
73% |
1,5% |
17% |
40% |
0,67 |
13,4% |
34-36% |
121 000* |
MT |
62.9% |
0,67% |
5% |
10% |
0,24 |
29% |
33% |
6 560 |
NL |
80% |
2,5% |
-16% |
14% |
n.d. |
<8% |
>40% 45% previsto nel 2020 |
93 000* |
PL |
71% |
1,7% |
14% |
15,48% |
14,00 |
4,5% |
45% |
1 500 000 |
PT |
75% |
2,7-3,3% |
1% |
31% |
6,00 |
10% |
40% |
200 000 |
RO |
70% |
2% |
19% |
24% |
10,00 |
11,3% |
26,7% |
580 000 |
SE |
Ben oltre l'80% |
4% |
-17% |
49% |
12,80 |
<10% |
40-45% |
Riduzione della % di donne e uomini che non fanno parte della popolazione attiva (eccetto gli studenti a tempo pieno), disoccupati di lungo periodo o persone in congedo di malattia di lunga durata ben al di sotto del 14% entro il 2020* |
SI |
75% |
3% |
4% |
25% |
n.d. |
5% |
40% |
40 000 |
SK |
72% |
1% |
13% |
14% |
1,65 |
6% |
40% |
170 000 |
UK |
Nessun obiettivo nel PNR |
Nessun obiettivo nel PNR |
-16% |
15% |
n.d. |
Nessun obiettivo nel PNR |
Nessun obiettivo nel PNR |
Obiettivi numerici esistenti della legge sulla povertà infantile del 2010* |
Stima per l'UE |
73,70-74% |
2,65-2,72% |
-20% (rispetto ai livelli del 1990) |
20% |
206,9 |
10,3-10,5% |
37,5-38,0%[132] |
|
Obiettivo principale dell'UE |
75% |
3% |
-20% (rispetto ai livelli del 1990) |
20% |
Aumento del 20% dell'efficienza energetica pari a 368 Mtep |
10% |
40% |
20 000 000 |
[1] COM(2011)311) e COM(2011)315).
[2] COM(2011)895, COM(2011)896, COM(2011)897.
[3] COM(2009)35 e COM(20011)684.
[4] COM(2009)557.
[5] COM(2011)794.
[6] COM(2011)402.
[7] COM(2011)215.
[8] COM(2011)216.
[9] Proposta di regolamento relativo ai fondi europei di venture capital (COM(2011)860).
[10] Decisione n. 1672/2006/CE che istituisce un programma comunitario per l'occupazione e la solidarietà sociale.
[11] Regolamento (UE) n. 1175/2011, del 16 novembre 2011, che modifica il regolamento (CE) n. 1466/97 del Consiglio per il rafforzamento della sorveglianza delle posizioni di bilancio nonché della sorveglianza e del coordinamento delle politiche economiche.
[12] Art. 121, par 2, stabilisce che “il Consiglio, su raccomandazione della Commissione, elabora un progetto di indirizzi di massima per le politiche economiche degli Stati membri e dell'Unione, e ne riferisce le risultanze al Consiglio europeo. Il Consiglio europeo, deliberando sulla base di detta relazione del Consiglio, dibatte delle conclusioni in merito agli indirizzi di massima per le politiche economiche degli Stati membri e dell'Unione. Sulla base di dette conclusioni, il Consiglio adotta una raccomandazione che definisce i suddetti indirizzi di massima. Il Consiglio informa il Parlamento europeo in merito a tale raccomandazione.”
[13] L’art. 148 par. 2, prevede che “sulla base delle conclusioni del Consiglio europeo, il Consiglio, su proposta della Commissione, previa consultazione del Parlamento europeo, del Comitato economico e sociale, del Comitato delle regioni e del comitato per l'occupazione di cui all'articolo 150, elabora annualmente degli orientamenti di cui devono tener conto gli Stati membri nelle rispettive politiche in materia di occupazione.”
[14] L’art. 121, par. 4 del TFUE prevede che “qualora si accerti che le politiche economiche di uno Stato membro non sono coerenti con gli indirizzi di massima o rischiano di compromettere il buon funzionamento dell'unione economica e monetaria, la Commissione può rivolgere un avvertimento allo Stato membro in questione. Il Consiglio, su raccomandazione della Commissione, può rivolgere allo Stato membro in questione le necessarie raccomandazioni. Il Consiglio, su proposta della Commissione, può decidere di rendere pubbliche le proprie raccomandazioni.”
[15] Si tratta di sei atti legislativi che, da un lato, rafforzano il Patto di stabilità e crescita, dall’altro rafforzano le norme relative ai quadri di bilancio nazionali e la sorveglianza in materia di squilibri macroeconomici. In particolare, il pacchetto comprende:
- Regolamento (UE) n. 1173/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 novembre 2011, relativo all’effettiva esecuzione della sorveglianza di bilancio nella zona euro;
- Regolamento (UE) n. 1174/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 novembre 2011, sulle misure esecutive per la correzione degli squilibri macroeconomici eccessivi nella zona euro;
- Regolamento (UE) n. 1175/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 novembre 2011, che modifica il regolamento (CE) n. 1466/97 del Consiglio per il rafforzamento della sorveglianza delle posizioni di bilancio nonché della sorveglianza e del coordinamento delle politiche economiche;
- Regolamento (UE) n. 1176/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 novembre 2011, sulla prevenzione e la correzione degli squilibri macroeconomici;
- Regolamento (UE) n. 1177/2011 del Consiglio, dell'8 novembre 2011, che modifica il regolamento (CE) n. 1467/97 per l’accelerazione e il chiarimento delle modalità di attuazione della procedura per i disavanzi eccessivi;
- Direttiva 2011/85/UE del Consiglio, dell’8 novembre 2011, relativa ai requisiti per i quadri di bilancio degli Stati membri.
[16] Vedi dossier “Trattato sulla stabilità, il coordinamento e la governance dell’Unione economica e monetaria”, n. 202 del 25 gennaio 2012, a cura dell’Ufficio Rapporti con l’UE.
[17] La Relazione riprende i dati contenuti nell’ Autumn forecast 2011 della Commissione UE.
[18] Cfr Banca d’Italia, Bollettino economico n. 67, gennaio 2012.
[19] A partire dal I trimestre 2012.
[20] Il PIL potenziale rappresenta il livello teorico massimo di produzione che un paese può raggiungere senza causare tensioni inflazionistiche: esso esprime, pertanto i fondamentali dell’economia e quindi la componente strutturale della crescita. Esso viene calcolato, in base alla metodologia concordata in sede Ue, tenendo conto sia dei valori del PIL effettivamente registrati negli anni precedenti, dia dei valori attesi nel periodo di previsione.
La deviazione del PIL registrato in un determinato momento del ciclo economico rispetto al valore potenziale è rappresentato dall’output gap (pari alla differenza in livello tra PIL effettivo e PIL potenziale, rapportata al PIL potenziale).
[21] N.B. I grafici sono tratti dalla Relazione macroeconomica e ne mantengono (per una più chiara identificazione) la numerazione.
[22] Cfr. Banca d’Italia, Relazione annuale 2010.
[23] Cfr. Banca d’Italia, Bollettino economico n.67, gennaio 2012.
[24] Tuttavia, secondo quanto previsto dall’articolo 3, comma 2, del regolamento (UE)1176/2011, “la valutazione degli Stati membri con profondi disavanzi delle partite correnti può essere differente da quella di Stati membri che hanno accumulato ampi avanzi delle partite correnti”.
[25] Commissione UE, Autumn Forecast 2011.
[26] A Grecia, Irlanda e Portogallo si aggiunge la Romania per cui è previsto un programma precauzionale di assistenza.
[27] La riduzione del deficit al di sotto del 3% del PIL entro il 2011 é richiesta a Bulgaria, Ungheria e Malta, entro il 2012 a Belgio, Cipro, Italia, Lituania e Polonia ed entro il 2013 ai restanti paesi.
[28] Cfr. articolo 2-bis del regolamento (CE) n.1466/97, come modificato dal regolamento (UE) n. 1175/2011.
[29] L’articolo 4 della bozza (31 gennaio 2012) di Trattato rinvia all’art 2 del regolamento (CE) n. 1467/97 come modificato dal regolamento (UE) n. 1177/2011.
[30] Cfr articolo 2, paragrafo 1 bis e paragrafi da 3 a 7, del regolamento (CE) n.1467/97, come modificato dal regolamento (UE) n. 1177/2011.
[31] V. ECOFIN del 4 ottobre 2011
[32] La Relazione al Parlamento sconta gli effetti delle due manovre oggetto dei decreti legge n. 98 e 138 del 2011.
[33] La Relazione al Parlamento non riporta i dati relativi al PIL potenziale: non è pertanto possibile raffrontare alla variazione di tale grandezza quella della spesa primaria.
[34] Cfr. dossier n.16 del dicembre 2011, predisposto dai servizi Bilancio e Studi della Camera e dal Servizio Bilancio del Senato sulla manovra di cui al D.L. 201/2011,
[35] L’8 novembre 2011 i servizi della Commissione hanno presentato un documento metodologico SEC(2011)1361 recante un primo set di indicatori (e relative soglie di allerta) da inserire nel quadro di valutazione previsto dal regolamento per la correzione e prevenzione degli squilibri macroeconomici (UE)1176/2011. Gli indicatori presi in considerazione sono i seguenti:
§ saldo delle partite correnti in % PIL – valore medio su tre anni;
§ posizione netta degli investimenti internazionali in % PIL;
§ tasso di cambio effettivo reale, ponderato per 35 paesi e deflazionato con l’indice armonizzato dei prezzi al consumo - variazione % rispetto a tre anni prima;
§ quota (in valore) delle esportazioni - variazione % rispetto a cinque anni prima;
§ costo nominale del lavoro per unità di prodotto (CLUP) - variazione % rispetto a tre anni prima;
§ prezzi delle case - variazione % (relativa) registrata in un anno;
§ credito al settore privato (flusso) in % PIL;
§ debito settore privato in % PIL;
§ debito pubblico in % PIL;
§ tasso di disoccupazione – valore medio su tre anni.
Il documento è stato trasmesso al Consiglio e al Parlamento europeo. Il PE, con la risoluzione del 15 dicembre 2011, ha avanzato una serie di critiche, chiedendo, tra l’altro, l’integrazione degli indicatori proposti, nonché l’indicazione per ciascuno di essi di soglie sia minime che massime. Per quanto riguarda in particolare la stabilità finanziaria, il PE ha chiesto di esplicitare la relazione tra gli indicatori proposti (che, secondo la Commissione, dovrebbero essere implementati entro la fine del 2012) e il quadro operativo previsto dal regolamento che istituisce il Comitato per il rischio sistemico (CERS).
[36] Il saldo delle partite correnti riflette l’importo dell’accreditamento/ indebitamento netto dell’economia e in tal modo fornisce informazioni circa le relazioni economiche di un paese con il resto del mondo. Un elevato deficit delle partite correnti indica che l’economia si sta indebitando, importando più di quanto riesce ad esportare. Al contrario, un alto surplus delle partite correnti potrebbe certificare una debolezza nella domanda interna che potrebbe costituire uno squilibrio.
[37] Il tasso di cambio effettivo reale (REER) è calcolato nei confronti di 35 paesi industrializzati e deflazionato con l’indice armonizzato dei prezzi al consumo. Esso può segnalare persistenti disallineamenti nell’andamento dei prezzi e, indirettamente, del costo unitario del lavoro, rispetto ai principali partners commerciali. Deviazioni significative del REER dalla media di lungo periodo segnalano variazioni del costo del lavoro superiori/inferiori a quelle della produttività e dunque il fatto che un paese ha perso/guadagnato competitività.
[38] Nel corso del 2011 si è assistito ad una riduzione dei prezzi delle principali materie prime non energetiche e dei prodotti alimentari in connessione con raccolti più abbondanti rispetto alle attese. I corsi del greggio si sono invece ridotti solo moderatamente a causa delle tensioni nell’area mediorientale. Secondo le indicazioni implicite nei contratti futures sul greggio Brent, il prezzo del petrolio, pari a 114 dollari al barile a inizio gennaio, diminuirebbe a 109 dollari nel corso dei prossimi dodici mesi.
Nell’area euro, secondo il Consensus Economics del mese di gennaio, l’inflazione al consumo (IPCA) dovrebbe scendere dal 2,7% nel 2011 all’1,9% per l’anno in corso. Più elevate le stime per quanto riguarda l’Italia, per la quale il Consensus indica una variazione pari al 2,3% nella media del 2012 a fronte del +2,8% (in termini di IPC) o del +2,9% (se misurata in termini di IPCA) del 2011. Come sottolineato da B.I. (v. Bollettino economico n. 67 del gennaio 2012), tale valutazione non tiene, tuttavia, interamente conto degli effetti derivanti dagli ulteriori aumenti delle imposte indirette decisi nell’ambito della manovra correttiva del dicembre scorso. Tenendo conto dei suddetti effetti, l’IPCA segnerebbe un +3,1% nel 2012 e un +2,4% nel 2013.
[39] Secondo l’Istat (stime al 31 gennaio 2012), a dicembre 2011 il tasso di disoccupazione tra i giovani di età compresa tra i 15 e i 24 anni avrebbe raggiunto il 31% a fronte di un tasso di disoccupazione complessivo dell’8,9%.
[40] B.I., Bollettino economici n. 27, gennaio 2012.
[41] In occasione della presentazione alla Commissione europea degli aggiornamenti annuali dei Programmi di stabilità, i Paesi membri devono presentare un’analisi sulla sostenibilità di lungo periodo delle finanze pubbliche. Essa si basa sulle ipotesi relative all’evoluzione delle variabili demografiche e macroeconomiche e alle proiezioni delle spese legate all’invecchiamento, nonché sui seguenti parametri:
§ livelli del rapporto debito/PIL e dell’avanzo primario strutturale nell’anno base preso a riferimento nell’analisi medesima;
§ tasso di interesse reale costante per tutto il periodo di riferimento;
§ variazione dell’avanzo primario strutturale per effetto delle sole variazioni delle spese correlate all’invecchiamento della popolazione e dei redditi proprietari.
Sulla base di tali ipotesi, l’analisi è condotta attraverso la proiezione del rapporto debito/PIL al 2060 e il calcolo di alcuni indicatori sintetici di sostenibilità. In particolare, l’indicatore S2. misura l'ampiezza dell'aggiustamento fiscale permanente, in termini di saldo primario strutturale, necessario per raggiungere l'obiettivo del vincolo intertemporale su un orizzonte infinito. E' possibile scomporre l’indicatore in due componenti, al fine di valutare se i rischi alla sostenibilità provengono dalla posizione fiscale corrente (disavanzo primario strutturale e stock di debito) e/o dal progressivo invecchiamento della popolazione. La posizione fiscale iniziale corrente misura la distanza tra l'avanzo primario strutturale alla fine del periodo preso in considerazione e quello in grado di mantenere costante il rapporto debito/PIL al livello iniziale, coeteris paribus. L'impatto di lungo periodo sul saldo primario quantifica, invece, l'impatto dell'invecchiamento della popolazione sul bilancio, prevedendo un ulteriore aggiustamento per fare fronte all'aumento delle spese connesse con tale fenomeno. E’ da notare che tale parametro non prende in considerazione gli effetti delle riforme più recenti, quali quelle del 2010 e tanto meno quelle del 2011: convenzionalmente, infatti, si utilizzano i dati risultanti dall’ultimo Ageing report della Commissione, che risale al 2009.
Il valore di S2 é dato dalla somma algebrica di tali componenti. Valori positivi indicano la necessità di uno sforzo di aggiustamento permanente per soddisfare l’una o l'altra delle condizioni, tanto maggiore quanto maggiore è la grandezza assunta dagli indicatori. Valori negativi indicano, invece, che la sostenibilità di lungo periodo non richiede sforzi addizionali permanenti.
[42] Banca d’Italia, Relazione annuale 2010 e Rapporto sulla stabilità finanziaria n. 2 del 2011.
[43] Secondo le indicazioni contenute nel documento di lavoro presentato dalla Commissione nel novembre 2010 la soglia di allerta per il debito del settore privato era fissata al 180% del PIL.
[44] SEC(2011 1361 final (cfr supra).
[45]http://www.finanze.gov.it/export/download/novita2012/28_11_2011_relazione_finale_erosione_fiscale_opt.pdf; http://www.finanze.gov.it/export/download/novita2012/28_11_2011_relazione_finale_erosione_fiscale_opt.pdf
[46] Disponibile sul Portale del Dipartimento delle Finanze, all’indirizzo http://www.finanze.gov.it/export/download/novita2012/manovra_dicembre_2011.pdf
[47] Gruppo di lavoro che opera all’interno del Consiglio dell’UE.
[48] Il gruppo “Politica fiscale” è stato costituito nel 1996 su iniziativa dell’allora Commissario al mercato unico e alla fiscalità, Mario Monti. E’ formato da rappresentanti dei ministeri delle finanze degli Stati membri e presieduto dal Commissario alla fiscalità.
[49] Il Comitato, istituito con la decisione 2000/604/CE, contribuisce alla preparazione dei lavori del Consiglio ECOFIN fornendo analisi economiche, pareri sulle metodologie e progetti di formulazione di raccomandazioni politiche, con particolare riferimento alle politiche strutturali per il miglioramento del potenziale di crescita e dell'occupazione. Gli Stati membri, la Commissione e la Banca centrale europea nominano ciascuno 4 membri del comitato.
[50] Adottato dal Consiglio ECOFIN il 1° dicembre 1997.
[51] Il gruppo “codice di condotta” è stato istituito dal Consiglio ECOFIN nel 1998, con l’incarico di valutare le misure fiscali che possono rientrare nel campo di applicazione del codice e di controllare la comunicazione delle informazioni relative a tali misure. E’ costituito daun rappresentante ad alto livello e da un membro supplente per ciascuno Stato membro e per la Commissione europea.
[52] Il programma Fiscalis, istituito con Decisione n. 1482/2007/CE e vigente per il periodo 2007-2013, mira a potenziare il coordinamento tra i sistemi fiscali nazionali esistenti. Per il periodo 2014.2020, la Commissione ha proposto il programma FISCUS 2020 (COM(2011)706), che mira a rendere le amministrazioni fiscali nazionali più efficaci quando si occupano di operazioni transfrontaliere, al fine di opporsi meglio alla frode fiscale e di accrescere le entrate fiscali.
[53] Per un approfondimento si rinvia allo specifico dossier Esame di atti e documenti dell’Unione europea “Revisione degli orientamenti per le reti transeuropee di trasporto, telecomunicazioni ed energia. Connecting Europe facility” n. 114 del 19 gennaio 2012, a cura dell’ufficio Rapporti con l’Unione europea.
[54] Approvata sempre il 25 gennaio 2012.
[55] La riduzione lineare delle dotazioni delle missioni di spesa dei Ministero, disposta a partire dal D.L. n. 112/2008, ha sempre operato negli importi resi “aggredibili” dall’esclusione delle dotazioni finanziarie connesse a specifiche categorie di spesa, quali stipendi, assegni, pensioni e altre spese fisse; spese per interessi; trasferimenti a enti territoriali aventi natura obbligatoria ecc..
[56] La Corte dei Conti, nel citato Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica 2011, osserva che i ripetuti provvedimenti che hanno disposto tagli, lineari o non, alla spesa statale, già a partire dal 2002, non hanno salvaguardato gli investimenti e le spese in conto capitale, in contraddizione con gli impegni programmatici, di natura strutturale, verso il rilancio e l’accelerazione delle opere pubbliche e delle infrastrutture. Sulla base dell’analisi svolta dalla Corte, infatti, risulta che i tagli agli stanziamenti di bilancio sono stati sempre proporzionalmente molto più severi per le spese in conto capitale, in quanto l’ammontare di spesa in conto capitale “aggredibile” dai tagli supera - ad esempio in occasione dei tagli disposti con il D.L. n. 112/2008 - addirittura in valore assoluto, quella relativa alla spesa corrente. In altri termini, sono sottoposti alle riduzioni lineari poco meno del 4 per cento delle spese correnti al netto degli interessi e oltre il 50 per cento della spesa in conto capitale.
[57] Ai sensi dell’articolo 21, commi 5 e 7, della legge n. 196/2009 (legge di contabilità e finanza pubblica), le spese rimodulabili sono quelle derivanti da fattori legislativi e quelle di adeguamento al fabbisogno.
[58] Le categorie di spesa in questione sono state assoggettate a misure di contenimento introdotte da numerosi provvedimenti che si sono susseguiti nel tempo. Pertanto, le riduzioni attualmente vigenti intervengono su una categoria di spesa già “tagliata” in passato.
[59] Articolo 3, commi da 44 a 52-bis della legge finanziaria per il 2008 e, da ultimo, l’articolo 23-ter del decreto legge n. 201/2011.
[60] Tra i quali si ricordano, in particolare, l’articolo 66 del D.L. 112/2008; l’articolo 9 del D.L. 78/2010; l’articolo 1, commi 11-119 della legge di stabilità 2011 (legge n. 220/2011); l’articolo 16 del D.L. 98/2011; l’articolo 1 del D.L. 138/2011; articolo 4, commi 102-103, della legge di stabilità 2012 (legge n. 183/2011).
[61] Legge n. 191/2009.
[62] Convertito dalla legge n. 122/2010.
[63] Legge n. 220/2010.
[64] La citata Commissione provvede alla ricognizione e all’individuazione dei criteri di livellamento remunerativo. La Commissione è stata istituita con DPCM 28 luglio 2011, e ha reso noto, il 2 gennaio 2012, un rapporto (cd. Giovannini, dal nome del Presidente dell’Istat che la presiede) circa l’attività svolta e risultati conseguiti al 31 dicembre 2011.
[65] Il Programma non risulta ancora presentato.
[66] Recante “Meccanismi sanzionatori e premiali nei confronti di regioni, province e comuni”.
[67] La fattispecie di dissesto finanziario degli enti locali è disciplinata dagli articoli 244 ss. del D.Lgs. n.267/2000.
[68] Il decreto legislativo n. 231/2002, nei suoi 11 articoli, disciplina i ritardi nei pagamenti a titolo di corrispettivo per una transazione commerciale, definendo i contratti tra imprese o tra imprese e pubbliche amministrazioni che comportano, in via esclusiva o prevalente, la consegna di merci o la prestazione di servizi, contro pagamento di un prezzo.
Il decreto dispone che i creditori della P.A. (nella quale rientrano gli enti statali e territoriali, gli enti pubblici non economici e altri enti di diritto pubblico esplicitamente menzionati) hanno diritto alla corresponsione di interessi moratori, salvo che si dimostri che il ritardo nel pagamento del prezzo sia stato determinato dall’impossibilità della prestazione per causa non imputabile all’ente della P.A. Gli interessi sono previsti in via automatica e, in linea generale, senza che sia necessaria la costituzione in mora, alla scadenza del termine legale. Il creditore inoltre ha diritto al risarcimento dei costi sostenuti per il recupero delle somme non corrispostegli tempestivamente, a meno che l’ente della PA dimostri che il ritardo non sia ad esso imputabile.
[69] Sono esclusi dalla normativa gli enti del servizio sanitario nazionale.
[70] Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività, pubblicato in G.U. n. 18/L del 24 gennaio 2012.
[71] Si veda il Dossier Attività dell’Unione europea n. 200 “Raccomandazione dell’EBA sulla ricapitalizzazione delle banche” del 9 dicembre 2011, a cura dell’ufficio Rapporti con l’Unione europea.
[72] Il FEI, che insieme alla Banca costituisce il gruppo BEI, è il suo braccio finanziario, specializzato nel finanziamento delle PMI attraverso operazioni di capitale di rischio.
[73] Divario tra i rendimenti dei titoli dello Stato italiani e tedeschi di durata omogenea (di norma 10 anni). Maggiore è lo spread, più è alto il costo per l’emittente dei titoli (ossia lo Stato per il rifinanziamento del debito in scadenza). Un continuo andamento crescente dello spread potrebbe determinare, nel medio-lungo periodo, situazioni di insolvenza con rischi di svalutazione del titolo stesso.
[74] Le distorsioni osservate sul lato della domanda dei titoli potrebbero essere in parte ascrivibili alla stessa politica di intervento della BCE, limitata ad alcuni settori del mercato dei titoli pubblici italiani (BTP nominali con durata compresa tra i 2 e i 10 anni). Inoltre, l’inversione della curva dei rendimenti appare incorporare le aspettative degli investitori in un momento in cui le prospettive di una soluzione della crisi dei debiti sovrani, ed in particolare della crisi greca, sembravano allontanarsi.
[75] L’effetto di immissione di liquidità prodotto dagli acquisti della Banca Centrale è completamente sterilizzato mediante specifiche operazioni di assorbimento della liquidità. Per le motivazioni dell’attivazione di tale intervento, cfr Bollettino mensile della BCE del settembre 2011, in cui è presentata un’analisi dei meccanismi attraverso i quali le disfunzioni sui mercati dei titoli di Stato si trasferiscono all’economia reale.
[76] Le medesime riduzioni sono intervenute per il tasso di rifinanziamento marginale e per i tassi sui depositi presso la banca centrale che sono stati portati rispettivamente all’1,75% e allo 0,25%.
[77] Si veda, in proposito, l’approfondimento sulla risoluzione in Commissione 7-00754.
[78] Si ricorda che il 30 novembre 2011 la BCE ha promosso un accordo con la Federal Reserve e le banche centrali di Canada, Inghilterra, Giappone e Svizzera diretto a fornire liquidità in dollari a basso costo alle banche centrali europee .
[79] Si ricorda che la gran parte (circa l’83 per cento) del debito pubblico è costituito da titoli di Stato.
[80] Sin dalla metà degli anni novanta (a seguito della crisi monetaria e finanziaria del 1992) , al fine di ridurre il rischio di rifinanziamento, il Tesoro ha perseguito la politica di redistribuzione nel tempo dell’onere dei rimborsi attraverso l’allungamento della durata dei titoli in modo, al fine di alleggerire la pressione sui mercati e non metterne a rischio la capacità di assorbimento delle emissioni.
[81] Al fine di proteggere il bilancio dello Stato da shock da tasso, già dalla metà degli anni novanta, il Tesoro ha intrapreso una strategia di emissione finalizzata a favorire il comparto a tasso fisso riducendo la componente variabile.
[82] La vita media del debito è l’indicatore che tiene conto della scadenza temporale dell’onere del rimborso. La duration, che al 31.12.2010 è pari a 4,91 anni, è invece al durata finanziaria ovvero un indicatore che tiene conto anche dei flussi di pagamento degli interessi.
[83] Cfr. Audizione della Dr.ssa Maria Cannata Bonfrate, Dirigente generale Capo della Direzione II - Debito pubblico del Ministero dell'economia e delle finanze, il 17 gennaio 2012 presso la Commissione Bilancio V della Camera dei Deputati.
[84] Il dato si riferisce ad una stima al 31 novembre 2011, riportata in Banca d’Italia. Bollettino economico – gennaio 2012. Tavola A11 della documentazione statistica.
[85] Il differenziale di rendimento dei titoli di Stato italiani iniziava ad allargarsi non solo nei confronti dei titoli tedeschi ma anche nei confronti di quelli spagnoli.
[86] In concomitanza con le normali sessioni d'asta a medio-lungo termine, il Tesoro si riserva la facoltà di riaprire titoli non più in corso di emissione (off-the-run) mediante il sistema d'asta marginale, con determinazione discrezionale del prezzo di aggiudicazione e della quantità all'interno di un intervallo di emissione minimo e massimo riferito al complesso dei titoli off-the-run in offerta.
[87] Nel mese di settembre 2011 sono state effettuate operazioni di riacquisto a valere, per 1,4 miliardi di euro, sulle risorse del Fondo ammortamento per il debito pubblico.
[88] Sulla base delle stime della Banca d’Italia le risorse necessarie a finanziare nel 2012 il debito in scadenza e il nuovo disavanzo ammonterebbero a circa il 23,5 del PIL. Banca d’Italia. Rapporto sulla stabilità finanziaria – novembre 2011.
[89] Le proposte si basano sui risultati di una consultazione pubblica che si è conclusa il 18 aprile 2011 sul Libro verde (COM(2011)15) della Commissione europea riguardante la modernizzazione della politica dell’UE in materia di appalti pubblici. Il Libro verde è stato esaminato, ai sensi dell’articolo 127 del Regolamento della Camera, dalla VIII Commissione Ambiente che in esito all’esame ha approvato, il 14 aprile 2011, un documento finale.
[90] Per approfondimenti si veda il tema dell’attività parlamentare curato dal Servizio Studi al link http://www.camera.it/465?area=11&tema=263&L%27attuazione+della+direttiva+%22servizi%22
[91] D.L. 70/2011, articolo 1.
[92] Si ricorda che, ai sensi dell’art. 123, comma 1, del Codice dei contratti per gli appalti aventi ad oggetto la sola esecuzione di lavori, le stazioni appaltanti hanno facoltà, senza procedere a pubblicazione di bando, di invitare a presentare offerta almeno venti concorrenti, se sussistono in tale numero soggetti qualificati in relazione ai lavori oggetto dell’appalto, individuati tra gli operatori economici iscritti nell’elenco disciplinato dai commi successivi.
[93] L'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici (AVCP) ha emanato la determinazione 7 luglio 2011, n. 4 con cui ha fornito "Linee guida sulla tracciabilità dei flussi finanziari ai sensi dell'articolo 3 della legge 13 agosto 2010 n. 136.
[94] http://www.senato.intranet/commissioni/4570/106763/317332/sommarioindagini.htm.
[95] Con il termine “cloud computing” (nuvola informatica) si indica un insieme di tecnologie che permettono, attraverso la fornitura di un servizio offerto da un provider al cliente, di memorizzare, archiviare ed elaborare dati grazie all'utilizzo di risorse disponibili in Rete, e di potervi accedere da qualunque postazione collegata ad Internet.
[96] Come previsto dalla strategia, il 10 marzo 2011 la Commissione ha presentato la relazione 2011 sugli ostacoli agli scambi e agli investimenti - Impegnare i nostri partner economici strategici a migliorare l'accesso al mercato (COM (2011) 114).
[97] Sono in via di negoziazione accordi di libero scambio con Canada, India, Malesia, Mercosur, Singapore, Ucraina, Comunità andina, ASEAN.
[98] Articolo 42 del D.L. 78/2010.
[99] COM( 2008)394.
[100] COM(2011)78.
[101] Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici - D.L. 201/2011 , convertito con modificazioni dalla L.214/2011.
[102] di cui all'articolo 2, comma 100, lett. a), della legge 23 dicembre 1996, n. 662 e successive modificazioni ed integrazioni.
[103] I benefici previdenziali introdotti con il decreto legislativo n.67/2011 sono stati peraltro fortemente attenuati, nel quadro della complessiva riforma del sistema pensionistico, con l’articolo 24, comma 17, del decreto legge n.201 del 2011.
[104]www.fondazionesvilupposostenibile.org/f/Documenti/Manifesto_per_un_futuro_sostenibile_dell_Italia.pdf
[105] http://www.cnel.it/53?shadow_documenti=22638.
[106] EUROSTAThttp://epp.eurostat.ec.europa.eu/tgm/printTable.do?tab=table&plugin=1&language=fr&pcode=tsiir110&printPreview=true#
[107] EUROSTAT http://epp.eurostat.ec.europa.eu/tgm/table.do?tab=table&init=1&language=fr&pcode=tsisc060&plugin=1
[108] 45° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese 2011 (2 dicembre 2012).
[109] I dati sono tratti dalla sintesi del rapporto.
http://www.almalaurea.it/universita/occupazione/occupazione09/Laureati_lavoro_persistere_crisi.pdf
[110] L’audizione si è svolta il 17 maggio 2011
http://xvi.intra.camera.it/461?shadow_organo_parlamentare=1504&stenog=/_dati/leg16/lavori/stencomm/11/indag/dinamiche/2011/0517&pagina=s010
[111] Statistiche del Miur elaborate dalla Fondazione Agnelli, Rapporto sull’offerta formativa italiana e riforma “3+2”, gennaio 2012,
http://www.fga.it/uploads/media/I_nuovi_laureati_-_Presentazione_24.01.pdf
[112] Dati Almalaurea 2011, Profilo laureati 2010
http://www.almalaurea.it/universita/profilo/profilo2010/premessa/pdf_indice.shtml
[113]Cfr. la relazione tecnica al testo come approvato senza modificazioni dal Senato (AS 3066).
[114]Cfr. la relazione tecnica al testo del D.L. n. 201/2011, come approvato dal Senato.
[115] Basata sulla distribuzione della spesa per consumi.
[116] Basata sulla valutazione monetaria di un paniere di beni e servizi considerati essenziali.
[117] Legge n. 183/2011.
[118] Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, Decreto 2 settembre 2009, Criteri e modalità di utilizzo, da parte di taluni beneficiari, della «Carta Acquisti».
[119] Ministero dell’economia e delle finanze, Decreto 30 novembre 2009, Modifiche procedurali relative alla consegna della Carta Acquisti, e definizione dei criteri per l'erogazione del contributo Eni S.p.A. ai beneficiari della Carta Acquisti utilizzatori di gas naturale o GPL.
[120] Decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225, Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie, convertito con modificazioni dalla L. 26 febbraio 2011, n. 1.
[121] COM(2011)803 del 23.11.2011.
[122] D.L. 25 giugno 2008, n. 112, Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria, convertito con modificazioni da L: 6 agosto 2008, n. 133.
[123] L. 18 giugno 2009, n. 69, Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile.
[124] L. 7 agosto 1990, n. 241, Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi.
[125] L. 3 ottobre 2011, n. 174, Disposizioni per la codificazione in materia di pubblica amministrazione.
[126] L. 4 marzo 2009 n. 15, Delega al Governo finalizzata all'ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e alla efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni nonché disposizioni integrative delle funzioni attribuite al Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro e alla Corte dei conti.
[127] D.L. 29 novembre 2008, n. 185, Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale, convertito, con modificazioni, da L. 28 gennaio 2009, n. 2.
[128] Il pacchetto clima energia comprende:
§ la direttiva 2009/29/CE che modifica la direttiva 2003/87/CE al fine di perfezionare ed estendere il sistema comunitario per lo scambio di quote di emissione di gas a effetto serra;
§ la decisione 406/2009/CE che ripartisce tra gli Stati membri gli sforzi di riduzione delle emissioni di gas serra, fissando precisi obiettivi nazionali di riduzionerispetto ai livelli del 2005 (per l'Italia il 13%), al fine di adempiere agli impegni della Comunità entro il 2020;
§ la direttiva 2009/28/CE che stabilisce un nuovo quadro comune per la promozione dell’energia da fonti rinnovabili, fissando obiettivi nazionali obbligatori per la quota di energia da fonti rinnovabili sul consumo finale lordo di energia nel 2020 (17% per l'Italia);
§ la direttiva 2009/31/CE relativa all’istituzione di un quadro giuridico per lo stoccaggio geologico ambientalmente sicuro di biossido di carbonio (CO2) con la finalità di contribuire alla lotta contro i cambiamenti climatici;
§ il regolamento (CE) 443/2009, che definisce i livelli di prestazione delle autovetture nuove al fine di ridurre le emissioni di CO2 dei veicoli leggeri (130g CO2/km a partire dal 2012);
§ la direttiva 2009/30/CE che fissa specifiche tecniche per i carburanti.
[129] Gli obiettivi definitivi a livello nazionale sono stati stabiliti nei programmi nazionali di riforma nell'aprile 2011.
[130] Gli obiettivi nazionali in termini di riduzione delle emissioni definiti nella decisione 2009/406/CE (detta "decisione sulla condivisione dello sforzo") riguardano le emissioni non contemplate dal sistema di scambi di emissioni: queste ultime saranno ridotte del 21% rispetto ai livelli del 2005. La riduzione complessiva di emissioni corrispondente sarà del 20% rispetto ai livelli del 1990.
[131] Va osservato che le proiezioni nazionali variano anche a seconda dell'anno o degli anni di riferimento per la stima dei risparmi.
[132] Il calcolo non comprende l'ISCED 4 (Germania, Austria); risultato comprensivo di ISCED 4: 39,9 -40,4%.