Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento affari sociali | ||
Titolo: | Le politiche per le famiglie in Italia | ||
Serie: | Documentazione e ricerche Numero: 350 | ||
Data: | 24/05/2012 | ||
Descrittori: |
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Organi della Camera: | XII-Affari sociali | ||
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Camera dei deputati |
XVI LEGISLATURA |
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Documentazione e ricerche |
Le politiche per le famiglie in Italia
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n. 350 |
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24 maggio 2012 |
Servizio responsabile: |
Servizio Studi – Dipartimento Affari sociali ( 066760-3266 – * st_affarisociali@camera.it |
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File: AS0395 |
INDICE
§ Premessa
§ Le difficoltà delle famiglie
§ Risparmio, ricchezza e indebitamento
Politiche sociali per la famiglia
§ Politiche recenti in tema di famiglia
§ Fondo politiche per la famiglia
§ Fondo nazionale per le politiche sociali
§ Fondo di credito per i nuovi nati e acquisto latte artificiale
§ Fondo di solidarietà per i mutui per l’acquisto per la prima casa
§ Organismi ed istituti a sostegno dei giovani
Servizi per l’infanzia e asili nido
§ Diffusione territoriale dei servizi per l’infanzia
La spesa pubblica rivolta agli anziani e ai disabili non autosufficienti
§ Fondo per le non autosufficienze
Gli interventi e i servizi sociali dei Comuni
Indicatore situazione economica equivalente (ISEE)
§ Le politiche di conciliazione
§ Le politiche di conciliazione
§ Interventi a sostegno della maternità e della paternità, per il diritto di cura
§ Interventi a sostegno della maternità e paternità; provvedimenti a favore dei portatori di handicap
§ Tasse scolastiche e buono scuola
§ Spesa delle famiglie per i libri di testo delle scuole
§ Integrazione scolastica degli alunni con handicap
§ Sezioni primavera e anticipo nell’iscrizione alla scuola dell’infanzia
Agevolazioni fiscali per la famiglia
§ Tassazione dei componenti del nucleo familiare - Quadro normativo vigente
§ Detrazioni per carichi di famiglia
§ Assegno per il nucleo familiare
Tabelle relative alle risorse finanziarie dei Fondi dedicati alle politiche sociali
Le risorse finanziarie 2010-2014 dei Fondi dedicati alle politiche sociali
Stato, Regioni e Comuni, rappresentano i diversi livelli di governo, chiamati ad intervenire ciascuno per le proprie parti di competenza per la programmazione e l'organizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali previsto dalla legge quadro 328/2000. In particolare, lo Stato svolge la funzione di programmatore dei principi guida riguardanti i livelli essenziali di assistenza, da garantire su tutto il territorio nazionale, le regioni definiscono la programmazione delle proprie politiche nel settore sociosanitario, ed erogano i servizi, attraverso le Asl; mentre i comuni, in forma singola o associata, operano sul territorio, sia con la programmazione di zona sia attraverso la forma del segretariato sociale e l’offerta di servizi e interventi sociali indirizzati alle famiglie, ai minori, agli anziani e alle persone con disabilità.
Anche le misure economiche e le altre provvidenze di carattere fiscale, contributivo e assistenziale previste per i familiari a carico e, in particolare, quelle correlate alla numerosità della prole sono adottate a livello nazionale, regionale o locale, contribuendo a delineare un quadro frammentario e diversificato a seconda della realtà territoriale presa in esame.
La pluralità dei settori di intervento e delle fonti normative relative alla legislazione per la famiglia, ha comportato l’esigenza di focalizzare l’attenzione su alcuni ambiti di maggiore rilievo, con specifico riferimento alle fonti normative statuali di applicazione e portata generale.
Per quanto riguarda i dati statistici, sono state utilizzate una pluralità di fonti. Pertanto, vengono forniti dati disomogenei anche rispetto a un identico indicatore, soprattutto se l’esame viene effettuato a livello aggregato e disaggregato.
Nel presente contributo, non si dà infine conto dell’ampio dibattito sulle ipotesi legate alla valorizzazione della famiglia in sede di riforma del sistema fiscale e nella prospettiva del federalismo. Sul quoziente familiare e sulle altre forme di ponderazione del fattore famiglia si rinvia pertanto ai documenti prodotti nel corso della Conferenza nazionale sulla famiglia del novembre 2010[1].
Come rilevato dal Rapporto biennale dell’Osservatorio nazionale della famiglia[2], le strutture familiari hanno subito profonde mutazioni, alle quali le politiche dedicate riescono a rispondere con fatica.
Rispetto a resto d’Europa, l’Italia si distingue per una serie di fattori combinati: la bassa natalità, il forte invecchiamento della popolazione, l’età più avanzata a cui si arriva al matrimonio e anche al primo figlio e la permanenza dei figli, già adulti, all’interno della famiglia d’origine.
Al 1° gennaio 2012, la struttura per età della popolazione italiana ci parla di un paese con un elevato livello di invecchiamento: la fascia di età compresa tra 0-14 anni è pari al 14 per cento, quella fra i 15-64 anni al 65,3 per cento, mentre la fascia di età dei 65 anni e oltre risulta pari al 20,6 per cento[3].
I dati del 2009 e del 2010 confermano che è nuovamente in atto una fase di calo delle nascite: circa 15 mila in meno in due anni. La lenta, ma continua, ripresa della natalità, avviatasi a partire dal 1995, anno in cui si è registrato il minimo storico delle nascite (526.064 nati), sembra dunque essersi interrotta. Il calo delle nascite è da attribuirsi alla diminuzione dei nati da genitori entrambi italiani (25 mila in meno in due anni), mentre i nati da almeno un genitore straniero continuano ad aumentare, sebbene con un ritmo più contenuto: in media 5 mila nati in più nel 2009 e nel 2010, un incremento dimezzato rispetto a quello osservato nel 2008. D’altra parte, le donne diventano madri ad età sempre più matura: più del 6 per cento dei nati ha una madre con almeno 40 anni, mentre prosegue la diminuzione dei nati da madri di età inferiore a 25 anni (l'11,1 per cento del totale)[4]. Inoltre il numero medio di figli per donna nel 2011 è pari a 1,42.
L’Istat ha recentemente rilevato[5] che dal 1998 la struttura delle famiglie è cambiata: si è ridotto il numero dei componenti e sono aumentate le persone sole. Si esce dalla famiglia più tardi e si assiste a uno spostamento in avanti di tutte le fasi della vita. Il numero di giovani tra 25 e 34 anni che vive ancora nella famiglia di origine è pari a quasi il 42 per cento.
Le coppie coniugate con figli rappresentano ormai solo il 36,4 per cento delle famiglie (erano il 46,2 per cento nel 1998). La famiglia tradizionale non è più il modello prevalente, nemmeno nel Mezzogiorno: le libere unioni sono quadruplicate e la quota di nati da genitori non coniugati è più che raddoppiata. D’altra parte, cresce il peso delle nuove forme familiari: single non vedovi, monogenitori non vedovi, famiglie ricostituite coniugate e unioni libere nel complesso passano dal 16,9 per cento del 1998 al 28,0 per cento del 2009. Il dato complessivo riguarda 6 milioni 866 mila famiglie e circa 12 milioni di persone, il 20 per cento della popolazione, quasi il doppio rispetto al 1998. I single non vedovi sono soprattutto uomini (55,3 per cento), mentre i monogenitori sono in gran parte donne (86,1 per cento).
Come sottolineato dall’Istat nel Rapporto annuale 2012[6], il reddito disponibile delle famiglie in termini reali è diminuito nel 2011 (-0,6 per cento) per il quarto anno consecutivo, tornando sui livelli di dieci anni fa: in termini pro-capite esso è inferiore del quattro per cento al livello del 1992 e del sette per cento nei confronti del 2007. In quattro anni la perdita in termini reali (a prezzi 2011) è stata pari a 1.300 euro a testa e la propensione al risparmio delle famiglie consumatrici è passata dal 12,6 all’8,8 per cento.
In presenza di una continua riduzione della propensione al risparmio, negli ultimi 15 anni la povertà relativa[7] ha registrato una sostanziale stabilità e la percentuale di famiglie che si trovano al di sotto della soglia minima di spesa per consumi si è mantenuta intorno al 10-11 per cento[8]. Peggiora la condizione economica soprattutto delle famiglie più numerose e con minori. Complessivamente sono 1.876 mila i minori che vivono in famiglie relativamente povere (il 18,2 per cento del totale) e quasi il 70 per cento dei minori poveri vive nel Mezzogiorno, per un totale di 1.266 mila bambini.
Nel corso degli anni la popolazione anziana è l’unica ad avere mostrato segnali di miglioramento: l’incidenza di povertà tra le famiglie con a capo un anziano, che nel periodo 1997-2000 era del 16-17 per cento, scende fino ad attestarsi al 12,2 per cento nel 2010. Il trend positivo sembra tuttavia limitato agli anziani soli o in coppia e dovuto al progressivo inserimento nella fascia di età anziana di generazioni meno svantaggiate rispetto a quelle nate e cresciute a ridosso dei periodi bellici, con titoli di studio più elevati e una storia contributiva migliore. È invece povero l’11,2 per cento delle famiglie con un solo componente di almeno 65 anni e il 14,8 per cento di quelle con due o più: si tratta in maggioranza di donne, di ultrassettantaquattrenni, con bassi livelli di istruzione, che vivono da soli o in coppia senza figli. Nelle famiglie in cui gli anziani convivono con i figli, i nipoti o altri parenti, lo scenario muta in maniera significativa e mostra evidenti segnali di peggioramento. Nel 2010, vive in condizione di povertà il 17,5 per cento delle coppie anziane con figli (erano il 14,8 per cento nel 1997), il 17,4 per cento degli anziani monogenitori (13,5 per cento nel 1997) e il 22,1 per cento delle famiglie di altra tipologia con almeno un anziano (15,3 per cento nel 1997).
Invariato è rimasto anche il forte divario tra Nord e Sud: nel 2010, l’incidenza della povertà era pari al 4,9 per cento nelle regioni settentrionali, in quelle meridionali al 23 per cento.
La solidarietà intergenerazionale riesce sempre meno ad esercitare efficacemente il ruolo di ammortizzatore sociale: le famiglie con minori in cui convivono più generazioni (in particolare coppie e genitori soli che convivono con nonni, zii o altri parenti) sono quasi raddoppiate rispetto al 1997 e rappresentano ormai ben il 14,5 per cento del totale. Tra queste, l’incidenza delle famiglie povere è aumentata dal 18,8 per cento del 1997 al 30,3 per cento del 2010, il 20 per cento non ha componenti occupati e, nel migliore dei casi, l’unico reddito è rappresentato dalla pensione dei membri più anziani; in un ulteriore 46 per cento dei casi vi è un solo occupato e il reddito percepito non è sufficiente a far uscire la famiglia da una condizione di povertà.
Rileva inoltre sottolineare che, in Italia, la divisione dei ruoli di genere all’interno della coppia è ancora tradizionale: l’uomo continua a ricoprire il ruolo di capofamiglia, anche perché è il percettore dell’unica o comunque più cospicua retribuzione, mentre le donne si fanno carico della totalità o quasi del lavoro domestico e di cura. In una coppia su tre la donna non guadagna, e cura pressoché da sola il lavoro familiare, ma l’indice che misura l’asimmetria nella distribuzione delle ore allocate ai lavori domestici e di cura è sempre elevato, anche nei casi in cui la donna è l’unica percettrice di reddito (64 per cento) ed arriva all’84 per cento quando la donna non ha alcuna retribuzione. Le coppie caratterizzate da una divisione equa del lavoro familiare e con eguale responsabilità economica rappresentano pertanto un’eccezione, pari al 5,7 per cento.
La società italiana appare bloccata anche sul versante della mobilità sociale. Le opportunità di miglioramento della propria condizione sociale rispetto a quella della famiglia di origine, cresciute in passato per tutte le generazioni, fino a quelle nate negli anni ’50, si sono ridotte per le generazioni successive. Il rischio di peggiorare la propria condizione rispetto a quella del padre, che si era ridotto per lungo tempo, si fa più marcato a partire dai nati della seconda metà degli anni ’60 in poi. Sebbene le difficoltà dei giovani siano trasversali rispetto alle classi sociali, tuttavia la classe di origine influisce ancora in maniera rilevante sulla mobilità sociale, determinando rilevanti diseguaglianze nelle opportunità degli individui.
Nell’intervento svolto a Genova nell’aprile del 2012[9], il vice direttore della Banca d’Italia, ricorda che, nell’ambito della spesa rivolta alle famiglie, il nostro paese sconta un forte ritardo nei confronti delle altre nazioni europee. Nel 2007, la spesa sociale era pari al 25,5 per cento del PIL, più o meno il valore medio dell’area dell’euro, ma le sue componenti erano fortemente sbilanciate verso le pensioni; con la spesa sociale per la famiglia e per i bambini, per l’abitazione, per il sostegno delle persone in cerca di lavoro e per il contrasto dell’esclusione sociale corrispondente al 2 per cento del PIL, rispetto a una media nell’area euro pari al 4,3 per cento e a valori superiori al 5 per cento in Francia e Germania.
Il quadro della società italiana e le stesse condizioni familiari appaiono in veloce trasformazione: per i giovani l’instabilità del lavoro, associata a bassi salari, condiziona fortemente l’accesso al mercato immobiliare e al risparmio, mentre la ricchezza dei genitori, che ha svolto un ruolo importante nel sostenere anche i figli, sta iniziando a ridursi e, parallelamente, l’allungamento della vita lavorativa rende più difficile il coinvolgimento dei genitori più anziani nella cura dei nipoti mettendo in crisi il modello di welfare finora praticato.
In particolare, nel decennio appena trascorso, la propensione al risparmio delle famiglie italiane è sensibilmente diminuita: dal 16 per cento del reddito disponibile all’inizio del 2008; è scesa al 12 per cento nel 2011, il valore più basso dal 1995, con una diminuzione di 0,7 punti percentuali rispetto all'anno precedente[10]. I dati dell’Indagine sui bilanci delle famiglie[11] sottolineano che la caduta del tasso di risparmio è stata molto forte per le famiglie con un capofamiglia con meno di 35 anni e per quelle appartenenti al quarto della popolazione che ha i redditi più bassi. Per queste ultime il tasso di risparmio medio è divenuto nel 2010 sostanzialmente nullo, come durante la recessione del 1992-93. Secondo i dati dell’Indagine, nel 2010 la crisi avrebbe anche comportato un aumento al 22 per cento della quota di famiglie con un reddito insufficiente a coprire i consumi; per le famiglie a basso reddito la quota sale a più del doppio.
I nuclei con un reddito ritenuto indicativo di una situazione di povertà relativa rappresentavano nel 2010 il 13 per cento del totale; tra questi, solo la metà aveva una ricchezza netta sufficiente a sostenerli per sei mesi in caso di perdita del reddito. Non sorprende che la quota di famiglie povere di reddito e di ricchezza sia più elevata (15 per cento) tra i giovani, che hanno una minore possibilità di aver accumulato risparmi. In generale va però rilevato come, tra il 2008 e il 2010 la quota di famiglie povere in base al reddito e alla ricchezza è cresciuta di circa 1 punto percentuale per il campione nel suo complesso e di circa 5 punti per le famiglie dei giovani.
D’altra parte, le famiglie italiane appaiano ricche nel confronto internazionale, in linea con il reddito familiare di Francia e del Regno Unito, ma con entrate significativamente superiori ai nuclei familiari della Germania e degli Stati Uniti, anche se la distribuzione della ricchezza non è omogenea. Nel 2010 infatti quasi la metà della ricchezza netta era detenuta dalle famiglie del decimo più ricco, mentre la metà più povera delle famiglie possedeva poco più di un decimo della ricchezza totale. Risultano in sofferenza soprattutto i nuclei con un capofamiglia di età inferiore ai 35 anni, che detengono solo il 5 per cento, pur rappresentando più del 10 per cento delle famiglie.
Nel confronto internazionale i debiti finanziari delle famiglie italiane rimangono, in rapporto al reddito disponibile, di un terzo più bassi del dato medio dell’area dell’euro: il 66 contro il 99 per cento nel 2011. Questo risultato è dovuto principalmente a due fattori: la contenuta diffusione della domanda dei prestiti per l’acquisto di abitazioni, anche grazie all’elevato livello di ricchezza reale detenuta dalle famiglie italiane, ma anche da una maggiore selettività nella concessione dei finanziamenti da parte degli intermediari finanziari, che si è riflessa in un aumento della quota di famiglie che non hanno ottenuto, in tutto o in parte, il credito richiesto (poco più di un quarto nel 2010, oltre il doppio rispetto agli anni precedenti la crisi). Al contrario, a differenza del passato, la spesa del 25 per cento più povero delle famiglie è stata sostenuta da un aumento del ricorso al credito al consumo.
Il decreto-legge 181/2006[12] attribuisce al Presidente del Consiglio dei ministri la competenza in materia di politiche della famiglia. Successivamente il decreto-legge 85/2008[13] ha confermato l’attribuzione al Presidente del Consiglio dei ministri delle funzioni di indirizzo e coordinamento in materia di politiche a favore della famiglia, di interventi per il sostegno della maternità e della paternità, di conciliazione dei tempi di lavoro e dei tempi di cura, di misure di sostegno alla famiglia, alla genitorialità e alla natalità, nonché delle funzioni di indirizzo e coordinamento concernenti l'Osservatorio nazionale sulla famiglia. Nel 2009[14] è stato istituito il Dipartimento per le politiche della famiglia, i cui compiti sono stati ulteriormente definiti nel 2011[15]. La Presidenza del Consiglio gestisce altresì le risorse dedicate, concentrate nel Fondo.
Il decreto-legge 181/2006 attribuisce alla Presidenza del Consiglio anche competenza in materia di pari opportunità, politiche giovanili, sport e turismo, confermate anch’esse dal decreto-legge 85/2008. In ultimo, il D.P.C.M. 13 dicembre 2011[16] ha affidato al Ministro per la Cooperazione internazionale e l'integrazione le deleghe sulle politiche giovanili, sulle politiche per la famiglia, sulle adozioni di minori italiani e stranieri, sull'Osservatorio nazionale sulla famiglia, sull'Osservatorio nazionale sull'infanzia e l'adolescenza, sul servizio civile e sull'ufficio nazionale antidiscriminazione.
L’Osservatorio nazionale sulla famiglia[17] è un organismo di supporto tecnico-scientifico per l'elaborazione delle politiche nazionali per la famiglia, con funzioni di studio e consulenza nelle materie relative alla stessa, nonché di supporto al Dipartimento per le politiche della famiglia ai fini della predisposizione del Piano nazionale per la famiglia. L’Osservatorio contribuisce infatti alla preparazione del Piano attraverso la promozione e l'organizzazione, con cadenza biennale, di una Conferenza nazionale sulla famiglia. Il Piano, come previsto dall'articolo 1, comma 1251, della legge finanziaria 2007 (L. 296/2006), costituisce il quadro conoscitivo, promozionale e orientativo degli interventi relativi all'attuazione dei diritti della famiglia.
Si ricorda, che l’Italia, contrariamente ad altri Paesi europei, non ha sinora avuto un Piano nazionale di politiche familiari, inteso come un quadro organico e di medio termine di politiche specificatamente rivolte alla famiglia. Date queste premesse, il 23 giugno 2011 l’Osservatorio Nazionale ha licenziato la bozza del Piano nazionale di politiche per la famiglia. Il piano [18] è stato elaborato (cfr. infra p.15) tenendo conto delle indicazioni scaturite dall’ampio dibattito sviluppatosi nel corso della Conferenza nazionale della famiglia (Milano, 8-10 novembre 2010) e del lavoro di impostazione e approfondimento svolto dal Comitato Tecnico Scientifico.
Tra gli interventi previsti:
Ø revisione dell’ISEE: individuazione di una scala di equivalenza in cui siano tenuti in maggiore considerazione il numero dei figli e le situazioni di non autosufficienza, con possibilità di rendere flessibile lo strumento adattandolo alle diverse realtà;
Ø potenziamento della rete dei servizi socio-educativi per la prima infanzia e sostegno ai costi dell’educazione dei figli;
Ø lavoro di cura mirato alle famiglie con disabili e anziani non autosufficienti: servizi domus oriented destinati all’anziano o disabile e sostegno al lavoro di cura delle badanti;
Ø potenziamento della diffusione e dell’utilizzo di voucher di servizio al fine di favorire l’accesso ai servizi anche attraverso la condivisione di buone pratiche e meccanismi di connessione fra amministrazioni locali, servizi e utenza, coinvolgendo anche cooperative, associazionismo familiare ed altre organizzazione del privato sociale.
Il 15 maggio 2012, l’Osservatorio ha presentato il Rapporto biennale 2011-2012[19]. Il documento analizza la situazione delle famiglie sottolineando il profondo influsso che il mutamento delle basi demografiche avrà sul sistema di welfare nazionale. In tale contesto, il Rapporto rileva la necessità di riconoscere la cittadinanza sociale della famiglia attraverso la promozione di interventi che favoriscano la costituzione e lo sviluppo della famiglia come soggetto sociale avente diritti propri, integrati con i diritti individuali, in rapporto alle funzioni sociali svolte dal nucleo familiare. Il Rapporto infine illustra le buone pratiche e gli interventi attuati a livello locale, che, ove implementati e inseriti in un quadro organico, potrebbero portare a realizzare più efficaci politiche familiari.
Con D.P.C.M. 13 dicembre 2011[20] il Ministro senza portafoglio per la cooperazione internazionale e l'integrazione è stato delegato ad esercitare le funzioni di indirizzo, di coordinamento e di promozione di iniziative, anche normative, di vigilanza e verifica, nonché ogni altra funzione attribuita dalle vigenti disposizioni al Presidente del Consiglio dei Ministri, relativamente alla materia delle politiche per la famiglia.
Il 2 febbraio 2012 è stata sottoscritta un’Intesa in sede di Conferenza unificata[21] sull’utilizzo di risorse da destinare al finanziamento di azioni per le politiche a favore della famiglia. I fondi, pari a 25 milioni di euro, spostati da precedenti capitoli di competenza statale e resi disponibili sui capitoli di pertinenza regionale e degli enti locali, sono stati messi a disposizione per garantire la continuità degli obiettivi di servizio relativi a: diffusione servizi per l’infanzia e presa in carico degli utenti dei servizi per l’infanzia (bambini 0-3 anni) e incremento della percentuale degli anziani beneficiari dell’assistenza domiciliare integrata (ADI) dall’1,6 per cento al 3,5 per cento. Le regioni concorrono al finanziamento per quanto nelle loro disponibilità. Ai sensi dell’articolo 4 dell’Intesa, l’utilizzo delle risorse è monitorato da un Gruppo paritetico composto da rappresentanti del Dipartimento per le politiche della famiglia, MEF, regioni e PA, ANCI e UPI.
Nel corso della Conferenza unificata del 19 aprile 2012 sono state sancite tre Intese in materia di famiglia: sul Piano nazionale sulla famiglia; sul riparto per il 2012 delle risorse del Fondo per le politiche della famiglia; sull’utilizzo di risorse da destinarsi al finanziamento di servizi socio educativi per la prima infanzia e azioni in favore degli anziani e della famiglia.
Di particolare importanza, l'Intesa sul primo Piano nazionale per la famiglia, che dovrà essere approvato definitivamente dal Consiglio dei ministri.
La successiva Intesa[22] ha stabilito i criteri di ripartizione delle risorse disponibili a valere sui capitoli di pertinenza Politiche della famiglia del bilancio di previsione della Presidenza del Consiglio dei Ministri, per complessivi 45 milioni di euro, da destinare al finanziamento di servizi socio educativi per la prima infanzia e azioni in favore degli anziani e della famiglia. L’Intesa stabilisce le modalità di attuazione, i tempi di realizzazione degli interventi e il monitoraggio. Le Regioni concorreranno ai finanziamenti secondo le rispettive disponibilità. Le risorse saranno ripartite previa sottoscrizione con ogni Regione di un accordo della durata di 24 mesi con l’indicazione dei servizi socio educativi e le azioni da finanziare in favore degli anziani e della famiglia, individuate dalle Regioni in accordo con le Autonomie Locali.
Come sottolineato dall’Istat[23], permane e si aggrava negli anni della recente crisi, il forte differenziale Nord-Sud. Nel Mezzogiorno, le opportunità lavorative per le donne e i giovani sono minori e forti differenziali si rilevano anche nella dotazione dei servizi sociali erogati dai comuni, quali gli asili nido e l’assistenza fornita ai non autosufficienti.
In tale contesto, la politica regionale[24] di sviluppo a cui fa riferimento il Quadro Strategico Nazionale (QSN), previsto formalmente dall’art. 27 del Regolamento Generale sui Fondi strutturali europei, può dare un forte contributo alla riduzione della persistente sottoutilizzazione di risorse del Mezzogiorno.
Nel corso del 2011 è stata avviata, di intesa con la Commissione Europea, l'azione per accelerare l'attuazione dei programmi cofinanziati dai fondi strutturali 2007-2013. Dopo la prima fase, varata il 15 dicembre, relativa a fondi gestiti dalle Regioni (3,7 miliardi di riprogrammazione a favore di istruzione, ferrovie, formazione riformata, agenda digitale e occupazione di lavoratori svantaggiati), è stata predisposta la Fase II[25] che impegna le amministrazioni centrali e locali a rilanciare i programmi in grave ritardo, garantendo una forte concentrazione delle risorse su alcune priorità. In totale, le risorse impegnate, già iscritte in bilancio, sono pari a 2,3 miliardi di euro. La riprogrammazione riguarda primariamente quattro Regioni Convergenza (Calabria, Campania, Sicilia, Puglia), per le quali il Quadro Strategico nazionale 2007-2013 prevede Programmi operativi nazionali e interregionali. Altre Regioni del Sud vi aderiscono volontariamente.
La riprogrammazione dei fondi comunitari ha previsto il definanziamento degli interventi con criticità di attuazione e il finanziamento di interventi rivolti all'inclusione sociale e alla crescita rispondendo in tal senso anche agli impegni contenuti nelle Mozioni concernenti iniziative per favorire gli interventi produttivi e l'occupazione nel mezzogiorno[26]approvate a larga maggioranza dalla Camera dei Deputati il 28 marzo 2012 . La riallocazione delle risorse si concentra fra l’altro sulla cura dell’infanzia (400 milioni) e degli anziani non autosufficienti (330 milioni). L’intervento è volto a raggiungere nel Sud un maggiore grado di copertura della rete dei servizi e degli interventi sociali, migliorando al contempo la qualità di quelli già presenti. Il programma è costruito sulla base di metodi, requisiti e filiere di attuazione (con un ruolo centrale degli enti locali, nonché del privato sociale e del privato) già sperimentati ed è coerente con gli indirizzi nazionali nei campi sanitario e sociale. Obiettivi e risultati sono misurati dagli obiettivi del QSN 2007-2013, che per quanto riguarda i servizi di cura per l’infanzia e gli anziani indica come obiettivo l’aumento del numero dei servizi di cura alla persona alleggerendo i carichi familiari per innalzare la partecipazione delle donne al mercato del lavoro.
Per i giovani sono previsti una serie di interventi combinati. Per l’inclusione sociale si è scelto di intervenire con azioni per la legalità in aree a elevata dispersione scolastica (77 milioni di euro) e promuovendo progetti promossi da giovani del privato sociale per l’offerta di servizi collettivi e la valorizzazione di beni pubblici (37,6 milioni). Per la crescita sono stati destinati 50 milioni di euro all’autoimpiego e auto imprenditorialità, ulteriori 50 milioni per l’apprendistato e 5,3 milioni di euro per la promozione di metodi applicati di studio/ricerca nelle Università attraverso ricercatori italiani all’estero.
Il Fondo istituito ai sensi dell'art. 19, comma 1, del decreto-legge 223/2006[27], presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, è stato ridisciplinato dalla finanziaria 2007[28] che ha fra l’altro istituito l’Osservatorio nazionale sulla famiglia. Le risorse destinate nel loro complesso alle politiche familiari sono assegnate mediante un apposito decreto di ripartizione. Dal 2010 le risorse afferenti al Fondo sono ripartite fra interventi relativi a compiti ed attività di competenza statale (cap. 858) ed attività di competenza regionale e degli enti locali (cap. 899)[29].
Nell’ultimo quinquennio, gli stanziamenti finalizzati alle politiche di sostegno alla famiglia hanno registrato una considerevole riduzione. Nel 2011 il Fondo ha subito un forte ridimensionamento, legato, secondo quanto affermato dal MEF, alla necessità di alimentare il costituendo Fondo per il federalismo, con conseguente azzeramento dei trasferimenti di risorse al sistema delle autonomie. Per quanto riguarda il 2010, a seguito dell’Intesa del 29 aprile 2010 in sede di Conferenza unificata[30], il decreto del 20 luglio 2010 ha stabilito il riparto delle risorse del Fondo per il 2010, ammontanti nel complesso ad 185.289.000 milioni di euro. Per quanto riguarda le attività di competenza regionale e degli enti locali, i 100 milioni di risorse disponibili sono stati ripartiti con l’intesa in sede di Conferenza unificata del 7 ottobre 2010 che li ha destinati in via prioritaria, al proseguimento dello sviluppo ed al consolidamento del sistema integrato di servizi socio-educativi per la prima infanzia e alla realizzazione di altri interventi a favore delle famiglie, assicurando che ad essi accedano prioritariamente le famiglie numerose o in difficoltà, sulla base della valutazione del numero e della composizione del nucleo familiare e dei livelli reddituali.
I finanziamenti per il 2011, risultano pari a 51,5 milioni di euro, mentre nel Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2012 e per il triennio 2012-2014[31] gli importi proposti sono: 52,535 milioni di euro per il 2012 e 31,391 milioni di euro per il 2013 e il 2014. Tali importi non sono stati confermati dalla Legge di stabilità 2012 (L. 183/2011), che, come indicato nella tabella C, per il Fondo per le politiche della famiglia, indica per il 2012 31,994 milioni di euro, per il 2013 stanzia 21,184 milioni di euro, mentre per il 2014 indica 23,280 milioni.
L'analisi complessiva del Fondo resa dalla Corte dei Conti nella relazione sul Fondo per le politiche della famiglia (Deliberazione n. 2/2012/G)[32] indica, per un contesto di particolare complessità e rilevanza quale quello delle politiche per la famiglia, la forte esigenza di privilegiare un'ottica strutturale e non più frammentata dei bisogni della persona. La Corte rileva la mancanza di un'ottica “Top down”, in grado di indirizzare appropriatamente i progetti a finalità diffuse e, come tali, da portare a sistema, ai quali è stata preferita l'ottica “bottom up”, rivelatasi di scarsa incisività, sia per le dimensioni degli interventi nonché per la loro gestibilità a fattor comune. La Corte sottolinea inoltre la carenza di un sistema di valutazione effettiva dei progetti, laddove esso appare imprescindibile in un contesto politico ed economico come quello attuale italiano, in cui gli obiettivi urgenti da raggiungere sono pesantemente condizionati dalla limitatezza delle risorse a disposizione. Aspetti critici sono stati rilevati per l'attività dell'Osservatorio Nazionale sulla Famiglia, in un contesto nel quale si è ancora in attesa del varo del Piano Nazionale della Famiglia.
Il Fondo Nazionale per le Politiche Sociali (FNPS) è lo strumento con cui, a livello statale, vengono finanziati annualmente[33] gran parte degli interventi della sfera del sociale. Il Fondo, istituito nel 1998[34], è stato maggiormente definito e rafforzato dalla L. 328/2000 che ha ripartito annualmente le risorse tra le regioni, le province autonome, i comuni e il Ministero del lavoro e delle politiche sociali[35] (secondo il Piano dei servizi sociali e a altri criteri precisati dalla legge stessa, basati sulla struttura demografica, sui livelli di reddito e sulla situazione occupazionale). Dopo la sentenza n. 493/2004 della Corte costituzionale che evidenzia la piena autonomia delle Regioni nella decisione in merito alla finalizzazione delle risorse del Fondo ad esse destinate nel caso in cui il legislatore statale non individui le prestazioni erogabili in concreto e non si possano richiamare i “livelli essenziali delle prestazioni”, il Fnps è stato distribuito alle regioni integralmente a titolo di risorse indistinte[36].
Alcuni recenti provvedimenti normativi hanno ridotto gli interventi finanziati a valere sul Fondo nazionale per le politiche sociali. In particolare, le risorse del Fondo per l’infanzia e l’adolescenza – istituito dalla legge 285/1997[37] – inizialmente allocate nel Fondo nazionale delle politiche sociali, a decorrere dall’anno 2008 sono determinate dalla legge finanziaria limitatamente alle risorse destinate al finanziamento degli interventi nei 15 Comuni riservatari indicati dalla legge istitutiva. Le rimanenti risorse del Fondo nazionale dell’infanzia e dell’adolescenza continuano a confluire indistintamente nel Fondo nazionale delle politiche sociali.
Per quanto riguarda le somme destinate al finanziamento degli interventi costituenti i diritti soggettivi (assegno al nucleo familiare con tre figli minori, per la maternità, agevolazioni disabili e lavoratori talassemici), la legge finanziaria per il 2010 ha disposto che siano finanziati attraverso appositi capitoli iscritti nello stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
La legge di stabilità per il 2011 (legge 220/2010) ha stanziato per le politiche sociali 273,8 milioni di euro, da ripartirsi tra le regioni e il Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Dell’iniziale stanziamento, per effetto dell'art. 1, comma 13, della legge 220/2010, sono stati accantonati 55,8 milioni di euro in ragione dell’andamento dei proventi derivanti dalla cessione dei diritti d’uso delle frequenze per i servizi di comunicazione a banda larga. Tali accantonamenti sono stati resi definitivi dal decreto legge 98/2011. Con Decreto Interministeriale del 17 giugno 2011, sono stati pertanto ripartiti 218 milioni di euro, di cui 39,5 milioni di euro al Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
Nel Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2012 e per il triennio 2012-2014[38] l’importo proposto per il 2012 è di 69,954 milioni di euro, per il 2013 e il 2014, gli importi sono invece pari a 44,590 milioni di euro. Tali stanziamenti sono stati poi confermati dalla Legge di stabilità 2012, come indicati nella tabella C.
Il decreto-legge 112/2008[39] ha disposto l’istituzione di un Fondo di solidarietà per i cittadini meno abbienti per la concessione della Carta acquisti. Successivamente sono stati individuati i titolari del beneficio, l’ammontare del beneficio unitario e le modalità di fruizione dello stesso, prevedendo la stipula di convenzioni tra i ministeri interessati ed il settore privato[40]. La Carta acquisti viene concessa, con onere a carico dello Stato, ai richiedenti residenti con cittadinanza italiana che versano in condizione di maggior disagio economico, ovvero ai cittadini nella fascia di bisogno assoluto di età uguale o superiore ai 65 anni o con bambini di età inferiore ai tre anni. La Carta, utilizzabile per il sostegno della spesa alimentare e sanitaria e per il pagamento delle spese energetiche, vale 40 euro al mese e viene caricata ogni due mesi con 80 euro, sulla base degli stanziamenti disponibili. E’ stato inoltre previsto l'accredito di un importo aggiuntivo mensile (pari a 25 euro) a titolo di concorso alle spese occorrenti per l'acquisto di latte artificiale e pannolini[41]. Le risorse sono state allocate nel Fondo Carta acquisti[42]. In ultimo, è stato disposto l’accredito di un importo aggiuntivo mensile di 10 euro per i titolari della Carta Acquisti che siano utilizzatori, sul territorio nazionale, di gas naturale o GPL[43]. Con il proroga termini 2011[44], ha preso avvio una sperimentazione, della durata di un anno e con un limite di impegno massimo di risorse fino a 50 milioni di euro, a favore degli enti caritativi operanti nei comuni con più di 250.000 abitanti.
Il decreto legge 98/2011 prevede che una quota pari al 3 per cento delle spese annue per la pubblicità dei prodotti di gioco, previste a carico dei concessionari relativamente al gioco del lotto, alle lotterie istantanee ed ai giochi numerici a totalizzatore, venga destinata al rifinanziamento della Carta acquisti.
In ultimo, il decreto-legge 5/2012[45] ha infine previsto una sperimentazione, di durata non superiore ai dodici mesi e nei comuni con più di 250.000 abitanti, per favorire la diffusione della carta acquisti tra le fasce della popolazione in condizione di maggiore bisogno, anche al fine di valutarne l’uso come strumento di contrasto alla povertà assoluta. Le modalità attuative, fra cui la decorrenza della sperimentazione, saranno determinate da un decreto interministeriale che definirà i criteri di identificazione, per il tramite dei Comuni, dei beneficiari della social card con riferimento ai cittadini italiani e di altri Stati dell'Unione europea ovvero ai cittadini di Stati esteri in possesso del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo nonché l'ammontare, in funzione del nucleo familiare, della disponibilità sulle singole carte acquisto. Il decreto dovrà anche stabilire le caratteristiche del progetto personalizzato di presa in carico, volto al reinserimento lavorativo e all'inclusione sociale, anche attraverso il condizionamento del godimento del beneficio alla partecipazione al progetto. Per le risorse necessarie alla sperimentazione si provvede nel limite massimo di 50 milioni di euro[46].
Nel corso dell’esame parlamentare è stato approvato un ordine del giorno[47], che impegna il Governo a considerare come indice di priorità, all'interno dell'apposito decreto interministeriale che definirà i criteri per la identificazione dei beneficiari, il criterio del numero di persone non autosufficienti appartenenti a ciascun nucleo famigliare, prevedendo un aumento del 50 per cento della soglia massima di reddito o pensione entro cui si ha diritto alla carta acquisti per ciascuna persona disabile grave non autosufficienti presente nel nucleo familiare stesso.
Il decreto legge 185/2008[48], all’articolo 4, comma 1, ha istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Fondo di credito per i nuovi nati , finalizzato al rilascio di garanzie dirette, anche fidejussorie, alle banche ed agli intermediari finanziari per l’erogazione di finanziamenti alle famiglie, per i nuovi nati o adottati negli anni 2009, 2010 e 2011, a tasso agevolato, in misura non superiore a 5.000 euro. Al Fondo è concessa una dotazione pari a 25 milioni di euro per ciascuno degli anni 2009, 2010 e 2011: alla copertura del relativo onere si provvede mediante l’utilizzo delle risorse del Fondo per le politiche della famiglia. Nel 2009 il Fondo è stato integrato di 10 milioni di euro per la corresponsione di contributi in conto interessi in favore delle famiglie di nuovi nati, o con bambini adottati nel medesimo anno, portatori di malattie rare. Sempre nel 2009 è stata autorizzata la spesa di 2 milioni di euro per il rimborso delle spese occorrenti per l’acquisto di latte artificiale e pannolini per i neonati fino a 3 mesi di età.
Da ultimo la legge di stabilità 2012 (L. 183/2011)[49], all’articolo 12 ha stabilito che le misure relative al Fondo di credito per i nuovi nati sono prorogate per gli anni 2012, 2013 e 2014. Al relativo onere si provvede mediante utilizzazione delle risorse complessivamente disponibili alla data del 31 dicembre 2011 sull’apposito conto corrente infruttifero aperto presso la Tesoreria centrale dello Stato, nonché di quelle successivamente recuperate in ragione del carattere rotativo del Fondo stresso. Come rilevato dalla Corte dei Conti, lo strumento, per stessa ammissione del Dipartimento per le politiche della famiglia, non si presta a fronteggiare i problemi delle famiglie a basso reddito. Tale circostanza è confermata dal dato che vede solo un terzo dei crediti concessi erogati a favore di famiglie con basso ISEE.
Fra le misure a sostegno delle famiglie si ricorda infine il Fondo di solidarietà per i mutui per l’acquisto per la prima casa presso il Dipartimento del Tesoro, istituito ai sensi dell’art. 2, comma 475 e seguenti, della legge finanziaria 2008 (L. 244/2007), rifinanziato di 10 milioni per gli anni 2012 e 2013 dall'art. 13, comma 20, del D.L. 201/2011[50]. Il fondo è operativo dal 15 novembre 2010. La misura è rivolta a famiglie con un mutuo non superiore a 250.000 euro e con un indicatore ISEE inferiore a 30.000 euro. I lavoratori in cassa integrazione non rientrano tra i beneficiari. Il Fondo nasce con l'obiettivo di far fronte alle difficoltà che possono insorgere nell'assolvere agli obblighi derivanti da mutui contratti per l'acquisto o la ristrutturazione della prima casa: infatti permette la sospensione del pagamento delle rate per non più di due volte e per un periodo massimo complessivo non superiore a diciotto mesi nel corso dell’esecuzione del contratto. In tal caso, la durata del contratto di mutuo e quella delle garanzie è prorogata di un periodo eguale alla durata della sospensione. I fondi stanziati per il 2011 (20 ml. di euro) sono stati utilizzati in sei mesi e ne hanno tratto beneficio circa 5.000 mutuatari.
A seguito del riordino di competenze istituzionali, operato dal decreto-legge 85/2008, sono state attribuite al Presidente del Consiglio dei Ministri le funzioni di indirizzo e coordinamento in materia. Successivamente, con il D.P.C.M. 13 giugno 2008 sono state conferite al Ministro della gioventù le deleghe ad esercitare le funzioni e i compiti, ivi compresi quelli di indirizzo e coordinamento, di tutte le iniziative, anche normative, nelle materie concernenti le politiche giovanili. Successivamente, come già illustrato, il D.P.C.M. 13 dicembre 2011 ha delegato il Ministro per la cooperazione internazionale e l’integrazione ad esercitare le funzioni e i compiti, ivi compresi quelli di indirizzo e coordinamento, di tutte le iniziative, anche normative, nelle materie concernenti le politiche giovanili.
Si ricordano una serie di istituti ed organismi finalizzati a svolgere un'azione di sostegno in favore dei giovani:
§ l'Agenzia nazionale per i giovani, con sede in Roma, istituita in attuazione della decisione n. 1719/2006/CE, che amministra il programma comunitario "Gioventù in azione";
§ l’Osservatorio nazionale sulle comunità giovanili, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri;
§ il Forum nazionale dei giovani con un ruolo consultivo e propositivo in tema di politiche giovanili.
Gli stanziamenti finalizzati alle politiche di incentivazione e sostegno alla gioventù hanno registrato nell’ultimo triennio una notevole contrazione. In particolare, il Fondo per le politiche giovanili è stato istituito ai sensi dell’articolo 19, comma 2, del decreto-legge 223/2006, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, con una dotazione di 3 milioni di euro per l’anno 2006 e di dieci milioni di euro a decorrere dall’anno 2007. L’articolo 1, comma 1290, della legge finanziaria 2007 (L. 296/2006) incrementa il Fondo di 120 milioni di euro per gli anni 2007, 2008 e 2009. Successivamente l’articolo 2, comma 1, del decreto-legge 78/2010[51] ha disposto dal 2011 una riduzione lineare del 10 per cento delle dotazioni finanziarie iscritte a legislazione vigente nell’ambito delle spese rimodulabili di cui all’articolo 21, comma 5, lettera b) della L. 196/2009.
Il Fondo è istituito al fine di promuovere il diritto dei giovani alla formazione culturale e professionale e all'inserimento nella vita sociale, anche attraverso interventi volti ad agevolare la realizzazione del diritto dei giovani all'abitazione, nonché per facilitare l'accesso al credito per l'acquisto e l'utilizzo di beni e servizi ed è destinato a finanziare azioni e progetti di rilevante interesse nazionale, nonché le azioni ed i progetti destinati al territorio, individuati di intesa con le Regioni e gli Enti Locali. Il decreto del 18 ottobre 2010 ha ripartito le risorse del Fondo per il 2010[52], pari a 81,087 milioni di euro, destinando alle azioni e ai progetti di rilevante interesse nazionale la somma di 33.181.019,40 euro e una quota di 47.905.980,60 euro al finanziamento delle azioni e dei progetti destinati al territorio, di cui 37.421.650,50 euro da ripartirsi fra le Regioni secondo i criteri indicati nell'Intesa sottoscritta nella Conferenza unificata del 7 ottobre 2010. I rimanenti 10.484.330,10 euro sono destinati a cofinanziare interventi proposti da Comuni e Province.
Per il 2011 il Fondo risulta ridotto legislativamente. Come illustrato nelle premesse del decreto di riparto del Fondo[53], al capitolo n. 853 del bilancio autonomo della Presidenza del Consiglio dei Ministri denominato Fondo per le politiche giovanili inizialmente viene assegnata una dotazione finanziaria di 32,909 milioni di euro[54]. Successivamente il Fondo viene ridotto di 20,122 milioni di euro risultando pari, per il 2011; a 12, 787 milioni di euro,di cui10,941 milioni di euro destinati alle azioni e ai progetti sul territorio.
La Legge di stabilità 2012 (L. 183/2011), nella tabella C prevede per Fondo stanziamenti per il 2012 pari a 8,180 milioni di euro, per il 2013 a 7,187 milioni di euro e per il 2014 finanziamenti pari a 7,897 milioni di euro.
Si segnalano le ulteriori azioni finanziate al di fuori delle risorse allocate nel Fondo per le politiche giovanili:
Ø Il Fondo per il credito ai giovani (Fondo per lo studio)[55], istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento per le politiche giovanili, ai sensi dell’articolo 15, comma 6, del decreto legge 81/2007, favorisce l'accesso al credito degli studenti universitari o post-universitari di età compresa tra i 18 e i 40 anni in possesso di requisiti di merito. Il Fondo ha ricevuto una dotazione di 10 milioni per ciascun anno del triennio 2007-2009. Successivamente, in ragione delle esigenze di contenimento della finanza pubblica, a decorrere dall'anno 2009, è stato disposto un definanziamento del Fondo. La dotazione finanziaria attuale si compone pertanto di quanto residua dallo stanziamento già trasferito per l'esercizio finanziario 2007 e da quello impegnato contabilmente per l'esercizio finanziario 2008. Il decreto ministeriale 19 novembre 2010 reca la disciplina del Fondo di garanzia. Per il 2010 e il 2011 non è stato previsto alcun rifinanziamento.
Ø Ai sensi dell’articolo 13, comma 3-bis, del D.L. 112/2008, è istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della gioventù -, un Fondo per l’accesso al credito per l’acquisto della prima casa (Fondo casa) da parte delle giovani coppie o dei nuclei familiari monogenitoriali con figli minori, con priorità per quelli i cui componenti non risultano occupati con rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Come previsto dalla legge finanziaria 2010, i criteri per l’accesso al Fondo e le modalità di funzionamento dello stesso sono stati disciplinati dal decreto 17 dicembre 2010, n. 256 . Il Fondo ha una dotazione finanziaria iniziale pari a 50 milioni di euro[56].
Ø L’articolo 2, comma 60 della legge finanziaria 2010, sostituendo l'articolo 1, comma 556, della legge finanziaria 2006, ha istituito l’Osservatorio nazionale sulle comunità giovanili, al fine di promuovere e valorizzare il ruolo di sviluppo e integrazione sociali svolto dalle comunità giovanili, contestualmente è stato istituito il Fondo nazionale per le comunità giovanili. La dotazione finanziaria del Fondo è pari a 3 milioni di euro per l’anno 2010. Come rilevato nel D.P.C.M. del 10 dicembre 2010 di approvazione del bilancio di previsione della Presidenza del Consiglio dei ministri per il 2011, in considerazione delle significative riduzione dei nuovi stanziamenti destinati per il triennio alle politiche di settore si è scelto di allocare le risorse del fondo all’interno del Fondo per le politiche giovanili.
Ø Il Fondo Mecenati, istituito con decreto 12 novembre 2010 , al fine di promuovere, sostenere e sviluppare l'imprenditoria giovanile nonchè al fine di promuovere e sostenere il talento, l'innovatività e la creatività dei giovani di età inferiore ai 35 anni, nei limiti delle risorse finanziarie stanziate dall'articolo 1, commi 72 e 73, della legge 247/2007. Il Fondo è istituito presso il Dipartimento della Gioventù con una dotazione di 40 milioni di euro.
Ø Il Fondo genitori precari, nell’ambito delle risorse finanziarie individuate dall'articolo 1, comma 73, della legge 247/2007[57], come da ultimo modificato dall'art. 2, comma 50, della legge finanziaria 2010 (L. 191/2009), con una dotazione pari a 51 milioni di euro, è destinato a i sopperire alle esigenze derivanti dalla peculiare attività lavorativa svolta dai giovani di età inferiore a 35 anni; genitori di figli minori legittimi, naturali o adottivi, ovvero affidatari di minori; occupati con rapporto di lavoro subordinato (non a tempo indeterminato) o con contratto di collaborazione coordinata e continuativa, ovvero disoccupati iscritti a un centro pubblico per l’impiego in seguito alla cessazione di un rapporto di lavoro precario. Il decreto 10 novembre 2010[58] riconosce ai tali soggetti una dote trasferibile alle imprese private ed alle società cooperative che li assumano alle proprie dipendenze con contratto a tempo indeterminato, anche a tempo parziale, del valore massimo di euro 5.000 per ogni assunzione fino al limite di cinque assunzioni per singola impresa o società cooperativa. Per il riconoscimento della dote è necessario iscriversi alla Banca dati per l'occupazione dei giovani genitori, creata appositamente dall' INPS.
Il Piano straordinario di interventi per lo sviluppo del sistema territoriale dei servizi socio-educativi, approvato il 26 settembre 2007 in Conferenza Unificata con un’intesa tra il Governo, le regioni e le autonomie locali, al fine di favorire il conseguimento entro il 2010 dell'obiettivo comune europeo della copertura territoriale del 33 per cento per la fornitura di servizi per l’infanzia (bambini al di sotto dei tre anni), come fissato dall’Agenda di Lisbona, ha previsto un piano di finanziamenti nel triennio 2007-2009. Il Piano, varato con la finanziaria 2007, ha previsto un finanziamento statale pari a 446 milioni di euro per l'incremento dei posti disponibili nei servizi per i bambini da zero a tre anni, a cui si aggiungono circa 281 milioni di cofinanziamento locale, per un totale di 727 milioni di euro stanziati. Con riferimento alle prime tre annualità del Piano, ad oggi sono state impegnate tutte le risorse statali e, sulla base dei dati di monitoraggio è stato erogato alle Regioni e provincie autonome dal Dipartimento l'88 per cento delle risorse statali (ovvero 394 milioni dei 446 stanziati)[59].
L’attuazione del Piano è sottoposta a un monitoraggio semestrale a cura del Dipartimento per le politiche della famiglia e del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, che, attraverso il Centro nazionale di documentazione ed analisi per l’infanzia e l’adolescenza dell’istituto degli Innocenti[60] e l’Istat[61] predispongono rapporti e statistiche in materia.
Per il 2010, una quota del Fondo nazionale per le politiche della famiglia è stato destinato allo sviluppo del sistema integrato dei servizi per la prima infanzia,il riparto dei 100 milioni di euro è stato sancito conl’Intesa del 7 ottobre 2010.
Per l’esercizio finanziario 2010, l’Accordo quadro del 7 ottobre[62] sulle sezioni primavera assegna agli Uffici scolastici regionali 23.500.000 euro, rispettivamente a carico del Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca per la quota di 18.500.000 euro e del Dipartimento delle Politiche per la famiglia per la quota di 5.000.000 di euro. Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali si riserva di mettere a disposizione per l’esercizio 2010 una quota di risorse finanziarie determinata in base alle disponibilità di bilancio[63]. A tali risorse devono essere aggiunti 1.020.273 euro stanziati dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, Dipartimento delle Pari Opportunità, in base all’Intesa in sede di Conferenza unificata del 29 aprile 2010[64].
Gli asili nido comunali rientrano nella gamma dei servizi a domanda individuale resi dal Comune a seguito di specifica domanda dell’utente. Nel caso degli asili nido, il livello minimo di copertura richiesta all’utente è del 50 per cento, ma le rette variano sensibilmente da comune a comune poiché la misura percentuale di copertura dei costi di tutti i servizi a domanda individuale da parte dell’utenza viene definita al momento dell’approvazione del Bilancio di previsione comunale. Le rette sono determinate nel 75 per cento dei casi in base all’Isee, nel 20 per cento dei casi in base al reddito familiare e nel restante 5 per cento la retta è unica.
L’indagine dell’Osservatorio prezzi e tariffe di Cittadinanzattiva dell’ottobre 2011, prende in considerazione una famiglia composta da tre persone (genitori più un bambino di 0-3 anni) che percepisce un reddito lordo annuo pari a 44.200 euro. Oggetto della ricerca sono state le rette applicate al servizio di asilo nido comunale per la frequenza a tempo pieno (in media 9 ore al giorno) e, dove non presente, a tempo corto (in media 6 ore al giorno), per cinque giorni a settimana. Secondo tale analisi, una famiglia italiana spende circa 300 euro al mese per mandare il proprio bambino all’asilo nido comunale. La regione mediamente più economica è la Calabria (110 euro) e quella più costosa è la Valle d’Aosta (405 euro) seguita dalla Lombardia (400 euro). Semplificando si può affermare che la retta media mensile al Nord è pari a 358 euro, al centro a 300 euro e al sud a 213 euro.
Per quanto riguarda le liste di attesa, dall’analisi di dati in possesso al Ministero degli Interni e relativi al 2009, emerge che il numero degli asili nido comunali ammonta a 3.424 (-0,4 per cento rispetto al 2008) con una disponibilità di 141.210 posti (+0,8 per cento rispetto al 2008). In media il 25 per cento dei richiedenti rimane in lista d’attesa.
Secondo quanto riportato dall’Istat[65], nell'anno scolastico 2009/2010 risultano iscritti negli asili nido comunali 154.334 bambini tra zero e due anni di età, mentre altri 38.610 bambini usufruiscono di asili nido convenzionati o sovvenzionati dai Comuni, per un totale di 192.944 utenti dell'offerta pubblica complessiva.
Nel 2009 la spesa impegnata per gli asili nido da parte dei Comuni o, in alcuni casi, di altri Enti territoriali delegati dai Comuni, è di circa 1 miliardo e 182 milioni di euro, al netto delle quote pagate dalle famiglie.
Fra il 2004 e il 2009 la spesa corrente per asili nido, al netto della compartecipazione pagata dagli utenti, ha mostrato un incremento complessivo del 39 per cento, che scende al 24,5 per cento se calcolato a prezzi costanti. Nello stesso periodo è aumentato del 32 per cento (quasi 47 mila unità) il numero di bambini iscritti agli asili nido comunali o sovvenzionati dai Comuni.
La percentuale di Comuni che offrono il servizio di asilo nido, sotto forma di strutture comunali o di trasferimenti alle famiglie che usufruiscono delle strutture private, ha registrato un progressivo incremento: dal 32,8 per cento del 2003/2004 al 48,3 per cento del 2009/2010. Di conseguenza, i bambini tra zero e due anni che vivono in un Comune che offre il servizio sono passati dal 67 per cento al 77 per cento (indice di copertura territoriale).
Nonostante il generale ampliamento dell'offerta pubblica, la quota di domanda soddisfatta è ancora limitata rispetto al potenziale bacino di utenza: gli utenti degli asili nido sono passati dal 9,0 per cento dei residenti tra zero e due anni dell'anno scolastico 2003/2004 all'11,3 per cento del 2009/2010.
All'offerta tradizionale di asili nido si affiancano i servizi integrativi o innovativi per la prima infanzia, che comprendono i "nidi famiglia", ovvero servizi organizzati in contesto familiare, con il contributo dei Comuni e degli enti sovracomunali. Nel 2009/2010 il 2,3 per cento dei bambini tra zero e due anni ha usufruito di tale servizio, quota che è rimasta pressoché costante nel periodo osservato. Complessivamente, dunque, risulta pari al 13,6 per cento la quota di bambini che si sono avvalsi di un servizio socio-educativo pubblico e al 56,2 per cento quella di Comuni che offrono asili nido o servizi integrativi per la prima infanzia.
A livello comunale, nonostante i segnali di miglioramento che caratterizzano la diffusione sul territorio dell’offerta pubblica di servizi per la prima infanzia, permangono forti disparità nelle opportunità di accesso ai servizi a seconda della regione di residenza. Nel 2009, il 65,8 per cento dei comuni del Centro-Nord possiede strutture comunali o eroga contributi per la fruizione di servizi privati, contro il 35,7 nel Mezzogiorno. I livelli più alti dell’indicatore si riscontrano nelle regioni Emilia-Romagna, con il 90,3 per cento dei comuni che offrono servizi per la prima infanzia, Friuli-Venezia Giulia e Valle d’Aosta (rispettivamente 89,4 e 85,1 per cento). Il target del 35,0 per cento appare particolarmente ambizioso per alcune regioni del Mezzogiorno, quali Molise e Calabria, dove soltanto il 9,6 e il 18,1 per cento dei comuni offrono servizi per l’infanzia. Sempre al di sotto della soglia di riferimento si trova la Basilicata, con il 27,5 per cento dei comuni dotati di questi servizi, mentre Abruzzo, Campania e Puglia hanno ampiamente superato l’obiettivo. La Sicilia, sempre nel 2009, presenta una diffusione sul territorio dei servizi per l’infanzia prossima al valore target (33,8 per cento). L’attivazione per il servizio di asilo nido è prevalente ovunque rispetto ai servizi integrativi e innovativi per la prima infanzia: dal 2004 al 2009 si è passati dal 32,8 per cento al 48,3 per cento dei comuni italiani per quanto riguarda gli asili nido e dall’11,9 per cento al 23,8 per cento per gli altri servizi socio-educativi.
A livello regionale, il quadro relativo all’offerta pubblica di servizi per l’infanzia è ancora molto disomogeneo: nel 2009 la percentuale di bambini che usufruisce dei servizi per l’infanzia supera il 25 per cento in Valle d’Aosta, Umbria e in Emilia-Romagna, mentre non raggiunge il 4 per cento in Calabria e in Campania. Il divario tra i territori è ben sintetizzato dal confronto tra i valori assunti dall’indicatore al Centro-Nord (18,1 per cento) e nel Mezzogiorno (5,1 per cento). Anche se rispetto all’anno base di riferimento si intravedono alcuni segnali di miglioramento, la quota di domanda soddisfatta è ancora molto limitata rispetto al potenziale bacino di utenza.
Per quanto riguarda il servizio di asilo nido, si passa dal 9 per cento dei bambini di 0-2 anni fruitori dell’offerta pubblica nel 2004 al 11,3 per cento nel 2009; nel Centro-Nord i bambini iscritti in asilo nido sono il 15,1 per cento dei residenti fra 0 e 2 anni, mentre nel Mezzogiorno sono il 4,3 per cento. Per i servizi integrativi/innovativi per l’infanzia, tra il 2004 e il 2009 si passa dal 2,4 al 2,3 per cento dei bambini iscritti.
Se si considerano anche i bambini che frequentano un asilo privato tout court, nel 2008 risultano iscritti agli asili nido il 15,3 per cento del totale i bambini da 0 a 2 anni (indagine multiscopo sulle famiglie - aspetti della vita quotidiana). Per effetto della natura campionaria del dato, considerata anche l’esigua numerosità del fenomeno, la stima prodotta può variare tra un minimo di 12,8 per cento ad un massimo di 17,8 per cento[66].
In Italia, la normativa riguardante il sistema di protezione sociale è varia ed interessa diversi aspetti del welfare; dalle prestazioni di natura economica per determinate categorie di persone (non udenti, ciechi, sordi, invalidi civili), alle funzioni assegnate dalla legge ai diversi livelli di governo (Stato, regioni, province ed enti locali) riguardanti tra l’altro l’esclusione sociale, le famiglie e i minori, gli anziani, le dipendenze.
Dopo la riforma costituzionale del Titolo V, avvenuta nel 2001, alle Regioni sono state assegnate le competenze esclusive e concorrenti, rispettivamente, per l’assistenza sociale e per quella sanitaria, nel rispetto dei principi che lo Stato deve fissare e garantire in tutto il territorio nazionale. In particolare, ai sensi del art. 117, comma 1, lettera m) della Costituzione, lo Stato ha la competenza esclusiva nella determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (LEP) che devono essere garantiti sul tutto il territorio nazionale.
Il sistema che si è sviluppato nel corso del tempo appare, tuttavia, frammentato e poco omogeneo, a causa della diversa capacità delle Regioni e degli enti locali di organizzare nel proprio territorio un’adeguata rete di sostegno per cittadini bisognosi; inoltre, diversamente dall’ambito sanitario, dove i Livelli essenziali (LEA) sono stati definiti con un atto normativo (d.p.c.m. 29 novembre 2001), per la delimitazione e la quantificazione delle prestazioni socio-assistenziali (i cosiddetti livelli essenziali di assistenza sociale, LIVEAS), manca ancora una normativa statale.
La legislazione regionale vigente è ancora legata alla riforma delle politiche sociali, avviata con la legge 328/2000, per cui Stato, Regioni e comuni, rappresentano i diversi livelli di governo, chiamati ad intervenire ciascuno per le proprie parti di competenza. In particolare, lo Stato svolge la funzione di programmatore dei principi guida riguardanti i livelli essenziali di assistenza, da garantire su tutto il territorio nazionale, le regioni definiscono la programmazione delle proprie politiche nel settore socio sanitario, ed erogano i servizi, attraverso le Asl; infine, i comuni, in forma singola o associata, operano sul territorio, sia con la programmazione di zona sia attraverso la forma del segretariato sociale e l’esercizio di prestazioni di varia natura. In tale ambito, sono due le tipologie di azione prevalenti: una, caratterizzata da un ruolo di governo e di regia forte da parte delle regioni, attraverso le ASL; l’altra, incentrata invece, su una maggiore responsabilizzazione del ruolo dei comuni, soprattutto nelle relazioni associative sovra comunali.
A questo proposito va ricordato che i trasferimenti verso i comuni, finalizzati al finanziamento della spesa sociale, hanno subito considerevoli riduzioni a partire dal 2009, soprattutto attraverso i tagli di spesa operati sui Fondi dedicati (vedi supra). Ulteriori misure di contenimento sono derivate dagli effetti della diminuzione dei trasferimenti erariali nei confronti dei comuni e dai vincoli stabiliti dal Patto di stabilità interno.
Attualmente, la spesa pubblica rivolta agli anziani e ai disabili non autosufficienti, nota anche come spesa per Long Term Care (LTC), include la componente sanitaria, la spesa per indennità di accompagnamento[67] e la spesa per gli interventi socio-assistenziali erogati prevalentemente a livello locale dai comuni singoli o associati a favore degli anziani non autosufficienti, dei disabili, dei malati psichici e delle persone dipendenti da alcool e droghe. Nel 2010, l’aggregato di spesa pubblica complessiva per LTC ammonta all’1,9 per cento del PIL, di cui circa due terzi erogata a soggetti con più di 65 anni. La componente sanitaria[68] rappresenta il 46,4 per cento del totale contro il 43,3 per cento della spesa per indennità di accompagnamento. Gli interventi socio-assistenziali erogati a livello locale ai disabili e agli anziani non autosufficienti coprono, invece, circa il 10,3 per cento. Per il 2010, la spesa pubblica per l’insieme delle prestazioni per LTC, di natura non sanitaria e non riconducibili alle indennità di accompagnamento, viene stimata intorno a 2,9 miliardi di euro (0,2 per cento in termini di PIL), di cui il 61 per cento è riferibile a prestazioni di natura non residenziale, il 23 per cento a prestazioni di natura residenziale ed il rimanente 16 per cento a trasferimenti in denaro[69].
In Italia le persone dai 65 anni rappresentano oltre il 20 per cento della popolazione, con una tendenza in costante e continua crescita nei prossimi anni, fra questi molti sono gli anziani non autosufficienti[70]. La fonte nazionale disponibile per delineare un primo quadro del fenomeno relativo alla non autosufficienza, è quella fornita dall’indagine ISTAT sulle Condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari[71], che individua in 2.600.000 le persone in condizione di disabilità che vivono in famiglia, pari al 4,8 per cento della popolazione. L’indagine non tiene conto dei minori di 6 anni, che si stimano attorno ai 200.000. Ben 2.000.000 sono persone anziane. La letteratura scientifica, le rilevazioni ISTAT e i dati INPS sull’invalidità, confermano la stretta correlazione tra invecchiamento della popolazione e non autosufficienza. D’altra parte, i principali strumenti per l’accertamento del bisogno assistenziale della persona non autosufficiente e per la conseguente attivazione dei servizi sono: il riconoscimento della invalidità civile e dell’indennità di accompagnamento (INPS), gli accertamenti per l’accesso ai servizi sanitari (ASL) e ai servizi sociali (Comuni). In Italia, nell’offerta di servizi agli anziani non autosufficienti ha un peso rilevantissimo il ruolo assistenziale svolto dalla famiglia. L’area degli interventi socio-sanitari e sanitari è invece quasi interamente svolta dal settore pubblico, secondo forme di collaborazione e modalità operative differenziate da Regione a Regione.
Dalla tabella sopra riportata, si può rilevare come l’area d’intervento relativa alla non autosufficienza trovi risposte diverse anche se il più delle volte riferibili all’area dell’integrazione socio-sanitaria, ovvero alle prestazioni nelle quali la componente sanitaria e quella sociale risultano operativamente poco distinguibili.
Come rilevato dall’Istat[72], a livello nazionale il numero complessivo di posti letto nelle strutture residenziali destinate ad accogliere over65 ammonta a 314.061 unità, pari a 26 posti letto ogni mille anziani residenti. Di questi, oltre il 77 per cento ospita persone in condizione di non autosufficienza. La maggiore dotazione di posti letto per gli anziani si registra nelle regioni del Nord (tassi che superano i 37 posti letto ogni 1.000 anziani residenti), mentre nelle altre ripartizioni la quota scende e raggiunge il valore minimo nel sud del Paese (10 posti letto ogni 1.000 residenti).
Le strutture dedicate in prevalenza ai disabili hanno una dotazione di 51.684 posti letto, pari a 1,4 ogni mille residenti, con una distribuzione territoriale “a macchia di leopardo”. L’analisi dell’offerta per i disabili mette in evidenza che i differenziali rispetto alla dotazione di posti letto si esplicitano rispetto alla dimensione dei comuni piuttosto che alla loro collocazione territoriale (sono i comuni sotto i duemila abitanti ad avere i livelli di dotazione più elevati, mentre quelli oltre i 50 mila mostrano generalmente i livelli più bassi).
L'art. 1, comma 1264, della legge 27 dicembre 2006 (legge finanziaria 2007) ha istituito il Fondo per le non autosufficienze presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, configurandolo essenzialmente come un contributo alle politiche regionali in materia. Le risorse del fondo sono destinate alla realizzazione di prestazioni, interventi e servizi assistenziali nell'ambito dell'offerta integrata dei servizi socio-sanitari in grado di garantire i livelli essenziali delle prestazioni assistenziali a favore delle persone non autosufficienti. Le risorse sono finalizzate alla copertura dei costi di rilevanza sociale dell'assistenza socio-sanitaria e sono risorse aggiuntive rispetto a quelle già destinate alle prestazioni e ai servizi a favore delle persone non autosufficienti da parte delle Regioni, nonché da parte delle autonomie locali. Le risorse assegnate al Fondo per il 2010, ripartite con decreto, sono pari ad euro 400 milioni.
Il decreto 4 ottobre 2010[73] ha ripartito fra le regioni le risorse del fondo utilizzando criteri basati, nella misura del 60 per cento; su indicatori relativi alla popolazione residente, per regione, d'età pari o superiore a 75 anni e per il restante 40 per cento sui criteri utilizzati per il riparto del Fondo nazionale per le politiche sociali come individuati dall’articolo 20, comma 5, della legge 328/2000.
Per il 2011 e il 2012, non è stato previsto il rifinanziamento del Fondo.
Si rileva tuttavia che l'articolo 1, comma 40, della Legge di stabilità 2011[74], dispone che la dotazione del Fondo per le esigenze urgenti e indifferibili[75], è incrementata di 924 milioni di euro per l'anno 2011 e che una quota di tali risorse, pari a 874 milioni di euro per l'anno 2011, è ripartita, con decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri per le finalità indicate nell’elenco 1 allegato alla stessa legge. Tra le finalità indicate nell'elenco; sono stati fra gli altri indicati interventi in tema di sclerosi laterale amiotrofica per ricerca e assistenza domiciliare dei malati, ai sensi dell'art. 1, comma 1264, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, per un ammontare nel 2011 pari a 100 milioni di euro.
Il decreto 11 novembre 2011[76] ha attribuito tali risorse alle regioni sulla base dei criteri utilizzati per il riparto del Fondo nazionale per le politiche sociali.
Gli interventi e i servizi sociali dei Comuni[77]
Nel 2009 i Comuni italiani, in forma singola o associata, hanno destinato agli interventi e ai servizi sociali 7,2 miliardi di euro, un valore pari allo 0,46 per cento del Pil nazionale[78].Rispetto al 2008, la spesa è aumentata del 5,1 per cento, ma con forte differenze nelle macro aeree del Paese: è diminuita dell’1,5 per cento al sud, mentre le variazioni in tutte le altre zone del paese sono state di segno positivo. Inoltre, mentre i comuni del Centro-Nord finanziano le politiche sociali principalmente con risorse proprie, nel Mezzogiorno il welfare locale risulta finanziato in misura maggiore dai trasferimenti statali e regionali per le politiche sociali.
La spesa media pro capite ammonta a 116 euro con forti differenze territoriali. La spesa per abitante varia da un minimo di 26 euro in Calabria (30 euro nel 2008) a un massimo di 295 euro nella provincia autonoma di Trento (280 euro nel 2008). Nel corso del 2009 i comuni del Sud hanno speso mediamente, per i servizi sociali, meno di un terzo rispetto ai comuni del Nord-est e meno della metà rispetto a tutte le altre ripartizioni, comprese le Isole. La Sardegna è l’unica regione del Mezzogiorno che fa eccezione, presentando livelli di spesa pro capite (199 euro) paragonabili a quelli delle regioni del Nord con la spesa più elevata.
Come già detto, i Comuni possono rispondere in maniera molto diversa ai bisogni sociali dei cittadini. L’Istat , tenendo conto dei livelli di spesa e della varietà dei servizi, ha individuato quattro profili principali rispetto alle modalità di spesa ed intervento:
Ø i comuni “virtuosi”, che offrono i più alti standard in termini di varietà dell’offerta e risorse impegnate: rientra in questo gruppo il 99 per cento dei comuni della provincia autonoma di Bolzano;
Ø i comuni “specializzati”, che comprendono oltre l’80 per cento di quelli della Valle d’Aosta e Sardegna e il 67 per cento di quelli del Friuli-Venezia Giulia, i quali impegnano una spesa mediamente elevata, ma concentrata su un numero ristretto di servizi;
Ø i comuni “poveri di assistenza”, che uniscono scarsa disponibilità di servizi e risorse molto contenute, gruppo che comprende oltre il 90 per cento di quelli della Calabria e il 63 per cento del Molise;
Ø i comuni “ad offerta mista”, che rappresentano le realtà più diffuse (soprattutto in Piemonte, Lombardia, Liguria e Marche), dove si riscontra una spesa medio-bassa e diversi livelli di varietà di servizi.
Le differenze di spesa osservate sono marcate anche in riferimento ai tipi di utenza.
Un disabile[79] usufruisce di servizi e contributi da parte dei comuni per una spesa di quasi 2.700 euro all’anno; per i disabili residenti al Sud la cifra è di 667 euro l’anno, circa otto volte meno di quanto si spende al Nord-est (5.438 euro l’anno). Nell’ambito dell’assistenza ai disabili prevalgono le spese per interventi e servizi (circa il 51 per cento): in questo caso, la principale voce di spesa è il sostegno socio-educativo scolastico, con oltre 5.300 euro per utente in un anno; seguono i servizi a carattere domiciliare e il trasporto sociale. La rimanente spesa per le persone disabili si divide quasi equamente tra contributi economici e spese di funzionamento delle strutture. L’offerta di strutture di tipo residenziale per persone con disabilità è presente nel 58 per cento dei comuni, con una copertura del 97 per cento nel Nord-est a fronte del 14 per cento nel Sud. La spesa pro capite per l’assistenza e gli aiuti alle persone con disabilità al Sud ammonta al 14 per cento di quella impegnata al Nord, nonostante che nelle regioni meridionali si registri un tasso di disabilità superiore del 66 per cento.
La spesa media dei comuni italiani per l’assistenza agli anziani è di 117 euro l’anno per ciascun residente di età superiore a 65 anni, con un minimo di 52 euro pro capite al Sud (sette euro pro capite in meno rispetto al 2008) e un massimo di 164 euro al Nord-est. Le risorse destinate agli anziani sono in gran parte destinate a interventi e servizi (circa il 52 per cento), fra cui il più rilevante è l’assistenza domiciliare. Vi sono poi diversi tipi di contributi economici (che rappresentano il 27 per cento della spesa per gli anziani), di cui la maggior parte è costituita dal pagamento di rette per l’accoglienza in strutture residenziali. Il rimanente 20 per cento della spesa per gli anziani è destinato al finanziamento di strutture, principalmente quelle a carattere residenziale. Anche in questo caso la spesa pro capite al Sud è più bassa di quella del Nord (meno di un terzo), pur a fronte di un maggior numero di anziani in cattiva salute e una speranza di vita più bassa.
Nell’area dell’assistenza a famiglie e minori, su cui confluisce quasi il 40 per cento della spesa sociale dei comuni, prevalgono le risorse destinate al funzionamento di strutture, principalmente gli asili nido per bambini da zero a due anni. Negli ultimi anni l’ampliamento dell’offerta di nidi pubblici è stata oggetto di importanti politiche di sviluppo, volte a incentivare la creazione di nuovi posti in strutture socio-educative per la prima infanzia soprattutto nelle regioni del Mezzogiorno, nel tentativo di ridurre il divario Nord-Sud.
Il Rapporto annuale 2012 dell’Istat ha registrato i miglioramenti ottenuti ma anche gli ancora notevoli differenziali nei livelli di diffusione e di utilizzo dei nidi pubblici. I dati non ancora organici relativi all’anno scolastico 2011-2012 (per i dati disaggregati si rinvia a quelli forniti nel paragrafo di questo Dossier dedicato ai Servizi per l’infanzia e asili nidi, dove i dati sono però riferiti all’a.s. 2009-2010) rilevano che i comuni in cui è presente il servizio sono pari al 78 per cento al Nord-est (con punte superiori all’83 per cento in Friuli-Venezia Giulia e in Emilia-Romagna), circa il 48 e il 53 per cento rispettivamente al Centro e al Nord-ovest, mentre nel Sud e nelle Isole solo il 21 e il 29 per cento dei rispettivi comuni hanno offerto il servizio sotto forma di strutture comunali o sovvenzionate.
Considerando anche i servizi integrativi per la prima infanzia, inclusi nell’obiettivo da raggiungere nel 2013 da parte delle regioni del Mezzogiorno, i comuni italiani che offrono il servizio sono il 55,2 per cento, ma tale percentuale varia dal 99,5 per cento del Friuli-Venezia Giulia all’11,8 per cento del Molise. L’obiettivo di copertura, fissato al 35 per cento nell’ambito del Qsn 2007-2013, appare particolarmente ambizioso per alcune regioni del Mezzogiorno, quali Molise e Calabria, mentre Abruzzo, Campania e Puglia hanno ampiamente superato l’obiettivo.
Complessivamente, nell’anno scolastico 2010-2011, su cento bambini da zero a due anni, gli utenti dei nidi o dei servizi integrativi per la prima infanzia variano da 29,4 dell’Emilia-Romagna a 2,4 della Calabria, rispetto a una media nazionale di 14. L’obiettivo previsto per la fine del periodo di programmazione (2013), fissato nelle regioni del Mezzogiorno al 12 per cento, è stato già raggiunto dalla sola Sardegna.
Nel 2008 i Comuni gestiscono singolarmente il 75 per cento della spesa sociale; il rimanente 25 per cento è gestito dai Comuni in forma associata: si passa dal 59 per cento di spesa gestita dai Comuni singoli al Nord-est, all’85 per cento e 76 per cento rispettivamente di quelli del Centro e del Nord-Ovest, al 72 per cento dei Comuni del Sud, fino al 98 per cento di quelli delle Isole.
Diversi tipi di enti affiancano o sostituiscono i Comuni nella gestione dei servizi sociali, con ruoli che si differenziano a livello regionale. Gli Ambiti e i Distretti sociali (art. 8 legge 328/2000) gestiscono quote importanti di spesa in diverse regioni: il 62 per cento della spesa in Friuli-Venezia Giulia, il 38 per cento in Puglia, quasi il 26 per cento in Liguria, il 25 per cento in Umbria, tra il 20 e il 23 per cento in Basilicata, Campania e Abruzzo, circa il 10 per cento in Lombardia e Emilia-Romagna. I Consorzi gestiscono circa il 35 per cento della spesa sociale in Piemonte e quote inferiori al 5 per cento in alcune altre regioni (Lombardia, Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna, Toscana, Lazio, Calabria, Sardegna). I Comprensori sono attivi solo nella Provincia di Trento, dove gestiscono il 78 per cento della spesa sociale. Alle Asl è affidata la gestione del 31 per cento della spesa sociale in Veneto, del 15 per cento in Toscana, del 7 per cento in Friuli-Venezia Giulia e meno del 2 per cento in Piemonte, Lombardia e Umbria. Le Comunità montane hanno un ruolo rilevante in Valle D’Aosta, dove gestiscono il 58 per cento della spesa, e in Abruzzo, dove hanno la gestione del 19 per cento della spesa. Le Unioni di Comuni non sono particolarmente attive nella gestione dei servizi: le quote più alte di spesa di loro competenza sono del 3 per cento e si trovano in Emilia-Romagna e in Molise. A livello nazionale il 38,7 per cento della spesa sociale è assorbita dai servizi di supporto alle esigenze delle varie categorie di utenti, mentre il 34,5 per cento è destinata al funzionamento delle strutture. La quota restante (il 26,8 per cento) è destinata ai trasferimenti in denaro, che possono essere erogati direttamente alle famiglie bisognose per finalità assistenziali specifiche o essere versati ai diversi enti che operano nel settore. La spesa per la gestione di strutture incide maggiormente nei comuni del Centro (43,3 per cento) e del Nord-est (39 per cento), mentre al Sud tale quota è nettamente al di sotto della media (25,5 per cento), evidenziando una ridotta disponibilità di strutture sul territorio.
Nel 2008 la spesa è finanziata per il 62 per cento con risorse proprie dei Comuni, (è da considerare che tale percentuale si è ridotta conseguentemente all’abolizione totale dell’ICI), con il fondo indistinto per le politiche sociali per il 15 per cento, con i fondi regionali vincolati per il 14,9 per cento e per il rimanente 7,6 per cento è rappresentato da altre fonti (fondi privati, enti associativi, fondi statali vincolati e UE, trasferimenti enti pubblici). Nell’Italia meridionale è maggiore l’incidenza del fondo indistinto per le politiche sociali e dei fondi regionali vincolati, mentre al Nord e al Centro i Comuni integrano maggiormente con risorse proprie i fondi ripartiti a livello locale per la gestione dei servizi e degli interventi nel settore sociale.
I servizi gestiti in proprio dai Comuni, che rappresentano il 75 per cento della spesa complessiva, risultano finanziati per il 74 per cento dalle risorse proprie delle amministrazioni comunali, per il 12,2 per cento dai fondi regionali vincolati per le politiche sociali (o fondi provinciali nel caso delle province autonome), per l’8,3 per cento dal fondo indistinto per le politiche sociali e per il resto si compongono di fondi vincolati per le politiche sociali dallo Stato o dall’Unione europea (1,7), trasferimenti da altri Comuni (0,9), altri trasferimenti da enti pubblici (1,5), trasferimenti da privati. Per il rimanente 25 per cento della spesa, erogata da enti associativi per conto dei Comuni, la quota più alta dei finanziamenti proviene dai trasferimenti da parte dei Comuni (33,7 per cento), il 30,9 per cento delle risorse proviene dal fondo indistinto per le politiche sociali, il 20,7 per cento dai fondi regionali vincolati, il 9,3 per cento dalle risorse proprie degli enti, il 2,1 per cento da fondi vincolati per le politiche sociali erogati dallo Stato o dall’Unione europea, il 2,3 per cento da altri trasferimenti da enti pubblici, l’1 per cento da trasferimenti da privati.
Complessivamente, quindi, emerge una notevole importanza delle risorse proprie dei Comuni per la copertura degli interventi e dei servizi sociali realizzati sul territorio: i Comuni, che gestiscono il 75 per cento della spesa complessiva, finanziano con risorse proprie circa tre quarti dei servizi offerti. Del rimanente 25 per cento di spesa, gestita dagli Enti associativi, circa un terzo viene finanziata dai Comuni, con trasferimenti che provengono quasi interamente (per l’86 per cento) dalle risorse proprie comunali.
L’Indicatore della Situazione Economica Equivalente (ISEE) è stato introdotto nel nostro ordinamento dall’art.1 del D.Lgs. 109/1998[81] allo scopo di individuare criteri unificati di valutazione della situazione economica di coloro che richiedono prestazioni o servizi sociali o assistenziali non destinati alla generalità dei soggetti o comunque collegati, nella misura o nel costo, a determinate situazioni economiche[82] .
L’ISEE è costituito da una componente reddituale (indicatore della situazione reddituale, ISR) e da una componente patrimoniale (indicatore della situazione patrimoniale, ISP) ed è reso confrontabile per famiglie di diversa numerosità e caratteristiche mediante l’uso di una scala di equivalenza (SE). L’ISR è composto dal reddito complessivo di tutti i componenti il nucleo familiare e da un reddito derivante dal patrimonio mobiliare, al netto delle spese per l’affitto (fino a un massimo di 5.164 euro). L’ISP, che entra solo per il 20% nella formazione dell’ISEE, è dato dalla somma del patrimonio immobiliare (considerato al valore ICI) del nucleo familiare, al netto della casa di abitazione se di proprietà (la franchigia per l’abitazione principale è pari a 51.646 euro), e del patrimonio mobiliare, al netto di una franchigia di 15.494 euro[83]. La SE è un parametro che permette il confronto tra situazioni familiari diverse, tenuto conto delle economie di scala che derivano dalla convivenza e di alcune particolari condizioni del nucleo familiare che comportano maggiori spese o disagi (presenza di persone con disabilità, nuclei monogenitore, entrambi genitori lavoratori). Si ricorda che nell’ISEE non sono inclusi i redditi esenti da imposizione[84]. Nel corso del 2010 sono state sottoscritte 7,4 milioni DSU: rispetto al 2002, anno di avvio nella sua piena funzionalità del Sistema informativo dell’ISEE, il numero di dichiarazioni è più che triplicato, passando da poco più di 2 milioni a oltre 7 milioni. Conseguentemente, gli individui coperti da DSU (o meglio, quelli presenti nei nuclei familiari distinti), rappresentano nel 2010 una popolazione di 18,5 milioni di persone, superando per la prima volta il 30 per cento dell’intera popolazione residente nel nostro paese; una copertura più che doppia rispetto ai primi anni di avvio dell’ISEE, corrispondente tuttavia ad una crescita cumulata decisamente inferiore a quella dei nuclei familiari che presentano DSU. Per quanto riguarda l’analisi in termini territoriali, l’area dove si concentra la popolazione ISEE è decisamente il Mezzogiorno.
Al momento di avvio del sistema, l’ISEE è stato utilizzato soprattutto a livello nazionale[85] per le prestazioni previste dalla normativa di settore, successivamente le amministrazioni locali lo hanno utilizzato in virtù delle capacità selettive e della semplicità di utilizzazione del Sistema informativo[86]. A legislazione vigente, la platea dei beneficiari delle prestazioni erogate attraverso l’ISEE non può essere esclusivamente identificata con le famiglie in condizione di bisogno economico: l’ISEE è infatti utilizzato anche per stabilire la compartecipazione al costo di servizi a destinazione generale (prestazioni per il diritto allo studio universitario e per gli asili nido). D’altra parte, alcune prestazioni destinate alle persone in povertà – gli assegni sociali – sono tuttora escluse dall’ambito di applicazione dell’ISEE, mentre altre - Carta Acquisti – vi rientrano.
L’articolo 5 del D.L. 201/2011[87] ha demandato ad un decreto interministeriale, da emanare entro il 31 maggio 2012, la revisione delle modalità di determinazione e i campi di applicazione dell’ISEE. A tal fine viene rafforzata la rilevanza degli elementi collegati alla ricchezza patrimoniale della famiglia e ai trasferimenti monetari, anche se esenti da imposizione fiscale. In particolare, ai fini della revisione si dovrà:
Ø tenere conto delle quote di patrimonio e di reddito dei diversi componenti della famiglia nonché dei pesi dei carichi familiari, in particolare dei figli successivi al secondo e delle persone disabili a carico;
Ø migliorare la capacità selettiva dell’indicatore, valorizzando in misura maggiore la componente patrimoniale sita in Italia e all'estero, al netto del debito residuo per l'acquisto della stessa e tenuto conto delle imposte relative;
Ø permettere una differenziazione dell’indicatore per le diverse tipologie di prestazioni;
Ø rafforzare il sistema dei controlli;
Ø istituire una banca dati delle prestazioni sociali agevolate, condizionate all’ISEE, presso l’Inps.
Il decreto ha inoltre il compito di individuare le agevolazioni fiscali e tariffarie, nonché le provvidenze di natura assistenziale che, a decorrere dal 1° gennaio 2013, non potranno essere più riconosciute ai soggetti in possesso di un ISEE superiore alla soglia individuata dallo stesso decreto.
Un ulteriore decreto interministeriale dovrà inoltre definire le modalità con cui rafforzare il sistema dei controlli dell’ISEE, anche attraverso la condivisione degli archivi cui accedono la pubblica amministrazione e gli enti pubblici, ma soprattutto dovrà fornire le specifiche necessarie alla costituzione di una banca dati delle prestazioni sociali agevolate, condizionate all’ISEE, attraverso l’invio telematico all’Inps, da parte degli enti erogatori, delle informazioni sui beneficiari e sulle prestazioni concesse[88].
Tale previsione è stata ripresa e rafforzata da quanto disposto dall’articolo 16, comma 1, del D.L. 5/2012[89] che prevede che gli enti erogatori di interventi e servizi sociali debbano inviare all’INPS le informazioni sui beneficiari unitamente a quelle sulle prestazioni concesse, raccordando i flussi informativi del Sistema informativo servizi sociali (SIS)[90], del Casellario dell’assistenza nonché dei dati relativi alle prestazioni sociali agevolate e dei dati sui controlli ISEE. La necessaria definizione delle modalità per lo scambio telematico dei dati viene demandata a un provvedimento del Ministero del lavoro e delle politiche sociali senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica e nel rispetto del Codice in materia di protezione dei dati personali (D.Lgs. 196/2003).
L’articolo 9 della legge 53/2000[91], come modificato dalla legge 69/2009[92], promuove, attraverso il Fondo per le politiche della famiglia, azioni positive volte a conciliare tempi di lavoro e tempi di cura della famiglia, in favore tanto dei lavoratori dipendenti quanto dei lavoratori autonomi. Il riparto del Fondo per le politiche della famiglia relativo all’esercizio finanziario 2010, ha stanziato la somma di euro 15.000.000 per il finanziamento degli interventi in favore della conciliazione tra vita professionale e vita familiare.
Le azioni positive, indicate dal Regolamento recante criteri e modalità per la concessione dei contributi[93], prevedono progetti che consentono alle lavoratrici e ai lavoratori di usufruire di particolari forme di flessibilità degli orari e dell'organizzazione del lavoro, quali, a titolo esemplificativo, part-time reversibile, telelavoro e lavoro a domicilio, banca delle ore[94], orario flessibile in entrata o in uscita, su turni e su sedi diverse e orario concentrato, con specifico interesse per i progetti che prevedano di applicare, in aggiunta alle misure di flessibilità, sistemi innovativi per la valutazione della prestazione e dei risultati. Vengono inoltre sostenute le attività di formazione e aggiornamento, volte a favorire il reinserimento delle lavoratrici e dei lavoratori dopo un periodo di assenza a titolo di congedo di maternità e paternità o parentale. I contributi sono infine volti al sostegno di progetti che, anche attraverso l'attivazione di reti tra enti territoriali, aziende e parti sociali, promuovano interventi e servizi innovativi in risposta alle esigenze di conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro[95].
Si segnala inoltre avvio della sperimentazione su base nazionale dello standard Family Audit.
Lo standard è uno strumento gestionale che promuove un cambiamento culturale e organizzativo all'interno delle realtà lavorative sia pubbliche che private e consente di adottare e certificare politiche del personale orientate al benessere dei propri dipendenti e delle loro famiglie. Può essere introdotto da qualsiasi organizzazione, qualunque sia la sua natura giuridica, indipendentemente dalla dimensione e dal prodotto o servizio fornito. L'utilizzo del Family Audit innesca un ciclo virtuoso di miglioramento continuo, introducendo al proprio interno soluzioni innovative e competitive orientate alla più ampia flessibilità e alla promozione della cultura della conciliazione tra vita privata e vita lavorativa.
Il 26 ottobre 2011 il Dipartimento per le politiche della famiglia e la Provincia autonoma di Trento, da anni titolare per l'Italia dello standard, hanno firmato un accordo di collaborazione per l'avvio di una sperimentazione del Family Audit su scala nazionale, che parte ufficialmente con il coinvolgimento di cinquanta organizzazioni-pilota che verranno scelte tra quante risponderanno all'avviso pubblico e proporranno la propria candidatura entro il 23 aprile 2012.
L’articolo 9 della legge 53/2000[96], come modificato dalla legge 69/2009[97], promuove, attraverso il Fondo per le politiche della famiglia, azioni positive volte a conciliare tempi di lavoro e tempi di cura della famiglia, in favore tanto dei lavoratori dipendenti quanto dei lavoratori autonomi. Il riparto del Fondo per le politiche della famiglia relativo all’esercizio finanziario 2010, ha stanziato la somma di euro 15.000.000 per il finanziamento degli interventi in favore della conciliazione tra vita professionale e vita familiare.
Le azioni positive, indicate dal Regolamento recante criteri e modalità per la concessione dei contributi[98], prevedono progetti che consentono alle lavoratrici e ai lavoratori di usufruire di particolari forme di flessibilità degli orari e dell'organizzazione del lavoro, quali, a titolo esemplificativo, part-time reversibile, telelavoro e lavoro a domicilio, banca delle ore[99], orario flessibile in entrata o in uscita, su turni e su sedi diverse e orario concentrato, con specifico interesse per i progetti che prevedano di applicare, in aggiunta alle misure di flessibilità, sistemi innovativi per la valutazione della prestazione e dei risultati. Vengono inoltre sostenute le attività di formazione e aggiornamento, volte a favorire il reinserimento delle lavoratrici e dei lavoratori dopo un periodo di assenza a titolo di congedo di maternità e paternità o parentale. I contributi sono infine volti al sostegno di progetti che, anche attraverso l'attivazione di reti tra enti territoriali, aziende e parti sociali, promuovano interventi e servizi innovativi in risposta alle esigenze di conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro[100].
Si segnala inoltre avvio della sperimentazione su base nazionale dello standard Family Audit.
Lo standard è uno strumento gestionale che promuove un cambiamento culturale e organizzativo all'interno delle realtà lavorative sia pubbliche che private e consente di adottare e certificare politiche del personale orientate al benessere dei propri dipendenti e delle loro famiglie. Può essere introdotto da qualsiasi organizzazione, qualunque sia la sua natura giuridica, indipendentemente dalla dimensione e dal prodotto o servizio fornito. L'utilizzo del Family Audit innesca un ciclo virtuoso di miglioramento continuo, introducendo al proprio interno soluzioni innovative e competitive orientate alla più ampia flessibilità e alla promozione della cultura della conciliazione tra vita privata e vita lavorativa.
Il 26 ottobre 2011 il Dipartimento per le politiche della famiglia e la Provincia autonoma di Trento, da anni titolare per l'Italia dello standard, hanno firmato un accordo di collaborazione per l'avvio di una sperimentazione del Family Audit su scala nazionale, che parte ufficialmente con il coinvolgimento di cinquanta organizzazioni-pilota che verranno scelte tra quante risponderanno all'avviso pubblico e proporranno la propria candidatura entro il 23 aprile 2012.
La legge 8 marzo 2000, n. 53, recante “Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e per il coordinamento dei tempi delle città”, costituisce l’esito di una elaborazione teorica, normativa e di una mobilitazione sociale più che decennale. Intervenendo sulla legge n. 1204 del 1971 a tutela delle lavoratrici madri, si è inteso favorire un percorso di formazione continua, nonché migliorare l'organizzazione dei tempi sociali, attraverso la promozione di orari dei trasporti, dei servizi di commercio e degli uffici della pubblica amministrazione più rispondenti ai bisogni di chi ne usufruisce.
La legge n. 53 del 2000 si articola intorno a tre fondamentali nuclei tematici:
§ la riscrittura organica della normativa sulle assenze dal lavoro per l'assistenza ai figli e l'ampliamento delle forme di agevolazione destinate ai genitori di portatori di handicap;
§ l'istituzione del congedo per la formazione continua e l'ampliamento dei congedi per la formazione;
§ il coordinamento degli orari delle città e la promozione dell'uso del tempo per fini di solidarietà sociale.
Per quanto riguarda il primo aspetto, la legge riconosce valore sociale al tempo dedicato alla cura dei figli e dei familiari, introducendo nuove e più flessibili forme di congedo, ampliando i diritti dei genitori naturali, adottivi o affidatari e favorendo una ripartizione più equa tra uomini e donne del lavoro di cura, attraverso la fruizione maschile dei congedi parentali.
L'introduzione dei congedi formativi afferma invece il diritto alla formazione continua ed apre nuovi spazi di crescita agli individui non più “ingabbiati” in un percorso di vita scandito irrevocabilmente nella successione tra formazione, lavoro e riposo.
Infine la legge si propone di attenuare la rigidità degli orari delle città, che sottrae tempo ad uomini e donne. Le norme in questione sviluppano principi già contenuti nella legge 8 giugno 1990, n. 142[101], trasformando quelle che erano opportunità in compiti per gli enti locali, visto che regioni e comuni sono chiamati a concertare e promuovere piani territoriali degli orari e a negoziarli tra erogatori e fruitori dei servizi.
Il D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151[102], successivamente modificato e integrato dal D.Lgs. 23 aprile 2003, n. 115[103], ha ridefinito in modo organico la disciplina dei riposi e dei permessi, stabilendo il diritto delle lavoratrici madri di fruire, durante il primo anno di età del bambino, di due periodi di riposo, di un'ora ciascuno (ridotti alla metà in presenza di asilo nido o struttura simile messi a disposizione dal datore), anche cumulabili durante la giornata. Detti riposi spettano al padre nelle ipotesi previste dall'articolo 40. I riposi sono raddoppiati in caso di parto plurimo (articolo 41) e le ore fruibili sono individuate secondo l'orario di lavoro del genitore che si avvale dei riposi (circolare INPS n. 109/2000).
Le disposizioni sopra descritte in materia di riposi si applicano anche in caso di adozione e di affidamento entro il primo anno dall'ingresso del minore nella famiglia (articolo 45)[104], mentre quelle contenute all'articolo 42 si applicano anche in caso di adozione e di affidamento di soggetti con handicap in situazione di gravità.
L'articolo 43 stabilisce il trattamento economico dei riposi e dei permessi, consistente in un'indennità, a carico dell'ente assicuratore e pari alla retribuzione afferente agli stessi, anticipata dal datore di lavoro e successivamente da questi conguagliabile.
Le giornate di riposo o di permesso sono coperte da contribuzione figurativa, volontaria o da riscatto (articolo 44; circolare INPS n. 123 del 2001 e n. 85 del 2002).
Entrambi i genitori hanno diritto, alternativamente, di astenersi dal lavoro per malattia di ciascun figlio di età non superiore a tre anni nonché, nel limite di cinque giorni lavorativi all'anno, per malattia di ogni figlio di età fra i tre e gli otto anni. Tali congedi spettano anche per le adozioni e gli affidamenti, ma i limiti di età del bambino sono in tali casi elevati a sei e otto anni; il congedo è fruito nei primi tre anni dall'ingresso nel nucleo familiare del minore che abbia a quel momento un'età compresa tra i sei e i dodici anni (articoli 47 e 50).
I congedi per malattia del figlio sono computati nell'anzianità di servizio, esclusi gli effetti su ferie e tredicesima mensilità (articolo 48).
I congedi per malattia del figlio danno luogo a copertura figurativa fino al terzo anno di età del bambino; successivamente, e fino all'ottavo anno, è possibile la copertura contributiva figurativa (circolare INPS 123 del 2001), da riscatto o volontaria, secondo quanto previsto dall'articolo 35, comma 2 (articolo 49) .
L’articolo 1 della legge 15 ottobre 2003, n. 289[105], modificando il comma 2 dell’articolo 70 del D.Lgs. 151/2001, in merito all’indennità di maternità per le libere professioniste, ha stabilito che tale indennità, che viene corrisposta dalla cassa di previdenza alla quale la professionista è iscritta, è pari all’80% dei cinque dodicesimi (corrispondenti ai cinque mesi di copertura dell’indennità) del reddito da lavoro autonomo percepito e denunciato ai fini fiscali nel secondo anno precedente a quello della domanda.
Il D.Lgs. 115/2003 ha provveduto ad integrare le disposizioni del D.Lgs. n. 151/2001, ampliando le tutele già previste in favore della maternità. In particolare si è prevista: la possibilità di collocare in mobilità anche le lavoratrici in stato di gravidanza e puerperio; l'estensione in favore di alcune categorie di lavoratrici autonome, compresi i genitori adottivi o affidatari, del congedo parentale facoltativo; l’applicazione delle disposizioni vigenti in materia di riposi e permessi nel caso di adozione o di affidamento di soggetti con handicap grave.
La successiva legge 24 febbraio 2006, n. 104[106], ha esteso alle lavoratrici e ai lavoratori appartenenti alla categoria dei dirigenti, che prestano la loro opera alle dipendenze di datori di lavoro privati, la tutela previdenziale relativa alla maternità prevista dal D.Lgs. 151/2001, con particolare riferimento al periodo di astensione obbligatoria dal lavoro, ai congedi parentali, e al diritto ad usufruire di tali congedi per il padre lavoratore.
Inoltre, è ampia la possibilità di usufruire dei permessi per i parenti che prestano assistenza a portatori di handicap. In particolare, l’articolo 42, comma 5 del D.lgs. 151/2001 permette al coniuge convivente di soggetto con handicap in situazione di gravità (accertata secondo l’articolo 4, comma 1 della legge 104/1992[107]) di fruire del congedo entro 60 giorni dalla richiesta[108]. La fruizione del congedo è concessa:
§ al padre o la madre anche adottivi, in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti del coniuge convivente;
§ a uno dei figli conviventi, in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti del padre e della madre, anche adottivi;
§ a uno dei fratelli o sorelle conviventi, in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti dei figli conviventi.
Sempre in materia di accertamento dell’handicap, l’articolo 6 del D.L. 4/2006[109] ha previsto che i portatori di menomazioni o patologie stabilizzate o ingravescienti, inclusi i soggetti affetti da sindrome di talidomite, siano esonerati da ogni visita medica successiva volta a verificare la permanenza della patologia.
Infine, nella XVI legislatura, con l’articolo 24 della legge 183/2010[110] si è intervenuto sulla disciplina del permesso mensile retribuito (e coperto da contribuzione figurativa) di 3 giorni riconosciuto ai lavoratori dipendenti per l’assistenza a familiari con handicap grave, disciplinato all’articolo 33 della legge n.104/1992.
In tal modo, per il lavoratore dipendente parente o affine entro il secondo grado, oppure entro il terzo grado nel caso in cui i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i sessantacinque anni di età oppure siano anche essi affetti da patologie invalidanti, o siano deceduti o mancanti, viene riconosciuto il diritto alla fruizione del permesso di tre giorni di permesso mensile retribuito coperto da contribuzione figurativa, anche in maniera continuativa. Tale diritto viene riconosciuto a più di un lavoratore dipendente per l’assistenza alla stessa persona. Per l’assistenza allo stesso figlio con handicap in situazione di gravità, il diritto è riconosciuto ad entrambi i genitori, anche adottivi, che possono fruirne alternativamente.
Successivamente, con il D.lgs. 18 luglio 2011, n. 119[111]è stata ristretta la platea dei lavoratori che hanno diritto a prestare assistenza nei confronti di più familiari con handicap grave, stabilendo che ciò è consentito a condizione che si tratti del coniuge o di un parente o affine entro il primo grado, nonché di un parente o affine entro il secondo grado unicamente nel caso in cui i genitori o il coniuge della persona con handicap grave abbiano più di 65 anni o siano deceduti o invalidi.
Inoltre, al fine di contenere possibili abusi, si prevede che il lavoratore che usufruisce dei permessi, qualora residente in comune situato a distanza stradale superiore a 150 km rispetto a quello di residenza del lavoratore, debba attestare con titolo di viaggio, o altra documentazione idonea, il raggiungimento del luogo di residenza dell’assistito.
Si ricorda che l’articolo 24 della legge 183/2010 sopra citata ha disposto, inoltre, l’obbligo per le pubbliche amministrazioni di comunicare al Dipartimento della funzione pubblica specifici dati relativi ai propri dipendenti che fruiscano dei permessi mensili retribuiti di cui all’articolo 33 della legge 104/1992 o dei permessi retribuiti previsti per i minori con handicap in situazione di gravità e di età non superiore ai tre anni, prevedendo altresì la costituzione, da parte del citato Dipartimento, di una banca dati, in cui confluiscano le comunicazioni.
Infine, con il D.lgs. 119/2011 si è intervenuto in diversi punti della disciplina del D.lgs. 151/2001.
In particolare, con la modifica dell’articolo 16, si è previsto che in caso di interruzione, spontanea o terapeutica, della gravidanza, successiva al 180° giorno dall’inizio della gestazione, le lavoratrici abbiano facoltà di riprendere in qualunque momento l’attività lavorativa con un preavviso di dieci giorni al datore di lavoro, a condizione che il medico specialista del Servizio sanitario nazionale (o con esso convenzionato) e il medico competente ai fini della prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro, attestino che tale scelta non arrechi pregiudizio alla salute della donna;
Sul successivo articolo 33 del D.lgs. n. 151 si è chiarito che il diritto al prolungamento del congedo, comunque entro il compimento dell’ottavo anno di vita del bambino, spetta alla madre lavoratrice o, in alternativa, al padre lavoratore, anche adottivi, per ogni minore con handicap grave.
Infine, simodifica e integra l’articolo 42, relativo ai riposi e permessi spettanti ai familiari di soggetti con handicap grave.
Al fine di assicurare piena tutela alla persona con handicap, viene ridefinita la platea dei familiari ai quali è riconosciuto il diritto al congedo straordinario, prevedendo un ordine di priorità (coniuge, genitori anche adottivi, figli conviventi, fratelli o sorelle conviventi) che degrada soltanto in caso di decesso, invalidità o mancanza dei familiari aventi titolo prioritario.
Inoltre, viene innalzato a 43.579 euro l’importo complessivo massimo dell’indennità e della contribuzione figurativa spettanti per il congedo di durata annuale. Infine, si prevede che Il congedo è accordato a condizione che la persona da assistere non sia ricoverata a tempo pieno; che il congedo ed i permessi di cui art. 33, comma 3, della legge 104/1992 non possono essere riconosciuti a più di un lavoratore per l’assistenza alla stessa persona; che per l’assistenza allo stesso figlio con handicap grave i diritti sono riconosciuti ad entrambi i genitori, anche adottivi, che possono fruirne alternativamente, ma nello stesso periodo l’altro genitore non può fruire degli altri benefici previsti dall’ordinamento per la medesima situazione.
La L. 27 dicembre 2006, n. 296[112] ha previsto vari interventi a sostegno della maternità e paternità e per favorire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.
L’articolo 1, comma 788 della L. 296/2006 estende la possibilità di usufruire del congedo parentale ai lavoratori a progetto e le categorie assimilate iscritti alla gestione separata di cui all’articolo 2, comma 26, della L. 8 agosto 1995, n. 335, che non siano titolari di pensione e non iscritti ad altre forme previdenziali obbligatorie[113].
In particolare, si dispone la corresponsione ai lavoratori in questione, aventi titolo all’indennità di maternità, di un trattamento economico per congedo parentale, limitatamente ad un periodo di tre mesi entro il primo anno di vita del bambino, in misura pari al 30 per cento del reddito preso a riferimento per la corresponsione dell’indennità di maternità. Tale trattamento economico viene concesso anche nei casi di adozione o affidamento.
Si ricorda che, con l’articolo 24, comma 26, del D.L. 201/2011[114] per i professionisti iscritti alla gestione separata di cui all'articolo 2, comma 26, della legge 335/1995, non titolari di pensione e non iscritti ad altre forme previdenziali obbligatorie, a decorrere dal 1° gennaio 2012, sono state estese le tutele in materia di malattia e maternità previste all'articolo 1, comma 788 della legge 296/2006.
L’articolo 1, comma 791 della L. 296/2006, attraverso modifiche all’articolo 64, comma 2, del D.Lgs. 151/2001, concernente la tutela della maternità per le lavoratrici iscritte alla Gestione separata INPS di cui all'articolo 2, comma 26, della L. 8 agosto 1995, n. 335 che non risultino iscritte ad altre forme pensionistiche obbligatorie (ossia essenzialmente le lavoratrici titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, anche a progetto), è volto ad estendere alle medesime lavoratrici la tutela più ampia sotto il profilo temporale nonché sotto il profilo del trattamento economico e normativo prevista per le lavoratrici dipendenti.
In primo luogo, si prevede l’applicazione della disciplina di cui al D.M. 4 aprile 2002, concernente l’estensione agli iscritti alla Gestione separata INPS della tutela della maternità nelle forme e con le modalità previste per il lavoro dipendente[115], attribuendo alla disciplina di cui al D.M. 4 aprile 2002 una valenza “a regime”. Si evidenzia che, per quanto riguarda l’indennità di maternità, tale disciplina ricalca sostanzialmente, per la durata e la misura, quanto previsto per i lavoratori dipendenti dal combinato disposto degli articolo 16 e 22 del D.Lgs. 151/2001.
Inoltre, la disciplina dell’estensione alle lavoratrici in oggetto della tutela più ampia prevista per le lavoratrici dipendenti dagli articoli 17 e 22 del D.Lgs. 151/2001, rispettivamente per quanto riguarda l’anticipazione temporale dell’astensione obbligatoria per maternità (con diritto alla relativa indennità) e il trattamento economico e normativo connesso al congedo di maternità, disciplinato dal D.M. 12 luglio 2007[116] che finanzia le prestazioni economiche previste con un aliquota aggiuntiva[117] rispetto al contributo previsto per la gestione separata di cui all’articolo 2, comma 26, della legge 335/1995.
Si ricorda che l’articolo 17 del D.Lgs. 151/2001 dispone che, in determinate ipotesi, l’astensione obbligatoria dal lavoro della lavoratrice (fermo restando il diritto alla relativa indennità) sia anticipata rispetto ai termini ordinariamente previsti dall’articolo 16 del D.Lgs. 151/2001, che prevede tale astensione durante i due mesi precedenti alla data presunta del parto e i tre mesi successivi al parto.
In particolare l’articolo 17 dispone che l’astensione obbligatoria dal lavoro è anticipata a tre mesi dalla data presunta del parto nell’ipotesi di lavori gravosi o pregiudizievoli in relazione all'avanzato stato di gravidanza. Inoltre, può essere disposta l’interdizione dal lavoro delle lavoratrici in stato di gravidanza anche prima che cominci a decorrere il periodo di astensione obbligatoria, nelle seguenti ipotesi:
§ gravi complicanze della gravidanza o preesistenti forme morbose che si presume possano essere aggravate dallo stato di gravidanza (lettera a);
§ condizioni di lavoro o ambientali ritenute pregiudizievoli alla salute della donna e del bambino (lettera b);
§ impossibilità di adibire la lavoratrice ad altre mansioni nei casi previsti dal D.Lgs. 151/2001, cioè qualora la lavoratrice sia addetta a lavori pericolosi, faticosi ed insalubri o qualora i risultati della valutazione dei rischi riveli un pericolo per la salute della medesima (lettera c).
La competenza all’adozione del provvedimento è dell’ASL nel primo caso e della Direzione territoriale del lavoro nelle restanti ipotesi.
Si ricorda inoltre che l’articolo 22 del D.Lgs. 151/2001 prevede la corresponsione di un'indennità giornaliera pari all'80 per cento della retribuzione per tutto il periodo del congedo di maternità, comprensivo sia del periodo di astensione obbligatoria ordinariamente previsto dal citato articolo 16, sia del periodo di anticipazione dell’astensione obbligatoria nei casi previsti dal citato articolo 17. Il medesimo articolo prevede che i periodi di congedo di maternità siano computati nell'anzianità di servizio a tutti gli effetti, compresi quelli relativi alla tredicesima mensilità o alla gratifica natalizia e alle ferie, e siano considerati come attività lavorativa ai fini della progressione nella carriera. Viene precisato inoltre che le ferie e le assenze spettanti ad altro titolo non devono essere utilizzate contemporaneamente ai periodi di astensione obbligatoria per maternità.
L’articolo 1, commi 789-790 della L. 296/2006estende la facoltà di riscatto dei periodi di congedo per motivi di famiglia di cui all’articolo 4, comma 2 della L. 53/2000 anche ai periodi antecedenti al 31 dicembre 1996, la cui attuazione è stata disposta con D.M. 31 agosto 2007[118]. Si ricorda che l’articolo 4 della L. 53 del 2000, tra i congedi fruibili per eventi e cause particolari, prevede, al comma 2 che i dipendenti di datori di lavoro pubblici o privati possano richiedere, per gravi e documentati motivi familiari, un periodo di congedo, continuativo o frazionato, non superiore a due anni[119].
L’articolo 1, comma 1266 della L. 296/2006 interviene sull'articolo 42, comma 5, del D.Lgs. 151/2001, in base al quale la lavoratrice madre o, in alternativa, il lavoratore padre o, dopo la loro scomparsa, uno dei fratelli o sorelle, conviventi di soggetto con handicap in situazione di gravità di cui all'articolo 3, comma 3, della L. 104 del 1992, possono usufruire, per l’assistenza al figlio (o, rispettivamente, al fratello), di un periodo di congedo, continuativo o frazionato, non superiore a due anni, entro sessanta giorni dalla richiesta[120].
Integrando la disciplina in questione, il richiamato comma 1266 prevede che i soggetti su indicati, qualora usufruiscano del congedo in questione per un periodo continuativo non superiore a sei mesi, hanno diritto ad usufruire di permessi non retribuiti in misura pari al numero dei giorni di ferie che avrebbero maturato nello stesso arco di tempo lavorativo, senza riconoscimento del diritto alla contribuzione figurativa.
L’articolo 1, comma 1256 della L. 296/2006ha introdotto alcune modifiche alla disciplina delle misure per favorire la conciliazione tra tempo di vita e di lavoro di cui all’articolo 9 della legge 53/2000, riguardanti i seguenti aspetti:
§ al fine di incentivare e promuovere tali azioni positive sono destinate apposite risorse nell’ambito del Fondo delle politiche per la famiglia di cui all’articolo 19 del D.L. 4 luglio 2006, n. 223[121]. La quota per l’incentivazione di tali accordi viene individuata, con decreto del Ministro delle politiche per la famiglia;
§ i contributi sono destinati alle aziende, alle aziende sanitarie locali e alle aziende ospedaliere;
§ con riferimento ai progetti per consentire la fruizione di particolari forme di flessibilità degli orari di lavoro, è attribuita priorità ai genitori di bambini fino a dodici anni di età o fino a quindici anni di età, in caso di affidamento o di adozione, nonché quelli con figli disabili a carico;
§ tra le modalità con cui si esplicano le azioni positive si prevedono anche quegli interventi ed azioni comunque volti a favorire la sostituzione, il reinserimento, l’articolazione della prestazione lavorativa e la formazione dei lavoratori con figli minori o disabili a carico ovvero con anziani non autosufficienti a carico.
La competenza ad adottare il decreto che fissa i criteri e le modalità per la concessione dei contributi è del Ministro delle politiche per la famiglia.
Tra gli interventi a favore delle famiglie nel settore scuola si annoverano quelli in materia di tasse scolastiche e del c.d. “buono scuola”.
Con riferimento alle tasse scolastiche, da ultimo, l’articolo 1, comma 622, della legge finanziaria 2007[122] ha previsto l’obbligo di istruzione, a partiredall’a.s. 2007/2008, per almeno dieci anni, confermando il regime di gratuità dei primi tre anni delle scuole superiori o dei percorsi di istruzione formazione professionale[123].
Infatti, a partire dall’a.s 2006/2007, era stata prevista la gratuità dell’istruzione per iprimi tre anni degli istituti di istruzione secondaria superiore e dei percorsi sperimentali di istruzione e formazione professionale (articolo 28 del D.Lgs. 17 ottobre 2005, n. 226)[124].
Precedentemente, l’articolo 6 del D. Lgs. del 15 aprile 2005, n. 76[125], aveva esteso, a partire dall'a.s. 2005-2006, l'iscrizione e la frequenza gratuite ai primi due anni degli istituti secondari superiori e dei percorsi sperimentali di istruzione e formazione professionale. Relativamente ai percorsi citati non sono state previste, pertanto, tasse di iscrizione e frequenza, mentre per gli anni successivi al terzo continua ad applicarsi l’eventuale esonero in base ai limiti di reddito[126].
In materia di interventi fiscali a favore delle famiglie, si deve ricordare inoltre il c.d. “buono scuola”, contributo corrisposto per la frequenza delle scuole paritarie: la L. finanziaria 2003[127] ha infatti autorizzato a tal fine la spesa di 30 milioni di euro, per ciascuno degli esercizi finanziari dal 2003 al 2005[128].
Con riferimento alla spesa delle famiglie per i libri di testo, occorre innanzi tutto sottolineare che l’articolo 156 del D.lgs. 16 aprile 1994, n. 297[129] ha previsto che, per alcune fasce di studenti, i libri di testo sono gratuiti.
In particolare, i libri sono gratuiti per tutti gli alunni delle scuole primarie - per i quali provvedono i comuni, secondo modalità stabilite dalla legge regionale -, nonché, in maniera totale o parziale, per gli alunni che adempiono l’obbligo scolastico (come previsto dall’art. 27 della legge 23 dicembre 1998, n. 448)[130], purché in possesso dei requisiti individuati con DPCM[131].
Accanto alle misure relative alla gratuità dei libri di testo, ulteriori misure volte al contenimento della spesa della famiglie sono state attuate mediante la fissazione di un “tetto” alla spesa libraria. Inizialmente, l’intervento è stato previsto con riferimento alla scuola dell’obbligo[132], affidandosi ad un decreto del Ministro dell’istruzione l’individuazione dei criteri per la determinazione del prezzo massimo complessivo della dotazione libraria necessaria per ciascun anno della medesima scuola[133].
Con la legge finanziaria per il 2007[134], la previsione dei criteri per la determinazione del prezzo massimo complessivo della dotazione libraria è stata estesa agli anni successivi al secondo dell’istruzione secondaria superiore[135].
Con la legge finanziaria per il 2007[136], inoltre, sono state previste le seguenti misure:
- estensione della la gratuità parziale dei libri di testo agli studenti del primo e del secondo anno dell'istruzione secondaria superiore, con i riferimenti al reddito già previsti per il primo ciclo;
- estensione, al primo e al secondo anno dell’istruzione secondaria superiore, della disciplina relativa alla compilazione dei testi scolastici e, anche agli anni successivi al secondo, dell’individuazione dei criteri per la determinazione del prezzo massimo complessivo della dotazione libraria, ai sensi del co. 3, articolo 27, della sopra citata legge n. 448/1998;
- noleggio dei libri scolastici agli studenti e ai loro genitori da parte delle istituzioni scolastiche, delle reti di scuole e delle associazioni autorizzate;
- fornitura in comodato (e non solo in maniera gratuita o parzialmente gratuita) dei libri di testo daparte dei comuni di fornire ad alunni in possesso dei requisiti richiesti che adempiono l’obbligo scolastico.
Ulteriori interventi attuati nel corso della XVI legislatura volti a ridurre progressivamente la spesa delle famiglie per i libri di testo, sono stati:
§ la nuova modalità di fruizione dei libri scolastici: l’art. 15 del DL n. 112/2008[137] prevede che, a partire dall’a.s. 2008-2009, sia data preferenza, nelle scelte degli organi competenti, a libri di testo disponibili, in tutto o in parte, nella rete internet. L’accesso a tali testi da parte degli studenti avviene gratuitamente o dietro pagamento a seconda dei casi previsti dalla normativa vigente[138]. Si stabilisce, inoltre, che, nel termine di un triennio a decorrere dall’a.s. 2008-2009 (quindi, entro l’a.s. 2010-2011), i libri di testo per le scuole del primo ciclo dell’istruzione e per gli istituti di istruzione secondaria superiore sono prodotti nelle versioni a stampa, on line scaricabile da internet e mista. A decorrere dall’a.s. 2011-2012, il collegio dei docenti adotta esclusivamente libri utilizzabili nelle versioni on line scaricabile da internet o mista[139];
§ scelta dei libri di testo: l’art. 5 del d.l. n. 137/2008[140] ha previsto che gli organi scolastici adottano libri di testo in relazione ai quali l'editore si è impegnato a mantenere invariato il contenuto nel quinquennio; l'adozione dei libri di testo, inoltre, deve avvenire nella scuola primaria con cadenza quinquennale, a valere per il successivo quinquennio, e nella scuola secondaria di primo e secondo grado ogni sei anni, a valere per i successivi sei anni.
L’integrazione scolastica degli alunni con handicap si realizza nelle classi ordinarie, secondo i princìpi stabiliti dalla legge quadro sull’handicap del 1992[141] e con le risorse dello stato di previsione del MIUR.
Con riguardo all’integrazione scolastica degli alunni con handicap, l’art. 1 comma 605, lettera b) della legge finanziaria 2007 (legge 296/2006) ha disposto che, con decreto del ministro della pubblica istruzione risultante dal concerto con il ministro della salute, il rapporto docenti di sostegno/alunni (definito dall’art. 40, comma 3, della legge 27 dicembre 1997, n. 449)[142] - è modificato, procedendo all’individuazione degli organici corrispondenti alle effettive esigenze rilevate attraverso certificazioni idonee a definire appropriati interventi formativi.
Con riferimento alle risorse disponibili si ricorda che, a decorrere dall’anno 2000, è stata autorizzata la spesa di lire 7 miliardi (pari a 3,6 milioni di euro) per assicurare gli interventi di sostegno previsti dalla legge n. 104 del 1992 nelle istituzioni scolastiche che accolgono alunni con handicap[143], mentre, per l’integrazione scolastica degli alunni con handicap, con particolare riguardo a quelli con handicap sensoriali, sono stati stanziati 25,4 mld. per il 2000 e 21,3 mld. annui a decorrere dal 2001[144].
La legge n. 53 del 2003[145] ha previsto in via sperimentale la possibilità di iscrizione alla scuola dell’infanzia dei bambini che compiano 3 anni entro il 30 aprile dell’anno scolastico di riferimento (c.d. anticipo)[146].
In seguito, in base a quanto disposto dalla legge finanziaria 2007[147] - che ha abrogato la possibilità sopra ricordata - sono stati attivati, previo accordo in sede di Conferenza unificata, progetti sperimentali di formazione rivolti a bambini dai 24 ai 36 mesi di età (c.d. classi o sezioni primavera)[148].
Nella XVI legislatura, il Piano programmatico per la razionalizzazione dell’utilizzo delle risorse umane e strumentali del sistema scolastico, adottato dal Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca in attuazione dell’art. 64, co. 3, D.L. 112/2008, ha previsto la reintroduzione, nei limiti delle disponibilità finanziarie esistenti e con apposito atto normativo, dell’istituto dell’anticipo nell’iscrizione alla scuola dell’infanzia, nonché la prosecuzione della sperimentazione delle sezioni primavera.
La circolare ministeriale n. 4 del 16 gennaio 2009[149] ha, quindi, previsto che, oltre ai bambini che compiano il 3° anno di età entro il 31 dicembre 2009, possono essere iscritti alla scuola dell’infanzia i bambini che compiono 3 anni di età dopo tale data e, comunque, entro il 30 aprile 2010[150]. Ha, altresì, previsto che saranno promosse iniziative per proseguire, in collaborazione con le regioni e gli enti locali, l’esperienza delle sezioni primavera, ovviamente in presenza delle necessarie condizioni logistiche e funzionali.
La legge n. 62 del 2000 ha previsto misure di sostegno del diritto allo studio e all’istruzione di tutti gli alunni delle scuole statali e paritarie nell’adempimento dell’obbligo scolastico e nella frequenza della scuola secondaria superiore.
In particolare, la legge ha previsto l’adozione di un piano straordinario di finanziamento alle regioni e alle province autonome per l’assegnazione di borse di studio alle famiglie che sostengano e documentino la spesa per l’istruzione. L’ammontare della borsa non è calcolato in proporzione alla spesa sostenuta, ma è di uguale importo per gli alunni delle scuole statali e paritarie, con eventuali differenziazioni a seconda dell’ordine e grado di istruzione.
Per il finanziamento delle misure sopra richiamate è stata autorizzata una spesa di 300 miliardi di lire a partire dal 2001 (pari a euro 154.937.070). I criteri per la ripartizione delle somme tra le regioni e le province autonome, nonché per l’individuazione dei beneficiari e delle modalità di fruizione sono stati fissati con DPCM[151].
La disciplina del diritto allo studio universitario fa capo, essenzialmente, alla legge n. 390 del 1991[152], il cui articolo 4 ha rimesso ad un DPCM a cadenza triennale (da adottare sentito il CUN e la Consulta nazionale per il diritto agli studi universitari) la definizione di criteri per la determinazione del merito e delle condizioni economiche degli studenti, nonché delle procedure di selezione ai fini dell'accesso ai servizi ed alle agevolazioni non destinate alla generalità degli studenti, che consistono principalmente nell’erogazione di borse di studio sulla base di requisiti minimi individuati con D.P.C.M.[153].
L’attivazione e la gestione degli interventi sono di competenza delle regioni che determinano la quota dei fondi destinati agli interventi per il diritto agli studi universitari, da devolvere annualmente. Ad integrazione delle risorse regionali (costituite da risorse proprie e gettito della tassa regionale per il diritto allo studio), è previsto uno stanziamento che lo Stato ripartisce a livello territoriale: tali risorse statali sono concentrate nel c.d. «Fondo di intervento integrativo per la concessione dei prestiti d'onore e l’erogazione di borse di studio», istituito ai sensi dell’art. 16 della L. n. 390/1991.
In proposito, si ricorda che l’articolo 3, comma 2, del DL n. 180/2008[154] ha previsto, per l’esercizio finanziario 2009, un incremento del fondo di intervento integrativo di cui all’art. 16 della L. n. 390/1991, per un importo di 135 milioni di euro, per garantire la concessione di borse di studio agli studenti capaci e meritevoli. In virtù di tale finanziamento aggiuntivo, l’ammontare del fondo per il 2009 è pari a 246,9 milioni di euro.
Il comma 1 dell’art. 3 del dl n. 180/2008, inoltre,prevede, per il 2009, una integrazione del fondo per il finanziamento dei progetti volti alla realizzazione di alloggi e residenze universitarie, di cui alla l. 338/2000, per un importo pari a 65 milioni di euro.
La legge di riforma del sistema universitario, legge n. 240/2010[155], all’articolo 4, ha, da ultimo, istituisce presso il MIUR un nuovo fondo,destinato alla promozione dell’eccellenza e del merito fra gli studenti universitari dei corsi di laurea e di laurea magistrale (c.d “Fondo per il merito”), destinato, tra l’altro a erogare premi di studio, anche per esperienze di formazione presso università e centri di ricerca di altri Paesi, a fornire buoni studio[156] e a garantire la solvibilità dei finanziamenti concessi agli studenti da parte degli istituti[157].
I beneficiari delle provvidenze sono individuati mediante prove nazionali standard per gli iscritti al primo anno per la prima volta[158] ovvero mediante criteri nazionali standard di valutazione per gli iscritti agli anni successivi al primo.
L’art. 5 della richiamata legge n. 240 del 2010 ha poi conferito una delega al Governo per la revisione, in attuazione del titolo V della parte II della Costituzione, della normativa di principio in materia di diritto allo studio e lo scorso gennaio 2012 è stato trasmesso al Parlamento il relativo schema di decreto legislativo (Atto n. 436), definitivamente approvato dal Consiglio dei ministri del 23 marzo 2012, ma non ancora pubblicato nella Gazzetta ufficiale. Dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo è abrogata la L. 390/1991 (ad eccezione dell’art. 21).
In base all’art. 3 dello schema, lo Stato ha competenza esclusiva in materia di determinazione dei LEP - che l’art. 7 definisce proprio con riferimento alla borsa di studio[159] -, disponendo che la stessa è assicurata, nei limiti delle risorse disponibili a legislazione vigente, a tutti gli studenti che risulteranno in possesso dei requisiti di eleggibilità – relativi a merito e condizione economica – da definire con un decreto interministeriale. Fino all’emanazione di quest’ultimo continueranno ad applicarsi i requisiti previsti dal DPCM 9 aprile 2001 (art. 8, co. 5).
In tema di interventi in favore degli studenti universitari, si ricorda inoltre che l’articolo 1, co. 208, della legge finanziaria per il 2008[160] concede agli studenti fuori sede una detrazione d’imposta sui canoni di locazione relativi ai contratti di ospitalità, nonché agli atti di assegnazione in godimento o locazione, stipulati con enti per il diritto allo studio, Università, Collegi universitari legalmente riconosciuti, enti senza fine di lucro e cooperative. La detrazione massima fruibile è di 500 euro, pari al 19 per cento applicabile sul limite massimo di 2.633 euro.
Attualmente i componenti del nucleo familiare sono soggetti a tassazione IRPEF su base individuale, con applicazione delle seguenti aliquote progressive per scaglioni di reddito[161]:
CLASSI DI REDDITO |
Aliquote
|
|
fino a |
15.000 |
23% |
da 15.000 |
a 28.000 |
27% |
da 28.000 |
a 55.000 |
38% |
da 55.000 |
a 75.000 |
41% |
oltre |
75.000 |
43% |
I carichi di famiglia danno diritto a detrazioni dall’imposta lorda, di importo differenziato in relazione al rapporto tra il contribuente e il soggetto a carico e in relazione al reddito percepito dal contribuente (l’importo delle detrazioni si riduce all’aumentare del reddito). Ai fini del calcolo delle detrazioni, il reddito complessivo è assunto al netto del reddito dell’unità immobiliare adibita ad abitazione principale e di quello delle relative pertinenze.
Le detrazioni per carichi di famiglia sono disciplinate dall’articolo 12 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, recante “Testo unico delle imposte sui redditi ”– TUIR, (da ultimodallalegge 24 dicembre 2007, n. 244, legge finanziaria per il 2008.
Le attuali detrazioni per il coniuge non legalmente ed effettivamente separato sono le seguenti:
1) se il reddito complessivo non supera 15.000 euro: 800 euro diminuiti del prodotto tra 110 euro e l’importo corrispondente al rapporto fra reddito complessivo e 15.000 euro.
2) se il reddito complessivo è compreso tra 15.001 e 40.000 euro: 690 euro. Tale misura è aumentata di un importo compreso tra 10 e 30 euro, nei casi in cui il reddito complessivo è compreso fra 29.001 e 35.200;
3) se il reddito complessivo è compreso tra 40.001 e 80.000 euro: 690 euro. La detrazione spetta per la parte corrispondente al rapporto tra l'importo di 80.000 euro, diminuito del reddito complessivo, e 80.000 euro.
Le attuali detrazioni per i figli a carico sono le seguenti:
§ 800 euro per ciascun figlio, compresi i figli naturali riconosciuti, i figli adottivi e gli affidati o affiliati, di età superiore a tre anni;
§ l’importo è aumentato a 900 euro per ciascun figlio di età inferiore a tre anni;
§ per i contribuenti con più di tre figli a carico la detrazione è aumentata di 200 euro per ciascun figlio a partire dal primo;
§ l’importo base della detrazione è aumentato di 220 euro per ogni figlio portatore di handicap:
La detrazione spetta per la parte corrispondente al rapporto tra l'importo di 95.000 euro, diminuito del reddito complessivo, e 95.000 euro; in presenza di più figli l'importo di 95.000 euro è aumentato, per tutti, di 15.000 euro per ogni figlio successivo al primo[162].
La detrazione per i figli a carico è ripartita tra i genitori, non legalmente ed effettivamente separati, nella misura del 50 per cento ciascuno.[163] E’ consentito, sulla base di un accordo tra i genitori, attribuire interamente la detrazione al genitore con un reddito complessivo di ammontare più elevato, in modo da permettere, in caso di incapienza di uno dei genitori, il godimento per intero delle detrazioni da parte del genitore fiscalmente capiente.
Nel caso di separazione legale ed effettiva o di annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, la detrazione, in mancanza di accordo, spetta al genitore affidatario del (o dei) figlio (figli). Nell’eventualità di un affidamento congiunto o condiviso, la detrazione è ripartita tra i genitori nella misura del 50 per cento ciascuno, in mancanza di diverso accordo.
E’ inoltre previsto, nell’ipotesi in cui il genitore affidatario o, in caso di affidamento congiunto, uno dei genitori affidatari, non possa usufruire, in tutto o in parte, della detrazione, per limiti di reddito, che la detrazione stessa è assegnata per intero all’altro genitore, il quale è tenuto a riversare al genitore affidatario l’intera detrazione o, in caso di affidamento congiunto, il cinquanta per cento, salvo diverso accordo.
Nel caso in cui un coniuge sia fiscalmente a carico dell’altro, la detrazione spetta a quest’ultimo per l’intero ammontare.
Infine, è statuito che per il primo figlio si applichino, se più convenienti, le detrazioni per il coniuge a carico non legalmente ed effettivamente separato, nei seguenti casi:
§ qualora l’altro genitore manchi o non abbia riconosciuto i figli naturali e il contribuente non sia coniugato o, se coniugato, si sia in seguito legalmente ed effettivamente separato;
§ qualora vi siano figli adottivi, affidati o affiliati del solo contribuente e questi non sia coniugato o, se coniugato, si sia successivamente legalmente ed effettivamente separato.
Tale misura, già prevista dalla disciplina previgente, costituisce dunque un’agevolazione per le famiglie monoparentali.
E’ inoltre riconosciuta una detrazione di 750 euro, da ripartire pro quota tra coloro che ne hanno diritto, per ogni altra persona indicata nell'articolo 433 del codice civile[164](persone obbligate agli alimenti) che conviva con il contribuente o percepisca assegni alimentari non risultanti da provvedimenti dell'autorità giudiziaria.
La detrazione spetta per la parte corrispondente al rapporto tra l'importo di 80.000 euro, diminuito del reddito complessivo, e 80.000 euro.
Il comma 1-bis dell’articolo 12 prevede un’ulteriore detrazione ove vi siano almeno quattro figli a carico. Essa ammonta a 1.200 euro ed èripartita al 50 per cento tra i genitori non legalmente ed effettivamente separati. In caso di separazione legale ed effettiva o di annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, la detrazione spetta ai genitori in proporzione agli affidamenti stabiliti dal giudice. Nel caso di coniuge fiscalmente a carico dell’altro, la detrazione compete a quest’ultimo per l’intero importo.
In caso di incapienza, ovvero nel caso in cui la tale detrazione sia superiore all’imposta lorda, diminuita delle detrazioni per carichi di famiglia e delle altre detrazioni previste dalla legge, al contribuente spetta un credito di ammontare corrispondente alla quota che non trova capienza.
Il comma 2 dell’articolo 12 del TUIR prevede che le detrazioni sopra indicate spettano a condizione che le persone alle quali si riferiscono non possiedano un reddito complessivo superiore a 2.840,51 euro, al lordo degli oneri deducibili. Le detrazioni sono rapportate a mese e competono dal mese in cui si sono verificate al mese in cui sono cessate le condizioni richieste (comma 3 dell’articolo 12).
Il comma 4 dell’articolo 12 del TUIR stabilisce che le detrazioni per carichi di famiglia spettano esclusivamente quando i rapporti contemplati nelle varie ipotesi sono numeri maggiori di zero e minori di uno. Se il rapporto è pari a zero, minore di zero o pari a uno le detrazioni non spettano.
Si segnala che l’articolo 29, commi 6-bis e 6-ter, del D.L. n. 216 del 2011 ha prorogato per l’anno 2012 la detrazione fiscale per carichi di famiglia in favore dei soggetti non residenti, introdotta dall’articolo 1, comma 1324, della legge n. 296 del 2006 per l’anno 2007, e successivamente prorogata ogni anno[165].
La legge finanziaria per il 2007[166] ha introdotto il diritto alle detrazioni per carichi di famigliaai soggetti non residenti a condizione che essi dimostrino:
§ che le persone alle quali tali detrazioni si riferiscono non possiedano un reddito complessivo superiore, al lordo degli oneri deducibili, a 2.840,51 euro, compresi i redditi prodotti fuori dal territorio dello Stato;
§ di non godere, nel paese di residenza, di alcun beneficio fiscale connesso ai carichi familiari.
La norma è introdotta in deroga all’articolo 24, comma 3 del TUIR, ai sensi del quale i soggetti non residenti[167] non hanno diritto alle detrazioni per carichi di famiglia.
La detrazione IRPEF per le spese di istruzione è disciplinata dall’articolo 15, comma 1, lettera e) del TUIR. L’ammontare della detrazione è pari al 19% delle spese sostenute per la frequenza di corsi di istruzione secondaria e universitaria, pubblici o privati, italiani o stranieri. Le spese, che possono riferirsi anche a più anni, compresa l’iscrizione fuori corso, per gli istituti o università privati e stranieri non devono essere superiori a quelle delle tasse e contributi degli istituti statali italiani.
È prevista una detrazione del 19 per cento delle spese documentate sostenute dai genitori per il pagamento delle rette degli asili nido. Le spese sono ammesse in detrazione per un importo non superiore a 632 euro annui (art. 2, comma 6, L. 203/2008).
L’articolo 15, comma 1, lettera i-quinquies), del TUIR disciplina una detrazione IRPEF in relazione alle spese sostenute per l’iscrizione annuale e l’abbonamento, per i ragazzi di età compresa tra 5 e 18 anni, ad associazioni sportive, palestre, piscine ed altre strutture ed impianti sportivi destinati alla pratica sportiva dilettantistica. La misura del beneficio è pari al 19% della spesa, per un importo non superiore a 210 euro (in sostanza la misura massima della detrazione è pari a 40 euro annuo per ciascun giovane iscritto).
Ai sensi del comma 2 del richiamato articolo 12, la detrazione spetta anche se tali spese sono state sostenute per i familiari fiscalmente a carico.
Ai sensi dell’articolo 15, comma 1, lettera i-sexies), del TUIR spetta una detrazione IRPEF, in misura pari al 19% della spesa annua per canoni di locazione sostenuti da studenti universitari fuori sede, ossia studenti che frequentano un’università ubicata in un comune distante dal comune di residenza almeno 100 km e comunque in una provincia diversa.
Il beneficio fiscale spetta in relazione a contratti stipulati o rinnovati ai sensi della legge n. 431/1998[168], ai canoni relativi a contratti di ospitalità, nonché agli atti di assegnazione in godimento o locazione stipulati con enti per il diritto allo studio, università, collegi universitari legalmente riconosciuti, enti senza fine di lucro e cooperative.
L’articolo 16, comma 01, del TUIR, prevede una detrazione per chi sostiene le spese dell’affitto per la casa adibita a propria abitazione principale.In particolare, ai soggetti titolari di contratti di locazione di unità immobiliari adibite ad abitazione principale stipulati o rinnovati a norma della legge 9 dicembre 1998, n. 431, spetta una detrazione complessivamente pari a:
§ 300 euro, se il reddito complessivo non supera 15.493,71 euro
§ 150 euro, se il reddito complessivo è superiore a 15.493,71 euro, ma non superiore a 30.987,41 euro.
In favore dei giovani di età compresa fra i 20 e i 30 anni, che stipulano un contratto di locazione ai sensi della legge 9 dicembre 1998, n. 431, per l’unità immobiliare da destinare a propria abitazione principale, sempre che la stessa sia diversa dall’abitazione principale dei genitori, il beneficio spetta per i primi tre anni di locazione in misura pari a:
§ euro 991,60 se il reddito complessivo non supera 15.493,71 euro;
§ euro 495,80 se il reddito è compreso tra 15.493,72 e 30.987,41 euro.
Detrazione sull’abitazione principale per figli a carico in relazione all’imposta municipale propria (IMU) e per gli immobili dei soggetti residenti all’estero
L’articolo 13, comma 10, del decreto legge n. 201 del 2012, che ha anticipato al 2012 l’applicazione dell’imposta municipale propria (IMU), istituita e disciplinata dal D.Lgs. sul federalismo municipale (D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23), ha altresì previsto che, per gli anni 2012 e 2013, la detrazione prevista per l’abitazione principale (pari a 200 euro) sia maggiorata di 50 euro per ciascun figlio di età non superiore a ventisei anni, purché dimorante abitualmente e residente anagraficamente nell'unità immobiliare adibita ad abitazione principale. L'importo complessivo della maggiorazione, al netto della detrazione di base, non può superare l'importo massimo di euro 400. I comuni possono disporre l'elevazione dell’importo della detrazione, fino a concorrenza dell'imposta dovuta, nel rispetto dell'equilibrio di bilancio.
L’articolo 19, comma 13 del citato provvedimento ha inoltre istituito un’imposta sul valore degli immobili situati all’estero, a qualsiasi uso destinati dalle persone fisiche residenti nel territorio dello Stato. Il comma 15-bis del citato articolo prevede, in favore di alcune categorie di soggetti che prestano lavoro all'estero (soggetti che lavorano per lo Stato italiano, per una sua suddivisione politica o amministrativa o per un suo ente locale, persone fisiche che lavorano all'estero presso organizzazioni internazionali cui aderisce l'Italia e la cui residenza fiscale in Italia sia determinata, in deroga agli ordinari criteri previsti dal Testo Unico delle imposte sui redditi, in base ad accordi internazionali ratificati) una aliquota agevolata d’imposta (0,4 per cento) per l'immobile adibito ad abitazione principale e per le relative pertinenze, limitatamente al periodo di tempo in cui l'attività lavorativa è svolta all'estero. Le medesime norme prevedono poi, in analogia con quanto previsto per l’IMU, una detrazione per il predetto immobile e per le relative pertinenze, pari a 200 euro rapportati al periodo dell'anno durante il quale si protrae tale destinazione. Per gli anni 2012 e 2013 la detrazione è maggiorata di 50 euro per ciascun figlio di età non superiore a ventisei anni, purché dimorante abitualmente e residente anagraficamente nell'unità immobiliare adibita ad abitazione principale; l'importo complessivo della maggiorazione, al netto della detrazione di base, non può superare l'importo massimo di 400 euro.
Interessi passivi su mutui per l’acquisto di immobili
La normativa vigente in materia di detrazioni fiscali per gli interessi passivi ed oneri accessori derivanti da contratti di mutuo ipotecario è piuttosto articolata in quanto nel corso dei vari anni ha subito diverse modifiche, con la conseguenza che le detrazioni fiscali spettano secondo limiti e modalità che variano in relazione al tipo di fabbricato (abitazione principale, abitazione secondaria, altri fabbricati non abitativi) e all’anno in cui è stato stipulato il contratto di mutuo.
Per i mutui stipulati dal 1993 le detrazioni sono concesse solo quando si acquista l’abitazione principale. Dal 1º gennaio 2008 il limite di spesa per interessi passivi sul quale è possibile calcolare la detrazione d’imposta del 19% è pari a 4.000 euro, pertanto, l’importo massimo di detrazione di cui si può fruire è di 760 euro (19% di 4.000 euro).
Si ricorda che al modello di tassazione suesposto si affianca l’istituto degli assegni per il nucleo familiare i cui ammontari, differenziati secondo la numerosità del nucleo, sono funzione del reddito familiare complessivo.
L’assegno per il nucleo familiare, introdotto dal D.L. 69 del 1988, è una prestazione di carattere previdenziale, erogata con cadenza mensile su richiesta del lavoratore o del pensionato, unitamente agli altri elementi della retribuzione o della pensione. L’assegno ha la funzione di integrare la retribuzione dei lavoratori che si trovano in determinate situazioni familiari di reddito.
Beneficiari dell’assegno sono:
- i lavoratori dipendenti che prestino la propria attività nel territorio dello Stato, indipendentemente dalla nazionalità;
- i titolari di pensione derivante da un precedente rapporto di lavoro;
- i lavoratori assistiti dall’assicurazione contro la tubercolosi.
Presupposti per il riconoscimento dell’assegno sono l’esistenza di un nucleo familiare, il rispetto di determinati limiti di reddito, la non fruizione di altri trattamenti di famiglia.
Riguardo ai limiti di reddito, la concessione dell’assegno è subordinata alla circostanza che la somma dei redditi da lavoro dipendente, da pensione o da altra prestazione previdenziale derivante comunque da lavoro dipendente sia superiore al 70% del reddito familiare complessivo.
Ai fini della corresponsione dell’assegno, il reddito da considerare è quello risultante dalla somma dei redditi percepiti, nell’anno solare precedente il 1° luglio dell’anno cui la domanda si riferisce, da tutti i soggetti che compongono il nucleo familiare al momento della domanda, o nel periodo di riferimento della domanda .
L’ammontare dell’assegno, unico per l’intero nucleo familiare, è determinato in misura differenziata in rapporto al numero dei componenti il nucleo familiare e al relativo reddito complessivo. La prestazione erogata è prevista in importi decrescenti per scaglioni crescenti di reddito in corrispondenza di soglie di esclusione a seconda della tipologia familiare.
Al fine di valorizzare la posizione del coniuge che svolge prevalentemente attività di cura del nucleo familiare, l’articolo 1, comma 559, della L. 30 dicembre 2004, n. 311 (legge finanziaria per il 2005), ha stabilito l’erogazione dell’assegno per il nucleo familiare al coniuge dell’avente diritto a decorrere dal periodo di paga in corso al 1° gennaio 2005.
Si consideri che l’articolo 5 del D.M. 4 aprile 2002 ha esteso la disciplina dell’assegno per il nucleo familiare di cui al citato articolo 2 del D.L. 69/1988, agli iscritti alla gestione separata INPS di cui all'art. 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995 che non risultino iscritti ad altre forme pensionistiche obbligatorie, tra cui figurano i collaboratori coordinati e continuativi, anche a progetto .
L’articolo 1, comma 1 della legge n. 296/2006 (finanziaria 2007) determina in via diretta gli importi dell'assegno e dei relativi limiti di reddito consentendo, inoltre, che con decreto interministeriale venga operata un'ulteriore rimodulazione. In particolare si prevede che:
§ i livelli di reddito e gli importi annuali dell'assegno per il nucleo familiare, con riferimento ai nuclei familiari con entrambi i genitori e almeno un figlio minore in cui non siano presenti componenti inabili nonché ai nuclei familiari con un solo genitore e almeno un figlio minore in cui non siano presenti componenti inabili, sono rideterminati secondo la Tabella 1 allegata alla legge medesima, a decorrere dal 1° gennaio 2007;
§ gli importi degli assegni per tutte le altre tipologie di nuclei con figli sono rivalutati del 15 per cento, sempre con decorrenza dal 1° gennaio 2007;
§ i livelli di reddito e gli importi degli assegni per i nuclei con figli, nonchéquelli per i nuclei familiari senza figli possono essere rimodulati ulteriormente con decreto interministeriale, secondo criteri analoghi a quelli adottati nella Tabella summenzionata, "anche con riferimento alla coerenza del sostegno dei redditi disponibili delle famiglie risultante dagli assegni per il nucleo familiare e dalle detrazioni a fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche";
§ nel caso di nuclei familiari con più di tre figli, o soggetti equiparati, di età inferiore a 26 anni compiuti, ai fini della determinazione dell’assegno, si prendono in considerazione, oltre ai figli minori, anche i figli che abbiano già compiuto diciotto anni, ma che non ne abbiano ancora compiuto ventuno, purché siano studenti o apprendisti;
§ gli ordinari criteri di rivalutazione dei livelli di reddito e dell'importo dell'assegno non si applicano con riferimento al 2007 e trovano nuovamente applicazione a decorrere dal 2008.
La legge finanziaria 2008 (articolo 1, comma 200 della legge 244/2007) ha demandato ad un decreto del Ministro delle politiche per la famiglia e del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, emanato di concerto con il Ministro della solidarietà sociale e con il Ministro dell’economia e delle finanze, la rideterminazione, a decorrere dal 2008, nel limite di una maggiore spesa annua di 30 milioni di euro, della misura degli assegni per il nucleo familiare e dei relativi limiti massimi di reddito, volta all’elevamento dei medesimi, con riferimento ai nuclei familiari con almeno un componente inabile (totalmente) al lavoro ed ai nuclei familiari "orfanili" (in cui, cioè, siano deceduti entrambi i genitori), sulla base di criteri analoghi a quelli di cui alla Tabella 1 allegata al citato comma 11 della legge finanziaria 2007, anche con riferimento alla coerenza del sostegno dei redditi familiari disponibili risultante dall'istituto in esame degli assegni per il nucleo familiare e dalle detrazioni IRPEF.
A seguito del Decreto Interministeriale 25 marzo 2008, la circolare n. 16 del 24 giugno 2008 della Ragioneria Generale dello Stato Igop ha rielaborato e rideterminato le tabelle relative a nuclei familiari con almeno un componente inabile, quelle relative ai nuclei orfanili e alcune tabelle preesistenti, con decorrenza dal 1° gennaio 2008.
La rivalutazione dei redditi per la corresponsione dell’assegno al nucleo familiare a decorrere dal 1° luglio 2011 è stata disposta con Circolare n. 22 del 20 giugno 2011.
Le seguenti tabelle sono tratte dal Dossier
"Le risorse finanziarie del FNPS 2004-2011 e Fondo per le non
autosufficienze" dell'ottobre 2011 a cura della Segreteria della
Conferenza delle Regioni
Gli stanziamenti relativi agli anni 2010 e 2011 corrispondono a quelli riportati nella Tabella C della legge di stabilità. Gli stanziamenti relativi agli anni dal 2012 al 2014 corrispondono a quelli indicati nel Bilancio di previsione dello Stato.
Anno
|
2010
|
2011
|
2012
|
2013
|
2014
|
Fondo per le politiche della famiglia |
185,3 |
51,5 |
32,0 |
21,2 |
23,3 |
Fondo per le politiche sociali |
435,3 |
273,9 |
70,0 |
44,6 |
44,6 |
Fondo per le politiche giovanili |
81,1 |
12,8 |
8,2 |
7,2 |
7,9 |
in milioni di euro
[1] Sul punto: Antonini, L., Federalismo e welfare familiare, novembre 2010. Disponibile all’indirizzo:
http://www.conferenzanazionalesullafamiglia.it/media/6551/antonini%20luca%20-%20federalismo%20e%20welfare%20familiare.pdf
[2] Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per le politiche della famiglia, La famiglia in Italia, a cura di Pierpaolo Donati, 2012.
[3] Istat, Demografia in cifre: sistema di now cast per indicatori demografici, consultabile all’indirizzo:
http://demo.istat.it/altridati/indicatori/index.html#tabreg
[4] Istat, Natalità e fecondità della popolazione residente: anni 2009 e 2010, settembre 2011
[5] Istat, Come cambiano le forme familiari: anno 2009, settembre 2011.
[6] Istat, Rapporto Annuale 2012: la situazione del Paese, maggio 2012
[7] La povertà relativa (la percentuale di famiglie povere sul totale delle famiglie residenti) viene calcolata sulla base di una soglia convenzionale (linea di povertà) che individua il valore di spesa per consumi al di sotto del quale una famiglia viene definita povera in termini relativi: per una famiglia di due componenti la linea di povertà è pari alla spesa media pro capite nel Paese e, nel 2010, è risultata pari a 992,46 euro mensili.
[8] A questo proposito, rileva sottolineare che la composizione dei consumi delle famiglie è mutata significativamente: tra il 1997 e il 2010 è aumentata di molto la quota destinata all’abitazione, meno quella per l’energia, mentre tutte le altre voci hanno visto una riduzione della propria importanza. Le famiglie più povere hanno accresciuto i consumi del 44 per cento, riducendo drasticamente le spese non necessarie e la qualità dei prodotti acquistati (il 20 per cento di esse si rivolge agli hard discount).
[9] Tarantola A.M., Le famiglie italiane nella crisi, 4 aprile 2012.
[10] Istat, Reddito e risparmio delle famiglie e profitti delle società, aprile 2012.
[11] Banca d’Italia, I bilanci delle famiglie italiane nell’anno 2012, Supplementi al Bollettino statistico: Indagini campionarie, anno XXII, 25 gennaio 2012, n. 6.
[12] Articolo 1, comma 19, lettera e) del D.L. 18 maggio 2006, n. 181, Disposizioni urgenti in materia di riordino delle attribuzioni della Presidenza del Consiglio dei Ministri e dei Ministeri, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, L. 17 luglio 2006, n. 233.
[13] Decreto-legge 16 maggio 2008, n. 85, Disposizioni urgenti per l'adeguamento delle strutture di Governo in applicazione dell'articolo 1, commi 376 e 377, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, convertito con modificazioni dalla L. 14 luglio 2008, n. 121.
[14] Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, 29 ottobre 2009, Modifiche al DPCM 23 luglio 2002, recante: «Ordinamento delle strutture generali della Presidenza del Consiglio di Ministri» e rideterminazione delle dotazioni organiche dirigenziali.
[15] Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 1 marzo 2011, Ordinamento delle strutture generali della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
[16] Delega di funzioni del Presidente del Consiglio dei Ministri al Ministro senza portafoglio per la cooperazione internazionale e l'integrazione prof. Andrea Riccardi.
[17] Istituito con Decreto 30 ottobre 2007, n. 242, Regolamento recante "Istituzione e funzionamento dell'Osservatorio nazionale sulla famiglia" è stato poi ridefinito conD.P.C.M. 10 marzo 2009, n. 43, Regolamento recante istituzione e funzionamento del nuovo Osservatorio nazionale sulla famiglia.
[18] Il Piano intende formulare proposte in un quadro organico, con singole misure a breve, medio o lungo termine a seconda delle necessità e delle risorse disponibili. In particolare, la bozza prevede un’articolazione del Piano su “Interventi”. Gli interventi contenuti nel Piano sono articolati in ‘Parti’, che contengono i tratti salienti delle azioni proposte, poi esplicitate ed illustrate in apposite schede. Le schede comprendono sei punti: 1) Denominazione dell’azione, che descrive in modo sintetico la tipologia dell’intervento; 2) Area di riferimento delle politiche familiari, dove si fa riferimento ai sette filoni di intervento (equità economica, fiscale, tributaria e revisione dell’ISEE; politiche abitative; lavoro di cura familiare, con annessi interventi sulla disabilità e non autosufficienza; pari opportunità e conciliazione tra famiglia e lavoro; reti associative familiari; servizi consultoriali, consultori, mediazione familiare, centri per la famiglia; immigrazione, sostegno alle famiglie immigrate); 3) soggetti promotori dell’azione, dove si indicano i soggetti istituzionali titolari dell’iniziativa; 4) risorse finanziarie, articolate in ordinarie e straordinarie; 5) tipologia dell’azione, intesa come normativa, servizio istituzionale, progetto pilota, altre attività progettuali; 6) descrizione sintetica dell’attività.
La bozza è consultabile in rete all’indirizzo:
http://www.osservatorionazionalefamiglie.it/images/documenti/piano_nazionale/bozza per cento20piano per cento20famiglia per cento2023 per cento20giugno.pdf
[19] Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per le politiche della famiglia, La famiglia in Italia, a cura di Pierpaolo Donati, 2012
[20] Delega di funzioni del Presidente del Consiglio dei Ministri al Ministro senza portafoglio per la cooperazione internazionale e l'integrazione prof. Andrea Riccardi.
[21] Intesa tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano e le Autonomie locali, ai sensi dell’articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, concernente l’utilizzo di risorse da destinare al finanziamento di azioni per le politiche a favore della famiglia. Repertorio Atti n. 24/CU del 2 febbraio 2012
[22] Intesa, ai sensi dell'art. 8, comma 6 della legge 5 giugno 2003, n. 131, tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano e le Province, i Comuni e le Comunità montane, concernente l'utilizzo di risorse da destinarsi al finanziamento ei servizi socio educativi per la prima infanzia e azioni in favore degli anziani e della famiglia. Repertorio Atti n.: 48/CU del 19 aprile 2012.
[23] Istat, Rapporto annuale 2012, maggio 2012.
[24] La politica regionale di sviluppo è specificatamente diretta a garantire che gli obiettivi di competitività siano raggiunti da tutti i territori regionali, anche e soprattutto da quelli che presentano squilibri economico-sociali ed è finanziata da risorse aggiuntive, comunitarie e nazionali, provenienti, rispettivamente, dal bilancio europeo (Fondi strutturali) e nazionali (fondo di cofinanziamento nazionale ai Fondi strutturali e fondo per le aree sottoutilizzate).
[25] Sul punto sito dedicato dal Ministro della Coesione territoriale:
http://www.ministrocoesioneterritoriale.it/fondi/piano-di-azione-coesione/
[26] Mozioni Franceschini ed altri n. 1-00880, Iannaccone ed altri n. 1-00887, Miccichè ed altri n. 1-00928, Ossorio ed altri n. 1-00930, Cicchitto ed altri n. 1-00932, Occhiuto ed altri n. 1-00933, Commercio ed altri n. 1-00934, Aniello Formisano ed altri n. 1-00935, Ruvolo ed altri n. 1-00940, Versace ed altri n. 1-00941 e Briguglio ed altri n. 1-00972: Iniziative per favorire gli interventi produttivi e l’occupazione nel Mezzogiorno.
[27] Decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonche' interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale convertito con modificazioni dalla L. 4 agosto 2006, n. 248. La dotazione finanziaria è quantificata in tre milioni di euro per il 2006 e dieci milioni di euro per il 2007.
[28] La legge 27 dicembre 2006, n. 296, individua gli interventi da finanziare, aumentando la dotazione del Fondo di ulteriori 210 milioni di euro per il 2007 e definendo le risorse del Fondo per gli esercizi 2008 e 2009 in 180 milioni di euro.
[29] La materia politiche per la famiglia, nella strutturazione del bilancio statale, è ricompresa nella Missione 24 Diritti sociali, solidarietà sociale e famiglia, nello specifico Programma 24.7 "Sostegno alla famiglia" – Centro di responsabilità 15 "Politiche per la famiglia”. Dal 2010 i Capitoli di riferimento sono il cap. 858, “Fondo per le politiche per la famiglia", del bilancio di previsione della Presidenza del Consiglio dei ministri e il cap. 899, titolato “Somme da destinare ad interventi per attività di competenza statale relative al Fondo per le politiche per la famiglia”, dello stato di previsione della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
[30] Intesa tra il Sottosegretario di Stato alle politiche per la famiglia e le Regioni, le Province autonome di Trento e Bolzano, le Province, i Comuni e le Comunità montane, in merito alla ripartizione del Fondo per le politiche della famiglia, per l'anno 2010 . Intesa ai sensi dell'articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n . 131. Repertorio Atti n . 20/CV del 29 aprile 2010.
[31] Precisamente nella Tabella 2 - Stato di previsione del Ministero dell’Economia e delle Finanze per l’anno finanziario 2012, Fondo per le politiche della famiglia (capitolo 2102).
[32] Corte dei Conti, Sezione centrale di controllo sulla gestione delle Amministrazioni dello Stato, Relazione concernente “Fondo per le politiche della Famiglia”, Delibera n. 2/2012/G e Relazione depositata il 2 aprile 2012. La Relazione è consultabile al seguente indirizzo:
http://www.corteconti.it/export/sites/portalecdc/_documenti/controllo/sez_centrale_controllo_amm_stato/2012/delibera_2_2012_g.pdf
[33] Allegato C della Legge finanziaria.
[34] Istituito dall’articolo 59, comma 44 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica.
[35] Le risorse sono ripartite con decreto del Ministro della solidarietà sociale, sentiti i ministri interessati e d’intesa con la Conferenza Unificata Stato regioni e autonomie locali.
[36] Nonostante questa assenza di vincoli alla finalizzazione della spesa, le articolazioni settoriali continuano ancora oggi a incidere sulla determinazione del fabbisogno regionale, poiché nel riparto del fondo vengono utilizzate, come criteri di riparto, le percentuali ricavate dalla distribuzione del fondo effettuata nel 2002 che, loro volta, rispecchiavano il riparto del 2001, quando le cifre da destinare ad ogni regione erano ottenute scomponendo il fondo per settori di intervento e per aree territoriali, con riguardo alle dimensioni della popolazione destinataria degli specifici programmi di intervento.
[37] Legge 28 agosto 1997, n. 285, Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità' per l'infanzia e l'adolescenza.
[38] Precisamente nella Tabella 4 – Bilancio di previsione Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Fondo da ripartire per le Politiche Sociali (capitolo 3671).
[39] Decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione Tributaria, convertito con modificazioni dalla L. 6 agosto 2008, n. 133.
[40] Ministero dell’economia e delle finanze, Decreto interdipartimentale 16 settembre 2008, Criteri e modalità di individuazione dei titolari della Carta Acquisti, dell'ammontare del beneficio unitario e modalità di utilizzo del Fondo di cui all'articolo 81, comma 29 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 113, successivamente modificato dal decreto 27 febbraio 2009.
[41] Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, Decreto 2 settembre 2009, Criteri e modalità di utilizzo, da parte di taluni beneficiari, della «Carta Acquisti».
[42] Rispondendo all’interrogazione 3-01435 (on. Lenzi ed altri), Chiarimenti in merito alle risorse pubbliche e private destinate alla social card per l'anno 2011 nella seduta n. 428 di mercoledì 2 febbraio 2011, il Ministro Elio Vito precisa che, a fronte delle erogazioni già effettuate alla data del 31 dicembre 2010, restano disponibili nel Fondo Carta Acquisti, risorse per un ammontare complessivo di circa 680 milioni di euro che, al netto della somma di circa 193 milioni di euro (residua dalla donazione destinata esclusivamente ai beneficiari della Carta acquisti utilizzatori di gas naturale o GPL), portano gli stanziamenti complessivi ancora disponibili per il programma Carta acquisti a circa 487 milioni di euro.
[43] Ministero dell’economia e delle finanze, Decreto 30 novembre 2009, Modifiche procedurali relative alla consegna della Carta Acquisti, e definizione dei criteri per l'erogazione del contributo Eni S.p.A. ai beneficiari della Carta Acquisti utilizzatori di gas naturale o GPL.
[44] Decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225, Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie, convertito con modificazioni dalla L. 26 febbraio 2011, n. 1.
[45] Decreto legge 9 febbraio 2012, n. 5, Disposizioni urgenti in materia di semplificazione e di sviluppo, convertito con modificazioni dalla L. 4 aprile 2012, n. 35.
[46] In tal senso il PNR definisce la sperimentazione una misura generalizzata di contrasto alla povertà assoluta, condizionata alla partecipazione a percorsi di ricerca attiva del lavoro (nuova social card).
[47] Ordine del giorno 9/04940-B/022 4 aprile 2012 Camera dei Deputati.
[48] Decreto legge, 29 novembre 2008, n. 185, Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale, convertito con modificazioni dalla L. 28 gennaio 2009, n. 2
[49] Legge 12 novembre 2011, n. 183, Disposizioni per la formazione del bilancuio annuale e pluriennale dello stato (Legge di stabilità 2012)
[50] Decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici convertito dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214.
[51] D.L. 31 maggio 2010, n. 78, Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica, convertito in legge, con modificazioni dalla L. 30 luglio 2010, n.122.
[52] Le risorse complessive sul capitolo 853 del bilancio autonomo della Presidenza del Consiglio dei Ministri denominato «Fondo per le Politiche Giovanili», nell'ambito del C.D.R. n. 16 denominato «Gioventù'», sono pari a una dotazione finanziaria di € 81.087.000 milioni di euro.
[53] D.M. 4 novembre 2011, Ripartizione del Fondo Politiche giovanili, ai sensi dell'art. 19, comma 2, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248- Anno 2011
[54] D.P.C.M. 10 dicembre 2010, Approvazione del bilancio di previsione della Presidenza del Consiglio dei Ministri per l'anno finanziario 2011.
[55] Per ulteriori informazioni il sito dedicato:
[56] Per ulteriori informazioni il sito dedicato:
http://www.diamoglifuturo.it/fondo-casa
[57] L. 24 dicembre 2007, n. 247, Norme di attuazione del Protocollo del 23 luglio 2007 su previdenza, lavoro e competitività per favorire l'equità e la crescita sostenibili, nonchè ulteriori norme in materia di lavoro e previdenza sociale.
[58] Finalizzazione di parte delle risorse di cui all'articolo 1, commi 72 e 73, della legge 24 dicembre 2007, n. 247.
[59] Sul punto, Corte dei Conti, Sezione centrale di controllo sulla gestione delle Amministrazioni dello Stato, Relazione concernente “Fondo per le politiche della Famiglia”, Delibera n. 2/2012/G e Relazione depositata il 2 aprile 2012. La Relazione è consultabile al seguente indirizzo:
[60] Monitoraggio del Piano di sviluppo dei servizi socio-educativi per la prima infanzia: rapporto al 31 dicembre 2010, edito il 16 dicembre 2011 e consultabile all’indirizzo:
http://www.minori.it/sites/default/files/rapporto_al_31_12_2010_0.pdf
[61] Istat, L’offerta comunale di asili nido e altri servizi socio-educativi per la prima infanzia: anno scolastico 2009/2010,luglio 2011. Il rapporto è consultabile in rete all’indirizzo:
[62] Conferenza Unificata, Accordo quadro per la realizzazione di un’offerta di servizi educativi a favore dei bambini dai due ai tre anni, volta a migliorare tra nido e scuola dell’infanzia e a concorrere allo sviluppo territoriale dei servizi socio-educativi 0-6 anni, 7 ottobre 2010.
[63] Si rileva che il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, in merito all’impegno, seguito all’accoglimento dell’Ordine del giorno Sbrollini n. 9/3638/195 del 22 febbraio 2011, ha trasmesso una nota in cui quantifica l’impegno, per l’A.S. 2010-2011, in 1.400.000 euro.
[64] Per le risorse stanziate ed erogate si rinvia alle informazioni presenti sul sito del Dipartimento Politiche per la famiglia, in particolare:
http://www.politichefamiglia.it/media/51160/al per cento2031 per cento20ottobre per cento202010.pdf
[65] Istat, L’offerta comunale di asili nido e altri servizi socio-educativi per la prima infanzia: anno scolastico 2009-2010, luglio 2011.
[66] Istat, Noi Italia 2012, febbraio 2012. Sezione dedicata alla protezione sociale:
http://www3.istat.it/dati/catalogo/20120215_00/Noi_Italia_2012.pdf
[67] Dati INPS al 1 gennaio 2011: i beneficiari delle indennità di accompagnamento passano dall’1% nella fascia di età fino a 65 anni, al 5% nella fascia 66-80 anni e al 29% nella fascia degli ultraottantenni.
[68] Insieme delle prestazioni erogate a persone non autosufficienti che, per vecchiaia, malattia cronica o limitazione mentale, necessitano di assistenza continuativa. Le prestazioni possono essere erogate attraverso l’assistenza territoriale (assistenza ambulatoriale e domiciliare, assistenza semiresidenziale ed assistenza residenziale), l’assistenza psichiatrica, l’assistenza rivolta agli alcolisti e ai tossicodipendenti e l’assistenza ospedaliera erogata in regime di lungodegenza.
[69] Ministero dell’economia e delle finanze – Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, Le tendenze di mediolungo periodo del sistema pensionistico e socio-sanitario, aggiornamento 2011, Rapporto n. 12, anno 2011. Il documento è consultabile all’indirizzo web:
[70] Molte delle informazioni riportate sono tratte da: Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Rapporto sulla non autosufficienza in Italia, febbraio 2011.
[71] ISTAT, Condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari: anno 2005, 2 marzo 2007. L’indagine dell’Istat utilizza la seguente definizione di disabilità: Una persona è definita “disabile” se presenta gravi difficoltà a carattere permanente in almeno una delle seguenti dimensioni: confinamento a letto, su una sedia o in casa; difficoltà di movimento; difficoltà nelle funzioni quotidiane (assenza di autonomia nelle essenziali attività quotidiane e di cura della persona – lavarsi o farsi il bagno da soli, mangiare da solo, mettersi a letto da soli, ecc.); difficoltà nella comunicazione (vista, udito e parola). Nel rilevare il fenomeno della disabilità l’Istat ha fatto sempre riferimento al questionario predisposto negli anni ’80 da un gruppo di lavoro dell’OCSE sulla base della classificazione OMS (ICIDH – International Classification of Impairment, Desease, Disability and Handicap -1980). Sebbene siano noti i limiti di tale strumento, non è a tutt’oggi disponibile una operazionalizzazione della nuova classificazione ICF (International Classification of Functioning, Disability and Health), approvata dall’OMS nel 2001 e condivisa a livello internazionale.
[72] Istat, Rapporto annuale 2012, maggio 2012, pagg. 260-261
[73] Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Decreto 4 ottobre 2010, Ripartizione delle risorse finanziarie assegnate al Fondo per le non autosufficienze.
[74] L. 13 dicembre 2010, n. 220, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2011).
[75] Di cui all'art. 7-quinquies, comma 1, del D.L. 10 febbraio 2009, n. 5, Misure urgenti a sostegno dei settori industriali in crisi, nonché disposizioni in materia di produzione lattiera e rateizzazione del debito nel settore lattiero-caseario, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009, n. 33.
[76] Ripartizione delle risorse finanziarie affluenti al Fondo per le non autosufficienze a favore di persone affette da sclerosi laterale amiotrofica, per l'anno 2011.
[77] Il seguente paragrafo è una sintesi del Capitolo 4.3.2 del Rapporto annuale 2012 dell’Istat, dedicato agli interventi e i servizi sociali dei comuni singoli e associati nel 2009.
[78] La spesa per gli interventi e per i servizi sociali offerti dai Comuni singolarmente o in forma associata, viene calcolata al netto delle quote pagate dagli utenti per i servizi fruiti e dal Servizio Sanitario Nazionale per la componente sanitaria dell’assistenza fornita dai Comuni. Per ottenere l’ammontare complessivo della spesa corrente a livello locale per il funzionamento della rete territoriale dei servizi, si devono quindi sommare ai 7,2 miliardi di euro a carico dei Comuni (o degli enti gestori da loro delegati), le spese a carico degli utenti e le quote di compartecipazione pagate dall’SSN.
[79] Rientrano nell’aerea disabilità, gli interventi ed i servizi per persone da 0 a 65 anni.
[80] I dati riportati nei due paragrafi successivi si riferiscono alla pubblicazione Istat, Gli interventi e i servizi sociali dei comuni singoli e associati: anno di riferimento 2008, 18 luglio 2011.
[81] D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 109, Definizioni di criteri unificati di valutazione della situazione economica dei soggetti che richiedono prestazioni sociali agevolate, a norma dell'articolo 59, comma 51, della L. 27 dicembre 1997, n. 449.
[82] Le informazioni contenute in questa sezione sono state tratte da: Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Rapporto ISEE 2011, Quaderni della ricerca sociale 13, marzo 2011. Il rapporto è consultabile online:
http://www.lavoro.gov.it/NR/rdonlyres/FD9DD2FE-182C-4054-81A5-0533E9AC2083/0/RapportoISEE2011.pdf
[83] Dal punto di vista territoriale, la franchigia sul patrimonio mobiliare opera in modo molto diverso: nel Mezzogiorno solo lo 0,75 per cento dei dichiaranti riporta un patrimonio mobiliare lordo superiore ai 15.500 euro, mentre al Nord-est la percentuale dei dichiaranti in quest’ambito si attesta sul 16 per cento.
[84] Finora l’esclusione dei trasferimenti esenti da imposizione è stata motivata anche dal fatto che questi tipi di prestazioni rispondono a specifiche condizioni di bisogno, essendo sostanzialmente misure non sottoposte alla prova dei mezzi. Sul punto Motta, M., Le criticità dell’ISEE, in Prospettive sociali e sanitarie 16-18, settembre-ottobre 2011. L’autore rileva che “laddove l’ISEE venga utilizzato per definire le erogazioni di assistenza economica dei Comuni (o loro Consorzi), si può avviare un paradossale effetto di sostituzione dei compiti e dei costi tra Stato ed Enti locali”. L’INPS infatti eroga gli assegni sociali agli anziani in condizioni di povertà valutando la loro condizione economica con strumenti diversi dall’ISEE. D’altra parte, i Comuni erogano la loro assistenza economica tramite l’ISEE non considerando l’assegno sociale INPS. Tale meccanismo, a parere dell’autore, può creare distorsioni nel sostegno del reddito da parte del Comune che erogherà l’assegno sociale ad un anziano che già riceve l’assegno INPS poiché, a parità di patrimoni ed altri redditi, risulterà avere lo stesso ISEE dell’anziano che non riceve l’assegno sociale. D’altra parte l’INPS, considerando tra i redditi l’assistenza comunale, nel corso degli anni, nel caso sopra proposto, tenderà a ridurre od eliminare la concessione dell’assegno sociale, spostando prestazioni che hanno natura di un diritto soggettivo ad altre di natura comunale.
[85] A livello nazionale fra le prestazioni nazionali erogate sulla base dell’ISEE si ricordano: social card, assegno per nuclei familiari con almeno tre figli, assegni di maternità per madri prive di altra garanzia assicurativa, fornitura gratuita o semigratuita di libri di testo, erogazione borse di studio, tariffa sociale per il servizio di distribuzione o vendita dell’energia elettrica, agevolazioni per il canone telefonico.
[86] A livello locale fra le prestazioni nazionali erogate sulla base dell’ISEE si ricordano:asili nidi e altri servizi per l’infanzia, mense scolastiche, servizi sociosanitari diurni e residenziali, altre prestazioni assistenziali.
[87] D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, L. 22 dicembre 2011, n. 214.
[88] Si ricorda che nel corso delle audizioni svolte in sede referente del disegno di legge delega al Governo per la riforma fiscale e assistenziale (A.C. 4566), ora all’esame della Camera, da più parti è emersa la constatazione che, mentre le prestazioni di natura previdenziale erogate dallo Stato sono note, non vi è alcuna rilevazione di carattere complessivo riguardante le prestazioni sociali e assistenziali rese ai diversi livelli di governo; tale circostanza, secondo gli auditi, non consente una valutazione oggettiva rispetto all’entità e alla qualità di dette prestazioni.
[89] D.L. 9 febbraio 2012, n. 5, Disposizioni urgenti in materia di semplificazione e di sviluppo, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, L. 4 aprile 2012, n. 35.
[90] Ai sensi dell’articolo 21 della L. 328/2000 , il SISS è istituito dallo Stato, dalle regioni, dalle province e dai comuni per assicurare una compiuta conoscenza dei bisogni sociali, del sistema integrato degli interventi e dei servizi sociali e per poter disporre tempestivamente di dati e informazioni necessari alla programmazione, alla gestione e alla valutazione delle politiche sociali, per la promozione e l'attivazione di progetti europei, per il coordinamento con le strutture sanitarie, formative, con le politiche del lavoro e dell'occupazione. Si rileva che, a distanza di oltre un decennio, la previsione della L. 328/2000 non ha generato un quadro di riferimento compiuto in merito ad architettura, obiettivi, funzioni, priorità, fabbisogni, strumenti e procedure del SISS nazionale, che rimane pertanto ancora un progetto da definire. D’altra parte, la situazione a livello locale è in rapida evoluzione e molti sono i progetti di sviluppo che interessano le Regioni . In tale contesto, a livello centrale, la fonte oggi più utilizzata per delineare un quadro degli interventi e servizi sociali è quella fornita dalle indagini multiscopo ISTAT.
[91] L. 8 marzo 2000, n. 53, Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città.
[92] Legge 18 giugno 2009, n. 69, Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile. La modifica, contenuta nell'art. 38, ha ampliato la platea dei potenziali beneficiari ed aggiornato il novero degli interventi finanziabili, rendendo necessaria la stesura di un nuovo regolamento di attuazione, entrato in vigore il 18 maggio 2011. Sono previste misure di conciliazione distinte in favore dei lavoratori dipendenti (art. 9, comma 1) e dei soggetti autonomi (art. 9, comma 3).
[93] D.P.C.M. 23 dicembre 2010, n. 277, entrato in vigore il 18 maggio 2011.
[94] La banca delle ore permette al lavoratore di accumulare un monte ore permessi dal quale attingere per fruire di riposi compensativi.
[95] Per quanto riguarda la presentazione di progetti per il 2011, le regole sono state indicate nell'Avviso di finanziamento per l'anno 2011, corredato dalla Guida alla compilazione del piano finanziario e alla rendicontazione e dalla modulistica necessaria.
[96] L. 8 marzo 2000, n. 53, Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città.
[97] Legge 18 giugno 2009, n. 69, Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile. La modifica, contenuta nell'art. 38, ha ampliato la platea dei potenziali beneficiari ed aggiornato il novero degli interventi finanziabili, rendendo necessaria la stesura di un nuovo regolamento di attuazione, entrato in vigore il 18 maggio 2011. Sono previste misure di conciliazione distinte in favore dei lavoratori dipendenti (art. 9, comma 1) e dei soggetti autonomi (art. 9, comma 3).
[98] D.P.C.M. 23 dicembre 2010, n. 277, entrato in vigore il 18 maggio 2011.
[99] La banca delle ore permette al lavoratore di accumulare un monte ore permessi dal quale attingere per fruire di riposi compensativi.
[100]Per quanto riguarda la presentazione di progetti per il 2011, le regole sono state indicate nell'Avviso di finanziamento per l'anno 2011, corredato dalla Guida alla compilazione del piano finanziario e alla rendicontazione e dalla modulistica necessaria.
[101]L. 8 giugno 1990, n. 142, “Ordinamento delle autonomie locali”.
[102]D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151, “Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell'articolo 15 della L. 8 marzo 2000, n. 53”.
[103]D.Lgs. 23 aprile 2003, n. 115, “Modifiche ed integrazioni al D.lgs. 26 marzo 2001, n. 151, recante testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell'articolo 15 della L. 8 marzo 2000, n. 53”.
[104]Cfr. circolare INPS n. 91 del 2003. In particolare, si ricorda che nella sentenza n. 104/2003, la Corte costituzionale ha dichiarato, tra l'altro, l'illegittimità dell’articolo 45, primo comma, del D.lgs. 151/2001, nella parte in cui prevedeva che i riposi di cui agli artt. 39, 40 e 41 si applicassero, anche in caso di adozione e di affidamento, “entro il primo anno di vita del bambino” anziché “entro il primo anno dall'ingresso del minore nella famiglia”.
[105]L. 15 ottobre 2003, n. 289, “Modifiche all'articolo 70 del testo unico di cui al D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151, in materia di indennità di maternità per le libere professioniste”.
[106]L. 24 febbraio 2006, n. 104, “Modifica della disciplina normativa relativa alla tutela della maternità delle donne dirigenti”.
[107]L. 5 febbraio 1992, n. 104, “Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate”.
[108]Si ricorda che l’articolo 3, comma 106, L. 24 dicembre 2003, n. 350, “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2004)”, ha eliminato nell’articolo 42, comma 5, sopra richiamato il riferimento al periodo temporale di almeno cinque anni ai fini dell’accertamento della situazione di gravità dell’handicap di una persona con riferimento alla quale i genitori o i fratelli o le sorelle conviventi chiedano di poter usufruire dei permessi e dei congedi previsti dalla normativa vigente.
[109]D.L. 10 gennaio 2006, n. 4, “Misure urgenti in materia di organizzazione e funzionamento della pubblica amministrazione”, convertito in legge, con modificazioni, dall’articolo 1, L. 9 marzo 2006, n. 80.
[110] L. 4 novembre 2010, n. 183, “Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l'impiego, di incentivi all'occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro”.
[111] D.Lgs. 18 luglio 2011, n. 119, “Attuazione dell’articolo 23 della legge 4 novembre 2010,n .183, recante delega al Governo per il riordino della normativa in materia di congedi, aspettative e permessi”.
[112]L. 27 dicembre 2006, n. 296, “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)”.
[113]Il comma 788 introduce anche, per i medesimi soggetti, una disciplina relativa all’indennità di malattia.
[114] D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, “Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici”, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214.
[115]Si ricorda che il D.M. in questione, in attuazione dell'articolo 80, comma 12, della L. 23 dicembre 2000, n. 388, disciplina la corresponsione e alla misura dell’indennità di maternità, dell’indennità di paternità e dell’indennità di adozione o affidamento (oltre che degli assegni familiari) ai medesimi soggetti.
[116]D.M. 12 luglio 2007, recante “Applicazione delle disposizioni di cui agli articoli 17 e 22 del D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151, a tutela e sostegno della maternità e paternità nei confronti delle lavoratrici iscritte alla gestione separata di cui all'articolo 2, comma 26, della L. 8 agosto 1995, n. 335”.
[117]In particolare, il D.M. 12 luglio 2007 finanzia le prestazioni sopra indicate imponendo a tutti gli iscritti alla gestione separata un'aliquota aggiuntiva dello 0,22 % rispetto all’aliquota dello 0,5 %, di cui all’articolo 59, comma 16, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, dovuta per il finanziamento dell'onere derivante dall'estensione agli stessi della tutela relativa alla maternità, agli assegni al nucleo familiare e alla malattia in caso di degenza ospedaliera.
[118]D.M. 31 agosto 2007, Facoltà di riscatto dei periodi di aspettativa per motivi di famiglia e adeguamento delle tabelle per l'applicazione dell'articolo 13 della L. 12 agosto 1962, n. 1338, ai sensi dell'articolo 1, commi 789 e 790, della L. 27 dicembre 2006, n. 296.
[119]Durante tale periodo il dipendente conserva il posto di lavoro, non ha diritto alla retribuzione e non può svolgere alcun tipo di attività lavorativa. Il congedo in oggetto non rileva ai fini previdenziali. I soggetti interessati, tuttavia, possono procedere al riscatto, ovvero al versamento dei relativi contributi, calcolati secondo i criteri della prosecuzione volontaria .
[120]Si prevede inoltre che durante il periodo di congedo, il richiedente ha diritto a percepire un'indennità corrispondente all'ultima retribuzione e che il periodo medesimo è coperto da contribuzione figurativa. Tuttavia l'indennità e la contribuzione figurativa spettano fino a un importo complessivo massimo di 36.151,98 euro per il congedo di durata annuale. Detto importo è rivalutato annualmente, a decorrere dall'anno 2002, sulla base della variazione dell'indice ISTAT dei prezzi al consumo.
[121]D.L. 4 luglio 2006, n. 223, “Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonchè interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale”, convertito in legge, con modificazioni, dall’articolo 1, L. 4 agosto 2006, n. 248.
[122]Legge 27 dicembre 2006, n. 296.
[123]Come già è stato previsto dagli articoli 28, comma 1, e 30, comma 2, secondo periodo, del D.Lgs 226/2005 (v. infra).
[124]Norme generali e livelli essenziali delle prestazioni relativi al secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione, a norma dell'articolo 2 della L. 28 marzo 2003, n. 53 (cosiddetta “Legge Moratti”).
[125]Definizione delle norme generali sul diritto-dovere all'istruzione e alla formazione, a norma dell'articolo 2, comma 1, lettera c), della L. 28 marzo 2003, n. 53.
[126]Il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca con circolare n. 6 del 21 gennaio 2009 ha fissato i limiti di reddito per l’esenzione dalle tasse nell’anno scolastico 2009/2010.
[127]Legge n. 289 del 2002, articolo 2, comma 7.
[128]Si ricorda in proposito che il limite di reddito per l’accesso al beneficio, introdotto dalla L. finanziaria 2004 (legge n. 350 del 2003), è stato abrogato dal DL n. 35 del 2005 convertito dalla legge n 80 del 2005 (art 14, comma 8-bis).
[129]Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado. Il testo dell’art. 156 fa riferimento alle scuole statali o abilitate a rilasciare titoli di studio aventi valore legale. La Corte costituzionale, però, con sentenza 15-30 dicembre 1994, n. 454, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di tale disposizione, nella parte in cui esclude dalla fornitura gratuita dei libri di testo gli alunni delle scuole elementari che adempiono all’obbligo in modo diverso dalla frequenza presso scuole statali o abilitate a rilasciare titoli di studio aventi valore legale.
[130]Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo.
[131]Per l’individuazione delle categorie degli aventi diritto al beneficio, il D.P.C.M. 5 agosto 1999, n. 320, applica, ai fini della valutazione della situazione economica dei beneficiari, i criteri da applicare ai soggetti che richiedono prestazioni sociali agevolate, recati dal d.lgs n. 109/1998. In particolare, possono accedere al beneficio gli alunni che appartengano a nuclei familiari il cui reddito annuo sia equivalente o inferiore a trenta milioni di lire.
[132]Art. 27 della L. n. 448 del 1998, già citato.
[133]A tale previsione ha dato seguito il D.M. n. 547/1999, che ha fissato i criteri in questione, a decorrere dall’a.s. 2000-2001. Inoltre, il medesimo decreto – essendo nel frattempo intervenuta la l. 20 gennaio 1999, n. 9 che elevava l’obbligo di istruzione a 10 anni - ha fissato i criteri per la determinazione del prezzo massimo complessivo della dotazione libraria necessaria per le discipline del primi due anni di corso della scuola secondaria superiore.
[134]Art. 1, c. 628, della L. 27 dicembre 2006, n. 296, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007).
[135]È, quindi, intervenuto il Decreto del Ministro della pubblica istruzione 22 febbraio 2008, n. 28, che ha stabilito per l’a.s. 2008-2009 il prezzo massimo complessivo delle dotazione libraria necessaria per ciascun anno di ciascuna tipologia di scuola secondaria superiore, all’interno del quale i docenti sono tenuti ad effettuare le proprie scelte. L’art. 3 del decreto stabilisce che eventuali incrementi degli importi indicati sono consentiti, entro il limite massimo del 10%, negli indirizzi di studio in cui sono presenti indirizzi sperimentali. In tal caso, le relative delibere di adozione dei testi scolastici devono essere adeguatamente motivate da parte del Collegio dei docenti ed approvate dal Consiglio di istituto.
[136]Art. 1, c. 628 e 629 della citata L. n. 296 del 2006.
[137] Decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, L. 6 agosto 2008, n. 133.
[138]Tale ultima condizione si riferisce, presumibilmente, alla disciplina sulla gratuità dei libri di testo.
[139]Inoltre, si affida un decreto di natura non regolamentare del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca la determinazione del prezzo dei libri di testo della scuola primaria e dei tetti di spesa dell’intera dotazione libraria per ciascun anno della scuola secondaria di I e II grado, nel rispetto dei diritti patrimoniali dell’autore e dell’editore.
[140]D.L. 1 settembre 2008, n. 137, Disposizioni urgenti in materia di istruzione e università, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, L. 30 ottobre 2008, n. 169.
[141] Artt. 12-16 della L. 5 febbraio 1992, n. 104, successivamente confluiti nel T.U. in materia di istruzione (D. Lgs. 16 aprile 1994, n. 297). L’integrazione degli studenti con handicap si realizza attualmente in tutti i gradi dell’istruzione scolastica all’interno delle classi ordinarie, secondo i princìpi stabiliti dalla legge quadro sull’handicap (legge 5 febbraio 1992, n. 104, artt.12-16[141]). Strumenti principali di tale integrazione, oltre alla fornitura degli ausili tecnici necessari, sono: un progetto educativo individualizzato, il supporto di insegnanti specializzati (cosiddetti “insegnanti di sostegno”) e la limitazione del numero di alunni nelle classi che ospitano alunni diversamente abili.
[142]L. 27 dicembre 1997, n. 449 Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica.
[143]Art. 1, c. 14, L. 10 marzo 2000, n. 62, Norme per la parità scolastica e disposizioni sul diritto allo studio e all’istruzione. Non è specificato se le istituzioni in questione siano solo quelle statali o anche quelle paritarie; dato però che lo stesso provvedimento fissa per queste ultime l’obbligo di accogliere alunni portatori di handicap, si può ritenere che le istituzioni destinatarie dei fondi stanziati siano sia quelle statali che quelle paritarie.
[144]L. 22 marzo 2000, n. 69, Interventi finanziari per il potenziamento e la qualificazione dell'offerta di integrazione scolastica degli alunni con handicap. Gli importi di cui sopra confluiscono nel Fondo per l’arricchimento e l’ampliamento dell’offerta formativa e per gli interventi perequativi - istituito dalla l. n. 440/1997 e ripartito annualmente con decreto del Ministro dell’istruzione previo parere parlamentare - e sono riservati, secondo la stessa legge istitutiva, fino al 55% alla riforma delle scuole e degli istituti a carattere atipico (in origine preposti all'istruzione di alunni con handicap, oggi esistenti in numero limitato e finalizzati alla formazione di docenti specializzati); il restante 45% delle somme stanziate è assegnato ad interventi di integrazione da realizzare nell’ambito dell’autonomia didattica organizzativa e finanziaria delle singole istituzioni scolastiche (di cui all’articolo 21 della legge 59/1997). Tali progetti potranno essere predisposti anche in collegamento con le medesime scuole e istituti a carattere atipico o mediante convenzioni del Ministero della pubblica istruzione con istituti specializzati.
[145]Legge 28 marzo 2003, n. 53, Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull'istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale.
[146]Previsione disposta dall’art. 2 del decreto legislativo 19 febbraio 2004, n. 59, Definizione delle norme generali relative alla scuola dell'infanzia e al primo ciclo dell'istruzione, a norma dell'articolo 1 della L. 28 marzo 2003, n. 53.
[147]Art. 1, c. 630, della Legge 27 dicembre 2006, n. 296.
[148]Alla copertura della spesa connessa ai nuovi percorsi, si è provveduto utilizzando le risorse destinate all’anticipo dalla l. 53/2003. La somma in questione ammonta a 66,2 milioni di euro a decorrere dal 2005. Ulteriori risorse, messe a disposizione dei Ministeri dell’istruzione, delle politiche per la famiglia e della solidarietà sociale sono state individuate in sede di Conferenza unificata (Accordi 14 giugno 2007 e 20 marzo 2008).
[149]Iscrizioni alle scuole dell'infanzia e alle scuole di ogni ordine e grado, riguardanti l'anno scolastico 2009/2010.
[150]Per questi ultimi, l’ammissione alla frequenza, sentiti i competenti organi collegiali, può essere disposta alle seguenti condizioni: a) disponibilità di posti; b) accertamento dell’avvenuto esaurimento di eventuali liste di attesa; c) disponibilità di locali e dotazioni idonei sotto il profilo dell’agibilità e della funzionalità e tali da rispondere alle specifiche esigenze dei bambini di età inferiore a tre anni; d) valutazione pedagogica e didattica da parte del collegio dei docenti dei tempi e delle modalità dell’accoglienza.
[151]DPCM 14 febbraio 2001, n. 106. I finanziamenti a favore delle regioni per l'attribuzione di borse di studio agli studenti meno abbienti delle scuole statali e paritarie sono stati ripartiti per l'anno 2008 con decreto del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca 30 luglio 2008.
[152]L. 2 dicembre 1991, n. 390, Norme sul diritto agli studi universitari.
[153]Si tra del D.P.C.M. 9 aprile 2001, Disposizioni per l'uniformità di trattamento sul diritto agli studi universitari, a norma dell'art. 4 della L. 2 dicembre 1991, n. 390, che ha determinato i requisiti e le condizioni (di merito e condizione economica) per l’accesso ai vari servizi per il diritto alla studio (incluse pertanto le borse), nonché le procedure per la selezione dei beneficiari. In particolare, l’art. 9 ha demandato ad un DM, da emanare ogni anno entro il 28 febbraio, l’aggiornamento degli importi delle borse di studio. Per l’a.a. 2011/2012, gli importi minimi per le borse di studio sono stati da ultimo aggiornati dal DM 22 febbraio 2011 in € 4.776,44 per gli studenti fuori sede, € 2.633,17 per gli studenti pendolari, € 1.800,34 per gli studenti in sede.
[154]Decreto legge 10 novembre 2008, n. 180, Disposizioni urgenti per il diritto allo studio, la valorizzazione del merito e la qualità del sistema universitario e della ricerca, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, L. 9 gennaio 2009, n. 1.
[155]Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l'efficienza del sistema universitario (c.d. “Legge Gelmini”)
[156]Una quota del buono – determinata in relazione ai risultati accademici conseguiti – è restituita, a partire dal termine degli studi, secondo tempi parametrati al reddito percepito. Nei limiti delle risorse disponibili del fondo, sono esclusi dall’obbligo di restituzione gli studenti che hanno conseguito la laurea o la laurea specialistica o magistrale con il massimo dei voti ed entro il termine di durata normale del corso.
[157]Gli interventi previsti sono cumulabili con le borse di studio assegnate ai sensi dell’art. 8 della L. n. 390 del 1991 (L. 2 dicembre 1991, n. 390, Norme sul diritto agli studi universitari), cioè con le borse di studio annualmente assegnate dalle regioni.
[158]Si veda ante, commento art. 2.
[159]L’importo standard della borsa di studio terrà in considerazione le differenze territoriali correlate ai costi di mantenimento agli studi, i quali saranno valutati in modo distinto per condizione abitativa dello studente, con riferimento a una serie di voci di costo (materiale didattico, trasporto, ristorazione, alloggio, accesso alla cultura). L’importo sarà determinato con decreto interministeriale aggiornato ogni 3 anni, che definirà anche criteri e modalità di riparto del Fondo integrativo statale per la concessione delle borse di studio (istituito ai sensi dell’art. 18 dello schema) nel quale, a decorrere dal 2012, confluiscono le risorse previste a legislazione vigente per il Fondo integrativo per la concessione di borse di studio e di prestiti d’onore (pari, per il 2012, a circa 175 milioni di euro), e ulteriori 500.000 euro. La seconda modalità di copertura del fabbisogno finanziario necessario per garantire, attraverso la borsa di studio, i LEP è il gettito derivante dalla tassa regionale per il diritto allo studio.
[160]Legge 24 dicembre 2007, n. 244.
[161] Le aliquote IRPEF e gli scaglioni di reddito, disciplinati dall’articolo 11 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, recante “Testo unico delle imposte sui redditi” - TUIR, sono stati da ultimo modificati dall’articolo 1, comma 6, lettera b), della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007), che trova applicazione a decorrere dal 1° gennaio 2007.
[162] In altri termini, in caso di due figli, l’importo base di 95.000 euro diviene di 110.000 per entrambi i figli; nel caso di tre figli, l’importo su cui calcolare la detrazione diviene di 125.000 euro per tutti e tre i figli.
[163] La deduzione previgente poteva essere ripartita fra i soggetti che vi avevano diritto, nella misura da essi scelta: ciò consentiva ai contribuenti di adottare la proporzione più conveniente in ragione del livello di reddito di ciascuno.
[164] L'articolo 433 del codice civile prevede che all'obbligo di prestare gli alimenti siano tenuti nell'ordine:
1) il coniuge;
2) i figli legittimi o legittimati o naturali o adottivi, e, in loro mancanza, i discendenti prossimi anche naturali;
3) i genitori e, in loro mancanza, gli ascendenti prossimi, anche naturali; gli adottanti;
4) i generi e le nuore;
5) il suocero e la suocera;
6) i fratelli e le sorelle germani o unilaterali, con precedenza dei germani sugli unilaterali.
[165] L’ultima proroga, per l’anno 2011, è stata disposta dall’articolo 1, comma 54 della legge di stabilità per il 2011, legge 13 dicembre 2010, n. 220.
[166] Legge n. 296/2006.
[167] Si considerano non residenti coloro che, cittadini italiani o meno, non risultano iscritti per la maggior parte del periodo d'imposta nelle anagrafi della popolazione residente, e non hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile (articolo 2, comma 2, del TUIR). Per poter essere considerati soggetti passivi IRPEF, i soggetti non residenti devono aver percepito redditi prodotti in Italia, i quali costituiscono il loro reddito complessivo ai fini IRPEF.
[168]Disciplina delle locazioni e del rilascio degli immobili adibiti ad uso abitativo.