Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento bilancio
Titolo: Analisi annuale della crescita - Comunicazione della Commissione Europea - Profili d'interesse delle Commissioni V Bilancio e VI Finanze
Serie: Documentazione e ricerche    Numero: 201    Progressivo: 5
Data: 28/02/2011
Descrittori:
COMMISSIONE DELL' UNIONE EUROPEA   ECONOMIA NAZIONALE
Organi della Camera: V-Bilancio, Tesoro e programmazione
VI-Finanze

 

Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione e ricerche

Analisi annuale della crescita
Comunicazione della Commissione Europea

 

Profili d’interesse delle Commissioni
V Bilancio e VI Finanze

 

 

 

 

 

 

n. 201/5

 

 

 

28 febbraio 2011


Servizi responsabili:

Servizio Studi – Area finanza pubblica

( 066760-9496 * st_finanze@camera.it
( 066760-9932 * st_bilancio@camera.it

 


Servizio Bilancio dello Stato
Andamenti di finanza pubblica - dossier n. 13

( 066760-2174 / 066760-9455 – * bs_segreteria@camera.it

 


Segreteria Generale
– Ufficio Rapporti con l’Unione europea

( 066760-2145 – * cdrue@camera.it

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

§         La parte introduttiva è stata curata dall’Ufficio rapporti con l'Unione europea.

§         La parte relativa ai profili macroeconomici (Allegato 2 dell’Analisi) è stata curata dal Servizio Bilancio dello Stato.

§         Le schede di approfondimento settoriale di interesse delle Commissioni sono state redatte dal Servizio Studi.

 

I dossier dei servizi e degli uffici della Camera sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.

File: BI0381.doc


INDICE

L’Analisi annuale della crescita                                                                       3

§      Il semestre europeo                                                                                         3

§      Struttura e contenuti dell’analisi annuale della crescita                                  4

§      Posizione del Parlamento europeo                                                                 9

Profili di interesse delle Commissioni V- Bilancio e VI - Finanze             11

§      1. L’analisi della Relazione macroeconomica (Allegato 2)                           11

§      2. L’avvio del “semestre europeo” e la proposta di riforma della programmazione economico finanziaria nazionale                                                                                      28

§      3. Il rilancio della politica di sviluppo del Mezzogiorno: il Piano per il Sud     33

§      4. Riforme strutturali: il federalismo fiscale                                                   39

§      5. Garantire la stabilità del settore finanziario                                               44

§      6. Attirare capitali privati per finanziare la crescita                                        48

§      7. Gli incentivi per la ricerca e l’innovazione                                                  51

§      8. La fiscalità per favorire la produttività del lavoro                                        54

§      9. La fiscalità nel settore energetico                                                              56

 


L’Analisi annuale della crescita

L’analisi annuale della crescita, oggetto del presente dossier, è stata presentata dalla Commissione europea il 12 gennaio 2011 e costituisce il primo atto con la quale si avvia, per la prima volta, il semestre europeo per il coordinamento ex ante delle politiche economiche.

Anche sulla base dell’analisi annuale, il Consiglio europeo del 24-25 marzo 2011 individuerà le priorità per gli Stati membri in materia di riforme strutturali e di risanamento di bilancio, nonché quelle per l’Unione europea nei suoi settori di competenza diretta, in particolare il mercato interno.

In coerenza con gli orientamenti delineati dal Consiglio europeo di marzo, gli Stati membri presenteranno entro aprile, contestualmente, i programmi nazionali di riforma e i programmi di stabilità o di convergenza.

Le decisioni del Consiglio europeo di marzo saranno oggetto di esame preliminare in seno all’Eurogruppo e al Consiglio Ecofin che si svolgeranno il 14 e 15 marzo.

Il semestre europeo

Il semestre europeo, avviato per la prima volta nel 2011 in base ad una decisione del Consiglio ECOFIN del 7 settembre 2010, consiste in un ciclo di procedure volto ad assicurare un coordinamento ex-ante delle politiche economiche nell’Eurozona e nell’UE.

Il ciclo include le seguenti fasi:

§      gennaio: presentazione da parte della Commissione dell’analisi annuale della crescita;

§      febbraio/marzo: il Consiglio europeo elabora le linee guida di politica economica e di bilancio a livello UE e a livello di Stati membri;

§      metà aprile: gli Stati membri sottopongono contestualmente i Piani nazionali di riforma (PNR, elaborati nell’ambito della nuova Strategia UE 2020) ed i Piani di stabilità e convergenza (PSC, elaborati nell’ambito del Patto di stabilità e crescita), tenendo conto delle linee guida dettate dal Consiglio europeo;

§      inizio giugno: sulla base dei PNR e dei PSC, la Commissione europea elabora le raccomandazioni di politica economica e di bilancio rivolte ai singoli Stati membri;

§      giugno: il Consiglio ECOFIN e, per la parte che gli compete, il Consiglio Occupazione e affari sociali, approvano le raccomandazioni della Commissione europea, anche sulla base degli orientamenti espressi dal Consiglio europeo di giugno;

§      seconda metà dell’anno: gli Stati membri approvano le rispettive leggi di bilancio, tenendo conto delle raccomandazioni ricevute. Nell’indagine annuale sulla crescita dell’anno successivo, la Commissione dà conto dei progressi conseguiti dai Paesi membri nell’attuazione delle raccomandazioni stesse.

L’obiettivo del nuovo meccanismo, secondo quanto indicato dal Consiglio e dalla Commissione, non è quello di sottoporre i bilanci nazionali ad una sorta di valutazione o approvazione preventiva, prima che vengano presentati ai Parlamenti nazionali, bensì di fornire elementi per una discussione ex-ante sulle politiche di bilancio.

In vista dell’avvio delle nuove procedure, gli Stati membri hanno sottoposto entro il 12 novembre 2010 alla Commissione europea, su sua richiesta e in via transitoria, una bozza dei Programmi nazionali di riforma (PNR) per il perseguimento degli obiettivi della Strategia 2020 per la crescita e l’occupazione, approvata dal Consiglio europeo di giugno 2010. La bozza di PNR dell’Italia è stata inviata il 12 novembre alla Commissione europea dopo essere stata trasmessa alle Camere. Alla Camera, il documento è stato esaminato, con i rilievi delle altre commissioni interessate, dalla Commissione bilancio, che ha approvato una risoluzione il 12 novembre 2010.

Struttura e contenuti dell’analisi annuale della crescita

L’analisi annuale della crescita si compone di quattro parti:

§       una parte generale recante l’indicazione delle dieci azioni ritenute prioritarie per l’economia europea;

§       una relazione sui progressi compiuti per quanto riguarda la strategia per la crescita e l’occupazione UE 2020 (allegato 1);

§       una relazione macroeconomica, che illustra le prospettive macroeconomiche e indica le misure più atte a produrre effetti positivi favorevoli alla crescita (allegato 2);

§       il progetto di relazione comune sull'occupazione, che esamina la situazione occupazionale e le politiche connesse al mercato del lavoro (allegato 3).

Parte generale

La prima parte, dopo una breve analisi della situazione macroeconomica dell’UE; indica i requisiti e le misure ritenute necessarie per rispondere alla crisi e attuare gli obiettivi della strategia per la crescita e l’occupazione UE 2020.

In particolare, la Commissione prospetta 10 azioni relative a tre aspetti principali:

§       prerequisiti fondamentali per la crescita

1.      attuazione di un risanamento di bilancio rigoroso

2.      correzione degli squilibri macroeconomici

3.      garanzia della stabilità del settore finanziario

mobilitare i mercati del lavoro, creare opportunità occupazionali

4.      rendere il lavoro più attraente

5.      riformare i sistemi pensionistici

6.      reinserire i disoccupati nel mondo del lavoro

7.      conciliare sicurezza e flessibilità

§       accelerare la crescita

8.      sfruttare il potenziale del mercato unico

9.      attrarre capitali privati per finanziare la crescita

10.  creare un accesso all'energia che sia efficace in termini di costi

Relazione sui progressi compiuti per quanto riguarda la strategia UE 2020 (all. 1)

La relazione esamina lo stato di attuazione degli obiettivi principali della Strategia 2020 sulla base dei progetti di programmi nazionali di riforma (PNR), trasmessi dagli Stati membri nel novembre 2010, e degli altri interventi e riforme previsti dagli Stati stessi.

 

La Strategia 2020 si articola intorno a cinque obiettivi principali:

§       portare al 75% il tasso di occupazione per la popolazione di età compresa tra 20 e 64 anni, anche mediante una maggiore partecipazione dei giovani, dei lavoratori più anziani e di quelli poco qualificati e una migliore integrazione dei migranti nella popolazione attiva;

Secondo gli ultimi dati Eurostat, diffusi il 28 ottobre 2010 e riferiti al 2009, il tasso di occupazione ha raggiunto il 64,6% nell’UE a 27; il 64,7% nell’Eurozona; i Paesi con le migliori performances risultano essere i Paesi Bassi (77%), la Danimarca (75,7%), e la Svezia (72,2%); tra i Paesi di maggiori dimensioni economiche e demografiche, nel Regno Unito si è registrato un tasso del 69,9% di occupati, in Germania il 70,9%, in Francia il 64,2%, in Spagna il 59,8%, in Italia il 57,5% (soltanto Ungheria e Malta registrano una percentuale più bassa).

§       migliorare le condizioni per la ricerca e lo sviluppo, in particolare allo scopo di portare al 3% del PIL la spesa per investimenti pubblici e privati combinati in tale settore.

Il 28 ottobre 2010 Eurostat ha reso noti i dati relativi alla quota di PIL investita  nel settore ricerca e sviluppo tecnologico, a livello dell’UE e dei singoli Stati membri, nel 2008: nell’UE a 27 tale quota è pari all'1,9% del PIL, (+0,5% rispetto al 2007). In Italia la quota in termini percentuali del PIL risulta pari all’1,18% (invariata rispetto al 2007). Gli investimenti più consistenti in R&S in percentuale del PIL sono state registrati in Svezia (3,75% del PIL), Finlandia (3,73%), Danimarca (2,72%), Austria (2,67%), e Germania (2,63%), mentre quelle più basse sono state rilevate a Cipro (0,46%), in Slovacchia (0,47 %), e in Bulgaria (0,49%). Si segnalano inoltre i dati di Francia, (2,02%), Regno Unito (1,88%) e Spagna (1,35);

§       ridurre le emissioni di gas a effetto serra del 20% - rispetto ai livelli del 1990 - o del 30%, se sussistono le necessarie condizioni, ovvero nel quadro di un accordo globale e completo per il periodo successivo al 2012, a condizione che altri Paesi si impegnino ad analoghe riduzioni delle emissioni; contestualmente, si intende portare al 20% la quota delle fonti di energia rinnovabile e migliorare del 20% l'efficienza energetica (obiettivo già previsto nel pacchetto clima-energia approvato nel 2009).

Secondo i dati UE Eurostat, l’UE-27nel 2008 avrebbe ridotto dell’11,3% le emissioni rispetto al 1990; l’Italia ha conseguito un aumento del 4,7%; la Francia ha ridotto del 6,4%; la Germania -22,2% (riduzione superiore all’obiettivo richiesto); il Regno Unito -18,6%; la Spagna ha registrato un aumento del 42,3%.

Per quanto concerne la quota di energie rinnovabili sul totale del fabbisogno, l’Italia registra una percentuale del 17%, a fronte del dato complessivo dell’UE-17 pari al 20% (Germania: 18%; Francia: 23%; Regno Unito: 15%; Spagna: 20%);

§       migliorare i livelli d'istruzione, in particolare riducendo i tassi di dispersione scolastica al di sotto del 10% e aumentando la percentuale delle persone tra i 30 e i 34 anni che hanno completato l'istruzione terziaria o equivalente almeno al 40%. Il Consiglio europeo ha ribadito la competenza degli Stati membri a definire e attuare obiettivi quantitativi nel settore dell'istruzione.

Secondo i dati diffusi da Eurostat il 29 ottobre 2010, il tasso di dispersione scolastica dei ragazzi di età compresa tra i 18 e i 24 anni  è stato, nel 2009, pari al 14,4% nell’UE-27; al 19,2% in Italia, al 12,3% in Francia, all’1,1% in Germania, al 15,7% nel Regno unito, al 31,2% in Spagna. Sempre secondo dati Eurostat, la percentuale delle persone tra i 30 e i 34 anni che hanno completato l'istruzione terziaria o equivalente risulta invece pari al 32,3% nell’UE a-27; al 19% in Italia; 43,3% in Francia; 29,4% in Germania; 42,5% in Regno Unito; 39,4% in Spagna;

§       promuovere l'inclusione sociale, in particolare attraverso la riduzione della povertà, mirando a liberare almeno 20 milioni di persone dal rischio di povertà e di esclusione.

Il 28 ottobre 2010 ha pubblicato i dati – in termini assoluti - relativi alla popolazione che nel 2008 risultava a rischio di povertà o esclusione sociale: nell’UE-27, oltre 120 milioni di persone; in Italia poco più di 15 milioni; in Francia 11,4 milioni; in Germania 16,5 milioni; nel Regno Unito 17,1 milioni; in Spagna 10,4.

 

La Commissione osserva che i progetti di PNR non tengono pienamente conto delle pressioni sulla crescita potenziale e sull'occupazione. Gli scenari macroeconomici presentati dagli Stati membri risultano eccessivamente ottimistici rispetto alla valutazione della Commissione, mentre gli scenari occupazionali sono troppo pessimistici, perché influenzati da fattori negativi a breve termine. Da un esame preliminare dei progetti di PNR la Commissione evince sostanzialmente che:

la maggior parte degli Stati membri incontra seri problemi di bilancio per ridurre i disavanzi strutturali, migliorare il rapporto debito/PIL, spesso elevato, e contenere i costi dell'invecchiamento della popolazione;

la maggior parte degli Stati membri ha evidenziato un livello di indebitamento eccessivo delle famiglie e la necessità di garantire una vigilanza normativa efficace del settore bancario;

tutti gli Stati membri (in particolare quelli dell’Eurozona) rilevano la necessità di migliorare condizioni della domanda interna, mediante l'adeguamento dei salari e dei prezzi relativi, una maggior flessibilità salariale e la riallocazione delle risorse tra il settore dei beni non commerciabili nei mercati internazionali e il settore dei beni commerciabili;

tutti gli Stati membri hanno riconosciuto la necessità di migliorare la partecipazione al mercato del lavoro e/o le condizioni di occupazione;

la maggior parte degli Stati membri ha riconosciuto le sfide legate al miglioramento della produttività, che consistono nell'aumentare gli investimenti di capitale, nel garantire l'efficienza del contesto normativo in cui opera le imprese e l'efficienza amministrativa nonché nel promuovere livelli di concorrenza più elevati;

gli Stati membri riconoscono infine che occorre promuovere la capacità di innovazione e potenziare gli investimenti nel capitale umano.

La Commissione osserva inoltre che, sebbene siano stati forniti maggiori particolari in merito alle misure di risanamento di bilancio, è stata riservata scarsa attenzione alle riforme strutturali che potrebbero rilanciare la crescita a medio-lungo termine. Molti progetti di PNR, infatti, indicano le misure previste dagli Stati membri per raggiungere gli obiettivi nazionali, ma si tratta spesso di misure già attuate o a uno stadio piuttosto avanzato. L'azione strategica prevista viene spesso illustrata in modo alquanto vago, con poche precisazioni circa la natura esatta delle misure, il calendario di attuazione, l'impatto previsto, il rischio di attuazione parziale o di insuccesso, il costo per il bilancio e l'uso dei Fondi strutturali dell'UE.

Dopo l'adozione di questa analisi annuale della crescita, la Commissione europea si rimetterà in contatto con gli Stati membri a livello bilaterale per discutere del completamento dei loro PNR alla luce di tali indicazioni e della loro situazione specifica.

Parallelamente, si dovranno portare a termine le consultazioni nazionali, a cui dovrebbero partecipare soggetti politici (Parlamenti nazionali, autorità regionali e locali), le parti sociali e altre parti interessate ai preparativi. Solo in pochi casi, infatti, i progetti di PNR sono già stati oggetto di consultazioni ai diversi livelli. Secondo quanto indicato dalla Commissione, alcuni Stati membri hanno annunciato che avrebbero avviato consultazioni prima di dare veste definitiva ai propri PNR, ma la maggior parte di essi non ha fornito informazioni sul processo di consultazione.

Relazione macroeconomica (allegato 2)

La relazione macroeconomica illustra le prospettive macroeconomiche e indica le misure più idonee a produrre effetti positivi favorevoli alla crescita.

Il documento è diviso in quattro sezioni:

§       la prima è relativa al contesto generale, a analizza gli squilibri e le carenze emersi prima della crisi;

§       la seconda evidenzia la necessità di rimettere ordine nelle finanze pubbliche: ad avviso della Commissione, il ritmo previsto del risanamento dei bilanci dovrebbe essere ambizioso e, nella maggior parte degli Stati membri, andare ben oltre il parametro dello 0,5% annuo del PIL in termini strutturali. Gli Stati membri con un fortissimo disavanzo di bilancio strutturale, con livelli molto elevati di debito pubblico o con gravissime difficoltà finanziarie devono intensificare gli sforzi già nel 2011. Tutti gli Stati membri devono adeguare in via prioritaria la spesa pubblica, tutelando però la spesa atta a favorire la crescita, ad esempio in materia di infrastrutture pubbliche, istruzione, ricerca e innovazione. I sistemi tributari dovrebbero essere riveduti al fine di favorire maggiormente l'occupazione, la tutela dell'ambiente e la crescita, ad esempio mediante "riforme fiscali verdi". La Commissione, infine, incoraggia gli Stati membri a migliorare i quadri di bilancio nazionali a livello di sistemi nazionali di contabilità pubblica e statistiche;

§       la terza sezione illustra i motivi che impongono un rapido risanamento del settore finanziario. Ad avviso della Commissione, occorre compiere progressi verso la creazione di un meccanismo permanente per risolvere le crisi del debito sovrano in modo da garantire certezza e stabilità sui mercati finanziari. Le banche, da canto loro, dovranno potenziare gradualmente la propria base patrimoniale per poter resistere meglio agli shock negativi, in linea con il quadro di Basilea III di recente adozione;

§       la quarta ed ultima sezione sottolinea il carattere urgente delle riforme strutturali necessarie per correggere gli squilibri macroeconomici e risanare i fattori di crescita deteriorati. In particolare, secondo la Commissione, Stati membri con forti disavanzi delle partite correnti o con livelli elevati di indebitamento, le riforme riguardanti i sistemi di fissazione dei salari e i mercati dei servizi daranno un contributo fondamentale, al miglioramento dell'adattabilità dei prezzi e delle retribuzioni. Daltro canto, gli Stati membri con forti eccedenze delle partite correnti devono individuare ed eliminare le cause della debolezza della domanda interna mediante strategie volte a liberalizzare ulteriormente il settore dei servizi. È indispensabile, inoltre, adottare una normativa sulla tutela dell'occupazione che non ostacoli la riallocazione delle risorse fra i diversi settori, maggiori incentivi finanziari al lavoro e l'adeguamento delle politiche attive del mercato del lavoro in favore delle categorie più vulnerabili.

Relazione comune sull’occupazione (allegato 3)

Questa sezione reca il progetto di relazione comune sull'occupazione che sarà adottata congiuntamente dalla Commissione e dal Consiglio a norma dell'articolo 148, paragrafo 5[1], del Trattato sul funzionamento dell’UE (TFUE).

L'analisi tiene conto della situazione dell'occupazione in Europa, dell'attuazione degli orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell’occupazione[2] nonché della valutazione dei programmi nazionali di riforma effettuata dal Comitato per l'occupazione per ciascun Paese.

Posizione del Parlamento europeo

Il 17 febbraio 2011 il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione sulla Strategia UE 2020, nella quale, in vista del Consiglio europeo di marzo 2011:

§       esprime il timore che la strategia Europa 2020 possa non rivelarsi all'altezza delle promesse a causa della debolezza della sua struttura di governance ed esorta dunque vivamente il Consiglio a rafforzare il metodo comunitario;

§       ribadisce l'importanza di integrare gli obiettivi della strategia UE 2020 nel quadro per la governance economica e chiede che il semestre europeo faccia parte del pacchetto relativo alla governance legislativa, coinvolgendo sin dalla fase iniziale i Parlamenti nazionali e le parti sociali in modo da promuovere la responsabilità democratica, la titolarità (ownership) e la legittimità;

§       ritiene che l'analisi annuale della crescita e il quadro del semestre europeo siano strumenti fondamentali per un coordinamento rafforzato delle politiche economiche; sottolinea tuttavia che tali strumenti non dovrebbero sostituire né sminuire quelli esistenti e previsti dal trattato, nella fattispecie gli indirizzi di massima per le politiche economiche e gli orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell'occupazione, rispetto ai quali il Parlamento è strettamente associato e consultato;

§       chiede che il nuovo quadro finanziario pluriennale rifletta gli ambiziosi obiettivi della strategia Europa 2020;

§       ritiene che gli Stati membri dovrebbero essere incoraggiati ad accordare la massima priorità, nei rispettivi programmi nazionali di riforma, alla lotta contro la disoccupazione e l'esclusione a lungo termine dal mercato del lavoro;

§       sottolinea che l'attuale contenuto della strategia UE 2020, ad esempio in termini di obiettivi principali, iniziative faro, strozzature e indicatori, è di natura molto generale; richiama l'attenzione sul fatto che questo pacchetto di iniziative potrà essere attuato solo attraverso impegni concreti degli Stati membri nei rispettivi programmi nazionali di riforma e proposte legislative concrete e coerenti.


Profili di interesse delle Commissioni V- Bilancio e VI - Finanze

1. L’analisi della Relazione macroeconomica (Allegato 2)

La Relazione offre una sintetica analisi della attuale situazione macroeconomica e di finanza pubblica in Europa ed elenca quelle che, a parere della Commissione, sono le misure da adottare per condizioni di crescita robusta ed equilibrata in Europa.

Di seguito si ripercorrono i punti principali della Relazione, integrando l’analisi della Commissione con elementi informativi volti ad evidenziare la posizione dell’Italia rispetto agli altri Paesi UE[3].

La situazione macroeconomica e di finanza pubblica

Nel corso della crisi, il PIL europeo è arretrato sui livelli del 2006. Il presupposto analitico della Relazione è che questa perdita non verrà automaticamente recuperata e che anzi, qualora non venissero intraprese le riforme strutturali necessarie, l’economia europea corra il rischio di entrare in un “decennio perduto”.

Il termine “decennio perduto” fu originariamente coniato per descrivere l’esperienza del Giappone, che negli anni Novanta passò a sperimentare una crescita nulla del prodotto, senza soluzione di continuità rispetto all’aumento del 4,5% registrato in media nel decennio precedente. La subitanea scomparsa della crescita conseguì all’esplosione della bolla finanziaria nel 1990 e il caso del Giappone é considerato paradigmatico delle conseguenze permanenti che può subire l’economia reale nel caso di mancata risoluzione dei fattori di squilibrio sottostanti episodi di crisi finanziaria.

Nell’osservare come già prima della crisi l’Europa si collocasse su un sentiero di bassa crescita nei confronti delle altre grandi aree, la Commissione identifica due principali errori nella condotta delle politiche economiche pre-crisi, attinenti il primo la gestione delle finanze pubbliche e il secondo la tolleranza verso la divergenza delle posizioni competitive all’interno dell’area.

 

Le finanze pubbliche- La Commissione ritiene che, nel corso dell’espansione del 2003-2007, la maggior parte dei paesi abbia utilizzato l’aumento ciclico delle entrate fiscali per finanziare un aumento permanente della spesa primaria. In dodici dei ventisette Stati membri la spesa ha infatti registrato saggi di crescita superiori a quelli del prodotto (v. grafico 4).

Al riguardo, si precisa che in Italia la spesa primaria corrente (in termini nominali) è salita dal 38,3 al 39,2% del PIL fra il 2002 e il 2003, per poi stabilizzarsi su tale livello (39,3% nel 2007). In termini di saggi di variazione, nel 2003-2007 la spesa è aumentata in media del 4,1%, a fronte di una crescita del PIL in termini nominali del 3,6%. Nel biennio 2006-2007 il saggio di incremento della spesa (3,3%) è tornato al di sotto di quello del PIL (4%). Nel corso del biennio 2008-2009, anche per l’adozione dei provvedimenti anti-crisi, la spesa primaria corrente è aumentata in media del 4,3%. Il contestuale rallentamento del PIL nominale (che nel 2009 si è contratto per la prima volta nella storia del dopoguerra) ha portato il peso della spesa corrente al netto degli interessi al 43,5%. Nella Decisione di finanza pubblica 2011-2013 si stima che su questo stesso livello si sia rimasti nel 2010; un percorso di graduale ridimensionamento prenderebbe avvio nel 2011, fino a scendere a una quota del 40,8% nel 2013. Considerando anche la componente in conto capitale, la spesa primaria passerebbe dal 47,3% del PIL nel 2010 al 43,8% a fine periodo.

 

Grafico 4 - Crescita della spesa primaria reale rispetto alla crescita del PIL reale

Tassi di crescita medi 2003-2007

Fonte: Com UE, Allegato 2, Relazione macroeconomica

N.B. Gli Stati membri sono elencati secondo l'ordine di grandezza dell'eccedenza della crescita media della spesa primaria reale rispetto alla crescita media del PIL reale.

 

L’aumento delle uscite primarie si è rivelato insostenibile allorché la crisi ha drasticamente ridotto le entrate fiscali, lasciando improvvisamente senza copertura i programmi di spesa e rivelando la fragilità latente delle posizioni di bilancio di moti paesi. Il debito pubblico è rapidamente aumentato e dovrebbe aver raggiunto nel 2010 l’84% del PIL nell’Ue27 e il 79% nell’area euro (v. grafico 8). A politiche invariate, secondo le valutazioni della Commissione, la tendenza all’aumento del debito è destinata a proseguire[4].

 

In considerazione di questi andamenti, la Commissione richiama gli Stati membri ad adottare criteri esplicitamente ancti-ciclici nella gestione dei bilanci pubblici, accumulando negli anni di espansione risorse che possano essere poi utilizzate per contrastare le fasi di recessione. Oltre che essere ispirate da criteri anti-ciclici, politiche di bilancio prudenti dovrebbero scontare gli effetti di lungo periodo connessi all’invecchiamento della popolazione.

 

 

Grafico 8 - Livello del debito pubblico nel 2008

e aumento previsto nel periodo 2008-2012

(% del PIL)

 

previsioni di autunno ECOFIN

Fonte: Com UE, Allegato 2, Relazione macroeconomica

 

 

Le posizioni competitive - Nel decennio precedente la crisi l’Europa ha registrato un forte aumento degli squilibri macroeconomici intra-area. In particolare, si è determinata una profonda divergenza nelle condizioni di competitività e il miglioramento continuo della Germania si è contrapposto al contestuale peggioramento di molti altri paesi, tra cui l’Italia (v. grafico 5).

 

Grafico 5 - Andamento della competitività dei prezzi rispetto al resto dell'area dell'euro

(Indici:1998 = 100, gli aumenti rappresentano le perdite di competitività

Fonte: Com UE, Allegato 2, Relazione macroeconomica

 

La divergenza delle posizioni competitive si è riflessa nell’accumulo di forti squilibri nelle partite correnti, in particolare nella voce relativa ai redditi da capitale, che misura le transazioni finanziarie fra un paese e il resto del mondo.

Questi squilibri sono all’origine della fuga di capitali che, tra maggio e ottobre 2010, ha generato la crisi del debito sovrano di alcuni paesi europei. Tra il 2000 e il 2007, la Germania ha portato il proprio saldo corrente da un passivo dell’1,8% del PIL a un attivo del 7,7%. Nello stesso periodo, il disavanzo di parte corrente è aumentato dallo 0,4 al 5,3% del PIL in Irlanda, dal 4 al 10% in Spagna, dal 7,8 al 14,5% in Grecia. Il saldo per i soli redditi da capitale è migliorato in Germania di 70 miliardi di dollari, è peggiorato di 25 miliardi in Irlanda, di 35 miliardi in Spagna, di 12 miliardi in Grecia.

In Italia, il saldo di parte corrente in quota di PIL è passato da una situazione di sostanziale equilibrio nel 2000 a un disavanzo pari al 2,4% del PIL nel 2007. Il solo saldo per redditi da capitale è peggiorato di 16 miliardi di dollari. Come rileva la Commissione, la dimensione degli squilibri dei pagamenti correnti si è solo lievemente ridotta nel corso dell’ultimo triennio.

Il deterioramento delle finanze pubbliche e la divergenza delle posizioni competitive sono analizzati congiuntamente dalla Commissione nel grafico 11, che identifica i paesi che presentano, al contempo, squilibri fiscali e macroeconomici e che dispongono, quindi, di un minore margine di manovra nell’ambito delle politiche di bilancio e degli interventi a sostegno dell’economia.

 

 

Grafico 11 a) -Disavanzo pubblico/importazioni nette di beni e servizi*

*Le importazioni nette di beni e servizi, denominate anche "disavanzo della bilancia dei beni e dei servizi", sono direttamente influenzate dalla competitività in termini di prezzi.L'avanzo del Lussemburgo supera il 30% del PIL, fuori dai limiti di questo grafico.

Fonte: Com UE, Allegato 2, Relazione macroeconomica - previsioni di autunno ECOFIN

 

 

Grafico 11 b) -Debito pubblico/disavanzo delle partite correnti**

**Perdisavanzo delle partite correnti si intende l'indebitamento netto con il resto del mondo (partite correnti più operazioni in conto capitale).Esso indica la variazione annuale dell'indebitamento esterno.

Fonte: Com UE, Allegato 2, Relazione macroeconomica- previsioni di autunno ECOFIN

 

Utilizzando come misura la combinazione di deficit pubblico e di disavanzo commerciale con l’estero (grafico 11-a), 12 paesi risultano presentare squilibri tanto sul versante fiscale che su quello degli scambi esteri; altri 11 paesi presentano uno squilibrio di bilancio pubblico; solo tre paesi non manifestano squilibri.

Al riguardo, si rileva che l’Italia si colloca fra i paesi con squilibri sia di bilancio che di saldo estero. A fronte di un indebitamento netto che, secondo le stime della Commissione[5], dovrebbe essere pari al 5% del PIL nel 2010, il disavanzo commerciale appare tuttavia relativamente contenuto (-0,7% del PIL). La situazione italiana risulta, pertanto, complessivamente migliore di quella degli altri paesi appartenenti a questo gruppo.

Utilizzando come misura la combinazione formata dal disavanzo delle partite correnti (comprensivo delle operazioni in conto capitale) e dal debito pubblico (grafico 11-b), 8 paesi presentano un ridotto margine di manovra sia fiscale sia macroeconomica; 5 paesi hanno un ridotto margine di manovra fiscale; 5 paesi hanno poco margine di manovra macroeconomica; 9 paesi presentano invece margini di manovrabilità per entrambe queste leve di politica economica.

Al riguardo, si rileva che l’Italia appartiene al gruppo con ridotti margini di manovra fiscale e macroeconomica. Particolarmente penalizzante risulta essere la dimensione del debito pubblico, che nel 2010 è stimato pari al 118,9% del PIL. Per contro, il saldo delle partite correnti si mantiene su valori contenuti (-3,2% del PIL), al di sotto quindi della soglia (-4%) proposta dalla Commissione nell’ambito del c.d. meccanismo di allerta precoce inserito nella procedura di prevenzione e correzione degli squilibri macroeconomici, attualmente in fase di negoziazione in seno al Comitato economico e finanziario[6].

Il contenimento del debito pubblico

La Commissione rileva come tutti i paesi europei, con la sola eccezione del Lussemburgo, presentino a fine 2010 livelli di indebitamento pubblico incompatibili con i valori obiettivo di medio periodo (MTO) assunti nei Programmi di stabilità nazionali[7] (v. grafico 12).

Al riguardo, si precisa che, per quanto concerne l’Italia, le ultime previsioni del Governo sono contenute nella Decisione di finanza pubblica presentata nel settembre 2010, che ha aggiornato gli obiettivi italiani apportando lievi modifiche ai valori adottati nel Programma di stabilità (gennaio 2010). In percentuale del PIL, l’indebitamento netto strutturale, calcolato al netto degli effetti ciclici e delle una tantum, è previsto scendere dal 3,4% nel 2010 al 2,5% nel 2011 e al 2% nel 2013.

Secondo le valutazioni della Commissione europea (Autumn forecasts) l’indebitamento strutturale risulterebbe, invece, pari al 3,8% nel 2010 e diminuirebbe al 3,6% nel 2011 e al 3,3% nel 2012[8].

 

Grafico 12 - Disavanzi strutturali e MTO

(% del PIL)

Fonte: Com UE, Allegato 2, Relazione macroeconomica

 

Lo scostamento supera il 3% del PIL in 21 paesi e il 5% in 12 di essi. Il fatto che il calcolo sia effettuato in termini di disavanzo strutturale, un saldo depurato dagli effetti oggi avversi del ciclo economico, indica come il riavvicinamento degli obiettivi non possa essere affidato al solo miglioramento della congiuntura, necessitando di appositi interventi correttivi. Né, a parere della Commissione, sarà sufficiente ritirare le misure di stimolo approntate nel corso della crisi del 2008-09. Si indica, pertanto, come solo correzioni del saldo strutturale pari o superiori all’1% del PIL, dunque oltre la soglia dello 0,5% annuo oggi prevista dalle procedure di sorveglianza europee, possano indirizzare decisamente al ribasso i livelli di debito in quota di prodotto.

La Commissione auspica, pertanto, già a partire dal 2011 l’esplicita assunzione di politiche volte ad assicurare un risanamento duraturo delle finanze pubbliche. A tal riguardo, rifacendosi alle esperienze maturate nel passato da alcuni Stati, viene sottolineato come fra gli elementi di successo di una strategia di risanamento fiscale vi sia la sua composizione. Le correzioni basate sulla spesa, in particolare nella componente corrente, avrebbero infatti più probabilità di determinare un miglioramento duraturo delle finanze pubbliche e di produrre in impatto meno forte, e in alcuni casi finanche positivo, sulla crescita. Moderare l’aumento della spesa risulterebbe cioè meno distorsivo per lo sviluppo che non aumentare l’onere fiscale, peraltro già elevato nella Ue.

 

Al riguardo, si precisa che in Italia, già con il DL 112/2008, la manovra di finanza pubblica era stata orientata al contenimento della spesa primaria corrente. Quest’ultima avrebbe dovuto contribuire per circa il 38% alla riduzione programmata dell’indebitamento netto del 2009 (9,9 miliardi)[9]. La successiva adozione dei provvedimenti cosiddetti anti-crisi (Legge finanziaria 2009, DL 185/2008, DL 5/2009, e DL 78/2009), pur rispettando il criterio di neutralità per i saldi di bilancio, ha tuttavia comportato un aumento della spesa corrente primaria, con un peso sul PIL passato dal 40,5% del 2008 al 43,5% del 2009. L’obiettivo originario era di ridurre questa componente di mezzo punto in quota di prodotto.

Esaurita la fase più acuta della crisi, l’intervento di finanza pubblica è tornato a concentrarsi sulla spesa corrente. Le quantificazioni della Ragioneria generale dello Stato fissano al 66% il contributo della riduzione di spesa nell’ambito della manovra adottata con il DL 78/2010, di cui il 41% è assegnato alla componente di spesa corrente; l’aumento delle entrate fornisce il restante 34% della correzione attesa per il 2011. Percentuali analoghe si riscontrano per il successivo biennio. Gli interventi introdotti con la legge di stabilità per il 2011 prevedono, rispetto all’impianto del 78/2010, entrate aggiuntive per oltre 2 miliardi, prevalentemente utilizzate per finanziare un aumento della spesa in conto capitale (1,2 miliardi), a fronte di un aumento della spesa corrente di 800 milioni. La composizione della manovra correttiva non viene pertanto sostanzialmente modificata.

Come già ricordato, secondo le stime formulate nella Decisione di finanza pubblica, la spesa corrente al netto degli interessi scenderebbe, a fine 2013, al 40,8% del PIL, rimanendo tuttavia ancora un punto e mezzo al di sopra dei livelli pre-crisi (39,3% nel 2007).

 

Oltre ad auspicare un avvio immediato delle manovre di risanamento e l’adozione di un obiettivo più ambizioso di una riduzione del disavanzo strutturale dello 0,5% annuo, la Commissione raccomanda:

§       di ridurre la spesa primaria, senza tuttavia sacrificare le spese atte a favorire la crescita (investimenti, ricerca, istruzione).

Si ricorda che nella proposta di regolamento COM(2010/526), la Commissione propone, in aggiunta alla correzione annuale del saldo strutturale, una regola per la crescita annua della spesa, secondo la quale essa non dovrebbe superare un “tasso prudente” di crescita del PIL a medio termine, a meno che il superamento non sia coperto da misure discrezionali sul lato delle entrate. Per gli Stati membri che non abbiano ancora raggiunto l’obiettivo di bilancio a medio termine, la crescita della spesa dovrebbe essere inferiore a quella del prodotto;

§       di riformare in direzione meno distorsiva i sistemi di imposizione, alleggerendo l’onere sul lavoro e accrescendo la propensione a “riforme fiscali verdi”.

Al riguardo, si evidenzia che la preferenza accordata a misure volte ad ampliare le basi imponibili delle imposte, piuttosto che ad intervenire attraverso un incremento delle relative aliquote, consente di applicare l’imposizione in modo più equo, ripartendone il peso su un maggior numero di contribuenti, riduce la possibilità del ricorso a comportamenti elusivi o evasivi motivati dall’eccessivo carico fiscale, non peggiora infine le condizioni di concorrenzialità fiscale, scoraggiando fenomeni di delocalizzazione.

La Comunicazione della Commissione suggerisce, in particolare, di ampliare le basi imponibili attraverso l’eliminazione delle esenzioni e l’eliminazione dei crediti d’imposta dannosi per l’ambiente.

In riferimento all’Italia, in merito alle misure di eliminazione delle esenzioni, si segnala che, nell’ambito dei provvedimenti di attuazione del federalismo fiscale, in corso di perfezionamento, è prevista, dal 2014, l’integrale soppressione delle agevolazioni e delle esenzioni tributarie riguardanti le imposte indirette sugli atti di trasferimento a titolo oneroso di beni immobili;

§       a intervenire sulla spesa futura pensionistica, in particolare innalzando l’età pensionabile in funzione dell’aumento continuo della speranza di vita;

Al riguardo, si ricorda che l’Italia è recentemente intervenuta su questa materia con la legge 122/2010 di conversione del DL 78/2010, che modifica i requisiti anagrafici per l’accesso ai trattamenti pensionistici. A partire dal 2015, e con cadenza triennale, l’età legale di pensionamento sarà spostata in avanti in base all’aumento della speranza di vita certificato dall’Istat. La legge 122/2010 inoltre, accogliendo una sentenza europea, accelera l’adeguamento dell’età di pensionamento per le donne del pubblico impiego, portandola a 65 anni a partire dal 2012.

§       a migliorare, in termini di completezza delle informazioni richieste e di trasparenza, i quadri nazionali di bilancio, i sistemi di contabilità pubblica e le relative statistiche, le previsioni macroeconomiche e di finanza pubblica.

Il risanamento del settore finanziario

Il sistema finanziario è stato l’epicentro della crisi internazionale: l’utilizzo da parte delle banche e/o intermediari finanziari di strumenti altamente speculativi nel periodo pre-crisi ha accresciuto la fragilità sistemica dell’economia mondiale; le misure di salvataggio che i Governi hanno dovuto adottare hanno ampliato i disavanzi pubblici; la contrazione subitanea dei flussi creditizi ha innescato la recessione dell’economia reale.

Nel corso del 2010 la situazione è andata normalizzandosi anche sui mercati finanziari e sono tornati a crescere i prestiti bancari in favore delle famiglie, non ancora quelli alle imprese (v. grafico 14). Ed è solo dallo scorso ottobre, a ripresa ormai avviata, che le banche hanno allentato le condizioni per la concessione del credito.

Al riguardo, si precisa che anche in Italia gli impieghi sono tornati a crescere nel corso del 2010. In particolare, i prestiti alle imprese, dopo aver toccato una massima contrazione nel mese di gennaio (-4%), sono aumentati del 2,5% a novembre. Si tratta comunque di variazioni ancora modeste se comparate con gli andamenti pre-crisi: nella media 2007 gli impieghi alle imprese aumentarono del 12% e ancora nel 2008 l’incremento fu superiore al 10%.

 

 

Grafico 14 -Prestiti bancari nell'UE

 

Fonte:BCE

Fonte: Com UE, Allegato 2, Relazione macroeconomica

 

 

Al di là degli andamenti di natura congiunturale, la Commissione rileva il permanere dell’incertezza circa le prospettive di redditività delle banche, a causa della debolezza della ripresa in atto, delle notevoli esposizioni verso il settore immobiliare (dove, tra l’altro, non si scorgono ancora segni di ripresa), delle tensioni sul mercato del debito sovrano che impattano direttamente sui valori delle attività estere detenute nei bilanci bancari.

Inoltre, il sistema bancario europeo fronteggia, da un lato, un forte aumento dei prestiti in sofferenza e, dall’altro, la necessità di rinunciare al sostegno pubblico “generosamente” concesso nel corso della crisi. In queste condizioni, l’elevato peso delle attività bancarie sul PIL evidenzia la latente fragilità di molti paesi in casi di crisi sistemica e l’inadeguatezza degli strumenti di bilancio pubblico per far fronte a eventuali, nuove perturbazioni finanziarie.

 

Al riguardo, si ricorda che in Italia, con l’articolo 12 del DL 185/2008, il Ministero dell’economia e delle finanze è stato autorizzato a sottoscrivere, fino al 31 dicembre 2009, su specifica richiesta delle banche interessate, strumenti finanziari, privi del diritto di voto, computabili nel patrimonio di vigilanza ed emessi da banche italiane. Tale strumento di sostegno è stato utilizzato nel 2009 da alcuni istituti bancari italiani per un ammontare complessivo di titoli sottoscritti pari a 4,1 miliardi di euro, integralmente coperti con ricorso all’emissione netta di titoli di Stato.

Con il DL 125/2010 è stata disposta una proroga, dal 31 dicembre 2009 al 31 dicembre 2010, dell’autorizzazione alla sottoscrizione, da parte del Tesoro, delle obbligazioni speciali emesse dal sistema bancario, unitamente alla delegificazione in materia di fissazione di eventuali ulteriori termini di proroga.

Tale intervento è stato assunto in conformità alla decisione adottata in sede comunitaria, in seguito alla pubblicazione dei risultati dello stress test sulle banche, di predisporre o mantenere in ogni caso meccanismi nazionali idonei a consentire un eventuale intervento pubblico a sostegno del sistema bancario.

In quest’ambito, nell’ottobre scorso la Commissione ha definito del quadro giuridico per la gestione delle crisi del sistema finanziario, che sarà proposto nel corso della prossima primavera.

L’obiettivo è di creare le condizioni per cui una banca che adotti comportamenti eccessivamente rischiosi possa essere lasciata fallire senza che ciò determini crisi di liquidità per l’intero sistema. In tal modo, si supererebbe “l’azzardo morale” connesso all’idea che vi siano banche troppo grandi per fallire.

Per il superamento definitivo delle difficoltà del sistema bancario, la Commissione indica le seguenti azioni:

§       le banche che hanno ricevuto aiuti di stato devono operare ristrutturazioni finalizzate a ricostruire la redditività di lungo periodo;

§       ulteriori progressi devono essere compiuti nella creazione di un “meccanismo di stabilità finanziaria”, che preservi la moneta unica dalle ripercussioni derivanti dalle difficoltà del sistema bancario di singoli Stati membri;

§       le riforme finanziarie devono proseguire, rafforzando il quadro normativo e di vigilanza e ovviando ai fallimenti di mercato evidenziati dalla crisi;

§       le banche dovranno rafforzare gradualmente le proprie basi patrimoniali per poter resistere meglio agli shock negativi, in linea con le prescrizioni di Basilea III e in preparazione degli stress più rigorosi previsti per il 2011.

Al riguardo, si segnala che, per quanto concerne l’Italia, in sede di esame parlamentare del decreto-legge n. 225 del 2010, è stata introdotta una disposizione volta a limitare l’impatto, in termini di penalizzazione sul piano della dotazione patrimoniale regolamentare, del meno favorevole regime fiscale in materia di deduzione di alcuni componenti negativi di bilancio, cui sono sottoposte le istituzioni bancarie e finanziarie nazionali.

Infatti, l’impossibilità di dedurre integralmente nell’esercizio di formazione le rettifiche su crediti genera, per gli intermediari nazionali, la formazione di cospicue attività fiscali differite (DTA). La presenza di tali attività, in base al nuovo accordo di Basilea, comporta un effetto di riduzione del capitale di migliore qualità (common equity), determinando la necessità di ricapitalizzazione.

La norma introdotta consente, in presenza di determinati requisiti, la possibilità di trasformare le attività fiscali differite in crediti d’imposta compensabili dalla imposte dovute, consentendo lo smobilizzo di tali attività.

Stress test

Nell’ambito di un’iniziativa promossa da Ecofin, il Comitato europeo dei supervisori bancari (CEBS) e le autorità di vigilanza nazionali degli Stati membri hanno condotto, con la collaborazione della Banca Centrale europea e della Commissione, un esercizio di stress test sul sistema bancario dell’Unione, con l’obiettivo di valutare la solidità del sistema bancario europeo e la capacità delle banche di assorbire eventuali shock sui rischi di credito e di mercato, inclusi quelli derivanti da un aumento del rischio sovrano nell’Unione europea.

Lo stress test, condotto a livello consolidato, ha riguardato 91 gruppi bancari di 20 Stati membri, tra i quali cinque gruppi bancari italiani (UniCredit, Intesa Sanpaolo, Monte dei Paschi di Siena, Banco popolare ed UBI Banca), che rappresentano oltre il 60 per cento del totale attivo del mercato bancario italiano. I relativi risultati sono stati pubblicati sul sito della Banca d’Italia il 23 luglio 2010, unitamente ad alcune informazioni riguardanti l’esposizione dei gruppi bancari italiani nei confronti delle amministrazioni pubbliche europee. Nel comunicato stampa pubblicato sul sito della Banca d’Italia lo stesso 23 luglio 2010, si afferma che, nel complesso, i risultati confermano la capacità delle banche italiane di assorbire l’impatto di un significativo deterioramento delle condizioni macroeconomiche e di mercato.

In particolare, per nessuno dei cinque gruppi italiani il coefficiente relativo al patrimonio di base (Tier 1 ratio) scenderebbe alla fine del 2011 al di sotto della soglia del 6 per cento, superiore di due punti all’attuale minimo regolamentare. La soglia del 6 per cento è stata adottata dalle autorità come riferimento per valutare la necessità di eventuali interventi di ricapitalizzazione.

Nel confronto con le altre banche europee, i gruppi italiani presentano coefficienti patrimoniali di partenza mediamente più bassi, anche se ampiamente superiori ai minimi regolamentari. Sul divario influiscono sia una più rigorosa regolamentazione nazionale che prudenzialmente impone limiti più stringenti al computo di alcuni strumenti finanziari nell’ambito degli aggregati patrimoniali, che si collocano al numeratore dei coefficienti, sia le consistenti operazioni di ricapitalizzazione pubblica di cui hanno beneficiato alcune grandi banche europee.

Le riforme strutturali volte a sostenere la crescita e a correggere gli squilibri macroeconomici

La Relazione della Commissione evidenzia come, a seguito della crisi, il potenziale di crescita dell’Europa sia diminuito dal 2 all’1,5% per l’area a 27 paesi e dall’1,8 all’1,3% per la zona euro.

Si definisce come potenziale il massimo saggio di crescita realizzabile in condizioni di stabilità dell’inflazione. Aumenti del potenziale si verificano a fronte di incrementi della produttività (e viceversa): la caduta del potenziale dopo la crisi è, infatti, in massima misura da attribuire, secondo la Commissione, ad un rallentamento della produttività.

Per ripristinare migliori prospettive di crescita, che tra l’altro ridurrebbero lo sforzo necessario a conseguire gli obiettivi di bilancio pubblico, la Commissione sollecita l’adozione di riforme strutturali. Il termine può essere inteso in due sensi. Possono definirsi innanzitutto come riforme strutturali tutte quelle azioni capaci di incrementare su base permanente i livelli della produttività e quindi il potenziale di crescita. Sono altresì strutturali quelle riforme a cui consegue una maggiore flessibilità del sistema economico, requisito necessario sia per ridurre i costi di aggiustamento indotti dal verificarsi di eventi sfavorevoli, sia per ricomporre i differenziali di competitività intra-area.

Rientra nel primo campo un insieme piuttosto vasto di interventi, in genere ad effetto differito nel tempo, che vanno dalla liberalizzazione dei mercati, al miglioramento di efficienza delle pubblica amministrazione, alle misure capaci di accompagnare una migliore allocazione di risorse fra settori produttivi. Nella seconda accezione rientrano, invece, gli interventi che stabiliscono un più stretto collegamento fra dinamica dei salari e della produttività.

Nel complesso, la Commissione rileva come le riforme strutturali proposte dai singoli paesi nella versione preliminare dei Programmi Nazionali di Riforma (PNR) siano improntate a obiettivi non sufficientemente ambiziosi. E quindi poco probabile che da essi discendano effetti significativi sulla crescita e sull’occupazione a medio termine. I paesi sono pertanto invitati, nella versione definitiva dei PNR, a dare indicazioni molto più precise circa i loro piani, ad accelerare le azioni fondamentali, ad aumentare il loro livello generale di ambizione.

A conclusione delle analisi e dei suggerimenti di policy, la Relazione riporta una tabella comparativa (v. Tabella 1 di seguito riportata), per tutti i paesi europei, dei principali risultati realizzati o attesi nelle quattro dimensioni di analisi considerate: crescita e occupazione; finanze pubbliche; squilibri macroeconomici; mercati finanziari[10].

Sono utilizzati come indicatori di crescita e occupazione il PIL pro-capite, il saggio di incremento del PIL e dell’occupazione, il tasso di disoccupazione (in percentuale delle forze lavoro), il livello della produttività del lavoro.

Fra gli indicatori di finanza pubblica rientrano l’indebitamento netto, il debito pubblico, la misura S2 di sostenibilità del bilancio[11], la pressione fiscale complessiva.

Gli squilibri macroeconomici vengono misurati dal saldo delle partite correnti[12] in percentuale di PIL, dal tasso di cambio effettivo reale[13], dal debito del settore privato in percentuale di PIL, dall’inflazione al consumo.

Infine, gli indicatori dei mercati finanziari sono rappresentati dai differenziali nei tassi di interesse rispetto alla Germania, dal coefficiente di adeguatezza patrimoniale, dai prestiti in sofferenza, dal rendimento del capitale.



Per l’Italia, le stime della Commissione contenute nella Tabella 1, possono essere sintetizzati sulla base del posizionamento assunto rispetto agli altri paesi in ognuna delle dimensioni analizzate. Questo esercizio contribuisce a evidenziare le principali urgenze con cui si confronta la politica economica italiana, nel confronto europeo e sulla base delle indicazioni contenute nella Relazione macroeconomica della Commissione.

Nella Tabella 2, per ciascuno dei 19 indicatori contenuti nella Tabella 1 della Relazione, è illustrata la posizione relativa dell’Italia all’interno della graduatoria formata dai 27 paesi europei.

La graduatoria è costruita, per ciascun indicatore, “dal migliore al peggiore”: di conseguenza, una posizione contrassegnata da un numero basso (elevato) indica una buona (cattiva) performace dell’Italia rispetto agli altri paesi.

 

Tavola 2 - INDICATORI E POSIZIONAMENTO RELATIVO DELL'ITALIA

( graduatoria all'interno della UE27)

 

 

 

 

Indicatori

Valore Italia

Valore UE 27

Posizione Italia

 

 

 

 

1. CRESCITA E OCCUPAZIONE

 

 

 

Pil pro-capite

97,0

100,0

12

Tasso di crescita del Pil

1,3

1,9

24

Tasso di occupazione

61,7

69,1

25

Tasso di crescita dell'occupazione

0,2

0,5

22

Produttività del lavoro

109,8

100,0

10

Tasso di disoccupazione

7,8

8,9

13

 

 

 

 

2. FINANZE PUBBLICHE

 

 

 

Indebitamento netto

-5,2

-6,8

11

Debito pubblico

116,0

74,0

26

Sostenibilità di bilancio (S2)

2,6

7,5

5

Pressione fiscale

43,4

39,8

22

 

 

 

 

3. SQUILIBRI MACROECONOMICI

 

 

 

Saldo partite correnti (% PIL)

-2,7

-1,1

12

Tasso di cambio effettivo reale

14,6

4,8

18

Debito del settore privato

176,0

208,0

7

Inflazione

0,8

1,0

12

 

 

 

 

4. MERCATI FINANZIARI

 

 

 

Differenziale tassi interesse a lungo termine

1,5

1,2

14

Coefficiente di adeguatezza patrimoniale

11,7

13,6

25

Prestiti in sofferenza

6,9

3,9

20

Rendimento del capitale

4,0

0,6

14

Fonte: elaborazione sui dati della Tabella 1 contenuta nell’Allegato 2 della Relazione macroeconomica

 

Dal posizionamento assunto dall’Italia rispetto agli altri paesi si possono trarre le seguenti osservazioni.

 

Crescita e occupazione - L’Italia è in posizione intermediaper quanto riguarda i livelli di PIL pro-capite e di produttività del lavoro (rispettivamente 12o e 10o posto), ma è in fondo alla graduatoria per prospettive di crescita del PIL e dell’occupazione (24o e 22o) e per il tasso di occupazione (25o). Il confronto europeo mostra dunque come l’azione di rilancio della crescita sia particolarmente necessaria; come inoltre questo rilancio debba accompagnarsi a un consistente aumento dell’occupazione.

 

Finanza pubblica - Nonostante il debito pubblico italiano sia il secondo più alto in Europa, il livello di indebitamento è attualmente collocato al 11o posto, ben sotto la media europea, e l’indicatore di sostenibilità di bilancio presenta uno dei migliori valori in Europa (5o posto; il valore positivo dell’indicatore segnala che uno sforzo fiscale supplementare è necessario rispetto alla situazione attuale, ma questo sforzo e di gran lunga inferiore a quello richiesto alla maggior parte dei paesi). Questi dati, relativamente rassicuranti, sono tuttavia associati a un livello di pressione fiscale fra i più elevati in Europa. La riduzione del debito e l’abbassamento della pressione fiscale paiono essere i due obiettivi da conciliare con riferimento alla finanza pubblica italiana.

 

Squilibri macroeconomici - L’Italia è posizionata al centro della graduatoria Europea per quanto riguarda il disavanzo delle partite correnti, il livello del cambio reale e il tasso di inflazione. Non sembrano emergere, tuttavia, particolari criticità, ma miglioramenti dovrebbero essere conseguiti con riferimento a tutti questi indicatori. L’azione può essere facilitata dal fatto che l’Italia ha uno dei debiti del settore privato più bassi in Europa (7o posto, su un confronto limitato, per mancanza di dati, a 22 paesi).

 

Mercati finanziari - La situazione appare poco favorevole. L’Italia è al 25o posto per adeguatezza patrimoniale del sistema bancario, al 20o posto per dimensione delle sofferenze e solo al 14o posto per rendimento del capitale. I mercati finanziari non stanno per ora penalizzando oltre misura il nostro paese, dal momento che il differenziale di tasso di interesse rispetto al riferimento europeo si colloca al centro della graduatoria dei paesi europei. Tuttavia, gli indicatori segnalano una qualche urgenza di misure atte a riavvicinare le performance del settore finanziario alla media europea.

 

2. L’avvio del “semestre europeo” e la proposta di riforma della programmazione economico finanziaria nazionale

L’Analisi annuale della crescita rappresenta l’avvio di un nuovo ciclo di governance economica nell’Unione Europea e il formale inizio del primo semestre europeo per il coordinamento ex-ante delle politiche economiche degli Stati membri.

 

La decisione di modificare la governance economica rientra nell’ambito dei passi compiuti dalla UE per affrontare la crisi economico finanziaria.

Il Consiglio europeo del giugno 2010 ha introdotto il concetto di "semestre europeo", associando gli sviluppi delle politiche macroeconomiche e le riforme strutturali nell'ambito di Europa 2020. Il "semestre europeo" è un arco di tempo durante il quale, nella prima metà di ogni anno, le relazioni presentate dagli Stati membri a norma del patto di stabilità e crescita vengono allineate con quelle previste dalla strategia Europa 2020 e gli Stati membri ricevono orientamenti e raccomandazioni di natura strategica prima che sia data veste definitiva ai bilanci nazionali. Tale approccio è teso a rafforzare la dimensione ex-ante del coordinamento e della vigilanza delle politiche economiche nell'UE, consentendo di combinare i benefici di un programma comune a livello di UE con un'azione ad hoc a livello nazionale.

Nell'ambito di questo nuovo ciclo di coordinamento delle politiche, nell'Analisi annuale della crescita la Commissione presenta la propria valutazione delle principali sfide economiche che si pongono all'UE e raccomanda le azioni prioritarie per affrontarle.

Nell’Analisi, la Commissione rileva la necessità di compiere progressi verso la creazione di un meccanismo permanente per risolvere le crisi del debito interno dei Paesi in modo da garantire certezza e stabilità sui mercati.

A questo proposito, osserva come il successo del risanamento di bilancio dipende anche dalla capacità dei governi nazionali di attuare efficacemente le misure strategiche concordate mediante quadri di bilancio nazionali adeguati. La qualità dell'assetto istituzionale e procedurale che disciplina le politiche di bilancio, come le norme di bilancio e i quadri di bilancio pluriennali, influisce sulla capacità dei governi di elaborare e attuare in modo efficace i programmi di risanamento di bilancio evitando tensioni politiche ed economiche eccessive.

Gli Stati membri vengono pertanto incoraggiati a migliorare i quadri di bilancio nazionalia livello di sistemi nazionali di contabilità pubblica e statistiche, previsioni macroeconomiche e di bilancio, regole fiscali numeriche, quadri di bilancio a medio termine, trasparenza delle finanze pubbliche e campo di applicazione globale dei quadri di bilancio.

Ai fini del controllo della spesa pubblica, è richiesto a tutti gli Stati membri - specialmente quelli oggetto di una procedura per i disavanzi eccessivi – di attuare una politica di bilancio prudente, mantenendo saldamente la crescita della spesa al di sotto del tasso di crescita del PIL a medio termine e cercando al tempo stesso di migliorare il rapporto costo/efficacia della spesa pubblica. Laddove gli aggiustamenti siano particolarmente urgenti, la spesa deve essere ridotta. Tutti gli Stati membri devono dimostrare che i loro programmi di stabilità o di convergenza si basano su previsioni prudenti di crescita e di reddito.

 

* * *

In questo nuovo contesto - la cui fase transitoria ha preso avvio nel novembre scorso, con la presentazione alle istituzioni comunitarie da parte degli Stati membri della bozza di Programma Nazionale di Riforma - a livello nazionale è stato avviato l’esame di una proposta legislativa di iniziativa parlamentare[14] finalizzata ad armonizzare ed allineare il sistema delle decisioni di bilancio - e in particolare i contenuti e la tempistica di esame dei principali documenti contabili nazionali - alle nuove regole adottate dall'Unione europea in materia di coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri.

 

La presentazione di tale iniziativa legislativa fa seguito a quanto sottolineato dal Governo nella premessa alla DFP 2011-2013 relativamente ai documenti politico-contabili del “semestre europeo” – ossia i Piani nazionali di riforma (PNR), elaborati nell’ambito della nuova Strategia UE 2020 ed i Piani di stabilità e convergenza (PSC), elaborati nell’ambito del Patto di stabilità e crescita – i quali, già in quella sede, venivano indicati come documenti volti ad assumere una “centralità politica assoluta ed assorbente”.

Il mutare del quadro di riferimento europeo – aveva osservato l’Esecutivo in premessa alla DFP – avrebbe dovuto comportare una riforma della pur recente nuova legge di contabilità n. 196/2009, al fine di allinearla, per tempi e metodi, alla novità assoluta costituita dalla “Sessione di bilancio europea”.

 

Il disegno di legge A.S. n. 2555, attualmente all’esame del Senato, in seconda lettura, reca “Modifiche alla legge 31 dicembre 2009, n. 196, conseguenti alle nuove regole adottate dall’Unione europea in materia di coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri”. L’esame in prima lettura del provvedimento da parte della Camera dei deputati è terminato il 9 febbraio 2011.

 

In primo luogo, la proposta di legge è volta ad inserire tra i princìpi fondamentali della legge di contabilità e finanza pubblica n. 196 del 2009 quello della coerenza della programmazione finanziaria delle amministrazioni pubbliche con le procedure ed i criteri stabiliti dall'Unione europea, e il pieno coinvolgimento del Parlamento nell’esame dei progetti, degli atti e dei documenti elaborati dalle istituzioni dell’Unione europea nell’ambito del semestre, stabilendo in particolare che il Ministro dell’economia e delle finanze riferisca alle Camere sulle linee guida di politica economica e di bilancio elaborate dal Consiglio europeo, fornendo una valutazione dei dati e delle misure prospettate, nonché delle loro implicazioni per il nostro Paese.

 

In secondo luogo, provvede ad aggiornare il ciclo e il contenuto degli strumenti della programmazione al fine di consentire un pieno allineamento tra la programmazione nazionale e quella europea.

 

A tal fine, è prevista la presentazione alle Camere, entro il 10 aprile di ogni anno, del Documento di economia e finanza (DEF).

Tale documento diviene il perno della programmazione economico finanziaria, il cui contenuto assorbe sia la Decisione di finanza pubblica - attualmente presentata nel mese di settembre - sia i contenuti della Relazione sull'economia e sulla finanza pubblica.

 

Il DEF reca sia lo schema del Programma di stabilità (PSC) – nella prima sezione - sia lo schema del Programma nazionale di riforma (PNR) – nella terza sezione -, documenti, questi ultimi, che dovranno essere presentati al Consiglio dell'Unione europea e alla Commissione europea entro il 30 aprile di ciascun anno e comunque nei termini e con le modalità previsti dal codice di condotta sull’attuazione del patto di stabilità e crescita.

Lo schema di PSC contiene tutti gli elementi e le informazioni richiesti dai vigenti regolamenti dell’Unione europea e dal codice di condotta sull'attuazione del Patto di stabilità e crescita, con specifico riferimento agli obiettivi da conseguire per accelerare la riduzione del debito pubblico.

Nello schema del Programma nazionale di riforma sono in particolare indicati: lo stato di avanzamento delle riforme avviate, con indicazione dell'eventuale scostamento tra i risultati previsti e quelli conseguiti; gli squilibri macroeconomici nazionali e i fattori che incidono sulla competitività; le priorità del Paese, le principali riforme da attuare, i tempi previsti per la loro attuazione e la compatibilità con gli obiettivi programmatici contenuti nello schema di PSC; i prevedibili effetti delle riforme proposte in termini di crescita dell’economia, rafforzamento della competitività del sistema economico e aumento dell’occupazione.

 

Il DEF contiene poi un’analisi del conto economico e del conto di cassa delle amministrazioni pubbliche nell’anno precedente (seconda sezione).

In questa sezione è in particolare previsto che siano individuate regole generali sull’evoluzione della spesa delle amministrazioni pubbliche, in linea con l’esigenza, richiamata anche in sede europea, di evidenziare forme efficaci di controllo dell’andamento della spesa pubblica anche attraverso la fissazione di tetti di spesa.

 

In allegato al DEF e alla Nota di aggiornamento dello stesso sono indicati gli eventuali disegni di legge collegati alla manovra di finanza pubblica, ciascuno dei quali concorre al raggiungimento degli obiettivi programmatici e all’attuazione del programma nazionale di riforma.

 

Entro il 30 giugno di ogni anno, ad integrazione del DEF, il Ministro dell'economia e delle finanze, trasmette alle Camere un apposito allegato in cui sono riportati i risultati del monitoraggio degli effetti sui saldi di finanza pubblica derivanti dalle misure contenute nelle manovre di bilancio adottate anche in corso d'anno.

 

Entro il 20 settembre di ogni anno è prevista la presentazione di una Nota di Aggiornamento del Documento di economia e finanza. La Nota contiene – tra l’altro - l’eventuale aggiornamento degli obiettivi programmatici di finanza pubblica, conseguenti alle raccomandazioni del Consiglio dell’Unione europea relative al Programma di stabilità e al PNR, nonché delle previsioni macroeconomiche per l’anno in corso e per il restante periodo di riferimento.

La Nota – rispetto alla disciplina vigente e alla luce delle nuove modalità di programmazione economica europea - non è più eventuale e connessa al verificarsi di scostamenti rilevanti degli andamenti di finanza pubblica, bensì necessaria.

Ogniqualvolta si intendano aggiornare gli obiettivi definiti dal DEF e dalla Nota di aggiornamento, ovvero si verifichino scostamenti rilevanti degli andamenti di finanza pubblica tali da rendere necessari interventi correttivi, è comunque consentito al Governo di trasmettere una relazione al Parlamento, al fine di motivare le ragioni dell'aggiornamento o degli scostamenti e di illustrare gli interventi correttivi.

 

E’ infine confermato il termine del 15 ottobre di ciascun anno entro il quale devono essere presentati alle Camere il disegno di legge di stabilità e il disegno di legge del bilancio dello Stato.

 

Ai fini del coinvolgimento degli enti territoriali nel processo di programmazione economico finanziaria, la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica – ancora non istituita -  è chiamata a valutare gli andamenti di finanza pubblica al fine di fornire al Governo elementi utili per la definizione del DEF con riferimento alle amministrazioni locali; entro il 25 marzo il Governo è, inoltre, chiamato a inviare alla Conferenza permanente, per il preventivo parere, da esprimere entro il 5 aprile, le linee guida per la ripartizione degli obiettivi programmatici.

Analogamente, qualora si renda necessario procedere a una modifica degli obiettivi di finanza pubblica, entro il 10 settembre il Governo è tenuto ad inviare alla Conferenza permanente per il coordinamento e la finanza pubblica, per il preventivo parere, da esprimere entro il 15 settembre, un aggiornamento delle linee guida per la ripartizione degli obiettivi.

 

La proposta di legge reca poi un ulteriore filone di modificazioni alla legge di contabilità n. 196/09, ispirato a criteri di prudenzialità della gestione finanziaria e diretto ad agevolare il controllo degli andamenti ed il perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica. In quest’ottica, si prevede in particolare l’esclusione della possibilità di utilizzare, per finalità di copertura di nuovi oneri finanziari, le maggiori entrate che dovessero verificarsi in corso di esercizio rispetto a quelle iscritte nel bilancio di previsione derivanti da variazioni degli andamenti a legislazione vigente, prevedendo espressamente che tale eventuale “extragettito” sia finalizzato al miglioramento dei saldi di finanza pubblica.

 

In materia di rafforzamento le procedure parlamentari di controllo sulla finanza pubblica vi è poi la possibilità, per le Camere, di acquisire dall’ISTAT, sulla base di apposite convenzioni, dati ed elaborazioni necessari all’esame dei documenti di finanza pubblica, nonché la previsione dell'integrazione delle attività svolte dalle strutture di supporto tecnico dei due rami del Parlamento.

 

 


3. Il rilancio della politica di sviluppo del Mezzogiorno: il Piano per il Sud

Nell'autunno del 2010 gli Stati membri hanno collaborato strettamente con la Commissione per fissare gli obiettivi nazionali e definire le relative politiche di attuazione della strategia Europa 2020.

Tali obiettivi sono stati delineati nei singoli programmi nazionali di riforma (PNR) presentati in bozza a metà novembre, in cui sono state altresì specificate le riforme necessarie per conseguire tali obiettivi ed eliminare gli ostacoli di lunga data alla crescita.

L’elaborazione delle bozze di PNR è avvenuta contestualmente alla elaborazione da parte della Commissione europea di sette iniziative faro della strategia Europa 2020, ciascuna delle quali riguarda questioni specifiche e contiene misure ad hoc per i singoli settori. Tra tali inziative, figura in particolare la “Piattaforma europea contro la povertà e l'esclusione sociale: un quadro europeo per la coesione sociale e territoriale" (COM (2010) 758 del 16.12.2010)[15].

Come sottolineato dalla Commissione, l'attuazione della strategia Europa 2020 presuppone che tutti gli strumenti dell'UE siano effettivamente mobilitati e riorientati a sostegno delle riforme.

Nel PNR italiano, tra gli obiettivi fondamentali vi è il rilancio della politica di sviluppo del Mezzogiorno e il recupero dei divari territoriali, da perseguirsi anche attraverso una riorganizzazione delle risorse a ciò finalizzate.

Nella relazione annuale sulla crescita in esame, la Commissione europea - che procede ad un primo esame delle bozze di PNR ad essa pervenute, mettendone in luce, in taluni casi, le criticità - rileva come in molti progetti di PNR l'azione strategica prevista viene spesso illustrata in modo vago, con poche precisazioni circa la natura esatta delle misure, il calendario di attuazione, l'impatto previsto, il rischio di attuazione parziale o di insuccesso, il costo per il bilancio e l'uso dei Fondi strutturali dell'UE.

La Commissione invita pertanto gli Stati a mettere a punto rapidamente i rispettivi obiettivi nazionali, ferme restando le posizioni di partenza relative e le circostanze nazionali e conformemente alle procedure decisionali nazionali.

Gli Stati membri dovrebbero, inoltre, individuare le principali strozzature che ostacolano la crescita e specificare, nei rispettivi programmi nazionali di riforma, in che modo intendono ovviarvi, anche attraverso l’adozione riforme strutturali che potrebbero rilanciare la crescita a medio - lungo termine.

Le riforme strutturali sono considerate necessarie per correggere gli squilibri macroeconomici e risanare i fattori di crescita deteriorati.

 

* * *

Nell’ambito degli obiettivi nazionali fissati dall’Italia nella bozza di PNR, finalizzati a tradurre a livello interno gli obiettivi della Strategia Europa 2020 e a rimuovere le strozzature che ostacolano la crescita e lo sviluppo, assume peculiare rilievo il rilancio della politica di sviluppo del Mezzogiorno, da realizzarsi attraverso la predisposizione di un Piano nazionale per il Sud.

 

Il Piano, approvato dal Consiglio dei Ministri il 26 novembre 2010, ricalcando gli obiettivi delineati nella bozza di PNR, individua le 8 priorità strategiche finalizzate allo sviluppo e al rilancio del Sud:

§         Infrastrutture, ambiente , beni pubblici, beni culturali e turismo;

§         Competenze ed istruzione;

§         Innovazione, Ricerca e competitività;

§         Sicurezza e legalità;

§         Certezza dei diritti e delle regole;

§         Pubblica amministrazione;

§         Sistema finanziario e Banca del Mezzogiorno;

§         Sostegno alle imprese, al lavoro, all’agricoltura.

 

Ai fini del perseguimento di tali indicate priorità, il Governo evidenzia i seguenti criteri di azione:

-             concentrazione della strategia, della programmazione e delle risorse su pochi obiettivi prioritari (infrastrutture e beni pubblici, ricerca e innovazione, istruzione ecompetenze) rilevanti per lo sviluppo del Mezzogiorno;

-             maggiore orientamento ai risultati, sostenuto da un rafforzamento della valutazione e dalla definizione di obiettivi e indicatori di risultato misurabili;

-             attenzione specifica ai progressi che occorre promuovere e garantire per creare nel Mezzogiorno un ambiente favorevole e pre-condizioni adeguate alpieno dispiegamento delle sue potenzialità di sviluppo.

Queste sono definite priorità “orizzontali”: sicurezza e legalità; certezza delle regole; funzionamento della pubblica amministrazione; sistema finanziario per il territorio; semplificazione del sostegno al sistema imprenditoriale.

 

Ai fini della selezione degli investimenti da realizzare (per singole linee di intervento e per progetti strategici), viene considerato necessario assicurare un impiego delle risorse ancorato alla valutazione e all’accertamento dell’effettività dei presupposti che devono rendere tale impiego concretamente in grado di conseguire i risultati attesi.

 

Nel Piano viene evidenziato il ricorso ai “contratti istituzionali”, quale strumento attraverso il quale fissare il quadro degli impegni e delle responsabilità delle amministrazioni,le modalità attraverso le quali conseguire gli obiettivi per ogni priorità e il relativo cronogramma; il quadro finanziario integrato e articolato per le risorse aggiuntive (fondi comunitari e nazionali aggiuntivi) e per le risorse ordinarie convergenti verso gli obiettivi di priorità.

 

Nell’ambito del documento, il Governo richiama il quadro della situazione delle risorse per il Sud registrato nel Rapporto annuale del Dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica, e sancito nella Delibera CIPE n. 79 del 30 luglio 2010, nella quale è stata effettuata una ricognizione, per il periodo 2000-2006, dello stato di attuazione degli interventi finanziati dal Fondo per le aree sottoutilizzate e delle risorse liberate nell'ambito dei programmi comunitari dell’Obiettivo 1[16].

Da tale ricognizione si evidenzia che:

§      per le 8 regioni del Mezzogiorno, a fronte dei circa 16 miliardi di fondi FAS stanziati nel periodo di programmazione 2000-2006, la spesa effettivamente realizzata è poco più di un terzo (38%);

§      circa il 40% di queste risorse (6,1 miliardi di euro) risulta impegnato su progetti con uno stato di avanzamento variabile dallo 0 al 10%;

§      sono non meno di 6 miliardi le risorse della programmazione 2000-2006 disponibili e non programmate;

§      l’avanzamento della spesa dei programmi comunitari 2007–2013 si è assestato intorno ad un valore del 7% a metà del periodo di programmazione[17]. Ciò determina il rischio concreto di incorrere nel disimpegno automatico delle risorse comunitarie.

 

Il Governo rileva come il disimpegno dei fondi comunitari al 31 dicembre 2010 sia stato scongiurato solo grazie alla decisione della Commissione, che ha concesso termini più ampi per la rendicontazione della spesa, e come il raggiungimento degli obiettivi di spesa dei fondi comunitari al 31 dicembre 2011 appaia allo stato problematico per quasi tutti i programmi operativi riguardanti l’obiettivo Convergenza nell’ambito dei Fondi strutturali 2007-2013.

Si indica dunque come finalità quella di ristabilire principi e criteri per l’utilizzazione e la concentrazione delle risorse, nazionali e comunitarie, della programmazione 2007 – 2013 in aggiunta a quelle derivanti dalla ricognizione svolta a luglio 2010, nella citata delibera CIPE n. 79 del 30 luglio 2010.

 

Si ricorda, in proposito che in data 10 gennaio 2011 CIPE ha approvato la deliberan. 1/2011[18], nella quale sono stati fissati i criteri e le modalità per:

§         la riprogrammazione delle risorse rivenienti dalla ricognizione effettuata dalla delibera CIPE n. 79/2010 ;

§         la selezione ed attuazione degli investimenti finanziati con le risorse FAS 2007-2013;

§         gli indirizzi e gli orientamenti per l’accelerazione degli interventi cofinanziati dai Fondi strutturali 2007-2013.

 

Il Piano evidenzia il legame tra federalismo fiscale e politiche di coesione, preannunciando l’adozione del decreto legislativo di attuazione dell’articolo 16 della legge n. 42/2009, volto a definire una nuova disciplina e modalità di utilizzo dei fondi destinati alla coesione territoriale e l’adozione di un decreto interministeriale sulla perequazione infrastrutturale volto a dettare, ai sensi dell’articolo 22 della legge n. 42/2009, in sede di prima applicazione, regole e principi per la determinazione del ritardo infrastrutturale dei territori e per gli interventi destinati al suo recupero.

 

Relativamente a tali ultimi atti, i quali costituiscono parte integrante del piano di rilancio per il Sud, si ricorda che:

§      in data 26 novembre è stato adottato lo schema di decreto interministeriale di ricognizione degli interventi infrastrutturali ai fini della perequazione infrastrutturale. Lo schema è all’esame della Conferenza Unificata;

§      in data 2 febbraio 2011 è stato trasmesso alle Camere, ai fini del prescritto parere parlamentare, lo schema di decreto legislativo recante l’attuazione dell’articolo 16 della legge n. 42/2009, in materia di risorse aggiuntive ed interventi speciali per la rimozione degli squilibri economici e sociali. Il predetto schema di decreto legislativo – su cui è mancata l’Intesa in sede di Conferenza Unificata[19] - reca tra l’altro la disciplina dei contratti istituzionali di sviluppo su cui si basa l’impiego delle risorse destinate alla rimozione degli squilibri economici, già citati nel Piano. Lo schema non è ancora all’esame della Commissione bicamerale per l’attuazione del federalismo fiscale. Il parere su di esso dovrà essere reso entro il 3 aprile 2011.

 

In merito al Piano per lo sviluppo del meridione, si rileva che nella bozza di PNR presentato dal Governo italiano alle Istituzioni comunitarie a novembre 2010, viene evidenziato come nella strategia di sviluppo del nostro Paese ci siano un vincolo (il debito pubblico) e quattro obiettivi fondamentali da raggiungere, inerenti alle seguenti quattro questioni essenziali: “meridionale”; fiscale; nucleare; “legale”.

Su queste questioni, nel PNR si ritiene indispensabile l’attivazione di nuovi motori di sviluppo esterni all’area della spesa pubblica in deficit.

 

Per quanto concerne, in particolare, la questione meridionale e il Piano per il Sud, nella bozza di PNR è dedicato un apposito capitolo alla politica regionale, in cui si rileva la necessità:

§         di una regia nazionale degli interventi, con l’abbandono dell’esclusiva competenza regionale su essi;

§         della concentrazione degli interventi su grandi infrastrutture di unificazione nazionale;

§         dell’automatica assunzione, ove possibile, della forma dei crediti di imposta e più in generale della fiscalità di vantaggio per tali interventi.

Il rilancio della politica di sviluppo del Mezzogiorno deve, dunque, essere accompagnato da interventi diretti a incidere sui divari infrastrutturali, attraverso una maggiore concentrazione delle risorse su grandi progetti - in particolare per i servizi di trasporto -, e ad aumentare l’efficacia degli investimenti in ricerca e innovazione tramite politiche sempre più qualificate e legate ai territori e incentivi alle imprese basati su un equilibrio tra meccanismi automatici e processi valutativi.

 

In particolare, a seguito di una ricognizione delle risorse aggiuntive disponibili, il Governo ha espresso l’intenzione di procedere – attraverso il Piano per il Sud - ad una loro riprogrammazione finalizzata a:

§      grandi progetti di infrastrutture e, segnatamente, grandi assi ferroviari nelle regioni del Sud;

§      un programma straordinario di miglioramento dell'efficacia del sistema scolastico e universitario meridionale, con la creazione di rapporti sia con le imprese, sia con le reti di formazione internazionali;

§      azioni di adeguamento dei servizi pubblici locali, in particolare reti idriche e del sistema del trattamento dei rifiuti solidi urbani;

§      rafforzamento degli strumenti a presidio di sicurezza e legalità;

§      una riforma del sistema di incentivi, diretta a concentrare le risorse disponibili, nazionali e comunitarie, su pochi strumenti[20];

§      Banca del Mezzogiorno, per aumentare l’offerta di credito con modalità più vicine ai territori[21];

§      riqualificazione della Pubblica amministrazione, con l'introduzione di meccanismi per incentivare l'efficienza dei procedimenti amministrativi.

 


4. Riforme strutturali: il federalismo fiscale

L’analisi annuale sulla crescita ha sottolineato la necessità di portare avanti il lavoro sulla fiscalità, settore definito come “delicato” ma avente un importante potenziale economico, atto a stimolare la crescita e la creazione di posti di lavoro, a ridurre gli oneri amministrativi e ad eliminare gli ostacoli nel mercato unico.

Le indicazioni europee riguardano l’abolizione del trattamento fiscale sfavorevole al commercio o agli investimenti transfrontalieri; in particolare, si preannuncia che nel 2011 la Commissione proporrà misure per modernizzare il regime IVA, introdurre una base imponibile comune consolidata relativa alle imprese e definire un approccio europeo coordinato alla tassazione del settore finanziario.

I progressi in materia di fiscalità comportano anche la riduzione dell'onere fiscale sul lavoro al minimo indispensabile e l'adeguamento del quadro europeo per l'imposizione dei prodotti energetici in linea con gli obiettivi dell'UE in materia di energia e clima.

 

In Italia, l’attuazione dell'articolo 119 della Costituzione in materia di federalismo fiscale assume rilievo fondamentale tra le riforme fiscali a carattere strutturale. La legge 5 maggio 2009, n. 42 ha indicato i principi e i criteri direttivi conferendo apposita delega legislativa al Governo.

Il nuovo assetto dei rapporti economico-finanziari tra lo Stato e le autonomie territoriali delineato dalla legge è incentrato sul superamento del sistema di finanza derivata e sull’attribuzione di una maggiore autonomia di entrata e di spesa agli enti decentrati, nel rispetto dei principi di solidarietà, riequilibrio territoriale e coesione sociale sottesi al nostro sistema costituzionale.

A tal fine la legge stabilisce in modo puntuale la struttura fondamentale delle entrate di regioni ed enti locali, definisce i principi che regoleranno l’assegnazione di risorse perequative agli enti dotati di minori capacità di autofinanziamento e delinea gli strumenti attraverso cui sarà garantito il coordinamento fra i diversi livelli di governo in materia di finanza pubblica.

Nel definire i principi fondamentali del sistema di finanziamento delle autonomia territoriali, la legge distingue le spese che investono i diritti fondamentali di cittadinanza, quali sanità, assistenza, istruzione e quelle inerenti le funzioni fondamentali degli enti locali - per le quali si prevede l’integrale copertura dei fabbisogni finanziari - rispetto a quelle che, invece, vengono affidate in misura maggiore al finanziamento con gli strumenti propri della autonomia tributaria, per le quali si prevede una perequazione delle capacità fiscali, ossia un finanziamento delle funzioni che tiene conto dei livelli di ricchezza differenziati dei territori.

Per le suddette funzioni concernenti i diritti civili e sociali, spetta allo Stato definire i livelli essenziali delle prestazioni, che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale in condizione di efficienza e di appropriatezza; ad essi sono associati i costi standard necessari alla definizione dei relativi fabbisogni; le altre funzioni o tipologie di spese decentrate saranno invece finanziate secondo un modello di perequazione che dovrebbe concretizzarsi in un tendenziale avvicinamento delle risorse a disposizione dei diversi territori, senza tuttavia alterare l’ordine delle rispettive capacità fiscali.

Un diverso trattamento, intermedio rispetto alle precedenti funzioni, è previsto per il trasporto pubblico locale, nonché per gli interventi speciali di cui al quinto comma dell’art. 119 della Costituzione.

Per quanto riguarda le modalità di finanziamento delle funzioni, si afferma, quale principio generale, che il normale esercizio di esse dovrà essere finanziato dalle risorse derivanti dai tributi e dalle entrate proprie di regioni ed enti locali, dalle compartecipazioni al gettito di tributi erariali e dal fondo perequativo.

La legge reca i criteri direttivi volti a individuare il paniere di tributi propri e compartecipazioni da assegnare ai diversi livelli di governo secondo il principio della territorialità e nel rispetto dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza di cui all’articolo 118 della Costituzione, nonché le modalità di attribuzione agli stessi di cespiti patrimoniali. Ciò al fine di definire un quadro diretto a consentire l’esercizio concreto dell’autonomia tributaria da parte dei governi decentrati, nonché un adeguato livello di flessibilità fiscale.

Per quanto riguarda il sistema tributario complessivo dello Stato, dovrà essere salvaguardato l’obiettivo di non alterare il criterio della sua progressività, rispettando il principio della capacità contributiva ai fini del concorso alle spese pubbliche. In linea generale, si stabilisce il principio in base al quale l’imposizione fiscale dello Stato deve essere ridotta in misura corrispondente alla più ampia autonomia di entrata di regioni ed enti locali.

Viene inoltre prevista l’attivazione di meccanismi di premialità dei comportamenti virtuosi ed efficienti – in termini di equilibri di bilancio, qualità dei servizi, contenuto livello della pressione fiscale e incremento dell’occupazione – ovvero sanzionatori per gli enti che non rispettano gli obiettivi di finanza pubblica, che possono giungere sino all’individuazione dei casi di ineleggibilità nei confronti degli amministratori responsabili di stati di dissesto finanziario.

In linea generale, l'attuazione della delega dovrà risultare compatibile con gli impegni finanziari assunti con il patto di stabilità e crescita europeo; dovrà inoltre essere evitata ogni duplicazione di funzioni e dunque di costi, nonché salvaguardato l'obiettivo di non produrre aumenti della pressione fiscale complessiva.

La legge n. 42 delinea la procedura di adozione ed esame parlamentare dei decreti legislativi attuativi, fissando il termine per l’adozione di almeno uno di essi entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge stessa (21 maggio 2009) e in ventiquattro mesi il termine generale per l’adozione degli altri decreti.

E' previsto, altresì, che entro il 30 giugno 2010, e comunque prima della presentazione al Parlamento degli schemi di decreto legislativo concernenti i tributi, le compartecipazioni e la perequazione degli enti territoriali, il Governo trasmetta alle Camere una relazione concernente il quadro generale di finanziamento degli enti territoriali e l'ipotesi di definizione, su base quantitativa, della struttura fondamentale dei rapporti finanziari tra lo Stato, le regioni, le province autonome e gli enti locali, con l'indicazione delle possibili distribuzioni delle risorse. La suddetta Relazione (Doc XXVII, n. 22) è stata presentata alle Camere nei termini indicati ed è attualmente all’esame della Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale.

Gli schemi di decreto - ciascuno dei quali deve essere corredato di una relazione tecnica che ne evidenzi gli effetti finanziari - sono adottati dal Governo previa intesa raggiunta in sede di Conferenza unificata Stato-regioni-autonomie locali e successivamente trasmessi alle Camere per l’espressione del parere da parte: a) della Commissione bicamerale per l'attuazione del federalismo fiscale , costituita il 17 marzo 2010 e composta da 15 deputati e 15 senatori; b) delle Commissioni parlamentari competenti per i profili di carattere finanziario (vale a dire le Commissioni bilancio delle due Camere).

All’adozione dei decreti si può peraltro procedere anche qualora non venga raggiunta l’intesa in sede di Conferenza unificata: in tal caso, e trascorsi trenta giorni dalla prima seduta della Conferenza in cui gli schemi di decreto legislativo sono posti all’ordine del giorno, il Consiglio dei ministri può comunque deliberare la trasmissione alle Camere, approvando contestualmente una relazione in cui vengono motivate le ragioni per cui l’intesa non è stata raggiunta.

Sia la Commissione bicamerale che le Commissioni bilancio sono chiamate a esprimersi entro 60 giorni (prorogabili di ulteriori 20 giorni) dalla trasmissione dei testi; decorso tale termine, i decreti possono essere comunque adottati.

E’ inoltre prevista l'ipotesi in cui il Governo non intenda conformarsi ai pareri parlamentari: in tal caso esso trasmette nuovamente gli schemi alle Camere con le relative osservazioni ed eventuali modificazioni, rendendo a tal fine comunicazioni davanti a ciascuna Camera; trascorsi 30 giorni da tale trasmissione, i decreti legislativi possono essere adottati.

 

A seguito del parere espresso dalla Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale sono stati adottati i seguenti decreti legislativi:

§       decreto-legislativo 28 maggio 2010, n. 85, “Attribuzione a comuni, province, città metropolitane e regioni di un proprio patrimonio, in attuazione dell'articolo 19 della legge 5 maggio 2009, n. 42”, (c.d. federalismo demaniale);

§       decreto legislativo 17 settembre 2010, n. 156, “Disposizioni recanti attuazione dell'articolo 24 della legge 5 maggio 2009, n. 42, in materia di ordinamento transitorio di Roma Capitale”;

§       decreto legislativo 26 novembre 2010, n. 216, “Disposizioni in materia di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard di Comuni, Città metropolitane e Province”.

 

E' stato altresì trasmesso alla Commissione parlamentare per il federalismo fiscale lo schema di decreto legislativo (atto del Governo n. 292) recante disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale. Il provvedimento è stato trasmesso alla Commissione il 9 novembre 2010, che ne ha concluso l’esame il 3 febbraio 2011 senza pervenire all’approvazione del parere. Il 9 febbraio 2011 il Consiglio dei ministri, nell’approvare il testo definitivo del decreto, ne ha quindi deliberato la trasmissione alle Camere con le relative osservazioni e modifiche (atto del Governo n. 292-bis).

Sono stati inoltre assegnati alla Commissione parlamentare per il federalismo fiscale lo schema di decreto legislativo (atto del Governo n. 317), recante autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard del settore sanitario (assegnato il 10 gennaio 2011), nonché lo schema di decreto legislativo (atto del Governo n. 328), recante attuazione dell’articolo 16 della legge n. 42 del 2009 in materia di risorse aggiuntive ed interventi speciali per la rimozione degli squilibri economici e sociali (assegnato il 2 febbraio 2011).

Si segnala che in data 30 novembre 2010 la Commissione ha approvato la prima relazione semestrale sull’attuazione della legge delega sul federalismo fiscale (DOC XVI-bis) , sulla base di quanto dispone l’articolo 3, comma 5, della legge n.42 del 2009.

 

La bozza di Programma Nazionale di Riforma – PNR, approvato dal Consiglio dei Ministri il 5 novembre 2010, rammenta che nel 2010 il Governo ha rafforzato il processo di attuazione del federalismo fiscale iniziato l’anno scorso con l’approvazione della legge delega sul federalismo; a sostegno dell’autonomia di entrata e di spesa degli enti territoriali, si ricordano inoltre le misure varate con il decreto legge n. 78 del 2010[22] e, in particolare, le disposizioni – inquadrate nell’azione più generale di lotta all’evasione fiscale – che hanno innalzato la quota di partecipazione dei comuni al gettito recuperato a vantaggio degli enti maggiormente impegnati in tali attività. Inoltre, coerentemente con i principi stabiliti dalla legge sul federalismo fiscale, il decreto ha rafforzato i meccanismi premianti a favore degli enti locali virtuosi che hanno rispettato il Patto di Stabilità Interno, garantendo altresì loro la possibilità di escludere parte della spesa in conto capitale dal calcolo degli obiettivi definiti in termini di saldi finanziari.

 All’inizio del 2010 è stata istituita presso il Ministero dell'economia e delle finanze la Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale (Copaff), coerentemente a quanto previsto dalla legge delega sul federalismo fiscale. La Commissione, operante nell’ambito della Conferenza unificata, ha il compito di acquisire ed elaborare elementi conoscitivi utili per la predisposizione dei contenuti dei decreti legislativi che il Governo è chiamato ad approvare.


 

5. Garantire la stabilità del settore finanziario

L’analisi annuale sulla crescita rammenta che il quadro normativo concernente la stabilità del settore finanziario necessita di essere ulteriormente potenziato a livello di UE; anche la qualità della vigilanza deve essere migliorata, tramite l’attività delle nuove autorità europee di vigilanza operative dall'inizio del 2011.

Si ricorda in proposito che la prima riunione del Management Board dell'EIOPA (European Insurance and Occupational Pensions Authority), nuova Autorità di vigilanza europea in materia assicurativa e pensionistica, ha avuto luogo il 10 gennaio 2011 ed ha coinciso con l’avvio formale dell’attività delle tre nuove Autorità Europee di Vigilanza (ESAs). Il giorno successivo (11 gennaio 2011) ha avuto luogo la prima riunione del Board of Supervisors dell’ESMA (European Securities and Markets Authority),  ufficialmente istituita il 1° gennaio 2011. Il 12 gennaio 2011 si è infine riunito il Board of Supervisiors dell'’EBA (European Banking Authority), che ha acquisito i compiti e le responsabilità  in precedenza affidati al CEBS - Committee of European Banking Supervisors.

Si sottolinea inoltre come la ristrutturazione delle banche, in particolare di quelle che hanno ricevuto aiuti di Stato di notevole entità, sia indispensabile per ripristinarne la redditività a lungo termine garantendo al tempo stesso un canale di credito funzionante. Il sostegno finanziario pubblico al settore bancario deve essere progressivamente ritirato, tenendo conto della necessità di salvaguardare la stabilità finanziaria.  In conformità del quadro Basilea III di recente adozione, le banche dovranno potenziare gradualmente la propria base di capitale per poter resistere meglio agli shock negativi.

Al fine di raggiungere i predetti obiettivi, la Commissione sottolinea che nel 2011-2012 occorrerà intervenire, in particolare, nei seguenti settori, per i quali il coordinamento a livello di UE è di fondamentale importanza:

•      ristrutturazione delle banche, in particolare di quelle che hanno ricevuto aiuti di Stato di notevole entità; essa consentirà pertanto di salvaguardare la stabilità finanziaria e sosterrà l'erogazione di credito all'economia reale, e progressivo ritiro del sostegno finanziario pubblico al settore bancario;

•      creazione di un meccanismo permanente per risolvere le crisi del debito sovrano, in modo da garantire certezza e stabilità sui mercati finanziari. Nel 2013 il nuovo meccanismo europeo di stabilità garantirà la stabilità sui mercati e completerà il nuovo quadro per una governance economica rafforzata, mirando a una vigilanza economica efficace e rigorosa, anche attraverso un esame dell'efficacia degli attuali meccanismi finanziari di protezione;

•      prosecuzione delle riforme finanziarie, con potenziamento tra l’altro del quadro normativo e di vigilanza al fine di ovviare ai fallimenti del mercato evidenziati dalla crisi; si richiede inoltre un ulteriore potenziamento del quadro normativo a livello di UE e il miglioramento della qualità della vigilanza da parte delle autorità europee di vigilanza;

•      graduale potenzialmento, da parte delle banche, della propria base patrimoniale per poter resistere meglio agli shock negativi, in linea con il quadro di Basilea III. Sono state preannunciate, nel corso del 2011, stress tests più ambiziosi e rigorosi a livello di UE, onde valutare la resistenza del settore bancario.

 

Diverse, puntuali disposizioni sono state adottate in Italia al fine di garantire la stabilità delle banche e degli intermediari finanziari, anche allo scopo di assicurare una adeguata erogazione di credito all’economia reale.

L’obiettivo è quello di rafforzare la base patrimoniale degli istituti di credito al fine di consentire agli stessi di sopportare eventuali nuovi episodi di tensione o di crisi dei mercati finanziari, come prevede fra l’altro l’Accordo di Basilea III fissando requisiti patrimoniali più elevati.

La grave crisi dei mercati finanziari, che ha portato all'estero anche al fallimento di banche e intermediari finanziari, ha determinato l'adozione, da parte del Governo, di misure a tutela dei depositanti e di provvedimenti volti a promuovere la stabilità bancaria e dei mercati finanziari più in generale

La linea adottata dal Governo italiano, in sintonia con le decisioni assunte in ambito europeo, ha seguito una strategia finalizzata a contrastare la crisi finanziaria attraverso la garanzia di un sufficiente livello di liquidità alle istituzioni creditizie e dei depositi.

Un primo gruppo di disposizioni relative al settore creditizio è stato inserito nel decreto-legge 9 ottobre 2008, n. 155 e nel decreto-legge 13 ottobre 2008, n. 157, poi accorpati nel corso dell’esame in sede referente del D.L. n. 155.

Con questo provvedimento sono state adottate alcune misure straordinarie al fine di garantire la stabilità del sistema bancario e la tutela del risparmio, in linea con le conclusioni in sede europea. Si ricordano in questa sede le misure di ricapitalizzazione delle banche, essendo stato il Ministero dell’economia e delle finanze autorizzato ad intervenire presso le banche che si fossero trovate in situazione di inadeguatezza patrimoniale accertata dalla Banca d’Italia, attraverso la sottoscrizione o la garanzia di aumenti del capitale sociale; la garanzia statale sulle passività bancarie e possibilità di scambio tra titoli di Stato e strumenti finanziari detenuti dalle banche, essendo stato sempre il MEF autorizzato, sino al 31 dicembre 2009, a concedere la garanzia dello Stato sulle passività delle banche con scadenza fino a 5 anni, di emissione successiva al 13 ottobre 2008; l’estensione delle procedure di amministrazione straordinaria e gestione provvisoria alle banche con problemi di liquidità; le garanzie sui depositi bancari, essendo state integrate le vigenti disposizioni italiane in tema di garanzia sui depositi, aggiungendo ai sistemi di natura privatistica già presenti nell’ordinamento la possibilità di rilascio, da parte del Ministero dell’economia e delle finanze, di una garanzia statale a favore dei depositanti delle banche italiane; disposizioni in materia di “conti dormienti”, essendo stata introdotta una complessa serie di disposizioni finalizzate a razionalizzare la normativa sulla liquidità giacente all’interno del sistema bancario e finanziario su conti e rapporti non movimentati (cosiddetti conti dormienti).

Un secondo gruppo di interventi sul settore è stato poi recato dal decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 (cosiddetto decreto “anti-crisi”, convertito dalla legge 22 gennaio 2009, n. 2), che ha introdotto altresì misure di sostegno dell’economia.

Da ultimo, il decreto-legge n. 225 del 2010 (cosiddetto Milleproroghe[23]), prevede la trasformazione in crediti d’imposta, qualora nel bilancio individuale delle società che esercitano attività bancaria e finanziaria venga rilevata una perdita d’esercizio, delle attività per imposte anticipate iscritte in bilancio, relative a svalutazioni di crediti non ancora dedotte dal reddito imponibile ai sensi del comma 3 dell’articolo 106 del testo unico delle imposte sui redditi di cui al D.P.R. n. 917 del 1986 (TUIR), nonché di quelle relative al valore dell’avviamento e delle altre attività immateriali, i cui componenti negativi sono deducibili in più periodi d’imposta ai fini delle imposte sui redditi.

Ciò al fine di favorire la patrimonializzazione delle banche italiane nel contesto della prossima applicazione dell’Accordo di Basilea III sul capitale bancario che, come noto, a seguito della crisi dei mercati richiede requisiti più elevati di patrimonializzazione degli istituti bancari[24].

Secondo quanto illustrato nella Relazione tecnica al provvedimento, “la ratio della norma è da trovarsi nel divario di incidenza delle imposte anticipate nei bilanci degli operatori italiani (in particolare gli enti creditizi e finanziari di cui al decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 87) rispetto a quelli europei, divario che dipende significativamente da regimi fiscali mano favorevoli quali, ad esempio, l’impossibilità di dedurre integralmente le rettifiche su crediti nell’anno di formazione, che determina la generazione di attività fiscali differite (DTA). L’impossibilità di liquidare le poste dell’attivo relative alle DTA ha indotto il Comitato di Basilea a introdurre stringenti filtri patrimoniali. Questi generano, superata una certa soglia, un impatto diretto di riduzione del capitale di migliore qualità (common equity) di un ammontare pari alle DTA che eccedono tale soglia, aumentando il fabbisogno di capitale. In sostanza, dunque, l’entrata in vigore del nuovo accordo di Basilea (c.d. Basilea 3) implica che il trattamento fiscale poco favorevole delle rettifiche su crediti si traduca anche in una penalizzazione sul piano della dotazione patrimoniale regolamentare delle banche italiane. Per evitare il sorgere di questo ulteriore svantaggio competitivo, la norma proposta prevede un meccanismo di conversione automatica in crediti di imposta, da utilizzare in compensazione ai sensi dell’articolo 17 del D.Lgs. 241/1997, delle poste rappresentative delle DTA connesse con le svalutazioni dei crediti, al verificarsi di perdite di esercizio accertate nel bilancio di esercizio approvato dall’assemblea; in tal modo, le DTA sarebbero smobilizzabili e, pertanto, concorrerebbero all’assorbimento delle perdite al pari del capitale e delle altre riserve, divenendo per tale via pienamente riconoscibili ai fini di vigilanza. Il medesimo meccanismo è altresì previsto anche per le DTA che derivino da disallineamenti temporali nella rilevazione di bilancio e fiscale e che siano destinati a riassorbirsi nel tempo, come nel caso dell’affrancamento del valore dell’avviamento e delle altre attività immateriali effettuato ai sensi dell’art. 15 del DL n. 185/2008, convertito con modificazione nella legge n. 2/2009.”.

 

La bozza di PNR presentata lo scorso novembre alle Camere ha rilevato che il sistema bancario italiano ha meglio resistito all’impatto della crisi, rispetto a quello di altri paesi europei. Nel corso del 2009, le banche italiane hanno infatti richiesto fondi pubblici per ricapitalizzazioni in misura contenuta (4 miliardi di euro) ed il loro capitale si è mantenuto sopra i minimi richiesti durante la crisi, risultando di qualità elevata nel confronto internazionale. La regolamentazione del settore in Italia è comparativamente più severa; inoltre, il leverage dei gruppi bancari italiani è più contenuto rispetto ai corrispondenti dell’area dell’euro.


6. Attirare capitali privati per finanziare la crescita

L’analisi annuale sulla crescita ha sottolineato la necessità di rinvenire soluzioni innovative per mobilitare urgentemente una quota più consistente del risparmio privato nell'UE e all'estero.

In particolare, si ricorda che la Commissione presenterà proposte relative a project bond europei per contribuire a riunire finanziamenti pubblici e privati a favore degli investimenti prioritari, segnatamente nei settori dell'energia, dei trasporti e delle TIC, e includerà questi strumenti di finanziamento innovativi nelle sue proposte per il prossimo quadro finanziario pluriennale. Al fine di agevolare l'accesso ai finanziamenti per le PMI e le start-up innovative, la Commissione presenterà proposte onde consentire ai fondi di venture capital stabiliti in uno Stato membro di operare liberamente in qualsiasi parte dell'UE ed eliminare i rimanenti ostacoli tariffari alle attività transfrontaliere.

 

Le misure adottate in Italia per attirare capitali comprendono sia interventi di natura fiscale, sia politiche finanziarie di sostegno alle piccole e medie imprese.

Sotto il primo profilo, si ricorda tra l’altro che l'articolo 41 del citato decreto-legge n. 78 del 2010 consente alle imprese estere residenti in uno Stato membro dell’Unione Europea di applicare, in luogo del regime tributario italiano, una diversa normativa fiscale scelta fra quelle esistenti all’interno della Unione (comma 1).

A tal fine, le suddette imprese dovranno interpellare l'Amministrazione finanziaria secondo quanto previsto dal decreto legge 30 settembre 2003, n. 269.

L'articolo 8 del decreto legge n. 269 del 2003 (ruling internazionale) prevede che le imprese con attività internazionale abbiano accesso ad una procedura di ruling di standard internazionale, con principale riferimento al regime dei prezzi di trasferimento, degli interessi, dei dividendi e delle royalties. Il ruling fiscale è una pratica che permette di negoziare e concludere con l’Amministrazione fiscale degli accordi preliminari che fissano il regime impositivo o il metodo di calcolo della base imponibile da applicare in una data situazione. Questo enunciato generale può applicarsi sia a degli accordi che coprono delle situazioni interne al singolo Stato oppure estendersi a fattispecie transnazionali. La procedura prevista dal citato articolo 8 si conclude con la stipulazione di un accordo, tra il competente ufficio dell'Agenzia delle entrate e il contribuente, e vincola per il periodo d'imposta nel corso del quale l'accordo è stipulato e per i due periodi d'imposta successivi, salvo che non intervengano mutamenti nelle circostanze di fatto o di diritto rilevanti al fine delle predette metodologie e risultanti dall'accordo sottoscritto dai contribuenti. In base alla normativa comunitaria, l'amministrazione finanziaria invia copia dell'accordo all'autorità fiscale competente degli Stati di residenza o di stabilimento delle imprese con i quali i contribuenti pongono in essere le relative operazioni. La richiesta di ruling è presentata al competente ufficio, di Milano o di Roma, della Agenzia delle entrate.

Le disposizioni per consentire alle imprese con attività internazionale di accedere alla suddetta procedura sono state definite con Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 23 luglio 2004, che individua i requisiti soggettivi ed oggettivi per l’accesso al ruling e stabilisce le modalità operative per l’avvio della procedura da parte del contribuente.

La scelta da parte di tali imprese di svolgere una nuova attività economica in Italia chiedendo l’applicazione delle regole fiscali vigenti altro Stato europeo è estesa anche ai loro dipendenti e collaboratori.

 

Sotto il diverso profilo dell’erogazione del credito alle PMI, il 3 agosto 2009 il Ministro dell'economia e delle finanze - MEF, l'ABI e le Associazioni dei rappresentanti delle imprese hanno firmato un Avviso comune per la sospensione dei debiti delle piccole e medie imprese verso il sistema creditizio, con l'obiettivo di dare respiro finanziario alle imprese aventi adeguate prospettive economiche e in grado di provare la continuità aziendale. L'accordo prevede, in particolare, la possibilità di sospendere temporaneamente il pagamento della quota capitale delle rate o dei canoni relativi ad operazioni di mutuo o di leasing. E' inoltre previsto l'allungamento a 270 giorni delle anticipazioni bancarie su crediti. Il Ministero dell'economia e delle finanze, l'ABI e le altre Associazioni di rappresentanza delle imprese firmatarie dell'Avviso comune si sono impegnate a definire un sistema di monitoraggio dell'andamento dell'iniziativa. Con circolare del 1° luglio 2010 l’iniziativa è stata prorogata in modo tale da consentire alle imprese di presentare domanda di ammissione ai benefici previsti dall’Avviso sino al 31 gennaio 2011.

Con comunicato stampa del 16 febbraio 2011, l’ABI ha annunciato la sigla del nuovo accordo relativo al predetto Avviso comune, che ha previsto:

-      la proroga al 31 luglio 2011 del termine per la presentazione delle domande di ammissione ai benefici;

-      l’allungamento dei finanziamenti a medio lungo termine (mutui) che hanno beneficiato della sospensione ai sensi dell’avviso Comune, per un periodo pari alla vita residua del finanziamento e, in ogni caso, non superiore ai 2 anni per i finanziamenti chirografari e ai 3 anni per quelli ipotecari;

-      la previsione secondo cui le banche possono mettere a disposizione delle imprese che lo richiedono specifici strumenti di gestione del rischio di tasso relativamente ai finanziamenti per i quali si propone l’allungamento del piano di ammortamento, finalizzati a convertire il tasso di interesse del finanziamento da variabile a fisso o a fissare un tetto al possibile incremento del tasso di interesse variabile;

-      appositi finanziamenti per le imprese che avviano processi di rafforzamento patrimoniale.

Si segnala inoltre che la legge finanziaria 2010 (articolo 2, commi da 161 a 182 della legge 23 dicembre 2009, n. 191) ha recato un’articolata disciplina volta alla costituzione della Banca del Mezzogiorno S.p.A., società partecipata dallo Stato in qualità di socio fondatore e da altri soggetti privati, invitati a parteciparvi da un Comitato promotore all’uopo istituito. La banca agisce attraverso la rete di banche e di istituzioni che vi aderiscono con l’acquisto di azioni, e sua finalità precipua è quella di sostenere progetti di investimento nel Mezzogiorno, promuovendo in particolare il credito alle PMI anche con il supporto di intermediari finanziari. E' recata una normativa specifica in materia di emissione di azioni di finanziamento delle banche di credito cooperativo che partecipano al capitale della Banca del Mezzogiorno; tra l'altro, viene prevista una disciplina tributaria di favore, in base alla quale sugli interessi degli strumenti finanziari, sottoscritti da persone fisiche, emessi da banche per sostenere progetti di investimento di PMI del Mezzogiorno, si applica un'aliquota agevolata.

 

La bozza di PNR presentata alle Camere ricorda come tutte le politiche di incentivazione della ricerca e dell’innovazione debbano considerare la struttura produttiva del Paese, basata su una prevalenza di piccole e medie imprese (PMI), ed esposta alle sfide sia della competizione globale di prezzo nelle produzioni nazionali di tipo tradizionale (tessile, abbigliamento, calzature, legno-arredo-casa, meccanica leggera, prodotti agroindustriali), sia alla competizione sleale (soprattutto contraffazioni) per i prodotti del made in Italy. Le politiche per l’innovazione, la ricerca e sviluppo sono dunque chiamate a sostenere lo sforzo del sistema produttivo volto all’innalzamento della qualità dei prodotti e dei processi, tutelandolo per questa via anche da tentativi di concorrenza sleale.

 


7. Gli incentivi per la ricerca e l’innovazione

In materia di ricerca e sviluppo, nell’analisi annuale sulla crescita viene rilevato il ritardo dell’Europa rispetto agli Stati Uniti e ad altre economie avanzate sia per volume di risorse investite - specialmente nel settore privato – sia in termini di efficacia della spesa; tale divario incide negativamente sulle prospettive di crescita, specialmente per i settori con il maggior potenziale di crescita. Si sottolinea in proposito come alcuni Stati membri abbiano preso provvedimenti per incrementare considerevolmente gli investimenti pubblici a favore di ricerca, innovazione e istruzione, riconoscendo che questi investimenti alimenteranno la crescita futura. Alcuni Stati membri hanno indicato obiettivi elevati, ma comunque realistici, pur incontrando difficoltà ad assumere impegni per la componente privata del loro obiettivo riguardante la ricerca e lo sviluppo.

La quota nell'economia delle imprese innovative in rapida crescita è un altro aspetto strettamente collegato dei risultati ottenuti dall'UE in materia di innovazione; si ricorda che gli Stati membri devono iniziare ad orientare le proprie riforme in modo da eliminare gli ostacoli all'espansione delle imprese innovative, anche migliorando le condizioni generali e l'accesso ai finanziamenti.

 

Diverse misure sono state adottate in Italia per incentivare ricerca e sviluppo, in linea con quanto prefigurato nel PNR.

Anzitutto, si ricorda che la legge di stabilità per il 2011 (legge 13 dicembre 2010, n. 220; comma 25 dell’articolo 1) ha attribuito un credito d’imposta, nel limite di spesa di 100 milioni di euro per l'anno 2011, in favore delle imprese che affidano attività di ricerca e sviluppo a università o enti pubblici di ricerca.

Il credito spetta in relazione agli investimenti realizzati a decorrere dal 1° gennaio 2011 e fino al 31 dicembre 2011, e in misura percentuale stabilita con norma secondaria: tale percentuale deve essere rapportata ai costi sostenuti per attività di ricerca e sviluppo riferiti a contratti stipulati con università ed enti pubblici di ricerca.

Il credito d'imposta deve essere indicato nella relativa dichiarazione dei redditi, ma esso non concorre alla formazione del reddito e non concorre alla formazione della base imponibile dell’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP). Il credito d’imposta non rileva inoltre ai fini della determinazione della percentuale di deducibilità degli interessi passivi, di cui all’articolo 61 del Testo unico delle imposte sui redditi (TUIR), emanato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, né rispetto ai criteri di inerenza delle spese, di cui all’articolo 109, comma 5, del medesimo TUIR.

Esso è utilizzabile esclusivamente in compensazione, secondo le norme generali in materia di compensazione dei crediti tributari (dettate dall'articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241).

Si ricorda tra l’altro che l’articolo 2, comma 236, della legge finanziaria 2010 (legge n. 191/2009) ha previsto l’incremento dell’autorizzazione di spesa (nel dettaglio, 200 milioni di euro per ciascuno degli anni 2010 e 2011) per il credito d’imposta (disciplinato dall’articolo 1, commi da 280 a 283 della legge n. 296 del 2006, come successivamente modificati e integrati, nonché dagli articoli 17 e 29 del D.L. n. 185 del 2008) in favore delle imprese che hanno sostenuto, dal periodo d'imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2006 e fino alla chiusura del periodo d'imposta in corso alla data del 31 dicembre 2009, costi per l’attività di ricerca industriale e di sviluppo precompetitivo. La misura del credito è pari al 10% della spesa sostenuta, ovvero al 40% della stessa qualora riferita a contratti stipulati con università ed enti pubblici di ricerca.

 

Sotto un diverso profilo sono stati riconosciuti (ai sensi dell'articolo 42 del D.L. n. 78 del 2010), in favore delle realtà imprenditoriali appartenenti ad una “rete di imprese”, alcuni vantaggi fiscali, amministrativi e finanziari, compresa la possibilità di stipulare convenzioni con l'ABI alle condizioni che saranno stabilite con norme secondarie (regolamento del Ministro dell'economia e delle finanze).

Per quanto concerne in particolare le agevolazioni fiscali, le imprese aderenti a un contratto di rete fruiscono di un regime di sospensione d’imposta relativamente alla quota degli utili dell'esercizio accantonati ad apposita riserva e destinati alla realizzazione di investimenti previsti dal programma comune di rete (preventivamente asseverato da organismi espressione dell'associazionismo imprenditoriale muniti dei requisiti previsti con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, ovvero, in via sussidiaria, da organismi pubblici individuati con il medesimo decreto). L’agevolazione opera per gli utili realizzati fino al periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2012 ed interessa la quota degli stessi imputata al fondo patrimoniale comune o al patrimonio destinato per le predette finalità di investimento. Gli utili accantonati concorrono a formare il reddito nell'esercizio in cui la riserva è utilizzata per finalità diverse dalla copertura di perdite di esercizio ovvero in cui viene meno l'adesione al contratto di rete. L'asseverazione è rilasciata previo riscontro della sussistenza, nel caso specifico, degli elementi propri del contratto di rete e dei relativi requisiti di partecipazione in capo alle imprese che lo hanno sottoscritto.

 

La bozza di PNR presentata alle Camere, in materia di ricerca e innovazione, ha sottolineato come la struttura produttiva del nostro Paese – che si basa su una prevalenza di piccole e medie imprese – sia esposta alle sfide sia della competizione globale di prezzo nelle produzioni nazionali di tipo tradizionale (tessile, abbigliamento, calzature, legno-arredo-casa, meccanica leggera, prodotti agroindustriali), sia alla competizione sleale (soprattutto contraffazioni) per i prodotti del made in Italy. Le politiche per l’innovazione, la ricerca e sviluppo devono conseguentemente tener conto di questi fattori e sono dunque chiamate a sostenere lo sforzo del sistema produttivo volto all’innalzamento della qualità dei prodotti e dei processi.

In tal senso, gli interventi volti alla promozione della ricerca e sviluppo e la capacità di attivare meccanismi efficaci di trasferimento tecnologico, indirizzati soprattutto alle PMI, sono cruciali per preservare e migliorare la posizione delle imprese italiane sui mercati globali.

I principali strumenti che il Governo si è proposto di attuare sono:

§         l’ampliamento dell’utilizzo di strumenti di sostegno automatici, in particolare per le piccole e medie imprese (tra cui, il citato il credito d’imposta per attività di ricerca e sviluppo);

§         la vaorizzazione e diffusione delle opportunità offerte dal contratto di rete di imprese, strumento che consente alle piccole e medie imprese di dar vita a collaborazioni anche tecnologiche per superare le difficoltà, legate alla piccola dimensione, ad investire maggiormente in ricerca e sviluppo allo scopo di rafforzare la competitività sui mercati nazionali e internazionali.


8. La fiscalità per favorire la produttività del lavoro

L'analisi annuale della crescita ha rilevato la necessità di prestare particolare attenzione ad alcune priorità riguardanti le riforme strutturali del mercato del lavoro, tra cui la realizzazione di riforme fiscali abbinate a servizi più accessibili e a maggiori benefici sul lavoro, che possono influire considerevolmente sulla riduzione della disoccupazione e delle trappole dell'inattività. In particolare, si sottolinea come benefici più efficaci da parte delle aziende e crediti fiscali, abbinati ad una rapida assegnazione dei giovani disoccupati ad adeguati programmi di formazione o di apprendistato, possano rendere il lavoro maggiormente attraente.

Più in generale, si richiede un'interazione tra imposizione fiscale e prestazioni sociali, che faccia sì che chi ha diritto al sussidio di disoccupazione benefici di un credito d'imposta sui redditi da lavoro, può costituire un'attrattiva al lavoro per i cittadini inattivi.

 

Tra le misure introdotte in Italia per favorire la produttività del lavoro si ricordano, da ultimo, le disposizioni della legge di stabilità per il 2011 (articolo 1, comma 47 della citata L. 220/2010), che hanno prorogato al 2011 il regime di detassazione dei contratti di produttività di cui all’articolo 5 del D.L. 185/2008[25].

In particolare, il lavoratore dipendente del settore privato che realizza nel 2011 redditi in relazione a incrementi di produttività e lavoro straordinario può optare per l’applicazione, su tali redditi, di un’imposta sostitutiva (10%), in luogo dell’IRPEF e delle relative addizionali. Sono ammessi al beneficio i soggetti che realizzano nel 2010 un reddito di lavoro dipendente non superiore a 40.000 euro (fino al 2009 era fissato in 35.000) e comunque su un ammontare imponibile non superiore a 6.000 euro. La proroga al 2011 si applica anche al personale del comparto sicurezza, difesa e soccorso pubblico.

 

La bozza di PNR sottolinea come tra gli squilibri macroeconomici che maggiormente incidono sulla crescita vi sia la diminuzione della competitività del Paese, affermando che le riforme più urgenti in tal senso devono creare le condizioni per favorire sistemi di contrattazione salariale e sviluppi del costo del lavoro coerenti con la stabilità dei prezzi e capaci di promuovere la produttività.


9. La fiscalità nel settore energetico

L’azione nel settore energetico, come emerge dall’analisi annuale sulla crescita, costituisce una priorità decisiva dell’azione politico-economica delle istituzioni europee: una crescita sostenibile è sinonimo di trasformazione dell'Europa in un'economia e in una società competitive, efficienti sotto il profilo delle risorse e a basse emissioni di carbonio.

Anche sotto il profilo della qualità della tassazione, si rileva come le tasse ambientali – insieme alle imposte sui beni immobili e le imposte sui consumi – risultino meno distorsive.

 

Per quanto concerne le misure fiscali relative al settore energetico, si ricorda che (articolo 81, commi da 16 a 18 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112) è stata introdotto, in dipendenza dell’andamento dell’economia e dell’impatto sociale dell’aumento dei prezzi e delle tariffe del settore energetico, una addizionale di 6,5 punti percentuali sull’aliquota dell’imposta sul reddito delle società di cui all’articolo 75 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, da applicarsi per i soggetti che abbiano conseguito nel periodo di imposta precedente un volume di ricavi superiore a 25 milioni di euro e che operano nei settori di seguito indicati:

a) ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi;

b) raffinazione petrolio, produzione o commercializzazione di benzine, petroli, gasoli per usi vari, oli lubrificanti e residuati, gas di petrolio liquefatto e gas naturale;

c) produzione o commercializzazione di energia elettrica.

 

Inoltre, la legge di stabilità per il 2011 (legge 13 dicembre 2010, n. 220), al comma 48 dell’articolo 1, ha prorogato l’efficacia delle agevolazioni fiscali in materia di riqualificazione energetica del patrimonio edilizio (contenute ai commi da 344 a 347 dell'articolo unico della legge finanziaria 2007, legge n. 296 del 2006), estendendo dal 31 dicembre 2010 al 31 dicembre 2011 il termine entro il quale devono essere sostenute e documentate una serie di spese al fine della fruizione della detrazione fiscale del 55% .

È previsto peraltro che la detrazione debba essere ripartita in dieci quote annuali di pari importo, in luogo delle cinque attualmente vigenti.

Le spese che possono fruire della detrazione fiscale del 55% sono le seguenti: spese per la riqualificazione energetica (comma 344 della finanziaria 2007); spese per interventi su strutture opache verticali, orizzontali e finestre (comma 345 della finanziaria 2007); spese per l'installazione di pannelli solari per la produzione di acqua calda (comma 346 della finanziaria 2007); spese per la sostituzione di impianti di climatizzazione invernale a condensazione (comma 347 della finanziaria 2007).

 

La bozza di PNR presentata alle Camere lo scorso novembre ha rilevato che l’efficienza energetica nell’intera catena dell’energia e in tutti i settori finali rappresenta uno strumento efficace e relativamente economico nella lotta ai cambiamenti climatici e migliora la sicurezza.

Sono a tal proposito ricordate le predette misure relative alle detrazioni fiscali del 55% per la riqualificazione energetica degli edifici: viene sottolineato come i vantaggi di questo intervento si valutino non solo in termini di risparmio energetico, ma anche in termini di emersione del lavoro (vantaggi occupazionali) e di maggiori entrate tributarie (vantaggi economici), con conseguenti benefici per le casse dello Stato e per la collettività (per via della riduzione dei costi esterni, ambientali e sanitari associati a questa tipologia di interventi).

Il Programma Nazionale di Riforma sottolinea inoltre come siano al vaglio del Governo ulteriori interventi volti, tra l’altro, alla promozione della cogenerazione diffusa, a favorire l’autoproduzione di energia per le piccole e medie imprese, a rafforzare il meccanismo dei titoli di efficienza energetica, a promuovere sia la nuova edilizia a rilevante risparmio energetico che la riqualificazione energetica degli edifici esistenti, a incentivare l’offerta di servizi energetici nonché di prodotti nuovi ad alta efficienza.

 

 

 

 



[1]  La disposizione in questione prevede che il Consiglio dell’UE e la Commissione trasmettano al Consiglio europeo una relazione annuale comune in merito alla situazione dell'occupazione nell'Unione e all'attuazione degli orientamenti in materia di occupazione.

[2]  Gazzetta Ufficiale L 308 del 24.11.2010, pag. 46 "Decisione del Consiglio del 21 ottobre 2010 sugli orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell’occupazione (2010/707/UE)".

[3]     N.B: La Tabella 1 e i grafici sono tratti dalla Relazione macroeconomica e ne mantengono (per una più chiara identificazione) la numerazione. La Tabella 2, invece, è frutto di un’elaborazione da parte degli Uffici della Camera dei dati contenuti nella Tabella 1.

[4]     Per un’analisi più dettagliata sulle cause della crisi, vedi il dossier predisposto dagli Uffici della Camera, Squilibri macroeconomici e nuova sorveglianza europea, Documentazione e ricerche, n. 179, dicembre 2010.

[5]     Commissione UE, Forecast, Autumn 2010.

[6]     Per un approfondimento, cfr dossier n. 179 del dicembre 2010.

[7]     L'obiettivo di medio termine (MTO) consiste nel livello di indebitamento netto strutturale (quindi corretto per il ciclo e depurato delle misure temporanee) tale da garantire un margine di sicurezza rispetto al rischio di incorrere in un disavanzo eccessivo (superare il limite del 3 per cento imposto dai Trattati) ed assicurare un ritmo certo di avvicinamento ad una situazione di sostenibilità. In linea generale, esso dovrebbe essere compreso tra un disavanzo dell'1 per cento e un equilibrio o surplus di bilancio.

      Secondo quanto previsto dal Patto di stabilità e crescita, gli Stati membri devono presentare, con l'aggiornamento dei rispettivi Programmi di stabilità, l’obiettivo di medio termine, definito sulla base del potenziale di crescita dell’economia e del rapporto debito/PIL, nonché indicare il percorso di avvicinamento all'obiettivo indicato. Tale percorso si fonda su una regola comune di correzione annuale strutturale di 0,5 punti percentuali; la regola, tuttavia, può variare in base alla condizioni del ciclo economico (bad times, good times).

      Circa l’entità del miglioramento annuale, si ricorda che nella proposta di regolamento della Commissione (COM(2010)526) si richiede, per i Paesi che presentino un elevato debito e/o squilibri macroeconomici eccessivi, una correzione superiore allo 0,5% annuo attualmente prevista.

[8]     Le previsioni di autunno della Commissione incorporano gli effetti della manovra contenuta nel DL 78/2010. Si ricorda che la successiva legge di stabilità per il 2011 comporta, in termini di saldo, effetti nulli sull’indebitamento netto.

[9]     Per la ricostruzione degli effetti delle manovre, cfr Ragioneria Generale dello Stato, Note brevi: La manovra di bilancio per il triennio 2009-2011, La manovra anticrisi per gli anni 2010-2012, La manovra di bilancio per gli anni 2011-2013.

[10]    Tali indicatori riprendono in parte quelli contenuti nella proposta di regolamento della Commissione (COM (2010) 527), sulla prevenzione e correzione degli squilibri macroeconomici. Per un approfondimento, cfr dossier predisposto dagli Uffici della Camera n. 179 del dicembre 2010.

[11]    In occasione della presentazione alla Commissione europea degli aggiornamenti annuali dei Programmi di stabilità, i Paesi membri devono presentare un’analisi sulla sostenibilità di lungo periodo delle finanze pubbliche. Essa si basa sulle ipotesi relative all’evoluzione delle variabili demografiche e macroeconomiche e alle proiezioni delle spese legate all’invecchiamento, nonché sui seguenti parametri:

-       livelli del rapporto debito/PIL e dell’avanzo primario strutturale nell’anno base preso a riferimento nell’analisi medesima;

-       tasso di interesse reale costante per tutto il periodo di riferimento;

-       variazione dell’avanzo primario strutturale per effetto delle sole variazioni delle spese correlate all’invecchiamento della popolazione e dei redditi proprietari.

      Sulla base di tali ipotesi, l’analisi è condotta attraverso la proiezione del rapporto debito/PIL al 2060 e il calcolo di alcuni indicatori sintetici di sostenibilità.

      In particolare, l’indicatore S2. misura l'ampiezza dell'aggiustamento fiscale permanente, in termini di saldo primario strutturale, necessario per raggiungere l'obiettivo del vincolo intertemporale su un orizzonte infinito.

      E' possibile scomporre l’indicatore in due componenti, al fine di valutare se i rischi alla sostenibilità provengono dalla posizione fiscale corrente (disavanzo primario strutturale e stock di debito) e/o dal progressivo invecchiamento della popolazione. La posizione fiscale iniziale corrente misura la distanza tra l'avanzo primario strutturale alla fine del periodo preso in considerazione e quello in grado di mantenere costante il rapporto debito/PIL al livello iniziale, coeteris paribus. L'impatto di lungo periodo sul saldo primario quantifica, invece, l'impatto dell'invecchiamento della popolazione sul bilancio, prevedendo un ulteriore aggiustamento per fare fronte all'aumento delle spese connesse con tale fenomeno.

      Il valore di S2 é dato dalla somma algebrica di tali componenti. Valori positivi indicano la necessità di uno sforzo di aggiustamento permanente per soddisfare l’una o l'altra delle condizioni, tanto maggiore quanto maggiore è la grandezza assunta dagli indicatori. Valori negativi indicano, invece, che la sostenibilità di lungo periodo non richiede sforzi addizionali permanenti.

[12]    Il saldo delle partite correnti riflette l’importo dell’accreditamento/ indebitamento netto dell’economia e in tal modo fornisce informazioni circa le relazioni economiche di un paese con il resto del mondo. Un elevato deficit delle partite correnti indica che l’economia si sta indebitando, importando più di quanto riesce ad esportare. Al contrario, un alto surplus delle partite correnti potrebbe certificare una debolezza nella domanda interna che potrebbe costituire uno squilibrio.

[13]    Il tasso di cambio effettivo reale (REER) è calcolato nei confronti di 35 paesi industrializzati e deflazionato con il costo del lavoro per unità di prodotto. Esso può segnalare persistenti disallineamenti nell’andamento del costo unitario del lavoro rispetto ai principali partners commerciali. Deviazioni significative del REER dalla media di lungo periodo segnalano variazioni del costo del lavoro superiori (o inferiori) a quelle della produttività e dunque il fatto che un paese ha perso/guadagnato competitività.

[14]   Proposta di legge C.3921 Giorgetti ed altri, sottoscritta da rappresentanti di diversi gruppi di maggioranza ed opposizione.

[15]    Le ulteriori inziative sono: "Un'agenda digitale europea" (COM(2010) 245 definitivo/2 del 19.5.2010), "Youth on the Move" (COM(2010) 477 del 15.9.2010), "L'Unione dell'innovazione" (COM(2010) 546 del 6.10.2010), "Una politica industriale integrata per l'era della globalizzazione" (COM(2010) 614 del 28.10.2010), "Un'agenda per nuove competenze e per l'occupazione: Un contributo europeo verso la piena occupazione" (COM(2010) 682 del 23.11.2010), L'iniziativa faro "Un'Europa efficiente sotto il profilo delle risorse" presentata a gennaio 2011.

[16]   L’Obiettivo 1 è relativo al periodo di programmazione dei Fondi strutturali 2000-2006, valido fino al 31 dicembre 2006. Nell’obiettivo 1 ricadevano le regioni Basilicata,Calabria,Campania, Puglia, Sardegna e Sicilia. Nell’ambito dell’Obiettivo 2 ricadevano invece la regione Abruzzo e numerose zone del Centro-Nord appartenenti a varie province.Con riferimento al sostegno transitorio, l’unica regione italiana in regime di “phasing-out” dall’Obiettivo 1 era il Molise.

Il nuovo ciclo di programmazione dei Fondi strutturali per il periodo 2007-2013 ha individuato nuovi obiettivi di intervento della politica comunitaria di coesione, sopprimendo gli obiettivi della precedente programmazione. In luogo dei vecchi Obiettivi 1 e 2, sono stati individuati due nuovi obiettivi denominati obiettivo “Convergenza” e obiettivo “Competitività regionale e occupazione”. In base alle nuova “zonizzazione”, i nuovi obiettivi comunitari insistono su aree diverse rispetto alla programmazione 2000-2006. In particolare, per l’Italia, l’Obiettivo “Convergenza” riguarda Calabria, Campania, Puglia e Sicilia. In regime “phasing-out” dall’obiettivo “Convergenza” vi è la Basilicata. Nell’Obiettivo “Competitività regionale e occupazione” ricade tutto il territorio nazionale che non risulta incluso nell’obiettivo “Convergenza” (in sostanza, tutto il Centro-Nord). In regime “phasing-in” per sostenerne l’ingresso nell’obiettivo “Competitività” vi è la Sardegna.

[17]   In base ai dati di attuazione dei fondi comunitari per obiettivo a tutto il 2010, resi disponibili dalla dell’Ispettorato generale per il rapporti finanziari con l’Unione europea (IGRUE) della Ragioneria generale dello Stato, del complessivo ammontare delle risorse destinate all’Obiettivo Convergenza, è stato pagato un ammontare pari al 9,3% delle risorse del FESR e al 10,8% del FSE.

[18]   Del. n. 1/2011, recante “Obiettivi, criteri e modalità per la programmazione delle risorse di cui alla delibera CIPE n. 79 del 30 luglio 2010, selezione e attuazione degli investimenti finanziati con le risorse del Fondo per le aree sottoutilizzate 2007-2013 e indirizzi ed orientamenti per l’accelerazione degli interventi cofinanziati dai Fondi strutturali 2007-2013”. La delibera è stata approvata previa intesa della Conferenza Stato-Regioni sancita nella seduta del 16 dicembre 2010.

[19]   Cfr. Conferenza Unificata, Seduta del 20 gennaio 2011.

[20]   Per quanto concerne la riforma del sistema degli incentivi, si ricorda che in data 11 febbraio 2011 è stato presentato alle Camere l’Atto del Governo n. 330, recante “Riordino della disciplina della programmazione negoziata e degli incentivi per lo sviluppo del territorio, degli interventi di reindustrializzazione di aree di crisi e degli incentivi per la ricerca, lo sviluppo e l’innovazione di competenza del Ministero dello sviluppo economico”. Il provvedimento è stato emanato in attuazione della norma di delega contenuta all’articolo 3, commi 2-4, della legge 23 luglio 2009, n. 99. Il termine per l’esercizio della delega scadeva il 15 febbraio 2011.

[21]   In merito, si ricorda che il D.L. n. 225/2011 (c.d. “milleproroghe”), prevede, all’articolo 2, comma 17-duodecies, che Poste italiane possa acquisire partecipazioni, anche di controllo, nel capitale di banche, ai fini dell’attuazione della disciplina relativa alla Banca del Mezzogiorno S.p.a.

La Banca del Mezzogiorno è stata istituita dall’articolo 2, commi da 165 a 176, della legge n. 191/2009 (legge finanziaria 2010), con le finalità di favorire lo sviluppo di servizi e strumenti finanziari per il credito di medio e lungo termine e per il capitale di rischio nel Mezzogiorno, anche con l’emissione di obbligazioni e passività esplicitamente indirizzate a finanziare le piccole e medie imprese che investono nel Mezzogiorno; di emettere obbligazioni per finanziare specifici progetti infrastrutturali nel Mezzogiorno; di acquisire dalle banche aderenti mutui a medio o lungo termine erogati a piccole e medie imprese del Mezzogiorno aventi adeguato merito di credito, per creare portafogli efficienti in termini di diversificazione e riduzione del rischio da cedere al mercato.

[22]   D.L. 31 maggio 2010, n. 78, recante misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica e convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, L. 30 luglio 2010, n.122.

[23]   Articolo 2, commi 55-61. La legge di conversione del predetto D.L. è stata approvata dal Senato nella seduta del 26 febbraio ed è in attesa di pubblicazione in G.U.

[24]   Sul nuovo Accordo di Basilea III può vedersi in dettaglio quanto illustrato sul sito Internet del Comitato di Basilea: http://www.bis.org/bcbs/basel3.htm.

[25]   A sua volta l’articolo 5 del D.L. n. 185 del 2008 ha prorogato agli anni 2009 e 2010 il regime di agevolazione fiscale per i lavoratori dipendenti del settore privato limitatamente alle remunerazioni corrisposte in relazione a incrementi di produttività, innovazione ed efficienza organizzativa e altri elementi di competitività e redditività legati all'andamento economico dell'impresa introdotto, in via temporanea, dall’articolo 2 del D.L. 93/2008 . Si tratta, in sostanza, della quota di retribuzione caratteristica del secondo livello di contrattazione collettiva legata alla produttività aziendale.

L’articolo 4, comma 3, del D.L. n. 185 del 2008 estende l’applicazione del regime sostitutivo agevolato, entro limiti di spesa fissati, al personale del comparto sicurezza, difesa e soccorso pubblico, in ragione della specificità dei compiti e delle condizioni di stato e di impiego del comparto.