Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento istituzioni | ||||
Titolo: | Trattamenti economici erogati, anche indirettamente, a carico delle finanze pubbliche A.C. 4901 e 5035 - Schede di lettura, testo a fronte, contenuto e iter dello schema di D.P.C.M. n. 439 | ||||
Riferimenti: |
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Serie: | Progetti di legge Numero: 626 | ||||
Data: | 10/04/2012 | ||||
Descrittori: |
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Organi della Camera: | I-Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni |
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Camera dei deputati |
XVI LEGISLATURA |
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Documentazione per l’esame di |
Trattamenti
economici erogati, anche indirettamente, a carico delle A.C. 4901 e 5035 |
Schede di lettura, testo a fronte, contenuto e iter dello schema di D.P.C.M. n. 439 |
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n. 626 |
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10 aprile 2012 |
Servizio responsabile: |
Servizio Studi – Dipartimento Istituzioni ( 066760-9574 / 066760-3855 – * st_istituzioni@camera.it |
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Hanno partecipato alla redazione del dossier i seguenti dipartimenti del Servizio Studi Dipartimento Finanze ( 066760-9496 – * st_finanze@camera.it Dipartimento Bilancio ( 066760-9932 – * st_bilancio@camera.it Dipartimento Lavoro ( 066760-4884 – *st_lavoro@camera.it Dipartimento Cultura ( 066760-3255 – *st_cultura@camera.it
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File: ac0795.doc |
INDICE
Schede di lettura
Premessa 3
La proposta di legge AC 4901 4
§ Soggetti erogatori e soggetti percipienti indicati dalla proposta di legge 6
§ In particolare: gli enti pubblici non economici 14
§ In particolare: gli enti di ricerca 15
§ In particolare: le Università 19
§ In particolare: le società non quotate a totale o a prevalente partecipazione pubblica 22
§ In particolare: la RAI 25
§ In particolare: le testate giornalistiche 26
§ In particolare: i dirigenti di banche e di istituti di credito disciplinati dal testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 (TUB)28
§ In particolare: le società o aziende che beneficiano in forma diretta o indiretta di interventi pubblici in funzione anticrisi 31
§ Il regime previsto dalla proposta di legge 33
§ Il parametro del trattamento annuo lordo dei parlamentari 34
La proposta di legge AC 5035 37
Testo a fronte
§ D.L. 6 dicembre 2011, n. 201 nel testo vigente e nel testo modificato alle Pdl A.C. 4901 e 5035 49
Schema di D.P.C.M. n. 439
§ Disposizioni attuative dell’articolo 21-ter del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, in materia di limite massimo retributivo dei dipendenti pubblici 55
Iter alla Camera
- Commissioni riunite (I Affari costituzionali e XI Lavoro)
Seduta del 14 febbraio 2012 65
Seduta del 16 febbraio 2012 73
Seduta del 21 febbraio 2012 83
Seduta del 23 febbraio 2012 89
Seduta del 28 febbraio 2012 99
Seduta del 29 febbraio 2012 111
Esame in sede consultiva
- V Commissione (Bilancio)
Seduta del 14 febbraio 2012 131
Seduta del 16 febbraio 2012 137
Iter al Senato
Sede consultiva su atti del Governo
- 1a Commissione (Affari costituzionali)
Seduta del 14 febbraio 2012 147
Seduta del 22 febbraio 2012 151
Seduta del 28 febbraio 2012 155
Seduta del 29 febbraio 2012 161
Osservazioni di altre Commissioni
- 11a Commissione (Lavoro, previdenza sociale)
Seduta del 7 febbraio 2012 169
Seduta del 14 febbraio 2012 171
Seduta del 28 febbraio 2012 173
Seduta del 29 febbraio 2012 177
La materia considerata dalle proposte di legge in titolo è stata, da ultimo, oggetto di disciplina di fonte primaria recata dagli articoli 23-bis e 23-ter del decreto legge n. 201/2011[1], parzialmente modificato il primo dall’art. 23, comma 1-bis del decreto legge n. 216/2011[2], e dall’art. 1, comma 2, del decreto-legge, n. 29, in corso di conversione[3], il secondo.
Inoltre, la disciplina contenuta nell’art. 23-ter è stata oggetto di recente attenzione da parte delle Camere in occasione dell’esame, ai fini del prescritto parere, dello schema di decreto del Presidente del Consiglio, recante la definizione del limite massimo riferito al trattamento economico annuo onnicomprensivo dei pubblici dipendenti, adottato in attuazione del citato articolo[4].
Pertanto, per una compiuta illustrazione sia del contenuto, sia delle questioni applicative di tale schema di decreto - dal punto di vista del coordinamento con la normativa vigente e alla luce della giurisprudenza costituzionale - sia dell’art. 23-ter che ne costituisce il presupposto normativo, nonché delle discipline finora emanate in materia, si veda il dossier del Servizio studi, Definizione del limite massimo riferito al trattamento economico annuo onnicomprensivo per i pubblici dipendenti indicati nel medesimo articolo 23-ter - Schema di D.P.C.M. n. 439, Atti del Governo n. 383 (http://documenti.camera.it/leg16/dossier/Testi/AC0758.htm).
Quanto alle disposizioni dell’art. 23-bis si rinvia al dossier Servizio studi, La disciplina dei servizi pubblici locali e le regolazioni di settore, Documentazione e ricerche n. 337 del 4 aprile 2012.
La proposta di legge, che è composta di un solo articolo, interviene, con il metodo della novellazione, sugli artt. 23-bis e 23-ter del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici)[5] sostituendo interamente il primo e disponendo l’abrogazione del secondo.
Per effetto di tale intervento, la disciplina dei limiti del trattamento economico onnicomprensivo di chiunque riceve a carico delle finanze pubbliche emolumenti o retribuzioni nell'ambito di rapporti di lavoro dipendente o autonomo viene riunita in un unico articolo.
L’art. 23-bis[6] dello stesso D.L. n. 201/2011, modificato dall’art. 23, comma 1 bis del decreto legge n. 216/2011[7] rinvia ad un decreto del Ministro dell’economia, da emanare entro il 31 maggio 2012, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti e da sottoporre alla registrazione della Corte dei Conti, l’individuazione di fasce alle quali riportare le società non quotate, direttamente controllate dal Ministero dell’economia e delle finanze ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, numero 1), del codice civile[8], e la determinazione, per ogni fascia, del compenso massimo al quale i consigli di amministrazione di dette società devono fare riferimento, per la determinazione degli emolumenti da corrispondere, ai sensi dell’articolo 2389, terzo comma, del codice civile[9], agli amministratori investiti di particolari cariche[10].
Il limite ai compensi opera anche per le società non quotate controllate dalle società direttamente controllate dal MEF, in quanto i Consigli di amministrazione di tali società, nella determinazione degli emolumenti degli amministratori investiti di particolari cariche, non potranno superare il limite massimo sancito per le società controllanti.
L’articolo 23-ter[11] del decreto-legge 201/2011 prevede la definizione del trattamento economico di chiunque riceva emolumenti o retribuzioni dalle pubbliche amministrazioni attraverso l’emanazione di un DPCM, previo parere delle Commissioni parlamentari, entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge. In base al comma 1, tale definizione va effettuata adottando come parametro massimo di riferimento il trattamento economico del Primo presidente della Corte di cassazione, che viene così ad assumere la funzione di indice di riferimento costante per la definizione del trattamento economico di chiunque riceva a carico delle finanze pubbliche emolumenti o retribuzioni nell’ambito di rapporti di lavoro dipendente o autonomo con pubbliche amministrazioni statali, compreso il c.d. personale non contrattualizzato.
Lo "Schema di decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri concernente la definizione del limite massimo riferito al trattamento economico annuo omnicomprensivo dei pubblici dipendenti" (atto del Governo n. 439) è stato presentato alle Camere, ai fini dell'espressione del parere da parte delle competenti Commissioni, il 30 gennaio 2012. Le Commissioni I e XI della Camera hanno espresso il parere il 29 febbraio 2012 (http://nuovo.camera.it/453?shadow_organo_parlamentare=1494&bollet=_dati/leg16/lavori/bollet/201202/0229/html/0111).
Nella stessa data, al Senato, ha espresso il proprio parere la 1a Commissione (http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=SommComm&leg=16&id=643033) e ha formulato osservazioni la 11a Commissione (http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=SommComm&leg=16&id=636794).
Tale schema risulta trasmesso alla Corte dei conti.
L’art. 1, comma 2, del decreto-legge 24 marzo 2012, n. 29, in corso di conversione (A.S. n. 3221) ha inserito nell'art. 23-ter del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, una novella che interviene sui riflessi dei limiti massimi dei trattamenti economici sulla misura del trattamento pensionistico.
In particolare, la novella esclude che gli emolumenti attribuiti, in misura ridotta, dopo l'entrata in vigore dei limiti in esame facciano parte della base di calcolo della quota di trattamento pensionistico da liquidare secondo il sistema retributivo, fermo restando che tali emolumenti rilevano, invece, ai fini della quota da liquidare secondo il sistema contributivo, purché: i requisiti per il trattamento pensionistico siano già stati maturati alla data del 22 dicembre 2011 (data di approvazione della legge n. 214, di conversione del D.L. 201/2011); il soggetto non sia titolare di altro trattamento pensionistico e continui a svolgere, fino al momento dell'accesso al pensionamento, le funzioni che svolgeva alla predetta data.
Dal tenore della disposizione risulterebbe che, in mancanza dei presupposti indicati, la retribuzione pensionabile debba invece essere computata sulla base degli emolumenti ridotti ai sensi dell’art. 23-ter del D.L. 201/2011
Sul punto, il dossier del Senato n. 344 del marzo 2012 rileva che “potrebbe essere ritenuto opportuno valutare la congruità di queste conseguenze, anche alla luce di alcune sentenze della Corte costituzionale, le quali hanno dichiarato illegittime alcune norme che impedivano, nei sistemi pensionistici di tipo retributivo, il computo della base di calcolo secondo trattamenti più elevati percepiti nella propria vita lavorativa. Tra le varie sentenze, si ricorda la n. 264 del 22-30 giugno 1994[12], che ha concesso (nel regime generale INPS dei lavoratori dipendenti privati) l'esclusione (dal computo della retribuzione pensionabile) di successivi trattamenti economici di misura inferiore; in particolare, la sentenza ha concesso l'esclusione alla sola condizione che il lavoratore avesse già maturato il requisito contributivo (benché, in ipotesi, non ancora quello anagrafico) per la pensione”.
A differenza della normativa vigente, la proposta di legge stabilisce un regime uniforme in materia di limiti all’erogazione di emolumenti o retribuzioni, a carico delle finanze pubbliche, indipendente dalla natura privatistica o pubblicistica del soggetto erogatore, purché rientrante nella platea dei soggetti conferenti indicata dalla novella recata dall’art. 1, costituita da:
§ pubbliche amministrazioni statali di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni;
§ agenzie;
§ enti pubblici anche economici;
§ enti di ricerca;
§ università;
§ società non quotate a totale o a prevalente partecipazione pubblica nonché loro controllate;
§ società concessionaria del servizio pubblico generale radiotelevisivo (RAI);
§ testate giornalistiche che beneficiano in forma diretta o indiretta di finanziamenti pubblici.
Concorre a definire l’ambito di applicazione di tale regime un criterio ulteriore rispetto a quello del soggetto erogatore, che risulta dall’indicazione dei seguenti soggetti percettori:
- magistrati ordinari, amministrativi e contabili;
- avvocati e procuratori dello Stato;
- personale della carriera diplomatica;
- personale della carriera prefettizia;
- presidenti e componenti di collegi e organi di governo e di controllo di società non quotate;
- presidenti delle autorità indipendenti;
- dirigenti pubblici;
- dirigenti di banche e di istituti di credito disciplinati dal testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 (TUB).
Per il personale di cui all’art. 1 del D.lgs. 165/2001, l’articolo 45 del medesimo D.lgs. stabilisce che il trattamento economico fondamentale ed accessorio, fatto salvo quanto previsto all'articolo 40, commi 3-ter e 3-quater, e all'articolo 47-bis, comma 1, è definito dalla contrattazione collettiva.
Il comma 3-ter dell’articolo 40 prevede che quando non si raggiunge l’accordo per la stipula di un contratto collettivo integrativo e l’amministrazione decide di provvedere provvisoriamente sulle materie oggetto del mancato accordo, mentre il successivo comma 3-quater prevede che la Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche, di cui all’articolo 13 del D.lgs. 150/2009, debba fornire, entro il 31 maggio di ogni anno, all'ARAN una graduatoria di performance delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali.
Infine, l’articolo 47-bis, comma 1, preveda l’erogazione in via provvisoria degli incrementi stipendiali decorsi 60 giorni dall’entrata in vigore della legge finanziaria, previa delibera dei comitati di settore, salvo conguaglio all'atto della stipulazione dei contratti collettivi nazionali di lavoro.
Per quanto attiene al Comparto Ministeri, l’articolo 28 del CCNL normativo 1998 – 2001 economico 1998 – 1999 del 16 febbraio 1999 ha disposto che la struttura della retribuzione del personale delle amministrazioni dello Stato appartenenti al comparto dei Ministeri si compone delle seguenti voci:
lo stipendio tabellare;
la retribuzione individuale di anzianità, comprensiva della maggiorazione per esperienza professionale;
l’indennità integrativa speciale;
lo sviluppo economico all’interno delle Aree di cui al precedente articolo 17;
l’indennità di amministrazione di cui al successivo articolo 33;
compensi legati all’utilizzo del Fondo unico di amministrazione di cui al precedente articolo 32, ove spettanti;
compensi per lavoro straordinario, ove spettanti;
altre indennità previste da specifiche disposizioni di legge.
Viene inoltre considerato l’assegno per il nucleo familiare.
Per quanto attiene ai dirigenti, l’articolo 48 del CCNL relativo al personale dirigente dell’Area I (Aziende, Ministeri) per il quadriennio normativo 2002 – 2005 e biennio economico 2002 – 2003 del 21 aprile 2006. ha previsto che la struttura della retribuzione dei dirigenti di prima e di seconda fascia si compone delle seguenti voci:
stipendio tabellare;
retribuzione individuale di anzianità, maturato economico annuo, assegni ad personam, ove acquisiti e spettanti in relazione a previgenti contratti collettivi nazionali;
retribuzione di posizione-parte fissa;
retribuzione di posizione-parte variabile;
retribuzione di risultato.
Tale trattamento remunera tutte le funzioni, i compiti e gli incarichi attribuiti ai dirigenti.
I successivi articoli 49 e 52 individuano le voci che compongono il trattamento economico fisso per i dirigenti rispettivamente di prima e seconda fascia, trattamento composto dallo stipendio tabellare, dalla retribuzione di posizione-parte fissa e dalla retribuzione individuale di anzianità.
Si ricorda, inoltre, che ai sensi dell’articolo 26 del CCNL normativo 2006 – 2009 economico 2006–2007 del 12 febbraio 2010, le amministrazioni definiscono i criteri per la determinazione e per l’erogazione annuale della retribuzione di risultato ai dirigenti di seconda fascia anche attraverso apposite previsioni nei contratti individuali di ciascun dirigente.
Rispetto alla proposta di legge AC 5035, di seguito illustrata, che include per espresso richiamo tutto il personale in regime di diritto pubblico, c.d. non contrattualizzato (di cui all’articolo 3 del D.lgs. 165/2001), non risultano esplicitamente comprese nella disciplina prevista dalla proposta AC 4901 alcune categorie di personale in regime di diritto pubblico, salvo verificarne la riconducibilità alla categoria generica “dirigenti pubblici” indicata nella disposizione. Si tratta, in particolare delle seguenti categorie: personale militare e Forze di polizia di Stato, personale volontario di leva, personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, personale della carriera dirigenziale penitenziaria.
Il personale di cui all’articolo 3 del D.Lgs. 165/2001 è costituito dalle seguenti categorie:
- magistrati ordinari, amministrativi e contabili, avvocati e procuratori dello Stato;
- personale militare e Forze di polizia di Stato;
- personale volontario di leva;
- personale della carriera diplomatica;
- personale della carriera prefettizia;
- personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco;
- personale della carriera dirigenziale penitenziaria;
- professori e ricercatori universitari.
Tale articolo richiama, inoltre, i dipendenti degli enti che svolgono la loro attività nelle materie contemplate dall'articolo 1 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 17 luglio 1947, n. 691, e dalle leggi 4 giugno 1985, n. 281, e successive modificazioni ed integrazioni, e 10 ottobre 1990, n. 287. Tali materie sono, rispettivamente:
§ l’esercizio della funzione creditizia e la materia valutaria;
§ l'ordinamento della Commissione nazionale per le società e la borsa, l'identificazione dei soci delle società con azioni quotate in borsa e delle società per azioni esercenti il credito, l’attuazione delle direttive CEE in materia di mercato dei valori mobiliari e la tutela del risparmio;
§ la tutela della concorrenza e del mercato.
In queste materie operano la Banca d’Italia, la Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB) e l’Autorità garante per la concorrenza e il mercato (Antitrust).
Poiché la proposta di legge non include le autorità indipendenti tra i soggetti erogatori indicati nel primo periodo dell’art. 1, mentre nel secondo periodo, menziona, tra i soggetti percettori, solo i presidenti delle stesse autorità, risulta escluso dall’ambito di applicazione dello stesso articolo tutto il personale dipendente delle medesime autorità, salvo quello della Banca d’Italia - nonché della CONSOB e dell’ISVAP, menzionati dal TUB per lo svolgimento di attività, anche di vigilanza, in collaborazione con la Banca d’Italia - che potrebbe risultare incluso in virtù del rinvio al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, contenuto nel secondo periodo del comma 1.
Ancora, rispetto alla medesima proposta di legge AC 5035, la proposta di legge AC 4901 non include le regioni, in quanto il riferimento all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni è effettuato, per le pubbliche amministrazioni, limitatamente a quelle statali.
In base alla formulazione letterale dell’art. 1, comma 2, del D.lgs. n. 165/2001, le amministrazioni dello Stato sembrano costituire solo una parte delle amministrazioni pubbliche indicate nell’articolo stesso, il quale riconduce espressamente a tale categoria solo gli istituti e le scuole di ogni ordine e grado, le istituzioni educative e le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo; le altre amministrazioni pubbliche indicate dall’art. 1, comma 2, del D.lgs. n. 165/2001, cioè le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, compreso il CONI, non appaiono riconducibili, ai sensi della formulazione letterale dello stesso art. 1, comma 2, del D.lgs 165/2001, alla definizione di amministrazioni dello Stato.
Risultano esclusi anche i componenti delle autorità diversi dai rispettivi presidenti. A questo proposito si nota che, in ogni caso, sia i presidenti sia gli altri componenti non intrattengono con le autorità stesse rapporti riconducibili a lavoro autonomo o dipendente,ambito espressamente richiamato dall’AC 4901 a fini applicativi.
Tra i soggetti erogatori solo la proposta di legge AC 4901 menziona le testate giornalistiche che beneficiano in forma diretta o indiretta di finanziamenti pubblici e, tra i soggetti percettori, i dirigenti delle società o aziende che beneficiano in forma diretta o indiretta di interventi pubblici in funzione anticrisi.
Con riferimento a tali soggetti, si valuti che la relativa indicazione non è esaustiva delle categorie che, pur svolgendo attività privatistica, comunque percepiscono finanziamenti diretti o indiretti dallo Stato.
Si riportano, di seguito, specifici approfondimenti per alcune categorie di soggetti, erogatori o percettori, indicati dalla proposta di legge.
In particolare: le agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300
Ai sensi dell’art. 2, co. 3, del D.lgs. n.300/1999[13], le agenzie disciplinate dal medesimo decreto sono strumenti attraverso i quali i ministeri svolgono le funzioni di spettanza statale nelle materie e secondo le aree funzionali indicate per ciascuna amministrazione.
Innanzitutto, il titolo II del D.Lgs. n. 300 del 1999 (artt. 8-9) ha dettato una disciplina di carattere generale per l’istituzione delle agenzie. Queste svolgono attività a carattere tecnico-operativo di interesse nazionale, tradizionalmente esercitate da amministrazioni ed enti pubblici. Il ricorso all'agenzia si rende opportuno in presenza di funzioni che richiedano particolari professionalità, conoscenze specialistiche e specifiche modalità di organizzazione del lavoro, difficilmente realizzabili all'interno delle strutture ministeriali.
Le agenzie operano in condizioni di autonomia, nei limiti stabiliti dalla legge: dispongono di un proprio statuto; sono sottoposte al controllo della Corte dei conti ed al potere di vigilanza di un ministro; hanno autonomia di bilancio ed agiscono sulla base di convenzioni stipulate con le amministrazioni. A differenza delle autorità amministrative indipendenti (authorities), le Agenzie sono pertanto soggette al controllo governativo e non godono di totale autonomia dall’Esecutivo tanto che i vertici (direttori generali) vengono individuati dai Ministri e nominati con D.P.R., previa deliberazione del Consiglio dei Ministri; rispetto ai dipartimenti ministeriali, pertanto, tali istituti godono di una maggiore autonomia ma non tanto da porli in una posizione di terzietà rispetto al Governo.
Per quanto riguarda l’organizzazione interna delle agenzie disciplinate dagli art. 8 e 9, sono previsti quattro organi (direttore generale, comitato direttivo, collegio dei revisori dei conti, organismo preposto al controllo di gestione), mentre sono tre per le agenzie fiscali (direttore, comitato di gestione, collegio dei revisori dei conti).
In secondo luogo, singole disposizioni del D.lgs. 300/1999 hanno individuato due gruppi di agenzie. Nella prima categoria sono comprese quattro strutture, di cui solo le prime due rese operative:
a) l’Agenzia industrie difesa (art. 22);
b) l’Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici[14] (artt. 38 e 39). Successivamente, tale agenzia è stata soppressa e le sue funzioni sono state assegnate all'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA);
c) l’Agenzia dei trasporti terrestri e delle infrastrutture (art. 44) e l’Agenzia per la formazione e l’istruzione professionale (art. 88), mai attivate.
Sono state soppresse prima ancora di essere costituite, invece, l’Agenzia per le normative e i controlli tecnici, l’Agenzia per la proprietà industriale, l’Agenzia per la protezione civile e l’Agenzia per il servizio civile, quest’ultima prevista dal D.Lgs. n. 303/1999.
Nella seconda categoria, rientrano le agenzie fiscali che sono disciplinate secondo disposizioni specifiche anche in deroga alle disposizioni generali.
Si tratta di:
· Agenzia delle entrate;
· Agenzia delle dogane;
· Agenzia del territorio;
· Agenzia del demanio.
L’art. 10 del D.Lgs. 300/1999 individua nelle agenzie fiscali le agenzie “speciali”, in quanto soggette ad una disciplina speciale derogatoria rispetto a quella generale di cui ai precedenti artt. 8 e 9 del D.Lgs. 300/1999. La specifica disciplina di queste agenzie è recata dagli artt. 57-72.
La struttura della retribuzione del personale dirigente dell’Area VI delle Agenzie Fiscali, secondo quanto contenuto nell’articolo 49 del CCNL quadriennio normativo 2002– 2005 e biennio economico 2002–2003, del 1° agosto 2006, si compone delle seguenti voci: - stipendio tabellare; - retribuzione individuale di anzianità, maturato economico annuo, assegni ad personam, ove acquisiti e spettanti in relazione a previgenti contratti collettivi nazionali; - retribuzione di posizione parte fissa; - retribuzione di posizione parte variabile; - retribuzione di risultato. Il trattamento economico qui descritto remunera tutte le funzioni, i compiti e gli incarichi attribuiti ai dirigenti. La struttura della retribuzione del personale appartenente al comparto delle Agenzie Fiscali ai sensi dell’articolo 77 del CCNL del personale del comparto delle agenzie fiscali per il quadriennio normativo 2002–2005 e biennio economico 2002–2003, del 28 maggio 2004, si compone delle seguenti voci: - stipendio tabellare ed indennità integrativa speciale sino al suo conglobamento; - retribuzione individuale di anzianità, comprensiva della maggiorazione per esperienza professionale - fasce retributive; - indennità di Agenzia di cui all’art. 87, corrisposta per dodici mensilità, con carattere di generalità e continuità; - compensi di cui all’art. 85 (Utilizzo del Fondo per le politiche di sviluppo delle risorse umane e per la produttività), ove spettanti; - compensi per lavoro straordinario, ove spettanti; - altre indennità previste da specifiche disposizioni di legge. L’articolo considera anche l’assegno per il nucleo familiare, se spettante. |
Anche successivamente al D.Lgs. 300/1999, il legislatore ha provveduto ad istituire nuove “agenzie”, non sempre riconducibili alla disciplina generale prevista dai citati articoli 8-9.
Senza pretesa di esaustività, si ricordano tra i nuovi organismi istituiti:
· Agenzia italiana del farmaco (a cui si applicano gli articoli 8-9, D.lgs. 300);
· Agenzia per la diffusione delle tecnologie per l'innovazione (a cui non si applicano gli articoli 8-9, D.lgs. 300);
· Agenzia nazionale del turismo (a cui non si applicano gli articoli 8-9, D.lgs. 300);
· Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca - ANVUR (a cui si applica l’articolo 8, D.lgs. 300);
· Agenzia nazionale per i giovani (istituita ai sensi dell'articolo 8 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300);
· Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie (a cui si applicano gli articoli 8-9, D.lgs. 300);
· Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile (ex Enea) (a cui non si applicano gli articoli 8-9, D.lgs. 300);
· Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (a cui non si applicano gli articoli 8-9, D.lgs. 300).
Non rientrano nel novero delle agenzie riferibili al D.lgs. 300/1999, gli organismi, denominati “agenzie”, istituiti con distinti provvedimenti, prima del decreto citato.
Si tratta dei seguenti:
§ Agenzia spaziale italiana (ASI);
§ Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN);
§ Agenzia per i servizi sanitari regionali;
§ Agenzia nazionale per la sicurezza del volo;
§ Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA);
§ Agenzia per le organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS), successivamente denominata Agenzia per il terzo settore.
Tale categoria comprende una molteplicità di soggetti in parte richiamati dalla stessa proposta di legge, come gli enti ricerca, per la cui individuazione può farsi riferimento all’elenco allegato (n.1) al conto consuntivo del Ministero dell’economia e delle finanze, sottoposti al controllo della Corte dei conti.[15].
Infatti la Corte, nell’ambito delle funzioni di cui all’art. 10, comma secondo della Costituzione, partecipa al controllo sulla gestione finanziaria degli enti, pubblici o privati a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria ai sensi della legge n. 259 del 1958. Sul punto si veda il citato dossier Servizio studi, La disciplina dei servizi pubblici locali e le regolazioni di settore, Documentazione e ricerche n. 337 del 4 aprile 2012.
Per quanto attiene alla struttura della retribuzione del personale degli enti pubblici non economici, l’articolo 28 del CCNL normativo 1998–2001 economico 1998 – 1999 del 16 febbraio 1999 ha stabilito che la struttura della retribuzione del personale degli enti pubblici del comparto, ricompreso nell’aree A, B e C è composta da: stipendio tabellare corrispondente alla posizione rivestita nell’ambito del sistema classificatorio; retribuzione individuale di anzianità, comprensiva della maggiorazione per esperienza professionale di cui all’articolo 15, comma 4, del DPR 43/1990 (maggiorazione della retribuzione per i dipendenti che abbiano acquisito esperienza professionale nel corso di una specifica permanenza in determinate qualifiche), ove acquisita; indennità integrativa speciale; compensi per lavoro straordinario, ove spettanti; compensi incentivanti e altri compensi e indennità previsti in base al presente contratto, ove spettanti; altre indennità spettanti in base a specifiche disposizioni di legge. Viene inoltre considerato l’assegno per il nucleo familiare. Lo stesso articolo ha disposto che per il personale della sezione dei professionisti e dei medici si applicano gli articoli. 42 e 43, relativi all’utilizzo a scopo incentivati di specifici fondi (Fondo Area dei professionisti e Fondo Area medica). |
Gli enti di ricerca costituiscono una categoria molto ampia di soggetti, di natura pubblica o privata, che fanno capo a diversi Ministeri. Le competenze istituzionali di ricerca e sviluppo sono distribuite tra molti centri decisionali e di spesa, incluse le Regioni ai sensi dell’art. 117 della Costituzione. Alle Amministrazioni centrali, oltre che al Ministero.
Quanto alla struttura della retribuzione, l’articolo 23 del CCNL dell’Area VII (Ricerca, Università) normativo 1994-1997 economico 1994-1995 del 5 marzo 1998, ha stabilito, per la Dirigenza Amministrativa, che la retribuzione della qualifica unica dirigenziale si articola nelle seguenti voci: 1. stipendio tabellare; 2. indennità integrativa speciale; 3. retribuzione individuale di anzianità, ove acquisita; 4. retribuzione di posizione; 5. retribuzione di risultato; 6. assegni familiari, ove spettanti. Lo stesso CCNL, all’articolo 54, per i Ricercatori ed i Tecnologi, ivi compresi quelli con rapporto a tempo determinato - (I, II e III livello), ha disposto che il trattamento economico si compone delle seguenti voci: - stipendio tabellare relativo alla posizione ricoperta; - retribuzione individuale di anzianità ove acquisita; - indennità integrativa speciale; - trattamento accessorio come definito dal CCNL; - assegni familiari ove spettanti. Per il restante personale, l’articolo 38 del CCNL normativo 1994–1997 economico 1994–1995 del 7 ottobre 1996 ha stabilito che la struttura della retribuzione del personale delle Istituzioni e Enti di Ricerca e Sperimentazione si compone delle seguenti voci: A - trattamento fondamentale: 1) stipendio tabellare; 2) retribuzione individuale di anzianità; 3) indennità integrativa speciale; B - trattamento accessorio: 1) Indennità di valorizzazione professionale di cui all’art. 42 2) compensi per il lavoro straordinario di cui all'articolo 43, comma 2, lettera a); 3) indennità di rischio, disagio, responsabilità di cui all’articolo 43, comma 2, lettera b); 4) indennità di Ente di cui all’articolo 44 (ha preso il posto dell’indennità di incentivazione e funzionalità); 5) indennità di posizione di cui all’articolo 46 (solamente per alcune qualifiche del personale); 6) compensi per la produttività collettiva e individuale di cui all’articolo 43, comma 2, lettera e). L’articolo 38 prende in considerazione anche l’assegno per il nucleo familiare, se spettante. Al personale, ove spettante, è corrisposto l'assegno per il nucleo familiare ai sensi della legge 13 maggio 1988 n. 153 e successive modificazioni. |
Di seguito si svolge una parziale disamina degli enti di ricerca, con riferimento ai settori sanitario e culturale.
Per il settore sanitario, ai sensi dell’art. 1, comma 2 del D.Lgs. 30 marzo 2001 n. 165 (Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), gli enti che fanno parte del Servizio sanitario nazionale sono i seguenti:
§ Ministero (dipartimenti e direzioni);
§ enti ed organi di livello centrale: CSS - Consiglio Superiore di Sanità, ISS - Istituto Superiore di Sanità , INAIL - Istituto Nazionale Assicurazione Infortuni sul Lavoro, AGENAS - Agenzia nazionale per i Servizi Sanitari Regionali (Agenas), IRCCS - Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico, IIZZSS - Istituti Zooprofilattici Sperimentali, AIFA - Agenzia italiana del farmaco, Commissioni e comitati incardinati nell’organigramma del Ministero;
§ organi territoriali delle Regioni e delle Province autonome: Aziende Sanitarie Locali e Aziende Ospedaliere.
Altri enti pubblici sui cui il Ministero svolge una funzione di vigilanza sono: la Croce Rossa Italiana e la Lega Italiana Lotta contro i Tumori.
Le disposizioni del Decreto Legislativo 288/2003 concernente il riordino degli IRCCS, suddivide tali istituti in enti pubblici, in fondazioni (a prevalenza pubblica o privata) e in enti privati.
Gli IRCCS pubblici sono veri e propri enti pubblici e si caratterizzano per la maggiore ingerenza dello Stato sull’andamento della loro gestione (al Ministro spetta la nomina del direttore scientifico). Dal 2003 gli IRCCS di diritto pubblico, su istanza della Regione in cui l'Istituto ha la sede prevalente di attività clinica e di ricerca, possono essere trasformati in Fondazioni di rilievo nazionale, aperte alla partecipazione di soggetti pubblici e privati e sottoposte alla vigilanza del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali e del Ministero dell'economia e delle finanze. Gli enti trasformati assumono la denominazione di Fondazione IRCCS.
Gli IRCCS privati invece hanno una maggiore libertà di azione ed il controllo su di essi viene effettuato soltanto sulla valenza delle ricerche effettuate.
La disciplina in esame riguardante il limite degli emolumenti non sembrerebbe includere gli incarichi assegnati negli IRCCS di diritto privato. Il Ministero della salute, infatti, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 42 del 26 febbraio 2007, è organo preposto per la nomina dei soli direttori scientifici degli IRCCS di diritto pubblico.
La ricerca sanitaria è articolata in Ricerca corrente e di Ricerca finalizzata e coinvolge i seguenti enti: IRCCS (privati e pubblici), Istituti Zooprofilattici Sperimentali, Agenas, ISS, Inail.
Per quanto concerne le politiche sociali svolte dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, sono Organi Collegiali, alle dirette dipendenze dello stesso Ministero:
§ Centro Nazionale di documentazione e analisi per l'Infanzia e l'adolescenza;
§ Comitato per i minori stranieri;
§ Commissione di indagine sull’esclusione sociale;
§ Osservatorio Nazionale dell'Associazionismo;
§ Osservatorio Nazionale per il Volontariato;
§ Osservatorio Nazionale per l'Infanzia e l'Adolescenza;
§ Osservatorio Nazionale sulla condizione delle persone con disabilità.
Per il settore culturale, gli enti di ricerca vigilati dal MIUR sono i seguenti:
§ Agenzia spaziale italiana (ASI);
§ Consiglio nazionale delle ricerche (CNR);
§ Istituto nazionale di ricerca metrologica (INRIM);
§ Istituto nazionale di alta matematica (INDAM);
§ Istituto nazionale di astrofisica (INAF);
§ Istituto nazionale di fisica nucleare (INFN);
§ Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (INGV);
§ Istituto nazionale di oceanografia e di geofisica sperimentale (OGS);
§ Istituto italiano di studi germanici;
§ Consorzio per l'area di ricerca scientifica e tecnologica di Trieste;
§ Museo storico della fisica e Centro di studi e ricerche "Enrico Fermi";
§ Stazione zoologica "Anton Dohrn"[16].
Gli enti suddetti, riordinati con il D.lgs. n. 213 del 2009[17], sono destinatari del Fondo ordinario istituito dall’art. 7 del D.lgs. n. 204 del 1998.
L’articolo 4 del d.lgs. 213/2009 ha disposto che la ripartizione del Fondo ordinario è effettuata sulla base della programmazione strategica preventiva[18] e della valutazione della qualità dei risultati della ricerca, effettuata dall’Agenzia nazionale di valutazione dell'università e della ricerca(ANVUR).
Inoltre, come già stabilito per le università dall’art. 2 del D.L. 180 del 2008, si è previsto che, a decorrere dal 2011, una quota del medesimo Fondo – non inferiore al 7%, destinata ad incrementarsi progressivamente negli anni successivi –, è diretta al finanziamento premiale di specifici programmi e progetti, anche congiunti.
La finalità è quella di promuovere e sostenere la qualità dell’attività scientifica degli enti e migliorare l’efficacia e l’efficienza nell’utilizzo delle risorse. I criteri e le motivazioni di assegnazione della quota sono disciplinate con decreto del Ministro, avente natura non regolamentare.
L’art. 6 ha disposto che ogni ente adotta il regolamento del personale e quello di amministrazione, finanza e contabilità, in conformità ai principi e alle vigenti norme di amministrazione e contabilità pubblica e a quelle generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche.
La categoria delle università comprende soggetti non riconducibili solo alle università statali, in quanto vi sono università non statali promosse da soggetti pubblici, nonché da soggetti privati. Con riferimento alle università statali si osserva quanto segue.
L’art. 5 della legge n. 537 del 1993 ha istituito nello stato di previsione dell’allora Ministero dell'università e della ricerca scientifica tre distinti fondi, fra i quali il Fondo per il finanziamento ordinario delle università (FFO), che comprende, tra l’altro, le spese per il personale docente e non docente[19].
In base allo stesso art. 5, il FFO si compone di una quota base, da ripartire fra le università proporzionalmente ai trasferimenti e alle spese sostenute direttamente dallo Stato nell'esercizio precedente, e di una quota di riequilibrio, da ripartire secondo criteri definiti con decreto ministeriale (sentiti il Consiglio Universitario Nazionale e la Conferenza permanente dei rettori), in relazione a standard deicosti di produzione per studente ed a finalità di riqualificazione della ricerca, tenuto conto delle dimensioni degli atenei e delle condizioni ambientali e strutturali in cui essi operano.
L’ammontare del fondo è stato determinato annualmente dalla tabella C della legge finanziaria fino al 2010. A partire dal 2011, l’importo è stato espunto dalla tabella C della legge di stabilità, in applicazione dell’art. 52 della L. 196 del 2009 con il quale sono state stralciate le spese obbligatorie[20], contestualmente riallocate in appositi capitoli di spesa nell’ambito del disegno di legge di bilancio (nel caso specifico, il capitolo di riferimento è il 1694).
Occorre peraltro ricordare che, al fine di fronteggiare la crescita della spesa per il personale, l’art. 51, comma 4, della L. n. 449 del 1997 ha disposto che la stessa in ciascun ateneo non deve superare il limite del 90% della quota del FFO e che, fermo restando tale limite, l’art. 1, comma 105, della L. n. 311 del 2004 ha previsto che, a decorrere dal 2005, le università adottano programmi triennali del fabbisogno di personale docente, ricercatore e tecnico-amministrativo, a tempo determinato e indeterminato, valutati dal MIUR ai fini della coerenza con le risorse stanziate nel FFO.
L’art. 1, commi 1 e 2, del D.L. 180/2008 ha poi stabilito che le università statali che alla data del 31 dicembre di ogni anno hanno superato il livello massimo di spesa per il personale di ruolo non possonoprocedere all’indizione di procedure concorsuali e di valutazione comparativa, né all’assunzione di personale, con alcune eccezioni.
Sempre al fine del contenimento della spesa, sono state introdotte limitazioni al turn over nelle università.
In particolare, l’art. 66, comma 13, del D.L. n. 112/2008 (L. 133/2008)(come modificato, da ultimo, dall’art. 1, co. 3, del D.L. n. 216 del 2011 - L. 14/2012),ha previsto, per quanto qui interessa, che - fermi restando i limiti in materia di programmazione triennale di cui all’art. 1, co. 105, della L. finanziaria per il 2005 - per il quadriennio 2009- 2012 le università possono procedere, per ogni anno[21], ad assunzioni di personale nel limite di un contingente corrispondente ad una spesa pari al 50% di quella relativa al personale a tempo indeterminato cessato dal servizio nell’anno precedente[22].
Sull’argomento è intervenuto, da ultimo, lo schema di d.lgs. n. 437, adottato sulla base della delega prevista dall’art. 5 della L. 240 del 2010, che, all’art. 5, individua un nuovo limite massimo alle spese per il personale - pari all’80% del rapporto fra le relative spese e la somma dei contributi statali per il funzionamento[23] e delle tasse, soprattasse e contributi universitari (a fronte del 90% rapportato al solo FFO) – mentre all’art. 7 individua varie combinazioni dei livelli degli indicatori di spesa per il personale e di spesa per l’indebitamento rilevanti, per ciascun ateneo, per la determinazione della misura delle assunzioni.Conseguentemente, si dispone l’abrogazione dell’art. 1, co. 5, della L. 311/2004, dell’art. 51, co. 4, della L. 449/1997 e dell’art. 1, co. 1, del D.L. 180/2008.
Lo schema, sul quale la VII Commissione della Camera ha espresso il parere di competenza il 22 marzo 2012[24], è stato definitivamente approvato dal Consiglio dei Ministri del 23 marzo 2012, ma non è ancora stato pubblicato nella Gazzetta ufficiale.
La struttura della retribuzione dei dirigenti di prima e seconda fascia dell’Area VII (Ricerca e Università) ai sensi dell’articolo 52 del CCNL normativo per il quadriennio 2002-2005 e biennio economico 2002–2003, del 5 marzo 2008, si compone delle seguenti voci: stipendio tabellare; retribuzione individuale di anzianità, maturato economico annuo, assegni ad personam, ove acquisiti e spettanti in relazione a previgenti contratti collettivi nazionali; retribuzione di posizione, parte fissa e parte variabile; retribuzione di risultato. Il trattamento descritto remunera tutte le funzioni, i compiti e gli incarichi attribuiti ai dirigenti. La struttura della retribuzione del personale del personale appartenente al comparto Università ai sensi dell’articolo 83 del CCNL per il quadriennio normativo 2006-2009 e biennio economico 2006–2007, del 16 ottobre 2008, si compone delle seguenti voci: per il trattamento fondamentale stipendio tabellare; posizioni economiche; eventuali assegni “ad personam”; retribuzione individuale di anzianità ove acquisita; equiparazione stipendiale prevista dall’art. 31 del DPR n.761/79 esclusivamente per la parte utile in quota A del trattamento pensionistico. per il trattamento accessorio indennità d’Ateneo; indennità mensile; indennità di responsabilità; retribuzione di posizione e retribuzione di risultato del personale EP; posizione organizzative; indennità e compensi retribuiti con il fondo d’Ateneo; compensi per prestazioni di lavoro straordinario; altre indennità previste da specifiche disposizioni di legge. Inoltre, è previsto l'assegno per il nucleo familiare ai sensi della legge 13 maggio 1988 n. 153, ove spettante. |
Nel rinviare al dossier indicato in premessa per il riferimento alle società non quotate a totale o a prevalente partecipazione pubblica nonché loro controllate, si evidenzia che, mentre l’art. 23-bis si riferisce esclusivamente ai compensi dei soli amministratori con deleghe delle società partecipate esclusivamente dal Ministero dell’economia e delle finanze, la proposta in esame, nel primo periodo dell’art. 1, si riferisce a tutti i rapporti di lavoro, dipendente o autonomo, con le società non quotate a totale o a prevalente partecipazione pubblica nonché loro controllate, risultando così inclusa ogni società non quotata, purché la partecipazione di un soggetto pubblico, ivi incluso il livello locale, sia prevalente rispetto a quella privata; mentre, nel secondo periodo, stabilisce che il limite si applica “anche” ai presidenti e componenti di collegi e organi di governo e di controllo di società non quotate. Perciò appare opportuno verificare l’effettivo perimetro applicativo del regime previsto per le società in questione, che appare comunque più ampio di quello vigente di cui all’art. 23-bis.
Dai dati diffusi dall’ISTAT[25] il 23 marzo 2012 risulta che, “nel 2009, le imprese attive a controllo pubblico sono 4.186, occupano 681.295 addetti (in media 163 addetti per impresa) e rappresentano lo 0,5 per cento delle imprese del registro statistico delle imprese attive (Asia Imprese) e il 7,0 per cento degli addetti.
Le imprese a controllo pubblico operano prevalentemente nei settori che offrono servizi di pubblica utilità, quali la fornitura di energia elettrica e gas (15,5 per cento), la fornitura di acqua e trattamento dei rifiuti (13,8 per cento) e i servizi di trasporto (1,7 per cento).
Il 44,2 per cento delle imprese a controllo pubblico è controllato da Comuni, di cui il 6,1 per cento da Città metropolitane[26] .
Il 57,4 per cento degli addetti delle imprese a controllo pubblico lavora per un gruppo di imprese controllato dal Ministero dell'Economia e delle Finanze”.
Quanto alla struttura retributiva del personale di tali società si forniscono di seguito alcuni dati. Per il personale dirigente di Poste Italiane S.p.A, l’articolo 1 del CCNL 9 marzo 1999 prevede l’applicazione, dal 1°gennaio 1999, del Minimo Contrattuale Base e l'importo per l'ex Elemento di Maggiorazione previsti dal CCNL DIRIGENTINDUSTRIA (Dirigenti di aziende produttrici di beni e servizi). Per quanto riguarda l'ex Elemento di Maggiorazione esso assorbe, fino a totale concorrenza del medesimo, le somme attribuite ex art. 4, punto b) del CCNL Dirigenti Poste (anzianità pregressa) e il Superminimo di cui all'art. 5 CCNL citato, fermo restando che eventuali somme residue vengono mantenute a titolo di assegno personale non assorbibile. In aggiunta a quanto precede, le somme già ascritte alle voci "assegno ad personam", "assegno riassorbibile", "integrazione pensionabile ex art. 26 CCNL", "integrazione parzialmente pensionabile ex art. 2, legge n. 335/95", vengono corrisposte a titolo di Elemento Distinto della Retribuzione (EDR) non assorbibile. L’articolo 63 del CCNL per il personale non dirigente del 14 aprile 2011 prevede che la retribuzione è strutturata in “fissa” e “variabile”.
La retribuzione fissa comprende: minimo tabellare; indennità di contingenza in godimento; tredicesima mensilità; quattordicesima mensilità; retribuzione individuale di anzianità; elemento distintivo della retribuzione; indennità di funzione Quadri, computabile nella determinazione della cosiddetta quota “A” ai fini pensionistici; posizioni economiche differenziate, di cui all’art. 4 del CCNL del 19 giugno1997, integrativo per la parte economica del CCNL del 26 novembre 1994; ulteriori posizioni economiche oltre i minimi tabellari di ciascun livello, conseguenti al mantenimento, ai sensi del CCNL 26 novembre 1994, del differente regime retributivo delle ex categorie contrattuali.
La retribuzione variabile comprende: premi di risultato; indennità di posizione e indennità particolari.
L’articolo infine considera anche l’assegno per il nucleo familiare, ove spettante.
L’articolo 77 del CCNL del 18 novembre 2002 per il personale non dirigente ANAS S.p.A. dispone che la retribuzione è strutturata in "FISSA" e "VARIABILE".
La retribuzione FISSA comprende:
1) minimo tabellare;
2) indennità integrativa speciale;
3) tredicesima mensilità;
4) indennità operativa;
5) retribuzione individuale di anzianità;
6) aumenti periodici di anzianità;
7) arricchimento esperienza professionale;
8) elemento distinto della retribuzione;
9) elemento retributivo differenziato;
10) assegno "ad personam" non riassorbibile.
La retribuzione VARIABILE comprende:
1) Straordinario;
2) Maggiorazioni orarie;
3) Premio di produzione;
4) Trasferta;
5); Indennità di turnazione
6) Indennità di reperibilità;
7) Indennità di bilinguismo.
8) Indennità di rischio;
9) Indennità di maneggio valori;
10) Indennità di funzione;
11) indennità di zona.
Viene infine considerato l’eventuale assegno per il nucleo familiare.
Per Alitalia CAI gli articoli 20-22 del CCNL dirigenti per il personale di volo con la qualifica di comandante del 27 ottobre 2008 stabiliscono che la retribuzione è formata dallo stipendio mensile, dall’indennità di volo minima garantita (12 mensilità) modulata sull’anzianità di servizio e dalla XIII e XIV mensilità.
Sono inoltre previste delle diarie per il rimborso delle spese per il servizio di linea.
Identiche voci compongono la retribuzione ai sensi degli articoli 28-29 del CCNL 27 ottobre 2008 per i piloti.
Con specifico riferimento alla RAI, concessionaria del servizio pubblico generale radiotelevisivo fino al 6 maggio 2016, ai sensi dell’art. 49, comma 1, del d.lgs. n. 177 del 2005, si applica, ai sensi del comma 2 dello stesso art. 49, la disciplina generale delle società per azioni, anche per quanto concerne l’organizzazione e l’amministrazione.
Il capitale della RAI è detenuto per il 99,56% dal Ministero dell’economia e delle finanze e, per la restante quota (0,46%), dalla SIAE e la dismissione della partecipazione statale nella Rai-Radiotelevisione italiana spa, prevista dall’art. 21 della L. 112 del 2004, non ha avuto seguito.
Sulla natura giuridica della RAI, si ricorda che, con ordinanza 22 dicembre 2009, n. 27092, le Sezioni unite della Corte di Cassazione hanno ribadito la natura sostanziale di ente assimilabile a una amministrazione pubblica.
Secondo le S.U., nonostante “l’abito formale che riveste di società per azioni (peraltro partecipata totalitariamente da enti pubblici –omissis); ne discende la qualificabilità come erariale del danno cagionatole dai suoi agenti, nonché da quelli degli enti pubblici azionisti, con conseguente loro assoggettabilità all’azione di responsabilità amministrativa davanti al giudice contabile; lo si desume dai peculiari caratteri del regime della RAI, la quale: - è designata direttamente dalla legge quale concessionaria dell’essenziale servizio pubblico radiotelevisivo, svolto nell’interesse generale della collettività nazionale per assicurare il pluralismo, la democraticità e l’imparzialità dell’informazione; - è sottoposta, per la verifica della correttezza dell’esercizio di tale funzione, a penetranti poteri di vigilanza da parte di un’apposita commissione parlamentare, espressione dello Stato-comunità; - è destinataria, per coprire i costi del servizio, di un canone di abbonamento, avente natura di imposta e gravante su tutti i detentori di apparecchi di ricezione di trasmissioni radiofoniche e televisive, che è riscosso e le viene versato dall’Agenzia delle entrate; - è compresa fra gli enti cui lo Stato contribuisce in via ordinaria, sottoposti pertanto al controllo della Corte dei conti; - è tenuta all’osservanza delle procedure di evidenza pubblica nell’affidamento di appalti, in quanto “organismo di diritto pubblico” ai sensi della normativa comunitaria in materia”.
Dalla relazione della Corte dei conti sul risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria della RAI – Radiotelevisione italiana s.p.a. per gli esercizi 2008 – 2009[27], depositata l’8 aprile 2011, emerge che il personale a tempo indeterminato in servizio al 31 dicembre 2009 era pari a 9.953 unità, a fronte di 9.874 unità in servizio al 31 dicembre 2008. La stessa relazione evidenzia che il costo sostenuto per il personale nello stesso 2009 è stato pari a 903,6 milioni di euro, con un incremento dello 0,10% rispetto al 2008.
La struttura della retribuzione del personale appartenente ai quadri, impiegati ed operai dipendenti da RAI Radiotelevisione italiana S.p.A., RAI Cinema S.p.A., RAI Click S.p.A., RAI NET S.p.A., RAI SAT S.p.A., RAI TRADE S.p.A., e RAI WAY S.p.A. si compone delle seguenti voci: minimo del livello cui il lavoratore è assegnato, specificati all’articolo 31 (indicante i minimi tabellari); aumenti periodici di anzianità di cui all’articolo 32; aumenti di merito. |
Quanto alle testate giornalistiche, l’intervento dello Stato per tale categoria si pone come una delle misure di sostegno economico, di tipo diretto o indiretto, agli editori. In particolare, gli aiuti economici diretti consistono nell’erogazione di un contributo calcolato in percentuale dei costi risultanti dal bilancio delle imprese editrici che presentino i requisiti previsti dalla legge, mentre gli aiuti economici indiretti sono costituti da riduzioni tariffarie, agevolazioni fiscali e credito agevolato.
In materia di sostegno all’editoria, si sono succeduti numerosi interventi, che hanno dato luogo a un sistema normativo frammentario e poco organico[28].
Nell’ambito dei tentativi di razionalizzazione, nell’attuale legislatura è stato emanato il Regolamento recante semplificazione e riordino dell'erogazione dei contributi all'editoria (D.P.R. 25 novembre 2010, n. 223[29]).
Il regolamento – la cui vigenza decorre a partire dal bilancio di esercizio 2011 delle imprese beneficiarie – prevede la semplificazione della documentazione per accedere ai contributi e del procedimento di erogazione, stabilendo anche che le somme stanziate nel bilancio dello Stato per l’editoria costituiscono limite massimo di spesa[30] e che sono destinate prioritariamente ai contributi diretti.In materia è peraltro intervenuto, da ultimo, l’art. 29, comma 3, del D.L. 201/2011 (L. 214/2011), che ha disposto la cessazione del sistema di erogazione dei contributi diretti all’editoria di cui alla L. n. 250 del 1990 (e non anche di quelli derivanti da ulteriori disposizioni[31]) dal 31 dicembre 2014, con riferimento alla “gestione 2013”, allo scopo di contribuire all'obiettivo del pareggio di bilancio entro la fine del 2013. Ha disposto, inoltre, che il Governo provvede alla revisione del D.P.R. n. 223 del 2010, con effetti a decorrere dal 1° gennaio 2012.
Destinatari dei contributi, per il settore della stampa, per il 2009
Sul sito del Dipartimento per l’editoria[32] sono disponibili i dati relativi ai contributi erogati a partire dal 2003. Per l’anno 2009 – ultimo per il quale sono disponibili i dati – l’elenco dei destinatari è costituito da:
1. Quotidiani editi da cooperative di giornalisti (Art. 3, comma 2, Legge 250/1990)
2. Quotidiani editi da imprese editrici la cui maggioranza del capitale sia detenuta da cooperative, fondazioni o enti morali (Art. 3, comma 2-bis, Legge 250/1990)
3. Quotidiani editi e diffusi all'estero (Art. 3, comma 2-ter ,Legge 250/1990)
4. Quotidiani editi in lingua francese, ladina, slovena e tedesca nelle Regioni autonome Valle D'Aosta, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige (Art. 3, comma 2-ter, Legge 250/1990)
5. Periodici editi da cooperative di giornalisti (Art. 3, comma 2-quater, Legge 250/1990)
6. Testate organi di partiti e movimenti politici che abbiano il proprio gruppo parlamentare in una delle Camere o rappresentanze nel Parlamento europeo, o che siano espressione di minoranze linguistiche riconosciute, avendo almeno un rappresentante in un ramo del Parlamento italiano, ovvero che, essendo state in possesso di tali requisiti, abbiano percepito i contributi alla data del 31.12.2005.
(Art. 3, comma 10, Legge 250/1990 e Art. 20, comma 3-ter, D.L. n. 223/2006, convertito dalla L n. 248/2006).
7. Imprese editrici di quotidiani o periodici organi di movimenti politici, trasformatesi in cooperativa entro e non oltre il 1° dicembre 2001 (art. 153 legge 388/2000)
8. Imprese editrici di periodici che risultino esercitate da cooperative, fondazioni o enti morali ovvero da società la maggioranza del capitale sociale delle quali sia detenuta da cooperative, fondazioni o enti morali, che non abbiano scopo di lucro (art. 3, comma 3, legge 250/1990).
Con specifico riferimento ai dirigenti di banche e di istituti di credito disciplinati dal TUB, si nota che la legge n. 217 del 2011, Comunitaria 2010, ha recepito gli indirizzi europei in materia di "politiche remunerative" delle banche (direttiva 2010/76/CE), nel senso di affidare la relativa regolamentazione dell'Autorità di Vigilanza, principalmente in funzione di contenimento del rischio.
L'articolo 22 della legge Comunitaria 2010 (legge n. 217 del 2011), al fine di dare diretta attuazione alla direttiva 2010/76/CE concernente - tra l'altro - il portafoglio di negoziazione, le ricartolarizzazioni e il riesame delle politiche remunerative da parte delle autorità di vigilanza, ha modificato sia il Testo Unico Bancario che il Testo Unico sull'intermediazione finanziaria - TUF (D.Lgs. n. 58 del 1998) nel senso di:
§ affidare alla Banca d'Italia, nell'esercizio dell'attività di vigilanza regolamentare, il compito di emanare provvedimenti che riguardano anche i sistemi di remunerazione e di incentivazione dell'istituto e del gruppo bancario (articoli 53 e 67 del TUB). In questo ambito la Banca d'Italia può adottare, ove la situazione lo richieda, provvedimenti specifici nei confronti di singole banche, riguardanti tra l'altro la fissazione di limiti all'importo totale della parte variabile delle remunerazioni nella banca, quando sia necessario per il mantenimento di una solida base patrimoniale. Inoltre, per le banche che beneficiano di eccezionali interventi di sostegno pubblico, la Banca d'Italia può inoltre fissare limiti alla remunerazione complessiva degli esponenti aziendali;
§ affidare alla Banca d'Italia e la Consob la disciplina congiunta, mediante regolamento, con riferimento alla prestazione dei servizi e delle attività di investimento, nonché alla gestione collettiva del risparmio, degli obblighi dei soggetti abilitati anche in materia di sistemi di remunerazione e di incentivazione. (articolo 6 del TUF). Inoltre la Banca d'Italia, sentita la CONSOB, disciplina con regolamento gli obblighi delle società di intermediazione mobiliare (SIM) e delle società di gestione del risparmio (SGR) in materia di adeguatezza patrimoniale, contenimento del rischio nelle sue diverse configurazioni e partecipazioni detenibili. In seno a tale ambito, può anche emanare disposizioni di carattere particolare e, ove la situazione lo richieda, anche fissare limiti all'importo totale della parte variabile delle remunerazioni nei soggetti abilitati, quando sia necessario per il mantenimento di una solida base patrimoniale (articolo 7 TUF).
La Banca d'Italia, con il provvedimento del 30 marzo 2011 (http://www.bancaditalia.it/vigilanza/normativa/norm_bi/disposizioni-vig/politiche-prassi-remunerazione) ha emanato disposizioni relative alle politiche remunerative delle banche. Tale provvedimento, nel delineare l'ambito applicativo, specifica che le disposizioni ivi contenute “si applicano alle banche e ai gruppi bancari […] quindi anche alle componenti estere (ovunque insediate) e, ove applicabili, anche alle succursali italiane di banche extra-comunitarie".
Andrebbe quindi verificata l’opportunità di un coordinamento delle previsioni della proposta di legge in tema di dirigenti di banche e di istituti di credito disciplinati dal TUB con quelle relative alle politiche remunerative, recentemente introdotte, di derivazione comunitaria.
La struttura della retribuzione del personale appartenente alla carriera operativa della Banca d’Italia ai sensi dell’articolo 92 degli Accordi negoziali concernenti la contrattualizzazione del rapporto d'impiego del personale delle carriere direttiva della Banca d'Italia, del 28 marzo 1996, si compone delle seguenti voci: §livello stipendiale annuo, fissato per ogni grado su importi indicati in specifiche tabelle; §assegno individuale di grado, computato, sulla base degli importi e secondo quanto previsto in specifiche tabelle in relazione al periodo di servizio nel grado rivestito; §assegno individuale di servizio, computato, sulla base degli importi e secondo quanto previsto in specifiche tabelle, in relazione all'intero periodo di servizio intercorrente tra la data di decorrenza giuridica dell'assunzione e il giorno antecedente alla data di decorrenza giuridica del grado rivestito; §dall'eventuale assegno ad personam, riconosciuto qualora al termine delle operazioni di inquadramento per promozione l'importo dello stipendio nel nuovo grado risulti inferiore a quello precedentemente percepito, come differenza tra i due importi. La struttura della retribuzione del personale appartenente alla carriera operativa della Banca d’Italia ai sensi dell’articolo 113 degli Accordi negoziali concernenti la contrattualizzazione del rapporto d'impiego del personale delle carriere operativa, dei servizi generali e di sicurezza e operaia della Banca d'Italia, del 28 marzo 1996, si compone delle seguenti voci: § -livello stipendiale annuo, fissato per ogni grado e categoria negli importi indicati in specifiche tabelle; § -assegno individuale di grado, computato, sulla base degli importi e secondo quanto previsto in specifiche tabelle in relazione al periodo di servizio nel grado o categoria rivestiti; § -assegno individuale di servizio, computato, sulla base degli importi e secondo quanto previsto in determinate tabelle, in relazione all'intero periodo di servizio intercorrente tra la data di decorrenza giuridica dell'assunzione e il giorno antecedente alla data di decorrenza giuridica del grado o categoria rivestiti; § dall'eventuale assegno ad personam, riconosciuto qualora al termine delle operazioni di inquadramento per promozione l'importo dello stipendio nel nuovo grado risulti inferiore a quello precedentemente percepito, come differenza tra i due importi. Quanto alla Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB), ai sensi dell’art. 88 del Regolamento del personale, il trattamento economico del personale della carriera direttiva è composto dalle seguenti voci: stipendio; indennità di residenza; premio di presenza; rimborso spese di rappresentanza; gratifica; assegno per il nucleo familiare; assegno di reggenza; indennità per maggiori prestazioni; indennità per maneggio di valori di proprietà dell'Istituto; speciali compensi per il personale che, ai sensi dell’articolo 102, anticipi o posticipi l'inizio ed il termine dell'orario di lavoro giornaliero; compenso orario per i dipendenti chiamati, ai sensi dell’articolo 100, a prestare attività lavorativa oltre il normale orario di lavoro in ore notturne (22.00-6.00) ovvero nelle giornate di festività infrasettimanali, ovvero nei giorni semifestivi; maggiorazioni per prestazioni nel giorno del riposo settimanale ai sensi dell’art- 101. Ai sensi dell’art. 92 del Regolamento, il trattamento economico del personale delle carriere operativa e dei servizi generali è costituito dalla seguenti voci: stipendio; indennità di residenza; premio di presenza; premio individuale di produttività; assegno per il nucleo familiare; indennità prevista dal successivo articolo 101 (vedi supra); indennità per maneggio di valori di proprietà dell'Istituto; compenso e maggiorazioni per lavoro straordinario; speciali compensi per l'espletamento di specifici compiti o in relazione a particolari situazioni di lavoro; premio di laurea. |
In considerazione della formulazione molto ampia del riferimento a società o aziende che beneficiano in forma diretta o indiretta di interventi pubblici in funzione anticrisi, sembra opportuno verificarne la portata effettiva sia sotto il profilo soggettivo, sia sotto il profilo delle fattispecie di crisi che si intende considerare.
Nel presupposto che si intenda far riferimento a crisi congiunturale e sulla base di un’accezione di “crisi” in termini di crisi finanziaria internazionale, si ricorda che numerosi interventi legislativi, anche recenti hanno introdotto disposizioni volte – direttamente o indirettamente – a potenziare il sistema economico italiano di fronte a tale crisi internazionale.
In ogni caso, tra i più recenti e significativi interventi anticrisi si possono segnalare:
- l'articolo 7 del decreto-legge n. 34 del 2011, che ha autorizzato la Cassa Depositi e Prestiti ad assumere partecipazioni in società di rilevante interesse nazionale, in termini di strategicità del settore di operatività, di livelli occupazionali, di entità di fatturato ovvero di ricadute per il sistema economico-produttivo del Paese, che risultino in una stabile situazione di equilibrio finanziario, patrimoniale ed economico e siano caratterizzate da adeguate prospettive di redditività. L’individuazione dei requisiti per la qualifica di “società di interesse nazionale”è stata effettuata dal decreto del Ministro dell'economia e delle finanze del 3 maggio 2011. In particolare, sono state definite "di rilevante interesse nazionale" le società di capitali operanti nei settori della difesa, della sicurezza, delle infrastrutture, dei trasporti, delle comunicazioni, dell'energia, delle assicurazioni e dell'intermediazione finanziaria, della ricerca e dell'innovazione ad alto contenuto tecnologico e dei pubblici servizi. Al di fuori dei settori indicati, sono di rilevante interesse nazionale le società che possiedono un fatturato annuo netto non inferiore a 300 milioni di euro e un numero medio di dipendenti nel corso dell'ultimo esercizio non inferiore a 250 (qualora rientri nel 20% di tali valori, l'attività della società deve risultare rilevante in termini di indotto e di benefici del sistema economico-produttivo del Paese, anche in termini di presenza sul territorio di stabilimenti produttivi). Con il comunicato stampa del 22 giugno 2011, il cda di Cassa depositi e prestiti ha approvato la costituzione della società per azioni per l’assunzione di partecipazioni strategiche (“Fondo Strategico Italiano”); il successivo 27 luglio ha annunciato l’approvazione del relativo statuto. Il 30 novembre u.s. Cassa Depositi e Prestiti ha deliberato la sottoscrizione di 4 miliardi di euro di aumenti di capitale del Fondo Strategico Italiano (FSI). Grazie all’ingresso di altri soci - enti pubblici, fondazioni di origine bancaria, banche, assicurazioni, casse previdenziali e altri investitori istituzionali, anche esteri - la dimensione di FSI si attesterà a circa 7 miliardi di euro[33]. Si ricorda che il decreto-legge n. 21/2012 (cd. "golden share"), in corso di conversione, ha riformulato le condizioni e l'ambito di esercizio dei poteri speciali dello Stato sulle società operanti nei settori della difesa e della sicurezza nazionale, nonché in taluni ambiti di attività definiti di rilevanza strategica nei settori dell'energia, dei trasporti e delle comunicazioni.
- l'articolo 8 del D.L. 201 del 2011, che contiene misure di stabilizzazione del sistema creditizio volte a concedere la garanzia dello Stato sulle passività delle banche italiane. Si riconosce inoltre al Ministero dell'economia e delle finanze, fino al 30 giugno 2012, la facoltà di rilasciare la garanzia statale su finanziamenti erogati dalla Banca d'Italia alle banche italiane e alle succursali di banche estere in Italia per fronteggiare gravi crisi di liquidità, richiamando in particolare i cosiddetti casi di emergency liquidity assistance (i.e., offerta di liquidità di ultima istanza). L’intervento è volto a consentire alle banche di raccogliere i fondi necessari a finanziare i prestiti alle imprese e alle famiglie. Per beneficiare della garanzia dello Stato le banche devono soddisfare requisiti definiti in modo che la garanzia venga fornita solo a intermediari solidi che affrontano temporanei problemi di liquidità. La norma specifica le passività che possono beneficiare di garanzia, in modo da evitare l’estensione di quest’ultima al complesso degli intermediari.
In base al regime previsto dalla proposta di legge, il trattamento economico onnicomprensivo di chiunque riceve a carico delle finanze pubbliche emolumenti o retribuzioni nell'ambito di rapporti di lavoro dipendente o autonomo “non può superare il trattamento annuo lordo spettante ai membri del Parlamento”.
Quindi la proposta di legge adotta un termine di raffronto differente da quello riscontrabile nella legislazione vigente (trattamento economico annuale complessivo del Primo Presidente della Corte di cassazione), e nella proposta di legge AC 5035, costituito, appunto, trattamento annuo lordo spettante ai membri del Parlamento.
Si nota che, mentre il trattamento economico percepito a titolo di lavoro, per il quale è posto il limite, è definito “onnicomprensivo”, tale aggettivo non è ripetuto con riferimento a quello spettante ai parlamentari. Inoltre, nella relazione illustrativa si afferma l’intenzione di abbassare, per tutte le categorie di soggetti che direttamente o indirettamente gravano sulle finanze pubbliche, “il limite massimo percepibile, rapportandolo allo stipendio dei parlamentari, cioè a 63.000 euro lordi annui, invece che a 305.000 euro”.
Poiché la ratio della disposizione è quella di porre un limite a trattamenti economici onnicomprensivi, una linea interpretativa coerente sembra possa essere quella di ritenere che il parametro di riferimento sia quello del trattamento economico onnicomprensivo percepito dai parlamentari.
Del resto, il riferimento allo “stipendio” contenuto nella relazione illustrativa non sembra, immediatamente e in senso proprio, riferibile agli emolumenti dei parlamentari che, ferme restando alcune differenze tra Camera e Senato, si compongono di diverse voci, nessuna delle quali costituita da “stipendio”. Occorre inoltre aggiungere che, mentre alla percezione di stipendio nell’ambito di rapporto di lavoro dipendente è generalmente connesso il divieto di svolgimento di altra attività lavorativa, lo status di parlamentare, ferme restando specifiche incompatibilità, è compatibile con lo svolgimento di attività di lavoro autonomo dando luogo in tal caso a riduzione di indennità.
Quanto ai rapporti di lavoro di cui al D.lgs. 165/2001, l’articolo 53 del medesimo D.lgs., in tema di incompatibilità, cumulo di impieghi e incarichi, mantiene ferma la disciplina delle incompatibilità di cui all’articolo 60 del D.P.R. 3/1957 per cui l'impiegato non può esercitare il commercio, l'industria, né alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro, tranne che si tratti di cariche in società o enti per le quali la nomina è riservata allo Stato e sia intervenuta l'autorizzazione del Ministro competente. Peraltro, è salva la deroga prevista all'articolo 23-bis del D.Lgs. n. 165/2001 per i dirigenti delle pubbliche amministrazioni, gli appartenenti alla carriera diplomatica e prefettizia e, limitatamente agli incarichi pubblici, i magistrati ordinari, amministrativi e contabili e gli avvocati e procuratori dello Stato per cui è possibile lo svolgimento di attività presso soggetti e organismi, pubblici o privati, anche operanti in sede internazionale, in aspettativa senza assegni e con autorizzazione dell'amministrazione di appartenenza in ordine alle proprie preminenti esigenze organizzative.
In particolare, il richiamato articolo 53 specifica che i dipendenti pubblici non possono svolgere incarichi retribuiti che non siano stati conferiti o previamente autorizzati dall'amministrazione di appartenenza, mentre per i professori universitari a tempo pieno la possibilità è rimessa agli statuti o ai regolamenti degli atenei.
Inoltre, le pubbliche amministrazioni non possono conferire incarichi retribuiti a dipendenti di altre amministrazioni pubbliche, così come gli enti pubblici economici e i soggetti privati non possono conferire incarichi retribuiti a dipendenti pubblici senza la previa autorizzazione dell'amministrazione di appartenenza dei dipendenti stessi.
Queste ultime disposizioni si applicano a tutti i dipendenti pubblici, sia i c.d. contrattualizzati di cui all’articolo 1, comma 2 del D.lgs. 165/2001, sia il personalein regime di diritto pubblico di cui all’articolo 3 del D.lgs. n. 165.
Inoltre, l’importo indicato nella relazione illustrativa, cioè 63.000 euro lordi annui, non trova riscontro negli importi lordi delle varie voci che compongono il trattamento economico lordo complessivo dei parlamentari di seguito illustrate con particolare riferimento a quello erogato dalla Camera dei deputati.
Si nota, inoltre, che, mentre il trattamento economico dei parlamentari è indicato dalla disposizione in esame al lordo, analogo aggettivo non è utilizzato per i trattamenti economici da lavoro a carico delle finanze pubbliche. Tuttavia, analogamente a quanto sopra osservato, una linea interpretativa coerente potrebbe essere quella di ritenere che anche per questi ultimi trattamenti si intenda far riferimento al lordo.
Come sopra accennato, nelle voci che compongono il trattamento economico dei parlamentari non risulta una voce lorda annua pari a 63.000 euro.
Il trattamento economico dei deputati e dei senatori consta principalmente di una indennità, mensile, corrisposta per l’esercizio della funzione svolta, e di una diaria a titolo di rimborso spese di soggiorno a Roma.
Vanno distinte da tali due voci quelle relative ai rimborsi a vario titolo previsti (per le spese inerenti al rapporto tra eletto ed elettori e i supporti per lo svolgimento del mandato parlamentare; per le spese accessorie di viaggio e per i viaggi all’estero; per le spese telefoniche).
L’indennitàè prevista dalla Costituzione a garanzia del libero svolgimento del mandato elettivo (art. 69 Cost.). La legge n. 1261 del 1965[34] ne fissa l’importo nella misura massima: non può superare il trattamento complessivo massimo annuo lordo dei magistrati con funzioni di presidente di sezione della Corte di Cassazione ed equiparate (art. 1, secondo comma).
Spetta agli Uffici di Presidenza dei due rami del Parlamento determinare in concreto, entro il citato limite massimo, l’ammontare delle dodici quote mensili da corrispondere a titolo di indennità.
La diaria viene riconosciuta, a titolo di rimborso delle spese di soggiorno a Roma, sulla base della stessa legge n.1261 del 1965.
Circa la natura dell’indennità, nell’alternativa tra configurazione in termini di ristoro per le spese sostenute o di retribuzione per l’attività svolta, si riscontrano orientamenti diversi fin dai lavori dell’Assemblea costituente (nel senso di remunerazione sostitutiva l’on. Terracini, nel senso di rimborso spese l’on. Ruini), nella giurisprudenza della Corte costituzionale (sentt. 24/1968 e 245/1995 ne evidenziano profili retributivi, mentre sentt. 289/1994 e 454/1997 ne evidenziano profili di rimborso spese) e nella dottrina per quanto la più recente sembra privilegiarne gli aspetti retributivi.[35]
Con riferimento agli emolumenti erogati dalla Camera dei deputati si riportano le seguenti voci del complessivo trattamento economico dei deputati[36]
A decorrere dal 1° gennaio 2012, l'importo netto dell'indennità dei deputati, corrisposto per 12 mensilità, è pari a € 5.246,54, a cui devono poi essere sottratte le addizionali regionali e comunali, la cui misura varia in relazione al domicilio del deputato. Tenuto conto del valore medio di tali imposte addizionali, l'importo netto mensile dell'indennità dei deputati risulta pari a circa € 5.000.
Tale misura netta è determinata sulla base dell'importo lordo di € 10.435,00 mensile, sul quale sono effettuate le dovute ritenute previdenziali (pensione e assegno di fine mandato), assistenziali (assistenza sanitaria integrativa) e fiscali (IRPEF e addizionali regionali e comunali).
Inoltre, l'importo netto dell'indennità scende a circa € 4.750 per i deputati che svolgono un'altra attività lavorativa.
L'attuale misura mensile della diaria, a seguito della riduzione disposta dall'Ufficio di Presidenza nella riunione del 27 luglio 2010, è pari a € 3.503,11 esentasse.
Nella riunione del 30 gennaio 2012, l'Ufficio di Presidenza della Camera ha istituito un "rimborso delle spese per l'esercizio del mandato" che sostituisce il contributo per le spese inerenti al rapporto tra eletto ed elettori.
Tale rimborso, di importo complessivo invariato rispetto al precedente contributo, è pari a € 3.690 esentasse (dopo la riduzione di 500 euro del luglio 2010) ed è corrisposto direttamente a ciascun deputato in via forfettaria per la metà del totale.
Per quanto riguarda le spese di trasporto e spese di viaggio i deputati usufruiscono di tessere per la libera circolazione autostradale, ferroviaria, marittima ed aerea per i trasferimenti sul territorio nazionale.
Per i trasferimenti dal luogo di residenza all'aeroporto più vicino e tra l'aeroporto di Roma-Fiumicino e Montecitorio, è previsto un rimborso spese trimestrale pari a € 3.323,70, per il deputato che deve percorrere fino a 100 km per raggiungere l'aeroporto più vicino al luogo di residenza, e a € 3.995,10 euro se la distanza da percorrere è superiore a 100 km.
I deputati dispongono di una somma annua di € 3.098,74 euro per le spese telefoniche.
Pertanto, appare opportuno verificare a quali importi si intenda far riferimento con la locuzione “trattamento annuo lordo spettante ai membri del Parlamento” e se dal computo di tali importi siano esclusi emolumenti percepiti comunque a carico delle finanze pubbliche, come quelli a titolo di pensione o percepiti a titolo di trattamento di fine rapporto.
La proposta di legge AC 5035, che consta di un solo articolo, stabilisce alcune modifiche dell'articolo 23-ter del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, con il metodo della novellazione.
La modifica che riguarda il comma 1 amplia l'ambito dei soggetti pubblici conferenti emolumenti o retribuzioni, rispetto a quello che risulta dalla formulazione del testo vigente.
Tale novella, come espressamente evidenziato nella relazione illustrativa, raccoglie un rilievo contenuto nel parere delle commissioni riunite I Affari costituzionali e XI Lavoro della Camera dei deputati sullo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (n. 439) concernente la definizione del limite massimo del trattamento economico annuo onnicomprensivo per i pubblici dipendenti. Tale rilievo riguardava la necessità di “un intervento correttivo della disciplina recata dall'articolo 23-ter, per definire, al fine di evitare ingiustificate disparità di trattamento, un ambito di applicazione il più coerente possibile, disponendo, altresì, che la disciplina medesima costituisca un indirizzo al quale le Regioni devono conformare il proprio ordinamento”.
Quindi, mentre il testo vigente prevede che le pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, siano solo quelle statali (e quindi le amministrazioni dello Stato nonché quelle ad esse espressamente ricondotte dallo stesso comma 2, cioè gli istituti e le scuole di ogni ordine e grado, le istituzioni educative e le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo), la novella sopprime l’aggettivazione “statali”riferita alle pubbliche amministrazioni, ampliandone la platea, e include le autorità indipendenti.
Resta fermo il richiamo all’art 3 del citato decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, per effetto del quale l’ambito di applicazione del vigente art. 23-ter comprende sia il personale in regime di diritto pubblico, c.d. non contrattualizzato, sia i dipendenti degli enti che svolgono la loro attività nelle materie ivi indicate, cioè la Banca d’Italia, la Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB) e l’Autorità garante per la concorrenza e il mercato (Antitrust).
Pertanto, per effetto della soppressione dell’aggettivo “statali”, rispetto al testo vigente, il limite del trattamento economico è esteso a tutti i soggetti indicati nella citata disposizione di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni:
§ Regioni,
§ Province,
§ Comuni,
§ Comunità montane, e loro consorzi e associazioni,
§ Istituzioni universitarie,
§ Istituti autonomi case popolari,
§ Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni,
§ Enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali,
§ Amministrazioni, aziende ed enti del Servizio sanitario nazionale,
§ Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN),
§ Agenzie di cui al decreto legislativo n. 300 del 1999[37],
§ CONI, fino a che non sarà effettuata la revisione organica della disciplina di settore[38].
Con specifico riferimento alle Agenzie fiscali e all’Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato, si segnala che l’intervento inclusivo effettuato dalla disposizione in esame trova un precedente, sia pur non formulato in termini espressi, nell’articolo 35, comma 6, del decreto legge n.1/2012, che stabilisce, per i dirigenti di tali enti, una disposizione derogatoria al regime generale di blocco del trattamento economico fino al 2013, disposto dall’articolo 9, comma 2, ultimo periodo, del decreto-legge 78/2010[39].
Si tratta della riduzione, prevista dal primo periodo dello stesso comma, dei trattamenti economici complessivi dei singoli dipendenti, anche di qualifica dirigenziale, previsti dai rispettivi ordinamenti, delle amministrazioni pubbliche, inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT), ai sensi del comma 3, dell’art. 1 della legge n. 196/2009[40] del 5 per cento se superiori a 90.000 euro lordi annui per la parte eccedente il tale importo fino a 150.000 euro, nonché del 10 per cento per la parte eccedente 150.000 euro.
Nello stabilire tale deroga, il comma 6, terzo periodo, prevede che resti fermo quanto disposto dall’articolo 23-ter del decreto-legge 201/2011: tale previsione implicitamente presuppone che le Agenzie fiscali e i Monopoli di Stato rientrino effettivamente nella platea dei destinatari del regime da esso previsto.
Altra questione attiene alla ratio di tale rinvio poiché sembra da verificare – anche considerata la collocazione della disposizione all’interno del comma in esame - se il richiamo al suddetto articolo sia posto al fine di impedire che aumenti retributivi portino ad un superamento del trattamento economico del primo presidente della Corte di cassazione.
Con specifico riferimento alle agenzie, alla luce della ricostruzione normativa in materia illustrata a proposito della proposta di legge AC 4901, si valuti l’opportunità di verificare se il rinvio al comma 2 dell’art. 1 del d.lgs. n. 165/2001, effettuato dal comma 1 dell’ art. 1 della proposta di legge AC 5035, abbia l’effetto di includere nella disciplina dell’art. 23-ter solo le agenzie di cui al D.Lgs. n. 300/1999.
La proposta mantiene fermo il parametro di riferimento del trattamento del Primo presidente della Corte di cassazione,sostituito, invece, dalla proposta di legge AC 4901, con il trattamento annuo lordo dei parlamentari.
E’ mantenuto fermo, come nella proposta di legge AC 4901, il riferimento della normativa vigente al “trattamento economico onnicomprensivo”, ricondotto, negli stessi testi, alle definizioni di “emolumenti o retribuzioni”.
A livello giurisprudenziale si riscontra l'indirizzo secondo il quale l'onnicomprensività della retribuzione non è un principio generale, unitario ed assoluto dell'ordinamento; ne consegue l'esigenza di un'indagine, a seconda degli istituti considerati in sede di tutela giurisdizionale, sulle singole voci retributive.[41]
In merito al riferimento agli emolumenti si valuti l’opportunità di verificare se, con tale definizione, si intenda far riferimento anche a quanto percepito a titolo di pensione e di trattamento di fine rapporto.
Il comma 2 dell’articolo unico della proposta di legge AC 5035 introduce novelle dirette a:
• uniformare la platea dei soggetti pubblici conferenti indicata nel comma 2 con quella del comma 1 come novellato;
• ampliare le somme che possono essere corrisposte ai dipendenti dei suddetti soggetti pubblici che siano chiamati a svolgere funzioni direttive, dirigenziali o equiparate, anche in posizione di fuori ruolo o di aspettativa, presso autorità e pubbliche amministrazioni: se, in base al regime vigente, tali dipendenti - se conservano il trattamento economico riconosciuto dall’amministrazione di appartenenza - non possono ricevere, a titolo di retribuzione, indennità, o anche solo per il rimborso spese, più del 25% dell’ammontare complessivo del trattamento economico già percepito, con la novella, che stabilisce un minimo del 20%, l’importo a tale titolo può giungere al 30 per cento dell'ammontare complessivo del trattamento economico percepito, sulla base del criterio di valutazione introdotto dalla stessa novella, costituito dall’impegno richiesto dall'incarico, e purché non sia superato il limite massimo stabilito dal comma 1;
• introdurre ex novo una disposizione di garanzia del trattamento economico onnicomprensivo dei titolari e degli altri addetti degli uffici di diretta collaborazione, qualora siano interni all'amministrazione, in base alla quale il relativo importo deve comunque risultare non inferiore a quello che percepirebbero in applicazione delle disposizioni di legge o di contratto che ne determinano, in via ordinaria, la disciplina retributiva.
La proposta di legge introduce poi il comma 4-bis che prevede che le regioni adeguano i propri ordinamenti alle norme contenute nell’articolo.
L’organizzazione degli uffici regionali e degli enti pubblici regionali costituisce materia di competenza delle regioni ai sensi dell’art. 117, comma quarto, cioè residuale.
Giurisprudenza costante della Corte costituzionale riconduce a tali materie la disciplina delle modalità di accesso all'impiego (e plurimis sentenze nn. 100/2010, 95/2008, 380/2004,2/2004 e 274/2003) - fermi restando i principi derivanti dall’art. 97 Cost. in tema di concorso pubblico, diprincipi dell’imparzialità, delrispetto dei canoni della buona amministrazione e del giusto procedimento - spettando alla competenza legislativa esclusiva dello Stato disciplinare gli ambiti privatizzati del rapporto di lavoro pubblico in quanto riconducibili alla materia “ordinamento civile”.
Occorre aggiungere che, secondo la Corte (sentenza n. 308/2006), a partire dalla legge n. 421 del 1992[42], può trarsi, anche con riferimento ai dipendenti delle regioni, il principio della regolazione mediante contratti collettivi del trattamento economico dei dipendenti pubblici, principio affermato anche dagli artt. 2, comma 3, terzo e quarto periodo, e 45, comma 1, del citato d.lgs. n. 165 del 2001.
Inoltre, con la sentenza n. 95/2007 la Corte ha ritenuto che “la legge statale, in tutti i casi in cui interviene a conformare gli istituti del rapporto di impiego attraverso norme che si impongono all'autonomia privata con il carattere dell'inderogabilità, costituisce un limite alla competenza residuale regionale dell'organizzazione amministrativa delle Regioni e degli enti pubblici regionali e dello stato giuridico ed economico del relativo personale e va, quindi, applicata anche ai rapporti di impiego dei dipendenti delle Regioni e degli enti locali” (v., anche, sentenze n. 234 e n. 106/2005; n. 282/2004).
Inoltre, in base alla sentenza n. 189/2007, i princípi fissati dalla legge statale in materia di rapporto di impiego alle dipendenze di Regioni ed enti locali “privatizzato” costituiscono tipici limiti di diritto privato, fondati sull’esigenza, connessa al precetto costituzionale di eguaglianza, di garantire l’uniformità nel territorio nazionale delle regole fondamentali di diritto che disciplinano i rapporti fra privati e, come tali, si impongono anche alle Regioni a statuto speciale (sentenze n. 234 e n. 106/2005; n. 282/2004). Per effetto di tali principi la sentenza perviene a declaratoria di illegittimità costituzionale di una disposizione della Regione Sicilia, in quanto “in contrasto con il generale principio secondo il quale il trattamento economico dei dipendenti pubblici il cui rapporto di lavoro è stato “privatizzato” deve essere disciplinato dalla contrattazione collettiva, dato che detto principio di diritto privato - fondato sull’esigenza, connessa al precetto costituzionale di eguaglianza, di garantire l’uniformità nel territorio nazionale delle regole fondamentali di diritto che disciplinano i rapporti fra privati - si pone quale limite anche della potestà legislativa esclusiva che l’art. 14, lettera o) , dello statuto di autonomia speciale attribuisce alla Regione Siciliana in materia di «regime degli enti locali». (In senso analogo, v. sentenza n. 123, n. 176/2010).
La struttura della retribuzione della qualifica unica dirigenziale dell’Area II (Regioni ed autonomie locali) ai sensi dell’articolo 33 del CCNL normativo per il quadriennio normativo 1994-1997 e biennio economico 1994–1995, del 10 aprile 1996, si compone delle seguenti voci: stipendio tabellare; indennità integrativa speciale; retribuzione individuale di anzianità, ove acquisita; retribuzione di posizione; retribuzione di risultato. La struttura della retribuzione del personale appartenente al comparto delle Regioni e delle autonomie locali, ai sensi dell’articolo 28 del CCNL quadriennio normativo 1994 –1997 e biennio economico 1994–1995, del 6 luglio 1995, si compone delle seguenti voci: per il trattamento fondamentale stipendio tabellare; retribuzione individuale di anzianità, ove acquisita indennità integrativa speciale; livello economico differenziato. per il trattamento accessorio compensi per il lavoro straordinario; compensi per la produttività collettiva e per il miglioramento dei servizi; premi per la qualità delle prestazioni individuali; indennità speciali previste dal Fondo per la remunerazione di particolari condizioni di disagio, pericolo o danno. L’articolo 28 considera anche l’assegno per il nucleo familiare, se spettante. |
Le esigenze di uniformità che emergono dalla giurisprudenza illustrata non escludono però che specifici aspetti del rapporto di impiego, disciplinati dalla legge statale non siano applicabili, e quindi vincolanti, per le Regioni.
Uno di questi aspetti attiene al trattamento economico dei dirigenti, disciplinato dall’art. 24 del citato d.lgs. n. 165/2001 e successive modificazioni, come integrato, in particolare dal decreto legislativo n. 150/2009[43] .
Ci si riferisce, in particolare alle disposizioni del comma 2 di tale articolo che prevedono che per gli incarichi di uffici dirigenziali di livello generale ai sensi dell'articolo 19, commi 3 e 4, dello stesso decreto legislativo, con contratto individuale, è stabilito il trattamento economico fondamentale, assumendo come parametri di base i valori economici massimi contemplati dai contratti collettivi per le aree dirigenziali, e sono determinati gli istituti del trattamento economico accessorio, collegato al livello di responsabilità attribuito con l'incarico di funzione ed ai risultati conseguiti nell'attività amministrativa e di gestione, ed i relativi importi. Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze sono stabiliti i criteri per l'individuazione dei trattamenti accessori massimi, secondo principi di contenimento della spesa e di uniformità e perequazione.
Tali disposizioni non trovano applicazione alle Regioni in virtù di quanto stabilito dall’art. 13 dello stesso decreto legislativo che individua come amministrazioni destinatarie della normativa contenuta nello stesso decreto in tema di dirigenza solo le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo. Del resto, l’art. 27 dello stesso d.lgs. n. 165 stabilisce, in tema di dirigenza, per le regioni a statuto ordinario, un adeguamento ai princìpi, nell'esercizio della propria potestà statutaria e regolamentare, dei propri ordinamenti, tenendo conto delle relative peculiarità.
Pertanto la sent. n. 412/2007ha affermato chei criteri per l'individuazione dei trattamenti accessori massimi dettati dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri contemplato dal citato art. 24, comma 2, “si applicheranno esclusivamente agli incarichi di direzione di uffici dirigenziali di livello generale delle amministrazioni statali e le Regioni non saranno vincolate a quei criteri.”
D’altro canto, dalla stessa sentenza il principio del coordinamento della finanza pubblica, materia oggetto di potestà legislativa concorrente, emerge quale criterio finalistico idoneo ad intersecare tutti gli ambiti legislativi concorrenti e residuali delle Regioni solo con riferimento ai limiti generali di spesa per il personale.
Inoltre, i requisiti, desumibili dalla giurisprudenza della Corte, affinché le norme statali che fissano limiti alla spesa delle Regioni e degli enti locali possano qualificarsi principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, materia di competenza concorrente, sono, in primo luogo, che esse si limitino a porre obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica, intesi anche nel senso di un transitorio contenimento complessivo, sebbene non generale, della spesa corrente; in secondo luogo, che non prevedano strumenti o modalità per il perseguimento dei suddetti obiettivi ( così sent. n. 169/2007).
Gli stessi requisiti emergono dalla sent. 237/1999 in tema di enti pubblici regionali, in particolare di comunità montane, che, con riferimento all'art. 2, comma 20, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 che stabiliva gli effetti derivanti dalla mancata attuazione, nel termine stabilito dalla legge statale, dell'intervento di riordino regionale ha affermato che quella “disciplina di dettaglio ed auto applicativa che non può essere ricondotta all'alveo dei principi fondamentali della materia del coordinamento della finanza pubblica, in quanto non lascia alle Regioni alcuno spazio di autonoma scelta”.
Con riferimento alla disciplina dei compensi degli amministratori delle società partecipate, e del numero massimo dei componenti del consiglio di amministrazione di dette società di cui all'art. 1, comma 730, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, la Corte ha ritenuto costituzionalmente illegittima la disposizione che prevede l’obbligo di adeguamento per le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano principio di coordinamento della finanza pubblica. Infatti, secondo la sentenza n. 159 del 2008, “tale disposizione viola l'art. 117, terzo comma, della Costituzione, in quanto, quand'anche fosse collocata nell'area del coordinamento della finanza pubblica, vincola Regioni e Province autonome all'adozione di misure analitiche e di dettaglio, compromettendone illegittimamente l'autonomia finanziaria, così esorbitando dal compito di formulare i soli princípi fondamentali della materia”.
D.L. 6 dicembre 2011, n. 201 |
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Testo vigente |
Testo modificato |
Testo modificato dall’art. 1 |
Art. 23-ter Disposizioni
in materia di trattamenti economici |
Art. 23 –
bis |
Art. 23-ter Disposizioni in materia di trattamenti economici |
1. Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, previo parere delle competenti Commissioni parlamentari, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, è definito il trattamento economico annuo onnicomprensivo di chiunque riceva a carico delle finanze pubbliche emolumenti o retribuzioni nell’ambito di rapporti di lavoro dipendente o autonomo con pubbliche amministrazioni statali, di cui all’ articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, ivi incluso il personale in regime di diritto pubblico di cui all’ articolo 3 del medesimo decreto legislativo, e successive modificazioni, stabilendo come parametro massimo di riferimento il trattamento economico del primo presidente della Corte di cassazione. Ai fini dell’applicazione della disciplina di cui al presente comma devono essere computate in modo cumulativo le somme comunque erogate all’interessato a carico del medesimo o di più organismi, anche nel caso di pluralità di incarichi conferiti da uno stesso organismo nel corso dell’anno.
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1. Il trattamento economico onnicomprensivo di chiunque riceve a carico delle finanze pubbliche emolumenti o retribuzioni nell'ambito di rapporti di lavoro dipendente o autonomo con pubbliche amministrazioni statali di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, agenzie, enti pubblici anche economici, enti di ricerca, università, società non quotate a totale o a prevalente partecipazione pubblica nonché loro controllate, e di chiunque ha rapporti di lavoro dipendente o autonomo con la società concessionaria del servizio pubblico generale radiotelevisivo ovvero con le testate giornalistiche che beneficiano in forma diretta o indiretta di finanziamenti pubblici, non può superare il trattamento annuo lordo spettante ai membri del Parlamento. Il limite si applica anche ai magistrati ordinari, amministrativi e contabili, agli avvocati e procuratori dello Stato, al personale della carriera diplomatica e della carriera prefettizia, ai presidenti e componenti di collegi e organi di governo e di controllo di società non quotate, ai presidenti delle autorità indipendenti, ai dirigenti pubblici, nonché ai dirigenti di banche e di istituti di credito disciplinati dal testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e ai dirigenti delle società o aziende che beneficiano in forma diretta o indiretta di interventi pubblici in funzione anticrisi. |
1. Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, previo parere delle competenti commissioni parlamentari, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, è definito il trattamento economico annuo onnicomprensivo di chiunque riceva a carico delle finanze pubbliche emolumenti o retribuzioni per lo svolgimento di cariche pubbliche o nell'ambito di rapporti di lavoro dipendente o autonomo con le autorità amministrative indipendenti e con le pubbliche amministrazioni, di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, ivi incluso il personale in regime di diritto pubblico di cui all'articolo 3 del medesimo decreto legislativo, e successive modificazioni, stabilendo come limite massimo di riferimento il trattamento economico del primo presidente della Corte di cassazione. Ai fini dell'applicazione della disciplina di cui al presente comma devono essere computate in modo cumulativo le somme comunque erogate all'interessato a carico del medesimo o di più organismi, anche nel caso di pluralità di incarichi conferiti da uno stesso organismo nel corso dell'anno. |
2. Il personale di cui al comma 1 che è chiamato, conservando il trattamento economico riconosciuto dall’amministrazione di appartenenza, all’esercizio di funzioni direttive, dirigenziali o equiparate, anche in posizione di fuori ruolo o di aspettativa, presso Ministeri o enti pubblici nazionali, comprese le autorità amministrative indipendenti, non può ricevere, a titolo di retribuzione o di indennità per l’incarico ricoperto, o anche soltanto per il rimborso delle spese, più del 25 per cento dell’ammontare complessivo del trattamento economico percepito. |
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2. Il personale di cui al comma 1 che è chiamato, conservando il trattamento economico riconosciuto dall'amministrazione di appartenenza, all'esercizio di funzioni direttive, dirigenziali o equiparate, anche in posizione di fuori ruolo o di aspettativa, presso le autorità e le pubbliche amministrazioni di cui al comma 1, può ricevere, a titolo di retribuzione o di indennità per l'incarico ricoperto, o anche soltanto per il rimborso delle spese, una somma compresa tra il 20 e il 30 per cento dell'ammontare complessivo del trattamento economico percepito, in relazione all'impegno richiesto dall'incarico, restando in ogni caso fermo il limite di cui al comma 1. Quando i titolari e gli altri addetti agli uffici di diretta collaborazione sono interni all'amministrazione il loro trattamento economico onnicomprensivo deve comunque risultare non inferiore a quello che percepirebbero in applicazione delle disposizioni di legge o di contratto che ne determinano, in via ordinaria, la disciplina retributiva»; |
3. Con il decreto di cui al comma 1 possono essere previste deroghe motivate per le posizioni apicali delle rispettive amministrazioni ed è stabilito un limite massimo per i rimborsi di spese. |
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identico |
4. Le risorse rivenienti dall’applicazione delle misure di cui al presente articolo sono annualmente versate al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato. |
2. Le risorse derivanti dall'attuazione del comma 1 sono versate annualmente al Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato»;
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identico |
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4-bis. Le regioni adeguano i propri ordinamenti alle norme di cui al presente articolo». |
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b) l'articolo 23-ter è abrogato.
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Atti Parlamentari XVI Camera dei Deputati
CAMERA DEI DEPUTATI
N. 439
ATTO DEL GOVERNO
SOTTOPOSTO A PARERE PARLAMENTARE
(articolo 23-ter, comma 1, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214)
Trasmesso alla Presidenza il 30 gennaio 2012
BOZZA DEL DPCM SUL "TETTO" RETRIBUTIVO
VISTO l'articolo 23-ter del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, recante "Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici", convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 20 Il, n. 214;
VISTO, in particolare, il comma 1 del predetto articolo 23-ter che demanda ad un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri la definizione del trattamento economico annuo onnicomprensivo di chiunque riceva a carico delle finanze pubbliche emolumenti o retribuzioni nell'ambito di rapporti di lavoro dipendente o autonomo con pubbliche amministrazioni statali, di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, ivi incluso il personale in regime di diritto pubblico di cui all'articolo 3 del medesimo decreto legislativo, e successive modificazioni, stabilendo come parametro massimo di riferimento il trattamento economico del primo presidente della Corte di cassazione;
VISTO il decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni; VISTO il decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n. 195 recante "Regolamento recante determinazione dei limiti massimi del trattamento economico onnicomprensivo a carico della finanza pubblica per i rapporti di lavoro dipendente o autonomo";
VISTO l'articolo l del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 20 Il, n. 111;
ACQUISITO il parere delle competenti Commissioni parlamentari;
DECRETA
Art. 1
(Oggetto)
1. Il presente decreto, adottato in attuazione dell'articolo 23-ter del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, recante "Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici", convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 20 Il, n. 214, fissa il livello remunerativo massimo omnicomprensivo annuo degli emolumenti spettanti a ciascuna fascia o categoria di personale che riceva a carico delle finanze pubbliche emolumenti o retribuzioni nell'ambito di rapporti di lavoro dipendente o autonomo con pubbliche amministrazioni statali, di cui all'articolo l, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 200 l, n. 165, e successive modificazioni, ivi incluse le Autorità amministrative indipendenti, nonché quelli in regime di diritto pubblico di cui all'articolo 3 del medesimo decreto legislativo, e successive modificazioni, fermo restando che la definizione, al di sotto del suindicato limite, dei rispettivi trattamenti economici resta di competenza del contratto collettivo nazionale e della contrattazione interna a ciascuna amministrazione e, per i dirigenti pubblici, della contrattazione individuale.
Art. 2
(Soggetti destinatari)
l. Sono soggetti destinatari delle disposizioni del presente decreto le persone fisiche che ricevano retribuzioni o emolumenti a carico delle pubbliche finanze in ragione di un rapporto di lavoro subordinato o autonomo, con le pubbliche amministrazioni statali, di cui all'articolo 1,comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, ivi incluse le Autorità amministrative indipendenti, nonché quelli in regime di diritto pubblico di cui all'articolo 3 del medesimo decreto legislativo, e successive modificazioni.
Art. 3
(Limite massimo retributivo)
l. Il trattamento economico annuo omnicomprensivo, incluse le indennità e le voci accessorie, dei soggetti di cui all'articolo 2 non può superare il trattamento economico annuale complessivo spettante per la carica al Primo Presidente della Corte di cassazione, pari nell'anno 2011 ad euro 304.951,95. Se superiore, si riduce al predetto limite. Il Ministro della giustizia comunica annualmente al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione e al Ministro dell'economia e delle finanze eventuali aggiornamenti relativi all'ammontare del predetto trattamento.
2. Ai fini dell'applicazione della disciplina di cui al comma l, sono computate in modo cumulativo le somme comunque erogate all'interessato a carico del medesimo o di più organismi, anche nel caso di pluralità di incarichi conferiti da uno stesso organismo nel corso dell'anno. A tal fine, i soggetti destinatari di cui all'articolo 2 sono tenuti a produrre all'amministrazione di appartenenza, entro 30 giorni dalla pubblicazione del presente decreto, una dichiarazione ricognitiva di tutti gli incarichi comunque in atto a carico della finanza pubblica con l'indicazione dei relativi importi. A regime, tale dichiarazione è resa entro il 30 novembre di ciascun anno.
3. Il trattamento economico annuo omnicomprensivo, incluse le indennità e le voci accessorie, spettante al personale che riveste la carica di Presidente o di componente delle autorità amministrative indipendenti non può superare l'ammontare di cui al comma 1. Se superiore, siriduce al limite di cui al comma 1.
Art. 4
(Limite alla retribuzione o indennità riconosciuta ai pubblici dipendenti in servizio, anche in posizione di fuori ruolo o di aspettativa, presso Ministeri o enti pubblici nazionali)
1. Il personale di cui all'articolo 2 che esercita funzioni direttive, dirigenziali o equiparate, anche in posizione di fuori ruolo o di aspettativa, presso Ministeri o enti pubblici nazionali, comprese le autorità amministrative indipendenti, ove conservi il trattamento economico riconosciuto dall'amministrazione di appartenenza, non può ricevere a titolo di retribuzione o di indennità, o anche soltanto a titolo di rimborso delle spese, per l'incarico ricoperto, più del 25 per cento dell'ammontare complessivo del trattamento economico percepito a carico dell'amministrazione di appartenenza. Resta fermo il limite massimo retributivo di cui al precedente articolo 3.
Art. 5
(Personale nei confronti del quale non trova applicazione il limite massimo retributivo)
1. Per il personale con qualifica dirigenziale cui non si applica la disposizione di cui all'art.3, a causa del mancato raggiungimento del limite massimo retributivo ivi previsto, le pubbliche amministrazioni valutano se provvedere o meno, in occasione del rinnovo del contratto individuale di lavoro, alla ridefinizione del relativo trattamento economico.
Art. 6
(Determinazione delle modalità per l'assegnazione delle risorse al Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato)
1. Il Ministero dell'economia e delle finanze - Ragioneria generale dello Stato indica con proprio provvedimento le modalità attraverso le quali le risorse rivenienti dall'applicazione dei limiti retributivi previsti dal presente decreto sono annualmente versate al Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato, ai sensi del1 'articolo 23-ter, comma 4, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201.
Il presente decreto è inviato ai competenti organi di controllo e sarà pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana.
Roma,
Il Presidente del Consiglio dei Ministri
Relazione illustrativa allo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri recante disposizioni attuative dell'articolo 21-ter del decreto·legge 6 dicembre 2011 n. 201, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, in materia di limite massimo retributivo dei dipendenti pubblici.
L'art. 23-ter, comma l, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, recante "Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici" (c.d. decreto salva-Italia) prevede che con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti, sia definito il trattamento economico annuo onnicomprensivo di chiunque riceva .emolumenti o retribuzioni a carico delle finanze pubbliche in virtù di un rapporto di lavoro, subordinato o autonomo, con una pubblica amministrazione statale, ivi incluso il personale non contrattualizzato, stabilendo come parametro massimo di riferimento il trattamento economico del primo presidente della Corte di cassazione. La norma precisa che, a tali fini, vanno computati in modo cumulativo le somme comunque erogate all'interessato a carico del medesimo o di più organismi, anche nel caso di pluralità di incarichi conferiti da uno stesso organismo nel corso dell'anno.
Il comma 2 del citato art. 23-ter prevede che il personale predetto ove sia chiamato, conservando il trattamento economico riconosciuto dall'amministrazione di appartenenza all'esercizio di funzioni direttive, dirigenziali o equiparate, anche in posizione di fuori ruolo o di aspettativa, presso Ministeri o enti pubblici nazionali, comprese le autorità amministrative indipendenti, non può ricevere, a titolo di retribuzione o di indennità per l'incarico ricoperto, o anche solo a titolo di rimborso spese, più del 25% dell’ammontare complessivo del trattamento economico percepito.
Ai sensi del successivo comma 3, con il Dpcm surrichiamato possono essere previste deroghe motivate solo per le posizioni apicali delle rispettive amministrazioni.
Il comma 4 stabilisce, infine, che le risorse rivenienti dall'applicazione delle misure previste dalla norma sono annualmente versate al Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato.
Lo schema di Dpcm elaborato in attuazione dell'art.23-ter del decreto-legge n. 201/2011 si compone di sei articoli.
All'articolo l viene individuato l'oggetto del provvedimento, chiarendosi che esso fissa il livello remunerativo massimo omnicomprensivo annuo degli emolumenti spettanti a ciascuna fascia o categoria di personale che riceva a carico delle finanze pubbliche emolumenti o retribuzioni nell'ambito di rapporti di lavoro dipendente o autonomo con pubbliche amministrazioni statali, di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, ivi incluse le Autorità amministrative indipendenti, nonché quelli in regime di diritto pubblico di. cui all'articolo 3 del medesimo decreto legislativo, e successive modificazioni, fermo restando che la definizione, al di sotto del limite massimo, dei rispettivi trattamenti economici resta di competenza del contratto collettivo nazionale e della contrattazione interna a ciascuna amministrazione e, per i dirigenti pubblici, della contrattazione individuale.
All'articolo 2 vengono individuati i soggetti destinatari del provvedimento, identificando gli stessi nelle persone fisiche che ricevono·retribuzioni o emolumenti a carico delle pubbliche finanze in ragione di un rapporto di lavoro subordinato o autonomo, con le pubbliche amministrazioni statali, di cui all'articolo l, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, ivi incluse le Autorità amministrative indipendenti. nonché quelli in regime di diritto pubblico di cui all'articolo 3 del medesimo decreto legislativo, e successive modificazioni.
All'articolo 3 viene fissato il limite massimo retributivo (c.d. "tetto"), stabilendosi che esso, incluse le indennità e le voci accessorie, non può superare il trattamento economico annuale complessivo spettante per la carica al Primo Presidente della Corte di cassazione, pari nell'anno 2011 ad euro 304.951,95. Si prevede, inoltre, che se il trattamento è superiore, si riduce al predetto limite e che il Ministro della giustizia comunichi annualmente al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione e al Ministro dell'economia e delle finanze eventuali aggiornamenti all'ammontare del predetto trattamento.
Poiché, ai fini dell'applicazione del limite massimo retributivo sono computate in modo cumulativo le somme comunque erogate all'interessato a carico del medesimo o di più organismi. anche nel caso di pluralità di incarichi conferiti da uno stesso organismo nel corso dell'anno, la norma impone ai soggetti destinatari l'obbligo di produrre all'amministrazione di appartenenza. entro 30 giorni dalla pubblicazione del presente decreto, una dichiarazione ricognitiva di tutti gli incarichi comunque in atto a carico della finanza pubblica con l'indicazione dei relativi importi. A regime, tale dichiarazione è resa entro il 30 novembre di ciascun anno.
La norma stabilisce infine. espressamente, che il surrichiamato limite massimo retributivo si applica anche al personale che riveste la carica di Presidente o di componente delle autorità amministrative indipendenti. prevedendo anche per questo personale la riduzione automatica al limite massimo ove il trattamento sia superiore.
All'articolo 4, in specifica attuazione dell'art.23-ter, comma 2, del decreto-legge n. 201/2011, si stabilisce, con riguardo ai pubblici dipendenti che esercitano funzioni direttive, dirigenziali o equiparate, anche in posizione di fuori ruolo o di aspettativa, presso Ministeri o enti pubblici nazionali, comprese le autorità amministrative indipendenti che essi, ove conservino il trattamento economico riconosciuto dall'amministrazione di appartenenza, non possono ricevere a titolo di retribuzione o di indennità, o anche soltanto per il rimborso delle spese, per l'incarico ricoperto, più del 25 per cento dell'ammontare complessivo del trattamento economico percepito a carico dell’amministrazione di appartenenza, fermo restando il limite massimo previsto dal precedente articolo 3.
L'articolo 5 si riferisce al personale con qualifica dirigenziale nei confronti del quale il limite massimo retributivo non trova applicazione a causa del mancato raggiungimento dello stesso. Con riguardo a tale personale si prevede che le pubbliche amministrazioni valutano se provvedere o meno, in occasione del rinnovo del contratto individuale di lavoro, alla ridefinizione del relativo trattamento economico.
Con l'articolo 6, l'ultima disposizione del provvedimento, sì attua il comma 4 dell'art.23-ter del decreto-legge n. 201/201l, prevedendosi che il Ministero dell'economia e delle finanze-Ragioneria generale dello Stato indichi con proprio provvedimento le modalità attraverso le quali le risorse rivenienti dall'applicazione dei limiti retributivi previsti dal decreto sono annualmente versate al Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato.
Deve essere segnalato, infine, che, allo stato, non è stata esercitata la facoltà, pur concessa dal comma 3 dell'art. 23-ter deldecreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, di derogare al tetto retributivo in favore del personale delle pubbliche amministrazioni posto in posizione apicale, e ciò in conformità all'esigenza, determinata dall'attuale congiuntura economica e finanziaria, di applicare con rigore le misure finalizzate al contenimento della spesa pubblica.
COMMISSIONI RIUNITE
I (Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni)
e XI (Lavoro)
ATTI DEL GOVERNO
Martedì 14 febbraio 2012. - Presidenza del presidente della XI Commissione Silvano MOFFA. - Interviene il ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione Filippo Patroni Griffi.
La seduta comincia alle 14.10.
Schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri concernente la definizione del limite massimo riferito al trattamento economico annuo onnicomprensivo per i pubblici dipendenti indicati nell'articolo 23-ter del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214.
Atto n. 439.
(Esame e rinvio).
Donato BRUNO, relatore per la I Commissione, premesso che, secondo quanto convenuto con il presidente Moffa, relatore per la XI Commissione, la sua relazione riguarderà la ricostruzione del quadro normativo in cui si inserisce lo schema di decreto in esame e gli articoli 1 e 2 dello stesso, ricorda che lo schema in esame è stato adottato in attuazione dell'articolo 23-ter del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, che è espressamente richiamato all'articolo 1. Peraltro la disciplina in materia di limiti alla retribuzione del personale delle pubbliche amministrazioni non si esaurisce nel solo articolo 23-ter citato, in quanto, dal 2007 in poi, su questa materia si sono succeduti, stratificandosi, diversi interventi normativi, ciascuno dei quali si è innestato sul precedente per lo più senza abrogarlo espressamente, il che ha reso molto complesso il quadro normativo di riferimento e impone una ricostruzione preliminare delle diverse discipline succedutesi nel tempo, che sono richiamate nelle premesse dello schema di decreto in esame.
Per prima la legge n. 296 del 2006, all'articolo 1, comma 593, aveva stabilito che la retribuzione dei dirigenti delle pubbliche amministrazioni non potesse superare quella del Primo presidente della Corte di Cassazione. Le disposizioni in questione sono state - e questo è l'unico caso - abrogate espressamente dalla legge n. 244 del 2007, che, con le modificazioni successivamente intervenute, ha dettato una nuova disciplina della materia (articolo 3, commi 44-52-bis).
In particolare, la legge n. 244 ha escluso dal computo delle somme cui si applica il tetto la retribuzione percepita dal dipendente pubblico presso l'amministrazione di appartenenza e il trattamento di pensione. La legge in questione ha inoltre escluso dall'ambito di applicazione della disciplina sia regioni ed enti locali coi loro consorzi e associazioni, sia la Banca d'Italia e le altre autorità indipendenti.
La legge n. 244 ha inoltre previsto determinate deroghe ed eccezioni al principio della limitazione delle retribuzioni entro il tetto massimo indicato. Ha inoltre previsto che la nuova disciplina si applichi per il futuro, senza effetto sui trattamenti retributivi del personale già in essere.
Successivamente sulla materia è intervenuto il decreto-legge n. 97 del 2008, che, all'articolo 4-quater, comma 52-bis, ha rimesso la disciplina a un regolamento di delegificazione, fissando i principi cui questo deve attenersi. Tra l'altro, la norma in questione, oltre a prevedere o consentire deroghe al principio generale, dispone l'esclusione della retribuzione percepita e del trattamento di pensione dal computo delle somme cui si applica il limite.
Il regolamento di delegificazione è stato adottato con il decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n. 195, il quale prevede espressamente che la nuova disciplina si applichi solo ai contratti stipulati o rinnovati e agli incarichi conferiti dopo la sua entrata in vigore. In questo la disciplina in questione appare conforme al consolidato principio del divieto di reformatio in peius, elaborato dalla giurisprudenza e riconosciuto dalla stessa Corte costituzionale.
Sulla materia è poi nuovamente intervenuto l'articolo 1, comma 1, del decreto-legge n. 98 del 2011, il quale ha previsto che il trattamento economico dei soggetti individuati come destinatari dell'intervento non possa superare la media ponderata rispetto al PIL dei trattamenti dei titolari di cariche e incarichi omologhi negli altri sei principali Stati dell'Area dell'euro, la cui ricognizione è stata affidata a un'apposita Commissione. I lavori della Commissione sono tuttora in corso, ma essa ha reso noti i risultati dell'istruttoria svolta al 31 dicembre 2011 sottolineando tra l'altro la complessità del quadro normativo di riferimento «il cui enunciato - così scrive la Commissione nella sua relazione - presenta aspetti di ambiguità e talvolta di contraddittorietà».
Venendo ora al contenuto dello schema di decreto in esame, lo schema richiama nelle premesse le diverse fonti normative sulla materia, già ricordate, le quali, come detto, sono tutte ancora in vigore, ferme naturalmente le abrogazioni intervenute tacitamente secondo il principio ordinario della successione delle fonti nel tempo.
L'articolo 1 - come anticipato - individua nella retribuzione del Primo presidente della Corte di Cassazione il livello remunerativo massimo onnicomprensivo annuo degli emolumenti spettanti a coloro che hanno un rapporto di lavoro dipendente o autonomo con pubbliche amministrazioni statali.
Va peraltro detto che l'articolo 23-ter, comma 3, del decreto-legge n. 201 del 2011 indica nel trattamento economico del primo presidente della Corte di Cassazione il «parametro massimo di riferimento», e non il «livello remunerativo massimo». La stessa disposizione ha inoltre previsto la possibilità di stabilire deroghe motivate per le posizioni apicali delle diverse amministrazioni e di fissare un limite massimo per i rimborsi delle spese: queste facoltà non sono state esercitate in occasione della predisposizione dello schema di decreto in esame.
Occorre poi notare che, mentre l'articolo 1 dello schema, nel definire l'oggetto del provvedimento, parla di «livello remunerativo massimo onnicomprensivo annuo», l'articolo 3, con maggiore conformità letterale alla norma base di cui all'articolo 23-ter più volte richiamato, parla invece di «trattamento economico annuo onnicomprensivo». Questa duplicità di formulazione si ritrova anche nelle diverse normative vigenti sulla materia: infatti il secondo concetto è riconducibile alla legge n. 244 del 2007, mentre il primo figura nel decreto-legge n. 98 del 2011. Tuttavia nelle due fonti richiamate le due categorie sono soggette a discipline differenti.
Inoltre, va detto che l'articolo 1 dello schema fa riferimento a «ciascuna fascia o categoria di personale che riceva a carico delle finanze pubbliche emolumenti o retribuzioni nell'ambito di rapporti di lavoro dipendente o autonomo con pubbliche amministrazioni statali». Tuttavia, per quanto riguarda i rapporti di lavoro autonomo, il riferimento a fasce o categorie di personale appare poco chiaro.
Per quanto riguarda invece i rapporti di lavoro dipendente, il provvedimento individua come platea dei destinatari dell'intervento il personale delle «pubbliche amministrazioni statali, di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, ivi incluse le Autorità amministrative indipendenti, nonché quelli in regime di diritto pubblico di cui all'articolo 3 del medesimo decreto legislativo, e successive modificazioni».
A questo proposito va detto che l'articolo 23-ter del decreto-legge n. 201 del 2011 non fa riferimento alle autorità amministrative indipendenti, limitandosi a richiamare l'articolo 3 del decreto legislativo n. 165 del 2001, che riguarda i dipendenti degli enti che svolgono attività nelle materie contemplate dall'articolo 1 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 17 luglio 1947, n. 691, e dalle leggi 4 giugno 1985, n. 281, e successive modificazioni ed integrazioni, e 10 ottobre 1990, n. 287». Tali materie sono, rispettivamente, l'esercizio della funzione creditizia e la materia valutaria; l'ordinamento della Commissione nazionale per le società e la borsa, l'identificazione dei soci delle società con azioni quotate in borsa e delle società per azioni esercenti il credito, l'attuazione delle direttive CEE in materia di mercato dei valori mobiliari e la tutela del risparmio; e la tutela della concorrenza e del mercato.
Pertanto, l'allargamento della platea dei destinatari a tutte le autorità amministrative indipendenti appare non fondato sulle previsioni della norma di base.
L'articolo 1 dello schema mantiene poi ferma la competenza del contratto collettivo nazionale, della contrattazione interna a ciascuna amministrazione e, per i dirigenti pubblici, della contrattazione individuale, ma solo per la definizione dei rispettivi trattamenti economici «al di sotto del suindicato limite», ossia al di sotto del limite massimo stabilito dal provvedimento in esame.
Al riguardo è bene anche ricordare che ai sensi del decreto legislativo n. 165 del 2001, e successive modificazioni, recante le norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, i rapporti individuali di lavoro nel pubblico impiego sono regolati contrattualmente e l'attribuzione di trattamenti economici può avvenire esclusivamente mediante contratti collettivi. Si tratta di un principio che trova riconoscimento anche in pronunce della Corte costituzionale.
Venendo poi all'articolo 2, questo indica come soggetti destinatari delle disposizioni del decreto «le persone fisiche che ricevano retribuzioni o emolumenti a carico delle pubbliche finanze in ragione di un rapporto di lavoro subordinato o autonomo con le pubbliche amministrazioni statali, di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, ivi incluse le Autorità amministrative indipendenti, nonché quelli in regime di diritto pubblico di cui all'articolo 3 del medesimo decreto legislativo, e successive modificazioni».
A parte quanto già detto in ordine all'inclusione di tutte le Autorità indipendenti nella platea dei destinatari della norma, che determina un allargamento di questa platea non fondato sulle previsioni della norma di base, va rilevato che l'individuazione della platea dei destinatari dell'intervento appare particolarmente complessa.
In particolare, l'individuazione delle pubbliche amministrazioni destinatarie dell'intervento risulta incerta anche quando si faccia riferimento al solo articolo 23-ter del decreto-legge n. 201 del 2011. Questo prevede infatti che la disciplina si applichi alle pubbliche amministrazioni «statali» di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001, ossia a una parte delle pubbliche amministrazioni indicate in questo articolo, il quale riconduce espressamente alla categoria delle pubbliche amministrazioni «statali» solo alcune pubbliche amministrazioni, escludendone altre: in particolare, oltre alle regioni e agli enti locali e ai loro consorzi e associazioni, l'articolo esclude dal novero delle pubbliche amministrazioni statali anche le istituzioni universitarie, gli istituti autonomi case popolari, le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e le loro associazioni, gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, aziende e enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, compreso il CONI.
In conclusione, ritiene, d'intesa con il Presidente Moffa, che i diversi profili problematici evidenziati debbano essere approfonditi anche attraverso il contributo del Governo, al fine di consentire alle Commissioni riunite di individuare soluzioni adeguate da indicare al Governo nel parere che esse discuteranno e approveranno sullo schema in esame.
Silvano MOFFA, presidente e relatore per la XI Commissione, fa presente che, secondo quanto convenuto con il relatore per la I Commissione, si soffermerà sugli articoli da 3 a 6 dello schema di decreto, svolgendo anche taluni richiami ad aspetti legati alla giurisprudenza consolidatasi sulla materia e ai profili del testo che ritiene siano da valutare nel corso del dibattito.
Partendo, quindi, dall'articolo 3, osserva che il comma 1 di tale articolo rappresenta il «centro nevralgico» dello schema di decreto, in quanto dispone che il trattamento economico annuo omnicomprensivo, incluse le indennità e le voci accessorie, dei soggetti di cui all'articolo 2 - in precedenza richiamati dal relatore per la I Commissione - non possa superare il trattamento economico annuale complessivo spettante per la carica al Primo Presidente della Corte di Cassazione, pari nell'anno 2011 ad euro 304.951,95; la norma prevede che, se superiore, il trattamento si riduce al predetto limite. Al contempo, è previsto che il Ministro della giustizia comunichi annualmente al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione e al Ministro dell'economia e delle finanze eventuali aggiornamenti relativi all'ammontare del predetto trattamento. Al riguardo, senza addentrarsi nel dettaglio delle diverse questioni poste da tali disposizioni, si limita a segnalare solo alcuni degli elementi da verificare nel corso dell'iter, anche al fine di rendere il testo il più possibile coerente con le finalità che esso si prefigge, oltre che con la normativa vigente.
In primo luogo, osserva che il comma 1 andrebbe valutato alla stregua delle previsioni di cui all'articolo 23-ter del decreto-legge n. 201 del 2011, che individua il trattamento del Primo Presidente della Corte di Cassazione come «parametro» massimo di riferimento al quale rapportare i trattamenti economici, mentre la disposizione in esame sembra avere scelto di fissare - piuttosto che un indice di riferimento - un vero e proprio «tetto uniforme» per tutti i suddetti trattamenti. Al contempo, fa notare che la previsione per la quale i trattamenti andrebbero «ridotti» alla somma indicata sembrerebbe voler incidere in via immediata sui trattamenti in essere, sebbene il citato articolo 23-ter - ossia la norma di legge che autorizza l'emanazione del decreto in esame - non contenga alcuna previsione circa la fissazione del parametro ai trattamenti in corso; peraltro, il comma 4 dello stesso articolo 23-ter, nel riferirsi alle risorse annualmente rivenienti dalla fissazione del parametro, sembrerebbe presupporne l'applicazione ai nuovi trattamenti, man mano che cessano quelli precedenti.
Segnala, poi, l'esigenza di analizzare la giurisprudenza della Corte costituzionale in materia di «divieto di reformatio in peius» dei trattamenti dei lavoratori, che - nel ritenere che «il divieto di una siffatta reformatio è ormai talmente consolidato che non occorre neppure menzionarlo nelle disposizioni di legge che hanno ad oggetto il trattamento medesimo» - ha sempre precisato, in successive pronunce, che la possibilità di ridurre unilateralmente la retribuzione non corrisponde ad un discrezionale ius variandi, ma è collegata a una oggettiva modificazione della prestazione lavorativa o ad una nuova (non arbitraria) valutazione della qualità di essa o a scelte lavorative operate dallo stesso lavoratore (nella fattispecie, la libera attività professionale) o, ancora, al carattere del tutto temporaneo dei sacrifici richiesti. Evidenzia, infine, una questione legata al «legittimo affidamento» dei soggetti interessati dal provvedimento, principio che la stessa Corte costituzionale tutela in caso di retroattività di nuove discipline che incidano in materia di diritti. Per tutti gli aspetti indicati, invita le Commissioni riunite ad approfondire la documentazione degli uffici, che reca utili elementi di analisi in materia.
Passando, poi, al comma 2 dell'articolo 3 dello schema di decreto, rileva che esso prevede che, ai fini dell'applicazione della disciplina illustrata, sono computate in modo cumulativo le somme comunque erogate all'interessato a carico del medesimo o di più organismi, anche nel caso di pluralità di incarichi conferiti da uno stesso organismo nel corso dell'anno; a tal fine, i soggetti destinatari di cui all'articolo 2 sono tenuti a produrre all'amministrazione di appartenenza, entro 30 giorni dalla pubblicazione del decreto, una dichiarazione ricognitiva di tutti gli incarichi comunque in atto a carico della finanza pubblica con l'indicazione dei relativi importi: a regime, tale dichiarazione è resa entro il 30 novembre di ciascun anno. Osserva, altresì, che il comma 3 dispone che il trattamento economico annuo omnicomprensivo, incluse le indennità e le voci accessorie, spettante al personale che riveste la carica di Presidente o di componente delle autorità amministrative indipendenti non possa superare l'ammontare di cui al comma 1; se superiore, esso si riduce al limite di cui al comma 1. In merito a tale ultima disposizione, fa notare che - poiché l'articolo 23-ter del decreto-legge n. 201 del 2011 riguarda i rapporti di lavoro dipendente o autonomo con pubbliche amministrazioni - il riferimento ai soggetti che rivestono la carica di Presidente o di componente delle autorità amministrative indipendenti appare ultra vires, in quanto non fondato sulle previsioni della norma di base; inoltre, tali soggetti sono indicati nello schema in esame come «personale», denominazione che appare impropria se riferita a soggetti nominati o eletti. Segnala, peraltro, che - qualora con il riferimento al «personale» contenuto in tale comma si intenda aver riguardo solo a coloro che, avendo un rapporto di lavoro con pubbliche amministrazioni statali, sono chiamati a rivestire le cariche in questione - si avrebbe un diverso trattamento per costoro rispetto a soggetti chiamati alle medesime cariche in assenza di rapporto di lavoro con le suddette amministrazioni.
Sottolinea che l'articolo 4 riproduce sostanzialmente la disposizione contenuta nel comma 2 dell'articolo 23-ter, stabilendo che il personale di cui all'articolo 2 dello schema di decreto, che esercita funzioni direttive, dirigenziali o equiparate, anche in posizione di fuori ruolo o di aspettativa, presso Ministeri o enti pubblici nazionali, comprese le autorità amministrative indipendenti, ove conservi il trattamento economico riconosciuto dall'amministrazione di appartenenza, non può ricevere a titolo di retribuzione o di indennità, o anche soltanto a titolo di rimborso delle spese, per l'incarico ricoperto, più del 25 per cento dell'ammontare complessivo del trattamento economico percepito a carico dell'amministrazione di appartenenza, fermo restando il limite massimo retributivo sopra stabilito. Con riferimento a tale articolo, peraltro, giudica evidente che il richiamo alle autorità indipendenti non possa che essere riferito al solo personale in esse operante e non anche ai componenti o presidenti delle autorità medesime.
Fa presente che l'articolo 5 prevede, per il personale con qualifica dirigenziale il cui trattamento economico non raggiunga il limite massimo sopra indicato, che le pubbliche amministrazioni valutano se provvedere o meno, in occasione del rinnovo del contratto individuale di lavoro, alla ridefinizione del relativo trattamento economico. In proposito, giudica necessario segnalare alle Commissioni riunite che anche tale previsione - al pari di alcune altre indicate in precedenza - appare ultra vires, in quanto non fondata sulle previsioni della norma di base, non prevedendo l'articolo 23-ter del decreto-legge n. 201 alcuna disposizione in materia. Peraltro, ritiene di non poter non rilevare - nella veste di presidente della Commissione competente in materia, che si è più volte soffermata su questo argomento nel corso della legislatura, in particolare con un'indagine conoscitiva che ha affrontato la riforma delle relazioni sindacali - che l'articolo 5 sembrerebbe incidere sulla sfera riservata alla contrattazione, ponendo anche una significativa questione - sulla quale invita le Commissioni riunite a riflettere con attenzione - rispetto ai limiti che la legge incontra nei confronti del contratto (sia esso individuale o, a maggior ragione, collettivo); limiti che appaiono ancor più evidenti, se solo si pensa che lo schema di decreto in esame è un atto di normazione secondaria e non una legge.
Infine, segnala che l'articolo 6 stabilisce le modalità per l'assegnazione delle risorse rivenienti dall'applicazione dei limiti retributivi sopra illustrati al Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato; in particolare, si prevede che la Ragioneria generale dello Stato indichi, con proprio provvedimento, le modalità attraverso le quali tali risorse sono annualmente versate al suddetto Fondo.
In conclusione, assicura che i due presidenti si riservano di acquisire ogni utile elemento che dovesse emergere dal dibattito e, conseguentemente, di procedere - in pieno accordo tra loro - alla definizione di una proposta di parere da sottoporre alla deliberazione delle Commissioni riunite al termine dell'esame del provvedimento. Fa presente, inoltre, che - sotto il profilo dell'organizzazione dei lavori - la corrente settimana sarà dedicata al dibattito sul provvedimento e che i presidenti sarebbero intenzionati - se le Commissioni riunite concordano - a richiedere al Presidente della Camera, ai sensi dell'articolo 143, comma 4, del Regolamento, l'ordinaria proroga di dieci giorni del termine per l'espressione del parere (che, allo stato, verrebbe in scadenza il prossimo lunedì 20 febbraio), in modo da consentire di lavorare nella prossima settimana alla stesura della proposta di parere, in vista della sua votazione.
Le Commissioni concordano.
Il ministro Filippo PATRONI GRIFFI si riserva di formulare proprie considerazioni sulla base degli interventi che saranno svolti nel corso del dibattito.
Gianclaudio BRESSA (PD), intervenendo sull'ordine dei lavori, esprime l'avviso che, considerata la delicatezza delle questioni sollevate dai presidenti, sarebbe opportuno che il Governo intervenisse fin d'ora per illustrare il ragionamento che ha portato alla formulazione dello schema di decreto in esame.
Linda LANZILLOTTA (Misto-ApI), intervenendo sull'ordine dei lavori, concorda sul fatto che sarebbe importante che il Governo intervenisse in questa fase per chiarire i criteri e la filosofia che stanno alla base dello schema di decreto in esame.
Il ministro Filippo PATRONI GRIFFI chiarisce di essersi riservato di intervenire solo al termine del dibattito in quanto su questo provvedimento - che attua una norma introdotta nell'ordinamento con un emendamento di iniziativa parlamentare - il Governo ritiene della massima importanza acquisire le valutazioni del Parlamento.
Quanto al ragionamento che ha portato alla formulazione dello schema di decreto in esame, chiarisce che il Governo ha in primo luogo scartato una interpretazione troppo letterale dell'articolo 23-ter del decreto-legge n. 201 del 2011, assumendo quindi che, parlando di «parametro massimo di riferimento», la norma intenda indicare nel trattamento del primo presidente della Cassazione il livello massimo di trattamento economico. Diversamente interpretando, infatti, il Governo avrebbe dovuto procedere alla riparametrazione di tutti i trattamenti economici, il che, oltre ad essere impossibile dal punto di vista della fattibilità pratica, sarebbe stato eversivo del sistema delle fonti, atteso che questa materia è riservata alla legge e, nei limiti di legge, alla contrattazione collettiva.
Sottolinea che il Governo ha pertanto considerato l'articolo 23-ter come norma di legge imperativa e quindi prevalente sulla contrattazione, ma naturalmente soltanto nella misura e nei casi in cui questa preveda trattamenti economici superiori a quello indicato dalla norma stessa, ferma quindi restando la competenza della contrattazione per la definizione dei trattamenti economici inferiori a quello del primo presidente della Cassazione. In quest'ottica è stata concepita anche la disposizione dell'articolo 5 dello schema, che, nelle intenzioni del Governo, non prescrive né incoraggia la revisione delle retribuzioni al di sotto del minimo, ma semplicemente chiarisce che la loro determinazione resta interamente devoluta alla contrattazione, che potrà rivederle alla naturale scadenza contrattuale.
Prende atto, come di un rilievo meritevole di attenzione, della circostanza evidenziata dai presidenti che soltanto alcune autorità amministrative indipendenti sono comprese dall'articolo 23-ter tra le amministrazioni destinatarie della norma, mentre lo schema di decreto in esame le comprende tutte. Si riserva di svolgere su questo punto un adeguato approfondimento.
Quanto infine alla facoltà offerta dall'articolo 23-ter di prevedere deroghe motivate per le posizioni apicali delle amministrazioni, spiega che il Governo non se ne è avvalso in considerazione del fatto che la norma, a differenza di altre precedenti, non prevede limiti quantitativi per queste deroghe né fornisce criteri per la loro individuazione. Il Governo ha preferito pertanto attendere su questo punto le eventuali indicazioni delle Commissioni parlamentari in sede di espressione del parere.
David FAVIA (IdV) chiede al Governo di chiarire quale sia l'ambito di applicazione del decreto sotto il profilo temporale, con particolare riferimento ai contratti individuali, e quali i risparmi che si attendono dalla misura. Chiede altresì un approfondimento sul tema del limite massimo per i rimborsi di spese.
Pierluigi MANTINI (UdCpTP) rileva come le relazioni introduttive dei presidenti abbiano chiaramente evidenziato la problematicità delle questioni poste dallo schema in esame e ricorda che altre questioni sono sollevate dalla documentazione predisposta per l'istruttoria della discussione dagli uffici.
Sottolinea che si tratta di questioni della massima rilevanza, a cominciare dalla lesione del fondamentale principio del divieto di reformatio in peius, scolpito dalla giurisprudenza nei decenni e riconosciuto dalla Corte costituzionale. Fa presente, tra l'altro, che ridurre retribuzioni molto elevate può forse non essere grave, ma minare il principio del divieto di reformatio in peius lo è certamente dal momento che crea i presupposti affinché in futuro si possano ridurre unilateralmente retribuzioni anche modeste; e che in uno Stato di diritto le norme non dispongono che per l'avvenire e non possono quindi avere efficacia retroattiva incidendo su aspettative legittimamente formate sulla base della legge vigente.
Osserva che, se, in questa fase di dura crisi economica, che provoca tanta difficoltà al paese, si ritiene di chiedere ai dirigenti della pubblica amministrazione le cui retribuzioni sono più alte un sacrificio particolare, esistono molti modi per farlo, per esempio attraverso prelievi speciali a titolo di contribuzione, come si è già fatto in passato, o con lo strumento fiscale.
Evidenzia, ancora, la incongruità della platea dei destinatari individuata dalla norma di legge, che discrimina, in base a criteri nient'affatto chiari, tra le pubbliche amministrazioni, assoggettandone alcune alla disciplina ed esentandone altre.
A suo avviso, su una materia così delicata, non è possibile intervenire sulla base di una norma inadeguata come l'articolo 23-ter del decreto-legge n. 201 del 2011. È meglio allora pensare a una modifica della norma di legge, così da affrontare direttamente sul piano legislativo, e non su quello attuativo, tutti i problemi posti da questa delicata materia. In questa sede si potrebbe anche valutare la possibilità di prevedere alcune deroghe ragionate al principio della fissazione di un limite di legge alle retribuzioni pubbliche, analogamente a quanto previsto da norme precedenti all'articolo 23-ter.
Linda LANZILLOTTA (Misto-ApI) rileva che, all'articolo 3, comma 2, dello schema in esame, dove si prevede l'obbligo per i soggetti destinatari del provvedimento di dare conto all'amministrazione di tutti gli incarichi rivestiti a fronte dei quali percepiscano retribuzioni a carico della finanza pubblica e i relativi importi, sarebbe forse utile richiamare espressamente le sanzioni previste dall'ordinamento per il falso in atto pubblico.
Chiede poi al Governo di valutare la possibile estensione dell'ambito di applicazione del provvedimento a tutto il sistema pubblico senza eccezioni, e quindi anche alle pubbliche amministrazioni non statali, comprese quelle regionali e locali: a suo avviso, infatti, la fissazione di un limite massimo per le retribuzioni pubbliche è un intervento che riguarda il coordinamento della finanza pubblica e il recepimento degli impegni assunti in sede europea, ossia ambiti di azione che la Costituzione riserva alla competenza dello Stato.
Mario TASSONE (UdCpTP) ritiene essenziale un chiarimento, da parte del Governo, in merito al concetto di onnicomprensività, in quanto la retribuzione è composta di numerose voci, su ciascuna delle quali sarebbe forse opportuna una specifica riflessione. Chiede inoltre per quale ragione il provvedimento non intervenga anche sui consulenti delle pubbliche amministrazioni, che non di rado svolgono ruoli di fatto sovraordinati a quelli dei massimi dirigenti.
Silvano MOFFA, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.
La seduta termina alle 14.55.
COMMISSIONI RIUNITE
I (Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni)
e XI (Lavoro)
ATTI DEL GOVERNO
Giovedì 16 febbraio 2012. - Presidenza del presidente della I Commissione Donato BRUNO. - Interviene il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione Filippo Patroni Griffi.
La seduta comincia alle 15.20.
Schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri concernente la definizione del limite massimo riferito al trattamento economico annuo onnicomprensivo per i pubblici dipendenti indicati nell'articolo 23-ter del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214.
Atto n. 439.
(Seguito dell'esame e rinvio).
La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato nella seduta del 14 febbraio 2012.
Donato BRUNO, presidente e relatore per la I Commissione, prima di procedere con il dibattito, avverte che - a seguito della richiesta formulata in conformità con quanto convenuto nella seduta del 14 febbraio scorso - il Presidente della Camera ha disposto, ai sensi dell'articolo 143, comma 4, del Regolamento, la proroga di dieci giorni del termine per l'espressione del prescritto parere parlamentare sullo schema di decreto in esame: il nuovo termine verrà, pertanto, in scadenza il prossimo giovedì 1o marzo.
Passando, quindi, a una ulteriore questione di carattere preliminare, fa presente che, d'intesa tra i presidenti delle due Commissioni, si è concordato - alla luce delle considerazioni svolte dal ministro Patroni Griffi nella seduta del 14 febbraio, con riferimento all'invito rivolto al Parlamento a esprimere le proprie valutazioni sul testo e a dettare eventuali indicazioni sui criteri applicativi - di chiedere al Governo, considerata anche la complessità delle questioni emerse nella seduta introduttiva, di dare conto alle Commissioni riunite, possibilmente entro il prossimo martedì 21 febbraio, di un elenco contenente la platea delle posizioni interessate dall'intervento in esame, con l'indicazione delle relative retribuzioni onnicomprensive, nonché di un elenco recante tutte quelle posizioni che - alla luce dell'interpretazione letterale della norma di riferimento - risulterebbero escluse dall'applicazione dello schema di decreto, pur superando il parametro massimo indicato all'articolo 3 del provvedimento medesimo.
Avverte infine che sullo schema di decreto in esame è pervenuta la valutazione favorevole con una osservazione della Commissione bilancio, espressa ai sensi dell'articolo 96-ter, comma 2, del regolamento.
Linda LANZILLOTTA (Misto-ApI) ritiene che la richiesta di informazioni avanzata dai presidenti sia opportuna, ma che sarebbe preferibile fare riferimento in essa, più che alle «retribuzioni» onnicomprensive, ai «livelli reddituali» onnicomprensivi: quello che interessa accertare, infatti, non è soltanto il trattamento economico in senso stretto, ma l'insieme dei compensi comunque denominati complessivamente percepiti.
Donato BRUNO, presidente e relatore per la I Commissione, precisa che con la dizione «retribuzione onnicomprensiva» si intende prendere in considerazione tutti gli emolumenti a qualsiasi titolo erogati a carico della finanza pubblica.
Il ministro Filippo PATRONI GRIFFI prende atto della richiesta formulata dai presidenti a nome delle Commissioni, riservandosi di verificare la materiale possibilità di comunicare i dati richiesti entro martedì prossimo e di trasmetterli entro tale termine o comunque nel più breve tempo possibile.
Giulio SANTAGATA (PD) si dichiara fortemente favorevole al provvedimento in questione, dal momento che esso interviene a frenare la crescente forbice retributiva in atto nella pubblica amministrazione, da lui indicata come la principale causa dell'aumento incontrollato della spesa corrente per i livelli stipendiali, nonché l'elemento scatenante di ulteriori effetti macroeconomici distorsivi del bilancio pubblico. Ricordato che su tale versante il precedente Governo ha adottato talune misure di blocco stipendiale che si sono rivelate inefficaci, attesa la loro inidoneità ad incidere sulle reali cause del fenomeno, condivide la ratio del provvedimento in esame, che prevede un tetto massimo per gli stipendi delle figure apicali della pubblica amministrazione, nella prospettiva di conseguire un più complessivo livellamento dei profili retributivi di tutta la pubblica amministrazione, giudicato necessario al fine di evitare pesanti conseguenze per la spesa pubblica.
Auspicato che le disposizioni dello schema di decreto - a differenza di quanto avvenuto in altre occasioni - ricevano una adeguata attuazione e dispieghino effetti concreti, invita, in ogni caso, a svolgere ulteriori approfondimenti di merito sul contenuto del provvedimento, proprio in vista di una sua più corretta applicazione, in relazione alla platea dei potenziali destinatari, che si augura, peraltro, possa essere definita nella maniera più completa possibile. Ritiene altresì necessario svolgere un'attenta riflessione sull'ambito di applicazione del provvedimento sul versante del rapporto tra legge e contrattazione, paventando i possibili rischi che potrebbero derivare nei confronti dell'autonomia delle parti (già gravemente compromessa da taluni provvedimenti assunti in materia di pubblico impiego dal precedente Governo), soprattutto a causa di una formulazione incerta. In proposito, ritiene opportuno fare chiarezza soprattutto sul contenuto dell'articolo 5, che appare, allo stato, suscettibile di difformi interpretazioni, potenzialmente capaci di dar luogo a futuri contenziosi. Auspica, in conclusione, una discussione seria e approfondita, che conduca all'elaborazione di una proposta di parere capace di indirizzare il Governo verso una corretta azione di contenimento delle spese.
Roberto ZACCARIA (PD) intende ricordare, in via preliminare, come gli articoli 23-bis e 23-ter siano stati introdotti nel corso dell'esame parlamentare del decreto-legge n. 201 del 2011. Attualmente è all'esame delle Commissioni riunite I e XI l'attuazione dell'articolo 23-ter, che si riferisce ai dipendenti pubblici, mentre all'articolo 23-bis, che attiene alle società partecipate dallo Stato, non è ancora stata data attuazione.
Rileva, quindi, per quanto attiene allo schema in esame, che si tratta di un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che, in quanto tale, non è sottoposto al parere preventivo del Consiglio di Stato. Occorre pertanto che la Commissioni tengano conto di tale aspetto e del fatto che un controllo giurisdizionale sarà successivo e non preventivo e che lo stesso avrà un particolare rilievo soprattutto nel momento in cui si incide su diritti soggettivi, come le retribuzioni.
Chiede quindi al ministro per quali ragioni - pur essendo previsti 60 giorni per l'attuazione dell'articolo 23-bis e 90 giorni per l'attuazione dell'articolo 23-ter - è stato presentato alle Camere il solo decreto riguardante l'articolo 23-ter mentre sarebbe stata invece quanto mai opportuna una visione di insieme dei due profili.
Per quanto attiene al suddetto articolo 23-ter, è anch'egli convinto, come il collega Santagata, della positività della ratio e della finalità della disposizione. D'altronde, è dal 2006 che vi è continuità, anche se alquanto disarmonica, nell'affrontare il tema in questione.
Sottolinea peraltro come, con riguardo allo schema in esame, vi siano una serie di questioni rilevanti che esigono un'attenta valutazione e richiedono i necessari chiarimenti. Si riferisce, ad esempio, alla platea dei destinatari ed all'applicazione o meno delle previsioni in esame a tutte le autorità amministrative indipendenti o solo ad alcune. Ricorda che una lettura del testo dell'articolo 23-ter correlata alle previsioni del decreto legislativo n. 165 del 2001 esclude sostanzialmente una serie di categorie rilevanti, quali le regioni, gli enti locali ed altri settori della pubblica amministrazione. Nel richiamare quanto evidenziato in proposito nelle relazioni illustrative svolte dai relatori, sottolinea come si tratti di asimmetrie evidenti che, peraltro, non è possibile correggere in questa sede.
Evidenzia inoltre come, oltre alla mancanza di una platea chiaramente determinata dei destinatari della norma, il parametro di riferimento è individuato nella retribuzione del primo Presidente della Corte di Cassazione. Ricorda come il suddetto articolo 23-ter non specifichi inoltre la decorrenza dell'applicazione delle relative previsioni, pur trattandosi di un punto alquanto delicato. Altro elemento di particolare rilievo attiene all'individuazione delle deroghe per i ruoli apicali, che a suo avviso solo il Governo, posto al di sopra della pubblica amministrazione, può individuare.
Rileva quindi come il lavoro delle Commissioni riunite I e XI, nell'esprimere il parere di competenza sul provvedimento in esame, sia di particolare delicatezza, anche perché ci si potrebbe trovare di fronte ad un gioco delle parti. Sottolinea infatti come chi è realmente favorevole all'approvazione della misura in questione deve necessariamente porsi una serie di questioni che attengono ad un'applicazione legittima di tale previsione. Il rischio è invece che chi, in realtà, non vuole che si giunga ad una reale applicazione del principio in discussione tenda a prevedere un'articolazione del testo tale da essere facilmente sindacabile in sede giurisdizionale.
A suo avviso, dunque, chi crede nel provvedimento in esame deve preoccuparsi di una sua attuazione equa, che tenga conto della giurisprudenza costituzionale in materia.
In tale quadro, ricorda il principio consolidato del divieto di reformatio in peius, al quale sono state ammesse limitate eccezioni che attengono ad ipotesi quali il temporaneo congelamento degli scatti nella retribuzione, ma che di certo non possono giustificare una «decapitazione» della retribuzione. Ritiene, quindi, che la previsione di un tetto «a tagliola» non potrà reggere di fronte alle impugnazioni che certamente interverranno molto presto sulla materia, anche perché occorre tutelare anche un altro principio costituzionale, quello di legittimo affidamento.
Ritiene pertanto necessario escludere la retroattività e prevedere una applicazione graduale della misura, senza che questo voglia equivalere ad un rinvio delle decisioni da assumere sul punto. È infatti possibile decidere oggi e graduare nel tempo la relativa applicazione.
Antonino FOTI (PdL) rileva preliminarmente come il legislatore sia intervenuto con molti provvedimenti, negli ultimi anni, sul tema oggetto dello schema di decreto in esame, secondo quanto ricostruito anche nella puntuale documentazione prodotta dagli uffici. In proposito, osserva che la materia - che presenta aspetti di significativa complessità - va pertanto affrontata con grande attenzione, anche al fine di scongiurare il rischio di produrre un elevato contenzioso.
Per tali ragioni, giudica necessario che il Governo chiarisca quale sia la reale platea dei destinatari delle norme, atteso che l'articolo 23-ter del decreto-legge n. 201 del 2011 e lo schema di decreto in esame fanno rinvio alle amministrazioni indicate all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001, limitatamente a quelle statali: secondo quanto riferito dai relatori, infatti, sembra che all'interno di questa definizione non rientrino tutte le categorie di personale statale comprese nel citato comma, ma soltanto quelle strettamente riconducibili alle amministrazioni centrali, incluse le scuole di ogni ordine e grado.
Al riguardo, ricorda che l'articolo 3, comma 44, della legge n. 244 del 2007 - che ha definito un primo intervento sulla materia - per coprire l'intera platea aggiungeva, alle «pubbliche amministrazioni statali» di cui al citato articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001, anche i seguenti soggetti: agenzie, enti pubblici anche economici, enti di ricerca, università, società non quotate a totale o prevalente partecipazione pubblica nonché le loro controllate. Inoltre, rammenta che la stessa disposizione, allargando ulteriormente la fattispecie di riferimento, includeva i titolari di incarichi o mandati di qualsiasi natura nel territorio metropolitano, i magistrati ordinari, amministrativi e contabili (cioè una parte del personale «non contrattualizzato»), nonché i presidenti e componenti di collegi e organi di governo e di controllo di società non quotate.
Con riferimento, peraltro, alle società che - a vario titolo - ricevono un sostegno finanziario dallo Stato, pone all'attenzione delle Commissioni riunite anche la questione delle società quotate in borsa, i cui vertici, una volta nominati a livello politico, determinano, poi, in piena autonomia i propri compensi, dando luogo, in talune occasioni, ad importi al di fuori di ogni forma di controllo.
Segnala, altresì, che anche il precedente Governo ha tentato di dettare un ulteriore intervento, parzialmente difforme, sulla platea dei destinatari, che si è avuto con il decreto-legge n. 97 del 2008, che all'articolo 4-quater, comma 52-bis, ha affidato a un regolamento di delegificazione il compito di definire platea dei destinatari e limiti retributivi. A suo avviso, esiste infine un problema di inclusione o meno all'interno del provvedimento di categorie di personale appartenente a determinate autorità indipendenti o amministrazioni statali.
Alla luce delle richiamate incertezze, ribadisce l'esigenza che il Governo fornisca la propria interpretazione circa l'ambito di applicazione del provvedimento, citando tra i casi potenziali che necessitano di un tale chiarimento, in particolare, i diplomatici che svolgono incarichi all'estero ovvero il personale e i vertici della Banca d'Italia. Inoltre, ritiene che debba essere chiarito se il rinvio al comma 2 dell'articolo 1 del decreto n. 165 del 2011 sia idoneo a ricomprendere anche le categorie ivi elencate dopo quelle «sicuramente pubbliche» e, dunque, se il provvedimento - tanto per fare alcuni esempi - si debba intendere come non applicabile agli enti previdenziali o alle agenzie fiscali.
Linda LANZILLOTTA (Misto-ApI) ritiene della massima importanza che il Parlamento non deluda l'aspettativa ingenerata dal Governo nell'opinione pubblica su questo tema svuotando il provvedimento in sede applicativa sulla base di presunte manchevolezze o criticità della norma stessa: ciò sarebbe in questo momento deleterio per il rapporto tra politica e opinione pubblica.
Rileva poi che il succedersi di discipline sulla materia e l'esigenza stessa di intervenire per porre un freno alla crescita delle retribuzioni pubbliche dimostrino in qualche modo il fallimento dell'istituto della contrattazione, che ha portato fuori controllo alcune dinamiche retributive nella pubblica amministrazione.
Rileva poi che non si prevedono misure per contrastare il cumulo di incarichi e di compensi a carico delle finanze pubbliche, né per eliminare certe ingiustificate forti asimmetrie di trattamento retributivo tra settori amministrativi diversi. Occorrerebbe, quindi, a suo parere, da una parte prevedere che la misura del tetto massimo delle retribuzioni si applichi a tutte le amministrazioni pubbliche nel senso più lato e senza eccezioni e, dall'altra parte, intervenire per correggere l'asimmetria anzidetta, che tra l'altro genera una disfunzione nel reclutamento del personale producendo un maggiore afflusso delle professionalità verso gli impieghi meglio retribuiti.
Per quanto riguarda invece l'intervento sulle retribuzioni degli amministratori delle società controllate dal Ministero dell'economia e delle finanze, previsto dall'articolo 23-bis del decreto-legge n. 201 del 2011 - in qualche modo gemello di quello in esame - evidenzia che sarebbe importante poter valutare i due decreti attuativi contemporaneamente, anche per verificare che l'armonia complessiva dell'intervento: ad esempio occorre evitare che i vertici delle pubbliche amministrazioni controllanti siano retribuiti meno degli amministratori delle società controllate, in quanto questo darebbe luogo a uno squilibrio pericoloso.
Altro punto problematico, a suo avviso, è quello della esatta individuazione del tetto massimo. Infatti la norma di legge parla di «parametro», mentre il decreto attuativo parla di «limite», assumendo come tale la retribuzione del primo presidente della Corte di cassazione nell'anno 2011, senza però chiarire se e in che modo l'importo indicato venga di anno in anno ridefinito: ciò provoca il rischio di un effetto «galleggiamento» o «traino».
Infine, per quanto riguarda l'ambito di applicazione temporale dell'intervento, ritiene che questo debba decorrere da subito, incidendo anche sui trattamenti economici già in godimento. Ricorda infatti che la norma è stata inserita nel testo di un decreto-legge, vale a dire di un provvedimento che per definizione reca misure urgenti. Osserva inoltre che l'obiezione secondo cui esisterebbe un principio di divieto di reformatio in peius non può essere fatta valere in questo caso o quanto meno si deve lasciare che siano altri organi costituzionali, e non il Parlamento, a sollevarla.
Pierluigi MANTINI (UdCpTP) rileva preliminarmente come vi sia una questione non eludibile: nel momento in cui il provvedimento in esame viene ritenuto di immediata applicazione, con efficacia retroattiva, esso non può non costituire un inedito clamoroso nell'ordinamento da tutti i punti di vista.
Rileva, infatti, come sotto il profilo politico, esso faccia chiaramente intendere che l'Italia si trova nelle medesime condizioni della Grecia e questo è il segnale che si dà in ambito internazionale ed ai mercati. In Italia non era mai avvenuto niente di paragonabile all'improvvisa decisione di decurtare di circa un terzo il trattamento economico degli alti dirigenti.
Si sofferma, quindi, sui riflessi costituzionali del provvedimento che investono, in particolare, tre profili. In primo luogo, il consolidato principio del divieto di riformatio in peius, su cui si è soffermato il collega Zaccaria; in secondo luogo, la disparità della platea dei destinatari del provvedimento in esame e, infine, la questione che attiene al fatto che non tutti coloro che hanno retribuzioni più alte svolgono lo stesso tipo di funzioni e sono giunti a tale posizione in base al medesimo percorso. Un'equiparazione di tutti i soggetti avrebbe dunque una profonda disparità.
Rileva come sia evidente come in Italia vi sia la necessità di una politica dei redditi. Sottolinea, tuttavia, come occorra saperlo fare: non quindi con una spinta di tipo giacobino che tagli in questo modo le retribuzioni, quanto piuttosto, come accade in tutti gli ordinamenti liberali, consentendo che vi siano retribuzioni anche elevate che devono tuttavia essere sottoposte alle previste forme di tassazione ed, eventualmente, a forme di tassazione straordinarie in casi eccezionali.
Al contempo, una efficace politica dei redditi, definita in aderenza con le norme costituzionali, deve essere necessariamente riferita al momento della scadenza delle nomina o del contratto. In tale modo, al primo rinnovo si applicherà il nuovo criterio con conseguente consapevolezza da parte di chi accetta l'incarico. Sono altresì immaginabili forme e modalità che consentano di anticipare l'applicazione, incidendo eventualmente sulle indennità.
Sottolinea, invece, come il testo in esame possa essere molto pericoloso soprattutto per i ceti più deboli, consentendo in futuro interventi legislativi che prescindano dal principio di autonomia contrattuale e che potrebbero portare a stabilire un dimezzamento delle retribuzioni in essere, con evidenti conseguenze di ingiustizia sociale.
Si chiede inoltre per quali ragioni si intenda assumere come parametro la retribuzione del primo Presidente della Corte di Cassazione, quasi ad intendere una subordinazione della pubblica amministrazione a tale retribuzione di riferimento. È a suo avviso opportuno immaginare invece, per realizzare una reale politica dei redditi, un tetto, fluttuante o meno, costituito da una parte fissa e da un premio di produttività, seppure di entità limitata, come di norma avviene nelle amministrazioni moderne.
Ritiene invece che sulle misure in discussione vi siano molte incognite e ricorda come le disposizioni in questione nascano da un errore bipolare, da un emendamento che ha prodotto un pessimo risultato. Il Governo si è adeguato ma, di fatto, ci si trova di fronte ad una misura che alcune forze politiche presenti in Parlamento hanno ritenuto di adottare sulla scia delle affermazioni di Grillo o dei giornalisti Stella e Rizzo.
Ricorda come la proposta del suo gruppo sia stata formulata ed auspica che, con un apporto costruttivo di tutti, sia possibile giungere ad un intervento differente che porti comunque al medesimo risultato. Concorda dunque sull'esigenza di dare un segnale di equità tanto più in una fase straordinaria quale quella attuale, realizzando una politica dei redditi che, ponendosi in linea con la la Carta costituzionale, non stravolga l'ordine democratico ed i principi fondamentali, che sono posti a tutela e a garanzia di tutti.
Giuliano CAZZOLA (PdL), dichiarando di condividere molte delle considerazioni svolte nel corso della seduta odierna, ritiene di non poter non rilevare che il clima generale del Paese condiziona inevitabilmente anche il comportamento del Parlamento su materie come quella in esame. Tuttavia, giudicando eccessivo evocare l'esempio della Grecia in relazione al provvedimento in discussione e pur comprendendo l'esigenza di far fronte ad una straordinaria situazione di crisi economica, che pone il Governo nelle condizioni di dover conseguire immediati risparmi di spesa pubblica, si chiede se - al di là dell'esistenza o meno di profili di ragionevolezza suscettibili di legittimare interventi di reformatio in peius delle condizioni retributive dei lavoratori - si sia realmente colta l'esatta portata dello schema di decreto, soprattutto per quanto concerne le possibili ricadute che potrebbero derivare, in danno dell'autonomia delle parti e dei trattamenti in essere, sui livelli contributivi di tutti i dipendenti del settore pubblico.
Ritiene, infatti, che la formulazione attuale del testo, che fa riferimento ad un limite massimo retributivo corrispondente ai vertici apicali, invitando anche le amministrazioni pubbliche a una sorta di «riparametrazione» dei trattamenti inferiori a tale limite, rischi di produrre un «effetto-domino», imponendo, a scalare, un complessivo ridimensionamento degli stipendi di tutti i lavoratori pubblici, fino a comprendere i livelli più bassi. Osserva che ciò potrà anche condurre a un contenimento della spesa pubblica, ma imporrebbe, a sua volta, una completa ristrutturazione dei livelli remunerativi dei lavoratori pubblici mediante una pesante intromissione del potere legislativo all'interno di materie rimesse, di norma, alla determinazione delle parti sociali.
Nell'invitare, pertanto, a riflettere seriamente sui rischi connessi all'eventuale interpretazione della norma in termini retroattivi, giudica opportuno approfondire con attenzione i contenuti più controversi del provvedimento, considerata la delicatezza delle questioni in gioco, specificando meglio, ad esempio, taluni concetti fondamentali - come quello dell'onnicomprensività del trattamenti - da porre in stretta correlazione con il tema della pluralità degli incarichi.
Maria Anna MADIA (PD), giudicando sostanzialmente doveroso l'intervento normativo in esame, in un'ottica di contenimento della spesa pubblica, ritiene comunque opportuno chiarire alcuni aspetti del testo, soprattutto con riferimento a quelle disposizioni che rischiano di definire in termini di incertezza la platea di soggetti interessati e di incidere sugli ambiti di competenza della contrattazione individuale, dando luogo a complessi contenziosi giudiziari.
Pur comprendendo, poi, le preoccupazioni manifestate da taluni deputati circa i profili di legittimità costituzionale delle norme in questione rispetto ai possibili rischi di una reformatio in peius dei trattamenti economici dei dipendenti pubblici, ritiene tuttavia utile segnalare che il divieto di tale reformatio è stato in realtà revocato in dubbio, di recente, dalla stessa Corte costituzionale, che - in una sentenza del dicembre 2011 - ha dichiarato legittimo il nuovo sistema di indennizzo introdotto da una disposizione, inserita nel cosiddetto «collegato lavoro», in materia di tetto agli indennizzi che il datore di lavoro deve corrispondere al lavoratore in caso di offerta della conversione di un contratto a termine in contratto a tempo indeterminato. Dal momento che, con la sentenza in questione, viene garantita la legittimità di un sistema normativo - fortemente lesivo dei diritti remunerativi dei lavoratori - tendente a ridimensionare il risarcimento del danno dovuto dal datore di lavoro per il periodo che intercorre dalla data d'interruzione del rapporto fino a quella dell'accertamento giudiziale del diritto del lavoratore, si chiede come si possa dubitare circa la conformità costituzionale delle norme contenute nel testo in esame, che giudica meno restrittive di quelle richiamate nella richiamata sentenza della Corte costituzionale.
Silvano MOFFA, relatore per la XI Commissione, osserva che il caso richiamato dall'onorevole Madia sembrerebbe riferirsi a una fattispecie diversa da quella interessata dal provvedimento in esame.
Michele SCANDROGLIO (PdL) ritiene che l'esame del provvedimento costituisca per il Parlamento l'occasione per interpretare e fare proprio un forte sentimento popolare, che richiede a tutti, in tempi di eccezionale crisi economica, di sostenere rilevanti sacrifici per il bene del Paese. Giudica importante, pertanto, che si dia corso al provvedimento in esame, definendolo nei suoi contenuti in modo dettagliato e preciso, ma evitando interpretazioni giuridiche troppo zelanti e capziose, suscettibili di minarne la corretta applicazione.
Al riguardo, ritiene opportuno procedere ad una esaustiva definizione della platea dei possibili destinatari, sulla base di criteri oggettivi che estendano anche agli enti locali l'ambito di applicazione del testo, nell'ottica di prevenire disparità di trattamento nel settore del pubblico impiego. Fa presente, peraltro, che il testo, facendo riferimento ad emolumenti o retribuzioni a carico delle finanze pubbliche, già suggerisce una interpretazione in senso estensivo delle disposizioni in esame, richiedendo, quindi, solo una ulteriore lieve specificazione al riguardo.
Auspica, pertanto, una sollecita conclusione dell'iter, al fine di lanciare al Paese un segnale chiaro di forte ridimensionamento della spesa pubblica, rifuggendo dalla tentazione di ricercare «cavilli» per snaturare il significato di un intervento normativo atteso dall'opinione pubblica.
Giorgio CONTE (FLpTP) sottolinea l'importanza di tenere conto dei diritti acquisiti, che non possono configurarsi alla stregua di «cavilli», ed auspica che con il coinvolgimento di tutte le forze politiche sia possibile individuare una soluzione di maggiore equità, in modo da correggere certe storture evidenti.
Il ministro Filippo PATRONI GRIFFI, premesso che sarebbe tentato di entrare nel merito giuridico delle questioni poste, si limita ad considerare che alcune di esse hanno a suo avviso un fondamento mentre altre sono meno convincenti.
Osserva che non c'è dubbio che l'articolo 23-ter del decreto-legge n. 201 del 2011 parli di «parametro» e di definizione del trattamento economico, ma è anche vero che, interpretando la legge alla lettera, si metterebbe in discussione - come rilevato dall'onorevole Cazzola - il sistema delle fonti per quanto attiene al riparto tra legge e contratto. Per questa ragione, anche sulla base di un ordine del giorno approvato in una delle due Camere in sede di conversione del decreto-legge, il Governo ha scelto di intendere il «parametro» come limite massimo.
Per quanto riguarda l'articolo 5 dello schema di decreto in esame, ribadisce che esso intende esclusivamente chiarire che la eventuale revisione dei trattamenti economici al di sotto del limite massimo è possibile solo in occasione del rinnovo del contratto, vale a dire in sede di rinegoziazione contrattuale. In altre parole il Governo ha ritenuto, sulla base del presupposto già denunziato secondo cui per «parametro» deve intendersi «tetto massimo», che l'articolo 23-ter costituisca norma imperativa, atta ad inserirsi nei contratti prevalendo sulle clausole difformi, solo ove queste prevedano trattamenti superiori al tetto, restando quindi affidata alla contrattazione con le sue dinamiche temporali la eventuale ridefinizione dei trattamenti inferiori al tetto.
In conclusione dichiara che il Governo intende dare attuazione alla norma di legge, certamente tenendo conto del parere parlamentare. Quanto al rischio che il provvedimento provochi un contenzioso giurisdizionale, questo non può certamente essere escluso. D'altra parte fa presente che quello in esame è soltanto un decreto attuativo e che il discorso sarebbe diverso se si potesse intervenire sulla norma di riferimento per correggerne le criticità.
Donato BRUNO, presidente e relatore per la I Commissione, si domanda se possa essere utile per il Governo inserire, nell'ambito della proposta di parere, l'indicazione delle correzioni che è necessario apportare alla norma di legge, al fine di evitare il rischio che l'intervento poggi su basi fragili.
Il ministro Filippo PATRONI GRIFFI, premesso che il Governo ha predisposto in attuazione della norma vigente uno schema di decreto che, a suo avviso, «tiene», si dichiara comunque disponibile a valutare iniziative legislative che, modificando la norma di riferimento, garantiscano il più possibile la legittimità dell'intervento attuativo, ma si riserva di verificare in che termini sia possibile procedere in questo modo senza mettere a rischio il decreto in esame.
Linda LANZILLOTTA (Misto-ApI) ritiene che si potrebbe introdurre nell'ordinamento una norma di interpretazione autentica che rafforzi e legittimi pienamente il decreto in esame, il quale potrebbe essere formalmente adottato dopo l'entrata in vigore di detta norma interpretativa.
Roberto ZACCARIA (PD) ritiene che il ricorso a una norma di interpretazione autentica sia una soluzione che rischia di aggravare i problemi anziché risolverli.
Silvano MOFFA, relatore per la XI Commissione, osserva che le Commissioni riunite si trovano di fronte al problema di valutare le più opportune forme di applicazione di una norma, come quella contenuta all'articolo 23-ter del decreto-legge n. 201, che ha un effetto cogente: per tale ragione, ritiene che - ove si intendesse intervenire sugli aspetti più incerti di tale norma - vi sarebbe soltanto la strada di introdurre apposite modifiche legislative alle disposizioni che si ritengono equivoche, giudicando altrimenti assai pericoloso intervenire su tale articolo mediante norme interpretative, che non farebbero altro che incrementarne il tasso di confusione.
Donato BRUNO, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.
La seduta termina alle 16.50.
COMMISSIONI RIUNITE
I (Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni)
e XI (Lavoro)
Martedì 21 febbraio 2012. - Presidenza del presidente della XI Commissione Silvano MOFFA. - Interviene il ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, Filippo Patroni Griffi.
La seduta comincia alle 12.35.
Schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri concernente la definizione del limite massimo riferito al trattamento economico annuo onnicomprensivo per i pubblici dipendenti indicati nell'articolo 23-ter del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214.
Atto n. 439.
(Seguito dell'esame e rinvio).
Silvano MOFFA, presidente e relatore per la XI Commissione, ricorda che nella precedente seduta, nella quale è proseguito il dibattito sul provvedimento in esame, è stata formulata al Governo la richiesta di fornire alle Commissioni riunite, possibilmente entro la seduta odierna, un elenco contenente la platea delle posizioni interessate dall'intervento di cui allo schema di decreto, con l'indicazione delle relative retribuzioni onnicomprensive, nonché un elenco recante tutte quelle posizioni che - alla luce dell'interpretazione letterale della norma di riferimento - risulterebbero escluse dall'applicazione dello stesso schema di decreto, pur superando il parametro massimo indicato all'articolo 3 del provvedimento medesimo.
Il ministro Filippo PATRONI GRIFFI informa di aver richiesto al Ministero dell'economia e delle finanze, senza però ottenere fino a questo momento risposta, l'elenco dei trattamenti onnicomprensivi superiori a quello del primo presidente della Cassazione - che, per inciso, secondo i dati da ultimo forniti dal Ministero della giustizia, risulta ammontare nel 2011 a circa 294 mila euro, anziché a circa 304 mila, come indicato nello schema in esame - e di aver quindi diramato nella giornata di ieri una circolare per chiedere a tutte le pubbliche amministrazioni interessate dalla norma di comunicare i dati in questione entro giovedì 23 febbraio prossimo.
Aggiunge che, allo stato, sulla base dei dati a disposizione del dicastero per la pubblica amministrazione e la semplificazione, che sono però in attesa di conferma, si può stimare che nell'elenco in questione rientrino alcune autorità amministrative indipendenti, e in particolare l'Autorità garante per la concorrenza e il mercato, l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e la Consob; al contempo, non sembrerebbero rientravi i dirigenti generali dei ministeri, mentre vi rientrerebbero alcuni capi dipartimento o segretari generali.
Confida in ogni caso di poter fornire alle Commissioni riunite dati certi ed esaurienti entro la giornata di giovedì, sulla base delle informazioni che saranno trasmesse al suo dicastero dalle pubbliche amministrazioni interpellate, e innanzitutto dal Ministero dell'economia e delle finanze.
Linda LANZILLOTTA (Misto-ApI), ricordato che i dati in questione dovrebbero essere già pubblici in base alla legge, ritiene che il Governo, non quello in carica, ma quello cessato, e in particolare l'allora ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, dovrebbero dare conto della mancata attuazione delle disposizioni di legge su questa materia.
Rilevato quindi che c'è evidentemente una fortissima resistenza delle pubbliche amministrazioni a fornire i dati relativi alle retribuzioni di vertice, esprime l'avviso che si debba assolutamente perseverare, in quanto l'attuazione della disciplina sul contenimento delle retribuzioni a carico delle finanze pubbliche è indispensabile per dare all'opinione pubblica il senso che l'operazione di risanamento intrapresa dal Governo chiede sì sacrifici, ma lo fa con equità: a suo avviso, si tratta quindi di un passaggio essenziale per la credibilità della complessiva azione del Governo.
Ritiene pertanto che, se entro giovedì prossimo il Ministero dell'economia e delle finanze non avrà ancora fornito i dati richiesti, le Commissioni dovrebbero investire del problema lo stesso Presidente del Consiglio dei ministri, nella sua qualità di Ministro dell'economia e delle finanze.
Gianclaudio BRESSA (PD), nel ringraziare il ministro Patroni Griffi per la sollecitudine con cui si è attivato per ottenere i dati richiesti dalle Commissioni riunite, si dichiara esterrefatto che il Ministero dell'economia e delle finanze, ed in particolare la Ragioneria generale dello Stato, non li abbiano prontamente forniti, non potendo esservi dubbi che tali dati siano in possesso del Ministero: a suo avviso, si tratta di un fatto scandaloso e di un affronto al Parlamento, che non può essere lasciato passare sotto silenzio.
Si associa pertanto alla richiesta dell'onorevole Lanzillotta che, se entro giovedì i dati non saranno stati resi noti, si dovrà chiedere un intervento del Presidente del Consiglio dei ministri nella sua qualità di Ministro dell'economia e delle finanze. Sottolinea, infatti, come le Commissioni debbano poter disporre di informazioni certe per poter valutare nel modo più completo possibile lo schema in esame, anche al fine di eventualmente formulare al Governo quegli indirizzi in merito a possibili deroghe, che il ministro Patroni Griffi ha rilevato in un suo precedente intervento non essere indicati nella norma di legge.
Renato BRUNETTA (PdL) si associa alle manifestazioni di amarezza e di protesta dei deputati Lanzillotta e Bressa per la mancata collaborazione del Ministero dell'economia e delle finanze ed in particolare della Ragioneria Generale dello Stato. Dopo aver ricordato che il decreto legislativo n. 150 del 2009 e i relativi provvedimenti attuativi hanno previsto, tra l'altro, la pubblicità delle retribuzioni onnicomprensive dei dirigenti della pubblica amministrazione, fa sapere che, in qualità di ministro, ha più volte sollecitato i diversi ministeri a dare attuazione alla disciplina in questione, incontrando reazioni diverse. Per quanto riguarda il Ministero dell'economia e delle finanze, questo ha tenuto su questo punto un atteggiamento sistematicamente non collaborativo. Aggiunge di avere anche più volte chiesto al Ministero della giustizia e alla Corte di cassazione, anche in questo caso senza ottenere risposta, l'importo della retribuzione onnicomprensiva del primo presidente: si dichiara, quindi, lieto che almeno su questo punto si sia potuta fare chiarezza.
Conclude, rilevando che senza dubbio disporre dei dati in questione è indispensabile per realizzare un intervento convincente ed efficace di contenimento delle retribuzioni della pubblica amministrazione e che quello della mancanza di trasparenza in materia di retribuzioni degli alti dirigenti è uno scandalo che deve finire.
Matteo BRAGANTINI (LNP) dichiara la sua costernazione per la mancanza di dati sul trattamento economico dei dirigenti e per il fatto che, di conseguenza, le Commissioni riunite non sono in grado di conoscere quali di loro superino il tetto fissato dallo schema in esame. A suo avviso, la disposizione dell'articolo 23-ter del decreto-legge n. 201 del 2011 non deve riguardare solo i funzionari delle amministrazioni pubbliche, ma anche i consulenti: la platea dei soggetti va estesa, l'azione deve essere portata avanti in modo più incisivo e la fissazione del tetto non deve prevedere esclusioni. Non condivide, in questo senso, il rinvio previsto nel decreto-legge di proroga di termini, così come modificato dal Senato, per l'applicazione delle disposizioni del decreto-legge «Salva Italia» alle società a totale partecipazione dello Stato.
Ritiene, infine, che il limite al trattamento economico debba estendersi a chiunque riceva soldi dallo Stato, comprese, ad esempio, le testate giornalistiche.
Pierluigi MANTINI (UdCpTP) osserva che la discussione in atto dovrebbe avere toni più pacati e meno forti; la mancanza di trasparenza non è un tema che nasce oggi e non si può quindi attribuire al ministro Patroni Griffi. Il ministro, a suo giudizio, ha espresso con parole chiare la scarsa collaborazione ricevuta dai ministeri nella raccolta dei dati, aspetto che ha sentito affermare solo oggi al suo predecessore. Ritiene, dunque, che le Commissioni riunite possano tranquillamente attendere che il ministro fornisca i dati richiesti alla data indicata.
Si dichiara, poi, in disaccordo con l'onorevole Bragantini per quanto riguarda l'estensione del tetto ai consulenti. Ricorda, infatti, che tra le consulenze rientrano quei servizi professionali assegnati a gara a cui non si può, a suo avviso, applicare un tetto.
Giulio SANTAGATA (PD), con l'auspicio di affrontare il tema con pacatezza e serenità, intende rappresentare al ministro l'esigenza di evitare che il provvedimento in esame si trasformi in una sorta di «manifesto», che rischia peraltro di ritorcersi contro coloro che lo hanno predisposto. In particolare, giudica molto complicato, in primo luogo per il Governo, cercare di spacciare lo schema di decreto in esame come giusto, rigido, equo e onnicomprensivo, per poi far passare il messaggio per cui, in realtà, sarebbe il Parlamento a non volerlo portare fino in fondo. Poiché non compete alle Camere fornire i dati sul campo di applicazione delle disposizioni in esame, dichiara di preferire che le Commissioni riunite si concentrino, piuttosto, sul «cuore» del problema, che consiste nel verificare se effettivamente il «tetto» agli emolumenti sia applicabile sin d'ora ai trattamenti in essere.
Per queste ragioni, ritiene auspicabile che il Governo dica chiaramente al Parlamento se non è in grado di fornire i dati richiesti, in quanto l'unico obiettivo che le Camere debbono porsi - una volta verificata tale circostanza - è che si proceda speditamente alla definizione di un provvedimento che funzioni, facendo al meglio il proprio lavoro.
Massimiliano FEDRIGA (LNP) si dichiara sconcertato dal comportamento del Governo, che ha trasmesso alle Camere, per l'espressione del parere, un provvedimento in relazione al quale, solo oggi, si scopre che lo stesso Esecutivo non possiede alcun dato di informazione, neanche sulla possibile platea dei destinatari. Esprime, dunque, il proprio totale disappunto per uno schema di decreto che è stato definito senza sapere nemmeno a chi si riferisca, auspicando che, quanto meno entro il prossimo giovedì 23 febbraio, il Governo fornisca i dati richiesti. Al riguardo, tuttavia, avverte sin d'ora che il suo gruppo non accetterà alcun rinvio del voto parlamentare oltre i termini previsti e che, pertanto, non si assumerà la responsabilità di un eventuale «blocco» del provvedimento per la mera carenza di dati, tanto più che i dubbi sull'ambito di applicazione sono da ricercare «a monte» dello schema di decreto, ossia nell'articolo 23-ter del decreto-legge n. 201 del 2011, che è stato votato dai numerosi gruppi che oggi sostengono il nuovo Esecutivo.
Raffaele VOLPI (LNP) si associa a quanto affermato da altri colleghi in merito alla mancata disponibilità di dati. Dissente dall'onorevole Mantini riguardo ai toni forti della discussione; la frenesia è semmai del Governo, che vuole fare tutto e subito. Non ritiene poi accettabile che lo stesso Governo, come è avvenuto per il disegno di legge in materia di lotta alla corruzione, chieda del tempo alle Commissioni per approfondire dei provvedimenti e all'esterno dia al Parlamento la colpa dei ritardi nell'approvazione delle leggi. Osserva, inoltre, che sarebbe stato meglio se il Governo avesse adottato contemporaneamente anche lo schema di decreto per il contenimento delle retribuzioni degli amministratori delle società controllate dallo Stato. Al riguardo, chiede al ministro se sia vero che esiste una società controllata dal Ministero dell'economia e delle finanze che si propone di fare agli amministratori contratti integrativi da dirigenti.
Mario TASSONE (UdCpTP) sottolinea come tutti gli intervenuti abbiano posto l'accento sull'importanza degli elementi conoscitivi in un corretto rapporto tra Governo e Parlamento. Ringrazia il ministro Patroni Griffi per la sua chiarezza, che lo differenzia dall'onorevole Brunetta, che la stessa chiarezza l'ha usata solo ora e non quando era ministro.
Riguardo al problema delle consulenze, ricorda di averlo già posto intervenendo in un'altra seduta: è un problema che sussiste, ma - a suo avviso - devono rientrare nei limiti posti dallo schema in esame anche altri soggetti, come le agenzie interinali. Fa notare, peraltro, che il problema centrale è la strategia che vuole perseguire il Governo ed è il Ministro che deve indicare la strada sulla quale proseguire.
Mauro LIBÈ (UdCpTP) non si meraviglia della resistenza e delle frenate alle richieste di dati da parte del Ministro. Ritiene, infatti, che le Commissioni riunite debbano sostenere l'azione del ministro e che il Governo possa legittimamente chiedere al Parlamento la forza per realizzare quello che si è ripromesso.
Silvano MOFFA, presidente e relatore per la XI Commissione, con riferimento alla questione oggetto del dibattito sinora svolto, preso atto degli interventi effettuati da numerosi deputati, fa presente che i presidenti delle Commissioni riunite si riservano di inviare al Presidente del Consiglio dei ministri, nella sua veste di Ministro dell'economia e delle finanze, una nota per l'acquisizione di dati e informazioni, ferma restando l'esigenza che il rappresentante del Governo fornisca, nella seduta del prossimo giovedì 23 febbraio, gli elementi richiesti.
Gianclaudio BRESSA (PD) ricorda che nella precedente seduta il ministro Patroni Griffi ha dichiarato di essere disponibile a valutare iniziative legislative che, modificando la norma di riferimento, garantiscano il più possibile la legittimità dell'intervento attuativo, riservandosi di verificare in che termini sia possibile procedere in questo modo senza mettere a rischio il decreto in esame. Osserva che la norma base è forse insufficiente e lacunosa, in quanto risente del modo frettoloso in cui è stata inserita nel decreto-legge n. 201 del 2011 in sede di discussione del disegno di legge di conversione. Reputa fondamentale colmare le lacune della norma base, per evitare incertezze e assicurare che il decreto possa essere adottato il più presto possibile, con effetti immediati. Ritiene che le lacune possano essere facilmente colmate attraverso il parere parlamentare sullo schema di decreto attuativo, nonché attraverso un mirato intervento legislativo di correzione dell'articolo 23-ter del decreto-legge n. 201, che potrebbe essere realizzato nell'ambito del disegno di legge di conversione del decreto legge n. 5 del 2012, in materia di semplificazione e sviluppo, attualmente all'esame delle competenti Commissioni della Camera. A suo avviso, l'intervento legislativo dovrebbe definire in modo chiaro la platea dei destinatari dell'intervento, ampliandola per comprendere tutte le pubbliche amministrazioni, comprese le regioni a statuto ordinario e a statuto speciale; il parere parlamentare dovrebbe, invece, confermare che la decorrenza della misura è immediata, in quanto, come ha correttamente osservato il ministro Patroni Griffi nella precedente seduta, l'articolo 23-ter più volte citato costituisce norma imperativa atta ad inserirsi nei contratti prevalendo sulle clausole difformi ove queste prevedano trattamenti superiori al tetto.
Ritiene che il parere debba altresì intervenire sull'altra questione delicata - sulla quale è della massima importanza evitare un rimpallo di responsabilità tra Governo e Parlamento - vale a dire quella relativa alle deroghe, che la norma base consente, ma che il decreto adottato dal Governo non prevede perché, come ha chiarito il ministro Patroni Griffi, la legge non fornisce alcun criterio al riguardo. A suo avviso, il parere potrebbe rinviare ai criteri indicati dall'articolo 3, comma 44, della legge n. 244 del 2007, la quale prevedeva che il tetto ivi indicato non si applicasse alle retribuzioni corrispondenti alle posizioni di più elevata responsabilità, sia pure nel limite di un preciso contingente numerico: si potrebbe, dunque, riprendere tale formulazione, facendo però cadere la limitazione numerica, che appare eccessiva. Ritiene inoltre necessario precisare nel parere che il trattamento economico del primo presidente della Cassazione non deve essere considerato come parametro in vista di una rideterminazione di tutte le retribuzioni a carico delle finanze pubbliche, comprese quindi quelle inferiori al tetto; è, in altre parole, essenziale specificare che il trattamento in questione costituisce un limite e non un parametro. Per quanto riguarda, invece, la questione relativa al divieto di reformatio in peius, ricorda che la sentenza citata nella precedente seduta dalla deputata Madia ha già chiarito che non può in questo caso parlarsi di violazione del suddetto divieto.
Per quanto riguarda, infine, il comma 2 dell'articolo 23-ter, ricorda che esso era pensato con riferimento agli incarichi di diretta collaborazione dei ministri e aveva la finalità di porre un limite al cumulo delle retribuzioni dei consulenti esterni. Occorre, però, evitare che, quando i titolari degli uffici di diretta collaborazione sono dipendenti interni, l'applicazione della norma comporti per essi retribuzioni inferiori a quelle normalmente percepite, il che, oltre che irragionevole, non avrebbe ragion d'essere nell'ottica del provvedimento.
Conclude, ribadendo che i problemi evidenziati nel corso del dibattito possono essere risolti rapidamente con un intervento legislativo mirato e con un parere opportunamente formulato. In ogni caso, il provvedimento deve - a suo avviso - trovare immediatamente applicazione ed essere formulato in termini tali da evitare il più possibile di esporre l'amministrazione a condanne in sede giurisdizionale.
Renato BRUNETTA (PdL), associandosi alle considerazioni svolte dall'onorevole Bressa, giudica necessario dare seguito con celerità al provvedimento in esame, pur nella consapevolezza dell'esistenza di taluni elementi di criticità. Ritiene, infatti, che si debba dare atto al Governo di avere correttamente interpretato le norme di legge alle quali dare attuazione, norme che, in talune parti, possono anche apparire ambigue: tali interpretazioni giuridiche, dunque, essendo assolutamente ragionevoli e corrette, meritano il pieno sostegno parlamentare.
Giudica, quindi, opportuno proseguire su due piani separati, ma paralleli, la futura azione su tale argomento. A suo avviso, per un verso occorre rinviare ad una successiva modifica legislativa - da inserire eventualmente nel primo provvedimento utile sottoposto all'attenzione del Parlamento - la questione della puntuale determinazione della platea dei destinatari del provvedimento, anche indicando, nel parere di competenza, le linee di indirizzo lungo le quali muoversi, trattandosi di modificare una disposizione legislativa di iniziativa parlamentare e non governativa. Per altro verso, si dichiara favorevole a chiarire direttamente nel parere parlamentare diverse questioni, a partire dall'immediata operatività delle disposizioni in esame, che si dovranno applicare anche ai rapporti in essere, nel presupposto che si debba assicurare la massima trasparenza in materia di trattamenti economici dei pubblici dipendenti.
Soffermandosi, inoltre, sulla questione delle deroghe, ritiene che la disposizione di legge approvata dalle Camere in sede di conversione del decreto-legge cosiddetto «Salva Italia» abbia dato al Governo la possibilità di scegliere talune figure da esonerare dal tetto agli emolumenti; in tal senso, qualora l'Esecutivo ne avvertisse l'esigenza, si potrebbe precisare, nell'ambito della proposta di parere, che tra i criteri da seguire per le deroghe vi sia anche l'esclusione di quelle posizioni apicali ad elevato livello di responsabilità.
Rilevata, infine, la necessità di porre fine a quel processo di sedimentazione opaca che ha progressivamente messo in discussione i principi della trasparenza nel settore della pubblica amministrazione, invita il Governo a procedere senza esitazioni nell'adozione dello schema di decreto in esame, che potrà essere emanato non appena acquisiti i pareri parlamentari; sarà poi compito di una successiva disposizione di legge, da inserire all'interno del decreto-legge in materia di semplificazione e sviluppo, in fase di conversione da parte del Parlamento, quello di proporre un parallelo «aggiustamento» normativo che sarà idoneo a coprire le eventuali criticità interpretative del decreto medesimo.
Silvano MOFFA, presidente e relatore per la XI Commissione, nessun altro chiedendo di intervenire, prospetta l'opportunità che nella seduta di giovedì 23 febbraio si concluda il dibattito sul provvedimento in titolo, in modo da consentire ai relatori di formulare, per la giornata di martedì 28 febbraio, una proposta di parere, da sottoporre alla votazione delle Commissioni riunite nella giornata di mercoledì 29 febbraio.
Le Commissioni convengono.
Silvano MOFFA, presidente, rinvia, quindi, il seguito dell'esame ad altra seduta.
La seduta termina alle 13.30.
COMMISSIONI RIUNITE
I (Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni)
e XI (Lavoro)
ATTI DEL GOVERNO
Giovedì 23 febbraio 2012. - Presidenza del presidente della I Commissione Donato BRUNO. - Interviene il ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, Filippo Patroni Griffi.
La seduta comincia alle 14.40.
Schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri concernente la definizione del limite massimo riferito al trattamento economico annuo onnicomprensivo per i pubblici dipendenti indicati nell'articolo 23-ter del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214.
Atto n. 439.
(Seguito dell'esame e rinvio).
La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato, da ultimo, nella seduta del 21 febbraio 2012.
Donato BRUNO, presidente e relatore per la I Commissione, comunica che, insieme al Presidente della XI Commissione, tenuto conto di quanto emerso nella precedente seduta, ha provveduto ad inviare al Presidente del Consiglio di ministri la seguente lettera:
«Signor Presidente, è in corso di esame presso le Commissioni riunite I (Affari costituzionali) e XI (Lavoro) della Camera dei deputati lo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri concernente la definizione del limite massimo riferito al trattamento economico annuo onnicomprensivo per i pubblici dipendenti indicati nell'articolo 23-ter del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214 (atto n. 439).
Nella seduta di giovedì 16 febbraio 2012, abbiamo formulato al rappresentante del Governo - in qualità di relatori - la richiesta di fornire alle Commissioni riunite, possibilmente entro la seduta di martedì 21 febbraio, un elenco contenente la platea delle posizioni interessate dall'intervento di cui allo schema di decreto, con l'indicazione delle relative retribuzioni onnicomprensive, nonché un elenco recante tutte quelle posizioni che - alla luce dell'interpretazione letterale della norma di riferimento - risulterebbero escluse dall'applicazione dello stesso schema di decreto, pur superando il parametro massimo indicato all'articolo 3 del provvedimento medesimo.
Il ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, intervenuto nella seduta delle Commissioni riunite svoltasi ieri, ha informato di aver richiesto al Ministero dell'economia e delle finanze, senza però ottenere fino a questo momento risposta, l'elenco dei trattamenti onnicomprensivi superiori a quello del primo presidente della Cassazione e di avere, altresì, diramato una circolare per chiedere a tutte le pubbliche amministrazioni interessate di comunicare i dati in questione entro giovedì 23 febbraio prossimo.
Preso atto di tale circostanza, abbiamo pertanto ritenuto opportuno investirLa della questione, anche nella sua veste di Ministro dell'economia e delle finanze, affinché le Commissioni riunite possano disporre, entro la giornata di domani, giovedì 23 febbraio 2012, dei dati e delle informazioni utili all'espressione di un parere sul provvedimento che sia il più possibile consapevole e basato su oggettivi elementi di conoscenza.
Certi di poter contare sulla Sua attenzione, cogliamo l'occasione per inviarLe i migliori saluti».
Chiede quindi al ministro se vi siano elementi di novità rispetto ai dati richiesti.
Il ministro Filippo PATRONI GRIFFI deposita agli atti delle Commissioni un documento recante i dati relativi alle retribuzioni superiori a 294 mila euro (vedi allegato).
Precisa che il documento reca una parte consistente, anche se non ancora la totalità, dei dati richiesti dalle Commissioni. In particolare, il documento rappresenta in modo completo la situazione relativa ai ministeri e deve pertanto essere letto nel senso che, per i ministeri non indicati nel documento, non risultano trattamenti onnicomprensivi superiori al limite di 294 mila euro.
Specifica che ai fini della redazione del documento non si è potuto tenere conto di eventuali emolumenti corrisposti per incarichi esterni, sia perché occorre per questo più tempo, sia perché occorre capire come si debbano considerare i casi di cumulo di retribuzione ed emolumenti connessi a incarichi nell'ambito di società pubbliche, i quali ultimi sono oggetto dell'articolo 23-bis del decreto-legge n. 201 del 2011, e quindi di una disposizione diversa da quella cui il Governo dà attuazione con lo schema di decreto in esame.
Donato BRUNO, presidente e relatore per la I Commissione, a nome delle Commissioni, ringrazia il ministro per la collaborazione.
Renato BRUNETTA (PdL) ringrazia il ministro Patroni Griffi per l'importante contributo ai lavori delle Commissioni.
Ricorda però che per la piena ottemperanza al decreto legislativo n. 150 del 2009 e alle norme correlate occorre che siano resi pubblici tutti i trattamenti economici, compresi quelli inferiori al limite massimo, dei dirigenti pubblici di prima e di seconda fascia e dei capi dipartimento. Sottolinea che la conoscenza del quadro complessivo delle retribuzioni dei dirigenti del pubblico impiego è fondamentale per una piena valutazione dei problemi. Ritiene quindi che i dati forniti dal ministro Patroni Griffi dovrebbero essere integrati nel senso anzidetto.
Conclude esprimendo apprezzamento per questo inizio, che giudica buono anche se tardivo.
Linda LANZILLOTTA (Misto-ApI) si associa ai ringraziamenti rivolti al ministro Patroni Griffi, il quale ha confermato che, se si vuole, è possibile attuare le norme per la trasparenza delle retribuzioni pubbliche. Rileva, tuttavia, che i dati completi sulle retribuzioni superiori al limite massimo sono, sì, importanti e utili, ma non indispensabili alle Commissioni per esprimere il parere, che, a suo avviso, deve soprattutto contenere indicazioni in merito alle modifiche legislative che è necessario apportare alla norma base, le quali potranno essere introdotte con il primo provvedimento utile e dovranno prevedere anche sanzioni per la violazione degli obblighi relativi alla pubblicità e al limite massimo delle retribuzioni a carico delle finanze pubbliche.
Mario TASSONE (UdCpTP) ritiene importante aver acquisito i dati forniti oggi dal Governo, anche perché è nota la complessità della dialettica interna al Governo. Ricorda però di aver chiesto chiarimenti in merito ai consulenti, che in certe amministrazioni hanno assunto posizioni dominanti, e alle agenzie in house, collegate ai ministeri. Si tratta di fattispecie forse estranee allo schema di decreto in esame, ma è, a suo giudizio, importante capire se c'è la volontà del Governo di intervenire e fare chiarezza anche in questo ambito, ancorché in un altro provvedimento.
Giuliano CAZZOLA (PdL), pur condividendo la ragionevole posizione del deputato Lanzillotta in ordine all'esigenza di procedere sollecitamente lungo l'iter di esame del provvedimento, a prescindere dall'acquisizione dei dati riguardanti i trattamenti economici degli alti dirigenti pubblici, ritiene che la presa di conoscenza di tali informazioni arricchisca in modo significativo il dibattito e ponga la Commissione nelle condizioni di assumere una decisione più consapevole e ponderata.
Fa notare, quindi, che il quadro informativo messo a disposizione dal Ministro, seppur ancora incompleto, sembrerebbe evidenziare una tendenza di incoraggiante contenimento della spesa pubblica nel comparto pubblico, atteso che solamente in alcuni limitati e anomali casi si registrerebbe un superamento del limite massimo previsto dal testo in esame, rientrando i livelli retributivi della maggior parte delle posizioni amministrative apicali nei canoni di una corretta e normale dinamica salariale.
Ciò consentirebbe alla Commissione di valutare il provvedimento con maggiore tranquillità e attenzione, dal momento che, qualsiasi scelta verrà assunta, non vi sarà alcun rischio di determinare in modo unilaterale - a causa della natura indeterminata e vaga del disposto legislativo da attuare - ricadute sui livelli strutturali retributivi dell'intero settore pubblico, come da lui stesso paventato nel corso di un precedente intervento.
Matteo BRAGANTINI (LNP) osserva che, quando si parla di retribuzioni onnicomprensive, si dovrebbero tenere in conto anche i vari vantaggi o benefici a carattere non pecuniario attribuiti ad una persona: ad esempio la disponibilità di autovetture o di appartamenti di proprietà pubblica o pagati con risorse pubbliche.
Donato BRUNO, presidente e relatore per la I Commissione, nessun altro chiedendo di intervenire, rassicura la deputata Lanzillotta che, a prescindere dal fatto che i dati mancanti pervengano o meno, i presidenti si riservano, in qualità di relatori, di presentare nella prossima seduta, che sarà convocata per martedì 28 febbraio, una proposta di parere che tenga conto del dibattito.
Informa, inoltre, che la competente Commissione del Senato ha previsto un percorso analogo, in modo che i pareri di entrambe le Camere siano resi nella stessa giornata mercoledì 29 febbraio.
Rinvia quindi il seguito dell'esame ad altra seduta.
La seduta termina alle 15.
ALLEGATO
Schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri concernente la definizione del limite massimo riferito al trattamento economico annuo onnicomprensivo per i pubblici dipendenti indicati nell'articolo 23-ter del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214 (atto n. 439).
DOCUMENTO DEPOSITATO DAL GOVERNO
COMMISSIONI RIUNITE
I (Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni)
e XI (Lavoro)
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ATTI DEL GOVERNO
Martedì 28 febbraio 2012. - Presidenza del presidente della XI Commissione Silvano MOFFA. - Interviene il ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, Filippo Patroni Griffi.
La seduta comincia alle 13.40.
Schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri concernente la definizione del limite massimo riferito al trattamento economico annuo onnicomprensivo per i pubblici dipendenti indicati nell'articolo 23-ter del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214.
Atto n. 439.
(Seguito dell'esame e rinvio).
Le Commissioni proseguono l'esame del provvedimento, rinviato, da ultimo, nella seduta del 23 febbraio 2012.
Silvano MOFFA, presidente, ricorda che, secondo quanto convenuto nella precedente seduta, oggi proseguirà il dibattito sul provvedimento all'esame delle Commissioni riunite, a conclusione del quale i presidenti - in veste di relatori - presenteranno la propria proposta di parere, che sarà posta in votazione nella seduta già convocata per la giornata di domani.
Con l'occasione, peraltro, chiede preliminarmente al Ministro Patroni Griffi di fornire un chiarimento in ordine alla questione del limite massimo del trattamento onnicomprensivo: segnala, infatti, che l'articolo 3 dello schema di decreto in esame riporta una cifra, pari a circa 304.000 euro, corrispondente al trattamento del Primo Presidente della Corte di Cassazione, che sarebbe stata ridotta a circa 294.000 euro a seguito di quanto comunicato dal Ministro stesso nella scorsa settimana. Al riguardo, chiede al Ministro di illustrare le ragioni di tale riduzione, atteso che il Governo ha riportato la cifra in un atto sottoposto al parere parlamentare e, dunque, le Commissioni riunite devono poter comprendere se la correzione è frutto di un mero errore materiale o di modifiche nel frattempo intervenute nel trattamento del Primo Presidente.
Il Ministro Filippo PATRONI GRIFFI osserva che - poiché il dato relativo al trattamento economico del primo presidente della Corte di cassazione, preso a riferimento ai fini della definizione del parametro massimo delle retribuzioni dei pubblici dipendenti, è frutto del maturato economico e delle progressioni di carriera relative al soggetto che è chiamato a ricoprire tale incarico - esso risulta un elemento soggetto a variazioni annuali: la cifra riportata all'articolo 3 dello schema di decreto, dunque, era quella riferita all'anno 2010, mentre il Governo, avendo nel frattempo acquisito il dato concernente l'anno 2011, come comunicato dal Ministero competente, ha conseguentemente riferito alle Commissioni riunite il nuovo ammontare del trattamento.
Linda LANZILLOTTA (Misto-ApI) ritiene essenziale - per evitare che nelle dinamiche delle retribuzioni più alte si determinino spinte distorsive e in sostanza che la nomina del primo presidente della Corte di cassazione possa essere condizionata da interessi impropri al fine di determinare effetti di «galleggiamento» - stabilire come parametro delle retribuzioni un importo fisso, anziché un importo variabile a seconda della persona del primo presidente.
Giulio SANTAGATA (PD), partendo dall'evidente incompletezza della documentazione consegnata dal Governo alle Commissioni riunite, che non prende in considerazione neanche il cumulo di incarichi e retribuzioni da parte delle medesime figure amministrative elencate, dichiara il proprio stupore di fronte a talune notizie pubblicate dagli organi di informazione, in base alle quali sembrerebbe che l'organismo di vigilanza al quale è demandato il compito di verificare il grado di trasparenza nella pubblica amministrazione si sarebbe rivolto alla Guardia di finanza per acquisire informazioni sui trattamenti economici dei pubblici dirigenti. Nel far notare che tali dati dovrebbero essere normalmente acquisiti attraverso l'utilizzo di ordinari canali di comunicazione con l'Esecutivo, si chiede se non sia il caso di riflettere sul corretto funzionamento degli organismi competenti in materia, affinché, invece di impressionare l'opinione pubblica attraverso azioni spettacolari e propagandistiche, si punti davvero all'efficienza dell'azione amministrativa.
Doris LO MORO (PD), dopo aver premesso di ritenere necessaria una modifica della norma di legge alla base dello schema di decreto in esame ed essersi richiamata, su questo aspetto, all'intervento svolto in una precedente seduta dal collega Bressa, esprime l'avviso che, alla luce della giurisprudenza di merito, nonché di quella della Corte costituzionale e addirittura della Corte europea dei diritti dell'uomo, non si possa, tanto meno sulla base di una disposizione di legge inadeguata come quella di cui all'articolo 23-ter del decreto-legge n. 201 del 2001, incidere sulle retribuzioni in essere, il cui ammontare è stabilito da contratti vigenti.
Fa presente che attribuire effetto retroattivo alla misura del taglio delle retribuzioni apicali comporta il rischio di uno scardinamento dell'ordinamento. I principi non si possono infatti applicare solo quando piacciono. Mettere in discussione principi che la giurisprudenza ha consolidato nei decenni significa smantellare tutele che sono a vantaggio anche e soprattutto dei percettori di retribuzioni basse.
Invita quindi a riflettere che la qualità di una classe politica si riconosce dalla qualità delle sue decisioni, che non possono essere arbitrarie e prive di aderenza ai principi dell'ordinamento come enucleati dalla giurisprudenza di merito e da quella costituzionale, le quali praticamente da sempre hanno sancito il divieto della reformatio in peius, nonché il principio della tutela dell'affidamento dei cittadini, che, nel caso di specie, è affidamento nella validità di contratti stipulati secondo la legge. Si tratta di principi che sono stati dalla Corte costituzionale in qualche caso circostanziati e dettagliati, ma mai messi in dubbio.
A questo proposito osserva che la sentenza della Corte costituzionale n. 303 del 2011, richiamata dalla collega Madia nel corso del dibattito, non pone in alcun modo in discussione i predetti principi, in quanto tratta di tutt'altro: non interviene infatti in merito di retribuzioni, bensì di risarcimento del danno.
A suo avviso, quindi, lo stesso ragionamento che ha indotto il Governo a introdurre nello schema in esame le cautele di cui all'articolo 1, comma 2, e all'articolo 5, volte a rispettare la validità della contrattazione per le retribuzioni al di sotto del tetto massimo, deve valere anche per le retribuzioni di ammontare superiore: infatti la norma di cui all'articolo 23-ter deve ritenersi, sì, imperativa e inderogabile dalla contrattazione, ma solo per il futuro, non potendo, come ogni norma, avere effetti retroattivi e dispiegare quindi la propria efficacia sui contratti già stipulati sulla base di disposizioni di legge vigenti all'epoca della stipula.
Ritiene, quindi, che le Commissioni debbano evidenziare, nel parere che esprimeranno al Governo, questi possibili profili di illegittimità del decreto in esame e di incostituzionalità della norma di base.
Ritiene, inoltre, che il Governo avrebbe dovuto affrontare la questione degli amministratori delle società pubbliche insieme con quella dei dirigenti apicali, dando attuazione contemporaneamente all'articolo 23-bis e all'articolo 23-ter del decreto-legge n. 201 del 2011, non solo perché è necessaria una valutazione d'insieme di queste due misure, ma anche perché occorre che la questione complessiva sia valutata anche alla luce del rischio che i manager pubblici più capaci passino al settore privato, dove non esistono limiti di retribuzione.
Raffaele VOLPI (LNP), premesso che il suo gruppo è favorevole a un intervento di contenimento delle retribuzioni apicali, osserva che la deputata Lo Moro ha svolto un ragionamento attento, sul quale sarebbe necessaria una riflessione.
Ribadisce quindi le perplessità da lui già sollevate in un precedente intervento rispetto alla scelta del Governo di prorogare il termine per l'attuazione dell'articolo 23-bis del decreto-legge n. 201 del 2011, in materia di contenimento degli emolumenti dei componenti dei consigli di amministrazione delle società pubbliche, osservando che sarebbe stato utile svolgere un'unica discussione sui compensi dei manager delle aziende pubbliche e sulle retribuzioni dei dirigenti della pubblica amministrazione.
Dopo aver ricordato, quindi, che nel privato il sistema della concorrenza vige anche per la selezione dei manager e che il riconoscimento del merito avviene mediante la definizione del compenso, si chiede in che modo il Governo pensi di poter assicurare la valorizzazione del merito nel pubblico nel momento in cui procede con un indiscriminato taglio lineare degli emolumenti. A suo avviso, infatti, una volta stabilito un tetto, l'unico modo per diversificare i meriti e i gradi di responsabilità e di impegno è rimodulare tutte le retribuzioni pubbliche per ripristinare una proporzione tra emolumenti e responsabilità; diversamente non c'è altro modo di rendere apprezzabili e competitive alcune posizioni.
Per quanto riguarda poi le società controllate dallo Stato, ricorda che i compensi degli amministratori sono decisi con un semplice provvedimento del ministro dell'economia e delle finanze, senza bisogno di una legge apposita. Ritiene in ogni caso importante sapere - e chiede pertanto al Governo di chiarirlo - quanti sono i componenti dei consigli di amministrazione delle diverse società pubbliche. Chiede altresì se corrisponda al vero che esisterebbe una società pubblica che assicura ai componenti dei consigli di amministrazione, alla scadenza del mandato, un contratto da dirigenti.
Giuliano CAZZOLA (PdL) dichiara di avere riflettuto a lungo, in questi giorni, sulla posizione personale da assumere nei confronti del provvedimento in esame, giungendo alla determinazione che - trattandosi di votare una proposta di parere e non uno schema di decreto, che rientra, al contrario, nella responsabilità dell'Esecutivo - si può avere piena fiducia nell'equilibrio dei relatori, che sicuramente riporteranno anche talune valutazioni problematiche emerse dal dibattito. Ritiene che il provvedimento non possa far altro che dare attuazione alle disposizioni di legge - peraltro frutto di una iniziativa parlamentare - così come attualmente formulate, eventualmente recependo i suggerimenti che le Commissioni riunite intenderanno formulare. Ritiene, quindi, opportuno che si valuti con estrema attenzione l'esigenza di ricondurre la definizione del parametro massimo di riferimento a criteri di maggiore flessibilità, evitando di introdurre elementi di rigidità nell'ordinamento che possano portare ad una reazione a catena sfavorevole per i trattamenti dei pubblici dipendenti. Ritiene, pertanto, necessario ipotizzare soluzioni normative più equilibrate, che, piuttosto che fare riferimento ad un limite economico massimo definito, individuabile sulla base del trattamento economico del primo presidente della Corte di cassazione, tengano conto eventualmente della pluralità degli incarichi assunti dai dirigenti pubblici.
Richiamata l'esigenza di non effettuare scelte basate sulla volontà di ritorsione, ribadisce, in conclusione, la propria fiducia nella capacità dei relatori di formulare una proposta di parere equilibrata e razionale, che sappia indirizzare il Governo verso forme di intervento efficaci, sottraendosi alla tentazione di dare ascolto, sempre e comunque, agli umori della piazza: si rischierebbe, in caso contrario, a suo avviso, di incorrere - come è accaduto in passato - alla legittimazione di interventi autoritari, lesivi dei diritti fondamentali dei cittadini, fatti passare come giustificabili sulla base della stessa volontà popolare.
Mario TASSONE (UdCpTP) ritiene essenziale chiarire il dato culturale: non si tratta, a suo avviso, di punire alcuni o di riportare le retribuzioni al di sotto di un determinato livello - e in sostanza di mercanteggiare su quale debba essere tale livello e quali voci retributive debbano essere considerate per accertare se questo livello è superato oppure no - ma di stabilire un orientamento culturale. A suo avviso, deve essere questo il compito del Parlamento.
Pierluigi MANTINI (UdCpTP), dopo aver brevemente richiamato i diversi rilievi di incostituzionalità cui si esporrebbe una applicazione retroattiva della misura del tetto alle retribuzioni pubbliche, da lui già evidenziati in precedenti interventi, ed aver ribadito che l'intervento sulle retribuzioni rischia di determinare una disparità irragionevole di trattamento tra soggetti che rivestono posizioni analoghe e una violazione del principio di divieto di reformatio in peius e di quello di tutela del legittimo affidamento, osserva che si darebbe luogo anche ad un appiattimento retributivo contrario ad ogni logica concorrenziale e meritocratica.
Nel ricordare, quindi, che la norma di base consente di prevedere deroghe motivate per le posizioni apicali delle rispettive amministrazioni, invita il Governo a valutare la possibilità di avvalersi di questa opportunità utilizzandola per salvaguardare le posizioni contrattuali già in essere, disponendo quindi che la misura in discussione si applichi a decorrere non da oggi ma a partire da un momento successivo - per esempio tra tre anni - e, in definitiva, stabilendo un regime transitorio.
Conclude sottolineando che una politica dei redditi si può fare, ma non in modo prevaricatorio, imponendo ai privati di subire posizioni di forza irragionevoli e unilaterali.
Silvano MOFFA, presidente, essendosi concluso il dibattito di carattere generale sul provvedimento in titolo, avverte che i relatori hanno predisposto una proposta di parere favorevole (vedi allegato), nella quale sono state registrate le diverse questioni emerse nel corso dell'esame: la votazione del parere di competenza delle Commissioni riunite, come già stabilito, avrà luogo nella giornata di domani.
Rinvia, quindi, il seguito dell'esame ad altra seduta.
La seduta termina alle 14.25.
ALLEGATO
Schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri concernente la definizione del limite massimo riferito al trattamento economico annuo onnicomprensivo per i pubblici dipendenti indicati nell'articolo 23-ter del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214 (atto n. 439).
PROPOSTA DI PARERE DEI RELATORI
Le Commissioni riunite I e XI,
esaminato lo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri concernente la definizione del limite massimo riferito al trattamento economico annuo onnicomprensivo per i pubblici dipendenti indicati dall'articolo 23-ter, comma 1, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214 (atto n. 439);
premesso che lo scopo del provvedimento è quello di dare attuazione al citato articolo 23-ter del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, il quale, al comma 1, prevede che con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti, sia definito il trattamento economico annuo onnicomprensivo di chiunque riceva emolumenti o retribuzioni a carico delle finanze pubbliche in virtù di un rapporto di lavoro, subordinato o autonomo, con pubbliche amministrazioni statali di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ivi incluso il personale non contrattualizzato, stabilendo come parametro massimo di riferimento il trattamento economico del primo presidente della Corte di cassazione;
premesso, altresì, che la finalità generale della disposizione di legge citata risponde all'esigenza ineludibile di attuare una revisione dei trattamenti retributivi erogati dalle pubbliche amministrazioni nell'ambito di rapporti di lavoro autonomo o dipendente e che tale finalità, nel rispetto dei principi costituzionali, deve essere realizzata con tempestività, anche al fine di rispondere ad una razionale riduzione dei costi relativi agli apparati pubblici e più in generale dei costi derivanti da attività poste a carico della finanza pubblica;
considerato, quanto all'ambito di applicazione della disciplina e alle categorie di destinatari, che:
in materia di limitazione di trattamenti economici risultano in vigore disposizioni riconducibili a fonti di diverso rango (legge, decreto-legge, regolamento di delegificazione) che danno luogo ad un assetto normativo composito e caratterizzato da sovrapposizioni di regimi e di assetti normativi differenziati;
con riferimento all'ambito di applicazione della disciplina legislativa recata dal citato articolo 23-ter, risulta inclusa solo una parte delle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 2 del d.lgs. n. 165 del 2001; l'articolo 23-ter del decreto-legge n. 201/2011 si riferisce, infatti, alle pubbliche amministrazioni statali di cui all'articolo 1, comma 2, del D.Lgs. n. 165/2001 e in base alla formulazione letterale dell'articolo 1, comma 2, del D.Lgs. n. 165/2001, le amministrazioni dello Stato sembrano costituire solo una parte delle amministrazioni pubbliche indicate nell'articolo stesso, il quale riconduce espressamente a tale categoria - oltre alle amministrazioni statali in senso stretto (in particolare, le amministrazioni centrali dello Stato) - solo gli istituti e le scuole di ogni ordine e grado, le istituzioni educative e le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, mentre le altre amministrazioni pubbliche indicate dall'articolo 1, comma 2, del D.Lgs. n. 165/2001 (le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo n. 300 del 1999, compreso il CONI) non appaiono riconducibili al novero delle pubbliche amministrazioni statali cui fa riferimento tanto l'articolo 23-ter, quanto lo schema in oggetto;
tale esclusione potrebbe dare luogo ad una disparità di trattamento tra soggetti chiamati a svolgere prestazioni simili, in assenza di una ragionevole giustificazione del trattamento differenziato;
l'articolo 23-ter ha espressamente incluso tutto il personale di cui all'articolo 3 dello stesso D.Lgs. n. 165/2001 e che per effetto di tale rinvio risultano assoggettati alla disciplina dell'articolo 23-ter anche «i dipendenti degli enti che svolgono la loro attività nelle materie contemplate dall'articolo 1 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 17 luglio 1947, n. 691, e dalle leggi 4 giugno 1985, n. 281, e successive modificazioni ed integrazioni, e 10 ottobre 1990, n. 287» e che in queste materie operano soltanto alcune Autorità indipendenti;
lo schema in oggetto, all'articolo 1 include invece indistintamente tutte le Autorità amministrative indipendenti nel novero dei soggetti destinatari delle disposizioni da esso recate, ponendosi in tal modo al di fuori dei limiti e delle prescrizioni normative contenute nel citato articolo 23-ter;
l'articolo 23-bis del citato decreto-legge n. 201/2011, rinvia all'adozione di un decreto del Ministro dell'economia, da emanare - a seguito delle modifiche apportate dal decreto legge di proroga di termini n. 216 del 2011 - entro il 31 maggio 2012, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti, l'individuazione di fasce alle quali riportare le società non quotate, direttamente controllate dal Ministero dell'economia e delle finanze ai sensi dell'articolo 2359, primo comma, numero 1), del codice civile, con determinazione per ogni fascia del compenso massimo al quale i consigli di amministrazione di dette società devono fare riferimento, per la determinazione degli emolumenti da corrispondere, ai sensi dell'articolo 2389, terzo comma, del codice civile.
tale sfasamento temporale - oltre che la differenziata geometria della platea dei destinatari - non consente di definire un quadro complessivo omogeneo e coerente con riferimento a tutti gli emolumenti che nei diversi ambiti e all'interno di distinti regimi vengono erogati a coloro che sono chiamati a svolgere attività al servizio di pubbliche amministrazioni, enti o società a carico della finanza pubblica;
la definizione di tale quadro complessivo di disciplina in termini di omogeneità, coerenza e completezza è indispensabile, anzitutto, per non introdurre immotivate differenze di trattamento tra soggetti che svolgono analoghe funzioni, nonché al fine di stimolare la competitività, di promuovere il merito e di assicurare l'equità nei trattamenti - a parità di impegno profuso e di livello di responsabilità assunto - fra coloro che sono chiamati a vario titolo a svolgere funzioni o attività in settori a carico della finanza pubblica;
la fissazione di un tetto massimo dei trattamenti retributivi dovrebbe essere oggetto di ulteriore riflessione, proprio per valutare i profili di ingiustificata disparità di trattamento che si potrebbero determinare alla luce della composita e stratificata legislazione vigente e i profili di irragionevole incidenza sull'attuale assetto del sistema retributivo, con evidente lesione del principio di buona organizzazione delle pubbliche amministrazioni;
tutti i profili di incertezza esposti non possono considerarsi risolti alla luce della documentazione presentata dal Governo alle Commissioni riunite, che appare - per un verso - incompleta sotto il profilo delle amministrazioni interessate e che - per altro verso - include talune delle posizioni sopra richiamate, senza chiarire in base a quale disposizione di legge esse possano considerarsi inserite nella platea dei destinatari; la predetta documentazione, inoltre, non sembra tenere conto di tutti gli emolumenti corrisposti, a qualsiasi titolo, alle posizioni interessate e, in particolare, non sembra in alcun modo in grado di fare chiarezza sul tema del cumulo di più incarichi (e delle correlative retribuzioni percepite), con ciò rischiando di porre sul medesimo piano figure professionali la cui retribuzione - in tal caso, da ritenersi senza dubbio onnicomprensiva - è legata allo svolgimento, in via esclusiva e assorbente, di un unico incarico di responsabilità con quelle figure professionali che, invece, assommano una pluralità di emolumenti legati a una pluralità di incarichi;
è da ritenersi, pertanto, necessario un intervento correttivo della disciplina recata dall'articolo 23-ter, per definire, al fine di evitare ingiustificate disparità di trattamento, un ambito di applicazione il più coerente possibile, disponendo, altresì, che la disciplina medesima costituisca un indirizzo al quale le Regioni devono conformare il proprio ordinamento;
è necessario peraltro che l'intervento legislativo correttivo abbia carattere di stabilità e di organicità, al fine di evitare che l'assenza di una disciplina coerente e razionale determini una condizione di destrutturazione dell'assetto delle pubbliche amministrazioni, che - a causa del susseguirsi di interventi episodici e frammentari che rendono incerto lo stato giuridico ed economico di quanti operano nella pubblica amministrazione - rischia di minare il buon andamento dell'azione amministrativa;
considerato, quanto alla fissazione del parametro massimo di riferimento per gli emolumenti e le retribuzioni a carico della finanza pubblica, che:
l'articolo 23-ter del citato decreto n. 201 del 2011 demanda testualmente ad un atto emanato sotto forma di decreto del presidente del consiglio dei ministri la «definizione del trattamento economico annuo onnicomprensivo di chiunque riceva a carico delle finanze pubbliche emolumenti o retribuzioni», stabilendo come parametro massimo di riferimento il trattamento economico del primo presidente della Corte di Cassazione;
la «definizione del trattamento economico» di coloro che percepiscono una retribuzione da parte di pubbliche amministrazioni costituisce materia oggetto di contrattazione collettiva o individuale o materia dei singoli ordinamenti propri del personale in regime di diritto pubblico;
una corretta interpretazione del dettato normativo porta a ritenere che oggetto del DPCM non possa essere propriamente la «definizione del trattamento economico» e che esso debba limitarsi a indicare specificamente il limite massimo retributivo da assumere come riferimento nella determinazione dei trattamenti del personale delle pubbliche amministrazioni;
questa impostazione è fatta propria dall'articolo 1 dello schema in esame, nella parte in cui chiarisce e delimita il proprio oggetto, stabilendo che «il presente decreto, adottato in attuazione..., fissa il livello remunerativo massimo onnicomprensivo annuo degli emolumenti..., fermo restando che la definizione, al di sotto del suindicato limite, dei rispettivi trattamenti economici resta di competenza del contratto collettivo nazionale e della contrattazione interna a ciascuna amministrazione e, per i dirigenti pubblici, della contrattazione individuale»;
la fissazione di un livello massimo per le retribuzioni del pubblico impiego, se correttamente intesa come misura volta a generare un riequilibrio complessivo nella determinazione degli emolumenti spettanti ai pubblici dipendenti, non può che costituire il presupposto di un processo di adeguamento che deve avvenire nel rispetto dei principi costituzionali posti a presidio della piena e razionale funzionalità delle amministrazioni pubbliche, nonché dei principi costituzionali che attengono alla determinazione della retribuzione e alla ragionevolezza, proporzionalità e ponderazione dell'azione amministrativa;
l'articolo 3 dello schema in oggetto, nel determinare il limite massimo retributivo, stabilisce che il trattamento economico annuo onnicomprensivo dei soggetti destinatari delle disposizioni del decreto, qualora superiore al limite stesso, «si riduce al predetto limite»;
tale disposizione, qualora venga interpretata come idonea a incidere in maniera immediata sui trattamenti in essere, non può comunque applicarsi in via immediata ai trattamenti stipendiali correlati ad attività lavorative stabili, esclusive e continuative, fondate su un incardinamento del personale nell'organizzazione delle pubbliche amministrazioni e, dunque, sulla determinazione di livelli retributivi tabellari o di base, attribuiti dalla legge o dalla contrattazione collettiva in ragione dell'appartenenza a carriere definite a presidio della specifica funzione pubblica esercitata;
tale impostazione discende dai principi generali e dalle regole che disciplinano le modalità di definizione dei trattamenti dei dipendenti e dei dirigenti delle pubbliche amministrazioni; fra tali principi assume particolare rilievo nell'esame dello schema in oggetto, il divieto di reformatio in peius dei trattamenti spettanti ai lavoratori dipendenti; tale principio, elaborato dalla giurisprudenza sulla base dell'articolo 202 del decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, recante il testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato, è stato costantemente inteso come espressione del generale principio di imparzialità e buon andamento nell'organizzazione delle pubbliche amministrazioni, che impone, in particolare, il rispetto delle posizioni giuridiche soggettive consolidate;
il divieto di reformatio in peius è posto a protezione dei diritti quesiti intangibili da parte della pubblica amministrazione, la quale non può incidere in senso negativo sul maturato economico raggiunto dal pubblico dipendente delle cui prestazioni lavorative intenda continuare a valersi;
il divieto di reformatio in peius trova applicazione per tutte le amministrazioni pubbliche e il suo radicamento nell'ordinamento giuridico è confermato dalla Corte Costituzionale, che ha avuto modo di affermare (cfr., tra le altre, sentenza n. 153 del 1985) che «il divieto di una siffatta reformatio è ormai talmente consolidato che non occorre neppure menzionarlo nelle disposizioni di legge che hanno ad oggetto il trattamento medesimo: si tratta di un principio generale elaborato e costantemente affermato dalla giurisprudenza»; valutato, inoltre, che la Corte nella propria giurisprudenza, ha successivamente precisato che il principio si lega al carattere di «stabilità» e di continuità del rapporto di lavoro, ammettendosi interventi idonei ad incidere negativamente su trattamenti economici in essere unicamente in caso di rapporti di lavoro «precari» o in caso di mutamenti nell'organizzazione e nella disciplina dei rapporti di lavoro a seguito dei quali venga a mutare il rapporto tra prestazione resa e retribuzione percepita;
considerato, con riferimento al contenuto degli articoli 3 e 4, che:
pur non essendo espressamente previsto dallo schema di decreto, l'articolo 3, che si riferisce al trattamento economico annuo omnicomprensivo, non può che interpretarsi nel senso che tale trattamento deve riferirsi al totale dei compensi complessivamente percepiti dal dipendente, a qualsiasi titolo, e conseguentemente non può comprendere anche l'ammontare dei contributi versati dallo stesso, i quali - come risulta del tutto evidente - non rientrano neanche nella base imponibile ai fini della determinazione del reddito della singola persona fisica;
l'articolo 3, comma 3, stabilisce che il «trattamento economico annuo onnicomprensivo, incluse le indennità e le voci accessorie spettanti al personale che riveste la carica di Presidente o di componente delle autorità amministrative indipendenti non può superare l'ammontare di cui al comma 1», disponendo che qualora il trattamento sia superiore, esso si riduce entro il limite massimo fissato al comma 1 del medesimo articolo;
i componenti e i presidenti delle Autorità amministrative indipendenti non possono essere considerati in senso proprio «personale», né possono ritenersi parti di un «rapporto di lavoro subordinato o autonomo», restando pertanto esclusi dall'ambito di applicazione della disciplina in esame;
qualora si ritenesse la disposizione di cui all'articolo 3, comma 3, applicabile esclusivamente al «personale» dipendente di pubbliche amministrazioni statali chiamato a rivestire la carica di presidente o di componente di una Autorità amministrativa indipendente, si darebbe luogo ad una violazione del principio di parità di trattamento tra soggetti chiamati a svolgere identiche funzioni;
sono da considerarsi esclusi dalla disposizione di cui all'articolo 4, relativa al limite alla retribuzione o indennità riconosciuta ai pubblici dipendenti in servizio presso Ministeri o enti pubblici nazionali, i componenti e i Presidenti delle Autorità amministrative indipendenti, i quanto l'articolo 23-ter fa riferimento, al comma 2, esclusivamente al «personale» delle medesime Autorità;
occorrerebbe, sempre con riferimento alle disposizioni contenute nell'articolo 4 dello schema, modificare - in occasione dell'intervento legislativo correttivo sopra auspicato - il comma 2 del citato articolo 23-ter del decreto-legge n. 201 del 2011, il quale - nel prevedere che il personale chiamato all'esercizio di funzioni direttive, anche in posizione di fuori ruolo o aspettativa, presso Ministeri o enti pubblici nazionali, comprese le autorità amministrative indipendenti, ove conservi il trattamento economico riconosciuto dall'amministrazione di appartenenza, non può ricevere, a titolo di retribuzione o di indennità per l'incarico ricoperto, o anche soltanto per il rimborso delle spese, più del 25 per cento dell'ammontare complessivo del trattamento economico percepito - non tiene conto delle posizioni oggettivamente diverse che è dato riscontrare nelle posizioni apicali delle amministrazioni e negli uffici di diretta collaborazione all'interno dei quali si rinvengono forme di collaborazione differenziate, sia sotto il profilo della quantità di apporto lavorativo (in quanto alcune sono svolte in forma continuativa, altre in forma discontinua e talora saltuaria), sia sotto il profilo dell'assunzione di responsabilità (dovendosi distinguere tra incarichi di consulenza e incarichi apicali);
occorrerebbe pertanto prevedere un'opportuna differenziazione tra queste posizioni mediante una graduazione dei diversi trattamenti che tenga conto del carattere continuativo o meno della collaborazione e della natura della stessa anche sotto il profilo dell'assunzione diretta di responsabilità; per conseguire efficacemente tale obiettivo si potrebbero prevedere in via normativa percentuali differenziate, nel rispetto delle quali la graduazione dei singoli trattamenti potrebbe essere affidata ad un decreto del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione che tenga conto, anche in ossequio all'articolo 36 della Costituzione, dei diversi apporti lavorativi e della loro natura; la norma, inoltre, dovrebbe essere volta ad evitare che, quando i titolari degli uffici di diretta collaborazione sono dipendenti interni, l'applicazione della disciplina comporti per essi retribuzioni inferiori a quelle normalmente percepite;
considerato, con riguardo all'articolo 5, che:
esso introduce una disposizione relativa al personale dirigenziale al quale non si applica il limite massimo di cui all'articolo 3, stabilendo che «le pubbliche amministrazioni valutano se provvedere o meno, in occasione del rinnovo del contratto individuale, alla ridefinizione del relativo trattamento economico»;
essendo stata posta, da più deputati nel corso del dibattito, la questione del valore giuridico e sostanziale dell'articolo in esame, che non sembra trovare alcun fondamento nell'articolo 23-ter e sembrerebbe, pertanto, risultare ultra vires, occorre precisare che questa disposizione non appare lesiva dell'autonomia negoziale delle parti del rapporto di lavoro pubblico, soltanto se si interpreta nel senso che essa non viola la competenza contrattuale alla definizione dei trattamenti economici, ma anzi chiarisce, proprio nel rispetto di tale competenza, che l'eventuale revisione dei trattamenti medesimi è possibile solo in occasione del rinnovo del contratto;
è evidente, dunque, che la norma in questione mira unicamente a precisare che la predetta revisione (da compiersi in sede di rinegoziazione contrattuale) potrebbe avvenire solo al di sotto del limite massimo retributivo;
è evidente, altresì, che la fissazione di un livello massimo per le retribuzioni del pubblico impiego comporta inevitabilmente una complessiva verifica con eventuale riparametrazione di tutti i livelli retributivi, al fine di non stravolgere i rapporti tra i trattamenti retributivi delle diverse categorie di personale, fondati sulla connessione tra livelli economici e livelli di responsabilità assunti, nel rispetto dei principi di valorizzazione del merito e di buon andamento della pubblica amministrazione, scongiurando inaccettabili fenomeni di appiattimento retributivo;
considerato, infine, con riferimento ad eventuali deroghe alla disciplina in esame, che:
sebbene consentito dalla norma primaria (articolo 23-ter, comma 3, del decreto-legge n. 201/2011), il Governo non ha inteso, allo stato, prevedere deroghe motivate per le posizioni apicali delle pubbliche amministrazioni;
in proposito deve riconoscersi che la previsione o meno di tali deroghe costituisce esercizio di una facoltà del Governo, il quale può legittimamente provvedere in tal senso purché dia atto, con rigorosa motivazione, delle ragioni giustificative della deroga;
ove il Governo intendesse esercitare tale facoltà, la deroga potrebbe riguardare unicamente le «posizioni di più alto livello di responsabilità», con esclusione degli uffici di diretta collaborazione ministeriale, conformemente alla disciplina già contenuta nell'articolo 3, comma 44, della 24 dicembre 2007, n. 244;
preso atto, infine, dei rilievi sulle conseguenze di carattere finanziario espressi, ai sensi dell'articolo 96-ter, comma 2, del Regolamento, dalla V Commissione (Bilancio), ai quali si fa espresso rinvio;
con le valutazioni di cui in premessa e raccomandando al Governo di apportare al testo le opportune modifiche,
esprimono
PARERE FAVOREVOLE
COMMISSIONI RIUNITE
I (Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni)
e XI (Lavoro)
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Mercoledì 29 febbraio 2012. - Presidenza del presidente della I Commissione Donato BRUNO. - Interviene il ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, Filippo Patroni Griffi.
La seduta comincia alle 14.35.
Schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri concernente la definizione del limite massimo riferito al trattamento economico annuo onnicomprensivo per i pubblici dipendenti indicati nell'articolo 23-ter del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214.
Atto n. 439.
(Seguito dell'esame e conclusione - Parere favorevole).
Le Commissioni proseguono l'esame del provvedimento, rinviato, da ultimo, nella seduta del 28 febbraio 2012.
Donato BRUNO, presidente e relatore per la I Commissione, ricorda che nella seduta di ieri i presidenti hanno presentato una proposta di parere, che è la rappresentazione esatta del dibattito svolto nelle Commissioni. Chiede, quindi, se vi siano osservazioni sulla proposta, assicurando che i presidenti sono pronti a integrarla o riformularla in vista della più ampia condivisione possibile.
Gianclaudio BRESSA (PD) dichiara che, anche se la proposta di parere dei relatori rispecchia, sia pure in modo parziale, l'andamento del dibattito, il suo gruppo non si riconosce in essa. Si tratta infatti di una proposta contraddittoria, in quanto, pur esprimendosi - alla fine - in senso favorevole, contiene premesse pesantemente critiche. Basti pensare che, mentre il provvedimento prevede l'immediata attuazione della misura, le premesse della proposta di parere mettono in discussione la legittimità di questa immediata attuazione: non si comprende come, con questa premessa, il parere possa essere favorevole.
Ad avviso del suo gruppo, la proposta di parere deve essere significativamente modificata; essa deve segnalare le «ombre» della norma di legge - cui si può porre rimedio con una novella, ma entro certi limiti, anche con il parere parlamentare - e nel contempo però avallare l'immediata applicazione del decreto, anche perché le questioni relative alla costituzionalità dell'intervento hanno ricevuto una esauriente risposta da parte del Governo, per il quale l'applicazione immediata della norma è possibile.
Afferma quindi che, se la proposta di parere sarà modificata per prevedere l'immediata applicazione del provvedimento ed eventualmente la possibilità di deroghe motivate sulla base degli indirizzi già dati dall'articolo 3, comma 44, della legge finanziaria per il 2008, il suo gruppo è disponibile a votare a favore di essa; se invece non dovesse essere modificata, il voto del suo gruppo sarà contrario.
Giuseppe CALDERISI (PdL) dà atto ai presidenti che la proposta di parere riflette il dibattito svolto, ma ritiene necessario che in essa si faccia riferimento, oltre che ai singoli interventi dei deputati, alle posizioni prevalenti dei gruppi.
A questo riguardo chiarisce che il suo gruppo converge con quello del Partito Democratico, nel senso di ritenere necessaria la modifica dell'articolo 23-ter del decreto-legge n. 201 del 2011 al fine di superare le incertezze e colmare le lacune, soprattutto al fine di precisare che l'ambito di applicazione della norma include tutte le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001, e quindi anche le regioni, gli enti locali, tutte le autorità amministrative indipendenti e tutti gli enti pubblici: le modifiche legislative dovrebbero essere introdotte quanto prima, in sede di conversione di uno dei decreti-legge all'esame del Parlamento, auspicabilmente mediante un emendamento di iniziativa parlamentare. Fa notare, inoltre, che il suo gruppo converge con quello del Partito Democratico anche nel ritenere necessaria una attuazione quanto più possibile celere della misura.
Ad avviso del suo gruppo, quindi, la proposta di parere dovrebbe avere una formulazione più asciutta e sintetica, nella quale si indichi la necessità di modificare la norma di base, ma nel contempo anche di emanare il decreto fin da ora, anche in considerazione delle rassicurazioni fornite dal ministro Patroni Griffi sulla immediata applicabilità della misura, sulla base delle inderogabili esigenze di contenimento della spesa.
Chiede, pertanto, ai presidenti di modificare la proposta di parere nel senso da lui indicato e preannuncia, in questo caso, il voto favorevole del suo gruppo.
Mario TASSONE (UdCpTP) osserva che non si tratta soltanto di contenere la spesa pubblica, ma anche di assicurare l'equità e la credibilità del Governo e in generale delle istituzioni. Concorda sulla necessità di rivedere la proposta di parere per renderla più asciutta e più definita.
Linda LANZILLOTTA (Misto-ApI) auspica che, come richiesto, la proposta di parere sia in parte modificata. Personalmente, ritiene sia possibile essere d'accordo su ciò che la proposta di parere dice riguardo a quello che non c'è nella legge e nello schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, e che va invece colmato nel senso indicato dal collega Calderisi, ovvero con una modifica da introdurre nell'ambito di uno dei decreti-legge all'esame del Parlamento.
È invece in disaccordo con la lettura dei diritti quesiti che viene data nella proposta di parere, ancorata ad una giurisprudenza costituzionale che faceva riferimento alla legislazione degli anni ottanta ma che è ora superata dalle norme del Trattato dell'Unione europea e dai vincoli comunitari vigenti, ai quali, com'è noto, la legislazione nazionale è subordinata. In base a tale interpretazione dei diritti quesiti, per cui la legge non può, di fatto, intervenire nei confronti di nessun trattamento economico con decorrenza immediata, non comprende come possano essere considerati legittimi tutti gli interventi che sono stati assunti nell'ultimo periodo riguardo ai pubblici dipendenti e alle pensioni: un'interpretazione così estensiva dei diritti quesiti e del divieto di reformatio in peius porterebbe dunque alla demolizione dell'intera legislazione finanziaria degli ultimi anni.
Auspica, pertanto, che si proceda ad una profonda revisione della proposta di parere.
Giovanni PALADINI (IdV), condividendo le finalità del provvedimento, tese ad un ridimensionamento della spesa pubblica in materia di retribuzioni dei pubblici dipendenti, auspica un miglioramento del testo, soprattutto in vista di una più puntuale definizione della platea dei destinatari e di una estensione del suo ambito di applicazione all'intero comparto pubblico, compresi gli enti locali e le società partecipate. Ritiene altresì importante indicare al Governo con precisione i criteri per l'ammissione delle deroghe, avendo cura, inoltre, di integrare, con opportune disposizioni, la disciplina in materia di rimborsi spese e consulenze, al fine di evitare di introdurre nell'ordinamento fattori di disparità di trattamento che possano dar luogo a contenziosi giudiziari.
Matteo BRAGANTINI (LNP) rileva come la proposta di parere abbia tenuto conto di alcuni aspetti evidenziati dai partiti di maggioranza, mentre non è stato preso in considerazione il rilievo da lui formulato in ordine all'opportunità di includere anche i benefits nel concetto di retribuzione onnicomprensiva.
Sottolinea, quindi, come sia il Governo sia la maggioranza, alla prova dei fatti, stiano trovando delle scuse per non approvare una reale limitazione dei compensi per le pubbliche amministrazioni e per le società controllate dallo Stato. Per il suo gruppo non è quindi possibile esprimere una valutazione favorevole sulla proposta di parere presentata, anche considerato che il Governo è già intervenuto sui diritti quesiti, come ad esempio sulle pensioni, con il blocco dell'indicizzazione. Ne deriva quindi una volontà dei gruppi PdL e PD di non difendere i cittadini, ma i burocrati dello Stato.
Sollecita l'avvio dell'esame da parte delle Commissioni riunite della proposta di legge presentata dal suo gruppo sui limiti alle retribuzioni, che comprende anche le società controllate e tutti gli organi, le società e le cooperative che ricevono contributi continuativi da parte dello Stato.
Ribadisce, infine, che da parte dei gruppi di maggioranza emerge la volontà di non toccare i burocrati italiani che hanno gli stipendi più alti del mondo, nonostante il momento di difficoltà economica in cui si trova il Paese. Si chiede, pertanto, se occorra aspettare di entrare in condizioni come quelle della Grecia per poter intervenire sugli stipendi dei dipendenti pubblici.
Donato BRUNO, presidente, alla luce degli interventi svolti, sospende brevemente la seduta, per consentire la riformulazione della proposta di parere dei relatori.
La seduta, sospesa alle 15.05, è ripresa alle 15.20.
Donato BRUNO, presidente e relatore per la I Commissione, presenta, anche a nome del relatore per la XI Commissione, una nuova proposta di parere (vedi allegato 1).
Massimiliano FEDRIGA (LNP) chiede alla presidenza di disporre di un tempo adeguato per la valutazione della nuova proposta di parere.
Donato BRUNO, presidente e relatore per la I Commissione, procede all'illustrazione dettagliata della nuova proposta di parere, dichiarando l'intenzione di porre le Commissioni riunite nelle condizioni di valutare con la massima consapevolezza tale documento.
Gianclaudio BRESSA (PD) chiede chiarimenti in ordine alla parte della proposta di parere, contenuta nel primo paragrafo del capoverso riferito agli articoli 3 e 4, che si riferisce all'impossibilità di comprendere nel limite massimo del trattamento del pubblico dipendente «anche l'ammontare dei contributi versati dallo stesso, i quali - come risulta del tutto evidente - non rientrano neanche nella base imponibile ai fini della determinazione del reddito della singola persona fisica».
Giuliano CAZZOLA (PdL) giudica evidente che l'inciso appena richiamato debba interpretarsi nel senso che la quota di contribuzione a carico del lavoratore si aggiunge al limite massimo della retribuzione, trattandosi di una voce che è esclusa dalla base imponibile.
Linda LANZILLOTTA (Misto-ApI) ritiene che occorra chiarire se la retribuzione considerata come limite massimo sia intesa al lordo o al netto degli oneri previdenziali e fiscali e, in questo caso, quali siano le voci espressamente contemplate.
Massimiliano FEDRIGA (LNP) ritiene anzitutto opportuno effettuare i necessari chiarimenti sulla questione contributiva, domandandosi se nel trattamento del primo presidente della Corte di cassazione non rientri anche la contribuzione previdenziale a suo carico: sarebbe, infatti, assurdo prevedere tale voce al di fuori del tetto retributivo.
Nel rilevare, inoltre, l'esigenza di prevedere l'immediata applicazione delle disposizioni ai contratti in essere, esprime perplessità sulle considerazioni svolte - nella nuova proposta di parere - in merito all'articolo 5, che sembrerebbe auspicare il rinvio alla contrattazione per l'applicazione del limite massimo retributivo.
Donato BRUNO, presidente e relatore per la I Commissione, ricorda come l'articolo 5 riguardi soltanto coloro le cui retribuzioni sono al di sotto del tetto previsto dall'articolo 3: l'intenzione è solo quella di chiarire che la futura contrattazione, anche per tali retribuzioni, dovrà tenere conto del tetto fissato dalla legge.
Renato BRUNETTA (PdL) prospetta l'opportunità di sopprimere il seguente periodo contenuto nella parte della proposta di parere riguardante gli articoli 3 e 4: «e conseguentemente non può comprendere anche l'ammontare dei contributi versati dallo stesso, i quali - come risulta del tutto evidente - non rientrano neanche nella base imponibile ai fini della determinazione del reddito della singola persona fisica». Sottolinea, infatti, come la norma parli di retribuzione onnicomprensiva e quindi i contributi debbano essere inclusi nel computo.
Giuliano CAZZOLA (PdL), intervenendo per una precisazione, fa presente che la contribuzione a carico del datore di lavoro è senza dubbio una voce del costo del lavoro e non della retribuzione lorda.
Renato BRUNETTA (PdL), riprendendo il proprio intervento, preannuncia il voto favorevole del suo gruppo sulla nuova proposta di parere presentata dai relatori. Ritiene, in particolare, positivo l'accoglimento dell'esigenza di revisione della normativa di riferimento, di estensione del tetto anche alle regioni, tenendo conto di quanto previsto dalla Costituzione, nonché di applicazione immediata della misura.
Sottolinea quindi la rilevanza della proposta di parere in discussione e del provvedimento in esame, che fanno seguito ad un tentativo già avviato con la legge 23 dicembre 2007, n. 244, che tuttavia è stata attuata con un risultato solo parziale. Con il parere delle Commissioni riunite e con l'articolo 23-ter del decreto-legge n. 201 del 2011 si sta invece uniformando il tetto di tutte le posizioni apicali al trattamento economico del primo presidente della Corte di cassazione, in considerazione delle esigenze di finanza pubblica.
Rileva come, in tal modo, si stia facendo un passo avanti importante verso la trasparenza e rispetto al quadro complessivo delle remunerazioni dei livelli apicali. Ritiene che così si stia completando al meglio quanto previsto dalla legge, ferma restando la possibilità di rivedere in senso migliorativo la formulazione della disposizione di riferimento.
Sottolinea, dunque, come il Parlamento abbia fatto un buon lavoro nell'approvazione della norma primaria, contenuta nel decreto-legge n. 201 del 2011, ed il Governo abbia adottato con coraggio lo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, che non potrà che essere - una volta emanato definitivamente - di immediata applicazione.
Linda LANZILLOTTA (Misto-ApI) esprime una valutazione favorevole sul provvedimento del Governo, che completa le decisioni assunte con il decreto-legge n. 201 del 2011. Rileva come sarà, al contempo, necessaria una riflessione complessiva da parte del Governo e del Parlamento sull'intera contrattazione dei dirigenti pubblici. Concorda sull'opportunità di completare la disciplina per raggiungere una maggiore coerenza e organicità.
Inoltre, ove i relatori non intendessero modificarne il contenuto, chiede la votazione per parti separate dei primi tre paragrafi del capoverso riferito agli articoli 3 e 4, che ritiene essere troppo incisivi nel mettere in dubbio la costituzionalità del provvedimento, richiamando la giurisprudenza che attiene al divieto di reformatio in peius. Ritiene, infatti, che il Parlamento non possa esprimere un parere favorevole a cui si accompagna, in premessa, un richiamo agli elementi di incostituzionalità che coinvolgono l'intero impianto normativo del provvedimento. Occorre una posizione coerente e onesta e, per tali ragioni, non potrà votare a favore delle affermazioni contenute nei tre capoversi richiamati.
Donato BRUNO, presidente e relatore per la I Commissione, rileva come - quanto meno da parte dalla Commissione Affari costituzionali - non sia possibile eludere i profili di costituzionalità relativi alla disciplina in esame, anche alla luce della giurisprudenza della Corte costituzionale: in tale quadro sono stati richiamati i principi che attengono alle questioni emerse, con particolare riguardo al divieto di reformatio in peius.
Mauro LIBÈ (UdCpTP) rileva come la nuova proposta di parere presentata dai relatori sarà votata favorevolmente dal suo gruppo, anche se non lo soddisfa pienamente: la proposta insinua, infatti, dubbi sulle modalità con cui è stato raggiunto l'obiettivo prefissato dalla legge.
Richiama quindi la questione dell'equità, già emersa nel corso del dibattito, della platea dei destinatari, dei cumuli delle cariche e delle deroghe. Rileva come la proposta di parere lasci preoccupati, poiché anche dal dibattito emerge una debolezza di fondo connessa alla reale possibilità di raggiungere l'obiettivo. È consapevole che la I Commissione non possa prescindere da una valutazione di costituzionalità dei provvedimenti al proprio esame, ma ricorda come si tratti comunque di una sede politica, che non può ignorare l'attuale situazione di difficoltà economica del Paese.
Concorda sull'opportunità di lavorare per modificare la norma di riferimento nelle parti in cui è incompleta; ritiene comunque opportuno andare avanti con determinazione e non perdere l'occasione, poiché altrimenti a pagare sarà la politica in Parlamento. Rileva, infatti, come anche la nuova proposta di parere presentata ponga dei dubbi senza dare soluzioni e confida nel lavoro del Governo, considerato che sono anni che si creano aspettative su questa materia; sono stati fatti tanti tentativi e sarebbe a danno di tutti se anche quello in esame dovesse giungere al fallimento.
Donato BRUNO, presidente e relatore per la I Commissione, chiede al deputato Libè se il suo intervento sia a titolo personale o a nome del gruppo, considerato che i rilievi espressi sono molto diversi dalla posizione manifestata in precedenza dal collega Mantini, di cui la proposta di parere dei relatori ha tenuto conto.
Mauro LIBÈ (UdCpTP) fa presente che, a nome del suo gruppo, ha preannunciato il voto favorevole sulla proposta di parere dei relatori, ma ciò non lo esime dallo svolgere alcune considerazioni di merito.
Mario TASSONE (UdCpTP) ricorda di avere anch'egli svolto un intervento a nome del suo gruppo.
Massimiliano FEDRIGA (LNP), considerate le numerose richieste di modifica formulate dai deputati sinora intervenuti dopo la presentazione della nuova proposta di parere, si domanda se le dichiarazioni di voto dei gruppi debbano essere riferite al nuovo testo presentato o se ve ne sarà, a breve, un altro da prendere in considerazione.
Donato BRUNO, presidente e relatore per la I Commissione, assicura che il testo appena presentato è quello che sarà posto in votazione, ferma restando l'eventualità che i relatori possano valutare eventuali, limitate, modifiche e integrazioni da proporre alle Commissioni riunite.
Massimiliano FEDRIGA (LNP) dichiara il voto contrario del suo gruppo sulla nuova proposta di parere dei relatori: si tratta, infatti, di un documento che cerca di allentare i vincoli posti alla base della norma di legge di riferimento, non soltanto con uno «stratagemma» quale l'esclusione della contribuzione previdenziale dal tetto massimo, che di fatto aumenta del 9 per cento rispetto alla cifra indicata, ma anche con il suggerimento - smaccatamente effettuato nelle premesse della proposta di parere - di quali possano essere i mezzi più idonei per impugnare il decreto, una volta emanato.
Rilevato che l'esposizione in premessa di una serie di criticità nasconde la mancanza di coraggio politico nell'espressione di un parere contrario, che sarebbe stata la logica conseguenza di tali criticità, ritiene che i gruppi che voteranno a favore della proposta dei relatori abbiano, di fatto, «issato» una bandiera ideologica per «ammainarla» molto repentinamente. Esprime, inoltre, il proprio stupore per l'invito a limitare la platea dei destinatari delle norme, che sembra emergere dalla proposta di parere: ponendosi al di fuori delle norme di legge, si creano infatti i presupposti per limitare l'ambito di applicazione dello schema di decreto.
Atteso, quindi, che il suo gruppo non intende avallare alcuna forma di difesa dei privilegi, preannuncia che sarà richiesta con determinazione ai presidenti delle Commissioni riunite la sollecita calendarizzazione della proposta di legge, a prima firma dell'onorevole Dal Lago, che intende dettare con chiarezza disposizioni normative per il contenimento delle retribuzioni nel pubblico impiego e nel settore delle società partecipate.
Giuliano CAZZOLA (PdL) dichiara il proprio voto favorevole sulla nuova proposta di parere dei relatori, specificando che il voto è riferito non allo schema di decreto, bensì alla predetta proposta, alla quale riconosce il merito di avere posto in evidenza le ambiguità della disposizione di legge alla quale l'atto del Governo intende dare attuazione; con tale atteggiamento, dunque, ritiene di avere adeguatamente motivato la propria presa di distanza da una norma assai discutibile.
Gianclaudio BRESSA (PD), nell'invitare i deputati del gruppo della Lega Nord Padania a dare una lettura meno ideologica della nuova proposta di parere, che anzi cerca di estendere la platea dei destinatari, prende atto con favore del fatto che tale proposta segnala la necessità di adeguamenti normativi per risolvere i dubbi interpretativi che la disposizione vigente solleva, prevedendone altresì l'immediata applicazione.
Rileva peraltro che, per quanto la giurisprudenza costituzionale non possa essere ignorata, appare eccessivo fare riferimento al «rischio che un intervento immediato di termini un contenzioso di tale ampiezza, per l'entità delle somme in questione, che potrebbe generare un costo così elevato da contraddire o vanificare l'obiettivo di razionalizzazione e di contenimento della spesa cui mira la disciplina in esame», essendo sufficiente il richiamo al principio di divieto di reformatio in peius contenuto al capoverso precedente. Chiede, pertanto, ai presidenti la soppressione di questo inciso.
Giulio SANTAGATA (PD) condivide le perplessità espresse da diversi deputati in ordine ai profili di contribuzione previdenziale, nonché agli aspetti legati all'immediata applicabilità delle nuove norme, che sono già stati chiariti dal Governo. Richiama, inoltre, le Commissioni a prestare la massima attenzione alla questione delle deroghe, invitando il Governo a tenere fede a quanto già dichiarato circa l'indisponibilità a prevedere il ricorso ad esse e ponendo, in ogni caso, limiti certi, al fine di evitare l'aggiramento del tetto.
Dal punto di vista dei componenti del suo gruppo appartenenti alla XI Commissione, esprime soddisfazione per le modalità con le quali la proposta di parere inquadra i problemi attuativi dell'articolo 5 dello schema di decreto e con cui - più in generale - si riconosce che tale decreto possa divenire un importante strumento di controllo della spesa corrente dello Stato: tali considerazioni motivano, pertanto, il suo voto favorevole.
Giuseppe CALDERISI (PdL) ritiene che, laddove si dice che le Commissioni «prendono atto di quanto dichiarato dal Governo durante il dibattito, in ordine al fatto che non vi sarebbero ostacoli ad una immediata applicazione», sarebbe più corretto utilizzare, in luogo del condizionale, il modo indicativo del verbo e quindi scrivere «in ordine al fatto che non vi sono ostacoli ad una immediata applicazione».
Giovanni PALADINI (IdV), sebbene ritenga che la nuova proposta di parere favorevole non sia del tutto idonea a superare i profili di criticità rilevati nel corso del dibattito, preannuncia su di essa il voto favorevole del suo gruppo, attesa la necessità di garantire l'immediata operatività ad un provvedimento importante in chiave di contenimento della spesa pubblica.
Silvano MOFFA (PT), relatore per la XI Commissione, avverte che è stato accertato, a seguito di appositi approfondimenti, che il trattamento del primo presidente della Corte di cassazione è indicato al lordo di tutti gli oneri a suo carico; pertanto, non dovrebbero sussistere dubbi sull'interpretazione da dare al profilo della contribuzione a carico del dipendente pubblico e su quella a carico del datore di lavoro, la quale, essendo sostanzialmente pacifica, può anche consentire ai relatori di espungere il relativo inciso dalla proposta di parere.
Esprime, invece, qualche perplessità sulla modifica del verbo al condizionale nella parte della premessa che fa riferimento ai potenziali contenziosi che potrebbero insorgere a seguito dell'immediata applicabilità del decreto, come richiesta dal deputato Calderisi, atteso che al Governo non sono al momento attribuiti poteri interpretativi di ordine giurisdizionale.
Donato BRUNO, presidente e relatore per la I Commissione, presenta, anche a nome del presidente Moffa, relatore per la XI Commissione, una ulteriore nuova proposta di parere (vedi allegato 2), modificata rispetto alla precedente esclusivamente con la soppressione del seguente periodo riferito al capoverso relativo agli articoli 3 e 4: «e conseguentemente non può comprendere anche l'ammontare dei contributi versati dallo stesso, i quali - come risulta del tutto evidente - non rientrano neanche nella base imponibile ai fini della determinazione del reddito della singola persona fisica».
Le Commissioni approvano la nuova proposta di parere dei relatori, come riformulata (vedi allegato 2).
La seduta termina alle 16.15.
ALLEGATO 1
Schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri concernente la definizione del limite massimo riferito al trattamento economico annuo onnicomprensivo per i pubblici dipendenti indicati nell'articolo 23-ter del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214 (Atto n. 439).
NUOVA PROPOSTA DI PARERE DEI RELATORI
Le Commissioni riunite I e XI,
esaminato lo schema in oggetto;
premesso che la finalità generale delle disposizioni di cui all'articolo 23-ter del decreto-legge n. 201 del 2011risponde all'esigenza ineludibile di attuare una revisione dei trattamenti retributivi erogati dalle pubbliche amministrazioni nell'ambito di rapporti di lavoro autonomo o dipendente e che tale finalità, nel rispetto dei principi costituzionali, deve essere realizzata con tempestività, anche al fine di rispondere ad una razionale riduzione dei costi relativi agli apparati pubblici e più in generale dei costi derivanti da attività poste a carico della finanza pubblica;
considerato, quanto all'ambito di applicazione della disciplina e alle categorie di destinatari, che:
in materia di limitazione di trattamenti economici risultano in vigore disposizioni riconducibili a fonti di diverso rango (legge, decreto-legge, regolamento di delegificazione) che danno luogo ad un assetto normativo composito e caratterizzato da sovrapposizioni di regimi e di assetti normativi differenziati;
risulta inclusa solo una parte delle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001; tale circostanza potrebbe dare luogo ad una disparità di trattamento tra soggetti chiamati a svolgere prestazioni simili, in assenza di una ragionevole giustificazione del trattamento differenziato;
lo schema in oggetto, all'articolo 1 include indistintamente tutte le Autorità amministrative indipendenti nel novero dei soggetti destinatari delle disposizioni da esso recate, mentre l'articolo 23-ter sembra far riferimento solamente ad alcune di esse;
l'articolo 23-bis del citato decreto-legge n. 201 del 2011 rinvia all'adozione di un decreto del Ministro dell'economia, da emanare - a seguito delle modifiche apportate dal decreto legge di proroga di termini n. 216 del 2011 - entro il 31 maggio 2012, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti, l'individuazione di fasce alle quali riportare le società non quotate, direttamente controllate dal Ministero dell'economia e delle finanze ai sensi dell'articolo 2359, primo comma, numero 1), del codice civile, con determinazione per ogni fascia del compenso massimo al quale i consigli di amministrazione di dette società devono fare riferimento, per la determinazione degli emolumenti da corrispondere, ai sensi dell'articolo 2389, terzo comma, del codice civile;
tale sfasamento temporale - oltre che la differenziata geometria della platea dei destinatari - rende difficile definire un quadro complessivo omogeneo e coerente con riferimento a tutti gli emolumenti che nei diversi ambiti e all'interno di distinti regimi vengono erogati a coloro che sono chiamati a svolgere attività al servizio di pubbliche amministrazioni, enti o società a carico della finanza pubblica;
tutti i profili di incertezza esposti non possono considerarsi risolti alla luce della documentazione presentata dal Governo alle Commissioni riunite, che appare - per un verso - incompleta sotto il profilo delle amministrazioni interessate e che - per altro verso - include talune delle posizioni sopra richiamate, senza chiarire in base a quale disposizione di legge esse possano considerarsi inserite nella platea dei destinatari; la predetta documentazione, inoltre, non sembra tenere conto di tutti gli emolumenti corrisposti, a qualsiasi titolo, alle posizioni interessate e, in particolare, non sembra in alcun modo in grado di fare chiarezza sul tema del cumulo di più incarichi (e delle correlative retribuzioni percepite), con ciò rischiando di porre sul medesimo piano figure professionali la cui retribuzione - in tal caso, da ritenersi senza dubbio onnicomprensiva - è legata allo svolgimento, in via esclusiva e assorbente, di un unico incarico di responsabilità con quelle figure professionali che, invece, assommano una pluralità di emolumenti legati a una pluralità di incarichi;
appare necessario rivedere l'indicazione, contenuta nell'articolo 23-ter, relativa al trattamento economico del Primo Presidente della Corte di cassazione, in quanto, come emerso nel corso dell'esame, esso è suscettibile di oscillazioni, anche di significativa entità, legate al maturato economico della persona fisica che di volta in volta ricopre il predetto incarico; tale circostanza incide negativamente sulla stabilità dell'intera disciplina; appare inoltre necessario chiarire se il trattamento economico del Primo Presidente della Corte di Cassazione non debba ricomprendere tutti gli emolumenti percepiti in ragione della carica ricoperta;
è da ritenersi, pertanto, necessario un intervento correttivo della disciplina recata dall'articolo 23-ter, per definire, al fine di evitare ingiustificate disparità di trattamento, un ambito di applicazione il più coerente possibile, disponendo, altresì, che la disciplina medesima costituisca un indirizzo al quale le Regioni devono conformare il proprio ordinamento, ferma restando l'esigenza che il Governo proceda sin d'ora all'emanazione del decreto;
considerato, quanto alla fissazione del parametro massimo di riferimento per gli emolumenti e le retribuzioni a carico della finanza pubblica, che:
è condivisibile che lo schema di decreto abbia compiuto la scelta di definire il parametro come limite massimo retributivo;
l'articolo 3 dello schema in oggetto, nel determinare il predetto limite massimo retributivo, stabilisce che il trattamento economico annuo onnicomprensivo dei soggetti destinatari delle disposizioni del decreto, qualora superiore al limite stesso, «si riduce al predetto limite»;
tale disposizione pone l'esigenza di verificare un aspetto problematico, complesso e rilevante che riguarda l'applicazione dell'articolo 23-ter e del decreto in esame e che si riferisce alla decorrenza della disciplina, anche alla luce del principio di divieto di reformatio in peius dei trattamenti retributivi;
in particolare le Commissioni prendono atto di quanto dichiarato dal Governo durante il dibattito, in ordine al fatto che non vi sarebbero ostacoli ad una immediata applicazione, in quanto, in presenza di inderogabili esigenze di contenimento della spesa, si potrebbe legittimamente incidere, senza alcuna gradualità e senza operare alcuna differenziazione in ordine alla natura delle retribuzioni erogate, su trattamenti retributivi in corso; ritengono, in ogni caso, che vada evitato il rischio che un intervento immediato determini un contenzioso di tale ampiezza, per l'entità delle somme in questione, che potrebbe generare un costo così elevato da contraddire o vanificare l'obiettivo di razionalizzazione e di contenimento della spesa cui mira la disciplina in esame;
andrebbero in particolare valutate con attenzione le attività lavorative stabili, esclusive e continuative, fondate sull'incardinamento del personale nell'organizzazione delle pubbliche amministrazioni e, dunque, su livelli retributivi tabellari e di base;
diverso appare, invece, il caso di cumulo di compensi erogati in ragione di attività aggiuntive rispetto al trattamento di base, caso in relazione al quale la retroattività della disciplina non pone problemi con riguardo ai principi generali dell'ordinamento;
considerato, con riferimento al contenuto degli articoli 3 e 4, che:
pur non essendo espressamente previsto dallo schema di decreto, l'articolo 3, che si riferisce al trattamento economico annuo omnicomprensivo, non può che interpretarsi nel senso che tale trattamento deve riferirsi al totale dei compensi complessivamente percepiti dal dipendente, a qualsiasi titolo, e conseguentemente non può comprendere anche l'ammontare dei contributi versati dallo stesso, i quali - come risulta del tutto evidente - non rientrano neanche nella base imponibile ai fini della determinazione del reddito della singola persona fisica;
qualora si ritenesse la disposizione di cui all'articolo 3, comma 3, applicabile esclusivamente al «personale» dipendente di pubbliche amministrazioni statali chiamato a rivestire la carica di presidente o di componente di una Autorità amministrativa indipendente, si darebbe luogo ad una violazione del principio di parità di trattamento tra soggetti chiamati a svolgere identiche funzioni;
occorrerebbe, con riferimento alle disposizioni contenute nell'articolo 4 dello schema, modificare - in occasione dell'intervento legislativo correttivo sopra auspicato - il comma 2 del citato articolo 23-ter del decreto-legge n. 201 del 2011, il quale - nel prevedere che il personale chiamato all'esercizio di funzioni direttive, anche in posizione di fuori ruolo o aspettativa, presso Ministeri o enti pubblici nazionali, comprese le autorità amministrative indipendenti, ove conservi il trattamento economico riconosciuto dall'amministrazione di appartenenza, non può ricevere, a titolo di retribuzione o di indennità per l'incarico ricoperto, o anche soltanto per il rimborso delle spese, più del 25 per cento dell'ammontare complessivo del trattamento economico percepito - non tiene conto delle posizioni oggettivamente diverse che è dato riscontrare nelle posizioni apicali delle amministrazioni e negli uffici di diretta collaborazione all'interno dei quali si rinvengono forme di collaborazione differenziate, sia sotto il profilo della quantità di apporto lavorativo (in quanto alcune sono svolte in forma continuativa, altre in forma discontinua e talora saltuaria), sia sotto il profilo dell'assunzione di responsabilità (dovendosi distinguere tra incarichi di consulenza e incarichi apicali);
occorrerebbe pertanto prevedere un'opportuna differenziazione tra queste posizioni mediante una graduazione dei diversi trattamenti che tenga conto del carattere continuativo o meno della collaborazione e della natura della stessa anche sotto il profilo dell'assunzione diretta di responsabilità; per conseguire efficacemente tale obiettivo si potrebbero prevedere in via normativa percentuali differenziate, nel rispetto delle quali la graduazione dei singoli trattamenti potrebbe essere affidata ad un decreto del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione che tenga conto, anche in ossequio all'articolo 36 della Costituzione, dei diversi apporti lavorativi e della loro natura; la norma, inoltre, dovrebbe essere volta ad evitare che, quando i titolari degli uffici di diretta collaborazione sono dipendenti interni, l'applicazione della disciplina comporti per essi retribuzioni inferiori a quelle normalmente percepite; considerato, con riguardo all'articolo 5, che:
esso introduce una disposizione relativa al personale dirigenziale al quale non si applica il limite massimo di cui all'articolo 3, stabilendo che «le pubbliche amministrazioni valutano se provvedere o meno, in occasione del rinnovo del contratto individuale, alla ridefinizione del relativo trattamento economico»;
essendo stata posta, da più deputati nel corso del dibattito, la questione del valore giuridico e sostanziale dell'articolo in esame, occorre precisare che questa disposizione non appare lesiva dell'autonomia negoziale delle parti del rapporto di lavoro pubblico, se si interpreta nel senso che essa non viola la competenza contrattuale alla definizione dei trattamenti economici, ma anzi chiarisce, proprio nel rispetto di tale competenza, che l'eventuale revisione dei trattamenti medesimi è possibile solo in occasione del rinnovo del contratto; è evidente, dunque, che la norma in questione mira unicamente a precisare che la predetta revisione (da compiersi in sede di rinegoziazione contrattuale) potrebbe avvenire solo al di sotto del limite massimo retributivo;
considerato, infine, con riferimento ad eventuali deroghe alla disciplina in esame, che:
sebbene consentito dalla norma primaria (articolo 23-ter, comma 3, del decreto-legge n. 201 del 2011), il Governo non ha inteso, allo stato, prevedere deroghe motivate per le posizioni apicali delle pubbliche amministrazioni;
in proposito deve riconoscersi che la previsione o meno di tali deroghe costituisce esercizio di una facoltà del Governo, il quale può legittimamente provvedere in tal senso purché dia atto, con rigorosa motivazione, delle ragioni giustificative della deroga;
ove il Governo intendesse esercitare tale facoltà, la deroga potrebbe riguardare unicamente le «posizioni di più alto livello di responsabilità», con esclusione degli uffici di diretta collaborazione ministeriale, conformemente alla disciplina già contenuta nell'articolo 3, comma 44, della 24 dicembre 2007, n. 244;
in particolare le deroghe per alcune posizioni apicali potrebbero comprendere quegli incarichi di altissimo rilievo istituzionale e di straordinario impegno amministrativo, commisurato anche alla quantità e qualità delle risorse umane, materiali e finanziarie sottoposte alla direzione delle stesse posizioni apicali;
preso atto, infine, dei rilievi sulle conseguenze di carattere finanziario espressi, ai sensi dell'articolo 96-ter, comma 2, del Regolamento, dalla V Commissione (Bilancio), ai quali si fa espresso rinvio;
con le valutazioni e le segnalazioni di cui in premessa,
esprimono
ALLEGATO 2
Schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri concernente la definizione del limite massimo riferito al trattamento economico annuo onnicomprensivo per i pubblici dipendenti indicati nell'articolo 23-ter del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214 (Atto n. 439).
PARERE APPROVATO DALLE COMMISSIONI RIUNITE
Le Commissioni riunite I e XI,
esaminato lo schema in oggetto;
premesso che la finalità generale delle disposizioni di cui all'articolo 23-ter del decreto-legge n. 201 del 2011risponde all'esigenza ineludibile di attuare una revisione dei trattamenti retributivi erogati dalle pubbliche amministrazioni nell'ambito di rapporti di lavoro autonomo o dipendente e che tale finalità, nel rispetto dei principi costituzionali, deve essere realizzata con tempestività, anche al fine di rispondere ad una razionale riduzione dei costi relativi agli apparati pubblici e più in generale dei costi derivanti da attività poste a carico della finanza pubblica;
considerato, quanto all'ambito di applicazione della disciplina e alle categorie di destinatari, che:
in materia di limitazione di trattamenti economici risultano in vigore disposizioni riconducibili a fonti di diverso rango (legge, decreto-legge, regolamento di delegificazione) che danno luogo ad un assetto normativo composito e caratterizzato da sovrapposizioni di regimi e di assetti normativi differenziati;
risulta inclusa solo una parte delle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001; tale circostanza potrebbe dare luogo ad una disparità di trattamento tra soggetti chiamati a svolgere prestazioni simili, in assenza di una ragionevole giustificazione del trattamento differenziato;
lo schema in oggetto, all'articolo 1 include indistintamente tutte le Autorità amministrative indipendenti nel novero dei soggetti destinatari delle disposizioni da esso recate, mentre l'articolo 23-ter sembra far riferimento solamente ad alcune di esse;
l'articolo 23-bis del citato decreto-legge n. 201 del 2011 rinvia all'adozione di un decreto del Ministro dell'economia, da emanare - a seguito delle modifiche apportate dal decreto legge di proroga di termini n. 216 del 2011 - entro il 31 maggio 2012, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti, l'individuazione di fasce alle quali riportare le società non quotate, direttamente controllate dal Ministero dell'economia e delle finanze ai sensi dell'articolo 2359, primo comma, numero 1), del codice civile, con determinazione per ogni fascia del compenso massimo al quale i consigli di amministrazione di dette società devono fare riferimento, per la determinazione degli emolumenti da corrispondere, ai sensi dell'articolo 2389, terzo comma, del codice civile;
tale sfasamento temporale - oltre che la differenziata geometria della platea dei destinatari - rende difficile definire un quadro complessivo omogeneo e coerente con riferimento a tutti gli emolumenti che nei diversi ambiti e all'interno di distinti regimi vengono erogati a coloro che sono chiamati a svolgere attività al servizio di pubbliche amministrazioni, enti o società a carico della finanza pubblica;
tutti i profili di incertezza esposti non possono considerarsi risolti alla luce della documentazione presentata dal Governo alle Commissioni riunite, che appare - per un verso - incompleta sotto il profilo delle amministrazioni interessate e che - per altro verso - include talune delle posizioni sopra richiamate, senza chiarire in base a quale disposizione di legge esse possano considerarsi inserite nella platea dei destinatari; la predetta documentazione, inoltre, non sembra tenere conto di tutti gli emolumenti corrisposti, a qualsiasi titolo, alle posizioni interessate e, in particolare, non sembra in alcun modo in grado di fare chiarezza sul tema del cumulo di più incarichi (e delle correlative retribuzioni percepite), con ciò rischiando di porre sul medesimo piano figure professionali la cui retribuzione - in tal caso, da ritenersi senza dubbio onnicomprensiva - è legata allo svolgimento, in via esclusiva e assorbente, di un unico incarico di responsabilità con quelle figure professionali che, invece, assommano una pluralità di emolumenti legati a una pluralità di incarichi;
appare necessario rivedere l'indicazione, contenuta nell'articolo 23-ter, relativa al trattamento economico del Primo Presidente della Corte di cassazione, in quanto, come emerso nel corso dell'esame, esso è suscettibile di oscillazioni, anche di significativa entità, legate al maturato economico della persona fisica che di volta in volta ricopre il predetto incarico; tale circostanza incide negativamente sulla stabilità dell'intera disciplina; appare inoltre necessario chiarire se il trattamento economico del Primo Presidente della Corte di Cassazione non debba ricomprendere tutti gli emolumenti percepiti in ragione della carica ricoperta;
è da ritenersi, pertanto, necessario un intervento correttivo della disciplina recata dall'articolo 23-ter, per definire, al fine di evitare ingiustificate disparità di trattamento, un ambito di applicazione il più coerente possibile, disponendo, altresì, che la disciplina medesima costituisca un indirizzo al quale le Regioni devono conformare il proprio ordinamento, ferma restando l'esigenza che il Governo proceda sin d'ora all'emanazione del decreto;
considerato, quanto alla fissazione del parametro massimo di riferimento per gli emolumenti e le retribuzioni a carico della finanza pubblica, che:
è condivisibile che lo schema di decreto abbia compiuto la scelta di definire il parametro come limite massimo retributivo;
l'articolo 3 dello schema in oggetto, nel determinare il predetto limite massimo retributivo, stabilisce che il trattamento economico annuo onnicomprensivo dei soggetti destinatari delle disposizioni del decreto, qualora superiore al limite stesso, «si riduce al predetto limite»;
tale disposizione pone l'esigenza di verificare un aspetto problematico, complesso e rilevante che riguarda l'applicazione dell'articolo 23-ter e del decreto in esame e che si riferisce alla decorrenza della disciplina, anche alla luce del principio di divieto di reformatio in peius dei trattamenti retributivi;
in particolare le Commissioni prendono atto di quanto dichiarato dal Governo durante il dibattito, in ordine al fatto che non vi sarebbero ostacoli ad una immediata applicazione, in quanto, in presenza di inderogabili esigenze di contenimento della spesa, si potrebbe legittimamente incidere, senza alcuna gradualità e senza operare alcuna differenziazione in ordine alla natura delle retribuzioni erogate, su trattamenti retributivi in corso; ritengono, in ogni caso, che vada evitato il rischio che un intervento immediato determini un contenzioso di tale ampiezza, per l'entità delle somme in questione, che potrebbe generare un costo così elevato da contraddire o vanificare l'obiettivo di razionalizzazione e di contenimento della spesa cui mira la disciplina in esame;
andrebbero in particolare valutate con attenzione le attività lavorative stabili, esclusive e continuative, fondate sull'incardinamento del personale nell'organizzazione delle pubbliche amministrazioni e, dunque, su livelli retributivi tabellari e di base;
diverso appare, invece, il caso di cumulo di compensi erogati in ragione di attività aggiuntive rispetto al trattamento di base, caso in relazione al quale la retroattività della disciplina non pone problemi con riguardo ai principi generali dell'ordinamento;
considerato, con riferimento al contenuto degli articoli 3 e 4, che:
pur non essendo espressamente previsto dallo schema di decreto, l'articolo 3, che si riferisce al trattamento economico annuo omnicomprensivo, non può che interpretarsi nel senso che tale trattamento deve riferirsi al totale dei compensi complessivamente percepiti dal dipendente, a qualsiasi titolo;
qualora si ritenesse la disposizione di cui all'articolo 3, comma 3, applicabile esclusivamente al «personale» dipendente di pubbliche amministrazioni statali chiamato a rivestire la carica di presidente o di componente di una Autorità amministrativa indipendente, si darebbe luogo ad una violazione del principio di parità di trattamento tra soggetti chiamati a svolgere identiche funzioni;
occorrerebbe, con riferimento alle disposizioni contenute nell'articolo 4 dello schema, modificare - in occasione dell'intervento legislativo correttivo sopra auspicato - il comma 2 del citato articolo 23-ter del decreto-legge n. 201 del 2011, il quale - nel prevedere che il personale chiamato all'esercizio di funzioni direttive, anche in posizione di fuori ruolo o aspettativa, presso Ministeri o enti pubblici nazionali, comprese le autorità amministrative indipendenti, ove conservi il trattamento economico riconosciuto dall'amministrazione di appartenenza, non può ricevere, a titolo di retribuzione o di indennità per l'incarico ricoperto, o anche soltanto per il rimborso delle spese, più del 25 per cento dell'ammontare complessivo del trattamento economico percepito - non tiene conto delle posizioni oggettivamente diverse che è dato riscontrare nelle posizioni apicali delle amministrazioni e negli uffici di diretta collaborazione all'interno dei quali si rinvengono forme di collaborazione differenziate, sia sotto il profilo della quantità di apporto lavorativo (in quanto alcune sono svolte in forma continuativa, altre in forma discontinua e talora saltuaria), sia sotto il profilo dell'assunzione di responsabilità (dovendosi distinguere tra incarichi di consulenza e incarichi apicali);
occorrerebbe pertanto prevedere un'opportuna differenziazione tra queste posizioni mediante una graduazione dei diversi trattamenti che tenga conto del carattere continuativo o meno della collaborazione e della natura della stessa anche sotto il profilo dell'assunzione diretta di responsabilità; per conseguire efficacemente tale obiettivo si potrebbero prevedere in via normativa percentuali differenziate, nel rispetto delle quali la graduazione dei singoli trattamenti potrebbe essere affidata ad un decreto del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione che tenga conto, anche in ossequio all'articolo 36 della Costituzione, dei diversi apporti lavorativi e della loro natura; la norma, inoltre, dovrebbe essere volta ad evitare che, quando i titolari degli uffici di diretta collaborazione sono dipendenti interni, l'applicazione della disciplina comporti per essi retribuzioni inferiori a quelle normalmente percepite;
considerato, con riguardo all'articolo 5, che:
esso introduce una disposizione relativa al personale dirigenziale al quale non si applica il limite massimo di cui all'articolo 3, stabilendo che «le pubbliche amministrazioni valutano se provvedere o meno, in occasione del rinnovo del contratto individuale, alla ridefinizione del relativo trattamento economico»;
essendo stata posta, da più deputati nel corso del dibattito, la questione del valore giuridico e sostanziale dell'articolo in esame, occorre precisare che questa disposizione non appare lesiva dell'autonomia negoziale delle parti del rapporto di lavoro pubblico, se si interpreta nel senso che essa non viola la competenza contrattuale alla definizione dei trattamenti economici, ma anzi chiarisce, proprio nel rispetto di tale competenza, che l'eventuale revisione dei trattamenti medesimi è possibile solo in occasione del rinnovo del contratto; è evidente, dunque, che la norma in questione mira unicamente a precisare che la predetta revisione (da compiersi in sede di rinegoziazione contrattuale) potrebbe avvenire solo al di sotto del limite massimo retributivo;
considerato, infine, con riferimento ad eventuali deroghe alla disciplina in esame, che:
sebbene consentito dalla norma primaria (articolo 23-ter, comma 3, del decreto-legge n. 201 del 2011), il Governo non ha inteso, allo stato, prevedere deroghe motivate per le posizioni apicali delle pubbliche amministrazioni;
in proposito deve riconoscersi che la previsione o meno di tali deroghe costituisce esercizio di una facoltà del Governo, il quale può legittimamente provvedere in tal senso purché dia atto, con rigorosa motivazione, delle ragioni giustificative della deroga;
ove il Governo intendesse esercitare tale facoltà, la deroga potrebbe riguardare unicamente le «posizioni di più alto livello di responsabilità», con esclusione degli uffici di diretta collaborazione ministeriale, conformemente alla disciplina già contenuta nell'articolo 3, comma 44, della 24 dicembre 2007, n. 244;
in particolare le deroghe per alcune posizioni apicali potrebbero comprendere quegli incarichi di altissimo rilievo istituzionale e di straordinario impegno amministrativo, commisurato anche alla quantità e qualità delle risorse umane, materiali e finanziarie sottoposte alla direzione delle stesse posizioni apicali;
preso atto, infine, dei rilievi sulle conseguenze di carattere finanziario espressi, ai sensi dell'articolo 96-ter, comma 2, del Regolamento, dalla V Commissione (Bilancio), ai quali si fa espresso rinvio;
con le valutazioni e le segnalazioni di cui in premessa,
esprimono
PARERE FAVOREVOLE
DELIBERAZIONE DI RILIEVI SU ATTI DEL GOVERNO
Martedì 14 febbraio 2012. - Presidenza del presidente Giancarlo GIORGETTI. - Interviene il sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze Vieri Ceriani.
La seduta comincia alle 14.45.
Schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri concernente la definizione del limite massimo riferito al trattamento economico annuo onnicomprensivo per i pubblici dipendenti indicati nell'articolo 23-ter del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214.
Atto n. 439.
(Rilievi alle Commissioni I e XI).
(Esame, ai sensi dell'articolo 96-ter, comma 2, del Regolamento, e rinvio).
La Commissione inizia l'esame dello schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri.
Roberto OCCHIUTO (UdCpTP), relatore, premette che, in via generale, dal provvedimento, pur non corredato da relazione tecnica, dovrebbero derivare risparmi, sia pure non quantificati né preventivamente scontati ai fini dei saldi di finanza pubblica, bensì destinati, a consuntivo, al Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato. Rileva comunque che la scelta di non predisporre una relazione tecnica appare verosimilmente dovuta alla difficoltà di quantificare l'impatto del provvedimento su di una platea assai eterogenea e la cui esatta individuazione appare di una certa complessità. Fa presente che lo schema di decreto è infatti adottato sulla base di una norma di legge, l'articolo 23-ter del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, formulata in termini alquanto sintetici ma che è destinata ad intervenire in una materia non semplice, anche dal punto di vista del quadro normativo previgente, facendo i conti con una giurisprudenza, a partire da quella costituzionale, copiosa e non sempre univoca. Tali profili del provvedimento appaiono incidere anche sulla relativa dimensione finanziaria e sulle conseguenze che lo stesso è destinato a produrre sui conti pubblici. In particolare, ritiene opportuno che il Governo chiarisca alla Commissione taluni profili dello schema di decreto dai quali appare dipendere in misura non marginale l'impatto del provvedimento sulla finanza pubblica. Con riferimento all'ambito di applicazione, osserva, in primo luogo, che l'articolo 2, in coerenza con il citato articolo 23-ter, individua, in particolare, i soggetti destinatari nelle persone fisiche che ricevono emolumenti o retribuzioni nell'ambito di rapporti di lavoro con pubbliche amministrazioni statali di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2011, n. 165. Segnala che, ai sensi del citato comma, le amministrazioni dello Stato sono un sottosettore delle amministrazioni pubbliche che include gli istituti scolastici di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, non comprendendo invece, oltre alle autonomie territoriali, «le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, tutti gli enti pubblici non economici, nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario regionale, l'Aran e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300». Pur rilevando come, a suo giudizio, le predette amministrazioni dovrebbero, invece, essere oggetto del provvedimento, ritiene che il Governo dovrebbe comunque in primo luogo chiarire se il provvedimento debba effettivamente ritenersi applicabile al personale di tale insieme di enti, tra l'altro di dimensioni affatto trascurabili, che pur facendo parte del complesso delle amministrazioni pubbliche ed essendo in molti casi finanziati a valere sul bilancio dello Stato, non sono compresi nel perimetro definito dall'articolo 23-ter. Inoltre, sempre con riferimento all'articolo 2 del provvedimento, fa presente che esso estende l'applicazione del provvedimento alle autorità amministrative indipendenti, mentre il citato articolo 23-ter non contiene tale previsione e, attraverso il rinvio all'articolo 3 del decreto legislativo n. 165 del 2001, sembra riferirsi esclusivamente ai dipendenti del Comitato interministeriale per il credito ed il risparmio - ora soppresso ed i cui dipendenti sono transitati nella Banca d'Italia - della Consob e dell'Antitrust, e non ai componenti di tali istituzioni. Riguardo alle Autorità appare inoltre necessario considerare che le spese di funzionamento di alcune di esse, come la Consob, l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, l'Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici e la Commissione di vigilanza sui fondi pensione, sono finanziate dal mercato di competenza per la parte non coperta da finanziamento a carico del bilancio dello Stato. Pur condividendo la scelta di applicare il provvedimento a tutte le autorità indipendenti, ritiene quindi opportuno che il Governo chiarisca se ritiene possibile, senza esporsi a successivi contenziosi, estendere la disciplina in esame ai dipendenti di tutte le Autorità indipendenti, nonché ai Presidenti e ai componenti di tali Autorità che sono nominati o eletti e non hanno lo status di dipendenti pubblici, mentre l'articolo 23-bis individua come destinatario del precetto esclusivamente «il personale» delle istituzioni alle quali ha fatto riferimento. Segnala che quanto appena osservato rispetto alle autorità indipendenti ha peraltro una valenza più generale. Il provvedimento in esame appare infatti destinato a trovare applicazione esclusivamente rispetto ad emolumenti, a qualsiasi titolo percepiti e comunque denominati, corrisposti a carico della finanza pubblica e non sembrerebbe pertanto poter trovare applicazione qualora gli emolumenti medesimi non siano o siano solo in parte a carico dell'erario. Il Governo dovrebbe pertanto valutare l'opportunità di chiarire che il provvedimento in esame non trova applicazione qualora gli emolumenti percepiti siano solo in parte a carico della finanza pubblica e gravino per il resto su contribuzioni esterne al perimetro delle pubbliche amministrazioni. Relativamente all'articolo 5, fa presente che esso prevede che, per il personale con qualifica dirigenziale il cui trattamento economico non raggiunge il limite massimo individuato, le pubbliche amministrazioni valutino se provvedere o meno, in occasione del rinnovo del contratto individuale di lavoro, alla ridefinizione del relativo trattamento economico. Osserva che tale previsione appare condivisibile, in quanto volta ad assicurare la coerenza dell'intervento in questione, conferendo alle amministrazioni la possibilità di definire le retribuzioni di tutto il personale dirigente. Tuttavia, poiché la stessa non figura nell'articolo 23-ter, il Governo dovrebbe chiarire se in tal modo le amministrazioni debbano ritenersi in ogni caso autorizzate a ridurre i trattamenti economici in essere del predetto personale, ovvero se non si tratti di un mero riferimento alla facoltà, sempre esercitabile dalle amministrazioni in sede di rinnovi contrattuali, di rivedere i trattamenti economici in essere. Nel primo caso andrebbe precisato il contenuto precettivo della norma ed il suo prevedibile impatto finanziario (ma anche chiarito come ciò possa essere ritenuto compatibile con il disposto legislativo), nel secondo la norma sembrerebbe di contenuto meramente ricognitivo e priva di un effettivo contenuto precettivo. Rileva che gli effetti finanziari del provvedimento appaiono, infine, connessi a due questioni di carattere generale che potrebbero condizionare l'applicazione della disciplina in esame.Segnala innanzitutto il principio del divieto di reformatio in peius elaborato dalla giurisprudenza sulla base dell'articolo 202 del decreto del Presidente della repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, che si traduce nel diritto del pubblico dipendente alla conservazione della retribuzione in godimento. La Corte costituzionale ha chiarito come tale principio vada temperato con il criterio della ragionevolezza e non possa pertanto considerarsi preclusa al legislatore la facoltà di approvare norme le quali modifichino sfavorevolmente la disciplina dei rapporti di lavoro purché tali modifiche non risultino irrazionali o arbitrarie. In altri termini, come precisato nella documentazione predisposta dagli uffici, dalla giurisprudenza costituzionale si evince che il legislatore può ritenersi autorizzato a ridurre unilateralmente le retribuzioni in atto in relazione ad «una oggettiva modificazione della prestazione lavorativa, o ad una nuova non arbitraria valutazione della qualità della stessa». Ritiene che il Governo dovrebbe pertanto chiarire se nel predisporre il provvedimento in esame ha tenuto conto della giurisprudenza della Corte costituzionale alla quale ho accennato o se ritiene che interventi volti a incidere in via permanente sui trattamenti retributivi possano essere giustificati esclusivamente dalla necessità di ridurre la spesa pubblica senza dare luogo a contenziosi. Segnala che l'attuazione del disposto legislativo di cui all'articolo 23-ter più volte richiamato appare, da ultimo, dipendere dalle modalità di coordinamento che si intendono stabilire tra la disciplina in esame e le preesistenti normative di grado primario, non espressamente abrogate, volte a perseguire con modalità diverse l'obiettivo del contenimento delle retribuzioni dei pubblici dipendenti. Senza soffermarsi sul complesso di tali normative, per le quali rinvia al fascicolo di documentazione predisposto dagli uffici, richiama la disciplina prevista dall'articolo 1 del decreto-legge n. 98 del 2011, come modificato dal decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, che ha introdotto, anche per alcune categorie di pubblici dipendenti, il cosiddetto livellamento remunerativo Italia - Europa con riferimento al trattamento economico omnicomprensivo annualmente corrisposto in funzione della carica ricoperta o dell'incarico svolto. Chiede pertanto al Governo di chiarire in che misura intenda tenere conto della normativa da ultimo richiamata e se ritenga che il provvedimento in esame debba essere attuato con priorità rispetto a tale normativa e, ancora, se ritenga che ambedue le discipline in questione debbano trovare applicazione con riferimento alle medesime categorie di personale pubblico, posto che, ad esempio, il «livellamento remunerativo Italia - Europa» potrebbe comportare una riduzione delle retribuzioni al di sotto del limite massimo individuato dal provvedimento in esame.
Massimo BITONCI (LNP) rileva come il relatore abbia sostanzialmente, a suo avviso, demolito il provvedimento in esame e sottolinea la necessità di una relazione tecnica al fine di valutare compiutamente i profili finanziari del provvedimento e l'effettivo ambito applicativo. Rileva inoltre come un'eventuale applicazione anche agli organi di vertice di talune autorità indipendenti, che non possono essere considerati giuridicamente dipendenti di tali amministrazioni, potrebbe dare luogo a contenziosi. Per tali ragioni invita ad un adeguato approfondimento.
Antonio BORGHESI (IdV) ritiene che sia necessario chiarire alcuni aspetti del provvedimento, osservando in particolare che l'articolo 23-ter, comma 3, del decreto-legge n. 201 del 2011 prevede che sia stabilito un limite massimo per i rimborsi di spese, mentre lo schema non prevede alcuna disposizione al riguardo. Reputa, inoltre, che vi sia l'esigenza di chiarire la portata dell'articolo 5 dello schema, nonché di acquisire una stima dei possibili risparmi derivanti dal provvedimento. A suo avviso, dovrebbe altresì precisarsi la decorrenza dell'applicazione della nuova disciplina e chiarire se essa si applichi anche a contratti di lavoro con professionisti esterni alle pubbliche amministrazioni.
Claudio D'AMICO (LNP), nel richiamare l'intervento dell'onorevole Bitonci, rileva che, pur condividendo la previsione di un tetto massimo alle retribuzioni dei dirigenti pubblici, sarebbe stato meglio, a suo avviso, utilizzare come parametro l'indennità parlamentare, atteso che essa è generalmente considerata molto elevata, ma che è nettamente inferiore all'importo lordo previsto dal provvedimento. Condivide quindi la scelta di non prevedere alcuna deroga e rileva in proposito come sarebbe stato più opportuno estendere l'ambito di applicazione anche ai dipendenti delle società controllate dallo Stato o che comunque, come la RAI, ricevono finanziamenti pubblici. Chiede quindi al Governo di intraprendere iniziative più incisive in tale senso. Con riferimento all'articolo 5, suggerisce di precisare che le eventuali rideterminazioni delle retribuzioni per il personale dirigenziale non al di sopra del tetto dovranno comunque essere effettuate in diminuzione per evitare il rischio di una riapertura delle procedure contrattuali bloccate dalle recenti manovre economiche.
Amedeo CICCANTI (UdCpTP) ricorda come l'articolo 23-ter fu introdotto nel decreto-legge n. 201 del 2011, a seguito dell'approvazione di una proposta emendativa presentata dai relatori sulla quale si pervenne ad un voto trasversale, nel quale si registrarono orientamenti contrastanti anche all'interno di un medesimo gruppo. Nel dichiarare di non ricordare quale fosse stato all'epoca l'orientamento della Lega Nord Padania, osserva che si considerò a lungo se prevedere l'applicazione del limite anche agli emolumenti spettanti a soggetti esterni alle pubbliche amministrazioni che intrattengano con la stessa rapporti di consulenza o di lavoro autonomo ovvero a soggetti che effettuino prestazioni artistiche. Ritiene, in proposito, corretta la scelta compiuta di limitare l'intervento ai soli pubblici dipendenti, osservando che una diversa estensione del limite ai trattamenti economici avrebbe avuto finalità essenzialmente propagandistiche e avrebbe presentato rilevanti problemi applicativi. Sottolinea, inoltre, che evidentemente l'applicazione del limite ai trattamenti economici non determina nell'immediato effetti finanziari, che si potranno verificare solo a consuntivo, osservando altresì che non è opportuno ipotizzare un rapporto tra l'importo dell'indennità parlamentare e il tetto massimo delle retribuzioni dei dipendenti pubblici, in quanto nel primo caso si tratta di un emolumento corrisposto in relazione all'esercizio pro tempore di una funzione pubblica elettiva, mentre nel secondo caso si fa riferimento a rapporti di lavoro i cui aspetti retributivi sono definiti, a seconda delle fattispecie, dalla contrattazione individuale o collettiva. Ritiene, pertanto, che il provvedimento in esame sia pienamente coerente con gli sforzi di contenimento della spesa pubblica e imponga un contributo ai sacrifici che reputa sostanzialmente equo. Rileva, peraltro, che il limite dei trattamenti non può applicarsi agli organi costituzionali, in ragione dell'autonomia loro riconosciuta dal nostro ordinamento costituzionale, osservando tuttavia che esso opera nei loro confronti una sorta di moral suasion, affinché essi, nella loro autonomia, decidano in ordine al recepimento del contenuto del provvedimento in esame. Conclusivamente, pur rilevando come le disposizioni dell'articolo 23-ter del decreto-legge n. 201 del 2011 fossero per molti versi contraddittorie e sicuramente perfettibili, esprime una valutazione complessivamente positiva sullo schema in esame.
Guido CROSETTO (PdL) nel richiamate la genesi dell'articolo 23-ter del decreto-legge n. 201 del 2011, rileva come il testo in esame non corrisponda esattamente agli effetti che le Commissioni volevano conseguire. In particolare, sottolinea come nessuno abbia mai pensato di legare la moralità della pubblica amministrazione al livello massimo stipendiale. Al contrario, sottolinea come la finalità fosse quella di realizzare un maggiore collegamento tra la retribuzione e i risultati effettivamente conseguiti dal dipendente. Ricorda in proposito come nel corso della discussione della norma fosse stata stigmatizzata la facoltà di cumulare alle retribuzioni di taluni soggetti anche proventi derivanti da arbitrati o incarichi ulteriori. Evidenzia come sarebbe invece opportuno inserire un diverso meccanismo e come non sia corretto nemmeno considerare il primo presidente della Corte di cassazione come il dipendente che svolge, nell'ambito delle amministrazioni dello Stato, la funzione che merita la più alta retribuzione. Aggiunge che il limite massimo dovrebbe riguardare la parte fissa della retribuzione, legando eventuali maggiori emolumenti ai risultati effettivamente conseguiti, sottolineando come l'introduzione di un livellamento nel massimo uguale per tutti sia proprio di una società che ha perso ogni spinta propulsiva verso la crescita. Chiede quindi di conoscere la reale portata finanziaria della norma.
Lino DUILIO (PD) ritiene che sia interesse della Commissione acquisire una quantificazione degli effetti finanziari del provvedimento, osservando come altre considerazioni, pure interessanti, quali quelle relative all'estensione del limite, attengano essenzialmente ad aspetti di competenza delle Commissioni di merito. Osserva, peraltro, che la rilevanza degli aspetti finanziari avrebbe potuto far ritenere opportuna l'assegnazione del provvedimento alla Commissione bilancio ai sensi dell'articolo 143, comma 4, anziché ai sensi dell'articolo 96-ter, comma 2, del Regolamento. Quanto al contenuto dello schema, ritiene che sia senza dubbio da condividere il principio della fissazione di un limite massimo ai trattamenti economici, osservando tuttavia come, analogamente a quanto osservato dall'onorevole Crosetto, sia opportuno tenere nel dovuto conto la correlazione tra i trattamenti riconosciuti e il raggiungimenti di specifici risultati. A suo avviso, quindi, si tratta di un provvedimento non banale ed auspica che anche l'esame nelle Commissioni di merito sia svolto con il dovuto approfondimento.
Roberto OCCHIUTO (UdCpTP), con riferimento alle considerazioni dell'onorevole Bitonci, precisa che nella propria relazione non ha inteso rivolgere alcuna critica al provvedimento in esame, che giudica invece positivamente, ma ha esclusivamente invitato il Governo a precisare la portata applicativa di alcune disposizioni, anche al fine di chiarire in modo univoco il perimetro di applicazione del limite dei trattamenti economici. Quanto alle osservazioni in ordine ad eventuali deroghe, osserva come il Governo non abbia inteso esercitare la facoltà prevista al riguardo dall'articolo 23-ter, comma 3, del decreto-legge n. 201 del 2011 e come, anzi, abbia dato un'interpretazione estremamente rigorosa delle disposizioni del medesimo articolo 23-ter. Ritiene, infine, che, ancorché il provvedimento non presenti profili finanziari problematici, potrebbe comunque essere utile acquisire precise indicazioni dal Governo in ordine alla quantificazione dei risparmi derivanti dall'applicazione del provvedimento in esame.
Roberto SIMONETTI (LNP) chiede che il Governo chiarisca esattamente a quanti e a quali soggetti si applicherebbe il provvedimento, anche al fine della previsione di eventuali deroghe.
Giancarlo GIORGETTI, presidente, osserva come il provvedimento in esame desti un grande interesse e si ponga, pertanto, l'esigenza di approfondire adeguatamente le sue implicazioni finanziarie. Ritiene, pertanto, che la Commissione dovrebbe richiedere al Governo la predisposizione di una relazione tecnica che chiarisca l'ambito di applicazione del decreto in questione e i relativi effetti finanziari. Avverte, tuttavia, che, essendo già scaduto il termine per l'espressione dei rilievi, la Commissione dovrebbe comunque concludere l'esame del provvedimento entro la giornata di giovedì, anche qualora la relazione tecnica non fosse trasmessa.
Claudio D'AMICO (LNP) sottolinea come sia opportuno insistere nella richiesta di relazione tecnica, senza dare per scontato che si possa procedere ugualmente anche senza.
Roberto OCCHIUTO (UdCpTP) osserva come il provvedimento in esame non rientri tra quelli per i quali le Commissioni parlamentari competenti possono richiedere al Governo la predisposizione di una relazione tecnica, ai sensi dell'articolo 17, comma 5, della legge 31 dicembre 2009, n. 196. Ritiene, tuttavia, che il Governo potrebbe eventualmente fornire in una relazione tecnica i chiarimenti richiesti nel corso del dibattito con riferimento all'ambito di applicazione del decreto in questione e ai suoi effetti finanziari.
La Commissione concorda sull'opportunità che il Governo fornisca, entro la giornata di giovedì 16 febbraio 2012, una relazione tecnica che quantifichi i risparmi che deriverebbero dall'applicazione del provvedimento in esame, anche individuando la platea dei soggetti ai quali si applicherebbe il limite massimo dei trattamenti economici.
Giancarlo GIORGETTI, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame dello schema ad altra seduta.
DELIBERAZIONE SU ATTI DEL GOVERNO
Giovedì 16 febbraio 2012. - Presidenza del vicepresidente Roberto OCCHIUTO, indi del presidente Giancarlo GIORGETTI. - Interviene il sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze Gianfranco Polillo.
La seduta comincia alle 14.
Alle Commissioni I e XI - Schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri concernente la definizione del limite massimo riferito al trattamento economico annuo onnicomprensivo per i pubblici dipendenti indicati nell'articolo 23-ter del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214.
Atto n. 439.
(Rilievi alle Commissioni I e XI).
(Seguito dell'esame, ai sensi dell'articolo 96-ter, comma 2, del Regolamento, e conclusione - Valutazione favorevole con osservazione).
La Commissione prosegue l'esame dello schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, rinviato nella seduta del 14 febbraio 2012.
Il sottosegretario Gianfranco POLILLO con riferimento alle richieste di chiarimento formulate dal relatore, fa presente che lo schema di decreto del Presidente del Consiglio in esame è volto a dare attuazione all'articolo 23-ter del decreto-legge n. 201 del 2011, introdotto, in sede di conversione, a seguito dell'introduzione di un emendamento di iniziativa parlamentare e come tale non scaturente da una preliminare, compiuta valutazione tecnica. Rileva che tale circostanza ha determinato elementi di criticità sia in riferimento alla formulazione letterale della disposizione, non scevra da elementi di indeterminatezza, che di ordine sistematico in relazione alla sovrapposizione con la previsione di cui all'articolo 1 del decreto-legge n. 98 del 2011 che, per alcune categorie, ha introdotto il principio del cosiddetto livellamento retributivo con le istituzioni europee. Osserva come primario punto di interesse della Commissione sembri l'esigenza che il Governo chiarisca l'ambito di applicazione del decreto, al fine di poterne determinare i relativi effetti finanziari. Ricorda, in particolare, che in tale sede sono state sollevate una serie di questioni interpretative riguardanti, principalmente, la possibile estensione del decreto anche oltre l'ambito strettamente statale coinvolgendo tutte le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001, pure se non espressamente richiamate dal citato articolo 23-ter, l'applicabilità, prevista dal decreto, anche a tutte le Autorità amministrative indipendente, peraltro non comprese dall'ambito di applicazione del comma 1 del richiamato articolo 23-ter, e, infine, l'incidenza sui trattamenti economici in essere. Per quanto concerne le amministrazioni destinatarie, sia per assecondare l'esigenza di contenimento della spesa pubblica che rappresenta la ratio primaria della norma, sia per evidenti ragioni di equità, ritiene potrebbe valutarsi l'ipotesi di estenderne l'ambito applicativo ai soggetti che ricevono emolumenti o retribuzioni nell'ambito di rapporti di lavoro intercorrenti con tutte le pubbliche amministrazioni, ivi compreso, quindi, il sistema delle autonomie locali e gli enti del Servizio sanitario nazionale, anche in considerazione del riferimento contenuto nell'articolo 23-ter, che si rivolge a chiunque riceva a carico delle finanze pubbliche emolumenti o retribuzioni nell'ambito di rapporti di lavoro dipendente o autonomo.Alla luce di tutto ciò, considerati gli evidenziati elementi di incertezza, e tenuto anche conto che non è possibile prevedere i comportamenti dei soggetti interessati, come pensionamenti, dimissioni, ovvero rinuncia all'incarico, ritiene che la quantificazione degli effetti finanziari del provvedimento non possa prescindere dalla puntuale e motivata definizione del perimetro applicativo dello stesso da parte degli uffici che ne hanno curato la predisposizione. Avverte che solo una volta sciolti i delicati nodi interpretativi descritti, il Governo potrà fornire utili elementi per corrispondere alla richiamata richiesta.
Roberto OCCHIUTO (UdCpTP), presidente e relatore, alla luce dei chiarimenti forniti dal rappresentante del Governo, formula la seguente proposta:
«La V Commissione Bilancio, tesoro e programmazione,
esaminato, per quanto di competenza, ai sensi dell'articolo 96-ter, comma 2, del Regolamento, lo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri concernente la definizione del limite massimo riferito al trattamento economico annuo onnicomprensivo per i pubblici dipendenti indicati nell'articolo 23-ter del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214 (atto n. 439);
rilevato, preliminarmente, che il provvedimento è suscettibile di determinare, nel complesso, minori oneri a carico della finanza pubblica;
preso atto dei chiarimenti formulati dal Governo, anche sulla base di una nota della Ragioneria generale dello Stato, che osserva tra l'altro come la quantificazione degli effetti finanziari del provvedimento non possa prescindere dalla puntuale e motivata definizione del perimetro applicativo dello stesso;
ritenuto pertanto, anche sulla scorta di quanto affermato dal rappresentante del Governo, che:
la disposizione di cui al richiamato articolo 23-ter, comma 1, del decreto-legge n. 201 del 2011, non consente di definire univocamente l'effettiva platea dei soggetti cui si applicherebbe il limite massimo alle retribuzioni di cui allo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri;
andrebbe approfondita la possibilità di estendere l'applicazione del decreto oltre l'ambito strettamente statale, coinvolgendo altre amministrazioni centrali nonché il sistema delle autonomie territoriali e gli enti del Servizio sanitario nazionale;
in particolare, pure in assenza di esplicite deroghe, il provvedimento sembrerebbe poter trovare applicazione solo nei confronti dei dipendenti di talune autorità indipendenti, ma, a rigore, non nei confronti di altre e dei componenti delle autorità medesime;
sussiste la necessità di approfondire, anche alla luce della giurisprudenza costituzionale, la possibilità di applicare le disposizioni di cui allo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri anche con riferimento ai contratti già stipulati e agli incarichi già conferiti, al fine di evitare i prevedibili contenziosi;
le disposizioni di cui all'articolo 5, volto a consentire alle amministrazioni di ridefinire il trattamento economico del personale di qualifica dirigenziale che non raggiunge il limite massimo indicato nel provvedimento, non sono direttamente attuative del richiamato articolo 23-ter e sembrerebbe pertanto opportuna una precisazione in ordine all'effettiva portata normativa della disposizione chiarendo, in particolare, se la medesima sia volta ad autorizzare senz'altro le amministrazioni alla riduzione degli attuali trattamenti ovvero a configurare un mero indirizzo per l'attività contrattuale della pubblica amministrazione;
sembrerebbe opportuno un maggiore coordinamento temporale con i provvedimenti attuativi dell'articolo 23-bis del medesimo decreto-legge n. 201 del 2011, relativi ai compensi per gli amministratori con deleghe delle società partecipate dal Ministero dell'economia e delle finanze;
VALUTA FAVOREVOLMENTE
lo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri e formula la seguente osservazione:
si valuti l'opportunità di precisare l'effettiva portata del provvedimento in conformità con le disposizioni di cui all'articolo 23-ter del decreto-legge n. 201 del 2011, con particolare riferimento all'esatta definizione e alla eventuale estensione della platea dei soggetti incisi e alla sua effettiva applicabilità anche con riferimento ai contratti già stipulati e agli incarichi già conferiti dalle pubbliche amministrazioni interessate, nonché alla possibilità di intervenire anche sui trattamenti economici dei soggetti che non raggiungono il limite massimo fissato dal provvedimento, al fine di evitare l'insorgere di contenziosi che determinerebbero effetti negativi per la finanza pubblica».
Amedeo CICCANTI (UdCpTP) preliminarmente ricorda di avere già espresso in sede di approvazione delle disposizioni di cui all'articolo 23-ter del decreto-legge n. 201 del 2011 numerose perplessità in ordine all'opportunità di adottare una disciplina siffatta. In particolare, osserva come sia sostanzialmente contraddittoria, in riferimento ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche statali di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001, una norma volta a limitare l'attività contrattuale del Governo, che è parte del processo di formazione delle retribuzioni per le quali si intenderebbe porre un limite. Rileva quindi come, di contro, per le amministrazioni caratterizzate da una particolare posizione di autonomia, come le Autorità indipendenti e gli organi costituzionali la norma inappare applicabile, mentre tali enti possono, nell'esercizio della propria autonomia, senza alcun intervento normativo, introdurre disposizioni volte a contenere la spesa per il personale. Evidenzia inoltre come la medesima norma non troverebbe nemmeno applicazione nei confronti delle autonomie locali e degli enti del Servizio sanitario nazionale, come chiarito anche dal rappresentante del Governo. Ricorda poi i tentativi già effettuati di porre un tetto alle retribuzioni pubbliche durante il Governo Prodi e da ultimo, nel Governo Berlusconi, dal Ministro Brunetta. Sottolinea come tali tentativi siano naufragati essenzialmente per la mancanza di trasparenza, malgrado l'obbligo di pubblicazione delle retribuzioni tuttora vigente, ma non applicato. Evidenzia come tali disposizioni siano peraltro prive di sanzioni e suggerisce, nell'espressione del parere, di tenere presente l'esigenza di una massima trasparenza sulle retribuzioni pubbliche. Segnala inoltre come le difficoltà applicative richiamate dal rappresentante del Governo siano dovute anche a tale aspetto e fa presente di avere dovuto ricostruire in maniera artigianale una lista dei dirigenti pubblici che godono di trattamenti al di sopra del tetto previsto, tra i quali ricorda il Capo della polizia e il Comandante dell'Arma dei carabinieri. Ricorda quindi la posizione del presidente dell'INPS che, pur percependo, secondo quanto emerso sugli organi di stampa, una retribuzione lorda parti a circa quattro volte il tetto previsto, sarebbe comunque escluso dall'applicazione del predetto limite.
Maino MARCHI (PD), pur rilevando che il provvedimento in esame è senza dubbio perfettibile, ritiene che la Commissione sia nelle condizioni di esprimere i propri rilievi già in questa seduta. A suo avviso, infatti, nel momento in cui sono state adottate misure assai incisive, alcune ancora suscettibili di correzioni, come quelle relative al pensionamento dei lavoratori che abbiano rescisso i propri contratti di lavoro nel quadro di procedimenti di esodo, sarebbe sbagliato comunicare la sensazione che si esita ad intervenire sui trattamenti economici dei dipendenti pubblici. Rileva, pertanto, che in presenza di un provvedimento con effetti finanziari sicuramente positivi, la Commissione non possa che esprimere un parere favorevole, pur con le osservazioni proposte dal relatore, rimettendo a successivi atti la individuazione della soluzione alle criticità evidenziate.
Roberto OCCHIUTO (UdCpTP), presidente e relatore, osserva che, come evidenziato dallo stesso rappresentante del Governo, il provvedimento in esame è senza dubbio perfettibile, ma ritiene che la Commissione debba esprimersi esclusivamente con riferimento ai profili di propria competenza.
Amedeo CICCANTI (UdCpTP) evidenzia come sia positivo richiamare l'opportunità di un'estensione della platea dei destinatari della norma, facendo in modo di inserire anche i soggetti che sfuggirebbero ad un'applicazione letterale della disciplina.
Giancarlo GIORGETTI, presidente, osserva che l'articolo 23-ter del decreto-legge n. 201 del 2011 rappresenta una disposizione che, in un clima demagogico, ha cercato di affrontare una questione complessa, quale quella dei limiti ai trattamenti economici dei dipendenti pubblici, attraverso un enunciato normativo complessivamente insoddisfacente, che rischia di determinare problemi applicativi assai rilevanti. Rileva, peraltro, che alla disposizione non sono stati ascritti, in sede di approvazione del decreto-legge n. 201 del 2011, effetti finanziari, osservando che proprio per questo motivo la Commissione bilancio può in sede di rilievi esprimere una valutazione favorevole, anche in assenza di una relazione tecnica che quantifichi dettagliatamente gli effetti finanziari dello schema in esame. Ritiene, pertanto, che la proposta del relatore rappresenti una soluzione equilibrata.
Pier Paolo BARETTA (PD), con riferimento all'osservazione contenuta nella proposta del relatore, fa presente che, a suo avviso, sarebbe preferibile riferimento non alla «applicabilità», ma alla «applicazione» delle disposizioni del provvedimento ai contratti già stipulati e agli incarichi già conferiti dalle pubbliche amministrazioni interessate.
Il sottosegretario Gianfranco POLILLO fa presente che il riferimento all'applicabilità ai contratti e agli incarichi già in essere si giustifica in considerazione della circostanza che sicuramente l'estensione delle nuove disposizioni a rapporti giuridici in corso determinerà la presentazione di un rilevante contenzioso anche di natura costituzionale. Comunica quindi che è testé pervenuta una nota del Ministero della giustizia in cui si precisa che il trattamento economico corrisposto nel 2011 al primo presidente della Corte di cassazione sarebbe stato pari a 293.658,95, segnalando in proposito l'opportunità di correggere lo schema di decreto in esame.
Roberto OCCHIUTO (UdCpTP), relatore, prendendo atto di quanto rappresentato dall'onorevole Baretta e dal sottosegretario Polillo presenta una nuova formulazione della propria proposta di deliberazione (vedi allegato 4).
La Commissione approva la proposta di deliberazione, come da ultimo riformulata dal relatore.
La seduta termina alle 14.20.
Schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri concernente la definizione del limite massimo riferito al trattamento economico annuo onnicomprensivo per i pubblici dipendenti indicati nell'articolo 23-ter del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214 (Atto n. 439).
DELIBERAZIONE APPROVATA
La V Commissione Bilancio, tesoro e programmazione,
esaminato,
per quanto di competenza, ai sensi dell'articolo 96-ter, comma 2, del
Regolamento, lo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri
concernente la definizione del limite massimo riferito al trattamento economico
annuo onnicomprensivo per i pubblici dipendenti indicati nell'articolo 23-ter
del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla
legge 22 dicembre 2011, n. 214 (atto n. 439);
rilevato, preliminarmente, che il provvedimento è suscettibile di determinare,
nel complesso, minori oneri a carico della finanza pubblica;
preso atto dei chiarimenti formulati dal Governo, anche sulla base di una nota
della Ragioneria generale dello Stato, che osserva tra l'altro come la
quantificazione degli effetti finanziari del provvedimento non possa prescindere
dalla puntuale e motivata definizione del perimetro applicativo dello stesso;
ritenuto pertanto, anche sulla scorta di quanto affermato dal rappresentante
del Governo, che:
la disposizione di cui al richiamato articolo 23-ter, comma 1, del
decreto-legge n. 201 del 2011, non consente di definire univocamente
l'effettiva platea dei soggetti cui si applicherebbe il limite massimo alle
retribuzioni di cui allo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei
ministri;
andrebbe approfondita la possibilità di estendere l'applicazione del decreto
oltre l'ambito strettamente statale, coinvolgendo altre amministrazioni
centrali nonché il sistema delle autonomie territoriali e gli enti del Servizio
sanitario nazionale;
in particolare, pure in assenza di esplicite deroghe, il provvedimento
sembrerebbe poter trovare applicazione solo nei confronti dei dipendenti di
talune autorità indipendenti, ma, a rigore, non nei confronti di altre e dei
componenti delle autorità medesime;
sussiste la necessità di approfondire, anche alla luce della giurisprudenza
costituzionale, la possibilità di applicare le disposizioni di cui allo schema
di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri anche con riferimento ai
contratti già stipulati e agli incarichi già conferiti, al fine di evitare i
prevedibili contenziosi;
le disposizioni di cui all'articolo 5, volto a consentire alle amministrazioni
di ridefinire il trattamento economico del personale di qualifica dirigenziale
che non raggiunge il limite massimo indicato nel provvedimento non sono
direttamente attuative del richiamato articolo 23-ter e sembrerebbe
pertanto opportuna una precisazione in ordine all'effettiva portata normativa
della disposizione chiarendo, in particolare, se la medesima sia volta ad
autorizzare senz'altro le amministrazioni alla riduzione degli attuali
trattamenti ovvero a configurare un mero indirizzo per l'attività contrattuale
della pubblica amministrazione;
sembrerebbe opportuno un maggiore coordinamento temporale con i provvedimenti
attuativi dell'articolo 23-bis del medesimo decreto-legge n. 201 del
2011, relativi ai compensi per gli amministratori con deleghe delle società
partecipate dal Ministero dell'economia e delle finanze;
VALUTA FAVOREVOLMENTE
lo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei
ministri e formula la seguente osservazione:
si valuti l'opportunità di precisare l'effettiva portata del provvedimento in
conformità con le disposizioni di cui all'articolo 23-ter del
decreto-legge n. 201 del 2011, con particolare riferimento all'ammontare del
limite massimo retributivo, all'esatta definizione e alla eventuale estensione
della platea dei soggetti incisi e alla sua effettiva applicazione anche con
riferimento ai contratti già stipulati e agli incarichi già conferiti dalle
pubbliche amministrazioni interessate, nonché alla possibilità di intervenire
anche sui trattamenti economici dei soggetti che non raggiungono il limite
massimo fissato dal provvedimento, al fine di evitare l'insorgere di
contenziosi che determinerebbero effetti negativi per la finanza pubblica.
AFFARI COSTITUZIONALI (1ª)
MARTEDÌ 14 FEBBRAIO 2012
356ª Seduta
Presidenza del Presidente
Interviene il sottosegretario di Stato per l'interno Ferrara.
La seduta inizia alle ore 15,10.
IN SEDE CONSULTIVA SU ATTI DEL GOVERNO
Schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri concernente la definizione del limite massimo riferito al trattamento economico annuo omnicomprensivo dei pubblici dipendenti(n. 439)
(Parere al Presidente del Consiglio dei ministri, ai sensi dell'articolo 23-ter, comma1, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 dicembre 2011, n. 214. Esame e rinvio)
Il presidente VIZZINI(UDC-SVP-AUT:UV-MAIE-VN-MRE-PLI-PSI), relatore, espone il contenuto dello schema di DPCM in esame: esso, richiamate nelle premesse le fonti normative che insistono in materia, tra le quali il D.P.R. n. 195/2010 e l’art. 1 del decreto legge n. 98/2011, fissa il livello remunerativo massimo omnicomprensivo annuo degli emolumenti spettanti a coloro che hanno un rapporto di lavoro dipendente o autonomo con pubbliche amministrazioni statali (articolo 1). Questo è il contenuto principale, prescritto dalla fonte normativa (articolo 23-ter, comma 3, D.L. 201/2011): essa prevede anche che lo stesso DPCM possa individuare deroghe motivate per le posizioni apicali delle rispettive amministrazioni, facoltà non esercitata nella predisposizione dello schema in esame.
Il Relatore nota che, mentre l’articolo 1 ricorre al concetto di livello remunerativo, l’articolo 3, in conformità alle previsione della norma base, costituita dall’articolo 23-ter della legge, ricorre invece al concetto di trattamento economico omnicomprensivo. La duplicità delle categorie che ricorrono nello schema di DPCM si ritrova anche nei regimi vigenti in materia, essendo riconducibile il secondo concetto alla legge n. 244/2007, e il primo al D.L. n. 98/2011. Tuttavia nelle fonti richiamate le due categorie sono soggette a discipline differenti.
Il testo dell’articolo 1, relativo all’oggetto del provvedimento, richiama la fissazione del livello remunerativo massimo omnicomprensivo annuo con riferimento agli emolumenti spettanti a fasce o categorie di personale. Le fasce o categorie di personale prese in considerazione sono quelle che ricevono emolumenti o retribuzioni a carico delle finanze pubbliche.
Il testo, pur individuando il personale cui intende riferirsi per il fatto di ricevere emolumenti o retribuzioni a carico delle finanze pubbliche, tuttavia parrebbe fissare il livello remunerativo massimo con espresso riferimento solo agli emolumenti. Sono prese in considerazione dall’articolo 1 solo le fasce o categorie di personale che ricevono emolumenti o retribuzioni nell’ambito di rapporti di lavoro dipendente o autonomo con pubbliche amministrazioni statali. Va rilevato che, in materia di lavoro autonomo, il riferimento a fasce o categorie di personale potrebbe apparire improprio. Gli enti con i quali le "fasce o categorie di personale" intrattengono rapporti di lavoro, indicati dall’articolo 1, sono le "pubbliche amministrazioni statali, di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, ivi incluse le Autorità amministrative indipendenti, nonché quelli in regime di diritto pubblico di cui all'articolo 3 del medesimo decreto legislativo, e successive modificazioni".
L’indicazione di tali enti non coincide completamente con quella stabilita nell’articolo 23-ter della legge poiché tale articolo non contiene l’inciso "ivi incluse le Autorità amministrative indipendenti" ma, attraverso il richiamo all’articolo 3 del decreto legislativo n. 165/2001, fa riferimento solo ai dipendenti di talune di esse, e cioè degli enti che svolgono attività nelle materie contemplate dai riferimenti normativi contenuti nel citato articolo 3 del decreto legislativo n. 165/2001, materie in cui operano la Banca d’Italia, la CONSOB e l’Antitrust. In merito, il relatore ricorda che il decreto legislativo n. 165/2001, laddove ha inteso includere nel proprio ambito applicativo le autorità indipendenti, lo ha esplicitamente previsto.
L’articolo 1 mantiene ferma la competenza del contratto collettivo nazionale, della contrattazione interna a ciascuna amministrazione e, per i dirigenti pubblici, della contrattazione individuale, per la definizione, "al di sotto del (.....) limite", dei rispettivi trattamenti economici.
Il Relatore si sofferma quindi sull’articolo 3, comma 1, che dispone in materia di limite massimo retributivo, prevedendo che il trattamento economico annuo omnicomprensivo, incluse le indennità e le voci accessorie, dei soggetti di cui all'articolo 2 non può superare il trattamento economico annuale complessivo spettante "per la carica" al Primo Presidente della Corte di cassazione, pari nell'anno 2011 ad euro 304.951,95.
Osserva che le previsioni dell’articolo 23-ter della legge indicano un parametro massimo, cioè un termine di riferimento, al quale rapportare i trattamenti economici; invece, la disposizione in commento fissa un "limite" uniforme per tutti i trattamenti in questione.
La norma di legge non sembra contenere disposizioni espresse sui termini temporali di applicabilità delle nuove disposizioni. Principi di carattere generale dovrebbero portare a considerare applicabile la normativa ai trattamenti dei titolari delle nuove posizioni instaurate dalle amministrazioni e ai trattamenti dei nuovi titolari delle posizioni già esistenti (che, se superiori, si riducono di conseguenza). L’ipotesi dell'incidenza immediata sui trattamenti in corso potrebbe essere ritenuta in contrasto con quanto affermato dalla giurisprudenza costituzionale in materia di divieto di reformatio in peius: in più occasioni, infatti, il giudice delle leggi ha affermato la ragionevolezza di interventi legislativi di contenimento dei trattamenti economici, ma solo in presenza di specifici elementi di contesto e inoltre ha affermato la necessità di rispettare il principio di legittimo affidamento come limite alla retroattività di nuove discipline.
Infine, la Corte ha affermato più volte che la possibilità di ridurre unilateralmente la retribuzione non corrisponde a un discrezionale ius variandi, ma va collegata a una modificazione oggettiva della prestazione di lavoro, o a una nuova, comunque non arbitraria, valutazione della sua qualità o a scelte alternative compiute dal dipendente o, ancora, al carattere solo temporaneo del sacrificio imposto.
Invece, la previsione della riduzione dei trattamenti alla somma indicata (comma 1, secondo periodo) parrebbe voler incidere in via immediata sui trattamenti in essere. Tuttavia, va osservato che l’articolo 23-ter della legge non contiene alcuna previsione espressa circa le conseguenze derivanti dalla fissazione del parametro sui trattamenti in corso; inoltre, il comma 4 dello stesso articolo, nel riferirsi alle "risorse annualmente rivenienti" dalla applicazione del parametro, è suscettibile di essere interpretata come riferita all'applicazione ai nuovi trattamenti, man mano che cessano quelli precedenti.
Il Relatore aggiunge che un’immediata incidenza sui trattamenti in atto, con effetto riduttivo in termini automatici dei medesimi trattamenti, realizzerebbe un intervento unilaterale su rapporti definiti, invece, con lo strumento del contratto o con specifiche procedure per il personale di cui all’articolo 3 del decreto legislativo n. 165/2001, a garanzia, rispettivamente, del sinallagma contrattuale e dell’equilibrio tra le prestazioni e lo status del personale stesso.
Il comma 2 prevede che ai fini dell'applicazione della disciplina in esame sono computate in modo cumulativo le somme comunque erogate all'interessato a carico del medesimo o di più organismi, anche nel caso di pluralità di incarichi conferiti da uno stesso organismo nel corso dell'anno. A tal fine, i soggetti destinatari di cui all'articolo 2 sono tenuti a produrre all'amministrazione di appartenenza, entro 30 giorni dalla pubblicazione del decreto, una dichiarazione ricognitiva di tutti gli incarichi comunque in atto a carico della finanza pubblica con l'indicazione dei relativi importi. A regime, tale dichiarazione è resa entro il 30 novembre di ciascun anno.
Il comma 3 prevede che il trattamento economico annuo omnicomprensivo, incluse le indennità e le voci accessorie, spettante al personale che riveste la carica di Presidente o di componente delle autorità amministrative indipendenti non può superare l'ammontare di cui al comma 1. Se superiore, si riduce al limite di cui al comma 1. Poiché l’articolo 23-ter della legge riguarda i rapporti di lavoro dipendente o autonomo con pubbliche amministrazioni statali, il riferimento ai soggetti che rivestono la carica di Presidente o di componente delle autorità amministrative indipendenti appare ultra vires, in quanto non fondato sulle previsioni della norma di legge. Inoltre, tali soggetti sono indicati come "personale", denominazione che appare impropria in quanto riferita a soggetti nominati o eletti.
Peraltro, qualora con il riferimento al "personale" contenuto in tale comma si intenda aver riguardo solo a coloro che, avendo un rapporto di lavoro con pubbliche amministrazioni statali, sono chiamati a rivestire le cariche in questione, si avrebbe un diverso trattamento per costoro rispetto a soggetti chiamati alle medesime cariche senza avere un rapporto di lavoro con amministrazioni pubbliche ovvero in quanto dipendenti da amministrazioni pubbliche diverse da quelle considerate nella disciplina in esame.
L’articolo 4 riproduce sostanzialmente la disposizione contenuta nel comma 2 dell’articolo 23-ter della legge, stabilendo che il personale di cui all'articolo 2 che esercita funzioni direttive, dirigenziali o equiparate, anche in posizione di fuori ruolo o di aspettativa, presso Ministeri o enti pubblici nazionali, comprese le autorità amministrative indipendenti, ove conservi il trattamento economico riconosciuto dall'amministrazione di appartenenza, non può ricevere a titolo di retribuzione o di indennità, o anche soltanto a titolo di rimborso delle spese, per l'incarico ricoperto, più del 25 per cento dell'ammontare complessivo del trattamento economico percepito a carico dell'amministrazione di appartenenza, fermo restando (aggiunge la disposizione in esame rispetto all'art. 23-ter) il "limite" massimo retributivo.
Manca un esplicito riferimento a riduzioni degli importi, come previsto invece dall’articolo 3. Inoltre potrebbe essere opportuno chiarire se, in caso di pluralità di retribuzioni, indennità o rimborsi spese, il limite del 25 per cento valga per ciascuno isolatamente preso o per il totale. Infine, dovrebbe essere chiarito se tale limite non si applica quando l'incarico sia conferito dalla stessa amministrazione di appartenenza, fermo restando il limite retributivo complessivo.
L’articolo 5 prevede, per il personale con qualifica dirigenziale il cui trattamento economico non raggiunga il limite massimo sopra indicato, che le pubbliche amministrazioni valutino se provvedere o meno, in occasione del rinnovo del contratto individuale di lavoro, alla ridefinizione del relativo trattamento economico. Tale previsione, che introduce una facoltà genericamente riferita a pubbliche amministrazioni, non specificamente individuate, sembra prevedere una riparametrazione del trattamento economico del personale cui si riferisce in astratto il limite massimo retributivo di cui all’articolo 3, limite che, tuttavia, non si applicherebbe in quanto non raggiunto. La disciplina presenta diverse peculiarità: è facoltativa e dunque eventuale, decorre da un momento successivo e ulteriore (quello della futura contrattazione), e si applicherebbe ai soli dirigenti. La disposizione nel suo complesso e le peculiarità con cui è disegnata non sembrano trovare esplicito fondamento nell'articolo 23-ter della legge.
L’articolo 6 stabilisce le modalità per l'assegnazione delle risorse rivenienti dall'applicazione dei limiti retributivi sopra illustrati al Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato. In particolare, si prevede che la Ragioneria generale dello Stato indichi, con proprio provvedimento, le modalità attraverso le quali tali risorse sono annualmente versate al suddetto Fondo. Sia l’articolo 23-ter della legge, sia lo schema in esame non quantificano l’entità delle risorse rivenienti dall’applicazione delle disposizioni in esame. Si potrebbe ritenere che tali risorse si produrrebbero periodicamente qualora il limite massimo stabilito non fosse applicato a trattamenti ed emolumenti in corso. In caso contrario, le risorse si produrrebbero solo nell’anno in cui si procede alla riduzione.
Conclude, riservandosi di avanzare una proposta di parere a seguito del dibattito e proponendo di richiedere al Presidente del Senato una proroga del termine per concludere l'esame.
La Commissione consente.
Il seguito dell'esame è quindi rinviato.
AFFARI COSTITUZIONALI (1ª)
MERCOLEDÌ 22 FEBBRAIO 2012
358ª Seduta
Presidenza del Presidente
Intervengono il ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione Patroni Griffi e il sottosegretario di Stato per l'interno Ruperto.
La seduta inizia alle ore 14,35.
IN SEDE CONSULTIVA SU ATTI DEL GOVERNO
Schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri concernente la definizione del limite massimo riferito al trattamento economico annuo omnicomprensivo dei pubblici dipendenti(n. 439)
(Parere al Presidente del Consiglio dei ministri, ai sensi dell'articolo 23-ter, comma 1, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 dicembre 2011, n. 214. Seguito dell'esame e rinvio)
Riprende l'esame, sospeso nella seduta del 14 febbraio.
Il presidente VIZZINI(UDC-SVP-AUT:UV-MAIE-VN-MRE-PLI-PSI), relatore, si riserva di presentare nella seduta di martedì 28 febbraio una proposta di parere sulla base del dibattito che si svolgerà nel corso dell'esame. La votazione potrà effettuarsi mercoledì 29 febbraio. A tale proposito informa che le Commissioni competenti della Camera dei deputati hanno previsto un percorso analogo, in modo che i pareri di entrambe le Camere siano resi nella giornata di mercoledì 1° marzo.
Si apre il dibattito.
Il senatore SALTAMARTINI (PdL) esprime apprezzamento per i contenuti dello schema di decreto legislativo. Tuttavia, la fissazione di un tetto alle retribuzioni dovrebbe essere accompagnata da opportune deroghe al fine di tenere conto delle funzioni di alta e altissima amministrazione svolte da alcuni funzionari pubblici. È il caso, ad esempio, del Capo della Polizia - Direttore generale della pubblica sicurezza.
La senatrice INCOSTANTE (PD) giudica favorevolmente la proposta del Governo, che tuttavia dovrebbe tenere conto, tra l'altro, delle particolari caratteristiche della direzione delle Forze di Polizia. Inoltre, è opportuno precisare che il tetto si riferisce alle retribuzioni nel loro complesso, esclusi i contributi previdenziali versati dal lavoratore. Infine, ritiene opportuno ampliare la previsione definendo anche il numero massimo di incarichi cumulabili e introdurre disposizioni al fine di attenuare il rischio di un appiattimento delle retribuzioni tra posizioni di responsabilità diversa. In particolare, sembra opportuno prevenire possibili effetti disfunzionali di un'applicazione a posizioni retributive già maturate non, ad esempio, in ragione di incarichi temporanei derivanti da atti di nomina ma per effetto di una progressione di carriera nell'ambito di rapporti di lavoro dipendente e connotati dal carattere della esclusività, della continuità e della stabilità.
Il senatore LAURO (PdL) condivide il contenuto dello schema di decreto legislativo, ma richiama l'attenzione del Governo sugli effetti che potrebbero determinarsi sulla retribuzione del Capo della Polizia che è anche Direttore generale della pubblica sicurezza e che ricopre una posizione critica nella linea di comando delle Forze di Polizia.
La senatrice ADAMO (PD) invita a considerare gli effetti delle disposizioni in esame sui rapporti di impiego esclusivo con la pubblica amministrazione, diversi da quelli che essa intrattiene con collaboratori esterni. Inoltre, chiede chiarimenti al Governo sulla nozione di trattamento economico onnicomprensivo in riferimento alle parti accessorie della retribuzione. Comunque, esprime un giudizio complessivamente positivo sul provvedimento.
Il senatore BIANCO (PD), a nome del Gruppo del Partito Democratico, esprime un convinto apprezzamento per lo schema di decreto legislativo. Esso si colloca su un tracciato corretto, quello del riordino e della trasparenza delle retribuzioni nelle amministrazioni pubbliche. Nello stesso senso si muove la pubblicazione della situazione patrimoniale e reddituale dei Ministri e dei Sottosegretari di Stato.
Sottolinea quindi l'opportunità di affrontare e risolvere altre questioni di rilievo critico. Ad esempio quella dell'affidamento degli arbitrati ai magistrati, un tema trattato più volte. Inoltre, è necessario limitare il cumulo di più incarichi, che determina conseguenze negative allo stesso modo del cumulo delle retribuzioni.
Sollecita l'attenzione del Governo affinché si tenga conto delle esigenze peculiari del comparto della sicurezza: infatti, una peculiare indennità è prevista dalla normativa vigente in considerazione della funzione di coordinamento e di comando assegnata al Capo della Polizia quale Direttore generale della pubblica sicurezza.
Conclude ribadendo l'apprezzamento della sua parte politica e l'auspicio che siano introdotte poche e misurate deroghe al principio generale che il provvedimento intende introdurre.
Il presidente VIZZINI(UDC-SVP-AUT:UV-MAIE-VN-MRE-PLI-PSI), relatore, segnala l'opportunità di considerare anche alcune possibili correzioni della norma legislativa di riferimento, in particolare allo scopo di precisare meglio il novero dei destinatari.
Il ministro PATRONI GRIFFI, intervenendo per la replica, precisa che lo schema di decreto legislativo deve intendersi come immediatamente applicabile per quanto riguarda la riduzione delle retribuzioni che eccedono il limite massimo, adottato dal Governo in attuazione della norma di legge che si riferisce a un "parametro", che effettivamente corrisponde a una nozione diversa ma determinerebbe, se intesa in senso proprio, molti inconvenienti applicativi. Una eventuale revisione delle retribuzioni inferiori, invece, potrà avvenire, se del caso, solo attraverso una rinegoziazione contrattuale.
Assicura, quindi, che il Governo terrà nella massima considerazione le osservazioni che accompagneranno il parere delle Commissioni parlamentari.
Il seguito dell'esame è quindi rinviato.
AFFARI COSTITUZIONALI (1ª)
MARTEDÌ 28 FEBBRAIO 2012
359ª Seduta
Presidenza del Presidente
Intervengono il ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione Patroni Griffi e il sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali Cecchi.
La seduta inizia alle ore 15,30.
IN SEDE CONSULTIVA SU ATTI DEL GOVERNO
Schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri concernente la definizione del limite massimo riferito al trattamento economico annuo omnicomprensivo dei pubblici dipendenti(n. 439)
(Parere al Presidente del Consiglio dei ministri, ai sensi dell'articolo 23-ter, comma 1, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 dicembre 2011, n. 214. Seguito dell'esame e rinvio)
Riprende l'esame, sospeso nella seduta del 22 febbraio.
Il Presidente VIZZINI (UDC-SVP-AUT:UV-MAIE-VN-MRE-PLI-PSI), relatore, presenta una proposta di parere sullo schema di decreto in titolo, pubblicata in allegato.
Prosegue la discussione generale.
Il senatore PALMA (PdL), in riferimento all'articolo 4 dello schema di decreto, evidenzia alcuni profili di illegittimità, con particolare riferimento al principio costituzionale di uguaglianza. Infatti, in base alla disposizione, il personale che esercita funzioni dirigenziali in un'altra amministrazione rispetto a quella di appartenenza, nel caso in cui conservi il trattamento economico riconosciuto dall'amministrazione di appartenenza, non può ricevere, a titolo di retribuzione o indennità, più del 25 per cento dell'ammontare complessivo del trattamento percepito. Si potrebbe pertanto determinare un'irragionevole differenziazione di retribuzioni tra soggetti che esercitano le medesime funzioni, esclusivamente fondata sulla diversa provenienza professionale.
Inoltre, chiede al Governo alcuni chiarimenti su questioni non riguardanti il contenuto del decreto, ma ad esso strettamente connesse, le quali potrebbero essere formulate in forma di invito al Governo a modificare la normativa di riferimento. In primo luogo, si riferisce alla possibilità, riconosciuta in alcuni casi in deroga al regime generale, di rendere pensionabile l'indennità percepita per l'esercizio di alcune funzioni direttive o dirigenziali. Qualora permanesse tale eccezionale regime di favore, si determinerebbe - quale effetto paradossale - un'irragionevole discriminazione a danno di quanti attualmente esercitano funzioni direttive, i quali subirebbero la decurtazione della relativa indennità, rispetto a quelli che possono continuare a percepire l'integrale ammontare dell'indennità, godendola sotto forma di trattamento pensionistico. Inoltre, quelle medesime indennità, percepite a seguito dell'assunzione di determinati incarichi, in alcuni casi si conservano anche dopo la cessazione dell'incarico. Nel manifestare le proprie perplessità circa un tale sistema, valuta con preoccupazione il rischio che, se non si interviene con opportune modifiche legislative, si potrebbe determinare paradossalmente la decurtazione del trattamento economico solo per quanti attualmente esercitano la relativa funzione e non per quanti, avendola esercitata in passato, continuano a percepire la relativa indennità.
Inoltre, questo sistema di conservazione delle indennità anche successivamente alla cessazione della funzione ha come effetto quello di determinare, all'interno della funzione giurisdizionale, vistose anomalie, ovvero la presenza di magistrati che percepiscono un trattamento economico superiore a quello del Primo Presidente di Corte di cassazione.
Segnala, inoltre, che in alcuni ministeri la retribuzione di alcune figure è parametrata alla retribuzione del Capo Dipartimento che ha la maggiore retribuzione: chiede, al riguardo, se un tale regime di parametrazione, ove conservato, sia compatibile con i contenuti del decreto all'esame.
Il senatore PASTORE (PdL) chiede al Governo conferma circa la non applicabilità, a coloro che esercitano funzioni direttive, dirigenziali o equiparate, del tetto al cumulo tra trattamento pensionistico e remunerazione.
Il ministro PATRONI GRIFFI, nel riservarsi di rispondere alle questioni sollevate dal senatore Palma, conferma che i trattamenti di quiescenza sono esclusi dal calcolo per la fissazione del tetto. D'altra parte, non potrebbero esservi ricompresi, in quanto di natura diversa rispetto le retribuzioni percepite per prestazioni lavorative.
Il seguito dell'esame è quindi rinviato.
SCHEMA DI PARERE PROPOSTO DAL RELATORE
SULL'ATTO DEL GOVERNO N. 439
La Commissione, esaminato lo schema di decreto del Presidente del consiglio dei Ministri, rileva anzitutto che il provvedimento tende a realizzare un disegno normativo - assai apprezzabile - diretto a razionalizzare il sistema delle retribuzioni statali riconducendolo a unità attraverso la convergenza verso un limite quantitativo comune: tale misura va perseguita in modo coerente sia con la norma base (art. 23-ter dl 201/2011 come convertito in legge), che peraltro necessita di opportune precisazioni, sia con il sistema normativo e contrattuale in tema di retribuzioni nel settore pubblico sia, infine, con i princìpi generali desumibili anche dalla giurisprudenza del giudice delle leggi, del giudice di legittimità e del giudice amministrativo. Ciò al fine di assicurare quei connotati di congruità, proporzione e ragionevolezza che soli garantiscono l'operazione da censure foriere di possibili costi diretti e di inconvenienti funzionali nell'assetto operativo delle amministrazioni interessate.
Un primo nodo problematico è l’ambito soggettivo di applicazione della disciplina, in quanto la norma primaria appena richiamata lo circoscrive alle pubbliche amministrazioni statali, mentre il provvedimento di attuazione non potrebbe estendersi ai rapporti di lavoro con le amministrazioni non comprese in tale specifico perimetro. Pertanto, al fine di evitare, da un lato, la possibilità che siano emanate norme regolamentari ultra vires e, dall’altro lato, che si realizzino disparità irragionevoli nello stesso contesto dell'ordinamento del pubblico impiego di cui al decreto legislativo n. 165 del 2001, occorre un chiarimento normativo. Il chiarimento dovrebbe, in primo luogo, estendere la disciplina alle altre amministrazioni pubbliche menzionate dall’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165/2001 nonché a tutte le "autorità amministrative indipendenti", sia quanto ai componenti di quegli organi sia quanto al personale delle loro strutture organizzative.
Inoltre, poiché la legge dello Stato non potrebbe disporre direttamente nei confronti delle Regioni, il chiarimento normativo dovrebbe contenere una disposizione che indirizzi le Regioni a conformare il proprio ordinamento a quanto stabilito per le altre pubbliche amministrazioni.
In ordine all'altro, complesso aspetto problematico, concernente l’applicazione della norma primaria e del provvedimento di attuazione, che riguarda la relativa decorrenza (anche alla stregua del c.d. divieto di reformatio in peius dei trattamento retributivi), la Commissione prende atto delle rassicurazioni fornite in proposito dal rappresentante del Governo nella seduta del 22 febbraio 2012, secondo le quali non vi sarebbero ostacoli a una applicazione immediata in quanto, in presenza di inderogabili esigenze di contenimento della spesa pubblica, si potrebbe legittimamente incidere su trattamenti retributivi in corso. Peraltro la Commissione confida nella prudente valutazione del Governo, corroborata dalle competenze tecniche di eccellenza di cui esso dispone, al fine di prevenire il rischio che un intervento repentino e non graduale generi un contenzioso, rilevante anche per l'entità delle somme in questione, che potrebbe determinare un costo tale da contraddire o persino vanificare lo scopo di risparmio che ispira l'opera di razionalizzazione delle retribuzioni pubbliche. In particolare, tale valutazione dovrebbe essere compiuta per quelle posizioni retributive maturate non già, ad esempio, in ragione di incarichi temporanei e senza rapporto d'impiego, ma per effetto di una progressione di carriera nell'ambito di rapporti di lavoro dipendente connotati dal carattere della esclusività, della continuità e della stabilità.
Si rileva, inoltre, che la normativa in questione contiene differenti locuzioni per definire il trattamento economico da prendere a riferimento: pertanto, dovrebbe essere precisato che per trattamento economico deve intendersi esclusivamente il trattamento retributivo percepito annualmente, comprese le indennità e le voci accessorie nonché le eventuali remunerazioni per incarichi ulteriori o consulenze conferiti da amministrazioni pubbliche diverse da quella di appartenenza.
L’articolo 5 dello schema di Dpcm appare compatibile con il principio dell’autonomia negoziale delle parti nel rapporto di lavoro pubblico, in quanto non vìola la competenza contrattuale per la definizione dei trattamenti economici, ma anzi chiarisce, proprio nel rispetto di tale competenza, che l’eventuale revisione dei trattamenti medesimi è possibile solo in occasione del rinnovo dei contratti.Nondimeno, sembra opportuno introdurre disposizioni, anche transitorie, al fine di prevenire il rischio di un livellamento delle retribuzioni tra posizioni di responsabilità diversa, rischio insito in una applicazione del limite massimo che prescinda, anche in ordinamenti retributivi specifici, da un equilibrio complessivo per coerenza e proporzioni interne di sistema.
In merito alla possibilità, prevista dalla legge, di disporre deroghe al limite retributivo, possono essere formulati alcuni criteri d'indirizzo al fine di applicare il decreto in modo equilibrato e secondo il canone della ragionevolezza.
In proposito deve riconoscersi che la previsione o meno di tali deroghe costituisce esercizio di una facoltà del Governo, il quale può legittimamente provvedere in tal senso purché dia atto, con rigorosa motivazione, delle ragioni che giustificano la deroga. Ove il Governo intendesse esercitare tale facoltà, la deroga potrebbe riguardare unicamente le "posizioni di più alto livello di responsabilità", in conformità alla disposizione già contenuta in proposito nell’articolo 3, comma 44, della legge 24 dicembre 2007 n. 244.
In particolare, le deroghe per alcune posizioni apicali potrebbero comprendere quegli incarichi di altissimo rilievo istituzionale e di straordinario impegno amministrativo, commisurato anche alla quantità e alla qualità delle risorse umane, materiali e finanziarie sottoposte alla direzione di tali posizioni, con un'attenzione specifica al comparto della sicurezza pubblica.
Ciò è quanto risulta da un'opinione comune desumibile da tutti gli interventi svolti in Commissione dagli esponenti delle diverse parti politiche, opinione comune che non ha suscitato obiezioni né riserve da parte del rappresentante del Governo.
Quanto all'articolo 4 dello schema di DPCM, occorre considerare la possibilità che il limite del 25 per cento non comporti, in concreto, un trattamento addirittura deteriore rispetto a quello di provenienza, ad esempio in ragione del venir meno di elementi accessori della retribuzione propri del servizio nell'amministrazione di appartenenza. Inoltre, dovrebbe essere chiarito che il limite non si applica per gli incarichi conferiti nell'ambito della medesima amministrazione, che dovrebbe comunque assicurare un equilibrio nell'insieme dei trattamenti retributivi, fermo restando il limite massimo. In proposito, inoltre, sarebbe opportuno modificare il comma 2 del citato articolo 23-ter del decreto-legge n. 201 del 2011, il quale non tiene conto delle condizioni oggettivamente diverse che è dato riscontrare nelle posizioni apicali delle amministrazioni e negli uffici di diretta collaborazione dei Ministri, laddove vi sono forme di prestazione differenziate, sia sotto il profilo della quantità di apporto lavorativo, sia sotto il profilo della titolarità di posizioni di responsabilità diretta. Occorre pertanto prevedere un’opportuna articolazione e graduazione dei corrispondenti, diversi trattamenti, in ragione del carattere continuativo o meno della collaborazione e della sua stessa natura, fermo restando il limite massimo per la retribuzione complessiva.
I chiarimenti normativi già segnalati, da compiere con disposizioni di legge, non possono trascurare, inoltre, l'esigenza di coordinare il precetto sul parametro retributivo massimo con le altre misure prese da leggi recenti per adeguare alla media europea le retribuzioni di rilevanti incarichi di responsabilità nell'amministrazione dello Stato e per regolare gli emolumenti per i manager delle società non quotate a partecipazione pubblica, includendo quelle delle Regioni e degli enti locali, secondo l'articolazione normativa appropriata al relativo ordinamento.
Tutto ciò premesso e considerato, la Commissione esprime parere favorevole.
AFFARI COSTITUZIONALI (1ª)
MERCOLEDÌ 29 FEBBRAIO 2012
360ª Seduta
Presidenza del Presidente
Interviene il sottosegretario di Stato per l'interno Ruperto.
La seduta inizia alle ore 14,35.
IN SEDE CONSULTIVA SU ATTI DEL GOVERNO
Schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri concernente la definizione del limite massimo riferito al trattamento economico annuo omnicomprensivo dei pubblici dipendenti(n. 439)
(Parere al Presidente del Consiglio dei ministri, ai sensi dell'articolo 23-ter, comma1, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 dicembre 2011, n. 214. Seguito e conclusione dell'esame. Parere favorevole)
Prosegue l'esame, sospeso nella seduta del 28 febbraio.
Il presidente VIZZINI (UDC-SVP-AUT:UV-MAIE-VN-MRE-PLI-PSI), relatore, recependo un rilievo del senatore Palma, integra la proposta di parere, segnalando l'opportunità di riordinare, con l'intervento normativo più appropriato, i regimi speciali concernenti alcune indennità, che producono effetti anche dopo la cessazione dell'incarico, in modo che anche tale specifica disciplina sia coordinata con quella in esame.
Il senatore PALMA (PdL), nell'esprimere il suo apprezzamento sulla proposta di parere, che ha tenuto conto del suo rilievo, chiede che essa possa essere ulteriormente integrata, inserendo un'osservazione sulla necessità di riconsiderare il sistema - proprio di alcune amministrazioni - che prevede forme di commisurazione automatica di alcune posizioni retributive a quella più elevata, con meccanismi di trascinamento verso l'alto che alterano le dinamiche retributive.
Il presidente VIZZINI (UDC-SVP-AUT:UV-MAIE-VN-MRE-PLI-PSI), relatore, condividendo l'osservazione del senatore Palma, riformula la proposta di parere nei termini da lui indicati.
Il senatore BIANCO (PD), nel dichiarare il voto favorevole del suo Gruppo, apprezza lo sforzo compiuto dal relatore nell'individuare un punto di equilibrio tra diverse esigenze: da una parte, la necessità che sia sempre rispettato il quadro costituzionale di riferimento; dall'altra, l'esigenza di procedere senza indugio nella direzione di una razionalizzazione e del contenimento, a tutti i livelli, dei costi degli apparati pubblici.
Il senatore SALTAMARTINI (PdL), nel dichiarare, a nome del suo Gruppo, il voto favorevole, sottolinea che il Popolo della Libertà conviene sulla necessità che il provvedimento sia immediatamente applicativo. Ritiene, infatti, che esso rappresenti una prima efficace misura per razionalizzare il sistema retributivo delle pubbliche amministrazioni, nel rispetto del principio costituzionale di proporzionalità delle retribuzioni alla quantità e alla qualità del lavoro prestato.
Il senatore BODEGA (LNP) dichiara il voto contrario del suo Gruppo sulla proposta di parere, ritenendo che i rilievi formulati in premessa avrebbero dovuto formare oggetto di osservazioni o condizioni.
Accertata la presenza del prescritto numero di senatori, la Commissione approva la proposta di parere favorevole avanzata dal Relatore e pubblicata in allegato.
PARERE APPROVATO DALLA COMMISSIONE
SULL'ATTO DEL GOVERNO N. 439
La Commissione, esaminato lo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, rileva anzitutto che il provvedimento tende a realizzare un disegno normativo - assai apprezzabile - diretto a razionalizzare il sistema delle retribuzioni statali riconducendolo a unità attraverso la convergenza verso un limite quantitativo comune: tale misura va perseguita in modo coerente sia con la norma base (articolo 23-ter del decreto-legge n. 201 del 2011, come convertito in legge), che peraltro necessita di opportune precisazioni, sia con il sistema normativo e contrattuale in tema di retribuzioni nel settore pubblico sia, infine, con i princìpi generali desumibili anche dalla giurisprudenza del giudice delle leggi, del giudice di legittimità e del giudice amministrativo. Ciò al fine di assicurare quei connotati di congruità, proporzione e ragionevolezza che soli garantiscono l'operazione da censure foriere di possibili costi diretti e di inconvenienti funzionali nell'assetto operativo delle amministrazioni interessate.
Un primo nodo problematico è l’ambito soggettivo di applicazione della disciplina, in quanto la norma primaria appena richiamata lo circoscrive alle pubbliche amministrazioni statali, mentre il provvedimento di attuazione non potrebbe estendersi ai rapporti di lavoro con le amministrazioni non comprese in tale specifico perimetro. Pertanto, al fine di evitare, da un lato, la possibilità che siano emanate norme regolamentari ultra vires e, dall’altro lato, che si realizzino disparità irragionevoli nello stesso contesto dell'ordinamento del pubblico impiego di cui al decreto legislativo n. 165 del 2001, occorre un chiarimento normativo. Il chiarimento dovrebbe, in primo luogo, estendere la disciplina alle altre amministrazioni pubbliche menzionate dall’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001 nonché a tutte le "autorità amministrative indipendenti", sia quanto ai componenti di quegli organi sia quanto al personale delle loro strutture organizzative.
Inoltre, poiché la legge dello Stato non potrebbe disporre direttamente nei confronti delle Regioni, il chiarimento normativo dovrebbe contenere una disposizione che indirizzi le Regioni a conformare il proprio ordinamento a quanto stabilito per le altre pubbliche amministrazioni.
In ordine all'altro, complesso aspetto problematico, concernente l’applicazione della norma primaria e del provvedimento di attuazione, che riguarda la relativa decorrenza (anche alla stregua del c.d. divieto di reformatio in peius dei trattamento retributivi), la Commissione prende atto delle rassicurazioni fornite in proposito dal rappresentante del Governo nella seduta del 22 febbraio 2012, secondo le quali non vi sarebbero ostacoli a una applicazione immediata in quanto, in presenza di inderogabili esigenze di contenimento della spesa pubblica, si potrebbe legittimamente incidere su trattamenti retributivi in corso. Peraltro la Commissione confida nella prudente valutazione del Governo, corroborata dalle competenze tecniche di eccellenza di cui esso dispone, al fine di prevenire il rischio che un intervento repentino e non graduale generi un contenzioso, rilevante anche per l'entità delle somme in questione, che potrebbe determinare un costo tale da contraddire o persino vanificare lo scopo di risparmio che ispira l'opera di razionalizzazione delle retribuzioni pubbliche. In particolare, tale valutazione dovrebbe essere compiuta per quelle posizioni retributive maturate non già, ad esempio, in ragione di incarichi temporanei e senza rapporto d'impiego, ma per effetto di una progressione di carriera nell'ambito di rapporti di lavoro dipendente connotati dal carattere della esclusività, della continuità e della stabilità.
Si rileva, inoltre, che la normativa in questione contiene differenti locuzioni per definire il trattamento economico da prendere a riferimento: pertanto, dovrebbe essere precisato che per trattamento economico deve intendersi esclusivamente il trattamento retributivo percepito annualmente, comprese le indennità e le voci accessorie nonché le eventuali remunerazioni per incarichi ulteriori o consulenze conferiti da amministrazioni pubbliche diverse da quella di appartenenza.
L’articolo 5 dello schema di decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri appare compatibile con il principio dell’autonomia negoziale delle parti nel rapporto di lavoro pubblico, in quanto non vìola la competenza contrattuale per la definizione dei trattamenti economici, ma anzi chiarisce, proprio nel rispetto di tale competenza, che l’eventuale revisione dei trattamenti medesimi è possibile solo in occasione del rinnovo dei contratti. Nondimeno, sembra opportuno introdurre disposizioni, anche transitorie, al fine di prevenire il rischio di un livellamento delle retribuzioni tra posizioni di responsabilità diversa, rischio insito in una applicazione del limite massimo che prescinda, anche in ordinamenti retributivi specifici, da un equilibrio complessivo per coerenza e proporzioni interne di sistema.
In merito alla possibilità, prevista dalla legge, di disporre deroghe al limite retributivo, possono essere formulati alcuni criteri d'indirizzo al fine di applicare il decreto in modo equilibrato e secondo il canone della ragionevolezza.
In proposito deve riconoscersi che la previsione o meno di tali deroghe costituisce esercizio di una facoltà del Governo, il quale può legittimamente provvedere in tal senso purché dia atto, con rigorosa motivazione, delle ragioni che giustificano la deroga. Ove il Governo intendesse esercitare tale facoltà, la deroga potrebbe riguardare unicamente le "posizioni di più alto livello di responsabilità", in conformità alla disposizione già contenuta in proposito nell’articolo 3, comma 44, della legge 24 dicembre 2007, n. 244.
In particolare, le deroghe per alcune posizioni apicali potrebbero comprendere quegli incarichi di altissimo rilievo istituzionale e di straordinario impegno amministrativo, commisurato anche alla quantità e alla qualità delle risorse umane, materiali e finanziarie sottoposte alla direzione di tali posizioni, con un'attenzione specifica al comparto della sicurezza pubblica.
Ciò è quanto risulta da un'opinione comune desumibile da tutti gli interventi svolti in Commissione dagli esponenti delle diverse parti politiche, opinione comune che non ha suscitato obiezioni né riserve da parte del rappresentante del Governo.
Quanto all'articolo 4 dello schema di decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, occorre considerare la possibilità che il limite del 25 per cento non comporti, in concreto, un trattamento addirittura deteriore rispetto a quello di provenienza, ad esempio in ragione del venir meno di elementi accessori della retribuzione propri del servizio nell'amministrazione di appartenenza. Inoltre, dovrebbe essere chiarito che il limite non si applica per gli incarichi conferiti nell'ambito della medesima amministrazione, che dovrebbe comunque assicurare un equilibrio nell'insieme dei trattamenti retributivi, fermo restando il limite massimo. In proposito, inoltre, sarebbe opportuno modificare il comma 2 del citato articolo 23-ter del decreto-legge n. 201 del 2011, il quale non tiene conto delle condizioni oggettivamente diverse che è dato riscontrare nelle posizioni apicali delle amministrazioni e negli uffici di diretta collaborazione dei Ministri, laddove vi sono forme di prestazione differenziate, sia sotto il profilo della quantità di apporto lavorativo, sia sotto il profilo della titolarità di posizioni di responsabilità diretta. Occorre pertanto prevedere un’opportuna articolazione e graduazione dei corrispondenti, diversi trattamenti, in ragione del carattere continuativo o meno della collaborazione e della sua stessa natura, fermo restando il limite massimo per la retribuzione complessiva.
I chiarimenti normativi già segnalati, da compiere con disposizioni di legge, non possono trascurare, inoltre, l'esigenza di coordinare il precetto sul parametro retributivo massimo con le altre misure prese da leggi recenti per adeguare alla media europea le retribuzioni di rilevanti incarichi di responsabilità nell'amministrazione dello Stato e per regolare gli emolumenti per i manager delle società non quotate a partecipazione pubblica, includendo quelle delle Regioni e degli enti locali, secondo l'articolazione normativa appropriata al relativo ordinamento.
Inoltre, nell'occasione dovrebbe essere riconsiderato il sistema - proprio di alcune amministrazioni - che prevede forme di commisurazione automatica di alcune posizioni retributive a quella più elevata, con meccanismi di trascinamento verso l'alto che alterano le dinamiche retributive.
Infine, va considerata l'opportunità di riordinare, con l'intervento normativo più appropriato, i regimi speciali concernenti alcune indennità, che producono effetti anche dopo la cessazione dell'incarico, in modo che anche tale specifica disciplina sia coordinata con quella in esame.
Tutto ciò premesso e considerato, la Commissione esprime parere favorevole.
LAVORO, PREVIDENZA SOCIALE (11ª)
MARTEDÌ 7 FEBBRAIO 2012
279ª Seduta
Presidenza del Presidente
La seduta inizia alle ore 15,05.
IN SEDE CONSULTIVA
Schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri concernente la definizione del limite massimo riferito al trattamento economico annuo omnicomprensivo dei pubblici dipendenti(n. 439)
(Osservazioni alla 1a Commissione. Esame e rinvio)
Introducendo l'esame, la relatrice SPADONI URBANI (PdL) rileva che l'atto di Governo attua la disposizione dell’articolo 23-ter del decreto-legge 201 del 2011, sui trattamenti economici dei pubblici dipendenti che si trovino in posizioni apicali. In particolare, l'articolo 2 dello schema di decreto identifica i destinatari del provvedimento in quanti ricevono a carico delle finanze pubbliche emolumenti o retribuzioni nell’ambito di rapporti di lavoro dipendente o autonomo con pubbliche amministrazioni statali, compreso il cosiddetto personale non contrattualizzato: magistrati ordinari, amministrativi e contabili, avvocati e procuratori dello Stato; personale militare e Forze di polizia di Stato; personale della carriera diplomatica; personale della carriera prefettizia; personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco; personale della carriera dirigenziale penitenziaria; professori e ricercatori universitari. Viene specificato che il trattamento economico deve essere considerato omnicomprensivo (articolo 3), e dunque comprende le somme erogate dal medesimo o da diversi organismi, anche nel caso di pluralità di incarichi. In relazione alle diverse funzioni svolte, tanto nell’ambito di rapporti di lavoro dipendente quanto di rapporti di lavoro autonomo, il trattamento economico erogabile non deve superare il trattamento economico del Primo presidente della Corte di Cassazione, pari a 304 mila euro. L'articolo 4 individua un ulteriore parametro limite per le somme che possono essere corrisposte ai dipendenti delle amministrazioni che siano chiamati a svolgere funzioni direttive dirigenziali o equiparate presso Ministeri o enti pubblici nazionali, comprese le autorità amministrative indipendenti. In particolare, la disposizione prevede che questi soggetti - se conservano il trattamento economico riconosciuto dall’amministrazione di appartenenza - non possano ricevere a titolo di retribuzione, indennità, o anche solo per il rimborso spese, più del 25 per cento dell’ammontare complessivo del trattamento economico già percepito. L'articolo 5 introduce deroghe motivate al tetto delle retribuzioni per coloro che siano chiamati a ricoprire posizioni apicali nell’amministrazione.
Non ravvisando nell'atto profili di particolare interesse per la Commissione, la relatrice propone conclusivamente l'espressione di osservazioni non ostative.
Si apre la discussione generale.
Il senatore NEROZZI (PD) chiede di disporre di tempo adeguato per condurre gli opportuni approfondimenti relativi in particolare ad alcune figure apicali dell'amministrazione pubblica.
Il seguito dell'esame è quindi rinviato.
La seduta termina alle ore 16.
LAVORO, PREVIDENZA SOCIALE (11ª)
MARTEDÌ 14 FEBBRAIO 2012
281ª Seduta
Presidenza del Presidente
La seduta inizia alle ore 15,30.
Schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri concernente la definizione del limite massimo riferito al trattamento economico annuo omnicomprensivo dei pubblici dipendenti(n. 439)
(Osservazioni alla 1a Commissione. Seguito dell'esame e rinvio)
Riprende l'esame, sospeso nella seduta del 7 febbraio scorso.
La relatrice SPADONI URBANI (PdL) prende brevemente la parola per segnalare la delicatezza della formulazione di cui all'articolo 4 dell'atto, con riferimento a quanti prestino attività di consulenza all'interno e a beneficio della stessa amministrazione di appartenenza.
Il presidente GIULIANO avanza perplessità in ordine a tali ultime osservazioni.
A giudizio del senatore NEROZZI (PD) l'atto in esame, pur breve nei contenuti, è tuttavia pieno di sorprese, a maggior ragione ove le disposizioni si colleghino ai contenuti degli articoli 35 e 37 del decreto-legge n. 1 del 2012, in materia di liberalizzazioni, e all'articolo 23-ter, comma 1, del decreto-legge n. 201 del 2011 (cosiddetto "salva Italia"). Il primo elemento di perplessità riguarda l'articolo 2, che, nell'individuare i soggetti destinatari del decreto, ne eccettua tuttavia alcuni, che pure hanno un rapporto di lavoro con un'Amministrazione pubblica, come gli enti pubblici non economici e l'Agenzia delle Entrate, dando luogo ad evidenti discriminazioni tra soggetti esclusi dall'applicazione della disposizione e soggetti inclusi. Le disparità rischiano di aumentare ove si pensi a quanto stabilito nel decreto-legge n. 1 del 2012 in tema di liberalizzazioni, per effetto del quale alcuni potrebbero addirittura aggiungere ulteriori prebende a quelle già percepite. Probabilmente la soluzione migliore sarebbe una interpretazione estensiva e la parificazione totale tra i dipendenti degli enti pubblici e i dipendenti pubblici.
Conviene il presidente GIULIANO, il quale, nel concordare sulla difficoltà di individuazione dei soggetti destinatari posta dalla norma, riterrebbe preferibile utilizzare una dizione che ricomprenda anche le aziende divenute SpA. Reputa imprescindibile che la Commissione ponga l'attenzione sulla problematica dell'individuazione dei soggetti destinatari, onde scongiurare violazioni del principio costituzionale di uguaglianza.
Si unisce alle perplessità il senatore MAZZATORTA (LNP), il quale richiama altresì che, ancorché l'atto sia teso a dare attuazione alla delega contenuta nell'articolo 23-ter, comma 1, del decreto-legge cosiddetto "salva Italia", al fine di contenere la spesa pubblica, l'articolo 5 appare con tali obiettivi del tutto in contrasto, rischiando di perseguire effetti addirittura opposti a quelli per i quali è stato concepito. Egli esprime altresì particolare preoccupazione con riferimento al comma 3 dell'articolo 3.
Il senatore CASTRO (PdL), premesso che, in base all'attuale ripartizione di competenze tra le Commissioni permanenti del Senato, l'atto pertiene ad una materia che solo perifericamente interessa la Commissione lavoro, reputa peraltro significativo che all'ordine del giorno della Commissione medesima figuri il disegno di legge n. 1518, in materia di adozione di politiche retributive eque e trasparenti, di cui è primo firmatario e che riguarda tanto il settore pubblico che quello privato. Il gran numero di disposizioni oscure e di eccezioni incomprensibili dimostra a suo giudizio come l'atto in esame sia stato astutamente confezionato proprio allo scopo di eludere la disposizione delegante: clamoroso è il caso dell'articolo 5.
Il presidente GIULIANO, nel ritenere che la competenza si radichi nella circostanza che per più aspetti il contratto di lavoro pubblico presenta caratteristiche privatistiche, prende atto della circostanza che nel dibattito sono emerse perplessità formulate in modo trasversale e che dimostrano la necessità di una riflessione approfondita.
Per il senatore NEROZZI (PD) l'odierno dibattito è l'ulteriore conferma dell'esigenza di una riunificazione della competenza in materia di rapporto di lavoro nell'ambito della Commissione Lavoro, analogamente a quanto avviene presso l'altro ramo del Parlamento, ed auspica che la questione possa essere avanzata alla Presidenza del Senato.
Il presidente GIULIANO ricorda di aver già sottoposto informalmente la questione alla Presidenza all'inizio della legislatura in corso. Invita quindi la relatrice a proporre nella prossima seduta uno schema di parere che tenga conto delle osservazioni emerse nel corso del dibattito odierno.
Il seguito dell'esame è quindi rinviato.
La seduta termina alle ore 16,10.
LAVORO, PREVIDENZA SOCIALE (11ª)
MARTEDÌ 28 FEBBRAIO 2012
285ª Seduta
Presidenza del Presidente
Interviene il sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali Cecilia Guerra.
La seduta inizia alle ore 15,35.
IN SEDE CONSULTIVA
Schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri concernente la definizione del limite massimo riferito al trattamento economico annuo omnicomprensivo dei pubblici dipendenti(n. 439)
(Osservazioni alla 1a Commissione. Seguito dell'esame e rinvio)
Riprende l'esame, sospeso nella seduta del 14 febbraio scorso.
Il presidente GIULIANO, dopo aver ricordato che nella seduta dello scorso 14 febbraio erano emersi alcuni profili critici nel corso della discussione generale, ritiene opportuno informare la Commissione che la relatrice Spadoni Urbani gli ha sottoposto in via informale una bozza di osservazioni sull'Atto in titolo. Pur nell'esprimere il proprio convinto apprezzamento per il lavoro redazionale svolto dalla relatrice, esprime tuttavia il timore che la bozza sottopostagli potrebbe non aver recepito in maniera fedele ed esaustiva tutte le risultanze del dibattito svolto. Pertanto, nell'ottica di giungere all'elaborazione di un testo largamente condiviso, riterrebbe opportuno, nel presupposto che la relatrice Spadoni Urbani vi consenta, proseguire i lavori in una sede informale, raccogliendo i contributi dei rappresentanti dei Gruppi, ai quali chiede quindi se concordano con tale soluzione procedurale.
La relatrice SPADONI URBANI (PdL) concorda con la proposta avanzata dal Presidente e ritiene di estrema importanza che la Commissione possa dare spazio nel testo delle osservazioni a una serie di indicazioni di carattere marcatamente politico, non limitandosi a trasmettere alla Commissione di merito delle osservazioni concernenti unicamente questioni di carattere tecnico-normativo.
Il presidente GIULIANO ritiene quindi opportuno richiamare i principali profili problematici evidenziati nel corso della discussione generale, con particolare riferimento all'individuazione dei destinatari del provvedimento (oggetto dell'articolo 2) e all'interpretazione e applicazione del limite del 25 per cento alla retribuzione o all'indennità nei casi previsti dall'articolo 4. Giudica comunque di tutta evidenza come il dibattito e, di conseguenza, anche il testo delle osservazioni da esprimere, non possano non tener conto del più ampio problema delle categorie non interessate dall'applicazione dell'articolo 23-ter del decreto-legge n. 201 del 2011.
Il senatore CASTRO (PdL) ricorda che nella precedente seduta era emerso l'impegno della relatrice a predisporre uno schema di osservazioni da sottoporre alla Commissione. Pur ritenendo condivisibile la soluzione procedurale prospettata dal Presidente, sottolinea comunque la necessità che la Commissione possa procedere all'esame di un testo già formalmente predisposto.
Il senatore MAZZATORTA (LNP), manifesta, a nome della propria parte politica, il consenso a procedere nei termini indicati dal Presidente. Tuttavia occorre a suo avviso stabilire alcuni punti fermi, per quanto riguarda in particolare il problema dell'individuazione dei destinatari del provvedimento e il principio - a suo parere fondamentale e irrinunciabile - di ritenere che il limite retributivo massimo previsto sia applicabile ai rapporti di lavoro e agli incarichi già in corso. Infatti, se si accetta la tesi, propugnata dal Governo, secondo cui l'intervento normativo in questione è da correlare strettamente all'obiettivo generale di rigore nella gestione della spesa pubblica, sottolinea che non risulterebbe logicamente comprensibile né politicamente giustificabile prevedere una serie di deroghe e di limitazioni all'operatività del tetto massimo individuato nell'Atto del Governo in titolo. Pertanto, nel testo delle osservazioni non andrebbero sostenute o avallate ipotesi volte a limitare la portata generale del provvedimento e per contro andrebbe evidenziata la necessità di estendere il più possibile il suo ambito soggettivo di applicazione, anche attraverso una modifica all'articolo 23-ter del decreto-legge n. 201 del 2011. Soltanto a tali condizioni la propria parte politica potrà assumere un orientamento di voto favorevole sullo schema di osservazioni.
Il senatore CASTRO (PdL), traendo spunto dai rilievi svolti dal senatore Mazzatorta, evidenzia il problema delle politiche remunerative di soggetti di provenienza e nomina sostanzialmente politica, come gli amministratori delegati delle società multiutility costituite o partecipate dagli enti locali. Una analoga riflessione potrebbe riguardare la determinazione dei compensi spettanti ai titolari delle posizioni dirigenziali apicali nell'ambito degli enti previdenziali.
In conclusione ritiene del tutto evidente come, nel dare attuazione al decreto-legge n. 201 del 2011, il Governo debba perseguire l'obiettivo di elaborare un dettato normativo chiaro e in grado di accrescere la produttività del Paese.
Il senatore NEROZZI (PD), nel condividere la soluzione procedurale prospettata dal Presidente, specifica che, dalla lettura dello schema di decreto in titolo, emerge un duplice ordine di problemi. Da un lato vi sono dubbi interpretativi in merito all'esatta individuazione dei destinatari del provvedimento e quindi delle categorie alle quali i limite massimo retributivo risulta applicabile. Dall'altro, a fronte delle categorie di incerta inclusione nel provvedimento, non risultano disponibili giustificazioni circa le categorie manifestamente escluse dal suo ambito di applicazione.
Pertanto, nello schema di osservazioni, occorrerebbe individuare le opportune proposte di affinamento del testo, per renderne chiara e incontrovertibile l'applicazione, e, inoltre, suggerire l'inclusione di ulteriori categorie di dipendenti che risultano attualmente escluse, sulla base di principi di parità di trattamento e di opportunità politica.
Il presidente GIULIANO, preso atto dell'orientamento espresso dai Gruppi e al fine di consentire alla relatrice Spadoni Urbani di predisporre un testo il più possibile condiviso, sottopone alla Commissione l'opportunità di convocare un'apposita seduta domani mattina, per procedere all'esame e alla votazione dello schema di osservazioni sull'Atto del Governo n. 439.
La Commissione concorda con il Presidente e gli conferisce mandato a valutare l'opportunità di convocare una apposita seduta nella mattinata di domani per concludere l'esame dell'atto in titolo.
Il seguito dell'esame è quindi rinviato.
La seduta termina alle ore 16,20.
LAVORO, PREVIDENZA SOCIALE (11ª)
MERCOLEDÌ 29 FEBBRAIO 2012
286ª Seduta (antimeridiana)
Presidenza del Presidente
La seduta inizia alle ore 9,15.
IN SEDE CONSULTIVA
Schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri concernente la definizione del limite massimo riferito al trattamento economico annuo omnicomprensivo dei pubblici dipendenti(n. 439)
(Osservazioni alla 1a Commissione. Seguito e conclusione dell'esame. Osservazioni favorevoli con rilievi )
Riprende l'esame, sospeso nella seduta di ieri.
La relatrice SPADONI URBANI (PdL) dà conto della bozza di osservazioni favorevoli con rilievi (pubblicata in allegato al resoconto), predisposta tenendo conto delle indicazioni pervenute dai Gruppi e subordinando il proprio personale orientamento al conseguimento di un'ampia convergenza delle forze politiche. Auspica peraltro che in essa non venga ravvisato alcun intento di carattere punitivo, alimentato dalla classe politica nei confronti di soggetti che prestano con impegno e professionalità un importante servizio nelle posizioni di maggiore responsabilità dell'amministrazione pubblica. Avrebbe peraltro ritenuto opportuno inserire nel parere una particolare sottolineatura al fatto che le misure predisposte dal Governo trovano ragione in un momento connotato da particolari condizioni economiche e finanziarie.
Il presidente GIULIANO propone un'integrazione del testo appena illustrato, volta a sollecitare il Governo ad attuare un efficace sistema di controllo sull'applicazione delle disposizioni proposte, nonché a specificare i rapporti tra la normazione e la convenzione contrattuale, anche in considerazione del precedente rappresentato dalla materia previdenziale.
La relatrice SPADONI URBANI (PdL) accetta quindi l'integrazione proposta, richiamando le ragioni espresse in precedenza. Specifica comunque il proprio avviso contrario rispetto alla liceità di ogni ipotesi di riforma in peius dei rapporti in essere.
Il senatore NEROZZI (PD) esprime una valutazione positiva sul testo così come riformulato, ritenendolo equilibrato e completo, in quanto tiene conto del comparto della pubblica amministrazione nel suo complesso. Considera infatti fondamentale evitare che si verifichino disparità di trattamento, eventualmente a favore di posizioni derivanti da designazioni politiche.
Il senatore CASTRO (PdL) ritiene che la bozza di osservazioni predisposta contenga una valutazione corretta di un provvedimento che non trova la propria ragion d'essere in alcuna pregiudiziale ideologica, bensì in uno stato di necessità oggettiva, a fronte della quale appare giustificato intervenire con un opportuno esercizio di razionalità organizzativa. Dopo aver espresso una valutazione positiva circa gli spunti forniti dal senatore Mazzatorta nella seduta di ieri, si sofferma sulla necessità di un'applicazione della normativa in esame alla generalità delle figure apicali del settore pubblico, comprendendovi le società partecipate dagli enti locali. Conclude osservando come le stesse misure in esame siano compatibili con i peculiari requisiti di onorabilità connaturati allo status del funzionario pubblico.
La senatrice POLI BORTONE (CN (GS-SI-PID-IB-FI)) manifesta apprezzamento nei confronti dell'equilibrio dimostrato dalla relatrice nell'approccio ad una materia particolarmente complessa. Sollecita quindi una riflessione sulla necessaria armonizzazione delle misure in esame con l'ordinamento degli enti locali.
Il senatore MAZZATORTA (LNP) dichiara di condividere i contenuti dello schema di osservazioni, sottolineando l'esigenza di non escludere dalla platea dei soggetti coinvolti i vertici delle società partecipate dalle amministrazioni locali. Preannuncia pertanto il voto favorevole del proprio Gruppo.
La senatrice CARLINO (IdV) esprime a sua volta l'apprezzamento della propria parte politica, dichiarandone il voto favorevole.
Il presidente GIULIANO ringrazia la relatrice e l'intera Commissione per il particolare impegno profuso, ispirato non a criteri ideologici, bensì a esigenze largamente condivise rispetto a una materia particolarmente complessa, che forse necessiterebbe di uno specifico intervento di semplificazione. Pone quindi in votazione lo schema di osservazioni così come modificato (pubblicato in allegato al resoconto) che, previa verifica del prescritto numero legale, risulta approvato all'unanimità.
La seduta termina alle ore 9,30.
OSSERVAZIONI APPROVATE DALLA COMMISSIONE
SULL'ATTO DEL GOVERNO N. 439
L’11a Commissione permanente, esaminato lo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri in titolo, esprime, per quanto di competenza, osservazioni favorevoli con i rilievi di seguito riportati.
Con riferimento all'articolo 2, appare indispensabile individuare con la massima precisione la platea dei soggetti destinatari del provvedimento. Infatti l'articolo estende la fattispecie a tutti coloro che, con posizione apicale, ricevono retribuzioni o emolumenti a carico delle finanze pubbliche in ragione di un rapporto di lavoro autonomo o subordinato con le amministrazioni pubbliche statali. In tale platea andrebbero ricompresi anche tutti coloro che ricoprono tale posizione presso le agenzie fiscali, le società controllate direttamente o indirettamente dagli enti pubblici locali, e tutti gli enti, società ed imprese in genere in cui vi sia una partecipazione di controllo.
Riguardo all'articolo 4, si è propensi a sostenere l'interpretazione, con la relativa formulazione testuale, più restrittiva in ordine al limite del 25 per cento.
In merito all'articolo 5, si esprimono perplessità sulla deroga prevista per il personale il cui trattamento economico non raggiunga il limite massimo indicato, in quanto le pubbliche amministrazioni potrebbero valutare se provvedere o meno, in occasione del rinnovo del contratto individuale di lavoro, alla ridefinizione del relativo trattamento economico. Tale disposizione comporterebbe, pertanto, una riparametrazione del trattamento economico, che, anche rientrando nei limiti previsti dal presente decreto, potrebbe venire ingiustificatamente innalzato.
Si sollecita altresì il Governo a dare piena attuazione a quanto si rileva dalla relazione illustrativa al provvedimento de quo, superando quanto invece desumibile dalla interpretazione letterale del testo, tal che sia certa l'applicazione dei limiti retributivi indicati anche alle posizioni che potrebbero sembrarne escluse, con particolare riferimento alle autorità amministrative indipendenti.
Si invita infine il Governo, oltre che ad attuare un efficace sistema di controllo, a dar luogo alla immediata applicabilità della disciplina de qua, anche con riferimento a posizioni in essere, posto che la volontà normativa non può che prevalere su qualsiasi convenzione contrattuale. Non può infatti sfuggire che anche in materia previdenziale ci si sia adeguati a tale criterio.
SCHEMA DI OSSERVAZIONI PROPOSTO DALLA RELATRICE SULL'ATTO DEL GOVERNO N. 439
L’11a Commissione permanente, esaminato lo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri in titolo, esprime, per quanto di competenza, osservazioni favorevoli con i rilievi di seguito riportati.
Con riferimento all'articolo 2, appare indispensabile individuare con la massima precisione la platea dei soggetti destinatari del provvedimento. Infatti l'articolo estende la fattispecie a tutti coloro che, con posizione apicale, ricevono retribuzioni o emolumenti a carico delle finanze pubbliche in ragione di un rapporto di lavoro autonomo o subordinato con le amministrazioni pubbliche statali. In tale platea andrebbero ricompresi anche tutti coloro che ricoprono tale posizione presso le agenzie fiscali, le società controllate direttamente o indirettamente dagli enti pubblici locali, e tutti gli enti, società ed imprese in genere in cui vi sia una partecipazione di controllo.
Riguardo all'articolo 4, si è propensi a sostenere l'interpretazione, con la relativa formulazione testuale, più restrittiva in ordine al limite del 25 per cento.
In merito all'articolo 5, si esprimono perplessità sulla deroga prevista per il personale il cui trattamento economico non raggiunga il limite massimo indicato, in quanto le pubbliche amministrazioni potrebbero valutare se provvedere o meno, in occasione del rinnovo del contratto individuale di lavoro, alla ridefinizione del relativo trattamento economico. Tale disposizione comporterebbe, pertanto, una riparametrazione del trattamento economico, che, anche rientrando nei limiti previsti dal presente decreto, potrebbe venire ingiustificatamente innalzato.
Si invita infine il Governo a dare piena attuazione a quanto si rileva dalla relazione illustrativa al provvedimento de quo, superando quanto invece desumibile dalla interpretazione letterale del testo, tal che sia certa l'applicazione dei limiti retributivi indicati anche alle posizioni che potrebbero sembrarne escluse, con particolare riferimento alle autorità amministrative indipendenti.
[1] D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici, convertito dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214.
[2] D.L. 29 dicembre 2011 n. 216, Proroga di termini previsti da disposizioni legislative, convertito dalla legge 24 febbraio 2012, n. 14.
[3] D.L.24 marzo 2012, n. 29, Disposizioni urgenti recanti integrazioni al decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, e al decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214.
[4] Nel corso dell’esame parlamentare dello schema di D.P.C.M. Il rappresentante del Governo ha reso noto che l’importo del trattamento in questione per il 2011 è stato pari a 293.658,95 euro.
[5] D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici, convertito dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214.
[6] Rubricato “Compensi per gli amministratori con deleghe delle società partecipate dal Ministero dell’economia e delle finanze”.
[7] D.L. 29 dicembre 2011 n. 216, Proroga di termini previsti da disposizioni legislative, convertito dalla legge 24 febbraio 2012, n. 14.
[8] Per società direttamente controllate si intende quelle ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, n. 1) c.c. e dunque le società in cui si dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell'assemblea ordinaria.
[9] L’articolo 2389 c.c. disciplina i compensi degli amministratori delle società. In particolare, il terzo comma dell’articolo prevede che la remunerazione degli amministratori investiti di particolari cariche in conformità dello statuto è stabilita dal consiglio di amministrazione, sentito il parere del collegio sindacale. Sulla possibilità di deleghe operative agli amministratori di società controllate direttamente o indirettamente dallo Stato, remunerate ai sensi del citato articolo2389 cc., è intervenuto l’articolo 3, co. 12 della legge n. 244/2007, come sostituito dalla legge n. 69/2009 e modificato dal D.L. n. 78/2009. Tale disposizione prevede che abbiano compenso ai sensi dell’art. 2389, comma 3 c.c. le deleghe operative attribuite al presidente (lettera b), e le deleghe, attribuite, eventualmente unitamente al presidente, ad un solo altro componente del CDA (lettera d).
[10] Inoltre, gli emolumenti possono includere una componente variabile che non potrà esse inferiore al 30 per cento della componente fissa e che è corrisposta in misura proporzionale al grado di raggiungimento di obiettivi annuali, oggettivi e specifici, determinati preventivamente dal consiglio di amministrazione.
[11] Disposizioni in materia di trattamenti economici.
[12] Cfr., per esempio, anche le sentenze richiamate dalla stessa sentenza n. 264.
[13] D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, Riforma dell'organizzazione del Governo, a norma dell'articolo 11 della L. 15 marzo 1997, n. 59.
[14] Ad opera dell’art. 28, co. 2, D.L. 25 giugno 2008, n. 112 (conv. L. 133/2008).
[15] Si veda il Rendiconto generale dello Stato 2010, parte I conto del bilancio, vol. IV – economia e finanze.
[17] In attuazione della delega prevista dall'art. 1 della L. 165/2007 (come modificato dall’art. 27 della L. 69/2009).
[18] L’art. 5 dispone che, in conformità alle linee guida enunciate nel Programma nazionale della ricerca, i consigli di amministrazione dei singoli enti, previo parere dei rispettivi consigli scientifici, adottano un piano triennale di attività, aggiornato annualmente, ed elaborano un documento di visione strategica decennale. Il piano è valutato e approvato dal MIUR, anche aifini della identificazione e dello sviluppo degli obiettivi generali di sistema, del coordinamento dei PTA dei diversi enti di ricerca, nonché del riparto del fondo ordinario.
[19] Gli altri due Fondi sono il Fondo per l'edilizia universitaria e per le grandi attrezzature scientifiche, che comprende la quota a carico del bilancio statale per la realizzazione di investimenti, e il Fondo per la programmazione dello sviluppo del sistema universitario, che comprende le risorse destinate al finanziamento di specifiche iniziative, attività e progetti, ivi comprese le nuove iniziative didattiche.
[20] Ai sensi dell’art. 21, comma 6, della L. 196/2009, sono obbligatorie le spese relative al pagamento di stipendi, assegni, pensioni e altre spese fisse, le spese per interessi passivi, quelle derivanti da obblighi comunitari e internazionali, le spese per ammortamento di mutui, nonché quelle così identificate per espressa disposizione normativa.
[21] Naturalmente, fermo restando il divieto di cui all’art. 1, co. 1, del D.L. 180/2008.
[22] Tale quota è destinata per una quota non inferiore al 50% all’assunzione di ricercatori e, per una quota non superiore al 20%, all’assunzione di professori ordinari. Queste percentuali non si applicano agli istituti universitari ad ordinamento speciale, fermo restando, invece, il rispetto, da parte degli stessi, del limite di spesa sopra indicato. Le limitazioni di cui al medesimo co. 13 non si applicano alle assunzioni di personale appartenente alle categorie protette.
[23] Definiti come la somma delle assegnazioni, nell’anno di riferimento, del FFO e del Fondo per la programmazione del sistema universitario, “per la quota non vincolata nella destinazione”, e di eventuali ulteriori assegnazioni statali a carattere stabile destinate alle spese per il personale.
[24] Con riferimento a quanto previsto dall’art. 7, la Commissione ha richiesto di limitare le disposizioni ivi previste riferite alle limitazioni all'assunzione di personale al solo 2012 e di rinviare a un successivo DPCM la definizione delle regole di assunzione relative al triennio 2013 – 2015.
[26] Si ricorda che i procedimenti istitutivi delle città metropolitane previsti sia dal testo unico sugli enti locali, n. 267/2000, sia dalla legge n. 42/2009, non hanno ancora trovato attuazione.
[27]http://www.corteconti.it/export/sites/portalecdc/_documenti/controllo/sez_controllo_enti/2011/delibera_16_2011.pdf
[28] Le principali disposizioni sono contenute nelle L. n. 416 del 1981, n. 67 del 1987, n. 250 del 1990 e n. 62 del 2001, più volte modificate ed integrate.
[29] Ai sensi dell’articolo 44 del D.L. n. 112 del 2008, come modificato dall’art. 41-bis, co. 3, del D.L. n. 207 del 2008.
[30] In proposito, si ricorda che le spese per interventi di sostegno ai settori dell’informazione e dell’editoria, di competenza del Dipartimento per l’informazione e l’editoria della Presidenza del Consiglio, sono attualmente collocate per la gran parte nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze (tabella 2), all’interno della missione Comunicazioni (15), Programma Sostegno all’editoria (15.4). Ulteriori stanziamenti per interventi nel settore dell’informazione insistono, a partire dal 2009, nello stato di previsione del Ministero dellosviluppo economico. In particolare, nell’ambito della missione Comunicazioni (15), Programma Servizi di comunicazione elettronica e radiodiffusione (15.8), sono previsti stanziamenti per contributi alle emittenti radiofoniche e televisive in ambito locale, che insistono sul cap. 3121.
[31] A titolo esemplificativo, si ricorda che l’art. 21, co. 1, lett. a), n. 10), del D.P.R. n. 223 del 2010 ha abrogato il co. 10 dell’art. 3 della L. 250/1990, concernente la concessione di contributi a quotidiani e periodici organi di forze politiche, a decorrere dal bilancio d’esercizio 2011 delle imprese beneficiarie. L’erogazione di contributi diretti in favore di tale categoria di quotidiani e periodici continua ad essere disciplinata, oltre che dagli artt. 3, comma 3, e 4 del medesimo D.P.R. 223/2010, da altre disposizioni normative.
[33]http://www.cassaddpp.it/cdp/Areagenerale/Informazionifinanziarie/Partecipazioni/Societanonquotate/FondoStrategicoItaliano/index.htm
[34] Legge 31 ottobre 1965, n. 1261, Determinazione dell’indennità spettante ai membri del Parlamento.
[35] A. Manzella, Il Parlamento, Bologna 2003, p. 260; T. Martines, G. Silvestri, C. De Caro, V. Lippolis, R. Moretti, Diritto parlamentare, Milano 2005, p. 72.
[36] I dati quantitativi relativi all’indennità dei deputati sono tratti dal sito della Camera (http://nuovo.camera.it/383?conoscerelacamera=4). Per il trattamento economico dei senatori si veda il sito del Senato (http://www.senato.it/composizione/21593/132051/genpagina.htm).
[37] D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, Riforma dell'organizzazione del Governo, a norma dell'articolo 11 della L. 15 marzo 1997, n. 59.
[38]Il 1° CCNL per i dirigenti della CONI Servizi S.p.A. del 4 dicembre 2008 prevede una specifica struttura retributiva sia per la dirigenza sia per la dirigenza medica. In particolare, l’articolo 41, relativo alla dirigenza, stabilisce che la retribuzione dei dirigenti si compone delle seguenti voci:
• stipendio tabellare;
• retribuzione individuale di anzianità;
• retribuzione individuale in relazione alle funzioni assegnate, alla competenza ed alla professionalità posseduta, alle capacità manageriali e di gestione maturate e determinato anche con riferimento al mercato del lavoro. In tale retribuzione confluisce il maturato economico annuo e l’assegno ad personam o elemento fisso, qualora in godimento alla data di sottoscrizione del presente CCNL;
• retribuzione individuale in relazione alle funzioni assegnate, alla competenza ed alla professionalità posseduta, alle capacità manageriali e di gestione maturate, comprensiva di specifici emolumenti;
• retribuzione di risultato.
• L’articolo 49, relativo alla dirigenza medica, stabilisce che la retribuzione dei dirigenti medici si compone delle seguenti voci:
• stipendio tabellare;
• retribuzione individuale di anzianità;
• retribuzione individuale in relazione alle funzioni assegnate, alla competenza ed alla professionalità posseduta, alle capacità manageriali e di gestione maturate e determinato anche con riferimento al mercato del lavoro;
• retribuzione individuale in relazione alle funzioni assegnate, alla competenza ed alla professionalità posseduta, alle capacità manageriali e di gestione maturate, comprensiva di specifici emolumenti;
• indennità di professionalità medica (€ 7.800,00);
• retribuzione di risultato;
• retribuzioni legate alle particolari condizioni di lavoro, ove spettanti e per 13 mensilità.
• Ai sensi dell’articolo 56 del 1° CCNL per il personale non dirigente della CONI Servizi S.p.A. del 21 giugno 2001, gli elementi fissi che costituiscono le retribuzione individuale sono:
• retribuzione base, o minimo contrattuale, comprensiva dell’indennità integrativa speciale;
• retribuzione individuale di anzianità ove esistente;
- assegno ad personam laddove esistente.
Ulteriori elementi sono:
- indennità di amministrazione;
- indennità di turno;
- compenso incentivante di produttività;
- indennità di trasferta;
- indennità di trasferimento;
- compenso per lavoro straordinario;
- indennità di funzione;
- eventuale superminimo;
- altre indennità diverse eventualmente corrisposte e riconosciute.
[39] D.L. 31 maggio 2010, n. 78, Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica.
[40] L. 31 dicembre 2009, n. 196, Legge di contabilità e finanza pubblica.
[41]In tal senso si vedano le seguenti massime:
- Posta la inesistenza nel nostro ordinamento di un principio generale ed assoluto di onnicomprensività della retribuzione, è necessario procedere di volta in volta ad analizzare sulla base della specifica disciplina di ciascun istituto, quali siano le voci retributive da ricomprendere con il computo del compenso per l’istituto previsto dalla disciplina legale o collettiva, al fine di verificare l’incidenza dei compensi percepiti dal dipendente a titolo di lavoro straordinario sul computo degli elementi accessori della retribuzione quali il compenso per ferie e la tredicesima. Tuttavia, non essendo le disposizioni collettive o individuali applicabili al rapporto di lavoro, da sole sufficienti a tal fine, vanno lette alla luce della disciplina legislativa concretamente richiamabile (quale in particolare all’art. 36 Cost.). Nella specie, avuto riguardo alla contrattazione collettiva applicabile all’Industria Metalmeccanica Privata (C.C.N.L. del 5 luglio 1994) deve rilevarsi come ai fini della determinazione degli elementi accessori della retribuzione sia indicato quale parametro di calcolo quello della retribuzione globale di fatto e non già quello della normale retribuzione tale che il relativo computo dovrà essere fatto sulla base del complesso dei compensi stabilmente percepiti in concreto dai lavoratori, avendo tale inciso (retribuzione globale di fatto) valore onnicomprensivo (devono intendersi ricomprendersi in siffatto concetto anche i compensi percepiti a titolo di lavoro straordinario, atteso che lo svolgimento e la frequenza di siffatte prestazioni sono connaturate alla stessa organizzazione aziendale del lavoro, tale da assumere il carattere della normalità) (Trib. Cassino Sez. lavoro, 3 giugno 2008);
- Non esiste nel nostro ordinamento, neanche allo stato tendenziale, un principio generale ed inderogabile di onnicomprensività della retribuzione né, comunque, una nozione unitaria di retribuzione, ma, nel disciplinare la base di calcolo degli istituti retributivi contestualmente previsti, alcune disposizioni di legge evocano nozioni di retribuzione normale onnicomprensiva, inderogabili dalla contrattazione collettiva, mentre altre disposizioni silimitano a richiamare, puramente e semplicemente, la generica nozione di retribuzione, riservandone la determinazione alla competenza istituzionale dell'autonomia collettiva (Cass. civ., 13 febbraio 1984, n. 1081).
- Non esiste una nozione unitaria di retribuzione quale base di calcolo per la determinazione dell'ammontare di tutte le competenze dovute dal datore di lavoro; ne segue che la determinazione dei criteri da seguire e per gli elementi da computare per il calcolo di quanto spetta al lavoratore è rimessa all'autonomia contrattuale, individuale o collettiva (Pret. Milano, 6 ottobre 1981).
- La nozione giuridica di stipendio va limitata alla prestazione economica qualificata dal servizio dell'impiegato presso la p. a. o ente parastatale con una determinata qualifica ed anzianità in ragione dello sviluppo della carriera; da esso vanno distinte le altre voci (fra cui l'indennità integrativa speciale) che compongono il trattamento economico del personale di istituti o enti pubblici (T.A.R. Lazio Sez. III, 7 marzo 1983, n. 203).
[42] L. 23 ottobre 1992, n. 421, Delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale.
[43] D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, Attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni.