Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento istituzioni
Titolo: Procedure per il riconoscimento dello status di rifugiato - Schema di D.Lgs. n. 4 - (art. 1, co. 3 e 5, e art. 12, L. 13/2007) - Schede di lettura - Seconda edizione
Riferimenti:
SCH.DEC 4/XVI     
Serie: Atti del Governo    Numero: 3
Data: 25/06/2008
Descrittori:
PROFUGHI E RIFUGIATI     
Organi della Camera: I-Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni


 

Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

SERVIZIO STUDI

 

Atti del Governo

Procedure per il riconoscimento
dello status di rifugiato

Schema di D.Lgs. n. 4

(art. 1, co. 3 e 5, e art. 12, L. 13/2007)

 

 

 

 

n. 3

Seconda edizione

 

25 giugno 2008

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DIPARTIMENTO istituzioni

SIWEB

Hanno partecipato alla redazione del dossier l'Ufficio Rapporti con l'Unione europea e l’Avvocatura, Osservatorio sulle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo.

 

I dossier dei servizi e degli uffici della Camera sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.

 

File: ac0098.doc

 

 


INDICE

Schede di lettura

Il quadro normativo  3

§      Diritto di asilo e status di rifugiato  3

§      Il D.Lgs. 25/2008  5

§      Documenti all’esame delle istituzioni dell’Unione europea (a cura dell'Ufficio Rapporti con l'Unione europea)17

§      Procedure di contenzioso (a cura dell'Ufficio Rapporti con l'Unione europea)19

§      Elementi per la valutazione di compatibilità con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo (a cura dell’Avvocatura, Osservatorio sulle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo)20

Lo schema di decreto legislativo  23

Testo a fronte: modificazioni apportate al D.Lgs. n. 25 del 2008 dallo schema di decreto legislativo n. 4  29

§      D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286. Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero (artt. 10, 13, 14, 19)44

§      D.P.R. 16 settembre 2004, n. 303. Regolamento relativo alle procedure per il riconoscimento dello status di rifugiato  58

§      D.Lgs. 30 maggio 2005, n. 140. Attuazione della direttiva 2003/9/CE che stabilisce norme minime relative all'accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri (art. 11)67

§      Legge 6 febbraio 2007, n. 13. Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee - Legge comunitaria 200 (artt. 1, 12)68

§      D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25. Attuazione della direttiva 2005/85/CE recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato.70

Normativa comunitaria

§      Dir. 2005/85/CE del 1° dicembre 2005. Direttiva del Consiglio recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato  87

Atti del Consiglio d’Europa

§      Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (Firmata a Roma il 4 novembre 1950) (artt. 3 e 13; art. 2 del Protocollo n. 4 e art. 1 del Protocollo n. 7)113

 


Schede di lettura

 


Il quadro normativo

Diritto di asilo e status di rifugiato

Il diritto di asilo è tra i diritti fondamentali dell’uomo riconosciuti dal nostro ordinamento.

L’articolo 10, terzo comma, della Costituzione prevede, infatti, che lo straniero, al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche, ha diritto di asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge.

Anche se i due termini sono spesso usati come sinonimi, l’istituto del diritto di asilo non coincide con quello del riconoscimento dello status di rifugiato, per il quale non è sufficiente che nel Paese di origine siano generalmente conculcate le libertà fondamentali, ma il singolo richiedente deve aver subito, o avere il fondato timore di poter subire, specifici atti di persecuzione.

Il dettato costituzionale sul diritto di asilo non è stato attuato, mancando ancora una legge organica che ne stabilisca le condizioni di esercizio, anche se la giurisprudenza ha stabilito la possibilità di riconoscere il diritto di asilo allo straniero anche in assenza di una disciplina apposita[1].

Il riconoscimento dello status di rifugiato è, invece, entrato nel nostro ordinamento con l’adesione alla Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951[2], che definisce lo status di rifugiato, e alla Convenzione di Dublino del 15 giugno 1990, sulla determinazione dello Stato competente per l’esame di una domanda di asilo presentata in uno degli Stati membri della Comunità europea[3].

 

L’articolo 32 della Convenzione di Ginevra prevede espressamente il divieto di espulsione del rifugiato che risieda regolarmente nel territorio di uno degli Stati contraenti se non per motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico. In tali casi, il rifugiato dovrà essere messo comunque in condizione di far valere le proprie ragioni e gli dovrà essere accordato un periodo di tempo per cercare di essere ammesso in un altro Paese.

Il principio del divieto di espulsione è stato recepito nel testo unico sull’immigrazione[4] (art. 19) dove si fa divieto di procedere all’espulsione ed al respingimento se nello Stato verso cui lo straniero è estradato, egli può essere oggetto di persecuzione “per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali”.

Secondo quanto stabilisce la Convenzione di Dublino, gli Stati membri si impegnano affinché la domanda di asilo loro presentata da parte di qualsiasi straniero sia esaminata dallo Stato competente (i criteri di individuazione della competenza sono indicati dagli artt. 5-8 della Convenzione) in conformità alla sua legislazione ed agli obblighi internazionali. È sancito il diritto da parte di ogni Stato membro di prendere in esame la domanda di asilo, liberando quindi lo Stato competente.

Lo Stato competente ha l’obbligo:

§         di accettare il richiedente asilo che abbia presentato domanda in altro Stato membro o di riammetterlo se si trova irregolarmente in altro Stato membro;

§         di condurre a termine l’esame della domanda.

§         Gli Stati membri hanno poi l’obbligo:

§         di procedere a scambi reciproci riguardanti la legislazione nazionale e i dati statistici relativi al numero dei richiedenti asilo;

§         di comunicare a qualsiasi altro Stato membro che ne faccia domanda le informazioni di carattere personale necessarie per determinare lo Stato competente per l’esame della domanda e l’esecuzione degli obblighi derivanti dalla Convenzione, ovvero (previo consenso dell’interessato) i motivi invocati dal richiedente a sostegno della domanda e della decisione presa nei suoi confronti.

 

Nella XV legislatura la materia ha avuto una regolamentazione dettagliata ad opera di due decreti legislativi, il n. 251/2007[5] e il n. 25/2008[6], entrambi di recepimento della normativa comunitaria: il primo della direttiva 2004/83/CE (la cosiddetta direttiva “qualifiche”), il secondo della direttiva 2005/85/CE (cosiddetta direttiva “procedure”).

 

La nuova disciplina ha sostituito pressoché integralmente quella recata dal D.L. 416/1989[7] (la cosiddetta “legge Martelli”) che originariamente aveva ad oggetto sia la condizione giuridica degli immigrati, sia dei rifugiati. Nel 1998 la parte relativa all’immigrazione è stata abrogata e sostituita dal testo unico sull’immigrazione. Della legge Martelli rimaneva in vigore unicamente la parte concernente i rifugiati, contenuta nell’art. 1, successivamente modificato dalla L. 189/2002[8].

 

I due decreti legislativi affrontano aspetti diversi della materia: il D.Lgs. 251/2007 disciplina, da un lato, l’insieme dei diritti e delle prerogative di coloro che hanno ottenuto lo status di rifugiato o il riconoscimento della protezione sussidiaria e, dall’altro, le norme minime relative alla loro attribuzione: criteri e modalità di valutazione della domanda, requisiti per il riconoscimento dello status (fra cui l’individuazione degli atti e dei motivi di persecuzione da considerare ai fini del riconoscimento), criteri per l’esclusione o la cessazione dello status.

Queste ultime disposizioni, sono strettamente collegate con l’oggetto principale del D.Lgs. 25/2008, ossia i procedimenti di presentazione ed di esame della domanda di protezione, nonché le procedure di revoca e cessazione della protezione e le garanzie attribuite al richiedente in ogni fase del procedimento. Il decreto, inoltre, regolamenta i procedimenti e le modalità di impugnazione delle decisioni da parte del richiedente asilo.

 

Come accennato, una parte residuale della legge Martelli rimane in vigore: si tratta del sistema di accoglienza e protezione, sia dei richiedenti asilo, sia dei rifugiati che continua a trovare fondamento negli articoli 1-sexies (sistema di protezione) e 1-septies (finanziamento del sistema di protezione) del D.L. 416/1989, introdotti dalla legge “Bossi-Fini”.

Il D.Lgs. 25/2008

Il D.Lgs. 25/2008 disciplina le procedure per l’attribuzione dello status di rifugiato; composto di 41 articoli. Esso si suddivide nei seguenti sei capi:

§      Capo I: Disposizioni generali (artt. 1-5);

§      Capo II: Principi fondamentali e garanzie (artt. 6-25);

§      Capo III: Procedure di primo grado (artt. 26-32);

§      Capo IV: Revoca, cessazione e rinuncia della protezione internazionale (artt. 33 e 34);

§      Capo V: Procedure di impugnazione (artt. 35-36);

§      Capo VI: Disposizioni finali e transitorie (artt. 37-41).

Disposizioni generali

Il Capo I reca alcune disposizioni di carattere generale.

In primo luogo, l’articolo 1 (corrispondente agli articoli 1 e 3 della direttiva) delimita l’ambito di applicazione del provvedimento: le procedure per l’esame delle domande di protezione internazionale. Viene specificato che si tratta delle domande presentate nel territorio nazionale da cittadini non appartenenti all’Unione europea o da apolidi. Il provvedimento reca, inoltre, le procedure per la revoca e la cessazione degli status riconosciuti e quelle per l’impugnazione delle decisioni.

Da rilevare, innanzitutto, che il legislatore delegato ha scelto di applicare una “procedura unica” a tutte le forme di protezione internazionale, attivando l’opzione prevista dalla direttiva 2005/85: questa, infatti, si applica obbligatoriamente alle sole domande di asilo (art. 3, co. 1). Il comma 4 del medesimo art. 3, prevede la possibilità per gli Stati membri di decidere di applicare la stessa procedura ad altre forme di protezione internazionale.

Nella terminologia comunitaria, la protezione internazionale comprende sia il riconoscimento dello status di rifugiato ai sensi della convenzione di Ginevra, sia la protezione sussidiaria, prevista per coloro che, pur non avendo i requisiti necessari per essere riconosciuti rifugiati, non possono comunque essere rimpatriati perchè esposti a gravi rischi.

L’articolo 2 contiene le definizioni utilizzate nel provvedimento che coincidono in parte con quelle dell’articolo 2 della direttiva.

Gli articoli 3, 4 e 5 danno attuazione all’art. 4 della direttiva che prevede la designazione di una autorità nazionale competente per l’esame delle domande di asilo.

In particolare, l’articolo 3 individua tre livelli di competenze in materia (un quarto livello è indicato nell’articolo 5) riproducendo sostanzialmente la situazione prevista dalla disciplina anteriore.

Innanzitutto, le autorità competenti a ricevere le istanze di protezione sono gli uffici della polizia di frontiera e le questure secondo le modalità indicate dall’art. 26 (comma 2).

La decisione relativa alla determinazione dello Stato competente all’esame della domanda, ai sensi del regolamento (CE) 343/2003 spetta all’Unità Dublino, istituita in attuazione dell’art. 22 del citato regolamento 343, che appunto prevede l’istituzione di una autorità competente in materia (comma 3). Si tratta di un ufficio operante presso il Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Ministero dell’interno, ed in particolare nell’Ufficio III della Direzione centrale dei servizi civili per l’immigrazione e l’asilo, una delle articolazioni del Dipartimento.

L’esame delle domande è materialmente svolto dalle Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale (comma 1).

Si tratta delle Commissioni territoriali per il riconoscimenti dello status di rifugiato – che assumono la nuova denominazione in virtù del principio di uniformità della procedura di esame delle domande di protezione (vedi art. 1) – istituite dalla L. 189/2002, attraverso l’introduzione dell’art. 1-quater nella legge Martelli.

L’articolo in esame conferma in larga parte la disciplina previgente delle Commissioni territoriali, con alcune significative differenze. Innanzitutto, viene fissato il numero massimo delle Commissioni pari a dieci[9]. L’individuazione delle sedi spetta al ministro dell’interno. La competenza relativa alla nomina dei componenti, invece, viene trasferita dal ministro dell’interno, che mantiene un potere di proposta, al Presidente del Consiglio.

La struttura della Commissione rimane inalterata; essa è composta da quattro membri: un prefetto che la presiede, un funzionario della Polizia di Stato, un rappresentante degli enti territoriali e un rappresentante dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (ACNUR). A questi può aggiungersi un rappresentante del Ministero degli affari esteri in presenza di particolari afflussi di richiedenti protezione internazionale.

Le Commissioni si avvalgono del supporto organizzativo del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Ministero dell’interno.

L’articolo 5 disciplina il quarto organismo competente in materia, la Commissione nazionale per il diritto di asilo, in termini analoghi a quanto previsto dall’articolo 1-quinquies del D.L. 416/1989 (ora soppresso) e dagli artt. 18-20 del D.P.R. 303/2004[10]. Viene confermato, in particolare il ruolo di organo di indirizzo e di coordinamento delle Commissioni territoriali, oltre all’importante compito di decidere in materia di revoca e cessazione degli status di protezione internazionale riconosciuti.

Garanzie del richiedente asilo

Il Capo II contiene prevalentemente disposizioni volte alla tutela del richiedente asilo, oltre ad alcuni principi di carattere generale.

Innanzitutto, viene disciplinato l’accesso alla procedura prevedendo che la domanda di protezione è presentata dall’interessato presso l’ufficio di frontiera, al momento dell’ingresso nel territorio dello Stato, oppure presso la questura (art. 6). Viene specificato che la domanda deve essere presentata personalmente dal richiedente, non attuando così la disposizione della direttiva (art. 6, co. 3) che prevede, in via facoltativa, la possibilità di consentire al richiedente di presentare domanda anche per conto delle persone a suo carico. Parimenti, non viene contemplata l’ipotesi di presentazione di domanda di asilo da parte dei minori per proprio conto (art. 6, co. 4, lett. a) della direttiva): per essi vale la domanda presentata dai genitori; ai minori non accompagnati è consentito l’accesso alla procedura secondo le modalità dell’articolo 17.

L’articolo 7 sancisce il principio che il richiedente ha diritto a rimanere nel territorio nazionale per tutto il tempo necessario all’esame della domanda. La permanenza è finalizzata unicamente allo svolgimento della procedura, anche se viene fatto salvo il diritto del richiedente di svolgere una attività lavorativa nel caso in cui la decisione sulla domanda di asilo non venga adottata entro sei mesi dalla presentazione, senza che il ritardo possa essere attribuito al medesimo richiedente asilo (come stabilito dal D.Lgs. 140/2005, art. 11, di attuazione della direttiva n. 9 del 2003)[11].

Il diritto di permanenza non è riconosciuto nei seguenti casi:

§      mandato di arresto europeo;

§      consegna ad un Tribunale penale internazionale;

§      avviamento verso un altro Stato competente per l’esame dell’istanza[12].

L’articolo 8 stabilisce che le domande non possono essere respinte o non esaminate per il solo fatto di non essere state presentate tempestivamente, e che le domande devono essere esaminate in modo obiettivo ed approfondito.

Le decisioni devono essere comunicate per iscritto e le decisioni negative devono essere adeguatamente motivate (articolo 9).

Ai sensi dell’articolo 10 sono definite una serie di garanzie a tutela del richiedente asilo che ricalcano quelle dell’articolo 10 della direttiva: informazione adeguata al richiedente sulla procedura da seguire e sull’esito della domanda, possibilità di comunicare con l’ACNUR, assistenza di interpreti. Si tratta, in larga parte, di disposizioni già presenti nel nostro ordinamento (si veda in particolare l’art. 2, co. 6, art. 3, co. 3, art. 4 del D.P.R. 303/2004).

A sua volta, il richiedente è tenuto a rispettare alcuni obblighi (articolo 11): cooperare con le autorità, comunicare i propri cambiamenti di residenza o domicilio e, in generale, agevolare il compimento degli “accertamenti previsti dalla legislazione in materia di pubblica sicurezza”. Con tale ultima espressione, si è inteso presumibilmente dare attuazione all’articolo 11, paragrafo 2, lettere d), e) ed f) della direttiva che prevedono la possibilità di perquisire e fotografare il richiedente e di registrarne le dichiarazioni.

Gli articoli12, 13 e 14 disciplinano il colloquio personale che il richiedente può sostenere davanti alla commissione territoriale. Si tratta di una delle fasi centrali del procedimento di esame delle domande di protezione regolate dagli articoli 12, 13 e 14 della direttiva (e dall’articolo 16 per quanto riguarda la presenza di un avvocato al colloqui) le cui disposizioni sono sostanzialmente riprese nel provvedimento in esame ed integrate con quelle previgenti contenute prevalentemente nell’art. 1-quater del D.L. 416/1989 e negli artt. 13 e 14 del D.P.R. 303/2004.

L’articolo 15 affida alla Commissione nazionale il compito di curare la formazione e l’aggiornamento dei propri componenti e di quelli delle commissioni territoriali come prescritto dall’art. 4, co. 3 della direttiva. Compito già previsto dall’art. 1-quinquies del decreto legge 416/1989.

Il decreto prevede ulteriori garanzie in favore del richiedente asilo, quali il diritto all’assistenza legale e, nel caso di ricorso, al gratuito patrocinio (articolo 16)[13], il diritto all’accesso alle informazioni relative alla procedura (articolo 17), il diritto all’accesso agli atti amministrativi e più in generale alle tutele connesse all’azione amministrativa (articolo 18).

 

Riguardo a quest’ultimo aspetto, il decreto amplia la portata del grado di tutela previsto dalla direttiva, estendendo ai richiedenti asilo l’applicazione di alcune forme di garanzia dei cittadini italiani nei confronti dell’attività amministrativa contemplati dalla L. 241/1990[14], quali l’obbligo di conclusione e di motivazione del procedimento (artt. 2 e 3), l’obbligo di individuare un responsabile del procedimento (artt. 5 e 6), la possibilità dell’interessato (ma non anche di soggetti terzi quali associazioni e comitati) di partecipare al procedimento (artt. 7, 8 e 10), il diritto all’acceso agli atti (capo V). Al procedimento si applicano anche le norme generali relative all’efficacia ed invalidità del provvedimento amministrativo (capo IV-bis della L. 241/1990).

 

Una speciale tutela è assicurata ai minori non accompagnati (articolo 19) ai quali deve essere garantita l’assistenza del tutore (nominato secondo le procedure del codice civile, art. 343 e seguenti) in ogni fase del procedimento. In caso di dubbio sull’età, il richiedente può essere sottoposto, previo consenso, ad accertamenti medici. Il mancato consenso non pregiudica il proseguimento della procedura, né il suo esito.

Accoglienza e trattenimento

Gli articoli 20, 21 e 22 disciplinano il trattenimento del richiedente asilo nel periodo necessario all’esame della domanda.

In proposito, la direttiva (art. 18) si limita a stabilire il principio che il richiedente asilo non deve essere trattenuto per il solo fatto di aver presentato istanza. Questo principio, del resto già presente nella disciplina previgente (art. 1-bis, co. 1, del D.L. 416/1989) viene recepito dal decreto legislativo (art. 20, co. 1) che, inoltre, disciplina in modo dettagliato le modalità di trattenimento.

Viene mantenuta la distinzione in precedenza prevista dal D.L. 416/1989 (art. 1-bis) tra coloro che fanno richiesta di asilo dopo essere stati oggetto di un provvedimento di espulsione, da trattenere nei centri di permanenza temporanea e assistenza (CPTA) e gli altri richiedenti da trattenere nei centri di accoglienza.

Al sistema sopra delineato sono apportate alcune significative modificazioni.

Innanzitutto, viene separata nettamente l’ipotesi di accoglienza da quella del trattenimento.

Nel primo caso (articolo 20), i richiedenti vengono ospitati nei centri di accoglienza richiedenti asilo (che sostituiscono i centri di identificazione in precedenza previsti) quando si verificano le seguenti condizioni:

§      necessità di determinare l’identità o la nazionalità del richiedente;

§      presentazione della richiesta da parte di coloro che sono stati fermati dalla forza pubblica per aver eluso i controlli di frontiera o per essere in condizioni di soggiorno irregolare;

§      presentazione della richiesta da parte di coloro che sono stati oggetto di un provvedimento di espulsione amministrativa per due specifiche cause: ingresso clandestino e trattenimento nel territorio nazionale senza aver fatto richiesta del permesso di soggiorno (art. 13, co. 2, lett. a) e b), del testo unico sull’immigrazione, D.Lgs. 286/1998);

§      presentazione della richiesta da parte di coloro che sono stati respinti alla frontiera (art. 10, D.Lgs. 286/1998).

Rispetto alla normativa previgente, non vengono più accolti nei centri coloro per i quali è necessario verificare gli elementi su cui si basa la domanda e coloro nei cui confronti è pendente un procedimento relativo al riconoscimento del diritto ad essere ammesso nel territorio dello Stato (art. 1-bis, co. 1, lett. b) e c), del D.L. 416/1989.

La differenza maggiore però consiste nel destinare ai centri di accoglienza gli espulsi (nelle fattispecie viste sopra) e i respinti alla frontiera che, ai sensi delle norme previgenti, dovevano sessere trattenuti nei CPTA.

Inoltre, si introduce una differenziazione dei tempi massimi di permanenza nei centri di accoglienza: il termine previgente di 20 giorni (art. 3, co. 1, D.P.R. 303/2004) è mantenuto solamente nell’ipotesi di dover accertare l’identità del richiedente, mentre per tutti gli altri casi visti sopra il termine è prolungato a 35 giorni, ferma restando una minore permanenza nel caso intervenga nel frattempo la decisione sull’istanza. Decorso tale periodo senza che la procedura si sia conclusa al richiedente è rilasciato un permesso di soggiorno temporaneo di tre mesi, eventualmente rinnovabile.

 

L’articolo 21 disciplina i casi di trattenimento presso i CPTA dove affluiscono:

§      coloro che sono esclusi dai benefici della Convenzione di Ginevra, perchè macchiatesi di gravi reati (crimini di guerra, contro l’umanità)[15];

§      coloro che sono stati condannati per uno dei delitti per i quali è previsto l’arresto in flagranza (art. 380 codice procedura penale) o per reati particolarmente gravi quali quelli di droga, immigrazione clandestina, prostituzione;

§      coloro che sono destinatari di un provvedimento di espulsione diverso da quelli esaminati sopra e derivanti da più gravi motivi: si tratta dell’espulsione disposta dal Ministro dell’interno per motivi di ordine pubblico (art. 13, co. 1, del testo unico in materia di immigrazione), espulsione disposta per i delinquenti abituali o per gli indiziati di mafia (art. 13, co. 2, lett. c), del testo unico), per motivi di prevenzione del terrorismo (art. 3, D.L. 144/2005[16]), espulsione disposta dall’autorità giudiziaria (artt. 235 e 312 c.p., artt. 15 e 16 del testo unico);

È comunque garantito l’accesso ai CPTA dei rappresentanti dell’ACNUR, degli avvocati e dei rappresentanti degli organismi di tutela dei rifugiati autorizzati dal Ministero dell’interno.

L’articolo 22, al comma 2, stabilisce che l’allontanamento dai centri di accoglienza o di trattenimento senza giustificato motivo fa cessare le condizioni di accoglienza e fa sì che la commissione territoriale decide la domanda sulla base della documentazione in suo possesso. Viene, dunque, abolito l’automatismo che consentiva di considerare l’allontanamento non autorizzato quale rinuncia della domanda (art. 1-ter, co. 4, D.L. 416/1989). Conseguentemente non viene recepito l’art. 20 della direttiva che disciplina l’ipotesi di ritiro implicito della domanda.

È invece considerata la rinuncia esplicita: l’articolo 23 disciplina le conseguenze del ritiro della domanda di asilo, prevedendo in tal caso l’estinzione del procedimento, mentre la direttiva offre un’alternativa tra la sospensione e il respingimento (art. 19).

L’articolo 24 consente all’ACNUR l’accesso alle strutture di accoglienza e il potere di svolgere attività di consulenza e supporto al Ministero dell’interno, alla commissione nazionale e alle commissioni territoriali a richiesta del Ministero dell’interno[17].

Infine, l’articolo 25 vieta l’acquisizione di informazioni dai presunti responsabili delle persecuzioni ai danni del richiedente, e, nel contempo, la diffusione di informazioni sul conto del richiedente che possano nuocergli.

La procedura di esame delle domande

L’articolo 26 disciplina le operazioni preliminari della procedura di esame, disponendo, in particolare, che la presentazione della domanda può avvenire indifferentemente all’ufficio di polizia di frontiera o alla questura[18]. L’attività istruttoria è compiuta comunque dal questore che dispone anche l’eventuale trattenimento nel caso ricorrano le condizioni sopra esaminate.

Nel caso di domanda presentata da minori non accompagnati è lo stesso questore che ne dà comunicazione al Tribunale dei minorenni per la nomina del tutore ai sensi dell’art. 343 del codice civile e per il suo inserimento nelle strutture di accoglienza, così come già previsto dall’art. 2, co. 5, del D.P.R. 303/2004.

L’articolo 27 introduce la disciplina relativa alla procedura vera e propria dell’esame delle domande di protezione.

Viene accolto il sistema delineato dall’articolo 23 della direttiva basato su due tipi di procedura: una ordinaria e una prioritaria o accelerata (facoltativa) che si distingue dalla prima per tempi di esame più brevi. Tale struttura del resto era già presente nella normativa previgente (D.L. 416/1989) che prevedeva una procedura ordinaria (art. 1-quater) e una semplificata (art. 1-ter).

Il comma 1 dell’articolo 27 affida alle commissioni territoriali il compito di esaminare le domande di asilo, nel rispetto dei principi e delle garanzie indicate nel Capo II.

I tempi di esame per la procedura ordinaria (comma 2) sono quelli già previsti dalla normativa in precedenza: entro 30 giorni dal ricevimento della domanda la commissione territoriale competente provvede al colloquio e nei successivi 3 giorni decide. Tali termini tuttavia possono essere derogati se sopravvenga l’esigenza di acquisire nuovi elementi: in tal caso devono esserne informati il richiedente e la questura competente (comma 3).

La procedura accelerata (definita esame prioritario dall’articolo 28) si attiva in tre ipotesi[19]:

§      domanda palesemente fondata;

§      domanda presentata da persone appartenenti ad una delle categorie vulnerabili individuate dal D.L. 140/2005 (minori, anziani, disabili, donne in stato di gravidanza, genitori singoli con figli minori, persone che hanno subito violenze gravi);

§      domanda presentata dai richiedenti che rientrano nelle categorie di cui agli articoli 20 e 21, ossia coloro che sono avviati ai centri di accoglienza (ad eccezione di coloro che devono essere semplicemente identificati) o ai CPTA.

La tipologia di casi per i quali si attiva la procedura prioritaria differisce radicalmente dal sistema precedente, che prevedeva la procedura semplificata in due ipotesi: accertamento dell’identità e verifica degli elementi su cui si basa la domanda di asilo (art. 1-bis, co. 1, lett. a) e b) del D.L. 416/1989. Un’altra importante differenza risiede nei tempi di esame: nella disciplina previgente erano fissati in 15 giorni per il colloquio e in 3 giorni per la decisione. L’articolo in esame invece non dà indicazioni sui tempi di esame (condizione del resto non richiesta dalla direttiva) ma si limita a precisare che le domande con le caratteristiche di cui sopra devono essere esaminate in via prioritaria. Fanno eccezione le domande presentate dagli espulsi avviati ai CPTA, per i quali sono previsti tempi brevissimi: 7 giorni per il colloquio e 2 per la decisione.

In qualsiasi fase del procedimento il richiedente può inviare ulteriore documentazione alla commissione (articolo 31).

L’articolo 29 disciplina i casi di inammissibilità delle domande. Mentre l’articolo 30prevede la sospensione dell’esame delle domande per le quali è in corso la decisione in merito allo Stato competente (ai sensi del regolamento  (CE) n. 343/2003).

Dei sette casi indicati dalla direttiva come possibili cause di inammissibilità (o più precisamente di irricevibilità come definiti dalla direttiva), il decreto legislativo ne considera solamente due:

§      le domande presentate da chi è stato già riconosciuto rifugiato da uno Stato firmatario della convenzione di Ginevra (la direttiva limita tale ipotesi ai soli Stati dell’Unione europea, art. 25, paragrafo 2, lett. a));

§      le reiterazioni di identica domanda senza nuovi elementi.

Due delle altre ipotesi non considerate dal legislatore delegato, riguardano la irricevibilità delle domande di coloro che già godono della protezione di un Paese definito Paese di primo asilo oppure provengono da un paese terzo sicuro.

Queste ultime due fattispecie (la cui applicazione non è obbligatoria per gli Stati membri) sono disciplinate dagli articoli 26 e 27 della direttiva e non sono recepiti dal decreto. Sinteticamente, si tratta di due elenchi, redatti da ciascun Paese membro, contenenti, rispettivamente, i Paesi che per primi hanno dato asilo (o una qualche altra forma di protezione adeguata) ai richiedenti e i Paesi di provenienza dei richiedenti che il Paese membro dove è stata presentata la domanda di asilo considera sicuri. La redazione dei due elenchi è sottoposta ad alcune norme dettagliate, e consente ai Paesi membri che scelgono di adottarli di considerare non ricevibili le istanze presentate da persone provenienti da quei Paesi.

Come si è detto, il legislatore delegato italiano ha scelto di non attivare questo meccanismo. Un diverso discorso deve farsi in relazione ad una terza fattispecie introdotta dalla direttiva, il concetto di Paese di origine sicuro, il cui recepimento apparirebbe invece obbligatorio.

L’articolo 29 della direttiva, infatti, prevede la redazione da parte del Consiglio dell’Unione europea di un elenco comune minimo di Paesi terzi considerati Paesi di origine sicuri. Elenco che può essere integrato da ciascun Paese membro secondo le modalità viste sopra. Ai sensi del successivo articolo 31 della direttiva, se un cittadino di uno dei Paesi dell’elenco comune presenta istanza di asilo, questa deve essere necessariamente respinta (o meglio considerata infondata), a meno che il richiedente non invochi gravi motivi relativi alla condizione personale del richiedente stesso in quel Paese, che inducano a non ritenerlo sicuro.

Si segnala, peraltro, che recentemente la Corte di giustizia delle comunità europee (sen. 6 maggio 2008, C-133/06) ha annullato l’art. 29, co. 1 e 2 e art. 36, co. 3, della direttiva 2005/85/CE, censurando la procedura di adozione dell’elenco dei Paesi di origine sicuro che prevede la decisione del Consiglio previa “consultazione” del Parlamento europeo, in luogo della “co-decisione”.

La definizione di Paese di origine sicuro, operata mediante un mero riferimento all’art. 29 della direttiva, è contenuta nell’art. 2, co. 1, lett. m), del decreto, e un riferimento indiretto a tale concetto è contenuto nel successivo articolo 32 che regola la fase finale del procedimento, ossia quello della decisione.

La commissione territoriale, fatto salvo il caso di ritiro della domanda (art. 23), di inammissibilità della stessa (art. 29), o di sospensione in caso di dubbio sullo Stato competente a decidere (art. 30), deve adottare una delle seguenti decisioni (art. 32):

§      riconoscere lo status di rifugiato o la protezione sussidiaria;

§      rigettare la domanda qualora non sussistano i presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale indicati nel D.Lgs. 251/2007, oppure in caso di cessazione o esclusione dalla protezione ivi previste.

Il comma 2 stabilisce che il solo fatto che un richiedente asilo provenga da un Paese di origine sicuro, non deve necessariamente determinare il respingimento della domanda senza averla esaminata alla luce dei motivi addotti dal richiedente per non ritenere sicuro quel Paese nelle circostanze specifiche in cui egli si trova. Si tratta di una disposizione che recepisce il contenuto di parte dell’articolo 31 della direttiva, descritto sopra. Il decreto di recepimento aggiunge la specificazione che i gravi motivi di cui sopra possono comprendere anche gravi discriminazioni e repressioni di comportamenti che pur risultando oggettivamente perseguibili nel Paese di origine, non costituiscono reato per l’ordinamento italiano.

Queste precisazioni sono dovute ad uno specifico criterio direttivo contenuto nella legge di delega.

 

L’articolo 12 della legge comunitaria 2006 ha introdotto un principio e criterio direttivo – ulteriore rispetto a quelli di carattere generale indicati nell’art. 2 della medesima legge comunitaria – che il Governo è tenuto a seguire nell’esercizio della delega per l’attuazione della direttiva 2005/85/CE. Esso prevede che la domanda di asilo non possa essere dichiarata infondata solamente perché il richiedente asilo sia cittadino di un paese sicuro, secondo l’elenco definito dal Consiglio[20]. Bisognerà, infatti, verificare che non siano stati invocati gravi motivi per non ritenere sicuro quel Paese in relazione alle circostanze specifiche in cui si trova il richiedente. Si tratta, quest’ultima, di una disposizione contenuta nell’art. 31 della direttiva. Tra i motivi di cui sopra possono essere comprese gravi discriminazioni e repressioni di comportamentiche, nel Paese di provenienza, risultano oggettivamente perseguiti, mentre nel nostro Paese non costituiscono reati.

L’obiettivo della disposizione è di inserire, tra gli elementi di valutazione nella decisione di accoglimento o rifiuto delle domande di asilo, la considerazione che il richiedente, pur provenendo da un Paese sicuro, può essere perseguito (non necessariamente in base ad una norma penale, ma comunque in base a disposizioni o atti concreti, oggettivamente individuabili) a causa di un fatto o comportamento che nel nostro ordinamento non è perseguibile (in quanto non costituisce reato). La norma non sembra però considerare tutti i fatti o i comportamenti perseguiti, bensì quelli la cui repressione lede diritti fondamentali (così potrebbe esser letta l’endiadi “gravi discriminazioni e repressioni di comportamenti […]”)[21].

 

L’articolo 33 disciplina il procedimento di revoca e cessazione della protezione internazionale secondo i principi degli articoli 37 e 38 della direttiva.

Infine, l’articolo 34 prevede la rinuncia espressa (ipotesi non contemplata dalla direttiva) allo status di rifugiato o di soggetto ammesso alla protezione sussidiaria che comporta la decadenza dal medesimo status.

Procedura di ricorso

Il Capo V attua l’articolo 39della direttiva che riconosce al richiedente asilo il diritto a ricorrere davanti al giudice nei confronti delle decisioni relative alla sua domanda.

L’articolo 35 prevede infatti la possibilità di impugnare:

§      la decisione della commissione territoriale relativa all’accoglimento o il rigetto della domanda;

§      la decisione di accordare la protezione sussidiaria in luogo dello status di rifugiato;

§      la decisione sulla revoca o cessazione della protezione internazionale;

§      il provvedimento di inammissibilità della domanda.

In quest’ultima ipotesi, e nel caso di decisione successiva all’abbandono del richiedente del centro di accoglienza o di permanenza, il ricorso non comporta la sospensione della decisione (tranne per decisione del tribunale cui è presentato il ricorso per gravi motivi); sospensione che, invece, scatta per le altre ipotesi.

Da rilevare che ai sensi della legislazione previgente, il ricorso in nessun caso poteva sospende automaticamente l’esecuzione del provvedimento di espulsione (ma il prefetto aveva la facoltà di autorizzare il richiedente a rimanere nel territorio nazionale, ai sensi dell’art. 1-ter, co. 6, del decreto legge 416/1989).

Il ricorso è presentato dinanzi al tribunale che ha sede nel capoluogo di distretto di corte d’appello dove ha sede la commissione territoriale che ha preso la decisione. La sentenza del tribunale può essere impugnata in secondo grado davanti alla Corte d’appello contro la cui decisione si può ricorrere in Cassazione.

Il nuovo sistema, interamente giurisdizionale, diverge radicalmente da quello precedente. Questo prevedeva un riesame di primo grado da parte della stessa commissione territoriale che ha emesso il provvedimento impugnato, pur se integrata da un componente la commissione nazionale, e un ricorso in secondo grado davanti al tribunale in composizione monocratica (art. 1-ter, co. 6, decreto legge 416/1989).

Ai sensi dell’articolo 36 i richiedenti che hanno fatto ricorso possono avere rinnovato il permesso di soggiorno se la decisione non interviene entro 6 mesi (ai sensi dell’art. 11 del D.Lgs., 140/2005). Inoltre, se sono ospitati nei centri di accoglienza rimangono nei medesimi centri, dove vengono anche trasferiti i richiedenti trattenuti nei CPTA che hanno ottenuto la sospensione del provvedimento impugnato.

Disposizioni finali

L’articolo 37 pone l’obbligo della riservatezza in merito alle informazioni ottenute nel corso del procedimento di esame delle domande.

Le modalità di attuazione della legge sono demandate (articolo 38) all’emanazione di uno o più regolamenti da emanare ai sensi dell’art. 17. co. 1, della L. 400/1988[22].

Documenti all’esame delle istituzioni dell’Unione europea
(a cura dell'Ufficio Rapporti con l'Unione europea)

In materia di asilo, l’obiettivo del programma dell’Aja[23], è l'instaurazione, entro il 2010, di una procedura comune e di uno status uniforme per i cittadini di paesi terzi che hanno ottenuto l'asilo o che, necessitando di protezione internazionale pur non potendo ottenere il beneficio dell'asilo, hanno ricevuto una protezione sussidiaria. Il regime sarà basato sulla piena applicazione della Convenzione di Ginevra del 1951 relativa allo status dei rifugiati e degli altri trattati pertinenti.

In particolare, dando seguito alle indicazioni espresse dal Consiglio europeo del 14-15 dicembre 2006[24], il 6 giugno 2007 la Commissione ha presentato un insieme di misure volte ad avviare la realizzazione del futuro regime comune europeo in materia di asilo, entro il 2010, in attuazione di quanto previsto dal Programma dell’Aja.

 

Le misure proposte della Commissione comprendono:

§         una relazione sulla valutazione del sistema di Dublino (COM(2007)299)[25];

§         il Libro verde sul futuro del regime comune europeo di asilo (COM(2007)301), inteso a stimolare il dibattito sul futuro del regime comune europeo in materia di asilo;

§         una proposta di direttiva (COM(2007)298), recante modifica della direttiva 2003/109/CE del 25 novembre 2003, relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo, al fine di estendere anche ai beneficiari di una protezione internazionale (ossia ai rifugiati e ai beneficiari di protezione sussidiaria) le prerogative che la vigente direttiva 2003/109/CE riconosce ai cittadini di paesi terzi, stabilitisi a titolo duraturo in uno Stato membro. Tale status, infatti, consente di godere di maggiore protezione contro un’eventuale espulsione, il diritto al medesimo trattamento riservato ai cittadini dell’UE in ordine a numerose questioni economiche e sociali nonché il diritto di risiedere in un altro Stato membro per motivi di lavoro, di studio o di altro tipo, alle condizioni stabilite nella direttiva. Tutti i cittadini provenienti da paesi terzi che risiedono nell’Unione europea per un lungo periodo di tempo e soddisfano determinate condizioni potranno quindi, in base alla proposta della Commissione, ricevere il medesimo trattamento.

La proposta, che segue la procedura di consultazione, è stata esaminata dal Parlamento europeo nella seduta del 23 aprile 2008. Il Consiglio Giustizia e Affari interni del 5-6 giugno 2008 ha svolto un dibattito sulla proposta nel corso del quale sono emerse divergenze tra le delegazioni in merito alla definizione del campo di applicazione della direttiva. Considerato che in quella sede non è stato possibile raggiungere l’unanimità necessaria per l’adozione della direttiva da parte del Consiglio, la Presidenza slovena ha deciso che i negoziati continueranno durante la Presidenza francese.

Il 26 novembre 2007, la Commissione ha presentato una relazione (COM(2007)745) sull’applicazione della direttiva 2003/9/CE, recante norme minime relative all'accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri, secondo la quale l’attuazione della direttiva negli Stati membri è avvenuta in modo complessivamente soddisfacente. La Commissione osserva tuttavia che l’ampia discrezionalità lasciata dalla direttiva agli Stati membri in alcuni settori  è di ostacolo all’obiettivo di creare condizioni uniformi di accoglienza. La Commissione si riserva di proporre modifiche della direttiva una volta esaminati i risultati del succitato Libro verde sul futuro regime comune europeo di asilo.

 

Per quanto riguarda l’Italia, la relazione evidenzia alcuni problemi relativi, in particolare, a:

§         campo di applicazione della direttiva: la direttiva non prevede eccezioni per quanto riguarda la sua applicabilità ai diversi luoghi destinati ad accogliere i richiedenti asilo; in Italia, contrariamente a questo principio, la direttiva non viene applicata ai centri di permanenza temporanea;

§         documentazione: la direttiva impone agli Stati membri di rilasciare ai richiedenti asilo un documento certificante il loro status entro tre giorni dalla richiesta: in Italia tali scadenze non sono rispettate nella pratica, nonostante la normativa nazionale le preveda chiaramente;

§         condizioni materiali di accoglienza: risultano non adeguate le condizioni d’accoglienza accordate ai richiedenti asilo in stato di trattenimento;

§         diritti dei minori in stato di trattenimento: contrariamente alle disposizioni della direttiva, in numerosi Stati membri, tra cui l’Italia, l’accesso all’istruzione dei minori in trattenimento è, nella pratica, molto limitato.

 

Il 21 giugno 2007 il Parlamento europeo ha approvato la risoluzione “Cooperazione pratica, qualità del processo decisionale del regime europeo comune in materia di asilo”.

 

In essa il Parlamento europeo tra l’altro:

§         ribadisce la necessità di una politica UE comune in materia di asilo, che sia proattiva e basata sull'obbligo di ammettere i richiedenti asilo e sul rispetto del principio del non respingimento; ricorda, in tale contesto, il ruolo fondamentale di una forte politica estera e di sicurezza comune, che promuova e salvaguardi la democrazia e i diritti fondamentali;

§         chiede di effettuare nei paesi di origine e di transito campagne di informazione che illustrino ai potenziali migranti i rischi dell'immigrazione illegale e le conseguenze del rifiuto dello status di rifugiato nonché le caratteristiche dell'immigrazione legale e la possibilità di chiedere asilo in casi giustificati, come pure i pericoli del traffico di esseri umani, in particolare di donne e minori non accompagnati;

§         chiede che, una volta esperite tutte le possibilità giudiziarie, le misure applicabili alle persone cui non è stato concesso lo status di rifugiato o il cui status di rifugiato è stato revocato vengano attuate rapidamente ed equamente, nel pieno rispetto della dignità umana e dei diritti fondamentali delle persone che vanno rimpatriate; chiede inoltre, al riguardo, la messa a punto quanto più rapida possibile di una procedura UE di rimpatrio;

§         chiede un'attuazione rapida ed equa delle misure da applicare alle persone che hanno ottenuto lo status di rifugiato o la protezione umanitaria al fine di favorire condizioni di vita decorose, un’integrazione effettiva nella vita sociale e politica e la partecipazione attiva e condivisa alle scelte della comunità di accoglienza;

§         sottolinea la necessità di realizzare centri di accoglienza con strutture separate per le famiglie, le donne e i bambini nonché strutture adeguate per gli anziani e i disabili richiedenti asilo; chiede che, nel contesto dell'applicazione della direttiva 2003/9/CE, recante norme minime relative all'accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati, si proceda a una valutazione delle condizioni di accoglienza; sottolinea che in materia occorre utilizzare pienamente le possibilità offerte dal nuovo Fondo europeo per i rifugiati.

 

Si ricorda che sulla cooperazione pratica in materia di asilo il Consiglio giustizia e affari interni ha adottato conclusioni nella riunione del 18 aprile 2008.

Infine, si segnala che nell’ambito delle nuove prospettive finanziarie per il 2007, vi è il programma quadro “Solidarietà e gestione dei flussi migratori” per il periodo 2007-2013 (COM(2005)123-1)[26], che si sostanzia in strumenti finanziari specifici, uno dei quali riguarda i rifugiati. Si tratta, in particolare, del “Fondo europeo per i rifugiati”, con una dotazione di 699,3 milioni di euro per il periodo 2008-2013 (decisione 573/2007/CE del 7 maggio 2007).

Procedure di contenzioso
(a cura dell'Ufficio Rapporti con l'Unione europea)

Nel mese di febbraio 2008 la Commissione ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora per mancato recepimento della direttiva 2005/85/CE recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato (procedura di contenzioso n. 2008/144). A seguito dell’entrata in vigore del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, attuativo della direttiva 2005/85/CE, la procedura risulta archiviata.

Elementi per la valutazione di compatibilità con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo
(a cura dell’Avvocatura, Osservatorio sulle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo)

Le disposizioni della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) che appaiono di più immediato rilievo con riferimento allo schema in titolo sono contenute negli artt. 3 e 13 CEDU, nell’art. 2 del Protocollo n. 4 e nell’art. 1 del Protocollo 7, allegati alla Convenzione.

Tali disposizioni vanno valutate con riferimento non solo alla loro formulazione letterale, ma anche all’interpretazione che di esse viene data dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (Corte EDU) e alle raccomandazioni in materia adottate da Organi del Consiglio d’Europa.

La giurisprudenza della Corte EDU in tema di richieste di asilo ed espulsioni

In base alla giurisprudenza della Corte EDU può rilevarsi quanto segue.

La nozione di espulsione è considerata una nozione autonoma, indipendente da definizioni di legislazione interna e, anche se gli Stati parti della CEDU godono di discrezionalità in materia, il relativo potere non può essere esercitato in modo tale da compromettere i diritti garantiti dalla CEDU[27]. Pertanto, ad avviso della Corte, ai sensi dell’art. 1 del Prot. n. 7, lo straniero non può essere espulso che in esecuzione di una decisione adottata in conformità alla legge nazionale, dall’autorità competente nel rispetto delle regole materiali e procedurali stabilite.

Nella sentenza Gebremedhin c. Francia del 24 aprile 2007, la Corte EDU ha riscontrato la violazione dell'art. 13 CEDU (diritto ad un rimedio effettivo) facendo riferimento anche all'art. 3 CEDU (divieto di trattamenti inumani e degradanti): in particolare, considerato alla luce di quest'ultimo articolo il pericolo di un danno di natura irreversibile in caso di tortura o trattamenti inumani nel paese verso il quale il richiedente asilo dovrebbe essere espulso, la Corte ha affermato che l'art. 13 va interpretato nel senso che l'ordinamento nazionale consente un rimedio effettivo solo se il soggetto può disporre di un mezzo di ricorso sospensivo a tutti gli effetti (“de plein droit suspensif”).

La questione degli effetti sospensivi di ricorsi avverso le decisioni in tema di asilo era già stata affrontata dalla Corte con la sentenza Conka c. Belgio del 5 febbraio 2002. Tale pronuncia ha riscontrato, tra le altre, la violazione dell’art. 13 CEDU, constatando che la sospensione dell’esecuzione delle misure di espulsione non era assicurata dai ricorsi in sospensiva (ordinaria o di estrema urgenza) al Consiglio di Stato previsti dall’ordinamento nazionale, essendo invece rimessa ad una prassi, fatto che avrebbe reso il trattamento dei ricorsi troppo aleatorio per soddisfare alle esigenze dell’art. 13 CEDU.

Nella sentenza Saadi c. Italia del 28 febbraio 2008, la Corte EDU ha constatato che l’eventuale messa in esecuzione di un ordine di espulsione di uno straniero verso il Paese di appartenenza può costituire violazione dell’art. 3 CEDU, quando vi sono circostanze serie e comprovate che depongono per un rischio reale che lo straniero subisca in quel Paese trattamenti contrari alla citata disposizione; ciò indipendentemente dal tipo di rischio per la sicurezza nazionale o l’ordine pubblico che la permanenza sul territorio dello straniero comporti. Quindi, gli Stati parti della Convenzione, nel valutare l’eventualità dell’adozione di un provvedimento di espulsione, non possono mettere in bilanciamento il rischio che il soggetto da espellere sia sottoposto a trattamenti contrari all’art. 3 CEDU nel paese di destinazione con la pericolosità sociale del medesimo soggetto.

D’altro canto, la Corte ha precisato che il limite derivante dall’art. 3 CEDU non può giungere fino a porre un obbligo per gli Stati membri, limitativo della possibilità di espulsione, fondato su esigenze di alleviare disparità in tema di condizioni economiche, sociali e mediche rispetto ai Paesi verso i quali l’espulsione condurrebbe[28].

Quanto ai luoghi di permanenza a seguito di entrata irregolare sul territorio nazionale, nella sentenza Riad e Idiab c. Belgio del 24 gennaio 2008, la Corte EDU ha ricordato la propria giurisprudenza secondo la quale deve sussistere un legame tra il motivo invocato ai fini della privazione della libertà personale e il luogo e il regime della detenzione (nella fattispecie, in cui si trattava della zona di transito aeroportuale, la Corte ha considerato un rapporto del Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene inumane e degradanti secondo il quale la zona di transito non costituiva luogo appropriato). D'altro canto, però, nella sentenza Gebremedhin c. Francia, la Corte non ha ritenuto violato l'art. 5 CEDU (privazione della libertà personale) in conseguenza della detenzione del richiedente asilo in un centro di attesa: ciò considerato che questi era senza documenti e la detenzione era durata un tempo ragionevole, avuto riguardo all'esigenza di accertare l'identità dell'individuo.

Atti di Organi del Consiglio d’Europa in tema di ricorsi effettivi sulle istanze dei rifugiati

L’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, prima con la Raccomandazione 1236 (1994), in tema di diritto d’asilo, poi con la Raccomandazione 1327 (1997), relativa alla protezione e al rafforzamento dei diritti dei rifugiati e dei richiedenti asilo in Europa, ha chiesto  al Comitato dei Ministri di domandare al più presto a tutti gli Stati membri di prevedere nelle loro legislazioni l’effetto sospensivo di ogni ricorso giurisdizionale avverso le decisioni contrarie sulle domande di asilo.

Pertanto, il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, con la Raccomandazione 13/98, adottata il 18 settembre 1998 sulla scorta della giurisprudenza della Corte EDU, ha raccomandato agli Stati membri di rispettare le seguenti indicazioni in tema di diritto ad un  ricorso effettivo dei richiedenti asilo nel contesto dell’art. 3 CEDU:

§         ogni richiedente asilo che si sia visto rifiutare lo status di rifugiato e che sia oggetto di espulsione verso un Paese in relazione al quale possa far valere il motivo della sottoposizione a tortura o a pene o trattamenti inumani o degradanti, deve poter esercitare un ricorso effettivo davanti ad una istanza nazionale;

§         ogni ricorso davanti ad una istanza nazionale è considerato effettivo quando:

-          l’istanza sia giurisdizionale o, se è quasi giurisdizionale o amministrativa, quando sia chiaramente identificata e composta da membri imparziali che godano di garanzia di indipendenza;

-          l’istanza sia competente per decidere sia dell’esistenza delle condizioni previste dall’art. 3 CEDU, sia per la concessione di un ristoro adeguato;

-          il ricorso sia accessibile al richiedente asilo;

-          l’esecuzione dell’ordine di esecuzione sia sospesa fino a che l’istanza non abbia reso la sua decisione.

Nella risoluzione 1471 (2005), relativa a Procedure accelerate negli Stati membri nel Consiglio d’Europa, adottata il 7 ottobre 2005, l’Assemblea parlamentare ha affermato “l’esigenza di trovare un equilibrio tra la necessità per gli Stati di trattare le domande di asilo in modo rapido ed efficace e il loro obbligo di rendere accessibile una procedura equa in tema di asilo alle persone che hanno bisogno di protezione internazionale”; in particolare l’Assemblea ha specificato che “equilibrio” non significa “compromesso”, poiché gli Stati non possono in alcun caso transigere “con le obbligazioni internazionali derivanti dalla Convenzione di Ginevra del 1951 relativa allo statuto dei rifugiati e del suo protocollo del 1977, così come dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo del 1950 e dei suoi protocolli”.

Il 4 maggio 2005, il Comitato dei Ministri ha adottato “venti principi direttivi in tema di ritorno forzato”, tra i quali si prevede che il ricorso sulle decisioni contrarie in tema di asilo deve avere un effetto sospensivo se il motivo di ricorso è costituito dal rischio di sottoposizione a trattamenti inumani o degradanti nel Paese verso il quale viene effettuata l’espulsione.


Lo schema di decreto legislativo

Lo schema di decreto legislativo, che consta di un unico articolo, reca modifiche ed integrazioni al D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, di attuazione della direttiva 2005/85/CE, in materia di procedure relative al riconoscimento e alla revoca dello status di rifugiato.

 

Lo schema di decreto legislativo è emanato sulla base della norma di delega di cui all’art. 1, co. 3 e 5, e all’art. 12 della L. 13/2007 (legge comunitaria 2006); ai sensi dell’art. 1, co. 5, il Governo può adottare disposizioni correttive dei decreti legislativi attuativi delle direttive contenute nell’allegato B (tra i quali è ricompreso il D.Lgs. 25/2008) con la medesima procedura con cui sono stati adottati questi ultimi. Per effetto di tali disposizioni, lo schema di decreto è sottoposto al parere delle competenti Commissioni parlamentari; decorsi quaranta giorni dalla data di trasmissione alle Camere, il decreto è emanato anche in mancanza del parere.

Il termine per l’esercizio della delega è fissato dall’art. 1, co. 5 della L. 13/2007 in 18 mesi dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, ossia entro il 2 settembre 2009.

 

Il provvedimento, che fa parte del “pacchetto sicurezza” approvato dal Consiglio dei ministri tenutosi a Napoli il 21 maggio 2008, modifica la disciplina delle procedure per il riconoscimento della qualifica di rifugiato contenuta nel D.Lgs. 25/2008; l’intervento normativo, come emerge dalla relazione illustrativa e dall’analisi di impatto della regolamentazione, è stato predisposto al fine di evitare l’uso strumentale della domanda di asilo come mezzo per permanere in Italia senza essere in possesso dei requisiti.

 

Per un esame analitico delle novità introdotte dallo schema, si rinvia al testo a fronte riportato nel presente dossier.

 

La lettera a) dell’art. 1 dello schema in esame modifica il comma 3 dell’art. 4 del decreto legislativo n. 25/2008, intervenendo in materia di Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale. In particolare viene trasferita nuovamente al Ministro dell’interno, come previsto prima dell’entrata in vigore del decreto n. 25, la competenza in merito alla nomina dei componenti.

Inoltre, viene introdotta una procedura d’urgenza per la nomina del rappresentante degli enti territoriali nell’ambito della Commissione: a ciò provvede, quando si verifichino situazioni di urgenza, il Ministro dell’interno, su proposta del sindaco del comune presso il quale ha sede la Commissione territoriale; la nomina viene comunque sottoposta alla ratifica della Conferenza unificata Stato-città ed autonomie locali.

 

Come ricordato nella precedente scheda, la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale è, tra i quattro organismi competenti per l’esame delle domande di asilo, quello che lo svolge materialmente.

Il numero massimo delle Commissioni è pari a dieci. L’individuazione delle sedi e delle circoscrizioni territoriali in cui esse operano spetta al Ministro dell’interno.

I loro componenti sono nominati dal Presidente del Consiglio, su proposta del Ministro dell’interno.

Le Commissioni sono composte da quattro membri: un prefetto che la presiede, un funzionario della Polizia di Stato, un rappresentante dell’ente territoriale designato dalla Conferenza unificata Stato-città ed autonomie locali e un rappresentante dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (ACNUR). A questi può aggiungersi un rappresentante del Ministero degli affari esteri in presenza di particolari afflussi di richiedenti protezione internazionale. L’incarico ha durata triennale ed è rinnovabile.

Le Commissioni si avvalgono del supporto organizzativo del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Ministero dell’interno.

 

La lettera b) dell’art. 1 dello schema, sostituendo il comma 1 dell’art. 7 del decreto legislativo n. 25/2008, introduce una nuova previsione secondo cui il prefetto stabilisce un luogo di residenza o un’area geografica in cui il richiedente asilo può circolare in attesa dell’adozione della decisione sulla domanda da lui presentata. Limitando la circolazione del richiedente asilo, si intende, come si afferma nella relazione illustrativa, “agevolare la definizione del procedimento ed evitare la dispersione dei richiedenti asilo sul territorio nazionale ed europeo”.

Si osserva in proposito che non è espressamente prevista alcuna sanzione specifica in caso di inosservanza di tale precetto normativo.

La nuova formulazione del comma mantiene la previsione che fa salvo il diritto del richiedente di svolgere un’attività lavorativa nel caso in cui la decisione sulla domanda di asilo non venga adottata entro sei mesi dalla presentazione, senza che il ritardo possa essere attribuito al medesimo richiedente asilo (secondo quanto stabilito dall’art. 11 del D.Lgs. 140/2005, di attuazione della direttiva n. 9 del 2003)[29].

 

L’art. 7, comma 1, del decreto legislativo n. 25/2008 nel testo ora vigente, recependo il principio di cui all’art. 7 della direttiva 2005/85, sancisce il diritto del richiedente asilo a rimanere nel territorio nazionale per tutto il tempo necessario all’esame della domanda. La permanenza è finalizzata unicamente allo svolgimento della procedura.

 

La lettera c) dell’art. 1 dello schema sostituisce il comma 1 dell’art. 11 del decreto legislativo n. 25/2008, in materia di obblighi dei richiedenti asilo.

Tra questi vengono inclusi quelli, attualmente non previsti, di comparire personalmente dinanzi alla Commissione territoriale e di consegnare i documenti pertinenti ai fini dell’esame della domanda di asilo.

 

La nuova previsione riprende sostanzialmente il contenuto dell’art. 11, paragrafo 2, lettere a) e b), della direttiva 2005/85, che non era stato recepito nel decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25.

 

Le lettere d) ed e) dell’art. 1 dello schema modificano la disciplina del trattenimento del richiedente asilo nel periodo necessario all’esame della domanda, ripristinando sostanzialmente il sistema introdotto dalla “legge Bossi-Fini” mediante l’art. 1-bis del D.L. 416/1989.

Sopprimendo la lettera d) dell’art. 20 del decreto legislativo n. 25/2008 e novellando la lettera c) dell’art. 21 del medesimo decreto, viene ad essere disposto il trattenimento nei centri di identificazione ed espulsione (si tratta dei centri di permanenza temporanea e assistenza – CPTA, così ridenominati dall’art. 9 del D.L. 92/2008[30]) previsti dall’art. 14 del testo unico sull’immigrazione (D.Lgs. 286/1998) di coloro che presentano la richiesta di asilo dopo:

§      essere stati oggetto di un provvedimento di espulsione;

§      essere stati oggetto di un provvedimento di respingimento.

 

La normativa vigente stabilisce una chiara distinzione tra l’ipotesi di accoglienza e quella di trattenimento.

Nel primo caso (art. 20 del D.Lgs. 25/2008), il richiedente asilo viene ospitato nei centri di accoglienza quando si verificano le seguenti condizioni:

§         vi è la necessità di determinare l’identità o la nazionalità del richiedente in quanto lo stesso non è in possesso dei documenti di viaggio o di identità, ovvero al suo ingresso in Italia ha presentato documenti risultati falsi o contraffatti;

§         ha presentato la richiesta di asilo dopo essere stato fermato dalla forza pubblica per aver eluso o tentato di eludere il controllo di frontiera;

§         ha presentato la richiesta dopo essere stato fermato in condizioni di soggiorno irregolare;

§         ha presentato la richiesta dopo essere stato oggetto di un provvedimento di espulsione amministrativa per due specifiche cause: ingresso clandestino e trattenimento nel territorio nazionale senza aver fatto richiesta del permesso di soggiorno (provvedimento adottato ai sensi dell’art. 13, co. 2, lett. a) e b), del testo unico sull’immigrazione);

§         ha presentato la richiesta dopo essere stato oggetto di un provvedimento di respingimento(ai sensi dell’art. 10 del testo unico sull’immigrazione).

Nel secondo caso (art. 21 del D.Lgs. 25/2008), sono trattenuti nei centri di identificazione ed espulsione i richiedenti asilo:

§         che sono esclusi dai benefici della Convenzione di Ginevra, perchè macchiatisi di gravi reati (crimini di guerra, contro l’umanità)[31];

§         che sono stati condannati in Italia per uno dei delitti per i quali è previsto l’arresto in flagranza (art. 380 del codice procedura penale) o per reati particolarmente gravi quali quelli di droga, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, sfruttamento della prostituzione, impiego di minori in attività illecite;

§         che sono destinatari di un provvedimento di espulsione diverso da quelli esaminati sopra e derivante da più gravi motivi: si tratta dell’espulsione disposta dal Ministro dell’interno per motivi di ordine pubblico (art. 13, co. 1, del testo unico sull’immigrazione), espulsione disposta per i delinquenti abituali o per gli indiziati di mafia (art. 13, co. 2, lett. c), del testo unico), per motivi di prevenzione del terrorismo (art. 3, D.L. 144/2005[32]), espulsione disposta dall’autorità giudiziaria (artt. 235 e 312 c.p., artt. 15 e 16 del testo unico).

 

La lettera f) dell’art. 1 dello schema, novellando il comma 4 dell’art. 32 del D.Lgs. 25/2008, stabilisce l’obbligo per il richiedente asilo di lasciare il territorio nazionale senza attendere la scadenza del termine per l’impugnazione nel caso in cui venga rigettata la domanda per il riconoscimento della protezione internazionale.

Tale obbligo sussiste anche nel caso in cui il richiedente decida di ritirare la domanda prima dell’audizione dinanzi alla Commissione territoriale oppure quest’ultima la dichiari inammissibile in quanto il richiedente è già stato riconosciuto rifugiato da un altro Stato firmatario della Convenzione di Ginevra o abbia ripresentato un’identica domanda, dopo che la Commissione si è pronunciata, senza produrre elementi nuovi circa la sua situazione personale e quella del suo Paese di origine.

In tal modo viene in sostanza ripristinata la legislazione preesistente al D.Lgs. 25/2008: l’art. 1-ter, comma 6, penultimo periodo, del decreto-legge 416/1989 stabiliva infatti che il ricorso avverso la decisione della Commissione territoriale non poteva sospendere il provvedimento di allontanamento dal territorio nazionale del richiedente asilo, spettando tuttavia a quest’ultimo la facoltà di chiedere al prefetto l’autorizzazione a rimanere in Italia fino all’esito del ricorso.

 

La normativa vigente (art. 32 del D.Lgs. 25/2008) stabilisce che la Commissione territoriale, fatto salvo il caso di ritiro della domanda (art. 23), di inammissibilità della stessa (art. 29), o di sospensione in caso di dubbio sullo Stato competente a decidere (art. 30), deve adottare una delle seguenti decisioni:

§         riconoscere lo status di rifugiato o la protezione sussidiaria;

§         rigettare la domanda qualora non sussistano i presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale indicati nel D.Lgs. 251/2007, oppure in caso di cessazione o esclusione dalla protezione ivi previste, ovvero il richiedente provenga da un Paese di origine sicuro e non abbia addotto gravi motivi per non ritenere sicuro quel Paese nelle circostanze specifiche in cui egli si trova.

Il comma 4 dell’art. 32 attualmente stabilisce che l’obbligo di lasciare il territorio nazionale per il richiedente asilo cui sia stata rigettata la domanda (o sia stata dichiarata inammissibile) scatta alla scadenza del termine per l’impugnazione del provvedimento (30 giorni successivi alla comunicazione dello stesso, ovvero 15 giorni se il richiedente è trattenuto, ai sensi dell’art. 21, in un centro di identificazione ed espulsione).

 

Le lettere g), h), i), l) ed m) dell’art. 1 dello schema novellano l’art. 35 del decreto legislativo n. 25/2008.

La lettera g) interviene sul comma 1 dell’art. 35 riducendo a 15 giorni i tempi per la presentazione del ricorso giurisdizionale contro la decisione di rigetto della Commissione territoriale da parte dei richiedenti asilo ospitati nei centri di accoglienza, uniformandoli di conseguenza a quelli previsti per i richiedenti trattenuti nei centri di identificazione.

La lettera h), modificando il comma 6 dell’art. 35 del decreto, stabilisce che la proposizione del ricorso avverso il provvedimento che rigetta la domanda di protezione internazionale non sospende l’efficacia del provvedimento impugnato; permane, dunque, l’obbligo a lasciare il territorio nazionale e il richiedente asilo, nelle more della decisione del ricorso, è comunque soggetto ad espulsione.

La lettera i) sostituisce integralmente il successivo comma 7 dell’art. 35: viene così trasposta a livello normativo primario la previsione dell’art. 17 del regolamento sulle procedure per il riconoscimento dello status di rifugiato (D.P.R. n. 303/2004), secondo cui il prefetto competente per l’adozione del provvedimento di espulsione può autorizzare il richiedente asilo, previa domanda dell’interessato, a rimanere in Italia in attesa della decisione del ricorso giurisdizionale, in presenza di tutti i seguenti presupposti:

§         sussistenza di gravi motivi personali o di salute;

§         sussistenza dell’interesse a rimanere sul territorio nazionale;

§         assenza di un concreto pericolo, rilevato dal prefetto, che il richiedente si sottragga all’esecuzione del decreto di espulsione;

§         presentazione della domanda in forma scritta e motivata.

In caso di accoglimento, al richiedente è rilasciato un permesso di soggiorno di durata non superiore a 60 giorni, rinnovabile soltanto per il tempo necessario e nel perdurare delle condizioni che ne hanno determinato il rilascio.

La lettera l)stabilisce che il richiedente il quale è ospitato in un centro di accoglienza o è trattenuto in un centro di identificazione ed espulsione, vi rimane fino alla decisione del prefetto sull’autorizzazione a permanere nel territorio nazionale.

 

Si ricorda in proposito che l’art. 39, par. 1, della direttiva 2005/85 stabilisce che gli Stati membri, nell’attuare la normativa comunitaria in materia di riconoscimento dello status di rifugiato, devono prevedere che il richiedente asilo abbia diritto a un mezzo di impugnazione efficace dinanzi a un giudice avverso la decisione sulla sua domanda di asilo.

Peraltro, il paragrafo 3, lettere a) e b), dell’art. 39, rimette agli Stati membri la facoltà di:

§         determinare se il mezzo di impugnazione di cui sopra produca l'effetto di consentire ai richiedenti di rimanere nello Stato membro interessato in attesa del relativo esito;

§         prevedere, qualora tale effetto non sia contemplato, la possibilità “di un mezzo di impugnazione giurisdizionale o di misure cautelari”.

 

La lettera m) corregge un riferimento normativo errato contenuto nel comma 14 dell’art. 35.

La lettera n) interviene sull’art. 36del D.Lgs. 25/2008, sopprimendo i commi 1 e 3 in conseguenza dell’abolizione dell’effetto sospensivo del ricorso giurisdizionale e sostituendo il comma 2. La nuova formulazione del comma 2, che viene rinumerato come comma 1, prevede che il richiedente asilo che sia stato autorizzato dal prefetto, in presenza di gravi motivi personali o di salute, a rimanere nel territorio nazionale in attesa della decisione del ricorso giurisdizionale, venga ospitato nei centri di accoglienza alle condizioni previste e disciplinate dal D.Lgs. 140/2005, che stabilisce le norme minime di accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri. La relazione illustrativa precisa la riguardo che tali condizioni si applicano “limitatamente all’accoglienza ai centri governativi”.

 

Ai sensi dell’articolo 36 del D.Lgs. 25/2008 nel testo vigente, i richiedenti che hanno fatto ricorso possono avere rinnovato il permesso di soggiorno (ai sensi dell’art. 11 del D.Lgs., 140/2005) se la decisione non interviene entro 6 mesi (comma 1). Inoltre, se sono ospitati nei centri di accoglienza rimangono nei medesimi centri (comma 2), dove vengono anche trasferiti i richiedenti trattenuti nei CPTA che hanno ottenuto la sospensione del provvedimento impugnato (comma 3).


Testo a fronte:
modificazioni apportate al D.Lgs. n. 25 del 2008
dallo schema di decreto legislativo
n. 4

La tabella che segue pone a confronto il testo vigente del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, Attuazione della direttiva 2005/85/CE recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato, con il testo risultante dalle modificazioni proposte dallo schema di decreto legislativo in esame.

Le differenze rispetto al testo vigente sono evidenziate in carattere neretto.

 

Testo vigente del D.Lgs. 25/2008

Testo modificato dallo schema di D.Lgs.

Art. 4.
Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale.

Art. 4.
Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale.

1. Le Commissioni territoriali per il riconoscimento dello status di rifugiato, di cui all'articolo 1-quater del decreto-legge 30 dicembre 1989, n. 416, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1990, n. 39, assumono la denominazione di: «Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale», di seguito: «Commissioni territoriali», e si avvalgono del supporto organizzativo e logistico del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno.

1. Identico

2. Le Commissioni territoriali sono fissate nel numero massimo di dieci. Con decreto del Ministro dell'interno sono individuate le sedi e le circoscrizioni territoriali in cui operano le commissioni.

2. Identico

3. Le Commissioni territoriali sono nominate con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'interno, e sono composte, nel rispetto del principio di equilibrio di genere, da un funzionario della carriera prefettizia, con funzioni di presidente, da un funzionario della Polizia di Stato, da un rappresentante di un ente territoriale designato dalla Conferenza Stato - città ed autonomie locali e da un rappresentante dell'ACNUR. Per ciascun componente sono nominati uno o più componenti supplenti. L'incarico ha durata triennale ed è rinnovabile. Le Commissioni territoriali possono essere integrate, su richiesta del presidente della Commissione nazionale per il diritto di asilo, da un funzionario del Ministero degli affari esteri con la qualifica di componente a tutti gli effetti, ogni volta che sia necessario, in relazione a particolari afflussi di richiedenti protezione internazionale, in ordine alle domande per le quali occorre disporre di particolari elementi di valutazione in merito alla situazione dei Paesi di provenienza di competenza del Ministero degli affari esteri. Ove necessario, le Commissioni possono essere composte anche da personale in posizione di collocamento a riposo da non oltre due anni appartenente alle amministrazioni o agli enti rappresentati nella Commissione. Al presidente ed ai componenti effettivi o supplenti, per ogni partecipazione alle sedute della Commissione, è corrisposto un gettone di presenza. L'ammontare del gettone di presenza è determinato con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze.

3. Le Commissioni territoriali sono nominate con decreto del Ministro dell'interno, e sono composte, nel rispetto del principio di equilibrio di genere, da un funzionario della carriera prefettizia, con funzioni di presidente, da un funzionario della Polizia di Stato, da un rappresentante di un ente territoriale designato dalla Conferenza Stato - città ed autonomie locali e da un rappresentante dell'ACNUR. In situazioni di urgenza, il Ministro dell’interno nomina il rappresentante dell’ente locale, su indicazione del sindaco del comune presso cui ha sede la commissione territoriale, e ne dà tempestiva comunicazione alla Conferenza unificata Stato-città ed autonomie locali, per la ratifica della proposta. Per ciascun componente sono nominati uno o più componenti supplenti. L'incarico ha durata triennale ed è rinnovabile. Le Commissioni territoriali possono essere integrate, su richiesta del presidente della Commissione nazionale per il diritto di asilo, da un funzionario del Ministero degli affari esteri con la qualifica di componente a tutti gli effetti, ogni volta che sia necessario, in relazione a particolari afflussi di richiedenti protezione internazionale, in ordine alle domande per le quali occorre disporre di particolari elementi di valutazione in merito alla situazione dei Paesi di provenienza di competenza del Ministero degli affari esteri. Ove necessario, le Commissioni possono essere composte anche da personale in posizione di collocamento a riposo da non oltre due anni appartenente alle amministrazioni o agli enti rappresentati nella Commissione. Al presidente ed ai componenti effettivi o supplenti, per ogni partecipazione alle sedute della Commissione, è corrisposto un gettone di presenza. L'ammontare del gettone di presenza è determinato con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze.

4. Le Commissioni territoriali sono validamente costituite con la presenza della maggioranza dei componenti e deliberano con il voto favorevole di almeno tre componenti. In caso di parità prevale il voto del presidente.

4. Identico

5. Salvo quanto previsto dall'articolo 7 del decreto legislativo 30 maggio 2005, n. 140, la competenza delle Commissioni territoriali è determinata sulla base della circoscrizione territoriale in cui è presentata la domanda ai sensi dell'articolo 26, comma 1. Nel caso di richiedenti accolti o trattenuti ai sensi degli articoli 20 e 21 la competenza è determinata in base alla circoscrizione territoriale in cui è collocato il centro.

5. Identico

6. Le attività di supporto delle commissioni sono svolte dal personale in servizio appartenente ai ruoli dell'Amministrazione civile dell'interno.

6. Identico

Art. 7.
Diritto di rimanere nel territorio dello Stato durante l'esame della domanda.

Art. 7.
Diritto di rimanere nel territorio dello Stato durante l'esame della domanda.

1. Il richiedente è autorizzato a rimanere nel territorio dello Stato, ai fini esclusivi della procedura, fatto salvo quanto previsto dall'articolo 11 del decreto legislativo 30 maggio 2005, n. 140, fino alla decisione della Commissione territoriale in ordine alla domanda, a norma dell'articolo 32.

1. Il prefetto competente stabilisce un luogo di residenza o un’area geografica ove i richiedenti asilo possano circolare, fatto salvo quanto previsto dall'articolo 11, comma 1 del decreto legislativo 30 maggio 2005, n. 140, fino alla decisione della Commissione territoriale in ordine alla domanda, a norma dell'articolo 32.

2. La previsione di cui al comma 1 non si applica a coloro che debbano essere:

 

2. Identico.

a) estradati verso un altro Stato in virtù degli obblighi previsti da un mandato di arresto europeo;

 

b) consegnati ad una Corte o ad un Tribunale penale internazionale;

 

c) avviati verso un altro Stato dell'Unione competente per l'esame dell'istanza di protezione internazionale.

 

Art. 11.
Obblighi del richiedente asilo.

Art. 11.
Obblighi del richiedente asilo.

1. Il richiedente ha l'obbligo di cooperare con le autorità preposte alle singole fasi della procedura, al fine di fornire tutti i documenti e le informazioni di cui può disporre, utili ad agevolare l'esame della domanda.

1. Il richiedente asilo ha l'obbligo, se convocato, di comparire personalmente davanti alla Commissione territoriale. Ha altresì l’obbligo di consegnare i documenti pertinenti ai fini della domanda, incluso il passaporto.

2. Il richiedente è tenuto ad informare l'autorità competente in ordine ad ogni suo mutamento di residenza o domicilio.

2. Identico.

3. In caso di mancata osservanza dell'obbligo di cui al comma 2, eventuali comunicazioni concernenti il procedimento si intendono validamente effettuate presso l'ultimo domicilio del richiedente.

3. Identico.

4. In tutte le fasi della procedura, il richiedente è tenuto ad agevolare il compimento degli accertamenti previsti dalla legislazione in materia di pubblica sicurezza.

4. Identico.

Art. 20.
Casi di accoglienza

Art. 20.
Casi di accoglienza

1. Il richiedente non può essere trattenuto al solo fine di esaminare la sua domanda.

1. Identico.

2. Il richiedente è ospitato in un centro di accoglienza richiedenti asilo nei seguenti casi:

 

a) quando è necessario verificare o determinare la sua nazionalità o identità, ove lo stesso non sia in possesso dei documenti di viaggio o di identità, ovvero al suo arrivo nel territorio dello Stato abbia presentato documenti risultati falsi o contraffatti;

a). Identica.

b) quando ha presentato la domanda dopo essere stato fermato per aver eluso o tentato di eludere il controllo di frontiera o subito dopo;

b). Identica.

c) quando ha presentato la domanda dopo essere stato fermato in condizioni di soggiorno irregolare;

c). Identica.

d) quando ha presentato la domanda essendo già destinatario di un provvedimento di espulsione adottato ai sensi dall'articolo 13, comma 2, lettere a) e b), del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, ovvero di un provvedimento di respingimento ai sensi dell'articolo 10 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, anche se già trattenuto in uno dei centri di cui all'articolo 14 del medesimo decreto legislativo.

d) Soppressa.

3. Nel caso di cui al comma 2, lettera a), il richiedente è ospitato nel centro per il tempo strettamente necessario agli adempimenti ivi previsti e, in ogni caso, per un periodo non superiore a venti giorni. Negli altri casi il richiedente è ospitato nel centro per il tempo strettamente necessario all'esame della domanda innanzi alla commissione territoriale e, in ogni caso, per un periodo non superiore a trentacinque giorni. Allo scadere del periodo di accoglienza al richiedente è rilasciato un permesso di soggiorno temporaneo valido tre mesi, rinnovabile fino alla decisione della domanda.

3. Identico.

4. La residenza nel centro non incide sull'esercizio delle garanzie inerenti alla sua domanda, né sulla sfera della sua vita privata, fatto salvo il rispetto delle regole di convivenza previste nel regolamento di cui al comma 5, che garantiscono comunque la facoltà di uscire dal centro nelle ore diurne. Il richiedente può chiedere al prefetto un permesso temporaneo di allontanamento dal centro per un periodo di tempo diverso o superiore a quello di uscita, per rilevanti motivi personali o per motivi attinenti all'esame della domanda, fatta salva la compatibilità con i tempi della procedura per l'esame della domanda. Il provvedimento di diniego sulla richiesta di autorizzazione all'allontanamento è motivato e comunicato all'interessato ai sensi dell'articolo 10, comma 4.

4. Identico.

5. Con il regolamento di cui all'articolo 38 sono fissate, le caratteristiche e le modalità di gestione, anche in collaborazione con l'ente locale, dei centri di accoglienza richiedenti asilo, che devono garantire al richiedente una ospitalità che garantisca la dignità della persona e l'unità del nucleo familiare. Il regolamento tiene conto degli atti adottati dall'ACNUR, dal Consiglio d'Europa e dall'Unione europea. L'accesso alle strutture è comunque consentito ai rappresentanti dell'ACNUR, agli avvocati ed agli organismi ed enti di tutela dei rifugiati con esperienza consolidata nel settore, autorizzati dal Ministero dell'interno.

5. Identico.

Art. 21.
Casi di trattenimento.

Art. 21.
Casi di trattenimento.

1. E' disposto il trattenimento, nei centri di cui all'articolo 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, del richiedente:

 

a) che si trova nelle condizioni previste dall'articolo 1, paragrafo F, della Convenzione di Ginevra;

a). Identica.

b) che è stato condannato in Italia per uno dei delitti indicati dall'articolo 380, commi 1 e 2, del codice di procedura penale, ovvero per reati inerenti agli stupefacenti, alla libertà sessuale, al favoreggiamento dell'immigrazione clandestina verso l'Italia e dell'emigrazione clandestina dall'Italia verso altri Stati, o per reati diretti al reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento della prostituzione o di minori da impiegare in attività illecite;

b). Identica.

c) che è destinatario di un provvedimento di espulsione, salvo i casi previsti dall'articolo 20, comma 2, lettera d).

c) che è destinatario di un provvedimento di espulsione o di respingimento.

Art. 32.
Decisione.

Art. 32.
Decisione.

1. Fatto salvo quanto previsto dagli articoli 23, 29 e 30 la Commissione territoriale adotta una delle seguenti decisioni:

1. Identico.

a) riconosce lo status di rifugiato o la protezione sussidiaria, secondo quanto previsto dagli articoli 11 e 17 del decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251;

 

b) rigetta la domanda qualora non sussistano i presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale fissati dal decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, o ricorra una delle cause di cessazione o esclusione dalla protezione internazionale previste dal medesimo decreto legislativo, ovvero il richiedente provenga da un Paese di origine sicuro e non abbia addotto i gravi motivi di cui al comma 2.

 

2. Nel caso in cui il richiedente provenga da un Paese di origine sicuro ed abbia addotto gravi motivi per non ritenere sicuro quel Paese nelle circostanze specifiche in cui egli si trova, la Commissione non può pronunciarsi sulla domanda senza previo esame, svolto in conformità ai principi ed alle garanzie fondamentali di cui al capo secondo. Tra i gravi motivi possono essere comprese gravi discriminazioni e repressioni di comportamenti non costituenti reato per l'ordinamento italiano, riferiti al richiedente e che risultano oggettivamente perseguibili nel Paese di origine sicuro.

2. Identico.

3. Nei casi in cui non accolga la domanda di protezione internazionale e ritenga che possano sussistere gravi motivi di carattere umanitario, la Commissione territoriale trasmette gli atti al questore per l'eventuale rilascio del permesso di soggiorno ai sensi dell'articolo 5, comma 6, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286.

3. Identico.

4. La decisione di cui al comma 1, lettera b), ed il verificarsi delle ipotesi previste dagli articoli 23 e 29 comportano alla scadenza del termine per l'impugnazione l'obbligo per il richiedente di lasciare il territorio nazionale, salvo che gli sia stato rilasciato un permesso di soggiorno ad altro titolo. A tale fine si provvede ai sensi dell'articolo 13, comma 4, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, nei confronti dei soggetti accolti o trattenuti ai sensi degli articoli 20 e 21 e ai sensi dell'articolo 13, comma 5, del medesimo decreto legislativo nei confronti dei soggetti ai quali era stato rilasciato il permesso di soggiorno per richiesta asilo.

4. La decisione di cui al comma 1, lettera b), ed il verificarsi delle ipotesi previste dagli articoli 23 e 29 comportano l'obbligo per il richiedente di lasciare il territorio nazionale, salvo che gli sia stato rilasciato un permesso di soggiorno ad altro titolo. A tale fine si provvede ai sensi dell'articolo 13, comma 4, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, nei confronti dei soggetti accolti o trattenuti ai sensi degli articoli 20 e 21 e ai sensi dell'articolo 13, comma 5, del medesimo decreto legislativo nei confronti dei soggetti ai quali era stato rilasciato il permesso di soggiorno per richiesta asilo.

Art. 35.
Impugnazione.

Art. 35.
Impugnazione.

1. Avverso la decisione della Commissione territoriale è ammesso ricorso dinanzi al tribunale che ha sede nel capoluogo di distretto di corte d'appello in cui ha sede la Commissione territoriale che ha pronunciato il provvedimento. Il ricorso è ammesso anche nel caso in cui l'interessato abbia richiesto il riconoscimento dello status di rifugiato e la Commissione territoriale lo abbia ammesso esclusivamente alla protezione sussidiaria. Il ricorso è proposto, a pena di inammissibilità, nei trenta giorni successivi alla comunicazione del provvedimento; allo stesso è allegata copia del provvedimento impugnato. Nei soli casi di trattenimento disposto ai sensi dell'articolo 21, il ricorso è proposto, a pena di inammissibilità, nei quindici giorni successivi alla comunicazione del provvedimento dinanzi al tribunale che ha sede nel capoluogo di distretto di corte d'appello in cui ha sede il centro.

1. Avverso la decisione della Commissione territoriale è ammesso ricorso dinanzi al tribunale che ha sede nel capoluogo di distretto di corte d'appello in cui ha sede la Commissione territoriale che ha pronunciato il provvedimento. Il ricorso è ammesso anche nel caso in cui l'interessato abbia richiesto il riconoscimento dello status di rifugiato e la Commissione territoriale lo abbia ammesso esclusivamente alla protezione sussidiaria. Il ricorso è proposto, a pena di inammissibilità, nei trenta giorni successivi alla comunicazione del provvedimento; allo stesso è allegata copia del provvedimento impugnato. Nei casi di accoglienza o trattenimento disposti ai sensi degli articoli 20 e 21, il ricorso è proposto, a pena di inammissibilità, nei quindici giorni successivi alla comunicazione del provvedimento dinanzi al tribunale che ha sede nel capoluogo di distretto di corte d'appello in cui ha sede il centro.

2. Avverso la decisione della Commissione nazionale sulla revoca o sulla cessazione dello status di rifugiato o di persona cui è accordata la protezione sussidiaria, è ammesso ricorso dinanzi al tribunale competente in relazione alla Commissione territoriale che ha emesso il provvedimento che ha riconosciuto lo status di cui è stata dichiarata la revoca o la cessazione.

2. Identico.

3. Tutte le comunicazioni e notificazioni si eseguono presso l'avvocato del ricorrente mediante avviso di deposto in cancelleria.

3. Identico.

4. Il procedimento si svolge dinanzi al tribunale in composizione monocratica con le modalità dei procedimenti in camera di consiglio.

4. Identico.

5. Entro cinque giorni dal deposito del ricorso, il tribunale, con decreto apposto in calce allo stesso, fissa l'udienza in camera di consiglio. Il ricorso e il decreto di fissazione dell'udienza sono notificati all'interessato e comunicati al pubblico ministero e alla Commissione nazionale ovvero alla competente Commissione territoriale.

5. Identico.

6. La proposizione del ricorso avverso il provvedimento che rigetta la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato o di persona cui è accordata la protezione sussidiaria ai sensi dei commi 1 e 2 sospende l'efficacia del provvedimento impugnato.

6. La proposizione del ricorso avverso il provvedimento che rigetta la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato o di persona cui è accordata la protezione sussidiaria ai sensi dei commi 1 e 2 non sospende l'efficacia del provvedimento impugnato.

7. La proposizione del ricorso avverso il provvedimento che dichiara inammissibile la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato o di persona cui è accordata la protezione sussidiaria ovvero avverso la decisione adottata dalla Commissione territoriale ai sensi dell'articolo 22, comma 2, non sospende l'efficacia del provvedimento impugnato. Il ricorrente può tuttavia chiedere al tribunale, contestualmente al deposito del ricorso, la sospensione del provvedimento quando ricorrano gravi e fondati motivi. In tale caso il tribunale, nei cinque giorni successivi al deposito, decide con ordinanza non impugnabile, anche apposta in calce al decreto di fissazione dell'udienza. Nel caso di sospensione del provvedimento impugnato al richiedente è rilasciato un permesso di soggiorno per richiesta di asilo ed è disposta l'accoglienza nei centri di cui all'articolo 20.

7. In presenza di gravi motivi personali o di salute, il richiedente può essere autorizzato dal prefetto, competente ad adottare il provvedimento di espulsione, a rimanere sul territorio nazionale fino alla decisione del ricorso. L'autorizzazione è concessa qualora sussista l'interesse a permanere sul territorio dello Stato ed il prefetto non rilevi il concreto pericolo che nel periodo di attesa della decisione del ricorso lo straniero si sottragga all'esecuzione del provvedimento di espulsione. La decisione è adottata entro cinque giorni dalla richiesta, presentata in forma scritta e motivata, ed è comunicata all'interessato con le modalità previste dall'articolo 10, comma 4. In caso di accoglimento, è rilasciato al richiedente un permesso di soggiorno di durata non superiore a sessanta giorni, rinnovabile per il tempo strettamente necessario qualora non sia intervenuta la decisione del ricorso ed il prefetto riscontri la permanenza delle condizioni che hanno determinato l'autorizzazione a rimanere sul territorio.

8. La procedura di cui al comma 7 si applica, in ogni caso, al ricorso presentato dal richiedente di cui agli articoli 20, comma 2, lettera d), e 21. Il richiedente ospitato nei centri di accoglienza ai sensi dell'articolo 20, comma 2, lettera d), o trattenuto ai sensi dell'articolo 21 permane nel centro in cui si trova fino alla adozione dell'ordinanza di cui al comma 7.

8. II richiedente ospitato nei centri di accoglienza ai sensi dell'articolo 20, o trattenuto ai sensi dell'articolo 21, rimane nel centro in cui si trova fino all'adozione del provvedimento di cui al comma 7.

9. All'udienza può intervenire un rappresentante designato dalla Commissione nazionale o territoriale che ha adottato l'atto impugnato. La Commissione interessata può in ogni caso depositare alla prima udienza utile tutti gli atti e la documentazione che ritiene necessari ai fini dell'istruttoria.

9. Identico.

10. Il tribunale, sentite le parti e assunti tutti i mezzi di prova necessari, decide con sentenza entro tre mesi dalla presentazione del ricorso, con cui rigetta il ricorso ovvero riconosce al ricorrente lo status di rifugiato o di persona cui è accordata la protezione sussidiaria; la sentenza viene notificata al ricorrente e comunicata al pubblico ministero e alla Commissione interessata.

10. Identico.

11. Avverso la sentenza pronunciata ai sensi del comma 10 il ricorrente ed il pubblico ministero possono proporre reclamo alla corte d'appello, con ricorso da depositarsi nella cancelleria della corte d'appello, a pena di decadenza, entro dieci giorni dalla notificazione o comunicazione della sentenza.

11. Identico.

12. Il reclamo non sospende gli effetti della sentenza impugnata; tuttavia la corte d'appello, su istanza del ricorrente, può disporre con ordinanza non impugnabile che l'esecuzione sia sospesa quando ricorrano gravi e fondati motivi.

12. Identico.

13. Nel procedimento dinanzi alla corte d'appello, che si svolge in camera di consiglio, si applicano i commi 5, 9 e 10.

13. Identico.

14. Avverso la sentenza pronunciata dalla corte d'appello può essere proposto ricorso per cassazione. Il ricorso deve essere proposto, a pena di decadenza, entro trenta giorni dalla notificazione della sentenza. Esso viene notificato ai soggetti di cui al comma 6, assieme al decreto di fissazione dell'udienza in camera di consiglio, a cura della cancelleria. La Corte di cassazione si pronuncia in camera di consiglio ai sensi dell'articolo 375 c.p.c..

14. Avverso la sentenza pronunciata dalla corte d'appello può essere proposto ricorso per cassazione. Il ricorso deve essere proposto, a pena di decadenza, entro trenta giorni dalla notificazione della sentenza. Esso viene notificato ai soggetti di cui al comma 5, assieme al decreto di fissazione dell'udienza in camera di consiglio, a cura della cancelleria. La Corte di cassazione si pronuncia in camera di consiglio ai sensi dell'articolo 375 c.p.c..

Art. 36.
Accoglienza del ricorrente.

Art. 36.
Accoglienza del ricorrente.

1. Al richiedente asilo che ha proposto il ricorso ai sensi dell'articolo 35, si applica l'articolo 11 del decreto legislativo 30 maggio 2005, n. 140.

1. Soppresso.

2. Il richiedente di cui al comma 1 ospitato nei centri di cui all'articolo 20 rimane in accoglienza nelle medesime strutture con le modalità stabilite dal decreto legislativo 30 maggio 2005, n. 140.

1. Il richiedente che ha proposto ricorso ai sensi dell'articolo 35, autorizzato a rimanere sul territorio nazionale ai sensi dell'articolo 35, comma 7, è ospitato nei centri di cui all'articolo 20, con le modalità fissate dal decreto legislativo 30 maggio 2005, n. 140.

3. Il richiedente trattenuto nei centri di cui all'articolo 21 che ha ottenuto la sospensione del provvedimento impugnato, ai sensi dell'articolo 35, comma 8, ha accoglienza nei centri di cui all'articolo 20 con le modalità stabilite dal decreto legislativo 30 maggio 2005, n. 140.

3. Soppresso.

 

 




[1]     Corte di Cassazione, Sez. unite civili, sentenza 26 maggio 1997, n. 4674.

[2]     La Convenzione di Ginevra è stata ratificata dall’Italia con la legge 24 luglio 1954, n. 722, Ratifica ed esecuzione della Convenzione relativa allo statuto dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951. Anche le modifiche apportate alla Convenzione dal Protocollo di New York sono state recepite nel nostro ordinamento con la legge 14 febbraio 1970, n. 95.

[3]     La Convenzione è stata ratificata con la L. 23 dicembre 1992, n. 523, Ratifica ed esecuzione della convenzione sulla determinazione dello Stato competente per l’esame di una domanda di asilo presentata in uno degli Stati membri delle Comunità europee, con processo verbale, fatta a Dublino il 15 giugno 1990.

[4]     D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, Testo unico sull’immigrazione e sulla condizione dello straniero.

[5]    D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, Attuazione della direttiva 2004/83/CE recante norme minime sull'attribuzione, a cittadini di Paesi terzi o apolidi, della qualifica del rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonchè norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta.

[6]    D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, Attuazione della direttiva 2005/85/CE recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato.

[7]     D.L. 30 dicembre 1989, n. 416 (conv. con mod. in L. 28 febbraio 1990, n. 39), Norme urgenti in materia di asilo politico, di ingresso e soggiorno dei cittadini extracomunitari e di regolarizzazione dei cittadini extracomunitari ed apolidi già presenti nel territorio dello Stato.

[8]     L. 30 luglio 2002, n. 189, Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo.

[9]     In precedenza la legge demandava al regolamento di esecuzione la individuazione del numero delle commissioni (stabilite nel numero di sette ai sensi dell’art. 12, co. 1, D.P.R. 303/2004).

[10]   D.P.R. 16 settembre 2004, n. 303. Regolamento relativo alle procedure per il riconoscimento dello status di rifugiato.

[11]    D.Lgs. 30 maggio 2005, n. 140, Attuazione della direttiva 2003/9/CE che stabilisce norme minime relative all’accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri.

[12]    Non viene considerata una quarta eccezione al diritto di permanenza, prevista in via facoltativa dalla direttiva, relativa alla reiterazione delle domande di asilo in quanto questa particolare fattispecie di domanda (la cui attuazione non è obbligatoria) non è recepita dal decreto legislativo.

[13]    Il patrocinio a spese dello Stato nel processo è garantito per tutte le persone meno abbienti ed è regolato dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, artt. 74 e seguenti.

[14]    L. 7 agosto 1990, n. 241, Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi.

[15]    Art. 1, lett. F) della Convenzione di Ginevra ratificata dalla legge 24 luglio 1954, n. 722.

[16]   D.L. 27 luglio 2005, n. 144, (conv. con modificazioni, dalla L. 31 luglio 2005, n. 155) Misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale.

[17]    Si rileva che tale ultima condizione (richiesta all’autorità nazionale per accedere alla strutture) è assente nel testo della direttiva (art. 21). Inoltre, l’articolo in esame non estende i poteri conferiti all’ACNUR di accesso e consulenza anche alle organizzazioni operanti per conto dell’ACNUR come, invece, previsto dal medesimo articolo della direttiva.

[18]    In precedenza la presentazione presso la questura poteva avvenire unicamente se nel luogo di ingresso nel territorio nazionale non vi fosse un ufficio di frontiera, art. 2, co.1, D.P.R. 303/2004.

[19]    L’articolo 23 della direttiva indica una rosa molto più ampia, anche se di natura facoltativa, di casi per i quali attivare la procedura prioritaria.

[20]    L’art. 12 della legge comunitaria comprendeva anche l’ipotesi del richiedente originario di un Paese terzo sicuro, ossia di un Paese inserito nell’elenco a cura di ciascun Paese membro. Tale ipotesi non è considerata nel decreto legislativo in quanto non è stato recepito, come accennato sopra, il concetto di Paese terzo sicuro.

[21]   L’esplicitazione che tra i gravi motivi debbano essere compresi le discriminazioni e repressioni di comportamenti è stata aggiunta nel corso dell’esame del Senato dopo una lunga discussione, sia in sede referente, sia in Assemblea. In origine l’emendamento (Em. 12.14 del sen Silvestri) includeva tra i gravi motivi suscettibili di portare all’accoglienza della domanda di asilo la discriminazione e la repressione di orientamenti e di pratiche sessuali. Alla riformulazione definitiva del testo si è giunti principalmente a seguito della considerazione che il testo originario poteva essere giudicato incostituzionale, in quanto privilegiante una tipologia di comportamenti (e di discriminazioni) rispetto ad altre.

[22]    L. 23 agosto 1988 n. 400, Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

[23]   Il programma dell’Aja, adottato dal Consiglio europeo il 5 novembre 2004 contiene la strategia politica per il rafforzamento dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia nell’Unione europea per il periodo 2005-2010. Il programma dell’Aja fa seguito al precedente programma di Tampere, approvato dal Consiglio europeo nel 1999, con il quale si è data attuazione alle disposizioni del trattato di Amsterdam relative alla creazione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia nell'Unione europea.

[24]   Il Consiglio europeo del 14 e 15 dicembre 2006 ha ribadito la validità degli obiettivi del programma dell’Aja in materia di regime europeo comune in materia di asilo.

[25]   Il sistema di Dublino comprende quattro strumenti legislativi  volti a determinare quale Stato sia competente ad esaminare una domanda di asilo presentata in uno degli Stati membri delle comunità europee, Norvegia e Islanda, da parte di un cittadino proveniente da paesi terzi. Tale sistema è stato elaborato per dare attuazione alla Convenzione di Dublino (sulla determinazione dello Stato competente per l'esame di una domanda di asilo presentata in uno degli Stati membri delle comunità europee - Convenzione di Dublino, pubblicata in GU C 254 del 19 agosto 1997) e costituisce la prima fase dell’applicazione del programma dell’Aja.

[26]   Per fornire adeguato supporto finanziario alle azioni dell’UE nell’area libertà, giustizia e sicurezza, per il periodo 2007-2013, sono stati adottati i programmi quadro “Sicurezza e tutela delle libertà” (COM(2005)124-1), “Diritti fondamentali e giustizia” (COM(2005)122-1), “Solidarietà e gestione dei flussi migratori” (COM(2005)123-1), i cui obiettivi sono in linea con le priorità politiche individuate dal programma dell’Aja. I tre programmi quadro si articolano in programmi specifici.

[27]    Così Agee c. Regno Unito, 17 dicembre 1976, recentemente richiamata in Bolat c. Russia del 5 ottobre 2006.

[28]    In tal senso la sentenza della Grande Camera N. c. Regno Unito 27 maggio 2008.

[29]    D.Lgs. 30 maggio 2005, n. 140, Attuazione della direttiva 2003/9/CE che stabilisce norme minime relative all’accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri.

[30]   D.L. 23 maggio 2008 n. 92, Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica (in corso di conversione).

[31]    Art. 1, lett. F) della Convenzione di Ginevra ratificata dalla legge 24 luglio 1954, n. 722.

[32]   D.L. 27 luglio 2005, n. 144, (conv. con modificazioni, dalla L. 31 luglio 2005, n. 155) Misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale.