Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento istituzioni
Titolo: Norme in materia di conflitti di interessi - A.C. 442 e abb. - Schede di lettura
Riferimenti:
AC N. 442/XVI   AC N. 1915/XVI
AC N. 2664/XVI   AC N. 2668/XVI
AC N. 4874/XVI     
Serie: Progetti di legge    Numero: 673
Data: 06/08/2012
Organi della Camera: I-Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni

 

Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di
Progetti di legge

Norme in materia di conflitti di interessi

A.C. 442 e abb.

Schede di lettura

 

 

 

 

 

 

n. 673

 

 

 

6 agosto 2012

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Istituzioni

( 066760-9475 / 066760-3855 – * st_istituzioni@camera.it

 

 

 

 

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File: ac0864.doc

 


INDICE

Schede di lettura

Il quadro normativo                                                                                           3

§      L’attività parlamentare nelle passate legislature                                             3

§      La legge n. 215 del 2004                                                                                 5

Le proposte di legge in esame                                                                      17

Attività parlamentare

§      I Commissione Affari costituzionali                                                                  

-       Audizione del Presidente dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, professor Giovanni Pitruzzella, sullo stato delle attività di controllo e vigilanza in materia di conflitti di interessi

Seduta del 29 marzo 2012                                                                       29

-       Audizione del Presidente dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, dottor Corrado Calabrò, sullo stato delle attività di controllo e vigilanza in materia di conflitti di interessi

Seduta del 4 aprile 2012                                                                           41

 

 


 

Schede di lettura

 


Il quadro normativo

L’attività parlamentare nelle passate legislature

La questione dei conflitti di interessi ha trovato una definizione legislativa nel nostro ordinamento per la prima volta nella XIV legislatura, con l’approvazione della L. 215/2004[1].

Il tentativo di disciplinare la materia, infatti, era già stato affrontato nelle precedenti due legislature senza alcun esito legislativo, nonostante l’iter parlamentare fosse giunto, in entrambi casi, a un’avanzata fase della deliberazione.

Nel corso della XV legislatura è stata risollevata in ambito parlamentare la questione dei conflitti di interessi in occasione dell’esame di una proposta di legge (non approvata) di riforma della legge del 2004.

XII legislatura

Con D.P.C.M. 12 maggio 1994 il Presidente del Consiglio pro tempore Berlusconi costituisce un Comitato di esperti con il compito di studiare gli aggiornamenti e le integrazioni della legislazione vigente allo scopo di evitare qualsiasi ipotesi di commistione di interessi pubblici e privati in chi ricopre cariche di Governo.

Nel settembre 1994 il Comitato presenta un documento conclusivo, recante uno schema di articolato successivamente formalizzato dal Governo in un disegno di legge (A.S. 1082) presentato al Senato.

Approvato il 13 luglio 1995 in un testo unificato con gli abbinati disegni di legge d’iniziativa parlamentare, il disegno di legge viene trasmesso alla Camera, che non ne inizia l’esame.

XIII legislatura

Il 22 aprile 1998 la Camera approva, a larghissima maggioranza, il testo unificato (A.C. 1236 ed abb.) di quattro proposte di legge di iniziativa parlamentare. Tra queste, la proposta di legge A.C. 3612 (d’iniziativa del deputato Veltri) riproponeva in larga misura i contenuti del testo unificato approvato in prima lettura dal Senato nella precedente legislatura, e la proposta di legge A.C. 4410 (on. Berlusconi ed altri) riproduceva, con alcune modifiche, il disegno di legge presentato dallo stesso Berlusconi nella XII legislatura[2].

Al Senato il testo proveniente dalla Camera è esaminato (A.S. 3236) congiuntamente ad altre due proposte parlamentari[3], nel corso di un iter a più riprese interrotto, fino alla sua approvazione, con modificazioni, il 27 febbraio 2001, in una situazione di forte divaricazione tra maggioranza e opposizione. La Camera non ne riprende l’esame per il sopraggiunto scioglimento anticipato[4].

XIV legislatura

La L. 215/2004 prende le mosse da un’iniziativa governativa (A.C. 1707) presentata alla Camera il 4 ottobre 2001.

Al disegno di legge governativo sono abbinate, durante l’esame in sede referente presso la Commissione affari costituzionali, le proposte di iniziativa parlamentare A.C. 210 (on. Piscitello), A.C. 1865 (on. Bressa ed altri), A.C. 2148 (on. Soda), A.C. 2191 (on. Bertinotti ed altri) e A.C. 2214 (on. Rutelli ed altri).

Nel corso dell’esame, la I Commissione svolge, nelle sedute del 28 e 29 gennaio 2002, alcune audizioni volte ad approfondire le problematiche inerenti la disciplina per la risoluzione dei conflitti di interessi.

Accanto alla relazione di maggioranza, presentata dalla I Commissione il 22 febbraio 2002 sul testo licenziato per l’Assemblea (A.C. 1707-A), vengono presentate due relazioni di minoranza (A.C. 1707-A-bis ed A.C. 1707-A-ter).

L’articolato, approvato dall’Assemblea della Camera il 28 febbraio 2002, è trasmesso al Senato (A.S. 1206); ad esso sono abbinati sette disegni di legge di iniziativa parlamentare[5]. La 1ª Commissione del Senato ha presentato, il 18 giugno 2002, una relazione di maggioranza (A.S. 1206-A) ed una di minoranza (A.S. 1206-A-bis).

L’Assemblea del Senato approva il disegno di legge, con modificazioni, nella seduta del 4 luglio 2002.

Il disegno di legge è dunque nuovamente approvato dalla Camera dei deputati, con ulteriori modifiche relative alle sole modalità di copertura finanziaria, il 22 luglio 2003 (A.C. 1707-B). Nel successivo passaggio al Senato, giunto a conclusione il 10 marzo 2004, viene approvata una modifica che richiede un’ulteriore trasmissione alla Camera, ove il testo (A.C. 1707-D) è definitivamente approvato il 13 luglio 2004[6].

Pubblicata nella Gazzetta ufficiale n. 193 del 18 agosto 2004, la L. 215/2004 è entrata in vigore il quindicesimo giorno successivo.

XV legislatura

Il 13 settembre 2006 la I Commissione (Affari costituzionali) della Camera ha avviato l’esame in sede referente di una proposta di legge (A.C. 1318, on. Franceschini ed altri) intesa a sostituire integralmente la disciplina recata dalla L. 215/2004[7].

L’esame impegnava la Commissione per numerose sedute, nel corso delle quali si procedeva, tra l’altro, all’audizione dei presidenti dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni[8] e della Commissione nazionale per le società e la borsa[9] nonché, nell’ambito di un’apposita indagine conoscitiva, all’audizione di esperti in materia di diritto costituzionale, diritto societario, diritto tributario e delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione[10].

Nella seduta dell’11 maggio 2007 la Commissione dava mandato al relatore (il Presidente on. Violante) di riferire favorevolmente all’Assemblea su un testo notevolmente modificato ed ampliato rispetto a quello iniziale.

Il 15 maggio iniziava la discussione in Assemblea sulla proposta di legge, con la discussione sulle linee generali e (il giorno successivo) l’esame di varie questioni pregiudiziali e di una sospensiva. L’Assemblea passava quindi (nella seduta dell’11 luglio) all’esame degli articoli, che tuttavia non proseguiva in sedute successive prima della fine anticipata della legislatura.

Il testo elaborato dalla commissione reca una serie di incompatibilità generali tra la carica di governo ad altri incarichi o attività e pone l’obbligo di opzione per coloro che incorrono in tali incompatibilità.

Viene poi introdotta una particolare forma di incompatibilità patrimoniale e viene istituita una autorità indipendente con compiti di prevenzione dei conflitti di interesse.

La legge n. 215 del 2004

Composta da dieci articoli, la legge 20 luglio 2004 n. 215 affronta il tema dei conflitti di interessi che possono riguardare determinati titolari di incarichi pubblici i quali siano, al contempo, titolari di attività economiche di rilevante portata.

Ambito di applicazione

Preliminarmente, la legge individua (articolo 1) i destinatari della disciplina nei “titolari di cariche di Governo”, nel cui ambito sono ricompresi (comma 2):

§         il Presidente del Consiglio dei ministri,

§         i ministri,

§         i vice ministri,

§         i sottosegretari di Stato,

§         i commissari straordinari del Governo.

 

L’art. 10, co. 3, della L. 400/1988[11] dispone che a non più di dieci sottosegretari di Stato può essere attribuito il titolo di vice ministro, se ad essi sono conferite deleghe relative ad aree o progetti di competenza di una o più strutture dipartimentali ovvero di più direzioni generali. In tale caso la delega, conferita dal ministro competente, è approvata dal Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente del Consiglio.

Ai sensi dell’art. 11 della medesima legge, possono essere nominati commissari straordinari del Governo al fine di realizzare specifici obiettivi determinati in relazione a programmi o indirizzi deliberati dal Parlamento o dal Consiglio dei ministri o per particolari e temporanee esigenze di coordinamento operativo tra amministrazioni statali. La nomina è disposta con D.P.R. su proposta del Presidente del Consiglio, previa deliberazione del Consiglio dei ministri. Del conferimento dell'incarico è data immediata comunicazione al Parlamento e notizia nella Gazzetta ufficiale. Sull'attività del commissario straordinario riferisce al Parlamento il Presidente del Consiglio o un ministro delegato.

 

Inoltre, le disposizioni in materia di conflitto di interessi di cui alla L. 215/2004 si applicano, in quanto compatibili, anche ai componenti della Commissione tecnica consultiva rappresentativa delle categorie operanti nel settore della stampa e dell'editoria, di cui all’art. 54 della L. 416/1981, secondo quanto disposto dall’art. 2, comma 8, del decreto-legge n. 63/2012[12].

 

La legge impone a tali soggetti di dedicarsi esclusivamente alla cura degli interessi pubblici e di astenersi dal compimento di atti – inclusa la partecipazione a deliberazioni collegiali – “in situazione di conflitto di interessi” (comma 1).

La definizione di conflitto di interessi, ai fini dell’individuazione degli atti dai quali è obbligatorio astenersi, è resa dal successivo art. 3 (v. infra).

Ai sensi del comma 3, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano adottano disposizioni idonee ad assicurare il rispetto del principio di cui al comma 1.

Incompatibilità

La disciplina delle incompatibilità è recata dall’articolo 2, in cui sono elencate le cariche, gli uffici e le attività la cui titolarità o il cui esercizio risulta incompatibile con la titolarità di cariche di Governo. La disposizione colma una lacuna dell’ordinamento che, a livello nazionale, prevedeva cause di incompatibilità per i soli parlamentari ma non anche per i componenti del Governo.

L’incompatibilità riguarda:

§      ogni carica o ufficio pubblico, ad eccezione delle cariche o uffici inerenti alle funzioni svolte dal soggetto in quanto titolare di cariche di Governo; del mandato parlamentare; delle cariche che risultano compatibili con il mandato parlamentare ai sensi dell’art. 1, secondo comma, della L. 60/1953[13];

§         cariche, uffici o funzioni in enti di diritto pubblico, anche economici;

§         cariche, uffici, funzioni o compiti di gestione in società aventi fini di lucro o in attività di rilievo imprenditoriale, o in associazioni o società tra professionisti. L’imprenditore individuale provvede a nominare uno o più institori, ai sensi del codice civile[14];

§         l’esercizio di attività professionali o di lavoro autonomo in materie connesse con la carica di Governo;

§         l’esercizio di qualsiasi tipo di impiego o lavoro sia pubblico, sia privato.

 

Il decreto-legge 138/2011[15] ha ampliato (senza modificare testualmente la legge 215) il novero delle incompatibilità delle cariche di governo comprendendovi qualsiasi altra carica pubblica elettiva di natura monocratica (in pratica sindaci e presidenti di provincia) relativa ad organi di governo di enti pubblici territoriali aventi, popolazione superiore a 5.000 abitanti. Le incompatibilità si applicano a decorrere dalla prossima legislatura.

 

Nel testo originario la legge 215 prevedeva anche l’incompatibilità tra le cariche di Governo e quella di amministratore locale. Per effetto della successiva L. 88/2005[16], di conversione del D.L. 44/2005, tale incompatibilità è venuta meno: l’art. 3-ter del decreto, introdotto in sede di conversione, novella infatti il comma 1, lett. a) dell’art. 2 per aggiungere alle eccezioni ivi elencate quella relativa alla carica di amministratore di enti locali, come definita dall’art. 77, co. 2, del Testo unico sugli enti locali[17].

Tale disposizione individua come segue gli amministratori degli enti locali:

-         i sindaci, anche metropolitani, e i presidenti delle province;

-         i consiglieri dei comuni anche metropolitani e delle province;

-         i componenti delle giunte comunali, metropolitane e provinciali;

-         i presidenti dei consigli comunali, metropolitani e provinciali;

-         i presidenti, i consiglieri e gli assessori delle comunità montane;

-         i componenti degli organi delle unioni di comuni e dei consorzi fra enti locali;

-         i componenti degli organi di decentramento.

 

Gli incarichi e le funzioni incompatibili cessano con effetto dalla data del giuramento relativo agli incarichi di Governo e comunque dalla data di effettiva assunzione delle cariche.

 

Dal tenore letterale della norma parrebbe configurarsi una cessazione ipso iure degli incarichi, uffici o funzioni; si segnala tuttavia che il successivo articolo 6 sembra invece richiedere o presupporre un apposito atto, prevedendo che sia l’Autorità garante della concorrenza e del mercato a promuovere, presso gli enti o organismi competenti, la rimozione o la decadenza dalla carica o dall’ufficio.

 

Dagli incarichi e funzioni incompatibili non può derivare, per tutta la durata della carica di Governo, alcuna forma di retribuzione o vantaggio per il titolare. Dopo il termine dell’incarico di Governo, l’incompatibilità sussiste per ulteriori dodici mesi nei confronti di cariche in enti di diritto pubblico e in società con fini di lucro che operano in settori connessi con la carica ricoperta. Quanto ai rapporti d’impiego o di lavoro pubblico o privato, è previsto il collocamento in aspettativa (o analoga posizione prevista dai rispettivi ordinamenti).

Definizione di conflitto di interessi

La legge individua quindi le situazioni in cui si determina il conflitto di interessi (articolo 3).

Esso sussiste quando il titolare di cariche di Governo partecipa all’adozione di un atto – anche formulando la proposta – o omette un atto dovuto:

§         trovandosi in situazione di incompatibilità ai sensi del precedente art. 2, ovvero

§         avendo l’atto o l’omissione un’“incidenza specifica e preferenziale” sul patrimonio del titolare, del coniuge o dei parenti entro il secondo grado, o delle imprese o società da essi controllate, con danno per l’interesse pubblico.

A fini interpretativi, giova rimarcare che:

§         la situazione di conflitto non concerne (solo) l’adozione di atti, bensì la partecipazione a tale adozione: può dunque trattarsi di deliberazioni collegiali ovvero di atti conseguenti all’adozione di un procedimento al quale il titolare di cariche di governo prende parte, anche attraverso la formulazione della proposta;

§         la situazione di conflitto può derivare anche da un’omissione, quando essa abbia ad oggetto un atto dovuto (non sembra dunque rilevare l’omissione di un atto qualora residui un margine di discrezionalità in ordine alla sua adozione);

§         l’incidenza patrimoniale dell’atto o dell’omissione deve essere non solo specifica ma “preferenziale”.

 

Tale aggettivo sembra richiedere un diverso (e migliore) effetto patrimoniale nei confronti del titolare (o dei parenti), rispetto alla generalità dei soggetti in atto o potenzialmente destinatari dell’atto o dell’omissione. A tale riguardo, la delibera del 16 novembre 2004 dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, applicativa della legge, precisa (art. 5, co. 2) che “nell'accertamento dell'incidenza specifica e preferenziale l'Autorità prende in considerazione qualsiasi vantaggio che in modo particolare, ancorché non esclusivo, si può determinare nel patrimonio dei soggetti di cui all'art. 3 della legge, anche se l'azione di governo è formalmente destinata alla generalità o ad intere categorie di soggetti”;

 

§         l’incidenza dell’atto o dell’omissione può riguardare non solo il patrimonio (personale) del titolare, coniuge o dei parenti entro il secondo grado, ma anche quello delle imprese o società da essi controllate. Il concetto di “controllo” è definito mediante rinvio all’art. 7 della L. 287/1990[18].

 

Ai sensi dell’art. 7 citato, si ha controllo:

§         nei casi contemplati dall’art. 2359 c.c., il quale considera controllate le società in cui un’altra società:

-          dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria;

-          dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria[19];

-          esercita un’influenza dominante in virtù di particolari vincoli contrattuali;

§         in presenza di diritti, contratti o altri rapporti giuridici che conferiscono, da soli o congiuntamente, e tenuto conto delle circostanze di fatto e di diritto, la possibilità di esercitare un’influenza determinante sulle attività di un’impresa, anche attraverso:

-          diritti di proprietà o di godimento sulla totalità o su parti del patrimonio;

-          diritti, contratti o altri rapporti giuridici che conferiscono un’influenza determinante sulla composizione, sulle deliberazioni o sulle decisioni degli organi.

Il controllo è acquisito dal soggetto che sia titolare o beneficiario dei rapporti giuridici suddetti ovvero che, pur non essendo titolare o beneficiario, abbia il potere di esercitare i diritti che ne derivano.

 

Al di fuori delle ipotesi di incompatibilità, per le quali l’insorgenza del conflitto è in re ipsa, il conflitto è configurato, come si è detto, in termini di “incidenza specifica e preferenziale” sul patrimonio del titolare e degli altri soggetti individuati: assume dunque rilievo la sola natura patrimoniale degli interessi. Ulteriore condizione che deve ricorrere perché si abbia conflitto è la sussistenza di un danno per l’interesse pubblico in conseguenza dell’atto.

La sussistenza di una situazione di conflitto di interessi (potenziale, deve intendersi) fa sorgere nel titolare della carica di governo l’obbligo di astensione di cui all’art. 1.

 

Viene ribadita la validità delle norme generali poste a tutela della concorrenza[20] (articolo 4), stabilendo, tra l’altro, che la violazione del divieto di atti e comportamenti che costituiscano o mantengano una posizione dominante nel settore delle comunicazioni (ai sensi dell’art. 2 della L. 249/1997[21] e dell’art. 14 della L. 112/2004[22]) è sanzionata anche quando sia compiuta dall’impresa facente capo al titolare di cariche di Governo avvalendosi di atti posti in essere dal titolare medesimo. Resta altresì ferma, in presenza dei rispettivi presupposti, l’applicabilità delle norme civili, penali, amministrative e disciplinari vigenti.

 

Il riferimento alla L. 112/2004 è stato introdotto nell’articolo in esame dal successivo D.L. 233/2004[23], che ha inteso adeguare e coordinare alcuni passaggi della L. 215/2004 con il dettato della L. 112/2004 (così detta “legge Gasparri”), che regola l’assetto del sistema radiotelevisivo e introduce, in particolare, il concetto di “sistema integrato delle comunicazioni”.

Il decreto-legge, nello specifico, ha novellato la legge in esame in soli due punti (artt. 4 e 7) con il dichiarato intento di introdurre richiami alla “legge Gasparri” o in sostituzione di norme superate, o in aggiunta a norme che restano in vigore, ma che sono divenute insufficienti a regolare le funzioni previste dalla legge sul conflitto di interessi in materia di comunicazione.

Obblighi di dichiarazione

Chi assume la titolarità di cariche di Governo ha l’obbligo di rendere note (articolo 5) all’Autorità garante della concorrenza e del mercato (così detta “Anti-trust”):

§         l’eventuale titolarità di cariche o attività incompatibili;

§         tutti i dati relativi alle attività patrimoniali di cui sia titolare, o di cui sia stato titolare nei tre mesi precedenti.

Il termine per la presentazione della dichiarazione, complessivamente pari a 90 giorni, è sdoppiato in 30 giorni per la dichiarazione delle situazioni di incompatibilità, e in ulteriori 60 giorni per quella concernente le attività patrimoniali. Si precisa inoltre che tra le attività patrimoniali da dichiarare sono comprese le partecipazioni azionarie. Le successive variazioni dei dati patrimoniali sono anch’esse oggetto di dichiarazione.

Gli obblighi di dichiarazione sono estesi al coniuge ed ai parenti entro il secondo grado.

Le dichiarazioni sono rese anche all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, quando le incompatibilità o i dati patrimoniali afferiscano a settori di sua competenza. Le dichiarazioni incomplete o non veritiere o la mancata effettuazione delle dichiarazioni stesse costituiscono reato.

Le due menzionate Autorità di garanzia provvedono agli accertamenti di competenza, con le modalità di cui ai successivi artt. 6 e 7, entro i 30 giorni successivi al ricevimento delle dichiarazioni.

Competenze delle Autorità di garanzia

L’articolo 6 individua le nuove funzioni assegnate dalla legge all’Autorità garante della concorrenza e del mercato in materia di conflitti di interessi.

Nel dettaglio, l’Autorità è competente ad accertare la sussistenza di:

§         situazioni d’incompatibilità, di cui all’art. 2 della legge;

§         situazioni di conflitto d’interesse, ai sensi dell’art. 3.

Nel primo caso, l’Autorità promuove, nei casi d’inosservanza, gli adempimenti volti a superare la situazione di incompatibilità, eseguiti poi dagli organi di volta in volta competenti, e ne dà comunicazione ai Presidenti delle due Camere.

 

In particolare, l’Autorità, accertata la situazione di incompatibilità, promuove:

§         la rimozione o la decadenza dalla carica o dall’ufficio ad opera dell’Amministrazione competente o di quella vigilante l’ente o l’impresa;

§         la sospensione del rapporto di impiego o di lavoro pubblico o privato;

§         la sospensione dall’iscrizione in albi e registri professionali, che deve essere richiesta agli ordini professionali per gli atti di loro competenza.

 

Nella seconda ipotesi, l’Autorità non ha poteri diretti nei confronti del titolare di cariche di Governo, ma comunica ai Presidenti delle Camere gli accertamenti svolti, indicando la situazione di privilegio. L’“Anti-trust” può invece diffidare ed eventualmente infliggere sanzioni pecuniarie alle imprese che pongano in essere comportamenti volti ad avvantaggiarsi degli atti adottati in situazioni di conflitto d’interesse.

La legge attribuisce all’Autorità anti-trust un potere di esame, controllo e verifica degli effetti dell’azione del titolare della carica di governo. Tale attività deve essere focalizzata a rilevare l’eventuale incidenza specifica e preferenziale, con danno per l’interesse pubblico, dell’azione del titolare della carica di governo sul proprio assetto patrimoniale, su quello del coniuge o dei parenti entro il secondo grado nonché su quello delle imprese o società da essi controllate.

È in ogni caso fatto salvo l’obbligo di denunzia all’autorità giudiziaria, quando i fatti abbiano rilievo penale.

Vengono indicate le modalità degli accertamenti dell’Anti-trust, che procede d’ufficio alle verifiche di competenza, valutate preventivamente e specificatamente le condizioni di proponibilità ed ammissibilità della questione.

 

A tale fine, l’Autorità corrisponde e collabora con gli organi delle Amministrazioni, acquisisce i pareri delle altre Autorità amministrative indipendenti competenti e le informazioni necessarie per l’espletamento dei compiti che il disegno di legge le affida, con i limiti opponibili all’autorità giudiziaria.

Nell’esercizio di tali funzioni, l’Autorità si avvale dei poteri riconosciuti dalla L. 287/1990, in quanto compatibili.

 

È garantita la partecipazione procedimentale dell’interessato ai sensi della L. 241/1990[24], ma viene fatto salvo quanto previsto dell’art. 14, co. 3, della L. 287/1990, che stabilisce che le notizie, le informazioni o i dati riguardanti le imprese oggetto di istruttoria da parte dell’Autorità sono tutelati dal segreto d’ufficio anche nei riguardi delle pubbliche amministrazioni.

Come si anticipava, a seguito degli accertamenti o dell’irrogazione di sanzioni pecuniarie previsti dall’articolo in esame, l’Anti-trust deve effettuare una comunicazione motivata diretta ai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati.

Tale comunicazione deve indicare:

§         i contenuti della situazione di privilegio;

§         gli effetti distorsivi realizzatisi sul mercato;

§         le conseguenze della situazione di privilegio;

§         le eventuali sanzioni inflitte alle imprese.

 

All’Anti-trust viene inoltre attribuito un potere regolatorio in riferimento alle procedure istruttorie, ai criteri di accertamento per lo svolgimento dei compiti ad essa assegnati dal provvedimento in esame, nonché in relazione alle modifiche organizzative interne. Tale potere è stato esercitato con l’adozione della Deliberazione del 16 novembre 2004, su Criteri di accertamento e procedure istruttorie relativi all’applicazione della legge 20 luglio 2004, n. 215, recante norme in materia di risoluzione dei conflitti di interessi[25].

 

Il successivo articolo 7 attribuisce anche all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni specifici compiti nella materia in esame.

Tali compiti – di vigilanza, di accertamento e sanzionatori – sono indirizzati non al titolare di cariche di governo ed ai suoi comportamenti, bensì ai comportamenti delle imprese che facciano capo al titolare medesimo – ovvero al coniuge o ai parenti entro il secondo grado, o che siano da essi controllate – qualora tali imprese operino nei settori del sistema integrato delle comunicazioni di cui all’art. 2, co. 1, lett. g) della L. 112/2004[26]: si tratta del “settore economico che comprende le seguenti attività: stampa quotidiana e periodica; editoria annuaristica ed elettronica anche per il tramite di Internet; radio e televisione; cinema; pubblicità esterna; iniziative di comunicazione di prodotti e servizi; sponsorizzazioni”[27].

Oggetto del controllo sono gli (eventuali) comportamenti che:

§         forniscano un “sostegno privilegiato” al titolare di cariche di governo;

§         vìolino, al contempo, le disposizioni di cui alla L. 223/1990[28], alla L. 249/1997[29], alla L. 28/2000[30], nonché alla citata L. 112/2004.

 

Tali leggi costituiscono i principali provvedimenti di ordine generale volti a disciplinare l’esercizio dell’attività radiotelevisiva, l’assetto complessivo del settore delle comunicazioni e la comunicazione politica attraverso i mezzi di informazione. Ciascuna di esse reca una pluralità di specifici obblighi e divieti a carico delle imprese operanti nel settore, nonché di sanzioni per la violazione dei medesimi, e pone in capo all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni specifiche competenze afferenti alla regolazione del settore, alla vigilanza, all’accertamento delle infrazioni ed all’irrogazione di sanzioni.

 

L’articolo in esame fa rinvio alle leggi sopra richiamate anche per definire i poteri attribuiti all’Autorità, le procedure che essa deve seguire e le sanzioni da questa irrogabili. In aggiunta a ciò, estende all’Autorità quanto già disposto nel precedente art. 6 con riguardo ai poteri ed alle modalità di accertamento dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato.

Anche l’Autorità per le comunicazioni, come già previsto per l’Anti-trust, qualora accerti che l’impresa abbia adottato comportamenti che forniscono un sostegno privilegiato al titolare di cariche di governo in violazione delle disposizioni di cui alle quattro leggi sopra citate, ha il potere di comminare, previa diffida, le sanzioni specificamente previste per tali infrazioni dalle leggi medesime: le sanzioni pecuniarie, peraltro, sono aumentate sino a un terzo.

L’Autorità informa il Parlamento degli accertamenti effettuati e delle eventuali sanzioni irrogate.

La legge attribuisce anche all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni un potere regolatorio in ordine alle procedure istruttorie, ai criteri di accertamento per lo svolgimento dei compiti ad essa assegnati dal provvedimento in esame, nonché in relazione alle modifiche organizzative interne. Tale potere è stato esercitato con l’adozione della Deliberazione del 1 dicembre 2004, Regolamento per la risoluzione dei conflitti di interessi[31], successivamente abrogata e sostituita dalla Deliberazione del 13 ottobre 2005, Modifiche e integrazioni al regolamento per la risoluzione dei conflitti di interessi[32].

 

Le due Autorità comunicano ogni sei mesi alle Camere, attraverso apposite relazioni, lo stato delle attività di controllo e vigilanza che sono ad esse attribuite (articolo 8).

 

Le ultime relazioni trasmesse sono le seguenti:

§         Doc. CLIII, n. 8 (trasmessa alla Presidenza il 3 maggio 2012) Periodo dal 1° luglio 2011 al 30 aprile 2012. Presentata dal Presidente dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato

http://documenti.camera.it/_dati/leg16/lavori/documentiparlamentari/indiceetesti/153/008_RS/INTERO_COM.pdf

§         Doc. CLIII-bis, n. 1 (trasmessa alla Presidenza il 13 dicembre 2011) Anno 2011. Presentata dal Presidente dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni

http://documenti.camera.it/_dati/leg16/lavori/documentiparlamentari/indiceetesti/153bis/001_RS/intero_com.pdf

 

Le violazioni agli obblighi di dichiarazione di cui al precedente art. 5 (dichiarazioni di denuncia delle situazioni di incompatibilità e dei dati relativi alle proprie attività patrimoniali), di cui si siano resi responsabili i titolari delle cariche di Governo sono tutte sanzionate ai sensi dell’art. 328 del codice penale[33].

 

Si prevedono le seguenti ipotesi di violazione degli obblighi di dichiarazione:

§         la mancata effettuazione della dichiarazione;

§         l’effettuazione di dichiarazione non veritiera;

§         l’effettuazione di dichiarazione incompleta.

 

Un’ulteriore condizione per l’applicazione dell’art. 328 c.p. si verifica quando l’interessato non ottemperi ad una specifica richiesta dell’autorità competente in un termine stabilito dalla stessa autorità, e comunque non inferiore a 30 giorni. Le autorità competenti sono l’Autorità per le comunicazioni, nel caso le dichiarazioni relative alle incompatibilità o ai dati patrimoniali riguardino il settore delle comunicazioni, e l’Autorità anti-trust negli altri casi.

Entrambe le Autorità, una volta verificate le irregolarità, ne danno comunicazione documentata sia all’autorità giudiziaria competente, sia ai Presidenti delle Camere.

Altre disposizioni

L’articolo 9 dispone un incremento del ruolo organico di ciascuna Autorità, in conseguenza dei nuovi compiti ad esse attribuiti in materia di conflitti di interessi.

 

 

 


Le proposte di legge in esame

Le proposte di legge in esame intervengono a ridisciplinare la risoluzione dei conflitti di interesse dei titolari di cariche di governo sostituendo la vigente normativa recata dalla legge 215/2004 che viene contestualmente abrogata dalle proposte di legge, ad eccezione dell’A.C. 1915 e A.C. 2664 che pur non abrogando esplicitamente la legge di fatto la sostituiscono con una nuova disciplina.

I progetti di legge intervengono con diverse soluzioni legislative, ma un tratto in comune delle proposte è costituito dall’individuazione di un sistema di incompatibilità più stringente rispetto alla normativa vigente.

Alcune proposte prevedono anche un apparato sanzionatorio sotto forma di ammenda pecuniaria direttamente applicabile dall’Autorità antitrust o da una autorità ad hoc (A.C. 442).

Da segnalare l’introduzione nel nostro ordinamento, da parte di alcune proposte (A.C. 442, A.C. 1915, A.C. 2664) di un istituto tipicamente anglosassone quale il blid trust (o fondo cieco) quale mezzo di risoluzione di conflitti di interessi.

Tutte le proposte hanno ad oggetto le situazioni di incompatibilità dei titolari delle cariche di governo statali, ad eccezione della sola proposta A.C. 2664, che inserisce tra i titolari di cariche di rilevanti ai fini della proposta anche i presidenti delle regioni ordinarie e delle regioni a statuto speciale.

Due delle proposte di legge recano anche una disposizione di delega per estendere anche agli organi di governo delle autonomie territoriali le disposizioni introdotte a livello statale (A.C. 442 e A.C. 1915).

L’A.C. 2668 prevede come facoltativo l’intervento delle regioni di disciplinare la materia.

Princìpi generali e destinatari della disciplina

L’A.C. 442, 1915, 2668 e 4874 introducono princìpi generali riferibili a tutti i titolari di cariche pubbliche: l’obbligo di operare nell’esclusiva cura degli interessi pubblici; quello, conseguente, di astenersi da qualunque decisione che possa produrre un vantaggio rilevante nel loro patrimonio o in quello dei congiunti o di altri soggetti ad essi legati da rapporti di interesse; la definizione di “conflitto di interessi”, individuata dalla presenza (in capo al titolare o a un congiunto) di un interesse economico privato tale da condizionare l’esercizio delle sue funzioni pubbliche o da alterare le regole di mercato relative alla libera concorrenza, ovvero dalla preposizione del titolare alla cura di un tale interesse.

La pdl 1915 estende l’obbligo di astensione anche al personale sottoposto ai poteri di nomina, di revoca e di indirizzo da parte dei titolari di cariche pubbliche (art. 1, comma 4).

 

Tutte le proposte di legge individuano i principali destinatari della disciplina di prevenzione del conflitto nei titolari di cariche di governo: Presidente del Consiglio, vicepresidenti del Consiglio, ministri, vice ministri, sottosegretari di Stato e commissari straordinari del Governo.

 

Le pdl 442 e 1915 nel definire il concetto di conflitto di interessi (articolo 2) vi comprendono le situazioni soggettive non solo dei titolari di cariche di governo, ma anche delle seguenti cariche:

§         il presidente di una regione;

§         il componente di una giunta regionale;

§         il presidente o il componente di una giunta provinciale (si ricorda che il D.L. 201/2011[34], art. 23, comma 5, ha soppresso le giunte provinciali);

§         il sindaco o il componente della giunta di un comune con popolazione superiore a 15.000 abitanti.

Tuttavia, la disciplina di prevenzione e di risoluzione di conflitti di interesse si applica esclusivamente ai titolari di cariche di governo, mentre per le cariche di governo negli organi delle autonomie territoriali di cui sopra le due proposte dispongono una delega il Governo a disciplinare in modo analogo la materia, nel rispetto delle competenze legislative regionali.

Diversamente l’A.C. 2664, all’art. 1, oltre ai predetti soggetti responsabili di cariche governative, insieme ai commissari straordinari, inserisce tra i titolari di cariche di rilevanti ai fini della proposta anche i presidenti delle regioni ordinarie e delle regioni a statuto speciale.

La pdl A.C. 2668 si limita a prevedere la facoltà da parte delle regioni di disciplinare la materia al rispettivo livello istituzionale, sulla base dei principi stabiliti per gli organi di governo statali.

Autorità di controllo

Un rilevante elemento di novità dell’A.C. 442 è costituito (capo III, artt. 3-6) dall’istituzione di una apposita Autorità indipendente, denominata “Autorità per la prevenzione dei conflitti di interessi e delle forme di illecito all’interno della pubblica amministrazione”. Ad essa sono attribuiti i compiti e i poteri previsti dal testo al fine di prevenire ed eventualmente sanzionare i conflitti di interessi, fatte salve alcune specifiche competenze rimaste in capo all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Si è ritenuto opportuno infatti separare anche sul piano istituzionale i compiti di verifica del buon funzionamento del mercato da quelli di prevenzione di forme di scorretto esercizio degli incarichi di governo.

L’articolo 4, comma 2, prevede che la nuova Autorità è destinata ad assorbire anche le competenze dell’Alto commissario per la prevenzione e il contrasto della corruzione[35].

L’Alto commissario è stato soppresso dal decreto-legge 112/2008 (art. 68, comma 6) che ne ha disposto il trasferimento delle funzioni al Ministro competente. In attuazione dell'art. 6 della Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione, ratificata dall'Italia con legge 3 agosto 2009, n. 116, è stato designato quale Autorità nazionale anticorruzione il soggetto al quale sono state trasferite le funzioni dell'Alto commissario ai sensi del citato D.L. 112/2008. Con D.P.C.M. del 2 ottobre 2008 tale Autorità è stata individuata nel Dipartimento della funzione pubblica.

Si ricorda che la pdl A.C. 4434 in corso di esame alla Camera prevede (art. 3) l’Istituzione dell'Autorità per la prevenzione dei conflitti di interessi e delle forme di illecito all'interno della pubblica amministrazione

 

L’A.C. 1915 mantiene invece l’impostazione della legge 215, che affida all’Autorità antitrust i compiti di controllo in materia di conflitti di interessi, ma in virtù dei nuovi compiti e funzioni attribuiti all’Autorità ne prevede il potenziamento (art. 7) con le seguenti misure:

§      si prevede che l’Autorità si avvale di un apposito nucleo della Guardia di finanza, oltre che della collaborazione di amministrazioni ed enti pubblici (anche la pdl A.C. 2668 prevede il ricorso ad un nucleo della Guardia di finanza ma esclusivamente ai fini del controllo di veridicità delle dichiarazioni degli interessati v. oltre);

§      il personale del’Autorità è aumentato di 10 unità.

 

Anche, l’A.C. 4874 conferma che l'Autorità garante della concorrenza e del mercato è il soggetto deputato a vigilare sull'osservanza, nella gestione del patrimonio, dei principi e dei criteri stabiliti dalla proposta nonché sull'effettiva separazione della gestione.

All’art. 13 individua, poi, le procedure istruttorie e la tutela giurisdizionale per gli atti dell'Autorità garante che, per l'espletamento delle funzioni a essa attribuite dalla proposta in esame, può chiedere a qualsiasi organo della pubblica amministrazione e a ogni altro soggetto pubblico o società privata, nei limiti di competenza consentiti dall'ordinamento, i dati e le notizie concernenti la materia disciplinata dalla legge stessa, avvalendosi dei poteri a essa attribuiti dalla normativa vigente.

La norma rimette a un decreto del Presidente della Repubblica, da emanarsi previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentita l'Autorità garante, la fissazione delle disposizioni che garantiscono al titolare della carica di governo e al gestore interessati, la piena conoscenza degli atti istruttori, il contraddittorio e la verbalizzazione nei procedimenti di accertamento e di applicazione delle sanzioni previsti dagli articoli 4, 5, 6 e 8.

Obblighi di dichiarazione

L’A.C. 442 (artt. 7-17) reca le norme per la prevenzione del conflitto di interessi dei titolari delle cariche di governo. Va infatti rilevato che l’impianto del testo elaborato dalla Commissione ha finalità preventive; mira cioè ad evitare l’insorgere di conflitti di interessi, piuttosto che ad intervenire ex post sugli atti eventualmente adottati in presenza di tali conflitti.

In particolare, l’art. 8 pone in capo ai titolari delle cariche di governo e ai loro congiunti obblighi di dichiarazione funzionali a far emergere le situazioni di conflitto di interessi. I medesimi obblighi sono indicati, sostanzialmente negli stessi termini, all’art. 10 dell’A.C. 1915 e all’art. 3 dell’A.C. 2668.

Sostanzialmente, viene confermata la previsione di dichiarazione dei casi dei conflitti di interesse, prevista dall’art. 5 della legge 215, che diventa però più dettagliata prevedendo un elenco tassativo di situazioni da dichiarare.

Fa eccezione la pdl A.C. 4874 (l'art. 4), che stabilisce l'obbligo per i titolari delle cariche pubbliche di presentare all'Autorità antitrust tutti i dati relativi alle attività economiche con particolare riferimento alle imprese di cui, direttamente o indirettamente, detengono o hanno detenuto nei dodici mesi precedenti la titolarità, ovvero il controllo ai sensi della legislazione vigente in materia ovvero una partecipazione superiore al 2% del capitale sociale (sono, altresì, tenuti ad effettuare comunicazioni analoghe entro quindici giorni per ogni successiva variazione dei dati forniti).

 

La maggior parte delle proposte mantengono in capo all’autorità di controllo l’accertamento sulla rilevanza delle dichiarazioni in ordine all’esistenza di possibili conflitti di interesse.

La proposta A.C. 4874 prevede, tra l’altro, che un decimo dei componenti di ciascuna Camera può richiedere all'Autorità garante di svolgere tali accertamenti.

Incompatibilità

Le proposte di legge recano un’articolata serie di incompatibilità tra la carica di governo e determinati incarichi, cariche o attività. Tra queste, è incluso l’esercizio di attività imprenditoriali, anche per interposta persona o attraverso società fiduciarie; sono tuttavia previste deroghe sia per il piccolo imprenditore, sia per l’imprenditore individuale (A.C. 442 art. 10; A.C. 1915 art. 12; A.C. 2668 art. 4, A.C. 2664 art. 2; A.C. 4874, art. 3).

 

Alcune delle proposte prevedono che, nel caso in cui il titolare versi in una situazione di incompatibilità, l’Autorità gliene dà comunicazione, invitandolo ad optare, entro trenta giorni, tra la carica di governo e la posizione incompatibile. In caso di mancato esercizio dell’opzione entro il termine, si intende che l’interessato abbia optato per la posizione incompatibile con la carica di governo.

 

Le pdl 442 e 2668 individuano una diversa specie di incompatibilità, avente carattere patrimoniale, che sussiste se il titolare della carica di governo ha la proprietà di un patrimonio superiore ai 15 milioni di euro (art. 11 della pdl 442) o ai 30 milioni (art. 4 della pdl 2668) in beni (ad esclusione dei titoli di Stato) la cui natura, tenuto conto delle specifiche funzioni di governo dell’interessato, è tale da determinare un conflitto di interessi; ovvero abbia la proprietà o il controllo di un’impresa che svolge la propria attività in regime di autorizzazione o di concessione rilasciata dallo Stato.

Anche la pdl A.C. 2664 prevede tale incompatibilità senza però porre un limite minimo all’ammontare del patrimonio (art. 2).

Qualora sussista una situazione di questo tipo, l’Autorità invita l’interessato ad optare (tale possibilità non è contemplata dalla pdl A.C. 2664, tra il mantenimento della carica di governo o il mantenimento della posizione incompatibile ovvero la scelta per la risoluzione della condizione di incompatibilità, secondo modalità da concordare con l’Autorità. La mancata opzione è intesa, anche in questo caso, come rinunzia alla carica di governo.

Anche la pdl 1915 (art. 13) prevede la stessa incompatibilità patrimoniale che viene estesa anche a:

§      partecipazioni rilevanti in settori strategici quali difesa, energia, credito, opere pubbliche di preminente interesse nazionale, comunicazioni di rilevanza nazionale, servizi pubblici erogati in concessione o autorizzazione e settore pubblicitario (questa fattispecie è contemplata anche dalla pdl A.C. 2668, mentre);

§      concentrazione degli interessi patrimoniali e finanziari del titolare della carica di Governo nel medesimo settore di mercato, superiore a 10 milioni di euro, tale da configurare il rischio evidente di turbative della concorrenza o di condizionamento dell'attività di governo.

 

La pdl A.C. 1915, inoltre introduce, (art. 9) una speciale causa ostativa all’assunzione di cariche di governo, vietando a coloro nei confronti dei quali è stato disposto il rinvio a giudizio (ai sensi del’art. 429 c.p.p.) di ricoprire dette cariche.

Obblighi di astensione

L’A.C. 442 all’art. 9 - e in termini analoghi l’art. 11 dell’A.C. 1915 e l’art. 6 della pdl A.C. 2668 - include tra i poteri dell’Autorità la concreta individuazione dei casi in cui il titolare della carica di governo deve astenersi, nell’esercizio delle sue funzioni, da atti che:

§         pur destinati alla generalità o ad intere categorie di soggetti, siano tali da produrre nel suo patrimonio o nel patrimonio dei suoi congiunti un “vantaggio economicamente rilevante e differenziato, ancorché non esclusivo”, rispetto a quello della generalità dei destinatari; ovvero che

§         siano destinati a ristrette categorie di soggetti nelle quali egli stesso rientri e tali da produrre nel suo patrimonio o in quello dei congiunti un vantaggio economicamente rilevante.

 

L’A.C. 4874 individua, all’art. 2, gli obblighi per il Presidente del Consiglio dei ministri, per i singoli Ministri e per i Sottosegretari di Stato di astensione da atti di governo se i medesimi possono influenzare specificatamente, in virtù dell'ufficio ricoperto, i propri interessi.

Tali soggetti non possono partecipare alle deliberazioni attinenti alla carica ricoperta né adottare atti di rispettiva competenza quando coinvolgano, direttamente o indirettamente, interessi propri per quanto di loro conoscenza (sulla sussistenza degli stessi obblighi delibera il Consiglio dei ministri per i Sottosegretari di Stato mentre per i commissari straordinari del Governo provvede il Presidente del Consiglio). La norma rimette, poi, a un regolamento del Consiglio dei ministri il compito di assicurare adeguate forme di pubblicità agli adempimenti di sopra rendendo noti i casi di mancata partecipazione a deliberazioni, motivata ai sensi del medesimo comma.

Separazione degli interessi

L’A.C. 442 prevede una specifica procedura, recata agli artt. 12 e 13, nel caso in cui l’Autorità accerti:

§         il possesso di partecipazioni rilevanti in determinati settori (difesa, energia, credito, opere pubbliche di preminente interesse nazionale, comunicazioni di rilevanza nazionale, servizi pubblici erogati in concessione o autorizzazione, settore pubblicitario); ovvero

§         una concentrazione di interessi patrimoniali e finanziari nel medesimo settore, superiore a 10 milioni di euro e tale da configurare il rischio evidente di turbative della concorrenza o di condizionamento dell’attività di governo.

In tali casi sorge un obbligo di “separazione degli interessi”, se del caso attraverso l’istituzione di un “trust cieco”, definito dall’art. 14 come “quella tipologia di trust ove il trustee ha la più ampia discrezionalità in merito alla consistenza qualitativa dei beni in trust, mentre i beneficiari ne possono avere solo una conoscenza quantitativa”, e disciplinato in dettaglio dagli artt. 15-17.

L’alienazione dei beni non è dunque un’ipotesi esclusa, ma è prevista solo “quale extrema ratio, quando cioè rappresenti l’unica misura possibile per evitare il conflitto di interessi nella specifica situazione” (così la relazione illustrativa).

Il capo IV (artt. 18-20) reca le sanzioni amministrative previste in caso di violazione degli obblighi di dichiarazione e degli obblighi di astensione.

 

Anche l’A.C. 4874 prevede forme di trasferimento delle attività economiche in modo da evitare l’insorgere di conflitti di interesse. In questo caso però tale trasferimento è conseguente all’eventuale mancato rispetto dell’obbligo di effettiva separazione gestionale delle imprese.

Il procedimento previsto dagli articoli 5 e seguenti prevede che entro 45 giorni dall'assunzione della carica, i titolari delle cariche di governo sono tenuti a adottare misure dirette ad assicurare che le attività economiche di rispettiva pertinenza siano esercitate secondo criteri e in condizioni di effettiva separazione gestionale al fine di evitare qualsiasi ingerenza ovvero influenza di fatto da parte del titolare della carica di governo.

In caso di accertata inadempienza i titolari sono tenuti alla alienazione o trasferimento delle attività economiche da parte dei titolari di cariche di governo e le relative sanzioni in caso di inadempienza.

Nel caso di trasferimento viene scelto un gestore dal presidente dell'Autorità garante, d'intesa con il presidente della Commissione nazionale per la società e la borsa, sentito il titolare della carica di governo.

 

L’art. 4 dell’A.C. 2664 disciplina le modalità attraverso le quali è ammesso porre fine al conflitto di interessi. In particolare si prevede che il soggetto possa:

§         vendere e collocare il capitale ricavato in un fondo cieco;

§         dimettersi e realizzare la separazione dall'impresa o dall'attività in oggetto in caso di attività manageriale con l'impegno a non riassumere cariche o funzioni dello stesso tipo o nello stesso settore prima di tre anni dalla fine del mandato;

§         nel caso di impresa di editoria, giornalismo, radio, televisione o telefonia informatica, l'incompatibilità permane e impedisce l'assunzione di qualsiasi carica di governo, non essendo possibile, in tali settori, l'istituzione di un fondo cieco e non essendo la vendita improvvisa a causa dell'assunzione di una responsabilità di governo adeguata garanzia dell'indipendenza dell'impresa e del distacco del titolare di governo dal sistema informativo già controllato. Ulteriore causa ostativa è costituita dalla concessione da parte del Governo del permesso di trasmettere nel settore pubblico o privato; chiunque è beneficiario di una concessione governativa, o lo è stato negli ultimi tre anni, resta comunque incompatibile con cariche di governo.

Infine, l’art. 5 stabilisce che tali disposizioni non si applicano ai casi di incompatibilità diversi da quelli dovuti alla titolarità di attività economiche assegnando alla magistratura ordinaria il compito di accertare l'effettiva sussistenza delle condizioni di incompatibilità previste dal testo in esame su istanza dei soggetti a cui tali condizioni di incompatibilità sono contestate.

Sostegno privilegiato nel settore delle comunicazioni

L’A.C. 442 (artt. 23-24) interviene in materia di “sostegno privilegiato” ai candidati o ai titolari di cariche di governo, da parte di imprese operanti nel settore delle comunicazioni, delle telecomunicazioni e dell’editoria, anche a mezzo Internet; sono definiti al riguardo i poteri di vigilanza e sanzionatori dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni sia durante le campagne elettorali sia al di fuori di tali periodi.

Disposizioni analoghe agli articoli19 e 20 della pdl 1915.

 

L'art. 10 dell’A.C. 4874 reca norme in merito alle attività economiche concernenti il settore delle comunicazioni di massa stabilendo che, in tal caso, l'Autorità garante accerta se i criteri e le condizioni di effettiva separazione gestionale risultano soddisfatti, anche in riferimento ai princìpi stabiliti dalla legge n. 28/2000 (Disposizioni per la parità di accesso ai mezzi di informazione durante le campagne elettorali e referendarie e per la comunicazione politica) e dal testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici, di cui al D.Lgs. n. 177/2005, in modo che non sia favorito l'interesse del titolare della carica di governo interessato mediante forme di sostegno privilegiato in violazione dei princìpi del pluralismo, dell'obiettività e dell'imparzialità dell'informazione. Per tale accertamento e per l'eventuale applicazione delle sanzioni, l'Autorità garante acquisisce preventivamente il parere e le proposte dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, salvo urgenza.

Sanzioni

E’ previsto un articolato sistema di sanzionatorio volto a punire le violazioni delle regole sul conflitto di interessi. In particolare sono punite con diverse sanzioni amministrativa pecuniaria che nel complesso vanno da un minio di 20.000 ad un massimo di 150.000 euro le violazioni dell’obbligo di dichiarazione, le violazioni all’obbligo di astensione e il compimento di atti in conflitto di interessi in violazione delle misure preventive (artt. 18, 19 e 20 dell’A.C. 442; artt. 14, 15 e 16 dell’A.C. 1915; artt. 7-10 dell’A.C. 2668).

Disposizioni di delega

Le pdl A.C. 442 (art. 21) e 1915 (art. 17) prevedono una delega al Governo per disciplinare i conflitti di interessi negli organi di governo di regioni ed enti locali, nel rispetto delle competenze legislative regionali, ma anche in conformità dei principi desumibili dal provvedimento in esame.

Incandidabilità e ineleggibilità

L’A.C. 1915 interviene, oltre a disciplinare i conflitti di interessi dei titolari di cariche di governo, introduce alcune nuove cause di incandidabilità e ineleggibilità ad alcune cariche elettive, e precisamente:

 

§         l’incandidabilità (e incompatibilità) alla carica di deputato e senatore per coloro che sono stati condannati con sentenza definitiva, anche a seguito di patteggiamento, per un delitto non colposo (art. 3);

 

Si ricorda che la pdl A.C. 4434 (approvata dal Senato e ora all’esame della Camera) reca all’art. 8 una delega al Governo per l'adozione di un testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e divieto di ricoprire cariche elettive e di governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi.

 

§         l’ineleggibilità (art. 4) coloro che hanno:

-         la titolarità, o il controllo, di imprese che svolge prevalentemente o esclusivamente attività in regime di autorizzazione o concessione rilasciata dallo Stato;

-         partecipazioni rilevanti nei settori della difesa, dell'energia, del credito, delle opere pubbliche di preminente interesse nazionale, delle comunicazioni di rilevanza nazionale, dei servizi pubblici erogati in concessione o autorizzazione, nonché in imprese operanti nel settore pubblicitario.

 

§         l’ineleggibilità dei deputati e dei senatori alle cariche di sindaco (di comune con più di 15.000 abitanti) o a presidente di provincia (art. 5).

Par condicio

La sola proposta di legge A.C. 2668 dispone in ordine alla parità di accesso ai mezzi di comunicazione durante la campagna elettorale al fine di assicurare condizioni di uguaglianza tra i sessi per accedere alle cariche elettive in attuazione dell’art. 51 Cost..

A tal fine l’art. 11 sancisce il principio della parità di accesso, limitata però ai soli capi delle coalizioni e dei capi delle liste che si candidano alle elezioni politiche, ai contenuti informativi e ai programmi delle reti televisive nazionali pubbliche e provate.

In caso di violazioni sono previste pene pecuniarie fino a 1 milione di euro.


Attività parlamentare

 


 

COMMISSIONE I
AFFARI COSTITUZIONALI, DELLA PRESIDENZA
DEL CONSIGLIO E INTERNI

 

RESOCONTO STENOGRAFICO

 

audizione

 

12.

 

Seduta di giovEdì 29 marzO 2012

 

presidenza del presidente donato bruno

 

 


La seduta comincia alle 14.

 

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

 

Audizione del Presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, professor Giovanni Pitruzzella, sullo stato delle attività di controllo e vigilanza in materia di conflitti di interessi.

 

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, l'audizione del Presidente dell'Autorità garante per la concorrenza e del mercato, professor Giovanni Pitruzzella, sullo stato delle attività di controllo e vigilanza in materia di conflitto di interessi.

A nome mio e di tutta la Commissione ringrazio il nostro ospite per la sua presenza e gli do la parola per la sua relazione.

GIOVANNI PITRUZZELLA, Presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato. Ringrazio il presidente e gli autorevoli componenti della I Commissione dell'attenzione e del tempo che state dedicando all'Autorità che presiedo, con riguardo a un tema che ritengo cruciale per la funzionalità di una democrazia rappresentativa.

Ho già trasmesso alla presidenza una relazione scritta, a cui rimando, per cui il mio intervento sarà sintetico; resto naturalmente a disposizione per le vostre eventuali domande.

PRESIDENTE. La ringrazio del documento scritto, che dispongo sia messo in distribuzione.

GIOVANNI PITRUZZELLA, Presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato. Grazie, presidente. Ritengo questi momenti di confronto di particolare importanza, perché le autorità indipendenti, la cui attività è per definizione sottratta al circuito della democrazia rappresentativa, dovrebbero però essere poi disponibili, in termini di accountability, a una verifica con gli organi parlamentari. Credo quindi che questo sia un rapporto importante. Da parte nostra saremo sempre più che disponibili a intervenire, a partecipare e a fornirvi tutte le informazioni che ritenete necessarie per l'esercizio della vostra fondamentale funzione. Detto questo, mantenendoci fermi alla tematica del conflitto di interessi, vorrei semplicemente sottolineare alcuni aspetti.

Come è noto alla Commissione, la nostra normativa differenzia due momenti. Da un lato, c'è un regime di incompatibilità che viene verificato dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato sulla base delle dichiarazioni fornite dai titolari degli organi di governo. Tale regime di incompatibilità è statico, per cui una volta verificata la presenza di queste cause di incompatibilità, l'interessato è tenuto a rimuoverle.

Dall'altro, c'è la normativa riguardante propriamente il conflitto di interessi di carattere patrimoniale, disciplinato dall'articolo 3 della legge 20 luglio 2004, n. 215. Questa è una verifica ex post, non basata quindi sull'esistenza di alcune cause tipizzate di incompatibilità, ma subordinata al verificarsi di circostanze particolarmente stringenti; per esempio, il conflitto di interessi per incidenza patrimoniale richiede l'adozione di atti attraverso i quali il titolare in carica favorisca sé stesso, il coniuge o i suoi parenti entro il secondo grado, arrecando al contempo un danno all'interesse pubblico.

Quello che ho cercato di evidenziare nella relazione scritta è la discrasia, che tuttora permane in materia, tra la nostra legislazione e i modelli diffusi nelle democrazie occidentali, che hanno avuto un avallo importante da parte del rapporto dell'OCSE del 2003, il quale evidenzia alcuni rimedi che potrebbero senza dubbio rendere più efficace la disciplina in materia di conflitto di interessi. Ricordo peraltro che recentemente, tra gli altri, anche un Paese europeo come la Spagna, nel 2006 ha dettato una disciplina particolarmente stringente del conflitto di interessi, uniformandosi all'indicazione dell'OCSE.

Parlando del conflitto inerente essenzialmente le situazioni patrimoniali, le principali differenze riguardano fondamentalmente la circostanza che, mentre da noi si tratta di un intervento ex post, sottoposto a regolamentazioni stringenti, in altri ordinamenti, sull'esempio americano, la verifica del conflitto è basata fondamentalmente su due elementi: in primo luogo la pubblica e totale informazione della situazione patrimoniale del soggetto che assume una carica di governo, in modo tale che l'opinione pubblica e le Istituzioni democratiche di controllo siano perfettamente edotti a priori della situazioni finanziaria e dei possibili pericoli; in secondo luogo, un elemento importantissimo, ossia che la rimozione del conflitto di interessi non è legata all'adozione di un atto concreto che pregiudica l'interesse pubblico, ma è legato a una situazione di pericolo. Il clear and present danger è il concetto fondamentale su cui si basa il diritto statunitense, ossia il semplice pericolo di una situazione di conflitto in termini generali, e non quindi la concretezza della lesione dell'interesse pubblico.

Questo si ricollega all'idea secondo cui la normativa sul conflitto di interessi e gli eventuali rimedi siano collegabili soprattutto a un problema di apparente imparzialità di chi esercita funzioni pubbliche e non semplicemente al fatto che si arrechi pregiudizio all'interesse pubblico a causa del conflitto. In questi casi esiste la possibilità di adottare vari rimedi, che vanno dall'imposizione al soggetto di eliminare, alienare o sottrarre alcuni interessi economici, fino al qualified blind trust, uno strumento che, come sapete, mira a realizzare la cosiddetta «cecità» del titolare di carica rispetto alla gestione del suo patrimonio. Sappiamo che esiste una normativa del genere anche in Spagna, come ricordavo prima.

In Italia, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, che è stata investita del compito di presiedere alla tutela dei valori sottesi alla disciplina del conflitto di interessi, si trova quindi in una posizione largamente e profondamente diversa rispetto alle autorità che hanno compiti simili negli Stati Uniti o in alcuni Paesi europei, proprio perché nel nostro ordinamento non è prevista una verifica preventiva con riferimento alle situazioni di pericolo, bensì un intervento ex post, nel momento in cui viene adottato l'atto che potrebbe effettivamente dare luogo al conflitto.

Possiamo dire quindi che la legislazione italiana, a differenza di altri modelli, rinuncia a prevenire le situazioni di conflitto di interessi e affronta il conflitto solamente quando effettivamente sorge, in modo complesso e probabilmente inefficace dal punto di vista dell'enforcement. Pertanto appare utile svolgere un'ulteriore riflessione su questi temi, da parte del decisore politico.

Come dicevo all'inizio, l'ordinamento contempla altresì la previsione di un sistema di incompatibilità statiche. Sotto questo profilo, il sistema italiano si allinea  agli altri ordinamenti europei, per cui vengono disciplinate ex ante alcune situazioni di potenziale conflitto di interessi.

Entro un certo numero di giorni dall'insediamento, coloro che assumono la titolarità di una carica di governo ci mandano la dichiarazione delle situazioni di incompatibilità. A quel punto noi le verifichiamo, chiedendone eventualmente la rimozione. Anche qui, però, non mancano dei problemi. Innanzitutto, esistono problemi interpretativi perché la legge pone un divieto di ricoprire cariche o uffici o svolgere altre funzioni comunque denominate ovvero di esercitare compiti di gestione in società aventi fini di lucro o un'attività di rilievo imprenditoriale.

Si utilizzano quindi dei concetti giuridici indeterminati, che non trovano riscontro in altri campi dell'ordinamento. Per esempio, non si parla di attività imprenditoriale, ma di attività «di rilievo imprenditoriale». Questo pone dei problemi all'Autorità garante della concorrenza e del mercato, per cui oggi si ritiene che, anche quando si tratti di un'attività svolta da un soggetto che non ha fini di lucro - pensate a una fondazione - ma che comunque in parte svolga un'attività economico-imprenditoriale, se questa non è marginale nel contesto del bilancio del soggetto economico, allora sussiste un'incompatibilità.

Un altro tema che a mio avviso consente diverse soluzioni interpretative è quello riguardante la definizione delle cariche di «gestioni o funzioni comunque denominate»: si tratta di locuzioni molto generiche, che quindi lasciano luogo a diverse possibilità interpretative.

Altro tema è dato dal fatto che, sempre con riferimento alle incompatibilità statiche, sono i membri del Governo che devono presentare l'elenco delle situazioni che ritengono potenzialmente in conflitto, per sottoporle alla nostra valutazione. Vengono pertanto svolte una scrematura e una valutazione a monte, da parte del titolare della carica di governo, che in tutta buonafede potrebbe omettere determinate situazioni. Probabilmente sarebbe preferibile un obbligo generale di comunicare all'autorità tutte le situazioni ricoperte, rimettendo poi ad essa il compito di stabilire se ci siano o meno delle situazioni di incompatibilità.

Per quanto riguarda i dati di sintesi sullo stato e le attività di controllo, anticipo alcuni dati che avrete a disposizione in modo più dettagliato a breve, quando trasmetteremo al Parlamento la relazione prevista dalla legge sull'attuazione della normativa sul conflitto di interessi. Forse forzando un po' il limite temporale, ma credendo di rispettare un'esigenza di trasparenza nella gestione della cosa pubblica, abbiamo voluto estendere la relazione non soltanto al precedente Governo Berlusconi, ma anche al Governo Monti; anche se infatti teoricamente avremmo dovuto fare riferimento solo all'anno passato, abbiamo considerato un periodo di tempo più ampio e il Parlamento avrà dunque una relazione complessiva.

Ricordo comunque che, per quanto riguarda l'applicazione di questa normativa, entro sessanta giorni i membri del Governo sono tenuti a dichiarare le attività patrimoniali proprie, del coniuge e dei parenti entro il secondo grado. Tutti i titolari delle cariche di Governo hanno tempestivamente adempiuto agli obblighi dichiarativi, mentre risultano ancora delle informazioni non complete per quanto riguarda i parenti. Questo avviene nella prassi, in linea con quanto si è verificato in precedenza. Attualmente le dichiarazioni pervenute sono 173 su un totale di 247 familiari e soggetti obbligati. L'autorità ha chiesto appunto l'integrazione per quanto riguarda il controllo in ordine alle incompatibilità di natura patrimoniale.

Per quanto riguarda il controllo sulle altre incompatibilità, nei tempi previsti l'Autorità ha analizzato tutte le posizioni ed esaurito il proprio compito. Solamente due posizioni restano ancora aperte, quindi c'è stata l'archiviazione per quarantasette posizioni su un totale di quarantanove. In questo caso le specifiche situazioni esaminate circa possibili incompatibilità sono state 257, mentre per il precedente Governo erano state 169. L'ambito delle attività potenzialmente confliggenti è quindi aumentato, probabilmente  in relazione al fatto che si tratta di un Governo in cui non ci sono parlamentari, che già hanno un loro regime di incompatibilità, il che diminuisce quindi le ipotesi che noi dobbiamo esaminare. Tra queste 257 posizioni esaminate, 182 sono state ritenute potenzialmente incompatibili e sono state perciò rimosse dagli interessati in fase preistruttoria, spontaneamente in ben 162 casi, o a seguito di intervento dell'autorità in 20 casi. Abbiamo potuto pertanto procedere all'archiviazione senza segnalare al Parlamento l'esistenza di casi di incompatibilità.

Per quanto riguarda questo Governo, in linea con i precedenti, c'è una netta prevalenza, fra le cause di incompatibilità rimosse, di quelle riguardanti la gestione di società con fini di lucro o comunque di altre persone giuridiche che svolgano anche attività imprenditoriale, pari al 57 per cento delle ipotesi di incompatibilità rimosse. Seguono le attività professionali (il 15 per cento) e i rapporti di pubblico impiego (il 13 per cento).

Mi fermerei qui. Sono a vostra disposizione per qualsiasi domanda. Grazie.

PRESIDENTE. Grazie a lei, presidente.

Do la parola ai deputati che intendono porre quesiti o formulare osservazioni.

ROBERTO ZACCARIA. Ringrazio il presidente Pitruzzella, che non solo ha voluto fornirci un quadro teorico riguardo alla competenza dell'Autorità sul conflitto di interessi, ma anche una serie di elementi informativi, con riferimento sia al Governo precedente, sia al Governo Monti, rispetto al quale tutta l'attività che ora in sintesi il presidente ha illustrato si ricava sostanzialmente nella parte finale del suo intervento.

Credo sia il caso di fare delle annotazioni e di avere qualche conforto su due punti. Dalla relazione che abbiamo ascoltato risulta chiaro un dato, secondo me inconfutabile: in questa materia noi abbiamo una normativa insufficiente, soprattutto se la confrontiamo con altri ordinamenti. Abbiamo una serie di incompatibilità, chiamate ex ante, che vengono dichiarate, per le quali non vi sono sostanzialmente problemi insuperabili. C'è però un problema molto serio per quanto riguarda l'applicazione dell'articolo 3 della legge n. 215 del 2004, la «legge Frattini», che - lo dice la relazione del presidente Pitruzzella - è sostanzialmente una norma inapplicabile per le tante condizioni che la circondano. Io l'ho riletta stamattina e ricordo ai colleghi che sussiste la situazione più delicata del conflitto di interessi «quando il titolare di cariche di Governo partecipa all'adozione di un atto, anche formulandone la proposta, o omette un atto dovuto, trovandosi in situazione di incompatibilità ai sensi dell'articolo 2, comma 1»; o quando l'atto o l'omissione - e questo è il punto - «ha un'incidenza specifica o preferenziale sul patrimonio del titolare, del coniuge e dei parenti entro il secondo grado», con danno per l'interesse pubblico.

Il Parlamento ha modificato la norma sugli incroci proprietari, molto delicata, che conferiva al Presidente del Consiglio il potere di decidere quando applicare il divieto o la fine del divieto. Vi si fa riferimento, mi pare, nella relazione del 2010 o forse nella prima del 2011. L'Autorità ha fatto un'istruttoria per capire se quella modifica fosse stata fatta con atti o proposte dello stesso Presidente del Consiglio, mi pare arrivando sostanzialmente a una conclusione negativa, ma per tabulas.

Ciò che invece diventa molto difficile è configurare un conflitto di interessi, perché bisogna che non soltanto il soggetto abbia riportato dei benefici dalla normativa, ma anche che essa sia tale da aver costruito specifici vantaggi per il soggetto stesso, con contemporaneo danno per l'interesse pubblico. Se manca una di queste due condizioni, se per caso non c'è danno per l'interesse pubblico o non c'è quell'altro elemento, la norma è inapplicabile. Questo lo dice in maniera molto chiara la relazione.

In questa audizione abbiamo potuto approfondire degli elementi di fatto riguardanti le procedure per l'attuale Governo, rispetto al quale i dati numerici sono peraltro tranquillizzanti. Mi pare ci  sia soltanto la mancanza di dati riguardanti i familiari, ma per il resto la situazione è sotto controllo, con riferimento al rispetto della parte più facile della legge. La parte più difficile è però quella che non è semplice applicare, per come è concepita.

Presidente, le chiederei un'opinione sul testo della legge di riforma - posto che penso sia nostro compito stenderlo e non le chiederei certo di farlo al posto nostro - perché da queste audizioni mi pare sarebbe utile uscire con delle proposte incisive. Certo noi abbiamo tentato di fare nuove leggi sul conflitto di interessi, di emettere delle normative sulle partecipazioni azionarie oltre un certo livello - la XV Legislatura si è occupata di questo - ma credo che dovremmo uscire da questa audizione consapevoli che delle iniziative, certamente parlamentari, devono modificare le disposizioni dell'articolo 3 riguardanti questo aspetto, perché sono difficilissime da applicare e anche un Governo in posizione di potenziale conflitto non potrà cadere nella loro «tagliola», per usare un'espressione incisiva.

Chiederei, siccome lei nella sua relazione ha fatto riferimento a possibili proposte, qual è l'ostacolo maggiore all'applicabilità dell'articolo 3 della legge n. 215 del 2004, perché a noi interessa, uscendo da questa audizione, poter presentare delle proposte di legge che modifichino tale norma restrittiva contenuta nel nostro ordinamento.

LINDA LANZILLOTTA. Ringrazio il presidente Pitruzzella. Vorrei fare due considerazioni.

La prima è che mi sembra di capire che, anche dal punto di vista dell'analisi comparata con altri ordinamenti, le norme più efficaci dovrebbero essere quelle di carattere preventivo, e cioè che gli interventi ex post di accertamento di atti che configurino conflitto di interessi dovrebbero essere marginali e la legislazione dovrebbe riguardare invece soprattutto il regime delle ineleggibilità e incompatibilità.

Da questo punto di vista servono forse un approfondimento e una riflessione su come dovrebbe configurarsi, in prospettiva, un sistema più ampio di incompatibilità e di ineleggibilità per cariche pubbliche, di governo ma anche parlamentari. Noi abbiamo assistito anche di recente a come alcuni parlamentari abbiano operato nel corso di procedimenti legislativi che riguardavano direttamente i loro interessi professionali e patrimoniali.

Per esempio, in tutto l'iter del disegno di legge di conversione del decreto-legge in materia di liberalizzazioni ci sono state «incursioni» molto forti di soggetti, certo portatori di interessi di categoria, che però incidevano anche direttamente sulla loro situazione patrimoniale. Occorre quindi valutare se un regime di incompatibilità non debba essere più ampiamente esteso anche alle cariche parlamentari; e fare poi una riflessione su come questa legislazione possa intrecciarsi con i progetti di legge in materia di lotta alla corruzione che stiamo discutendo.

Quanto al secondo aspetto, che non riguarda solo il conflitto di interessi in ambito istituzionale, vorrei formulare una domanda al presidente Pitruzzella per quanto riguarda il tema più ampio delle incompatibilità e dei conflitti, che nel decreto «salva Italia» è stato affrontato solo con una norma sull'incompatibilità della presenza, nei consigli di amministrazione, di banche e assicurazioni tra loro concorrenti. In che modo si sta attrezzando l'Antitrust per verificare la piena applicazione di questa disposizione? A suo parere quali dovrebbero essere gli ulteriori interventi per limitare i conflitti di interesse e le posizioni anticompetitive, per quanto riguarda intrecci di cariche e di comportamenti collusivi, dipendenti dalle posizioni soggettive, al di là degli assetti societari?

PIERLUIGI MANTINI. Ringrazio il presidente Pitruzzella. Anch'io parto dalla considerazione comune, che formulavano sia il collega Zaccaria che la collega Lanzillotta: mi pare che questa nostra riflessione e la sua stessa relazione ci dimostrino  come «tanto tuonò che piovve». Dopo anni di dibattiti, proposte, convegni, manifestazioni e arrovellamenti sui conflitti d'interessi, abbiamo scoperto finalmente l'acqua calda, ossia che le incompatibilità ex ante sono uno strumento sostanziale per regolare i conflitti d'interesse, mentre tutto sommato il metodo del controllo sull'esercizio del potere, sul Governo perché non prenda decisioni sull'atto proprio e sul fatto proprio e via dicendo, elude la sostanza.

L'ultima proposizione della collega Lanzillotta - per cui i parlamentari dovrebbero essere degli angeli venuti dal cielo, privi di lavoro, di interessi, di vita, di relazioni - non mi convince, nel senso che non riesco a individuare la categoria. Fermo restando chiaramente il caso di un soggetto che fa un provvedimento su un fatto proprio. Su questo punto abbiamo però già legislazioni antiche, non servono i legislatori riformisti moderni, è scontato. Dopodiché, se si fa un atto - valga per chi è al Governo o per chi è in Parlamento - sull'interesse della propria sorella, probabilmente non va bene, su quello del cugino forse sì, e se invece si fa in favore di un amico stretto o persino di un socio occulto, allora andrebbe sicuramente bene perché non ricadrebbe dentro le regole etico-morali dei nostri riformatori.

Detto di questa ipocrisia generale e che quindi le regole ex ante sono molto probabilmente insufficienti, vorrei farle una domanda. L'articolo 3 della legge n. 215 del 2004 è stato probabilmente congegnato male, come è stato detto, però contiene una doppia condizione: l'interesse attivo - mi riferisco solo al conflitto di interessi in campo politico - e l'arrecare nel contempo un danno all'interesse pubblico.

Secondo la mia opinione, che già avevo all'epoca del varo della cosiddetta «legge Frattini», qui non si intende un danno erariale, ma una valutazione di tipo squisitamente politico. Che ci sia l'interesse è un fatto più rilevabile, ma che ci sia anche la condizione del danno all'interesse pubblico, è oggetto di una valutazione squisitamente politica. Le chiedo allora se lei, in veste di garante, usa questo parametro o ritiene che sia solo una formula di stile, come io riterrei, perché è come non ci fosse.

Un'ultima domanda un po' impertinente: qual è, secondo lei, il caso di conflitto di interessi più cospicuo che è stato oggetto della sua attenzione?

GIUSEPPE CALDERISI. Il mio intervento è solo per ringraziare il professor Pitruzzella per la sua relazione, che credo offra interessanti elementi di analisi anche comparativa e suggerimenti per un'eventuale correzione e un miglioramento della normativa. Non ho domande specifiche, ma volevo soltanto cogliere l'occasione per dire che non credo, forse diversamente dal collega Mantini, che tutte le situazioni possano essere risolte attraverso il regime delle incompatibilità - mi sembra un criterio un po' troppo giacobino - e che si tratta semmai di affinare e di migliorare la normativa anche dell'altro controllo.

Credo che questa relazione ci offra degli spunti significativi, su cui dovremmo riflettere, facendone tesoro per eventualmente proporre delle modifiche. Grazie.

ROBERTO ZACCARIA. Vorrei fare una postilla, perché avevo un'informazione inesatta. Il presidente Pitruzzella ha detto che non hanno presentato la relazione del secondo semestre 2011 - mi è parso di capire - per una ragione comprensibile, ossia per dar conto di tutta la vicenda collegata a questo Governo. Se non ci fosse stata data questa giustificazione, mi sarei dispiaciuto del fatto che questo adempimento non era stato rispettato. Lei mi conferma però che al più presto ci sarà la relazione del secondo semestre 2011?

PRESIDENTE. Do la parola al presidente Pitruzzella per la replica.

GIOVANNI PITRUZZELLA, Presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato. Grazie, presidente. Comincio subito rispondendo all'ultima osservazione. Cosa è successo? Se noi avessimo mandato la relazione a fine 2011, i sessanta giorni per presentare la documentazione da  parte del Governo in carica, appena formato, ancora non erano scaduti. Avremmo quindi tradito la nostra funzione di dare un ausilio conoscitivo al Parlamento. Sarebbe stato un esercizio un po' vano, anche perché nel corso dell'anno non erano successi fatti particolarmente eclatanti. Viceversa abbiamo preferito far superare quei sessanta giorni di tempo e avere tutti i dati, in modo tale che, oltre alle vicende riguardanti l'anno precedente, il Parlamento avesse conto, per fare le sue valutazioni, dei dati aggiornati fino all'ultimo Governo.

Noi abbiamo già approvato la relazione - sono ora in valutazione solo dei piccoli profili di editing - che quindi nei prossimi giorni trasmetteremo al Parlamento. Nel frattempo, ho ritenuto doveroso, visto che c'era questa occasione, anticipare alcuni dati. Vorrei sottolineare come gran parte dei componenti del Governo, come avviene tendenzialmente sempre, ha fatto cessare le proprie situazioni di incompatibilità, senza bisogno che l'Autorità aprisse poi un procedimento vero e proprio di contestazione. È stato sufficiente che noi le vedessimo e scrivessimo dei nostri dubbi ai soggetti interessati perché immediatamente le incompatibilità cessassero, nella stragrande maggioranza dei casi.

Fatta questa puntualizzazione, passo invece a svolgere qualche osservazione sulle vostre domande, piene di stimoli. Direi che parliamo di un tema così grande che richiederebbe molto tempo, ma risponderò per flash.

Certamente non è pensabile che la materia dei conflitti d'interesse - parlando solo di quelli di titolari di cariche di Governo, poi verrò al tema più generale, giustamente posto in evidenza - possa essere disciplinata estensivamente attraverso forme di incompatibilità.

L'esperienza comparata attesta del resto che, accanto ad alcune ipotesi di incompatibilità - e la norma nazionale è applicata in modo molto rigoroso, come vi dicevo poc'anzi - il problema vero riguarda le situazioni di pericolo e non solo quindi il danno attuale all'interesse pubblico o derivante dall'avvantaggiarsi, facendone parte, di un atto del Consiglio dei ministri che possa recare beneficio alla propria impresa. In un'ottica che, lo ribadisco, non è soltanto preventiva rispetto alla lesione dell'interesse pubblico, ma è anche di legittimazione democratica delle istituzioni, in società nelle quali il problema della dedizione dei titolari di cariche pubbliche all'interesse generale è avvertito nei termini di tale legittimazione.

Se posso quindi porre l'accento su un aspetto, a livello personale, direi che secondo me sarebbe interessante riprendere un dato dell'esperienza internazionale fatta propria dall'OCSE, ossia che, se c'è una valutazione effettiva di pericolo in relazione agli interessi patrimoniali del soggetto, dovrebbe esserci un'autorità terza che possa prevedere dei rimedi - non tanto l'incompatibilità, con cui credo avremmo anche dei problemi costituzionali, con riferimento ai diritti politici - per separare in qualche modo l'attività politica della persona interessata dai suoi interessi patrimoniali.

Il blind trust è, per esempio, il rimedio previsto nel diritto americano, ma ce ne sono tanti altri, meno forti. Si può prevedere, per esempio, che un soggetto, per mantenere un dato incarico, debba alienare un certo ramo dell'attività, fermo restando il controllo su altri.

Probabilmente, in relazione alla complessità del reale, occorrerebbe però poi fare una valutazione, basata su alcuni principi che voi dovreste codificare, di volta in volta, nel momento in cui il soggetto assuma la carica o in cui avvii certe attività economiche, e non nel momento successivo, quando adotta l'atto. Questo è un problema certamente importante, fermo restando quanto si diceva poc'anzi: gli uomini non sono angeli. Si tratta di una citazione del The Federalist, quel documento sacro del costituzionalismo americano dove Hamilton, giustificando la separazione dei poteri, scrive appunto che poiché gli uomini non sono angeli, occorre limitare l'ambizione con l'altrui ambizione. È vero, e proprio questa  deve essere la nostra antropologia di partenza, il che induce a fare però delle valutazioni.

In primo luogo, non possiamo pensare che chi va a gestire la cosa pubblica non debba avere mai fatto nulla nella vita, perché altrimenti sarebbe probabilmente poco idoneo all'attività cui viene chiamato; ovviamente avrà un passato, che non va demonizzato. Nei sistemi come quello americano infatti, dove si fa riferimento a forme stringenti di conflitto di interessi, non si demonizza il passato di chi ha svolto delle importanti attività economiche. Il problema riguarda il dopo, quando si assume la carica. Occorre allora introdurre dei meccanismi che, per il tempo in cui il soggetto è in carica, possano evitare una commistione tra sfera pubblica e sfera privata.

In questa prospettiva, lo ripeto, secondo me già c'è un punto di riferimento nell'esperienza comparata - non necessariamente bisogna sempre inventare qualcosa di nuovo - che è stata raccolta nel documento citato dell'OCSE, molto ampio, da cui si può scegliere.

Un'altra questione che è stata posta riguarda che cosa facciamo noi come Autorità in concreto, quindi la politica del diritto. Mi è stato poi chiesto se utilizziamo il danno eccetera. In realtà, le armi che l'Antitrust ha - sul problema non delle incompatibilità preventive ma del controllo successivo, riguardante gli interessi patrimoniali - sono veramente abbastanza spuntate; al momento, non ci sono procedure aperte.

In teoria, bisognerebbe verificare tre presupposti: i primi due, e più importanti, sono l'adozione dell'atto e la conseguenza vantaggiosa che comporta; il terzo è il danno per l'interesse pubblico - una formula, sono d'accordo, molto evanescente, che però è contenuta nella legge, che dobbiamo rispettare - secondo cui andrebbe quantomeno verificato, se non il danno erariale, almeno quale sia il pregiudizio arrecato all'interesse pubblico, anche se non in termini meramente economici: una prova abbastanza difficile.

Detto questo, è stato posto un problema più generale, quello del conflitto di interessi non riguardante soltanto i titolari delle cariche di Governo, che oggi ci occupa e che siamo chiamati a verificare. È stato posto un problema molto serio, che riguarda non soltanto il funzionamento della democrazia, ma anche il funzionamento del mercato. Non a caso, viene posto da una parlamentare che, al di là del ruolo politico, ha dedicato grande attenzione alla conoscenza e al funzionamento del mercato. Questo è un problema effettivamente importante. Ricordo il libro di Guido Rossi intitolato Il conflitto endemico dove l'autore esponeva tutti i casi di conflitto di interessi che esistono nel mondo, soprattutto nell'attività economica, e in parte nel mondo dei rapporti di diritto pubblico. Lì siamo veramente in una situazione poco arata, dove l'elemento importante è stata la norma contenuta nel decreto «salva Italia», che ha riguardato le partecipazioni incrociate nel settore banche e assicurazioni.

Mi si chiedeva che cosa stiamo facendo in merito. L'applicazione è prevalentemente di Banca d'Italia, ovviamente, però ci sono dei problemi interpretativi. Anche in questo ci si muove sempre tra Scilla e Cariddi. Un'ipotesi è che qualcosa sia lasciato fuori, l'altra ipotesi è che si creino delle rigidità talmente forti da bloccare ogni meccanismo. C'è stato un tavolo di coordinamento presso Banca d'Italia - a cui ha partecipato anche l'Antitrust, ma principalmente i Ministeri interessati - per chiarire alcuni profili e alcuni dubbi interpretativi. Non posso ancora dire quali siano i contenuti di questa ipotesi, perché non è ancora stata ufficializzata, però si sono affrontate le difficoltà, per rendere la norma effettivamente applicabile. Ripeto, sarà poi Banca d'Italia a dover vigilare sulle situazioni di conflitto.

LINDA LANZILLOTTA. Mi scusi presidente, la tutela della concorrenza è competenza dell'Antitrust anche nel settore bancario e assicurativo.

GIOVANNI PITRUZZELLA, Presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato.

Infatti certamente sul settore bancario e assicurativo noi stiamo operando, in tanti casi abbiamo procedure aperte che riguardano proprio le assicurazioni.

LINDA LANZILLOTTA. È una norma a tutela della concorrenza.

GIOVANNI PITRUZZELLA, Presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato. Certamente la norma nasce con finalità di tutela della concorrenza, però su questo tendenzialmente non siamo noi i più attrezzati, fermo restando che interveniamo se ci troviamo davanti a un caso. Il soggetto istituzionale che ha l'incarico della vigilanza del settore bancario, e che quindi conosce in tempo reale tutto ciò che riguarda l'assunzione di cariche nei consigli, è la Banca d'Italia. Questo non significa che noi ci tiriamo indietro, se veniamo investiti della cosa.

LINDA LANZILLOTTA. Io mi aspettavo qualcosa di diverso, nel senso che mi aspettavo che l'Antitrust acquisisse le informazioni dalla Banca d'Italia per attivarsi. Trattandosi di una norma molto importante a tutela della concorrenza per il mercato italiano nel sistema bancario e assicurativo, mi aspettavo veramente, da parte vostra, una gestione attiva della norma, non solo un giocare di rimessa.

GIOVANNI PITRUZZELLA, Presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato. No, non stiamo giocando di rimessa perché non è nostra abitudine farlo. Ci stiamo occupando di tanto, però non possiamo essere noi i legislatori. La norma parla infatti dell'autorità di vigilanza, ma il settore della concorrenza è caratterizzato in tanti settori, come ben sapete, da una presenza, accanto alla garanzia orizzontale data dall'Antitrust, dell'autorità di vigilanza e di regolazione specifica.

Nel settore del credito c'è comunque la nostra competenza, per cui noi ci siamo attivati immediatamente, abbiamo stimolato quella norma e abbiamo proposto un tavolo proprio per potere subito procedere alla sua applicazione. Questo avviene in tanti altri campi, per esempio, per tutte le tematiche che riguardano la disciplina delle comunicazioni. Noi facciamo alcune cose, tante volte interveniamo col parere dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, oppure le rimettiamo gli interventi regolatori. Per quanto riguarda il settore bancario, proprio perché si parla di autorità di vigilanza del settore, c'è comunque un ruolo della Banca d'Italia.

Questo non significa che noi ci tiriamo indietro, tant'è vero che abbiamo immediatamente stimolato l'attuazione della norma. C'è però un problema di leale cooperazione tra istituzioni: la Banca d'Italia ha un rapporto costante con gli istituti di credito e probabilmente noi, oltre a fare un'interpretazione particolarmente evolutiva della norma, avremmo probabilmente creato, magari per motivi di bandiera, più una disfunzione nel sistema che qualcosa di positivo.

Certamente l'attenzione è massima al problema degli incroci, tant'è vero che abbiamo immediatamente attivato questo tavolo, prima ancora che la norma entrasse in vigore con la conversione in legge, per chiarire alcuni profili delicati dell'applicazione. Ripeto, mi permetto di non parlarne, perché è un lavoro che ancora non è stato approvato da tutti, quindi anche per rispetto alle altre autorità coinvolte.

PRESIDENTE. Ringrazio il presidente Pitruzzella, che come sempre ha dato le risposte che la Commissione chiedeva e ha dato uno stimolo al legislatore per cercare di intervenire laddove quelle carenze che i colleghi hanno evidenziato dovessero essere condivise.

Dichiaro conclusa l'audizione

La seduta termina alle 14,45.


 

 

 


 

I COMMISSIONE
AFFARI COSTITUZIONALI, DELLA PRESIDENZA
DEL CONSIGLIO E INTERNI

 

RESOCONTO STENOGRAFICO

 

AUDIZIONE

 

 

13.

Seduta di MERCOLEdì 4 APRILE 2012

 

presidenza del presidente DONATO BRUNO

 

 



La seduta comincia alle 14,10.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

 

Audizione del Presidente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, dottor Corrado Calabrò, sullo stato delle attività di controllo e vigilanza in materia di conflitti di interessi.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, l'audizione del presidente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, professor Corrado Calabrò, sullo stato delle attività di controllo e vigilanza in materia di conflitto di interessi.

A nome mio e di tutta la Commissione ringrazio il presidente per la sua presenza e gli do la parola per la sua relazione.

CORRADO CALABRÒ, Presidente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. È sempre motivo di interesse per l'autorità che presiedo confrontarsi con il Parlamento, l'Organo massimamente rappresentativo. In queste due settimane abbiamo avuto ben quattro confronti con il Parlamento, in varie Commissioni: per un presidente in scadenza di mandato non è poco.

La nostra è un'attività che tocca settori sensibili e/o economicamente rilevanti. Sulla materia del conflitto di interessi, specificamente, ho avuto più volte modo di illustrare al Parlamento gli elementi e gli aspetti problematici riscontrati nella sua pratica applicazione, sia in occasione di specifiche audizioni presso le competenti Commissioni parlamentari, compresa la vostra, sia nelle relazioni annuali che l'Autorità presenta al Parlamento entro il 30 giugno di ciascun anno, e da ultimo nella relazione sull'attività svolta nell'ultimo triennio.

Approvata il 12 dicembre scorso dal Consiglio dell'Autorità, la relazione riassuntiva dell'attività svolta nell'ultimo triennio 2009-2011 è stata inviata il giorno successivo, 13 dicembre, al Parlamento, indirizzandola - come per norma - ai Presidenti della Camera e del Senato. Inoltre, non appena avuta notizia che questa Commissione era interessata a un aggiornamento sulla questione, la relazione è stata prontamente inviata anche al presidente Donato Bruno, il 6 marzo scorso. In tale relazione, si dà ampio e motivato conto della deliberazione adottata il 30 novembre 2011, che è stata oggetto di polemiche. La deliberazione è altresì accessibile sul sito istituzionale dell'Autorità.

La legge n. 215 del 2004 attribuisce all'Autorità garante della concorrenza e del mercato, l'Antitrust, e residualmente all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, l'Agcom, competenze diversificate in materia. Per quanto riguarda il regime delle incompatibilità e il divieto per il titolare di cariche di governo di agire in  situazioni di conflitto di interessi, la vigilanza su eventuali violazioni è attribuita dalla legge esclusivamente all'Autorità garante della concorrenza e del mercato, cioè all'Antitrust. All'Agcom è stata assegnata, invece, una competenza specifica sulla fattispecie del cosiddetto «sostegno privilegiato», che in qualche modo costituisce un riverbero del conflitto di interessi.

In che cosa consistono le funzioni attribuite all'Agcom? Sostanzialmente nell'accertamento che le imprese che agiscono nei settori di Sistema integrato delle comunicazioni, il SIC, e che fanno capo a un titolare di cariche di governo, al suo coniuge o a suoi parenti entro il secondo grado, ovvero sottoposte al controllo dei medesimi soggetti, non pongano in essere comportamenti che forniscano un sostegno privilegiato al titolare stesso, violando alcune disposizioni di legge denominate nella prassi «leggi parametro». Tali norme sono quelle che disciplinano il sistema radiotelevisivo e hanno a fondamento, come è noto, alcuni princìpi generali, quali il pluralismo, l'obiettività, la completezza, l'imparzialità e la lealtà dell'informazione.

La ratio della norma è quella di evitare che imprese riconducibili ai titolari di cariche di governo, in ragione della natura delle attività esercitate nell'ambito della comunicazione, assumano anche un rilievo «politico», così offrendo all'uomo di governo vantaggi tali da alterare le regole della competizione democratica e della parità tra i competitori politici.

Si tratta, a ben vedere, di una ratio diametralmente opposta a quella delle norme sul conflitto di interessi affidate alla competenza dell'Antitrust. Queste ultime, infatti, postulano controlli dall'alto verso il basso, analizzando il comportamento che va dal pubblico al privato: adozione di un atto di governo, vantaggio patrimoniale preferenziale e danno all'interesse pubblico, nonché collegamento funzionale tra questi elementi e il titolare di carica di governo.

Nel caso del sostegno privilegiato, invece, ciò che spetta all'Agcom verificare è l'azione dal basso verso l'alto, cioè dalle imprese radiotelevisive verso il titolare delle cariche di governo (cosiddetto «controllo dal basso»), al quale le imprese devono avere effettivamente offerto un sostegno mediante un'accertata violazione di una legge parametro.

La figura di illecito introdotta dalla legge n. 215 nell'ambito delle funzioni dell'Agcom costituisce, dunque, una fattispecie complessa ma riconducibile a un conflitto di interessi reale, che deve cioè essersi concretato e non essere solo potenziale, vale a dire non meramente riconducibile a situazioni considerate astrattamente idonee a permetterne il verificarsi.

Pertanto, la violazione di una norma parametro diviene una condicio sine qua non per l'intervento dell'Agcom in materia di conflitti di interessi. Si tratta, peraltro, di una condizione necessaria ma non sufficiente, come risulterà dal prosieguo della mia esposizione.

Poiché il legislatore si è limitato a indicare i soli elementi costitutivi di tale illecito - la violazione di norme preesistenti e una conseguente condotta che integri un indebito vantaggio - l'Autorità ha enucleato una definizione per quanto possibile ampia nel suo Regolamento. L'Agcom ha identificato infatti il sostegno privilegiato con «qualsiasi forma di vantaggio, diretto o indiretto, politico, economico, di immagine, al titolare di cariche di governo».

L'applicazione della legge 22 febbraio 2000, n. 28, sulla par condicio è un esercizio giuridico arduo e complesso - me ne darete atto - per l'amplificazione e la suggestione mediatica e per la necessità di tenere il passo coi tempi. L'evoluzione delle modalità e degli strumenti della comunicazione politica dilata il perimetro in cui gli stessi devono essere ricondotti. In questo quadro si colloca l'applicazione interpretativa dell'Autorità sui videomessaggi, resa nel corso della campagna elettorale per le elezioni amministrative del 2011.

Si tratta di un tipo di comunicazione, quello dei videomessaggi, che può avere un impatto rilevante sul pluralismo dell'informazione,  ma per il quale la normativa vigente non detta disposizioni specifiche, limitandosi a disciplinare la comunicazione politica e i messaggi politici autogestiti. I programmi di informazione all'interno dei quali sono stati trasmessi i videomessaggi sono invece caratterizzati dall'autonomia editoriale e dalla correlazione con i temi dell'attualità della cronaca e, a differenza della comunicazione politica, non sono regolati dal criterio della ripartizione matematicamente paritaria degli spazi attribuiti, dovendosi essi conformare esclusivamente al criterio della parità di trattamento. E a questo proposito ricordo che abbiamo discettato a lungo, in seno alla Commissione parlamentare di vigilanza sui servizi radiotelevisivi, su che cosa significhi parità di trattamento a parità di situazioni.

L'Autorità, effettuando un bilanciamento tra il diritto-dovere di cronaca garantito dall'articolo 21 della Costituzione e i princìpi sul pluralismo dell'informazione, ha prescritto che i videomessaggi dei soggetti politici possono essere diffusi nel corso dei telegiornali e dei programmi d'informazione solo in casi eccezionali di rilevante interesse pubblico, con modalità tali da non incidere sul pluralismo dell'informazione. Inoltre, abbiamo stabilito che durante le campagne elettorali i videomessaggi non possono essere diffusi, al fine di evitare una confusione ontologica con i messaggi politici autogestiti disciplinati dalla legge sulla par condicio.

Più arduo, e ancora tutto da affrontare, è il problema di internet, che si riversa sul tema nevralgico della libertà della rete. Preliminarmente sarà bene rilevare con migliore definizione la valenza e gli effetti dell'informazione politica attraverso la rete. Va poi affrontato il problema, comune a tutti i regolatori, di capire se il set di regole per i media tradizionali possa essere ribaltato nel mondo di internet e se il consumo abbreviato e sincopato di notizie grazie ai nuovi strumenti integri veramente una forma di pluralismo cognitivo.

Dico questo perché do dimostrazione che dove c'era spazio per un nostro intervento chiarificatore non abbiamo esitato a porlo in essere, ma dove la legge dispone direttamente non c'è margine per una disciplina regolamentare integrativa che, in realtà, sarebbe correttiva.

Secondo la legge, come dicevo, l'ipotesi di sostegno privilegiato passa necessariamente attraverso la violazione di una delle citate leggi parametro. La disposizione primaria prevede inequivocabilmente, in ordine all'esercizio dei compiti assegnati all'Agcom riguardo al sostegno privilegiato, che sia preventivamente intervenuto l'accertamento della violazione delle norme parametro, cioè l'accertamento definitivo contenuto nel provvedimento finale con il quale l'Autorità ha sanzionato la violazione di dette norme.

In aderenza al dettato della legge, il Regolamento dell'Agcom prevede, pertanto, che il primo accertamento debba necessariamente precedere il secondo: durante il corso del procedimento per l'accertamento della violazione della legge parametro, l'intervento in materia di sostegno privilegiato non può ancora essere portato a effetto.

Peraltro, l'Autorità ha ritenuto - questo poteva farlo e lo ha fatto - che la violazione della normativa sul pluralismo e sulla par condicio configuri d'ufficio gli estremi per l'avvio dell'accertamento del sostegno privilegiato. Dunque, anche in mancanza di esposti, denunce e via dicendo, quando sussiste il sospetto che un'operazione possa aver dato adito a un sostegno privilegiato, a una violazione della legge parametro, l'Autorità d'ufficio promuove anche l'altro procedimento.

Una volta che, a seguito della violazione della legge parametro, venga accertata, in un separato procedimento, la decorrenza del sostegno privilegiato, l'Agcom deve diffidare l'impresa. Questo è il punto. La legge sul conflitto di interessi, anche dopo l'accertamento definitivo, non ci dà la possibilità di sanzionare, ma prima dobbiamo diffidare l'impresa a desistere dal comportamento contestato e ad adottare le necessarie e possibili misure correttive.

Solo in caso di inottemperanza alla diffida nel termine assegnato, l'impresa responsabile del sostegno privilegiato può essere sanzionata. Le sanzioni sono quelle previste per l'infrazione alla legge parametro in concreto violata, con un inasprimento sino a un terzo.

Come primo provvedimento applicabile, dunque, la legge prevede semplicemente la diffida. Solo in caso di reiterazione di tale condotta, dopo la diffida sarà possibile l'esercizio, da parte dell'Autorità, del relativo potere sanzionatorio.

Per le violazioni delle norme sul pluralismo informativo e sulla par condicio, cioè delle principali leggi parametro, non sono normalmente irrogabili in prima battuta sanzioni pecuniarie, essendo la prima misura normalmente adottabile in tali circostanze quella dell'ordine di riequilibrio e di ripristino della parità di accesso al mezzo radiotelevisivo. Tuttavia, nell'applicazione pratica della legge in materia di pluralismo e di par condicio, l'Autorità ha ritenuto applicabile, a presidio degli ordini di riequilibrio impartiti, sanzioni amministrative da 10.000 a 258.000 euro, con un'interpretazione che è stata avallata dalla giurisprudenza amministrativa.

Sul versante del sostegno privilegiato, l'Autorità non ha potuto invece sovvenire alle lacune della legge n. 215 del 2004, che presuppone chiaramente in tale materia la persistenza, da parte dell'impresa, nella violazione contestata.

Infatti, come dicevo, le sanzioni previste dalla legge per tali situazioni sono applicabili solo quando l'impresa, non ottemperando alla diffida, non provvede al riequilibrio informativo ordinato dall'Autorità.

La struttura legislativa della fattispecie del sostegno privilegiato non consente così l'esercizio immediato del potere sanzionatorio da parte dell'Autorità, a differenza dei casi di violazione delle norme parametro.

L'opinione divergente - parlo in perfetta trasparenza, e su questa materia c'è assoluta trasparenza; come vi dicevo, della relazione abbiamo dato atto subito, la delibera è sul sito, i dibattiti sono stati sempre aperti - pure rappresentata in seno al Consiglio dell'Agcom, che è un Consiglio pluralista, non appare assecondabile, stante la chiarezza delle norme in questione che non ne consentono un'interpretazione difforme.

Se nessuna delle sanzioni comminate dall'Autorità in materia di par condicio è stata mai annullata dal giudice amministrativo - nonostante i ricorsi riguardino la quasi totalità delle deliberazioni - è perché l'Autorità si è mossa sempre su un terreno solido, evitando di scivolare su interpretazioni suggestive ma arrischiate.

Ho già messo in luce nelle mie precedenti relazioni - e confermo oggi - che, stanti le condizioni di non resipiscenza cui è sottoposto, il conflitto di interessi ha in concreto una via per sfuggire alle conseguenze sanzionatorie astrattamente previste dalla legge, anche per la brevità del periodo elettorale (lì un rimedio l'abbiamo potuto porre), ma è la stessa legge che così l'ha configurato.

In occasioni recenti il Parlamento ha rivendicato la propria competenza per casi che rientravano nel quadro comunitario e per i quali la sovranità nazionale risentiva delle limitazioni stabilite dall'articolo 117 della Costituzione, nel testo sostituito dalla legge costituzionale n. 3 del 2001.

Bene: questo del conflitto di interessi, viceversa, è un caso rimesso fondamentalmente alla legislazione nazionale.

È pur vero che in ambito europeo sono intervenute le linee guida dell'OCSE, le quali, ispirandosi a modelli di legislazione sul conflitto di interessi più vicini al modello statunitense, includono soluzioni anche a carattere preventivo, quali l'attribuzione solo di quelle funzioni pubbliche per le quali il rischio di conflitto non esiste, la costituzione di un blind trust, le dimissioni dall'ufficio pubblico se il conflitto non può essere risolto in altro modo. Soluzioni, queste, che danno rilievo anche al semplice pericolo di una situazione potenzialmente di conflitto di interessi. Si tratta, peraltro, di linee guida non vincolanti per i Paesi europei, per cui è rimessa al legislatore del singolo Stato la scelta del sistema normativo da attuare.

Spetta quindi al legislatore dettare le norme ritenute più appropriate in questa materia, alla luce anche del rilievo da me fatto circa la tendenziale inconcludenza del procedimento e anche alla luce dei rilievi fatti dal presidente Pitruzzella nella sua audizione.

Questa non è materia in cui l'Agcom possa dettare regole extra legem con proprio regolamento. Noi possiamo solo adottare norme di esecuzione e quindi essenzialmente disposizioni che accelerino e semplifichino il procedimento e questo è quello che esattamente abbiamo fatto con la recente modifica del nostro Regolamento sulla risoluzione del conflitto di interessi.

Infatti con delibera n. 628/11/CONS del 12 dicembre 2011 - anche sulla scorta dell'esperienza dell'ultima campagna elettorale - l'Autorità ha stabilito di apportare una forte abbreviazione dei tempi procedimentali stabiliti dalla delibera adottata nel corso della precedente consiliatura nel 2004, per i procedimenti finalizzati ad accertare il sostegno privilegiato, al fine di renderli compatibili maggiormente con il periodo limitato di svolgimento delle campagne elettorali.

Per tali fattispecie, il termine del procedimento è stato fissato in un massimo di quindici giorni, prorogabili a venti solo in caso di specifiche esigenze istruttorie, in luogo dei centocinquanta giorni (prorogabili fino a duecentodieci) precedentemente previsti, cui abbiamo dovuto attenerci durante la nostra consiliatura. Inoltre, si è stabilito che per le violazioni della par condicio che intervengono negli ultimi quindici giorni della campagna elettorale tali termini siano in via d'urgenza ulteriormente ridotti a quarantotto ore, in analogia con la scansione procedimentale fissata dalla legge n. 28 del 2000 per le violazioni ivi contemplate. Più di questo abbiamo ritenuto che il Regolamento non potesse fare.

Le sanzioni comminate dall'Autorità in materia di par condicio dal 2005 all'ultima campagna elettorale, durante la nostra consiliatura, quindi, ammontano complessivamente a 2.250.460 euro.

Con riferimento all'anno 2009, nel corso del quale vi è stato il pressoché contemporaneo svolgimento di elezioni europee, amministrative e referendarie, l'Autorità ha avviato d'ufficio il procedimento per l'accertamento della sussistenza del sostegno privilegiato nei confronti della società RTI, Rete televisiva italiana, facente capo all'allora Presidente del Consiglio Berlusconi. Il procedimento è stato avviato a seguito della violazione in materia di par condicio riscontrata a carico del notiziario TG4, che ha comportato, per le violazioni della legge parametro, l'irrogazione di una sanzione pecuniaria di 180.000 euro.

Il procedimento per sostegno privilegiato si è concluso invece con l'archiviazione, perché il comportamento tenuto dal TG4 e sanzionato per la violazione della legge parametro, non era stato poi reiterato nel corso della campagna elettorale. Come dicevo, è infatti necessaria una condotta che permanga, mentre l'impresa, in questo caso comprovato, aveva posto in essere misure necessarie per assicurare l'osservanza delle norme in materia di parità di accesso e quelle correttive per ottemperare al riequilibrio.

Un ulteriore procedimento per sostegno privilegiato, sempre a carico della società RTI, è stato avviato nel 2010, in connessione con la campagna elettorale per le elezioni regionali, provinciali e comunali. Il procedimento è stato avviato a seguito della violazione in materia di par condicio riscontrata a carico del TG5, che ha comportato l'irrogazione, nei confronti della predetta società, di una sanzione pecuniaria di 100.000 euro per non aver ottemperato al richiamo al rispetto dei princìpi di completezza, correttezza, obiettività, equità e parità di trattamento.

Anche tale procedimento si è concluso con l'archiviazione, da parte del Consiglio dell'Autorità, per quanto riguarda il sostegno privilegiato, sulla base dei medesimi presupposti della precedente archiviazione.

In tale delibera, l'Autorità ha peraltro posto in luce che l'addebitabilità della violazione al sostegno privilegiato non avviene  solo in presenza di un dolo specifico, rappresentato dall'intenzione di favorire il titolare di cariche di governo, ma che per la configurazione dell'illecito è sufficiente la mera colpa, alla luce delle regole generali sull'illecito amministrativo. Anche questo è un altro passo avanti piuttosto interessante che si è compiuto, almeno rispetto alla nostra prassi. Sotto questo profilo, l'impresa ha però dimostrato, depositando agli atti la relativa documentazione, di essersi adoperata, per tutto il periodo della campagna elettorale, a trasmettere alle proprie strutture editoriali, tra le quali la testata del TG5 oggetto di sanzione, richiami all'osservanza delle norme e delle delibere in tema di parità di accesso dei soggetti politici al mezzo radiotelevisivo, intensificando tale attività a partire dal giorno successivo al nostro richiamo. E invero, la violazione riscontrata non è stata reiterata, essendosi rilevato, nella settimana successiva, un riequilibrio dello squilibrio informativo iniziale; da qui l'archiviazione.

Il 2011 ha visto lo svolgimento delle elezioni provinciali e comunali, con turno di ballottaggio nei giorni 29 e 30 maggio, a cui si è parzialmente sovrapposta la consultazione referendaria del 12 e 13 giugno. Si è trattato di una tornata elettorale lunga e complessa, che ha visto l'Autorità particolarmente impegnata.

Significative sono state le sanzioni comminate, per un totale di più di 1 milione 117 mila euro. Di esse, sanzioni per un totale di 558.230 euro sono state irrogate nei confronti di RTI, così ripartite: 100.000 euro nei confronti del TG4, 258.320, 100.000 e 100.000 euro rispettivamente ancora nei confronti del TG4 nonché del TG5 e Studio aperto. Queste ultime tre hanno riguardato le interviste del Presidente del Consiglio diffuse in data 20 maggio dai tre notiziari facenti capo a Mediaset. Tali interviste, diffuse in serrata sequenza il giorno 20 maggio, durante i turni di ballottaggio, su cinque telegiornali del prime time - Studio aperto, TG5, TG4, TG1 e TG2 - per gli argomenti trattati e per le modalità di realizzazione sono risultate caratterizzate da elementi di marcata propaganda elettorale, assumendo così i tratti distintivi della comunicazione politica anziché dell'informazione. Pertanto, stante l'impraticabilità dell'adozione della misura del riequilibrio - interviste di analogo tenore ai candidati di schieramenti opposti avrebbero infatti reiterato le violazioni censurate sull'altro versante - l'intervenuta violazione delle regole della par condicio è stata ritenuta direttamente sanzionabile.

I competenti uffici dell'Autorità hanno poi avviato d'ufficio e sulla base di esposti il procedimento per l'accertamento della sussistenza del sostegno privilegiato.

Nel corso del procedimento è stato approfondito il tema delle eventuali conseguenze sanzionatorie ai sensi della disciplina sul conflitto di interessi.

Da tale approfondimento è risultato confermato che l'esercizio del potere di diffida per sostegno privilegiato presuppone il permanere delle condizioni per l'eventuale persistenza della violazione contestata da parte delle imprese e cioè, nello specifico, che tale comportamento venga reiterato in permanenza del periodo elettorale, alla cui durata sono condizionati una serie di obblighi in capo alle imprese di comunicazione.

Non sussistendo tale condizione, il procedimento non ha potuto che concludersi con l'archiviazione. Proprio dall'approfondimento condotto, peraltro, è emersa - come dicevo - l'esigenza di ridurre drasticamente i termini procedimentali per tale fattispecie, apportando le modifiche regolamentari che prima ho ricordato.

A completamento delle recenti attività riconducibili alla materia del conflitto d'interessi ricordo che nel 2011 l'Autorità ha rivolto al Governo e al Parlamento una segnalazione in materia di limite antitrust per stampa-televisione e conflitto di interessi.

Abbiamo segnalato la scadenza, il 31 dicembre 2010, del divieto per i soggetti che esercitano l'attività televisiva in ambito nazionale attraverso più di una rete di acquisire partecipazioni in imprese editrici e giornali quotidiani. In proposito, l'Agcom ha segnalato come il divieto fosse di particolare  rilevanza ai fini del pluralismo, auspicando un intervento legislativo. La segnalazione è stata rinnovata in data 2 marzo 2011.

In accoglimento di tale segnalazione, il Governo ha prorogato il termine in questione al 31 dicembre 2012, ossia alla fine di quest'anno, riformulando il divieto con riferimento al conseguimento di ricavi da parte di uno stesso soggetto in misura superiore all'8 per cento del valore economico del Sistema integrato delle comunicazioni (SIC).

L'altro versante della segnalazione, rimasto a questo riguardo senza seguito, era attinente al fatto che le citate leggi parametro non contengono, tra i comportamenti vietati che possono configurare sostegno privilegiato, alcun riferimento alla stampa.

L'Autorità, pertanto, ha rappresentato al Governo e al Parlamento la problematicità della questione, segnalando che in caso di rivisitazione della legge sul conflitto di interessi andrebbe colmato il vuoto normativo che non consente, allo stato della legislazione vigente, di configurare la sussistenza del sostegno privilegiato da parte delle imprese della carta stampata.

In conclusione, sono evidenti le problematicità e criticità nell'applicazione della legge sul conflitto di interessi, per quanto ci riguarda, specificamente sul versante del sostegno privilegiato, che costituisce l'unico ambito di competenza dell'Agcom.

L'azione dispiegata dall'Autorità in questo settore non ha potuto non risentire dei limiti di effettività connaturati al sistema della legge n. 215 del 2004, la quale, benché elegante nel suo disegno, difetta di sostanzialità nelle misure concrete da essa derivanti.

La legge, infatti, ha scelto il criterio del sostegno reale, non potenziale - al quale, come abbiamo visto, si ispirano altre legislazioni - dal quale deriva che le ipotesi di sostegno privilegiato concretamente accertabili finiscono per essere registrate solo ex post. Di conseguenza, la generale debolezza sanzionatoria delle norme che regolano il sistema informativo viene per così dire esaltata nei procedimenti in materia di conflitto di interessi.

L'Autorità ha fatto quanto in suo potere per conferire una maggiore effettività alla norma, ma senza giungere a un hysteron proteron che avrebbe ribaltato la previsione legislativa.

Di ciò, come dicevo, abbiamo ripetutamente informato il Parlamento, ogni anno e in ogni occasione, in modo assolutamente trasparente. Grazie.

PRESIDENTE. Grazie a lei, presidente.

Informo che il presidente Calabrò ha consegnato una relazione scritta, di cui dispongo la distribuzione.

Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

MAURIZIO IAPICCA. Presidente Calabrò, la ringrazio per essere intervenuto e per la sua esposizione. Vorrei focalizzare un punto che a noi meridionali sta a cuore: la sede di Napoli dell'Autorità. I sindacati ci informano che esiste il pericolo che si voglia svuotare la sede di Napoli per portare tutte le attività alla sede di Roma. Come a lei è ben noto, il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 2007 ha stabilito le funzioni istituzionali dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, che devono essere equamente suddivise tra la sede di Napoli e la sede operativa di Roma.

Tutto questo, però, non sta avvenendo e ci informano sempre i sindacati che si sta spostando l'interesse soprattutto verso Roma. Questo creerebbe un grosso disagio alla regione Campania.

Voglio ricordarle che lo spirito per il quale fu scelta la città di Napoli per la sede centrale dell'Agcom era quello di dotare il territorio di un centro decisionale importante per il Mezzogiorno. Spostare tale sede, dunque, risulterebbe un clamoroso passo indietro.

Vorrei un'assicurazione da lei che tutto questo non avverrà nel prossimo futuro.

MARIO TASSONE. Signor presidente, vorrei fare una riflessione, nella quale è  implicita una domanda, anche perché sulle Autorità amministrative indipendenti la I Commissione ha avuto la possibilità di svolgere ampie ricognizioni.

Ho ascoltato con molta attenzione la relazione del presidente Calabrò, che ringrazio, e la mia domanda è volta a sollecitare da parte sua - se intende ritornare su questo aspetto nella sua replica, rispondendo alle domande dei colleghi - il chiarimento di alcuni punti che mi risultano dubbi.

Per quanto riguarda la prima parte della sua relazione, rispetto alla trasmissione e quant'altro, chiedo quale sia il rapporto tra la Commissione bicamerale di vigilanza sui servizi radiotelevisivi e l'Authority, se esista un'interrelazione e soprattutto un collegamento rispetto a dati ed elementi che il presidente ha voluto evidenziare.

Inoltre, la relazione ha portato alla nostra attenzione la problematica relativa alla conflittualità di interessi. A questo riguardo, presidente Calabrò, credo che di tale questione sia piena la storia di questo Parlamento, almeno negli ultimi anni. Non c'è dubbio - chiedo se su questo tema può ritornare in sede di replica per approfondirlo meglio - che ci sia un'insufficienza di normativa. Tuttavia, relativamente alla problematica che riguarda l'Authority, vorrei capire se lei vede qualche lacuna, qualche disfunzione tra la norma ordinaria e la norma istitutiva delle Authority.

Io - lo dico con estrema chiarezza - ho guardato sempre l'Authority con sospetto, ma anche con grande interesse misto a preoccupazione. Non c'è dubbio che a volte esista qualche discrepanza e qualche disarmonia tra la legge ordinaria e la legge istitutiva dell'Authority.

La questione della regolamentazione e dei conflitti di interessi che rimangono tutti in piedi, anche rispetto al dato, che lei poneva con molta attenzione, dei poteri sanzionatori, ci porta su un terreno sdrucciolevole, molto opaco. Forse è bene chiarire anche questi aspetti, per capire, attraverso l'occasione dell'audizione odierna, se sussistono lacune e disfunzioni, aspetti inesplicabili sul piano normativo che potrebbero essere risolti ai fini della loro concreta attuazione.

Ho colto la sua sofferenza, anche nell'esposizione, ma siamo in una situazione ibrida. Il discorso è sempre lo stesso: una troika Parlamento, Governo, Authority, cui aggiungo la Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, per quanto riguarda la RAI. Esiste insomma un complesso di tensioni verso una normativa, verso la vigilanza e verso la regolamentazione. A volte, però, la regolamentazione sta a metà e non dispiega tutti i suoi effetti, come del resto la vigilanza e il controllo.

ROBERTO ZACCARIA. Ringrazio il presidente Calabrò. Personalmente mi sono permesso di insistere per lo svolgimento di questa audizione, nonostante avessimo avuto dall'Autorità un'ampia documentazione su questo argomento, perché il tema di oggi - l'applicazione della legge sul conflitto di interessi in materia di mezzi di comunicazione - è molto specifico ma anche molto delicato.

Ho insistito, dunque, sebbene in realtà su questo argomento il presidente Calabrò fosse già venuto in questa Commissione durante l'esame in sede referente del progetto di legge di modifica della normativa sul conflitto di interessi, nella XV legislatura. Poiché non tutti coloro che oggi sono qui erano presenti allora, mi sembrava opportuno che, a distanza di sei anni, si potesse ritornare su questo specifico argomento. Considerato che il mandato dell'Autorità - come ha ricordato garbatamente il presidente all'inizio della sua relazione - sta per scadere, questa era l'occasione per fare un bilancio su un periodo settennale significativo di applicazione della legge n. 215 del 2004.

Dirò subito che la circostanza che mi aveva destato qualche preoccupazione era che dopo quella audizione del 2006 - certamente per un disguido - non erano state inviate le relazioni semestrali per quattro anni: 2007, 2008, 2009, 2010.

Il presidente Calabrò ha già risposto dicendo che le relazioni dell'Autorità sono  numerose e, peraltro, quella annuale viene presentata in maniera molto solenne in Parlamento. Tuttavia, il punto che vorrei richiamare è che queste audizioni non servono soltanto al presidente dell'Autorità per comunicarci certe posizioni, ma servono ai parlamentari per interloquire. Mi rivolgo ai colleghi: se provate, come parlamentari, a promuovere un'interrogazione o un'interpellanza su questi argomenti all'Assemblea, vi verrà risposto che non potete farlo. Dunque, l'unica occasione che abbiamo per interloquire, dialogare ed, eventualmente, dal punto di vista di ciascuno di noi, anche criticare un certo tipo di atteggiamento, è nell'ambito di un'audizione.

Sulla trasparenza, peraltro, avrei qualcosa da osservare. Certamente alcune delibere sono molto più in evidenza sul sito dell'Autorità, ma quella sul conflitto di interessi, sino a qualche giorno fa, non l'avevo trovata (può darsi che sia un po' «nascosta» nel sito). A mio avviso, si tratta di una questione molto importante, perché la materia del conflitto di interessi suscita molta attenzione da parte dei cittadini, e del resto la norma è fatta a tutela dei cittadini. Credo che questo punto debba essere chiarito, ma mi sembra che sia già evidente che d'ora in poi queste decisioni saranno disponibili in modo chiaro sul sito dell'Autorità, in modo che anche chi non è capace di consultarlo possa trovarle rapidamente.

Venendo al merito, credo che si ponga un problema delicato. La legge ha, per un lettore «semplice», un contenuto abbastanza chiaro: l'Autorità accerta che le imprese che agiscono in settori del Sistema integrato delle comunicazioni, SIC, non pongano in essere comportamenti che, in violazione di una serie di altre disposizioni - in particolare la legge sulla par condicio ma anche altre norme chiamate «leggi parametro» - forniscano un sostegno privilegiato al titolare di cariche di governo.

La disposizione è dunque chiara ed è stata chiarita ulteriormente dall'Autorità, che ha dato la nozione di sostegno privilegiato specificandone il significato. Tale nozione significa sostanzialmente che se un soggetto possiede delle televisioni che, durante la campagna elettorale, lo aiutano, esse forniscono appunto un sostegno privilegiato di qualsiasi natura, politica, economica, di immagine. Questo è chiaro.

C'è però un elemento - questo è il punto centrale di quello che ci dice il presidente Calabrò - che inquina il discorso, laddove si parla di «previa diffida». Non basterebbe dunque violare le norme parametro. Un soggetto che ha violato ripetutamente le norme in materia di par condicio durante la campagna elettorale che dura trenta o quarantacinque giorni, capita che venga sanzionato più volte. Se questo soggetto ricade nell'ambito del controllo del Presidente del Consiglio si configura, potremmo dire automaticamente, l'altra fattispecie, ossia il sostegno privilegiato. Se la RAI, durante il Governo Berlusconi, violava la par condicio - e l'ha fatto - non essendo di proprietà e sotto il controllo del Presidente del Consiglio, non si dava luogo al sostegno privilegiato. Se invece la violazione riguardava le aziende dell'allora Premier - Retequattro, Canale 5 e Italia 1 - si determinava una situazione diversa.

Il problema nasce nella diffida. Siccome il procedimento sanzionatorio è un procedimento seriale, prima bisogna diffidare, chiedere di non commettere più la violazione e poi sanzionare in caso di reiterazione. Dunque, quando un soggetto commette violazioni reiterate in campagna elettorale - perché in campagna elettorale gli conviene violare la legge per dare un sostegno al suo riferimento - se applichiamo la diffida dopo la campagna elettorale è come se facessimo le contravvenzioni durante una fiera, quando si parcheggia fuori posto, mentre finita la fiera non lo fa più nessuno. Quindi, la diffida è inutile.

A questo punto pongo una domanda al presidente Calabrò e ai colleghi della Commissione. Se esiste una legge dello Stato che ha due interpretazioni possibili, una che la rende applicabile e una no, voi la interpretate in maniera che sia inapplicabile o che sia applicabile? Consideriamo l'esempio del gioco del calcio, che è chiaro  per tutti: come sapete, nel gioco del calcio all'inizio delle partite ci sono alcuni soggetti che sono «diffidati», ma la diffida nasce da vicende precedenti. Il problema, dunque, è capire se noi consideriamo soltanto una campagna elettorale o una sequenza di campagne elettorali. Prendiamo il caso di Rete 4 (adesso non c'è più lo stesso direttore quindi se ne può parlare in maniera più distaccata): io dico che, durante gli ultimi sette anni, Rete 4 ha violato la legge sulla par condicio almeno dieci volte, e sono ottimista, perché è successo sicuramente più di dieci volte.

Che cosa impedisce, allora, di considerare valida, ai fini della diffida, la diffida precedente? Sappiamo che se noi isoliamo una campagna elettorale non coglieremo mai il sostegno privilegiato. Se, invece, guardiamo la sequenza delle campagne elettorali, facciamo come avviene nel gioco del calcio: si fa una diffida, magari nella campagna precedente, e quel soggetto, ai fini dell'applicazione del sostegno privilegiato, è «ammonito», quindi non è necessaria un'altra diffida perché sostanzialmente è un violatore seriale di quella norma.

In sostanza voglio affermare questo: si poteva adottare un'interpretazione - la più ristretta - che prevedesse alla prima violazione in campagna elettorale la diffida anche per il sostegno privilegiato (nel caso di azienda e leader) oppure un'interpretazione, che io ritengo migliore e possibile, che prevedesse una diffida valida anche per le campagne elettorali successive nel caso in cui il soggetto commetta l'atto (naturalmente se l'atto non viene più commesso, la diffida non ha seguito).

C'è una legge che necessita di modifiche; ce l'hanno detto sia il presidente Pitruzzella che il presidente Calabrò. Tuttavia, di una legge che ammette, a mio modo di vedere, due interpretazioni, noi abbiamo dato l'interpretazione più restrittiva. Ricordo che nella relazione semestrale del giugno 2006, alle pagine 12-13, il presidente dell'Agcom dice che un'interpretazione di questo tipo si poteva forse anche configurare, ma che «una simile interpretazione integrata della legislazione di settore non è stata ancora mai asseverata e, allo stato, costituirebbe solo una malcelata ipotesi di studio». Vorrei che questa «malcelata ipotesi di studio» in una Commissione parlamentare fosse ritenuta degna di attenzione.

GIUSEPPE CALDERISI. Ringrazio il presidente Calabrò per la sua esposizione, che credo chiarisca - se ce ne fosse stato bisogno - quali siano gli ambiti di competenza e i poteri dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni previsti dalla legge, alla quale evidentemente l'Autorità si deve assolutamente attenere. Se dunque ci sono - e sicuramente ce ne sono - ragioni di una modifica della legislazione il Parlamento deve operare in questo senso, ma ritengo che non possa pretendere che l'Authority, con interpretazioni forzate, vada al di là dei confini stabiliti dalla normativa vigente. Lo dico anche con riferimento all'ultimo intervento.

Credo che da questa esposizione abbiamo ben chiaro quali sono i compiti e i poteri dell'Authority e quali sono, eventualmente, gli ambiti di una riforma che però spetta al Parlamento fare e che non può la stessa Authority fare da sola.

SALVATORE VASSALLO. Vorrei fare, se il presidente Calabrò me lo consente, una breve considerazione preliminare, che non attiene specificamente a questa audizione, bensì alla riflessione che stiamo svolgendo da qualche tempo sulle Authority e sul rapporto tra il Parlamento e le autorità indipendenti.

Un elemento che forse potrebbe rendere più efficace lo scambio di informazioni nonché il reciproco controllo - nel senso in cui può essere usato il termine - è che le relazioni degli auditi ci fossero consegnate in anticipo, e non alla fine della lettura, che a quel punto risulterebbe meno necessaria. Ciò ci consentirebbe di valutare esattamente cosa i nostri ospiti ci dicono, evitandoci di capire solo dopo un paio d'ore che c'era qualcosa che avremmo potuto chiedere e approfondire meglio. Questa è una considerazione che proveremo a svolgere qualora dovessimo  lavorare - come sarebbe auspicabile - a un progetto di riforma.

Nel caso specifico, la natura del problema è stata già illustrata: il sostegno privilegiato, nel caso del conflitto di interessi tra il Presidente del Consiglio e le sue televisioni che lo favoriscono, non è stato perseguito come, a nostro avviso, l'Autorità avrebbe dovuto fare. L'Autorità sostiene che ciò non è stato possibile perché i tempi del procedimento sono più lunghi dell'arco temporale in cui si può svolgere questa azione considerata illecita dalla nostra legislazione.

Vorrei rivolgere al presidente Calabrò due domande molto puntuali. Questo non è un conflitto di interessi e un caso di sostegno privilegiato qualunque, ma il principale conflitto di interessi è il caso di sostegno privilegiato più evidente agli occhi dei cittadini italiani, degli analisti del nostro sistema politico e di chiunque legga i giornali. Se era già ben chiaro che, dato il modo in cui era disegnato il Regolamento, sarebbe stato impossibile perseguire il più evidente conflitto di interessi, il più palese caso di sostegno privilegiato da molti anni - da quando, cioè, Silvio Berlusconi è sulla scena politica - mi chiedo perché il presidente Calabrò si accorge solo il 12 dicembre 2011, ossia quasi alla fine del suo settennato, dell'opportunità di modificare il Regolamento per permettere all'Autorità di intervenire.

Il Regolamento prevedeva un termine massimo di 150 giorni per lo svolgimento del procedimento. Il presidente può dirci come questo termine avrebbe impedito all'Autorità di darsi e di dare ai soggetti coinvolti nel caso di sostegno privilegiato, tempi più stretti e compatibili con un'effettiva applicazione della norma?

PAOLO GENTILONI SILVERI. Signor presidente, grazie anche per l'ospitalità. Da un certo punto di vista, si può dire che la discussione non sia ancora approdata a nulla, nel senso che, almeno a mio avviso, è ovvio che siamo d'accordo con quanto il presidente Calabrò ha sostenuto e ribadito - giacché lo ha fatto anche in altre occasioni -, e come ha fatto più volte, in questi anni, il professor Catricalà, e di recente anche l'avvocato Pitruzzella.

Nel 2002-2003 la nostra parte politica ha combattuto una battaglia contro la legge sul conflitto di interessi, approvata otto anni fa, ritenendola «senza denti». Il fatto che oggi questo ci venga ricordato dai presidenti dell'Antitrust o dell'Agcom potrebbe anche chiudere la discussione. Siamo d'accordo nel definire questa legge poco incisiva e da modificare. Confido che il professor Catricalà, che adesso svolge il ruolo di Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio - un ruolo cruciale, anche di potenziale proponente - si faccia carico di proporre una modifica nelle prossime settimane e nei prossimi mesi.

Detto questo, ci troviamo tuttavia di fronte a una sconfitta dell'ordinamento, perché sappiamo di esserci trovati di fronte a un conflitto di interessi molto rilevante e che le società contemporanee ne riproporranno altri casi significativi. Riconoscere ripetutamente che la legislazione di cui ci siamo dotati non è adeguata costituisce comunque una sconfitta per il legislatore, per lo Stato, per l'amministrazione.

Fermo restando che la premessa è condivisa, ossia che questa legge non fornisce strumenti sufficienti, credo che valga la pena di interrogarsi fino in fondo se - nonostante i limiti che, come ho già detto, condivido per definizione - l'Autorità non abbia avuto e non avrà, nei prossimi anni, la possibilità di utilizzare questi strumenti, per quanto limitati, e di applicarli in maniera leggermente più incisiva.

Vorrei limitarmi a questo, poiché ho preso atto, ma non sono del tutto persuaso dalle argomentazioni del presidente Calabrò. Faccio due esempi, uno dei quali non riguarda l'Agcom, bensì l'articolo 6 della legge n. 215 del 2004, quindi le competenze dell'Antitrust. Vorrei ricordare ai colleghi - esempio di scuola - che la Corte di giustizia dell'Unione europea ha condannato in modo definitivo lo Stato italiano in merito a un provvedimento del 2004-2005 sul finanziamento ai decoder, che violava le normative europee. La Corte ha stabilito addirittura la quantificazione  del beneficio provocato ad aziende di proprietà di un membro del Governo italiano e ha intimato a tali aziende di restituirlo. La prova provata del vantaggio conseguito da aziende per delibere prese da un Governo risiede quindi in una sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea.

In quell'occasione ho segnalato questo caso con una diffida, e, se volete, un giorno vi riferirò la spiegazione - che mi limito a definire non soddisfacente - che ho ricevuto dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato.

Il secondo caso, che è quello di cui stiamo parlando oggi, e che a mio avviso è anch'esso discutibile, riguarda le emittenti di proprietà del Presidente Berlusconi. Per quanto riguarda i giornali, riconosco l'assoluta fondatezza di quanto ha detto il presidente Calabrò. Se non ricordo male, io stesso diffidai il Giornale, e per negare la fattispecie del «sostegno privilegiato di un mezzo di comunicazione di proprietà di un esponente del Governo» per un quotidiano come il Giornale è necessario il più grande avvocato della storia. È anche vero, però, che l'elencazione di quelle norme parametro può lasciar intendere che il legislatore si riferisse alla televisione e non ai giornali, dunque c'è una lacuna da colmare.

Per quanto riguarda in particolare Rete 4, io non sono del tutto convinto - lo dico al presidente Calabrò, perché mi pare di aver colto questo nella sua argomentazione, ma se ho capito male mi correggerà - che un'altra interpretazione, quella «calcistica» dell'onorevole Zaccaria, non avrebbe retto al TAR. A me sembra discutibile sostenere che non vi sia stata reiterazione del sostegno privilegiato. Avevo conteggiato gli atti dell'Autorità contro Retequattro, e non erano i dieci di cui parlava prima benevolmente l'onorevole Zaccaria, ma molti di più.

Dal mio punto di vista, la reiterazione è certa. Inoltre, il riferimento è soltanto alle campagne elettorali? Anche il paragone calcistico dell'onorevole Zaccaria alludeva al fatto che, susseguendosi le campagne elettorali, chi è diffidato deve essere espulso. Dubito - ma vorrei che le vostre argomentazioni mi convincessero del contrario - che il sostegno privilegiato sia riferibile solo alle campagne elettorali. Anche tra le leggi parametro di cui parliamo, soltanto una le riguarda in modo esclusivo; le altre - la legge Mammì e la legge Maccanico, per intenderci - non si riferiscono a campagne elettorali.

Sappiamo bene che i princìpi generali - e non devo certo dirlo al presidente Calabrò - si riferiscono con una specifica legislazione alle campagne elettorali, ma sono validi, per l'appunto, in generale. A mio avviso, dunque, si presume che il sostegno privilegiato sia valido in generale e non solo in campagna elettorale.

Infine, c'è una questione di cui abbiamo parlato decine di volte in Commissione di vigilanza sulla RAI. Personalmente ritengo - e mi pare che più volte anche il presidente Calabrò si sia pronunciato in questo senso, sebbene la prassi e i regolamenti non siano chiari - che all'Autorità sia consentito, e penso anzi che sia un suo dovere, intervenire d'ufficio, perché si potrebbe dire che, su una determinata fattispecie, non c'è stata denuncia di parte, nessuno ha segnalato un caso di sostegno privilegiato, anche se ci sono state molte diffide e denunce.

La normativa accorda sempre più poteri all'Autorità, e ritengo che sia giusto. Pensate al parere espresso un anno fa dal Consiglio di Stato sul rapporto tra il ministero e l'Autorità: il Consiglio di Stato ha in pratica detto che il ministero non ha più alcun potere e che i poteri sono interamente nelle mani dell'Autorità (mi scuso per la semplificazione). Ebbene, un'Autorità che giustamente dispone di sempre maggiori poteri non può, a mio avviso, non considerare seriamente l'ipotesi di interventi di ufficio.

Forse la norma non riguarda solo le campagne elettorali, forse si deve intervenire d'ufficio, e non solo su denuncia, forse la frequenza e la reiterazione di quei comportamenti avrebbero meritato il tentativo di un'applicazione più stringente. Tale interpretazione non avrebbe retto al TAR? Credo che valesse comunque pena  di correre il rischio, giustificato dall'interesse generale di attuare questa legge sia pure così fragile.

PIERGUIDO VANALLI. Vorrei svolgere qualche considerazione e porre una domanda «interessata». Innanzitutto, esprimo il mio apprezzamento nei confronti dell'intervento del collega napoletano, che ha difeso le dislocazioni territoriali delle Authority. Questa è una battaglia che cerchiamo di portare avanti da tempo e che finalmente trova ragione in qualche altro collega, che sono sicuro sottoscriverà anche le nostre future proposte di legge in tal senso.

Vorrei limitarmi a registrare una diversa sensibilità nell'affrontare i «reati», così come li ha inquadrati il collega Zaccaria. Se questi vengono commessi dai politici in campagna elettorale, chi li commette meriterebbe una doppia sanzione, se la violazione è reiterata dalle elezioni precedenti, e quindi è giusto che chi lo ha commesso non parli una seconda volta e anzi, a questo punto, sarebbe anche il caso di negare il diritto di parola in via preventiva, per esser certi che non commetta ulteriori infrazioni.

Si pesano, invece, in maniera diversa ben altri tipi di reati e si dice che, in fondo, sono ragazzi che sbagliano e vanno aiutati.

Questa doppia misura della tipologia del reato, per la quale parlare di politica in televisione esprimendo idee contrarie a quelle altrui è da considerarsi più pericoloso di altri atti, a me sembra abbastanza curiosa.

Tra l'altro, vorrei capire quando si concretizzerebbe il secondo «fallo da espulsione» in un dibattito televisivo. Quando Emilio Fede parla bene di Berlusconi al TG4 è già di per sé un «reato», ma siamo sicuri che gli stia facendo un piacere? Magari - come è già capitato, poiché una volta ha vinto, un'altra ha perso, un'altra ancora ha pareggiato - non sempre parlar bene di qualcuno in una determinata sede gli reca dei vantaggi. Come è possibile che si intervenga sanzionando qualcuno che, come in questo caso, parla bene di qualcun altro, se non si è neppure certi che così facendo gli abbia davvero reso un vantaggio? Ad ogni modo, dubito che questo possa ripetersi ancora, giacché Emilio Fede non c'è più; sul fatto che poi non ci sia più neanche Berlusconi, invece, non ci metterei la mano sul fuoco.

Il concetto di questa tipologia di «reati» (come continuo a definirli) è emerso quando si sono presentati sulla scena politica Berlusconi e le sue televisioni; tuttavia, sembra che il futuro non sia più televisivo, ma si proietti piuttosto verso internet ed altri canali. L'amministratore delegato di Telecom, di Vodafone o di altri, per esempio, avranno lo stesso problema di Berlusconi, domani o dopodomani? Le questioni che ora solleviamo per la televisione potranno valere anche per internet, e come riusciremo a intervenire, qualora fosse così? Se al contrario non sarà così, perché questo deve valere ora per la televisione? Questi sono i dubbi che mi sono sorti ascoltando gli interventi.

Passo alla domanda «interessata»: non le sarà sfuggito che nella futura (immediata o meno) campagna elettorale, la Lega sarà l'unica forza di opposizione. Noi infatti non abbiamo mai dato la fiducia al Governo, invece qualche altra forza politica considerata anch'essa di opposizione l'ha data, benché non sempre dia la fiducia ad alcuni suoi provvedimenti, dunque è necessaria una piccola distinzione. Comunque, poniamo che saremo in due all'opposizione (giusto per esagerare): in merito alla par condicio, avremo lo stesso spazio in proporzione alle altre forze politiche o, come forse era previsto prima, maggioranza e opposizione si dovranno dividere lo spazio, e quindi a noi toccherà, in proporzione ai nostri eletti, il 20 per cento in più di quello a disposizione del resto delle forze politiche che interverranno nei dibattiti?

Questo problema ce lo siamo già posto oppure pensiamo di risolverlo con l'idea geniale che se fino a ieri valeva un principio da domani ne varrà uno diverso? In tal caso, ha ragione il collega: abbiamo creato le Authority, consegniamo nelle loro mani le chiavi della macchina e non ci  domandiamo più neanche se mettono la benzina e cosa ne fanno; poi, quando la macchina ci serve, scopriamo che la stanno usando altrove.

Ho definito la domanda «interessata» perché vorrei capire quanto tempo libero avrò durante la campagna elettorale o se sarò invece costretto ad apparire in tutte le televisioni per bilanciare lo spazio che avranno gli altri candidati di tutte le altre forze che sostengono il Governo. A maggior ragione, l'attuale Presidente Monti e i ministri che compongono il Governo quando interverranno in televisione verranno conteggiati come parte della maggioranza - come giustamente valeva per Berlusconi o Prodi fino a ieri - o saranno dei corpi estranei, in quanto tecnici, fuori dalle percentuali previste dalla par condicio?

Saranno forse banalità, ma se, da qui alla prossima campagna elettorale, potessimo scoprirlo in tempo, potremmo organizzare anche la nostra vita politica e privata.

CARMELO BRIGUGLIO. Il collega Zaccaria ha detto che questa è una delle rare occasioni in cui si utilizza anche il momento dell'audizione per un confronto - per quanto sui generis - fra le forze politiche, ed è comunque utile coglierlo.

Ritengo inoltre che il senso complessivo dell'audizione ci faccia capire che, anche in una stagione priva di asprezze polemiche - visto che il Presidente Berlusconi non è più al Governo - la questione resta di grande importanza per la democrazia italiana. Il fatto che l'audizione del presidente Calabrò, che ringrazio anch'io a nome del nostro gruppo, ci dia la possibilità di svolgere qualche riflessione è sempre importante. Specie quando la relazione, come in questo caso, demolisce la normativa esistente.

L'Italia non ha una legge sul conflitto di interessi. Quando si sostiene che questa legge esiste, ma prevede sanzioni non significative, non incisive, non concrete, si coglie - al di là del linguaggio istituzionale del presidente Calabrò - anche questo aspetto. Quando si afferma che la legge, benché elegante nel disegno, difetta di sostanzialità, si è detto tutto, e apprezziamo questa espressione, anch'essa elegante.

Credo che tutte le forze politiche, in un momento che non voglio definire di disarmo né di armistizio, ma certamente di maggiore serenità erga omnes, debbano porsi il problema. Noi lo stiamo facendo e credo che questa sia anche l'occasione per riflettere su come dare al nostro Paese una vera e propria legge sul conflitto di interessi.

L'onorevole Zaccaria non lo ricordava bene, ma ci sono state le occasioni e gli strumenti parlamentari per occuparsi di questo. A dire il vero, l'Agcom ci ha fatto una segnalazione importante, che è stata scarsamente recepita dal Governo e prontamente dal Parlamento, quando il 31 dicembre 2010 scadeva il divieto, per i soggetti che esercitano l'attività televisiva, di acquisire partecipazioni in imprese editrici di giornali quotidiani.

Seguirono mozioni parlamentari e il Parlamento impegnò il Governo, che peraltro chiese di rielaborare la mozione unificata. Ne derivò il decreto-legge 31 marzo 2011, n. 34, che prorogava fino alla fine di quest'anno, al 31 dicembre 2012, un divieto che, mi permetto di dire, è stato prorogato in base alla segnalazione dell'Autorità e per una specifica iniziativa parlamentare. Il Governo, però, non si era attivato - e capiamo tutti bene il perché -, su questo fronte.

Come può passare sotto silenzio il fatto che la legge non disciplini il caso del sostegno privilegiato da parte delle imprese della carta stampata? Forse vi abbiamo fatto l'abitudine, ma quando i parametri della democrazia del nostro Paese precipitano nelle graduatorie internazionali, capiamo che incide anche questo. Questa è l'occasione per dire che dobbiamo disciplinare questo campo, anche in base all'esperienza italiana, non soltanto per quel che concerne i giornali quotidiani; è stato citato un esempio lapalissiano, nel quale abbiamo visto per lungo  tempo, nella prassi quotidiana, che il sostegno privilegiato è concreto, ma non è l'unico caso.

In Italia abbiamo anche l'incrocio di giornalisti della RAI o di imprese televisive che hanno contratti di collaborazione con importanti quotidiani o periodici della carta stampata, che di fatto forniscono un sostegno privilegiato. Credo sia un caso specifico che andrebbe analizzato. Poiché siamo in una stagione di maggiore riflessione e «coesione» fra le forze politiche, e il tema si presta meno a uno scontro da bipolarismo «muscolare», credo che nel complesso, ancorché con qualche timidezza secondo alcuni e con qualche raffinata ironia secondo me, la relazione del presidente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ci imprima una sollecitazione forte a fare ciò che è il nostro dovere e il nostro compito precipuo, ossia quello di legislatori, e così facendo colmare le lacune che sono state segnalate e registrate.

PIERLUIGI MANTINI. Vorrei limitarmi solo a una puntualizzazione, perché i colleghi che sono intervenuti prima di me hanno già portato molti argomenti e riflessioni mature. Poiché il clima di questa audizione è quello di fine legislatura o, comunque, di chiusura di una fase, credo di poter dire che partiamo da un fallimento sostanziale, a fronte di un sempre sostanziale palese caso di conflitto di interessi.

Come ricordava il collega Briguglio, siamo fuori, anche formalmente, da qualunque dinamica di berlusconismo o antiberlusconismo. Ciononostante, il caso Italia è stato oggetto di moltissima attenzione internazionale, europea e interna. D'altra parte, anche la legge Frattini fu a suo tempo un tentativo di risposta, naturalmente da valutare. Tuttavia, partiamo comunque da un fallimento, perché sembra quasi che non ci si sia accorti e che non ci sia stata una rilevazione e una forma di intervento da parte dell'Autorità garante su forme di sostegno privilegiato per mancanza di strumenti e così via.

Partendo da questo fallimento, credo che qualunque sia la configurazione di un'Authority anche riformata, o di una legge migliore, dovremmo convenire sul fatto che gli accertamenti e le funzioni di controllo sono funzioni di ufficio, non esercitate su denuncia di parte. La denuncia di parte non è applicabile a questo sistema, nel senso che - come è stato ricordato da altri colleghi - fotografa singoli episodi, singole condotte e singoli comportamenti, che nel momento specifico possono meritare una sanzione o correzione, ma non fotografano la dinamica completa. È come voler interrompere e spezzettare un'immagine in mille coriandoli e poi fingere di rimetterla insieme; tanto vale lasciare l'immagine in movimento, in modo che i fotogrammi possano scorrere.

Si tratta dunque di funzioni prevalentemente d'ufficio, con un controllo continuo, basato sul monitoraggio e su quel concetto di posizioni che non si identificano in una condotta, in una campagna elettorale o in un comportamento specifico.

La seconda puntualizzazione è la seguente: partendo dal fatto che il mezzo è ormai «esploso» - non si parla più di passaggio dall'analogico al digitale terrestre ed inoltre esistono il web e altri strumenti tecnologici - credo che anche questa realtà più ricca e complessa, dal punto di vista tecnologico, ci debba indurre a riflettere sul fatto che l'Autorità indipendente deve avere una sua forte discrezionalità. Per tornare alla domanda iniziale, da cosa l'Autorità è indipendente? Non intendo neppure sfiorare il tema, che ha tante risposte, tutte valide e tutte complesse, ma non è un'autorità amministrativa indipendente dalla politica, lato sensu intesa (il che, peraltro, non è neanche del tutto vero, per via dei meccanismi di nomina e così via).

Indipendente dal Governo? Certamente, ma indipendente anche dalla logica del codicillo e dell'applicazione pedissequa del regolamento o della norma - su questo  ci dobbiamo capire - cioè indipendente dal punto di vista classico dell'esercizio della discrezionalità.

O l'Autorità garante - qualunque essa sia e qualunque siano i soggetti controllati - ha questa forza e non si trincera dietro l'idea che, non essendo scritta la tal cosa nel tal comma, allora non la si fa, oppure non è un'autorità garante, non è un'autorità amministrativa indipendente e soprattutto non è in grado, a fronte dell'evoluzione delle tecnologie, della complessità dei casi, dei casi limite e, se vogliamo, anche di tante zone grigie, di esercitare una funzione di controllo di questo tipo, che si rende assolutamente impossibile, su questi interessi.

So che in questo modo si sfiora quasi la discrezionalità politica, ma un'autorità amministrativa indipendente ha anche una quota di discrezionalità politica, perché altrimenti sarebbe un mero plesso di un'amministrazione organizzativa ed esecutiva di norme, regolamenti e direttive.

MAURIZIO TURCO. Penso che ci sia anche un problema di visuale, nel senso che mi pare non stiamo mettendo al centro - parlo di noi parlamentari - qual è l'oggetto della necessità di avere un'agenzia indipendente. Per noi il centro è il diritto del cittadino ad essere informato. Lo diamo tutti per scontato, però mi bastano poche parole per arrivare al fatto che, sia quanto al conflitto di interessi, sia quanto alla par condicio - sono d'accordo col collega Zaccaria, che ha sollevato un punto fondamentale - vi è una situazione consolidata di «delinquenza», - se si può usare il termine, che io penso sia adeguato - non più occasionale ma professionale. Ci sono dei comportamenti che, nel tempo, si sono cristallizzati quasi come un dato caratteristico di questo modo di operare.

Devo dire, presidente Calabrò, che anche se naturalmente non chiederò a lei, come nessuno di noi ha chiesto, di suggerire una nuova legge - perché quella dovrebbe essere, anzi è, una responsabilità nostra che di tutta evidenza non si è esercitata e continua a non esercitarsi appieno - c'è però una responsabilità dell'Autorità. Non v'è dubbio infatti che le considerazioni del collega Mantini siano fondatissime. L'Autorità non può stare a guardare, nel senso che voi avete già gli strumenti di valutazione e le vostre decisioni, che avete accumulato nel tempo, sono già una dimostrazione che nel sistema c'è qualcosa che non funziona.

Mi riferisco alla legge e all'applicazione della legge sia sul conflitto di interessi sia sulla par condicio, per quanto riguarda le questioni relative alla parità di trattamento e di accesso, ma poi anche a tutto il grande campo dell'agenda politica, di chi la scrive, attraverso i mezzi di informazione, non avendone il potere di legge, ma abusando della sua posizione. Questa questione, lo ripeto, riguarda il conflitto di interessi di cui stiamo parlando, ma anche la legge sulla par condicio.

Lei ha citato giustamente - perché di quello si parlava - tutta una serie di televisioni private che fanno capo all'ex Presidente del Consiglio, ma nella RAI è forse diverso? C'è in RAI una catena di comando forse molto diversa da quella esercitata da un soggetto politico rispetto alle televisioni private? La catena di comando che c'è in RAI non è politica, non viola il diritto fondamentale del cittadino a essere informato e dei soggetti politici ad essere conosciuti? Lì viene a cadere, secondo me, quel velo di ipocrisia che copre ciascuno dei miei colleghi, intesi come rappresentanti di quei partiti che vanno ad incidere direttamente sul diritto del cittadino ad essere informato, per un verso, attraverso l'occupazione della RAI e, per altro verso, attraverso l'utilizzo di canali privati.

Credo allora, signor presidente, che l'Autorità si deve forse far forte, se non altro, del concetto di indipendenza, nel senso che - a mio avviso il collega Mantini ha completamente ragione - voi il potere ce l'avete: esercitatelo! Il problema è chiaramente anche che lo si può esercitare fino a un certo punto. Ecco, dov'è questo punto? Fin dove siete cioè disposti ad esercitare il vostro potere?

Noi abbiamo visto che finora, almeno per quanto riguarda la RAI e per quanto  riguarda noi radicali, avete emesso decine di delibere, non so quante esattamente. Non possiamo fare finta che ogni violazione sia una singola violazione. Se queste decine di violazioni si ripetono nel tempo, hanno un significato diverso. Non possiamo noi essere costretti a fare un esposto o una denuncia mensile su quello che accade, per esempio, sui canali pubblici, e lei costretto ogni mese a ribadire che c'è una violazione.

Lei ha chiesto alla RAI, mi pare un mese fa, particolare attenzione a un tema di estremo interesse - la questione delle carceri - perché iscritto nell'agenda politica del Paese non dalla politica italiana ma dalle organizzazioni internazionali. Ha visto qualcosa? Non è successo niente. Imporre certe cose, e non semplicemente sottolinearle e segnalarle, è anche un problema di autorevolezza. C'è un problema di efficacia. Questo, a nostro avviso, sta molto nella vostra volontà.

PRESIDENTE. Do la parola al presidente Calabrò per la replica.

CORRADO CALABRÒ, Presidente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Vorrei innanzitutto rassicurare l'onorevole Iapicca, che non c'è nessuna intenzione di chiudere la sede di Napoli.

Parlando con assoluta trasparenza, questa intenzione c'è stata tre anni fa, a seguito di un rilievo del nostro organo di controllo interno, che ci faceva rilevare l'antieconomicità di tenere due sedi. A seguito di questo, abbiamo scritto alla Presidenza del Consiglio, che non ci ha mai risposto, pertanto ritengo che la questione - sono passati tre anni - è da considerarsi chiusa.

Quanto agli spostamenti, alcune coppie si sono ricongiunta, specialmente quando hanno avuto la nascita di un figlio, e qualche nuovo ufficio è stato allocato a Roma, ma in compenso sono state potenziate altre funzioni a Napoli.

L'onorevole Tassone richiamava il rapporto con la Commissione parlamentare di vigilanza, che non rappresenta un problema: abbiamo un ottimo rapporto, interattivo. Normalmente adottiamo le stesse disposizioni, anche se non sempre le adottiamo entrambi. In due occasioni - comprese queste prossime elezioni amministrative, nel maggio che viene - la Commissione parlamentare di vigilanza non ha adottato il suo regolamento perché riteneva che si trattasse di elezioni circoscritte e quindi non di interesse nazionale, mentre noi l'abbiamo adottato, come sempre. Anche in una precedente occasione di elezioni a più vasto raggio, la Commissione parlamentare di vigilanza non ha adottato il suo regolamento, mentre noi lo abbiamo fatto.

C'è stato poi un caso in cui siamo stati in divergenza con la Commissione parlamentare di vigilanza: quando essa ha ritenuto applicabile ai programmi di informazione - allora la preoccupazione era Santoro - le norme sulla par condicio che valgono per la comunicazione politica. Noi abbiamo ritenuto diversamente - o meglio, in prima battuta, contro la mia volontà, è prevalsa una certa posizione - ma il TAR ha ribadito quello di cui sono stato sempre convinto e che avevo scritto al presidente Zavoli - ho partecipato a tre audizioni in Commissione parlamentare di vigilanza - che cioè non si potessero equiparare due tipi diversi di trasmissione, quindi noi abbiamo lasciato maggiore libertà per i programmi informativi.

Ricordo a me stesso che sulla RAI è responsabile in primis la Commissione parlamentare di vigilanza; questo vale anche per l'intervento del rappresentante radicale, l'onorevole Maurizio Turco. Non è che non abbiamo sanzionato la RAI o che non abbiamo ottenuto nulla: un po' di spazio è stato dato ai radicali, anche se non quanto avremmo voluto, però noi ci siamo mossi e forse sarebbe stato auspicabile anche qualche indirizzo da parte della Commissione parlamentare di vigilanza.

L'onorevole Tassone ha fatto un'osservazione centrale, riecheggiata poi in vari altri interventi, sotto diversi aspetti, chiedendo come si configurino queste Autorità,  come agiscano, quali poteri abbiano e quali no. Bisogna fare un distinguo fondamentale.

L'Agcom - anche altre Autorità, ma adesso parlo di quella che presiedo, anche se ancora per poco - ha due tipi di investitura. La prima deriva fondamentalmente dalle norme comunitarie, sia quelle recepite dal nostro ordinamento, sia quelle non recepite, se sono chiare e precise. Lì il nostro campo di competenze e i nostri poteri sono forti; abbiamo poteri di intervenire sulle imprese che non ha nemmeno il Governo. Noi regoliamo i programmi delle imprese, per rispettare il libero mercato, la concorrenza e via dicendo, e interveniamo con determinazione assoluta.

I nostri provvedimenti in materia sono assunti tra le best practice europee, vengono cioè prese a modello dalle altre Autorità e discusse nel BEREC (Body of European Regulators for electronic communications), che ne raggruppa trentaquattro. Adottiamo questi provvedimenti attenendoci alle norme, perché nessuna indipendenza consente di violare la norma, sia essa comunitaria o nazionale; l'indipendenza sta infatti nell'applicare la legge con indipendenza, ma indipendenza da chi? Dice sempre una direttiva comunitaria che le Autorità sono indipendenti sia nei confronti dei soggetti regolati, sia nei confronti del Governo, dal quale non accettano né sollecitano direttive. Credo che lo abbiamo sempre fatto, in questo campo.

In secondo luogo, abbiamo delle competenze «appiccicate con lo spillo», che ci vengono da leggi dello Stato, e che sono state appoggiate all'Autorità perché ha la competenza in materia di telecomunicazioni elettroniche, acconsentendo a che ci occupassimo anche di questo. Quando si trattava però di applicare una legge, noi non dovevamo attenerci solo al dettato della legge stessa, al codicillo o al capoverso, ma anche a quello che la legge chiaramente stabilisce e al suo spirito, così come applichiamo le direttive comunitarie secondo lo spirito comunitario, che ci dà tanta forza.

La legge, specificamente questa sul conflitto d'interessi, non ci dà questi poteri. Noi abbiamo grandi poteri in campo economico, ma nei diritti di libertà ci dobbiamo muovere con misura.

È stato chiesto se non vediamo che c'è - o c'era - un conflitto di interessi palese. Come cittadino posso avere la mia opinione, ma come presidente dell'Autorità non posso che rigirarvi la domanda. C'era un modo per risolvere il problema a priori: considerare il conflitto di interessi potenziale, come fanno altre legislazioni e come l'OCSE ha suggerito nella sua raccomandazione, e non invece effettivo, a posteriori, volta per volta.

Su questo noi avevamo un margine di intervento, che abbiamo esercitato interamente, nella determinazione dell'ampiezza della fattispecie, come l'onorevole Zaccaria ci ha dato atto.

Mi sorprendo che non sia stato colto l'esercizio d'ufficio. Noi agiamo d'ufficio, non aspettiamo necessariamente l'esposto o la segnalazione. Qualche volta abbiamo sanzionato duramente, per esempio nel caso delle interviste rilasciate il 20 maggio 2011, non contemporaneamente ma in sequenza, dall'allora Presidente del Consiglio Berlusconi. Si sarebbe potuto dire che non erano contemporanee o a reti unificate, ma noi abbiamo detto che quello era un artifizio, perché la sequenza serrata equivale alla trasmissione a reti unificate. Fin là potevamo arrivarci e ci siamo arrivati.

Alla riduzione dei termini siamo arrivati tardi, ma la nostra è anche un'Autorità complessa. Oltre a una deliberazione della precedente consiliatura, veniva fatta la considerazione secondo la quale sarebbe stato conveniente lasciare un termine più lungo, in maniera da vedere se la violazione fosse stata reiterata, perché se il termine è breve, la fattispecie è esaurita.

Ora veniamo alla fattispecie esaurita. Si chiede perché la diffida non debba valere anche per il futuro? Nel calcio è così. L'onorevole Zaccaria è un appassionato di sport quanto me per cui sa che, se un  giocatore viene diffidato nel campionato, la diffida non vale nella Coppa Italia né nella Champions League e viceversa.

Intendiamoci, non è che il nostro intervento sia limitato alle campagne elettorali, fatto è però che mentre queste sono in corso vigono regole più stringenti, mentre al di fuori di esse vigono regole più elastiche: l'obiettività, la completezza, la non discriminazione e la lealtà dell'informazione.

Si possono applicare sanzioni? Lasciamo stare il sostegno privilegiato, perché ci avete detto voi che prima deve violare la legge parametro e poi fate la diffida. Questo dice la legge, non mi si può chiedere di violare la legge, cosa che peraltro non ho mai fatto, per lo meno consapevolmente.. In questo caso si può interpretare diversamente? Sì, ma il prius è la violazione della legge parametro che, guarda caso, abbiamo riscontrato che avviene nel corso della campagna elettorale.

Finita la campagna elettorale, e non solo perché le macchine non stanno più addensate nel parcheggio, ma perché proprio è vietato, finito quel periodo, recuperare: non si può più applicare la sanzione. Come abbiamo rimediato? Riducendo a un decimo, da 150 a 15, il termine per intervenire: interveniamo d'ufficio entro quindici giorni. Negli ultimi giorni della campagna elettorale - visto che era stata trovata la scappatoia di farlo proprio in extremis - lo facciamo in quarantotto ore. Più di questo non possiamo fare, nell'esercizio di un potere regolamentare. «Regolamento» è un'espressione equivoca, che ha infatti indotto in errore ad esempio anche nella questione dell'ultimo miglio.

Una cosa è dove l'Autorità ha una competenza esclusiva, che nemmeno la legge può invadere, perché con l'articolo 117 della Costituzione il legislatore nazionale si è così autolimitato. Altra cosa è quando invece abbiamo un regolamento di esecuzione, come in questo caso, con cui possiamo stabilire soltanto procedimento, termini, modalità e così via, senza poter modificare altro.

Già nel determinare la fattispecie d'origine ci siamo allargati quanto più abbiamo potuto, ma non in materia di diritti e libertà. Ci si chiede perché non abbiamo affrontato un giudizio del TAR. A parte che - per me è titolo di vanto - il TAR non annulla quasi mai le nostre delibere, non posso fare un esperimento in corpore vili. Ci sono anche richieste di risarcimento danni.

È vero, all'inizio del 2006 io mi sono posto la questione se non si potesse dare un'interpretazione evolutiva; il nostro servizio giuridico, con un suo parere, ci ha messo nero su bianco che non si può. Posso io adottare una deliberazione in contrasto con un motivato e argomentato parere del servizio giuridico dell'Autorità? Voi sì, in quanto legislatori, avete la libertà assoluta di stabilire quello che volete in una legge, ma io posso stabilire soltanto quello che la legge mi dice di fare. Un tentativo di applicazione più stringente c'è stato, ma come e dove potevamo esercitare i nostri poteri.

Quanto alle ripetute violazioni, c'è forse un equivoco. Qualche emittente, in particolare il TG4, almeno finché era diretto da Emilio Fede, ha compiuto più d'una violazione, ma attenzione, non erano tutte in favore del Presidente Berlusconi; per esempio, quel TG è stato sanzionato anche perché non ha dato spazio alla Lega, e senza che la Lega stessa ponesse la questione - come non ha mai fatto in tutti questi anni, questa di oggi è la prima occasione in cui lo sento - noi siamo intervenuti anche a tutelare la Lega, come l'UdC, come l'Italia dei Valori, che pure tante volte ce lo ha chiesto, e anche altri partiti, come il Partito Radicale.

Se quel soggetto ha poi violato le norme per altri aspetti, noi non sommiamo le violazioni avvenute in una trasmissione a favore di Berlusconi a quelle precedenti a favore di altri soggetti. L'Autorità deve sanzionare per il singolo caso, l'accertamento deve essere definitivo, devo arrivare alla sanzione, dopodiché deve fare la diffida: non può sanzionare subito, perché questo dice la legge che il Parlamento ha approvato. Non può né modificare la sequenza, né alterarla. Il conflitto deve essere effettivo. Sarebbe dovuto bastare un  conflitto potenziale, per cui o non si possiedono catene televisive o non si può essere uomo di governo, ma non è così e la legge lo consente.

Un controllo continuo c'è, però nel periodo non elettorale si basa soltanto su questi princìpi di fondo. A questo proposito avevo fatto recentemente un'analisi di alcune segnalazioni dell'onorevole Zaccaria.

Tra l'altro, per la RAI è una situazione diversa naturalmente, perché non si parla di conflitto di interessi, ma di violazione delle leggi parametro, sui cui abbiamo sanzionato anche la RAI, che poi è diversificata tra primo, secondo e terzo canale; e una volta ancora più di oggi.

Tra l'altro, mi è venuto in mente che, quando era presidente della RAI l'onorevole Zaccaria e anche quando lo era Lucia Annunziata, si stabilì, nella prassi, senza che lo dicesse la legge, la regola di un terzo, un terzo e un terzo; una regola pratica, che ha però funzionato.

ROBERTO ZACCARIA. Fuori dalla campagna elettorale.

CORRADO CALABRÒ, Presidente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni.. Vale anche nella campagna elettorale, con una precisazione per l'onorevole Vanalli che chiedeva se abbiamo considerato il Governo come rientrante nella maggioranza. No, noi abbiamo considerato l'onorevole Berlusconi rientrante nel partito di cui è esponente quando non parlava per esigenze di governo, ma per esigenze di partito, elettorali o di propaganda politica. Se il presidente Monti diventasse esponente di un partito, alloro la assimileremo, ma non fino a quando avrà una posizione terza, come in questo momento.

Il Governo ha notevole spazio in questo periodo, ma a me sembra che le novità che ha portato lo meritassero perché merita la dovuta attenzione anche il dovere di cronaca. Tutti questi aspetti vanno contemperati con il diritto-dovere di cronaca, che deve riferire dell'attualità.

Adesso la Lega dovrà comunque avere il suo spazio. Però nell'occasione delle prossime elezioni amministrative non dettiamo le regole nazionali, perché l'ambito circoscritto di queste elezioni fa sì che noi vigiliamo sulle televisioni locali ma non sul piano nazionale, dove è come se non fossimo in campagna elettorale. Per le televisioni locali vale il criterio della par condicio, mentre per quelle nazionali valgono i principi generali vigenti fuori dai periodi elettorali: obiettività, completezza, lealtà e non discriminazione.

PIERGUIDO VANALLI. Mi riferivo alla campagna elettorale per le politiche dell'anno prossimo...

CORRADO CALABRÒ, Presidente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Penso che l'Autorità si comporterà come sempre.

PRESIDENTE. Do la parola al collega Vassallo, che credo non abbia avuto risposta a una sua domanda.

SALVATORE VASSALLO. Ho posto due domande. Ad una il dottor Calabrò ha risposto dicendo che l'Agcom è un'organizzazione complessa. La domanda chiedeva perché il Regolamento non sia stato adeguato prima del 2011, essendo quella l'unica ragione che impediva il perseguire la fattispecie del sostegno privilegiato. Il dottor Calabrò ha detto delle cose che non ho del tutto compreso, concludendo che l'Agcom è un'organizzazione complessa che quindi ha bisogno di tempo.

L'altra cosa che ho chiesto è se i termini di cui si parla per il completamento del procedimento siano termini massimi. L'Agcom non era in condizione di dare tempi più stretti, entro quei vincoli, ai soggetti coinvolti nel caso, in modo da poter applicare le sanzioni?

CORRADO CALABRÒ, Presidente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Anzitutto io ho portato anche un'altra considerazione, che è stata fatta valere in seno al consiglio, invitando a non stringere troppi i termini, perché una volta che chiudiamo il procedimento, questo è  chiuso, e a tenere invece i procedimenti sotto osservazione. Un'opinione contrastava l'altra, perché c'era una delibera precedente. A campagna elettorale in corso, a «bocce in movimento», bisogna pensarci un momento.

Quanto alla seconda domanda, sì, sono termini massimi, però quando vengono presentate memorie di difesa imponenti, quando i soggetti chiedono il rispetto dei termini o di essere auditi, se non lo facciamo, violiamo i diritti di difesa, e perdiamo dinanzi al TAR solo per la violazione del procedimento.

PRESIDENTE. Conosciamo la storia del presidente Calabrò e credo abbia motivi per rispettare un regolamento che sia il meno attaccabile possibile.

Ha chiesto di intervenire l'onorevole Giovanelli, per porre una domanda, anche se esula dal tema dell'audizione odierna.

ORIANO GIOVANELLI. Vorrei che il presidente Calabrò ci rassicurasse rispetto all'interpretazione del diritto d'autore, relativamente alla possibilità che, in virtù di quelle regole di cui si parla, possano addirittura essere oscurati dei siti.

Questo tema è stato sollevato da un articolo del quotidiano La Stampa qualche giorno fa, e lei lo ha poi in parte ridimensionato o comunque smentito. Vuole per favore darci qualche spiegazione su questo?

CORRADO CALABRÒ, Presidente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Questo tema è stato oggetto di due audizioni: al Senato, nella scorsa settimana, e stamattina dinanzi alla Commissione sul fenomeno della contraffazione alla Camera.

Quel testo non è nostro. Io posso parlare del testo del regolamento, non della norma di legge predisposta dalla Presidenza del Consiglio, anche se il sottosegretario Catricalà ha detto a La Stampa - e ha detto a me - che quella disposizione non c'era assolutamente, così come non c'è nel nostro regolamento.

Di oscuramento dei siti si è parlato fin dal primo momento, adombrando una possibilità che ha creato un certo sgomento, ma l'oscuramento dei siti non è assolutamente mai stato nelle nostre intenzioni.

Altre legislazioni prevedono l'oscuramento, ma non la nostra. Noi prevediamo invece che ci sia innanzitutto un procedimento dinanzi all'Internet service provider (ISP), a cui il titolare del diritto fa presente che il suo diritto d'autore è stato violato. Se l'ISP ritiene di convenire, toglie il contenuto illecito; se non ritiene di convenire, è attivato allora un procedimento dinanzi a noi, dove entrambe le parti, in un tempo breve - su questo, per esempio, avevamo libertà di stabilire i termini, lo abbiamo fatto, ma la Commissione europea ci ha detto che non erano abbastanza brevi, che avrebbero dovuto esserlo di più, e dunque li abbiamo abbreviati ulteriormente - possono far valere le proprie ragioni. In seguito a questo rapido procedimento e contraddittorio, noi possiamo emanare l'ordine di rimozione del contenuto illecito, la cui presenza configura tra l'altro un reato. Nessun oscuramento del sito è però previsto nel nostro schema.

PRESIDENTE. Ringrazio il presidente Calabrò e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,50.


 


 


 



[1]     L. 20 luglio 2004, n. 215, Norme in materia di risoluzione dei conflitti di interessi.

[2]     Le altre due proposte erano l’A.C. 1236 (on. Caparini ed altri) e l’A.C. 4488 (on Piscitello ed altri).

[3]     A.S. 236 (sen. Passigli ed altri) e A.S. 4465 (sen. Co’ ed altri).

[4]     I lavori parlamentari relativi all’esame nella XIII Legislatura dei progetti di legge recanti disciplina dei conflitti di interesse (A.C. 1236 e abb.) sono raccolti nel Dossier provvedimento n. 627/1 (XIII legislatura – 4 voll.) del Servizio studi.

[5]     A.S. 9 (sen. Angius e altri), A.S. 36 (sen. Cambursano), A.S. 203 (sen. Cavallaro e altri), A.S. 1017 (sen. Ripamonti), A.S. 1174 (sen. Malabarba e altri), A.S. 1250 (sen. Angius e altri) ed A.S. 1255 (sen. Villone e altri).

[6]     I lavori preparatori della L. 215/2004 sono raccolti nel Dossier progetti di legge n. 94/2 (XIV legislatura – 6 voll.) del Servizio studi.

      Si segnala che il 30 marzo 2006, durante il periodo di scioglimento delle Camere, è stata presentata al Senato la proposta A.S. 3799 (Passigli) volta a introdurre nuove norme in materia di risoluzione dei conflitti di interessi e ad abrogare la L. 215/2004.

[7]     Il testo presentato riproponeva sostanzialmente quello della proposta di legge A.C. 2214 (on. Rutelli ed altri), presentata nel corso della XIV legislatura ed assorbita dall’approvazione della L. 215/2004.

[8]     Sedute antimeridiana e pomeridiana del 19 settembre 2006.

[9]     Seduta del 2 maggio 2007.

[10]    Sedute del 20 e del 30 novembre 2006.

[11]    L. 23 agosto 1988, n. 400, Disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

[12]    D.L. 18 maggio 2012, n. 63, Disposizioni urgenti in materia di riordino dei contributi alle imprese editrici, nonché di vendita della stampa quotidiana e periodica e di pubblicità istituzionale. (conv. L. 16 luglio 2012, n. 103).

[13]    L. 13 febbraio 1953, n. 60, Incompatibilità parlamentari. Si tratta delle “cariche in enti culturali, assistenziali, di culto e in enti-fiera, nonché [di] quelle conferite nelle Università degli studi o negli Istituti di istruzione superiore a seguito di designazione elettiva dei Corpi accademici”.

[14]    Ai sensi dell’art. 2203 c.c., “è institore colui che è preposto dal titolare all’esercizio di un’impresa commerciale”. L’institore (art. 2204 c.c.) può compiere tutti gli atti pertinenti all’esercizio dell’impresa (salve le limitazioni contenute nella procura) e può stare in giudizio in nome del preponente, ma non può alienare o ipotecare i beni immobili senza espressa autorizzazione.

[15]    D.L. 13 agosto 2011, n. 138, Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo (conv. L. 14 settembre 2011, n. 148).

[16]    L. 31 maggio 2005, n. 88, Conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 31 marzo 2005, n. 44, recante disposizioni urgenti in materia di enti locali.

[17]    D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali.

[18]    L. 10 ottobre 1990, n. 287, Norme per la tutela della concorrenza e del mercato.

[19]    Ai fini dell'applicazione di questo e del precedente punto si computano anche i voti spettanti a società controllate, a società fiduciarie e a persona interposta: non si computano i voti spettanti per conto di terzi.

[20]    Si tratta, in particolare, delle vigenti disposizioni volte a prevenire e reprimere l’abuso di posizione dominante da parte delle imprese, recate dall’art. 3 della L. 287/1990, istitutiva dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato.

[21]    L. 31 luglio 1997, n. 249, Istituzione dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo. Il richiamato art. 2, relativo al divieto di posizioni dominanti, è stato dapprima ampiamente modificato dalla L. 112/2004 e poi abrogato dall’art. 54 del Testo unico della radiotelevisione di cui al D.Lgs. 31 luglio 2005, n. 177; le corrispondenti disposizioni sono ora contenute negli artt. 22 e 43 del Testo unico.

[22]    L. 3 maggio 2004, n. 112, Norme di principio in materia di assetto del sistema radiotelevisivo e della RAI - Radiotelevisione italiana Spa, nonché delega al Governo per l’ emanazione del testo unico della radiotelevisione. L’art. 14 è relativo all’accertamento della sussistenza di posizioni dominanti nel sistema integrato delle comunicazioni.

[23]    D.L. 6 settembre 2004, n. 233 (conv. con mod. in L. 5 novembre 2004, n. 261), Modificazioni alla legge 20 luglio 2004, n. 215, in materia di risoluzione dei conflitti di interessi.

[24]    L. 7 agosto 1990, n. 241, Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi.

[25]    Pubblicata nella G.U. 1 dicembre 2004, n. 282.

[26]    Si ricorda che l’articolo richiamato è stato abrogato dall’art. 54 del Testo unico della radiotelevisione di cui al D.Lgs. 31 luglio 2005, n. 177. Le disposizioni ivi recate sono ora contenute nell’art. 2, co. 1, lett. l) del citato Testo unico.

[27]    Il riferimento al settore integrato delle comunicazioni è stato introdotto dal D.L. 233/2004, già richiamato nel testo.

[28]    L. 6 agosto 1990, n. 223, Disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato (cd. “legge Mammì”).

[29]    L. 31 luglio 1997, n. 249, Istituzione dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo (cd. “legge Maccanico”).

[30]    L. 22 febbraio 2000, n. 28, Disposizioni per la parità di accesso ai mezzi di informazione durante le campagne elettorali e referendarie e per la comunicazione politica (cd. “legge sulla par condicio”).

[31]    Deliberazione n. 417/04/CONS, pubblicata nella G.U. del 23 dicembre 2004, n. 300.

[32]    Deliberazione n. 392/05/CONS, pubblicata nella G.U. del 23 dicembre 2005, n. 298.

[33]    Ai sensi del quale:

      “1. Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che indebitamente rifiuta un atto del suo ufficio che, per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o di igiene e sanità, deve essere compiuto senza ritardo, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni.

2. Fuori dei casi previsti dal primo comma il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che entro trenta giorni dalla richiesta di chi vi abbia interesse non compie l’atto del suo ufficio e non risponde per esporre le ragioni del ritardo, è punito con la reclusione fino ad un anno o con la multa fino a lire due milioni. Tale richiesta deve essere redatta in forma scritta ed il termine di trenta giorni decorre dalla ricezione della richiesta stessa”.

[34]    D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici (convertito L. 22 dicembre 2011, n. 214).

[35]    Previsto dall’art. 1 della L. 6 gennaio 2003, n. 3.