Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento affari sociali | ||||
Titolo: | Modifiche agli articoli 8-quater, 8-quinquies e 8-sexies del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 - A.C. 4269 - Schede di lettura e normativa di riferimento | ||||
Riferimenti: |
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Serie: | Progetti di legge Numero: 556 | ||||
Data: | 12/10/2011 | ||||
Descrittori: |
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Organi della Camera: | XII-Affari sociali |
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Camera dei deputati |
XVI LEGISLATURA |
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Documentazione per l’esame di |
Modifiche agli
articoli 8-quater, 8-quinquies e A.C. 4269 |
Schede di lettura e normativa di riferimento |
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n. 556 |
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12 ottobre 2011 |
Servizio responsabile: |
Servizio Studi – Dipartimento Affari sociali ( 066760-3266 – * st_affarisociali@camera.it |
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File: AS0336 |
INDICE
Contenuto della proposta di legge A.C. 4269
Normativa di riferimento
§ D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502. Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell'articolo 1 della L. 23 ottobre 1992, n. 421. (Artt. 8-ter, 8-quater, 8-quinquies e 8-sexies)
§ L. 23 dicembre 1994, n. 724. Misure di razionalizzazione della finanza pubblica. (Art. 6. co. 5)
§ L. 28 dicembre 1995, n. 549. Misure di razionalizzazione della finanza pubblica. (Art. 2, commi 8 e 9)
§ L. 23 dicembre 1996, n. 662. Misure di razionalizzazione della finanza pubblica. (Art. 1, co. 32)
§ D.P.R. 14 gennaio 1997. Approvazione dell'atto di indirizzo e coordinamento alle regioni e alle province autonome di Trento e di Bolzano, in materia di requisiti strutturali, tecnologici ed organizzativi minimi per l'esercizio delle attività sanitarie da parte delle strutture pubbliche e private.
§ L. 27 dicembre 1997, n. 449. Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica. (Art. 32, co. 8)
§ L. 23 dicembre 1998, n. 448. Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo. (Art. 28)
§ D.Lgs. 19 giugno 1999, n. 229. Norme per la razionalizzazione del Servizio sanitario nazionale, a norma dell'articolo 1 della L. 30 novembre 1998, n. 419.
§ D.L. 25 giugno 2008, n. 112. Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria. (Art. 79, co. 1-quinquies)
§ Corte Costituzionale, Sentenza n. 204 del 6 luglio 2004
§ Consiglio di Stato, V Sezione, Sentenza n. 1989 del 29 gennaio 2008
La normativa nazionale configura l’accreditamento come uno strumento di selezione dei soggetti erogatori per conto del SSN.
Come sottolineato dalla Corte Costituzionale[1] e dal Consiglio di Stato[2], i rapporti tra l'Ente pubblico preposto all'attività sanitaria (Aziende sanitarie locali) ed i soggetti accreditati (strutture o professionisti esercenti attività sanitarie) sono pertanto qualificati come rapporti pubblicistici da inquadrare nello schema della concessione di servizio pubblico.
L’individuazione dei requisiti, la definizione delle procedure e delle modalità di verifica e di controllo è stata demandato alle Regioni, comportando una differente evoluzione dei percorsi normativi e l’adozione di diverse modalità di implementazione.
Il D. Lgs 502/92[3] e successive modificazioni ed integrazioni, ha stabilito che le regioni assicurano i livelli essenziali e uniformi di assistenza avvalendosi dei presidi direttamente gestiti dalle aziende unità sanitarie locali, delle aziende ospedaliere, delle aziende universitarie e degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, nonché di soggetti accreditati. Le strutture che erogano assistenza ospedaliera e ambulatoriale a carico del Servizio sanitario nazionale sono finanziate secondo un ammontare globale predefinito determinato in base alle funzioni assistenziali e alle attività svolte.
Il D.Lgs. 229/1999[4], modificando il D.Lgs. 502/1992, ha previsto che la realizzazione di strutture e l'esercizio di attività sanitarie e sociosanitarie per conto del SSN, siano subordinate ad una autorizzazione alla realizzazione rilasciata dal Comune previo nulla osta regionale sulla base del fabbisogno complessivo di assistenza e della localizzazione della struttura (art.8-ter del D.Lgs 502/1992). Successivamente, per gli studi odontoiatrici, medici e di altre professioni sanitarie, se attrezzati per erogare prestazioni di chirurgia ambulatoriale, ovvero procedure diagnostiche e terapeutiche di particolare complessità o che comportino un rischio per la sicurezza del paziente, è richiesta l'autorizzazione all'esercizio (art. 8-ter del D.Lgs 502/1992). L’autorizzazione all’esercizio è rilasciata dalla Regione o dal Comune previo accertamento dei requisiti minimi di cui al D.P.R. 14 gennaio 1997[5]. A questo punto, le strutture autorizzate che ne facciano richiesta possono essere accreditate dalla Regione, la concessione dell’accreditamento è comunque subordinata al possesso di ulteriori requisiti e alla funzionalità rispetto agli indirizzi di programmazione regionale nonché alla verifica dell’attività svolta e dei risultati raggiunti (art. 8-quater D.Lgs. 502/1992). Infine, gli accordi contrattuali, definiti da Regioni e ASL, indicano i volumi e le tipologie delle prestazioni, le responsabilità e gli impegni reciproci, tra cui tariffe, debito informativo ed obiettivi specifici (art. 8-quinquies D.Lgs. 502/1992).
Il D.Lgs. 229/1999 ha previsto l’emanazione di un atto di indirizzo e coordinamento alle Regioni in materia di accreditamento, analogo al D.P.R. 14 gennaio 1997 in materia di autorizzazione, con il fine di definire una base di criteri di accreditamento da rappresentare in tutte le normative regionali e rendere omogenee sul territorio nazionale alcune garanzie di qualità delle cure.
La modificazione del titolo V della Costituzione (di cui alla legge costituzionale 3/2001) ha bloccato tale percorso, consentendo per 10 anni lo sviluppo autonomo (seppure moderato da scambi e confronti e dal comune riferimento al D.P.R. 14 gennaio 1997 già citato) dei modelli regionali di accreditamento.
Nel marzo 2010, il Ministero della salute e la Commissione salute della Conferenza delle Regioni e Province autonome hanno affidato all’Agenas, il compito di individuare, in collaborazione con un Gruppo tecnico per l’accreditamento, elementi di qualità da condividere nei sistemi di garanzia (autorizzazione/accreditamento)[6].
Come illustrato nella relazione al provvedimento, la disciplina normativa di settore, delineata dai D.Lgs. 502/1992 e D.lgs. 517/1993[7], introduceva il sistema dell’accreditamento sulla base di regole comuni di sicurezza, qualità, controllo e remunerazione ma in un quadro di una sostanziale parità e concorrenzialità fra le strutture pubbliche e quelle private; senza peraltro indicare le modalità operative per il passaggio dal sistema del convenzionamento a quello dell’accreditamento.
Successivamente numerosi interventi legislativi, tutti di novella del D.Lgs. 502/1992, hanno modificato l’originaria impostazione.
La L. 724/1994[8] agisce sull’accreditamento transitorio, stabilendo che per il biennio 1995-1996 l’accreditamento opera per le strutture già convenzionate al 1° gennaio 1993.
L’anno successivo, la L. 549/1995[9] introduce la negoziazione, tramite un piano annuale preventivo, dei volumi e della tipologia delle prestazioni.
La L. 662/1996[10] incide profondamente sull’assetto originario prevedendo, limitatamente al 1997, che le regioni individuino le quantità e le tipologie di prestazioni sanitarie che possono essere erogate nelle strutture pubbliche e in quelle private. Ugualmente, la contrattazione dei piani annuali preventivi deve essere realizzata in conformità alle predette indicazioni, con la fissazione del limite massimo di spesa sostenibile.
Il D.Lgs. 229/1999 rende definitiva tale impostazione, introducendo il principio dell’accreditamento, non come diritto incondizionato, ma come possibilità legata (condizione necessaria ma non sufficiente) alla dimostrazione, da parte della struttura sanitaria, del possesso di requisiti ulteriori. La Regione inoltre mantiene un giudizio discrezionale, in relazione al fabbisogno di assistenza definito dalla programmazione regionale per garantire i LEA e si riserva di procedere all’accertamento della effettiva capacità della struttura di assicurare l’erogazione delle prestazioni nel rispetto di tali esigenze. Altrettanto viene previsto per l’accordo contrattuale.
La Legge Finanziaria 2007 (296/ 2006), in attuazione del Patto della Salute siglato tra il Ministro della Salute e le Regioni nel marzo 2006, prevede il passaggio all’accreditamento definitivo in determinati termini e modalità.
Le regioni sono inoltre autorizzate ad adottare provvedimenti finalizzati a garantire che, a decorrere dal 1°gennaio 2008, non possano essere concessi nuovi accreditamenti in assenza di un provvedimento regionale di ricognizione e conseguente determinazione, ai sensi dell’art. 8-quater, comma 8, del D.Lgs. 502/1992[11].
Infineil D.L. 112/2008[12], interviene sulla disciplina delle tariffe e dell’accreditamento di cui al decreto legislativo n. 502 del 1992.
Le principali modifiche introdotte possono essere così riassunte:
§ inserimento dellasoglia minima di efficienza tra i criteri generali indispensabili per essere accreditati dal SSN quali soggetti erogatori delle funzioni di assistenza sanitaria (art. 8-quater, comma 3, lettera b));
§ previsione per le aziende ospedaliero-universitarie e gli IRCCS pubblici, anche se trasformati in Fondazioni IRCCS, della sottoscrizione di accordi contrattuali, mentre per gli IRCCS privati è prevista la stipula dei contratti. Accordi e contratti sono riservati alla Regione (art. 8-quinquies, comma 2);
§ possibilità di individuare, da parte delle regioni, prestazioni o gruppi di prestazioni per le quali stabilire la preventiva autorizzazione da parte delle aziende sanitarie locali alla fruizione presso soggetti accreditati (art. 8-quinquies, comma 2);
§ obbligo di sottoscrizione per le strutture private equiparate di accordi contrattuali da definire con la Regione e rispetto dei vincoli della programmazione regionale (relativamente all’attività assistenziale; al finanziamento a prestazione in base ai tetti di spesa e volumi di attività predeterminati annualmente) (art. 8-quinquies, comma 2);
§ sospensione dell’accreditamento in caso di mancata stipula degli accordi e contratti (art. 8-quinquies, comma 2);
§ modifica dei criteri per la determinazione delle tariffe massime da corrispondere alle strutture accreditate, con riferimento anche a: tariffe per strutture selezionate per efficienza, appropriatezza e qualità dell’assistenza; costi standard delle prestazioni già disponibili nelle regioni; tariffari regionali. Le tariffe superiori alle massime restano a carico delle Regioni (art. 8-sexies, comma 5).
L'articolo 8-quater, comma 3, lettera b) indica tra i criteri generali uniformi anche la valutazione della rispondenza delle strutture al fabbisogno e alla funzionalità della programmazione regionale, inclusa la determinazione dei limiti entro i quali sia possibile accreditare quantità di prestazioni in eccesso rispetto al fabbisogno programmato, in modo da assicurare un'efficace competizione tra le strutture accreditate. Sul punto anche una recente sentenza del Consiglio di Stato che sottolinea come il principio di parificazione e di concorrenzialità tra strutture pubbliche e strutture private deve conciliarsi con il principio di programmazione, che persegue lo scopo di razionalizzazione del sistema sanitario nell’interesse al contenimento della spesa pubblica. Ne deriva che non sussiste un diritto intangibile della struttura accreditata ad ottenere il rimborso di tutte le prestazioni per cui è accreditata quando queste superino il volume fissato sulla base del corretto esercizio del potere di programmazione regionale e di contrattazione a livello territoriale[13].
L’A.C. 4269 si compone di 2 articoli.
L’articolo 1 della proposta di legge in esame novella il testo vigente degli articoli 8-quater, 8-quinquies e 8-sexies del D.Lgs. 502/1992, così come modificati dall’articolo 79 del D.L. 112/2008[14].
Come sottolineato nella relazione al provvedimento, tali modifiche intendono sopperire alle aporie normative lasciate insolute dal D.L. 112/2008, introducendo un meccanismo di responsabilizzazione delle regioni e delle aziende sanitarie locali nell'utilizzo delle risorse pubbliche, attraverso la sostanziale parificazione tra strutture pubbliche e private nel meccanismo dei tetti di spesa.
In prima istanza, si opera una precisa distinzione tra accordi che la regione e le aziende sanitarie locali devono stipulare con le strutture pubbliche ed equiparate, e contratti che, invece, sono sottoscritti con le strutture private e con i professionisti accreditati.
In particolare, la proposta di legge in esame intende rendere possibile l’applicazione degli strumenti di contingentamento a ciascun soggetto erogatore, sia esso una struttura pubblica, equiparata alle strutture pubbliche, privata o un professionista accreditato.
A tal fine si prevede che, una volta superato il budget (tetto di spesa) preventivato per l'erogazione di un determinato tipo di prestazioni, vengano applicate delle regressioni tariffarie in misura proporzionale al concorso a tale superamento apportato da ciascun soggetto, pubblico o privato, erogatore delle prestazioni per conto e a carico del Servizio sanitario nazionale (SSN).
Per salvaguardare l’uniforme erogazione delle prestazioni corrispondenti ai livelli essenziali di assistenza, da garantire su tutto il territorio nazionale, viene previsto un meccanismo di salvaguardia. A tal fine, le regioni individuano i soggetti erogatori, pubblici e privati, in relazione ai quali, per particolari ragioni legate all'indispensabilità o alla peculiarità dei servizi sanitari resi, ovvero all'eccessiva lontananza o alla disagevole raggiungibilità di altri presidi sanitari, i corrispettivi preventivati a fronte delle attività concordate non tengono conto dei valori tariffari e della remunerazione extra-tariffaria delle funzioni incluse nell'accordo.
Infine, il provvedimento in esame interviene sulla domanda di prestazioni. Partendo dal presupposto che un adeguato livello di assistenza al cittadino sia garantito dalle prescrizioni diagnostiche, terapeutiche e riabilitative grazie ad un utilizzo razionale delle risorse a disposizione, si prevede che il Ministero della Salute, sentita l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas), d’intesa con la Conferenza Stato-Regioni, individui con decreto i criteri standard di appropriatezza non solo clinica ma anche organizzativa delle prescrizioni diagnostiche, terapeutiche e riabilitative la cui ricorrenza è funzionale alla remunerazione delle relative prestazioni erogate in nome e per conto del SSN.
Dal corpo del novellato articolo 8-quater sparisce la definizione accordi contrattuali (al proposito vedi supra ed infra il paragrafo successivo), sostituito dal binomio accordi e contratti.
Il comma 2, come modificato, stabilisce che, al di fuori degli accordi e dei contratti di cui al successivo articolo 8-quinquies, i soggetti accreditati non sono obbligati ad erogare prestazioni per conto e a carico del Servizio sanitario nazionale.
Come precedentemente ricordato, tra i diversi criteri generali indispensabili per essere accreditati dal SSN quali soggetti erogatori delle funzioni di assistenza sanitaria il D.Lgs. 502/1992, al comma 3, lettera b), ha introdotto quello relativo al conseguimento della soglia minima di efficienzada raggiungersi compatibilmente con le risorse regionali disponibili.
Il provvedimento in esame introduce un ulteriore specificazione rispetto la soglia minima, da conseguire, secondo la novella, con riguardo alla peculiarità di ciascuna tipologia organizzativa e alle diverse realtà territoriali in cui le strutture sanitarie insistono. La novella non fornisce alcun ulteriore chiarimento riguardo gli strumenti idonei a misurare le diverse tipologie di strutture e le diverse realtà territoriali.
Il successivo comma 8 come novellato introduce una importante modifica al sistema dell’accreditamento. A legislazione vigente, come già detto, al superamento del budget (tetto di spesa) preventivato per l'erogazione di un determinato tipo di prestazioni, vengono applicate delle regressioni tariffarie in misura proporzionale al concorso a tale superamento apportato da ciascun soggetto, pubblico o privato, erogatore delle prestazioni per conto e a carico del Servizio sanitario nazionale (SSN). Il novellato comma 8 stabilisce che il superamento del tetto di spesa sia individuato dalle regioni per ciascuna branca e non in relazione ai singoli soggetti erogatori. Una volta superato il tetto di spesa si applicano regressioni tariffarie[15] in misura proporzionale al concorso a tale superamento apportato da ciascun soggetto erogatore, sia esso una struttura pubblica, equiparata alle strutture pubbliche, privata o un professionista accreditato.
Si rileva l’opportunità di meglio chiarire cosa identifichi il termine branca fra l’altro mai utilizzato nel testo vigente del D.Lgs. 502/1992.
Le tariffe sono, insieme ai finanziamenti per le funzioni assistenziali, delle componenti del complessivo sistema di finanziamento delle strutture che erogano prestazioni nell’ambito del SSN.
Il legislatore nazionale nel definire le funzioni assistenziali ha indicato ambiti di attività molto vasti, consentendo di fatto alle regioni di individuare discrezionalmente, secondo i propri obiettivi, pur con i limiti fissati, i settori per i quali prevedere un finanziamento forfetario, non basato su tariffe. Le norme nazionali precisano i criteri per la determinazione delle tariffe, mentre per le funzioni assistenziali si limitano a prevedere il finanziamento sulla base del costo standard. Il finanziamento delle funzioni assistenziali, inoltre, nella maggior parte dei casi non riguarda l’attività specialistica ambulatoriale ma altre forme di assistenza, soprattutto l’attività ospedaliera ed i ricoveri, o specifici programmi. Pertanto, le regioni sulla base dei propri obiettivi di programmazione possono definire l’articolazione della complessiva spesa tra finanziamento delle funzioni e remunerazione tariffaria sfruttando i margini di discrezionalità concessi dalla norma nazionale al fine di ottimizzare l’utilizzo delle risorse.
Quindi, tra le regioni si osservano notevoli differenze sia a proposito della definizione di funzioni assistenziali da finanziare in modo forfetario, sia riguardo ai soggetti (pubblici, assimilati al pubblico o privati), destinatari dei finanziamenti.
Generalmente il finanziamento delle funzioni è destinato agli erogatori pubblici, ma vi sono regioni in cui anche alcuni erogatori privati ne sono destinatari.
Le tariffe dovrebbero essere fissate per la copertura dei costi non coperti con il finanziamento delle funzioni assistenziali. Come sottolineato dall’Agenas, non necessariamente le tariffe delle singole prestazioni devono essere adeguatamente remunerative in relazione a ogni prestazione erogata. Ciò che deve essere valutato è il complessivo ricavo derivante dal sistema di finanziamento, cioè dalla somma della quota relativa alle funzioni assistenziali e del valore derivante dall’applicazione delle tariffe.
Le tariffe corrispondono al prezzo reale pagato dalla regione agli erogatori privati (ospedali, poliambulatori e simili) per le prestazioni erogate (entro i limiti degli eventuali tetti alla spesa). Per gli erogatori privati il rimborso tariffario è sostanzialmente l’unica forma di pagamento a fronte delle prestazioni rese a carico del SSN. Pertanto, il valore delle tariffe di singole prestazioni può orientare l’offerta delle stesse da parte degli erogatori privati, che, in presenza di tariffe remunerative per specifiche prestazioni, possono essere indotti a incrementarne la produzione, verosimilmente contraendo l’offerta di prestazioni a cui corrispondano minori guadagni.
Nei confronti degli erogatori pubblici il ruolo delle tariffe è invece diverso tra aziende e presidi di ASL. Le tariffe rappresentano una quota del finanziamento nei confronti delle aziende ospedaliere, dei policlinici universitari pubblici e degli IRCCS pubblici, mentre nei confronti dei presidi che fanno parte delle ASL le tariffe hanno il solo scopo di consentire la contabilizzazione delle attività e di permettere un migliore controllo di gestione, ma non svolgono alcuna funzione finanziaria essendo di fatto i presidi finanziati sulla base dei consumi dei fattori di produzione (fra i quali il personale, i beni ed i servizi intermedi).
A legislazione vigente, variazioni tariffarie per singole prestazioni non determinano modifiche dell’offerta degli erogatori pubblici, comunque tenuti ad assicurare tutte le prestazioni indipendentemente dalla remuneratività.
Pertanto, le tariffe comportano una spesa reale in relazione agli erogatori privati, diversamente da quanto avviene per gli erogatori pubblici, rispetto ai quali le tariffe vengono utilizzate quale riconoscimento di quote di finanziamento ovvero come strumento di controllo di gestione[16].
Il successivo comma 8-bis, introdotto dal provvedimento in esame, stabilisce che i costi di produzione delle prestazioni non possono essere intaccati dalle regressioni di cui al comma 8. Le regressioni incidono esclusivamente sul margine di remuneratività garantito dalle tariffe. La remuneratività delle prestazioni viene individuata scomponendo i fattori di cui all'articolo 8-sexies, comma 5.
La relazione illustrativa sottolinea che tale previsione è finalizzata a garantire l’equilibrio del sistema e a scongiurare le criticità che hanno caratterizzato il rapporto con i soggetti erogatori.
L’articolazione delle tariffe è recata dal vigente articolo 8-sexies, comma 5, del D.Lgs. 502/1992, dove prevede che il Ministro della sanità, sentita l'Agenzia per i servizi sanitari regionali (Agenas), d'intesa con la Conferenza Stato-regioni, individua con apposito decreto i sistemi di classificazione che definiscono l'unità di prestazione o di servizio da remunerare e determina le tariffe massime da corrispondere alle strutture accreditate, in base ai costi standard di produzione e di quote standard di costi generali, calcolati su un campione rappresentativo di strutture accreditate, tenuto conto, anche in via alternativa dei costi standard delle prestazioni calcolati in riferimento a strutture preventivamente selezionate secondo criteri di efficienza, appropriatezza e qualità dell’assistenza, dei costi standard delle prestazioni già disponibili presso le regioni e le province autonome e dei tariffari regionali e differenti modalità di remunerazione delle funzioni assistenziali attuate nelle regioni e nelle province autonome. Lo stesso decreto stabilisce i criteri generali, nel rispetto del principio del perseguimento dell’efficienza e dei vincoli di bilancio derivanti dalle risorse programmate a livello nazionale e regionale, in base ai quali le regioni adottano il proprio sistema tariffario, articolando tali tariffe per classi di strutture secondo le loro caratteristiche organizzative e di attività, verificati in sede di accreditamento delle strutture stesse. Le tariffe massime sono assunte come riferimento per la valutazione della congruità delle risorse a carico del Servizio sanitario nazionale. Gli importi tariffari, fissati dalle singole regioni, superiori alle tariffe massime restano a carico dei bilanci regionali.
Ciascuna regione, sulla base degli obiettivi di programmazione, stabilita la spesa per l’acquisto di prestazioni sanitarie, definisce opportunamente quale quota dei costi riconoscere agli erogatori con i sistemi tariffari e quale quota assegnare per il finanziamento delle funzioni. La proporzione di finanziamento riconosciuta attraverso le tariffe è diversa tra le regioni.
Il provvedimento modifica la rubrica dell’articolo 8-quinquies: l’espressione accordi contrattuali viene sostituita da accordi, da definire con le strutture pubbliche ed equiparate, e contratti, da sottoscrivere con le strutture private e con i professionisti accreditati.
La relazione illustrativa al provvedimento in esame ribadisce che le modifiche all’articolo 8-quinquies intendono rendere obbligatoria la stipula di contratti secondo schemi tipo da concordare all’esito di apposite intese con le organizzazioni rappresentative a livello regionale delle strutture e dei professionisti accreditati. In tal senso regioni e le aziende sanitarie locali devono ugualmente sottoscrivere, con tutte le strutture pubbliche ed equiparate, accordi coerenti con le previsioni dei contratti che si intendono stipulare con le strutture private.
Vengono pertanto descritte le procedure necessarie a giungere alla sottoscrizione degli accordi e alla stipula dei contratti.
Relativamente ai contratti, le intese con le organizzazioni sindacali devono svolgersi in tempo utile per pervenire alla stipula dei contratti entro il 31 dicembre dell’anno finanziario precedente a quello di riferimento, onde consentire alle strutture e ai professionisti di programmare i propri investimenti e permettere alle aziende sanitarie locali di avere piena contezza della programmazione della spesa per l’anno successivo.
Relativamente agli accordi con le strutture pubbliche ed equiparate che erogano assistenza ospedaliera ed ambulatoriale, si prevede un sistema obbligatorio di definizione degli accordi da concludere entro il 31 dicembre dell’anno finanziario precedente a quello di riferimento. In caso di mancato accordo entro il 31 gennaio dell’anno di riferimento, si prevede che la regione possa imporne i contenuti autoritativamente entro il 15 febbraio successivo.
Il mancato rispetto dei meccanismi procedurali e temporali previsti per la messa a punto degli schemi tipo dei contratti, attiva il meccanismo di sospensione dell’accreditamento per le strutture private.
D’altra parte, per le strutture pubbliche ed equiparate, i volumi di spesa dovuta al costo delle prestazioni erogate, contribuiscono al raggiungimento del limite individuato dalle regioni per ciascuna branca. In caso di superamento di tale limite, si procede alla revoca dell’accreditamento della capacità produttiva in eccesso e all’applicazione di regressioni tariffarie, in misura proporzionale al concorso a tale superamento operato anche da parte delle strutture pubbliche e pubbliche equiparate.
Infine viene previsto che, qualora, dopo il primo semestre dell'anno finanziario di riferimento, si prefiguri un fabbisogno di prestazioni superiore del 15 per cento rispetto a quello sulla base del quale sono stati calcolati i volumi di spesa, è possibile prevedere la sottoscrizione di accordi e contratti integrativi con modalità semplificate individuate dalla regione che salvaguardino, comunque, la fase di concertazione con le associazioni maggiormente rappresentative delle strutture private e dei professionisti accreditati.
Si ritiene opportuno rilevare come i meccanismi procedurali descritti siano alquanto complessi, sia rispetto alle modalità che alla scansione temporale. Sembrerebbe opportuno, per una maggiore chiarezza del testo, sciogliere, ove possibile, i rinvii normativi e separare in maniera più coerente le diverse fasi procedurali previste per gli accordi e per i contratti.
In particolare, il comma 1, come novellato dal provvedimento in esame, stabilisce che entro il 31 dicembre 2011 le regioni definiscano l’ambito di applicazione degli accordi e dei contratti ed individuino i soggetti interessati.
A legislazione vigente, gli accordi contrattuali consentono alle strutture, preventivamente autorizzate ed oggetto di accreditamento istituzionale, l'esercizio di attività sanitarie a carico del Servizio sanitario nazionale. La stipula di tali accordi attribuisce ai soggetti potenziali erogatori per conto del Servizio sanitario nazionale la qualifica di concessionari del pubblico servizio sanitario. La relativa disciplina, di competenza legislativa regionale, determina e stabilisce:
Ø il riparto delle responsabilità tra la regione e l'azienda sanitaria locale competente per la definizione e la verifica del rispetto degli accordi contrattuali;
Ø gli indirizzi per la formulazione dei programmi di attività delle strutture interessate, con l'indicazione delle funzioni e delle attività da potenziare e da depotenziare, secondo le linee della programmazione regionale e nel rispetto delle priorità indicate dal Piano sanitario nazionale;
Ø il piano delle attività relative alle alte specialità e alla rete dei servizi di emergenza;
Ø i criteri per la determinazione della remunerazione delle strutture ove queste abbiano erogato volumi di prestazioni eccedenti il programma preventivo concordato.
Il novellato comma 2 stabilisce che le regioni devono stipulare accordi con tutte le strutture pubbliche ed equiparate, comprese le aziende ospedaliero-universitarie, e devono stipulare contratti con le strutture private e con i professionisti accreditati secondo schemi tipo da concordare all’esito di apposite intese con le loro organizzazioni rappresentative a livello regionale. Viene inoltre modificata una delle indicazioni obbligatoriamente contenute negli schemi tipo degli accordi, precisamente quella contrassegnato dalla lettera d), relativa al corrispettivo preventivato a fronte delle attività concordate anche con le strutture pubbliche ed equiparate, globalmente risultante dalla applicazione dei valori tariffari e della remunerazione extra-tariffaria delle funzioni incluse nell'accordo, da verificare a consuntivo sulla base dei risultati raggiunti e delle attività effettivamente svolte secondo le indicazioni regionali relative ai criteri per la determinazione della remunerazione delle strutture ove queste abbiano erogato volumi di prestazioni eccedenti il programma preventivo concordato, tenuto conto del volume complessivo di attività e del concorso allo stesso di ciascuna struttura (di cui al comma 1, lettera d).
A legislazione vigente, la regione e le aziende sanitarie locali anche attraverso valutazioni comparative della qualità e dei costi, definiscono accordi con le strutture pubbliche ed equiparate, e stipulano contratti con quelle private e con i professionisti accreditati, anche mediante intese con le loro organizzazioni rappresentative a livello regionale. Sono contenuti essenziali di tali accordi e contratti (comma 2):
§ gli obiettivi di salute e i programmi di integrazione dei servizi (lettera a));
§ il volume massimo di prestazioni che le strutture presenti nell'ambito territoriale si impegnano ad assicurare, distinto per tipologia e per modalità di assistenza. Le regioni possono individuare prestazioni o gruppi di prestazioni per le quali stabilire la preventiva autorizzazione, da parte dell’azienda sanitaria competente, alla fruizione presso le strutture io i professionisti accreditati (lettera b));
§ i requisiti del servizio da rendere, con particolare riguardo ad accessibilità, appropriatezza clinica e organizzativa, tempi di attesa e continuità assistenziale (lettera c));
§ il corrispettivo preventivato a fronte delle attività concordate, globalmente risultante dalla applicazione dei valori tariffari e della remunerazione extra-tariffaria delle funzioni incluse nell'accordo, da verificare a consuntivo sulla base dei risultati raggiunti e delle attività effettivamente svolte secondo le indicazioni regionali relative ai criteri per la determinazione della remunerazione delle strutture ove queste abbiano erogato volumi di prestazioni eccedenti il programma preventivo concordato, tenuto conto del volume complessivo di attività e del concorso allo stesso di ciascuna struttura (di cui al comma 1, lettera d));
§ il debito informativo delle strutture erogatrici per il monitoraggio degli accordi pattuiti e le procedure che dovranno essere seguite per il controllo esterno della appropriatezza e della qualità della assistenza prestata e delle prestazioni rese (lettera e)).
La novella introduce una clausola d’eccezione. A tal fine, le regioni individuano, entro il 31 dicembre di ogni anno, i soggetti erogatori, pubblici e privati, in relazione ai quali, per particolari ragioni legate all'indispensabilità o alla peculiarità dei servizi sanitari resi, ovvero all'eccessiva lontananza o alla disagevole raggiungibilità di altri presìdi sanitari, i corrispettivi preventivati a fronte delle attività concordate non tengono conto dei valori tariffari e della remunerazione extra-tariffaria delle funzioni incluse nell'accordo.
Si rileva l’opportunità di riformulare il testo della novella del comma 2, lettera d). Per una migliore comprensione le parole inserite dovrebbero costituire un periodo ed essere pertanto precedute da un punto .
Vengono inoltre modificati i commi 2-quater e 2-quinquies ed introdotti i commi 2-sexies, 2-septies e 2-octies dando vita ad un complesso meccanismo procedurale di garanzia.
Per quanto riguarda il comma 2-quater, le regioni, entro il 31 dicembre dell'anno finanziario precedente a quello di riferimento, definiscono accordi con tutte le strutture pubbliche ed equiparate che erogano assistenza ospedaliera e ambulatoriale, sulla base degli schemi tipo predisposti e in modo da risultare coerenti con i contratti stipulati con le strutture private e con i professionisti accreditati. Nel caso delle strutture pubbliche, gli accordi sono sottoscritti con i direttori generali delle aziende sanitarie locali in cui tali strutture insistono ovvero con i direttori generali delle singole aziende ospedaliere, aziende ospedaliere universitarie, fondazioni degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico e istituti di ricovero e cura a carattere scientifico pubblici. Qualora non si pervenga all'accordo entro il 31 gennaio dell'anno finanziario di riferimento per causa imputabile alle strutture pubbliche ed equiparate, le regioni impongono il contenuto degli accordi con provvedimento della giunta da adottare entro il 15 febbraio successivo. I volumi di spesa dovuta al costo delle prestazioni erogate dalle strutture pubbliche ed equiparate contribuiscono al raggiungimento della soglia oltre la quale sono applicate le regressioni tariffarie (vedi supra). Le regressioni tariffarie sono applicate alle strutture pubbliche ed equiparate alle stesse condizioni previste per le strutture private e per i professionisti accreditati. La mancata definizione degli accordi ovvero la mancata adozione del provvedimento della giunta entro il 15 febbraio dell’anno successivo, determinano l'inapplicabilità delle regressioni tariffarie.
Il novellato comma 2-quinquies prevede inoltre che, in caso di mancata stipula dei contratti, l’accreditamento istituzionale delle strutture private e dei professionisti eroganti prestazioni per conto del Servizio sanitario nazionale interessati è sospeso. L’accreditamento è comunque sospeso solo a condizione che si sia perfezionato il procedimento illustrato dal comma 2-quater.
Poiché si sta definendo il meccanismo procedurale relativo alla stipula dei contratti con le strutture private, non risulta del tutto chiaro il riferimento al comma 2-quater relativo alla procedura di definizione degli accordi con le strutture pubbliche ed equiparate. L’unico riferimento rinvenibile è agli ultimi due periodi del comma 2-quater, riferiti alle regressioni tariffarie, al quale sembra fare riferimento anche la relazione illustrativa al provvedimento.
Le ulteriori condizioni, poste dal comma in parola, per la sospensione dell’accreditamento delle strutture private e dei professionisti, derivano sostanzialmente dal rispetto, da parte delle regioni e delle aziende sanitarie locali, dei meccanismi procedurali previsti antecedentemente alla stipula dei contratti. In particolare, la regione e le aziende sanitarie locali, nel rispetto delle procedure di cui ai successivi commi 2-sexies e 2-septies, devono aver raggiunto le intese con le associazioni rappresentative a livello regionale di categoria, oppure queste ultime devono essersi rifiutate ingiustificatamente di pervenire alle predette intese. Infine le aziende sanitarie locali devono aver invitato le strutture e i professionisti a sottoscrivere i contratti entro il 31 dicembre dell'anno finanziario precedente a quello di riferimento.
Come stabilito dall’introdotto comma 2-sexies, la regione, al fine di predisporre gli schemi tipo dei contratti da sottoscrivere con strutture e con professionisti accreditati, convoca le loro associazioni rappresentative a livello regionale entro il 30 giugno dell'anno finanziario precedente a quello di riferimento e comunque in modo da consentire il rispetto del termine per la sottoscrizione dei contratti stessi entro il 31 dicembre dell’anno finanziario precedente a quello di riferimento (di cui al comma 2-quinquies).
L'intesa con le organizzazione rappresentative delle strutture private e dei professionisti accreditati, deve essere raggiunta anche in merito ai criteri da dettare alle aziende sanitarie locali per la programmazione del fabbisogno di prestazioni sanitarie.
Il successivo comma 2-septies dispone che le aziende sanitarie locali, convochino le associazioni rappresentative a livello regionale delle strutture e dei professionisti, in tempo utile per il rispetto del termine per la sottoscrizione dei contratti stessi entro il 31 dicembre dell’anno finanziario precedente a quello di riferimento (di cui al comma 2-quinquies) al fine di pervenire a un'intesa sugli elementi di cui al comma 2 lettere a)-e-bis) da inserire negli schemi tipo di contratto, nel rispetto delle linee di indirizzo dettate dalla regione. Raggiunta l'intesa, ovvero nel caso in cui le predette associazioni si rifiutino ingiustificatamente di pervenirvi, le aziende sanitarie locali invitano le strutture e i professionisti alla stipula dei contratti entro il termine del 31 dicembre dell’anno finanziario precedente a quello di riferimento (di cui al comma 2-quinquies).
Infine l’introdotto comma 2-octies stabilisce che, qualora dopo il primo semestre dell'anno finanziario di riferimento, si prefiguri un fabbisogno di prestazioni superiore del 15 per cento rispetto a quello sulla base del quale sono stati calcolati i volumi di spesa, è possibile prevedere la sottoscrizione di accordi e contratti integrativi da definire, entro il 1° settembre 2011, con modalità semplificate individuate dalla regione che salvaguardino, comunque, la fase di concertazione con le associazioni maggiormente rappresentative delle strutture private e dei professionisti accreditati.
Il comma 1 dell’articolo in esame viene modificato attraverso la precisazione che tutti i soggetti (precedentemente si parlava di strutture) che erogano assistenza ospedaliera e ambulatoriale, siano essi strutture pubbliche ed equiparate, strutture private o professionisti accreditati, sono finanziati secondo un ammontare globale predefinito indicato negli accordi e nei contratti e determinato in base alle funzioni assistenziali e alle attività svolte nell’ambito e per conto della rete dei servizi di finanziamento.
Il comma 5 dell’articolo viene modificato prevedendo che il campione di strutture da utilizzare per la base della determinazione delle tariffe venga individuato anche sulla scorta di criteri concordati con le associazioni di categoria maggiormente rappresentative. Si prevede, inoltre, che, nella determinazione delle tariffe, debba essere contemplato anche il criterio della soglia minima di efficienza nonché quello del giusto utile delle strutture e dei professionisti. Il provvedimento , infine, interviene sul versante della domanda delle prestazioni, prevedendo che il Ministero della Salute individui criteri standard di appropriatezza non solo clinica ma anche organizzativa delle prescrizioni diagnostiche, terapeutiche e riabilitative: l’obiettivo è quello di individuare percorsi che tendano a garantire un utilizzo non solo efficace delle risorse a disposizione ma anche efficiente.
A legislazione vigente l’articolo 8- sexies, comma 5, del D. Lgs. 502/1992 come modificato dal comma 1-quinquies dell’articolo 79 del D.L. 112/2008, stabilisce che, il Ministro della sanità, sentita l’Agenzia per i servizi sanitari regionali (Agenas), d’intesa con la Conferenza Stato–Regioni, con apposito decreto individua i sistemi di classificazione che definiscono l’unità di prestazione o di servizio da remunerare e determina le tariffe massime da corrispondere alle strutture accreditate, in base ai costi standard di produzione, calcolati su un campione rappresentativo di strutture accreditate, tenuto conto, nel rispetto dei principi di efficienza e di economicità nell’uso delle risorse, anche in via alternativa, di: a) costi standard delle prestazioni calcolati in riferimento a strutture preventivamente selezionate secondo criteri di efficienza, appropriatezza e qualità dell’assistenza come risultanti dai dati in possesso del sistema informativo sanitario; b) costi standard delle prestazioni già disponibili presso le Regioni e le Province autonome; c) tariffari regionali e differenti modalità di remunerazione delle funzioni assistenziali attuate nelle Regioni e nelle Province autonome. Con lo stesso decreto sono stabiliti i criteri generali, nel rispetto del principio del perseguimento dell’efficienza e dei vincoli di bilancio derivanti dalle risorse programmate a livello nazionale e regionale, in base ai quali le Regioni adottano il proprio sistema tariffario, articolando tali tariffe per classi di strutture secondo le loro caratteristiche organizzative e di attività, verificati in sede di accreditamento delle strutture stesse.
Con l’introduzione del comma 8-bis, il provvedimento in esame interviene infine sulla domanda di prestazioni. Partendo dal presupposto che un adeguato livello di assistenza al cittadino sia garantito dalle prescrizioni diagnostiche, terapeutiche e riabilitative grazie ad un utilizzo razionale delle risorse a disposizione, si prevede che il Ministero della Salute, sentita l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas), d’intesa con la Conferenza Stato-Regioni, individui con decreto i criteri standard di appropriatezza non solo clinica ma anche organizzativa delle prescrizioni diagnostiche, terapeutiche e riabilitative la cui ricorrenza è funzionale alla remunerazione delle relative prestazioni erogate in nome e per conto del SSN.
L’articolo 2 reca la clausola d’invarianza finanziaria.
tra gli articoli 8-quater, 8-quinquies e 8-sexies del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell'articolo 1 della L. 23 ottobre 1992, n. 421, nel testo vigente, e le modifiche proposte dall’A.C. 4269, Modifiche agli articoli 8-quater, 8-quinquies e 8-sexies del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, concernenti l'accreditamento e l'erogazione delle prestazioni sanitarie a carico del Servizio sanitario nazionale da parte delle strutture pubbliche e private.
N.B.: le parole e le frasi
sostituite e/o inserite sono in neretto, le parole e le frasi soppresse
sono barrate.
D.Lgs.
502/1992 |
D.Lgs.
502/1992 |
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Art.
8-quater. |
Art.
8-quater. |
1. L'accreditamento istituzionale è rilasciato dalla regione alle strutture autorizzate, pubbliche o private e ai professionisti che ne facciano richiesta, subordinatamente alla loro rispondenza ai requisiti ulteriori di qualificazione, alla loro funzionalità rispetto agli indirizzi di programmazione regionale e alla verifica positiva dell'attività svolta e dei risultati raggiunti. Al fine di individuare i criteri per la verifica della funzionalità rispetto alla programmazione nazionale e regionale, la regione definisce il fabbisogno di assistenza secondo le funzioni sanitarie individuate dal Piano sanitario regionale per garantire i livelli essenziali e uniformi di assistenza, nonché gli eventuali livelli integrativi locali e le esigenze connesse all'assistenza integrativa di cui all'articolo 9. La regione provvede al rilascio dell'accreditamento ai professionisti, nonché a tutte le strutture pubbliche ed equiparate che soddisfano le condizioni di cui al primo periodo del presente comma, alle strutture private non lucrative di cui all'articolo 1, comma 18, e alle strutture private lucrative. |
1. identico |
2. La qualità di soggetto accreditato non costituisce vincolo per le aziende e gli enti del servizio sanitario nazionale a corrispondere la remunerazione delle prestazioni erogate, al di fuori degli accordi contrattuali di cui all'articolo 8-quinquies. I requisiti ulteriori costituiscono presupposto per l'accreditamento e vincolo per la definizione delle prestazioni previste nei programmi di attività delle strutture accreditate, così come definiti dall'articolo 8-quinquies. |
2. La qualità di soggetto accreditato non costituisce vincolo per le aziende e gli enti del servizio sanitario nazionale a corrispondere la remunerazione delle prestazioni erogate, al di fuori degli accordi e dei contratti di cui all'articolo 8-quinquies. I requisiti ulteriori costituiscono presupposto per l'accreditamento e vincolo per la definizione delle prestazioni previste nei programmi di attività delle strutture accreditate, così come definiti dall'articolo 8-quinquies. I soggetti accreditati non sono vincolati a erogare prestazioni per conto e a carico del Servizio sanitario nazionale al di fuori degli accordi e dei contratti di cui all'articolo 8-quinquies; |
3. Con atto di indirizzo e coordinamento emanato, ai sensi dell'articolo 8 della legge 15 marzo 1997, n. 59, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229, sentiti l'Agenzia per i servizi sanitari regionali, il Consiglio superiore di sanità, e, limitatamente all'accreditamento dei professionisti, la Federazione nazionale dell'ordine dei medici chirurghi e degli odontoiatri, sono definiti i criteri generali uniformi per: |
3. identico |
a) la definizione dei requisiti ulteriori per l'esercizio delle attività sanitarie per conto del Servizio sanitario nazionale da parte delle strutture sanitarie e dei professionisti, nonché la verifica periodica di tali attività; |
a) identico |
b) la valutazione della rispondenza delle strutture al fabbisogno, tenendo conto anche del criterio della soglia minima di efficienza che, compatibilmente con le risorse regionali disponibili, deve esser conseguita da parte delle singole strutture sanitarie, e alla funzionalità della programmazione regionale, inclusa la determinazione dei limiti entro i quali sia possibile accreditare quantità di prestazioni in eccesso rispetto al fabbisogno programmato, in modo da assicurare un'efficace competizione tra le strutture accreditate; |
b) la valutazione della rispondenza delle strutture al fabbisogno, tenendo conto anche del criterio della soglia minima di efficienza che, compatibilmente con le risorse regionali disponibili, deve esser conseguita da parte delle singole strutture sanitarie avuto riguardo alla peculiarità di ciascuna tipologia organizzativa e alle diverse realtà territoriali in cui insistono, e alla funzionalità della programmazione regionale, inclusa la determinazione dei limiti entro i quali sia possibile accreditare quantità di prestazioni in eccesso rispetto al fabbisogno programmato, in modo da assicurare un'efficace competizione tra le strutture accreditate; |
c) le procedure e i termini per l'accreditamento delle strutture che ne facciano richiesta, ivi compresa la possibilità di un riesame dell'istanza, in caso di esito negativo e di prescrizioni contestate dal soggetto richiedente nonché la verifica periodica dei requisiti ulteriori e le procedure da adottarsi in caso di verifica negativa |
c) identico |
4. L'atto di indirizzo e coordinamento è emanato nel rispetto dei seguenti criteri e princìpi direttivi: |
4. identico |
a) garantire l'eguaglianza fra tutte le strutture relativamente ai requisiti ulteriori richiesti per il rilascio dell'accreditamento e per la sua verifica periodica; |
a) identico |
b) garantire il rispetto delle condizioni di incompatibilità previste dalla vigente normativa nel rapporto di lavoro con il personale comunque impegnato in tutte le strutture; |
b) identico |
c) assicurare che tutte le strutture accreditate garantiscano dotazioni strumentali e tecnologiche appropriate per quantità, qualità e funzionalità in relazione alla tipologia delle prestazioni erogabili e alle necessità assistenziali degli utilizzatori dei servizi; |
c) identico |
d) garantire che tutte le strutture accreditate assicurino adeguate condizioni di organizzazione interna, con specifico riferimento alla dotazione quantitativa e alla qualificazione professionale del personale effettivamente impiegato; |
d) identico |
e) prevedere la partecipazione della struttura a programmi di accreditamento professionale tra pari; |
e) identico |
f) prevedere la partecipazione degli operatori a programmi di valutazione sistematica e continuativa dell'appropriatezza delle prestazioni erogate e della loro qualità, interni alla struttura e interaziendali; |
f) identico |
g) prevedere l'accettazione del sistema di controlli esterni sulla appropriatezza e sulla qualità delle prestazioni erogate, definito dalla regione ai sensi dell'articolo 8-octies; |
g) identico |
h) prevedere forme di partecipazione dei cittadini e degli utilizzatori dei servizi alla verifica dell'attività svolta e alla formulazione di proposte rispetto all'accessibilità dei servizi offerti, nonché l'adozione e l'utilizzazione sistematica della carta dei servizi per la comunicazione con i cittadini, inclusa la diffusione degli esiti dei programmi di valutazione di cui alle lettere e) ed f); |
h) identico |
i) disciplinare l'esternalizzazione dei servizi sanitari direttamente connessi all'assistenza al paziente, prevedendola esclusivamente verso soggetti accreditati in applicazione dei medesimi criteri o di criteri comunque equivalenti a quelli adottati per i servizi interni alla struttura, secondo quanto previsto dal medesimo atto di indirizzo e coordinamento; |
i) identico |
l) indicare i requisiti specifici per l'accreditamento di funzioni di particolare rilevanza, in relazione alla complessità organizzativa e funzionale della struttura, alla competenza e alla esperienza del personale richieste, alle dotazioni tecnologiche necessarie o in relazione all'attuazione degli obiettivi prioritari definiti dalla programmazione nazionale; |
l) identico |
m) definire criteri per la selezione degli indicatori relativi all'attività svolta e ai suoi risultati finali dalle strutture e dalle funzioni accreditate, in base alle evidenze scientifiche disponibili; |
m) identico |
n) definire i termini per l'adozione dei provvedimenti attuativi regionali e per l'adeguamento organizzativo delle strutture già autorizzate; |
n) identico |
o) indicare i requisiti per l'accreditamento istituzionale dei professionisti, anche in relazione alla specifica esperienza professionale maturata e ai crediti formativi acquisiti nell'ambito del programma di formazione continua di cui all'articolo 16-ter; |
o) identico |
p) individuare l'organizzazione dipartimentale minima e le unità operative e le altre strutture complesse delle aziende di cui agli articoli 3 e 4, in base alla consistenza delle risorse umane, tecnologiche e finanziarie, al grado di autonomia finanziaria e alla complessità dell'organizzazione interna; |
p) identico |
q) prevedere l'estensione delle norme di cui al presente comma alle attività e alle strutture sociosanitarie, ove compatibili. |
q) identico |
5. Entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore dell'atto di indirizzo e coordinamento di cui al comma 3, le regioni definiscono, in conformità ai criteri generali uniformi ivi previsti, i requisiti per l'accreditamento, nonché il procedimento per la loro verifica, prevedendo, per quanto riguarda l'accreditamento dei professionisti, adeguate forme di partecipazione degli Ordini e dei Collegi professionali interessati. |
5. identico |
6. Entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore dell'atto di indirizzo e coordinamento di cui al comma 3, le regioni avviano il processo di accreditamento delle strutture temporaneamente accreditate ai sensi dell'articolo 6, comma 6, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, e delle altre già operanti. |
6) identico |
7. Nel caso di richiesta di accreditamento da parte di nuove strutture o per l'avvio di nuove attività in strutture preesistenti, l'accreditamento può essere concesso, in via provvisoria, per il tempo necessario alla verifica del volume di attività svolto e della qualità dei suoi risultati. L'eventuale verifica negativa comporta la sospensione automatica dell'accreditamento temporaneamente concesso. |
7. identico |
8. In presenza di una capacità produttiva superiore al fabbisogno determinato in base ai criteri di cui al comma 3, lettera b), le regioni e le unità sanitarie locali attraverso gli accordi contrattuali di cui all'articolo 8-quinquies, sono tenute a porre a carico del Servizio sanitario nazionale un volume di attività comunque non superiore a quello previsto dagli indirizzi della programmazione nazionale. In caso di superamento di tale limite, e in assenza di uno specifico e adeguato intervento integrativo ai sensi dell'articolo 13, si procede, con le modalità di cui all'articolo 28, commi 9 e seguenti della legge 23 dicembre 1998, n. 448, alla revoca dell'accreditamento della capacità produttiva in eccesso, in misura proporzionale al concorso a tale superamento apportato dalle strutture pubbliche ed equiparate, dalle strutture private non lucrative e dalle strutture private lucrative. |
8. In presenza di una capacità produttiva superiore al fabbisogno determinato in base ai criteri di
cui al comma 3, lettera b), le regioni e le unità sanitarie locali attraverso
gli accordi e dei contratti di cui all'articolo 8-quinquies, sono
tenute a porre a carico del Servizio sanitario nazionale un volume di
attività comunque non superiore a quello previsto dagli indirizzi della
programmazione nazionale. In caso di superamento di tale limite, individuato
dalle regioni per ciascuna branca e non in relazione ai singoli soggetti
erogatori, e in assenza di uno specifico e adeguato intervento
integrativo ai sensi dell'articolo 13, si procede |
|
8-bis. I costi di produzione delle prestazioni non possono essere intaccati dalle regressioni di cui al comma 8; le regressioni, pertanto, possono incidere esclusivamente sul margine di remuneratività garantito dalle tariffe. La remuneratività delle prestazioni viene individuata scomponendo i fattori di cui all'articolo 8-sexies, comma 5. L'eventuale differenza necessaria al rispetto dei volumi di spesa non può essere posta a carico del Servizio sanitario nazionale e deve essere coperta con fondi delle regioni in cui si è verificato lo scostamento rispetto alle previsioni. |
Art.
8-quinquies. |
Art.
8-quinquies. |
1. Le regioni, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229, definiscono l'ambito di applicazione degli accordi contrattuali e individuano i soggetti interessati, con specifico riferimento ai seguenti aspetti: |
1. Le regioni, entro il 31 dicembre 2011, definiscono l'ambito di applicazione degli accordi e dei contratti e individuano i soggetti interessati, con specifico riferimento ai seguenti aspetti: |
a) individuazione delle responsabilità riservate alla regione e di quelle attribuite alle unità sanitarie locali nella definizione degli accordi contrattuali e nella verifica del loro rispetto; |
a) individuazione delle responsabilità riservate alla regione e di quelle attribuite alle unità sanitarie locali nella definizione degli accordi e dei contratti e nella verifica del loro rispetto; |
b) indirizzi per la formulazione dei programmi di attività delle strutture interessate, con l'indicazione delle funzioni e delle attività da potenziare e da depotenziare, secondo le linee della programmazione regionale e nel rispetto delle priorità indicate dal Piano sanitario nazionale; |
b) identico |
c) determinazione del piano delle attività relative alle alte specialità e alla rete dei servizi di emergenza; |
c) identico |
d) criteri per la determinazione della remunerazione delle strutture ove queste abbiano erogato volumi di prestazioni eccedenti il programma preventivo concordato, tenuto conto del volume complessivo di attività e del concorso allo stesso da parte di ciascuna struttura. |
d) identico |
2. In attuazione di quanto previsto dal comma 1, la regione e le unità sanitarie locali, anche attraverso valutazioni comparative della qualità e dei costi, definiscono accordi con le strutture pubbliche ed equiparate, comprese le aziende ospedaliero-universitarie, e stipulano contratti con quelle private e con i professionisti accreditati, anche mediante intese con le loro organizzazioni rappresentative a livello regionale, che indicano. |
2. In attuazione di quanto previsto dal comma 1, la regione e le unità sanitarie locali, anche attraverso valutazioni comparative della qualità e dei costi, definiscono accordi con tutte le strutture pubbliche ed equiparate, comprese le aziende ospedaliero-universitarie, e stipulano contratti con quelle private e con i professionisti accreditati, secondo schemi tipo da concordare all’esito di apposite intese con le loro organizzazioni rappresentative a livello regionale, che indicano. |
a) gli obiettivi di salute e i programmi di integrazione dei servizi; |
a) identico |
b) il volume massimo di prestazioni che le strutture presenti nell'ambito territoriale della medesima unità sanitaria locale, si impegnano ad assicurare, distinto per tipologia e per modalità di assistenza. Le regioni possono individuare prestazioni o gruppi di prestazioni per i quali stabilire la preventiva autorizzazione, da parte dell’azienda sanitaria locale competente, alla fruizione presso le strutture o i professionisti accreditati; |
b) identico |
c) i requisiti del servizio da rendere, con particolare riguardo ad accessibilità, appropriatezza clinica e organizzativa, tempi di attesa e continuità assistenziale; |
c) identico |
d) il corrispettivo preventivato a fronte delle attività concordate, globalmente risultante dalla applicazione dei valori tariffari e della remunerazione extra-tariffaria delle funzioni incluse nell'accordo, da verificare a consuntivo sulla base dei risultati raggiunti e delle attività effettivamente svolte secondo le indicazioni regionali di cui al comma 1, lettera d); |
d) il corrispettivo preventivato a fronte delle attività concordate anche con le strutture pubbliche ed equiparate, globalmente risultante dalla applicazione dei valori tariffari e della remunerazione extra-tariffaria delle funzioni incluse nell'accordo, da verificare a consuntivo sulla base dei risultati raggiunti e delle attività effettivamente svolte secondo le indicazioni regionali di cui al comma 1, lettera d) le regioni individuano, entro il 31 dicembre di ogni anno, i soggetti erogatori, pubblici e privati, in relazione ai quali, per particolari ragioni legate all'indispensabilità o alla peculiarità dei servizi sanitari resi ovvero all'eccessiva lontananza o alla disagevole raggiungibilità di altri presìdi sanitari, i corrispettivi preventivati a fronte delle attività concordate non tengono conto dei valori tariffari e della remunerazione extra-tariffaria delle funzioni incluse nell'accordo; |
e) il debito informativo delle strutture erogatrici per il monitoraggio degli accordi pattuiti e le procedure che dovranno essere seguite per il controllo esterno della appropriatezza e della qualità della assistenza prestata e delle prestazioni rese, secondo quanto previsto dall'articolo 8-octies; |
e) identico |
e-bis) la modalità con cui viene comunque garantito il rispetto del limite di remunerazione delle strutture correlato ai volumi di prestazioni, concordato ai sensi della lettera d), prevedendo che in caso di incremento a seguito di modificazioni, comunque intervenute nel corso dell'anno, dei valori unitari dei tariffari regionali per la remunerazione delle prestazioni di assistenza ospedaliera, delle prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale, nonché delle altre prestazioni comunque remunerate a tariffa, il volume massimo di prestazioni remunerate, di cui alla lettera b), si intende rideterminato nella misura necessaria al mantenimento dei limiti indicati alla lettera d), fatta salva la possibile stipula di accordi integrativi, nel rispetto dell'equilibrio economico-finanziario programmato. |
e-bis) identico |
2-bis. [Con decreto del Ministro della sanità e del Ministro della difesa, ai fini di cui al comma 2-ter, sono individuate le categorie destinatarie e le tipologie delle prestazioni erogate dalle strutture sanitarie militari]. |
2-bis. identico |
2-ter. [Con decreto del Ministro della sanità e del Ministro della difesa, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome, sono individuate, nel rispetto delle indicazioni degli strumenti di programmazione regionale e tenendo conto della localizzazione e della disponibilità di risorse delle altre strutture sanitarie pubbliche esistenti, le strutture sanitarie militari accreditabili, nonché le specifiche categorie destinatarie e le prestazioni ai fini della stipula degli accordi contrattuali previsti dal presente articolo. Gli accordi contrattuali sono stipulati tra le predette strutture sanitarie militari e le regioni nel rispetto della reciproca autonomia]. |
2-ter. identico |
2-quater. Le regioni stipulano accordi con le fondazioni istituti di ricovero e cura a carattere scientifico e con gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico pubblici e contratti con gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico privati, che sono definiti con le modalità di cui all’articolo 10, comma 2, del decreto legislativo 16 ottobre 2003, n. 288. Le regioni stipulano altresì accordi con gli istituti, enti ed ospedali di cui agli articoli 41 e 43, secondo comma, della legge 23 dicembre 1978, n. 833, e successive modificazioni, che prevedano che l’attività assistenziale, attuata in coerenza con la programmazione sanitaria regionale, sia finanziata a prestazione in base ai tetti di spesa ed ai volumi di attività predeterminati annualmente dalla programmazione regionale nel rispetto dei vincoli di bilancio, nonché sulla base di funzioni riconosciute dalle regioni, tenendo conto nella remunerazione di eventuali risorse già attribuite per spese di investimento, ai sensi dell’articolo 4, comma 15, della legge 30 dicembre 1991, n. 412 e successive modificazioni ed integrazioni. Ai predetti accordi e ai predetti contratti si applicano le disposizioni di cui al comma 2, lettere a), b), c), e) ed e-bis). |
2-quater. Le regioni, per i fini di cui al comma 1, entro il 31 dicembre dell'anno finanziario precedente a quello di riferimento, definiscono accordi con tutte le strutture pubbliche ed equiparate che erogano assistenza ospedaliera e ambulatoriale, sulla base di schemi tipo predisposti in modo da risultare coerenti con i contratti di cui al comma 2 da stipulare con le strutture private e con i professionisti accreditati. Nel caso delle strutture pubbliche, gli accordi di cui al primo periodo sono sottoscritti con i direttori generali delle aziende sanitarie locali in cui tali strutture insistono ovvero con i direttori generali delle singole aziende ospedaliere, aziende ospedaliere universitarie, fondazioni degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico e istituti di ricovero e cura a carattere scientifico pubblici. Qualora non si pervenga all'accordo entro il 31 gennaio dell'anno finanziario di riferimento per causa imputabile alle strutture pubbliche ed equiparate, le regioni impongono il contenuto degli accordi con provvedimento della giunta da adottare entro il 15 febbraio successivo. I volumi di spesa dovuta al costo delle prestazioni erogate dalle strutture pubbliche ed equiparate contribuiscono al raggiungimento della soglia oltre la quale sono applicate le regressioni tariffarie di cui all'articolo 8-quater, comma 8. Le regressioni tariffarie sono applicate alle strutture pubbliche ed equiparate alle stesse condizioni previste per le strutture private e per i professionisti accreditati. La mancata definizione degli accordi ovvero la mancata adozione del provvedimento di cui al terzo periodo del presente comma determinano l'inapplicabilità delle regressioni tariffarie di cui all'articolo 8-quater, comma 8. |
2-quinquies. In caso di mancata stipula degli accordi di cui al presente articolo, l’accreditamento istituzionale di cui all’articolo 8-quater delle strutture e dei professionisti eroganti prestazioni per conto del Servizio sanitario nazionale interessati è sospeso. |
2-quinquies. In caso di mancata stipula dei contratti di cui al presente articolo, l’accreditamento istituzionale di cui all’articolo 8-quater delle strutture private e dei professionisti eroganti prestazioni per conto del Servizio sanitario nazionale interessati è sospeso, a condizione che si sia perfezionato il procedimento di cui al comma 2-quater e che la regione e le aziende sanitarie locali, nel rispetto delle procedure di cui ai commi 2-sexies e 2-septies, abbiano raggiunto le intese di cui ai commi 2 e 2-septies con le loro associazioni rappresentative a livello regionale, ovvero che queste ultime si siano rifiutate ingiustificatamente di pervenire alle predette intese, e a condizione che le aziende sanitarie locali abbiano invitato le strutture e i professionisti a sottoscrivere i contratti entro il 31 dicembre dell'anno finanziario precedente a quello di riferimento. |
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2-sexies. La regione, al fine di predisporre gli schemi tipo dei contratti di cui al comma 2 da sottoscrivere con strutture e con professionisti, convoca le loro associazioni rappresentative a livello regionale entro il 30 giugno dell'anno finanziario precedente a quello di riferimento e comunque in modo da consentire il rispetto del termine di cui al comma 2-quinquies. L'intesa di cui al comma 2 deve essere raggiunta anche in merito ai criteri da dettare alle aziende sanitarie locali per la programmazione del fabbisogno di prestazioni sanitarie. |
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2-septies. Le aziende sanitarie locali, sulla base dei provvedimenti adottati dalla regione ai sensi dei commi 2 e 2-sexies, convocano le associazioni rappresentative a livello regionale delle strutture e dei professionisti, in tempo utile per il rispetto del termine di cui al comma 2-quinquies, al fine di pervenire a un'intesa sugli elementi di cui al comma 2 da inserire negli schemi tipo di contratto, nel rispetto delle linee di indirizzo dettate dalla regione. Raggiunta l'intesa, ovvero nel caso in cui le predette associazioni si rifiutino ingiustificatamente di pervenirvi, le aziende sanitarie locali invitano le strutture e i professionisti alla stipula dei contratti di cui al comma 2, entro il termine di cui al comma 2-quinquies. |
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2-octies. Qualora dopo il primo semestre dell'anno finanziario di riferimento si prefiguri un fabbisogno di prestazioni superiore del 15 per cento rispetto a quello sulla base del quale sono stati calcolati i volumi di spesa, è possibile prevedere la sottoscrizione di accordi e contratti integrativi da definire, entro il 1o settembre 2011, con modalità semplificate individuate dalla regione che salvaguardino, comunque, la fase di concertazione con le associazioni maggiormente rappresentative delle strutture private e dei professionisti accreditati. |
Art.
8-sexies. |
Art.
8-sexies. |
1. Le strutture che erogano assistenza ospedaliera e ambulatoriale a carico del Servizio sanitario nazionale sono finanziate secondo un ammontare globale predefinito indicato negli accordi contrattuali di cui all'articolo 8-quinquies e determinato in base alle funzioni assistenziali e alle attività svolte nell'ambito e per conto della rete dei servizi di riferimento.Ai fini della determinazione del finanziamento globale delle singole strutture, le funzioni assistenziali di cui al comma 2 sono remunerate in base al costo standard di produzione del programma di assistenza, mentre le attività di cui al comma 4 sono remunerate in base a tariffe predefinite per prestazione. |
I soggetti che erogano assistenza ospedaliera e ambulatoriale a carico del Servizio sanitario nazionale, siano essi strutture pubbliche ed equiparate, strutture private o professionisti accreditati, sono finanziati secondo un ammontare globale predefinito indicato negli accordi e nei contratti di cui all'articolo 8-quinquies e determinato in base alle funzioni assistenziali e alle attività svolte nell'ambito e per conto della rete dei servizi di riferimento. Ai fini della determinazione del finanziamento globale delle singole strutture, le funzioni assistenziali di cui al comma 2 sono remunerate in base al costo standard di produzione del programma di assistenza, mentre le attività di cui al comma 4 sono remunerate in base a tariffe predefinite per prestazione. |
2. Le regioni definiscono le funzioni assistenziali nell'ambito delle attività che rispondono alle seguenti caratteristiche generali: |
2. identico |
a) programmi a forte integrazione fra assistenza ospedaliera e territoriale, sanitaria e sociale, con particolare riferimento alla assistenza per patologie croniche di lunga durata o recidivanti; |
a) identico |
b) programmi di assistenza a elevato grado di personalizzazione della prestazione o del servizio reso alla persona; |
b) identico |
c) attività svolte nell'ambito della partecipazione a programmi di prevenzione; |
c) identico |
d) programmi di assistenza a malattie rare; |
d) identico |
e) attività con rilevanti costi di attesa, ivi compreso il sistema di allarme sanitario e di trasporto in emergenza, nonché il funzionamento della centrale operativa, di cui all'atto di indirizzo e coordinamento approvato con decreto del Presidente della Repubblica 27 marzo 1992, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 76 del 21 marzo 1992; |
e) identico |
f) programmi sperimentali di assistenza; |
f) identico |
g) programmi di trapianto di organo, di midollo osseo e di tessuto, ivi compresi il mantenimento e monitoraggio del donatore, l'espianto degli organi da cadavere, le attività di trasporto, il coordinamento e l'organizzazione della rete di prelievi e di trapianti, gli accertamenti preventivi sui donatori. |
g) identico |
3. I criteri generali per la definizione delle funzioni assistenziali e per la determinazione della loro remunerazione massima sono stabiliti con apposito decreto del Ministro della sanità, sentita l'Agenzia per i servizi sanitari regionali, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome, sulla base di standard organizzativi e di costi unitari predefiniti dei fattori produttivi, tenendo conto, quando appropriato, del volume dell'attività svolta. |
3. identico |
4. La remunerazione delle attività assistenziali diverse da quelle di cui al comma 2 è determinata in base a tariffe predefinite, limitatamente agli episodi di assistenza ospedaliera per acuti erogata in regime di degenza ordinaria e di day hospital, e alle prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale, fatta eccezione per le attività rientranti nelle funzioni di cui al comma 3. |
4. identico |
5. Il Ministro della sanità, sentita l'Agenzia per i servizi sanitari regionali, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, ai sensi dell'articolo 120, comma 1, lettera g), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, con apposito decreto individua i sistemi di classificazione che definiscono l'unità di prestazione o di servizio da remunerare e determina le tariffe massime da corrispondere alle strutture accreditate, in base ai costi standard di produzione e di quote standard di costi generali, calcolati su un campione rappresentativo di strutture accreditate, tenuto conto, nel rispetto dei princìpi di efficienza e di economicità nell’uso delle risorse, anche in via alternativa, di: a) costi standard delle prestazioni calcolati in riferimento a strutture preventivamente selezionate secondo criteri di efficienza, appropriatezza e qualità dell’assistenza come risultanti dai dati in possesso del Sistema informativo sanitario; b) costi standard delle prestazioni già disponibili presso le regioni e le province autonome; c) tariffari regionali e differenti modalità di remunerazione delle funzioni assistenziali attuate nelle regioni e nelle province autonome. Lo stesso decreto stabilisce i criteri generali, nel rispetto del principio del perseguimento dell’efficienza e dei vincoli di bilancio derivanti dalle risorse programmate a livello nazionale e regionale, in base ai quali le regioni adottano il proprio sistema tariffario, articolando tali tariffe per classi di strutture secondo le loro caratteristiche organizzative e di attività, verificati in sede di accreditamento delle strutture stesse. Le tariffe massime di cui al presente comma sono assunte come riferimento per la valutazione della congruità delle risorse a carico del Servizio sanitario nazionale. Gli importi tariffari, fissati dalle singole regioni, superiori alle tariffe massime restano a carico dei bilanci regionali. A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente disposizione è abrogato il decreto del Ministro della Sanità 15 aprile 1994, recante «Determinazione dei criteri generali per la fissazione delle tariffe delle prestazioni di assistenza specialistica, riabilitativa ed ospedaliera», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 107 del 10 maggio 1994. |
5. Il Ministro della sanità, sentita l'Agenzia per i servizi sanitari regionali, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, ai sensi dell'articolo 120, comma 1, lettera g), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, con apposito decreto individua i sistemi di classificazione che definiscono l'unità di prestazione o di servizio da remunerare e determina le tariffe massime da corrispondere alle strutture accreditate, in base ai costi standard di produzione e di quote standard di costi generali, calcolati su un campione rappresentativo di strutture accreditate, tenuto conto, nel rispetto dei princìpi di efficienza e di economicità e del giusto utile delle strutture e dei professionisti, anche in via alternativa, di: a) costi standard delle prestazioni calcolati in riferimento a strutture preventivamente selezionate secondo criteri di efficienza, appropriatezza e qualità dell’assistenza come risultanti dai dati in possesso del Sistema informativo sanitario, del criterio di soglia minima di efficienza di cui all'articolo 8-quater, comma 3, lettera b), e sulla base dei criteri individuati d'intesa con le associazioni di categoria maggiormente rappresentative; b) costi standard delle prestazioni già disponibili presso le regioni e le province autonome; c) tariffari regionali e differenti modalità di remunerazione delle funzioni assistenziali attuate nelle regioni e nelle province autonome. Lo stesso decreto stabilisce i criteri generali, nel rispetto del principio del perseguimento dell’efficienza e dei vincoli di bilancio derivanti dalle risorse programmate a livello nazionale e regionale, in base ai quali le regioni adottano il proprio sistema tariffario, articolando tali tariffe per classi di strutture secondo le loro caratteristiche organizzative e di attività, verificati in sede di accreditamento delle strutture stesse. Le tariffe massime di cui al presente comma sono assunte come riferimento per la valutazione della congruità delle risorse a carico del Servizio sanitario nazionale. Gli importi tariffari, fissati dalle singole regioni, superiori alle tariffe massime restano a carico dei bilanci regionali. A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente disposizione è abrogato il decreto del Ministro della Sanità 15 aprile 1994, recante «Determinazione dei criteri generali per la fissazione delle tariffe delle prestazioni di assistenza specialistica, riabilitativa ed ospedaliera», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 107 del 10 maggio 1994. |
6. Con la procedura di cui al comma 5, sono effettuati periodicamente la revisione del sistema di classificazione delle prestazioni e l'aggiornamento delle relative tariffe, tenendo conto della definizione dei livelli essenziali e uniformi di assistenza e delle relative previsioni di spesa, dell'innovazione tecnologica e organizzativa, nonché dell'andamento del costo dei principali fattori produttivi.
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6. identico |
7. Il Ministro della sanità, con proprio decreto, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, disciplina le modalità di erogazione e di remunerazione dell'assistenza protesica, compresa nei livelli essenziali di assistenza di cui all'articolo 1, anche prevedendo il ricorso all'assistenza in forma indiretta. |
7. identico |
8. Il Ministro della sanità, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sentita l'Agenzia per i servizi sanitari regionali, con apposito decreto, definisce i criteri generali per la compensazione dell'assistenza prestata a cittadini in regioni diverse da quelle di residenza. Nell'ambito di tali criteri, le regioni possono stabilire specifiche intese e concordare politiche tariffarie, anche al fine di favorire il pieno utilizzo delle strutture e l'autosufficienza di ciascuna regione, nonché l'impiego efficiente delle strutture che esercitano funzioni a valenza interregionale e nazionale. |
8. identico |
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8-bis. Le prescrizioni diagnostiche, terapeutiche e riabilitative garantiscono un adeguato livello di assistenza al cittadino attraverso un utilizzo razionale delle risorse a disposizione. A tal fine, il Ministro della salute, sentita l'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, ai sensi dell'articolo 120, comma 1, lettera g), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, con apposito decreto individua i parametri di appropriatezza clinica e organizzativa delle prescrizioni diagnostiche, terapeutiche e riabilitative la cui ricorrenza è funzionale alla remunerazione delle relative prestazioni erogate in nome e per conto del Servizio sanitario nazionale. |
Corte
Costituzionale,
Sentenza n. 204 del 6 luglio 2004
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Gustavo ZAGREBELSKY Presidente
- Valerio ONIDA Giudice
- Carlo MEZZANOTTE “
- Fernanda CONTRI “
- Guido NEPPI MODONA “
- Piero Alberto CAPOTOSTI “
- Annibale MARINI “
- Franco BILE “
- Giovanni Maria FLICK “
- Francesco AMIRANTE “
- Ugo DE SIERVO “
- Romano VACCARELLA “
- Paolo MADDALENA “
- Alfio FINOCCHIARO “
- Alfonso QUARANTA “
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 33, commi 1 e 2, lettere b) ed e), e 34, comma 1, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80 (Nuove disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa, emanate in attuazione dell’articolo 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59), come sostituito dall’art. 7 della legge 21 luglio 2000, n. 205 (Disposizioni in materia di giustizia amministrativa), promossi con ordinanze del 31 luglio 2002, dell’11 ottobre 2002 (n. 2 ordinanze) e del 31 gennaio 2003 del Tribunale di Roma, rispettivamente iscritte al n. 488 del registro ordinanze 2002 e ai nn. 226, 227 e 680 del registro ordinanze 2003 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 44, prima serie speciale, dell’anno 2002 e nn. 18 e 37, prima serie speciale, dell’anno 2003.
Visto l’atto di costituzione della Casa di Cura Villa Maria Pia s.r.l., nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 28 aprile 2004 il Giudice relatore Romano Vaccarella.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 31 luglio 2002 (r.o. n. 488 del 2002) il Tribunale di Roma, adito dalla casa di cura Villa Maria Pia s.r.l. con atto di citazione, notificato il 10 agosto 2000, volto ad ottenere la condanna della Azienda Usl Rm/E al pagamento di somme da questa dovute per prestazioni di ricovero, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 33, commi 1 e 2, lettere b) ed e), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80 (Nuove disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa, emanate in attuazione dell’articolo 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59), come sostituito dall’art. 7 della legge 21 luglio 2000, n. 205 (Disposizioni in materia di giustizia amministrativa), nella parte in cui devolve alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie in materia di pubblici servizi «tra le amministrazioni pubbliche e i gestori comunque denominati di pubblici servizi» e, in particolare, le controversie «riguardanti le attività e le prestazioni di ogni genere, anche di natura patrimoniale, rese nell’espletamento di pubblici servizi, ivi comprese quelle rese nell’ambito del servizio sanitario nazionale», per contrasto con gli artt. 3, 24, 25, 100, 102, 103, 111 e 113 della Costituzione.
1.1.– In punto di rilevanza, osserva il rimettente che la controversia rientra tra quelle devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, tenuto conto che il rapporto tra le case di cura e le minori strutture private (ambulatori, centri di diagnostica strumentale, etc.) e la USL è sempre stato qualificato dalla giurisprudenza di legittimità di concessione di pubblico servizio. Pertanto, abbandonato il pregresso criterio che attribuiva al giudice amministrativo le controversie vertenti sull’accertamento del contenuto e della validità del rapporto, con devoluzione al giudice ordinario di quelle vertenti sul pagamento di indennità, canoni ed altri corrispettivi, il rapporto in questione è oggi direttamente disciplinato, quanto alla giurisdizione, dall’art. 33 del d.lgs. n. 80 del 1998, come modificato dall’art. 7 della legge n. 205 del 2000, che rimette alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie in materia di pubblici servizi, tra le quali quelle «tra le amministrazioni pubbliche e i gestori comunque denominati di pubblici servizi» (comma 2, lettera b) e quelle «riguardanti le attività e le prestazioni di ogni genere, anche di natura patrimoniale, rese nell’espletamento di pubblici servizi, ivi comprese quelle rese nell’ambito del Servizio sanitario nazionale» (comma 2, lettera e).
1.2.– Con riguardo alla non manifesta infondatezza del dubbio, osserva il giudice a quo che il nuovo criterio di riparto della giurisdizione «per blocchi di materie», introdotto dalla legge n. 205 del 2000, determina uno «smisurato ampliamento» della giurisdizione esclusiva, in contrasto, innanzitutto, con il dettato degli artt. 103, primo comma, e 113, primo comma, Cost., posto che il riferimento alle «particolari materie indicate dalla legge» esprimerebbe invece il carattere residuale delle controversie devolute alla giurisdizione esclusiva, la cui peculiarità non a caso è stata tradizionalmente riscontrata nella «sicura e necessaria compresenza o coabitazione … di posizioni di interesse legittimo e di diritto soggettivo legate da un inestricabile nodo gordiano»; come rendeva manifesto il divieto per il giudice amministrativo (ex artt. 30, secondo comma, del r.d. 26 giugno 1924, n. 1054 e 7, terzo comma, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034) di conoscere, nelle materie devolute alla sua giurisdizione esclusiva, anche dei diritti patrimoniali consequenziali. Le richiamate norme costituzionali, inoltre, nel configurare la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo unicamente per la tutela di posizioni soggettive nei confronti della pubblica amministrazione, non autorizzerebbero (ciò che, invece, sembra legittimato dall’art. 33 censurato) anche la cognizione di diritti soggettivi azionati dalla medesima pubblica amministrazione contro privati ovvero contro altre amministrazioni pubbliche. In particolare, la legge n. 205 del 2000, segnando l’abbandono della nozione tradizionale di «giurisdizione esclusiva» e la ridefinizione dell’istituto secondo ambiti di intere materie, a prescindere dall’esplicazione di poteri autoritativi della pubblica amministrazione, sarebbe lesivo dell’art. 103, primo comma, Cost., norma che, tra la giurisdizione ordinaria sui diritti e quella esclusiva del giudice amministrativo, traccia un rapporto, di regola a eccezione, fondato sull’esigenza di concentrare innanzi ad un unico giudice la cognizione tanto dei diritti che degli interessi, e dunque, in definitiva, sulla peculiarità della controversia concretamente individuata. Pertanto, l’attribuzione tout court al giudice amministrativo di intere materie, come quella dei servizi pubblici, «di generica ed incerta identificazione» costituirebbe, secondo il giudice a quo, l’inversione della regola posta dall’art. 103 Cost, configurando il giudice amministrativo come giudice ordinario delle controversie in cui sia parte una pubblica amministrazione, in violazione anche dell’art. 100, primo comma, Cost. che lo qualifica giudice «nell’amministrazione» e non «dell’amministrazione».
Né al rimettente sembra dirimente accedere ad una ricostruzione in astratto piuttosto che in concreto della nozione di «materia», ricercandone la particolarità «nell’atteggiarsi dell’azione della pubblica amministrazione in settori determinati …, qual è quello dei servizi pubblici», in ipotesi connotati sempre dalla presenza dell’interesse pubblico: in tal modo si finirebbe infatti ugualmente per capovolgere, e svuotare, il criterio di residualità della giurisdizione amministrativa come fissato nella Costituzione.
La fondatezza del dubbio viene altresì argomentata dal rimettente sul rilievo che nel nostro ordinamento non esisterebbe alcuna possibilità di ampliare la giurisdizione amministrativa esclusiva oltre i casi in cui il settore individuato «sia conformato, quanto meno, da un regime giuridico derogatorio del diritto comune», ciò che, per la vastità e l’eterogeneità degli ambiti abbracciati, non appare configurabile per la materia dei servizi pubblici; né sarebbe possibile rintracciare nel sistema costituzionale una delega in bianco al legislatore ordinario per individuare le materie di giurisdizione esclusiva. Lo scostamento dai rigorosi parametri dell’art. 103 Cost. sembra, poi, al rimettente particolarmente visibile laddove, come nel caso sottoposto al suo giudizio, nessun contenuto di specialità sia dato ravvisare nella domanda del privato volta all’accertamento, condotto secondo le regole del diritto civile, dell’obbligo dell’Azienda USL di pagare il corrispettivo di prestazioni sanitarie eseguite.
Riprendendo alcune indicazioni del Consiglio di Stato (sezione V, n. 2440 del 1999) e della Cassazione (sezioni unite n. 5640 del 18 aprile 2002), il giudice a quo osserva anche come sia proprio la «costituzione del vincolo obbligatorio» a segnare lo spartiacque tra la giurisdizione del giudice amministrativo e quella dell’autorità giudiziaria ordinaria sul presupposto della tendenziale uguaglianza tra le parti nella fase successiva alla costituzione del vincolo, regolata dalle norme del diritto privato. Conseguentemente, a suo avviso, l’assegnazione indiscriminata alla cognizione del giudice amministrativo di diritti soggettivi, oltre alla progressiva creazione di un diritto civile speciale, violerebbe anche l’art. 3 Cost., sotto il profilo della lesione del principio di uguaglianza – per la creazione di una posizione di privilegio della pubblica amministrazione – nonché del principio di ragionevolezza, venendo a creare un «inutile doppione» del giudice ordinario e insieme a disperdere il patrimonio di esperienze ed attitudini di questi; tanto, per giunta, in un momento storico caratterizzato dalla regressione del momento autoritativo nel rapporto tra apparato pubblico e società civile.
Palese sarebbe anche la violazione degli artt. 102, primo comma, e 113, primo comma, Cost. che, assecondando la tradizione giuridica italiana (cfr. artt. 2 e 26 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, All. E, e il diritto vivente in tema di risarcimento per lesione di interessi legittimi), fanno del giudice ordinario il giudice dei diritti con cognizione, in via di principio, generale e illimitata, di contro alla tendenziale residualità della cognizione sui diritti affidata al giudice amministrativo, in un contesto che contempla altresì la possibilità che all’autorità giudiziaria ordinaria siano attribuiti poteri di annullamento dell’atto amministrativo (art. 113, commi secondo e terzo, Cost.): il che genera una vera e propria presunzione di devoluzione al giudice ordinario – la cui posizione nell’ordinamento non a caso è circondata da particolari garanzie di indipendenza ed autonomia (artt. 104 e 105 Cost.) – delle controversie in cui sussiste incertezza nell’identificazione della situazione soggettiva coinvolta.
Il giudice a quo esprime, inoltre, dubbi circa la legittimità della norma censurata in relazione all’art. 25, primo comma, Cost.: evidenzia sul punto come una concezione del giudice naturale attenta ai valori su cui si fonda l’ordine costituzionale delle giurisdizioni, si sia ormai affermata in altri ordinamenti europei (così ad esempio in Francia, ove il Consiglio costituzionale ha affermato che tra i principi fondamentali v’è quello per cui, «ad eccezione delle materie riservate per natura all’autorità giudiziaria, appartiene in ultima istanza alla competenza della giurisdizione amministrativa il contenzioso relativo all'annullamento e alla riforma degli atti amministrativi che costituiscono l’espressione dei pubblici poteri»), mentre nel nostro ordinamento tale opzione ermeneutica sarebbe stata avallata dalla stessa Corte costituzionale allorché questa ha, ad esempio, affermato «la maggiore idoneità del giudice ordinario alla cura di interessi concernenti rapporti paritari» (sentenza n. 641 del 1987) o che «la Corte dei conti è il giudice naturale in materia di pensioni a totale carico dello Stato» (ordinanza n. 388 del 1990). La violazione nel settore dei pubblici servizi dell’ordine costituzionale [delle giurisdizioni], e cioè di «quel nucleo di principi che giustificano l’“essere giudice” in uno stato di diritto», si risolverebbe pertanto nell'istituzione di un giudice speciale in violazione del disposto dell’art. 102, secondo comma, Cost..
Dunque, anche a non voler riconoscere l’esistenza del principio, seppur tendenziale, di unità della giurisdizione (ma v., contra, sentenze n. 41 del 1957 e n. 48 del 1959 di questa Corte), la pluralità di giurisdizioni riconoscibili nel nostro ordinamento non legittimerebbe la devoluzione a giudici appartenenti a giurisdizioni diverse di «controversie identiche ovvero non caratterizzate da una sostanziale ed intrinseca reciproca diversità con riguardo all’oggetto e alle posizioni soggettive delle parti», essendo del tutto irrilevante «la circostanza che nella controversia sia parte una pubblica amministrazione ovvero … che il suo oggetto presenti una generica rilevanza pubblica».
Il giudice rimettente osserva, poi, come ancora più grave sia il vulnus che la norma arreca al principio di uguaglianza (art. 3, primo comma, Cost.), inteso come uguaglianza davanti alla giustizia e alla giurisdizione (art. 24 Cost.), principio che troverebbe il suo logico corollario nella regola secondo cui controversie identiche o similari devono essere giudicate dalla medesima giurisdizione o da giurisdizioni strettamente identiche anche nelle regole di composizione. Sarebbe pertanto evidente, nella specie, «la disparità di trattamento tra i cittadini dinanzi alla giurisdizione, essendo l'individuazione del giudice fatta dipendere dalla qualità soggettiva di una parte», tanto più che nel momento storico attuale mancano riferimenti normativi di sicura individuazione del soggetto «pubblica amministrazione» e della materia «servizi pubblici».
Ulteriore profilo di illegittimità costituzionale è infine ravvisato dal giudice a quo nella violazione degli artt. 111, settimo comma, e 3 Cost., sotto il profilo che «il principio di uguaglianza postula l’esigenza di uniforme interpretazione della legge, la quale invece (stante la non ricorribilità delle sentenze dei giudici amministrativi per violazione di legge) non avrebbe strumento alcuno per attuarsi a fronte di differenti orientamenti … che dovessero formarsi in ordine a medesime disposizioni codicistiche nelle non comunicanti giurisprudenze dei giudici ordinari e amministrativi» (Cass., sezioni unite n. 72 del 30 marzo 2000), con una sostanziale elisione della funzione di nomofilachia esercitata dalla Cassazione, innanzitutto, ai sensi dell’art. 65 dell’ordinamento giudiziario. Del resto, osserva il rimettente, il ruolo nomofilattico dello stesso Consiglio di Stato non si è mai svolto al di fuori del tradizionale ordine proprio di questa giurisdizione, caratterizzato dal generale parametro di riferimento dell'interesse pubblico, laddove in ambito civilistico la coscienza collettiva mal tollera ogni incidenza, sulle paritarie posizioni in conflitto, di valutazioni inerenti proprio l’interesse pubblico.
1.3.– É intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, il quale, con la rappresentanza dell’Avvocatura generale dello Stato, ha eccepito in via pregiudiziale l’inammissibilità della questione sollevata, che investirebbe non tanto la norma di legge oggetto di censura, quanto piuttosto «un puntuale combinato disposto di norme contenuto nella Costituzione stessa e cioè quello regolante l’intero sistema della giustizia amministrativa come delineato dagli artt. 24, 103, 108, 111 e 113», norme originarie della Costituzione di cui il legislatore censurato sarebbe stato solo puntuale esecutore.
Ulteriore profilo di inammissibilità è sollevato dall’Avvocatura per l’irrilevanza della censura relativa alla violazione degli artt. 3 e 103 Cost. sotto il profilo della attribuzione al giudice ordinario della conoscibilità di diritti azionati nei confronti di privati dalla pubblica amministrazione, tenuto conto che, nel giudizio a quo, la parte attrice è un ente di diritto privato.
Nel merito, infondata sarebbe la questione laddove fa leva sul principio di unità della giurisdizione, mai accolto – se non come «valore fine» – nel sistema costituzionale che, anzi, avrebbe scelto di conservare le giurisdizioni storiche, in un sistema di riparto affidato al legislatore ordinario (sentenze n. 48 del 1959 e n. 641 del 1987 di questa Corte). Né altrimenti sarebbe stato imposto a quest’ultimo, per via costituzionale, alcun limite alla individuazione delle particolari materie di giurisdizione amministrativa esclusiva sotto il profilo della necessaria compresenza di diritti soggettivi ed interessi legittimi. Tant’è che già in passato v’è stato un ampliamento di tale sfera giurisdizionale in assenza del richiamato «inestricabile nodo gordiano».
Con riguardo alla pretesa irragionevolezza dell’attuale sistema di riparto giurisdizionale, ricorda la deducente che nel sistema francese, affine a quello italiano, è affidata al giudice amministrativo la cognizione dell’azione pubblica tanto nel momento autoritativo che in quello paritetico.
Improprio sarebbe inoltre il richiamo al giudice ordinario quale «giudice naturale» dei diritti, tenuto conto che l’art. 25 Cost. àncora tale nozione al solo giudice «precostituito per legge».
Per quanto attiene, infine, alle lamentate lesioni dei principi di uguaglianza e di difesa, con riguardo alle asserite, minori garanzie esistenti innanzi al giudice amministrativo, l’Avvocatura osserva come l’argomento provi troppo, tenuto conto che la equiordinazione, sul piano della tutela giurisdizionale e della difesa, approntata dalla Costituzione per diritti ed interessi, indurrebbe a dubitare della legittimità della giurisdizione esclusiva anche in materie in cui esiste l’evocato intreccio delle differenti situazioni soggettive. Infine, – rileva l’interveniente – neppure appare costituzionalizzato il ruolo nomofilattico pieno della Corte di cassazione.
1.4.– Si è costituita, ma fuori termine, la casa di cura Villa Maria Pia s.r.l. che ha aderito in toto alle argomentazioni contenute nell’ordinanza di rimessione.
1.5.– Nella memoria successivamente depositata, l’Avvocatura dello Stato effettua, preliminarmente, un’articolata ricostruzione dell’evoluzione che la materia del riparto di giurisdizione ha avuto nel corso degli anni, al fine di dimostrare come dalla Carta fondamentale del nostro Stato si evinca con chiarezza la volontà del Costituente «di affermare la completa parità ed originarietà dei due ordini di giurisdizione» e conseguentemente di lasciare la concreta distribuzione degli affari tra gli stessi alle scelte discrezionali del legislatore. Ribadisce quindi che le norme impugnate si limitano a devolvere alla cognizione del giudice amministrativo particolari materie caratterizzate da spiccate connotazioni pubblicistiche, nell’ottica, non in conflitto col sistema costituzionale, del superamento del tradizionale criterio di riparto, fondato sul tipo di posizione soggettiva lesa (diritto soggettivo-interesse legittimo). Rileva in proposito che gli artt. 103 e 113 della Costituzione esprimono, con il richiamo all’interesse legittimo, nient’altro che il vincolo «relativo alla deducibilità in giudizio di tutte le controversie incidenti su interessi legittimi», esplicitando il principio di cui all’art. 24 della Costituzione e rimettendo, per il resto, al legislatore ordinario l’individuazione delle particolari «materie» di giurisdizione esclusiva, secondo un’accezione che, considerato il tratto «polisemico» del lemma, «ben si presta a ricomprendere alternativamente o vasti ambiti di attività amministrativa unitariamente considerati (in senso orizzontale: ad esempio urbanistica, edilizia, etc.) oppure un oggetto contenzioso (in senso verticale: paradigmaticamente il risarcimento del danno) accessivo a quello di competenza generale». In alcun modo, invece, l’art. 103 Cost. collegherebbe l’individuazione delle particolari materie al presupposto dell’esistenza di un inestricabile intreccio tra diritti ed interessi legittimi, quale ragione tralaticiamente richiamata come essenziale ai fini dell’individuazione dell’area di operatività della giurisdizione esclusiva sulla scorta di un inesatto presupposto storico.
Ne discenderebbe, per come affermato proprio dalla Corte costituzionale (ordinanza n. 140 del 2001), «una sorta di principio di indifferenza o intercambiabilità della tutela fornita dai due ordini di giurisdizioni», rafforzato dalle sempre più numerose eccezioni al divieto per il giudice ordinario di annullare atti amministrativi e dal correlativo ampliamento dei casi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
Peraltro, ad avviso dell’Avvocatura, le norme censurate darebbero attuazione ai principi racchiusi nell’art. 24 della Costituzione anche sotto il profilo della eliminazione, da un lato, delle incertezze circa l’individuazione del giudice da adire e, dall’altro, delle lungaggini connesse alla necessità di percorrere il c.d. doppio giudizio per ottenere la piena soddisfazione delle posizioni soggettive lese, in armonia con i modelli istituzionali degli altri paesi membri dell’Unione europea in cui vige il sistema della doppia giurisdizione.
Rilevato quindi che il cambiamento normativo ha avuto carattere biunivoco con l’attribuzione al giudice ordinario delle controversie relative al rapporto di lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione, sottolinea la deducente come, conseguenzialmente, il riparto si sia venuto ad assestare su un nuovo punto di equilibrio, nel quale mentre il giudice ordinario è divenuto «il giudice naturale di una pubblica amministrazione che gestisce tutti i rapporti di lavoro alle sue dipendenze con i poteri e gli strumenti del privato datore, il giudice amministrativo, per converso, [ha acquisito] la piena cognizione di rapporti litigiosi in cui si applicano regole sostanziali esorbitanti dal diritto privato, anche se di essi siano parti … soggetti formalmente privati ma tenuti all’applicazione, specie in materia contrattuale, di procedure amministrative».
Peraltro, anche qualora si ravvisasse nella locuzione «particolari materie» un vincolo per il legislatore, questo non andrebbe individuato nel c.d. «nodo gordiano» diritti-interessi, la cui connessione con il problema del riparto deriverebbe da «un imprecisato ricordo storico»: in realtà, ove un limite si volesse considerare imposto nella individuazione dei settori da affidare alla giurisdizione esclusiva, questo non potrebbe che rinvenirsi «nelle materie in cui si verifica un assoggettamento dei diritti all’esercizio di un potere conformativo della pubblica amministrazione», con conseguente piena legittimità delle scelte operate dal legislatore nelle norme denunciate.
Infine, con riguardo alla prospettata violazione dell’art. 111 Cost., osserva la deducente che la Carta fondamentale costituzionalizza le differenti competenze facenti capo alla Corte di cassazione in modo diverso da quello che i rimettenti danno per presupposto.
Premesso che storicamente la funzione di nomofilachia della Cassazione risponde all’esigenza di natura politica di salvaguardare il principio della separazione tra poteri, preservando le leggi da ciò che i positivisti francesi definivano la «ribellione dei giudici», nel complesso delle attribuzioni della Suprema Corte individuate dall’art. 65 dell’Ordinamento giudiziario occorrerebbe distinguere le funzioni afferenti l’esatta osservanza della legge – la quale significa rispetto, da parte di tutti i giudici, del limite esterno della giurisdizione – da quelle afferenti l’uniforme interpretazione della legge (c.d. nomofilachia in senso generico): orbene, ad avviso dell’Avvocatura, questa sarebbe dalla Costituzione attribuita alla Cassazione solo per quanto concerne le sentenze del giudice ordinario.
2.– Con tre distinte ordinanze, due delle quali pronunciate in data 11 ottobre 2002 (r.o. n. 226 e n. 227 del 2003) e l’altra in data 31 gennaio 2003 (r.o. n. 680 del 2003), il Tribunale di Roma ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 102, 103, 111 e 113 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 34, comma 1, del d.lgs. n. 80 del 1998, nel testo sostituito dall’art. 7 della legge n. 205 del 2000, il quale devolve alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi ad oggetto gli atti, i provvedimenti e i comportamenti delle amministrazioni pubbliche e dei soggetti alle stesse equiparati, in materia di urbanistica ed edilizia.
I giudizi nel corso dei quali le prime due ordinanze sono state emesse avevano ad oggetto domande di risarcimento danni proposte, con atti di citazione notificati il 20 luglio 2000, dagli eredi di Arturo Menhert nei confronti del Comune di Roma, fondate, l’una, sulla circostanza che un fondo del loro dante causa era stato occupato, sin dall’11 agosto 1978, dall’ente convenuto, in vista della realizzazione di un asilo nido, poi effettivamente completato nel 1979, senza che peraltro la procedura di esproprio venisse mai portata a compimento e senza che venisse pagato il relativo indennizzo; l’altra, sul fatto che lo stesso Comune, con deliberazione consiliare n. 2201 del 3, 4 e 5 maggio 1976, aveva modificato la destinazione edilizia di alcuni terreni del medesimo dante causa, da aree edificabili ad aree per attrezzature di servizi di quartiere e verde pubblico, in vista della costruzione di una strada, così determinando, senza che l’opera pubblica venisse in realtà mai realizzata, un tale deprezzamento degli immobili compresi nella variante da indurre la Cassa di risparmio di Roma a chiedere la restituzione di ingenti prestiti, erogati a Menhert s.r.l. e garantiti da quei beni; richiesta che, rimasta inevasa, aveva a sua volta provocato il fallimento della società garantita.
La terza ordinanza è intervenuta nel corso di un giudizio proposto, con atto di citazione notificato il 26 gennaio 2001, dalla società D.M. s.a.s. di Abrusca Clara & c. nei confronti, ancora una volta, del Comune di Roma, al fine di ottenere il ristoro dei danni subiti in conseguenza del mancato allaccio alla rete fognaria e della mancata “agibilità” di un locale a destinazione negozio, di proprietà della società attrice.
2.1.– In punto di rilevanza, in tutti e tre i giudizi il giudice a quo, evidenziato che il Comune convenuto ha opposto il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, osserva che, secondo le nuove previsioni in punto di riparto di giurisdizione – che attribuiscono al giudice amministrativo, in sede di giurisdizione esclusiva, le controversie aventi ad oggetto, tra gli altri, i comportamenti della pubblica amministrazione in materia urbanistica – l’eccezione sarebbe fondata: e invero, alla stregua dei consolidati e condivisi orientamenti del Supremo Collegio, la materia urbanistica non si esaurisce nell’aspetto normativo della disciplina dell’uso del territorio, ma comprende anche il momento gestionale.
Nelle ordinanze n. 226 e n. 227 del 2003 peraltro, emesse in giudizi iniziati con atti di citazione notificati il 20 luglio 2000, il rimettente precisa, richiamando le puntualizzazioni espresse dalla Corte costituzionale nelle pronunce n. 123 e n. 340 del 2002, che nella fattispecie la giurisdizione esclusiva si radica non già sul testo originario dell’art. 34 del d.lgs. n. 80 del 1998, ma su quello sostituito dall’art. 7 della legge n. 205 del 2000, il quale, da un lato, ha innovato la natura giuridica della fonte, da legge materiale a legge formale (così affrancandola dal vizio di eccesso di delega) e, dall’altro, per i giudizi introdotti dopo il 10 luglio 1998 e pendenti al 10 agosto 2000 – date in cui sono entrati in vigore, rispettivamente, il d.lgs. n. 80 del 1998 e la legge n. 205 del 2000 – ha disciplinato direttamente la giurisdizione, in deroga al principio sancito dall’art. 5 cod. proc. civ., non avendo immutato il dettato dell’art. 45, comma 18, del d.lgs. n. 80 del 1998, che prevede, a decorrere dal 1° luglio 1998, la devoluzione al giudice amministrativo delle controversie di cui agli artt. 33 e 34: tale ricostruzione della successione temporale delle norme disciplinanti le controversie devolute alla sua cognizione, impone al decidente di ritenere rilevante nel giudizio a quo la questione di costituzionalità dell’art. 34 del d.lgs. n. 80 del 1998, nel testo risultante dalla sostituzione operata dall’art. 7 della legge n. 205 del 2000.
2.2.– Quanto alla non manifesta infondatezza del dubbio di legittimità, il rimettente, che svolge considerazioni sostanzialmente identiche in tutti e tre i provvedimenti di rimessione, sostiene preliminarmente che il sistema dell’estensione della giurisdizione esclusiva per blocchi di materie, seguito dal legislatore sia nel 1998 sia nel 2000, si discosta da quello delineato nella Carta costituzionale, oltre ad apparire scarsamente razionale e ingiustificatamente squilibrato a favore della pubblica amministrazione, la quale viene in effetti ad avere un proprio giudice.
In particolare, il contrasto con gli artt. 102, primo comma, 103, primo comma, e 113, primo comma, Cost., si radicherebbe sulla sostanziale ricezione, nell’assetto accolto dal Costituente, del sistema di tutela giurisdizionale del privato nei confronti della pubblica amministrazione disciplinato dalla legislazione previgente e in particolare dalla legge n. 2248 del 1865, All. E, e dal r.d. n. 1054 del 1924: sistema che ruota tutto intorno alla dicotomia diritto soggettivo-interesse legittimo, quali posizioni soggettive giustiziabili, rispettivamente, davanti al giudice ordinario e al giudice amministrativo.
Posto allora che, nel quadro istituzionale delineato dalla legge fondamentale del nostro Stato, il giudice ordinario è giudice dei diritti e la sua giurisdizione viene meno soltanto nei limitati casi in cui la cognizione, in considerazione dell’intreccio, difficilmente districabile per talune controversie, di figure giuridiche attive riconducibili all’una o all’altra categoria, è attribuita al giudice amministrativo, il legislatore ordinario non potrebbe discostarsi da tale modello, attribuendo determinate materie al giudice amministrativo in considerazione della loro rilevanza pubblicistica. E ciò tanto più che il contesto normativo di riferimento, ancorché caratterizzato dalla progressiva estensione dell’area della giurisdizione esclusiva – in buona parte a prescindere dalla qualificazione giuridica della situazione vantata nei confronti della pubblica amministrazione (così l’art. 11, comma 5, della legge n. 241 del 7 agosto 1990, sugli accordi con la pubblica amministrazione sostitutivi dei provvedimenti; l’art. 33 della legge n. 287 del 10 ottobre 1990 e l’art. 7 del d.lgs. n. 74 del 25 gennaio 1992, come modificato dall’art. 5, comma 11, del d.lgs. n. 67 del 25 febbraio 2000, sui provvedimenti dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato; l’art. 6, comma 19, della legge n. 537 del 24 dicembre 1993, come modificato dall’art. 44 della legge n. 724 del 23 dicembre 1994, sui contratti per la fornitura di beni e servizi alle pubbliche amministrazioni; l’art. 4, comma 7, della legge n. 109 dell’11 febbraio 1994, come modificato dall’art. 9, comma 9, della legge n. 415 del 18 novembre 1998, sui provvedimenti dell’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici; l’art. 2, comma 25, della legge n. 481 del 14 novembre 1995, sui provvedimenti delle Autorità per i servizi di pubblica utilità; l’art. 1, comma 26, della legge n. 249 del 31 luglio 1997, sui provvedimenti delle Autorità per le telecomunicazioni) – non avrebbe, a giudizio del rimettente, affatto obliterato la fondamentale funzione del giudice ordinario quale giudice dei diritti. Non a caso, egli ricorda, nel disciplinare il giudizio di opposizione alle sanzioni amministrative (legge 24 novembre 1981, n. 689), il legislatore si è spinto nel riconoscimento di quella funzione, fino al punto di attribuire al giudice ordinario il potere di intervenire direttamente sull’atto, mentre, pur nell’ambito delle varie ipotesi di giurisdizione esclusiva relative all’impugnazione dei provvedimenti emessi dalle Autorità indipendenti, non mancano casi in cui è sancita la giurisdizione del giudice ordinario.
Né l’attribuzione al giudice amministrativo delle controversie in materia di urbanistica ed edilizia, operata dall’art. 7 della legge n. 205 del 2000, estesa a tutti gli atti, i provvedimenti e i comportamenti non solo delle pubbliche amministrazioni, ma anche “dei soggetti alle stesse equiparati”, a prescindere dalla compresenza di situazioni di diritto soggettivo e di interesse legittimo, potrebbe ritenersi legittimata dalla previsione di cui all’art. 103, primo comma, Cost., posto che la lettera di tale norma evidenzia, semmai, che il legislatore costituzionale si è mosso nell’ottica del carattere eccezionale della riserva al giudice amministrativo di aree di giurisdizione esclusiva.
Se dunque – argomenta il rimettente – il sistema di riferimento risulta strutturato sulla netta distinzione tra diritti e interessi legittimi, sulla “particolarità” delle materie nelle quali far operare la giurisdizione esclusiva e sulla individuabilità delle stesse attraverso l’inscindibile coesistenza di diritti e interessi, forte è il dubbio della legittimità di una norma di legge ordinaria che da tale assetto palesemente si discosti.
Tale convincimento, ad avviso del giudice a quo, sarebbe convalidato dall’avvenuta presentazione, in data 28 novembre 2000, della proposta di legge costituzionale Atto Camera 7465 della XIII Legislatura, in cui, disegnata l’area di giurisdizione del giudice amministrativo con riferimento alle “controversie con la pubblica amministrazione nelle materie indicate dalla legge”, venivano allo stesso esplicitamente riservate in ogni caso quelle “riguardanti l’esercizio di pubblici poteri”: modifica della Costituzione espressamente giustificata nella relazione illustrativa anche col richiamo all’entrata in vigore della legge n. 205 del 2000, la quale avrebbe espresso “una decisa volontà del Parlamento nel senso indicato”.
Quanto poi al contrasto con gli artt. 102, secondo comma, e 3, primo comma, Cost., osserva il rimettente che, se la ratio giustificatrice dell’istituto della giurisdizione esclusiva è stata per tradizione individuata nella peculiarità delle controversie nelle quali sia parte la pubblica amministrazione, stante la rilevanza pubblicistica degli interessi in gioco e la necessità di fare applicazione di una normativa speciale, di natura amministrativa, derogatoria rispetto al diritto comune – rilievo da taluno correlato alla tesi dell’esistenza di un principio costituzionale di pluralità delle giurisdizioni –, sarebbe palese la sua assenza con riguardo a quelle fattispecie in cui venga lamentata la lesione di un diritto soggettivo, perché la pubblica amministrazione ha leso posizioni attive di altri soggetti, agendo iure privatorum o ponendo in essere un’attività illecita: qui occorrerà invero fare applicazione di nozioni quali danno ingiusto, nesso di causalità e colpevolezza, tipiche del diritto civile. In tale contesto normativo la norma impugnata, contraddicendo al principio per cui il giudice amministrativo è organo di tutela della giustizia nell’amministrazione e non già giudice dell’amministrazione, ingenera il sospetto di violazione del divieto di istituire giudici speciali (art. 102, secondo comma, Cost.), dubbio vieppiù avvalorato dalla considerazione dei meccanismi di copertura di un quarto dei posti di consigliere di Stato (art. 19, numero 2, della legge 27 aprile 1982, n. 186), di nomina del presidente del Consiglio di Stato (art. 22, primo comma, della legge cit.) e di conferimento dell’incarico di segretario generale (art. 4, comma 3); nonché dalla considerazione delle funzioni di “alta sorveglianza” e di iniziativa in punto di promozione dei procedimenti disciplinari, attribuite al Presidente del Consiglio dei ministri su tutti i magistrati amministrativi (artt. 31, primo comma, e 33, primo comma) e della possibilità, per gli stessi, di accedere allo svolgimento di funzioni giuridico-amministrative presso le amministrazioni dello Stato (art. 13, secondo comma, numero 8, e art. 29, terzo comma).
Sostiene anche il rimettente che devolvere una controversia a un giudice speciale in funzione, soltanto, della natura pubblica di una delle parti o della pretesa rilevanza pubblicistica degli interessi in contesa, desunta dall’esercizio di funzioni amministrative, anche da parte di un soggetto privato, sarebbe scelta foriera di una non giustificata disparità di trattamento tra i soggetti dell’ordinamento, posto che essa recherebbe in sé il rischio dell’affermazione di un diritto speciale della pubblica amministrazione, conformato su valutazioni incompatibili con la natura privatistica del rapporto controverso e su una posizione di ingiustificato privilegio attribuita ad una delle parti, la pubblica amministrazione, alla quale invece la Costituzione non riconosce alcun privilegio o statuto particolare, specie ove non agisca iure imperii o si rapporti ai privati su un piano di parità.
Il sospetto di lesione degli artt. 111, settimo e ottavo comma, e 24, primo comma, e, sotto nuovo profilo, ancora una volta, dell’art. 3 della Costituzione viene radicato sul fatto che il legislatore del 2000, istituendo un giudice amministrativo munito di giurisdizione esclusiva in materie e con strumenti processuali pressoché coincidenti con le materie e con gli strumenti processuali da sempre appartenenti al giudice ordinario, si sarebbe mosso in palese controtendenza con le ragioni della scelta che guidarono il Costituente il quale, mantenendo in vita alcune delle giurisdizioni speciali preesistenti, operò in vista della conservazione del patrimonio di conoscenze da questi acquisite. L’irragionevolezza dell’opzione normativa, e la conseguente violazione dell’art. 3 della Costituzione, risulterebbe vieppiù evidente in un contesto storico segnato – come si evince dall’art. 11 della legge n. 241 del 1990 e dalla notissima Cass. sezioni unite n. 500 del 1999 – dalla sempre più incisiva affrancazione dei rapporti fra cittadino e pubblica amministrazione dal modello c.d. autoritativo, e dalla loro evoluzione verso un modello c.d. negoziale, centrato sull’accordo delle parti e sul loro fondamentale dovere di comportarsi secondo buona fede.
Infine l’attribuzione della cognizione di controversie sostanzialmente identiche, da decidere, per giunta, facendo uso di poteri processuali in larga misura coincidenti, a due plessi giurisdizionali distinti, unicamente in ragione della natura soggettiva di una delle parti in causa, comporterebbe un sostanziale svuotamento anche del fondamentale diritto di difesa, sancito dall’art. 24, primo comma, della Costituzione, sotto il profilo che, limitando l’art. 111, ottavo comma, della Costituzione, la ricorribilità per Cassazione delle decisioni del Consiglio di Stato ai “soli motivi inerenti alla giurisdizione”, non vi sarebbe alcuna possibilità di composizione dei contrasti giurisprudenziali fra giudici ordinari e giudici amministrativi.
2.3.– In tutti e tre i giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, a mezzo dell’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha dedotto l’inammissibilità e l’infondatezza della questione proposta, richiamando le argomentazioni (sub 1.3.) svolte nel giudizio relativo alla ordinanza n. 488 del 2002.
2.4.– Il 6 ottobre 2003, nei giudizi di cui alle ordinanze n. 226 e n. 227 del 2003, e il 26 novembre 2003, nel giudizio di cui all’ordinanza n. 680 del 2003, l’Avvocatura ha poi depositato memorie di contenuto pressoché identico a quello della memoria depositata nel giudizio n. 488 del 2002 (v. retro, sub 1.5.)
Considerato in diritto
1.– Il Tribunale di Roma solleva questione di legittimità costituzionale, con r.o. n. 488 del 2002, dell’art. 33, comma 1 e comma 2, lettere b) ed e) e, con r.o. n. 226, n. 227 e n. 680 del 2003, dell’art. 34, comma 1, del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80, come sostituiti dall’art. 7 della legge 21 luglio 2000, n. 205; in tutte le ordinanze di rimessione si assumono violati gli artt. 3, 24, 102, 103, 111 e 113 della Costituzione, mentre la prima ordinanza dubita, altresì, della violazione degli artt. 25 e 100 della Costituzione.
I giudizi – in ciascuno dei quali è adeguatamente motivata la rilevanza della questione – devono essere riuniti in quanto, sia pure in relazione a due norme diverse (artt. 33 e 34 del d.lgs. n. 80 del 1998, come modificati dall’art. 7 della legge n. 205 del 2000), in tutti viene sostanzialmente posta la (medesima) questione dei limiti che il legislatore ordinario deve rispettare nel disciplinare, ampliandola, la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
2.– Le questioni sono fondate nei limiti di seguito precisati.
2.1.– I giudici rimettenti lamentano che la legge n. 205 del 2000, portando a compimento un disegno di politica legislativa volto, a partire dal 1990, ad estendere l’area della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, abbia sostituito al criterio di riparto della giurisdizione fissato in Costituzione, e costituito dalla dicotomia diritti soggettivi-interessi legittimi, il diverso criterio dei “blocchi di materie”: in tal modo sarebbe stato alterato non soltanto il rapporto tra giurisdizione del giudice ordinario e del giudice amministrativo – rapporto che, pur non essendo stato realizzato il principio dell’unicità della giurisdizione, dovrebbe pur sempre essere di regola ad eccezione quanto alla cognizione su diritti soggettivi – ma anche il rapporto, all’interno della giurisdizione del giudice amministrativo, tra giurisdizione (generale) di legittimità e giurisdizione (speciale, se non eccezionale) esclusiva.
La violazione degli artt. 102 e 103 Cost. (e dell’art. 100 – aggiunge l’ordinanza n. 488 del 2002 – con la trasformazione del Consiglio di Stato da giudice “nell’amministrazione” in giudice “dell’amministrazione”) non si sarebbe realizzata con i pur massicci interventi legislativi degli anni ’90, in quanto le nuove ipotesi di giurisdizione esclusiva concernevano pur sempre «talune specifiche controversie» caratterizzate «dall’intreccio di posizioni giuridiche riconducibili tanto al diritto soggettivo quanto all’interesse legittimo»: è con il d.lgs. n. 80 del 1998, specie come trasfuso nell’art. 7 della legge n. 205 del 2000, che il legislatore ha abbandonato il criterio dello «inestricabile nodo gordiano» ravvisabile in specifiche controversie correlate all’interesse generale per accogliere quello dei «blocchi di materie», nelle quali «la commistione di diritti soggettivi ed interessi legittimi non si debba ricercare nelle varie tipologie delle singole controversie ma nell’atteggiarsi dell’azione della pubblica amministrazione in settori determinati, anche se molto estesi, connotati da una significativa presenza dell’interesse pubblico».
La Costituzione, attribuendo al giudice ordinario «il ruolo di giudice naturale dei diritti soggettivi tra privati e pubblica amministrazione», avrebbe recepito e fatto propri i principi ispiratori della legge n. 2248 del 1865, All. E, così conferendo alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo un carattere residuale, che può giustificare «eccezioni ma non stravolgimenti» rispetto alla «tendenziale generalità ed illimitatezza delle attribuzioni del giudice ordinario».
Anche a voler prescindere dall’irragionevolezza della scelta legislativa di esaltare il ruolo del giudice amministrativo nel momento in cui al c.d. modello autoritativo dei rapporti cittadino-pubblica amministrazione viene sempre più sostituito il c.d. modello negoziale, tale scelta – unita al conferimento al giudice amministrativo di «pienezza di poteri decisori» e quindi anche risarcitori, perfino «al di fuori della giurisdizione esclusiva e nell’ambito della sua giurisdizione generale di legittimità» – farebbe sì che «il giudice amministrativo sia ormai proiettato in una dimensione civilistica che fino a ieri costituiva territorio esclusivo del giudice ordinario», per giunta senza sottostare al controllo nomofilattico, che costituisce anche garanzia di parità di trattamento, della Corte di cassazione.
2.2.– Del tutto correttamente i rimettenti osservano che la Carta costituzionale ha recepito – non senza conservare traccia nell’art. 102, primo comma, dell’orientamento favorevole all’unicità della giurisdizione – il nucleo dei principi in materia di giustizia amministrativa quali evolutisi a partire dalla legge abolitrice del contenzioso amministrativo del 1865: ed i lavori della Costituente documentano come «l’indispensabile riassorbimento nella Costituzione dei principi fondamentali della legge 20 marzo 1865» conducesse, da un lato, alla proposta di Calamandrei per cui «l’esercizio del potere giudiziario in materia civile, penale e amministrativa appartiene esclusivamente ai giudici ordinari» (art. 12, discusso dalla seconda Sottocommissione il 17 dicembre 1946) e, dall’altro lato, al testo (proposto dagli on.li Conti, Bettiol, Perassi, Fabbri e Vito Reale) approvato dall’Assemblea costituente nella seduta pomeridiana del 21 novembre 1947, corrispondente agli attuali artt. 102 e 103 Cost.; e conducesse, inoltre, alla esclusione della soggezione delle decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti al controllo di legittimità della Corte di cassazione, limitandolo al solo «eccesso di potere giudiziario», coerentemente alla «unità non organica, ma funzionale di giurisdizione, che non esclude, anzi implica, una divisione dei vari ordini di giudici in sistemi diversi, in sistemi autonomi, ognuno dei quali fa parte a sé» (così Mortati, seduta pomeridiana del 27 novembre 1947).
In realtà, come la dottrina ha da tempo chiarito, la legge n. 2248 del 1865, All. E, nel momento stesso in cui assicurava tutela al cittadino davanti al giudice ordinario per «tutte le materie nelle quali si faccia questione di un diritto civile o politico, comunque vi possa essere interessata la pubblica amministrazione» (art. 2), sanciva in ogni altro caso (per «gli affari non compresi nell’articolo precedente») la totale sottrazione a qualsiasi controllo giurisdizionale della sfera della c.d. amministrazione pura (art. 3): in tal modo – anche grazie all’ampiezza con la quale questa zona “franca” dell’amministrazione fu intesa dalla giurisprudenza, in ciò incoraggiata dall’allora giudice dei conflitti, il Consiglio di Stato, e dal successivo giudice ex legge 31 marzo 1877 n. 3761, le sezioni unite della Cassazione romana – la legge del 1865 creava le premesse della legislazione successiva volta a colmare il sempre più grave vuoto di tutela giurisdizionale da essa lasciato con il puro e semplice ignorare tale esigenza negli «affari non compresi» nell’art. 2.
La relazione Crispi al disegno di legge, divenuto la legge (istitutiva della IV Sezione) 31 marzo 1889, n. 5992, chiarisce infatti che «la legge 20 marzo 1865, All. E, proclamò l’unità della giurisdizione, ma nulla avendo sostituito al contenzioso amministrativo che abolì, rimase abbandonata alla potestà amministrativa l’immensa somma di interessi onde lo Stato è depositario»; e pur se soltanto la legge 7 marzo 1907, n. 62, istitutiva della V Sezione, definì “giurisdizionale” questa e la IV Sezione, riconoscendo alle loro decisioni l’efficacia del giudicato, la funzione giurisdizionale dell’organo, che sarebbe stato chiamato a colmare il vuoto di tutela da essa lasciato, era già insita nella legge abolitrice del contenzioso amministrativo.
E’ evidente, quindi, l’ambivalenza del richiamo – operato così da Calamandrei come dai suoi oppositori nell’Assemblea costituente – all’«indispensabile riassorbimento nella Costituzione dei principi fondamentali della legge 20 marzo 1865, All. E»: richiamo, che potrebbe dirsi “statico”, da parte di chi voleva colmare, nel 1947, con il giudice ordinario (eventualmente attraverso sue sezioni specializzate), il vuoto di tutela lasciato nel 1865 ed “abusivamente” (rispetto ai principi proclamati nell’art. 2) poi riempito da un Consiglio di Stato che aveva, ormai, «esaurito storicamente» il suo compito (Calamandrei, II Sottocommissione, seduta pomeridiana del 9 gennaio 1947); richiamo, che potrebbe dirsi “dinamico”, da parte di chi sottolineava che «il Consiglio di Stato non ha mai tolto nulla al giudice ordinario» (così Bozzi, ivi) in quanto la giurisdizione amministrativa è sorta «non come usurpazione al giudice ordinario di particolari attribuzioni, ma come conquista di una tutela giurisdizionale da parte del cittadino nei confronti della pubblica amministrazione; quindi non si tratta di ristabilire la tutela giudiziaria ordinaria del cittadino che sia stata usurpata da questa giurisdizione amministrativa, ma di riconsacrare la perfetta tradizione di una conquista particolare di tutela da parte del cittadino» (Leone, Assemblea, seduta pomeridiana del 21 novembre 1947).
Sembra allora chiaro che il Costituente, accogliendo quest’ultima impostazione, ha riconosciuto al giudice amministrativo piena dignità di giudice ordinario per la tutela, nei confronti della pubblica amministrazione, delle situazioni soggettive non contemplate dal (modo in cui era stato inteso) l’art. 2 della legge del 1865; così come di questa legge ha, con quello che sarebbe diventato l’art. 113 Cost., recepito il principio – «e fu per questo ritenuta una conquista liberale di grande importanza» – «per il quale, quando un diritto civile o politico viene leso da un atto della pubblica amministrazione, questo diritto si può far valere di fronte all’Autorità giudiziaria ordinaria, in modo che la pubblica amministrazione davanti ai giudici ordinari viene a trovarsi, in questi casi, come un qualsiasi litigante privato soggetto alla giurisdizione … principio fondamentale che è stato completato poi con l’istituzione delle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato … dell’unicità della giurisdizione nei confronti della pubblica amministrazione» (Calamandrei, Assemblea, seduta pomeridiana del 27 novembre 1947).
2.3.– Se, relativamente alla conservazione della giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo, l’esame dei lavori dell’Assemblea costituente offre il quadro che si è tratteggiato, da essi non emergono particolari elementi di chiarificazione relativamente alla previsione, nel testo dell’art. 103 Cost., della giurisdizione esclusiva: previsione che compare quasi come accessoria rispetto a quella generale di legittimità, per «la inscindibilità delle questioni di interesse legittimo e di diritto soggettivo, e per la prevalenza delle prime», le quali impongono di «aggiungere la competenza del Consiglio di Stato per i diritti soggettivi, nelle materie particolari specificamente indicate dalla legge» (Ruini, Assemblea, seduta pomeridiana del 21 novembre 1947).
3.– L’ambivalenza stessa della premessa, si è rilevato, esclude in radice che possa sostenersi che la Costituzione abbia definitivamente ed immutabilmente cristallizzato la situazione esistente nel 1948 circa il riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo, ma deve anche escludersi che dalla Costituzione non si desumano i confini entro i quali il legislatore ordinario, esercitando il potere discrezionale suo proprio (più volte riconosciutogli da questa Corte), deve contenere i suoi interventi volti a ridistribuire le funzioni giurisdizionali tra i due ordini di giudici: a ciò non ostando la circostanza che, per la prima volta in un testo normativo, è nella Costituzione che compare, e ripetutamente, la locuzione “interessi legittimi”.
Si è detto della chiara opzione del Costituente in favore del riconoscimento al giudice amministrativo della piena dignità di giudice: riconoscimento per il quale milita, oltre e più che l’apprezzamento, più volte espresso nell’Assemblea costituente, per l’indipendenza con la quale il Consiglio di Stato aveva operato durante il regime fascista, la circostanza che l’art. 24 Cost. assicura agli interessi legittimi – la cui tutela l’art. 103 riserva al giudice amministrativo – le medesime garanzie assicurate ai diritti soggettivi quanto alla possibilità di farli valere davanti al giudice ed alla effettività della tutela che questi deve loro accordare.
Si è anche sostenuto che, in presenza di tale opzione, il principio dell’unicità della giurisdizione – espresso dall’art. 102, con riguardo al giudice, e riflesso nell’art. 113, con riguardo alle forme di tutela garantite al cittadino – sta a significare che in nessun caso il legislatore ordinario può far sì che la pubblica amministrazione sia, in quanto tale, assoggettata ad una particolare giurisdizione, ovvero sottratta alla giurisdizione alla quale soggiace «qualsiasi litigante privato»: la specialità di un giudice può fondarsi esclusivamente sul fatto che questo sia chiamato ad assicurare la giustizia “nell’amministrazione”, e non mai sul mero fatto che parte in causa sia la pubblica amministrazione.
3.1.– Alla luce di tali principi occorre valutare se la disciplina introdotta, in punto di giurisdizione esclusiva, dalla legge n. 205 del 2000 è tale da confliggere con essi; ciò che equivale a chiedersi se quei principi conformino la giurisdizione esclusiva, ritenuta ammissibile dalla Costituzione, in modo incompatibile con la disciplina dettata dalla legge de qua.
Si è rilevato (sub 2.1.) che i rimettenti ricordano diffusamente come la giurisdizione esclusiva – fino al 1990 confinata nei ristretti limiti segnati dagli artt. 29 del t.u. n. 1054 del 1924 e 5, comma 1, della legge n. 1034 del 1971 (ma adde gli artt. 11 della legge n. 1185 del 1967; 32 della legge n. 426 del 1971; 16 della legge n. 10 del 1977; 6 della legge n. 440 del 1978; 35 della legge n. 47 del 1985; 11 della legge n. 210 del 1985) – sia stata notevolmente estesa a partire da tale anno contemplando l’impugnazione degli atti delle c.d. autorità amministrative indipendenti (artt. 33 della legge n. 287 del 1990; 7 del d.lgs. n. 74 del 1992; 10 della legge n. 109 del 1994; 2 della legge n. 481 del 1995; 1 della legge n. 249 del 1997) nonché quella degli accordi tra privati e pubblica amministrazione (artt. 11 e 15 della legge n. 241 del 1990; legge n. 537 del 1993); ma tale estensione non appare loro confliggente con alcun parametro costituzionale in quanto, osservano, pur sempre limitata a specifiche controversie connotate non già da una generica rilevanza pubblicistica, bensì dall’intreccio di situazioni soggettive qualificabili come interessi legittimi e come diritti soggettivi.
La giurisdizione esclusiva introdotta, viceversa, dalla legge n. 205 del 2000 sarebbe qualitativamente diversa e, come tale, incompatibile con il dettato costituzionale.
3.2.– Le censure che si sono sinteticamente riferite (sub 2.1.) colgono nel segno nella parte in cui denunciano l’adozione, da parte del legislatore ordinario del 1998-2000, di un’idea di giurisdizione esclusiva ancorata alla pura e semplice presenza, in un certo settore dell’ordinamento, di un rilevante pubblico interesse; un’idea – come osservano i rimettenti – che presuppone l’approvazione (mai avvenuta) di quel progetto di riforma (Atto Camera 7465 XIII Legislatura) dell’art. 103 Cost. secondo il quale «la giurisdizione amministrativa ha ad oggetto le controversie con la pubblica amministrazione nelle materie indicate dalla legge».
E’ evidente, viceversa, che il vigente art. 103, primo comma, Cost. non ha conferito al legislatore ordinario una assoluta ed incondizionata discrezionalità nell’attribuzione al giudice amministrativo di materie devolute alla sua giurisdizione esclusiva, ma gli ha conferito il potere di indicare “particolari materie” nelle quali “la tutela nei confronti della pubblica amministrazione” investe “anche” diritti soggettivi: un potere, quindi, del quale può dirsi, al negativo, che non è né assoluto né incondizionato, e del quale, in positivo, va detto che deve considerare la natura delle situazioni soggettive coinvolte, e non fondarsi esclusivamente sul dato, oggettivo, delle materie.
Tale necessario collegamento delle “materie” assoggettabili alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo con la natura delle situazioni soggettive – e cioè con il parametro adottato dal Costituente come ordinario discrimine tra le giurisdizioni ordinaria ed amministrativa – è espresso dall’art. 103 laddove statuisce che quelle materie devono essere “particolari” rispetto a quelle devolute alla giurisdizione generale di legittimità: e cioè devono partecipare della loro medesima natura, che è contrassegnata della circostanza che la pubblica amministrazione agisce come autorità nei confronti della quale è accordata tutela al cittadino davanti al giudice amministrativo.
Il legislatore ordinario ben può ampliare l’area della giurisdizione esclusiva purché lo faccia con riguardo a materie (in tal senso, particolari) che, in assenza di tale previsione, contemplerebbero pur sempre, in quanto vi opera la pubblica amministrazione-autorità, la giurisdizione generale di legittimità: con il che, da un lato, è escluso che la mera partecipazione della pubblica amministrazione al giudizio sia sufficiente perché si radichi la giurisdizione del giudice amministrativo (il quale davvero assumerebbe le sembianze di giudice “della” pubblica amministrazione: con violazione degli artt. 25 e 102, secondo comma, Cost.) e, dall’altro lato, è escluso che sia sufficiente il generico coinvolgimento di un pubblico interesse nella controversia perché questa possa essere devoluta al giudice amministrativo.
3.3.– E’ appena il caso di rilevare che, ove il legislatore ordinario si attenga ai criteri appena enunciati, si risolve in radice anche il problema che i rimettenti pongono con riguardo all’art. 111, settimo comma, Cost.: è sufficiente osservare, infatti, che è la stessa Carta costituzionale a prevedere che siano sottratte al vaglio di legittimità della Corte di cassazione le pronunce che investono i diritti soggettivi nei confronti dei quali, nel rispetto della “particolarità” della materia nel senso sopra (3.2) chiarito, il legislatore ordinario prevede la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
3.4.– Alla luce di tali criteri – desumibili dalla lettera delle norme nelle quali si è incarnata, nella Costituzione, la storia della giustizia amministrativa in Italia – la disciplina dettata dall’art. 7 della legge n. 205 del 2000, nella parte in cui sostituisce gli artt. 33 e 34 del d.lgs. n. 80 del 1998, non è conforme a Costituzione.
3.4.1.– Va premesso che la dichiarazione di incostituzionalità non investe in alcun modo – nonostante i rimettenti ne adducano il disposto a sostegno delle loro censure – l’art. 7 della legge n. 205 del 2000, nella parte in cui (lettera c) sostituisce l’art. 35 del d.lgs. n. 80 del 1998: il potere riconosciuto al giudice amministrativo di disporre, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto non costituisce sotto alcun profilo una nuova “materia” attribuita alla sua giurisdizione, bensì uno strumento di tutela ulteriore, rispetto a quello classico demolitorio (e/o conformativo), da utilizzare per rendere giustizia al cittadino nei confronti della pubblica amministrazione.
L’attribuzione di tale potere non soltanto appare conforme alla piena dignità di giudice riconosciuta dalla Costituzione al Consiglio di Stato (sub 3), ma anche, e soprattutto, essa affonda le sue radici nella previsione dell’art. 24 Cost., il quale, garantendo alle situazioni soggettive devolute alla giurisdizione amministrativa piena ed effettiva tutela, implica che il giudice sia munito di adeguati poteri; e certamente il superamento della regola (avvenuto, peraltro, sovente in via pretoria nelle ipotesi olim di giurisdizione esclusiva), che imponeva, ottenuta tutela davanti al giudice amministrativo, di adire il giudice ordinario, con i relativi gradi di giudizio, per vedersi riconosciuti i diritti patrimoniali consequenziali e l’eventuale risarcimento del danno (regola alla quale era ispirato anche l’art. 13 della legge 19 febbraio 1992, n. 142, che pure era di derivazione comunitaria), costituisce null’altro che attuazione del precetto di cui all’art. 24 Cost..
3.4.2.– La formulazione dell’art. 33 del d.lgs. n. 80 del 1998, quale recata dall’art. 7, comma 1, lettera a), della legge n. 205 del 2000, confligge con i criteri, quali si sono individuati sub 3.2. ai quali deve ispirarsi la legge ordinaria quando voglia riservare una “particolare materia” alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
Ed infatti, non soltanto (e non tanto) il riferimento ad una materia (i pubblici servizi) dai confini non compiutamente delimitati (se non in relazione all’ipotesi di concessione prevista fin dall’art. 5 della legge n. 1034 del 1971), quanto, e soprattutto, quello a “tutte le controversie” ricadenti in tale settore rende evidente che la “materia” così individuata prescinde del tutto dalla natura delle situazioni soggettive in essa coinvolte: sicché, inammissibilmente, la giurisdizione esclusiva si radica sul dato, puramente oggettivo, del normale coinvolgimento in tali controversie di quel generico pubblico interesse che è naturaliter presente nel settore dei pubblici servizi. Ma, in tal modo, viene a mancare il necessario rapporto di species a genus che l’art. 103 Cost. esige allorché contempla, come “particolari”, rispetto a quelle nelle quali la pubblica amministrazione agisce quale autorità, le materie devolvibili alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
Tale conclusione è avvalorata dalla circostanza che il comma 2 della norma individua esemplificativamente (“in particolare”) controversie, quale quella incardinata davanti al giudice a quo, nelle quali può essere del tutto assente ogni profilo riconducibile alla pubblica amministrazione-autorità: e certamente le ipotesi specificamente censurate (lettere b ed e) sono tali da non resistere al vaglio di costituzionalità in quanto non soltanto (come le altre contemplate dal comma 2) travolte dalla censura che investe la previsione di “tutte le controversie in materia di pubblici servizi”, ma anche perché, ex se, integrano ipotesi nelle quali tali controversie non vedono, normalmente, coinvolta la pubblica amministrazione-autorità.
La materia dei pubblici servizi può essere oggetto di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo se in essa la pubblica amministrazione agisce esercitando il suo potere autoritativo ovvero, attesa la facoltà, riconosciutale dalla legge, di adottare strumenti negoziali in sostituzione del potere autoritativo, se si vale di tale facoltà (la quale, tuttavia, presuppone l’esistenza del potere autoritativo: art. 11 della legge n. 241 del 1990): sicché, conclusivamente, va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 33, comma 1, nella parte in cui prevede che sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo «tutte le controversie in materia di pubblici servizi» anziché le controversie in materia di pubblici servizi relative a concessioni di pubblici servizi, escluse quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi (così come era previsto fin dall’art. 5 della legge n. 1034 del 1971), ovvero relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo disciplinato dalla legge n. 241 del 7 agosto 1990, ovvero ancora relative all’affidamento di un pubblico servizio, ed alla vigilanza e controllo nei confronti del gestore (così come era previsto dall’art. 33, comma 2, lettere c e d).
Va altresì dichiarata l’illegittimità costituzionale del comma 2 della norma in esame.
3.4.3.– Analoghi rilievi investono la nuova formulazione dell’art. 34 del d.lgs. n. 80 del 1998, quale recata dall’art. 7, comma 1, lettera b), della legge n. 205 del 2000: formulazione che si pone in contrasto con la Costituzione nella parte in cui, comprendendo nella giurisdizione esclusiva – oltre “gli atti e i provvedimenti” attraverso i quali le pubbliche amministrazioni (direttamente ovvero attraverso “soggetti alle stesse equiparati”) svolgono le loro funzioni pubblicistiche in materia urbanistica ed edilizia – anche “i comportamenti”, la estende a controversie nelle quali la pubblica amministrazione non esercita – nemmeno mediatamente, e cioè avvalendosi della facoltà di adottare strumenti intrinsecamente privatistici – alcun pubblico potere.
Poiché, mutatis mutandis, a tale previsione dell’art. 34, comma 1, del d.lgs. n. 80 del 1998 si attagliano le medesime considerazioni che si sono esposte (sub 3.4.2.) a proposito dell’art. 33, comma 1, deve dichiararsi l’illegittimità costituzionale dell’art. 34, comma 1, del d.lgs. n. 80 del 1998, come sostituito dall’art. 7, comma 1, lettera b), della legge n. 205 del 2000, nella parte in cui devolve alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi per oggetto «gli atti, i provvedimenti e i comportamenti» in luogo che «gli atti e i provvedimenti» delle amministrazioni pubbliche e dei soggetti alle stesse equiparati.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 33, comma 1, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80 (Nuove disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa, emanate in attuazione dell’articolo 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59), come sostituito dall’art. 7, lettera a, della legge 21 luglio 2000, n. 205 (Disposizioni in materia di giustizia amministrativa), nella parte in cui prevede che sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo «tutte le controversie in materia di pubblici servizi, ivi compresi quelli» anziché «le controversie in materia di pubblici servizi relative a concessioni di pubblici servizi, escluse quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi, ovvero relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo disciplinato dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, ovvero ancora relative all’affidamento di un pubblico servizio, ed alla vigilanza e controllo nei confronti del gestore, nonché»;
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 33, comma 2, del medesimo decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80, come sostituito dall’art. 7, lettera a, della legge 21 luglio 2000, n. 205;
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 34, comma 1, del medesimo decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80, come sostituito dall’art. 7, lettera b, della legge 21 luglio 2000, n. 205, nella parte in cui prevede che sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi per oggetto «gli atti, i provvedimenti e i comportamenti» anziché «gli atti e i provvedimenti» delle pubbliche amministrazioni e dei soggetti alle stesse equiparati, in materia urbanistica ed edilizia.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 luglio 2004.
Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente
Romano VACCARELLA, Redattore
Depositata in Cancelleria il 6 luglio 2004.
Consiglio
di Stato,
V Sezione,
Sentenza n. 1989 del 29 gennaio 2008
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. 1989/08 REG. DEC.
N. 7272 REG. RIC.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Quinta Sezione ANNO 2007
ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso iscritto al NRG 7272\2007, proposto dalla Regione Calabria, in persona del Presidente pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Paolo Falduto ed elettivamente domiciliato in Roma, via delle Milizie n. 19, presso lo studio dell’avvocato Aldo Casalinuovo;
contro
Sadel s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Alfredo Gualtieri e Mario Sanino, domiciliata presso quest’ultimo in Roma, viale Parioli n. 180;
Aie, s.r.l., Associazione Vivere Insieme Onlus, Medical Sport Center s.r.l., tutte non costituite;
e nei confronti di
Associazione Piccola Opera Papa Giovanni Onlus, Centro di Riabilitazione ANMIC, non costituite.
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Calabria, sede di Catanzaro, sezione II, n. 395 del 9 maggio 2007.
Visto il ricorso in appello;
visto l'atto di costituzione in giudizio della intimata società;
viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
visti gli atti tutti della causa;
data per letta alla pubblica udienza del 29 gennaio 2008 la relazione del consigliere Vito Poli, uditi gli avvocati Bisogno su delega dell’avvocato Falduto e L’avvocato Sanino;
ritenuto e considerato quanto segue:
FATTO e DIRITTO
1. La Regione Calabria, dopo una complessa attività istruttoria e nel dichiarato rispetto degli standard organizzativi già definiti con la deliberazione n. 3137 del 7 luglio 1999, ha determinato gli importi delle tariffe da corrispondere ai Centri di riabilitazione estensiva extraospedaliera ed ha in parte modificato tali standard (cfr. deliberazione della Giunta regionale n. 332 del 6 maggio 2006 ed allegato Documento Programmatico per le Attività di Riabilitazione Estensiva).
2. La società odierna appellata – che gestisce centri di riabilitazione estensiva in Calabria – ha impugnato (unitamente ad altri enti) davanti al T.a.r. locale la deliberazione n. 332/2006 articolando una pluralità di motivi imperniati su vari profili di eccesso di potere per illogicità, travisamento dei fatti, erroneità dei presupposti, violazione della precedente delibera di giunta regionale n. 3137/1999 nella parte in cui stabilisce requisiti e procedure per l’accreditamento delle strutture eroganti prestazioni di riabilitazione.
3. L’impugnata sentenza, dopo aver respinto l’eccezione di inammissibilità del ricorso (capo non impugnato dalla Regione), ha annullato la deliberazione n. 332/2006 riconoscendo tre gravi incongruità nel procedimento logico di determinazioni delle rette.
a) In primo luogo è stata evidenziata l’erroneità della scelta dell’amministrazione di porre a base delle operazioni contabili il costo del lavoro quale risultante, non dai CCNL vigenti nel periodo 2002 – 2005, ma di quelli antecedenti, seppure rivalutando i relativi importi.
b) Quindi è stata censurata l’illogicità della scelta, compiuta in sede di determinazione della base di calcolo dell’utile riconoscibile a titolo di remunerazione del rischio d’impresa, di azzerare totalmente il margine di utile ritraibile dal costo del lavoro, a fronte del riconoscimento di una remunerazione dell’alea (pari all’8%) esclusivamente sui costi generali.
c) Infine, è stata ritenuta viziata da disparità di trattamento la determinazione delle rette nella fase transitoria (ovvero nell’anno di tempo accordato a tutti i centri di riabilitazione per adeguarsi ai nuovi standard organizzativi e tecnologici individuati), avuto riguardo alle tariffe a suo tempo fissate dalla Regione - con delibera n. 5599 del 1997 – per i servizi prestati dai vecchi enti convenzionati ex art. 26, l. n. 833 del 1979 che, a differenza delle società ricorrenti, non si erano mai uniformati ai severi parametri qualitativi previsti dalla già menzionata delibera n. 3137 del 1999.
4. Con ricorso ritualmente notificato e depositato, la Regione Calabria ha interposto appello avverso la su menzionata sentenza del T.a.r. confutandone le argomentazioni poste a base dell’annullamento del provvedimento impugnato; in particolare ha lamentato – cfr. anche la memoria conclusionale del 13 dicembre 2007 – che il primo giudice avrebbe messo in discussione la potestà dell’amministrazione di rivedere l’organizzazione del servizio di riabilitazione, onde conseguire i doverosi ed imprescindibili risparmi di spesa.
5. Si è costituita l’intimata società deducendo l'infondatezza del gravame in fatto e diritto, senza per altro richiedere espressamente a questo Consiglio l’esame dei motivi assorbiti in prime cure.
6. Nelle more della trattazione dell’incidente cautelare è sopravvenuta la l.r. 5 ottobre 2007 n. 22, il cui art. 10 stabilisce che <<per far fronte ai maggiori costi derivanti dagli intervenuti rinnovi dei CCNL di categoria e dei maggiori costi della vita secondo gli indici annuali ISTAT …… per le case Protette, i centri di riabilitazione estensiva e per i servizi Said, le rette attualmente corrisposte sono aumentate in misura del 15%, in via provvisoria e con decorrenza 01.10.2006. Entro 45 giorni dall’entrata in vigore della presente legge, i valori su indicati saranno oggetto di verifica tra le parti e le risultanze della verifica saranno trasmesse alla Presidenza del Consiglio Regionale per le definitive determinazioni>>.
Con ordinanza del 26 ottobre 2007 la sezione ha respinto la domanda di sospensione degli effetti dell’impugnata sentenza, preso atto del contenuto del menzionato art. 10 e della conseguente sopravvenuta carenza di interesse alla richiesta cautelare.
La causa è passata in decisione all’udienza pubblica del 29 gennaio 2008.
7. L’appello è infondato e deve essere respinto.
7.1. Per meglio inquadrare il thema decidendum della presente controversia e rispondere ai rilievi sollevati dalla difesa regionale circa l’inopinata compressione, ad opera dell’impugnata sentenza, dei poteri di riduzione della spesa sanitaria, giova ricostruire sinteticamente il micro sistema di riferimento.
Il d.lgs. 30 dicembre 1992 n. 502 ha disegnato un sistema volto a garantire il necessario controllo della spesa sanitaria mediante lo strumento di pianificazione della stessa. L’obbligo di pianificazione è da considerarsi un principio valente oggi per tutti i soggetti, pubblici e privati, operanti all’interno del sistema sanitario.
Da un simile principio discende che i rapporti fra tali soggetti e le aziende sanitarie sono regolati dal meccanismo del c.d. accreditamento istituzionale, fondato sulla modalità di pagamento a prestazione e sull’adozione del sistema di verifica della qualità delle attività svolte ed erogate dai soggetti accreditati.
Nell’originario assetto del sistema sanitario, l’accreditamento era concepito come un vero e proprio diritto riconosciuto ad ogni struttura in possesso dei requisiti rispondenti ai criteri fissati nell’atto d’indirizzo e coordinamento, adottato secondo i dettami di cui all’art. 8, 4° comma, d.lgs. n. 502 del 1992. A fronte di un simile diritto, pertanto, doveva ritenersi che la discrezionalità dell’amministrazione assumeva un valore di carattere tecnico, rinvenibile nell’attività di controllo sulla sussistenza o meno dei requisiti di legge, prescritti in modo vincolato.
Tuttavia, il d.p.r. 14 gennaio 1997 ( atto di indirizzo e coordinamento in materia di requisiti strutturali tecnologici e organizzativi per l’esercizio di attività sanitarie da parte delle strutture pubbliche e private. Gazz.Uff. 20 febbraio 1997 n. 42
Supp.ord.)ha successivamente individuato in modo preciso la funzione teleologica dell’accreditamento la quale deve risultare «funzionale alle scelte di programmazione regionale». A tale stregua, deve ritenersi che l’accreditamento non debba più essere considerato un diritto, posto che il d.p.r. citato ha definito un assetto caratterizzato da limiti in ordine all’adozione dei provvedimenti richiesti per il passaggio all’accreditamento, limiti riconducibili ad un’accresciuta capacità discrezionale dell’amministrazione, capacità che, a sua volta, non è più esclusivamente fondata su mere argomentazioni tecniche (cfr. Cons. Stato, Ad.Plen. 2 maggio 2006, n. 8).
Infatti, la regione — tenuta ad individuare, per il tramite della programmazione, la quantità di prestazioni erogabili nel rispetto di un tetto di spesa massimo — può accreditare nuove strutture solo se sussiste un effettivo fabbisogno assistenziale (art. 8 quater, d.lgs. n. 502 del 1992 introdotto dall’art. 4, comma 8, d.lgs. 19 giugno 1999 n.229). Quindi, l’accreditamento assume i caratteri tipici di un atto attributivo di compiti pubblici e di natura discrezionale in quanto manifestazione di un potere che trova i suoi presupposti logico-giuridici, oltre che nell’effettivo fabbisogno assistenziale, quale risulta in concreto dal disposto del piano sanitario regionale, anche nell’ineludibile esigenza di controllo della spesa sanitaria nazionale.
Nell’ambito di un simile quadro organizzativo la posizione soggettiva del privato, per essere destinata a soccombere innanzi all’interesse pubblico all’efficacia-efficienza del sistema sanitario, si configura come interesse legittimo, anziché come diritto soggettivo, col risultato che le relative controversie devono essere devolute alla giurisdizione amministrativa esclusiva.
In quest’ottica si è fatto rientrare nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo il contenzioso avente ad oggetto il mancato adeguamento delle rette presso una struttura privata accreditata con il servizio sanitario nazionale, essendo il suddetto adeguamento rimesso ad una valutazione discrezionale della giunta regionale, tenendo conto della tipologia della struttura (cfr. Cons. Stato, sez. V, ord. 8 febbraio 2005, n. 708).
Il nuovo regime dell’accreditamento di cui gli art. 8, 8bis e 8 quater d.legs. 502/92 ha sostituito quello preesistente convenzionale, ma non ha modificato la natura del rapporto esistente tra la struttura privata e l’ente pubblico preposto all’attività sanitaria, il quale era e resta di natura concessoria (con la particolarità, rispetto al regime giuridico preesistente, consistente nel fatto che nel nuovo sistema si è in presenza di concessioni ex lege di attività di servizio pubblico, di tal che la disciplina di queste convenzioni è dettata in via generale dalla legge, pur con rinvii integrativi a norme di secondo grado o regionali).
Come accennato in precedenza, è stato inoltre rafforzato sia il potere di programmazione delle regioni, sia il potere di vigilanza e di controllo delle stesse sull’espletamento dell’attività concessa alle istituzioni sanitarie di carattere privato (cfr. Cass., sez. un., 23 dicembre 2005, n. 28501; 8 luglio 2005, n. 14335).
Il nuovo regime derivante dall’entrata in vigore del d.leg. 502/1992 con modalità di pagamento a prestazione, è ispirato, in tale ambito, al principio della libera scelta e può trovare applicazione solo dopo la determinazione da parte della regione, in conformità ai criteri generali stabiliti in sede ministeriale, delle tariffe di remunerazione delle prestazioni sanitarie erogate (cfr. Cass. 29 aprile 2005, n. 8984).
Le strutture sanitarie private hanno diritto al pagamento delle prestazioni erogate agli assistiti del servizio sanitario nazionale ove siano in possesso dei requisiti di legge per ottenere l’accreditamento provvisorio all’assistenza sanitaria regionale ed abbiano accettato il sistema della remunerazione a prestazione sulla base delle tariffe fissate dalle aziende sanitarie (cfr. Cass., sez. III, 27 giugno 2006, n. 14758).
L’amministrazione, nel fissare i tetti di remunerazione delle prestazioni erogate, deve osservare i principi di correttezza e trasparenza enunciati dall’art. 1175 c.c. ; conseguentemente, ancorché il sistema di remunerazione a tariffa predeterminata sia accettato espressamente dai soggetti erogatori, è altrettanto vero che tale accettazione non preclude di contestare i criteri e le modalità di determinazione delle tariffe (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 13 luglio 2000, n. 3910, relativa a fattispecie ove si lamentava il discostarsi della regione dai criteri fissati in sede ministeriale).
Fatte salve le su illustrate condizioni minime di tutela degli operatori privati, l’importanza dell’obbiettivo della riduzione della spesa sanitaria è tale:
a) da giustificare anche la regressione del rimborso tariffario per le prestazioni sanitarie che eccedono il tetto massimo; tale meccanismo, costituendo espressione del potere autoritativo affidato alle regioni in materia, trova giustificazione concorrente nella possibilità che le imprese fruiscano di economie di scala e che effettuino opportune programmazioni delle rispettive attività (cfr. Corte cost., 6 luglio 2007, n. 257; Cons. Stato, sez. V, 29 maggio 2006, n. 3239, che precisa che tale meccanismo vale anche se non contemplato in modo espresso da alcuna legge, purché non si applichi a rapporti esauriti o prestazioni già erogate);
b) da rendere legittimo, in materia di determinazione delle tariffe, che le regioni procedano a classificare le strutture erogatrici in distinte categorie ai soli fini tariffari, ai sensi del dd.mm. 14 febbraio 1994 e 30 giugno 1997, e non anche per la differenziazione delle prestazioni erogabili, atteso che la diversa complessità strutturale ed organizzativa dei soggetti erogatori determina consistenti differenze di costi di produzione, dei quali occorre tenere conto ai fini della determinazione del corrispettivo dovuto ai singoli erogatori (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 16 marzo 2001, n. 1570);
c) parimenti legittimo è stato ritenuto l’aggiornamento dei sistemi di remunerazione disposto dal d.m. 21 novembre 2005 in assenza della materiale introduzione a regime del nuovo assetto determinativo delle tariffe (cfr. Cons. Stato, sez. V, 23 gennaio 2007, n. 190); la decisione regionale di determinare in misura ridotta le tariffe rispetto a quelle ministeriali che rappresentano solo il tetto massimo (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 7 marzo 2001, n. 1317); la tardività della determinazione dei tetti di spesa (cfr. ad. plen. n. 8 del 2006 cit.).
Per quanto concerne i tetti della spesa sanitaria, si rammenta, in conclusione, che la giurisprudenza distingue fra delibere regionali che stabiliscano i tetti per i soggetti accreditati - atti plurimi - e delibere regionali che stabiliscano i criteri di abbattimento della spesa - atti generali – (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 6 ottobre 2003, n. 5848, 13 luglio 2000, n. 3920); e che il soggetto accreditato, a differenza delle strutture pubbliche, non ha l’obbligo di rendere le prestazioni agli assistiti oltre il tetto preventivato (cfr. Cons. Stato, sez. V, 30 aprile 2003, n. 2253, secondo cui le censure dirette ad eliminare il tetto di spesa sono infondate, ma in in astratto il soggetto accreditato può ritenersi legittimato, sotto il profilo dell’interesse ad agire, a contestare la limitazione in sé considerata).
7.2. Con il primo mezzo la Regione deduce la legittimità della deliberazione n. 332/2006 nella parte in cui si è limitata a rivalutare gli importi del costo della manodopera individuati dal CCNL non più vigente al momento della sua emanazione, senza considerare quelli derivanti dal CCNL vigente.
Il mezzo è infondato.
E’ palese l’arbitrarietà della scelta dell’amministrazione di elaborare le nuove rette prendendo a base di calcolo il costo del lavoro quale risulta da un CCNL scaduto e sostituito da quello successivo.
Come esattamente affermato dal primo giudice, la rivalutazione degli importi indicati nel precedente CCNL (scaduto nel 2001) non garantisce la genuinità della base di calcolo matematico.
Del resto, che tale approccio metodologico non sia sostenibile è confermato dalla stessa Regione che, successivamente all’emanazione dell’impugnata sentenza, ha introdotto la norma sancita dal più volte menzionato art. 10, l. n. 22 del 2007.
7.3. Parimenti infondato è il secondo mezzo che difende la scelta di considerare il costo del lavoro esclusivamente in termini di costo fisso da ammettere al solo rimborso integrale, azzerando qualsiasi previsione di utile di impresa ritraibile a titolo di remunerazione del costo stesso, sulla scorta di due argomenti:
a) il rischio d’impresa è assente in un segmento di mercato chiuso, come quello dove operano i centri di riabilitazione accreditati che vi accedono senza gara;
b) le imprese già fruiscono di benefici fiscali e contributivi riconosciuti dalla legislazione statale per incrementare l’occupazione, sicché sarebbe legittimo, al fine del doveroso contenimento della spesa regionale sanitaria, eliminare le previsioni di utile ritraibile su tale fattore di produzione.
Il mezzo, come già precisato sopra, è infondato.
E’ notorio che l’utile d’impresa costituisce una percentuale di tutte le voci di costo complessivamente considerate.
Il costo del lavoro, pur con le rigidità scaturenti dall’obbligo di rispettare i minimi fissati nei CCNL, costituisce oggetto di politiche imprenditoriali (ad es. in termini di maggior investimento per il reclutamento di personale più specializzato, o più esperto già in servizio presso centri concorrenti), che possono essere effettuate anche in un mercato ristretto e che comportano margini di rischio magari assai ridotti ma non del tutto inesistenti.
In quest’ottica non può parimenti considerarsi decisiva la presenza di incentivi statali per la stabilizzazione e l’incremento dell’occupazione.
Quanto al conseguimento del doveroso obbiettivo di contenimento della spesa sanitaria, esso deve essere raggiunto attraverso strumenti non abnormi o irrazionali; nel caso di specie sarebbe legittimo un drastico abbattimento dei margini di utile, per questo fattore di produzione, ma non il suo totale azzeramento.
7.4. Miglior sorte non tocca all’ultimo mezzo di gravame.
Nella delibera n. 332/2006 si stabilisce:
- una tariffa a regime per i centri di riabilitazione extraospedaliera accreditati che si siano adeguati ai requisiti organizzativi fissati dalla delibera n. 3137/1999 ed a quelli ulteriori divisati dalla tabella allegata alla delibera n. 332/1996;
- una tariffa diversa ed inferiore, per la fase transitoria (di un anno) concessa alle <<… strutture di riabilitazione estensiva accreditate … >> per adeguarsi ai nuovi standard, individuata per relationem mercè il rinvio alle rette contemplate nella delibera n. 5599/1997 in favore dei centri convenzionati ex art. 26, l. n. 833 del 1979 (ovvero i più antichi centri eroganti servizi di riabilitazione, prima dell’individuazione dei nuovi requisiti previsti dalla delibera n. 3137/1999 per i soggetti accreditati).
Orbene è pacifico (perché riconosciuto dalla stessa Regione a pagina 10 dell’atto di gravame), che i centri ricorrenti siano stati tutti accreditati in quanto organizzati secondo i parametri tecnologici e di efficienza previsti dalla delibera n. 3137/1999.
L’impugnata sentenza si è limitata a ritenere viziata la delibera oggetto del presente giudizio nella parte in cui, in modo del tutto generico e discriminatorio, sembra aver imposto una fase transitoria a tutte le imprese accreditate, senza differenziare, quanto alla tariffazione, la posizione dei centri ricorrenti (tutti già adeguati quantomeno ai parametri richiesti dalla delibera n. n. 3137/1999), rispetto a quella dei vecchi centri convenzionati che non avevano compiuto gli ingenti investimenti sostenuti per raggiungere i più alti livelli imposti dal sistema dell’accreditamento.
Contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante, il T.a.r. non ha mai affermato, correttamente (giusta quanto osservato al precedente n. 7.1.) e nonostante la specifica richiesta sollevata dai centri ricorrenti, che questi ultimi potessero beneficiare delle migliori tariffe previste per le prestazioni di riabilitazione svolte in ambiente ospedaliero (di cui al decreto dirigenziale n. 4 del 2000).
Sotto questa angolazione il motivo di appello si rileva oltre ché infondato anche inammissibile non essendosi verificata, sul punto specifico, soccombenza dell’amministrazione.
8. Sulla scorta delle rassegnate conclusioni l’appello deve essere respinto ed integralmente confermata l’impugnata sentenza.
Stante la novità e complessità delle questioni affrontate, il collegio stima equo compensare fra tutte le parti costituite le spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione quinta), definitivamente pronunciando sul ricorso meglio specificato in epigrafe:
- respinge l’appello e per l’effetto conferma la sentenza impugnata;
- dichiara integralmente compensate fra le parti le spese del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 29 gennaio 2008, con la partecipazione di:
Raffaele Iannotta - Presidente
Cesare Lamberti - Consigliere
Claudio Marchitiello - Consigliere
Vito Poli Rel. Estensore - Consigliere
Nicola Russo - Consigliere
ESTENSORE IL PRESIDENTE
f.to Vito Poli f.to Raffaele Iannotta
[1] Corte Costituzionale, sentenza n. 204 del 6 luglio 2004.
[2] Consiglio di Stato, V Sezione, sentenza n. 1989 del 29 gennaio 2008.
[3] D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell'articolo 1 della L. 23 ottobre 1992, n. 421.
[4] D.Lgs. 19 giugno 1999, n. 229, Norme per la razionalizzazione del Servizio sanitario nazionale, a norma dell'articolo 1 della L. 30 novembre 1998, n. 419.
[5] D.P.R. 14 gennaio 1997, Approvazione dell'atto di indirizzo e coordinamento alle regioni e alle province autonome di Trento e di Bolzano, in materia di requisiti strutturali, tecnologici ed organizzativi minimi per l'esercizio delle attività sanitarie da parte delle strutture pubbliche e private. Il D.P.R. 14 gennaio 1997 definisce i requisiti minimi strutturali, organizzativi, tecnologici per l’esercizio delle attività sanitarie (autorizzazione). Riconosce alle Regioni la competenza a definire procedure, modalità e tempi di verifica, soggetti verificatori, durata dell’autorizzazione. Le strutture di nuova realizzazione devono da subito attenersi ai requisiti specificati, così pure quelle che attuano ampliamenti o modifiche. Le altre strutture devono adeguarsi nei termini indicati dalle Regioni, entro un massimo di cinque anni. I termini sono decorsi dalla entrata in vigore delle leggi regionali di attuazione dello stesso DPR . Infine il D.P.R. 14 gennaio 1997 indica in maniera chiara che l’accreditamento si basa su requisiti ulteriori definiti dalle Regioni.
[6] Age.na.s, Fattori/criteri di qualità delle organizzazioni sanitarie da condividere nei sistemi di autorizzazione/accreditamento delle Regioni e da adottare a livello nazionale, come elementi di garanzia del sistema delle cure, febbraio 2011
[7] D.Lgs. 7 dicembre 1993, n. 517, Modificazioni al D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, recante riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell'art. 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421.
[8] L. 23 dicembre 1994, n. 724, Misure di razionalizzazione della finanza pubblica.
[9] L. 28 dicembre 1995, n. 549, Misure di razionalizzazione della finanza pubblica.
[10] L. 23 dicembre 1996, n. 662, Misure di razionalizzazione della finanza pubblica.
[11] Conseguentemente, la Regione può definire il fabbisogno di attività e l’eventuale volume di attività superiore da ammettere per l’accreditamento delle strutture, può avviare il sistema dell’accreditamento definitivo, confermare o meno i transitori accreditamenti delle strutture private ex legge 724/94 in forma provvisoria o definitiva nonché trasmettere il provvedimento di ricognizione al Comitato per la verifica dei LEA di cui all’Intesa Stato-Regioni del 23 marzo 2005.
[12] D.L. 25 giugno 2008, n. 112, Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria, Convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, L. 6 agosto 2008, n. 133
[13] Consiglio Di Stato - Sezione V , sentenza n. 1252 del 28 febbraio 2011.
[14] Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria
[15] In caso di sforamento, la regressione tariffaria riduce il prezzo unitario di tutte le prestazioni rese, in modo da garantire il rispetto integrale del tetto di spesa.
[16] Fonte: Morandi I., Pieroni E., Giuliani F., Cislaghi C., Criticità delle tariffe nel SSN, CONVEGNO annuale dell'AIES "I primi 30 anni del Servizio sanitario nazionale e il contributo dell’economia sanitaria", Matera, 9-10 ottobre 2008.