Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento ambiente | ||
Titolo: | Disposizioni correttive ed integrative del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in materia ambientale Schema di D.Lgs. n. 220 (art. 12, L.18 giugno 2009 n.6) Schede di lettura | ||
Riferimenti: |
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Serie: | Atti del Governo Numero: 195 | ||
Data: | 03/06/2010 | ||
Descrittori: |
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Organi della Camera: | VIII-Ambiente, territorio e lavori pubblici | ||
Altri riferimenti: |
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Camera dei deputati |
XVI LEGISLATURA |
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Documentazione per l’esame di
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Disposizioni correttive ed integrative del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in materia ambientale
Schema di D.Lgs. n. 220 |
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Schede di lettura |
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n. 195 |
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3 giugno 2010 |
Servizio responsabile: |
Servizio Studi – Dipartimento Ambiente ( 0667609253– * st_ambiente@camera.it |
Hanno partecipato alla redazione del dossier i seguenti Servizi e Uffici: |
Segreteria Generale – Ufficio Rapporti con l’Unione europea ( 066760-2145 – * cdrue@camera.it |
§ La nota di sintesi e le schede di lettura sono state redatte dal Servizio Studi. § Le parti relative ai documenti all’esame delle istituzioni dell’Unione europea e alle procedure di contenzioso sono state curate dall'Ufficio rapporti con l'Unione europea.
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I dossier dei servizi e degli uffici della Camera sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge. |
File: Am0142.doc |
INDICE
Schede di lettura
Premessa 3
§ Articolo 1 (Modifiche alla parte prima del decreto legislativo del 3 aprile 2006, n. 152) 16
§ Articolo 2 (Modifiche alla parte seconda del decreto legislativo del 3 aprile 2006, n. 152) 19
§ Articolo 3 (Modifiche alla parte quinta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152)59
§ Articolo 4 (Disposizioni transitorie e finali) 113
§ Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE (a cura dell'Ufficio Rapporti con l'Unione europea) 115
§ Procedure di contenzioso (a cura dell'Ufficio Rapporti con l'Unione europea)115
Il d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (cd. Codice ambientale) è stato emanato in attuazione di una ampia delega in materia ambientale (recata dall'art.1 della legge 15 dicembre 2004, n. 308) ed ha operato un generale riordino della normativa: esso ha infatti uniformato e razionalizzato la disciplina per le valutazioni ambientali (VIA, VAS e IPPC), le norme sulla difesa del suolo e per la tutela delle acque dall’inquinamento e per la gestione delle risorse idriche, quelle in materia di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti inquinati, la normativa sulla riduzione dell'inquinamento atmosferico e quella in materia di tutela risarcitoria contro i danni all’ambiente.
L’articolo 12 della legge 69/2009 ha previsto una nuova delega al governo - da esercitare entro il 30 giugno 2010 - in materia ambientale, da attuarsi nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi stabiliti dalla citata legge 308/2004, tra i quali si segnalano in particolare:
* salvaguardia, tutela e miglioramento della qualità dell'ambiente, della protezione della salute umana, dell'utilizzazione delle risorse naturali, della promozione sul piano internazionale delle norme destinate a risolvere i problemi dell'ambiente;
* maggiore efficienza e tempestività dei controlli ambientali, nonché certezza delle sanzioni;
* sviluppo e coordinamento degli incentivi e disincentivi volti a sostenere l'adozione delle migliori tecnologie disponibili nonché il risparmio e l'efficienza energetica, e a rendere più efficienti le azioni di tutela dell'ambiente e di sostenibilità dello sviluppo;
* affermazione dei princìpi comunitari di prevenzione, di precauzione, di correzione e riduzione degli inquinamenti e dei danni ambientali e del principio «chi inquina paga»;
* coordinamento e integrazione della disciplina del sistema sanzionatorio, amministrativo e penale;
* adozione di strumenti economici volti ad incentivare le piccole e medie imprese ad aderire ai sistemi di certificazione ambientale.
I decreti legislativi sono adottati su proposta del Ministro dell’ambiente, di concerto con il Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione, con il Ministro per le politiche europee e con gli altri Ministri interessati, sentito il Consiglio di Stato e acquisito il parere della Conferenza unificata. Il parere delle Commissioni parlamentari deve essere espresso entro trenta giorni dalla data di assegnazione degli schemi dei decreti legislativi. Decorso inutilmente tale termine, i decreti legislativi possono essere comunque emanati.
Il comma 4 dell’art. 12 reca infine una specifica norma in relazione alla necessità di precisare le caratteristiche ambientali ai fini dell’utilizzo delle terre e rocce da scavo per interventi di miglioramento ambientale anche di siti non degradati.
Si ricorda, inoltre, che nel corso dell’attuale legislatura numerose sono state le modifiche al Codice ambientale inserite in alcuni provvedimenti, soprattutto di urgenza:
§ l’art. 3 del decreto-legge 59/2008 modifica l’art. 77 disciplina l’individuazione ed il perseguimento di obiettivi di qualità ambientale dei corpi idrici);
§ il decreto-legge 90/2008 e il decreto-legge 172/2008 introducono norme in materia di rifiuti;
§ l’art. 30 del decreto-legge 112/2008 introduce norme sui controlli amministrativi a carico delle imprese soggette a certificazione ambientale;
§ il decreto-legge 171/2008 interviene sugli adempimenti a carico delle imprese agricole ed esclude i piani di gestione forestale di livello locale dalla valutazione ambientale strategica; esso introduce inoltre una nuova disciplina delle vinacce e dei biogas;
§ il d.lgs. 188/2008 reca una nuova disciplina in materia di pile, accumulatori e relativi rifiuti (che abroga l’art. 235 del D.Lgs. 152/2006 sul Cobat);
§ l’art. 20 comma 10-sexies del decreto-legge 185/2008 modifica la disciplina in materia di terre e rocce da scavo;
§ il decreto-legge 208/2008 reca numerose norme di modifica al Codice (autorità di bacino, danno ambientale, tariffa per lo smaltimento dei rifiuti, adeguamento delle discariche nonché dichiarazione ambientale, rifiuti ammessi in discarica, terre e rocce da scavo, gestione dei rifiuti e acqua di falda;
§ il decreto-legge 39/2009 istituisce la "Commissione nazionale per la vigilanza sulle risorse idriche", al posto del precedente "Comitato per la vigilanza sull'uso delle risorse idriche";
§ la legge 99/2009 (Disposizioni per lo sviluppo e l'internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia) reca numerose modifiche al Codice:
ü l'art. 27, comma 43, prevede la verifica di assoggettabilità dei progetti di competenza regionale relativi ai seguenti impianti solo nel caso questi ultimi abbiano una potenza complessiva superiore a 1MW: impianti industriali non termici per la produzione di energia, vapore ed acqua calda e per la produzione di energia mediante lo sfruttamento del vento;
ü l'art. 30, comma 14, estende il materiale da includere tra le biomasse combustibili;
ü l’art. 34 inserisce alcune disposizioni in tema di impianti a condensazione;
ü l'art. 40 integra l'allegato III, lettera z) della Parte II del Codice (verifica di assoggettabilità di competenza regionale), introducendovi gli elettrodotti aerei per il trasporto di energia elettrica con tensione nominale superiore 100 kV con tracciato di lunghezza superiore a 10 km.;
ü l’art. 42 introduce gli impianti eolici per la produzione di energia elettrica ubicati in mare tra i progetti di competenza statale soggetti alle procedure di VIA e VAS e limita, invece, la competenza regionale ai soli impianti eolici per la produzione di energia elettrica situati sulla terraferma;
§ l’art. 15 del decreto-legge 135/2009, nell'ambito della riforma dei servizi pubblici locali, elimina la competenza della Commissione nazionale per la vigilanza sulle risorse idriche sul parere preventivo per la concessioni di affidamenti “in house”; proroga di ulteriori sei mesi (e quindi fino alla metà di febbraio 2010) l’applicazione della tariffazione ai rifiuti assimilati per le quantità conferite al servizio di gestione dei rifiuti urbani; proroga al 31 dicembre 2010, il termine entro il quale non sono ammessi in discarica i rifiuti con PCI (Potere calorifico inferiore) superiore a 13.000 kj/kg (il cd. fluff di frantumazione degli autoveicoli; differisce il termine (fissato in 120 giorni dall’art. 8-sexies del D.L. 208/2008) entro il quale deve essere fissato l’importo della quota di tariffa non dovuta riferita all'esercizio del servizio di depurazione da restituire da parte dei gestori del servizio idrico integrato. Tale termine è ora spostato a 210 giorni;
§ il decreto-legge 194/2009 differisce al 30 giugno 2010 il termine oltre il quale i comuni possono comunque adottare la tariffa integrata ambientale (TIA), anche in mancanza dell’emanazione da parte del Ministero dell’ambiente del regolamento - previsto dall’art. 238, comma 6, del D.Lgs. 152/2006 - volto a disciplinare l’applicazione della TIA stessa. Proroga inoltre di due anni (al 29 aprile 2013) il termine previsto dall'art. 281, comma 2, del D.Lgs. 152/2006 relativo all’adeguamento alle norme della parte quinta del medesimo Codice, delle emissioni degli impianti e delle attività in esercizio al 29 aprile 2006. Reca, inoltre, norme in materia di rifiuti elettrici ed elettronici (RAEE), centri di raccolta di rifiuti urbani, valori limite di composti organici volatili aggiunti ai prodotti (pitture, vernici e prodotti per carrozzeria), nonché disposizioni sulle autorità di bacino e sull'Ispra;
§ la legge 36/2010 recante la disciplina sanzionatoria dello scarico di acque reflue modifica l'art. 137, co. 5, del Codice chiarendo i casi applicazione della normativa amministrativa e di quella penale;
§ il decreto-legge 2/2010 prevede la soppressione, entro un anno, delle Autorità d'ambito territoriale (ATO) in materia di acqua e rifiuti (artt. 148 e 201 d.lgs. 152/2006).
Con riferimento al riparto di competenze legislative fra Stato e Regioni, si ricorda che il legislatore costituzionale ha distinto fra la legislazione in materia di “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”, riservata alla competenza esclusiva dello Stato, e legislazione finalizzata alla “valorizzazione dei beni culturali e ambientali”, collocata invece al comma terzo dell’articolo 117, e quindi attribuita alla competenza concorrente di Stato e regioni.
Un’ulteriore disposizione costituzionale è infine collocata all’articolo 116, terzo comma, laddove per alcuni ambiti materiali viene prevista l’ipotesi di conferimento – con legge statale – di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia alle regioni a statuto ordinario. Oltre che per tutte le materie oggetto di legislazione concorrente, tale ipotesi è, infatti, estesa anche ad alcune delle materie attribuite dal successivo articolo 117 alla competenza esclusiva statale, e fra queste – appunto – la “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”.
La legislazione regionale in materia ambientale precedente alla riforma del Titolo V è stata particolarmente intensa ed ha consentito di cogliere in anticipo e di disciplinare con successo problemi emergenti di tutela ambientale: tale circostanza ha portato i giudici costituzionali, a seguito della riforma, ad affermare che la "tutela dell'ambiente" investe e si intreccia inestricabilmente con altri interessi e competenze. In tale ambito, la Corte configura l'ambiente come "valore" costituzionalmente protetto, che, in quanto tale, delinea una sorta di materia "trasversale", in ordine alla quale si manifestano competenze diverse, che riguardano profili indissolubilmente connessi ed intrecciati con la tutela dell'ambiente, che ben possono essere regionali, spettando allo Stato le determinazioni che rispondono ad esigenze meritevoli di disciplina uniforme sull'intero territorio nazionale (sentenza n. 407 del 2002). Nella successive sentenze (ad esempio, la n. 182 del 2006 e la n. 367 del 2007), la Corte riconosce alla legislazione regionale la facoltà di assumere tra i propri scopi anche finalità di tutela ambientale o paesaggistica, purché siano rispettate le regole uniformi fissate dallo Stato. Le più recenti sentenze del 2008 e del 2009 ribadiscono tali limiti regionali, riconducendo alla materia della tutela dell’ambiente numerose questioni sollevate dalle regioni, tra le quali si ricordano, per la loro rilevanza, la difesa del suolo, la gestione delle risorse idriche e i rifiuti.
In particolare, la Corte, con la sentenza n. 214 del 2008 dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 5 della legge della regione Emilia-Romagna 1° giugno 2006, n. 5, il quale prevede che i Comuni concludano i procedimenti di bonifica dei siti contaminati già avviati alla data di entrata in vigore del Codice ambientale sulla base della legislazione previgente. Secondo la Corte, spetta infatti alla disciplina statale tener conto degli altri interessi costituzionalmente rilevanti contrapposti alla tutela dell’ambiente: una eventuale diversa disciplina regionale, anche più rigorosa in tema di tutela dell’ambiente, rischierebbe di sacrificare in maniera eccessiva e sproporzionata gli altri interessi confliggenti considerati dalla legge statale nel fissare i valori soglia per la classificazione dei siti contaminati. (Si veda anche la sentenza n. 12 del 2009 con riferimento alla regione Sicilia, in cui la Corte, considerando l’istituzione di parchi nazionali esercizio della competenza esclusiva dello Stato in materia di ambiente ed ecosistema, dichiara non fondata la censura della regione, che lamenta una violazione di sue competenze normative in materia).
La sentenza n. 225 del 2009 reca una ricognizione dello stato della giurisprudenza costituzionale in materia di “tutela dell’ambiente”, rilevando innanzitutto come sullo stesso bene (l'ambiente) “concorrano” diverse competenze, le quali, tuttavia, restano distinte tra loro, perseguendo autonomamente le loro specifiche finalità attraverso la previsione di diverse discipline: da una parte, sono affidate allo Stato la tutela e la conservazione dell'ambiente, mediante la fissazione di livelli «adeguati e non riducibili di tutela» (sentenza n. 61 del 2009, vedi otlre) e dall'altra compete alle regioni, nel rispetto dei livelli di tutela fissati dalla disciplina statale, di esercitare le proprie competenze, dirette essenzialmente a regolare la fruizione dell'ambiente, evitando compromissioni o alterazioni dell'ambiente stesso. In questo senso può dirsi che la competenza statale, quando è espressione della tutela dell'ambiente, costituisce “limite” all'esercizio delle competenze regionali.
Per quanto in particolare riguarda l'incidenza del principio di leale collaborazione, nel caso della tutela ambientale, lo Stato, in quanto titolare di una competenza esclusiva, ai sensi dell'art. 118 Cost., può conferire a sé le relative funzioni amministrative, ovvero conferirle alle regioni o ad altri enti territoriali, ovvero ancora prevedere che la funzione amministrativa sia esercitata mediante il coinvolgimento di organi statali ed organi regionali o degli enti locali. Sulla base di tali considerazioni la Corte dichiara inammissibili o non fondate le censure mosse da più regioni ad alcuni articoli del Codice ambientale.
Quanto alle direttive che l’Autorità per l’energia emana in relazione alle condizioni tecniche ed economiche per l’erogazione del servizio di connessione di impianti alimentati da fonti rinnovabili alle reti elettriche, la sentenza n. 88 del 2009 riconosce, con un giudizio di prevalenza, la competenza statale nel perseguire la finalità prevalente di assicurare e conformare gli interessi peculiarmente connessi alla protezione dell’ambiente nell’ambito di un mercato concorrenziale rispetto alla materia dell’energia, di competenza concorrente. La sentenza n. 166 del 2009 dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 6 della legge R. Basilicata 9/2007 in materia di energia perché in contrasto con la potestà legislativa esclusiva statale in materia di tutela dell’ambiente e nello specifico con l’art. 12 d.lgs. 387/2003 con cui è stato attribuito allo Stato il compito di adottare linee guida per il corretto inserimento paesaggistico degli impianti alimentati da fonti rinnovabili. Analoghe considerazioni sono contenute nelle sentenze n. 282 del 2009 e 168 del 2010.
Con la sentenza n. 119 del 2010, la Corte dichiara illegittima l’adozione, da parte delle Regioni, nelle more dell’approvazione delle linee guida previste dall’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, di una disciplina restrittiva in materia di localizzazione di impianti alimentati da energie rinnovabili, dal momento che l’emanazione delle linee guida è da ritenersi espressione della competenza statale di natura esclusiva in materia di tutela dell’ambiente. Né è possibile per le regioni prevedere l’estensione della DIA anche per potenze elettriche nominali superiori (fino a 1 MWe) a quelle previste alla tabella A allegata al d.lgs. n. 387 del 2003.
Analoghe valutazioni sono recate dalla sentenza n. 124 del 2010, con cui la Corte ribadisce la natura di principio fondamentale - che non può quindi essere derogato dalla normativa regionale - all’art. 12, comma 4, del d.lgs. n. 387 del 2003 che, nel disciplinare il procedimento per la realizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, fissa il termine massimo per la sua conclusione in centottanta giorni. Tale disposizione risulta - secondo la Corte - ispirata alle regole della semplificazione amministrativa e della celerità garantendo, in modo uniforme sull’intero territorio nazionale, la conclusione entro un termine definito del procedimento autorizzativo. Inoltre, il legislatore regionale non può imporre limiti alla produzione di energia da fonti rinnovabili sul territorio regionale in quanto in contrasto con norme internazionali (Protocollo di Kyoto) e comunitarie (art. 3 direttiva n. 2001/77/CE) le quali, nell’incentivare lo sviluppo delle fonti di energia, individuano soglie minime di produzione che ogni Stato si impegna a raggiungere entro un determinato periodo di tempo. Le medesime conclusioni sono confermate nella citata sentenza n. 168 del 2010.
Con la sentenza n. 171 del 2010 la Corte chiarisce che nel caso di impianti eolici off-shore la competenza per l'autorizzazione unica è dello Stato, mentre spetta alla Regione la valutazione dell'impatto ambientale.
Con la sentenza n. 232 del 2009 la Corte chiarisce che la “difesa del suolo” così come la “tutela delle acque dall’inquinamento” e la “gestione delle risorse idriche” sono riconducibili alla materia “tutela dell’ambiente” e su tale base dichiara inammissibili o non fondate le censure mosse da più regioni ad alcuni articoli del Codice ambientale. Secondo la Corte, i piani di bacino sono il fondamentale strumento di pianificazione della difesa del suolo e delle acque. Nella procedura di formazione dei predetti piani, gli interessi regionali risultano adeguatamente tutelati dalle forme di collaborazione previste dal Codice (partecipazione della regione agli organi dell’autorità di bacino ed espressione del parere sugli ambiti di competenza).
Riguardo invece al programma nazionale di intervento previsto dall’art. 57 e ad alcune competenze del ministero dell’ambiente in tema di difesa del suolo indicate dall’art. 58 del Codice, la Corte, considerando che essi sono suscettibili di produrre significativi effetti anche nella materia del governo del territorio, di competenza legislativa concorrente, afferma, conformemente al principio di leale collaborazione istituzionale, la necessità del coinvolgimento delle regioni nella forma del parere (della regione o della Conferenza unificata).
Nella sentenza n. 233 del 2009, riguardante una serie di disposizioni in materia di «tutela delle acque dall’inquinamento», oggetto della parte III Codice ambientale, la Corte ricorda che nella materia ambientale, di potestà legislativa esclusiva, lo Stato non si limita a porre principi (come nelle materie di legislazione concorrente): il fatto che tale competenza non escluda la concomitante possibilità per le regioni di intervenire in tema di tutela della salute e di governo del territorio, non comporta che lo Stato debba necessariamente limitarsi a stabilire norme di principio, anche riguardo alle funzioni amministrative, la cui attribuzione può essere disposta in base ai criteri generali dettati dall’art. 118, primo comma, Cost. (sentenze n. 88 del 2009 e n. 62 del 2005), del resto compatibile con la disciplina dell’ambiente (sentenza n. 401 del 2007).
Riguardo poi alla divulgazione, da parte delle regioni, delle informazioni sullo stato di qualità delle acque e alla trasmissione dei dati conoscitivi e delle informazioni relative all’attuazione del Codice, e di quelli prescritti dalla disciplina comunitaria, la Corte osserva che tali obblighi vanno inquadrati nell’ambito della normativa in tema di informazione ambientale, che grava sulla pubblica amministrazione, ed è disciplinata dal d.lgs. 195/2005, di attuazione della direttiva 2003/4/CE, sull’accesso del pubblico all’informazione ambientale.
Infine, la Corte ricorda che le acque marine e costiere, a differenza delle acque dolci interne, che hanno un preciso collegamento al bacino territoriale di riferimento, in cui si configura la competenza regionale, coinvolgono interessi cui sovrintendono organi statali.
In materia di valutazione di impatto ambientale (VIA), la sentenza n. 234 del 2009 chiarisce che nonostante la direttiva 85/337/CEE preveda l'esclusione della VIA per le sole opere relative alla difesa nazionale, non è inibito allo Stato, nell'esercizio di una scelta libera del legislatore nazionale, prevedere in modo non irragionevole l'esclusione della suddetta valutazione per opere di particolare rilievo quali quelle destinate alla protezione civile o aventi carattere temporaneo.
In tale ambito, la Corte ricorda che seppure possono essere presenti ambiti materiali di spettanza regionale nel procedimento di VIA, soprattutto nel campo della tutela della salute, debba ritenersi prevalente la materia tutela dell’ambiente, di competenza statale.
Di analogo tenore la sentenza n. 127 del 2010, con cui la Corte dichiara incostituzionale la norma della regione Umbria che aveva sottoposto ad autorizzazione comunale le ecopiazzole, escluso i sedimenti da gestione idrica dal novero dei rifiuti e sottratto dalla VIA gli impianti mobili di recupero di rifiuti non pericolosi qualora trattino meno di 200 tonnellate al giorno, in quanto le regioni non possono modificare il campo di applicazione delle discipline nazionali in materia ambientale.
Con la sentenza n. 120 del 2010, la Corte interviene in materia di valutazione di impatto ambientale, affermando che le variazioni del percorso di un elettrodotto, quand'anche concordate con i proprietari dei fondi interessati e le amministrazioni interessate, devono essere sottoposte alla procedura di Via per le sue possibili ripercussioni negative sull'ambiente. La variazione del tracciato, infatti, secondo la Corte, è destinata ad incidere sul paesaggio, come qualsiasi altra opera lineare e, comportando una modifica progettuale, deve essere sottoposto a Via.
In materia di paesaggio, con la sentenza n. 316 del 2009 la Corte ribadisce la competenza esclusiva statale in materia di ZPS (zone di protezione speciale) e ZSC (zone speciali di conservazione); in tale ambito, il DM 17 ottobre 2007 recante i criteri minimi uniformi è vincolante per le Regioni ordinarie.
Con la sentenza n. 101 del 2010 la Corte dichiarata l’illegittimità di alcune norme dettate dalla regione Friuli Venezia Giulia, che consentivano ai comuni di continuare ad utilizzare il regime transitorio sull’autorizzazione paesaggistica previsto dall’art. 159 del Codice Urbani, in considerazione del fatto che la legge regionale non può rinviare il termine di entrata a regime della nuova autorizzazione paesaggistica. Secondo la Corte, le norme nazionali – in questa materia, di competenza legislativa statale esclusiva – fissano «standard minimi di tutela», che non possono essere modificai dalle Regioni, ordinarie o a statuto speciale, né dalle Province autonome.
Ancora, la sentenza n. 235 del 2009, ribadisce che la scelta di attribuire all’amministrazione statale le funzioni amministrative trova una “non implausibile giustificazione” nell’esigenza di assicurare che l’esercizio dei compiti di prevenzione e riparazione del danno ambientale risponda a criteri di uniformità e unitarietà, atteso che il livello di tutela ambientale non può variare da zona a zona e considerato anche il carattere diffusivo e transfrontaliero dei problemi ecologici, in ragione del quale gli effetti del danno ambientale sono difficilmente circoscrivibili entro un limitato ambito territoriale. Analoghe considerazioni sono confermate nella sentenza n. 247 del 2009 con riferimento ai consorzi nazionali per i rifiuti e gli imballaggi.
In materia di gestione dei servizi idrici, la sentenza n. 335 del 2008 ha dichiarato l’illegittimità del primo periodo del comma 1 dell’art. 155 del d.lgs. 152/2006, nella parte in cui prevede che la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione è dovuta dagli utenti «anche nel caso in cui manchino impianti di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi». La Corte ha altresì precisato che detta tariffa ha natura non tributaria, ma di «corrispettivo contrattuale», come, del resto, espressamente statuito dal comma 1 dell’art. 154 del Codice. La sentenza n. 246 del 2009 fa quindi salva la disciplina delle autorità d’ambito riconoscendo che essa supera la frammentazione della gestione del servizio idrico, nel rispetto delle preesistenti competenze degli enti territoriali (ad eccezione della norma che prevede l’obbligo di affissione dei bilanci in quanto disciplina di minuto dettaglio e quindi illegittima). Analoghe considerazioni sono espresse nella sentenza n. 142 del 2010.
In particolare, la Corte afferma che attraverso la determinazione della tariffa nell’àmbito territoriale ottimale, il legislatore statale ha fissato livelli uniformi di tutela dell’ambiente, perché ha inteso perseguire la finalità di garantire la tutela e l’uso, secondo criteri di solidarietà, delle risorse idriche, salvaguardando la vivibilità dell’ambiente e «le aspettative ed i diritti delle generazioni future a fruire di un integro patrimonio ambientale» e le altre finalità tipicamente ambientali individuate dagli artt. 144 (Tutela e uso delle risorse idriche), 145 (Equilibrio del bilancio idrico) e 146 (Risparmio idrico). La finalità della tutela dell’ambiente viene in rilievo anche in relazione alla scelta delle tipologie dei costi che la tariffa è diretta a recuperare. Tra tali costi il legislatore ha, infatti, incluso espressamente quelli ambientali, da recuperare «anche secondo il principio “chi inquina paga”» (art. 154). I profili della tutela della concorrenza vengono poi in rilievo perché alla determinazione della tariffa provvede l’Autorità d’àmbito, al fine di ottenere un equilibrio economico-finanziario della gestione e di assicurare all’utenza efficienza ed affidabilità del servizio (art. 151). Tale fine è raggiunto determinando la tariffa secondo un meccanismo di price cap (artt. 151 e 154), diretto ad evitare che il concessionario unico abusi della sua posizione dominante.
Con la sentenza n. 29 del 2010 la Corte afferma che la determinazione della tariffa relativa ai servizi idrici per i settori di impiego dell’acqua è ascrivibile alla materia della tutela dell’ambiente e a quella della tutela della concorrenza, ambedue di competenza esclusiva dello Stato. Analoghe considerazioni riguardano la definizione delle componenti del costo della tariffa.
Con la sentenza n. 39 del 2010 la Corte afferma che una volta esclusa la natura tributaria del canone per lo scarico e la depurazione delle acque reflue (come affermato con la sentenza n. 335 del 2008), l’attribuzione alla giurisdizione tributaria delle controversie relative a tale canone “snatura” la materia originariamente attribuita alla cognizione del giudice tributario e, conseguentemente, víola l’art. 102, secondo comma, Cost.
Quanto alla classificazione dei rifiuti, secondo la Corte tale competenza è riconducibile solo all’autorità statale e non esiste una competenza regionale in materia di tutela dell’ambiente se non complementare e più rigorosa di quella della fonte primaria (sentenza n. 61 del 2009). Sempre in materia di rifiuti, la sentenza n. 238 del 2009 conferma la natura tributaria - e la conseguente attribuzione alla giurisdizione tributaria delle relative controversie - della tariffa di igiene ambientale (TIA) prevista dal D.Lgs. 22/97, muovendo dalla considerazione che tale prelievo è disciplinato in modo analogo alla TARSU, la cui natura tributaria non è posta in dubbio.
Riguardo invece alla nuova tariffa ambientale prevista dal Codice (art. 238), la Corte, con la sentenza n. 247 del 2009 non ne chiarisce la natura, ma la attribuisce con certezza alla competenza statale precisando che, qualora si volesse attribuire alla tariffa natura di corrispettivo del servizio di gestione dei rifiuti solidi urbani, l’art. 238 sarebbe inquadrabile nelle materie ordinamento civile, tutela della concorrenza e tutela dell’ambiente, tutte rientranti nella competenza legislativa esclusiva dello Stato. Qualora si volesse qualificare la tariffa come tributo, si dovrebbe riconoscere la competenza esclusiva dello Stato in ragione della preclusione alle regioni della potestà di legiferare sui tributi esistenti istituiti e regolati da leggi statali e per converso si deve ritenere tuttora spettante al legislatore statale la potestà di dettare norme modificative anche nel dettaglio della disciplina dei tributi locali esistenti.
Con la sentenza n. 249 del 2009 la Corte ribadisce che la disciplina dei rifiuti, in quanto rientrante principalmente nella tutela dell’ambiente e, dunque, in una materia che, per la molteplicità dei settori di intervento, assume una struttura complessa, riveste un carattere di pervasività rispetto anche alle attribuzioni regionali. Tuttavia la Corte dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 199, comma 9, del d.lgs. n. 152 del 2006, nella parte in cui attribuisce al Ministro dell’ambiente il potere sostitutivo nel caso in cui «le autorità competenti non realizzino gli interventi previsti dal piano regionale» di gestione dei rifiuti «nei termini e con le modalità stabiliti e tali omissioni possano arrecare un grave pregiudizio all’attuazione del piano medesimo»: tali poteri sostitutivi, secondo la Corte, avrebbero dovuto essere riconosciuti in via preliminare alle regioni sulla base del principio di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza; dichiara – con le medesime motivazioni - l’illegittimità costituzionale dell’art. 204, comma 3, del d.lgs. n. 152 del 2006, nella parte in cui disciplina l’esercizio del potere sostitutivo del Presidente della Giunta regionale in tema di gestioni esistenti del servizio di gestione dei rifiuti; dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 205, comma 6, del d.lgs. n. 152 del 2006, nella parte in cui assoggetta ad una previa intesa con il Ministro dell’ambiente l’adozione delle leggi con cui le regioni possono indicare maggiori obiettivi di riciclo e di recupero dei rifiuti. Tali norme sono infatti considerate lesive delle competenze regionali.
Ancora, nella sentenza n. 314 del 2009, la Corte conferma la competenza regionale per la localizzazione degli impianti di trattamento dei rifiuti sul territorio, nel rispetto dei criteri tecnici fondamentali stabiliti dagli organi statali (art. 195 del d.lgs. n. 152 del 2006), che rappresentano soglie inderogabili di protezione ambientale, in quanto attinente al “governo del territorio”, anche in considerazione del fatto che la normativa statale riconosce che «il piano regionale di gestione dei rifiuti è coordinato con gli altri strumenti di pianificazione di competenza regionale previsti dalla normativa vigente» (art. 199, d.lgs. n. 152 del 2006).
La sentenza dichiara inoltre l’illegittimità costituzionale della norma regionale che ha abrogato l’obbligo, da parte della regione, di inserire nel piano regionale di gestione dei rifiuti «le misure atte a promuovere la regionalizzazione della raccolta, della cernita e dello smaltimento dei rifiuti urbani», poiché in contrasto con quanto disposto dall’art. 199.
Con la sentenza n. 35 del 2010 la Corte dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4 del DL 90/2008 che ha devoluto alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie attinenti alla complessiva azione di gestione dei rifiuti.
Conformemente al principio di leale collaborazione, la citata sentenza n. 247 del 2009 prevede inoltre che il regolamento relativo agli interventi di bonifica, ripristino ambientale e di messa in sicurezza, d'emergenza, operativa e permanente, delle aree destinate alla produzione agricola e all'allevamento sia adottato sentita la Conferenza unificata. Analoga procedura deve essere seguita nell’emanazione del decreto riguardante le forme di promozione e di incentivazione per la ricerca e per lo sviluppo di nuove tecnologie di bonifica presso le università e presso le imprese e i loro consorzi.
La sentenza n. 250 del 2009 dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 287, comma 1, del d.lgs. 152/2006, che attribuisce all’ispettorato provinciale del lavoro la competenza per il rilascio dell’abilitazione alla conduzione di impianti termici al termine dell’apposito corso di formazione, in quanto lesivo della competenza residuale delle regioni in materia di formazione professionale.
Con la sentenza n. 251 del 2009, la Corte ribadisce che la funzione di individuazione delle aree maggiormente esposte al rischio di inquinamento deve rispondere a criteri uniformi ed omogenei, dovendo, al contempo, tener conto anche delle peculiarità territoriali sulle quali viene ad incidere. Sotto entrambi i profili, secondo la Corte, il Codice offre una soluzione non costituzionalmente illegittima, posto che la funzione amministrativa statale di individuazione (da esercitarsi previa acquisizione del parere della Conferenza Stato-Regioni) si affianca a quella delle regioni le quali, oltre a poter designare a propria volta «ulteriori aree sensibili» rispetto a quelle indicate dallo Stato, possono altresì indicare i corpi idrici che, secondo propria valutazione, non possono rientrare in detta categoria.
La sentenza n. 254 del 2009 interpreta, infine, alcune disposizioni del Codice in materia di tutela delle acque alla luce degli obblighi derivanti dall’adempimento di direttive comunitarie, dichiarando l’infondatezza delle questioni di legittimità sollevate da diverse regioni.
La sentenza n. 237 del 2009 (sui commi da 17 a 22 dell’art. 2 della legge finanziaria per l’anno 2008 in tema di comunità montane, che aveva disposto che le Regioni, con proprie leggi, procedessero ad un riordino della disciplina delle comunità montane ad integrazione di quanto previsto dall’articolo 27 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, in modo da ridurre, a regime, la spesa corrente per il loro funzionamento sulla base di alcuni criteri, che venivano definiti «principi fondamentali») ha ritenuto tali disposizioni riconducibili alla materia del coordinamento della finanza pubblica e rispondenti ai requisiti che la giurisprudenza costituzionale richiede alle norme statali che fissano i relativi principi. La previsione, viceversa, di un criterio altimetrico rigido, quale quello individuato dall’art. 76, co. 6-bis, DL 112/2008 come strumento per attuare la riduzione dei trasferimenti erariali diretti alle comunità montane esorbita dai limiti della competenza statale e viola l’art. 117 Cost. La sentenza n. 27 del 2010 ha dichiarato quindi l’illegittimità costituzionale della disposizione nella parte in cui prevede che le comunità devono prioritariamente essere individuate tra quelle che si trovano ad una altitudine media inferiore a settecentocinquanta metri sopra il livello del mare nonché nella parte in cui non prevede per l’emanazione del decreto non regolamentare di attuazione lo strumento dell’intesa.
Con la sentenza n. 322 del 2009, la Corte riconduce all’ambito dei livelli essenziali delle prestazioni (art. 117, secondo comma, lettera m, Cost.), l’art. 30, comma 1, del d.l. n. 112 del 2008, secondo il quale «per le imprese soggette a certificazione ambientale o di qualità rilasciata da un soggetto certificatore accreditato, i controlli periodici svolti dagli enti certificatori sostituiscono i controlli amministrativi o le ulteriori attività amministrative di verifica.
In tema di autorizzazioni all’esercizio di impianti che producono emissioni in atmosfera, la Corte, con la sentenza n. 315 del 2009, dichiara l’illegittimità costituzionale di una norma della Provincia di Bolzano, affermando che la disciplina statale concernente il rilascio dell’autorizzazione in esame risponde all’esigenza di «articolare unitariamente tale attività secondo principi che assicurino l’osservanza dei criteri stabiliti dalla normativa nazionale» (sentenza n. 250 del 2009) e quindi vincola il legislatore regionale. Analogamente, la provincia non può modificare la definizione di impianto termico civile includendovi quelli in cui la produzione di calore è “prevalentemente” destinata al riscaldamento di edifici o al riscaldamento di acqua per usi igienici e sanitari.
È’, quindi, illegittima la norma che attribuisce alla Giunta provinciale la definizione dei criteri secondo i quali le terre e rocce da scavo sono considerati come sottoprodotti (vedi sentenza n. 62 del 2008; vedi anche la sentenza n. 28 del 2010 per la definizione di sottoprodotto); allo stesso modo la provincia non può modificare la disciplina dei controlli sul trasporto dei rifiuti pericolosi né la normativa in materia di Albo nazionale dei gestori ambientali.
L’articolo in esame modifica alcune disposizioni della parte prima del Codice ambientale e, in particolare, introduce la “tutela dell’ambiente” quale finalità di tutta l’azione normativa ed amministrativa dello Stato e non del solo decreto legislativo. Fa, inoltre salvo, qualora il Codice preveda poteri sostitutivi del Governo, il potere delle Regioni di prevedere, nelle materie di propria competenza, poteri sostitutivi per il compimento di atti o attività obbligatorie, nel caso di inerzia o di inadempimento da parte dell’ente competente.
Il comma 1 modifica l’articolo 2 del Codice e, nello specifico, sostituisce il comma 1 inserendo la “tutela dell’ambiente” quale finalità di tutta l’azione normativa ed amministrativa dello Stato e non del solo decreto legislativo (il cui riferimento viene ora omesso).
Il comma 1 vigente aveva, quale obiettivo primario del “presente decreto legislativo” la “promozione dei livelli di qualità della vita umana, da realizzare attraverso la salvaguardia ed il miglioramento delle condizioni dell'ambiente e l'utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali”.
Si nota, inoltre, che viene introdotta la promozione dello sviluppo sostenibile, ossia uno dei principi dei principi inseriti con il cd. secondo correttivo (d.lgs. 16 gennaio 2008, n. 4) in base al quale la pubblica amministrazione deve dare priorità alla tutela ambientale.
La novella al comma 2 prevede che il riordino delle disposizioni legislative in materia ambientale avvenga, oltre che in conformità ai principi e criteri direttivi della legge delega (legge 308/2004), delle norme comunitarie e delle attribuzioni delle regioni e degli enti locali, anche nel rispetto del diritto internazionale rappresentando quest’ultimo, anche storicamente, il primo piano di definizione di una politica mondiale di tutela dell’ambiente.
Si osserva, inoltre, che il contenuto del comma 2 troverebbe una più appropriata collocazione nell’art. 3-bis contenente i principi sulla produzione del diritto ambientale. All’articolo 3-bis, comma 1 (come novellato dal successivo comma 3 del decreto in esame) vengono effettuati degli interventi di coordinamento con le restanti norme della parte prima e si inserisce l’espresso riferimento al fatto che i principi generali sono adottati in attuazione, oltre che del dettato costituzionale, anche degli obblighi derivanti dal diritto comunitario e dal diritto internazionale.
Il comma 2 modifica alcuni commi dell’articolo 3 sui criteri per l'adozione dei provvedimenti successivi, conseguenti al venir meno del termine per l’esercizio della delega prevista dal Codice per la sua integrazione. Conseguentemente vengono soppressi i commi 2, 4 e 5 e viene novellato il comma 3.
Si ricorda il Codice ambientale, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 è stato emanato in attuazione della delega recata dall'art.1 della legge 15 dicembre 2004, n. 308.
Il Codice è entrato in vigore il 29 aprile 2006, ad eccezione della Parte II in materia di VIA, VAS e IPCC, la cui entrata in vigore al 31 luglio 2007 era stata da ultimo disposta dall’art. 5, comma 2, del decreto-legge 28 dicembre 2006, n. 300[1].
L’art. 1, comma 6, della legge delega n. 308/2004 aveva stabilito che, entro due anni dall’entrata in vigore di ciascuno dei citati decreti legislativi (ovvero entro il 29 aprile 2008), il governo potesse emanare disposizioni integrative o correttive, sulla base di una relazione motivata presentata alle Camere dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio contenente le disposizioni dei decreti legislativi su cui si intendeva intervenire e le ragioni dell'intervento normativo proposto. In attuazione di tale disposizione sono stati emanati due decreti correttivi (d.lgs. 8 novembre 2006, n. 284 e d.lgs. 16 gennaio 2008, n. 4).
Si osserva, in proposito, che l’intero decreto reca poi, una serie assai lunga di rinvii a successivi atti attuativi molti dei quali non ancora emanati.
Il comma 3 novella l’articolo 3-bis sui principi sulla produzione del diritto ambientale, precisamente:
§ al comma 1 inserisce, tra le norme che i principi generali in tema di tutela dell’ambiente devono rispettare, anche gli obblighi internazionali ed il diritto comunitario in luogo del Trattato dell’Unione europea.
§ il comma 3 viene sostituito prevedendo che le norme del Codice, anziché i principi ambientali, possono essere derogate, modificate o abrogate solo per dichiarazione espressa da leggi della Repubblica, purché sia comunque sempre garantito il rispetto non solo del diritto europeo, ma anche degli obblighi internazionali e delle competenze delle regioni e degli enti locali.
Si ricorda i quattro principi comunitari dell’azione ambientale sono stati espressamente introdotti con l’art. 3-ter del Codice al fine di fornire un’indicazione circa le attività che conseguono alla loro adozione. In particolare il principio di precauzione è definito in base a quanto affermato della dichiarazione di Rio de Janeiro del 1992 e dalla comunicazione della Commissione europea del 2 febbraio 2002. La nozione di prevenzione, già conosciuta nel diritto positivo statale, richiama quella contenuta nella legge 225/1992 sulla protezione civile. Per il principio di correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente, la definizione utilizzata prende spunto dalla costante giurisprudenza della Corte di cassazione in materia di inquinamento. Mentre il principio del “chi inquina paga” è definito in base all’interpretazione proposta dalla dottrina, che individua, tra tutti coloro che svolgono attività potenzialmente idonee a ledere l’ambiente, i soggetti che hanno l’obbligo di farsi carico dei costi derivanti dall’attività di prevenzione dei rischi ambientali, nonché di riparare ai danni eventualmente provocati, siano essi soggetti pubblici o privati.
Al riguardo si segnala che l’attuale art. 3, comma 1, prevede che le norme del Codice non possono essere derogate, modificate o abrogate se non per dichiarazione espressa, mediante modifica o abrogazione delle singole disposizioni in esso contenute.
Occorrerebbe pertanto coordinare le due norme in commento.
Il comma 4 modifica l’articolo 3-quinquies relativo ai principi di sussidiarietà e di leale collaborazione:
§ il comma 1 reca una modifica pressoché formale;
§ la novella al comma 4 inserisce un periodo alla disposizione che stabilisce che il principio di sussidiarietà opera anche nei rapporti tra regioni ed enti locali minori. Esso prevede che nelle ipotesi in cui disposizioni del Codice individuino poteri sostitutivi in capo al Governo, rimane salvo il potere delle Regioni di prevedere, nelle materie di propria competenza, poteri sostitutivi in capo ad organi regionali, per il compimento di atti o attività obbligatorie, nel caso di inerzia o di inadempimento da parte dell’ente competente. Tale nuova formulazione, riporta la relazione illustrativa, appare così in linea con la giurisprudenza costituzionale ed in particolare con le sentenze n. 43 del 2004 e n. 249 del 2009.
Quanto all’attribuzione di poteri sostitutivi alle regioni, la norma sembra conformarsi a quanto stabilito dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 249 del 2009: in tale ambito, la Corte dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 199, comma 9, del d.lgs. n. 152 del 2006, nella parte in cui attribuisce al Ministro dell’ambiente il potere sostitutivo qualora «le autorità competenti non realizzino gli interventi previsti dal piano regionale» di gestione dei rifiuti «nei termini e con le modalità stabiliti e tali omissioni possano arrecare un grave pregiudizio all’attuazione del piano medesimo»: tali poteri sostitutivi, secondo la Corte, avrebbero dovuto essere riconosciuti in via preliminare alle regioni sulla base del principio di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza.
L’articolo in esame traspone, all’interno della parte seconda del Codice ambientale, la disciplina in materia di autorizzazione ambientale integrata (AIA) oggi contenuta nel d.lgs. 59 del 2005, ed apporta anche alcune modifiche alla già vigente disciplina della valutazione ambientale strategica (VAS) e della valutazione dell’impatto ambientale (VIA).
Nella relazione illustrativa si precisa, con riferimento alle modifiche alla parte seconda, che attraverso l’inserimento di un apposito Titolo III-bis dedicato all’AIA, il Governo ha dato seguito al parere del Consiglio di Stato sul secondo correttivo – d.lgs. 4/2008 – manifestato nell’adunanza del 5 novembre 2007, nel quale aveva espresso avviso positivo in merito all'inserimento della disciplina sull’AIA nel Codice ambientale, essendo tale operazione volta al riassetto dell'intera materia ambientale. Il Consiglio di Stato ha ritenuto dunque che, avendo la legge delega attribuito non solo un potere correttivo, ma anche integrativo, "l'oggetto di intervento può essere ampliato dato quei profili della materia delegata, come individuata nei criteri base, trascurati in sede di prima attuazione".
Si ricorda, in estrema sintesi, che la parte seconda del Codice ambientale, totalmente riscritta con il d.lgs. 16 gennaio 2008, n. 4 (cd. secondo correttivo), reca le procedure per la VAS e la VIA, mentre in merito all’AIA (autorizzazione integrata relativa a tutti i possibili impatti di un’opera, prevista dalla direttiva 96/61/CE), occorre rilevare che, contrariamente a quanto indicato dalla rubrica e nel titolo I della parte seconda, il testo del decreto in realtà non comprende la disciplina di questa particolare autorizzazione contenuta, invece, nel d.lgs. 59/2005 (che non viene compreso nella codificazione operata dal Codice ambientale), ma solo mere norme di coordinamento (art. 10). Sono state introdotte, inoltre, alcune modifiche in materia di AIA, intervenendo direttamente sul d.lgs. 59/2005.
Occorre però sottolineare che la delega principale, contenuta nell'art. 1 della legge 308/2004, aveva ad oggetto, tra gli altri, anche alla lett. "f) procedure per la valutazione di impatto ambientale, per la valutazione ambientale strategica e per l'autorizzazione ambientale integrata". Tuttavia, né il d.lgs. 152/2006, né il secondo correttivo (d.lgs. 4/2008) hanno posto in essere una compiuta disciplina dell’AIA, tuttora disciplinata compiutamente dal d.lgs. 59/2005, con il quale si è provveduto a recepire integralmente la direttiva 96/61/CE relativa alla prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento (cd. direttiva IPPC). L’AIA è infatti meglio nota con l’acronimo in lingua inglese, IPPC (Integrated Pollution Prevention and Controll).
Il comma 1, attraverso alcune novelle all’articolo 4 del Codice inserisce i riferimenti sia comunitari che nazionali - direttiva 2008/1/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 15 gennaio 2008, concernente la prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento e decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59 – recanti la disciplina dell’AIA.
Si ricorda che la direttiva 2008/1/CE costituisce la versione codificata della direttiva 96/61/CE sulla prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento che è stata modificata in modo sostanziale e a più riprese e, pertanto, ai fini di razionalità e chiarezza, ne è stata disposta le relativa codificazione.
Viene, inoltre, aggiunta – accanto alle finalità della VIA e della VAS – anche quelle dell’AIA che persegue le stesse finalità previste per la VIA, attraverso la prevenzione e la riduzione integrate degli impatti diretti e indiretti sui fattori ivi indicati delle attività di cui all’allegato VIII del decreto in esame, nonché dei progetti di impianti di produzione di energia elettrica di potenza superiore a 300 MW termici, ai sensi del decreto-legge 7/2002.
Tale definizione riproduce, nella sostanza, quanto già previsto dall’art. 1, commi 2 a 3, del d.lgs. 59/2005 che aveva ribadito quanto già contenuto nelle norme di settore in materia di produzione di energia elettrica, cioè che per gli impianti di produzione di energia elettrica di potenza superiore a 300 MW, nuovi o sostanzialmente modificati, l’AIA è disciplinata dal d.lgs. 59.
L’art. 4, comma 3, dispone che la finalità della VIA e della VAS è quella di assicurare che l'attività antropica sia compatibile con le condizioni per uno sviluppo sostenibile, e quindi nel rispetto della capacità rigenerativa degli ecosistemi e delle risorse, della salvaguardia della biodiversità e di un'equa distribuzione dei vantaggi connessi all'attività economica. Per mezzo della stessa si affronta la determinazione della valutazione preventiva integrata degli impatti ambientali nello svolgimento delle attività normative e amministrative, di informazione ambientale, di pianificazione e programmazione.
Il comma 2 modifica l’articolo 5 relativo alle definizioni.
Mentre la lettera a) reca una modifica pressoché formale, la lettera b) sostituisce le definizioni adottate per la VAS e la VIA.
In merito alla definizione della VAS essa riproduce quella vigente che elenca le varie fasi del processo di valutazione (svolgimento della verifica di assoggettabilità, elaborazione del rapporto ambientale, svolgimento di consultazioni, definizione del piano o del programma, del rapporto e degli esiti delle consultazioni, espressione di un parere motivato, informazione sulla decisione ed il monitoraggio), ma vi aggiunge la finalità di tale valutazione che è quella di individuare le soluzioni più idonee al perseguimento delle finalità previste dal precedente art. 4, commi 3 per la VIA e la VAS e dell’art. 4,comma 4, lettera a) per la VAS.
Il comma 4, comma 4, lett. a) prevede che la VAS ha anche la finalità di garantire un elevato livello di protezione dell'ambiente e contribuire all'integrazione di considerazioni ambientali all'atto dell'elaborazione, dell'adozione e approvazione di detti piani e programmi assicurando che siano coerenti e contribuiscano alle condizioni per uno sviluppo sostenibile (per il contenuto dell’art. 4, comma 3 si veda il commento al comma 1).
Ai sensi della direttiva europea 2001/42/CE sulla VAS (art. 2) per "valutazione ambientale" s'intende l'elaborazione di un rapporto di impatto ambientale, lo svolgimento di consultazioni, la valutazione del rapporto ambientale e dei risultati delle consultazioni nell'iter decisionale e la messa a disposizione delle informazioni sulla decisione.
Si osserva che in tale definizione non compare la fase relativa allo svolgimento delle verifica di assoggettabilità: da qui le modifiche apportate all’articolo 11 che limita tale verifica ai soli piani e programmi di cui all’articolo 6, commi 3 e 3-bis (vedi infra).
Viene introdotta una nuova definizione della VIA, per la quale non vengono più elencate le varie fasi della procedura in considerazione, come sottolinea la relazione illustrativa, che la connota quale procedimento “dotato di autonomia”. Vengono poi, come per la VAS, aggiunti gli obiettivi di tale verifica, indicati all’art. 4, commi 3 e 4, lettera b).
L’art. 4, comma 4, lett. b) dispone che la finalità della VIA è quella di proteggere la salute umana, contribuire con un migliore ambiente alla qualità della vita, provvedere al mantenimento delle specie e conservare la capacità di riproduzione dell'ecosistema in quanto risorsa essenziale per la vita. A tale scopo, essa individua, descrive e valuta, in modo appropriato, per ciascun caso particolare e secondo le disposizioni del presente decreto, gli impatti diretti e indiretti di un progetto sui seguenti fattori: l'uomo, la fauna e la flora; il suolo, l'acqua, l'aria e il clima; i beni materiali ed il patrimonio culturale; l'interazione tra i fattori citati (per l’art. 4, comma 3 si veda il commento al comma 1).
Si osserva che la direttiva europea 85/337/CEE, come successivamente modificata, non reca una definizione puntuale della VIA, ma si sofferma unicamente sulle sue finalità, che comprendono l’individuazione, la descrizione e la valutazione, in modo appropriato, per ciascun caso particolare, degli effetti diretti e indiretti di un progetto su una serie di fattori quali l'uomo, la fauna e la flora; il suolo, l'acqua, l'aria, il clima e il paesaggio, i beni materiali ed il patrimonio culturale e l'interazione tra essi (art. 3).
Pertanto la nuova definizione sembrerebbe più aderente al dettato comunitario, anche per il fatto che il periodo finale della nuova definizione che fa riferimento al raggiungimento di soluzioni più idonee al perseguimento di alcuni obiettivi corrisponde alle finalità indicate dall’art. 3 della direttiva.
Le lettere c) e d) inseriscono all’articolo 5 del Codice ambientale, attraverso alcune lettere, dalla nuova lettera i-bis) alla lettera r-bis), pressoché tutte le definizioni previste dall’art. 2 del d.lgs. 59/2005 e, nel contempo, modificano alcune delle definizioni già recate dallo stesso art. 5, inserendovi il riferimento anche agli impianti – oltre che ai già previsti piani, programmi, progetti od opere - ai fini dell’AIA.
Tra esse si segnalano le definizioni di “modifica” e “modifica sostanziale” -lettere l), l-bis) ed l-ter) – volte a chiarire ed uniformare la nomenclatura, in quanto le vigenti definizioni sono tra loro diverse, rispettivamente, nel testo del d.lgs. 152/2006 in riferimento alla VIA ed al d.lgs. 59/2005 in relazione all'AIA.
Viene maggiormente specificata la definizione di verifica di assoggettabilità - lettera m) - come sottolinea la relazione illustrativa, con l’introduzione del concetto di "sensibilità ambientale" mutuato dalla giurisprudenza comunitaria (cfr. sentenza della Corte (Quinta Sezione) del 21 settembre 1999 - Commissione delle Comunità europee contro Irlanda - Ambiente - Direttiva 85/337/CEE - valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti e privati - Determinazione delle soglie limite - Causa C-392/96). L'attenzione dell'interprete, sempre secondo la relazione, deve quindi spostarsi dal dato quantitativo (l'entità dell'area interessata) al dato qualitativo (gli effetti sull'ambiente del Piano).
Nella nuova formulazione, la verifica di assoggettabilità si attiva, pertanto, allo scopo di valutare, ove previsto, se piani, programmi o progetti o loro modifiche hanno un impatto non solo significativo ma anche negativo sull'ambiente, considerando il diverso livello di sensibilità ambientale delle aree interessate.
Si osserva che la nuova formulazione introduce, da un lato, un elemento di discrezionalità in capo all’amministrazione competente durante la verifica, dall’altro una maggiore attenzione nei confronti delle peculiari caratteristiche locali.
Da segnalare, infine, la sostituzione della lettera o-bis) che reca la definizione dell’AIA che, sostanzialmente, corrisponde alla definizione prevista dalla lett. l) dell’art. 2 del d.lgs. 59/2005 (che aveva già recepito la definizione comunitaria), aggiungendovi il perseguimento delle finalità previste per la VIA e per la VAS dall’articolo 4.
Si ricorda che la direttiva europea che 2008/1/CE (che ha codificato la direttiva 96/61/CE) definisce l’«autorizzazione», la parte o la totalità di una o più decisioni scritte, che autorizzano l’esercizio di un impianto o di parte di esso a determinate condizioni che devono garantire che l’impianto sia conforme ai requisiti della direttiva. Un’autorizzazione può valere per uno o più impianti o parti di essi, che siano localizzati sullo stesso sito e gestiti dal medesimo gestore.
Il comma 3 novella alcuni commi dell’articolo 6 del Codice che definisce l’oggetto della disciplina:
- la lettera a) reca due novelle al comma 3.
La prima modifica elimina l’aggettivo “minori” riferito alle modifiche dei piani e dei programmi.
Tale modifica è finalizzata ad eliminare possibili incertezze interpretative in considerazione del fatto che, tra le definizioni dell’art. 5 del Codice, si fa unicamente riferimento a “modifiche” e “modifiche sostanziali" e, pertanto, le modifiche "minori" potrebbero essere considerate un terzo genere.
Con la soluzione proposta, si intende quindi precisare che tutte le modifiche dei piani e dei programmi di cui al comma 2 comportano l'obbligo della verifica di assoggettabilità, salvo le modifiche sostanziali per le quali è obbligatoria una nuova VAS.
La seconda modifica, sempre al comma 3, prevede che per i piani e programmi che determinano l'uso di piccole aree a livello locale e per le modifiche dei piani e dei programmi, la VAS sarà considerata necessaria qualora l’autorità competente valuti che essi possano produrre impatti non solo significativi, ma anche negativi sull'ambiente e tenendo conto anche del diverso livello di sensibilità ambientale dell’area oggetto di intervento.
Pertanto, anche nella delimitazione dell'oggetto di VAS - analogamente alla VIA - è stato ritenuto opportuno introdurre il riferimento alla nozione di sensibilità ambientale introdotta nell’articolo 5.
- la lettera b) inserisce anche al comma 3-bis la previsione che l’autorità competente dovrà, per valutare i piani e i programmi che definiscono il quadro di riferimento per l'autorizzazione dei progetti, considerare se essi possono produrre non solo effetti significativi sull'ambiente, ma anche effetti negativi.
- la lettera c) introduce il nuovo comma 3-ter che, come riferisce la relazione illustrativa, risolve incertezze interpretative in merito alle valutazioni ambientali da svolgere sui Piani regolatori portuali, in quanto possono avere sia i contenuti di un progetto definitivo che quelli di uno strumento di pianificazione.
Pertanto per i progetti di opere da realizzare in attuazione di un Piano regolatore portuale, già sottoposto a VAS, e che rientrano tra quelli per i quali è prevista la VIA, vengono considerati dati acquisiti tutti gli elementi già valutati in sede di VAS o comunque desumibili dal Piano regolatore portuale.
Nel caso in cui il Piano abbia contenuti tali da poter essere considerato come progetto definitivo ai sensi dell’art. 5 del Codice ambientale, se ne prevede l’assoggettabilità alla VIA integrata dalla VAS per gli eventuali contenuti di pianificazione del Piano.
L’art. 5, comma 1, lett. h), considera quale “progetto definitivo” tutti gli elaborati progettuali predisposti in conformità all'art. 93 del d.lgs. 163/2006[2] nel caso di opere pubbliche; negli altri casi, il progetto che presenta almeno un livello informativo e di dettaglio equivalente ai fini della valutazione ambientale.
- la lettera d) chiarisce le disposizioni del comma 4 prevedendo che i piani e i programmi destinati esclusivamente a scopi di difesa nazionale e caratterizzati da somma urgenza o ricadenti nella disciplina dell’art. 17 del d.lgs. 163/2006 relativo ai contratti secretati o che esigono particolari misure di sicurezza, al pari dei progetti, sono esclusi dalle procedure di VAS e di VIA.
- la lettera e), con una novella al comma 5, prevede che siano sottoposti a VIA i progetti che abbiano effetti, non solo significativi, ma anche negativi per sull’ambiente.
- la lettera f), con alcune novelle al comma 7, lett. b) e c), estende la VIA anche alle modifiche o estensioni dei progetti dell’allegato III, (sottoposti a VIA regionale obbligatoria), oltre a quelle dei progetti dell’allegato II, qualora producano effetti non solo significativi ma anche negativi sull'ambiente.
Il vigente comma 7 dell’art. 6 stabilisce che la VIA è comunque necessaria, qualora in base alla verifica di assoggettabilità di cui all’art. 20, si ritenga che possano esistere impatti significativi sull'ambiente anche per le modifiche o estensioni dei progetti dell'allegato II (lett. b) e per i progetti dell'allegato IV (lett. c). Si ricorda che i progetti elencati nell’allegato II sono sottoposti a VIA statale obbligatoria e i progetti dell’allegato III a VIA regionale. Nell’allegato IV sono elencati quelli sottoposti alla preventiva verifica di assoggettabilità ai fini della VIA regionale.
La lettera g), con una modifica al comma 10, primo periodo, prevede che l’autorità competente per la VIA in sede statale valuti caso per caso solo i progetti relativi ad opere destinate esclusivamente a scopo di difesa nazionale che non siano caratterizzati da somma urgenza o coperti dal segreto di Stato (comma 4, lett. a).
La lettera h) inserisce all’interno delle disposizioni recate dall’articolo 6 alcuni commi – dal comma 12 al comma 15 – recanti le disposizioni generali relative all’AIA.
Ai sensi del nuovo comma 12 l’AIA è necessaria per:
a) i progetti di cui all’allegato VIII del decreto in esame (Categorie di attività industriali);
b) i progetti di impianti di produzione di energia elettrica di potenza superiore a 300 MW termici, di cui all’art. 1, comma 2, del decreto-legge 7/2002 ed all’art. 1-sexies, comma 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 ottobre 2003, n. 290;
c) le modifiche sostanziali degli impianti di cui alle lettere a) e b) del presente comma.
Si osserva che il campo di applicazione è identico a quello previsto dall’art. 1, comma 3 del d.lgs. 59/2005.
In merito alla formulazione della lettera b) si osserva che non è stato citato il riferimento al decreto legge 29 agosto 2003, ma solo alla legge di conversione 27 ottobre 2003, n. 290.
Si richiamano, da ultimo, i riferimenti normativi citati alla lettera b).
L’art. 1, comma 2, del citato decreto legge 7/2002 ha previsto che fino al recepimento della direttiva 96/61/CE (recepita con il d.lgs. 59/2005) l’autorizzazione unica prevista comprendesse l'AIA e sostituisse, ad ogni effetto, le singole autorizzazioni ambientali di competenza delle amministrazioni interessate e degli enti pubblici territoriali.
Si ricorda, infine, che il comma 8 dell'art. 1-sexies del decreto legge 239/2003 aveva ribadito la previsione, recata dall’art. 1 del D.L. 7/2002, di un’autorizzazione unica per la costruzione e l’esercizio di impianti di energia elettrica di potenza superiore ai 300MW, in modo da consentire di applicare le disposizioni recate dal D.L. medesimo anche oltre il termine del 31 dicembre 2003.
Il nuovo comma 13 dispone che, per gli impianti che svolgono le attività elencate nell’allegato VIII e per le loro modifiche sostanziali, il procedimento di rilascio dell’AIA garantisce contestualmente, ove ne ricorrano le fattispecie, l’osservanza di quanto previsto dall’art. 208, commi 6 e 7, del Codice.
I commi 6 e 7 dell’art. 208 relativi all’autorizzazione unica per i nuovi impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti, dispongono che entro 30 giorni dal ricevimento delle conclusioni della conferenza di servizi e sulla base delle risultanze della stessa, la regione, in caso di valutazione positiva, approva il progetto e autorizza la realizzazione e la gestione dell'impianto. L'approvazione sostituisce ad ogni effetto visti, pareri, autorizzazioni e concessioni di organi regionali, provinciali e comunali, costituisce, ove occorra, variante allo strumento urbanistico e comporta la dichiarazione di pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità dei lavori. Qualora il progetto riguardi aree vincolate ai sensi del d.lgs. 42/2004, si applicano le disposizioni dell'art. 146 in materia di autorizzazione paesaggistica.
Il nuovo comma 14 prevede che per gli impianti di cui alle lettere b) e c) del nuovo comma 12, nonché per le loro modifiche sostanziali, l’AIA sia rilasciata nel rispetto della disciplina prevista dal Codice e dei termini previsti dal nuovo articolo 29-quater, inserito, anch’esso dallo schema di decreto in esame (ed al quale si rinvia).
Il nuovo comma 15 reca i principi generali che l’autorità competente deve considerare nel determinare le condizioni per il rilascio dell’AIA.
Il contenuto del comma corrisponde esattamentea quello previsto dall’art. 3 del d.lgs. 59/2005.
Il comma 4 apporta alcune modifiche all’articolo 7 del Codice relativo alle competenze in materia di VIA e VAS, aggiungendovi il campo di applicazione e le competenze relative all’AIA, sia statale che regionale.
Tali modifiche, ai sensi della relazione illustrativa, si rendono necessarie in quanto coerenti con l'originario d.lgs. 59/2005 in materia di AIA e con il decreto-legge 7/2002, recante "Misure urgenti per garantire la sicurezza del sistema elettrico nazionale”.
Si ricorda che l’art. 1, comma 1, del decreto legge 7/2002 ha dichiarato opere di pubblica utilità ed assoggettato ad una autorizzazione unica, rilasciata dal Ministero delle attività produttive, la costruzione e l’esercizio degli impianti di energia elettrica di potenza superiore a 300 MW termici, gli interventi di modifica o ripotenziamento, nonché le opere connesse e le infrastrutture indispensabili all’esercizio degli stessi. La predetta autorizzazione sostituisce autorizzazioni, concessioni ed atti di assenso comunque denominati, previsti dalle norme vigenti, costituendo titolo a costruire ed a esercire l’impianto in conformità al progetto approvato. Il medesimo comma ha comunque disposto che il rilascio dell'unica autorizzazione non possa essere previsto oltre il 31 dicembre 2003.
Pertanto, il nuovo comma 4-bis indica il campo di applicazione dell’AIA statale, alla quale sono sottoposti i seguenti progetti:
§ quelli relativi alle attività di cui all’allegato XII (che elenca le categorie di impianti relativi alle attività industriali dell’allegato VIII soggetti ad AIA statale). Esso riproduce l’allegato V del d.lgs. 59/2005;
§ quelli di cui al nuovo articolo 6, comma 12, lett. b) ovvero gli impianti di produzione di energia elettrica di potenza superiore a 300 MW termici di cui all’art. 1, comma 2, del decreto-legge 7/2002 ed all’art. 1-sexies, comma 8, del decreto legge 239/2003 (come già previsto dall’art. 1, comma 3 del d.lgs. 59/2005).
Tali norme sono volte alla prevenzione e riduzione integrate dell'inquinamento proveniente non da tutte le attività, ma soltanto da quelle rientranti nel campo di applicazione, che viene delimitato alle attività indicate nell'allegato XII per le quali è obbligatoria l’AIA statale.
Si tratta sostanzialmente delle attività industriali di maggiore dimensione e rilievo dal punto di vista dell’impatto sull’ambiente, quali le attività energetiche, l’industria dei metalli, quella dei prodotti minerali, l’industria chimica, le attività di gestione dei rifiuti ecc. L’elenco delle attività incluse nell’allegato XII è identico a quello dell’Allegato I del d.lgs. 59.
Inoltre viene ribadito, alla stregua di quanto disposto dall’art. 1, comma 3, del d.lgs. 59/2005, quanto già contenuto nelle norme di settore in materia di produzione di energia elettrica, cioè che per gli impianti di produzione di energia elettrica di potenza superiore a 300 MW, nuovi o sostanzialmente modificati, l’AIA è disciplinata dalle norme in esame.
Il nuovo comma 4-ter indica il campo di applicazione dell’AIA regionale:
§ i progetti di cui all’allegato VIII non ricompresi anche nell’allegato XII (che elenca le categorie di impianti soggetti a AIA statale obbligatoria);
§ le modifiche sostanziali degli impianti stessi.
In merito all’AIA regionale si osserva che vengono indicati con più chiarezza, rispetto al d.lgs. 59/2005, gli impianti che sono sottoposti a VIA regionale, nonché le modifiche sostanziali agli stessi.
Nel d.lgs. 59 tale ripartizione si evinceva dall’art. 2, comma 1, lett. i) ove, in merito alla definizione di “autorità competente”, si indicava il Ministero dell'ambiente per gli impianti di competenza statale indicati nell'allegato V, e , per tutti gli altri impianti, l'autorità individuata, tenendo conto dell'esigenza di definire un unico procedimento per il rilascio dell'autorizzazione integrata ambientale, dalla regione o dalla provincia autonoma.
Viene quindi modificato il comma 5, attraverso la sostituzione del termine “Ministro” con “Ministero”, al fine di attribuire la competenza in materia di VIA e VAS non più all'organo di vertice politico ma all'organo di vertice gestionale in linea con la natura tecnica delle due valutazioni.
La relazione illustrativa motiva tale scelta con il fatto che con le procedure di VIA e di VAS l'amministrazione esercita un potere tecnico-discrezionale.
La seconda modifica al comma 5 dispone che il provvedimento di AIA venga espresso dall’autorità competente dopo un concerto fra più Ministeri ossia tra quello dell'Interno, del lavoro e delle politiche sociali, della salute, dello sviluppo economico e delle politiche agricole.
Si osserva che la consultazione di tali ministeri ai fini del rilascio dell’AIA (si suppone statale) non era prevista nel d.lgs. 59/2005 che prevedeva solamente la consultazione di alcuni di tali ministeri all’interno di una eventuale conferenza di servizi per i progetti sottoposti ad AIA statale (art. 5, comma 10).
La modifica al comma 7 aggiunge alle competenze delle regioni e degli enti locali anche le regole procedurali per il rilascio dei provvedimenti di VIA ed AIA e dei pareri motivati in sede di VAS di propria competenza, nel rispetto dei limiti generali previsti dal Codice ambientale e dall’art. 29 della 241/1990 relativo all’ambito di applicazione della legge in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi.
Viene, infine aggiunto un nuovo comma 9 che ribadisce che le regioni e le province autonome debbano esercitano la competenza loro assegnata dai commi 4 e 7 nel rispetto dei principi fondamentali del presente titolo.
Il comma 5 reca alcune modifiche all’articolo 8:
§ la prima è di carattere formale e modifica la rubrica dell’articolo recante norme di organizzazione con l’oggetto dell’articolo, ossia “Commissione tecnica di verifica dell’impatto ambientale – VIA e VAS”.
§ la seconda, attraverso la sostituzione del comma 1, prevede che la Commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale - VIA e VAS istituita con l'art. 9 del DPR 14 maggio 2007, n. 90, assicuri il supporto tecnico-scientifico per l'attuazione delle norme di cui alla presente parte del decreto non solo al Ministero dell’ambiente come prevedeva il testo vigente.
In merito alla formulazione della disposizione sembrerebbe più appropriato far riferimento all’art. 9 del DPR 90/2007 che ha istituito la Commissione VIA-VAS piuttosto che all’art. 7 del decreto legge 90/2008 con il quale, ai fini del contenimento della spesa pubblica, è stato ridotto il numero dei suoi componenti.
§ la seconda modifica al comma 2 interviene sui riferimenti normativi della norma, secondo cui ove i progetti sottoposti a VIA ricadono anche nel campo di applicazione del d.ls. 59/2005 è previsto il supporto della Commissione di cui all’art. 10 del DPR 90/2007 (Commissione istruttoria per l'autorizzazione ambientale integrata – IPPC). Ora viene fatto direttamente riferimento all’Allegato VIII del decreto in esame, piuttosto che al d.lgs. 59 (ove, appunto, è confluito l’allegato I del d.lgs 59/2005) e il riferimento alla Commissione IPPC è quello del nuovo art. 8-bis (introdotto dal successivo comma 6).
Il comma 6 inserisce, con il nuovo articolo 8-bis, all’interno del Codice, a scopo ricognitivo, le norme relative alla Commissione IPPC, la cui composizione è stata modificata dall’art.28, commi 7, 8 e 9, del decreto legge 112/2008 e che dovrà assicurare al Ministero dell’ambiente il supporto tecnico-scientifico con specifico riferimento alle norme di cui al nuovo titolo III-bis sull’AIA del decreto in esame. La Commissione svolge i compiti ad essa attribuiti dall’art. 10, comma 2, del citato DPR 90/2007
Si ricorda che l’art. 28 del decreto legge 112/2008 (con il quale è stato istituito anche l’ISPRA) prevede, ai commi 7, 8 e 9, che la Commissione istruttoria per l'IPPC di cui all'art. 10 DPR 90/2007 sia composta da ventitre esperti provenienti dal settore pubblico e privato, con elevata qualificazione giuridico-amministrativa, di cui almeno tre scelti fra magistrati ordinari, amministrativi e contabili, oppure tecnico-scientifica e nominati con DM. Il presidente dovrà essere scelto nell'ambito degli esperti con elevata qualificazione tecnico-scientifica.
In merito ai compiti della Commissione previsti dall’art. 10, comma 2, del DPR 90/2007, essi consistono nel fornire all'autorità competente, anche effettuando i necessari sopralluoghi, in tempo utile per il rilascio dell’AIA, un parere istruttorio conclusivo e pareri intermedi debitamente motivati, nonché approfondimenti tecnici in merito a ciascuna domanda di autorizzazione. La Commissione ha altresì il compito di consulenza tecnica nei confronti del Ministero dell'ambiente in merito alle norme attuative dell’IPPC.
In merito alla formulazione della disposizione sulla Commissione IPPC sembrerebbe più appropriato far riferimento all’art. 10 del DPR 90/2007 cui, tra l’altro, anche lo stesso art. 28, comma 7, del decreto legge 112 citato rinvia.
Il nuovo articolo 8-bis ribadisce che la nomina dei componenti della Commissione dovrà rispettare le disposizioni introdotte con il citato art. 28 del decreto legge 112/2008.
Infine, in applicazione del comma 3 dell’articolo 8 del Codice, i componenti della Commissione sono nominati, nel rispetto del principio dell'equilibrio di genere, con decreto del Ministro dell'ambiente, per un triennio, ovvero dei principi dettati dall’art. 8, commi 2 e 3 per la Commissione VIA-VAS.
Il comma 7, con la sostituzione del comma 1 dell’articolo 9 , prevede che alle procedure di verifica e autorizzazione disciplinate dal Codice si applichino, solo in quanto compatibili, le norme della 241/1990 in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi, mentre la versione del comma 1 vigente prevede che le modalità di partecipazione previste dal Codice debbano soddisfare comunque i requisiti di cui agli artt. da 7 a 10 della citata legge 241.
Si ricorda, in estrema sintesi, che gli artt. da 7 a 10 della legge 241/1990 recano le norme che disciplinano la partecipazione al procedimento amministrativo, in particolare: le modalità di comunicazione di avvio del procedimento, la possibilità, da parte di qualunque soggetto portatore di interessi pubblici o privati, nonché portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati, di intervenire nel procedimento e i relativi diritti dei partecipanti al procedimento.
Il comma 8 reca numerose modificheall’articolo 10 sulle norme per il coordinamento e la semplificazione dei procedimenti (VIA, VAS e AIA).
La prima modifica fa riferimento al comma 1 e ribadisce che per i progetti soggetti a VIA statale ma anche ad AIA[3], il provvedimento di VIA sostituisce l’AIA qualora tali progetti rientrano tra quelli dell’Allegato XII (ove sono confluiti i progetti indicati nell’Allegato V del d.lgs. 59/2005).
Viene eliminato il secondo periodo il cui contenuto viene inserito nel nuovo comma 1-bis (vedi infra) ed aggiunto un nuovo periodo, come esplicita la relazione illustrativa, al fine di eliminare gli inconvenienti derivanti dalle scarse norme di coordinamento tra VIA ed AIA, che inserisce la cd. VIA “eventuale” per progetti rientranti tra quelli dell’art. 6, comma 7 e sottoposti obbligatoriamente alla verifica di assoggettabilità di cui all’art. 20.
Pertanto, se a seguito di tale verifica, l’autorità competente valuta di non assoggettare i progetti a VIA può essere richiesta l’AIA (e non sorgeranno i relativi problemi di coordinamento tra le due procedure).
Al contrario se l’esito sarà positivo essi dovranno essere sottoposti a VIA che andrà a sostituire l’AIA.
Conseguentemente non saranno più avviate due procedure separate per la VIA e per l'AIA: infatti, una volta accertato che la VIA - o perché obbligatoria per legge, o a seguito di esito positivo della verifica di assoggettabilità - deve "far luogo" all'AIA, il proponente è obbligato a presentare fin da subito la documentazione completa anche delle informazioni richieste ai fini dell'AIA.
Si ricorda che i progetti del citato art. 6, comma 7, come modificato dallo schema in esame (art. 2, comma 3, lett. f), sono:
a) i progetti elencati nell'allegato II (VIA statale) che servono esclusivamente o essenzialmente per lo sviluppo ed il collaudo di nuovi metodi o prodotti e non sono utilizzati per più di due anni;
b) le modifiche o estensioni dei progetti elencati nell'allegato II e III (VIA regionale);
c) i progetti elencati nell'allegato IV (progetti sottoposti a VIA regionale con verifica di assoggettabilità);
qualora in base alla verifica di assoggettabilità di cui al successivo art. 20 si ritenga che possano avere impatti significativi e negativi sull'ambiente.
La seconda modifica inserisce due nuovi commi:
- il nuovo comma 1-bis riproduce il contenuto del secondo periodo del vigente comma 1, che prevede, nei casi in cui il provvedimento di VIA sostituisca l’AIA, che lo studio di impatto ambientali (SIA) contenga anche alcune informazioni previste dl d.lgs. 59/2005. La nuova formulazione modifica ovviamente i citati riferimenti normativi facendo riferimento ai nuovi articoli 29-ter, 29-sexies e 29-septies del Codice, ove sono confluite le norme del d.lgs. 59/2005.
Rispetto al testo vigente vengono aggiunte le informazioni previste dal comma 3 del nuovo articolo 29-ter (che riproduce il comma 5 dell’art. 5 del d.lgs. 59/2005), ovvero quelle informazioni che il gestore ha già fornito secondo altra normativa[4] e che possono facilitarlo nella redazione della domanda di AIA.
Si ricorda che gli artt. 5, 7 ed 8 d.lgs. 59 elencano le informazioni che devono essere contenute nella domanda per il rilascio dell’AIA e disciplinano le condizioni specifiche che gli impianti devono rispettare ai fini del suo rilascio e consentono all'autorità competente di prescrivere – per determinate aree – anche misure supplementari più rigorosedi quelle ottenibili con le migliori tecniche disponibili, al fine di assicurare nell’area specifica il rispetto delle norme di qualità ambientale.
Qualora la documentazione prodotta risulti incompleta, il nuovo comma 1-bis rinvia all’articolo 23, comma 4, del Codice – come modificato dallo schema in esame - che prevede che entro 30 giorni l'autorità competente verifichi la completezza della documentazione. Qualora risulti incompleta, questa viene restituita al proponente con l'indicazione degli elementi mancanti e l’autorità competente richiede allo stesso la documentazione integrativa da presentare entro un termine non inferiore a 30 giorni. In tal caso i termini del procedimento si intendono sospesi fino alla presentazione della documentazione integrativa. Qualora entro il termine stabilito il proponente non depositi la documentazione completa degli elementi mancanti, l’istanza si intende non presentata.
- il nuovo comma 1-ter dispone che per i progetti di cui al comma 1, nei casi in cui il provvedimento di VIA sostituisca l’AIA, il monitoraggio e i controlli successivi al rilascio della VIA possono avvenire anche con le modalità previste per l’AIA ai nuovi articoli 29-decies e 29-undecies.
Qui si ricorda brevemente che tali nuovi articoli riproducono le norme contenute negli artt. 11 e 12 del d.lgs. 59/2005 relative rispettivamente al rispetto delle condizioni dell’AIA verificato dall’ISPRA, per gli impianti di competenza statale, e o dalle agenzie regionali o provinciali per la protezione dell’ambiente negli altri casi ed al monitoraggio.
La terza modifica, con alcune novelle al comma 2 relativo alla VIA regionale, riguarda il procedimento:
§ la prima novella è di carattere formale e sostituisce l’allegato I del d.lgs. 59/2005 con l’Allegato XII. Dato che l’allegato XII riguarda i progetti sottoposti ad AIA statale sembrerebbe che il riferimento più appropriato sia invece l’Allegato VIII (che riproduce il contenuto dell’Allegato I del d.lgs. 59).
Pertanto si suggerisce di riformulare la norma facendo riferimento all’allegato VIII.
La disposizione prevede quindi che per i progetti per i quali è prevista la VIA regionale, ma che ricadono nell’ambito di applicazione del nuovo Allegato VIII, ovvero siano soggetti anche ad AIA, la procedura per il rilascio dell’AIA deve essere coordinata nell’ambito della procedura di VIA;
§ la seconda novella prevede che se l'autorità competente in materia di VIA coincide con quella dell’AIA, diventa obbligatorio che la VIA sostituisca l’AIA, mentre la norma vigente lo pone come facoltativo e in capo alla discrezionalità regionale;
§ la terza novella rinvia alle norme ora contenute nel nuovo comma 1-bis sulle informazioni supplementari da inserire nel SIA.
I commi da 9 a 16 modificano alcune norme relative al procedimento di VAS, che è stato profondamente modificato dal cd. secondo correttivo, d.lgs. 4/2008.
Il procedimento vigente di VAS
Si ricorda, infatti, che il Titolo II del Codice (artt. 11-18) contiene la nuova disciplina in materia di VAS che, a seguito della riscrittura da parte del d.lgs. 4/2008, costruisce un sub-procedimento di approvazione del piano o programma (di cui costituisce “parte integrante”, art. 11, comma 3) e che si conclude, coerentemente, con un semplice parere motivato (ossia con un tipico atto di natura consultiva), e non più con un provvedimento amministrativo, dell’autorità competente entro il termine di 90 giorni a decorrere dalla trasmissione del rapporto preliminare da parte dell’autorità procedente (art. 12, comma 4).
In merito alla competenza in materia di VAS viene confermato il criterio secondo cui la ripartizione delle competenze ha luogo in ragione della titolarità ad approvare i piani e programmi da valutare.
La procedura di VAS prende, quindi, avvio contestualmente al processo di formazione del piano o programma. L’autorità incaricata dell’approvazione del piano o programma dovrà, infatti, richiedere all’autorità competente in materia di VAS un parere in merito all’assoggettabilità della relativa proposta alla VAS, ai sensi dell’art. 12 (verifica di assoggettabilità).
L’autorità ambientale competente dovrà emettere il provvedimento di verifica assoggettando o escludendo il piano o il programma dalla VAS e rendendo pubblico il relativo risultato (art. 12).
A seguito dell’esito positivo della verifica si procederà con la vera e propria fase di valutazione ambientale, che diventa parte integrante del procedimento di adozione e approvazione. Le due autorità dovranno poi collaborare per definire le forme, i soggetti della consultazione pubblica, l’impostazione del rapporto ambientale e le successive modalità di monitoraggio del piano(art. 18).
Il piano o programma sottoposto a VAS dovrà, quindi, essere oggetto di uno specifico rapporto ambientale preparato dall’autorità competente e trasmesso all’autorità ambientale (art. 13).
Oltre alla verifica istruttoria delle autorità, è prevista anche una fase di consultazione del pubblico. Le principali novità nel merito riguardano i tempi di invio delle osservazioni (60 giorni invece dei precedenti 45) e il regime di pubblicità, espressamente indicato sotto forma di avviso nella G.U. ovvero nel B.U.R. e sui siti web delle autorità coinvolte (art. 14).
I risultati delle fasi valutative e di consultazione della popolazione saranno raccolti in un parere motivato che dovrà essere emesso dall’autorità competente in collaborazione con l’autorità procedente la quale provvederà, se del caso, a rivedere il piano o programma alla luce della valutazione ambientale, e a trasmettere tutta la documentazione all’organo competente all’adozione o approvazione del piano o programma. Una nuova pubblicazione sulla G.U. o nel B.U.R. è prevista anche per la decisione finale (artt. 15, 16 e 17).
Anche se modulata sulla falsariga della procedura di VIA, la VAS assume un’impostazione maggiormente volta alla valutazione congiunta in materia ambientale e improntata alla collaborazione tra le autorità nel procedimento decisionale, come indicato dalla direttiva europea 42/2001/CE.
Il comma 9 modifica l’articolo 11 relativo alle modalità di svolgimento della VAS prevedendo:
§ con una novella al comma 1, che la verifica di assoggettabilità sia obbligatoria unicamente per i piani e programmi di cui al nuovi commi 3 e 3-bis dell’articolo 6 (vedi infra);
§ con la sostituzione del comma 3 che la fase di valutazione sia effettuata anteriormente all’adozione del piano o all’avvio della relativa procedura legislativa e comunque durante la fase di predisposizione dello stesso e non più anteriormente alla sua approvazione come prevede la norma vigente.
Rimangono immutate le finalità di tale fase, che sono quelle di garantire che gli impatti significativi sull’ambiente derivanti dall’attuazione di detti piani e programmi siano presi in considerazione durante la loro elaborazione e prima della loro adozione.
Il comma 10 modifical’articolo 12 sulla verifica di assoggettabilità:
§ le novelle al comma 1 prevedono l’obbligatorietà della trasmissione da parte dell’autorità procedente all’autorità competentenel caso di piani e programmi di cui all’art. 6, commi 3 e 3-bis (vedi infra) unicamente su supporto informatico del rapporto preliminare, ricorrendo alla documentazione cartacea solo nei casi di particolare difficoltà di ordine tecnico;
§ al comma 3 si chiarisce che la verifica di assoggettabilità riguarda gli impatti significativi e negativi sull'ambiente.
Il comma 11, attraverso una novella al comma 2 dell’articolo 13 precisa i termini della fase di consultazione tra proponente/autorità procedente e autorità competente in materia ambientale finalizzata alla definizione del rapporto ambientale. Viene, infatti, previsto che il termine di 90 giorni entro cui deve concludersi tale fase decorra dall’invio della relazione preliminare all’autorità competente (art. 12, comma 1).
Tale modifica, come riporta la relazione illustrativa, consente all'autorità procedente di disporre di tempi certi per l'adozione delle decisioni.
Il comma 12 sostituisce il comma4 dell’articolo 14 che prevede che le procedure di deposito, pubblicità e partecipazione del pubblico, disposte ai sensi delle vigenti disposizioni per specifici piani e programmi, siano coordinate al fine di evitare duplicazioni con le norme del decreto.
Il nuovo comma 4 ribadisce la finalità di evitare duplicazioni procedimentali, ma vi aggiunge anche la necessità di assicurare il rispetto dei termini massimi previsti dalla normativa in materia di VAS.
Nella relazione illustrava viene, infatti, ribadito che una volta operata la scelta di “agganciare” la VAS alla fase di adozione del piano (nuovo comma 3 dell’art. 11) l’eventuale momento partecipativo relativo ad osservazioni o controdeduzioni previsto dalle specifiche discipline di settore (es. in materia di strumenti urbanistici) tendenzialmente deve essere coordinato con le consultazioni previste dall’articolo 14 e, comunque, non può superare i termini massimi previsti dalla normativa sulla VAS. La relazione evidenzia, inoltre, come tali termini (60 giorni per le osservazioni e 90 giorni per l’emissione del provvedimento) coincidano con quelli di cui alla legge 1150/1942 in materia di Piano regolatore generale (artt. 9 e 10).
Il comma 13 reca alcune modifiche all’articolo 15 sulla valutazione del rapporto ambientale e sugli esiti delle consultazioni.
La prima modifica al comma 1 inserisce tra le osservazioni che l’autorità competente, in collaborazione con quella procedente, dovrà esaminare non solo quelle inoltrate ai sensi dell’art. 14, ma anche quelle relative alle consultazioni transfrontaliere disciplinate dal successivo art. 32.
La seconda modifica al comma 1 inserisce la possibilità di esperire ricorso avverso il silenzio dell’amministrazione di cui all’art. 21-bis della legge n. 1034/1971.
Si ricorda che l’art. 21-bis della legge 1034/1971, introdotto dalla legge 205/2000, prevede la possibilità di ricorrere avverso il silenzio dell'amministrazione. Tali ricorsi sono decisi in camera di consiglio, con sentenza succintamente motivata, entro 30 giorni dalla scadenza del termine per il deposito del ricorso, uditi i difensori delle parti che ne facciano richiesta. Nel caso che il collegio abbia disposto un'istruttoria, il ricorso è deciso in camera di consiglio entro 30 giorni dalla data fissata per gli adempimenti istruttori. La decisione è appellabile entro 30 giorni dalla notificazione o, in mancanza, entro novanta giorni dalla comunicazione della pubblicazione. Nel giudizio d'appello si seguono le stesse regole. In caso di totale o parziale accoglimento del ricorso di primo grado, il giudice amministrativo ordina all'amministrazione di provvedere di norma entro un termine non superiore a 30. Qualora l'amministrazione resti inadempiente oltre il detto termine, il giudice amministrativo, su richiesta di parte, nomina un commissario che provveda in luogo della stessa. All'atto dell'insediamento il commissario, preliminarmente all'emanazione del provvedimento da adottare in via sostitutiva, accerta se anteriormente alla data dell'insediamento medesimo l'amministrazione abbia provveduto, ancorché in data successiva al termine assegnato dal giudice amministrativo con la decisione prevista dalle norme precedenti.
Tale modifica, come riferisce la relazione illustrativa, è necessaria in quanto la mancata pronuncia dell'autorità competente produce l’effetto di arrestare il procedimento (senza il parere VAS, ove necessario, il procedimento di formazione del piano o del programma non può infatti andare avanti).
La riformulazione del comma 2 cheprevedevache l'autorità procedente, in collaborazione con l'autorità competente, provvedesse, ove necessario, alla revisione del piano o programma alla luce del parere motivato espresso prima della presentazione del piano o programma per l'adozione o approvazione, attraverso la soppressione dell’inciso “ove necessario” consente, come si evince anche dalla relazione illustrativa, di superare le incertezze applicative suscitate dalla disposizione oggi vigente.
Si è, pertanto chiarito che l'inciso "ove necessario" significa che qualora risulti un contrasto tra piano e parere motivato, il piano va modificato per renderlo compatibile col parere motivato e con i risultati delle consultazioni transfrontaliere.
Inoltre, nella seconda parte del comma, si è precisato che tutto ciò avviene comunque prima dell'approvazione del piano (essendo ormai stabilito che tutta la fase VAS s'inserisce nella precedente fase dell'adozione) .
Il comma 14 reca la correzione di un mero errore di sintassi riportato nel vigente articolo 16.
Il comma 15 aggiunge un comma all’articolo 17 sulle modalità di pubblicazione della decisione finale che prevede che i soggetti che hanno presentato osservazioni ai sensi dell’art. 14, comma 3 (come riformulato dal decreto in esame) sono in ogni caso legittimati a impugnare dinanzi al giudice amministrativo il provvedimento di approvazione del piano o del programma per il mancato rispetto del parere di cui all’articolo 15.
Si ricorda che il nuovo art. 15 prevede, tra l’altro, che l’autorità competente, in collaborazione con l'autorità procedente, svolte le attività tecnico-istruttorie ed acquisiti i pareri e le osservazioni previste, esprima il proprio parere motivato entro il termine di 90 giorni a decorrere dalla scadenza di tutti i termini di cui all'art. 14.
Il comma 16, con una modifica al comma 1 dell’articolo 18, specifica che il monitoraggio è effettuato dall'autorità procedente in collaborazione con l’autorità competente anche avvalendosi del sistema delle Agenzie ambientali e dell’ISPRA. Pertanto la collaborazione dell’ISPRA e delle agenzie sarebbe solo eventuale.
Il comma vigente prevedeva che esso venisse effettuato avvalendosi del sistema delle Agenzie ambientali.
I commi da 17 a 28 modificano alcune disposizioni relative al procedimento di VIA riformulato con il cd. secondo correttivo, d.lgs. 4/2008.
Il procedimento vigente di VIA
Il Titolo III del Codice (artt. 19-29) contiene la disciplina in materia di VIA che, a seguito della riscrittura da parte del d.lgs. 4/2008,ha subito delle integrazioni e specificazioni puntuali. In particolare, viene effettuata una più chiara ripartizione di competenze tra Stato e Regioni, mediante il ritorno al criterio di riparto cd. tabellare, che attribuisce allo Stato la competenza sulle opere di maggiore impatto (allegato II) e alle regioni la competenza su un elenco di tipologia di opere di minore impatto, (allegato III e allegato IV).
La procedura di VIA si apre con la trasmissione, da parte del proponente, del progetto preliminare e dello studio preliminare ambientale. Dell'avvenuta trasmissione viene dato sintetico avviso, a cura del proponente, nella G.U. per i progetti di competenza statale e nel BUR per quelli regionali. Entro 45 giorni dalla pubblicazione dell'avviso chiunque abbia interesse può far pervenire le proprie osservazioni.
L'autorità competente procede alla verifica di assoggettabilità, cioè nei successivi 45 giorni verifica se il progetto abbia possibili effetti negativi apprezzabili sull'ambiente. Entro la scadenza di tale termine l'autorità competente deve comunque esprimersi in merito dell’assoggettabilità o meno del progetto a VIA (art. 20).
Il proponente dell’opera presenta quindi l’istanza corredata dalla documentazione richiesta dall’art. 23, tra cui un elenco delle autorizzazioni, intese, concessioni, licenze, pareri, nulla osta e assensi comunque denominati, già acquisiti o da acquisire per la realizzazione e l’esercizio dell’opera o intervento, con la finalità di agevolare le altre procedure autorizzatorie e di evitare sovrapposizioni o duplicazioni.
I termini per la richiesta consultazione del pubblico prevedono 60 giorni, e lo stesso termine viene concesso alle autorità competenti per il rilascio delle proprie determinazioni. La consultazione può anche avvenire tramite un’inchiesta pubblica (art. 24).
La procedura si conclude entro 150 giorni dalla presentazione dell’istanza - con una prolungamento fino ad un massimo di ulteriori 60 giorni casi in cui è necessario procedere ad accertamenti ed indagini (con un eventuale prolungamento fino ad un massimo di 330 giorni in casi particolarmente complessi) - con un provvedimento espresso e motivato da parte dell’autorità competente.
Decorsi inutilmente tali termini, viene esercitato il potere sostitutivo da parte del Consiglio dei ministri, su istanza delle parti, che deciderà entro i successivi 60 giorni, previa diffida ad adempiere all’organo competente (art. 26, commi 1 e 2).
Il provvedimento finale dovrà essere pubblicato per estratto sulla G.U. o nel B.U.R. con espressa previsione di decorrenza dei termini per eventuali impugnazioni in sede giurisdizionale.
La VIA prevede, infine, sistemi di monitoraggio, controllo e sanzioni (artt. 28 e 29).
Il comma 17 relativo al comma 1, lett. a) dell’articolo 19 sulle modalità di svolgimento della VIA, limita la verifica di assoggettabilità alle sole ipotesi previste dal nuovo comma 7 dell’art. 6 cheindica, infatti, una serie di progetti per i quali si richiede la VIA solo dopo aver esperito la verifica di assoggettabilità.
Si rammenta che il nuovo comma 7 dell’art. 6 prevede la necessità della VIA per una serie di progetti qualora, in base alle disposizioni di cui al successivo art. 20, ovvero dopo la verifica di assoggettabilità, si ritenga che essi producano impatti significativi e negativi sull'ambiente. Essi sono:
a) i progetti elencati nell'allegato II che servono esclusivamente o essenzialmente per lo sviluppo ed il collaudo di nuovi metodi o prodotti e non sono utilizzati per più di due anni;
b) le modifiche o estensioni dei progetti elencati negli allegati II e III al presente decreto;
c) i progetti elencati nell'allegato IV.
Il comma 18 novella, in più parti l’articolo 20 relativo alla verifica di assoggettabilità.
Analogamente ha quanto disposto per la VAS, viene prevista l’obbligatorietà della trasmissione della copia del progetto preliminare e del SIA in formato elettronico, ricorrendo alla documentazione cartacea solo nei casi di particolare difficoltà di ordine tecnico (comma 1).
La diversa formulazione del comma 1, lett. b) dell’articolo 20 prevede che vengano sottoposti a verifica di assoggettabilità anche le modifiche ai progetti dell’allegato III (VIA regionale) che possono comportare effetti sull’ambiente, e non più effetti negativi apprezzabili per l'ambiente.
Si ricorda che il vigente art. 20, comma 1, lett. b), prevede il ricorso alla verifica di assoggettabilità per le modifiche dei progetti elencati negli allegati II che comportino effetti negativi apprezzabili per l'ambiente, nonché quelli di cui all'allegato IV secondo le modalità stabilite dalle Regioni e dalle province autonome, tenendo conto dei commi successivi del presente articolo.
Con la sostituzione del comma 4 viene introdotta, analogamente alla procedura di VAS, la possibilità di esperire ricorso avverso il silenzio dell’amministrazione di cui all’art. 21-bis della legge n. 1034/1971, una volta scaduti i termini previsti per la pronuncia da parte dell’autorità competente (si veda la scheda riassuntiva sulla VIA), ai fini di dare tempi certi alla conclusione del procedimento (vedi infra comma 13 di modifica dell’art. 15 del Codice).
Inoltre, l’autorità competente dovrà tenere conto, nel verificare se il progetto abbia possibili effetti negativi sull’ambiente, anche se essi sono significativi.
Le modifiche ai commi 5 e 6 precisano maggiormente le caratteristiche degli impatti sull’ambiente che devono avere i progetti o le modifiche significative ai fini della sottoposizione o meno a VIA. Gli impatti ambientali devono essere non solo significativi ma anche negativi.
Il comma 19 reca due modifiche all’articolo 21 sulla definizione dei contenuti del SIA volte ad una armonizzazione formale del testo ed ad un suo coordinamento con le modifiche apportate al comma 1 dell’articolo 20.
Il comma 20, oltre a due modifiche di coordinamento formale previste ai commi 2 e 3, prevede la sostituzione del comma 4 dell’articolo 23 relativo alla presentazione dell’istanza da parte del proponente l’opera/intervento all’autorità competente.
Mentre il vigente comma 4 prevede che qualora la documentazione sia incompleta l’autorità competente la restituisca al proponente con l'indicazione degli elementi mancanti ed il progetto si intende non presentato, il nuovo comma 4 prevede invece che nel caso di documentazione incompleta il proponente possa integrarla entro un termine non inferiore a 30 giorni. Conseguentemente si intendono sospesi i termini del procedimento fino alla presentazione della documentazione integrativa.
L’istanza si intende non presentata solo nel caso di mancata integrazione nei termini sopraindicati.
Viene anche aggiunta la previsione che l’autorità competente verifica non solo la completezza della documentazione presentata, ma anche il pagamento del contributo dovuto ai sensi dell’articolo 33 per gli oneri istruttori.
Il comma 21 sostituisce i commi 9 e 10 dell’articolo 24 relativo alla procedura di consultazione del pubblico ed aggiunge due ulteriori commi.
Con la sostituzione del comma 9 sostanzialmente viene abbreviato il tempo, da 60 a 45 giorni, entro il quale il proponente può modificare gli elaborati progettuali prorogabili, anche in questo caso di altri 45 giorni e non più di altri 60.
Viene anche introdotta la possibilità che il proponente possa modificare gli elaborati, oltre che a seguito di osservazioni o rilievi emersi nel corso dell’inchiesta pubblica o del contraddittorio, anche di sua iniziativa.
L'autorità competente esprime comunque il provvedimento di VIA entro 90 dalla presentazione degli elaborati modificati, analogamente a quanto già previsto dal comma vigente.
Con il nuovo comma 9-bis, come precisa anche la relazione illustrativa, si è voluto prevedere espressamente - qualora le modifiche siano di natura sostanziale e rilevanti per il pubblico - la possibilità per chiunque di presentare ulteriori osservazioni che saranno poi valutate dall'autorità competente per l'adozione del provvedimento finale, ai sensi del nuovo comma 9-ter.
Sembrerebbe, pertanto, che venga dato un maggior rilievo alla partecipazione del pubblico qualora appunto le modifiche siano rilevanti inserendo, a tal fine, una norma apposita per disciplinare questa ulteriore fase partecipativa.
Viene infatti previsto che entro il termine di 60 giorni dalla pubblicazione del progetto emendato, chiunque abbia interesse può prenderne visione e presentare proprie osservazioni, anche fornendo nuovi o ulteriori elementi conoscitivi e valutativi in relazione alle sole modifiche apportate agli elaborati ai sensi del comma 9.
In questo caso, l'autorità competente esprime il provvedimento di VIA entro 90 giorni dalla scadenza del termine previsto per la presentazione delle osservazioni.
Tutta la documentazione istruttoria, comprese le osservazioni presentate ai sensi dei commi 4 e del nuovo comma 9-bis, le eventuali controdeduzioni e gli atti delle modifiche eventualmente apportate al progetto ai sensi del comma 9, deve essere pubblicata sul sito web dell'autorità competente (comma 10).
Il comma 22 modifica ed integra l’articolo 25 sulla VIA e gli esiti della consultazione, assegnando un termine più ampio –da 60 a 90 giorni - alle regioni per rendere il loro parere su progetti sottoposti a VIA statale, al fine, come indicato anche nella relazione illustrativa, di coordinare l'attività istruttoria dell'amministrazione con la presentazione delle osservazioni da parte del pubblico.
Vengono, inoltre, consessi alle regioni ulteriori 60 giorni qualora intervenga una modifica sostanziale al progetto originario o a seguito di integrazioni eventualmente presentate dal proponente o richieste dall’autorità competente, in modo che le regioni stesse possano avere la possibilità di aggiornare i pareri resi (comma 2).
La prima modifica al comma 3 introduce la Conferenza dei servizi istruttoria ove le amministrazioni possono rendere le proprie determinazioni, mentre il testo vigente contemplava quale mera eventualità la convocazione della Conferenza dei servizi.
Con specifico riferimento alla conferenza di servizi, l'art. 14, comma 1, della legge 241/1990 prevede la c.d. conferenza istruttoria, la conferenza convocata dall'autorità procedente al fine di valutare i differenti interessi pubblici coinvolti nel procedimento.
Al comma 2, viene, invece, individuata la c.d. conferenza decisoria. Si tratta dell'ipotesi in cui l'autorità procedente debba ottenere, ai fini dell'adozione del provvedimento finale, preventivi atti d'assenso, nulla osta o pareri di altri organi o di altre amministrazioni. In tal caso, la determinazione finale viene assunta in via collaborativa ed assorbe i nulla osta, gli atti d'assenso e i pareri altrimenti necessari. Il medesimo comma 2 stabilisce la natura obbligatoria della conferenza decisoria nel caso in cui l'organo che deve rilasciare l'atto d'assenso (o il nulla osta, o il parere) non risponda entro il termine di trenta giorni dal ricevimento della relativa richiesta. Nel caso in cui sia negato l'atto d'assenso (o il nulla osta o venga dato parere negativo), l'amministrazione procedente ha la facoltà di convocare la conferenza decisoria.
Le ulteriori integrazioni al comma 3 dispongono che se, a seguito di modificazioni o integrazioni eventualmente presentate dal proponente e qualora l’autorità competente ritenga che le modifiche apportate siano sostanziali, siano concessi alle amministrazioni interessate (sia statali che regionali), ulteriori 45 giorni dal deposito delle stesse per l’eventuale revisione dei pareri resi.
Il nuovo comma 3-bis dispone che nel caso in cui le amministrazioni interessate non si siano espresse entro i maggiori termini ivi previsti, l’autorità competente procede comunque con il provvedimento di VIA da rendere secondo le modalità del nuovo articolo 26.
Il comma 23 dispone numerose modificheall’articolo 26 sulla decisione con sui viene concluso il provvedimento di VIA, al fine, come riporta la relazione illustrativa, di coordinare le diverse scansioni temporali nei casi di modifica progettuale autonomamente proposta dal proponente di cui al novellato articolo 24 e nei casi di modifiche progettuali su richiesta dell'amministrazione ai sensi dell'articolo 26 del decreto. In sostanza, prosegue la relazione, al fine di dare completa attuazione alla normativa comunitaria, attraverso le modifiche apportate agli articoli 24, 25 e 26, pur non aumentando i termini di conclusione del procedimento già stabiliti dalla normativa vigente, è stata disciplinata la fase di partecipazione del pubblico e la fase di acquisizione delle valutazioni delle autorità competenti in materia ambientale nel caso, peraltro frequente, in cui il proponente decida di apportare di propria iniziativa o su richiesta dell'autorità procedente, modifiche sostanziali progetto originario.
Pertanto le modifiche introdotte dagli articoli 24, 25 e 26 relative ad un maggior coinvolgimento del pubblico e alla concessione di tempi più ampi appaiono più aderenti al dettato comunitario della direttiva 85/337/CEE che, all’articolo 6 sulla partecipazione del pubblico, prevede che ad esso vengano offerte tempestive ed effettive opportunità di partecipazione alle procedure decisionali in materia ambientale, esprimendo osservazioni e pareri alle autorità competenti quando tutte le opzioni sono aperte prima e che venga adottata la decisione sulla domanda di autorizzazione. A tal fine devono essere fissate scadenze adeguate per le varie fasi, che concedano un tempo sufficiente per informare il pubblico nonché per consentire al pubblico interessato di prepararsi e di partecipare efficacemente al processo decisionale in materia.
La novella al comma 1, con l’inserimento della seguente premessa “Salvo quanto previsto dall’articolo 24” tiene conto dei nuovi termini introdotti dal nuovo comma 9 all’articolo 24 che prevede che se il proponente decide, di propria iniziativa, di modificare gli elaborati progettuali, i tempi complessivi per la conclusione del procedimento potrebbero arrivare a 270 giorni.
Il nuovo comma 9 dell’articolo 24 prevede che il proponente possa far richiesta di integrazione nei 30 giorni successivi alla scadenza dei 60 giorni previsti per la presentazione delle osservazioni (comma 4). A tali termini si aggiungono ulteriori 45 giorni concessi al proponente per presentare i rilievi, prorogabili una sola volta di altri 45 giorni L’autorità si esprime poi entro 90 giorni dalla presentazione degli elaborati modificati.
Rimane invece immutata la restante parte del comma che prevede la conclusione del procedimento di VIA, con provvedimento espresso e motivato, entro 150 giorni dalla presentazione dell'istanza.
Nei casi in cui è necessario procedere ad accertamenti ed indagini di particolare complessità, l'autorità competente, con atto motivato, dispone il prolungamento del procedimento di valutazione sino ad un massimo di ulteriori 60 giorni dandone comunicazione al proponente (entro 210 giorni).
Si osserva che, pur prevedendo un prolungamento dei tempi nel caso di modifiche progettuali su iniziativa del proponente, essi risultano comunque inferiori ai 330 giorni previsti per casi particolarmente complessi dal vigente articolo 26, comma 2 che viene, però, ora modificato attraverso l’eliminazione di tale termine massimo.
La prima modifica al comma 2 è, pertanto, conseguente alle nuove scadenze temporali appena illustrate relative all’articolo 24 ed ai nuovi termini previsti dall’articolo in esame ai commi successivi.
L’ultima modificaal comma 2 sostituisce l’inciso che prevede il rispetto “del principio della fissazione di un termine del procedimento” con il principio più ampio richiamato all’articolo 7, comma 7, lettera e) del decreto in esame che fa riferimento anche all’articolo 29 del la legge 241/1990 (vedi infra).
Il nuovo comma 2-bis, introduce anche per la VIA (come per la VAS), la possibilità di esperire ricorso avverso il silenzio dell’amministrazione di cui all’art. 21-bis della legge n. 1034/1971 (vedi infra).
Il comma 3, che viene interamente sostituito, disciplina i casi di integrazione richiesti direttamente dall’amministrazione e ne detta i relativi tempi, che corrispondono a quelli previsti per l’integrazione su istanza di parte.
Pertanto, l'autorità competente può richiedere al proponente entro 30 giorni dalla scadenza del termine dei 60 giorni entro i quali possono essere presentate le osservazioni (art. 24, comma 4) integrazioni - in un'unica soluzione - alla documentazione presentata, con l'indicazione di un termine per la risposta che non può superare i 45, prorogabili, su istanza del proponente, per un massimo di ulteriori 45 giorni. In questo caso l'autorità competente esprime il provvedimento di valutazione dell'impatto ambientale entro 90 giorni dalla presentazione degli elaborati modificati (complessivi 270 giorni).
I due nuovi commi 3-bis e 3-ter riproducono, nella sostanza, il contenuto delle disposizioni del vigente comma 3 che non sono rientrate nella formulazione del nuovo comma 3 del decreto in esame.
Esse prevedono che l’autorità competente, ove ritenga che le modifiche apportate siano sostanziali e rilevanti per il pubblico, dispone che il proponente depositi copia delle stesse con le modalità previste e che entro il termine di 60 giorni dalla pubblicazione del progetto emendato, chiunque abbia interesse possa prendere visione del progetto e presentare proprie osservazioni.
In questo caso, l'autorità competente esprime il provvedimento di valutazione dell'impatto ambientale entro 90 giorni dalla scadenza del termine previsto per la presentazione delle osservazioni.
Qualora il proponente non ottemperi alle richieste di integrazioni da parte dell’autorità competente, non presentando gli elaborati modificati, o ritiri la domanda, non si procede all'ulteriore corso della valutazione.
L'interruzione della procedura ha effetto di pronuncia interlocutoria negativa.
La sostituzione del comma 4 è di carattere meramente formale in quanto, nulla innovando al contenuto del comma vigente, sostituisce in modo più appropriato il riferimento all’AIA di cui al d.lgs. 59/2005.
Il comma dispone che il provvedimento di VIA sostituisce o coordina tutte le autorizzazioni, intese, concessioni, licenze, pareri, nulla osta e assensi comunque denominati in materia ambientale, necessari per la realizzazione e l'esercizio dell'opera o dell’impianto.
Il comma 24 modifica l’articolo 28 sul monitoraggio al fine, come indica la relazione illustrativa, di chiarire i poteri attribuiti all'amministrazione in relazione alle attività ed agli esiti del monitoraggio e le misure correttive che possono essere adottate. Nel monitoraggio viene coinvolto anche l’ISPRA, oltre alle già previste agenzie ambientali.
In particolare, si prevede che nel caso di impatti ambientali negativi non previsti in sede di valutazione, previa acquisizione delle informazioni e dei pareri eventualmente necessari, il provvedimento di VIA possa essere modificato. Nei casi di maggiore gravità, può essere anche ordinata la sospensione dei lavori o delle attività autorizzate, nelle more delle determinazioni correttive da adottare.
Sostanzialmente, considerata l’importanza della fase di monitoraggio per rendere realmente effettive le valutazioni rese in sede di VIA, viene introdotta una continua verifica dell’attuazione dell’opera/impianto.
Il comma 25 introduce, con il nuovo Titolo III bis, la normativa in materia di AIA nel corpo dello stesso Codice ambientale, prevedendo l’abrogazione del d.lgs. 59/2005.
Il procedimento vigente di AIA
Il d.lgs. 59/2005 ha compiutamente recepito la direttiva IPPC del 24 settembre 1996 con la quale la Comunità europea aveva adottato un approccio integrato al controllo delle emissioni (nell’aria, nelle acque e nel suolo) degli impianti industriali, sottoponendo la gestione degli stabilimenti industriali che svolgono le attività rientranti nell’allegato I alla concessione di un'autorizzazione, previa consultazione del pubblico ed eventualmente un esame coordinato da parte delle varie autorità competenti. La direttiva era già stata recepita nell’ordinamento italiano - limitatamente tuttavia ai soli impianti esistenti - con il d.lgs. 372/1999. Pertanto, la principale novità recata dal d.lgs. 59 è consistita nell’estensione dell’AIA a tutti gli impianti: esistenti, nuovi e sottoposti a modifiche sostanziali, che svolgono le attività indicate nell’allegato I (che riproduce il corrispondente allegato del d.lgs. 372/1999, a sua volta conforme a quello della direttiva).
Si ricorda, in proposito, che le attività incluse nell’allegato I sono:
- attività energetiche;
- produzione e trasformazione di metalli;
- industria dei prodotti minerari;
- industria chimica;
- gestione dei rifiuti;
- altre attività, quali, ad esempio, allevamenti, concerie, macelli, cartiere, industrie tessili e alimentari.
Un’altra novità di rilievo è rappresentata da una più chiara individuazione dell’autorità competente al rilascio dell’AIA (art. 2, comma 1, lettera i). Con una scelta analoga a quella adottata nella legislazione in materia di VIA (cd. criterio tabellare, ossia i progetti indicati in alcuni allegati), il decreto individua una AIA statale e una sorta di AIA regionale. Schematicamente:
|
AIA statale |
AIA regionale |
Impianti |
Tutti gli impianti esistenti e nuovi indicati nell’Allegato V al d.lgs. 59/2005 |
Impianti non elencati nell’Allegato V |
Autorità |
Ministero dell’ambiente |
Autorità individuata dalla Regione o dalla Provincia autonoma, tenendo conto dell'esigenza di definire un procedimento unico per il rilascio dell'AIA |
Di notevole importanza pratica sono inoltre:
§ l’espressa elencazione - nell’Allegato II al decreto 59 - delle autorizzazioni ambientali sostituite dall’AIA (ar. 5, co. 14); .
§ l’ accentuazione delle forme di partecipazione del pubblico al processo decisionale di rilascio dell’AIA (art. 5, co. 2 e 16);
§ un maggiore coordinamento tra AIA e sistemi di certificazione ambientale con norme agevolative per i gestori che applicano le norme ISO 14001, EMAS o altro (art. 5, co. 5).
La procedura per il rilascio dell’AIA (artt. 5-11) può essere sintetizzata nei seguenti passaggi principali:
Casi di presentazione della domanda
La domanda per ottenere il rilascio dell’AIA deve essere presentata in caso di:
- esercizio di impianti nuovi;
- modifica sostanziale di impianti esistenti;
- adeguamento del funzionamento degli impianti esistenti alle disposizioni del d.lgs. 59.
Contenuto della domanda –
La domanda deve contenere:
- le informazioni richieste dalla normativa in materia di aria, acqua, suolo e rumore;
- la descrizione dell’impianto, delle materie prime, delle fonti di emissione e della loro entità, nonché delle tecniche e delle misure previste per la loro riduzione e controllo;
- una sintesi non tecnica dei dati indicati al punto precedente;
- l’indicazione delle informazioni che non debbono essere diffuse per ragioni di riservatezza industriale, commerciale o personale;
- l’eventuale allegazione delle norme del sistema di gestione ambientale o di sicurezza utilizzato dall’impresa (ISO 14001, EMAS o altro).
Modifiche dell’impianto o del gestore
Ogniqualvolta il gestore intende apportare una modifica dell’impianto deve comunicare il relativo progetto all’autorità competente. Per modifiche non sostanziali l’Autorità competente si limita ad aggiornare l’autorizzazione; diversamente in caso di modifiche sostanziali sarà necessario dare corso ad una nuova procedura per il rilascio di una nuova AIA. Tra gli eventi da comunicare rientra anche la sostituzione del gestore.
Scadenze e obblighi per l’autorità competente
L’autorità competente emanare il provvedimento secondo la seguente tempistica:
- entro 30 giorni dal ricevimento della domanda l’autorità competente deve comunicare al gestore la data di avvio del procedimento ai sensi della legge 241/1990. A tale obbligo corrisponde un obbligo per il richiedente di provvedere, entro 15 giorni dalla comunicazione di avvio del procedimento, alla pubblicazione di un annuncio sui quotidiani per consentire al pubblico di prendere visione degli atti e di trasmettere eventuali osservazioni (art. 5, comma 7);
- entro 30 giorni dalla pubblicazione dell'annuncio i soggetti interessati possono presentare in forma scritta, all'autorità competente, osservazioni sulla domanda (comma 8);
- l’autorità competente può anche convocare una conferenza di servizi alla quale invitare le amministrazioni competenti in materia ambientale e comunque, per impianti di competenza statale, anche alcuni Ministeri (comma 10);
- entro 150 giorni dalla presentazione della domanda l’autorità competente (salvo la decorrenza del termine non sia stata sospesa in caso di richiesta di integrazioni o si debba attendere l’esito della procedura di VIA) adotta il provvedimento finale con il quale provvede espressamente a negare oppure al rilascio dell’AIA (comma 12).
L’autorità competente rilascerà l’AIA tenendo conto:
- delle considerazioni (riportate nell’allegato IV) e delle migliori tecniche disponibili (MTD ) previste dall’art. 4;
- di quanto previsto all’interno delle apposite linee guida per l’individuazione delle MTD (migliori tecniche disponibili);
- degli atti di indirizzo finalizzati a garantire l’applicazione del decreto su tutto il territorio nazionale ;
- dei requisiti generali previsti per particolari categorie di impianti.
L'AIA per impianti di competenza statale di cui all'allegato V o è rilasciata con decreto del Ministro dell'ambiente. In caso di impianti sottoposti a procedura di VIA, il termine di cui sopra è sospeso fino alla conclusione di tale procedura. L'AIA non può essere comunque rilasciata prima della conclusione della VIA (art. 5, comma 12).
L’autorità competente provvede, infine, a mettere una copia dell’AIA rilasciata a disposizione del pubblico (art. 5, comma 15) e può anche negare l'autorizzazione in caso di non conformità ai requisiti previsti dal decreto .
Contenuto dell’AIA
L’AIA contiene, tra l’altro (art. 7):
§ l’indicazione delle autorizzazioni sostituite;
§ i valori limite di emissione;
§ i requisiti per il controllo delle emissioni;
§ le misure da adottare in condizioni diverse da quelle di normale esercizio (p.es. per le fasi di avvio e di arresto);
§ le prescrizioni dettate ai fini della prevenzione contro i pericoli da incidenti rilevanti in attuazione del d.lgs. n. 334/1999 (cd. Seveso-bis );
§ altre condizioni specifiche giudicate opportune dall'autorità competente.
Durata dell’AIA
L’AIA è rinnovata ogni 5 anni e, qualora il gestore abbia adottato un sistema di gestione ambientale certificato, il termine quinquennale viene esteso a:
§ 6 anni per gli impianti certificati secondo le norme UNI EN ISO 14001;
§ 8 anni per gli impianti registrati EMAS.
Sanzioni
Vengono introdotte sanzioni penali ed amministrative attribuendo al Prefetto il potere di irrogare le sanzioni previste in relazione agli impianti di competenza statale e alle autorità competenti al rilascio dell’AIA, per gli impianti di competenza regionale (art. 16).
Effetti transfrontalieri
Sono previsti obblighi di comunicazioni intercorrenti tra i diversi Stati dell’Unione europea nel caso in cui il funzionamento di un impianto possa avere effetti negativi e significativi sull'ambiente di un altro Stato (art. 15).
L’articolo 29-bis, riproduce sostanzialmente il contenuto dell’articolo 4 del d.lsg. 59/2005 sull’individuazione e utilizzo delle migliori tecniche disponibili.
Pertanto, per gli impianti rientranti nelle attività di cui all'allegato VIII (allegato I del d.lgs. 59/2005), l’AIA deve essere rilasciata tenendo conto:
§ delle considerazioni riportate nell'allegato XI (allegato IV al d.lgs. 59, relativo alle informazioni pubblicate dalla Commissione europea);
§ dello scambio di informazioni tra le autorità competenti e della loro diffusione al pubblico, secondo quanto stabilito dall'articolo 29-terdecies, comma 4 (art. 14, comma 4, d.lgs. 59);
§ nel rispetto dei documenti BREF (BAT Reference Documents) pubblicati dalla Commissione europea e delle linee guida per l'individuazione e l'utilizzo delle migliori tecniche disponibili (MTD ).
Ciò premesso occorre ricordare che i criteri di riferimento che devono essere tenuti in considerazione quando si effettua la valutazione delle MTD sono molto generali e, per una più efficace applicazione, necessitano di ulteriori approfondimenti di carattere tecnico, economico e procedurale, nonché dello sviluppo di un approccio gerarchico, soprattutto per i casi più complessi. Per tale motivo, e per favorire lo scambio di informazioni, l'Unione Europea si è attrezzata per migliorare l'attuazione della direttiva IPPC creando un apposito ufficio, operante presso il centro comunitario di ricerca di Siviglia, che coordina una serie di gruppi tecnici, ai quali partecipano delegati italiani sotto il coordinamento del Ministero dell'ambiente incaricati della redazione di documenti di riferimento per l'individuazione delle MTD, cosiddetti BREF, aventi l’obiettivo di fotografare quelle che, nell’ambito comunitario, sono oggi considerabili le tecnologie di riferimento e quali sono le prestazioni ambientali che esse sono in grado di garantire.
L’ufficio di Siviglia ha già predisposto numerosi BREF per alcune attività produttive o per processi orizzontali potenzialmente comuni a più attività. Si tratta di documenti che non fissano norme giuridicamente vincolanti ma si limitano a fornire informazioni di riferimento e si presentano inevitabilmente molto tecnici, voluminosi e densi di informazioni, la cui lettura e comprensione appare ardua per i non addetti ai lavori.
Occorre notare, tuttavia, che il richiamo ai BREF è contenuto anche nel punto 12 dell’allegato XI che riguarda le informazioni pubblicate dalla Commissione europea ai sensi dell'articolo 16, paragrafo 2, della direttiva 96/61/CE, o da organizzazioni internazionali e che l’art. 16. par. 2, della citata direttiva prevede che la Commissione organizza lo scambio di informazioni tra gli Stati membri e le industrie interessate sulle migliori tecniche disponibili, sulle relative prescrizioni in materia di controllo e i relativi sviluppi. La Commissione pubblica ogni tre anni i risultati degli scambi di informazioni.
Rispetto al testo del d.lsg. 59/2005, le linee guida devono essere emanate con un decreto interministeriale che comprenda anche il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentita la Conferenza unificata(comma 1).
Inoltre, viene soppresso il comma che prevedeva la costituzione di una Commissione di esperti che ha fornito supporto al Ministero dell'ambiente nell'adozione delle linee guida che sono state emanate con il D.M. 31 gennaio 2005, con quattro D.M. adottati in data 29 gennaio 2007 e con cinque D.M. adottati in data 1° ottobre 2008.
L'aggiornamento delle citate linee guida viene ora assicurato dal comma 1 attraverso l'emanazione di uno o più decreti interministeriali, sentita la Conferenza unificata, mentre la citata Commissione di esperti, che era stata istituita con D.M. 15 febbraio 2007, è sostituita dalla Commissione IPPC di cui all’art. 10 del citato DPR 10/2007.
L’articolo 29-ter, rispetto alle disposizioni dell’articolo 5 del d.lgs. 59, relativo al contenuto della domanda di AIA, aggiorna tutti i richiami interni attualmente contenuti nelle norme del d.lgs. n. 59/2005 con richiami inseriti al d.lgs. n. 152/2006, sostituisce i riferimenti all’APAT con quelli all’ISPRA e aggiorna il corretto riferimento alla normativa in materia di segreto di Stato (ora nell’art. 39 della legge 124/1007).
Le novità riguardano il nuovo comma 4 che introduce la verifica di procedibilità delle domande come previsto in sede VIA all'art. 23, nonché la previsione di un termine (non inferiore a 30 giorni ed analogo a quello concesso dall’art. 23 per la VIA) entro il quale presentare le integrazioni richieste dall'autorità competente, in mancanza delle quali l'istanza si considera come non presentata.
L’articolo 29-quater riproduce, con alcune integrazioni, il contenuto della procedura per il rilascio dell’AIA introdottacon l’art. 5 del d.lgs. 59/2005.
Le integrazioni riguardano:
§ una maggiore pubblicità delle informazioni anche a carico dell’autorità competente, utilizzando a tal fine il sito web istituzionale (comma 3);
§ l’obbligo, invece della facoltà, da parte dell’autorità competente di convocare, ai fini del rilascio dell’AIA, apposita conferenza di servizi ai sensi della legge 241/1990 alla quale invitare, per i progetti di competenza statale, oltre ai già previsti Ministeri dell’interno, della salute e dello sviluppo economico, anche i Ministeri del lavoro e delle politiche sociali, nonché il soggetto richiedente l’AIA (comma 5). Come precisa la relazione illustrativa, a fini di accelerazione e semplificazione procedimentale, si è optato per il modulo della conferenza dei servizi obbligatoria e decisoria, con la partecipazione del privato, in ossequio al modello della Conferenza "aperta" oggi generalizzato dalla legge 241/90, come modificata nel 2009. Viene però introdotto un termine anche per la trasmissione delle informazioni da parte dei soggetti partecipanti alla Conferenza dei servizi, ovvero entro tre giorni prima della data fissata per la Conferenza stessa, ai fini della certezza del procedimento;
§ per superare gli inconvenienti derivanti dal fatto che le amministrazioni invitate alla Conferenza dei servizi presentino, come sottolinea la relazione illustrativa, le proprie deduzioni in momenti successivi, con un conseguente allungamento dei tempi procedimentali, viene previsto l’obbligo di richiedere eventuali integrazioni alla documentazione unicamente nell’ambito della Conferenza di servizi e tale ipotesi sospende il termine massimo entro il quale deve concludersi la Conferenza di servizi (comma 8);
§ salvo quanto diversamente concordato, viene introdotto un temine massimo di conclusione della Conferenza, ossia entro 60 giorni dal termine previsto per la presentazione delle osservazioni (che devono essere presentate, ai sensi delle precedente comma 4, entro 30 giorni dalla pubblicazione dell’annuncio) (comma 9);
§ viene introdotta una nuova scadenza temporale entro la quale l’autorità competente dovrà esprimere le proprie determinazioni in merito all’AIA - oltre a quella ordinaria che prevede il suo rilascio entro 150 giorni dalla presentazione della domanda - nel caso di richiesta di integrazioni della documentazione nell’ambito della Conferenza di servizi , ossia entro 180 giorni dalla presentazione della domanda (comma 10);
§ qualora, decorsi i previsti termini, l’autorità non si sia pronunciata, viene introdotta la possibilità di presentare (come per la VIA e la VAS) ricorso avverso il silenzio-inadempimento ai sensi del citato art. 21-bis della legge 1034/1971 (comma 10);
§ è stato aggiunta una norma che prevede che ogni AIA debba includere non sole le modalità previste dal decreto in esame per la protezione dell’ambiente, ma anche indicare le autorizzazioni sostituite;
§ l’autorità competente si esprime entro 150 giorni ovvero, nel caso di richiesta di integrazioni della documentazione nell’ambito della Conferenza di servizi, entro 180 giorni dalla presentazione della domanda (comma 10);
§ per casi di conclusione di accordi volontari tra le P.A. competenti ed i soggetti gestori di impianti caratterizzati da particolare e rilevante impatto ambientale o complessità o preminente interesse nazionale viene previsto che l'autorità competente assicuri il necessario coordinamento tra l'attuazione dell'accordo e la procedura di rilascio dell’AIA e i termini da rispettare per la conclusione del procedimento sono raddoppiati, ovvero diventano 300 giorni per il procedimento ordinario e 360 nel casi di integrazioni (comma 15). Il testo vigente del d.lsg. 59 prevedeva un unico termine di 300 giorni.
L’articolo 29-quinquies, identico all’articolo 6 del d.lgs. 59/2005, prevede l’eventuale adozione di indirizzi per garantire l'uniforme applicazione delle disposizioni del decreto da parte delle autorità competenti, da emanarsi con uno o più decreti del Ministro dell'ambiente, aggiungendo il concerto anche dei Ministri del lavoro e delle politiche sociali, oltre a quelli già previsti dello sviluppo economico e della salute, sempre d'intesa con la Conferenza Stato-regioni.
L’articolo 29-sexies sulle misure che devono essere incluse nell’AIA al fine di conseguire un livello elevato di protezione dell'ambiente nel suo complesso, riproduce pressoché integralmente il contenuto dell’articolo 7 del d.lgs. 59/2005 e le modifiche apportate sono prevalentemente di carattere formale.
L’unica modifica di rilievo riguarda il rinvio alle norme di coordinamento tra le due procedure introdotte dall’articolo 10 nei casi in cui il nuovo impianto o la modifica sostanziale richiedano la VIA (vedi infra).
Gli articolo dal 29-septies al 29-quattordecies, che riproducono esattamente gli articoli del d.lgs. 59/2005, recano unicamente modifiche di carattere formale ai fini di un migliore coordinamento del testo, inseriscono la corretta denominazione degli enti pubblici contemplati (ad es., l’ISPRA in luogo dell’APAT) e il riferimento ai decreti ministeriali nel frattempo emanati.
In particolare, all’articolo 29-terdecies relativo alle modalità di trasmissione,da parte delle autorità competenti, al Ministero dell'ambiente e di una comunicazione sull’applicazione del decreto, si chiarisce che la trasmissione dovrà ora avvenire attraverso l’ISPRA e non più attraverso l’Osservatorio IPPC che avrebbe dovuto essere istituito ai sensi dell’art. 13 del d.lgs. 59 con funzioni di coordinamento tra le autorità competenti, in particolare per la conservazione e la gestione dei dati ambientali. Tali funzioni sono ora attribuite all'ISPRA nell'ambito dei propri fini istituzionali.
Inoltre, in merito allo scambio di informazioni organizzato dalla Commissione europea relativamente alle MTD e al loro sviluppo, il Ministero dell’ambiente dovrà avere il concerto anche del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, oltre a quello già previsto dello sviluppo economico e della salute.
Il comma 26 torna quindi a modificare direttamente alcune norme del Codice ambientale e, nello specifico, l’articolo 30 riguardante gli impatti ambientali interregionali relativi alla VIA ed alla VAS, inserendovi il coordinamento con le norme in materia di AIA.
Infatti, qualora si tratti di impianti o parti di essi le cui modalità di esercizio necessitano del provvedimento di AIA con esclusione di quelli previsti dall’allegato XII (AIA statale) e che sono localizzati anche sul territorio di regioni confinanti, le procedure di VIA e AIA vengono effettuate d'intesa tra le autorità competenti (comma 1).
Inoltre l'autorità competente è tenuta a darne informazione e ad acquisire i pareri delle autorità competenti delle regioni confinanti e degli enti locali territoriali non solo per i piani soggetti a VAS regionale e per gli impianti sottoposti a VIA regionale, ma anche per gli impianti o parti di essi che necessitano, per il loro esercizio, dell’AIA (con esclusione di quelli previsti dall’allegato XII di competenza statale) e che possano avere non solo impatti ambientali rilevanti, ma anche effetti ambientali negativi e significativi sulle regioni confinanti (comma 2).
Viene inserito anche un nuovo comma 3 in cui viene previsto che le regioni che partecipano al procedimento di VIA rendano il proprio parere secondo le modalità previste dall’articolo 25, comma 2 (vedi infra). A tali fini, è fatto obbligo al proponente di trasmettere l’istanza a tutte le regioni interessate dall’intervento oggetto di valutazione.
Il comma 27 introduce nella consultazioni transfontaliere dell’articolo 32 del Codice previste per la VIA e la VAS anche i casi di impianti soggetti ad AIA.
La relazione illustrativa precisa che tale articolo è stato revisionato alla luce della procedura di infrazione 2009/2235 avviata dalla Commissione europea, con l’obiettivo di eliminare elementi di “farraginosità” del procedimento, responsabilizzando il proponente nella predisposizione della documentazione necessaria.
L’8 ottobre 2009 la Commissione ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora (procedura d’infrazione 2009/2235) in relazione a un non corretto recepimento della direttiva 2001/42/CE concernente la valutazione degli effetti di piani e programmi sull’ambiente o valutazione ambientale strategica (direttiva VAS). In particolare, la Commissione ritiene che la normativa italiana di recepimento (D.lgs 152/2006 così come modificato dal D.lgs 16 gennaio 2008, n.4) presenti profili di non conformità alle disposizioni concernenti:
- la notifica, la consultazione e l’informazione sulle decisioni relative all’adozione di un piano o un programma che può avere impatti significativi sull’ambiente di uno Stato confinante;
- gli eccessivi margini di discrezionalità che l’art. 15, comma 2 del D.lgs lascerebbe alle autorità responsabili di prendere in considerazione i risultati del rapporto ambientale dei soggetti competenti, della consultazione del pubblico nonché delle consultazioni transfrontaliere ai fini dell’approvazione definitiva del piano o programma.
Infine, considerata la peculiarità della procedura di consultazione transfrontaliera, conclude la relazione, sono stati previsti termini ad hoc per la conclusione delle procedure da concordare, comunque, con gli Stati membri interessati. Al riguardo, l'introduzione di un “termine ragionevole" nel nuovo comma 7 deriva direttamente dall'art. 7, par. 2, della direttiva 2001/42/CE. La modifica è stata proposta anche per corrispondere alle richieste della Commissione europea nell'ambito della pendente procedura di infrazione (n. 2009/2086) in materia di VAS.
Il 14 aprile 2009 la Commissione con una lettera di messa in mora ha contestato all’’Italia il mancato rispetto di alcune disposizione della direttiva 85/337/CE concernente la valutazione dell’impatto ambientale (direttiva VIA), come modificata dalle direttive 97/11/CE e 2003/35/CE (procedura d’infrazione 2009/2086).
In particolare, la Commissione ritiene che il D.Lgs 3 aprile 2006, n. 152, che recepisce la direttiva VIA, presenti profili di non conformità in relazione ai seguenti aspetti:
· verifica di assoggettabilità a VIA (screening - articolo 4 direttiva VIA).
La Commissione ritiene che le soglie dimensionali fissate dalla normativa italiana per l’assoggettabilità di un progetto alla VIA (art. 6 e 20 del D.Lgs 152/2006 in collegamento con i relativi allegati II, III, IV, V) al di sotto delle quali non sono necessarie né una procedura VIA, né una verifica “caso per caso”, non tengono conto di tutti i criteri previsti, ad esempio quello riguardante il cumulo con altri progetti. Inoltre, il meccanismo di screening definito dalla normativa italiana, secondo la Commissione, pur tenendo conto dell’eventuale localizzazione del progetto in aree protette dalla normativa nazionale, non prende in considerazione le aree protette in base alle direttive 79/409/CEE (conservazione degli uccelli selvatici) e 92/43/CEE (conservazione degli habitat naturali);
· consultazione e informazione del pubblico (articolo 6 direttiva VIA).
La Commissione rileva che l’art 24 del D.Lgs 152/2006 non fornisce una completa trasposizione del modifiche che la direttiva 2003/35/CE ha apportato alla direttiva VIA per adeguarla alla “convenzione di Arhus” sull’accesso alle informazioni, partecipazione del pubblico ai processi decisionali e accesso alla giustizia in materia ambientale. Tra l’altro, la Commissione ritiene che in relazione alle informazioni fornite al pubblico all’avvio della procedura VIA, la normativa italiana non comprenda aspetti quali, ad esempio, la natura delle possibili decisioni, le informazioni sulle autorità competenti, le modalità precise della partecipazione del pubblico;
· categorie di progetto escluse (allegati I e II direttiva VIA).
La Commissione ritiene che la normativa italiana non sia sufficiente ad assicurare una completa trasposizione degli allegati I e II della direttiva VIA, escludendo indebitamente alcune categorie di progetto dall’applicazione di una procedura VIA o dalla valutazione di assoggettabilità. A tal proposito, la Commissione fornisce un elenco delle categorie di progetto a suo avviso non ricomprese nella terminologia utilizzata nel D.Lgs 152/2006, tra le quali si segnalano: la costruzione di nuove strade a quattro o più corsie (non ricomprese nella dizione “strade extraurbane”); estrazione di petrolio (oltre le 500 t al giorno) e gas (oltre i 500.000 m3 al giorno) per fini commerciali; dighe (oltre 10 milioni di m3); impianti per il trattamento e lo stoccaggio di residui radioattivi; impianti per la macellazione di animali; costruzione di strade, porti e impianti portuali.
In particolare le innovazioni al comma 1 riguardano, l’invio, nel caso di impianti con effetti rilevanti sull’ambiente di un altro Stato, oltre ai già previsti piani e programmi, da parte del Ministero dell’ambiente non più della loro sintesi, bensì di tutta la documentazione (comma 1).
Con la sostituzione del comma 2 viene introdotta una procedura più articolata che prevede che nei casi in cui venga espresso l'interesse a partecipare alla procedura, gli Stati consultati trasmettono all’autorità competente i pareri e le osservazioni delle autorità pubbliche e del pubblico entro 90 giorni dalla comunicazione della dichiarazione di interesse, oppure secondo i termini concordati dagli Stati membri interessati, in modo da consentire che le autorità pubbliche ed il pubblico degli Stati consultati siano informati ed abbiano l’opportunità di esprimere il loro parere entro termini ragionevoli.
L’Autorità competente, a sua volta, ha l’obbligo di trasmettere agli Stati membri consultati le decisioni finali e tutte le informazioni già stabilite dagli articoli 17, 27 e 29-quater del decreto in esame.
Il comma 3 relativo all’obbligo di informazione, da parte delle regioni, al Ministero dell’ambiente di progetti con probabili effetti transfrontalieri, estende tale obbligo anche ai piani e programmi ed ai progetti o anche alle modalità di esercizio di un impianto o di parte di esso, sempre con esclusione di quelli di cui all’allegato XII soggetti ad AIA statale.
Il comma 4 precisa le modalità di predisposizione e distribuzione della documentazione necessaria.
I nuovi commi 6 e 7 recano disposizioni relative ai termini di conclusione del procedimento ed a quelli della fase delle consultazioni .
Il comma 6 proroga di ulteriori 90 giorni i termini per l’emissione del provvedimento finale previsto dall’articolo 26, comma 1 (entro 150 giorni dalla presentazione dell'istanza che possono arrivare a 210 per casi particolarmente complessi e a 270 per modifica dal parte del proponente o dell’amministrazione).
Da ultimo, anche nel nuovo comma 7 viene introdotto il concetto di tempi “ragionevoli” per la durata delle consultazioni da svolgersi tra gli Stati membri interessati. Questi ultimi devono, infatti, fissarne la durata in tempi “ragionevoli.”
Sulla formulazione dei due commi si osserva che si dovrebbe far riferimento ai commi 5 e 6 e non ai commi 6 e 7.
Il comma 28 introduce, conseguentemente, un nuovo articolo 32-bis relativo agli effetti transfrontalieri che riproduce esattamente il contenuto dell’articolo 15 del d.lgs. 59/2005 facendo riferimento agli obblighi di comunicazioni intercorrenti tra i diversi Stati dell’Unione europea nel caso in cui il funzionamento di un impianto possa avere effetti negativi e significativi sull'ambiente di un altro Stato.
Il comma 29 modifica l’articolo 33 che riguarda gli oneri istruttori.
Viene introdotto il nuovo comma 3-bis che riproduce le identiche norme contenute nell’articolo 18 del d.lgs. 59/2005 con gli opportuni rinvii normativi.
Esse prevedono che tutte le spese necessarie per l’istruttoria della domanda dell’AIA e per i successivi controlli siano a carico del gestore dell’impianto e che un decreto interministeriale disciplini le modalità, anche contabili, e le tariffe da applicare in relazione alle istruttorie e ai controlli.
Il comma 30 apporta alcune modifiche all’articolo 34 contenente le norme tecniche, organizzative e integrative.
La prima modifica riguarda la riduzione ad un anno, invece dei due anni previsti, quale termine entro il quale adottate un DPCM di modifica e integrazione delle norme tecniche in materia di VIA (comma 1).
Il sistema di monitoraggio, effettuato anche avvalendosi del solo ISPRA (in luogo dell’APAT) e non più del Sistema statistico nazionale (SISTAN), garantisce la raccolta dei dati concernenti gli indicatori strutturali comunitari o altri appositamente scelti dall’autorità competente (essa non compariva nel testo vigente).
Rispetto al vigente comma 9 che prevede che le modifiche agli allegati della parte seconda del Codice vengano approvate con regolamenti da emanarsi, previo parere della Conferenza permanente Stato-regioni, ai sensi dell’art. 17, comma 2, della legge 400/1988, su proposta del Ministro dell’ambiente, viene fatta salvo quanto disposto dai nuovi commi 9-bis e 9-ter.
Il nuovo comma 9-bis sull’AIA, analogamente a quanto previsto dall’allegato II del d.lgs. 59/2005, prevede, infatti, che l’elenco dell'allegato IX, ove necessario, venga modificato con decreto del Ministro dell'ambiente, di concerto con i Ministri dello sviluppo economico, della salute ed anche del lavoro, e delle politiche sociali (rispetto al testo vigente), d'intesa con la Conferenza unificata. Con le stesse modalità, analogamente a quanto previsto dall’allegato V del d.lgs. 59/2005, possono essere introdotte modifiche all’allegato XII (impianti di competenza statale), anche per assicurare il coordinamento tra le procedure di rilascio dell’AIA e quelle in materia di VIA.
Il nuovo comma 9-ter, quasi analogo all’articolo 18, comma 7, del d.lgs. 59/2005, prevede che con decreto del Ministro dell'ambiente, previa comunicazione anche di Ministri lavoro e delle politiche sociali, oltre a quelli dello sviluppo economico, della salute e delle politiche agricole, alimentari e forestali, vengano recepite le direttive tecniche di modifica degli allegati VIII, X e XI emanate dalla Commissione europea.
Il comma 31 modifica alcune normedell’articolo 35 del Codice relativo alle disposizioni transitorie e finali.
La prima modifica prevede che, solo ove sia necessario, le regioni sono tenute ad adeguare il proprio ordinamento alle disposizioni del decreto entro dodici mesi dall’entrata in vigore (comma 1).
Con la seconda modifica sono fatte salve le procedura di AIA avviate precedentemente all’entrata in vigore del decreto in esame che dovranno essere concluse ai sensi delle norme vigenti al momento dell’avvio del procedimento (comma 2).
I due nuovi commi 2-quater e 2-quinquies recano la disciplina transitoria per i gestori che non si siano adeguati alle condizioni fissate nell’AIA rilasciata ai sensi dell’articolo 29-quater. Fino a tale momento trovano applicazione le disposizioni relative alle autorizzazioni in materia di inquinamento atmosferico, idrico e del suolo previste dal Codice ambientale e dalle altre normative vigenti.
Il comma 2-quinquies esonera dal pagamento della sanzione prevista dall’articolo 29-quattuordecies, comma 1 (mancato possesso dell’AIA per le attività dell’allegato VIII o sua sospensione/revoca), i gestori di impianti esistenti o di impianti nuovi già dotati di altre autorizzazioni ambientali alla data di entrata in vigore del d.lgs. 59/2005, i quali abbiano presentato domanda di AIA nei termini stabiliti nel DM del 19 aprile 2006, fino alla conclusione del relativo procedimento autorizzatorio.
Si ricorda che con il D.M. 19 aprile 2006 sono stati determinati i termini per la presentazione delle domande di AIA per gli impianti di competenza statale, ai sensi del d.lgs. 59/2005 in base ad un calendario allegato al DM stesso che recava termini diversi a seconda della categoria di impianto che andavano dal 30 giugno 2006 al 30 marzo 2007.
Il comma 2-sexies, riproduce, il contenuto dell’articolo 18, comma 4, del d.lgs. 59/2005 che prevede che le amministrazioni (statali, enti territoriali e locali, enti pubblici, compresi le università e gli istituti di ricerca, società per azioni a prevalente partecipazione pubblica) comunichino alle autorità competenti un elenco dei piani e un riepilogo dei dati storici e conoscitivi dei territorio e dell'ambiente in loro possesso utili ai fini delle istruttorie per il rilascio dell’AIA, segnalando quelli riservati. I dati relativi agli impianti di competenza statale sono ora comunicati per il tramite dell’ISPRA e non più dell’Osservatorio IPPC.
Il comma 2-septies, pressoché identico all’articolo 18, comma 5, del d.lgs. 59/2005, riguarda l’accessibilità nei confronti dei gestori dei dati storici e conoscitivi del territorio e dell'ambiente in possesso dell’autorità competente cheper adempiere a tale obbligo può avvalersi dell’ISPRA.
Il comma 2-octies, il cui contenuto riproduce quasi integralmente quello dell’articolo 18, comma 6 del d.lgs. 59/2005, demanda ad un apposito D.P.C.M. su proposta del Ministro dell’ambiente e con il concerto, oltre che del Ministro dello sviluppo economico e della salute, anche del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, la disciplina specifica per il rilascio dell’AIA per i casi in cui più impianti o parti di essi siano:
- localizzati sullo stesso sito;
- gestiti dal medesimo gestore;
- soggetti ad AIA che deve essere rilasciata da più di una autorità competente.
Il comma 2-nonies, conil solo aggiornamento dei riferimenti normativi riproduce le norme dell’articolo 18, comma 10 del d.lgs. 59/2005 che prevedono che il rilascio dell’AIAnon esime i gestori dalla responsabilità per il mancato raggiungimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni di cui al d.lgs. 216/2006 con cui è stato recepito il protocollo di Kyoto.
Da ultimo i commi 32 e 33 recano rispettivamente una disposizione di coordinamento formale e inseriscono nella parte seconda del Codice gli allegati del d.lgs. 59/2005, che sono pressoché identici, escludendo l’allegato VI relativo alle finalità dell'osservatorio IPPC, in quanto le sue funzioni sono ora svolte dall’ISPRA.
Tabella di corrispondenza tra gli Allegati del Correttivo e del D.lgs. 59/2005
Correttivo |
D.lgs. 59/2005 |
Allegato VIII |
Allegato I (art. 1, comma 1) Categorie di attività industriali di cui all'art. 1 |
Allegato IX |
Allegato II (art. 5, comma 14) Elenco delle autorizzazioni ambientali già in atto, da considerare sostituite dalla autorizzazione integrata ambientale |
Allegato X |
Allegato III (art. 2, comma 1, lettera g) Elenco indicativo delle principali sostanze inquinanti di cui è obbligatorio tener conto se pertinenti per stabilire i valori limite di emissione |
Allegato XI |
Allegato IV (art. 2, comma 1, lettera o) |
Allegato XII |
Allegato V (art. 2, comma 1, lett. i) Categorie di impianti relativi alle attività industriali di cui all'allegato I, soggetti ad autorizzazione integrata ambientale statale
|
|
Allegato VI (art. 13, comma 1) Finalità dell'osservatorio IPPC di cui all'art. 13 del presente decreto |
In relazione al contenuto degli allegati si ricorda che:
§ l’Allegato VIII elenca le categorie di attività industriali per le quali è necessaria l’AIA.
Si ricorda che con la circolare 13 luglio 2004[5] il Ministero dell'ambiente ha cercato di fare chiarezza in merito all'applicazione delle categorie e delle soglie riportate nell’allegato I al decreto n. 372, confluito nell’allegato I del d.lgs. 59/2005.
1. Autorizzazione alle emissioni in atmosfera, fermi restando i profili concernenti aspetti sanitari (titolo I della parte quinta del Codice).
2. Autorizzazione allo scarico (capo II del titolo IV della parte terza del Codice).
3. Autorizzazione unica per i nuovi impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti (art. 208 del Codice).
4. Autorizzazione allo smaltimento degli apparecchi contenenti PCB-PCT (d.lgs. 209/1999, art. 7).
5. Autorizzazione all'utilizzo dei fanghi derivanti dal processo di depurazione in agricoltura (d.lgs. 99/1992, art. 9);
§ l’Allegato X riporta l’elenco indicativo delle principali sostanze inquinanti di cui è obbligatorio tener conto se pertinenti per stabilire i valori limite di emissione;
§ l’Allegato XI reca leconsiderazioni da tenere presenti in generale o in un caso particolare nella determinazione delle migliori tecniche disponibili, secondo quanto definito all'art. 5, comma 1, lett. 1-ter, tenuto conto dei costi e dei benefici che possono risultare da un'azione e del principio di precauzione e prevenzione;
§ l’Allegato XII elenca letipologie di impianti soggette ad AIA statale:
Le competenze dello Stato sono esercitate in relazione ai seguenti impianti che presentano un rilevante impatto ambientale:
1) raffinerie di petrolio greggio (escluse le imprese che producono soltanto lubrificanti dal petrolio greggio), nonché impianti di gassificazione e dì liquefazione di almeno 500 tonnellate (Gg) al giorno di carbone o di scisti bituminosi;
2) centrali termiche ed altri impianti dì combustione con potenza termica di almeno 300 MW;
3) acciaierie integrate di prima fusione della ghisa e dell'acciaio;
4) impianti chimici con capacità produttiva complessiva annua per classe di prodotto, espressa in milioni di chilogrammi, superiore alle soglie indicate in una apposita tabella contenuta nell’allegato;
5) impianti funzionalmente connessi a uno degli impianti di cui ai punti precedenti, localizzati nel medesimo sito e gestiti dal medesimo gestore, che non svolgono attività di cui all'allegato VIII;
6) altri impianti rientranti nelle categorie di cui all'allegato VIII localizzati interamente in mare o in un sito che si estende in più regioni.
La parte quinta del Codice contiene norme in materia di tutela dell'aria e di riduzione delle emissioni in atmosfera. In particolare, il Titolo I riguarda la prevenzione e la limitazione delle emissioni in atmosfera di impianti e attività e si applica, ai sensi dell’articolo 267, comma 1, agli impianti, inclusi gli impianti termici civili non disciplinati dal Titolo II, ed alle attività che producono emissioni in atmosfera.
L’art. 3, comma 1, lett. a), prevede una riscrittura dell’art. 267, comma 2, del Codice - che definisce appunto il campo di applicazione del titolo I della parte quinta - finalizzata ad includere nel campo di applicazione della Parte V del Codice anche gli impianti di incenerimento e coincenerimento e gli altri impianti di trattamento termico dei rifiuti.
Si osserva, in proposito, che sembrerebbe opportuno specificare che gli impianti di incenerimento e coincenerimento di cui si tratta sono quelli di cui al D.Lgs. 133/2005.
Si riportano, di seguito, le definizioni di impianto di incenerimento e coincenerimento[6] recate dall’art. 3 del D.Lgs. 133/2005 (Attuazione della direttiva 2000/76/CE, in materia di incenerimento dei rifiuti):
§ impianto di incenerimento: qualsiasi unità e attrezzatura tecnica, fissa o mobile, destinata al trattamento termico di rifiuti ai fini dello smaltimento, con o senza recupero del calore prodotto dalla combustione. Sono compresi in questa definizione l'incenerimento mediante ossidazione dei rifiuti, nonché altri processi di trattamento termico, quali ad esempio la pirolisi, la gassificazione ed il processo al plasma, a condizione che le sostanze risultanti dal trattamento siano successivamente incenerite.
§ impianto di coincenerimento: qualsiasi impianto, fisso o mobile, la cui funzione principale consiste nella produzione di energia o di materiali e che utilizza rifiuti come combustibile normale o accessorio o in cui i rifiuti sono sottoposti a trattamento termico ai fini dello smaltimento. Se il coincenerimento avviene in modo che la funzione principale dell'impianto non consista nella produzione di energia o di materiali, bensì nel trattamento termico ai fini dello smaltimento dei rifiuti, l'impianto è considerato un impianto di incenerimento.
Si fa notare che l’incenerimento non è la sola tipologia di trattamento termico dei rifiuti (cd. trattamento termico con combustione), benché sia quella più utilizzata. Si ricordano, tra le altre forme di trattamento termico dei rifiuti, in particolare la pirolisi e la gassificazione[7].
Per tali impianti viene previsto che i valori limite di emissione e altre prescrizioni siano stabiliti nell’autorizzazione unica per i nuovi impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti prevista dall’art. 208[8], con le seguenti modalità:
Tipo di impianto |
Modalità di fissazione di limiti e prescrizioni |
impianti di incenerimento e coincenerimento |
sulla base del d.lgs. 133/2005 e dei piani regionali di qualità dell’aria |
altri impianti di trattamento termico dei rifiuti |
sulla base degli artt. 270-271 del Codice. Si ricorda che tali articoli disciplinano il convogliamento delle emissioni e la fissazione di valori limite e prescrizioni per gli impianti che producono emissioni in atmosfera rientranti nel campo di applicazione del Titolo I della Parte V del Codice. |
Rispetto all’ordinamento vigente, per gli inceneritori e coinceneritori viene quindi aggiunto, al rispetto puntuale dei limiti previsto dal d.lgs. 133/2005, anche l’inserimento di tali impianti in un’ottica di piano.
Si ricorda, in proposito che l’art. 8 del D.Lgs. 351/1999 prevede l’individuazione, da parte della regione, delle zone e degli agglomerati in cui si hanno superamenti dei valori limite di emissione e che, per tali zone, la regione stessa adotti un piano o un programma per il raggiungimento dei valori limite entro termini stabiliti.
L’art. 271, comma 4, del Codice, dispone poi che i piani previsti dal citato art. 8 del D.Lgs. 351/1999, nonché quelli relativi all’ozono previsti dall’art. 3 del D.Lgs. 183/2004, possono stabilire valori limite di emissione e prescrizioni più severi di quelli previsti dal Codice e dalla normativa regionale purché ciò risulti necessario per il conseguimento del valori limite e dei valori bersaglio di qualità dell'aria[9].
Il nuovo testo del comma 2 dell’art. 267 prevede altresì che resti ferma l’applicazione del titolo I della parte V del Codice:
§ per gli altri impianti e le altre attività presenti nello stesso stabilimento;
§ nonché per gli impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti ammessi alle procedure semplificate ai sensi dell’art. 214, comma 8.
L’art. 3, comma 1, lett. b), sostituisce interamente il comma 4 dell’art. 267.
Il citato comma 4, nella formulazione attualmente in vigore, afferma che - al fine di consentire il raggiungimento degli obiettivi derivanti dal Protocollo di Kyoto e di favorire comunque la riduzione delle emissioni in atmosfera di sostanze inquinanti - la normativa di cui alla parte quinta attua tutte le più opportune azioni volte a promuovere l'impiego dell'energia elettrica prodotta da impianti di produzione alimentati da fonti rinnovabili ai sensi della normativa comunitaria e nazionale vigente e, in particolare, della direttiva 2001/77/CE[10] e del relativo decreto legislativo di attuazione[11], determinandone il dispacciamento prioritario.
In particolare:
a) il Ministro dell'ambiente può promuovere misure atte a favorire la produzione di energia elettrica tramite fonti rinnovabili ed al contempo sviluppare la base produttiva di tecnologie pulite, con particolare riferimento al Mezzogiorno;
b) con decreto del Ministro delle attività produttive (ora Ministro dello sviluppo economico) di concerto con i Ministri dell'ambiente e dell'economia e delle finanze sono determinati i compensi dei componenti dell'Osservatorio nazionale sulle fonti rinnovabili e l'efficienza negli usi finali dell'energia[12];
c) i certificati verdi maturati a fronte di energia elettrica prodotta con l'utilizzo dell'idrogeno e di energia prodotta in impianti statici con l'utilizzo dell'idrogeno ovvero con celle a combustibile nonché di energia prodotta da impianti di cogenerazione abbinati al teleriscaldamento, limitatamente alla quota di energia termica effettivamente utilizzata per il teleriscaldamento (articolo 1, comma 71, della legge n. 239/2004 di riordino del settore energetico, ora abrogato: cfr. infra), possono essere utilizzati per assolvere all'obbligo di immettere nel sistema elettrico nazionale una quota di energia elettrica prodotta da impianti alimentati da fonti rinnovabili (articolo 11 del d.lgs. 79/1999[13]) solo dopo che siano stati annullati tutti i certificati verdi maturati dai produttori di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili così come definite dall'articolo 2, comma 1, lettera a), del decreto legislativo n. 387 del 2003[14];
Si ricorda che il citato comma 71 dell’articolo 1 della legge di riordino del settore energetico, che dava diritto alla emissione dei certificati verdi all'energia elettrica prodotta con l'utilizzo dell'idrogeno e l'energia prodotta in impianti statici con l'utilizzo dell'idrogeno ovvero con celle a combustibile nonché l'energia prodotta da impianti di cogenerazione abbinati al teleriscaldamento, limitatamente alla quota di energia termica effettivamente utilizzata per il teleriscaldamento, è stato abrogato dal comma 1120 dell'articolo 1 della legge finanziaria per il 2007 (legge n. 296/2006).
Peraltro il comma 1 dell’articolo 14 del D.Lgs. 20/2007 ha previsto che i diritti acquisiti da soggetti titolari di impianti realizzati o in fase di realizzazione in attuazione del suddetto comma 71 dell’articolo 1 della legge 23 agosto 2004, n. 239, come vigente al 31 dicembre 2006, rimangano validi purché i medesimi impianti posseggano almeno uno dei seguenti requisiti:
a) siano già entrati in esercizio nel periodo intercorrente tra la data di entrata in vigore della legge 239/2004 e la data del 31 dicembre 2006;
b) siano stati autorizzati dopo la data di entrata in vigore della legge 239/2004 e prima della data del 31 dicembre 2006 ed entrino in esercizio entro il 31 dicembre 2008;
c) entrino in esercizio entro il 31 dicembre 2008, purché i lavori di realizzazione siano stati effettivamente iniziati prima della data del 31 dicembre 2006.
Si segnala inoltre che la legge 99/2009 (Disposizioni per lo sviluppo e l'internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia), con l’articolo 30, comma 12, ha differito di un anno (cioè al 31 dicembre 2009) i termini previsti dall’articolo 14, comma 1, lettere b) e c), del d.lgs. 20/2007, per l’entrata in esercizio degli impianti di cogenerazione realizzati o in fase di realizzazione in attuazione del suddetto comma 71, al fine di salvaguardare i diritti acquisiti ai sensi dello stesso comma.
d) viene prolungato da otto a dodici anni il periodo di validità dei certificati verdi, di cui all'articolo 20, comma 5, del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387.
Si ricorda che il comma 151 dell'art. 2 della legge finanziaria per il 2008 (legge n. 244/2007) ha disposto che tale prolungamento del periodo di diritto ai certificati verdi si applica ai soli impianti alimentati da fonti rinnovabili entrati in esercizio dopo il 1° aprile 1999 fino al 31 dicembre 2007.
Come si è detto, il presente schema di decreto sostituisce interamente il comma 4, disponendo che:
§ i certificati verdi maturati a fronte di energia prodotta ai sensi dell'articolo 1, comma 71, della legge n. 239/2004, possono essere utilizzati per assolvere all'obbligo[15] di immettere nel sistema elettrico nazionale una quota di energia elettrica prodotta da impianti alimentati da fonti rinnovabili in una misura non superiore al 10% dell’obbligo di competenza.
La relazione illustrativa in proposito afferma che viene mantenuta (rectius: ripristinata) la disciplina dettata in materia di certificati verdi maturati a fronte di energia prodotta ai sensi del citato articolo 1, comma 71, della legge di riordino del settore energetico, specificando che i medesimi possono essere utilizzati per assolvere all'obbligo di immettere nel sistema elettrico nazionale una quota prodotta da impianti da fonti rinnovabili in una misura non superiore al 10% dell'obbligo di competenza.
§ il periodo di validità dei certificati verdi, di cui all'articolo 20, comma 5, del decreto legislativo n. 387/2003, è prolungato da otto a dodici anni (tale disposizione riproduce il contenuto della lettera d) del vigente testo del comma 4).
L’art. 3, comma 2, prevede numerose modifiche alle definizioni recate dall’articolo 268del Codice, come si evince dal seguente testo a fronte, che riporta le sole definizioni modificate:
Art. 268 del D.Lgs. 152/2006 |
Nuovo testo previsto dallo schema in esame |
b) emissione: qualsiasi sostanza solida, liquida o gassosa introdotta nell'atmosfera che possa causare inquinamento atmosferico;
d) emissione diffusa: emissione diversa da quella ricadente nella lettera c); per le attività di cui all'articolo 275 le emissioni diffuse includono anche i solventi contenuti
nei prodotti, fatte salve le diverse indicazioni contenute nella Parte III dell'Allegato III alla parte quinta del presente decreto;
i) impianto anteriore al 1988: un impianto che, alla data del 1° luglio 1988, era in esercizio o costruito in tutte le sue parti o autorizzato ai sensi della normativa previgente;
l) impianto anteriore al 2006: un impianto che non ricade nella definizione di cui alla lettera i) e che, alla data di entrata in vigore della parte quinta del presente decreto, è autorizzato ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 24 maggio 1988, n. 203, purché in funzione o messo in funzione entro i successivi ventiquattro mesi; si considerano anteriori al 2006 anche gli impianti anteriori al 1988 la cui autorizzazione è stata aggiornata ai sensi dell'articolo 11 del decreto del Presidente della Repubblica 24 maggio 1988, n. 203;
m) impianto nuovo: un impianto che non ricade nelle definizioni di cui alle lettere i) e l);
h) impianto:
n) gestore: la persona fisica o giuridica che ha un
potere decisionale circa l'installazione o l'esercizio dell'impianto
o) autorità competente: la regione o la provincia autonoma o la diversa autorità indicata dalla legge regionale quale autorità competente al rilascio dell'autorizzazione alle emissioni e all'adozione degli altri provvedimenti previsti dal presente titolo; per le piattaforme off-shore e per i terminali di rigassificazione di gas naturale liquefatto off-shore, l'autorità competente è il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio; per gli impianti sottoposti ad autorizzazione integrata ambientale e per gli adempimenti a questa connessi, l'autorità competente è quella che rilascia tale autorizzazione;
p) autorità competente per il controllo: l'autorità a cui la legge regionale attribuisce il compito di eseguire in via ordinaria i controlli circa il rispetto dell'autorizzazione e delle disposizioni del presente titolo, ferme restando le competenze degli organi di polizia giudiziaria;
per gli impianti sottoposti ad autorizzazione integrata ambientale e per i controlli a questa connessi, l'autorità competente per il controllo è quella prevista dalla normativa che disciplina tale autorizzazione;
q) valore limite di emissione: il fattore di emissione, la concentrazione, la percentuale o il flusso di massa di sostanze inquinanti nelle emissioni che non devono essere superati;
v) soglia di rilevanza dell'emissione: flusso di massa, per singolo inquinante, misurato
a monte di eventuali sistemi di abbattimento, e nelle condizioni di esercizio più gravose dell'impianto, al di sotto del quale non si applicano i valori limite di emissione;
aa) migliori tecniche disponibili: la più efficiente ed avanzata fase di sviluppo di attività e relativi metodi di esercizio indicanti l'idoneità pratica di determinate tecniche ad evitare ovvero, se ciò risulti impossibile, a ridurre le emissioni; a tal fine, si intende per: 1) tecniche: sia le tecniche impiegate, sia le modalità di progettazione, costruzione, manutenzione, esercizio e chiusura dell'impianto;
gg) grande impianto di combustione: impianto di combustione di potenza termica nominale non inferiore a 50MW;
|
b) emissione: qualsiasi sostanza solida, liquida o gassosa introdotta nell'atmosfera che possa causare inquinamento atmosferico e, per le attività di cui all’articolo 275, qualsiasi scarico di COV nell’ambiente;
d) emissione diffusa: emissione diversa da quella ricadente nella lettera c); per le lavorazioni di cui all'articolo 275 le emissioni diffuse includono anche i solventi contenuti negli scarichi idrici, nei rifiuti e nei prodotti, fatte salve le diverse indicazioni contenute nella parte III dell'Allegato III alla parte quinta del presente decreto;
h) stabilimento: il complesso unitario e stabile, sottoposto al potere decisionale di un unico gestore, in cui sono presenti uno o più impianti o sono effettuate una o più attività che producono emissioni attraverso, per esempio, dispositivi mobili, operazioni manuali, deposizioni e movimentazioni. Si considera stabilimento anche il luogo adibito in modo stabile all’esercizio di una o più attività;
i) stabilimento anteriore al 1988: uno stabilimento che, alla data del 1° luglio 1988, era in esercizio o costruito in tutte le sue parti o autorizzato ai sensi della normativa previgente, e che è stato autorizzato ai sensi degli articoli 12 e 13 del decreto del Presidente della Repubblica 24 maggio 1988, n. 203;
i-bis) stabilimento anteriore al 2006: uno stabilimento che è stato autorizzato ai sensi dell’articolo 6 o dell’articolo 11 o dell’articolo 15, comma 1, lettera b), del decreto del Presidente della Repubblica 24 maggio 1988, n. 203, purché in funzione o messo in funzione entro il 29 aprile 2008;
i-ter) stabilimento nuovo: uno stabilimento che non ricade nelle definizioni di cui alle lettere i) e i-bis);
l) impianto: il dispositivo o il sistema o l'insieme di dispositivi o sistemi fisso e destinato a svolgere in modo autonomo una specifica attività, anche nell’ambito di un ciclo più ampio;
m) modifica dello stabilimento: installazione di un impianto o avvio di una attività presso uno stabilimento o modifica di un impianto o di una attività presso uno stabilimento, la quale comporti una variazione di quanto indicato nel progetto o nella relazione tecnica di cui all’articolo 269, comma 2, o nell'autorizzazione di cui all’articolo 269, comma 3, o nella domanda di adesione all’autorizzazione generale di cui all’articolo 272, o nell'autorizzazione rilasciata ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 24 maggio 1988, n. 203, o nei documenti previsti dall'articolo 12 di tale decreto; ricadono nella definizione anche le modifiche relative alle modalità di esercizio o ai combustibili utilizzati;
n) gestore: la persona fisica o giuridica che ha potere decisionale circa l’installazione o l’esercizio dello stabilimento;
o) autorità competente: la regione o la provincia autonoma o la diversa autorità indicata dalla legge regionale quale autorità competente al rilascio dell'autorizzazione alle emissioni e all'adozione degli altri provvedimenti previsti dal presente titolo; per le piattaforme off-shore e per i terminali di rigassificazione di gas naturale liquefatto off-shore, l'autorità competente è il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio; per gli stabilimenti sottoposti ad autorizzazione integrata ambientale e per gli adempimenti a questa connessi, l'autorità competente è quella che rilascia tale autorizzazione;
p) autorità competente per il controllo: l'autorità a cui la legge regionale attribuisce il compito di eseguire in via ordinaria i controlli circa il rispetto dell'autorizzazione e delle disposizioni del presente titolo, ferme restando le competenze degli organi di polizia giudiziaria; in caso di stabilimenti soggetti ad autorizzazione alle emissioni tale autorità coincide, salvo diversa indicazione della legge regionale, con quella di cui alla lettera o); per stabilimenti sottoposti ad autorizzazione integrata ambientale e per i controlli a questa connessi, l'autorità competente per il controllo è quella prevista dalla normativa che disciplina tale autorizzazione; per le piattaforme off-shore e per i terminali di rigassificazione di gas naturale liquefatto off-shore l’autorità competente è il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare che si avvale eventualmente dell'Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale e del sistema delle Agenzie ambientali, con oneri a carico del gestore. Con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di concerto con il Ministro dello sviluppo economico e con il Ministro dell'economia e delle finanze da adottarsi entro 90 giorni dall'entrata in vigore della presente disposizione sono determinate e aggiornate ogni due anni, sulla base del costo effettivo del servizio, le tariffe a carico del gestore e le relative modalità di versamento per la copertura delle spese relative ai controlli finalizzati alla verifica del rispetto delle condizioni stabilite dalle procedure di cui alla presente Parte V in relazione alle piattaforme off-shore e ai terminali di rigassificazione di gas naturale liquefatto off-shore;
q) valore limite di emissione: il fattore di emissione, la concentrazione, la percentuale o il flusso di massa di sostanze inquinanti nelle emissioni che non devono essere superati. I valori di limite di emissione espressi come concentrazione sono stabiliti con riferimento al funzionamento dell'impianto nelle condizioni di esercizio più gravose e, salvo diversamente disposto dal presente titolo o dall’autorizzazione, si intendono stabiliti come media oraria;
v) soglia di rilevanza dell'emissione: flusso di massa, per singolo inquinante, o per singola classe di inquinanti, calcolato a monte di eventuali sistemi di abbattimento, e nelle condizioni di esercizio più gravose dell'impianto, al di sotto del quale non si applicano i valori limite di emissione;
aa) migliori tecniche disponibili: la più efficiente ed avanzata fase di sviluppo di attività e relativi metodi di esercizio indicanti l'idoneità pratica di determinate tecniche ad evitare ovvero, se ciò risulti impossibile, a ridurre le emissioni; a tal fine, si intende per: 1) tecniche: sia le tecniche impiegate, sia le modalità di progettazione, costruzione, manutenzione, esercizio e chiusura degli impianti e delle attività;
gg) grande impianto di combustione: impianto di combustione di potenza termica nominale non inferiore a 50MW. L’impianto di combustione si considera anteriore al 1988, anteriore al 2006 o nuovo sulla base dei criteri previsti dalle lettere i), i-bis) e i-ter); |
L’esame del testo a fronte evidenzia come la principale modifica riguardi la distinzione tra la nozione di impianto e la nozione di stabilimento. Tale distinzione, come sottolineato dalla relazione illustrativa, “presente in termini molto ambigui nel previgente D.P.R. n. 203 del 1988 e non riportata nel vigente decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152” è ritenuta indispensabile per la definizione degli adempimenti che ricadono sui gestori e sull’amministrazione. Al riguardo, lo schema di decreto intende fornire un quadro certo, definendo l'impianto come il dispositivo/sistema fisso e destinato ad una specifica attività, e lo stabilimento come il complesso unitario e stabile, sottoposto al potere decisionale di un unico gestore, in cui sono presenti uno o più impianti o attività. Lo schema mantiene, con riferimento agli stabilimenti, la già esistente ripartizione in "nuovi", "anteriori al 2006" ed "anteriori al 1988". Si precisa, poi, che alcune disposizioni si riferiscono agli impianti (i valori limite di emissione, i criteri di convogliamento delle emissioni, ecc.) ed altre si riferiscono agli stabilimenti (le procedure autorizzative) ».
Da più parti è stato sottolineato che “in assenza di una norma volta a distinguere impianti e stabilimenti si sono recentemente determinate una serie di criticità, non comprendendosi, ad esempio, se fosse necessario autorizzare singolarmente tutti gli specifici impianti di un complesso produttivo o autorizzare l’intero complesso fissando appositi valori e prescrizioni per i singoli impianti”[16].
Un’altra novità, prevista dal nuovo testo della lett. p) dell’art. 268, consiste nell’attribuzione al Ministero dell’ambiente del ruolo di autorità competente per il controllo relativamente alle piattaforme off-shore e ai terminali di rigassificazione di gas naturale liquefatto off-shore. Tale disposizione, secondo la relazione illustrativa, consente di colmare un vuoto normativo. Infatti per i terminali di rigassificazione di gas naturale liquefatto off-shore, assoggettati dall’art. 46 del D.L. 159/2007 ad una speciale autorizzazione unica, non sono regolamentate dalla vigente normativa le attività di controllo alle prescrizioni stabilite dalla predetta autorizzazione, né, più in generale, la fase dei controlli relativi alle emissioni in atmosfera. Per lo svolgimento di tale compito, in assenza di una disciplina di riferimento, si è ritenuto di prevedere che il Ministero dell'ambiente possa avvalersi dell'ISPRA ovvero delle Agenzie ambientali, con oneri a carico del gestore quantificati ed aggiornati biennalmente con apposito decreto interministeriale.
L’art. 3, comma 3, lett.a) modifica la rubrica dell’articolo 269al fine di chiarire che l’autorizzazione alle emissioni riguarda lo stabilimento.
Tale precisazione viene ripetuta dall’art. 3, comma 3, lett. b), che riscrive il comma 1 dell’art. 269, sancendo che l’autorizzazione è rilasciata con riferimento allo stabilimento e che i singoli impianti e le singole attività presenti nello stabilimento non sono oggetto di distinte autorizzazioni.
Sono esclusi dalla disciplina in esame:
- gli impianti di incenerimento e coincenerimento e gli altri impianti di trattamento termico dei rifiuti (co. 2, art. 267);
- gli impianti sottoposti ad autorizzazione integrata ambientale, cui (ai sensi del comma 3 dell’art. 267) si applicano le disposizioni previste dal d.lgs. 59/2005;
- gli impianti di deposito di oli minerali, compresi i gas liquefatti (co. 10, art. 269;
- gli stabilimenti in cui sono presenti esclusivamente impianti e attività elencati nella parte I dell’allegato IV alla parte quinta del Codice (co. 1, art. 272) che, secondo quanto precisato dal medesimo comma 1 dell’art. 272, sono impianti le cui emissioni hanno effetti scarsamente rilevanti sull’inquinamento atmosferico;
- impianti e attività elencati nella parte I dell'Allegato IV alla parte quinta del Codice; impianti destinati alla difesa nazionale, emissioni provenienti da sfiati e ricambi d'aria esclusivamente adibiti alla protezione e alla sicurezza degli ambienti di lavoro; impianti di distribuzione dei carburanti (cui si applicano esclusivamente le pertinenti disposizioni degli articoli 276 e 277) (co. 5, art. 272).
Sotto il profilo della formulazione del testo, si osserva che il comma 3 dell’art. 267 rinvia al d.lgs. 59/2005, abrogato dallo schema di d.lgs. in esame.
Le modifiche recate dall’art. 3, comma 3, lett. c), al comma 2 dell’art. 269 del Codice, sono consequenziali alla modifica operata dalle nuove definizioni di impianto e stabilimento e dai precedenti commi che assoggettano il solo stabilimento ad autorizzazione.
L’art. 3, comma 3, lett. d), integra le disposizioni dettate dal comma 3 dell’art. 269 in merito all’indizione, da parte dell'autorità competente, di una conferenza di servizi per il rilascio dell'autorizzazione.
In particolare viene introdotta:
§ la previsione di un autonomo procedimento avviato dall’autorità competente nei casi di richiesta di rinnovo e aggiornamento dell’autorizzazione;
In proposito la relazione illustrativa sottolinea come l'obbligo di indire un'apposita conferenza di servizi per istruire le domande di autorizzazione alle emissioni sia “limitato ai soli stabilimenti nuovi (per i quali esistono evidenti motivi di interlocuzione con le altre autorità competenti a decidere circa l'insediamento della struttura). Per rinnovare le autorizzazioni degli stabilimenti già esistenti appare invece sufficiente un autonomo procedimento amministrativo da parte dell'autorità competente, con il parere delle altre autorità locali”.
La modifica in esame sembra finalizzata a superare una delle criticità dell’attuale sistema autorizzatorio, in cui “l’applicazione sistematica della procedura di cui all’articolo 269 comma 3 finisce col privare la PA di quella facoltà discrezionale che avrebbe potuto garantire procedure più celeri per i casi più semplici”[17].
§ la sospensione dei termini del procedimento, in caso di richiesta di integrazioni, fino alla ricezione delle stesse e, comunque, per un periodo non superiore a trenta giorni.
L’art. 3, comma 3, lett. e), integra il contenuto dell’autorizzazione disciplinato dal comma 4 dell’art. 269 del Codice, prevedendo che essa contenga anche l’indicazione:
§ del minimo tecnico per gli impianti soggetti a tale condizione;
Ai sensi della lett. ee) del comma 1 dell’art. 268 per minimo tecnico s’intende “il carico minimo di processo compatibile con l'esercizio dell'impianto in condizione di regime”.
§ delle portate atte a consentire che le emissioni siano diluite solo nella misura inevitabile dal punto di vista tecnologico e dell’esercizio;
§ specifica delle sostanze a cui si applicano i valori limite di emissione, le prescrizioni ed i relativi controlli.
Ai sensi dell’art. 3, comma 3, lettere f) e g), vengono riscritti i commi 5 e 6 dell’art. 269 del Codice. Rispetto al testo vigente si nota, come risulta dal testo a fronte di seguito riportato, che le modifiche apportate hanno carattere integrativo: vengono infatti introdotte nuove disposizioni (collocate nel nuovo comma 5) finalizzate a disciplinare le diverse indicazioni dei valori limite d’emissione. Viene infatti previsto che:
§ l’autorizzazione possa stabilire, per ciascun inquinante, valori limite di emissione espressi come flussi di massa annuali riferiti al complesso delle emissioni;
§ l’AIA non possa (salvo quanto disposto dall’art. 275, comma 2) stabilire esclusivamente valori espressi come flusso di massa, fattore di emissione o percentuale, in tutti i casi in cui sia tecnicamente possibile individuare valori limite di emissione espressi come concentrazione.
Si fa notare che la norma si applica, ovviamente agli impianti sottoposti ad autorizzazione integrata ambientale (AIA), che viene ora disciplinata del Titolo III-bis della parte II del Codice.
Si osserva che il comma 5 in esame poiché non specifica che il Titolo III-bis appartiene alla Parte II del decreto. Per questo appare opportuna una sua modifica volta a precisare la circostanza testé menzionata.
Si richiamano, di seguito, le definizioni di valore limite di emissione, fattore di emissione, concentrazione, percentuale e flusso di massa previste dall’art. 268 del Codice:
q) valore limite di emissione: il fattore di emissione, la concentrazione, la percentuale o il flusso di massa di sostanze inquinanti nelle emissioni che non devono essere superati (lo schema in esame prevede l’integrazione di tale definizione con un periodo secondo cui i valori di limite di emissione espressi come concentrazione sono stabiliti con riferimento al funzionamento dell'impianto nelle condizioni di esercizio più gravose e, salvo diversamente disposto dal presente titolo o dall’autorizzazione, si intendono stabiliti come media oraria);
r) fattore di emissione: rapporto tra massa di sostanza inquinante emessa e unità di misura specifica di prodotto o di servizio;
s) concentrazione: rapporto tra massa di sostanza inquinante emessa e volume dell'effluente gassoso; per gli impianti di combustione i valori di emissione espressi come concentrazione (mg/Nm3) sono calcolati considerando, se non diversamente stabilito dalla parte quinta del presente decreto, un tenore volumetrico di ossigeno di riferimento del 3% in volume dell'effluente gassoso per i combustibili liquidi e gassosi, del 6% in volume per i combustibili solidi e del 15% in volume per le turbine a gas;
t) percentuale: rapporto tra massa di sostanza inquinante emessa e massa della stessa sostanza utilizzata nel processo produttivo, moltiplicato per cento;
u) flusso di massa: massa di sostanza inquinante emessa per unità di tempo.
Art. 269, commi 5-6, del D.Lgs. 152/2006 |
Nuovo testo previsto dallo schema in esame |
5. L'autorizzazione stabilisce il periodo che deve intercorrere tra la messa in esercizio e la messa a regime dell'impianto. La messa in esercizio deve essere comunicata all'autorità competente con un anticipo di almeno quindici giorni. L'autorizzazione stabilisce la data entro cui devono essere comunicati all'autorità competente i dati relativi alle emissioni effettuate in un periodo continuativo di marcia controllata di durata non inferiore a dieci giorni, decorrenti dalla messa a regime, e la durata di tale periodo, nonché il numero dei campionamenti da realizzare.
6. L'autorità competente per il controllo effettua il primo accertamento circa il rispetto dell'autorizzazione entro sei mesi dalla data di messa a regime dell'impianto. |
5. In aggiunta a quanto previsto dal comma 4, l’autorizzazione può stabilire, per ciascun inquinante, valori limite di emissione espressi come flussi di massa annuali riferiti al complesso delle emissioni, eventualmente incluse quelle diffuse, degli impianti e delle attività di uno stabilimento. Per gli impianti di cui al titolo III-bis del presente decreto in tutti i casi in cui sia tecnicamente possibile individuare valori limite di emissione espressi come concentrazione, l’autorizzazione integrata ambientale, fatto salvo quanto disposto dall’articolo 275, comma 2, non può stabilire esclusivamente valori espressi come flusso di massa fattore di emissione o percentuale. 6. L'autorizzazione stabilisce il periodo che deve intercorrere tra la messa in esercizio e la messa a regime dell'impianto. La messa in esercizio deve essere comunicata all'autorità competente con un anticipo di almeno quindici giorni. L'autorizzazione stabilisce la data entro cui devono essere comunicati all'autorità competente i dati relativi alle emissioni effettuate in un periodo continuativo di marcia controllata decorrente dalla messa a regime, e la durata di tale periodo, nonché il numero dei campionamenti da realizzare; tale periodo deve avere una durata non inferiore a dieci giorni, salvi i casi in cui il progetto di cui al comma 2, lettera a) preveda che l’impianto funzioni esclusivamente per periodi di durata inferiore. L'autorità competente per il controllo effettua il primo accertamento circa il rispetto dell'autorizzazione entro sei mesi dalla data di messa a regime di uno o più impianti o dall’avvio di una o più attività dello stabilimento autorizzato. |
Ai sensi dell’art. 3, comma 3, lettere h) ed i), vengono in più parti modificati i commi 7 e 8 dell’art. 269 del Codice, come risulta dal testo a fronte di seguito riportato. Rispetto al testo vigente le principali novità riguardano:
§ l’introduzione del potere, attribuito all’autorità competente, di imporre il rinnovo dell’autorizzazione prima dei termini stabiliti (periodo aggiuntivo al comma 7) qualora necessario al rispetto dei valori limite di qualità dell’aria previsti dalla vigente normativa;
§ come nel testo vigente, anche nel nuovo testo viene confermato che il decorso di un nuovo periodo di 15 anni si ha solo nei casi di rinnovo dell’autorizzazione e non di un suo mero aggiornamento.Tuttavia, rispetto al testo vigente, in cui la modifica sostanziale implica sempre un rinnovo, nel nuovo testo del comma 8 vengono contemplate due diverse casistiche autorizzative per le modifiche sostanziali:
- aggiornamento dell’autorizzazione dello stabilimento, con un’istruttoria limitata agli impianti e alle attività interessati dalla modifica;
- rinnovo dell’autorizzazione dello stabilimento, con un’istruttoria estesa all’intero stabilimento. Tale seconda opzione deve essere preceduta da apposita istruttoria che dimostri l’esigenza di un rinnovo in relazione all’evoluzione della situazione ambientale o delle migliori tecniche disponibili.
La modifica in esame sembra finalizzata a superare una delle criticità dell’attuale sistema autorizzatorio che, “così rigidamente concepito, implica che ogni minima variazione venga posta sullo stesso piano procedurale-amministrativo della costruzione di un nuovo impianto o di modifiche ingenti, ciò determinando un impiego non ergonomico delle risorse degli organi competenti”[18].
§ l’indicazione, demandata ad apposito decreto interministeriale, delle modifiche dello stabilimento non soggette all’obbligo di comunicazione all’autorità competente previsto dal primo periodo del comma 8.
Art. 269, commi 7-8, del D.Lgs. 152/2006 |
Nuovo testo previsto dallo schema in esame |
7. L'autorizzazione rilasciata ai sensi del presente articolo ha una durata di quindici anni. La domanda di rinnovo deve essere presentata almeno un anno prima della scadenza. Nelle more dell'adozione del provvedimento sulla domanda di rinnovo dell'autorizzazione rilasciata ai sensi del presente articolo, l'esercizio dell'impianto può continuare anche dopo la scadenza dell'autorizzazione in caso di mancata pronuncia in termini del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio a cui sia stato richiesto di provvedere ai sensi del comma 3. L'aggiornamento dell'autorizzazione ai sensi del comma 8 comporta il decorso di un nuovo periodo di quindici anni solo nel caso di modifica sostanziale.
8. Il gestore che intende sottoporre un impianto ad una modifica, che comporti una variazione di quanto indicato nel progetto o nella relazione tecnica di cui al comma 2 o nell'autorizzazione di cui al comma 3 o nell'autorizzazione rilasciata ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 24 maggio 1988, n. 203, o nei documenti previsti dall'articolo 12 di tale decreto, anche relativa alle modalità di esercizio o ai combustibili utilizzati, ne dà comunicazione all'autorità competente o, se la modifica è sostanziale, presenta una domanda di aggiornamento ai sensi del presente articolo.
Se la modifica per cui è stata data comunicazione è sostanziale, l'autorità competente ordina al gestore di presentare una domanda di aggiornamento dell'autorizzazione, alla quale si applicano le disposizioni del presente articolo.
Se la modifica non è sostanziale, l'autorità
competente provvede, ove necessario, ad aggiornare l'autorizzazione in atto.
Se l'autorità competente non si esprime entro sessanta giorni, il gestore può
procedere all'esecuzione della modifica non sostanziale comunicata, fatto
salvo il potere dell'autorità competente di provvedere Per modifica sostanziale si intende quella che comporta un aumento o una variazione qualitativa delle emissioni o che altera le condizioni di convogliabilità tecnica delle stesse.
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7. L'autorizzazione rilasciata ai sensi del presente articolo ha una durata di quindici anni. La domanda di rinnovo deve essere presentata almeno un anno prima della scadenza. Nelle more dell'adozione del provvedimento sulla domanda di rinnovo dell'autorizzazione rilasciata ai sensi del presente articolo, l'esercizio dell'impianto può continuare anche dopo la scadenza dell'autorizzazione in caso di mancata pronuncia in termini del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio a cui sia stato richiesto di provvedere ai sensi del comma 3. L’autorità competente può imporre il rinnovo dell’autorizzazione prima della scadenza ed il rinnovo delle autorizzazioni di cui al decreto del Presidente della Repubblica 24 maggio 1988, n. 203, prima dei termini previsti dall’articolo 281, comma 1, se una modifica delle prescrizioni autorizzative risulti necessaria al rispetto dei valori limite di qualità dell’aria previsti dalla vigente normativa. Il rinnovo dell'autorizzazione comporta il decorso di un periodo di quindici anni.
8. Il gestore che intende effettuare una modifica dello stabilimento ne dà comunicazione all'autorità competente o, se la modifica è sostanziale, presenta, ai sensi del presente articolo, una domanda di autorizzazione.
Testo ripetuto! Se la modifica per cui è stata data comunicazione è sostanziale, l'autorità competente ordina al gestore di presentare una domanda di aggiornamento dell'autorizzazione, alla quale si applicano le disposizioni del presente articolo. Se la modifica per cui è stata data comunicazione è sostanziale, l'autorità competente ordina al gestore di presentare una domanda di autorizzazione ai sensi del presente articolo.
Se la modifica è sostanziale l’autorità competente aggiorna l’autorizzazione dello stabilimento con un’istruttoria limitata agli impianti e alle attività interessati dalla modifica o, a seguito di apposita istruttoria che dimostri tale esigenza in relazione all’evoluzione della situazione ambientale o delle migliori tecniche disponibili, la rinnova con un’istruttoria estesa all’intero stabilimento. Se la modifica non è sostanziale, l'autorità competente provvede, ove necessario, ad aggiornare l'autorizzazione in atto. Se l'autorità competente non si esprime entro sessanta giorni, il gestore può procedere all'esecuzione della modifica non sostanziale comunicata, fatto salvo il potere dell'autorità competente di provvedere successivamente.
Per modifica sostanziale si intende quella che comporta un aumento o una variazione qualitativa delle emissioni o che altera le condizioni di convogliabilità tecnica delle stesse.
E' fatto salvo quanto previsto dall'articolo 275, comma 11. Il rinnovo dell'autorizzazione comporta, a differenza dell’aggiornamento, il decorso di un nuovo periodo di quindici anni. Con apposito decreto da adottare ai sensi dell’articolo 281, comma 5, si provvede ad integrare l’allegato I alla parte V del presente decreto con indicazione delle modifiche di cui all’articolo 268, comma 1, lettera m) per le quali non vi è l’obbligo di effettuare la comunicazione. |
Si fa notare che il secondo periodo del vigente comma 8 non viene soppresso ma, contemporaneamente, nel sostituire il primo periodo del comma 8, l’art. 3, comma 3, lett. i) dello schema in esame introduce una disposizione pressoché identica a quella del secondo periodo. Ne risulta quindi un comma 8 che ha il secondo e il terzo periodo pressoché identici.
Sembra quindi opportuno riformulare la lettera i) in esame al fine di eliminare la citata ripetizione nel testo del comma 8.
Ai sensi dell’art. 3, comma 3, lettere l) ed m), vengono di fatto soppressi i commi da 10 a 15, mentre il testo del comma 16 viene trasfuso nel nuovo comma 10 dell’art. 269. Viene altresì introdotta una nuova disposizione, collocata nel nuovo comma 11, in base alla quale il trasferimento di uno stabilimento da un luogo ad un altro equivale all’installazione di uno stabilimento nuovo e quindi, di conseguenza, si rende necessaria una nuova autorizzazione.
Si fa notare che tale disposizione riproduce, di fatto, quella recata dal vigente comma 2 dell’art. 269, ai sensi del quale “il gestore che intende installare un impianto nuovo o trasferire un impianto da un luogo ad un altro presenta all'autorità competente una domanda di autorizzazione”. Sembrerebbe quindi opportuno sopprimere la disposizione in commento.
Relativamente alla soppressione dei commi da 10 a 15, si segnala, in particolare che l’elenco di attività escluse dall’autorizzazione recato dal comma 14 è stato trasfuso nella parte I dell’Allegato IV. Le attività incluse in tale parte sono infatti escluse dall’autorizzazione ai sensi del nuovo testo previsto dallo schema in esame per il comma 1 dell’art. 272 del Codice.
L’art. 3, comma 4, lett.a) modifica la rubrica dell’art. 270, il cui oggetto non è più limitato al convogliamento delle emissioni, ma include anche l’individuazione degli impianti.
Ai sensi dell’art. 3, comma 4, lettere b)-f) vengono in più parti modificati il comma 1 ed i commi da 4 a 8 dell’art. 270 del Codice, come evidenziato dal testo a fronte di seguito riportato.
Di tali modifiche si segnala, in particolare, quella al comma 4 dell’art. 270, che introduce alcune precisazioni circa i criteri che disciplinano il comportamento dell'amministrazione nel considerare, in determinate situazioni, più impianti come un unico impianto ai fini:
§ del convogliamento delle emissioni (facoltà);
§ o della fissazione dei valori limite di emissione (obbligo).
La relazione illustrativa sottolinea che tale modifica si rende necessaria in quanto il testo vigente ha dato luogo ad una serie di dubbi interpretativi.
Art. 270, commi 1, 4, 5, 6, 7 e 8, del D.Lgs. 152/2006 |
Nuovo testo previsto dallo schema in esame |
1. In sede di autorizzazione, l'autorità
competente verifica se le emissioni diffuse di sono tecnicamente convogliabili sulla base delle migliori tecniche disponibili e sulla base delle pertinenti prescrizioni dell'Allegato I alla parte quinta del presente decreto e, in tal caso, ne dispone la captazione ed il convogliamento.
4. Se più impianti con caratteristiche tecniche e costruttive simili, aventi emissioni con caratteristiche chimico-fisiche omogenee e localizzati nello stesso luogo sono destinati a specifiche attività tra loro identiche, l'autorità competente, tenendo conto delle condizioni tecniche ed economiche, può considerare gli stessi come un unico impianto.
5. In caso di emissioni convogliate o di cui
è stato disposto il convogliamento, ciascun impianto
6. Ove non sia tecnicamente possibile
assicurare il rispetto del comma 5, l'autorità competente può autorizzare un
nuovo impianto In tal caso, i valori limite di emissione
espressi come flusso di massa, fattore di emissione e percentuale sono
riferiti al complesso delle emissioni dell'impianto e quelli espressi come concentrazione sono
riferiti alle emissioni dei singoli punti,
(art. 271, comma 10) Nel caso previsto dall'articolo 270, comma 6, l'autorizzazione può prevedere che i valori limite di emissione si riferiscano alla media ponderata delle emissioni di sostanze inquinanti uguali o appartenenti alla stessa classe ed aventi caratteristiche chimiche omogenee, provenienti dai diversi punti di emissione dell'impianto. Il flusso di massa complessivo dell'impianto non può essere superiore a quello che si avrebbe se i valori limite di emissione si applicassero ai singoli punti di emissione.
7. Ove non sia tecnicamente possibile
assicurare il rispetto del comma 5, l'autorità competente può autorizzare il
convogliamento delle emissioni di più nuovi impianti In tal caso a ciascun punto di emissione
comune si applica il più severo dei valori limite di emissione espressi come
concentrazione previsti per i singoli impianti
8.
Ai fini dell'applicazione dei commi 4, 5, 6 e 7 l'autorità competente tiene anche conto della documentazione elaborata dalla commissione di cui all'articolo 281, comma 9. |
1. In sede di autorizzazione, l'autorità competente verifica se le emissioni diffuse di ciascun impianto e di ciascuna attività sono tecnicamente convogliabili sulla base delle migliori tecniche disponibili e sulla base delle pertinenti prescrizioni dell'Allegato I alla parte quinta del presente decreto e, in tal caso, ne dispone la captazione ed il convogliamento. La quota dei punti di emissione è individuata in modo da garantire l’adeguata dispersione degli inquinanti.
4. Se più impianti con caratteristiche tecniche e costruttive simili, aventi emissioni con caratteristiche chimico-fisiche omogenee e localizzati nello stesso stabilimento sono destinati a specifiche attività tra loro identiche, l'autorità competente, tenendo conto delle condizioni tecniche ed economiche, può considerare gli stessi come un unico impianto disponendo il convogliamento ad un solo punto di emissione. L’autorità competente deve, in qualsiasi caso, considerare tali impianti come un unico impianto ai fini della determinazione dei valori limite di emissione. Resta fermo quanto previsto dall’articolo 282, comma 2.
5. In caso di emissioni convogliate o di cui è stato disposto il convogliamento, ciascun impianto, deve avere un solo punto di emissione, fatto salvo quanto previsto nei commi 6 e 7. Salvo quanto diversamente previsto da altre disposizioni del presente titolo, i valori limite di emissione si applicano a ciascun punto di emissione.
6. Ove non sia tecnicamente possibile, anche per ragioni di sicurezza, assicurare il rispetto del comma 5, l'autorità competente può consentire un impianto avente più punti di emissione.
In tal caso, i valori limite di emissione espressi come flusso di massa, fattore di emissione e percentuale sono riferiti al complesso delle emissioni dell'impianto
e quelli espressi come concentrazione sono riferiti alle emissioni dei singoli punti.
L’autorizzazione può prevedere che i valori limite di emissione si riferiscano alla media ponderata delle emissioni di sostanze inquinanti uguali o appartenenti alla stessa classe ed aventi caratteristiche chimiche omogenee, provenienti dai diversi punti di emissione dell'impianto; in tal caso, il flusso di massa complessivo dell'impianto non può essere superiore a quello che si avrebbe se i valori limite di emissione si applicassero ai singoli punti di emissione.
7. Ove non sia tecnicamente possibile assicurare il rispetto del comma 5, l'autorità competente può consentire il convogliamento delle emissioni di più impianti in uno o più punti di emissione comuni, purché le emissioni di tutti gli impianti presentino caratteristiche chimico-fisiche omogenee.
In tal caso a ciascun punto di emissione comune si applica il più severo dei valori limite di emissione espressi come concentrazione previsti per i singoli impianti. L’autorizzazione stabilisce apposite prescrizioni volte a limitare la diluizione delle emissioni ai sensi dell’articolo 269, comma 4, lettera b).
8. L’adeguamento alle disposizioni del comma 5 o, ove ciò non sia tecnicamente possibile, alle disposizioni dei commi 6 e 7 é realizzato entro i tre anni successivi al primo rinnovo o all’ottenimento dell'autorizzazione ai sensi dell'articolo 281, commi 1, 2, 3 o 4, o dell’articolo 272, comma 3, ovvero nel più breve termine stabilito dall’autorizzazione. Ai fini dell'applicazione dei commi 4, 5, 6 e 7 l'autorità competente tiene anche conto della documentazione elaborata dalla commissione di cui all'articolo 281, comma 9. |
L’art. 3, comma 5, lett.a) modifica la rubrica dell’art. 271, specificando che i limiti e le prescrizioni riguardano gli impianti e le attività.
L’art. 3, comma 5, lett.b) riscrive i primi 7 commi dell’art. 271. La nuova disciplina può essere sintetizzata come segue:
§ ai sensi del nuovo comma 5 dell’art. 271 i valori limite di emissione e le prescrizioni (ivi comprese quelle inerenti le condizioni di costruzione o di esercizio ed i combustibili utilizzati) per gli impianti e le attività degli stabilimenti anteriori al 1988, anteriori al 2006 o nuovi sono stabiliti dall'autorizzazione, sulla base:
- delle migliori tecniche disponibili;
- dei valori e delle prescrizioni fissati nelle normative regionali.
Il nuovo comma 3 detta i principi generali cui devono attenersi le normative regionali nella fissazione di tali valori e prescrizioni (in particolare quello di tener conto dei piani e programmi di qualità dell'aria, ove esistenti).
- dei valori e delle prescrizioni fissati nei piani e programmi di qualità dell’aria previsti dalla normativa vigente;
Il nuovo comma 4 consente a tali piani e programmi di stabilire limiti di emissione e prescrizioni più restrittivi di quelli contenuti negli Allegati I, II e III e V alla parte quinta del Codice.
- di una valutazione complessiva delle emissioni degli impianti e delle attività presenti, nonché delle emissioni provenienti da altre fonti e dello stato di qualità dell'aria nella zona interessata.
- del divieto di superare i limiti previsti dagli Allegati I e V alla parte quinta del Codice e di quelli applicati per effetto delle autorizzazioni soggette al rinnovo.
ai sensi del nuovo comma 2, viene prevista la modifica e l’integrazione degli allegati I e V alla parte quinta, con apposito decreto interministeriale finalizzato all’individuazione, sulla base delle migliori tecniche disponibili, dei limiti di emissione e delle prescrizioni da applicare alle emissioni convogliate e diffuse degli impianti ed alle emissioni diffuse delle attività presso gli stabilimenti anteriori al 1988, anteriori al 2006 e nuovi.
ai sensi del nuovo comma 7, anche a seguito dell’emanazione del citato decreto interministeriale, l’autorizzazione può sempre fissare limiti e prescrizioni più restrittivi di quelli contenuti negli allegati I e V alla parte quinta del codice, nelle normative regionali e nei piani e programmi di qualità dell’aria.
Relativamente al nuovo comma 6 si fa notare che esso riproduce fedelmente l’ultimo periodo del testo vigente del corrispondente comma.
Si segnala l’introduzione della disposizione, all’interno del nuovo comma 5, secondo cui i limiti e le prescrizioni fissati dall’autorizzazione devono essere basati anche su una valutazione del “complesso di tutte le emissioni degli impianti e delle attività presenti, le emissioni provenienti da altre fonti e lo stato di qualità dell'aria nella zona interessata”.
Tale disposizione consente – secondo quanto emerge dalla relazione illustrativa - di “superare un indirizzo interpretativo invalso presso molte amministrazioni, per effetto dell'attuale formulazione dell'articolo 271 del d.lgs. n. 152 del 2006; secondo il quale le autorizzazioni di tutti gli stabilimenti (inclusi quelli nuovi e anteriori al 2006) possono continuare ad imporre i risalenti valori limite del decreto 12 luglio 1990 (attualmente inseriti nell'allegato I alla parte quinta). Tale indirizzo interpretativo pone tuttavia le premesse per la violazione dei doveri imposti agli Stati dalle direttive vigenti in materia di qualità dell'aria. (direttiva quadro 2008/50/CE e direttiva 2004/107/CE). Tali direttive impongono infatti agli Stati il rispetto di determinati valori di qualità dell'aria, il cui raggiungimento, nelle zone interessate da stabilimenti, sarà inevitabilmente pregiudicato qualora le amministrazioni competenti al rilascio delle autorizzazioni alle emissioni non prescrivano ai gestori valori limite di emissione e cautele fondati sulle migliori tecniche disponibili e su una valutazione dello stato di qualità dell'aria nella zona circostante”.
L’art. 3, comma 5, lett.c) prevede l’abrogazione dei commi 8, 9 e 10 dell’art. 271.
L’abrogazione del comma 10 appare obbligata dal fatto che la disposizione da esso recata si trova collocata nell’ultimo periodo del nuovo testo del comma 6 dell’art. 270 previsto dallo schema in esame.
La soppressione dei commi 8 e 9 dell’art. 271 discende dalla circostanza che le disposizioni da essi recate sono state trasposte, con alcune modifiche, nei primi 7 commi del medesimo articolo.
Di tali modifiche si segnala in particolare che, rispetto al vigente testo del comma 9, secondo cui l'autorizzazione può stabilire limiti più severi di quelli fissati dall'Allegato I, dalla normativa regionale e dai piani e programmi di qualità dell'aria solo nei casi di rinnovo dell’autorizzazione o per zone di particolare pregio naturalistico, nel nuovo testo del comma 7 viene sempre contemplata la possibilità, per l’autorizzazione, di fissare limiti più restrittivi.
L’art. 3, comma 5, lett.d) integra il disposto del comma 14 dell’art. 271 del Codice al fine di estendere l’applicabilità delle disposizioni da esso recate per i casi di guasto dell’impianto, anche alle anomalie di funzionamento.
Viene inoltre inserito un periodo volto a precisare che l’autorizzazione deve contenere:
§ prescrizioni per la stima delle sostanze pericolose emesse nei periodi in cui si verificano anomalie o guasti;
§ appositi limiti di emissione per tali periodi, espressi come flussi di massa annuali.
Viene inoltre espressamente previsto l’obbligo, per il gestore, di sospendere l'esercizio dell'impianto se l'anomalia o il guasto può determinare un pericolo per la salute umana.
L’art. 3, comma 5, lettere e) ed f) provvedono all’integrazione delle disposizioni recate dal comma 17 dell’art. 271 al fine di dettare una disciplina di dettaglio in merito al monitoraggio delle emissioni ed alla valutazione della conformità dei valori misurati ai valori limite.
L’art. 3, comma 6 modifica in più parti l’art. 272 del codice, come risulta evidente dal testo a fronte riportato nel seguito.
Le modifiche principali riguardano:
§ l’espressa esenzione dall’autorizzazione per gli stabilimenti elencati nella parte I dell’allegato IV, che sono assoggettabili esclusivamente ai valori limiti di emissione e alle prescrizioni specificamente previsti dai piani e programmi di qualità dell’aria e dalle normative regionali (comma 1);
Nella relazione illustrativa tale esplicitazione viene motivata al fine di evitare “le contrastanti interpretazioni emerse in ordine agli effetti della deroga”.
Si fa notare che la citata esplicitazione è “collegata” alla soppressione del comma 14 dell’art. 269 e alla trasfusione del suo contenuto all’interno dell’elenco delle attività escluse recato dalla parte I dell’allegato IV.
§ l’integrazione della disciplina, che viene maggiormente dettagliata, per le cd. autorizzazioni generali;
Secondo la relazione illustrativa, nelle modifiche all'articolo 272, commi 2 e 3 del d.lgs. n. 152 del 2006, si precisano “al fine di unificare le discordanti prassi emerse presso le diverse amministrazioni, le modalità da seguire per il rilascio delle speciali autorizzazioni in forma semplificata (autorizzazioni generali riferite ad intere categorie di stabilimenti, inclusi, in particolare, quelli elencati nell'allegato IV, parte II) e le modalità di adesione a tali atti autorizzativi”.
Art. 272 del D.Lgs. 152/2006 |
Nuovo testo previsto dallo schema in esame |
1. L'autorità competente può prevedere, con proprio provvedimento generale, che i gestori degli impianti o delle attività elencati nella parte I dell'Allegato IV alla parte quinta del presente decreto comunichino alla stessa di ricadere in tale elenco nonché, in via preventiva, la data di messa in esercizio dell'impianto o di avvio dell'attività, salvo diversa disposizione dello stesso Allegato. Il suddetto elenco, riferito ad impianti o attività le cui emissioni sono scarsamente rilevanti agli effetti dell'inquinamento atmosferico, può essere aggiornato ed integrato secondo quanto disposto dall'articolo 281, comma 5, anche su proposta delle regioni, delle province autonome e delle associazioni rappresentative di categorie produttive.
1. L'autorità competente può prevedere, con proprio provvedimento generale, che i gestori degli impianti o delle attività elencati nella parte I dell'Allegato IV alla parte quinta del presente decreto comunichino alla stessa … in via preventiva, la data di messa in esercizio dell'impianto o di avvio dell'attività
2. Per specifiche categorie di impianti,
individuate in relazione al tipo e alle modalità di produzione, l'autorità
competente può adottare apposite autorizzazioni di carattere generale,
relative a ciascuna singola categoria
i tempi di adeguamento, i metodi di campionamento e di analisi e la periodicità dei controlli. I valori limite di emissione e le prescrizioni sono stabiliti in conformità all'articolo 271, commi 6 e 8. L'autorizzazione generale stabilisce i requisiti della domanda di adesione e può prevedere, per gli impianti e le attività di cui alla parte II dell'Allegato IV alla parte quinta del presente decreto, appositi modelli semplificati di domanda, nei quali le quantità e le qualità delle emissioni sono deducibili dalle quantità di materie prime ed ausiliarie utilizzate. All'adozione di tali autorizzazioni generali l'autorità competente deve in ogni caso procedere, entro due anni dalla data di entrata in vigore della parte quinta del presente decreto, per gli impianti e per le attività di cui alla parte II dell'Allegato IV alla parte quinta del presente decreto.
In caso di mancata adozione dell'autorizzazione generale, nel termine prescritto, la stessa è rilasciata con apposito decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e i gestori degli impianti interessati comunicano la propria adesione all'autorità competente;
è fatto salvo il potere di tale autorità di adottare successivamente nuove autorizzazioni di carattere generale, l'adesione alle quali comporta, per il soggetto interessato, la decadenza di quella adottata dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio. I gestori degli impianti per cui è stata adottata una autorizzazione generale possono comunque presentare domanda di autorizzazione ai sensi dell'articolo 269.
3. Il gestore degli impianti o delle attività di cui al comma 2 presenta all'autorità competente, almeno quarantacinque giorni prima dell'installazione dell'impianto o dell'avvio dell'attività, una domanda di adesione all'autorizzazione generale. L'autorità competente può, con proprio provvedimento, negare l'adesione nel caso in cui non siano rispettati i requisiti previsti dall'autorizzazione generale
o in presenza di particolari situazioni di rischio sanitario o di zone che richiedono una particolare tutela ambientale.
L'autorità competente procede, ogni quindici
anni, al rinnovo delle autorizzazioni generali adottate ai sensi del presente
articolo. Per le autorizzazioni generali rilasciate ai sensi del decreto del
Presidente del Consiglio dei Ministri 21 luglio 1989 e del decreto del
Presidente della Repubblica 25 luglio 1991, il primo rinnovo é effettuato
entro quindici anni dalla data di entrata in vigore della parte quinta del presente
decreto In caso di mancata presentazione della domanda nel termine previsto l'impianto o l'attività si considerano in esercizio senza autorizzazione alle emissioni.
4. Le disposizioni dei commi 2 e 3 non si applicano: a) in caso di emissione di sostanze cancerogene, tossiche per la riproduzione o mutagene o di sostanze di tossicità e cumulabilità particolarmente elevate, come individuate dalla parte II dell'Allegato I alla parte quinta del presente decreto, o b) nel caso in cui siano utilizzate, nell'impianto o nell'attività, le sostanze o i preparati classificati dal decreto legislativo 3 febbraio 1997, n. 52, come cancerogeni, mutageni o tossici per la riproduzione, a causa del loro tenore di COV, e ai quali sono state assegnate etichette con le frasi di rischio R45, R46, R49, R60, R 61.
5. alle emissioni provenienti da sfiati e ricambi d'aria esclusivamente adibiti alla protezione e alla sicurezza degli ambienti di lavoro. Agli impianti di distribuzione dei carburanti si applicano esclusivamente le pertinenti disposizioni degli articoli 276 e 277. |
1. Non sono sottoposti ad autorizzazione gli stabilimenti in cui sono presenti esclusivamente impianti e attività elencati nella parte I dell'Allegato IV alla parte quinta del presente decreto.
L'elenco si riferisce a impianti e ad attività le cui emissioni sono scarsamente rilevanti agli effetti dell'inquinamento atmosferico.
Si applicano esclusivamente i valori limite di emissione e le prescrizioni specificamente previsti, per tali impianti e attività, dai piani e programmi o dalle normative di cui all'articolo 271, commi 3 e 4. Al fine di stabilire le soglie di produzione e di consumo e le potenze termiche nominali indicate nella parte I dell'Allegato IV alla parte quinta del presente decreto si deve considerare l'insieme degli impianti e delle attività che, nello stabilimento, ricadono in ciascuna categoria presente nell'elenco. Gli impianti che utilizzano i combustibili soggetti alle condizioni previste dalla parte II, sezioni 4 e 6, dell'Allegato IX alla parte quinta del presente decreto, devono in ogni caso rispettare almeno i valori limite appositamente previsti per l'uso di tali combustibili nella parte II, dell'Allegato I alla parte quinta del presente decreto. Se in uno stabilimento sono presenti sia impianti o attività inclusi nell'elenco della parte I dell'allegato IV alla parte quinta del presente decreto, sia impianti o attività non inclusi nell'elenco, l'autorizzazione considera solo quelli esclusi. Il presente comma si applica anche ai dispositivi mobili utilizzati all'interno di uno stabilimento da un gestore diverso da quello dello stabilimento o non utilizzati all'interno di uno stabilimento. L'autorità competente può altresì prevedere, con proprio provvedimento generale, che i gestori comunichino alla stessa o ad altra autorità da questa delegata, in via preventiva, la data di messa in esercizio dell'impianto o di avvio dell'attività ovvero, in caso di dispositivi mobili, la data di inizio di ciascuna campagna di utilizzo.
2. Per specifiche categorie di stabilimenti, individuate in relazione al tipo e alle modalità di produzione, l'autorità competente può adottare apposite autorizzazioni di carattere generale, relative a ciascuna singola categoria, nelle quali sono stabiliti i valori limite di emissione, le prescrizioni, anche inerenti le condizioni di costruzione o di esercizio e i combustibili utilizzati, i tempi di adeguamento, i metodi di campionamento e di analisi e la periodicità dei controlli. I valori limite di emissione e le prescrizioni sono stabiliti in conformità all'articolo 271, commi da 5 a 9. L'autorizzazione generale stabilisce i requisiti della domanda di adesione e può prevedere appositi modelli semplificati di domanda, nei quali le quantità e le qualità delle emissioni sono deducibili dalle quantità di materie prime ed ausiliarie utilizzate.
All'adozione di tali autorizzazioni generali l'autorità competente deve in ogni caso procedere, entro due anni dalla data di entrata in vigore della parte quinta del presente decreto, per gli stabilimenti in cui sono presenti esclusivamente gli impianti e le attività di cui alla parte Il dell'Allegato IV alla parte quinta del presente decreto. Al fine di stabilire le soglie di produzione e di consumo e le potenze termiche nominali indicate nella parte Il dell'Allegato IV alla parte quinta del presente decreto si deve considerare l'insieme degli impianti e delle attività che, nello stabilimento, ricadono in ciascuna categoria presente nell'elenco. In caso di mancata adozione dell'autorizzazione generale, nel termine prescritto, la stessa è rilasciata con apposito decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e i gestori degli stabilimenti interessati comunicano la propria adesione all'autorità competente o ad altra autorità da questa delegata; è fatto salvo il potere di tale autorità di adottare successivamente nuove autorizzazioni di carattere generale, l'adesione alle quali comporta, per il soggetto interessato, la decadenza di quella adottata dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio. I gestori degli stabilimenti per cui è stata adottata una autorizzazione generale possono comunque presentare domanda di autorizzazione ai sensi dell'articolo 269.
3. Almeno quarantacinque giorni prima dell'installazione il gestore degli stabilimenti di cui al comma 2, presenta all'autorità competente o ad altra autorità da questa delegata una. domanda di adesione all'autorizzazione generale corredata dai documenti ivi prescritti. L'autorità che riceve la domanda può, con proprio provvedimento, negare l'adesione nel caso in cui non siano rispettati i requisiti previsti dall'autorizzazione generale o i requisiti previsti dai piani e dai programmi o dalle normative di cui all'articolo 271, commi 3 e 4, o in presenza di particolari situazioni di rischio sanitario o di zone che richiedono una particolare tutela ambientale. Tale procedura si applica anche nel caso in cui il gestore intenda effettuare una modifica dello stabilimento. Resta fermo l'obbligo di sottoporre lo stabilimento all'autorizzazione di cui all'articolo 269 in caso di modifiche per effetto delle quali lo stabilimento non sia più conforme alle previsioni dell'autorizzazione generale. L'autorizzazione generale si applica a chi vi ha aderito, anche se sostituita da successive autorizzazioni generali, per un periodo pari ai quindici anni successivi all'adesione. Non hanno effetto su tale termine le domande di adesione relative alle modifiche dello stabilimento. Almeno quarantacinque giorni prima della scadenza di tale periodo il gestore presenta una domanda di adesione all'autorizzazione generale vigente, corredata dai documenti ivi prescritti. L'autorità competente procede, ogni cinque anni, al rinnovo delle autorizzazioni generali adottate ai sensi del presente articolo. Per le autorizzazioni generali rilasciate ai sensi del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 21 luglio 1989 e del decreto del Presidente della Repubblica 25 luglio 1991, il primo rinnovo é effettuato entro cinque anni dalla data di entrata in vigore della parte quinta del presente decreto e i soggetti autorizzati presentano una domanda di adesione, corredata dai documenti ivi prescritti, nei sei mesi che seguono al rinnovo o nei diversi termini stabiliti dall'autorizzazione stessa, durante i quali l'esercizio può essere continuato.
In caso di mancata presentazione della domanda di adesione nei termini previsti dal presente comma lo stabilimento si considera in esercizio senza autorizzazione alle emissioni.
4. Le disposizioni dei commi 1, 2 e 3 non si applicano: a) in caso di emissione di sostanze cancerogene, tossiche per la riproduzione o mutagene o di sostanze di tossicità e cumulabilità particolarmente elevate, come individuate dalla parte II dell'Allegato I alla parte quinta del presente decreto, o b) nel caso in cui siano utilizzate, nell'impianto o nell'attività, le sostanze o i preparati classificati dal decreto legislativo 3 febbraio 1997, n. 52, come cancerogeni, mutageni o tossici per la riproduzione, a causa del loro tenore di COV, e ai quali sono state assegnate etichette con le frasi di rischio R45, R46, R49, R60, R 61.
5. Il presente titolo non si applica agli stabilimenti destinati alla difesa nazionale ed alle emissioni provenienti da sfiati e ricambi d'aria esclusivamente adibiti alla protezione e alla sicurezza degli ambienti di lavoro. Agli impianti di distribuzione dei carburanti si applicano esclusivamente le pertinenti disposizioni degli articoli 276 e 277. |
Relativamente alla formulazione del testo si segnala che il rinvio, contenuto nel nuovo testo del comma 2 dell’art. 272, all'articolo 271, commi da 5 a 9, deve essere corretto, in quanto nel nuovo testo dell’art. 271 del codice non esistono i commi 8 e 9, in quanto soppressi dall’art. 3, comma 5, lettera c), dello schema in esame.
L’art. 3, comma 7 reca alcune modifiche all’art. 272 del Codice. Le principali riguardano i commi 7, 9 e 10, evidenziate nel testo a fronte che segue.
In particolare nel nuovo comma 9, relativo ad impianti aventi una potenza termica complessiva maggiore o uguale a 50 MW e considerati come un unico impianto, viene introdotto un criterio per l’applicazione dei limiti di emissione a più impianti le cui emissioni siano convogliate ad un unico punto di emissione: i valori limite da applicare sono quelli che, in caso di mancato convogliamento, si applicherebbero all'impianto più recente.
La relazione illustrativa sottolinea altresì che la riformulazione dei commi 9 e 10 dell'articolo 273 è finalizzata ad “uniformare tali disposizioni (inerenti le circostanze che inducono a considerare più impianti come un unico impianto) al principio generale enunciato dal precedente articolo 270, comma 4 del d.lgs. n. 152 del 2006”.
Art. 273, commi 7, 9 e 10, del D.Lgs. 152/2006 |
Nuovo testo previsto dallo schema in esame |
7. Per gli impianti di potenza termica nominale pari a 50 MW, la relazione tecnica o il progetto di adeguamento di cui al comma 6 devono essere presentati entro il 1° agosto 2007 e, in caso di approvazione, l'autorità competente provvede, ai sensi dell'articolo 269, ad aggiornare le autorizzazioni in atto.
9. Nel caso in cui l'autorità competente, in
sede di rilascio dell'autorizzazione, ritenga che due o più impianti di
combustione,
tenuto conto delle condizioni tecniche ed
economiche, possano essere convogliati verso un unico camino, la stessa
considera l'insieme di tali nuovi impianti come un unico impianto
Tale disposizione si applica solamente se la somma delle potenze termiche è maggiore o uguale a 50 MW.
10. |
7. Per gli impianti di potenza termica nominale pari a 50 MW, la relazione tecnica o il progetto di adeguamento di cui al comma 6 devono essere presentati entro il 1° agosto 2007 e, in caso di approvazione, l'autorità competente provvede, ai sensi dell'articolo 269, a rinnovare le autorizzazioni in atto.
9. Se più impianti di combustione, anche di potenza termica nominale inferiore a 50 MW, sono localizzati nello stesso stabilimento
l'autorità competente può considerare tali impianti come un unico impianto ai fini della determinazione della potenza termica nominale in base alla quale stabilire i valori limite di emissione. L'autorità competente, tenendo conto delle condizioni tecniche ed economiche, può altresì disporre il convogliamento delle emissioni di tali impianti ad un solo punto di emissione ed applicare i valori limite che, in caso di mancato convogliamento, si applicherebbero all'impianto più recente. Il presente comma si applica solamente se la somma delle potenze termiche è maggiore o uguale a 50 MW.
10. L'adeguamento alle disposizioni del comma 9 è effettuato nei tempi a tal fine stabiliti dall'autorizzazione.
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L’art. 3, comma 8 modifica in più parti l’art. 275 del Codice, come evidenzia il testo a fronte che segue. Le modifiche apportate non sembrano tuttavia rivestire carattere rilevante, in quanto per lo più limitate a correzioni di refusi, aggiornamenti normativi e coordinamento con le modifiche apportate dal presente schema agli altri articoli del codice, in particolare con riferimento alla distinzione tra le nozioni di impianto e stabilimento.
Art. 275, commi 2, 4, 5, 8, 10, 11, 16, 18, 19 e 20 del D.Lgs. 152/2006 |
Nuovo testo previsto dallo schema in esame |
2. Se nello stesso luogo sono esercitate, mediante uno o più impianti o macchinari e sistemi non fissi o operazioni manuali, una o più attività individuate nella parte II dell'Allegato III alla parte quinta del presente decreto le quali superano singolarmente le soglie di consumo di solvente ivi stabilite, a ciascuna di tali attività si applicano i valori limite per le emissioni convogliate e per le emissioni diffuse di cui al medesimo Allegato III, parte III, oppure i valori limite di emissione totale di cui a tale Allegato III, parti III e IV, nonché le prescrizioni ivi previste. Tale disposizione si applica anche alle attività che, nello stesso luogo, sono direttamente collegate e tecnicamente connesse alle attività individuate nel suddetto Allegato III, parte II, e che possono influire sulle emissioni di COV. Il superamento delle soglie di consumo di
solvente è valutato con riferimento al consumo massimo teorico di solvente Le attività di cui alla parte II dell'Allegato III alla parte quinta del presente decreto comprendono la pulizia delle apparecchiature e non comprendono la pulizia dei prodotti, fatte salve le diverse disposizioni ivi previste.
4. Il gestore che intende effettuare le attività di cui al comma 2 presenta all'autorità competente una domanda di autorizzazione conforme a quanto previsto nella parte I dell'Allegato III alla parte quinta del presente decreto. Si applica, a tal fine, l'articolo 269, ad eccezione dei commi 2 e 4.
In aggiunta ai casi previsti dall'articolo 269, comma 8, la domanda di autorizzazione deve essere presentata anche dal gestore delle attività che, a seguito di una modifica del consumo massimo teorico di solvente, rientrano tra quelle di cui al comma 2.
5. L'autorizzazione Per la captazione e il convogliamento si applica l'articolo 270.
8. Se le attività di cui al comma 2 sono
effettuate da uno o più impianti autorizzati prima del 13 marzo 2004 le emissioni devono essere adeguate alle pertinenti prescrizioni dell'Allegato III alla parte quinta del presente decreto e alle altre prescrizioni del presente articolo entro il 31 ottobre 2007, ovvero, in caso di adeguamento a quanto previsto dal medesimo Allegato III, parte IV, entro le date ivi stabilite. Fermo restando quanto stabilito dalla normativa vigente in materia di autorizzazione integrata ambientale, l'adeguamento è effettuato sulla base dei progetti presentati all'autorità competente ai sensi del decreto ministeriale 14 gennaio 2004, n. 44. Gli impianti in tal modo autorizzati si considerano anteriori al 2006.
In caso di mancata presentazione del progetto o di diniego all'approvazione del progetto da parte dell'autorità competente, le attività si considerano in esercizio senza autorizzazione. I termini di adeguamento previsti dal presente comma si applicano altresì agli impianti di cui al comma 20, in esercizio al 12 marzo 2004, i cui gestori aderiscano all'autorizzazione generale ivi prevista entro sei mesi dall'entrata in vigore della parte quinta del presente decreto o abbiano precedentemente aderito alle autorizzazioni generali adottate ai sensi dell'articolo 9 del decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio 16 gennaio 2004, n. 44.
10. Sono fatte salve le autorizzazioni rilasciate prima del 13 marzo 2004 che conseguono un maggiore contenimento delle emissioni di composti organici volatili rispetto a quello ottenibile con l'applicazione delle indicazioni di cui alle parti III e VI dell'Allegato III alla parte quinta del presente decreto. In tal caso rimangono validi i metodi di campionamento e di analisi precedentemente in uso. È fatta salva la facoltà del gestore di chiedere all'autorità competente di rivedere dette autorizzazioni sulla base delle disposizioni della parte quinta del presente decreto.
11. La domanda di autorizzazione di cui al
comma 4 deve essere presentata anche dal
a) siano immediatamente adeguate alle prescrizioni del presente articolo o b) siano adeguate alle prescrizioni del presente articolo entro il 31 ottobre 2007 se le emissioni totali di tutte le attività svolte dal gestore nello stesso luogo non superano quelle che si producono in caso di applicazione della lettera a).
16. Il gestore che, nei casi previsti dal comma 8, utilizza un dispositivo di abbattimento che consente il rispetto di un valore limite di emissione pari a 50 mgC/N m3, in caso di combustione, e pari a 150 mgC/N m3, in tutti gli altri casi, deve rispettare i valori limite per le emissioni convogliate di cui alla parte III dell'Allegato III alla parte quinta del presente decreto entro il 1° aprile 2013, purché
le emissioni totali non superino quelle che si sarebbero prodotte in caso di applicazione delle prescrizioni della parte III dell'Allegato III alla parte quinta del presente decreto.
18. Le autorità competenti trasmettono al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, ogni tre anni ed entro il 30 aprile, a partire dal 2005, una relazione relativa all'applicazione del presente articolo, in conformità a quanto previsto dalla decisione 2002/529/CE del 27 giugno 2002 della Commissione europea. Copia della relazione è inviata dalle autorità competenti alla regione o alla provincia autonoma. Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio invia tali informazioni alla Commissione europea.
20. I gestori degli impianti a ciclo chiuso di pulizia a secco di tessuti e di pellami, escluse le pellicce, e delle pulitintolavanderie a ciclo chiuso, per i quali l'autorità competente non abbia adottato autorizzazioni di carattere generale, comunicano a tali autorità di aderire all'autorizzazione di cui alla parte VII dell'Allegato III alla parte quinta del presente decreto. E' fatto salvo il potere delle medesime autorità di adottare successivamente nuove autorizzazioni di carattere generale, ai sensi dell'articolo 272, l'adesione alle quali comporta, per il soggetto interessato, la decadenza di quella prevista dalla parte VII dell'Allegato III alla parte quinta del presente decreto relativamente al territorio a cui tali nuove autorizzazioni si riferiscono. A tali attività non si applicano le prescrizioni della parte I, paragrafo 3, punti 3.2, 3.3. e 3.4 dell'Allegato III alla parte quinta del presente decreto.
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2. Se nello stesso luogo sono esercitate, mediante uno o più impianti o macchinari e sistemi non fissi o operazioni manuali, una o più attività individuate nella parte II dell'Allegato III alla parte quinta del presente decreto le quali superano singolarmente le soglie di consumo di solvente ivi stabilite, a ciascuna di tali attività si applicano i valori limite per le emissioni convogliate e per le emissioni diffuse di cui al medesimo Allegato III, parte III, oppure i valori limite di emissione totale di cui a tale Allegato III, parti III e IV, nonché le prescrizioni ivi previste. Tale disposizione si applica anche alle attività che, nello stesso luogo, sono direttamente collegate e tecnicamente connesse alle attività individuate nel suddetto Allegato III, parte II, e che possono influire sulle emissioni di COV. Il superamento delle soglie di consumo di solvente è valutato con riferimento al consumo massimo teorico di solvente.
Le attività di cui alla parte II dell'Allegato III alla parte quinta del presente decreto comprendono la pulizia delle apparecchiature e non comprendono la pulizia dei prodotti, fatte salve le diverse disposizioni ivi previste.
4. Il gestore che intende effettuare le attività di cui al comma 2 presenta all'autorità competente una domanda di autorizzazione conforme a quanto previsto nella parte I dell'Allegato III alla parte quinta del presente decreto. Si applica, a tal fine, l'articolo 269, ad eccezione dei commi 2 e 4, oppure, ricorrendone i presupposti, l'articolo 272, commi 3 e 4. In aggiunta ai casi previsti dall'articolo 269, comma 8, la domanda di autorizzazione deve essere presentata anche dal gestore delle attività che, a seguito di una modifica del consumo massimo teorico di solvente, rientrano tra quelle di cui al comma 2.
5. L'autorizzazione
stabilisce, sulla base dei commi 2 e 7, i valori limite di emissione e le prescrizioni che devono essere rispettati. Per la captazione e il convogliamento si applica l'articolo 270.
8. Se le attività di cui al comma 2 sono esercitate presso uno stabilimento autorizzato ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 24 maggio 1988, n. 203, prima del 13 marzo 2004, le emissioni devono essere adeguate alle pertinenti prescrizioni dell'Allegato III alla parte quinta del presente decreto e alle altre prescrizioni del presente articolo entro il 31 ottobre 2007, ovvero, in caso di adeguamento a quanto previsto dal medesimo Allegato III, parte IV, entro le date ivi stabilite. Fermo restando quanto stabilito dalla normativa vigente in materia di autorizzazione integrata ambientale, l'adeguamento è effettuato sulla base dei progetti presentati all'autorità competente ai sensi del decreto ministeriale 14 gennaio 2004, n. 44. Tali stabilimenti si considerano anteriori al 2006 o anteriori al 1988 sulla base dei criteri di cui all'articolo 268, comma 1, lettere i) e i-bis). In caso di mancata presentazione del progetto o di diniego all'approvazione del progetto da parte dell'autorità competente, le attività si considerano in esercizio senza autorizzazione. I termini di adeguamento previsti dal presente comma si applicano altresì agli stabilimenti di cui al comma 20, in esercizio al 12 marzo 2004, i cui gestori aderiscano all'autorizzazione generale ivi prevista entro sei mesi dall'entrata in vigore della parte quinta del presente decreto o abbiano precedentemente aderito alle autorizzazioni generali adottate ai sensi dell'articolo 9 del decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio 16 gennaio 2004, n. 44.
10. Sono fatte salve le autorizzazioni rilasciate prima del 13 marzo 2004 che conseguono un maggiore contenimento delle emissioni di composti organici volatili rispetto a quello ottenibile con l'applicazione delle indicazioni di cui alle parti III e IV dell'Allegato III alla parte quinta del presente decreto. In tal caso rimangono validi i metodi di campionamento e di analisi precedentemente in uso. È fatta salva la facoltà del gestore di chiedere all'autorità competente di rivedere dette autorizzazioni sulla base delle disposizioni della parte quinta del presente decreto.
11. La domanda di autorizzazione di cui al comma 4 deve essere presentata anche dal gestore degli stabilimenti nei quali sono esercitate le attività di cui al comma 2, effettuate ai sensi dei commi 8 e 9, ove le stesse siano sottoposte a modifiche sostanziali. L'autorizzazione prescrive che le emissioni provenienti dagli stabilimenti in cui si effettuano le attività oggetto di modifica sostanziale: a) siano immediatamente adeguate alle prescrizioni del presente articolo o b) siano adeguate alle prescrizioni del presente articolo entro il 31 ottobre 2007 se le emissioni totali di tutte le attività svolte dal gestore nello stesso luogo non superano quelle che si producono in caso di applicazione della lettera a).
16. Il gestore che, nei casi previsti dal comma 8, utilizza un dispositivo di abbattimento che consente il rispetto di un valore limite di emissione pari a 50 mgC/N m3, in caso di combustione, e pari a 150 mgC/N m3, in tutti gli altri casi, deve rispettare i valori limite per le emissioni convogliate di cui alla parte III dell'Allegato III alla parte quinta del presente decreto entro il 1° aprile 2013, purché, sin dalle date di adeguamento previste dal comma 8, le emissioni totalinon superino quelle che si sarebbero prodotte in caso di applicazione delle prescrizioni della parte III dell'Allegato III alla parte quinta del presente decreto.
18. Le autorità competenti trasmettono al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, ogni tre anni ed entro il 30 aprile, a partire dal 2005, una relazione relativa all'applicazione del presente articolo, in conformità a quanto previsto dalla decisione 2007/531/CE del 26 luglio 2007 della Commissione europea. Copia della relazione è inviata dalle autorità competenti alla regione o alla provincia autonoma. Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio invia tali informazioni alla Commissione europea.
20. I gestori degli stabilimenti costituiti da uno o più impianti a ciclo chiuso di pulizia a secco di tessuti e di pellami, escluse le pellicce, e delle pulitintolavanderie a ciclo chiuso, per i quali l'autorità competente non abbia adottato autorizzazioni di carattere generale, comunicano a tali autorità di aderire all'autorizzazione di cui alla parte VII dell'Allegato III alla parte quinta del presente decreto. E' fatto salvo il potere delle medesime autorità di adottare successivamente nuove autorizzazioni di carattere generale, ai sensi dell'articolo 272, l'adesione alle quali comporta, per il soggetto interessato, la decadenza di quella prevista dalla parte VII dell'Allegato III alla parte quinta del presente decreto relativamente al territorio a cui tali nuove autorizzazioni si riferiscono. A tali attività non si applicano le prescrizioni della parte I, paragrafo 3, punti 3.2, 3.3. e 3.4 dell'Allegato III alla parte quinta del presente decreto. |
L’art. 3, commi 9 e 10 apportano modifiche aventi per lo più carattere formale o di coordinamento agli articoli 276 e 277 del Codice.
L’art. 3, comma 11 modifica l’art. 278 del Codice al fine di chiarire - come appare dal testo a fronte riportato di seguito - che la sospensione temporanea e/o la revoca dell’autorizzazione non hanno portata generale ma riguardano, all’interno dello stabilimento, solamente gli impianti e le attività per i quali vi è stata violazione delle prescrizioni autorizzative.
Si noti che tale precisazione consegue alla distinzione, operata dal comma 2 dell’art. 3 in esame, tra le nozioni di impianto e stabilimento.
Art. 278 del D.Lgs. 152/2006 |
Nuovo testo previsto dallo schema in esame |
1. In caso di inosservanza delle prescrizioni contenute nell'autorizzazione, ferma restando l'applicazione delle sanzioni di cui all'articolo 279 e delle misure cautelari disposte dall'autorità giudiziaria, l'autorità competente procede, secondo la gravità dell'infrazione: a) alla diffida, con l'assegnazione di un termine entro il quale le irregolarità devono essere eliminate;
b) alla diffida ed alla contestuale
sospensione dell'attività autorizzata
ove si manifestino situazioni di pericolo per la salute o per l'ambiente;
c) alla revoca dell'autorizzazione
in caso di mancato adeguamento alle prescrizioni imposte con la diffida o qualora la reiterata inosservanza delle prescrizioni contenute nell'autorizzazione determini situazioni di pericolo o di danno per la salute o per l'ambiente. |
1. In caso di inosservanza delle prescrizioni contenute nell'autorizzazione, ferma restando l'applicazione delle sanzioni di cui all'articolo 279 e delle misure cautelari disposte dall'autorità giudiziaria, l'autorità competente procede, secondo la gravità dell'infrazione: a) alla diffida, con l'assegnazione di un termine entro il quale le irregolarità devono essere eliminate;
b) alla diffida ed alla contestuale temporanea sospensione dell'autorizzazione con riferimento, agli impianti e alle attività per i quali vi è stata violazione delle prescrizioni autorizzative, ove si manifestino situazioni di pericolo per la salute o per l'ambiente;
c) alla revoca dell'autorizzazione con riferimento agli impianti e alle attività per i quali vi è stata violazione delle prescrizioni autorizzative, in caso di mancato adeguamento alle prescrizioni imposte con la diffida o qualora la reiterata inosservanza delle prescrizioni contenute nell'autorizzazione determini situazioni di pericolo o di danno per la salute o per l'ambiente. |
L’art. 3, comma 12 reca una serie di modifiche formali e di coordinamento all’art. 279 del codice, come sottolineato dalla stessa relazione illustrativa e come si evince dal seguente testo a fronte.
Si noti che nel testo a fronte non vengono riportate le modifiche apportate dalle lettere c) e d) del comma in esame in quanto si limitano a sostituire i rinvii al comma 5 dell’art. 269, in quanto il relativo contenuto è stato trasposto nel nuovo testo del comma 6 del medesimo articolo.
Fa eccezione la modifica della pena dell’arresto prevista per le modifiche sostanziali non autorizzate, il cui massimo viene elevato da 6 mesi a 2 anni.
Art. 279 del D.Lgs. 152/2006 |
Nuovo testo previsto dallo schema in esame |
1. Chi inizia a installare o esercisce un Chi sottopone chi sottopone un impianto ad una modifica non
sostanziale senza effettuare la comunicazione prevista dal citato articolo
269, comma 8, è
2. Chi, nell'esercizio di un |
1. Chi inizia a installare o esercisce uno stabilimento in assenza della prescritta autorizzazione ovvero continua l'esercizio con l'autorizzazione scaduta, decaduta, sospesa o revocata
è punito con la pena dell'arresto da due mesi a due anni o dell'ammenda da 258 euro a 1.032 euro.
Con la stessa pena è punito chi sottopone uno stabilimento ad una modifica sostanziale senza l'autorizzazione prevista dall'articolo 269, comma 8.
Chi sottopone uno stabilimento ad una modifica non sostanziale senza effettuare la comunicazione prevista dall'articolo 269, comma 8, è assoggettato ad una sanzione amministrativa pecuniaria pari a 1.000 euro, alla cui irrogazione provvede l'autorità competente;
2. Chi, nell'esercizio di uno stabilimento, viola i valori limite di emissione o le prescrizioni stabiliti dall'autorizzazione, dagli Allegati I, II, III o V alla parte quinta del presente decreto, dai piani e dai programmi o dalla normativa di cui all'articolo 271 o le prescrizioni altrimenti imposte dall'autorità competente ai sensi del presente titolo é punito con l'arresto fino ad un anno o con l'ammenda fino a 1.032 euro. Se i valori limite o le prescrizioni violati sono contenuti nell'autorizzazione integrata ambientale si applicano le sanzioni previste dalla normativa che disciplina tale autorizzazione. |
L’art. 3, comma 13, lett. a), b), d), e) ed f) modifica in più punti l’art. 281 del Codice, come evidenzia il seguente testo a fronte.
Si ricorda brevemente che il testo vigente dei commi 1 e 2 dell’art. 281 del Codice disciplina le modalità e i termini di presentazione della domanda di autorizzazione:
Ó per gli stabilimenti in esercizio autorizzati ai sensi del D.P.R. 203/1988 (comma 1);
Ò per gli stabilimenti in esercizio che ricadono nel campo di applicazione del titolo I della parte V del Codice e che non ricadevano nel campo di applicazione del D.P.R. 203/1988 (comma 2, trasfuso nel comma 3 del nuovo testo previsto dal comma in esame).
Quanto alle modifiche operate dal comma in esame, si segnala, innanzitutto, che per entrambe le tipologie di stabilimento citate (Ó ed Ò), viene introdotto un termine di 8 mesi (elevati a 10 mesi in caso di integrazione della domanda stessa) per il pronunciamento dell’autorità competente sulla domanda di autorizzazione.
Un’altra modifica rilevante è senz’altro rappresentata dalla modifica dei termini previsti per l’adeguamento e la presentazione della domanda di autorizzazione da parte degli stabilimenti di tipo Ò, che vengono anticipati:
§ al 31 dicembre 2011 o nel più breve termine stabilito dall'autorizzazione alle emissioni, per quanto riguarda l’adeguamento alle disposizioni del titolo I della parte V del codice;
Si ricorda che il termine previsto dal testo attualmente vigente è il 29 aprile 2013, ovvero sette anni[19] dall’entrata in vigore della parte quinta del Codice che, lo si ricorda, è stato pubblicato nella G.U. 14 aprile 2006, n. 88, S.O.
§ al 31 dicembre 2010 per la presentazione della domanda di autorizzazione ai sensi dell'art. 269 o dell'art. 272, commi 2 e 3.
Si ricorda che il testo attualmente vigente prevede la presentazione della domanda almeno sei mesi prima del termine di adeguamento, cioè entro il 29 ottobre 2012.
Si fa notare che gli attuali termini sono stati recentemente prorogati di 2 anni dal comma 3-bis dell'art. 8 del D.L. 194/2009, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione. La disposizione in esame cancella quindi, di fatto, la recente proroga, concessa pochi mesi or sono.
Occorrerebbe pertanto valutare l’opportunità di una verifica dei termini indicati dalla disposizione.
Merita inoltre segnalare il disposto del nuovo comma 2 dell’art. 281, ai sensi del quale - come si legge nella relazione illustrativa – “non sono soggetti all'ordinario calendario di rinnovo gli stabilimenti la cui autorizzazione sia già stata rinnovata ai sensi dell'articolo 269 del d.lgs. n. 152 del 2006, in occasione di una modifica o di una apposita prescrizione dell'autorità competente”.
Relativamente all’abrogazione del comma 10 la relazione illustrativa segnala che essa si giustifica “per effetto della compiuta disciplina riservata dal precedente articolo 271 del d.lgs. n. 152 del 2006 ai rapporti tra potestà statali e regionali in materia di fissazione dei valori limite di emissione e delle prescrizioni per l'esercizio degli impianti e delle attività”.
Art. 281, commi 1, 2, 3, 4, 8 e 10 del D.Lgs. 152/2006 |
Nuovo testo previsto dallo schema in esame |
1. I gestori degli Le regioni e le province autonome adottano, nel rispetto di tali termini, appositi calendari per la presentazione delle domande; in caso di mancata adozione dei calendari, la domanda di autorizzazione deve essere comunque presentata nei termini stabiliti dal presente comma. La mancata presentazione della domanda nei termini, inclusi quelli fissati dai calendari, comporta la decadenza della precedente autorizzazione.
Se la domanda è presentata nei termini, l'esercizio
degli In caso di a) tra la data di entrata in vigore della parte
quinta del presente decreto ed il 31 dicembre 2010, per b) tra il 1° gennaio 2011 ed il 31 dicembre 2014,
per c) tra il 1° gennaio 2015 ed il 31 dicembre 2018,
per
2. I gestori degli
e, nel caso in cui siano soggetti all'autorizzazione
alle emissioni, presentano la relativa domanda, ai sensi dell'articolo 269,
ovvero ai sensi dell'articolo 272, commi 2 e 3,
In caso di mancata presentazione della domanda entro
il termine previsto,
si considerano in esercizio senza autorizzazione
alle emissioni. Se la domanda è presentata nel termine previsto, l'esercizio
può essere proseguito fino alla pronuncia dell'autorità competente; in caso
di mancata pronuncia entro i termini previsti
3. Per gli
l'autorità competente
adotta le autorizzazioni generali di cui
all'articolo 272, comma 2, entro quindici mesi da tale data. In caso di
mancata adozione dell'autorizzazione generale, nel termine prescritto, la
stessa è rilasciata con apposito decreto del Ministro dell'ambiente e della
tutela del territorio e i gestori è fatto salvo il potere di
adottare successivamente nuove autorizzazioni di carattere generale, ai sensi dell'articolo 272, l'adesione alle quali comporta, per il soggetto interessato, la decadenza di quella adottata dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio.
8.
10. |
1. I gestori degli stabilimenti autorizzati, anche in via provvisoria o in forma tacita, ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 24 maggio 1988, n. 203, ad esclusione di quelli dotati di autorizzazione generale che sono sottoposti alla disciplina di cui all'articolo 272, comma 3, devono presentare una domanda di autorizzazione ai sensi dell'articolo 269 entro i termini di seguito indicati. Le regioni e le province autonome adottano, nel rispetto di tali termini, appositi calendari per la presentazione delle domande; in caso di mancata adozione dei calendari, la domanda di autorizzazione deve essere comunque presentata nei termini stabiliti dal presente comma. La mancata presentazione della domanda nei termini, inclusi quelli fissati dai calendari, comporta la decadenza della precedente autorizzazione. L'autorità competente si pronuncia in un termine pari a otto mesi o, in caso di integrazione della domanda di autorizzazione, pari a dieci mesi dalla ricezione della domanda stessa. Se la domanda è presentata nei termini, l'esercizio degli stabilimenti può essere proseguito fino alla pronuncia dell'autorità competente; in caso di mancata pronuncia entro i termini previsti, l'esercizio può essere proseguito fino alla scadenza del termine previsto per la pronuncia del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio a cui sia stato richiesto di provvedere ai sensi dello stesso articolo.
In caso di stabilimenti autorizzati in via provvisoria o in forma tacita, il gestore deve adottare, fino alla pronuncia dell'autorità competente, tutte le misure necessarie ad evitare un aumento anche temporaneo delle emissioni. La domanda di autorizzazione di cui al presente comma deve essere presentata entro i seguenti termini: a) tra la data di entrata in vigore della parte quinta del presente decreto ed il 31 dicembre 2010, per stabilimenti anteriori al 1988; b) tra il 1° gennaio 2011 ed il 31 dicembre 2014, per stabilimenti anteriori al 2006 che siano stati autorizzati in data anteriore al 1° gennaio 2000; c) tra il 1° gennaio 2015 ed il 31 dicembre 2018, per stabilimenti anteriori al 2006 che siano stati autorizzati in data successiva al 31 dicembre 1999.
2. Non sono sottoposti alla procedura autorizzativa prevista dal comma 1, gli stabilimenti per cui l'autorizzazione è stata rinnovata ai sensi dell'articolo 269, commi 7 o 8. Se uno stabilimento anteriore al 1988 è sottoposto ad una modifica sostanziale, ai sensi dell'articolo 269, comma 8, prima del termine previsto dal comma 1, l'autorità competente procede, in ogni caso, al rinnovo dell'autorizzazione.
3. I gestori degli stabilimenti in esercizio alla data di entrata in vigore della parte quinta del presente decreto che ricadono nel campo di applicazione del presente titolo e che non ricadevano nel campo di applicazione del decreto del Presidente della Repubblica 24 maggio 1988, n. 203, si adeguano alle disposizioni del presente titolo entro il 31 dicembre 2011 o nel più breve termine stabilito dall'autorizzazione alle emissioni. Se lo stabilimento è soggetto a tale autorizzazione la relativa domanda deve essere presentata, ai sensi dell'articolo 269 o dell'articolo 272, commi 2 e 3, entro il 31 dicembre 2010.
L'autorità competente si pronuncia in un termine pari a otto mesi o, in caso di integrazione della domanda di autorizzazione, pari a dieci mesi dalla ricezione della domanda stessa. Dopo la presentazione della domanda, le condizioni di esercizio ed i combustibili utilizzati non possono essere modificati fino all'ottenimento dell'autorizzazione. In caso di mancata presentazione della domanda entro il termine previsto o in caso di realizzazione di modifiche prima dell'ottenimento dell'autorizzazione, lo stabilimento si considera in esercizio senza autorizzazione alle emissioni. Se la domanda è presentata. nel termine previsto, l'esercizio può essere proseguito fino alla pronuncia dell'autorità competente; in caso di mancata pronuncia entro i termini previsti, l'esercizio può essere proseguito fino alla scadenza del termine previsto per la pronuncia del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare a cui sia stato richiesto di provvedere ai sensi dello stesso articolo.
Ai soli fini della determinazione dei valori limite e delle prescrizioni di cui agli articoli 271 e 272, tali stabilimenti si considerano nuovi. La procedura prevista dal presente articolo si applica anche in caso di stabilimenti in esercizio all'entrata della data di entrata in vigore della parte quinta del presente decreto che ricadevano nel campo di applicazione del decreto del Presidente della Repubblica 24 maggio 1988, n 203, ma erano esentati dall'autorizzazione ivi disciplinata e che, per effetto di tale parte quinta, siano soggetti all'autorizzazione alle emissioni in atmosfera.
4. Per gli stabilimenti in esercizio alla data di entrata in vigore della parte quinta del presente decreto che ricadono nel campo di applicazione del presente titolo e che ricadevano nel campo di applicazione della legge 13 luglio 1966, n. 615, del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1970, n. 1391, o del titolo II del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 8 marzo 2002, aventi potenza termica nominale inferiore a 10 MW, l'autorità competente, ai fini dell'applicazione del comma 3, adotta le autorizzazioni generali di cui all'articolo 272, comma 2, entro quindici mesi da tale data. In caso di mancata adozione dell'autorizzazione generale, nel termine prescritto, la stessa è rilasciata con apposito decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e i gestori comunicano la propria adesione all'autorità competente o all'autorità da questa delegata; è fatto salvo il potere dell'autorità competente di adottare successivamente nuove autorizzazioni di carattere generale, ai sensi dell'articolo 272, l'obbligatoria adesione alle quali comporta, per il soggetto interessato, la decadenza di quella adottata dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio
8. L'adozione, da parte dell'autorità competente o della regione che abbia delegato la propria competenza, di un atto precedentemente omesso preclude la conclusione del procedimento con il quale il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio esercita i poteri sostitutivi previsti dal presente titolo. A tal fine l'autorità che adotta l'atto ne dà tempestiva comunicazione al Ministero.
10. A fini di informazione le autorità competenti rendono disponibili al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, in formato digitale, le autorizzazioni rilasciate ai sensi degli articoli 269 e 272.
11. Per l'esercizio dei poteri sostitutivi previsti dal presente titolo, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio si può avvalere dell’ISPRA ai sensi dell'articolo 2, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica 3 agosto 2009, n. 140, senza nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato. |
Relativamente alla formulazione del testo, si segnala l’erroneo rinvio al comma 4 dell’art. 3 del Codice, che invero risulta abrogato dallo schema in esame, operato dalla novella recata al comma 5 dell’art. 281 del Codice dalla lettera c) del comma 13 dell’art. 3 in esame.
Il citato comma 5 dell’art. 281 rinvia, nel testo vigente, all’art. 3, comma 2, del Codice per le modalità da seguire ai fini dell'integrazione e della modifica degli allegati alla parte quinta del medesimo codice.
Tuttavia sia il comma 2 che il comma 4 di tale articolo risultano soppressi dall’art. 1, comma 2, dello schema in esame.
Sembra pertanto opportuno modificare opportunamente la lettera c) del comma 13 dell’art. 3 al fine di eliminare il refuso segnalato.
L’art. 3, comma 14 riscrive l’art. 282 del Codice al fine di prevedere l’assoggettabilità degli impianti termici civili alle disposizioni del Titolo II della Parte V del Codice, per tutti gli impianti aventi potenza termica nominale inferiore a 3 MW, in considerazione del fatto che gli impianti termici civili dotati di una maggiore potenza termica non si differenziano, sul piano delle emissioni in atmosfera, dai normali impianti industriali e pertanto, come emerge dalla relazione illustrativa, devono soggiacere alle stesse regole.
Il nuovo comma 2 precisa che un impianto termico civile avente potenza termica nominale uguale o superiore a 3 MW si considera in qualsiasi caso come un unico impianto ai fini della disciplina in materia di prevenzione e limitazione delle emissioni in atmosfera recata dal titolo I.
Art. 282 del D.Lgs. 152/2006 |
Nuovo testo previsto dallo schema in esame |
1. Il presente titolo disciplina, ai fini della
prevenzione e della limitazione dell'inquinamento atmosferico, gli impianti
termici civili aventi potenza termica nominale inferiore Sono sottoposti alle disposizioni del titolo I gli
impianti termici civili aventi potenza termica nominale uguale o superiore |
1. Il presente titolo disciplina, ai fini della prevenzione e della limitazione dell'inquinamento atmosferico, gli impianti termici civili aventi potenza termica nominale inferiore a 3 MW.
Sono sottoposti alle disposizioni del titolo I gli impianti termici civili aventi potenza termica nominale uguale o superiore.
2. Un impianto termico civile avente potenza termica nominale uguale o superiore a 3 MW si considera in qualsiasi caso come un unico impianto ai fini dell'applicazione delle disposizioni del titolo I. |
L’art. 3, comma 15 modifica alcune definizioni relative al Titolo II della parte V del Codice, recate dall’art. 283.
Si segnala, in particolare, la nuova definizione di “autorità competente” prevista dallo schema in esame, che rinvia alle autorità che effettuano i controlli e le ispezioni previsti dal D.P.R. 412/1993.
Si ricorda che l’art. 11, commi 18 e seguenti, del citato D.P.R. 412/1993 affida i citati controlli ai comuni con più di 40.000 abitanti e alle province per la restante parte del territorio, anche avvalendosi di organismi esterni aventi specifica competenza tecnica. Tali commi sono stati tuttavia abrogati dal comma 2 dell'art. 16, del D.Lgs. 192/2005, come sostituito dall'art. 7 del D.Lgs. 311/2006.
Le nuove norme sul controllo degli impianti termici sono infatti ora previste dall’art. 8 del D.Lgs. 192/2005 di attuazione della direttiva 2002/91/CE relativa al rendimento energetico nell'edilizia.
In particolare, tale articolo prevede che la conformità delle opere sia asseverata dal direttore dei lavori e presentata al comune di competenza. Il comune, anche avvalendosi di esperti o di organismi esterni, qualificati e indipendenti, definisce le modalità di controlli, accertamenti e ispezioni in corso d'opera, ovvero entro cinque anni dalla data di fine lavori, volte a verificare la conformità alla documentazione progettuale. Il costo degli accertamenti ed ispezioni è posto a carico dei richiedenti.
Ciò premesso sembra pertanto opportuno riformulare la definizione di autorità competente.
Art. 283 del D.Lgs. 152/2006 |
Nuovo testo previsto dallo schema in esame |
b) generatore di calore: qualsiasi
dispositivo di combustione alimentato con combustibili al fine di produrre
d) impianto termico civile: impianto termico la cui produzione di calore é destinata, anche in edifici ad uso non residenziale, al riscaldamento o alla climatizzazione di ambienti o al riscaldamento di acqua per usi igienici e sanitari; l'impianto termico civile è centralizzato se serve tutte le unità dell'edificio o di più edifici ed è individuale negli altri casi;
i) autorità competente: |
"b) generatore di calore: qualsiasi dispositivo di combustione alimentato con combustibili al fine di produrre calore, costituito da un focolare, uno scambiatore di calore e un bruciatore;
d) impianto termico civile: impianto termico la cui produzione di calore è esclusivamente destinata, anche in edifici ad uso non residenziale, al riscaldamento o alla climatizzazione di ambienti o al riscaldamento di acqua per usi igienici e sanitari; l'impianto termico civile è centralizzato se serve tutte le unità dell'edificio o di più edifici ed è individuale negli altri casi;
"i) autorità competente: l'autorità che effettua i controlli, gli accertamenti e le ispezioni previsti dal decreto del Presidente della Repubblica 26 agosto 1993, n. 412. |
L’art. 3, comma 16 e comma 17, lettera a) integrano, rispettivamente, il dettato dell’art. 285 e del primo comma dell’art. 286 al fine di specificare che gli impianti termici civili di potenza termica nominale superiore al valore di soglia, devono non solo rispettare le caratteristiche tecniche ed i valori di emissione previsti dall’allegato IX (parti II e III), ma anche le ulteriori caratteristiche e i limiti di emissione più restrittivi previsti dai piani e dai programmi di qualità dell'aria.
Nella relazione illustrativa viene sottolineato che il potere di imporre nuovi requisiti tecnico-costruttivi e valori limite di emissione più severi di quelli statali è attribuito alle regioni al fine di garantire un più elevato livello di tutela contro l'inquinamento prodotto dai sistemi di riscaldamento e di conformare le caratteristiche degli impianti termici civili alle esigenze ambientali di ciascun territorio.
Si segnala, inoltre, la modifica recata dalla lettera c) del comma 17, volta ad integrare il disposto del comma 4 dell’art. 286 del codice.
Al testo vigente, che prevede la verifica, da parte dell’installatore, contestualmente all'installazione o alla modifica dell'impianto, del rispetto dei valori limite di emissione, viene aggiunto un periodo volto ad escludere tale verifica nei casi previsti dalla parte III, sezione 1, dell'Allegato VIII alla parte V del Codice.
Si fa tuttavia notare che l’Allegato VIII non ha una parte III. Del resto anche il titolo di tale allegato - relativo agli “impianti di distribuzione di benzina” - evidenzia che il rinvio operato dalla norma in esame non è corretto.
Sembra pertanto opportuna la correzione del citato rinvio.
Si fa altresì notare che, nel testo vigente, l’obbligo imposto all’installatore decorre dal termine di 180 giorni dalla data di entrata in vigore della parte quinta del Codice, cioè dal 26 ottobre 2006. Il nuovo testo proposto dallo schema in esame, invece, modifica la citata decorrenza fissandola dal 29 ottobre 2006.
L’art. 3, comma 18 modifica in più parti l’art. 287 del Codice al fine – dichiarato nella relazione illustrativa - di recepire le statuizioni della sentenza della Corte costituzionale n. 250 del 24 luglio 2009, che ha rilevato alcuni profili di incostituzionalità nella vigente formulazione, per violazione della competenza regionale in tema di formazione.
La disciplina statale viene infatti sostituita - come si evince dal seguente testo a fronte – da un rinvio alla legislazione regionale.
Relativamente alla citata sentenza n. 250 del 2009[20], si ricorda che con essa la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 287, comma 1, del Codice, che attribuisce all’ispettorato provinciale del lavoro la competenza per il rilascio dell’abilitazione alla conduzione di impianti termici al termine dell’apposito corso di formazione, in quanto lesivo della competenza residuale delle regioni in materia di formazione professionale.
I sensi del comma1, quindi, l’autorità individuata dalla legge regionale disciplina anche le modalità di formazione nonché le modalità di compilazione, tenuta e aggiornamento di un registro degli abilitati alla conduzione degli impianti termici.
Art. 287 del D.Lgs. 152/2006 |
Nuovo testo previsto dallo schema in esame |
1. Il personale addetto alla conduzione degli
impianti termici civili di potenza termica nominale superiore a 0.232 MW deve
essere munito di un patentino di abilitazione rilasciato
I patentini possono essere rilasciati a persone aventi età non inferiore a diciotto anni compiuti.
la cui copia è tenuta anche presso l'autorità competente e presso il comando provinciale dei vigili del fuoco.
4. Il possesso di un certificato di abilitazione di qualsiasi grado per la condotta dei generatori di vapore, ai sensi del regio decreto 12 maggio 1927, n. 824, consente
il rilascio del patentino senza necessità dell'esame di cui al comma 1.
5. Il patentino può essere in qualsiasi
momento revocato
6. Il decreto del Ministro per il lavoro e la previdenza sociale 12 agosto 1968 stabilisce la disciplina dei corsi e degli esami di cui al comma 1 e delle revisioni dei patentini. Alla modifica e all'integrazione di tale decreto si provvede con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali. |
1. Il personale addetto alla conduzione degli impianti termici civili di potenza termica nominale superiore a 0.232 MW deve essere munito di un patentino di abilitazione rilasciato da una autorità individuata dalla legge regionale, la quale disciplina anche le opportune modalità di formazione nonché le modalità di compilazione, tenuta e aggiornamento di un registro degli abilitati alla conduzione degli impianti termici. I patentini possono essere rilasciati a persone aventi età non inferiore a diciotto anni compiuti. II registro degli abilitati alla conduzione degli impianti termici è tenuto presso l'autorità che rilascia il patentino o presso la diversa autorità indicata dalla legge regionale e, in copia, presso l'autorità competente e presso il comando provinciale dei vigili del fuoco.
4. Il possesso di un certificato di abilitazione di qualsiasi grado per la condotta dei generatori di vapore, ai sensi del regio decreto 12 maggio 1927, n. 824, consente, ove previsto dalla legge regionale, il rilascio del patentino senza necessità dell'esame di cui al comma 1.
5. Il patentino può essere in qualsiasi momento revocato in caso di irregolare conduzione dell'impianto. A tal fine l'autorità competente comunica all'autorità che ha rilasciato il patentino i casi di irregolare conduzione accertati. Il provvedimento di sospensione o di revoca del certificato di abilitazione alla condotta dei generatori di vapore ai sensi degli articoli 31 e 32 del regio decreto 12 maggio 1927, n. 824, non ha effetto sul patentino di cui al presente articolo.
6. Fino all'entrata in vigore delle leggi regionali di cui al comma 1, la disciplina dei corsi e degli esami resta quella individuata ai sensi del decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale del 12 agosto 1968.".
|
L’art. 3, comma 19 modifica l’art. 288, comma 5, al fine di includere, nei controlli effettuati dall’autorità competente, anche il rispetto delle disposizioni previste dal nuovo testo - introdotto dallo schema in esame - dell’art. 293 relativamente ai combustibili utilizzati qualora essi siano considerati rifiuti (v. commento all’art. 3, comma 21, dello schema in esame).
In tal caso, l’autorità competente impone l’adeguamento dell’impianto in un determinato termine, oltre ai casi in cui, già previsti dal testo vigente, essa accerti che l'impianto non rispetta le caratteristiche tecniche di cui all'articolo 285 o i valori limite di emissione di cui all'articolo 286.
L’art. 3, comma 20 modifica quindi l’art. 290, comma 3, del Codice, relativo all’applicazione, in via transitoria, delle disposizioniin materia di inquinamento atmosferico recate dalla legge 615 del 1966 (Provvedimenti contro l'inquinamento atmosferico), dal relativo regolamento di attuazione (D.P.R. 1391/1970) e dal titolo II sui combustibili e le caratteristiche tecnologiche degli impianti di combustione per uso civile del D.P.C.M. 8 marzo 2002 (Disciplina delle caratteristiche merceologiche dei combustibili aventi rilevanza ai fini dell'inquinamento atmosferico, nonché delle caratteristiche tecnologiche degli impianti di combustione), al fine di tenere conto delle modifiche apportate dallo schema in esame all’art. 281 del Codice sulle modalità di adeguamento degli impianti medesimi. Le norme citate, infatti, trovano applicazione - in via transitoria - fino all’adeguamento degli impianti interessati.
L’art. 3, comma 21, lettera a) integra il disposto dell’art 293 del codice al fine – dichiarato nella relazione illustrativa - di precisare il rapporto che intercorre, in materia di combustibili, tra la parte quarta e la parte quinta del decreto.
Al comma 1 dell’art. 293 - che rinvia all’Allegato X alla parte V del Codice per l’elencazione dei combustibili consentiti negli impianti disciplinati dal titolo I e dal titolo II della parte V, inclusi gli impianti termici civili di potenza termica inferiore al valore di soglia - sono infatti aggiunti due periodi che dispongono che:
§ i materiali e le sostanze elencati nell'allegato X non possono essere utilizzati come combustibili se costituiscono rifiuti ai sensi dalla parte quarta del Codice;
§ è soggetta alla normativa vigente in materia di rifiuti la combustione di materiali e sostanze che non sono conformi all'allegato X o che comunque costituiscono rifiuti ai sensi dalla parte quarta del Codice.
L’art. 3, comma 21, lettera b) integra ulteriormente il comma 1 dell’art. 293 al fine di statuire che resta fermo, nei casi e nei modi previsti dalla parte quinta del presente decreto, il potere delle regioni, delle province autonome o di altre autorità di introdurre ulteriori limiti o divieti in materia di combustibili.
L’art. 3, comma 22 modifica in più parti l’art. 294 del Codice, che prescrive rilevatori della temperatura nell'effluente gassoso e la misurazione-registrazione in continuo dell'ossigeno libero e del monossido di carbonio al fine di ottimizzare il rendimento di combustione, come risulta dal testo a fronte riportato di seguito.
Le principali modifiche riguardano:
§ l’esclusione dall’applicazione della norma citata degli impianti elencati nell'art. 273, comma 15, anche di potenza termica nominale inferiore a 50MW;
Si ricorda che il comma 15 dell’art. 273 del Codice elenca i seguenti impianti esclusi dall’applicazione della normativa relativa ai grandi impianti di combustione:
a) gli impianti in cui i prodotti della combustione sono utilizzati per il riscaldamento diretto, l'essiccazione o qualsiasi altro trattamento degli oggetti o dei materiali, come i forni di riscaldo o i forni di trattamento termico;
b) gli impianti di postcombustione, cioè qualsiasi dispositivo tecnico per la depurazione dell'effluente gassoso mediante combustione, che non sia gestito come impianto indipendente di combustione;
c) i dispositivi di rigenerazione dei catalizzatori di craking catalitico;
d) i dispositivi di conversione del solfuro di idrogeno in zolfo;
e) i reattori utilizzati nell'industria chimica;
f) le batterie di forni per il coke;
g) i cowpers degli altiforni;
h) qualsiasi dispositivo tecnico usato per la propulsione di un veicolo, una nave, o un aeromobile;
i) le turbine a gas usate su piattaforme off-shore e sugli impianti di rigassificazione di gas naturale liquefatto off-shore;
l) le turbine a gas autorizzate anteriormente alla data di entrata in vigore della parte quinta del presente decreto, fatte salve le disposizioni alle stesse espressa mente riferite;
m) gli impianti azionati da motori diesel, a benzina o a gas.
§ per gli impianti termici civili, l’introduzione di una nuova soglia di potenza termica nominale per l’applicazione delle citate prescrizioni, che fa riferimento non più all’impianto ma al singolo focolare. Il valore previsto viene poi ridotto da 1,5 MW a 1,16 MW.
Si ricorda che, ai sensi dell’art. 283, comma 1, del Codice, il focolare è la parte di un generatore di calore nella quale avviene il processo di combustione. Si ricorda altresì che ai sensi del medesimo comma il generatore di calore è una delle parti di cui è costituito l’impianto termico.
Art. 294 del D.Lgs. 152/2006 |
Nuovo testo previsto dallo schema in esame |
1. Al fine di ottimizzare il rendimento di combustione, gli impianti disciplinati dal titolo I della parte quinta del presente decreto, con potenza termica nominale pari o superiore a 6 MW, devono essere dotati di rilevatori della temperatura nell'effluente gassoso nonché di un analizzatore per la misurazione e la registrazione in continuo dell'ossigeno libero e del monossido di carbonio. I suddetti parametri devono essere rilevati nell'effluente gassoso all'uscita dell'impianto. Tali impianti devono essere inoltre dotati, ove tecnicamente fattibile, di regolazione automatica del rapporto aria-combustibile. Ai fini dell'applicazione del presente comma
si fa riferimento alla potenza termica nominale di ciascun anche nei casi in cui più impianti siano considerati, ai sensi dell'articolo 270, comma 4, o dell'articolo 273, comma 9, come un unico impianto.
2. Il comma 1 non si applica agli impianti
di combustione in possesso di autorizzazione alle emissioni in atmosfera o di autorizzazione integrata ambientale nella quale si prescriva un valore limite di emissione in atmosfera per il monossido di carbonio.
3. Al fine di ottimizzare il rendimento di
combustione, gli impianti disciplinati dal titolo II della parte quinta del
presente decreto, di potenza termica |
1. Al fine di ottimizzare il rendimento di combustione, gli impianti disciplinati dal titolo I della parte quinta del presente decreto, con potenza termica nominale pari o superiore a 6 MW, devono essere dotati di rilevatori della temperatura nell'effluente gassoso nonché di un analizzatore per la misurazione e la registrazione in continuo dell'ossigeno libero e del monossido di carbonio. I suddetti parametri devono essere rilevati nell'effluente gassoso all'uscita dell'impianto. Tali impianti devono essere inoltre dotati, ove tecnicamente fattibile, di regolazione automatica del rapporto aria-combustibile. Ai fini dell'applicazione del presente comma si fa riferimento alla potenza termica nominale di ciascun focolare,
anche nei casi in cui più impianti siano considerati, ai sensi dell'articolo 270, comma 4, o dell'articolo 273, comma 9, o dell'articolo 282, comma 2, come un unico impianto.
2. ll comma 1 non si applica agli impianti elencati nell'articolo 273, comma 15, anche di potenza termica nominale inferiore a 50MW, ed agli impianti di combustione in possesso di autorizzazione alle emissioni in atmosfera o di autorizzazione-integrata ambientale nella quale si prescriva un valore limite di emissione in atmosfera per il monossido di carbonio e la relativa misurazione in continuo.
3. Al fine di ottimizzare il rendimento di combustione, gli impianti disciplinati dal titolo II della parte quinta del presente decreto, di potenza termica nominale per singolo focolare superiore a 1,16 MW, devono essere dotati di rilevatori della temperatura negli effluenti gassosi nonché di un analizzatore per la misurazione e la registrazione in continuo dell'ossigeno libero e del monossido di carbonio. I suddetti parametri devono essere rilevati nell'effluente gassoso all'uscita del focolare. |
L’art. 3, commi 23 e 24 reca alcune modifiche puntuali nonché la previsione, che merita di essere segnalata, di un comma aggiuntivo 2-ter all’art. 298 che prevede l’istituzione – con decreto del Ministro dell'ambiente di concerto con i Ministri della salute e dello sviluppo economico - di una Commissione per l'esame delle proposte di integrazione ed aggiornamento dell'Allegato X alla parte V del Codice, presentate dalle amministrazioni dello Stato e dalle regioni.
Lo stesso comma ne disciplina la composizione stabilendo che sia composta da due rappresentanti di ciascuno di tali Ministeri e da un rappresentante del Dipartimento affari regionali della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Viene altresì specificato che l’istituzione di tale commissione debba avvenire senza oneri aggiuntivi per il bilancio dello Stato. A garanzia di ciò, la stessa disposizione prevede che ai componenti della Commissione non sono dovuti compensi, né rimborsi spese.
L’art. 3, comma 25 eleva da 200 a 2.000 mg/Nm3 il limite di emissione previsto al paragrafo 3, della parte III, dell'allegato I per gli ossidi di azoto per i motori ad accensione spontanea di potenza uguale o superiore a 3 MW.
La modifica sembrerebbe volta a correggere un refuso presente nell’allegato, dato che la soglia per i motori ad accensione spontanea di potenza inferiore a 3 MW è pari a 4.000 mg/Nm3.
L’art. 3, comma 26 prevede la riscrittura dell’Allegato IV.
Relativamente alla parte I dell’allegato, che elenca le attività non soggette ad autorizzazione (art. 272, comma 1), la principale modifica operata dallo schema in esame consiste nella trasfusione, all’interno dell’Allegato IV, dell’elenco di attività attualmente recato dal vigente comma 14 dell’art. 269.
Relativamente alla parte II, che riguarda le attività soggette ad autorizzazione di carattere generale (art. 272, comma 2), si segnala l’inclusione degli impianti termici civili aventi potenza termica nominale non inferiore a 3 MW e inferiore a 50 MW (lett. mm) e degli allevamenti in ambienti confinati (lett. nn).
Relativamente a tali allevamenti la lett. nn) si riferisce a quelli in cui il numero di capi potenzialmente presenti è inferiore a quello indicato nella tabella riportata nel seguito della lettera medesima. Tuttavia, siccome tale tabella indica un valore minimo (che corrisponde a quello riportato nella parte I dell’allegato, sotto il quale non serve alcuna autorizzazione alle emissioni) ed un valore massimo, sembrerebbe opportuno riformulare la lettera citata al fine di chiarire che il numero di capi deve essere compreso tra le soglie indicate nella tabella.
L’art. 3, comma 27, lett. a) sopprime le lettere l) ed m) del paragrafo 1 della sezione 2 della parte I dell’Allegato X, al fine di escludere dal novero dei combustibili consentiti per gli impianti termici civili l’olio combustibile ed altri distillati pesanti di petrolio e le emulsioni acqua-olio combustibile o acqua-altri distillati pesanti di petrolio.
Vengono altresì soppressi i paragrafi 3 e 4 della medesima sezione che hanno consentito l’utilizzo dei citati combustibili, in via transitoria, non oltre il 1° settembre 2007.
L’art. 3, comma 27, lett. b) e c) modifica la tipologia e la provenienza di alcune biomasse combustibili, mediante una riscrittura delle lettere b) ed e) del paragrafo 1 della Sezione 4 della parte II dell’Allegato X, ma soprattutto aggiunge un paragrafo 1-bis volto a chiarire che le biomasse indicate al paragrafo 1 sono utilizzabili secondo le disposizioni della parte V del Codice solo se soddisfano i requisiti previsti per i sottoprodotti della parte IV del medesimo Codice.
Viene altresì specificato che tale requisito è necessario salvo il caso in cui le biomasse derivino da processi direttamente destinati alla loro produzione o ricadano nelle esclusioni dal campo di applicazione della parte IV del Codice.
L’art. 3, comma 27, lett. d) introduce, nella parte II, sezione 4, paragrafo 2, un punto 2.2 destinato a disciplinare le modalità di combustione delle biomasse.
L’art. 3, comma 27, lett. e) modifica le caratteristiche del biogas indicate nella parte II, sezione 6, paragrafo 1, indicando espressamente che esso può provenire da effluenti di allevamento, prodotti agricoli o borlande di distillazione, purché tali sostanze non costituiscano rifiuti ai sensi della parte IV del Codice.
Si fa notare che tale novella adegua, per quanto riguarda le borlande di distillazione, il dettato dell’allegato X a quanto disposto dal D.L. 171/2008.
Si ricorda, in proposito, che l’art. 2-bis del decreto-legge 171/2008 ha disposto che è da considerarsi sottoprodotto della distillazione anche il biogas derivante da processi anaerobici di depurazione delle borlande della distillazione destinato alla combustione nel medesimo ciclo produttivo, ai sensi della sezione 6 della parte II dell'allegato X alla parte quinta del Codice.
L’art. 3, comma 27, lett. f) modifica il paragrafo 3 della sezione 6, che consente l'utilizzo del biogas nel medesimo comprensorio industriale in cui tale biogas è prodotto, al fine di estendere tale utilizzo anche nei comprensori non industriali.
La relazione illustrativa sottolinea che i commi finali (28, 29 e 30) dell'articolo 3 dello schema in esame sono dedicati a dettare una serie di norme di coordinamento, finalizzate a disciplinare la transizione tra il testo precedente e quello che risulterà dalle modifiche proposte.
L’art. 3, comma 28 detta le disposizioni volte ad orientare la qualificazione degli stabilimenti come anteriori al 1988, anteriori al 2006 o nuovi nei casi in cui i singoli impianti o le singole attività sono stati oggetto di distinte autorizzazioni alle emissioni anteriormente all'entrata in vigore della presente disposizione.
In tali casi la prima, tra le autorizzazioni in vigore, si considera come autorizzazione dello stabilimento, mentre le altre autorizzazioni in vigore sono valutate congiuntamente in sede di primo rinnovo.
L’art. 3, comma 29 reca la disciplina transitoria in materia di impianti termici civili che, a seguito dell'entrata in vigore del presente decreto, vengono a ricadere nel titolo II.
Viene infatti previsto che gli impianti termici civili che, prima dell'entrata in vigore del presente decreto, sono stati autorizzati ai sensi del titolo I, e che, a partire da tale data, ricadono nel successivo titolo II, possono essere esercitati sulla base di tale autorizzazione fino alla data prevista per il primo rinnovo.
Si fa notare che nella norma si fa riferimento al “titolo I della parte quinta del presente decreto”, mentre in realtà il rinvio è alla parte quinta del Codice (D.Lgs. 152/2006). Occorre quindi correggere come indicato il comma in esame.
Il comma 29 dispone altresì che:
§ la denuncia di installazione o modifica dell’impianto, prevista dall'art. 284, comma 1, della stessa parte quinta è effettuata almeno tre mesi prima di tale scadenza;
Si ricorda che il citato art. 284, comma 1, prescrive che in caso di installazione o di modifica di un impianto termico civile di potenza termica nominale superiore al valore di soglia, deve essere trasmessa all'autorità competente, nei novanta giorni successivi all'intervento, apposita denuncia, redatta dall'installatore mediante il modulo di cui alla parte I dell'Allegato IX.
§ nel corso del periodo di vigenza dell'autorizzazione, l'autorità competente può imporre modifiche delle prescrizioni autorizzative ai sensi dell'art. 269.
Si ricorda che il comma 7, nel testo modificato dal comma in esame, consente all’autorità competente di imporre il rinnovo dell’autorizzazione prima del termine, se una modifica delle prescrizioni autorizzative risulti necessaria al rispetto dei valori limite di qualità dell’aria previsti dalla vigente normativa.
L’art. 3, comma 30 demanda ad apposito decreto interministeriale - adottato dal Ministro dell'interno, di concerto con quelli dell'ambiente e dello sviluppo economico – la definizione di una disciplina organica dei requisiti costruttivi e di installazione degli impianti di distribuzione di benzina.
Viene altresì disposta, a decorrere dalla data di entrata in vigore del predetto decreto, la soppressione del paragrafo 3 dell'allegato VII alla parte quinta del presente decreto.
Si fa notare che nella norma si fa riferimento al “titolo I della parte quinta del presente decreto”, mentre in realtà il rinvio è alla parte quinta del Codice (D.Lgs. 152/2006). Occorre quindi correggere come indicato il comma in esame.
Si segnala, inoltre, che non vi è alcun paragrafo 3 nell’allegato VII, mentre nell’Allegato VIII (relativo agli Impianti di distribuzione di benzina) il paragrafo 3 è proprio intitolato “Requisiti costruttivi e di installazione”. Anche in tal caso, quindi, appare doveroso correggere il rinvio all’allegato VII facendo invece riferimento all’allegato VIII.
Il comma 1 reca i provvedimenti abrogati dalla data di entrata in vigore del decreto in esame e:
a) il d.lgs. 59/2005, in quanto il suo contenuto è stato trasfuso pressoché integralmente all’interno della parte seconda del Codice ambientale;
b) il DM dell’ambiente 19 aprile 2006, facendo salvi gli effetti delle domande presentate a norma dell’art. 2 e nei termini di cui all’allegato I dello stesso decreto.
Si ricorda che con l’art. 2 del D.M. 19 aprile 2006 sono stati determinati i termini per la presentazione delle domande di AIA per gli impianti di competenza statale, ai sensi del d.lgs. 59/2005 in base ad un calendario contenuto nell’allegato I al DM che recava termini diversi a seconda della categoria di impianto che andavano dal 30 giugno 2006 al 30 marzo 2007.
Il comma 2 aggiorna, nel corpo dell’intero Codice, le denominazioni delle amministrazioni contemplate nel provvedimento: il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio è sostituito dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e l’APAT è sostituita dall’ISPRA.
Il comma 3 dispone che le norme dello decreto in esame fanno salva la vigente disciplina in materia di sicurezza antincendio.
Si ricorda che un prerequisito per l’ottenimento del nulla osta di esercizio di un’attività produttiva - soggetta al controllo dei vigili del fuoco - è necessario conseguire il CPI (certificato di prevenzione incendi). Il CPI attesta il rispetto delle prescrizioni previste dalla normativa di prevenzione incendi e la sussistenza dei requisiti di sicurezza antincendio nei locali, attività, depositi, impianti ed industrie pericolose, individuati, in relazione alla detenzione ed all'impiego di prodotti infiammabili, incendiabili o esplodenti che comportano in caso di incendio gravi pericoli per l'incolumità della vita e dei beni ed in relazione alle esigenze tecniche di sicurezza. Esso dispone che il CPI venga rilasciato dal competente Comando provinciale dei vigili del fuoco, su istanza dei soggetti responsabili delle attività interessate, a conclusione di un procedimento che comprende il preventivo esame ed il parere di conformità sui progetti, finalizzati all'accertamento della rispondenza dei progetti stessi alla normativa di prevenzione incendi, e l'effettuazione di visite tecniche, finalizzate a valutare direttamente i fattori di rischio ed a verificare la rispondenza delle attività alla normativa di prevenzione incendi. Le procedure per il rilascio del CPI sono attualmente disciplinate dall’art. 3 del D.P.R. 37/1998 (Regolamento recante disciplina dei procedimenti relativi alla prevenzione incendi, a norma dell'art. 20, comma 8, della legge 59/1997). Il CPI deve essere richiesto dal titolare solo se l’attività è compresa tra le 97 elencate nel DM 16 febbraio 1982[21].
Si ricorda, inoltre, che l’art. 16, comma 1, del d.lgs. 139/2006 ha ridisciplinato il procedimento del rilascio del CPI riorganizzando le varie disposizioni in materia recate da diversi provvedimenti previgenti e demandando ad apposito D.P.R. (non ancora emanato) la fissazione delle disposizioni attuative relative al procedimento per il rilascio del CPI. Nelle more dell’attuazione del nuovo D.P.R. continuano ad applicarsi le disposizioni del D.P.R. 37/1998.
Il comma 4, con riferimento agli obblighi di pubblicità legale previsti dal decreto in esame, prevede che le amministrazioni interessate si conformino agli obblighi previsti dall'art. 32 della legge 69/2009.
Si ricorda che l’art. 32 della legge 69/2009 recante “Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile”, introduce norme finalizzate all’“eliminazione degli sprechi” collegati al mantenimento delle pubblicazioni legali in forma cartacea, riconoscendo, a decorrere dal 1° gennaio 2010, effetto di pubblicità legale agli atti e ai provvedimenti pubblicati dalle amministrazioni e dagli enti pubblici sui propri siti informatici o su quelli di altre amministrazioni ed enti pubblici obbligati.Dalla stessa data del 1° gennaio 2010, al fine di promuovere il progressivo superamento della pubblicazione in forma cartacea, le amministrazioni e gli enti pubblici tenuti a pubblicare sulla stampa quotidiana atti e provvedimenti concernenti procedure ad evidenza pubblica o i propri bilanci, oltre all’adempimento di tale obbligo con le stesse modalità previste dalla legislazione vigente alla data di entrata in vigore della presente legge, ivi compreso il richiamo all’indirizzo elettronico, provvedono altresì alla pubblicazione nei siti informatici, secondo modalità stabilite con DPCM, su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione e di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti per le materie di propria competenza. Si dispone, infine, che le pubblicazioni oggi effettuate in forma cartacea non abbiano effetto di pubblicità legale a decorrere dal 1° gennaio 2011 (dal 1° gennaio 2013, limitatamente alla pubblicazione sulla stampa quotidiana di bilanci, ovvero di atti e provvedimenti concernenti procedure ad evidenza pubblica).
Il 21 dicembre 2007 la Commissione ha presentato una proposta di rifusione della direttiva sulle emissioni industriali (COM(2007)844), intesa a riunire in un unico strumento normativo le disposizioni contenute nella vigente normativa in materia di emissioni industriali[22]. La proposta riguarda le emissioni di circa 52 000 impianti industriali interessati dalla direttiva 96/61/CEE sulla prevenzione e la riduzione integrate dell'inquinamento (direttiva IPPC), poi sostituita dalla direttiva 2008/1/CE, per i quali la Commissione propone di ridurre le emissioni attraverso un approccio integrato che, a partire dal 2016, definisca per la concessione di nuove autorizzazioni e il mantenimento in esercizio di nuovi impianti prescrizioni minime basate sulle migliori tecniche disponibili (BAT) da applicare a livello comunitario per conseguire un elevato livello di protezione ambientale in ogni settore industriale, individuate dai c.d. “documenti BREF[23]”, elaborati dalla Commissione, dagli Stati membri e dalle altre parti interessate.
Il Parlamento europeo potrebbe esaminare il provvedimento in seconda lettura all’inizio di luglio 2010.
Il 14 aprile 2009 la Commissione con una lettera di messa in mora ha contestato all’’Italia il mancato rispetto di alcune disposizione della direttiva 85/337/CE concernente la valutazione dell’impatto ambientale (direttiva VIA), come modificata dalle direttive 97/11/CE e 2003/35/CE (procedura d’infrazione 2009/2086).
In particolare, la Commissione ritiene che il D.Lgs 3 aprile 2006, n. 152, che recepisce la direttiva VIA, presenti profili di non conformità in relazione ai seguenti aspetti:
· verifica di assoggettabilità a VIA (screening - articolo 4 direttiva VIA).
La Commissione ritiene che le soglie dimensionali fissate dalla normativa italiana per l’assoggettabilità di un progetto alla VIA (art. 6 e 20 del D.Lgs 152/2006 in collegamento con i relativi allegati II, III, IV, V) al di sotto delle quali non sono necessarie né una procedura VIA, né una verifica “caso per caso”, non tengono conto di tutti i criteri previsti, ad esempio quello riguardante il cumulo con altri progetti. Inoltre, il meccanismo di screening definito dalla normativa italiana, secondo la Commissione, pur tenendo conto dell’eventuale localizzazione del progetto in aree protette dalla normativa nazionale, non prende in considerazione le aree protette in base alle direttive 79/409/CEE (conservazione degli uccelli selvatici) e 92/43/CEE (conservazione degli habitat naturali);
· consultazione e informazione del pubblico (articolo 6 direttiva VIA).
La Commissione rileva che l’art 24 del D.Lgs 152/2006 non fornisce una completa trasposizione del modifiche che la direttiva 2003/35/CE ha apportato alla direttiva VIA per adeguarla alla “convenzione di Arhus” sull’accesso alle informazioni, partecipazione del pubblico ai processi decisionali e accesso alla giustizia in materia ambientale. Tra l’altro, la Commissione ritiene che in relazione alle informazioni fornite al pubblico all’avvio della procedura VIA, la normativa italiana non comprenda aspetti quali, ad esempio, la natura delle possibili decisioni, le informazioni sulle autorità competenti, le modalità precise della partecipazione del pubblico;
· categorie di progetto escluse (allegati I e II direttiva VIA).
La Commissione ritiene che la normativa italiana non sia sufficiente ad assicurare una completa trasposizione degli allegati I e II della direttiva VIA, escludendo indebitamente alcune categorie di progetto dall’applicazione di una procedura VIA o dalla valutazione di assoggettabilità. A tal proposito, la Commissione fornisce un elenco delle categorie di progetto a suo avviso non ricomprese nella terminologia utilizzata nel D.Lgs 152/2006, tra le quali si segnalano: la costruzione di nuove strade a quattro o più corsie (non ricomprese nella dizione “strade extraurbane”); estrazione di petrolio (oltre le 500 t al giorno) e gas (oltre i 500.000 m3 al giorno) per fini commerciali; dighe (oltre 10 milioni di m3); impianti per il trattamento e lo stoccaggio di residui radioattivi; impianti per la macellazione di animali; costruzione di strade, porti e impianti portuali.
L’8 ottobre 2009 la Commissione ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora (p.i. 2009/2235) in relazione a un non corretto recepimento della direttiva 2001/42/CE concernente la valutazione degli effetti di piani e programmi sull’ambiente o valutazione ambientale strategica (direttiva VAS).
In particolare, la Commissione ritiene che la normativa italiana di recepimento (D.lgs 152/2006 così come modificato dal D.lgs 16 gennaio 2008, n.4) presenti profili di non conformità alle disposizioni concernenti:
- la notifica, la consultazione e l’informazione sulle decisioni relative all’adozione di un piano o un programma che può avere impatti significativi sull’ambiente di uno Stato confinante;
- gli eccessivi margini di discrezionalità che l’art. 15, comma 2 del D.lgs lascerebbe alle autorità responsabili di prendere in considerazione i risultati del rapporto ambientale dei soggetti competenti, della consultazione del pubblico nonché delle consultazioni transfrontaliere ai fini dell’approvazione definitiva del piano o programma.
Il 25 gennaio 2010 la Commissione ha presentato un ricorso alla Corte di giustizia delle Comunità europee contro l’Italia (p.i. 2008/2071) per non aver adottato le misure necessarie affinché gli impianti industriali contemplati dalla direttiva 2008/1/CE sulla prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento (direttiva IPPC) funzionino secondo i requisiti previsti dalla direttiva IPPC stessa.
In base a dati forniti dall’Italia durante la fase di precontenzioso la Commissione ha motivo di ritenere che l’Italia tuttora non abbia ancora interamente adempiuto agli obblighi di cui all’art. 5, paragrafo 1 della direttiva IPPC, che fissano al 30 ottobre 2007 il termine improrogabile entro il quale gli Stati membri hanno l’obbligo di garantire l’applicazione della direttiva a tutti gli impianti esistenti sul territorio nazionale per mezzo del rilascio di nuove autorizzazioni o, in via alternativa, attraverso il riesame e, se necessario, l’aggiornamento delle autorizzazioni già in corso.
[1] Convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2007, n. 17.
[2] L’art. 93, comma 4, del d.lgs. 163/2005 definisce come progetto definitivo quello che individua compiutamente i lavori da realizzare, nel rispetto delle esigenze, dei criteri, dei vincoli, degli indirizzi e delle indicazioni stabiliti nel progetto preliminare e contiene tutti gli elementi necessari ai fini del rilascio delle prescritte autorizzazioni e approvazioni.
[3] A titolo meramente esemplificativo, si ricorda che sono soggetti a VIA statale ed a AIA i progetti di cui all’Allegato II del Codice elencati al n. 1) Raffinerie di petrolio greggio (escluse le imprese che producono soltanto lubrificanti dal petrolio greggio), nonché impianti di gassificazione e di liquefazione di almeno 500 tonnellate (Mg) al giorno di carbone o di scisti bituminosi; n. 2), primo trattino, Centrali termiche ed altri impianti di combustione con potenza termica di almeno 300 MW; n. 5) Acciaierie integrate di prima fusione della ghisa e dell'acciaio; n. 6) Impianti chimici con capacità produttiva complessiva annua per classe di prodotto, espressa in milioni di chilogrammi, superiore alle soglie indicate. Tali impianti sono elencati anche ai punti n. 1), 2), 3) e 4) dell’Allegato V del d.lgs. 59/2005 che reca le categorie di impianti soggetti ad AIA statale, ora confluiti nell’Allegato XII .
[4] Si tratta delle informazioni e delle descrizioni fornite secondo un rapporto di sicurezza, elaborato conformemente alle norme previste sui rischi di incidente rilevante connessi a determinate attività industriali, o secondo la norma UNI EN ISO 14001 (norma che fornisce le indicazioni basilari per giungere alla definizione di un sistema di gestione ambientale efficiente), ovvero i dati prodotti per i siti registrati ai sensi del regolamento n. 76112001/CE (EMAS), nonché altre informazioni fornite secondo qualunque altra normativa.
[6] Si noti che le definizioni includono il sito e l'intero impianto, compresi le linee di incenerimento/coincenerimento, la ricezione dei rifiuti in ingresso allo stabilimento e lo stoccaggio, le installazioni di pretrattamento in loco, i sistemi di alimentazione dei rifiuti, del combustibile ausiliario e dell'aria di combustione, i generatori di calore, le apparecchiature di trattamento, movimentazione e stoccaggio in loco delle acque reflue e dei rifiuti risultanti dal processo di incenerimento/coincenerimento, le apparecchiature di trattamento degli effluenti gassosi, i camini, i dispositivi ed i sistemi di controllo delle varie operazioni e di registrazione e monitoraggio delle condizioni di incenerimento/coincenerimento.
[7] Per una rassegna dettagliata delle varie metodologie di trattamento termico e delle rispettive caratteristiche si rinvia alla relazione “Trattamenti termici e meccanico-biologici (TMB) del rifiuto residuo” predisposta dal Politecnico di Milano per l’ATO Rifiuti Novarese, disponibile all’indirizzo web www.comune.galliate.no.it/content/download/5757/58613/file/Relazione Dario.pdf
[8] Si ricorda che l’art. 208, comma 11, disciplina il contenuto minimo dell’autorizzazione, che deve contenere, tra l’altro, le condizioni e le prescrizioni necessarie per l’esercizio dell’impianto nonché “i limiti di emissione in atmosfera per i processi di trattamento termico dei rifiuti, anche accompagnati da recupero energetico”.
[9] Lo stesso comma prevede che fino all'emanazione di tali piani e programmi, continuano ad applicarsi i valori limite di emissione e le prescrizioni contenuti nei piani adottati ai sensi dell'art. 4 del D.P.R. 203/1988.
[10] Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità, pubblicata nella G.U.C.E. 27 ottobre 2001, n. L 283 ed entrata in vigore il 27 ottobre 2001. Si ricorda che è stata emanata la nuova direttiva 2009/28/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE. La legge comunitaria 2009, che ha recentemente concluso il suo iter parlamentare ed è in attesa di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, all’articolo 17 reca i principi e criteri direttivi per il suo recepimento nell’ordinamento nazionale.
[11] D.Lgs. 29 dicembre 2003 n. 387, Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità.
[12] Tale Osservatorio è stato istituito dall’articolo 16 del D.Lgs. 387/2003 e svolge attività di monitoraggio e consultazione sulle fonti rinnovabili e sull'efficienza negli usi finali dell'energia. è composto da non più di venti esperti della materia di comprovata esperienza. Con il decreto 16 dicembre 2004 (non pubblicato in Gazzetta Ufficiale) si è provveduto alla nomina dei componenti e all’organizzazione organizzazione dell'attività dell'Osservatorio. Le spese per il funzionamento dell'Osservatorio, trovano copertura, nel limite massimo di 750.000 euro all'anno, sulle tariffe per il trasporto dell'energia elettrica, secondo modalità stabilite dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas.
[13] Attuazione della direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica.
[14] Il citato decreto definisce “fonti rinnovabili” le fonti energetiche rinnovabili non fossili (eolica, solare, geotermica, del moto ondoso, maremotrice, idraulica, biomasse, gas di discarica, gas residuati dai processi di depurazione e biogas). In particolare, per biomasse si intende: la parte biodegradabile dei prodotti, rifiuti e residui provenienti dall'agricoltura (comprendente sostanze vegetali e animali) e dalla silvicoltura e dalle industrie connesse, nonché la parte biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani.
[15] Si ricorda che per assolvere all’obbligo, posto a carico dei produttori ed importatori di energia elettrica prodotta da fonti non rinnovabili, di immettere nella rete elettrica una quota minima di elettricità prodotta da impianti alimentati da fonti rinnovabili, possono essere utilizzati i certificati verdi. L’articolo 27, comma 18, della legge 99/2009 trasferisce tale obbligo, a decorrere dal 2011 (data differita al 2012 dal decreto-legge 135/2009), dai produttori e importatori ai soggetti che concludono con la società Terna Spa (responsabile del servizio di dispacciamento) uno o più contratti di dispacciamento di energia elettrica in prelievo. A partire da tale data, quindi, la quota obbligatoria di produzione di energia da fonti rinnovabili sarà calcolata sul consumo e non più in base alla produzione e all'import come precedentemente previsto. Peraltro il decreto-legge 20 maggio 2010, n. 72, recante misure urgenti per il differimento di termini in materia ambientale e di autotrasporto, nonché per l’assegnazione di quote di emissione di CO2, incorso di conversione (A.C. 3496), all’articolo 2, comma 3, provvede all’abrogazione di tale disposizione.
[16] P. Masciocchi, Codice ambientale: novità su via, vas, ippc ed emissioni in atmosfera(www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com/professioni24/ediliziaambiente/ambienteenergia/news/CodiceAmbientale.html).
[17] T. Lani, Alcune criticità delle procedure di autorizzazione alle emissioni in atmosfera previste dal D.Lgs. 152/06(www.simoline.com/clienti/dirittoambiente/file/vari_articoli_138.pdf).
[18] T. Lani, Alcune criticità delle procedure di autorizzazione alle emissioni in atmosfera previste dal D.Lgs. 152/06(www.simoline.com/clienti/dirittoambiente/file/vari_articoli_138.pdf).
[19] Il termine di sette anni è stato introdotto dal che ha prorogato di 2 anni il termine previsto in precedenza, che a sua volta derivava da una proroga del termine inizialmente previsto.
[20] Il testo della sentenza è disponibile nel sito della Corte costituzionale, all’indirizzo internet www.cortecostituzionale.it/giurisprudenza/pronunce/scheda_indice.asp?sez=indice&Comando=LET&NoDec=250&AnnoDec=2009&TrmD=&TrmM.
[21] L’elenco è disponibile all’indirizzo www.bosettiegatti.com/info/norme/statali/1982_dm1602.htm .
[22] Direttiva 96/61/CEE sulla prevenzione e la riduzione integrate dell'inquinamento (direttiva IPPC); direttiva 2001/80/CE sui grandi impianti di combustione; direttiva 2000/76/CE sull’incenerimento dei rifiuti; la direttiva 1999/13/CE sulle emissioni dei solventi; tre direttive relative ai rifiuti provenienti dell'industria del biossido di titanio (1978/176/CEE, 1982/883/CEE) 1992/112/CEE).
[23] BREF: European BAT Reference Documents