Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento istituzioni
Titolo: Semplificazione dell'ordinamento regionale e degli enti locali, trasferimento di funzioni amministrative e Carta delle autonomie locali - AA.C. 3118 e abb. - Schede di lettura
Riferimenti:
AC N. 3118/XVI   AC N. 67/XVI
AC N. 68/XVI   AC N. 711/XVI
AC N. 736/XVI   AC N. 846/XVI
AC N. 2062/XVI   AC N. 2247/XVI
AC N. 2488/XVI   AC N. 2651/XVI
AC N. 2892/XVI     
Serie: Progetti di legge    Numero: 306
Data: 09/03/2010
Descrittori:
COMPETENZA   ENTI LOCALI
ORGANI E UFFICI REGIONALI   REGIONI
Organi della Camera: I-Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni

 

Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di
Progetti di legge

Semplificazione dell’ordinamento regionale e degli enti locali, trasferimento
di funzioni amministrative
e Carta delle autonomie locali

A.C. 3118 e abb.

Schede di lettura

 

 

 

 

 

 

n. 306

 

 

 

9 marzo 2010

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi

Dipartimento Istituzioni

( 066760-9475 – * st_istituzioni@camera.it

Dipartimento Bilancio

( 066760-2233 – * st_bilancio@camera.it

Dipartimento Ambiente

( 066760-9253 – * st_ambiente@camera.it

 

 

 

Per l’esame presso la Commissione I (Affari costituzionali) dell’A.C. 3118 e abb., Semplificazione dell’ordinamento regionale e degli enti locali, trasferimenti di funzioni amministrative e Carta delle autonomie locali, sono stati predisposti i seguenti dossier:

·       n. 306: Schede di lettura;

·       n. 306/0: Elementi per l’istruttoria legislativa;

·       n. 306/1: Testo a fronte tra l’A.C. 3118, il D.Lgs. n. 267/2000 e la Legge 23 dicembre 2009, n. 191;

·       n. 306/2: Testo a fronte tra il Testo unico degli enti locali e le proposte di legge A.A.C. 67, 68, 711, 736, 846, 2062, 2247, 2488, 2651, 2892.

 

 

 

 

 

 

I dossier dei servizi e degli uffici della Camera sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.

File: ac0442.doc

 

 


INDICE

Quadro normativo

§      Aspetti generali dell’ordinamento degli enti locali in Italia  3

§      L’impatto del dd.l. AC 3118 sulla legislazione vigente  8

Schede di lettura

§      Articolo 1 (Finalità e oggetto)13

§      Articolo 2 (Funzioni fondamentali dei comuni)15

§      Articolo 3 (Funzioni fondamentali delle province)19

§      Articolo 4 (Funzioni fondamentali delle città metropolitane)23

§      Articolo 5 (Funzioni fondamentali ricadenti nelle materie di cui all’articolo 117, commi terzo e quarto, della Costituzione)24

§      Articolo 6 (Disciplina delle funzioni fondamentali)28

§      Articolo 7 (Disposizione di salvaguardia)29

§      Articolo 8 (Modalità di esercizio delle funzioni fondamentali)30

§      Articolo 9 (Disposizioni per l'attuazione dell'articolo 118, commi primo e secondo, della Costituzione, in materia di conferimento delle funzioni amministrative alle regioni e agli enti locali nelle materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato)34

§      Articolo 10 (Trasferimento delle risorse agli enti locali)41

§      Articolo 11 (Funzioni esercitate dallo Stato nelle materie di cui all'articolo 117, commi terzo e quarto, della Costituzione)43

§      Articolo 12 (Legislazione regionale nelle materie di cui all'articolo 117, commi terzo e quarto, della Costituzione)45

§      Articolo 13 (Delega al Governo per l'adozione della «Carta delle autonomie locali»)49

§      Articolo 14 (Delega al Governo in materia di razionalizzazione delle province)52

§      Articolo 15 (Delega al Governo in materia di prefetture - uffici territoriali del Governo)57

§      Articolo 16 (Soppressione dei difensori civici comunali)64

§      Articolo 17 (Norme concernenti la soppressione delle comunità montane, isolane e di arcipelago e dei relativi finanziamenti)67

§      Articolo 18 (Soppressione delle circoscrizioni di decentramento comunale)72

§      Articolo 19 (Soppressione dei consorzi tra enti locali)76

§      Articolo 20 (Composizione dei consigli)81

§      Articolo 21 (Composizione delle giunte)84

§      Articolo 22 (Efficacia delle norme sulla composizione degli organi)90

§      Articolo 23 (Delega di funzioni da parte del sindaco)91

§      Articolo 24 (Attribuzioni dei Consigli)92

§      Articolo 25 (Definizione di piccolo comune)94

§      Articolo 26 (Misure organizzative in favore dei piccoli comuni)95

§      Articolo 27 (Semplificazione dei documenti finanziari e contabili per i piccoli comuni)97

§      Articolo 28 (Direttore generale degli enti locali)100

§      Articolo 29 (Disposizioni in materia di controlli negli enti locali)102

§      Articolo 30 (Revisione economico-finanziaria)117

§      Articolo 31 (Abrogazioni)121

§      Articolo 32 (Norma di coordinamento per le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano)125

 

 

 


Quadro normativo

 


Aspetti generali dell’ordinamento degli enti locali in Italia

Le principali norme di legge che regolano l'ordinamento degli enti locali sono oggi contenute in uno specifico testo unico, approvato con decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (di seguito denominato TUEL), in cui sono confluite le disposizioni recate dalla legge 8 giugno 1990, n. 142 e dalla legge 25 marzo 1993 n. 81, che ha introdotto l’elezione diretta del sindaco, del presidente della provincia, del consiglio comunale e del consiglio provinciale.

I soggetti istituzionali

Mentre la Costituzione, oltre alle regioni, individua quali enti territoriali autonomi i comuni, le province e le città metropolitane, il testo unico (art. 2) definisce enti locali anche le comunità montane, le comunità isolane e le unioni di comuni.

Il comune è l'ente locale che rappresenta la propria comunità, ne cura gli interessi e ne promuove lo sviluppo.

La provincia, ente locale intermedio tra comune e Regione, rappresenta la propria comunità, ne cura gli interessi, ne promuove e ne coordina lo sviluppo.

Nelle “aree metropolitane”, il comune capoluogo e gli altri comuni ad esso uniti da contiguità territoriale e da rapporti di stretta integrazione in ordine all'attività economica, ai servizi essenziali, ai caratteri ambientali, alle relazioni sociali e culturali possono costituirsi in città metropolitane ad ordinamento differenziato.

Va peraltro segnalato che nessuna città metropolitana è stata sino ad oggi istituita.

La comunità montana è una unione di comuni, enti locali costituiti fra comuni montani e parzialmente montani, anche appartenenti a province diverse, per la valorizzazione delle zone montane per l'esercizio di funzioni proprie, di funzioni conferite e per l'esercizio associato delle funzioni comunali. La comunità montana ha un organo rappresentativo e un organo esecutivo composti da sindaci, assessori o consiglieri dei comuni partecipanti.

In ciascuna isola o arcipelago, fatta eccezione per Sicilia e Sardegna, ove esistono più comuni, può essere istituita, dai comuni interessati, la comunità isolana o di arcipelago, cui si estendono le norme sulla comunità montana.

Le unioni di comuni sono enti locali costituiti da due o più comuni di norma contermini, allo scopo di esercitare congiuntamente una pluralità di funzioni di loro competenza.

Province e comuni, inoltre, possono costituire consorzi per la gestione associata di uno o più servizi e l’esercizio di funzioni.

È infine prevista la possibilità di istituire organismi di decentramento a livello provinciale (circondari) e comunale (circoscrizioni e municipi).

Le funzioni

Al comune spettano tutte le funzioni amministrative che riguardano la popolazione ed il territorio comunale; esse sono raggruppate nei settori organici dei servizi alla persona e alla comunità, dell'assetto ed utilizzazione del territorio e dello sviluppo economico, salvo quanto non sia espressamente attribuito ad altri soggetti dalla legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze.

Il comune, per l'esercizio delle funzioni in ambiti territoriali adeguati, attua forme sia di decentramento sia di cooperazione con altri comuni e con la provincia.

Sono attribuite alla provincia le funzioni amministrative di interesse provinciale che riguardino vaste zone intercomunali o l'intero territorio provinciale nei seguenti settori:

§         difesa del suolo, tutela e valorizzazione dell'ambiente e prevenzione delle calamità;

§         tutela e valorizzazione delle risorse idriche ed energetiche;

§         valorizzazione dei beni culturali;

§         viabilità e trasporti;

§         protezione della flora e della fauna parchi e riserve naturali;

§         caccia e pesca nelle acque interne;

§         organizzazione dello smaltimento dei rifiuti a livello provinciale, rilevamento, disciplina e controllo degli scarichi delle acque e delle emissioni atmosferiche e sonore;

§         servizi sanitari, di igiene e profilassi pubblica, attribuiti dalla legislazione statale e regionale;

§         compiti connessi alla istruzione secondaria di secondo grado ed artistica ed alla formazione professionale, compresa l'edilizia scolastica, attribuiti dalla legislazione statale e regionale;

§         raccolta ed elaborazione dati, assistenza tecnico-amministrativa agli enti locali.

La forma di governo locale

L’art. 117, co. 2, lett. p), della Costituzione ricomprende tra le competenze legislative esclusive dello Stato quelle della legislazione elettorale e degli organi di governo di comuni, province e città metropolitane.

La disciplina della forma di governo dei comuni e delle province è stata modificata in maniera incisiva con la legge n. 81 del 1993, che ha introdotto l’elezione diretta del sindaco e del presidente della provincia. La relativa disciplina è confluita nel testo unico sull’ordinamento degli enti locali.

Gli organi di governo della provincia e del comune sono: il presidente della provincia o il sindaco, il consiglio (organo rappresentativo, eletto dalla collettività comunale o provinciale) e la giunta (organo esecutivo).

Il sindaco e il presidente della provincia sono eletti a suffragio diretto, durano in carica cinque anni e sono rieleggibili per una sola volta. Questi provvedono alla scelta degli assessori e possono disporne la revoca. Il numero degli assessori è stabilito dallo statuto in relazione a quello dei consiglieri. A ciascun assessore è assegnato uno specifico settore di attività.

L’elezione del consiglio è disciplinata secondo principi maggioritari, con regolamentazioni diverse in funzione delle dimensioni dei comuni (a seconda che superino o meno la soglia demografica di quindicimila abitanti).

Il consiglio può votare la sfiducia alla giunta. Alla approvazione della mozione di sfiducia consegue non solo la cessazione dalla carica del sindaco (o del presidente della giunta provinciale) e della sua giunta, ma anche lo scioglimento del consiglio stesso.

Il consiglio si configura, in linea di principio, quale organo deputato all’adozione degli indirizzi e alla effettuazione dei controlli, mentre la giunta è incaricata del governo dell’ente locale in attuazione di quegli indirizzi. Oltre alle funzioni di indirizzo, il consiglio esercita anche compiti normativi e programmatici, assume le decisioni fondamentali inerenti l’ordinamento dell’ente e approva i bilanci.

Raccordi tra lo Stato e le autonomie locali

Presso la Presidenza del Consiglio dei ministri opera la Conferenza Stato-città ed autonomie locali. L’organismo ha compiti di coordinamento nei rapporti tra lo Stato e le autonomie locali, e di studio, informazione e confronto sulle problematiche connesse agli indirizzi di politica generale che possono incidere sulle funzioni proprie di comuni, province e di comunità montane e su quelle delegate ai medesimi enti da leggi dello Stato.

 

La Conferenza in particolare è sede di discussione e di esame:

§         dei problemi relativi all'ordinamento e al funzionamento degli enti locali, ivi compresi gli aspetti concernenti le politiche finanziarie e di bilancio e le risorse umane e strumentali, nonché delle iniziative legislative e degli atti generali di Governo a ciò attinenti;

§         dei problemi relativi alle attività di gestione e di erogazione dei servizi pubblici;

§         di ogni altro problema connesso, che venga sottoposto al parere della Conferenza dal Presidente del Consiglio dei Ministri o dal Presidente delegato anche su richiesta del Presidente dell'ANCI, dell'UPI e dell'UNCEM (vedi infra).

L’Associazione nazionale dei comuni d'Italia – ANCI, l’Unione province d'Italia – UPI e l’Unione dei comuni e delle comunità montane – UNCEM sono le principali associazioni rappresentative degli enti locali.

 

Della Conferenza fanno parte di diritto quattordici sindaci designati dall'ANCI e sei presidenti di provincia designati dall'UPI.

Per l’esame delle questioni di interesse comune delle regioni e degli enti locali, la Conferenza Stato-città ed autonomie locali si può riunire congiuntamente con la parallela Conferenza Stato-regioni, costituendo la così detta “Conferenza unificata”.

Va infine ricordato che l’art. 123, ultimo comma, della Costituzione, prevede l’istituzione in ogni regione del Consiglio delle autonomie locali, quale organo di consultazione fra la regione medesima e gli enti locali presenti sul suo territorio.

La riforma del Titolo V

La legge di revisione del Titolo V della Parte seconda della Costituzione ha profondamente rivisto il complessivo sistema dei rapporti tra Stato, regioni ed enti locali.

Al modello della Costituzione del 1948, in base al quale lo Stato aveva competenza legislativa in tutte le materie, fatta eccezione per alcune, espressamente elencate, in cui la potestà legislativa era riconosciuta alle regioni, previa comunque definizione dei princìpi fondamentali da parte della legislazione dello Stato, si è sostituito un nuovo modello che introduce (art. 114 Cost.) il principio innovativo secondo il quale Stato, regioni, province, città metropolitane e comuni sono considerati paritariamente quali enti costitutivi dell’ordinamento repubblicano.

Il vigente art. 117 Cost., inoltre, delinea una nuova configurazione della funzione legislativa tra Stato e regioni, finalizzata ad un “rilancio” della fonte legislativa regionale. La funzione legislativa cessa di essere prerogativa primaria dello Stato: ha luogo anzi un’inversione del criterio di riparto delle competenze legislative tra Stato e regioni, che comporta:

§         un primo elenco di materie la cui disciplina è demandata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato (art. 117, secondo comma), il quale cessa così di essere soggetto a competenza generale per divenire soggetto a competenza enumerata.

§         un secondo elenco di materie “di legislazione concorrente”, in cui “spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei princìpi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato” (art. 117, terzo comma).

§         una norma di chiusura, secondo cui la potestà legislativa su ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato spetta alle Regioni (competenza generale “residuale”: art. 117, quarto comma).

Quanto alle funzioni amministrative (art. 118 Cost.), la riforma del Titolo V ha stabilito l’attribuzione delle funzioni amministrative presso il livello di governo più vicino al cittadino, e dunque, in via generale ai comuni, salvo conferimento ad altri livelli di governo sulla base dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, mirando a superare con ciò il principio del parallelismo tra attribuzione di funzioni legislative e attribuzione di funzioni amministrative (che invece ispirava il precedente testo costituzionale. Inoltre, comuni, province e città metropolitane sono titolari di una serie di funzioni proprie (non definite dalla Costituzione) e delle ulteriori funzioni ad esse attribuite dalle leggi statale e regionale.

Ulteriore rilevante aspetto è costituito dall’attribuzione alle regioni, ed altresì agli enti locali, dell’autonomia finanziaria di entrata e di spesa (art. 119 Cost.). Tra i principali elementi di novità, figura anche la specificazione della potestà tributaria degli enti territoriali, con la facoltà di stabilire ed applicare tributi propri; la compartecipazione a tributi erariali, esplicitamente in base alla riferibilità del relativo gettito al rispettivo territorio; l’istituzione, rimessa alla legge statale, di un fondo perequativo destinato ai territori con minore capacità fiscale; la precisazione secondo la quale il complesso delle risorse derivante dalle entrate e dai tributi propri, dalle compartecipazioni ai tributi erariali e dalle disponibilità assicurate dal fondo perequativo debbono consentire agli enti territoriali di finanziare “integralmente” le funzioni pubbliche loro attribuite.

L’attuazione del nuovo Titolo V

Le disposizioni in materia di autonomia finanziaria e tributaria delle Regioni e delle autonomie locali di cui all’art. 119 hanno recentemente trovato attuazione legislativa con la legge n. 42/2009.

Essa autorizza il Governo ad adottare, entro due anni, uno o più decreti legislativi di attuazione dell’articolo 119 della Costituzione, al fine di assicurare, attraverso la definizione dei princìpi di coordinamento della finanza pubblica e la definizione della perequazione, l’autonomia finanziaria di comuni, province, città metropolitane e regioni.

Inoltre, viene affrontato il tema dell’attuazione dell’art. 114 Cost., disciplinando l’ordinamento di Roma, capitale della Repubblica.

Viene, infine, prevista una disciplina transitoria per l’istituzione delle città metropolitane.

 

In attesa dell’intervento legislativo di definizione delle funzioni degli enti locali, l’art. 21 della legge n. 42/2009 stabilisce una provvisoria indicazione di funzioni e servizi.

In particolare, per i comuni, le funzioni, e i relativi servizi, sono provvisoriamente individuati nei seguenti:

a)  funzioni generali di amministrazione, di gestione e di controllo, nella misura complessiva del 70 per cento delle spese come certificate dall’ultimo conto del bilancio disponibile alla data di entrata in vigore della presente legge;

b)  funzioni di polizia locale;

c)  funzioni di istruzione pubblica, ivi compresi i servizi per gli asili nido e quelli di assistenza scolastica e refezione, nonché l’edilizia scolastica;

d)  funzioni nel campo della viabilità e dei trasporti;

e)  funzioni riguardanti la gestione del territorio e dell’ambiente, fatta eccezione per il servizio di edilizia residenziale pubblica e locale e piani di edilizia nonché per il servizio idrico integrato;

f)  funzioni del settore sociale.

Per le province, le funzioni, e i relativi servizi, sono provvisoriamente individuati nei seguenti:

a)  funzioni generali di amministrazione, di gestione e di controllo, nella misura complessiva del 70 per cento delle spese come certificate dall’ultimo conto del bilancio disponibile alla data di entrata in vigore della presente legge;

b)  funzioni di istruzione pubblica, ivi compresa l’edilizia scolastica;

c)  funzioni nel campo dei trasporti;

d)  funzioni riguardanti la gestione del territorio;

e)  funzioni nel campo della tutela ambientale;

f)  funzioni nel campo dello sviluppo economico relative ai servizi del mercato del lavoro.

 

E’ inoltre prevista possibilità che l’elenco delle funzioni di cui ai commi 3 e 4 sia adeguato attraverso accordi tra Stato, regioni, province e comuni, da concludere in sede di Conferenza unificata.

L’impatto del dd.l. AC 3118 sulla legislazione vigente

L’impatto del d.d.l. AC 3118 può essere considerato sia in relazione al TUEL, al quale apporta numerose modifiche, solo in alcuni casi in forma di novella, sia in relazione al D.L. n. 2/2010, in corso di conversione che, a sua volta reca modifiche alla legge finanziaria 2010, n. 191/2009.

 

Quanto al TUEL, l’art. 31, relativo alle abrogazioni, prevede l’abrogazione espressa solo di alcune disposizioni del citato testo unico. Per il resto, il comma 4 fa ricorso alla clausola che stabilisce l’abrogazione delle norme incompatibili con il testo del disegno di legge.

Tale clausola, da un punto di vista sostanziale, richiede all’interprete una valutazione in ordine alla perdurante compatibilità di disposizioni del TUEL con quelle introdotte dal testo nei casi di parziale sovrapposizione di alcune nuove norme rispetto a quelle vigenti non abrogate contestualmente in modo esplicito. Da un punto di vista formale, poi, la clausola andrebbe valutata alla luce dell’art. 13 bis della legge n. 400 del 1988, introdotto dall’art. 3 della legge n. 69 del 2009. Esso prevede che il Governo, nell’ambito delle proprie competenze, provveda a che ogni norma che sia diretta a sostituire, modificare o abrogare norme vigenti ovvero a stabilire deroghe indichi espressamente le norme sostituite, modificate, abrogate o derogate. Del resto, tali previsioni in materia di chiarezza dei testi normativi costituiscono, ai sensi del,citato art. 13 bis, princìpi generali per la produzione normativa e non possono essere derogate, modificate o abrogate se non in modo esplicito.

 E’ vero che il coordinamento sistematico, anche sostanziale, delle disposizioni in materia di autonomie locali è tra gli obiettivi espliciti della delega per l’emanazione della Carta delle autonomie locali (art. 13 AC 3118). Perciò sembrerebbe che all’emanazione della Carta delle autonomie venga rinviata la definizione di un quadro chiaro e coordinato delle funzioni degli enti locali, in modo da consentire l’esercizio della delega di cui alla legge n. 42 e il completamento della disciplina del federalismo fiscale.

Considerato, però il termine biennale della delega, andrebbero valutati i riflessi sull’ordinamento delle disposizioni in materia  in termini di impatto per l’interprete.

 

Quanto al decreto-legge n. 2 del 25 gennaio 2010 (tuttora all’esame della Camera A.C. 3146), esso reca interventi urgenti in materia di enti locali, tra i quali si prevedono disposizioni relative alla riduzione di organi e alla soppressione di apparati degli enti locali che incidono sugli stessi ambiti su cui interviene il d.d.l. 3118, dettando peraltro una disciplina parzialmente differente[1]. Perciò il testo dell’A.C. 3118 si pone in un quadro complesso, caratterizzato da una pluralità di interventi normativi realizzati in un ristretto contesto temporale da valutare in termini coerenza reciproca.

 

 


Schede di lettura

 


Articolo 1
(Finalità e oggetto)

1. La presente legge, nel rispetto di quanto disposto dall'articolo 114, primo comma, della Costituzione e in attuazione dell'articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, individua e disciplina le funzioni fondamentali di comuni, province e città metropolitane, ne favorisce l'esercizio in forma associata, al fine di razionalizzare le modalità di esercizio delle stesse funzioni, di favorirne l'efficienza e l'efficacia e di ridurne i costi. La presente legge, in attuazione dell'articolo 118 della Costituzione, individua e trasferisce funzioni amministrative e disciplina il procedimento per la razionalizzazione delle circoscrizioni provinciali, sulla base di parametri oggettivi.

2. La presente legge, in coerenza con l'obiettivo di razionalizzare le funzioni e di eliminarne le duplicazioni, prevede inoltre:

a) la soppressione o la razionalizzazione di enti e di organismi che operano in ambito statale, regionale e locale con l'obiettivo che le funzioni da questi esercitate spettino a uno degli enti di cui all'articolo 114, primo comma, della Costituzione;

b) la modifica della composizione dei consigli e delle giunte degli enti locali, prevedendo una significativa riduzione del numero di consiglieri e di assessori;

c) la definizione e la disciplina dei piccoli comuni;

d) la modifica delle funzioni del consiglio comunale e del consiglio provinciale;

e) modifiche concernenti i direttori generali degli enti locali;

f) la modifica delle norme relative ai controlli negli enti locali, al fine di assicurare la piena responsabilizzazione degli amministratori e dei dipendenti.

 

 

L’articolo 1 del disegno di legge indica l’oggetto delle disposizioni contenute negli articoli successivi e i fini cui si ispirano.

Il comma 1 individua una prima serie di finalità del disegno di legge, la cui rilevanza appare particolarmente sottolineata dall’essere richiamate espressamente nel titolo del progetto di legge. Queste sono:

§      l’individuazione e la disciplina delle funzioni fondamentali di comuni, province e città metropolitane in attuazione dell’art. 117, secondo comma, lett. p), Cost. (artt. 2-6);

§      la disciplina dell’esercizio in forma associata di tali funzioni (art. 8);

§      la razionalizzazione delle province (art. 14).

 

Un secondo elenco, più ampio, è indicato nel comma 2:

§      la razionalizzazione o soppressione di enti e organismi che operano a livello statale, regionale e locale e il trasferimento delle loro funzioni ai soggetti di cui all’art. 114, comma primo della Costituzione (artt. 16-19 ), cioè Comuni, Province, Città metropolitane , Regioni eStato, ;

 

La previsione della soppressione di enti e organismi che operano in ambito statale potrebbe riferirsi alle disposizioni dell’art. 9 lett. a) o dell’art. 15 del testo in esame, nel quale, peraltro, non sembrano riscontrabili previsioni di soppressione di enti con operatività a livello nazionale.

 

§      la riduzione del numero dei componenti dei consigli comunali e provinciali e delle giunte e la modifica  delle funzioni dei consigli (22-24);

§      la definizione e la disciplina dei piccoli comuni (artt. 25-27);

§      l’individuazione e il trasferimento delle funzioni amministrative alle regioni e agli enti locali, in attuazione dell’art. 118 Cost. (artt. 9-11);

§      modifiche alla disciplina dei direttori generali degli enti locali e alle norme relative ai controlli (art. 28 e 29).

 

Le disposizioni citate, tuttavia, non esauriscono il contenuto del provvedimento in esame. Ai temi indicati dai due commi dell’articolo 1 si possono aggiungere ulteriori oggetti del progetto di legge:

§      la delega per l’adozione della Carta delle autonomie locali (art. 13);

§      il riordino e la razionalizzazione degli uffici periferici dello Stato (art. 15);

§      la modifica alla disciplina dei revisori dei conti (art. 30).

 


Articolo 2
(Funzioni fondamentali dei comuni)

1. Ferma restando la programmazione regionale, sono funzioni fondamentali dei comuni:

a) la normazione sull'organizzazione e sullo svolgimento delle funzioni;

b) la programmazione e la pianificazione delle funzioni spettanti;

c) l'organizzazione generale dell'amministrazione e la gestione del personale;

d) il controllo interno;

e) la gestione finanziaria e contabile;

f) la vigilanza e il controllo nelle aree funzionali di competenza;

g) l'organizzazione dei servizi pubblici di interesse generale di ambito comunale;

h) il coordinamento delle attività commerciali e dei pubblici esercizi, in coerenza con la programmazione regionale;

i) la realizzazione di processi di semplificazione amministrativa nell'accesso alla pubblica amministrazione ai fini della localizzazione e della realizzazione di attività produttive;

l) le funzioni in materia di edilizia, compresi la vigilanza e il controllo territoriale di base;

m) la partecipazione alla pianificazione urbanistica, anche con riferimento agli interventi di recupero del territorio;

n) l'attuazione, in ambito comunale, delle attività di protezione civile inerenti alla previsione, alla prevenzione, alla pianificazione di emergenza e al coordinamento dei primi soccorsi;

o) la costruzione, la classificazione, la gestione e la manutenzione delle strade comunali e la regolazione della circolazione stradale urbana e rurale e dell'uso delle aree di pertinenza dell'ente;

p) la pianificazione dei trasporti e dei bacini di traffico e la programmazione dei servizi di trasporto pubblico comunale, nonché le funzioni di autorizzazione e di controllo in materia di trasporto privato in ambito comunale, in coerenza con la programmazione provinciale;

q) la progettazione e la gestione del sistema locale dei servizi sociali e l'erogazione delle relative prestazioni ai cittadini, secondo quanto previsto dall'articolo 118, quarto comma, della Costituzione;

r) l'edilizia scolastica, l'organizzazione e la gestione dei servizi scolastici, compresi gli asili nido, fino all'istruzione secondaria di primo grado;

s) la gestione e la conservazione di teatri, musei, pinacoteche, raccolte di beni storici, artistici e bibliografici pubblici di interesse comunale e di archivi comunali;

t) l'attuazione delle misure relative alla sicurezza urbana e delle misure disposte dall'autorità sanitaria locale;

u) l'accertamento, per quanto di competenza, degli illeciti amministrativi e l'irrogazione delle relative sanzioni;

v) l'organizzazione delle strutture e dei servizi di polizia municipale e l'espletamento dei relativi compiti di polizia amministrativa e stradale, inerenti ai settori di competenza comunale, nonché di quelli relativi ai tributi di competenza comunale;

z) la tenuta dei registri di stato civile e di popolazione e i compiti in materia di servizi anagrafici.

 

 

Gli articoli da 2 a 6 individuano le funzioni fondamentali degli enti locali attuando così quanto disposto con la riforma del titolo V dall’articolo 117, secondo comma lett. p) della Costituzione.

 

Il nuovo articolo 117 individua, tra le materia di competenza legislativa esclusiva dello Stato, appunto le funzioni fondamentali di comuni, province, e città metropolitane, accanto alla legislazione elettorale e alla disciplina degli organi di governo degli enti locali.

L’attuazione del dettato costituzionale è stata tentata una prima volta con la legge 131 del 2003[2] che recava la delega, mai esercitata, per l’individuazione delle “funzioni fondamentali, ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, essenziali per il funzionamento di Comuni, Province e Città metropolitane nonché per il soddisfacimento di bisogni primari delle comunità di riferimento” (art. 2).

La definizione delle funzioni fondamentali degli enti locali risulta rilevante ai fini del federalismo fiscale.

Infatti, l’art. 119, comma 4, Cost. stabilisce che le risorse degli enti locali (e delle regioni) – ossia tributi ed entrate proprie, compartecipazioni al gettito erariale e fondo perequativo - devono consentire il finanziamento integrale delle “funzioni pubbliche loro attribuite”. L’individuazione di tali funzioni appare, pertanto, un passaggio necessario per la valutazione dell’entità delle risorse finanziarie da attribuire alle autonomie locali.

L’importanza dell’individuazione delle funzioni territoriali è confermata dalla legge n. 42 del 2009, sul federalismo fiscale di attuazione dell’art. 119 Cost. Tale legge, nell’indicare i princìpi e i criteri direttivi della delega relativa al finanziamento delle funzioni di comuni, province e città metropolitane, prevede una classificazione delle spese degli enti locali ripartite in:

§       spese riconducibili alle funzioni fondamentali individuate dalla legislazione statale;

§       spese relative alle altre funzioni;

§       spese finanziate con contributi speciali.

 

Da rilevare, tuttavia, che già il TUEL contiene diverse disposizioni in materia di funzioni di comuni e province (ad esempio artt. 13, 19, 20), sulle quali il testo in esame non interviene esplicitamente.

 

 

 

In particolare, gli articoli 2 e 3 recano l’elenco delle funzioni fondamentali rispettivamente dei comuni e delle province.

I due elenchi comprendono due tipologie di funzioni: le funzioni strumentali, relative alla gestione e organizzazione degli enti, e le funzioni essenziali rivolte alla comunità territoriale.

Le prime sono analoghe per comuni e province (e come si vedrà anche per le città metropolitane che sommano funzioni proprie alle funzioni delle province) e riguardano:

§      la normazione sulla organizzazione e lo svolgimento delle funzioni;

§      la programmazione e la pianificazione nell’ambito delle funzioni spettanti;

§      l’organizzazione generale dell’amministrazione e la gestione del personale;

§      il controllo interno;

§      la gestione finanziaria e contabile;

§      la vigilanza ed il controllo nelle aree funzionali di competenza.

 

Con riferimento alla funzione di “normazione sull’organizzazione e lo svolgimento delle funzioni” appare opportuno un chiarimento in merito ai contenuti di tale funzione, in particolare alla luce di competenze regionali in materia.

 

Per quanto riguarda le funzioni “operative”, si può individuare un primo nucleo di materie su cui insistono competenze sia comunali, sia provinciali, ciascuna nel proprio ambito territoriale; si tratta di:

§      organizzazione dei servizi pubblici di interesse generale (ai comuni quelli di ambito comunale e alle province quelli di ambito sovracomunale);

§      l’attività di protezione civile;

§      il trasporto pubblico locale;

§      la gestione delle strade e la regolazione della circolazione stradale.

 

Un secondo gruppo di funzioni riguarda materie specifiche di competenza di comuni e province.

Per quanto riguarda i comuni le funzioni possono essere raggruppate in quattro ambiti:

§      attività produttive (coordinamento delle attività commerciali e dei pubblici esercizi semplificazione amministrativa per la localizzazione e realizzazione delle attività produttive, edilizia, compresa la vigilanza e il controllo di base);

§      infrastrutture e territorio (partecipazione alla pianificazione urbanistica e agli interventi di recupero del territorio):

§      settore socio-culturale (sistema locale dei servizi sociali, edilizia scolastica e gestione dei servizi scolastici fino all’istruzione secondaria di primo grado, beni culturali di interesse comunale);

§      sicurezza (sicurezza urbana, polizia municipale, polizia amministrativa e stradale).

 

Si tratta, almeno per i primi tre settori, di funzioni già indicate come di competenza comunale dal testo unico enti locali. L’art. 13 del TUEL, infatti, individua come spettanti al comune, limitatamente alla popolazione e al territorio comunale, le seguenti funzioni:

§       servizi alla persona e alla comunità;

§       assetto e utilizzazione del territorio;

§       sviluppo economico.

Per quanto riguarda la sicurezza, rileva la legge-quadro sulla polizia municipale che affida ai comuni le funzioni di polizia locale[3].

 

L’articolo 2 indica alla lett. z), come ulteriore funzione fondamentale dei comuni, la tenuta dei registri di stato civile e di popolazione e i compiti in materia di servizi anagrafici.

Si tratta di due dei cinque servizi (oltre a stato civile e anagrafe, elettorale, leva militare e statistica) che rientrano tra i compiti, di competenza statale, gestiti dal comune (art. 14 TUEL). Non si tratta, dunque, propriamente di funzioni dei comuni, ma, piuttosto, di attività che i comuni svolgono per conto dello Stato.

 

La collocazione dei servizi di stato civile ed anagrafe nell’ambito delle funzioni fondamentali appare pertanto peculiare, a meno che tale disposizione non venga interpretata come un trasferimento ai comuni delle funzioni statali corrispondenti a tali servizi.

 

 


Articolo 3
(Funzioni fondamentali delle province)

1. Ferma restando la programmazione regionale, le funzioni fondamentali delle province sono:

a) la normazione sull'organizzazione e sullo svolgimento delle funzioni;

b) la pianificazione e la programmazione delle funzioni spettanti;

c) l'organizzazione generale dell'amministrazione e la gestione del personale;

d) la gestione finanziaria e contabile;

e) il controllo interno;

f) l'organizzazione dei servizi pubblici di interesse generale di ambito sovracomunale;

g) la vigilanza e il controllo nelle aree funzionali di competenza e la polizia locale;

h) l'assistenza tecnico-amministrativa ai comuni e alle forme associative;

i) la pianificazione territoriale provinciale di coordinamento;

l) la gestione integrata degli interventi di difesa del suolo;

m) l'attività di previsione, la prevenzione e la pianificazione d'emergenza in materia di protezione civile; la prevenzione di incidenti connessi ad attività industriali; l'attuazione di piani di risanamento delle aree ad elevato rischio ambientale;

n) la tutela e la valorizzazione dell'ambiente, per gli aspetti di competenza, ivi compresi i controlli sugli scarichi delle acque reflue e sulle emissioni atmosferiche ed elettromagnetiche; la programmazione e l'organizzazione dello smaltimento dei rifiuti a livello provinciale, nonché le relative funzioni di autorizzazione e di controllo;

o) la tutela e la gestione, per gli aspetti di competenza, del patrimonio ittico e venatorio;

p) la pianificazione dei trasporti e dei bacini di traffico e la programmazione dei servizi di trasporto pubblico locale, nonché le funzioni di autorizzazione e controllo in materia di trasporto privato in ambito provinciale, in coerenza con la programmazione regionale;

q) la costruzione, la classificazione, la gestione e la manutenzione delle strade provinciali e la regolazione della circolazione stradale ad esse inerente;

r) la programmazione, l'organizzazione e la gestione dei servizi scolastici, compresa l'edilizia scolastica, relativi all'istruzione secondaria di secondo grado;

s) la programmazione, l'organizzazione e la gestione dei servizi per il lavoro, ivi comprese le politiche per l'impiego;

t) la programmazione, l'organizzazione e la gestione delle attività di formazione professionale in ambito provinciale, compatibilmente con la legislazione regionale;

u) la promozione e il coordinamento dello sviluppo economico del territorio provinciale.

 

 

L’articolo 3 individua le funzioni fondamentali delle province.

Un primo gruppo di funzioni, come si è visto sopra (art. 2), definite strumentali, sono analoghe per province e comuni. Per le province  la competenza della polizia locale è statainserita tra le funzioni strumentali accanto alla vigilanza e il controllo delle aree funzionali di competenza (lett. g).

 

Come già constatato in tema di funzioni fondamentali dei comuni, appare opportuno un chiarimento sul riferimento alla “normazione sull’organizzazione e lo svolgimento delle funzioni”, in particolare alla luce di competenze regionali in materia.

 

Un secondo gruppo di funzioni concerne in generale l’attività di coordinamento e di pianificazione, in particolare:

§      l’assistenza tecnico-amministrativa ai comuni ad alle forme associative;

§      la pianificazione territoriale provinciale di coordinamento.

Si ricorda che il TUEL affida alle province importanti compiti di programmazione che sono dettagliatamente indicati agli art. 19 e 20 (non abrogati dal provvedimento in esame).

Un terzo gruppo di funzioni attiene alle funzioni “operative” della provincia e sono in gran parte già previste dalla normativa vigente (art. 19 TUEL). Esse riguardano principalmente il settore ambientale, oltre che la sicurezza, la scuola e il lavoro.

Nella tabella che segue sono confrontate le funzioni delle province ai sensi dell’articolo 3 in esame e quelle ad esse assimilabili previste dall’art. 19 del TUEL.

 

Art. 3 Carta DDL autonomie

Art. 19 TUEL

polizia locale

 

la gestione integrata degli interventi di difesa del suolo

difesa del suolo

l’attività di previsione, la prevenzione e la pianificazione d’emergenza in materia di protezione civile; la prevenzione di incidenti connessi ad attività industriali; l’attuazione di piani di risanamento delle aree ad elevato rischio ambientale

prevenzione delle calamità

funzioni di competenza in materia di tutela e valorizzazione dell’ambiente, ivi compresi i controlli sugli scarichi delle acque reflue e sulle emissioni atmosferiche ed elettromagnetiche; la programmazione e l’organizzazione dello smaltimento dei rifiuti a livello provinciale, nonché le relative funzioni di autorizzazione e controllo

tutela e valorizzazione dell'ambiente

organizzazione dello smaltimento dei rifiuti a livello provinciale, rilevamento, disciplina e controllo degli scarichi delle acque e delle emissioni atmosferiche e sonore

la tutela e la gestione, per gli aspetti di competenza, del patrimonio ittico e venatorio

caccia e pesca nelle acque interne

la pianificazione dei trasporti e dei bacini di traffico e la programmazione dei servizi di trasporto pubblico locale, nonché le funzioni di autorizzazione e controllo in materia di trasporto privato in ambito provinciale, in coerenza con la programmazione regionale

viabilità e trasporti

la costruzione, la classificazione, la gestione e la manutenzione delle strade provinciali e la regolazione della circolazione stradale ad esse inerente

(v. sopra)

la programmazione, l’organizzazione e la gestione dei servizi scolastici, compresa l’edilizia scolastica, relativi all’istruzione secondaria di secondo grado

compiti connessi alla istruzione secondaria di secondo grado ed artistica ed alla formazione professionale, compresa l'edilizia scolastica, attribuiti dalla legislazione statale e regionale

la programmazione, l'organizzazione e la gestione delle attività di formazione professionale in ambito provinciale, compatibilmente con la legislazione regionale;

(v. sopra)

la programmazione, l’organizzazione e la gestione dei servizi per il lavoro, ivi comprese le politiche per l’impiego

 

la promozione e il coordinamento dello sviluppo economico del territorio provinciale.

 

 

Delle funzioni previste dall’articolo 19 TUEL non risultano comprese nel nuovo provvedimento, né attribuite ai Comuni le seguenti:

§      valorizzazione dei beni culturali;

§      protezione della flora e della fauna parchi e riserve naturali;

§      servizi sanitari, di igiene e profilassi pubblica, attribuiti dalla legislazione statale e regionale;

§      tutela e valorizzazione delle risorse idriche ed energetiche;

§      raccolta ed elaborazione dati, assistenza tecnico-amministrativa agli enti locali.

 

Inoltre, l’articolo 19 TUEL prevede che la provincia, in collaborazione con i comuni e sulla base di programmi da essa proposti, promuova e coordini attività, nonché realizzi opere di rilevante interesse provinciale sia nel settore economico, produttivo, commerciale e turistico, sia in quello sociale, culturale e sportivo. Formulazione, questa, che appare più ampia di quella contenuta nel testo in esame, relativa alla promozione e al coordinamento dello sviluppo economico del territorio provinciale.

 

D’altro canto l’articolo in commento oltre ad una maggiore articolazione delle competenze per le quali è individuata una tendenziale corrispondenza, reca la previsione non riscontrabile nel TUEL della programmazione, l’organizzazione e la gestione dei servizi per il lavoro, ivi comprese le politiche per l’impiego.

 

 


Articolo 4
(Funzioni fondamentali delle città metropolitane)

1. Ferma restando la programmazione regionale, le funzioni fondamentali delle città metropolitane sono:

a) le funzioni delle province di cui all'articolo 3;

b) l'organizzazione dei servizi pubblici di interesse generale di ambito metropolitano;

c) l'azione sussidiaria e il coordinamento tecnico-amministrativo dei comuni;

d) la pianificazione territoriale generale e delle reti infrastrutturali;

e) la mobilità e la viabilità metropolitane;

f) la strutturazione di sistemi coordinati di gestione dei servizi pubblici;

g) la promozione e il coordinamento dello sviluppo economico e sociale.

 

 

L’articolo 4 reca le funzioni fondamentali delle città metropolitane. Queste aggiungono a quelle delle province, le seguenti funzioni:

§      organizzazione dei servizi pubblici di interesse generale di ambito metropolitano;

§      l’azione sussidiaria e il coordinamento tecnico-amministrativo dei Comuni;

§      la pianificazione territoriale generale e delle reti infrastrutturali;

§      la mobilità e la viabilità metropolitana;

§      la strutturazione di sistemi coordinati di gestione dei servizi pubblici;

§      la promozione e il coordinamento dello sviluppo sociale (la lett. u dell’art. 3 limita la competenza provinciale alla promozione e al coordinamento dello sviluppo economico del territorio provinciale) .

 

Il Capo III del TUEL, che disciplina le modalità di costituzione delle città metropolitane, non prevede per esse funzioni specifiche, rinviando a quelle delle province.

Alcune delle competenze indicate nell’articolo in esame (pianificazione territoriale, coordinamento dei servizi pubblici e promozione e il coordinamento dello sviluppo economico e sociale) sono invece indicate quali funzioni della città metropolitana nella disciplina transitoria introdotta dalla legge sul federalismo fiscale.

L’articolo 23 della legge 42/2009 introduce una disciplina transitoria che consente, in via facoltativa, una prima istituzione delle città metropolitane situate nelle regioni a statuto ordinario, ad esclusione di Roma. Tale disciplina è destinata a rimanere in vigore fino all’approvazione di una apposita legge ordinaria volta a stabilire le modalità per la definitiva istituzione delle città metropolitane. Oggetto di tale legge è la definizione delle funzioni fondamentali, degli organi e del sistema elettorale delle città metropolitane.

L’articolo 4 del provvedimento in esame, individuando le funzioni fondamentali delle città metropolitane costituisce una parziale introduzione della normativa in materia.


Articolo 5
(Funzioni fondamentali ricadenti nelle materie di cui all’articolo 117, commi terzo e quarto, della Costituzione)

1. Nel rispetto del principio di leale collaborazione, le regioni, nell'esercizio della competenza legislativa nelle materie di cui all'articolo 117, commi terzo e quarto, della Costituzione, al fine di garantire l'effettivo esercizio delle funzioni fondamentali, possono attribuire le stesse alla provincia, nei casi in cui la legislazione statale le attribuisce al comune, o al comune, nei casi in cui la legislazione statale le attribuisce alla provincia, previo accordo con gli enti interessati, ferme restando le funzioni di consultazione regolate dalle singole regioni, e previo accordo in sede di Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, di seguito denominata «Conferenza unificata». Le regioni assicurano a tale fine il rispetto dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, nonché il soddisfacimento ottimale dei bisogni delle rispettive comunità. La decorrenza dell'esercizio delle funzioni è subordinata all'effettivo trasferimento dei beni e delle risorse tra gli enti locali interessati. Sono fatte salve le modalità di finanziamento delle funzioni fondamentali di comuni, province e città metropolitane previste dalla legge 5 maggio 2009, n. 42.

 

 

L’articolo 5 introduce la possibilità, da parte delle regioni, di trasferire funzioni fondamentali dalle province ai comuni e viceversa, qualora ciò si renda necessario al fine di garantirne l’effettivo esercizio[4].

 

L’articolo in commento individua l’oggetto della disposizione innanzitutto nelle funzioni fondamentali che la legislazione statale (e quindi anche quelle di cui ai precedenti articoli 3 e 4) attribuisce a province e comuni. Nell’ambito di tali funzioni, sono trasferibili esclusivamente quelle che afferiscono alle materie affidate alla legislazione concorrente Stato-regioni (art. 117, 3° co. Cost.) e alle materie nelle quali le regioni esercitano la potestà legislativa esclusiva (art. 117, 4° co. Cost.), ossia quelle individuate in via residuale rispetto alle materie a competenza legislativa statale (elencate nell’art. 117, 1° co. Cost.) e alle materie a legislazione concorrente.

Il trasferimento deve avvenire nel rispetto di una serie di principi, quali:

§      il principio di leale collaborazione;

§      il principio di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza;

§      il soddisfacimento ottimale dei bisogni delle rispettive comunità.

Inoltre, vengono definite una serie di condizioni per l’esercizio del potere di trasferimento delle funzioni da parte delle regioni, quali:

§      l’accordo tra la regione e gli enti interessati, nel rispetto delle forme di consultazione fissate da ciascuna regione;

§      l’accordo in sede di conferenza unificata.

 

Per quanto riguarda la decorrenza dell’effettiva esplicazione delle funzioni attribuite, essa è indeterminata in quanto subordinata all’effettivo trasferimento dei beni e delle risorse tra i comuni e le province interessate.

 

Infine, vengono fatte salve le modalità di finanziamento delle funzioni fondamentali degli enti locali, fissate dalla legge sul federalismo fiscale (L. 42/2009).

 

E’ presumibile che l’obiettivo della disposizione sia quello di precisare che le funzioni fondamentali eventualmente trasferite dovranno avere in ogni caso la garanzia del finanziamento integrale. Nei fatti ciò sembra produrre una geografia complessa e variabile della destinazione di finanziamenti da parte dello Stato.

 

Il nuovo assetto finanziario relativo agli enti locali è definito nella legge 42/2009 dagli articoli 11, 12 e 13 nonché dall’articolo 15 per quel che concerne il finanziamento delle città metropolitane. Per le spese connesse alle funzioni fondamentali è prevista la garanzia del finanziamento integrale, con riferimento al fabbisogno standard.

Il finanziamento integrale delle funzioni fondamentali è assicurato, in via prioritaria, dai tributi propri, dalle compartecipazioni al gettito di tributi erariali e regionali e dalle addizionali a tributi erariali e regionali. L’articolo 12 individua specificamente quali entrate dei comuni e delle province devono essere destinate, in via prioritaria, al finanziamento delle funzioni fondamentali: per i comuni è fatto riferimento al gettito della compartecipazione all’IVA, alla compartecipazione all’IRPEF e alla imposizione immobiliare, con esclusione dell'abitazione principale; per le province, al gettito di tributi relativi al trasporto su gomma e alla compartecipazione a un solo tributo erariale. E’ rimessa, invece, alla facoltà delle città metropolitane la scelta circa l’applicazione dei tributi in relazione al finanziamento delle spese fondamentali.

Il finanziamento integrale è assicurato inoltre dall’intervento del fondo perequativo. L’articolo 13 prevede l’istituzione di due fondi perequativi, uno a favore dei comuni, l’altro a favore delle province e delle città metropolitane, iscritti nel bilancio delle singole regioni ed alimentati attraverso un apposito fondo perequativo dello Stato. La dimensione del fondo perequativo è determinata, per ciascuna tipologia di ente, in misura pari alla differenza tra il totale dei fabbisogni standard per le funzioni fondamentali e il totale delle entrate standardizzate spettanti ai comuni e alle province, intendendosi come tali le entrate derivanti dai tributi propri valutati ad aliquota standard.

Il riparto tra gli enti delle risorse perequative destinate al finanziamento delle funzioni fondamentali è effettuato in base a due indicatori: un indicatore di fabbisogno finanziario per il finanziamento della spesa corrente - calcolato come differenza tra il valore standardizzato della spesa corrente (esclusa la spesa per interessi) ed il valore standardizzato dei tributi e delle entrate proprie di applicazione generale - e un indicatore di fabbisogno di infrastrutture, per il finanziamento della spesa in conto capitale.

Il provvedimento prevede la possibilità per le regioni di intervenire in sede di riparto delle risorse perequative tra gli enti locali del proprio territorio, attribuendo ad esse la facoltà di procedere ad una diversa valutazione dei parametri di fabbisogno (finanziario e di infrastrutture), in base ai quali è effettuata la ripartizione dei fondi perequativi per il finanziamento delle funzioni fondamentali, qualora vi sia intesa al riguardo con gli enti locali medesimi.

L’eventuale ridefinizione, da parte delle regioni, dei parametri di assegnazione dei fondi perequativi non può in ogni caso comportare ritardi nell’assegnazione delle risorse. Pertanto, nel caso in cui la regione non provveda nei termini stabiliti è previsto l’esercizio del potere sostitutivo da parte dello Stato, ai sensi dell’articolo 120, comma secondo, della Costituzione.

 

Le disposizioni contenute nell’articolo in esame devono essere lette in connessione con quelle dei precedenti articoli 2, 3 e 4 e dei successivo articoli 6 e 7.

I primi tre definiscono le funzioni fondamentali rispettivamente dei comuni, delle province e delle città metropolitane. Si tratta, come si è visto, di funzioni afferenti sia alle materie che l’art. 117 Cost. affida alla legislazione esclusiva dello Stato (ad esempio la tutela dell’ambiente), sia alle materie a legislazione concorrente Stato-regioni (ad esempio la protezione civile), sia, infine, alle materie di competenza legislativa esclusiva delle regioni (ad esempio la formazione professionale).

Il successivo articolo 7 chiarisce che agli enti locali spetta in via esclusiva l’esercizio di dette funzioni, mentre la loro regolamentazione legislativa, ai sensi dell’art. 6, è confermata in capo allo Stato o alle regioni, nel rispetto delle competenze per materia stabilite dalla Costituzione.

L’articolo in esame interviene a completare il sistema sopra descritto affiancando all’attribuzione, da parte della legge statale, di funzioni fondamentali ai comuni e alle province, sia nelle materie “statali”, sia in quelle “regionali”, la potestà delle regioni di modificare tale attribuzioni, trasferendo, se necessario e con il procedimento ivi stabilito, alle province l’esercizio di funzioni che lo Stato ha attribuito ai comuni e ai comuni l’esercizio di funzioni attribuite alle province.

In altre parole, il sistema delineato dalle norme in esame si articola come segue:

§      le materie (e le funzioni) sono disciplinate dalla legge (statale o regionale o, insieme statale e regionale secondo quanto previsto dall’art. 117 Cost.);

§      la legge statale stabilisce, in tutte le materie (statali e regionali) quali funzioni fondamentali sono da esercitare da parte dei comuni e quali dalle province;

§      se le funzioni afferiscono a materie di competenza statale, resta ferma l’attribuzione compiuta dal legislatore statale;

§      se le funzioni afferiscono a materie di competenza regionale “piena”, o concorrente tra Stato e regioni, quest’ultime possono decidere di modificarne l’attribuzione, nel rispetto dell’art. 5;

§      se le regioni non intervengono (e fino a quando non intervengono) resta ferma l’attribuzione compiuta dalla legge statale.

 


Articolo 6
(Disciplina delle funzioni fondamentali)

1. Le funzioni fondamentali di cui agli articoli 2, 3 e 4 della presente legge sono disciplinate dalla legge statale o dalla legge regionale, secondo il riparto della competenza per materia di cui all'articolo 117, commi secondo, terzo e quarto, della Costituzione.

 

 

Ai sensi dell’articolo 6 le funzioni fondamentali di comuni, province e città metropolitane, indicate negli articoli precedenti, sono disciplinate dalla legge statale o dalla legge regionale, secondo il riparto della competenza per materia ai sensi dell’articolo 117 Cost., commi secondo, terzo e quarto.

Pertanto saranno disciplinate dalla legge statale le funzioni afferenti alle materie indicate al secondo comma dell’art. 117, per le quali lo Stato ha potestà legislativa esclusiva, saranno regolate sia da legge statale, sia da legge regionale, nei rispettivi ambiti, le funzioni rientranti tra le materia di legislazione concorrente (terzo comma art. 117); le altre funzioni rientreranno nella piena potestà legislativa regionale (come previsto dal terzo comma dell’art. 117).

 

Tuttavia, come emerge dall’illustrazione degli articoli precedenti, il provvedimento in esame si limita all’indicazione delle funzioni fondamentali, senza provvedere anche al loro inquadramento nelle materie elencate all’art. 117 Cost..

 

 


Articolo 7
(Disposizione di salvaguardia)

1. Le funzioni fondamentali di cui agli articoli 2, 3 e 4 non possono essere esercitate da enti o agenzie statali o regionali. Non possono altresì essere esercitate da enti o agenzie di enti locali diversi da quelli cui sono attribuite le medesime funzioni fondamentali.

 

 

L’articolo 7 contiene una disposizione di salvaguardia volta a precisare che le funzioni fondamentali degli articoli 2, 3 e 4 non possono essere esercitate da enti o agenzie statali o regionali. In tal modo è garantito che l’esercizio delle funzioni fondamentali avvenga nel livello cui è stato legislativamente assegnato; così le funzioni non possono essere avocate né dallo Stato, né dalle regioni.

Tuttavia, l’esercizio delle funzioni fondamentali – che, come specificato dall’articolo seguente (comma 1) è obbligatorio per l’ente che ne è titolare - può essere svolto, ai sensi dell’art. 5 sopra illustrato e nel rispetto della procedura ivi stabilita, da altri enti locali diversi da quelli titolari della funzione.

 

 

 


Articolo 8
(Modalità di esercizio delle funzioni fondamentali)

1. L'esercizio delle funzioni fondamentali è obbligatorio per l'ente titolare.

2. Le funzioni fondamentali dei comuni previste dall'articolo 2, comma 1, lettere da a) a f), possono essere esercitate da ciascun comune singolarmente o, se compatibile con la natura della funzione, in forma associata mediante la costituzione di un'unione di comuni.

3. Le funzioni fondamentali dei comuni, previste dall'articolo 2, comma 1, lettere g), l), m), n), o), p), q), r), t), u), v) e z), sono obbligatoriamente esercitate in forma associata da parte dei comuni con popolazione fino a 3.000 abitanti. Le funzioni fondamentali di cui al primo periodo possono essere esercitate in forma associata dagli altri comuni.

4. I comuni non possono svolgere singolarmente le funzioni fondamentali svolte in forma associata. La medesima funzione di un comune non può essere svolta da più di una forma associativa.

5. Le province possono esercitare una o più funzioni di cui all'articolo 3 in forma associata. La disposizione di cui al primo periodo si applica a decorrere dalla data determinata dai decreti legislativi di cui all'articolo 14.

6. La regione, nelle materie di cui all'articolo 117, commi terzo e quarto, della Costituzione, individua con propria legge, previa concertazione con i comuni interessati nell'ambito del Consiglio delle autonomie locali, la dimensione territoriale ottimale per lo svolgimento delle funzioni di cui all'articolo 2, comma 1, lettere da g) a z), secondo i princìpi di economicità, di efficienza e di riduzione delle spese, fermo restando quanto stabilito dai commi 2 e 3 del presente articolo. Nell'ambito della normativa regionale i comuni avviano l'esercizio delle funzioni in forma associata entro il termine indicato dalla stessa normativa. I comuni capoluogo di provincia e i comuni con un numero di abitanti superiore a 100.000 non sono obbligati all'esercizio delle funzioni in forma associata.

7. Salvo quanto previsto dalle leggi regionali, costituiscono forme associative esclusivamente la convenzione e l'unione di comuni di cui, rispettivamente, agli articoli 30 e 32 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni, di seguito denominato «testo unico». Ogni comune può fare parte di una sola unione di comuni. Le unioni di comuni possono stipulare apposite convenzioni tra loro o con singoli comuni.

8. All'articolo 32 del testo unico sono apportate le seguenti modificazioni:

a) i commi 2 e 3 sono sostituiti dai seguenti:

«2. L'atto costitutivo e lo statuto dell'unione sono approvati dai consigli dei comuni partecipanti con le procedure e con la maggioranza richieste per le modifiche statutarie. Lo statuto individua le funzioni svolte dall'unione e le corrispondenti risorse, nonché la sede presso uno dei comuni associati.

3. Lo statuto prevede il presidente dell'unione, scelto secondo un sistema di rotazione periodica tra i sindaci dei comuni associati, e prevede che la giunta sia composta esclusivamente dai sindaci dei comuni associati e che il consiglio sia composto, senza oneri aggiuntivi per la finanza pubblica, da un numero di consiglieri, eletti dai singoli consigli dei comuni associati tra i propri componenti, non superiore a quello previsto per i comuni di dimensioni pari alla popolazione complessiva dell'ente, garantendo la rappresentanza delle minoranze»;

b) al comma 5, il secondo periodo è soppresso.

 

 

L’articolo 8, affermando l’obbligatorietà dell’esercizio delle funzioni fondamentali degli enti locali, ne disciplina le modalità di esercizio in forma associata. Tale esercizio risulta uno strumento privilegiato di esercizio per le funzioni comunali, in quanto ne viene stabilita l’obbligatorietà con riferimento a talune funzioni e in relazione a soglie di popolazione.

Quanto alle province, il ricorso alla gestione associata è configurato come facoltativo per tutte le funzioni fondamentali.

 

Occorre ricordare che il capo V del TUEL è intitolato “forme associative” e raca gli articoli 30-34. In particolare, l’art. 30 riguarda le convenzioni tra enti locali, l’art. 31 i consorzi, l’art. 32 le unioni di comuni, l’art. 33 l’esercizio associato di funzioni e servizi da parte dei comuni e l’art. 34 gli accordi di programma.

 

A fronte di queste fattispecie, definite tutte come forme associative dal TUEL, il comma 7 dell’articolo in commento individua come “forme” dell’associazione, salvo quanto previsto dalle leggi regionali, esclusivamente l’unione dei comuni - di cui viene riformulata la disciplina contenuta nell’art. 32 TUEL, attraverso la sostituzione di due commi – e la convenzione (art. 30 TUEL).

 

Tale comma non si riferisce specificamente ai comuni o alle province, richiamando i primi solo per escluderne la possibilità di partecipare a più di un’unione di comuni.

Inoltre, esso non richiama né l’accordo di programma di cui all’art. 34 TUEL, né l’art. 33 TUELrelativo all’esercizio associato di funzioni e servizi da parte dei comuni. Non è nemmeno richiamata l’altra forma associativa costituita dai consorzi, poiché di essi l’art. 19 del testo in esame dispone la soppressione.

 

 

Per i comuni, le funzioni “strumentali” possono essere esercitate singolarmente oppure in forma associata, compatibilmente con la natura della funzione. Lo strumento in ogni caso deve essere l’unione di comuni.

Non viene invece indicata la forma giuridica per l’esercizio associato delle funzioni “operative”, per la quale i comuni possono scegliere quindi una delle forme previste dal citato comma 7 (unione di comuni, convenzione).

Per i comuni con popolazione fino a 3.000 abitanti è obbligatorio l’esercizio associato delle funzioni operative; è facoltativo quello delle funzioni strumentali. Questa soglia demografica è inferiore a quella di 5.000 abitanti stabilita dal successivo art. 25 per definire i piccoli comuni ai fini delle disposizioni contenute nel Capo VII.

Per evitare duplicazioni, si precisa che i comuni non possono svolgere singolarmente una funzione il cui esercizio è stato demandato ad una forma associativa. Inoltre, una stessa funzione non può essere svolta da più di una forma associativa.

Anche per le province è possibile l’esercizio associato delle proprie funzioni, ma solamente a decorrere dal momento di approvazione della razionalizzazione del sistema provinciale come previsto dall’articolo 14 del provvedimento in esame.

 

Ai sensi del comma 6, le regioni spetta il compito di individuare con legge la dimensione ottimale per lo svolgimento delle funzioni associate, previa concertazione con i comuni interessati nell’ambito dei Consigli delle autonomie locali.

Dal tenore della disposizione non emerge quale incidenza nel procedimento abbia la prevista concertazione, né quali effetti, da valutare nel quadro costituzionale, ad essa siano riconducibili.

 

Le funzioni su cui la regione può legiferare sono quelle operative e, fra queste, le regioni intervengono esclusivamente su quelle afferenti alle materie in cui hanno potestà legislativa (o esclusiva o concorrente).

Le leggi regionali devono indicare i termini entro i quali i comuni si devono adeguare ed attivare l’associazione di funzioni. Restano esclusi i comuni capoluogo di provincia e quelli con più di 100.000 abitanti che non sono obbligati ad associarsi. Inoltre, è fatta salva la disposizione che obbliga i comuni fino a 3.000 abitanti ad associarsi.

 

In proposito si osserva quanto segue:

§      non sono indicate espressamente le materie alle quali afferiscono le funzioni fondamentali di comuni e province, e ciò potrebbe determinare problemi interpretativi nella fase di emanazione delle leggi regionali;

§      il contenuto delle leggi regionali deve essere concordato nell’ambito del Consiglio delle autonomie locali, organismo non ancora istituito in tutte le regioni;

§      manca una norma di chiusura che indichi le conseguenza dell’eventuale mancato adeguamento dei comuni alla normativa regionale.

 

Per quanto riguarda le modifiche alla disciplina vigente delle unioni di comuni il provvedimento in esame novella espressamente l’art. 32 del TUEL.

In particolare viene modificata la composizione degli organi dell’unione. Attualmente essa è determinata dallo statuto dell’unione, che comunque deve prevedere un presidente scelto dai sindaci; inoltre gli altri organi devono essere formati dai componenti delle giunte e dei consigli dei comuni associati.

L’articolo in esame introduce una disciplina più dettagliata secondo la quale lo statuto deve prevedere:

§      un presidente scelto a rotazione tra i sindaci dei comuni partecipanti;

§      una giunta composta esclusivamente dai sindaci;

§      un consiglio eletto dai singoli consigli dei comuni e composto da un numero di membri non superiore a quello previsto per un comune di dimensioni pari alla popolazione complessiva dell’ente. Il consiglio non deve comportare oneri aggiuntivi per la finanza pubblica.

 

Come sopra già accennato, l’articolo in esame che, come emerge dal comma 7,  ha il fine di disciplinare le uniche forme associative cui gli enti locali possono ricorrere, è privo di qualsiasi riferimento agli artt.33 (esercizio associato di funzioni e servizi da parte dei comuni) e 34 (accordi di programma).

Perciò, premesso che andrebbe valutata la portata dell’eventuale intervento rimesso alle leggi regionali, occorrerebbe chiarire se la disciplina di tali articoli debba intendersi implicitamente richiamata o, al contrario, abrogata in base all’art. 31, comma 4, oppure, ancora, rimesso il suo coordinamento con quella prevista dal testo in esame alla Carta delle autonomie.

 In quest’ultima ipotesi, in considerazione del termine della relativa delega, è possibile che l’incertezza interpretativa che riguarda le fattispecie illustrate si protragga per circa un biennio dall’entrata in vigore del testo in esame.

 


Articolo 9
(Disposizioni per l'attuazione dell'articolo 118, commi primo e secondo, della Costituzione, in materia di conferimento delle funzioni amministrative alle regioni e agli enti locali nelle materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato)

1. Ferme restando le funzioni fondamentali dei comuni, delle province e delle città metropolitane individuate dalla presente legge, il Governo è delegato ad adottare, entro nove mesi dalla data di entrata in vigore della medesima legge, nelle materie di cui all'articolo 117, secondo comma, della Costituzione, su proposta dei Ministri dell'interno, per i rapporti con le regioni e per le riforme per il federalismo, di concerto con i Ministri per la pubblica amministrazione e l'innovazione, per i rapporti con il Parlamento, per la semplificazione normativa e dell'economia e delle finanze e con gli altri Ministri competenti per materia, uno o più decreti legislativi, aventi ad oggetto:

a) l'individuazione e il trasferimento delle restanti funzioni amministrative esercitate, alla data di entrata in vigore dei decreti legislativi, dallo Stato o da enti territoriali, che, non richiedendo l'unitario esercizio a livello statale, sono attribuite, sulla base dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, a comuni, province, città metropolitane e regioni;

b) l'individuazione delle funzioni che rimangono attribuite allo Stato.

2. Nell'esercizio della delega di cui al comma 1, il Governo si attiene ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

a) conferire, ai sensi dell'articolo 118, primo comma, della Costituzione, al livello diverso da quello comunale soltanto le funzioni di cui occorra assicurare l'unitarietà di esercizio, sulla base dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza;

b) prevedere che tutte le funzioni amministrative residuali, non allocate ai sensi della lettera a), sono di competenza del comune;

c) favorire l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli o associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, ai sensi dell'articolo 118, quarto comma, della Costituzione;

d) disciplinare, nel caso in cui la titolarità delle funzioni sia attribuita a un ente diverso da quello che le esercita alla data di entrata in vigore dei decreti legislativi di cui al comma 1, la data di decorrenza del loro esercizio nonché le procedure per la determinazione e il trasferimento contestuale dei beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative necessarie al loro esercizio; qualora si tratti di funzioni già esercitate dallo Stato, si procede con intesa conclusa in sede di Conferenza unificata; per le funzioni già esercitate dalle regioni o da enti locali si procede tramite intesa tra la regione interessata e gli enti di riferimento ovvero tramite intesa in ambito regionale tra gli enti locali interessati; in ogni caso, i provvedimenti di attuazione della disciplina transitoria sono corredati della relazione tecnica con l'indicazione della quantificazione dei beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative, ai fini della valutazione della congruità tra i trasferimenti e gli oneri conseguenti all'espletamento delle funzioni attribuite.

3. Gli schemi dei decreti legislativi di cui al comma 1 del presente articolo, previa intesa da sancire in sede di Conferenza unificata ai sensi dell'articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sono trasmessi alle Camere per l'espressione dei pareri da parte delle competenti Commissioni parlamentari entro il termine di quarantacinque giorni dalla data di trasmissione. Decorso il termine per l'espressione dei pareri, i decreti legislativi possono essere comunque adottati. In mancanza di intesa nel termine di cui al citato articolo 3 del decreto legislativo n. 281 del 1997, il Consiglio dei ministri delibera, approvando una relazione che è trasmessa alle Camere. Nella relazione sono indicate le specifiche motivazioni per cui l'intesa non è stata raggiunta. Il Governo, qualora, anche a seguito dell'espressione dei pareri parlamentari, non intenda conformarsi all'intesa raggiunta in sede di Conferenza unificata, trasmette alle Camere e alla stessa Conferenza unificata una relazione nella quale sono indicate le specifiche motivazioni di difformità dall'intesa.

4. Entro nove mesi dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi di cui al comma 1, il Governo può adottare, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi e secondo la procedura di cui al presente articolo, disposizioni integrative e correttive.

5. In relazione ai contenuti dei decreti legislativi di cui al presente articolo, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore dei decreti medesimi, le amministrazioni statali interessate provvedono a ridurre le dotazioni organiche in misura corrispondente al personale trasferito, nonché a riordinare e a semplificare le proprie strutture organizzative ai sensi dell'articolo 17, comma 4-bis, della legge 23 agosto 1988, n. 400. Per quanto riguarda l'amministrazione indiretta e strumentale dello Stato si provvede, entro il termine di cui al primo periodo del presente comma e ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della citata legge n. 400 del 1988, e successive modificazioni, nel rispetto del medesimo principio previsto per le amministrazioni statali relativamente alla riduzione delle dotazioni organiche in misura corrispondente alle unità di personale trasferito, nonché dei criteri di semplificazione, adeguatezza, riduzione della spesa, eliminazione di duplicazioni di funzioni rispetto alle regioni e agli enti locali ed eliminazione di sovrapposizioni di competenze di cui all'articolo 2, comma 634, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, e successive modificazioni.

 

 

Il capo III reca disposizioni relative alle “funzioni amministrative degli enti locali”.

 

Si osserva che il riferimento agli enti locali appare limitativo rispetto all’effettivo contenuto del capo che ha ad oggetto anche disposizioni relative a funzioni amministrative dello Stato e delle regioni.

 

L’articolo 9 reca una delega al Governo per l’attuazione dell’articolo 118, primo e secondo comma, Cost. sul conferimento delle funzioni amministrative a regioni ed enti locali nelle materie di competenza legislativa esclusiva statale.

 

Ai sensi dell’art. 118 Cost., le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza (primo comma).

I Comuni, le Province e le Città metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze (secondo comma).

 

In particolare, la delega ha ad oggetto:

a) l’individuazione e il trasferimento delle funzioni amministrative attualmente esercitate dallo Stato o da enti territoriali che, non richiedendo l’unitario esercizio a livello statale, sono attribuite sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, a Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni;

Alla lettera a), appare opportuno sopprimere la parola “restanti”.

 

b) l’individuazione delle funzioni – si intende amministrative - che rimangono attribuite allo Stato.

 

Ai sensi del comma 2, i principi ed i criteri direttivi sono i seguenti:

a) conferire ad un livello diverso da quello comunale solo le funzioni di cui occorra assicurare l’unitarietà di esercizio, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, come già previsto dall’art. 118, primo comma, Cost;

b) prevedere che tutte le funzioni amministrative residuali, non allocate ai sensi della lettera a), sono di competenza del Comune;

c) favorire l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli o associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, ai sensi dell’articolo 118, quarto comma, della Costituzione;

 

Ai sensi dell’art. 118, quarto comma, Cost., Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà (cd. principio di sussidiarietà orizzontale).

 

d) disciplinare, nel caso in cui la titolarità delle funzioni sia attribuita ad un ente diverso da quello che le esercita alla data di entrata in vigore dei decreti legislativi:

§          la data di decorrenza del loro esercizio;

§          le procedure per la determinazione e il trasferimento contestuale dei beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali ed organizzative necessarie al loro esercizio.

Qualora le funzioni da trasferire risultino esercitate dallo Stato, si procede con intesa conclusa in sede di Conferenza unificata; qualora invece le funzioni risultino esercitate dalle regioni o da enti locali si procede tramite intesa tra la Regione interessata e gli enti di riferimento ovvero tramite intesa in ambito regionale tra gli enti locali interessati.

Il riferimento all’“intesa in ambito regionale tra gli enti locali interessati” sembra meritare un approfondimento al fine di chiarirne la portata.

In ogni caso, i provvedimenti di attuazione della disciplina transitoria sono corredati della relazione tecnica con l'indicazione della quantificazione dei beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative, ai fini della valutazione della congruità tra i trasferimenti e gli oneri conseguenti all'espletamento delle funzioni attribuite.

Si nota l’opportunità di chiarire:

-          cosa si intende per “provvedimenti di attuazione della disciplina transitoria”; con tale espressione potrebbe farsi riferimento alle intese in sede di Conferenza unificata o a livello regionale, dal momento che i decreti legislativi dovrebbero limitarsi a determinare le procedure per la determinazione ed il trasferimento di beni e risorse, senza procedere alla individuazione dei medesimi;

-          a chi è affidata la predisposizione della relazione tecnica;

-          a chi è affidata la valutazione della congruità tra i trasferimenti e gli oneri conseguenti all'espletamento delle funzioni e quali sono le conseguenze di un’eventuale valutazione di incongruità.

 

Per ciò che concerne il procedimento di adozione dei decreti legislativi (comma 3), i relativi schemi sono:

-          adottati su proposta su proposta dei Ministri dell’interno, per i rapporti con le regioni e per le riforme per il federalismo, di concerto con i Ministri per la pubblica amministrazione e l’innovazione, per i rapporti con il Parlamento, per la semplificazione normativa e dell’economia e finanze e con gli altri Ministri competenti (comma 1);

-          sottoposti ad intesa in sede di Conferenza unificata (art. 3 D.Lgs 281/1997); in caso di mancata intesa entro trenta giorni dalla prima seduta della conferenza stato - regioni in cui il provvedimento è posto all'ordine del giorno, il Consiglio dei ministri può comunque deliberare, approvando una relazione, trasmessa alle Camere, in cui sono indicate le specifiche motivazioni per cui l’intesa non è stata raggiunta;

-          trasmessi alle Camere per l’espressione dei pareri da parte delle Commissioni parlamentari competenti entro il termine di quarantacinque giorni dalla data di trasmissione; decorso il termine, i decreti legislativi possono essere comunque adottati.

Si osserva che, secondo le procedure parlamentari, i termini per l’espressione dei pareri da parte delle commissioni parlamentari sugli atti del Governo decorrono dall’assegnazione e non dalla trasmissione.

 

Il Governo, al momento dell’approvazione dei decreti legislativi può discostarsi dall’intesa raggiunta in Conferenza unificata, anche – ma non necessariamente - a seguito dell’espressione dei pareri parlamentari: in tal caso è tenuto a trasmettere alle Camere e alla Conferenza unificata una relazione nella quale sono indicate le specifiche motivazioni di difformità dall’intesa.

 

Entro nove mesi dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi, il Governo può adottare disposizioni integrative e correttive, nel rispetto dei principi e dei criteri direttivi e secondo la procedura prevista per i decreti medesimi (comma 4).

 

In relazione ai contenuti dei decreti legislativi, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore degli stessi (comma 5):

-      le amministrazioni statali interessate provvedono a ridurre le dotazioni organiche in misura corrispondente al personale trasferito, nonché a riordinare e a semplificare le proprie strutture organizzative con regolamento di organizzazione (art. 17, comma 4-bis, L 400/1988).

-      per l’amministrazione indiretta e strumentale dello Stato - ad esempio per gli enti pubblici - si provvede con regolamento di delegificazione (art. 17, comma 2, L 400/1988), nel rispetto del principio della riduzione delle dotazioni organiche in misura corrispondente alle unità di personale trasferito, nonché di criteri di semplificazione, adeguatezza, riduzione della spesa, eliminazione di duplicazioni di funzioni rispetto agli enti territoriali ed eliminazione di sovrapposizioni di competenze di cui all’articolo 2, comma 634, della legge finanziaria per il 2008 (L 244/2007).

 

L’art. 2, comma 634, L244/2007  prevede che, per finalità di razionalizzazione, miglioramento dell’efficienza e contenimento dei costi, con uno o più regolamenti di delegificazione sono riordinati, trasformati o soppressi e messi in liquidazione, enti ed organismi pubblici statali, nonché strutture pubbliche statali o partecipate dallo Stato, anche in forma associativa, nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:

a) fusione di enti, organismi e strutture pubbliche comunque denominate che svolgono attività analoghe o complementari, con conseguente riduzione della spesa complessiva e corrispondente riduzione del contributo statale di funzionamento;

b) trasformazione degli enti ed organismi pubblici che non svolgono funzioni e servizi di rilevante interesse pubblico in soggetti di diritto privato, ovvero soppressione e messa in liquidazione degli stessi;

c) fusione, trasformazione o soppressione degli enti che svolgono attività in materie devolute alla competenza legislativa regionale ovvero attività relative a funzioni amministrative conferite alle regioni o agli enti locali;

d) razionalizzazione degli organi di indirizzo amministrativo, di gestione e consultivi e riduzione del numero dei componenti degli organi collegiali almeno del 30 per cento;

f) abrogazione delle disposizioni legislative che prescrivono il finanziamento, diretto o indiretto, a carico del bilancio dello Stato o di altre amministrazioni pubbliche, degli enti ed organismi pubblici soppressi e posti in liquidazione o trasformati in soggetti di diritto privato;

g) trasferimento all’amministrazione che riveste preminente competenza nella materia, delle funzioni di enti, organismi e strutture soppressi;

h) la riduzione del numero degli uffici dirigenziali esistenti presso gli enti con corrispondente riduzione degli organici del personale dirigenziale e non dirigenziale ed il contenimento delle spese relative alla logistica ed al funzionamento;

i) riduzione da parte delle amministrazioni vigilanti del numero dei propri uffici dirigenziali con corrispondente riduzione delle dotazioni organiche del personale dirigenziale e non dirigenziale nonché il contenimento della spesa per la logistica ed il funzionamento.

 

La disposizione da ultimo esaminata si pone dunque come norma di delegificazione, da valutare nella sua conformità alle previsione del citato art. 17, comma 2, L 400/1988, che prevede che le leggi che autorizzano la delegificazione dispongono l'abrogazione delle norme vigenti, con effetto dall'entrata in vigore delle norme regolamentari.

 

Si ricorda che una disciplina di attuazione dell’art. 118 Cost. è già prevista dall’art. 7 della cd. “legge La Loggia” (L 131/2003).

 

Ai sensi del citato art. 7, lo Stato e le Regioni, secondo le rispettive competenze, provvedono a conferire le funzioni amministrative da loro esercitate alla data di entrata in vigore della presente legge, sulla base dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, attribuendo a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato soltanto quelle di cui occorra assicurare l'unitarietà di esercizio, per motivi di buon andamento, efficienza o efficacia dell'azione amministrativa ovvero per motivi funzionali o economici o per esigenze di programmazione o di omogeneità territoriale. Tutte le altre funzioni amministrative non diversamente attribuite spettano ai Comuni, che le esercitano in forma singola o associata, anche mediante le Comunità montane e le unioni dei Comuni.

Si provvede sulla base degli accordi con le Regioni e le autonomie locali, da concludere in sede di Conferenza unificata, diretti in particolare all'individuazione dei beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative necessarie per l'esercizio delle funzioni e dei compiti da conferire. Il Governo presenta al Parlamento uno o più disegni di legge collegati alla manovra finanziaria annuale per il recepimento dei suddetti accordi. Tale procedura si applica fino alla data di entrata in vigore delle norme relative al nuovo sistema finanziario in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione.

Sulla base dei medesimi accordi e nelle more dell'approvazione dei disegni di legge, lo Stato può avviare i trasferimenti dei suddetti beni e risorse e con le modalità previste da un’intesa interistituzionale tra Stato, regioni ed enti locali, raggiunta il 20 giugno 2002. A tale fine si provvede mediante uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti.

 

La procedura prevista non ha mai trovato applicazione.

 

Il disegno di legge in esame reca una disciplina sul conferimento delle funzioni amministrative ai sensi dell’art. 118 Cost. diversa da quella prevista dall’art. 7, commi 1-5, L 131/2003, i quali sembrerebbero conseguentemente implicitamente abrogati.

Si segnala in proposito che l’articolo 13-bis della L 400/1988 (introdotto dall’art. 3 L 69/2009) prevede che il Governo provvede affinché ogni norma che sia diretta a sostituire, modificare o abrogare norme vigenti ovvero a stabilire deroghe indichi espressamente le norme sostituite, modificate, abrogate o derogate.

 


Articolo 10
(Trasferimento delle risorse agli enti locali)

1. Qualora la titolarità di una funzione fondamentale sia allocata dalla presente legge a un ente locale diverso da quello che la esercita alla data di entrata in vigore della legge medesima, alla determinazione e al trasferimento delle risorse necessarie al loro esercizio si provvede con uno o più accordi da stipulare in sede provinciale tra gli enti locali interessati. Con accordo in sede di Conferenza unificata sono stabilite le modalità per superare il dissenso in sede locale.

2. I trasferimenti delle risorse necessarie all'esercizio delle funzioni fondamentali allocate dalla presente legge a comuni, province e città metropolitane ed esercitate dallo Stato alla data di entrata in vigore della presente legge sono effettuati con decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottare entro dodici mesi dalla medesima data, su proposta del Ministro dell'interno, di concerto con i Ministri interessati e con il Ministro dell'economia e delle finanze, previo parere della Conferenza Stato-città ed autonomie locali o, nelle materie di competenza legislativa regionale, della Conferenza unificata.

3. Se alla data di entrata in vigore della presente legge una o più funzioni fondamentali sono esercitate da regioni, queste ultime provvedono a trasferire all'ente locale titolare della funzione le risorse strumentali connesse all'esercizio della funzione medesima.

4. La decorrenza dell'esercizio delle funzioni fondamentali è subordinata all'effettivo trasferimento di risorse strumentali all'esercizio delle medesime.

 

 

L’articolo 10 disciplina il trasferimento di risorse agli enti locali quando una funzione fondamentale è attribuita, ai sensi del capo II, ad un ente locale diverso dall’ente che la esercita alla data di entrata in vigore della legge.

Il comma 1 concerne il trasferimento delle risorse da un ente locale ad altro ente locale (comune, provincia, città metropolitana). In tal caso alla determinazione e al trasferimento delle risorse necessarie all’esercizio della funzione fondamentale si provvede con uno o più accordi da stipulare in sede provinciale tra gli enti locali interessati. Con accordo in sede di Conferenza unificata sono definite le modalità per superare un eventuale dissenso in sede locale.

 

Si osserva che occorrerebbe chiarire il significato dell’espressione “accordi da stipulare in sede provinciale tra gli enti locali interessati”. Essa sembrerebbe implicare comunque un ruolo dell’ente provincia nella stipula degli accordi.

 

Il comma 2 concerne il trasferimento delle risorse dallo Stato agli enti locali. In tal caso si provvede con decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottare entro dodici mesi dall’entrata in vigore della legge, su proposta del Ministro dell’interno, di concerto con i Ministri interessati e con il Ministro dell’economia e delle finanze, previo parere della Conferenza Stato-Città e Autonomie locali o, nelle materie di competenza legislativa regionale (sembrerebbe doversi presumere di competenza concorrente o residuale), della Conferenza Unificata.

 

Il comma 3 riguarda il trasferimento delle risorse dalle regioni agli enti locali. In tal caso le regioni provvedono a trasferire all’ente locale titolare della funzione le risorse strumentali connesse all’esercizio della funzione medesima.

Viene dunque rimessa alle regioni la scelta del tipo di atto da adottare per procedere al trasferimento.

Si segnala che l’articolo 12, commi 1 e 2, con riferimento alle materie di competenza legislativa concorrente e residuale, dispone che entro nove mesi le regioni adeguano la propria legislazione alla disciplina statale di individuazione delle funzioni fondamentali e riconosce un potere sostitutivo al Governo in caso di inerzia regionale.

 

Il comma 4 prevede che la decorrenza dell’esercizio delle funzioni fondamentali è subordinata all’effettivo trasferimento di risorse strumentali all’esercizio delle medesime.

 

Si osserva che i commi 1 e 2, relativi al trasferimento di risorse da parte degli enti locali e dello Stato, non specificano le tipologie di risorse oggetto di trasferimento (finanziarie, umane, strumentali).

Il comma 3, relativo al trasferimento alle regioni, fa invece riferimento solo a risorse strumentali.

Il comma 4, infine, subordina la decorrenza dell’esercizio delle funzioni al trasferimento delle sole risorse strumentali.

 

 


Articolo 11
(Funzioni esercitate dallo Stato nelle materie di cui all'articolo 117, commi terzo e quarto, della Costituzione)

1. Il Governo, previa intesa in sede di Conferenza unificata, presenta alle Camere appositi disegni di legge per l'individuazione e per il trasferimento alle regioni, secondo quanto previsto dall'articolo 118 della Costituzione, delle funzioni amministrative ancora esercitate dallo stesso alla data di entrata in vigore della presente legge, nelle materie di cui all'articolo 117, commi terzo e quarto, della Costituzione.

2. Con decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, del Ministro per le riforme per il federalismo, del Ministro per i rapporti con le regioni, del Ministro per la semplificazione normativa e del Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, sentiti i Ministri competenti per materia, si provvede alla determinazione, al trasferimento e alla ripartizione tra le regioni dei beni e delle risorse umane, finanziarie e strumentali connessi all'esercizio delle funzioni trasferite.

 

 

L’articolo 11 disciplina l’individuazione ed il trasferimento alle Regioni delle funzioni amministrative ancora esercitate dallo Stato, alla data di entrata in vigore della legge, nelle materie di competenza legislativa concorrente e residuale regionale (art. 117, commi terzo e quarto, Cost.).

Viene a tal fine prevista la presentazione alle Camere da parte del Governo di disegni di legge, previa intesa in sede di Conferenza unificata, che procedano alla individuazione e al trasferimento, secondo quanto previsto dall’articolo 118 della Costituzione (comma 1).

 

Si ricorda che, secondo la consolidata giurisprudenza costituzionale (v. per tutte sentenza n. 303/2003), anche nelle materie di competenza legislative concorrente e residuale regionale lo Stato può esercitare funzioni amministrative, ove si renda necessario un esercizio unitario delle stesse a livello statale, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza sanciti dall’articolo 118, primo comma, della Costituzione.

Sotto un diverso profilo si osserva che, ai sensi dell’art. 71, primo comma, Cost., l’iniziativa legislativa del Governo è libera: deve essere pertanto valutata la possibilità di vincolarla ad una intesa in sede di Conferenza unificata. Si tratta peraltro di un’ipotesi del tutto particolare: la legge statale interviene infatti in un ambito che dovrebbe essere riservato alla legislazione regionale (funzioni amministrative in materie di competenza concorrente o residuale regionale) al fine di dare attuazione al disegno costituzionale sull’allocazione delle funzioni amministrative.

 

Il comma 2 rimette a decreti del Presidente del Consiglio dei ministri la determinazione, il trasferimento e la ripartizione tra le Regioni dei beni e delle risorse umane, finanziarie e strumentali connesse all’esercizio delle funzioni trasferite.

I suddetti decreti sono adottati su proposta dei Ministro dell’economia e delle finanze, del Ministro per le riforme per il federalismo, del Ministro per i rapporti con le Regioni, del Ministro per la semplificazione normativa e del Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione, sentiti i ministri competenti per materia.

 

Si osserva che la norma interviene su un ambito che dovrebbe essere disciplinato dai disegni di legge di cui al comma 1.

Si osserva altresì che, trattandosi di interventi in materie di competenza concorrente o residuale regionale, deve essere valutata l’opportunità di prevedere, alla luce del principio di leale collaborazione, un coinvolgimento delle regioni.

 

L’articolo deve essere letto congiuntamente all’articolo 12, comma 3, lettera b), che rimette alla legge regionale il conferimento agli enti locali delle funzioni amministrative ad esse trasferite dallo Stato ai sensi dell’articolo in esame, ove non sia necessario un esercizio unitario a livello regionale, in attuazione dell’art. 118 Cost.

Per le funzioni amministrative concernenti materie di competenza concorrente o residuale, viene dunque previsto un doppio passaggio: esse vengono in un primo momento, trasferite dallo Stato alle regioni, con trasferimento di beni e risorse umane, finanziarie e strumentali; in un secondo momento le singole regioni, con proprie leggi, ove non risulti necessario un esercizio unitario a livello regionale, conferiscono le suddette funzioni agli enti locali, sulla base dei principi di sussidiarietà, adeguatezza e differenziazione.

 

 


Articolo 12
(Legislazione regionale nelle materie di cui all'articolo 117,
commi terzo e quarto, della Costituzione)

1. Entro nove mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge le regioni, con proprie leggi, sulla base di accordi stipulati in sede di Consiglio delle autonomie locali o in altra sede di concertazione prevista dai rispettivi ordinamenti:

a) adeguano la propria legislazione alla disciplina statale di individuazione delle funzioni fondamentali, nelle materie di propria competenza legislativa ai sensi dell'articolo 117, commi terzo e quarto, della Costituzione, regolandone le modalità di esercizio;

b) sopprimono e accorpano strutture, enti intermedi, agenzie od organismi comunque denominati titolari di funzioni in tutto o in parte coincidenti con le funzioni allocate ai comuni e alle province, evitando in ogni caso la duplicazione di funzioni amministrative.

2. Qualora le regioni non provvedano entro il termine di cui al comma 1, il Governo provvede in via sostitutiva fino alla data di entrata in vigore delle leggi regionali, ai sensi dell'articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131.

3. Le regioni, con proprie leggi, sulla base di accordi stipulati in sede di Consiglio delle autonomie locali o in altra sede di concertazione prevista dai rispettivi ordinamenti:

a) allocano le funzioni amministrative e le relative risorse in modo organico a comuni, province e città metropolitane al fine di evitare duplicazioni e sovrapposizioni di competenze;

b) conferiscono agli enti locali, nelle materie di propria competenza legislativa, ai sensi dell'articolo 117, commi terzo e quarto, della Costituzione, le funzioni ad esse trasferite dallo Stato ai sensi dell'articolo 11 della presente legge, che non richiedono di essere esercitate unitariamente a livello regionale in attuazione dell'articolo 118 della Costituzione;

c) conferiscono agli enti locali le funzioni amministrative esercitate dalla regione, che non richiedono l'unitario esercizio a livello regionale;

d) razionalizzano e semplificano, contestualmente all'attuazione delle lettere a), b) e c), i livelli locali, nel rispetto dei princìpi di cui agli articoli 97 e 118 della Costituzione.

4. Al fine di assicurare la razionalizzazione, la semplificazione e il contenimento dei costi, la legge regionale, fermo restando quanto stabilito dall'articolo 8, disciplina le ulteriori forme e le modalità di associazionismo comunale nonché le forme e le modalità di associazionismo provinciale, previo accordo con le province, qualora sia ritenuto necessario per la dimensione ottimale dell'esercizio delle funzioni.

 

 

L’articolo 12 riguarda la disciplina da parte delle regioni, con propria legge, delle funzioni amministrative nelle materie di competenza legislativa concorrente e residuale e la razionalizzazione e semplificazione delle strutture, enti, agenzie o organismi operanti a livello regionale.

 

I commi 1 e 2 riguardanola disciplina delle funzioni fondamentali.

 

In particolare (comma 1), entro nove mesi dall’entrata in vigore della legge, le regioni, con proprie leggi, sulla base di accordi stipulati nei Consigli delle autonomie locali o in altra sede di concertazione prevista dai propri ordinamenti:

a) adeguano la propria legislazione alla disciplina statale di individuazione delle funzioni fondamentali, nelle materie di competenza legislativa concorrente e residuale, regolandone le modalità di esercizio;

b) sopprimono ed accorpano strutture, enti intermedi, agenzie od organismi comunque denominati titolari di funzioni in tutto o in parte coincidenti con le funzioni allocate ai comuni e alle province, evitando in ogni caso la duplicazione di funzioni amministrative.

 

La lettera b) sembrerebbe riferita solo alle funzioni “fondamentali” allocate ai comuni e alle province. Si valuti l’opportunità di un’esplicitazione al riguardo.

 

Qualora le Regioni non provvedano entro il predetto termine di nove mesi, il Governo provvede in via sostitutiva fino alla data di entrata in vigore delle leggi regionali, ai sensi dell’articolo 8 della legge 131/2003 (cd. ‘legge La Loggia’) (comma 2).

Il citato art. 8 L 131/2003 ha dato attuazione all’art. 120, comma secondo, Cost. relativo al potere sostitutivo dello Stato nei confronti degli enti territoriali.

 

Si osserva che l’art. 120, secondo comma, Cost. prevede che il Governo può sostituirsi a organi delle regioni, delle città metropolitane, delle province e dei comuni nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave per l'incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell'unità giuridica o dell'unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali.

 

In base al citato art. 8, nei casi e per le finalità previsti dall'articolo 120, secondo comma, della Costituzione, il Presidente del Consiglio, su proposta del Ministro competente, anche su iniziativa delle Regioni o degli enti locali, assegna all'ente interessato un congruo termine per adottare i provvedimenti dovuti o necessari; decorso inutilmente tale termine, il Consiglio dei ministri, sentito l'organo interessato, su proposta del Ministro competente o del Presidente del Consiglio dei ministri, adotta i provvedimenti necessari, anche normativi, ovvero nomina un apposito commissario. Alla riunione del Consiglio dei ministri partecipa il Presidente della Giunta regionale della Regione interessata (comma 1). Nei casi di assoluta urgenza, qualora l'intervento sostitutivo non sia procrastinabile senza mettere in pericolo le finalità tutelate dall'articolo 120 della Costituzione, il Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro competente, anche su iniziativa delle Regioni o degli enti locali, adotta i provvedimenti necessari, che sono immediatamente comunicati alla Conferenza Stato-Regioni o alla Conferenza Stato-Città e autonomie locali, che possono chiederne il riesame (comma 4). I provvedimenti sostitutivi devono essere proporzionati alle finalità perseguite (comma 5).

 

La disposizione in esame introduce dunque un’ipotesi di sostituzione del Governo alle regioni in case di inerzia legislativa delle stesse. La sostituzione ha carattere temporaneo, in quanto opera fino alla entrata in vigore delle leggi regionali.

 

Si segnala altresì che l’articolo 10, comma 3, nei casi in cui la regione eserciti funzioni fondamentali (a prescindere dalla competenza legislativa), rimette a provvedimenti della regione il trasferimento di risorse strumentali dalla regione agli enti locali.

 

Il comma 3 riguardala disciplina delle funzioni non fondamentali.

 

Ai sensi di tale comma, le regioni, con proprie leggi, sulla base di accordi stipulati nei Consigli delle autonomie locali o in altra sede di concertazione prevista dai propri ordinamenti:

a) allocano le funzioni amministrative e le relative risorse in modo organico a Comuni, Province e Città metropolitane al fine di evitare duplicazioni e sovrapposizioni di competenze;

b) conferiscono agli enti locali, nelle materie di competenza legislativa concorrente o residuale le funzioni ad esse trasferite dallo Stato ai sensi dell’articolo 10, che non richiedono un esercizio unitario a livello regionale, in attuazione dell’art. 118 Cost.;

c) conferiscono agli enti locali le funzioni amministrative esercitate dalla Regione, che non richiedano l’unitario esercizio a livello regionale;

d) razionalizzano e semplificano, contestualmente all’attuazione delle lettere a), b) e c), i livelli locali, nel rispetto dei principi di cui agli articoli 97 (principio di buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione e principio di legalità nell’organizzazione dei pubblici uffici) e 118 Cost.

Si osserva che occorrerebbe chiarire cosa si intende per ‘razionalizzazione e semplificazione dei livelli locali’.

 

Con riferimento alle lettere a) e c) del comma 3, si osserva altresì che appare opportuno specificare che si tratta di funzioni amministrative relative alle materie di competenza legislativa concorrente e residuale, dal momento che il trasferimento di funzioni agli enti locali nelle materie di competenza esclusiva statale è disciplinato dall’articolo 9.

 

Sulla base del comma 4, infine, al fine di assicurare la razionalizzazione, la semplificazione e il contenimento dei costi, la legge regionale, fermo restando quanto stabilito dall’articolo 8 in tema di esercizio associato delle funzioni fondamentali, disciplina le ulteriori forme e le modalità di associazionismo comunale nonché le forme e le modalità di associazionismo provinciale, previo accordo con le province, qualora sia ritenuto necessario per la dimensione ottimale dell’esercizio delle funzioni.

 

Si rileva che,, mentre per l’associazionismo provinciale è previsto espressamente che la legge regionale intervenga previo accordo con le province, per l’associazionismo comunale non vi è un espresso riferimento alla concertazione con i comuni, che dovrebbe perciò ritenersi richiamata con il rinvio all’art. 7 del disegno di legge.

Più in generale, appare opportuno valutare l’ambito in cui la legge può intervenire nel subordinare la disciplina regionale all’accordo con gli enti locali, con riferimento alle materie di competenza regionale.


Articolo 13
(Delega al Governo per l'adozione della «Carta delle
autonomie locali»)

1. Al fine di riunire e di coordinare sistematicamente in un codice le disposizioni statali relative alla disciplina degli enti locali, il Governo è delegato ad adottare, entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, su proposta del Ministro dell'interno, di concerto con i Ministri per i rapporti con le regioni, per la pubblica amministrazione e l'innovazione, per le riforme per il federalismo, per i rapporti con il Parlamento, per la semplificazione normativa e dell'economia e delle finanze, un decreto legislativo recante la «Carta delle autonomie locali», con l'osservanza dei seguenti princìpi e criteri direttivi:

a) coordinamento formale, terminologico e sostanziale del testo delle disposizioni contenute nella legislazione statale, apportando le modifiche necessarie a garantire la coerenza giuridica, logica e sistematica della normativa;

b) ulteriore ricognizione, limitatamente alle materie di competenza legislativa statale, delle norme del testo unico, recepite nel codice, e delle altre fonti statali di livello primario che vengono o restano abrogate, salva l'applicazione dell'articolo 15 delle disposizioni sulla legge in generale premesse al codice civile;

c) rispetto dei princìpi desumibili dalla giurisprudenza costituzionale.

2. Lo schema del decreto legislativo di cui al comma 1 del presente articolo, previa intesa da sancire in sede di Conferenza unificata ai sensi dell'articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, è trasmesso alle Camere per l'espressione dei pareri da parte delle competenti Commissioni parlamentari entro il termine di quarantacinque giorni dalla data di trasmissione. Decorso il termine per l'espressione dei pareri, il decreto legislativo può essere comunque adottato. In mancanza del raggiungimento dell'intesa nel termine di cui al citato articolo 3 del decreto legislativo n. 281 del 1997, il Consiglio dei ministri delibera, approvando una relazione che è trasmessa alle Camere. Nella relazione sono indicate le specifiche motivazioni per cui l'intesa non è stata raggiunta. Il Governo, qualora, anche a seguito dell'espressione dei pareri parlamentari, non intenda conformarsi all'intesa raggiunta in sede di Conferenza unificata, trasmette alle Camere e alla stessa Conferenza unificata una relazione nella quale sono indicate le specifiche motivazioni di difformità dall'intesa.

3. Entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo di cui al comma 1, il Governo può adottare, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi di cui al medesimo comma e secondo la procedura di cui al comma 2, disposizioni integrative e correttive.

 

 

 

L’articolo 13 reca un delega al Governo per l’adozione della c.d. “Carta delle autonomie locali”, al fine di riunire e coordinare sistematicamente in un codice le disposizioni statali che disciplinano gli enti locali, da esercitare nel termine di 24 mesi dall’entrata in vigore del disegno di legge in esame.

 

I criteri ed i principi direttivi sono i seguenti:

a) coordinamento formale, terminologico e sostanziale del testo delle disposizioni contenute nella legislazione statale, apportando le modifiche necessarie a garantire la coerenza giuridica, logica e sistematica della normativa;

b) ulteriore ricognizione, limitatamente alle materie di competenza legislativa statale, delle norme del testo unico, recepite nel Codice e nelle altre fonti statali di livello primario che vengono o restano abrogate, salva l’applicazione dell’art. 15 delle disposizioni preliminari al codice civile (abrogazione delle leggi)[5];

c) rispetto dei principi desumibili dalla giurisprudenza costituzionale.

 

Con riferimento alla lettera b), si osserva che essa non esplicita il testo unico di riferimento, che dovrebbe comunque essere il Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 267/2000.

 

Sulla base della delega il Governo è dunque autorizzato a modificare la disciplina vigente solo per motivi di coerenza giuridica, logica e sistematica della normativa o per garantire il rispetto di principi desumibili dalla giurisprudenza costituzionale.

 

Per ciò che concerne il procedimento di adozione dei decreti legislativi, i relativi schemi sono:

-      adottati su proposta del Ministro dell’interno, di concerto con i Ministri per i rapporti con le regioni, per la pubblica amministrazione e l’innovazione, per le riforme per il federalismo, per i rapporti con il Parlamento, per la semplificazione normativa e dell’economia e delle finanze,

-      sottoposti ad intesa in sede di Conferenza unificata (art. 3 D.Lgs. 281/1997); in caso di mancata intesa entro trenta giorni dalla prima seduta della Conferenza Stato-regioni in cui il provvedimento è posto all'ordine del giorno, il Consiglio dei ministri può comunque deliberare, approvando una relazione, trasmessa alle Camere, in cui sono indicate le specifiche motivazioni per cui l’intesa non è stata raggiunta;

-      trasmessi alle Camere per l’espressione dei pareri da parte delle Commissioni parlamentari competenti entro il termine di quarantacinque giorni dalla data di trasmissione; decorso il termine, i decreti legislativi possono essere comunque adottati.

Il Governo, al momento dell’approvazione dei decreti legislativi può discostarsi dall’intesa raggiunta in Conferenza unificata, anche – ma non necessariamente - a seguito dell’espressione dei pareri parlamentari: in tal caso è tenuto a trasmettere alle Camere e alla Conferenza unificata una relazione nella quale sono indicate le specifiche motivazioni di difformità dall’intesa.

 

Entro 18 mesi dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo, il Governo può adottare disposizioni integrative e correttive, nel rispetto dei principi e dei criteri direttivi e secondo la procedura prevista per il decreto medesimo.

 

 

 


Articolo 14
(Delega al Governo in materia di razionalizzazione delle province)

1. Ai fini della razionalizzazione e dell'armonizzazione degli assetti territoriali conseguenti alla definizione e all'attribuzione delle funzioni fondamentali e delle funzioni amministrative alle province, il Governo è delegato ad adottare, entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, su proposta del Ministro dell'interno, del Ministro per i rapporti con le regioni, del Ministro per le riforme per il federalismo, del Ministro per la semplificazione normativa e del Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, previa iniziativa dei comuni, sentite le province e la regione interessate, uno o più decreti legislativi per la razionalizzazione delle province e per la riduzione del numero delle circoscrizioni provinciali.

2. Nell'esercizio della delega di cui al comma 1, il Governo si attiene ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

a) previsione che il territorio di ciascuna provincia abbia un'estensione e comprenda una popolazione tale da consentire l'ottimale esercizio delle funzioni previste per il livello di governo di area vasta;

b) conseguente revisione degli ambiti territoriali degli uffici decentrati dello Stato;

c) previsione, in conformità all'articolo 133 della Costituzione, dell'adesione della maggioranza dei comuni dell'area interessata, che rappresentino comunque la maggioranza della popolazione complessiva dell'area stessa, nonché del parere della provincia o delle province interessate e della regione;

d) previsione della soppressione di province in base all'entità della popolazione di riferimento, all'estensione del territorio di ciascuna provincia e al rapporto tra la popolazione e l'estensione del territorio;

e) attribuzione a una o più province contigue nell'ambito della stessa regione delle funzioni e delle corrispondenti risorse umane e strumentali della provincia da sopprimere;

f) individuazione di una disciplina transitoria che assicuri la continuità dell'azione amministrativa e dei servizi ai cittadini.

3. Gli schemi di decreto di cui al comma 1, previo parere della Conferenza unificata, sono trasmessi alle Camere per l'espressione dei pareri da parte delle competenti Commissioni parlamentari entro il termine di sessanta giorni dalla data di trasmissione. Decorso il termine per l'espressione dei pareri, i decreti legislativi possono essere comunque adottati.

 

 

L’articolo 14, reca, al comma 1, la delega al Governo ad adottare, entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della legge, su proposta del Ministro dell'interno, del Ministro per i rapporti con le regioni, del Ministro per le riforme per il federalismo, del Ministro per la semplificazione normativa e del Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, previa iniziativa dei comuni e sentite le province e la regione interessate, uno o più decreti legislativi per la razionalizzazione delle province e la riduzione del numero delle circoscrizioni provinciali.

La previsione della razionalizzazione delle circoscrizioni provinciali risulta coerente con l’istituzione delle Città metropolitane, espressamente prevista nella legge delega sul federalismo fiscale.

 

Sotto il profilo ordinamentale, le province sono definite enti autonomi dotati di propri statuti, poteri e funzioni secondo i princìpi fissati dalla Costituzione (art. 114, 2°comma, Cost.). L’individuazione delle funzioni fondamentali delle province  rientra tra le materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato, così come la legislazione elettorale e degli organi di governo (art. 117, 2° comma, lett. p), Cost.). Per l’esercizio delle funzioni loro attribuite le province devono poter disporre di risorse autonome secondo il principio dell’autonomia finanziaria e di spesa (art. 119 Cost.). Tale principio ha trovato recentemente attuazione con l’approvazione della legge 5 maggio 2009 n. 42 in materia di federalismo fiscale, ed in particolare negli articoli 11, 12 e 13 recanti gli indirizzi per la realizzazione di un nuovo sistema di finanza degli enti locali.

Nelle Regioni a statuto speciale la definizione del territorio delle Province è di competenza della Regione stessa secondo le norme stabilite nei rispettivi statuti. Le Province italiane sono 109 comprese le tre nuove province(Monza e Brianza, Fermo e Barletta-Andria-Trani) istituite con legge nel 2004 e formalmente costituite con le elezioni amministrative del 6 e 7 giugno 2009.

In merito all’organizzazione ed al funzionamento delle autonomie locali, la relativa disciplina è contenuta nel Testo unico in materia di enti locali (D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267). In tale contesto la provincia si caratterizza come ente locale intermedio tra comune e regione (art. 3 Tuel) in grado di esercitare le funzioni amministrative a livello di un’area vasta che non possono essere esercitate a livello puntuale dal singolo comune. I suoi compiti fondamentali consistono nel rappresentare la comunità di riferimento, curarne gli interessi e promuoverne lo sviluppo. I settori fondamentali in cui si esplica l’attività amministrativa delle Province sono essenzialmente quelli della difesa ambientale, viabilità e trasporti, formazione e istruzione nonché valorizzazione dei beni culturali (art. 19 Tuel). Inoltre, la Provincia ha importanti compiti di programmazione e coordinamento delle attività svolte dai comuni (art. 20 Tuel).

Si segnala, infine, che l’articolo 2, comma 183, della legge n.191/2009 (legge finanziaria 2010), ha disposto, una riduzione dei trasferimenti erariali, spettanti a comuni e province, iscritti sul Fondo ordinario per il finanziamento dei bilanci degli enti locali, per complessivi 13 milioni di euro per il 2010, 91 milioni per il 2011 e 125 milioni per il 2012; la riduzione riguarda:le province, per 1 milione di euro per il 2010, 5 milioni per il 2011 e 7 milioni per il 2012,i comuni per 12 milioni di euro per il 2010, 86 milioni per il 2011 e 118 milioni per il 2012. La riduzione del contributo ordinario è da porre in relazione  alle disposizioni di cui ai commi successivi al 183, che recano misure atte a garantire risparmi di spesa per comuni e province.

Da ultimo, l’articolo 1 del D.L. 25 gennaio 2010, n.2[6], modifica e integra alcune delle norme in materia di contenimento delle spese degli enti locali contenute nella legge finanziaria 2010 (art. 2, commi 183-186), stabilendo la decorrenza dal 2011 dell’applicazione delle disposizioni relative alla riduzione di organi e apparati locali, ferma restando la riduzione dei trasferimenti erariali ivi prevista. Tale articolo estende anche ai consigli provinciali la riduzione del numero dei componenti prevista per i consigli comunali.

Si ricorda poi che, nel maggio 2009, la Commissione affari costituzionali della Camera aveva avviato l’esame di sei proposte di legge di modifica costituzionale (A.C. 1694 e abbinate) intese a sopprimere l’ente Provincia, espungendolo dall’ordinamento territoriale della Repubblica. Le sei proposte, tutte di iniziativa parlamentare, modificano vari articoli della Costituzione sopprimendo in essi i riferimenti alla provincia. Due di esse (A.C. 2010 e A.C. 2264) apportano analoghe modifiche agli statuti speciali di tre regioni (Sicilia, Sardegna e Friuli-Venezia Giulia). Nessuna, peraltro, modifica la condizione delle province autonome di Trento e di Bolzano (quanto alla Valle d'Aosta, in essa non esiste un’amministrazione provinciale e la regione svolge anche i compiti della provincia).

Tutte le proposte recano, in appositi articoli, disposizioni transitorie o di attuazione di diversa formulazione e ampiezza. Una di esse (A.C. 2264) destina le risorse finanziarie che si renderanno disponibili a seguito della soppressione delle province al finanziamento di iniziative per promuovere l’occupazione giovanile. A seguito dell'iscrizione del provvedimento nel calendario dei lavori dell'Assemblea, la Commissione ha disposto la revoca dell'abbinamento delle proposte di legge costituzionale A.C. 1989, A.C. 1990 e A.C. 2264 (2 ottobre 2009) e ha successivamente (8 ottobre 2009) conferito al relatore il mandato a riferire in senso contrario all'Assemblea (A.C. 1990-A, presentata dai deputati Donadi ed altri). Nella seduta del 13 ottobre 2009, l'Assemblea ha approvato una questione sospensiva: la discussione del provvedimento è stata conseguentemente rinviata fino alla presentazione e all'esame del disegno di legge «Disposizioni in materia di organi e funzioni degli enti locali, semplificazione e razionalizzazione dell'ordinamento e Carta delle autonomie locali», ora in esame.

 

Il comma 2 stabilisce i princìpi e i criteri direttivi a cui il Governo si deve attenere nella predisposizione dei decreti legislativi, prevedendo in particolare:

a) che il territorio di ciascuna provincia abbia un'estensione e comprenda una popolazione tali da consentire l'ottimale esercizio delle funzioni previste per il livello di governo di area vasta;

b) la conseguente revisione degli ambiti territoriali degli uffici decentrati dello Stato, criterio questo legato al fatto il territorio provinciale costituisce circoscrizione di decentramento per varie amministrazioni statali;

c) l'adesione della maggioranza dei comuni dell'area interessata, che rappresentino comunque la maggioranza della popolazione complessiva dell'area stessa. Tale criterio si richiama anche al dettato dell’articolo 133 Cost.; comunque sostanzialmente esso riprende le previsioni dell’art. 21, comma 3, lett. d) del TUEL, nonché i pareri della provincia o delle province interessate e della regione.

 

Si ricorda che le circoscrizioni provinciali rappresentano la suddivisione dell’ambito territoriale della provincia individuandone dimensione e confini. L’art. 21 del Tuel prevede che ciascuna circoscrizione provinciale deve corrispondere ad un’area territoriale omogenea per sviluppo sociale, culturale ed economico e deve avere una dimensione idonea a consentire una programmazione dello sviluppo che favorisca il riequilibrio complessivo del territorio. Per la revisione delle circoscrizioni provinciali e l'istituzione di nuove province spetta ai comuni esercitare l'iniziativa di cui all'articolo 133 della Costituzione, considerando che l’intero territorio di ogni comune deve far parte di una sola provincia e la popolazione delle province risultanti dalle modificazioni territoriali non deve, di norma, essere inferiore a 200.000 abitanti. La disposizione prescrive, inoltre, che l’iniziativa dei comuni deve conseguire l’adesione della maggioranza dei comuni dell’area interessata che rappresentino, comunque, la maggioranza della popolazione complessiva dell’area stessa; l’adesione di ciascun Comune deve essere deliberata dal Consiglio comunale a maggioranza assoluta dei suoi componenti. Spetterà alle province preesistenti garantire alle nuove, in proporzione al territorio ed alla popolazione trasferiti, personale, beni, strumenti operativi e risorse finanziarie adeguate.

L’articolo 21 Tuel stabilisce, infine, che le regioni emanano norme volte a promuovere e coordinare le iniziative dei comuni dirette alla revisione delle circoscrizioni provinciali ed alla istituzione delle nuove province.

 

Occorre notare che l’art.1, comma 1-ter, del d.l. n.2/2010, introdotto nel corso dell’esame parlamentare, ha disposto l’abrogazione dei commi 1 e 2 dell’art. 21 del TUEL, che prevedono la facoltà delle province di istituire circondari provinciali.

 

L’articolo 133 Cost. prevede espressamente che il mutamento delle circoscrizioni provinciali e l’istituzione di nuove province avvenga su iniziativa dei comuni, disposizione che si ritrova anche nell’art. 21, comma 3, alinea, del TUEL. Alla luce di tale previsione, sembrerebbe opportuno che l’articolo in esame chiarisca, in modo più esauriente, il ruolo degli attori istituzionali coinvolti nei processi di ridefinizione delle circoscrizioni provinciali; ciò con particolare riferimento ai comuni, ai quali è fatto riferimento quanto all’adozione dei decreti delegati senza che emerga alcuna indicazione con riferimento alla delega.

 

d) che la soppressione di province sia effettuata in base all'entità della popolazione di riferimento, all'estensione del territorio di ciascuna provincia e al rapporto tra la popolazione e l'estensione del territorio;

 

e) l'attribuzione ad una o più province contigue, nell'ambito della stessa regione, delle funzioni e delle corrispondenti risorse umane e strumentali della provincia da sopprimere;

f) l'individuazione di una disciplina transitoria che assicuri la continuità dell'azione amministrativa e dei servizi ai cittadini.

 

Il comma 3 prevede, infine, che i decreti legislativi, previo parere della Conferenza unificata, siano trasmessi alle Camere per l'espressione dei pareri da parte delle competenti Commissioni parlamentari, entro il termine di sessanta giorni dalla data di trasmissione, e che, decorso il termine per l'espressione dei pareri, i decreti legislativi possano essere comunque adottati.

 

Si osserva che, secondo le procedure parlamentari, i termini per l’espressione dei pareri da parte delle commissioni parlamentari sugli atti del Governo decorrono dall’assegnazione e non dalla trasmissione.


Articolo 15
(Delega al Governo in materia di prefetture - uffici territoriali
del Governo)

1. Il Governo è delegato ad adottare, entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi recanti il riordino e la razionalizzazione degli uffici periferici dello Stato, con l'osservanza dei seguenti princìpi e criteri direttivi:

a) contenimento della spesa pubblica;

b) rispetto di quanto disposto dall'articolo 74 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e successive modificazioni, e dai piani operativi previsti da disposizioni attuative del medesimo articolo 74;

c) individuazione delle amministrazioni escluse dal riordino, in correlazione con il perseguimento di specifiche finalità di interesse generale che giustifichino, anche in considerazione di peculiarità ordinamentali, il mantenimento delle relative strutture periferiche;

d) mantenimento in capo agli uffici territoriali del Governo di tutte le funzioni di competenza delle prefetture;

e) mantenimento della circoscrizione provinciale quale ambito territoriale di competenza delle prefetture - uffici territoriali del Governo;

f) titolarità in capo alle prefetture - uffici territoriali del Governo della titolarità di funzioni espressamente conferite e di tutte le attribuzioni dell'amministrazione periferica dello Stato non espressamente conferite ad altri uffici;

g) accorpamento, nell'ambito della prefettura - ufficio territoriale del Governo, delle strutture dell'amministrazione periferica dello Stato le cui funzioni sono conferite all'ufficio medesimo;

h) garanzia della concentrazione dei servizi comuni e delle funzioni strumentali da esercitare unitariamente, assicurando un'articolazione organizzativa e funzionale atta a valorizzare le specificità professionali, con particolare riguardo alle competenze di tipo tecnico;

i) disciplina delle modalità di svolgimento in sede periferica da parte delle prefetture - uffici territoriali del Governo di funzioni e compiti di amministrazione periferica la cui competenza ecceda l'ambito provinciale;

l) mantenimento dei ruoli di provenienza per il personale delle strutture periferiche trasferite alla prefettura - ufficio territoriale del Governo e della disciplina vigente per il reclutamento e per l'accesso ai suddetti ruoli, nonché mantenimento della dipendenza funzionale della prefettura - ufficio territoriale del Governo o di sue articolazioni dai Ministeri di settore per gli aspetti relativi alle materie di competenza;

m) assicurazione che, per il conseguimento degli obiettivi di riduzione del 25 per cento degli oneri amministrativi, entro il 2012, nell'ambito degli obiettivi della Strategia di Lisbona stabiliti dal Consiglio europeo dei Capi di Stato e di Governo del 16 e 17 giugno 2005, le amministrazioni interessate procedano all'accorpamento delle proprie strutture periferiche nell'ambito delle prefetture - uffici territoriali del Governo entro un congruo termine stabilito dai decreti legislativi di cui al presente articolo;

n) previsione della nomina e delle funzioni dei prefetti preposti alle prefetture - uffici territoriali del Governo, quali commissari ad acta nei confronti delle amministrazioni periferiche che non abbiano provveduto nei termini previsti all'accorpamento di cui alla lettera m);

o) previsione dell'adozione di un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, del Ministro dell'interno, del Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, del Ministro per le riforme per il federalismo e del Ministro per la semplificazione normativa, sentiti i Ministri interessati, che stabilisca l'entità e le modalità applicative della riduzione degli stanziamenti per le amministrazioni che non abbiano proceduto all'accorpamento delle proprie strutture periferiche.

2. I decreti legislativi di cui al comma 1 sono adottati su proposta del Ministro dell'interno, del Ministro per le riforme per il federalismo e del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con i Ministri competenti per materia. Gli schemi dei decreti, previo parere della Conferenza unificata, sono trasmessi alle Camere per l'espressione dei pareri da parte delle competenti Commissioni parlamentari entro il termine di quarantacinque giorni dalla data di trasmissione. Decorso il termine per l'espressione dei pareri, i decreti legislativi possono essere comunque adottati.

3. Sono fatte le salve le competenze delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano.

 

 

L’articolo 15 reca una delega per il Governo ad adottare, entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi di riordino e razionalizzazione degli uffici periferici dello Stato, individuando la prefettura – UTG, sede istituzionale di raccordo fra le amministrazioni periferiche dello Stato e gli enti territoriali, quale snodo del processo di trasferimento delle funzioni amministrative in favore delle regioni e degli enti locali[7].

 

Si ricorda che gli Uffici Territoriali del Governo furono istituiti dall’art 11 del D.Lgs. 300/1999[8] in sostituzione delle prefetture; essi avrebbero dovuto assumere la titolarità di tutte le attribuzioni dell’amministrazione periferica dello Stato, ad eccezione di alcune espressamente indicate (affari esteri, giustizia, difesa, tesoro, finanze, pubblica istruzione, beni culturali, agenzie e, successivamente, anche comunicazioni). Con il successivo decreto legislativo n. 29/2004, recante modifiche al D.Lgs. n. 300/1999 in materia di Uffici territoriali del Governo, il predetto art. 11 è stato novellato eliminando la previsione dell’accorpamento di strutture periferiche ministeriali e configurando l’UTG come centro di coordinamento dell’attività amministrativa degli uffici periferici dello Stato, anche ai fini della garanzia della leale collaborazione degli stessi con gli enti locali. Il regolamento di attuazione[9] definisce all’art. 1 le attribuzioni della Prefettura-UTG, quale organo periferico del Ministero dell’interno, a cui vengono assegnati compiti di rappresentanza generale del governo sul territorio, di amministrazione generale e di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica. Ai sensi di tale disposizione, le funzioni che la prefettura svolge, avvalendosi delle Conferenze Permanenti, consistono nel coordinamento dell’attività amministrativa degli uffici periferici dello Stato sul territorio e nell’attività diretta ad assicurare la leale collaborazione degli uffici periferici dello Stato con i diversi livelli di governo esistenti sul territorio. Inoltre, le amministrazioni dello Stato, per le quali la normativa vigente prevede tale possibilità, possono avvalersi degli uffici di prefettura, che assicurano la loro collaborazione nel rispetto e nell’ambito delle missioni istituzionali ad essi attribuite. L’art. 11 del decreto legislativo 300/1999 contiene inoltre la previsione della Conferenza provinciale permanente, che coadiuva il prefetto nell’esercizio delle sue funzioni di coordinamento, composta dai responsabili di tutte le strutture periferiche dello Stato che svolgono la loro attività nella provincia nonché da rappresentanti degli enti locali.

Il prefetto, titolare della Prefettura-UTG nel capoluogo della regione è, a sua volta, coadiuvato da una Conferenza permanente, composta dai rappresentanti delle strutture periferiche regionali dello Stato, alla quale possono essere invitati i rappresentanti delle regioni. L’art. 4 del regolamento d’attuazione prevede l’articolazione delle Conferenze in sezioni corrispondenti a quattro aree o settori organici di materie: amministrazioni d’ordine; sviluppo economico e attività` produttive; territorio ambiente e infrastrutture; servizi alla persona e alla comunità. Alle conferenze permanenti provinciali e regionali, possono prendere parte tutti i soggetti istituzionali, di cui è ritenuta utile la partecipazione ai fini delle concrete determinazioni da assumere, o che vi hanno interesse. Il comma 4 del già citato articolo 11 del decreto legislativo 300/1999 prevede che il prefetto, sia direttamente sia attraverso la conferenza, possa richiedere alle amministrazioni periferiche di adottare provvedimenti intesi ad evitare un grave pregiudizio alla qualità dei servizi resi alla cittadinanza, anche al fine di prevenire, ed eventualmente risolvere, contrasti tra Stato e autonomie a garanzia della loro leale collaborazione. Nel caso in cui non siano assunte tempestivamente le necessarie iniziative, al prefetto è riconosciuto il potere di intervenire direttamente (tale potere sostitutivo è disciplinato dall’articolo 7 del regolamento applicativo), previo assenso del Ministro competente per materia e informazione preventiva del Presidente del Consiglio dei ministri.

 

I principi e criteri direttivi, a cui il legislatore dovrà attenersi nella predisposizione dei decreti, afferiscono:

§      a), b) al contenimento della spesa pubblica e successivo richiamo a quanto disposto dall’art. 74 del decreto-legge n. 112/2008[10] e dai piani operativi previsti da disposizioni attuative dello stesso articolo;

 

L’articolo 74 del D.L. 112/2008 ha stabilito che tutte le amministrazioni statali e varie categorie di enti pubblici nazionali dovessero:

§         ridimensionare gli assetti organizzativi esistenti secondo principi di efficienza, razionalità ed economicità, riducendo il numero degli uffici dirigenziali (del 20% per quelli di livello generale e del 15% per quelli di livello non dirigenziale);

§         ridurre il contingente di personale adibito allo svolgimento di compiti logistico-strumentali e di supporto in misura non inferiore al 10% con contestuale riallocazione delle risorse umane eccedenti tale limite negli uffici che svolgono funzioni istituzionali;

§         rideterminare le dotazioni organiche del personale non dirigenziale, ad esclusione di quelle degli enti di ricerca, apportando una riduzione non inferiore al 10% della spesa complessiva relativa al numero dei posti di organico di tale personale;

§         rideterminare la rete periferica su base regionale o interregionale, o, in alternativa, riorganizzare le strutture periferiche nell’ambito delle prefetture-uffici periferici del Governo (UTG).

Per le amministrazioni inadempienti è comminata la sanzione del divieto di procedere ad assunzioni di personale, a qualsiasi titolo e con qualsiasi contratto.

Il termine previsto per la riorganizzazione era il 30 novembre 2008 ed è stato successivamente differito al 31 maggio 2009 per i soli ministeri in virtù dell’art. 41, co. 10, D.L. 207/2008.

Si segnala, poi, che l’articolo 2, comma 7-bis del D.L. N.194/2009[11], come emendato in sede di conversione dalla legge n. 25 del 2010, modifica la normativa relativa alla riduzione degli assetti organizzativi, prevista dal suddetto art. 74, intervenendo sugli obblighi di riduzione dell’assetto organizzativo della Presidenza del Consiglio dei Ministri, ivi previsti, e stabilendo una riduzione degli organici dirigenziali pari al 7 per cento della dotazione di livello dirigenziale generale e al 15 per cento di quella di livello non generale, con copertura del minor risparmio, valutato in 2 milioni di euro, a carico delle risorse confluite nel fondo iscritto nel bilancio autonomo della Presidenza del Consiglio dei ministri a seguito della soppressione dell’Unità di monitoraggio della qualità dell'azione di governo degli enti locali.

I successivi commi da 8-bis a 8-septies dell’art. 2, prevedono un ulteriore processo di razionalizzazione organizzativa delle amministrazioni pubbliche, all’esito di quello disposto dall’art. 74, D.L. 112/2008. In particolare, il comma 8-bis obbliga le amministrazioni statali e varie categorie di enti pubblici ad operare una riduzione in misura non inferiore al 10% sia degli uffici dirigenziali di livello non generale e delle relative dotazioni organiche, sia delle dotazioni organiche del personale non dirigenziale. In caso di inadempimento entro il 30 giugno 2010, le amministrazioni non potranno procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo e con qualsiasi contratto, ferme alcune eccezioni (comma 8-quater). In ogni caso, restano ferme le vigenti disposizione in materia di limitazione delle assunzioni (comma 8-sexies).

Il comma 8-quinquies individua le amministrazioni esonerate dall’applicazione delle misure di contenimento, mentre il comma 8-septies abroga le disposizioni relative al programma di risparmio conseguente al riordino degli enti pubblici non economici previsto dall’art. 17, D.L. 78/2009.

 

c)      all’individuazione delle amministrazioni periferiche escluse dal riordino in correlazione con il perseguimento di specifiche finalità di interesse generale che giustifichino, anche in considerazione di peculiarità ordinamentali, il mantenimento delle relative strutture periferiche;

Tale punto riveste particolare importanza, poiché solo successivamente all’individuazione delle amministrazioni coinvolte e, per effetto del successivo criterio di delega di cui alla lett. e), della razionalizzazione delle province, potrà aversi un quadro puntuale dell’effettiva portata del processo di riorganizzazione delle Prefetture – UTG.

 

d)      almantenimento in capo agli UTG di tutte le funzioni di competenza della Prefettura;

e)      al mantenimento della circoscrizione provinciale quale ambito territoriale di competenza delle Prefetture – UTG;

f)        la titolarità in capo alle Prefetture - Uffici territoriali del Governo di funzioni espressamente conferite e di tutte le attribuzioni dell’amministrazione periferica dello Stato non espressamente conferite ad altri Uffici;

g)      all’accorpamento, nell'ambito dell’UTG, delle strutture dell’amministrazione periferica dello Stato le cui funzioni sono conferite all’Ufficio medesimo;

h)      alla garanzia della concentrazione dei servizi comuni e delle funzioni strumentali da esercitarsi unitamente, assicurando un'articolazione organizzativa e funzionale atta a valorizzare le specificità professionali, con particolare riguardo alle competenze di tipo tecnico;

i)        alla disciplina delle modalità di svolgimento in sede periferica da parte dell’UTG di funzioni e compiti di amministrazione periferica la cui competenza ecceda l'ambito provinciale;

l)   il mantenimento dei ruoli di provenienza per il personale delle strutture periferiche trasferite alla Prefettura - Ufficio territoriale del Governo e della disciplina vigente per il reclutamento e l'accesso ai suddetti ruoli, nonché mantenimento della dipendenza funzionale della Prefettura - Ufficio territoriale del Governo o di sue articolazioni dai Ministeri di settore per gli aspetti relativi alle materie di competenza;

m)            all’assicurazione che, per il conseguimento degli obiettivi di riduzione del 25 per cento degli oneri amministrativi, entro il 2012, nell’ambito della Strategia di Lisbona stabiliti dal Consiglio europeo dei Capi di Stato e di Governo del 16 e 17 giugno 2005, le amministrazioni interessate procedano all’accorpamento delle proprie strutture periferiche nell’ambito delle Prefetture - Uffici territoriali del Governo entro un congruo termine stabilito dai decreti legislativi;

 

La riduzione degli oneri amministrativi rappresenta uno dei pilastri della politica di Better Regulation promossa nell'ambito della Strategia di Lisbona.

Il nostro paese, in linea con le raccomandazioni delle istituzioni comunitarie, ha fissato l'obiettivo di ridurre gli oneri amministrativi che gravano sulle imprese del 25% entro il 2012 e, nel 2007, ha avviato le attività di misurazione tese a individuare gli adempimenti obsoleti, ripetitivi o eccessivi rispetto agli obiettivi di tutela degli interessi pubblici oggetto della legislazione di settore.

Con il meccanismo del Taglia oneri amministrativo, introdotto dall'art. 25 del decreto-legge 112/2008 il Governo ha messo a regime il processo di misurazione e di riduzione degli oneri, prevedendo il completamento del programma di misurazione nelle materie di competenza statale; l'introduzione di piani di semplificazione per ciascuna amministrazione; una delega al Governo che consente di intervenire in modo celere per ridurre ed eliminare gli oneri previsti per legge. La strategia italiana di semplificazione ha tra i suoi principali obiettivi una significativa riduzione degli “oneri amministrativi” che gravano sulle imprese, a partire dalla stima del costo di singoli obblighi informativi imposta da norme di regolazione. Gli obblighi informativi sono costituiti da tutti gli adempimenti posti a carico delle imprese da norme di regolazione e che comportano la raccolta, il mantenimento e la trasmissione di informazione a terzi e/o alle autorità pubbliche. Sulla base dei risultati della misurazione, il Governo formula proposte di semplificazione attraverso le quali garantire una riduzione complessiva del 25% degli oneri amministrativi entro il 2012, in linea con gli indirizzi definiti in sede europea. Sulla base delle previsioni del Taglia Oneri sono già stati adottati i piani di riduzione dell'area lavoro e previdenza e prevenzione incendi con un risparmio stimato di circa 5.3 miliardi di euro all'anno, pari al 33% degli oneri misurati[12].

 

n)  alla previsione della nomina e delle funzioni dei Prefetti preposti alle Prefetture - Uffici territoriali del Governo, quali Commissari ad acta nei confronti delle amministrazioni periferiche inadempienti che non abbiano provveduto nei termini previsti all’accorpamento di cui alla lettera m);

o)  previsione dell’adozione di un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, del Ministro dell’interno, del Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione, del Ministro per le riforme per il federalismo e del Ministro per la semplificazione normativa, sentiti i Ministri interessati, che stabilisca l’entità e le modalità applicative della riduzione degli stanziamenti per le amministrazioni che non abbiano proceduto all’accorpamento delle proprie strutture periferiche.

 

La previsione di cui alla lettera o) sembra introdurre una sostanziale delegificazione in una materia finora affrontata dalla legge ordinaria o da atti aventi forza di legge, della quale andrebbe valutata l’opportunità. Inoltre la medesima previsione individua uno strumento di delegificazione che appare diverso, quanto al procedimento e al contenuto, da quello previsto dall’art. 17, comma 2, della legge n. 400/1988; in particolare, per quanto attiene al procedimento si segnala l’assenza di previsione di parere parlamentare. Nè sembra che la previsione di tale parere possa discendere dal disposto del comma 2, perché questo stabilisce che siano espressi i pareri parlamentari solo sui decreti legislativi previsti dal comma 1.

 

Infine, il comma 2 disciplina, nel dettaglio, la procedura di adozione degli schemi dei decreti legislativi.

In particolare stabilisce che i decreti legislativi di cui sopra siano adottati su proposta del Ministro dell'interno, del Ministro per le riforme per il federalismo e del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con i Ministri competenti per materia. Gli stessi schemi, previo parere della Conferenza unificata, saranno, poi, trasmessi alle Camere per l'espressione dei pareri da parte delle competenti Commissioni parlamentari entro il termine di quarantacinque giorni dalla data di trasmissione, decorso inutilmente il quale i decreti legislativi possono essere comunque adottati.

 

Si osserva che, secondo le procedure parlamentari, i termini per l’espressione dei pareri da parte delle commissioni parlamentari sugli atti del Governo decorrono dall’assegnazione e non dalla trasmissione.

 

In conclusione, il comma 3, fa salve le competenze delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano.

 

 


Articolo 16
(Soppressione dei difensori civici comunali)

1. A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, è soppressa la figura del difensore civico di cui all'articolo 11 del testo unico, ad eccezione di quello delle province. Le funzioni dei difensori civici comunali possono essere attribuite ai difensori civici della provincia nel cui territorio rientra il relativo comune, che assumono la denominazione di «difensori civici territoriali».

2. I difensori civici territoriali sono competenti a garantire l'imparzialità e il buon andamento della pubblica amministrazione segnalando, anche di propria iniziativa, gli abusi, le disfunzioni, le carenze e i ritardi dell'amministrazione nei confronti dei cittadini. La loro competenza, in tali ambiti, riguarda le attività dell'amministrazione provinciale e comunale.

3. Fatto salvo quanto previsto dal comma 1, i difensori civici eletti ai sensi dell'articolo 11 del testo unico e in carica alla data di entrata in vigore della presente legge cessano dalle proprie funzioni alla scadenza del proprio incarico.

4. I comuni, con apposita convenzione con la provincia, possono assicurare la difesa civica ai cittadini nei confronti della propria amministrazione. In tal caso, la difesa civica è attribuita ai difensori civici territoriali di cui al comma 1.

 

 

L’articolo 16, al comma 1, prevede, a far data dall’entrata in vigore del testo in esame, la soppressione della figura del difensore civico, ad eccezione di quello provinciale.

 

L’articolo 11 del TUEL stabilisce che gli statuti comunali e provinciali possano prevedere la figura del difensore civico, con compiti di garanzia dell'imparzialità e del buon andamento della pubblica amministrazione comunale o provinciale. Il Difensore civico svolge, pertanto, un’attività tutoria delle prescrizioni di cui all’art. 97 della Costituzione poiché il suo intervento a tutela degli interessi, tanto legittimi quanto semplici o di mero fatto, dei privati cittadini si riflette automaticamente sull’efficienza e sull’efficacia dell’amministrazione segnalando, anche di propria iniziativa, gli abusi, le disfunzioni, le carenze ed i ritardi dell'amministrazione nei confronti dei cittadini[13].

In base all’art. 11 TUEL, lo statuto disciplina l'elezione, le prerogative ed i mezzi del difensore civico nonché i suoi rapporti con il consiglio comunale o provinciale

Pertanto, la Difesa civica si manifesta su vari livelli istituzionali, avendo ciascun Difensore civico come interlocutore l’Ente (o l’associazione di enti) che lo ha nominato sia esso il Comune, la Provincia, la Comunità montana, la Regione.

D’altra parte, dal momento che molti servizi pubblici locali sono forniti da soggetti diversi, in un ottica di aggregazione e di erogazione del servizio su scala ampia, il Difensore civico  trova limiti alla propria azione per impedimenti legati all’ambito delle competenze. A tale criticità si era finora fatto fronte con la creazione delle reti della difesa civica, delle quali fanno parte tutti i difensori civici, regionali e degli enti locali, presenti in una Regione.

 

Occorre ricordare che l’art. 2, co.186, lett. a) della L. n. 191/2009 (legge finanziaria 2010) ha già previsto l’obbligo di procedere alla soppressione della figura del difensore civico, di cui all’articolo 11 TUEL, senza alcuna eccezione. Invece, nel corso dell’esame in commissione dell’art. 1 del D.L. n. 2/10 recante interventi in materia di enti locali e regioni, è stato approvato un emendamento che ha introdotto l’eccezione relativa al difensore civico provinciale, stabilendo una disciplina analoga a quella contenuta nell’articolo in commento. Un ulteriore emendamento ha disposto che tali disposizioni si applichino, in ogni comune interessato, dalla data di scadenza dei singoli incarichi dei difensori civici in essere alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto.

 

Le funzioni dei difensori civici comunali possono essere attribuite ai difensori civici della provincia nel cui territorio rientra il comune che assumono la denominazione di difensori civici territoriali.

 

Alla luce di tali disposizioni sembra opportuno rilevare che l’eliminazione della figura del difensore civico è limitata all’ambito comunale e, per tale ambito, la soppressione delle relative funzioni è solo eventuale. Occorre poi tenere presente i termini di applicazione dell’intervento soppressivo già compiuto dal citato decreto  legge n.2/10 come modificato in sede di conversione.

A fini di chiarezza della formulazione normativa si osserva poi che l’attribuzione della nuova denominazione ai difensori provinciali dovrebbe essere disposta nel primo paragrafo del comma 1, anziché nel secondo paragrafo dello stesso comma ove potrebbe avere l’effetto di circoscrivere tale attribuzione ai soli casi, eventuali, in cui a difensori provinciali fossero attribuite funzioni dei soppressi difensori comunali. Interpretazione, quest’ultima, che non sembra sostenuta dal riferimento ai difensori civici territoriali contenuto nel secondo paragrafo del comma 4, che sembra presupporre la figura istituzionale dei difensori civici territoriali.

Un’ulteriore esigenza di chiarezza normativa riguarda la determinazione del soggetto cui spetterebbe effettuare l’attribuzione ai difensori civici provinciali delle funzioni dei difensori civici comunali, allo stato non indicato.

 

Secondo quanto già previsto dall’art. 11 del TUEL, il comma 2 stabilisce che i difensori civici, competenti a garantire l’imparzialità ed buon andamento della pubblica amministrazione, sia a livello provinciale che comunale, segnalano, anche di propria iniziativa abusi, disfunzioni, carenze e ritardi delle amministrazioni nei confronti dei cittadini.

Occorre ricordare che l’art. 11 TUEL, del quale, prevede che gli statuti disciplinino l'elezione, le prerogative ed i mezzi del difensore civico nonché i suoi rapporti con il consiglio comunale o provinciale.

Inoltre, l’art. 127 TUEL attribuisce ai difensori civici comunali o provinciali una funzione di controllo eventuale di legittimità sulle deliberazioni della giunta e del consiglio in materia di appalti e affidamento di servizi o forniture di importo superiore alla soglia di rilievo comunitario, di dotazioni organiche e relative variazioni, di assunzioni del personale.

 

Va pertanto notato che: poiché l’art. 31 del provvedimento in esame dispone l’abrogazione dell’art. 11 TUEL, viene meno ogni riferimento normativo in materia alle competenze statutarie comunali e provinciali; d’altro canto, poiché il medesimo art. 31 non reca alcun riferimento all’art. 127 TUEL, in quest’ultimo permangono sia il riferimento ai difensori civici comunali, sia l’attribuzione ai difensori civici in generale della funzione di controllo eventuale.

 

Il comma 3 riguarda i difensori civici comunali eletti e in carica all’entrata in vigore delle norme in commento, i quali cessano dalle proprie funzioni alla scadenza del proprio incarico.

Da ultimo, il comma 4, prevede la facoltà per i comuni di stipulare apposite convenzioni[14] con le province al fine di assicurare la difesa civica ai cittadini nei confronti della propria amministrazione attribuendo, in tale eventualità, i compiti di difesa ai predetti difensori civici territoriali.


Articolo 17
(Norme concernenti la soppressione delle comunità montane, isolane e di arcipelago e dei relativi finanziamenti)

1. A decorrere dall'anno 2010, le leggi regionali possono prevedere la soppressione delle comunità montane, isolane e di arcipelago esistenti e possono attribuire le funzioni già spettanti a tali comunità, nel rispetto dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza.

2. A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, lo Stato cessa di concorrere al finanziamento delle comunità montane previsto dall'articolo 34 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, e dalle altre disposizioni di legge relative alle comunità montane. Nelle more dell'attuazione della legge 5 maggio 2009, n. 42, il 30 per cento delle risorse finanziarie di cui ai citati articolo 34 e disposizioni di legge è assegnato ai comuni montani e ripartito tra gli stessi con decreto del Ministro dell'interno, adottato previo parere della Conferenza unificata. Per i fini di cui al secondo periodo sono considerati comuni montani i comuni in cui almeno il 75 per cento del territorio si trova al di sopra dei 600 metri sopra il livello del mare.

3. Le risorse di cui al comma 2, secondo periodo, sono attribuite alle regioni secondo le modalità stabilite dalla legge 5 maggio 2009, n. 42, e dalle relative norme di attuazione, a decorrere dalla data di entrata in vigore di queste ultime.

 

L’articolo 17, al comma 1, attribuisce alla competenza legislativa regionale la facoltà di disporre la soppressione delle Comunità montane, isolane e di arcipelago[15], a decorrere dal 2010, con la conseguente possibilità di riassegnare le funzioni già spettanti a tali enti territoriali, nel rispetto dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza.

In breve si ricorda che le comunità montane sono unioni di comuni, enti locali costituiti fra comuni montani e parzialmente montani, anche appartenenti a province diverse (TUEL, artt. 27 e 28), “create in vista della valorizzazione delle zone montane, allo scopo di esercitare, in modo più adeguato di quanto non consentirebbe la frammentazione dei Comuni montani, ‘funzioni proprie’, ‘funzioni conferite’ e ‘funzioni comunali’”[16]. Si tratta, dunque, di un caso speciale di unioni di comuni, di enti dotati di un certo grado di autonomia, non solo dalle regioni ma anche dai comuni, come dimostra, tra l’altro, l’espressa attribuzione agli stessi della potestà statutaria e regolamentare[17]. Spetta alle regioni l’individuazione degli ambiti territoriali per la costituzione delle comunità montane e la istituzione delle stesse comunità, che avviene con provvedimento del presidente della giunta regionale. Alla legge regionale è demandata la disciplina delle comunità montane che comprende tra l’altro, le modalità di approvazione dello statuto, i criteri di ripartizione dei finanziamenti, la regolazione dei rapporti con gli altri enti locali.

 

È opportuno ricordare che, nel quadro delle misure adottate per il contenimento delle spese per la rappresentanza negli enti locali, le comunità montane sono state oggetto di un articolato intervento di riforma, culminato nell’approvazione dell’art. 2, commi 16-22 della L. n. 244/2007 (legge finanziaria 2008), che ha interessato sia la riduzione del numero delle comunità, dei loro componenti e delle indennità da questi percepite, sia, conseguentemente, la dotazione finanziaria di tali enti. In tale occasione, è stata nuovamente dibattuta la questione pregiudiziale del soggetto competente a disciplinare le forme di associazionismo e di cooperazione tra enti locali.

 

L’articolo 2, commi 16-22, della legge finanziaria per il 2008 (legge 244/2007[18]) affida alle regioni il compito di provvedere con legge, entro il 30 settembre 2008[19], sulla base di parametri specificamente indicati, al riordino delle comunità montane. A regime, il riordino dovrà comportare, in ciascuna regione, la riduzione della spesa corrente per il finanziamento delle comunità montane per un importo pari ad un terzo della quota loro destinata del Fondo ordinario per il finanziamento degli enti locali[20] (comma 17).

Contestualmente la dotazione del Fondo medesimo è stata ridotta di 33,4 milioni di euro per il 2008 e di 66,8 milioni a decorrere dal 2009 (comma 16).

Il risparmio deve essere conseguito attraverso la riduzione del numero complessivo delle comunità e la riduzione del numero dei componenti e delle indennità loro spettanti (comma 18).

È prevista, inoltre, una disposizione sostitutiva che si applica in caso di inerzia delle regioni[21]:: essa prevede la soppressione automatica delle comunità montane che non corrispondono a precisi criteri altimetrici e di quelle costituite da meno di cinque comuni; la decadenza dalla partecipazione alle comunità dei comuni capoluogo, di quelli costieri e di quelli con più di 20.000 abitanti; la riduzione del numero dei consiglieri e dei membri dell’esecutivo delle comunità (comma 20).

Successivamente il comma 6-bis dell’art. 76 del decreto-legge 112/2008 ha ridotto di 30 milioni di euro per ciascuno degli anni 2009, 2010 e 2011 i trasferimenti erariali a favore delle comunità montane.

Le leggi regionali di attuazione delle disposizioni sopra citate, hanno affrontato il tema più generale delle forme associative quale strumento di promozione della cooperazione e della gestione associata dei servizi e delle funzioni dei comuni piccoli e medi in ambiti territoriali assimilabili.

Inoltre, presupponendo la riduzione delle Comunità montane, numerose leggi regionali hanno già previsto la possibilità della loro trasformazione in Unioni di comuni: innovando in questo senso la legislazione regionale in materia, nella generalità dei casi composta da norme generali e poco incisive e offrendo modelli organizzativi che derogano o integrano quanto disposto dall’art. 32 del TUEL (Unioni di Comuni)[22].

Prima del riordino le comunità montane istituite nelle regioni a statuto ordinario erano 300; ne facevano parte 3.264 comuni (di cui 2.732 montani e 532 parzialmente montani) con una popolazione complessiva di 8.054.370 abitanti; a queste si aggiungono le 34 comunità presenti nelle regioni ad autonomia speciale. Dopo il riordino le Comunità montane previste dalla legislazione regionale sono circa 180[23].

 

Con la sentenza 237/2009, la Corte Costituzionale si è pronunciata sul ricorso presentato dalle Regioni Veneto e Toscana sulla legittimità costituzionale delle norme contenute nella finanziaria 2008 in merito al riordino delle comunità montane. In precedenza, la Consulta aveva ribadito che, dopo l’entrata in vigore del Titolo V della Costituzione, la disciplina delle comunità montane rientra nella competenza legislativa regionale di natura residuale (Sentenze 244/2005, 456/2005 e 397/2006). Nella recente ed articolata sentenza del 2009, la Corte ha ritenuto legittimo l’intervento statale volto al contenimento della spesa pubblica con il quale è stato imposto alle Regioni il riordino delle Comunità montane, ma ha dichiarato incostituzionali le disposizioni con cui sono stati disciplinati gli effetti del mancato riordino da parte delle Regioni nei termini prescritti e sulla base dei criteri indicati.

 

In particolare, la Corte riconosce la competenza dello Stato a dettare norme in materia di armonizzazione dei bilanci pubblici e di coordinamento della finanza pubblica, e pertanto ritiene costituzionalmente legittime le parti delle disposizioni in cui il legislatore nazionale fissa obiettivi di razionalizzazione finanziaria e indica alle Regioni il processo di riordino della disciplina delle Comunità montane. Al contrario, la Consulta giudica le disposizioni che disciplinano gli effetti, anche successivi, del mancato riordino come «una disciplina di dettaglio ed autoapplicativa che non può essere ricondotta all’alveo dei principi fondamentali della materia del coordinamento della finanza pubblica, in quanto non lascia alle Regioni alcuno spazio di autonoma scelta e dispone, in via principale, direttamente la conseguenza, anche molto incisiva, della soppressione delle comunità che si trovino nelle specifiche e puntuali condizioni ivi previste».

La sentenza riporta infine in capo alle Regioni la competenza a dettare la disciplina di dettaglio per la definizione della montanità, che nella Finanziaria 2008 si rifaceva a parametri elaborati e proposti dall´Ente Italiano per la Montagna.

 

Il comma 2 - la cui formulazione è analoga a quella contenuta nel comma 187 dell’art. 2 della legge finanziaria 191/2009 - dispone la cessazione del concorso ordinario dello Stato al finanziamento delle comunità montane, previsto dall’articolo 34 del D.Lgs. 504/1992[24] e da ogni altra disposizione di legge relativa alle comunità montane.

 

Ai sensi delle citate disposizioni, il contributo erariale spettante alle comunità montane, iscritto sul Fondo ordinario per il finanziamento dei bilanci degli enti locali (cap. 1316/Ministero dell’interno), ammonta per il 2010 a 50 milioni di euro.

 

In attesa dell’attuazione della legge n. 42/2009 sul federalismo fiscale, la norma, inoltre, dispone l’assegnazione del 30 per cento di tale contributo (corrispondente a circa 15 milioni di euro) in favore dei comuni montani.

Ai fini della ripartizione di tale contributo, cui provvede il Ministero dell’interno, previo parere della Conferenza unificata, sono considerati montani i comuni in cui almeno il 75 per cento del territorio si trovi al di sopra di 600 metri dal livello del mare.

 

Appare rilevante segnalare come il comma in esame riproduca in buona sostanza la norma già in vigore di cui all’art. 2, comma 187 della L. n. 191/2009 (legge finanziaria 2010) limitandosi ad aggiungere il richiamo all’attività consultiva della Conferenza unificata.

Si ricorda, altresì, che la legge-delega sul federalismo fiscale citata, non detti disposizioni specifiche per le comunità montane; essa, nell’ambito dei principi e criteri direttivi sul finanziamento delle funzioni degli enti locali, sui fondi perequativi e sugli interventi speciali, prevede peraltro la necessità di tenere in considerazione le specificità dei territori montani (art. 11, comma 1, lett. g); art. 13, comma 1, lett. d); art. 16, comma 1, lett. c)).

 

In tema di valutazione del carattere montano dell’ente locale, assume particolare rilevo la recente sentenza n. 27/2010 con cui la Consulta ha dichiarato illegittima la previsione di un criterio altimetrico rigido come strumento per attuare la riduzione dei trasferimenti erariali diretti alle comunità montane accogliendo, in tal modo, il ricorso della Regione Liguria con riferimento all’art. 76, comma 6-bis, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112[25], nella parte in cui prevede che i destinatari della riduzione, prioritariamente, devono essere individuati tra le comunità che si trovano ad una altitudine media inferiore a settecentocinquanta metri sopra il livello del mare.

 

In merito alla formulazione del comma 2 si segnala come il testo, nel richiamare al secondo periodo l’art. 34 del D.Lgs. 504/1992 ed “altre disposizioni di legge”, ometta di specificare  a quali tra queste ultime si debba far riferimento per una puntuale applicazione del medesimo inciso.

 

Il comma 3, infine, dispone che le risorse di cui alla suddetta assegnazione  siano attribuite alle regioni secondo le modalità[26] stabilite dalla medesima legge delega in materia di federalismo fiscale, e dalle relative norme di attuazione, a decorrere dalla data di entrata in vigore di queste ultime.

 

Infine, l’art. 31 del provvedimento in esame provvede alla soppressione dei riferimenti alle comunità montane contenuti nel TUEL.

 

 


Articolo 18
(Soppressione delle circoscrizioni di decentramento comunale)

1. Ad eccezione dei comuni con popolazione superiore a 250.000 abitanti, sono soppresse le circoscrizioni comunali di cui all'articolo 17 del testo unico.

2. I comuni provvedono a disciplinare gli effetti conseguenti alle soppressioni di cui al comma 1 con riguardo alla ripartizione delle risorse umane, finanziarie e strumentali. I comuni succedono alle circoscrizioni soppresse in tutti i rapporti giuridici e ad ogni altro effetto, anche processuale, e in relazione alle obbligazioni si applicano i princìpi della solidarietà attiva e passiva.

3. Le soppressioni di cui al comma 1 e le disposizioni di cui al comma 2 si applicano, per le circoscrizioni comunali esistenti alla data di entrata in vigore della presente legge, a decorrere dalla cessazione dei rispettivi organi in carica alla medesima data.

4. A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, nei comuni con popolazione superiore a 250.000 abitanti possono essere istituite circoscrizioni di decentramento, quali organismi di partecipazione, di consultazione e di gestione di servizi di base, nonché di esercizio delle funzioni delegate dal comune. In ogni caso, gli organi delle circoscrizioni di decentramento di cui al primo periodo non possono essere composti da un numero di componenti superiore a otto nei comuni con popolazione inferiore a 500.000 abitanti e da un numero di componenti superiore a dodici nei comuni con popolazione pari o superiore a 500.000 abitanti. Nei comuni con popolazione superiore a 250.000 abitanti, il limite del numero dei componenti di cui al secondo periodo si applica dalla data di cessazione degli organi delle circoscrizioni in carica alla medesima data.

5. Dalla data di entrata in vigore della presente legge, i componenti degli organi delle circoscrizioni non soppresse ai sensi del comma 1 e quelli degli organi delle circoscrizioni di nuova istituzione hanno diritto a percepire, per la partecipazione alle sedute dei rispettivi organi di appartenenza, esclusivamente un unico gettone di presenza, il cui ammontare è determinato ai sensi dell'articolo 82 del testo unico, e successive modificazioni. Fermo restando quanto previsto dal citato articolo 82 del testo unico, e successive modificazioni, in nessun caso l'ammontare percepito può superare l'importo spettante al consigliere comunale.

6. Sono abrogati i commi 1, 3 e 5 dell'articolo 17 del testo unico.

 

 

L’articolo 18 prevede, al comma 1, la soppressione degli organi di decentramento comunale.

Le circoscrizioni comunali sono state originariamente previste dalla legge 278/1976[27] al fine di consentire maggiore partecipazione, consultazione e gestione di servizi di base, nonché l’esercizio delle funzioni delegate dal comune.

La soppressione non riguarda i comuni con popolazione superiore ai 250.000 abitanti.

 

La legge n. 278/1976 è stata abrogata dall’art. 13 della legge n. 142/90, a sua volta abrogato dall’ art. 274 del TUEL, che, all’art. 17 ha stabilito disposizioni in materia di circoscrizioni comunali. In particolare il comma 1 dell’art. 17 prevede che i comuni con popolazione superiore a 250.000 abitanti senz’altro articolino il loro territorio per istituire le circoscrizioni di decentramento, mentre per i comuni con popolazione tra i 100.000 e i 250.000 abitanti è prevista la facoltà di articolare il territorio in circoscrizioni in cui la popolazione media non sia inferiore a 30.000 abitanti.

Gli ultimi interventi in materia risalgono alla legge finanziaria 2007[28] che ha previsto che le indennità per i presidenti dei consigli circoscrizionali e i gettoni per i consiglieri, disciplinati dall’articolo 82 del TUEL, possano essere riconosciuti solo nei capoluoghi di Provincia.

Successivamente l’art. 2, commi da 23 a 32, della legge finanziaria 2008[29] ha modificato in più parti il TUEL, con l’intento di contenere i costi per la rappresentanza degli enti locali. In particolare, il comma 29 ha modificato i parametri demografici per l’istituzione delle circoscrizioni di decentramento comunale, riducendone conseguentemente il numero; esse sono pertanto obbligatoriamente istituite soltanto nei comuni con più di 250.000 abitanti (rispetto ai 100.000 previgenti) e possono essere previste nei comuni con popolazione compresa tra 100.000 e 250.000 abitanti (tale facoltà era precedentemente prevista per comuni nella fascia tra 30.000 e 100.000 abitanti); in questo secondo caso la popolazione media delle circoscrizioni non può essere inferiore a 30.000 abitanti.

 

Da ultimo si segnala l’art. 2, co. 186, lett. b) della L. n. 191/2009 (legge finanziaria 2010) che ha previsto l’obbligo, per i comuni, di procedere alla soppressione delle circoscrizioni comunali, di cui all’articolo 17 TUEL, ma senza restringere i parametri demografici stabiliti a legislazione vigente come previsto dall’articolo in esame e senza disporre in merito agli effetti della soppressione. Sulla decorrenza di tale disposizione - non modificata nel contenuto – è intervenuto l’art. 1, comma 2, del D.L. n. 2/010, che ha stabilito che essa si applichi dal 2011 ai singoli enti per i quali ha luogo il rinnovo del rispettivo consiglio, con efficacia dalla data del medesimo rinnovo. Il medesimo articolo, come modificato nel corso dell’esame parlamentare, è intervenuto sul comma 186, prevedendo l’eccezione alla soppressione per i Comuni con popolazione superiore a 250.000 abitanti; per tali comuni è stata disposta la facoltà di articolare il territorio in circoscrizioni, la cui popolazione media non può essere inferiore a 30.000 abitanti ed è fatto salvo il comma 5 dell'articolo 17 del TUEL. Tale comma prevede che, nei comuni con popolazione superiore a 300.000 abitanti, lo statuto può prevedere particolari e più accentuate forme di decentramento di funzioni e di autonomia organizzativa e funzionale, determinando, altresì, anche con il rinvio alla normativa applicabile ai comuni aventi uguale popolazione, gli organi di tali forme di decentramento, lo status dei componenti e le relative modalità di elezione, nomina o designazione. Il consiglio comunale può deliberare, a maggioranza assoluta dei consiglieri assegnati, la revisione della delimitazione territoriale delle circoscrizioni esistenti e la conseguente istituzione delle nuove forme di autonomia ai sensi della normativa statutaria.

 

Il comma 2 statuisce che i Comuni provvedano a disciplinare gli effetti conseguenti alle soppressioni relativamente alle risorse umane, finanziarie e strumentali e succedono alle circoscrizioni soppresse in tutti i rapporti giuridici ed a ogni altro effetto, anche processuale. In relazione alle obbligazioni si applicano i principi della solidarietà attiva e passiva.

 

Ai sensi del comma 3, le nuove disposizioni si applicheranno, per le circoscrizioni comunali esistenti alla data di entrata in vigore della norma in commento, dalla cessazione dei rispettivi organi già in carica.

 

Di seguito, il comma 4, prevede la possibilità di istituire circoscrizioni di decentramento nei Comuni con popolazione superiore ai 250.000 abitanti, ponendo i seguenti limiti al numero dei componenti in relazione alla popolazione:

§         fino a otto componenti nei Comuni con popolazione inferiore a 500.000 abitanti;

§         fino a dodici nei Comuni con popolazione pari o superiore a 500.000 abitanti.

Precisa, infine, che nei Comuni con popolazione superiore a 250.000 abitanti, il limite del numero dei componenti di cui sopra si applica dalla data di cessazione degli organi delle circoscrizioni in carica alla medesima data.

L’art. 17 del TUEL non contiene prescrizioni in tema di organi, stabilendo al comma 2 che l'organizzazione e le funzioni delle circoscrizioni sono disciplinate dallo statuto comunale e da apposito regolamento e, al comma 4, che gli organi delle circoscrizioni rappresentano le esigenze della popolazione delle circoscrizioni nell'àmbito dell'unità del comune e sono eletti nelle forme stabilite dallo statuto e dal regolamento.

Il comma 5 prescrive che per la partecipazione alle sedute dei rispettivi organi di appartenenza, i componenti degli organi delle circoscrizioni non soppresse e quelli degli organi delle circoscrizioni di nuova istituzione hanno diritto a percepire esclusivamente un unico gettone di presenza, il cui ammontare è determinato ai sensi dell’articolo 82 del TUEL[30] ma che comunque non può superare l’importo spettante ad un consigliere comunale.

 

Il comma 6 infine abroga i commi 1, 3 e 5 dell’articolo 17 del Testo unico.

 

Tale previsione non è ripetuta nell’art. 31, che da conto delle abrogazioni espresse  di disposizioni del TUEL e prevede l’abrogazione di tutte le disposizioni incompatibili con il provvedimento in esame. Inoltre, l’abrogazione espressa non riguarda i commi 2 e 4 dell’art. 17 che, pertanto restano in vigore. D’altro canto, va notato che tra le abrogazioni espresse vi è il comma 5 dell’art. 17 che è stato invece espressamente fatto salvo con emendamento introdotto nel corso dell’esame parlamentare del D.L. 2/2010.

Pertanto, sulla materia delle circoscrizioni comunali insistono più interventi normativi, nessuno dei quali effettuato con tecnica di novellazione, adottati in un contesto temporale ristretto, con diverse decorrenze e, per taluni aspetti, di segno diverso. Inoltre, anche su questa materia dovrebbe intervenire la delega prevista dall’art. 13 del provvedimento in esame per l’adozione della Carta delle autonomie locali. Considerato, però il termine biennale della delega, andrebbero valutati i riflessi sull’ordinamento delle disposizioni in materia, in termini di coerenza degli interventi normativi e di impatto per l’interprete.

 


Articolo 19
(Soppressione dei consorzi tra enti locali)

1. A decorrere dal trecentosessantacinquesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della presente legge, sono soppressi tutti i consorzi tra gli enti locali per l'esercizio di funzioni. A decorrere dalla stessa data cessano conseguentemente dalle proprie funzioni gli organi dei medesimi consorzi. Sono esclusi dalla soppressione di cui al primo periodo i consorzi che, alla data di entrata in vigore della presente legge, gestiscono uno o più servizi ai sensi dell'articolo 31 del testo unico, e successive modificazioni. Sono altresì esclusi dalla soppressione i bacini imbriferi montani.

2. Le regioni, al fine di concorrere agli obiettivi di contenimento della spesa pubblica, possono conferire con propria legge, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, le funzioni già spettanti a tutti i consorzi tra gli enti locali sulla base dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza. Le regioni disciplinano gli effetti conseguenti all'applicazione delle disposizioni di cui al comma 1 con riguardo al trasferimento e alla ripartizione dei beni e delle risorse umane, finanziarie e strumentali, facendo salvi i rapporti di lavoro a tempo indeterminato esistenti alla data di entrata in vigore della presente legge, e assicurano che i trasferimenti avvengano entro un anno dalla medesima data di entrata in vigore. I comuni, le province o le regioni succedono a tutti i consorzi soppressi in tutti i rapporti giuridici e ad ogni altro effetto, anche processuale, e in relazione alle obbligazioni si applicano i princìpi della solidarietà attiva e passiva.

3. Le disposizioni del comma 2 si applicano soltanto ai consorzi che non sono costituiti esclusivamente da enti locali. Per i consorzi costituiti esclusivamente da enti locali spetta a questi ultimi la regolazione degli effetti conseguenti al loro scioglimento.

 

 

L’articolo 19 sopprime tutti i consorzi tra gli enti locali per l'esercizio di funzioni, tranne i bacini imbriferi montani (BIM).

 

Il comma 1, in particolare, dispone sia la soppressione di tutti i consorzi tra gli enti locali per l'esercizio di funzioni sia la conseguente cessazione dalle proprie funzioni degli organi dei medesimi consorzi, a decorrere dal 365°giorno successivo all’entrata in vigore della presente legge.

La disposizione, tuttavia, fa salvi i consorzi già costituiti dagli enti locali per la gestione associata di uno o più servizi di cui all'art. 31 del TUEL nonché i bacini imbriferi montani.

 

I consorzi, la cui disciplina è contenuta nell’articolo 31 TUEL, integrata dal comma 28 dell’art. 2 della legge finanziaria 2008 (legge 244/2007), sono strutture associative dotate di personalità giuridica, costituite da enti locali per la gestione associata di uno o più servizi o funzioni. Il legislatore del TUEL ha riconosciuto un ampio margine di valutazione agli enti predetti circa l’opportunità di riunirsi in consorzio (consorzio facoltativo) provvedendo, preliminarmente, alla stipula di una convenzione e all’adozione di uno statuto. Nondimeno esistono dei casi nei quali, in presenza di un rilevante interesse pubblico, lo Stato può disporre con legge la costituzione di consorzi obbligatori cui sono tenuti ad aderire gli enti locali individuati dalla legge medesima.

Già nel quadro delle misure finalizzate alla riduzione dei costi della politica con la legge finanziaria 2008[31] sono state adottate disposizioni volte al riordino dei consorzi di bonifica e miglioramento fondiario[32], disciplinati dal R.D. n. 215/1933[33], nonché dei consorzi tra comuni compresi nei bacini imbriferi montani, di cui all’art. 1 della legge 27 dicembre 1953 n. 959. L’art. 2, co. 35 della Finanziaria 2008 aveva stabilito che, entro un anno dalla sua entrata in vigore, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano provvedessero alla riduzione del numero dei componenti dei consigli di amministrazione e degli organi esecutivi di tali figure consortili[34].I successivi commi 36 e 37 dello stesso articolo 2, che in alternativa alla menzionata riduzione disponevano in merito alla soppressione o riordino dei consorzi, sono stati abrogati e sostituiti dall’art. 27 del D.L. 248/2007[35] ai sensi del quale, entro il termine del 31 dicembre 2008, le regioni potevano procedere al riordino, anche mediante accorpamento o eventuale soppressione di singoli consorzi, dei consorzi di bonifica e di miglioramento fondiario di cui al capo I del titolo V del R.D. n. 215/1933 secondo criteri definiti d’intesa in sede di Conferenza permanente Stato-regioni, su proposta dei Ministri delle politiche agricole alimentari e forestali e delle infrastrutture.

Per quanto riguarda invece la definizione delle diverse figure consortili vanno distinti i consorzi di bacino imbrifero montano, menzionati all’art. 1 della legge n. 959/1953[36], costituiti da ovvero dai comuni che in tutto o in parte sono compresi in ciascun bacino imbrifero ed aventi come scopo l’esecuzione delle opere di sistemazione montana, per le quali dispongono di un fondo alimentato dai sovracanoni versati dai concessionari di grandi derivazioni di acque produttori di energia elettrica. Per tali consorzi, che attendono a compiti di pubblica amministrazione, è prevista la costituzione in consorzio obbligatorio qualora ne facciano domanda non meno di tre quinti dei comuni partecipanti (art. 1 co. 2)

Sono invece di norma costituiti tra persone fisiche, e le eventuali persone giuridiche non hanno una posizione di particolare rilievo, sia i consorzi di bonifica che quelli di miglioramento, unioni fra i proprietari dei fondi ricadenti in un comprensorio di bonifica costituiti per la realizzazione di opere di utilità dei fondi stessi[37].

Relativamente a tali figure la disciplina di riferimento è tuttora recata dal R.D. n. 215/1933[38] che integrando gli artt. 857-865 del codice civile ha introdotto il concetto di "bonifica integrale", comprensivo sia della bonifica in senso proprio, ovvero delle opere “che si compiono in base ad un piano generale di lavori”, che delle opere di miglioramento fondiario, che “si compiono a vantaggio di uno o più fondi, indipendentemente da un piano generale di bonifica” (art 1 co. 2 e 3 R.D. n. 215).

 

Il comma 2, al fine di concorrere agli obiettivi di contenimento della spesa pubblica, affida alle regioni il compito di conferire con propria legge, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, le funzioni già spettanti a tutti i consorzi tra gli enti locali sulla base dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza.

 

Tale comma non dispone in ordine all’ambito soggettivo di destinazione del conferimento la cui delimitazione sembra affidata solo ai richiamati principi.

 

La norma prosegue affidando alle regioni il compito di disciplinare gli effetti conseguenti alla soppressione dei consorzi avuto riguardo al trasferimento e alla ripartizione dei beni e delle risorse umane, finanziarie e strumentali, facendo salvi i rapporti di lavoro a tempo indeterminato esistenti alla data di entrata in vigore della presente legge, e assicurando che i trasferimenti avvengano entro un anno dalla medesima data di entrata in vigore.

Gli enti territoriali (comuni, province o regioni) succedono ai consorzi soppressi in tutti i rapporti giuridici e ad ogni altro effetto, anche processuale, e in relazione alle obbligazioni si applicano i princìpi della solidarietà attiva e passiva.

 

In relazione alle norme sopra esaminate, si ricorda che l’art. 2, co. 186, lett. e della L. n. 191/2009 (legge finanziaria 2010) prevede che i comuni procedano alla soppressione dei consorzi di funzioni tra enti locali, facendo salvi i rapporti di lavoro a tempo indeterminato esistenti. I comuni assumono le funzioni esercitate dai consorzi soppressi nonché le relative risorse, con successione ai medesimi consorzi in tutti i rapporti giuridici in essere e ad ogni altro effetto.

Sulla decorrenza di tali disposizioni è intervenuto l’art. 1, comma 2, del decreto legge n. 2/2010, che, come modificato dall’emendamento 1.38 del Governo approvato in sede di esame da parte delle competenti Commissioni della Camera, prevede che esse si applichino a decorrere dal 2011, e per tutti gli anni a seguire, ai singoli enti per i quali ha luogo il primo rinnovo del rispettivo consiglio, con efficacia dalla data del medesimo rinnovo.

 

Perciò, poiché il testo in esame prevede la soppressione a decorrere dal 365° giorno dall’entrata in vigore, occorre notare che, a quella data, sarà già avvenuta la soppressione di consorzi in base alla disposizione da ultimo citata.

Si valuti al riguardo, con riferimento all’art. 117 della Costituzione, che la istituzione e l’attività dei consorzi di bonifica e di miglioramento incide su una pluralità di materie, alcune delle quali di competenza esclusiva dello Stato (tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, ordinamento civile) o di competenza concorrente (governo del territorio).

 

Il comma 3 delimita il campo di applicazione delle disposizioni di cui al predetto comma 2 ai soli consorzi che non sono costituiti esclusivamente da enti locali.

Per i consorzi costituiti esclusivamente da enti locali, invece, rimette a questi ultimi la regolazione degli effetti conseguenti al loro scioglimento. Diversamente, come evidenziato dalla relazione allegata, la regione provvederà a disciplinare ogni effetto conseguente alla citata soppressione, nonché ad adottare ogni altra disposizione atta a garantire i diritti delle popolazioni di montagna in relazione all'utilizzo delle acque del rispettivo territorio.

 

L’articolo in commento non reca disposizioni n materia di abrogazioni della vigente normativa sui consorzi contenute invece nell’art. 31 del provvedimento in esame. Questo articolo, al comma 1 dell’art. 31 TUEL sopprime le parole “e l'esercizio associato di funzioni”. Le abrogazioni successivamente disposte dallo stesso articolo riguardano anch’esse l’esercizio associato di funzioni. Conseguentemente, in  tale comma resta la facoltà dei comuni di costituire consorzi per la gestione associata di uno o più servizi. Occorre valutare quindi la coerenza dell’indirizzo delle disposizioni abrogratrici con quella contenuta nel terzo periodo del comma 1 dell’articolo in commento che limita, invece, i consorzi per la gestione dei servizi a quelli già esistenti.

 

 


Articolo 20
(Composizione dei consigli)

1. L'articolo 37 del testo unico è sostituito dal seguente:

«Art. 37. - (Composizione dei consigli). - 1. Il consiglio comunale è composto dal sindaco e:

a) da 45 membri nei comuni con popolazione superiore ad 1 milione di abitanti;

b) da 40 membri nei comuni con popolazione superiore a 500.000 abitanti;

c) da 37 membri nei comuni con popolazione superiore a 250.000 abitanti;

d) da 32 membri nei comuni con popolazione superiore a 100.000 abitanti o che, pur avendo popolazione inferiore, siano capoluoghi di provincia;

e) da 22 membri nei comuni con popolazione superiore a 30.000 abitanti;

f) da 15 membri nei comuni con popolazione superiore a 10.000 abitanti;

g) da 12 membri nei comuni con popolazione superiore a 3.000 abitanti;

h) da 10 membri nei comuni con popolazione superiore a 1.000 abitanti;

i) da 8 membri nei comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti.

2. Il consiglio provinciale è composto dal presidente della provincia e:

a) da 36 membri nelle province con popolazione residente superiore a 1.400.000 abitanti;

b) da 30 membri nelle province con popolazione residente compresa tra 700.001 e 1.400.000 abitanti;

c) da 24 membri nelle province con popolazione residente compresa tra 300.000 e 700.000 abitanti;

d) da 20 membri nelle altre province.

3. Il presidente della provincia e i consiglieri provinciali rappresentano l'intera provincia.

4. La popolazione è determinata in base ai risultati dell'ultimo censimento ufficiale».

 

 

L’articolo 20 prevede una riduzione del numero dei componenti dei consigli comunali e provinciali. A tal fine sono modificati i commi 1 e 2 dell’articolo 37 del TUEL.

 

Si segnala che sulla materia è già intervenuto l’art. 2, comma 184, della legge finanziaria 2010 (L. 191/2009), modificato sul punto dall’art. 1 del .DL. 2/2010, attualmente in corso di conversone. Si rende dunque necessario un coordinamento tra le due disposizioni.

 

In particolare l’art. 2, comma 184, della legge finanziaria 2010 ha previsto la riduzione del 20 per cento del numero dei consiglieri comunali e il D.L. 2/2010 ha esteso tale riduzione anche ai consiglieri provinciali.

L’entità della riduzione è determinata con arrotondamento all’unità superiore. Nel corso dell’esame presso la Camera del DL 2/2010 è stato altresì specificato che ai fini della riduzione non sono computati il sindaco ed il presidente della provincia.

Le seguenti tabelle operano un confronto tra le disposizioni relative al numero dei consiglieri comunali e provinciali attualmente vigenti del TUEL, quelle della legge finanziaria 2010 (come modificata dal D.L. 2/2010, nel testo integrato dalla Camera) e quelle del TUEL modificato del disegno di legge in esame.

Consigli comunali

Abitanti

Membri (escluso il sindaco)

 

TUEL (vigente)

Finanziaria 2010(**)

TUEL (modificato dal ddl in esame)

Oltre 1 milione

60

48

45

Oltre 500.000

50

40

40

Oltre 250.000

46

36

37

Oltre 100.000 (*)

40

32

32

Oltre 30.000

30

24

22

Oltre  10.000

20

16

15

Oltre  3.000

16

12

12

Oltre 1.000

12

9

10

Fino a 1.000

12

9

8

(*) E comunque i comuni che, pur avendo popolazione inferiore, sono capoluoghi di provincia

(**) Come modificata dal DL 2/2010, nel testo integrato dalla Camera

Consigli provinciali

Abitanti

Membri (escluso il presidente della provincia )

 

TUEL (vigente)

Finanziaria 2010(*)

Dal 2011

TUEL (modificato dal ddl in esame)

Oltre 1.400.000

45

36

36

Oltre 700.000

36

28

30

Oltre 300.000

30

24

24

Fino a 300.000

24

19

20

(*) Come modificata dal DL 2/2010, nel testo integrato dalla Camera

 

Con riferimento alla decorrenza delle disposizioni dell’articolo in esame, l’articolo 22 ne prevede l’applicazione dalla data di cessazione dei mandati degli organi in carica al momento dell’entrata in vigore della legge.

Il DL 2/2010 (art. 1, comma 2), nel testo modificato dalla Camera, prevede che le riduzioni del numero dei consiglieri comunali e provinciali introdotte dalla legge finanziaria 2010 si applicano dal 2011, man mano che i singoli enti si rinnovano.

 

A fronte della modifica nella composizione dei consigli comunali e provinciali nulla viene disposto in ordine al sistema elettorale.

Si ricorda al riguardo che l’articolo 2 del DL 2/2010, nel testo approvato dalla Camera ha previsto la ridefinizione, entro il 30 novembre 2010, della tabella delle circoscrizioni dei collegi per le elezioni provinciali. La riduzione del numero dei consiglieri provinciali è comunque efficace anche in caso di mancata ridefinizione della tabella. È stata altresì introdotta una deroga alla vigente normativa elettorale, che consente ai gruppi (cioè ai partiti), in caso di mancata ridefinizione della tabella dei collegi elettorali, di presentare un numero di candidati non superiore al numero dei collegi elettorali della provincia (e non al numero dei consiglieri assegnati). È stata infine modificata la procedura per la determinazione del numero e dell’estensione dei collegi elettorali provinciali, definiti con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell'interno, introducendo il previo parere della provincia interessata; la mancata espressione di tale parere, entro trenta giorni, non preclude comunque l’adozione del decreto.

 

Sono infine confermate le disposizioni dell’art. 37 TUEL che prevedono che il presidente della provincia e i consiglieri provinciali rappresentano l'intera provincia (comma 3) e che la popolazione è determinata in base ai risultati dell'ultimo censimento ufficiale (comma 4).

 

Come già nell’attuale testo dell’articolo 37, non vi è una disposizione sulla rappresentatività dei consiglieri comunali analoga a quella prevista per i consiglieri provinciali.

 

 


Articolo 21
(Composizione delle giunte)

1. All'articolo 47 del testo unico sono apportate le seguenti modificazioni:

a) il comma 1 è sostituito dal seguente:

«1. Fermo restando quanto disposto dall'articolo 36, comma 1, secondo periodo, la Giunta comunale e la Giunta provinciale sono composte rispettivamente dal sindaco e dal presidente della provincia, che le presiedono, e da un numero di assessori, stabilito dagli statuti, che non deve essere superiore a quanto stabilito, per ciascuna fascia di popolazione, dal comma 5»;

b) il comma 5 è sostituito dal seguente:

«5. Fino all'adozione delle norme statutarie di cui al comma 1, le giunte comunali e provinciali sono composte da un numero di assessori stabilito rispettivamente nelle seguenti misure:

a) non superiore a 2 nei comuni con popolazione fino a 3.000 abitanti; non superiore a 3 nei comuni con popolazione compresa tra 3.001 e 30.000 abitanti; non superiore a 5 nei comuni con popolazione compresa tra 30.001 e 100.000 abitanti; non superiore a 8 nei comuni con popolazione compresa tra 100.001 e 250.000 abitanti e nei comuni capoluoghi di provincia con popolazione inferiore a 100.001 abitanti; non superiore a 9 nei comuni con popolazione compresa tra 250.001 e 500.000 abitanti e non superiore a 10 nei comuni con popolazione compresa tra 500.001 e 1 milione di abitanti; non superiore a 12 nei comuni con popolazione superiore a 1 milione di abitanti;

b) non superiore a 4 per le province a cui sono assegnati 20 consiglieri; non superiore a 6 per le province a cui sono assegnati 24 consiglieri; non superiore a 8 per le province a cui sono assegnati 30 consiglieri; non superiore a 10 per le province a cui sono assegnati 36 consiglieri».

 

 

L’articolo 21 è volto a realizzare una riduzione del numero degli assessori comunali e provinciali, modificando l'articolo 47 del TUEL.

 

La formulazione vigente dell’art. 47 TUEL prevede un numero massimo di assessori comunali e provinciali, pari ad un terzo (arrotondato aritmeticamente) del numero dei consiglieri comunali e provinciali, computando a tal fine il sindaco e il presidente della provincia e comunque non superiore a dodici unità (comma 1). Il numero degli assessori è stabilito dallo statuto dell’ente, che può indicare un numero fisso o un numero massimo, nel rispetto dei limiti anzidetti (comma 2).

E’ inoltre prevista una disciplina transitoria da applicarsi fino all’adozione nelle norme statutarie sul numero degli assessori (comma 5).

 

Si ricorda peraltro una riduzione del numero di assessori comunali è provinciali è stata già disposta dall’articolo 2, comma 185, della legge finanziaria 2010, oggetto di modifiche da parte dell’articolo 1, comma 1-bis, del DL 2/2010 (testo approvato dalla Camera).

 

Tale disposizione prevede che il numero massimo di componenti delle giunte comunali e provinciali è pari ad un quarto (con arrotondamento all’unità superiore) del numero dei consiglieri comunali e provinciali, computando a tal fine il sindaco e il presidente della provincia; questa disciplina si applica a tutti gli enti locali, a prescindere dall’adozione delle norme statutarie. Essa trova applicazione a decorrere dal 2010 ai singoli enti, man mano che gli stessi procedono al rinnovo dei consigli (art. 2 DL 2/2010, nel testo risultante dall’esame presso la Camera).

 

Le modifiche apportate dall’articolo in esame fanno sì che il numero massimo degli assessori non sia più parametrato su quello dei consiglieri, ma sia determinato in un numero fisso, sulla base della popolazione.

 

La disposizione lascia ferma quanto previsto dall’articolo 36, comma 1, secondo periodo, TUEL.

Si rileva al riguardo un errore materiale del testo, in quanto l’articolo 36, comma 1, è composto di un unico periodo.

 

L’articolo 36 TUEL prevede che sono organi di governo del comune il consiglio, la Giunta, il sindaco (comma 1) e che sono organi di governo della provincia il consiglio, la Giunta, il Presidente (comma 2).

 

Con riferimento alla decorrenza delle disposizioni dell’articolo in esame, l’articolo 22 ne prevede l’applicazione dalla data di cessazione dei mandati degli organi in carica al momento dell’entrata in vigore della legge.

Il DL 2/2010 (art. 1, comma 2), nel testo modificato presso la Camera, prevede che le riduzioni del numero dei consiglieri comunali e provinciali introdotte dalla legge finanziaria 2010 si applicano dal 2010, man mano che i singoli enti si rinnovano.

 

Le seguenti tabelle mettono a confronto il numero massimo degli assessori comunali e provinciali sulla base della disciplina del TUEL, della legge finanziaria (come modificata dal DL 2/2010 nel testo emendato nel corso dell’esame della Camera) e del disegno di legge in esame.


 

Assessori comunali – Comuni che hanno adottato norme statutarie

 

Abitanti

Numero massimo assessori

 

TUEL

Finanziaria 2010 (**)

(dal 2011)

TUEL (modificato dal ddl in esame)

Oltre 1 milione

12

13

12

Oltre 500.000

12

11

10

Oltre 250.000

12

10

9

Oltre 100.000 (*)

12

9

8

Oltre 30.000

10

7

5

Oltre  10.000

7

5

3

Oltre 3.000

6

4

3

Fino a 3.000

4

3

2

(*) E comunque i comuni che, pur avendo popolazione inferiore, sono capoluoghi di provincia

(**) Come modificata dal DL 2/2010, nel testo integrato dalla Camera

 

 

 

Assessori comunali – Comuni che non hanno adottato norme statutarie

 

Abitanti

Numero massimo assessori

 

TUEL

Finanziaria 2010 (**)

(dal 2011)

TUEL (modificato dal ddl in esame)

Oltre 1 milione

16

13

12

Oltre 500.000

14

11

10

Oltre 250.000

12

10

9

Oltre 100.000 (*)

10

9

8

Oltre 30.000

6

7

5

Oltre  10.000

6

5

3

Oltre  3.000

4

4

3

Fino a 3.000

4

3

2

(*) E comunque i comuni che, pur avendo popolazione inferiore, sono capoluoghi di provincia

(**) Come modificata dal DL 2/2010, nel testo integrato dalla Camera

 

 

 

 

Assessori provinciali – Province che hanno adottato norme statutarie

Abitanti

Numero massimo assessori

 

TUEL

Finanziaria 2010 (*)

(dal 2011)

TUEL (modificato dal ddl in esame)

Oltre 1.400.000

12

10

10

Oltre 700.000

12

8

8

Oltre 300.000

10

7

6

Fino a 300.000

8

5

4

(*) Come modificata dal DL 2/2010, nel testo integrato dalla Camera

 

 

Assessori provinciali – Province che non hanno adottato norme statutarie

Abitanti

Numero massimo assessori

 

TUEL

Finanziaria 2010 (*)

(dal 2011)

TUEL (modificato dal ddl in esame)

Oltre 1.400.000

12

10

10

Oltre 700.000

10

8

8

Oltre 300.000

8

7

6

Fino a 300.000

6

5

4

(*) Come modificata dal DL 2/2010, nel testo integrato dalla Camera

 

 

Si ricorda infine che per il 2010, vige una disciplina particolare per gli assessori comunali e provinciali. Se, da un lato, infatti, le disposizioni della legge finanziaria sulla riduzione del numero degli assessori si applicano già nel 2010, dall’altro, il numero degli assessori è parametrato su quello dei consiglieri, la cui riduzione scatta invece solo dal 2011.

 


 

Assessori comunali –– Comuni che hanno adottato norme statutarie

Anno 2010

Abitanti

Numero massimo assessori

 

TUEL

Finanziaria 2010 (**)

Oltre 1 milione

12

16

Oltre 500.000

12

13

Oltre 250.000

12

12

Oltre 100.000 (*)

12

11

Oltre 30.000

10

8

Oltre  10.000

7

6

Oltre  3.000

6

5

Fino a 3.000

4

4

(*) E comunque i comuni che, pur avendo popolazione inferiore, sono capoluoghi di provincia

(**) Come modificata dal DL 2/2010, nel testo integrato dalla Camera

 

 

 

Assessori comunali – Comuni che non hanno adottato norme statutarie

Anno 2010

Abitanti

Numero massimo assessori

 

TUEL

Finanziaria 2010 (**)

Oltre 1 milione

16

16

Oltre 500.000

14

13

Oltre 250.000

12

12

Oltre 100.000 (*)

10

11

Oltre 30.000

6

8

Oltre  10.000

6

6

Oltre  3.000

4

5

Fino a 3.000

4

4

(*) E comunque i comuni che, pur avendo popolazione inferiore, sono capoluoghi di provincia

(**) Come modificata dal DL 2/2010, nel testo integrato dalla Camera

 

 

 

 

 

Assessori provinciali – Province che hanno adottato norme statutarie

Anno 2010

Abitanti

Numero massimo assessori

 

TUEL

Finanziaria 2010 (*)

Oltre 1.400.000

12

12

Oltre 700.000

12

10

Oltre 300.000

10

8

Fino a 300.000

8

7

(*) Come modificata dal DL 2/2010, nel testo integrato dalla Camera

 

 

Assessori provinciali – Province che non hanno adottato norme statutarie

Anno 2010

Abitanti

Numero massimo assessori

 

TUEL

Finanziaria 2010 (*)

Oltre 1.400.000

12

12

Oltre 700.000

10

10

Oltre 300.000

8

8

Fino a 300.000

6

7

(*) Come modificata dal DL 2/2010, nel testo integrato dalla Camera

 

 

 

 


Articolo 22
(Efficacia delle norme sulla composizione degli organi)

1. Le disposizioni di cui agli articoli 20 e 21 si applicano a decorrere dalla data di cessazione dei mandati degli organi in carica alla data di entrata in vigore della presente legge.

 

 

L’articolo 22 contiene una disposizione di natura transitoria, volta ad applicare le disposizioni relative alla riduzione dei membri dei consigli e delle giunte degli enti locali, di cui agli articoli precedenti, dal momento della cessazione dei mandati dei organi in carica.

 

Dal punto di vista della formulazione tecnica, appare opportuna una riformulazione del testo che specifichi la progressività dell’applicazione ai singoli enti locali, via via che questi si rinnovano; non esiste infatti un’unica data di cessazione dei mandati.

 

 

 


Articolo 23
(Delega di funzioni da parte del sindaco)

1. Al comma 1 dell'articolo 36 del testo unico è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Nei comuni con popolazione non superiore a 3.000 abitanti, il sindaco, in alternativa alla nomina degli assessori di cui all'articolo 47, comma 5, lettera a), può delegare l'esercizio di proprie funzioni a non più di due consiglieri».

 

 

L'articolo 23 dispone che nei comuni con popolazione non superiore a 3.000 abitanti il sindaco, in alternativa alla nomina degli assessori, può delegare l'esercizio di proprie funzioni a non più di due consiglieri.

 

A tal fine, viene aggiunto un periodo all’articolo 36, comma 1, TUEL, in base al quale sono organi di governo del comune il consiglio, la Giunta, il sindaco.

 

Nel caso previsto dalla disposizione in esame sembrerebbe pertanto non darsi luogo alla formazione di una giunta (la quale, ai sensi dell’art. 47 TUEL è composta dal sindaco e dagli assessori).

Si rileva l’opportunità di un chiarimento al riguardo, anche ai fini dell’individuazione dell’organo cui sono attribuite in tal caso le competenze della giunta.

 

Il riferimento alla nomina degli assessori «di cui all’articolo 47, comma 5, lettera a),», ossia agli assessori da nominare in assenza di norme statutarie sul numero degli assessori medesimi, sembra inoltre implicare l’inapplicabilità della disposizione in esame nei comuni in cui lo statuto contenga le predette norme.

 

Si segnala infine che un’analoga facoltà è già prevista dall’articolo 2, comma 186, lettera c), della legge finanziaria 2010 (L 191/2009).

La facoltà riconosciuta ai comuni da tale disposizione si differenzia da quella prevista dall’articolo 23 in esame solo perché fa riferimento genericamente ad una delega «in alternativa alla nomina degli assessori», senza richiamare l’articolo 47, comma 5, lettera a), TUEL.

La disposizione della legge finanziaria si applica dal 2011 ai singoli enti locali, via via che gli stessi procedono al rinnovo dei consigli (art. 1, comma 2, DL 2/2010, nel testo modificato dalla Camera.

 

 


Articolo 24
(Attribuzioni dei Consigli)

1. Al comma 2 dell'articolo 42 del testo unico sono apportate le seguenti modificazioni:

a) alla lettera a), le parole: «salva l'ipotesi di cui all'articolo 48, comma 3, criteri generali in materia di ordinamento degli uffici e dei servizi» sono soppresse;

b) dopo la lettera a) è inserita la seguente:

«a-bis) dotazioni organiche dell'ente, delle aziende speciali e delle società controllate non quotate nei mercati regolamentati»;

c) dopo la lettera b) è inserita la seguente:

«b-bis) nomina degli organismi di valutazione e controllo di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 286»;

d) alla lettera f), le parole: «con esclusione della» sono sostituite dalle seguenti: «inclusa la»;

e) dopo la lettera g) è inserita la seguente:

«g-bis) ricapitalizzazione di società partecipate e finanziamenti da parte dei soci alle medesime»;

f) dopo la lettera m) è inserita la seguente:

«m-bis) approvazione, entro il 31 gennaio antecedente alla scadenza del mandato consiliare, del documento di verifica conclusiva delle linee programmatiche di cui al comma 3 del presente articolo e all'articolo 46, comma 3».

2. All'articolo 44 del testo unico è aggiunto, in fine, il seguente comma:

«2-bis. Il consiglio comunale o provinciale, secondo le modalità previste dal relativo regolamento, al fine di acquisire elementi di valutazione in relazione alle deliberazioni da adottare, può disporre l'audizione di personalità particolarmente esperte».

3. Il comma 3 dell'articolo 48 del testo unico è abrogato.

 

 

L’articolo 24 modifica l’articolo 42 del TUEL in materia di attribuzioni dei consigli comunali e provinciali.

 

I comma 1, lettera a), e 3 sopprimono, rispettivamente, la competenza dei consigli comunali e provincialisulla determinazione dei criteri generali in materia di ordinamento degli uffici e dei servizi e la competenza delle giunte sui regolamenti sull’ordinamento degli uffici e dei servizi.

 

Si ricorda in proposito che, sulla base delle disposizioni degli articoli 2, 3 e 4, rientrano tra le funzioni fondamentali di comuni, province e città metropolitane:

a) la normazione sull'organizzazione e sullo svolgimento delle funzioni;

b) la pianificazione e la programmazione delle funzioni spettanti;

c) l'organizzazione generale dell'amministrazione e la gestione del personale.

 

Si osserva che occorre chiarire a chi spetta la competenza normativa sull’ordinamento degli uffici. Ai sensi dell’articolo 117 la materia dell’ordinamento e organizzazione amministrativa degli enti locali dovrebbe rientrare nell’ambito della competenza legislativa residuale delle regioni, mentre gli articoli 2, 3 e 4 attribuiscono agli enti locali la normazione sull’organizzazione e lo svolgimento delle funzioni.

 

La competenza dei consigli comunali e provinciali viene estesa a:

-                dotazioni organiche dell’ente, delle aziende speciali e delle società controllate non quotate nei mercati regolamentati (comma 1, lettera b));

-                nomina degli organismi di valutazione e controllo (comma 1, lettera c));

-                determinazione delle aliquote dei tributi (comma 1, lettera d));

-                ricapitalizzazioni di società partecipate e finanziamenti da parte dei soci alle medesime (comma 1, lettera e));

-                approvazione, entro il 31 gennaio antecedente alla scadenza del mandato consiliare, del documento di verifica conclusiva delle linee programmatiche del sindaco o del presidente della provincia e dei singoli assessori (comma 1, lettera f)).

 

La lettera c) dell’articolo in esame riguarda una competenza già riconducibile ai consigli in base all’art. 15  del d.lgs. n. 150 del 2009[39]. La previsione della lettera e), invece, interviene in un ambito sulla cui estensione, in base alle previsioni del TUEL, non sembra finora emerso un chiaro orientamento.

 

Il comma 2 attribuisce infine al consiglio comunale o provinciale la facoltà di disporre audizioni di personalità particolarmente esperte, al fine di acquisire elementi di valutazione in relazione alle deliberazioni da adottare, secondo modalità previste dal regolamento consiliare.

 

 

 


Articolo 25
(Definizione di piccolo comune)

1. Ai fini del presente capo, per piccoli comuni si intendono i comuni con popolazione residente pari o inferiore a 5.000 abitanti.

2. La popolazione di cui al comma 1 è calcolata ogni cinque anni secondo i dati dell'Istituto nazionale di statistica. In sede di prima applicazione, ai fini di cui al comma 1 è considerata la popolazione calcolata alla fine del penultimo anno antecedente alla data di entrata in vigore della presente legge secondo i dati dell'Istituto nazionale di statistica.

 

 

L’articolo 25 introduce, ai fini di quanto previsto dai successivi due articoli, una definizione di piccoli comuni, intendendosi come tali, ai fini del provvedimento in esame, quelli con popolazione residente pari o inferiore a 5.000 abitanti, all’uopo calcolata ogni 5 anni, secondo i dati ISTAT.

In sede di prima applicazione, è considerata la popolazione calcolata alla fine del penultimo anno antecedente l’entrata in vigore del provvedimento in esame.

 

Va segnalato che una definizione di piccoli comuni è recata dall’articolo 2 della proposta di legge Realacci ed altri, recante misure per il sostegno e la valorizzazione dei comuni con popolazione pari o inferiore a 5.000 abitanti nonché dei comuni compresi nelle aree naturali protette (A.C. 54), attualmente all’esame congiunto delle Commissioni V e VIII della Camera.

Ai fini della citata proposta di legge - che ha lo scopo di promuovere e di sostenere le attività economiche, sociali, ambientali e culturali esercitate nei piccoli comuni nonché di tutelarne e valorizzarne il patrimonio naturale, rurale, storico-culturale e architettonico, favorendo l'adozione di misure in favore dei cittadini residenti e delle attività produttive - sono considerati piccoli i comuni con popolazione pari o inferiore a 5.000 abitanti, che risultino ulteriormente caratterizzati da particolari situazioni di disagio ambientale o territoriale (comuni siti in zone in prevalenza montane o il cui territorio presenta fenomeni di dissesto idrogeologico), da specifici parametri di disagio insediativo (definiti in base alla vecchiaia o alla disoccupazione) ovvero da evidenti situazioni di marginalità economica o sociale.

 


Articolo 26
(Misure organizzative in favore dei piccoli comuni)

1. In conformità all'articolo 10, comma 5, del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e successive modificazioni, nei piccoli comuni le competenze del responsabile del procedimento per l'affidamento e per l'esecuzione degli appalti di lavori pubblici sono attribuite al responsabile dell'ufficio tecnico o della struttura corrispondente. Ove ciò non sia possibile, secondo quanto disposto dal regolamento comunale le competenze sono attribuite al responsabile del servizio al quale compete il lavoro da realizzare. In ogni caso, il responsabile del procedimento deve essere un dipendente di ruolo o a tempo determinato, anche in base a convenzione, secondo la normativa vigente.

 

 

L’articolo 26 riproduce le disposizioni dell’art. 3, comma 3, della proposta di legge A.C. 54 "Misure per il sostegno e la valorizzazione dei comuni con popolazione pari o inferiore a 5.000 abitanti nonché dei comuni compresi nelle aree naturali protette" per il cui esame è stato costituito un comitato ristretto presso le Commissioni V e VIII.

 

Durante il dibattito in sede referente sull’A.C. 54 del 20 maggio 2009[40] il relatore aveva sottolineato come l’iter del provvedimento fosse stato sospeso in quanto il Governo aveva manifestato l'intenzione di presentare uno specifico disegno di legge sui piccoli comuni poi parzialmente confluito nel più ampio provvedimento relativo alla cd. «Carta delle autonomie». Nel contempo aveva precisato che l'iter della proposta di legge non si sarebbe sovrapposto necessariamente a quello del disegno di legge governativo in quanto le disposizioni riferite ai piccoli comuni contenute in tale provvedimento avrebbero ripreso, solo in minima parte, i contenuti dell’A.C. 54.

 

In merito al contenuto dell’articolo in esame, esso dispone che nei piccoli comuni le competenze - previste dall’art. 10, commi 2 e 3, del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 (cd. Codice appalti) - del responsabile del procedimento per l'affidamento e per l'esecuzione degli appalti di lavori pubblici vengano attribuite al responsabile dell'ufficio tecnico o della struttura corrispondente, in conformità ai requisiti richiesti dal comma 5 del citato art. 10.

Qualora ciò non sia possibile, secondo quanto disposto dal regolamento comunale, le competenze sono attribuite al responsabile del servizio al quale attiene il lavoro da realizzare.

In ogni caso, il responsabile del procedimento deve essere un dipendente di ruolo o a tempo determinato, secondo la normativa vigente.

 

Si ricorda che il citato art. 10 del d.lgs. 163/2006 prevede che per ogni singolo intervento da realizzarsi mediante un contratto pubblico, le amministrazioni aggiudicatrici nominino, ai sensi della legge 241/1990, un responsabile del procedimento, unico per le fasi della progettazione, affidamento ed esecuzione dei lavori (comma 1). I commi 2 e 3 ne definiscono le competenze. Il comma 5 indica quindi i requisiti richiesti al responsabile del procedimento. Egli deve possedere titolo di studio e competenza adeguati in relazione ai compiti per cui è nominato, inoltre, per i lavori e i servizi attinenti all’ingegneria e all’architettura, deve essere un tecnico. Per le amministrazioni aggiudicatrici deve essere un dipendente di ruolo. In caso di accertata carenza di dipendenti di ruolo in possesso di professionalità adeguate, le amministrazioni sono tenuti a nominare il responsabile del procedimento tra i propri dipendenti in servizio.

Il comma 7 stabilisce, quindi, che si possa ricorrere a soggetti estranei all’amministrazione aggiudicatrice qualora l’organico dell’amministrazione stessa presenti carenze accertate o in esso non vi siano soggetti con la specifica professionalità necessaria per lo svolgimento dei compiti del responsabile del procedimento. In tal caso si dovranno seguire le procedure previste dallo stesso Codice per l’affidamento di incarichi di servizi a soggetti aventi specifiche competenze di carattere tecnico, economico-finanziario, amministrativo, organizzativo e che abbiano stipulato adeguata polizza assicurativa a copertura dei rischi professionali.

 

Pertanto la norma in esame è volta a semplificare, probabilmente in considerazione della minore entità dell’importo dei lavori da realizzare nei piccoli comuni, le procedure previste per la nomina del responsabile del procedimento, individuandolo tra i responsabili degli uffici tecnici comunali.

 

 


Articolo 27
(Semplificazione dei documenti finanziari e contabili per
i piccoli comuni)

1. Per i piccoli comuni, i documenti contabili relativi al bilancio annuale e al bilancio pluriennale, di cui agli articoli 165 e 171 del testo unico, nonché i documenti contabili relativi al rendiconto della gestione, di cui al titolo VI della parte seconda del medesimo testo unico, sono adottati secondo modelli semplificati, garantendo comunque la rilevazione degli elementi minimi necessari per il consolidamento dei conti pubblici. Per i piccoli comuni è facoltativa l'applicazione dell'articolo 229 del testo unico. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge sono approvati un modello semplificato di bilancio di previsione e un modello semplificato di rendiconto, ai sensi dell'articolo 160 del testo unico.

 

 

L’articolo 27 introduce alcune semplificazioni in favore dei piccoli comuni per quanto riguarda l’adozione dei documenti contabili relativi al bilancio annuale e pluriennale, disciplinati dagli articoli 165 e 171 del TUEL, nonché dei documenti contabili relativi al rendiconto della gestione – rendiconto, conto del bilancio, conto economico, conto del patrimonio, conti degli agenti contabili interni - disciplinati dagli articoli da 227 a 233 del Titolo VI del TUEL.

A tal fine, la norma prevede l’adozione di modelli semplificati, purché in grado di garantire la rilevazione degli elementi minimi necessari per il consolidamento dei conti pubblici.

I modelli semplificati di bilancio di previsione e di rendiconto dovranno essere approvati entro 6 mesi dall’entrata in vigore del provvedimento in esame, con apposito regolamento, ai sensi dell’articolo 160 del TUEL.

 

Il richiamato articolo 160 del TUEL prevede, ai fini dell’adozione dei documenti contabili, che i modelli relativi al bilancio di previsione - inclusi i quadri riepilogativi, il sistema di codifica del bilancio ed il sistema di codifica dei titoli contabili di entrata e di spesa –, quelli relativi al conto del bilancio nonché i modelli relativi al conto economico e al conto del patrimonio siano approvati con apposito regolamento, da emanare a norma dell'articolo 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400.

 

Per i piccoli comuni – intesi come tali quelli con popolazione residente pari o inferiore a 5.000 abitanti, ai sensi dell’articolo 25 del provvedimento in esame - è inoltre resa facoltativa l’applicazione dell’articolo 229 del T.U. delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, relativo alla redazione del conto economico.

In merito a tale previsione va segnalato che, in base alla normativa vigente, i comuni con popolazione inferiore a 3.000 abitanti sono stati esclusi dall’obbligo di redazione del conto economico (art. 1, comma 156, legge n. 266/2005).

I comuni con popolazione da 3.000 a 4.999 abitanti sono invece tenuti alla redazione del conto economico dall’anno 2004.

 

L’obbligo di redazione del conto economico da parte degli enti locali è stato fissato dall’articolo 115 del D.Lgs. n. 77/1995 (articolo non confluito nel T.U.E.L ) secondo scadenze temporali diverse in relazione alla dimensione demografica dell’ente, a partire dall’anno 1997 per i comuni di maggiori dimensioni.

Per quanto riguarda i piccoli comuni, le scadenze ivi previste sono state via via prorogate nel corso degli anni, da ultimo dall’articolo 1, comma 539, della legge n. 311/2004 (legge finanziaria per il 2005), in base al quale i comuni con popolazione da 3.000 a 4.999 abitanti avrebbero dovuto provvedere alla redazione del conto economico a partire dall’anno 2004 e quelli con popolazione inferiore a 3.000 abitanti avrebbero dovuto provvedervi a partire dall’anno 2006.

Con l’articolo 1, comma 164, della legge n. 266/2005 (finanziaria per il 2006), i comuni con popolazione inferiore a 3.000 abitanti sono stati esclusi dall’obbligo di redazione del conto economico.

 

Il conto economico rappresenta uno dei documenti contabili che, insieme con il conto del bilancio e il conto del patrimonio, costituiscono il rendiconto dell’ente (art. 227 T.U. enti locali). Nel conto economico sono evidenziati i componenti positivi (tributi, trasferimenti correnti, proventi dei servizi pubblici, della gestione del patrimonio, proventi finanziari, ecc.) e negativi (acquisto materie prime e beni di consumo, prestazione di servizi, spese di personale, trasferimenti a terzi, interessi passivi ecc.) dell'attività dell'ente secondo criteri di competenza economica. Esso comprende gli accertamenti e gli impegni del conto del bilancio, rettificati al fine di costituire la dimensione finanziaria dei valori economici riferiti alla gestione di competenza, le insussistenze e sopravvenienze derivanti dalla gestione dei residui e gli elementi economici non rilevati nel conto del bilancio. Nel conto economico sono altresì compresi gli ammortamenti.

 

Va segnalato che, in materia di regole per la redazione dei documenti contabili di bilancio, è prevista una specifica norma di delega nell’articolo 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42 sul federalismo fiscale.

 

In particolare, la lettera h) di tale articolo – come novellata dall’articolo 2, comma 6, della legge n. 196/2009 (legge di contabilità e finanza pubblica) -, la cui attuazione dovrà avvenire entro 2  anni dalla  data  di entrata in vigore della     


legge n. 42 medesima, prevede tra l’altro la redazione dei bilanci degli enti territoriali in base a criteri uniformi e comuni, coerenti con la classificazione economica e funzionale individuata dai regolamenti comunitari in materia di contabilità nazionale[41].


Articolo 28
(Direttore generale degli enti locali)

1. All'articolo 108 del testo unico sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al primo periodo del comma 1, le parole: «superiore ai 15.000 abitanti» sono sostituite dalle seguenti: «superiore ai 65.000 abitanti»;

b) al primo periodo del comma 3, le parole: «inferiore ai 15.000 abitanti» sono sostituite dalle seguenti: «inferiore ai 65.000 abitanti» e le parole: «i 15.000 abitanti» sono sostituite dalle seguenti: «i 65.000 abitanti».

 

 

L’articolo 28 modifica le disposizioni contenute nel Tuel relativamente alla figura del Direttore generale degli enti locali, limitando la facoltà di nomina dei direttori generali nei comuni con popolazione superiore ai 65 mila abitanti (dagli attuali 15.000).

 

Il vigente articolo 108 del Tuel prevede che il sindaco di comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti ed il presidente della Provincia, possano nominare, previa deliberazione della Giunta, un Direttore generale, al di fuori della dotazione organica e con contratto a tempo determinato. La norma non prescrive alcun requisito specifico, lasciando la definizione dei criteri per la nomina al regolamento di organizzazione degli uffici e dei servizi. L’incarico non può comunque eccedere il mandato del sindaco o del presidente della provincia. Anche all’eventuale revoca provvede il capo dell’amministrazione, sempre previa deliberazione della giunta. La revoca del Direttore generale non è stata collegata dalla legge a specifici inadempimenti; le parti possono disciplinare anche quest’aspetto nel contratto costitutivo del rapporto di lavoro. Nei comuni con meno di 15.000 abitanti è, invece, consentito procedere alla nomina del direttore generale solo a seguito di stipula di apposita convenzione tra comuni le cui popolazioni assommate raggiungano tale soglia. In tal caso il Direttore sarà chiamato alla gestione coordinata o unitaria dei servizi tra i comuni interessati.

I compiti e le funzioni espressamente riservate dall’art. 108 del Tuel al Direttore Generale sono di estrema rilevanza: da un lato l’attuazione degli indirizzi e degli obiettivi stabiliti dagli organi di governo dell’ente e dall’altra il compito di sovrintendere alla gestione dell’ente perseguendo livelli ottimali di efficacia ed efficienza. Il direttore generale traduce, pertanto, gli obiettivi politici in strategie gestionali, con conseguente coordinamento delle attività dei vertici dirigenziali. Ai fini delle competenze sopra indicate, al direttore generale rispondono, nell’esercizio delle funzioni loro assegnate, i dirigenti dell’ente, ad eccezione del segretario comunale o provinciale. La figura manageriale del direttore generale è stata, specificamente, riconosciuta da una  circolare del Ministero dell’Interno[42], che ne ha sottolineato la caratteristica di “soggetto dotato di poteri e capacità manageriali, il quale è legato con un rapporto di tipo strettamente fiduciario nei confronti del sindaco e del presidente della Provincia: trattasi di una figura professionale non contrattualizzata e, pertanto, sarà lo stesso direttore generale a contrattare con l’amministrazione la propria retribuzione“.

La legge istitutiva del Direttore generale prevede anche la possibilità per gli enti di attribuire la funzione di DG al segretario comunale[43].

 

 

 


Articolo 29
(Disposizioni in materia di controlli negli enti locali)

1. L'articolo 49 del testo unico è sostituito dal seguente:

«Art. 49. - (Pareri dei responsabili dei servizi). - 1. Su ogni proposta di deliberazione sottoposta alla Giunta e al consiglio che non sia mero atto di indirizzo deve essere richiesto il parere, in ordine alla sola regolarità tecnica, del responsabile del servizio interessato e, qualora comporti riflessi diretti o indiretti sulla situazione economico-finanziaria o sul patrimonio dell'ente, del responsabile di ragioneria in ordine alla regolarità contabile. I pareri sono inseriti nella deliberazione.

2. Nel caso in cui l'ente non abbia i responsabili dei servizi, il parere è espresso dal segretario dell'ente, in relazione alle sue competenze.

3. I soggetti di cui al comma 1 rispondono in via amministrativa e contabile dei pareri espressi».

2. L'articolo 147 del testo unico è sostituito dai seguenti:

«Art. 147. - (Tipologia dei controlli interni). - 1. Gli enti locali, nell'ambito della loro autonomia normativa e organizzativa, individuano strumenti e metodologie adeguati a:

a) garantire, attraverso il controllo di regolarità amministrativa e contabile, la legittimità, la regolarità e la correttezza dell'azione amministrativa;

b) verificare, attraverso il controllo di gestione, l'efficacia, l'efficienza e l'economicità dell'azione amministrativa, al fine di ottimizzare, anche mediante tempestivi interventi di correzione, il rapporto tra costi e risultati;

c) valutare l'adeguatezza delle scelte compiute in sede di attuazione dei piani, dei programmi e degli altri strumenti di determinazione dell'indirizzo politico, in termini di congruenza tra i risultati conseguiti e gli obiettivi predefiniti;

d) garantire il costante controllo degli equilibri finanziari della gestione di competenza, della gestione dei residui e della gestione di cassa, anche ai fini della realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica di cui al patto di stabilità interno, mediante un'assidua attività di coordinamento e di vigilanza da parte del responsabile del servizio finanziario e di controllo da parte di tutti i responsabili dei servizi. L'organo esecutivo approva con propria deliberazione ricognizioni periodiche degli equilibri finanziari, da effettuare con cadenza trimestrale. Le verifiche periodiche valutano l'andamento economico-finanziario degli organismi gestionali esterni negli effetti che si determinano per il bilancio finanziario dell'ente;

e) verificare, attraverso l'affidamento e il controllo dello stato di attuazione di indirizzi e obiettivi gestionali, anche in riferimento all'articolo 170, comma 6, la redazione del bilancio consolidato, l'efficacia, l'efficienza e l'economicità degli organismi gestionali esterni dell'ente;

f) garantire il controllo della qualità dei servizi erogati, sia direttamente, sia mediante organismi gestionali esterni, con l'impiego di metodologie dirette a misurare la soddisfazione degli utenti esterni e interni dell'ente.

2. Le lettere d), e) e f) del comma 1 si applicano solo ai comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti e alle province.

3. I controlli interni sono organizzati secondo il principio della distinzione tra funzioni di indirizzo e compiti di gestione, anche in deroga agli altri princìpi di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 286, e successive modificazioni. Partecipano all'organizzazione dei controlli interni il segretario dell'ente, il direttore generale, laddove previsto, tutti i responsabili di settore, le unità di controllo, laddove istituite.

4. Per l'effettuazione dei controlli di cui al comma 1, più enti locali possono istituire uffici unici, mediante una convenzione che ne regoli le modalità di costituzione e di funzionamento.

Art. 147-bis. - (Controllo di regolarità amministrativa e contabile). - 1. Il controllo di regolarità amministrativa e contabile è assicurato, nella fase preventiva della formazione dell'atto, da ogni responsabile di servizio ed è esercitato attraverso il rilascio del parere di regolarità tecnica attestante la legittimità, la regolarità e la correttezza dell'azione amministrativa. È inoltre effettuato dal responsabile del servizio finanziario ed è esercitato attraverso il rilascio del parere di regolarità contabile e del visto attestante la copertura finanziaria.

2. Il controllo di regolarità amministrativa e contabile è inoltre assicurato, nella fase successiva, secondo princìpi generali di revisione aziendale e modalità definite nell'ambito dell'autonomia organizzativa dell'ente, sotto la direzione del segretario in base alla normativa vigente. Sono soggette al controllo le determinazioni di impegno di spesa, gli atti di accertamento di entrata, gli atti di liquidazione della spesa, i contratti e gli altri atti amministrativi, scelti secondo una selezione casuale effettuata con motivate tecniche di campionamento.

3. Le risultanze del controllo di cui al comma 2 sono trasmesse periodicamente, a cura del segretario, ai responsabili di settore, ai revisori dei conti e agli organi di valutazione dei risultati dei dipendenti, come documenti utili per la valutazione.

Art. 147-ter. - (Controllo strategico). - 1. Per verificare lo stato di attuazione dei programmi secondo le linee approvate dal consiglio, l'ente locale definisce, secondo la propria autonomia organizzativa, metodologie di controllo strategico finalizzate alla rilevazione dei risultati conseguiti rispetto agli obiettivi predefiniti, degli aspetti economico-finanziari connessi ai risultati ottenuti, dei tempi di realizzazione rispetto alle previsioni, delle procedure operative attuate confrontate con i progetti elaborati, della qualità erogata e del grado di soddisfazione della domanda espressa, degli aspetti socio-economici.

2. L'unità preposta al controllo strategico elabora rapporti periodici, da sottoporre all'organo esecutivo e al consiglio per la successiva predisposizione di deliberazioni consiliari di ricognizione dei programmi, secondo modalità da definire con il proprio regolamento di contabilità in base a quanto previsto dallo statuto.

Art. 147-quater. - (Controlli sulle società partecipate). - 1. L'ente locale definisce, secondo la propria autonomia organizzativa, un sistema di controlli sulle società partecipate dallo stesso ente locale. Tali controlli sono esercitati dalle strutture proprie dell'ente locale, che ne sono responsabili.

2. Per l'attuazione di quanto previsto al comma 1, l'amministrazione definisce preventivamente, in riferimento all'articolo 170, comma 6, gli obiettivi gestionali a cui deve tendere la società partecipata, secondo standard qualitativi e quantitativi, e organizza un idoneo sistema informativo finalizzato a rilevare i rapporti finanziari tra l'ente proprietario e la società, la situazione contabile, gestionale e organizzativa delle società, i contratti di servizio, la qualità dei servizi, il rispetto delle norme di legge sui vincoli di finanza pubblica.

3. Sulla base delle informazioni di cui al comma 2, l'ente locale effettua il monitoraggio periodico sull'andamento delle società partecipate, analizza gli scostamenti rispetto agli obiettivi assegnati e individua le opportune azioni correttive, anche in riferimento a possibili squilibri economico-finanziari rilevanti per il bilancio dell'ente.

4. I risultati complessivi della gestione dell'ente locale e delle aziende partecipate sono rilevati mediante bilancio consolidato, secondo la competenza economica.

Art. 147-quinquies. - (Controllo sulla qualità dei servizi). - 1. Il controllo sulla qualità dei servizi erogati riguarda sia i servizi erogati direttamente dall'ente, sia i servizi erogati tramite società partecipate o in appalto ed è svolto secondo modalità definite in base all'autonomia organizzativa dell'ente, tali da assicurare comunque la rilevazione della soddisfazione dell'utente, la gestione dei reclami e il rapporto di comunicazione con i cittadini.

Art. 147-sexies. - (Ambito di applicazione). - 1. Le disposizioni di cui agli articoli 147-quater e 147-quinquies costituiscono obbligo solo per i comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti e per le province».

3. L'articolo 151 del testo unico è sostituito dal seguente:

«Art. 151. - (Princìpi in materia di contabilità). - 1. Gli enti locali deliberano entro il 31 dicembre il bilancio di previsione per l'anno successivo, osservando i princìpi di unità, annualità, universalità e integrità, veridicità, pareggio finanziario e pubblicità. Il termine di cui al primo periodo può essere differito con decreto del Ministro dell'interno, d'intesa con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, in presenza di motivate esigenze.

2. Il bilancio è corredato di una relazione previsionale e programmatica, di un bilancio pluriennale di durata pari a quello della regione di appartenenza e degli allegati previsti dall'articolo 172 o da altre norme di legge.

3. I documenti di bilancio devono comunque essere redatti in modo da consentirne la lettura per programmi, servizi e interventi.

4. I provvedimenti dei responsabili dei servizi che comportano impegni di spesa sono trasmessi al responsabile del servizio finanziario e sono esecutivi con l'apposizione del visto di regolarità contabile attestante la copertura finanziaria.

5. Nei comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti e nelle province, i provvedimenti dei responsabili dei servizi che comportano impegni di spesa sono trasmessi dal responsabile del servizio proponente, previo rilascio del parere di congruità, al responsabile del servizio finanziario e sono esecutivi con l'apposizione del visto di regolarità contabile attestante la copertura finanziaria. Con il parere di congruità, il responsabile del servizio interessato attesta sotto la propria personale responsabilità amministrativa e contabile, oltre alla rispondenza dell'atto alla normativa vigente, il rispetto dei criteri di economicità ed efficienza, il comprovato confronto competitivo, anche tenuto conto dei parametri di riferimento relativi agli acquisti in convenzione di cui all'articolo 26 della legge 23 dicembre 1999, n. 488, e successive modificazioni, e all'articolo 58 della legge 23 dicembre 2000, n. 388.

6. Il parere di congruità è rilasciato anche nella determinazione a contrattare, per l'attestazione relativa alla base di gara, e nella stipulazione di contratti di servizio con le aziende partecipate.

7. I risultati di gestione sono rilevati anche mediante contabilità economica e dimostrati nel rendiconto comprendente il conto del bilancio e il conto del patrimonio.

8. Al rendiconto è allegata una relazione illustrativa della Giunta che esprime le valutazioni di efficacia dell'azione condotta sulla base dei risultati conseguiti in rapporto ai programmi e ai costi sostenuti.

9. Il rendiconto è deliberato dall'organo consiliare entro il 30 aprile dell'anno successivo».

4. L'articolo 169 del testo unico è sostituito dal seguente:

«Art. 169. - (Piano esecutivo di gestione). - 1. Sulla base del bilancio di previsione annuale deliberato dal consiglio, l'organo esecutivo definisce, prima dell'inizio dell'esercizio, il piano esecutivo di gestione, determinando le attività da svolgere e gli obiettivi da raggiungere e affidando gli stessi, unitamente alle dotazioni necessarie, ai responsabili dei servizi.

2. Il piano esecutivo di gestione contiene un'ulteriore graduazione delle risorse dell'entrata in capitoli, dei servizi in centri di costo e degli interventi in capitoli.

3. L'applicazione dei commi 1 e 2 è facoltativa per i comuni con popolazione inferiore a 15.000 abitanti, i quali garantiscono comunque, nel rispetto della propria autonomia organizzativa, la delega ai responsabili dei servizi delle attività da svolgere, degli obiettivi da raggiungere e delle relative dotazioni necessarie.

4. La rendicontazione del piano esecutivo di gestione e la verifica del grado di raggiungimento degli obiettivi assegnati è deliberata dall'organo esecutivo entro il 31 marzo dell'esercizio successivo a quello di riferimento.

5. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche alle unioni di comuni».

5. L'articolo 196 del testo unico è sostituito dal seguente:

«Art. 196. - (Controllo di gestione). - 1. Al fine di garantire la realizzazione degli obiettivi programmati, la corretta ed economica gestione delle risorse pubbliche, l'imparzialità e il buon andamento della pubblica amministrazione e la trasparenza dell'azione amministrativa, gli enti locali applicano il controllo di gestione secondo le modalità stabilite dai propri statuti e regolamenti di contabilità.

2. Il controllo di gestione è la procedura diretta a verificare lo stato di attuazione degli obiettivi programmati e, attraverso l'analisi delle risorse acquisite e la comparazione tra i costi e la quantità e qualità dei servizi offerti, la funzionalità dell'organizzazione dell'ente, l'efficacia, l'efficienza e il livello di economicità nell'attività di realizzazione dei predetti obiettivi.

3. Il controllo di gestione ha per oggetto l'intera attività amministrativa e gestionale delle province, dei comuni, delle unioni dei comuni e delle città metropolitane ed è svolto con una cadenza periodica definita dal regolamento di contabilità dell'ente. Nei comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti e nelle unioni di comuni, il controllo di gestione è affidato al responsabile del servizio economico-finanziario o, in assenza, al segretario comunale, e può essere svolto anche mediante forme di gestione associata con altri enti limitrofi.

4. Il controllo di gestione si articola in almeno tre fasi:

a) predisposizione di un piano dettagliato di obiettivi di cui al piano esecutivo di gestione, ove approvato;

b) rilevazione dei dati relativi ai costi e ai proventi, nonché rilevazione dei risultati raggiunti;

c) valutazione dei dati predetti in rapporto al piano degli obiettivi, al fine di verificare il loro stato di attuazione e di misurare l'efficacia, l'efficienza e il grado di economicità dell'azione intrapresa.

5. Il controllo di gestione è svolto in riferimento ai singoli servizi e centri di costo, ove previsti, verificando in maniera complessiva e per ciascun servizio i mezzi finanziari acquisiti, i costi dei singoli fattori produttivi, i risultati qualitativi e quantitativi ottenuti e, per i servizi a carattere produttivo, i ricavi.

6. La verifica dell'efficacia, dell'efficienza e dell'economicità dell'azione amministrativa è svolta rapportando le risorse acquisite e i costi dei servizi, ove possibile per unità di prodotto, ai dati risultanti dal rapporto annuale sui parametri gestionali dei servizi degli enti locali.

7. La struttura operativa alla quale è assegnata la funzione dei controlli di gestione fornisce, con cadenza periodica e con modalità definite secondo la propria autonomia organizzativa, le conclusioni del predetto controllo agli amministratori, ai fini della verifica dello stato di attuazione degli obiettivi programmati, e ai responsabili dei servizi, affinché questi ultimi abbiano gli elementi necessari per valutare l'andamento della gestione dei servizi di cui sono responsabili. Il resoconto annuale finale del predetto controllo è trasmesso anche alla Corte dei conti.

8. I revisori sono eletti a maggioranza dei due terzi dei componenti dal consiglio dell'ente locale, salva diversa disposizione statutaria».

6. Gli articoli 197, 198 e 198-bis del testo unico sono abrogati.

7. Le disposizioni del testo unico in materia di controlli, di programmazione e di controllo di gestione, come modificate e integrate dal presente articolo, si applicano fermo restando quanto previsto dall'articolo 16 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150.

 

 

L’articolo 29 attraverso novelle al Tuel, modifica una serie di disposizioni relative ai controlli negli enti locali.

 

Il comma 1 sostituisce l’articolo 49 del Tuel (Pareri dei responsabili dei servizi) disponendo che, su ogni proposta di deliberazione sottoposta alla Giunta ed al Consiglio che non sia mero atto di indirizzo e comporti riflessi diretti o indiretti sulla situazione economico-finanziaria o sul patrimonio, deve essere richiesto il parere del responsabile del servizio interessato in ordine alla sola regolarità tecnica e del responsabile di ragioneria in ordine alla regolarità contabile; quest’ultimo è richiesto nel qualora l’atto comporti riflessi diretti o indiretti sulla situazione economico finanziaria o sul patrimonio dell’ente. I pareri sono inseriti nella deliberazione. Nel caso in cui l’ente non abbia i responsabili dei servizi, il parere è espresso dal Segretario dell’ente, in relazione alle sue competenze.

 

Il comma 2 dell’articolo 29 introduce all’interno del TUEL gli articoli 147-bis e 147-ter recanti la disciplina del controllo di regolarità amministrativa e contabile e del controllo strategico, i quali rientrano nelle tipologie di controlli interni elencati nel già commentato articolo 147 del TUEL (cfr. comma 1, lett. a) e c).

In sostanza, la nuova disciplina dei controlli interni introdotta nel TUEL si muove, come precisato nel comma 3 del citato articolo 147, nel solco dei principi generali del controllo interno dettati per tutta la pubblica amministrazione dal D.lgs. n. 286/1999.

 

In particolare, l’articolo 147-bis indica momenti e modalità per l’espletamento del controllo di regolarità amministrativa e contabile, prevedendo che esso sia assicurato:

·       nella fase di formazione dell'atto:

-            da ogni responsabile di servizio, attraverso il rilascio del parere regolarità tecnica attestante la legittimità, la regolarità e la correttezza dell'azione amministrativa.

 

Si osserva che il TUEL già disciplina all’articolo 49 - come peraltro novellato dal precedente comma 1 dell’articolo 29 in esame - i pareri dei responsabili dei servizi, prevedendo che su ogni proposta di deliberazione sottoposta alla Giunta ed al Consiglio che non sia mero atto di indirizzo deve essere richiesto il parere in ordine alla sola regolarità tecnica del responsabile del servizio interessato e, qualora comporti riflessi diretti ed indiretti sulla situazione economico finanziaria, del responsabile di ragioneria in ordine alla regolarità contabile. I pareri sono poi inseriti nella deliberazione. Nel caso in cui l'ente non abbia i responsabili dei servizi, il parere è espresso dal Segretario dell'ente.

 

-            dal responsabile del servizio finanziario, attraverso il rilascio del parere di regolarità contabile e del visto attestante la copertura finanziaria (comma1);

Tale previsione sembra confermare quanto già previsto all’interno del TUEL all’articolo 151, comma 4, come novellato dal comma 3 dell’articolo 29 in esame, secondo cui i provvedimenti dei responsabili dei servizi che comportano impegni di spesa sono trasmessi al responsabile del servizio finanziario e sono esecutivi con l'apposizione del visto di regolarità contabile attestante la copertura finanziaria.

Inoltre, l’articolo 153, al comma 5 demanda al regolamento di contabilità dell’ente locale la fissazione delle modalità con le quali vengono resi i pareri di regolarità contabile.

 

§           nella fase successiva, sotto ladirezione del segretario, secondo princìpi generali di revisione aziendale e modalità definite nell'ambito dell'autonomia organizzativa dell'ente.

Tale previsione ricalca dunque i principi generali del controllo interno valevoli per tutte le amministrazioni pubbliche dettati dal decreto legislativo n. 286/1999[44]. In particolare, l’articolo 2, comma 2, prevede che le verifiche di regolarità amministrativa e contabile devono rispettare i principi della revisione aziendale asseverati dagli ordini e collegi professionali operanti nel settore.

La norma elenca quale oggetto di tale controllo i seguenti atti: gli atti di impegno e di liquidazione della spesa, gli atti di accertamento di entrata, i contratti, gli altri atti amministrativi, scelti secondo una selezione casuale effettuata con motivate tecniche a campione (comma 2).

 

E’ prevista la trasmissione periodica, a cura del segretario, delle risultanze del controllo successivo. Tali risultanze debbono essere inviate ai responsabili di settore, ai revisori dei conti e agli organi di valutazione dei risultati dei dipendenti, quali documenti utili per la valutazione da parte di tali soggetti.

 

L'articolo 147-ter disciplina il controllo strategico, le cui metodologie sono definite dall’ente locale, nell’ambito della propria autonomia organizzativa. Finalità di tale controllo è la verificare dello stato di attuazione dei programmi secondo le linee approvate dal Consiglio.

 

Si ricorda che il controllo strategico rientra tra le tipologie generali di controllo interno disciplinato dal decreto legislativo n. 286/1999.

L’articolo in commento sembra pertanto esplicitare e specificare per l’ente locale i principi generali dettati, per tutte le pubbliche amministrazioni, dall’articolo 6 del sopra menzionato decreto legislativo n. 286/199, in base al quale obiettivo dell’attività di valutazione e controllo strategico è la verifica dell'effettiva attuazione delle scelte contenute nelle direttive ed altri atti di indirizzo politico, effettuata anche attraverso un’attività di refertazione del controllo eseguito (vedi sul punto, il comma 2 dell’articolo 147-ter).

La previsione del controllo strategico, inteso come verifica della congruenza tra i risultati conseguiti e gli obiettivi predefiniti in sede di atti di indirizzo politico (piani e programmi) riceve comunque già enunciazione nel vigente articolo 147 del TUEL.

In particolare, secondo l’articolo 147–ter, le metodologie del controllo strategico devono essere dirette alla rilevazione :

-          dei risultati conseguiti rispetto agli obiettivi predefiniti e degli aspetti economico-finanziari connessi ai risultati ottenuti,

-          dei tempi effettivi di realizzazione rispetto alle previsioni, delle procedure operative attuate, confrontate con i progetti elaborati,

-          della qualità erogata e del grado di soddisfazione della domanda espressa, degli aspetti socio-economici (comma 1).

 

E’ prevista l’elaborazione di rapporti periodici da parte dell'unità preposta al controllo strategico, che dovranno essere sottoposti all'organo esecutivo e al consiglio per la successiva predisposizione di deliberazioni consiliari di ricognizione dei programmi, secondo modalità da definirsi in un regolamento di contabilità adottato dall’ente locale, in base a quanto previsto dallo statuto (comma 2).

 

L’articolo 147-quater introduce la specifica previsione dei controlli sulle società partecipate demandandone la definizione all’ente locale, secondo la propria autonomia organizzativa.

La norma prevede che i controlli debbono essere esercitati dalle strutture proprie dell’ente locale, che ne sono responsabili (comma 1).

 

Ai fini dell’attuazione di quanto sopra previsto, è demandata all’amministrazione locale:

·         la definizione preventiva degli obiettivi gestionali a cui deve tendere la società partecipata, in ossequio a standard qualitativi e quantitativi. La norma fa riferimento all’articolo 170, comma 6, TUEL che rimette alla Relazione previsionale e programmatica dell’ente locale (allegata al bilancio annuale di previsione dell’ente) la fissazione degli obiettivi che a livello gestionale si intendono raggiungere, sia in termini di bilancio che in termini di efficacia, efficienza ed economicità del servizio;

·         l’organizzazione di un idoneo sistema informativo finalizzato a rilevare i rapporti finanziari tra ente proprietario e società, la situazione contabile, gestionale e organizzativa delle società, i contratti di servizio, la qualità dei servizi, il rispetto delle norme di legge sui vincoli di finanza pubblica (comma 2);

A quest’ultimo proposito, si ricorda che il TUEL già prevede, all’articolo 172, lettera b), che tra gli allegati al bilancio di previsione dell’ente locale, vi siano le risultanze dei rendiconti o conti consolidati delle società di capitali costituite per l'esercizio di servizi pubblici, relativi al penultimo esercizio antecedente quello cui il bilancio si riferisce.

·         il monitoraggio periodico, in base alle informazioni suddette, dell’andamento delle società partecipate, l’analisi degli scostamenti rispetto agli obiettivi assegnati e l’individuazione delle opportune azioni correttive, anche in riferimento a possibili squilibri per il bilancio dell’ente.

I risultati complessivi della gestione dell’ente locale e delle aziende partecipate sono rilevati mediante bilancio consolidato, secondo il criterio della competenza economica.

 

In virtù di quanto previsto dal successivo articolo 147-sexies, le disposizioni recate dall’articolo 147-quater in esame costituiscono obbligo solo per i comuni con popolazione superiore ai 5.000 abitanti.

Si osserva che l’introduzione di una disciplina organica relativa al monitoraggio e ai controlli degli enti locali sulle società partecipate (totalmente o parzialmente) sembra costituire la diretta conseguenza di una serie di norme adottate dal legislatore, finalizzate ad introdurre vincoli finanziari più stringenti nei confronti delle società dall’ente stesso partecipate, specie quando queste siano esercenti servizi pubblici locali (si ricorda in proposito l’articolo 18 e l’articolo 23-bis del decreto legge n. 112/2008, in materia di limiti alle spese di personale delle società e di applicazione dei vincoli derivanti dal patto di stabilità).

 

Il nuovo articolo 147-quinquies disciplina il controllo sulla qualità dei servizi, prescrivendo che tale tipologia di verifica riguardi sia i servizi erogati direttamente dall'ente, sia i servizi erogati tramite società partecipate o in appalto, e che sia svolta secondo modalità definite in base all'autonomia organizzativa dell'ente, tali da assicurare comunque la rilevazione della soddisfazione dell'utente, la gestione dei reclami e il rapporto di comunicazione con i cittadini.

 

Si ricorda che il TUEL, all’art.112, prevede l’applicazione alla materia relativa ai servizi pubblici locali, del capo III del D.Lgs. n. 286/1999[45] relativo alla qualità dei servizi pubblici locali ed alle carte dei servizi. E ciò in risposta all’esigenza di fissare, nel campo dei servizi erogati dagli enti pubblici verso la collettività, una serie di regole comportamentali e di standards di qualità dei servizi stessi.

Conseguentemente, in aggiunta al sistema di tutela basato su di una sempre più articolata e garantista procedura di partecipazione durante la formazione dei provvedimenti delle amministrazioni, si è venuto a delineare, seppur per iniziativa unilaterale dell’amministrazione, un sistema di garanzie e di legittime pretese in capo all’utenza, autonomo rispetto alla tutela amministrativa o giurisdizionale e sussistente a prescindere dalla partecipazione agli aspetti amministrativi dell’attività, che con la carta dei servizi ha trovato la sua più piena espressione.

Il tema relativo alla qualità dei servizi erogati dalle pubbliche amministrazioni, già contemplato dall'art. 2della legge n. 273/1995 (di conversione del D.L. n. 163/95[46]), è stato disciplinato con il D.Lgs. n.286/1999, che, all'art. 11, ha affermato il principio generale in forza del quale i servizi pubblici nazionali e locali devono essere prestati con criteri che perseguano il miglioramento della qualità ed assicurino la tutela dei cittadini e la loro partecipazione alle procedure di valutazione degli standard qualitativi, demandando a direttive annuali del Presidente del Consiglio: le modalità di definizione degli standard di qualità, i casi e le procedure di adozione delle carte dei servizi; i criteri di misurazione della qualità degli stessi, le condizioni di tutela degli utenti, i casi e le procedure per i rimborsi automatici forfettari dovuti per mancato rispetto degli standard.

Da ultimo, il citato art.11 è stato interessato da una modifica ad opera dell’art. 28, comma 1 del D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150[47] ai sensi del quale le suddette direttive del Presidente del Consiglio devono, oggi, essere adottate su proposta della Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità nelle amministrazioni pubbliche[48]. Lo stesso vale per gli atti di indirizzo e coordinamento in riferimento ai servizi erogati direttamente o indirettamente dalle regioni e dagli enti locali, che, a loro volta dovranno adottarsi su proposta della suddetta Commissione.

La disciplina del raccordo tra le attività della Commissione e quelle delle esistenti Agenzie di valutazione viene rimessa a uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, adottati su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione, di concerto con i Ministri competenti.

 

L’articolo 29, comma 3, sostituisce l'art. 151 del T.U.E.L, che reca principi in materia di contabilità.

La nuova formulazione dell’articolo 151 conferma, nella sostanza, i principi contabili contenuti nella norma vigente relativi ai documenti di bilancio degli enti locali.

Si tratta dei principi relativi:

-      all’unicità, annualità, universalità, integrità, veridicità, pareggio finanziario e pubblicità del bilancio, nonché al termine per la deliberazione del bilancio di previsione, fissato al 31 dicembre;

-      all’obbligo di corredare il bilancio con alcuni documenti, quali la Relazione previsionale e programmatica, il bilancio pluriennale, nonché con gli altri allegati previsti dall’articolo 172 del T.U.E.L.[49];

-      al principio generale per cui i provvedimenti dei responsabili dei servizi che comportano impegni di spesa divengono esecutivi con il visto di regolarità contabile attestante la copertura finanziaria;

-      all’obbligo di rilevazione dei risultati di gestione anche mediante contabilità economica e di dimostrazione di tali risultati nel rendiconto;

-      all’obbligo di allegare al rendiconto una relazione della Giunta che esprime le valutazioni sui risultati conseguiti in rapporto ai programmi ed ai costi sostenuti;

-      al termine di deliberazione del rendiconto, fissato al 30 aprile.

 

Rispetto ai principi già vigenti sono peraltro introdotte due nuove disposizioni - nuovi commi 5 e 6 del novellato articolo 151 del TUEL - con le quali è stabilito, per i comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti e le province, l’obbligo di trasmissione dei provvedimenti dei responsabili dei servizi che comportano impegni di spesa da parte del responsabile del servizio proponente al responsabile del servizio finanziario, previo rilascio del parere di congruità. Tali provvedimenti, corredati del suddetto parere, sono esecutivi con l'apposizione del visto di regolarità contabile attestante la copertura finanziaria. Con il parere di congruità, il responsabile del servizio interessato attesta, sotto la propria responsabilità amministrativa e contabile, la rispondenza dell'atto alla normativavigente, il rispetto dei criteri di economicità ed efficienza, il comprovato confronto competitivo, considerati anche i parametri di riferimento CONSIP relativi agli acquisti in convenzione (comma 5).

Il parere di congruità è rilasciato anche nella determinazione a contrattare, per l'attestazione relativa alla base di gara, e nella stipulazione di contratti di servizio con le aziende partecipate (comma 6).

 

Come già segnalato in relazione all’articolo 27, anche per la materia oggetto del comma 3 in esame va richiamata la delega recata dall’articolo 2 della legge 5 maggio 2009 n. 42 sul federalismo fiscale, ed in particolare la lettera h) di tale articolo, relativa alla individuazione dei principi fondamentali per l’armonizzazione dei bilanci pubblici.

 

Il comma 4 sostituisce l'articolo 169 del Testo unico, che disciplina il Piano esecutivo di gestione.

 

Rispetto alla norma vigente, la nuova formulazione dell’articolo prevede che il piano esecutivo di gestione – adottato dall’organo esecutivo prima dell’inizio dell’esercizio finanziario sulla base del bilancio di previsione annuale deliberato dal Consiglio – determini non solo gli obiettivi di gestione da raggiungere, affidati ai responsabili dei servizi, ma anche le attività da svolgere per il raggiungimento degli obiettivi(nuovo comma 1 dell’art. 169).

 

Il comma 3 conferma, secondo la norma vigente, che l’applicazione delle disposizioni relative al piano di gestione è facoltativa per i comuni con popolazione inferiore a 15.000 abitanti.

La nuova formulazione del comma non contiene più il riferimento alle comunità montane, per quanto concerne l’applicazione facoltativa delle norme sul piano di gestione, coerentemente con le previsioni dell’art. 17 del provvedimento in esame[50].

 

La norma precisa peraltro che i suddetti comuni debbono comunque garantire, nel rispetto della propria autonomia organizzativa, la delega delle attività da svolgere ai responsabili dei servizi, nonché degli obiettivi da raggiungere e delle relative risorse necessarie.

 

Rispetto al testo vigente, nella nuova formulazione dell’articolo 169 del TUEL sono introdotte due nuove disposizioni - nuovi commi 4 e 5.

In particolare, il comma 4 dispone che la rendicontazione del piano esecutivo di gestione e la verifica del grado di raggiungimento degli obiettivi assegnati siano deliberate dall'organo esecutivo entro il 31 marzo dell'esercizio successivo a quello di riferimento.

Il nuovo comma 5 del novellato articolo 169 del TUEL estende l’applicazione delle norme sul piano di gestione anche alle unioni di Comuni.

 

Il comma 5 sostituisce l’articolo 196 del T.U.E.L., relativo al controllo di gestione.

La nuova formulazione dell’articolo riproduce, nella sostanza, la disciplina sul controllo di gestione attualmente contenuta negli articoli 196, 197, 198 e 198-bis del testo unico, che vengono infatti abrogati dal successivo comma 6 del provvedimento in esame.

 

I primi due commi della nuova formulazione dell’articolo 196 riproducono, letteralmente, la vigente disciplina sul controllo di gestione, dettata dall’attuale articolo 196 del T.U.E.L.

In particolare, si conferma che le modalità che presiedono al controllo di gestione sono quelle stabilite dagli statuti e dai regolamenti di contabilità degli enti locali, e che tale procedura è diretta a verificare lo stato di attuazione degli obiettivi programmati e - attraverso l'analisi delle risorse acquisite e la comparazione tra i costi e la quantità e qualità dei servizi offerti - la funzionalità dell'organizzazione dell'ente, l'efficacia, l'efficienza e l’economicità nella realizzazione degli obiettivi.

I successivi commi 3 e 4 riproducono, nella sostanza, la disciplina relativa alle modalità del controllo di gestione, contenuta nell’attuale articolo 197 del TUEL.

In particolare, è confermata la previsione in base alla quale il controllo di gestione ha per oggetto l’intera attività amministrativa e gestionale degli enti locali (province, comuni, unioni di comuni e città metropolitane) ed è svolto con cadenza periodica definita dal regolamento di contabilità dell'ente.

Rispetto alla vigente disciplina, il nuovo articolo 196 non ricomprende le comunità montane tra gli enti locali che sono tenuti ad applicare il controllo di gestione, coerentemente con le previsioni dell’art. 17 del provvedimento in esame[51].

Inoltre, nella nuova formulazione del comma 3 dell’articolo 196 del TUEL è stata introdotta una disposizione volta a specificare che nei comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti e nelle unioni di comuni il controllo di gestione è affidato al responsabile del servizio economico-finanziario o, in assenza, al segretario comunale e che può essere svolto anche mediante forme di gestione associata con altri enti limitrofi.

 

Per quanto concerne le fasi del controllo di gestione, disciplinate dall’attuale articolo 197, comma 2, del T.U.E.L., il nuovo articolo, al comma 4, conferma l’articolazione del controllo di gestione in tre fasi:

§      predisposizione di un piano dettagliato di obiettivi;

§      rilevazione dei dati relativi ai costi ed ai proventi, nonché rilevazione dei risultati raggiunti;

§      valutazione dei dati in rapporto al piano degli obiettivi per verificare la loro attuazione e l’efficacia, efficienza, economicità dell'azione.

In merito, la norma specifica che la prima fase del controllo, cioè la predisposizione del piano degli obiettivi avviene sulla base degli obiettivi delineati nel piano esecutivo di gestione, ove approvato.

 

Il nuovo articolo 196 inoltre conferma, ai commi 5 e 6, che il controllo di gestione è svolto in riferimento ai singoli servizi e centri di costo, ove previsti, verificando in maniera complessiva e per ciascun servizio i mezzi finanziari acquisiti, i costi dei singoli fattori produttivi, i risultati qualitativi e quantitativi ottenuti e, per i servizi a carattere produttivo, i ricavi. Conferma inoltre, che la verifica dell'efficacia, dell'efficienza e della economicità dell'azione amministrativa è svolta rapportando le risorse acquisite ed i costi dei servizi, ove possibile per unità di prodotto, ai dati risultanti dal rapporto annuale sui parametri gestionali dei servizi degli enti locali.

 

Rispetto invece all’attuale disciplina sui risultati del controllo di gestione e sulla comunicazione del referto, attualmente contenuta negli articoli 198 e 198-bis del T.U.E.L, il nuovo articolo 196, al comma 7, specifica che:

§         la struttura operativa a cui è assegnata la funzione dei controlli di gestione fornisce, con cadenza periodica e con modalità definite secondo la propria autonomia organizzativa, le conclusioni del controllo agli amministratori, ai fini della verifica dello stato di attuazione degli obiettivi programmati, ed ai responsabili dei servizi, affinché questi ultimi abbiano gli elementi necessari per valutare l'andamento della gestione dei servizi di cui sono responsabili;

§          il resoconto annuale finale del controllo è trasmesso anche alla Corte dei Conti.

 

Il nuovo articolo 196 introduce poi, rispetto alla normativa vigente, la disposizione che richiede la maggioranzaqualificatadei due terzi dei componenti del consiglio dell’ente locale per l’elezione dei revisori contabili, salvo diversa disposizione statutaria (nuovo comma 8).

 

Il comma 6 dispone l’abrogazione degli artt. 197, 198 e 198 bis del TUEL, relativi al controllo di gestione, la cui nuova disciplina viene inserita nel novellato art. 196.

 

Infine, per quanto concerne l’applicazione delle disposizioni in materia di controlli, programmazione e controllo di gestione contenute nel testo unico degli enti locali, come modificate dal provvedimento in esame, il comma 7 dell'articolo 29 in esame reca una clausola di salvaguardia con riguardo a quanto previsto dall'articolo 16 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150[52], in tema di adeguamento degli enti locali ad alcuni princìpi dettati da quella riforma concernente l'ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e dell'efficienza e della trasparenza nelle pubbliche amministrazioni.

 

 

 


Articolo 30
(Revisione economico-finanziaria)

1. All'articolo 234 del testo unico sono apportate le seguenti modificazioni:

a) il comma 2 è sostituito dai seguenti:

«2. I componenti del collegio dei revisori sono scelti, sulla base dei criteri individuati dallo statuto dell'ente, volti a garantire specifica professionalità e privilegiare il credito formativo:

a) tra gli iscritti all'Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili;

b) tra gli iscritti nel registro dei revisori contabili.

2-bis. Il credito formativo deriva anche dalla partecipazione a specifici corsi di formazione organizzati, tra gli altri, dalla Scuola superiore dell'Amministrazione dell'interno e dalla Scuola superiore per la formazione e la specializzazione dei dirigenti della pubblica amministrazione locale, che possono a tal fine stipulare specifiche convenzioni con l'Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili e con l'Istituto dei revisori dei conti»;

b) al comma 3, le parole: «15.000 abitanti» sono sostituite dalle seguenti: «5.000 abitanti»;

c) dopo il comma 3 è inserito il seguente:

«3-bis. Nei comuni con popolazione compresa tra 5.000 e 15.000 abitanti la revisione economico-finanziaria è affidata, secondo i criteri definiti dallo statuto, ad un revisore unico o, a parità di oneri, ad un collegio composto di tre membri. In mancanza di definizione statutaria la revisione è affidata ad unico revisore».

2. Al comma 2 dell'articolo 236 del testo unico, le parole: «dai membri dell'organo regionale di controllo,» sono soppresse.

3. All'articolo 239 del testo unico sono apportate le seguenti modificazioni:

a) la lettera b) del comma 1 è sostituita dalla seguente:

«b) pareri, con le modalità stabilite dal regolamento, in materia di:

1) strumenti di programmazione economico-finanziaria;

2) proposta di bilancio di previsione e relative variazioni;

3) modalità di gestione dei servizi e proposte di costituzione o di partecipazione ad organismi esterni;

4) proposte di ricorso all'indebitamento;

5) proposte di utilizzo di strumenti di finanza innovativa;

6) proposte di riconoscimento di debiti fuori bilancio e transazioni;

7) proposte di regolamento di contabilità, economato-provveditorato, patrimonio e di applicazione dei tributi locali»;

b) al comma 1, dopo la lettera c) è inserita la seguente:

«c-bis) controllo periodico trimestrale della regolarità amministrativa e contabile della gestione diretta e indiretta dell'ente; verifica della regolare tenuta della contabilità, della consistenza di cassa e dell'esistenza dei valori e dei titoli di proprietà»;

c) dopo il comma 1 è inserito il seguente:

«1-bis. Nei pareri di cui alla lettera b) del comma 1 è espresso un motivato giudizio di congruità, di coerenza e di attendibilità contabile delle previsioni di bilancio e dei programmi e progetti, anche tenuto conto dell'attestazione del responsabile del servizio finanziario ai sensi dell'articolo 153, delle variazioni rispetto all'anno precedente, dell'applicazione dei parametri di deficitarietà strutturale e di ogni altro elemento utile. Nei pareri sono suggerite all'organo consiliare le misure atte ad assicurare l'attendibilità delle impostazioni. I pareri sono obbligatori. L'organo consiliare è tenuto ad adottare i provvedimenti conseguenti o a motivare adeguatamente la mancata adozione delle misure proposte dall'organo di revisione»;

d) la lettera a) del comma 2 è sostituita dalla seguente:

«a) da parte della Corte dei conti i rilievi e le decisioni assunti a tutela della sana gestione finanziaria dell'ente».

 

 

L'articolo 30 reca novelle ad alcuni articoli del Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali (articoli 234, 236 e 239) relativi alla disciplina dell’organo di revisione economico-finanziario.

 

In particolare, il comma 1 reca modifiche all’articolo 234, comma 2, del TUEL, con riferimento alle modalità di composizione dell’organo di revisione, integrando i criteri di scelta dei tre componenti del collegio dei revisori dei conti.

 

Si ricorda che, ai sensi del comma 1 dell’art. 234 del TUEL, il collegio dei revisori è composto da tre membri eletti, con voto limitato a due componenti, dai consigli comunali, provinciali e delle città metropolitane.

 

La nuova formulazione del comma prevede, rispetto alla normativa vigente, che i componenti del collegio dei revisori vengano scelti sulla base di criteri individuati dallo Statuto stesso dell'ente, volti a garantire una specifica professionalità e a privilegiare il credito formativo, che deriva anche dalla partecipazione a corsi di formazione organizzati, tra l’altro, anche dalla Scuola Superiore dell’amministrazione dell’interno e dalla Scuola Superiore della pubblica amministrazione locale (nuovo comma 2-bis dell’art. 234).

Inoltre, le categorie entro le quali è possibile effettuare la scelta dei componenti vengono limitate agli iscritti al registro dei revisori contabili e agli iscritti all'ordine dei dottori commercialisti ed esperti contabili.

Rispetto alla disciplina vigente, è pertanto espunta la categoria degli iscritti nell'albo dei ragionieri. Inoltre, viene meno il principio, indicato nell’attuale formulazione dell’articolo 234, dell’appartenenza di ciascuno dei membri del collegio dei revisori alle categorie dei revisori contabili, dei commercialisti e dei ragionieri.

E’ inoltre modificato il comma 3 dell’articolo 234 del TUEL, limitando ai soli comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti (anziché 15.000) la figura del revisore unico.

Per i comuni tra 5.000 e 15.000 abitanti è prevista la possibilità di scegliere l’affidamento della funzione di revisione economico-finanziaria ad un revisore unico o, a parità di costi, ad un organo collegiale composto di tre membri, secondo criteri definiti dallo Statuto dell’ente. In mancanza di tale definizione statutaria, la revisione deve essere affidata ad un revisore unico (nuovo comma 3-bis).

 

Va ricordato, al riguardo, che l’estensione della figura del revisore unico ai comuni con popolazione fino a 15.000 è stata disposta dalla legge finanziaria per il 2007 (art. 1, comma 732, legge n. 296/2006), che ha a tal fine novellato l’articolo 234 del TUEL.

In precedenza, il citato art. 234 prevedeva per gli enti locali di maggiori dimensioni (province, comuni con più di 5.000 abitanti e città metropolitane) che l’organo di revisione economico-finanziario fosse costituito da un collegio di revisori, composto da tre membri eletti dai rispettivi consigli, per i comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti, nonché per le unioni di comuni e comunità montane che la revisione economico-finanziaria fosse affidata ad un solo revisore eletto dal consiglio comunale o dal consiglio dell'unione di comuni o dall'assemblea della comunità montana a maggioranza assoluta dei membri, scelto tra i soggetti sopra indicati.

 

In comma 2 dell’articolo 30 in esame novella l’articolo 236, comma 2, del TUEL, relativo alla incompatibilità ed ineleggibilità dei revisori, espungendo il riferimento ai membri dell'organo regionale di controllo (soppresso dopo la riforma del Titolo V della Costituzione) dall'elenco dei soggetti ineleggibili nell'organo di revisione contabile.

 

In base alla norma vigente, l'incarico di revisione economico-finanziaria non può essere esercitato dai componenti degli organi dell'ente locale e da coloro che hanno ricoperto tale incarico nel biennio precedente alla nomina, dai membri dell'organo regionale di controllo, dal segretario e dai dipendenti dell'ente locale presso cui deve essere nominato l'organo di revisione economico-finanziaria e dai dipendenti delle regioni, delle province, delle città metropolitane, delle comunità montane e delle unioni di comuni relativamente agli enti locali compresi nella circoscrizione territoriale di competenza.

 

Il comma 3 novella l'articolo 239 del TUEL, che reca la disciplina delle funzioni dell'organo di revisione economico-finanziario.

In particolare, con la lettera a) del comma 3 viene sostituita la lettera b) del comma 1 dell’art. 239 relativa ai pareri espressi dall’organo di revisione.

Rispetto alla normativa vigente, viene esteso l’ambito di espressione dei pareri - oltre che alla proposta di bilancio di previsione e relative variazioni, come già previsto dall’attuale disciplina - alle seguenti materie:

§      strumenti della programmazione economico finanziaria;

§      modalità di gestione dei servizi e proposte di costituzione o di partecipazione ad organismi esterni;

§      proposte di ricorso all'indebitamento;

§      proposte di utilizzo di strumenti di finanza innovativa;

§      proposte di riconoscimento di debiti fuori bilancio e transazioni;

§      proposte di regolamento di contabilità, economato-provveditorato, patrimonio e di applicazione dei tributi locali.

Viene inoltre precisato che l’organo di revisione esprima pareri con le modalità stabilite dal regolamento.

 

Con riferimento all’espressione dei pareri nelle materie suindicate, la lettera c) del comma in esame, introducendo il nuovo comma 1-bisnell’articolo 239 del TUEL, ne precisa i criteri, confermando in sostanza quelli già contenuti nella vigente lettera b) del comma 1 dell’art. 234, in relazione ai pareri espressi sulla proposta di bilancio di previsione.

In sostanza, la norma ribadisce che in tali pareri deve essere espresso un motivato giudizio di congruità, di coerenza e di attendibilità contabile delle previsioni di bilancio e dei programmi e progetti, anche tenuto conto del parere espresso dal responsabile del servizio finanziario, delle variazioni rispetto all'anno precedente, dell'applicazione dei parametri di deficitarietà strutturale e di ogni altro elemento utile. Nei pareri sono suggerite all'organo consiliare tutte le misure atte ad assicurare l'attendibilità delle impostazioni. I pareri sono obbligatori. L'organo consiliare è altresì tenuto ad adottare i provvedimenti conseguenti o a motivare adeguatamente la mancata adozione delle misure proposte dall'organo di revisione.

 

La lettera b) modifica ulteriormente il comma 1 dell’articolo 239 integrando le funzioni dell’organo di revisione. In particolare, introducendo la nuova lettera c-bis), tra le funzioni dell’organo di revisione viene prevista anche quella relativa al controllo periodico trimestrale della regolarità amministrativa e contabile della gestione diretta ed indiretta dell’ente; la verifica della regolare tenuta della contabilità, della consistenza di cassa e dell’esistenza dei valori e dei titoli di proprietà.

 

Infine, la lettera d) modifica il comma 2 dell’articolo 234 del TUEL, relativo agli atti che debbono essere obbligatoriamente inviati all’organo di revisione, sostituendone la lettera a).

Con la modifica viene reso obbligatorio l’invio da parte della Corte dei Conti dei rilievi e delle decisioni assunte a tutela della sana gestione finanziaria dell’ente, in luogo dell’invio da parte dell'organo regionale di controllo (soppresso dopo la riforma del Titolo V della Costituzione) delle decisioni di annullamento delle delibere adottate dagli organi degli enti locali.


Articolo 31
(Abrogazioni)

1. Al testo unico sono apportate le seguenti modificazioni:

a) gli articoli 11, 27, 28, 29 e 35 sono abrogati;

b) all'articolo 31:

1) al comma 1, le parole: «e l'esercizio associato di funzioni» sono soppresse;

2) al comma 7, le parole: «determinate funzioni e servizi» sono sostituite dalle seguenti: «determinati servizi»;

3) il comma 8 è abrogato;

c) sono abrogate, limitatamente ai consorzi quali forme di esercizio associato di funzioni tra enti locali, le disposizioni contenute nei seguenti articoli: 2, comma 2, 58, 60, 77, 79, 82, 86, 140, 141, 142, 146, 194, 207 e 273;

d) all'articolo 2, comma 1, le parole: «, le comunità montane, le comunità isolane» sono soppresse;

e) all'articolo 4, comma 3, le parole: «ai comuni, alle province e alle comunità montane» sono sostituite dalle seguenti: «ai comuni e alle province»;

f) all'articolo 58, comma 1, alinea, le parole: «, presidente e componente degli organi delle comunità montane» sono soppresse;

g) all'articolo 66, comma 1, le parole: «, di presidente o di assessore della comunità montana» sono soppresse;

h) all'articolo 77, comma 2, le parole: «i presidenti, i consiglieri e gli assessori delle comunità montane,» sono soppresse;

i) all'articolo 79:

1) al comma 1, le parole: «, delle comunità montane» sono soppresse;

2) al comma 2, le parole: «, ai presidenti di provincia, ai presidenti delle comunità montane» sono sostituite dalle seguenti: «e ai presidenti di provincia»;

3) al comma 3, le parole: «, delle comunità montane» sono soppresse;

4) al comma 4, le parole: «, delle comunità montane» e le parole: «presidenti delle comunità montane,» sono soppresse;

l) all'articolo 81, comma 1, le parole: «delle comunità montane e» sono soppresse;

m) all'articolo 82:

1) al comma 1, le parole: «il presidente della comunità montana,» e le parole: «delle comunità montane,» sono soppresse;

2) al comma 2, le parole: «e delle comunità montane» sono soppresse;

3) al comma 8, lettera c), le parole: «, dei consorzi fra enti locali e delle comunità montane» sono sostituite dalle seguenti: «e dei consorzi fra enti locali» e le parole: «, del consorzio fra enti locali o alla popolazione montana della comunità montana» sono sostituite dalle seguenti: «o del consorzio fra enti locali»;

n) all'articolo 86:

1) al comma 1, le parole: «di comunità montane,» sono soppresse;

2) al comma 5, le parole: «le comunità montane,» sono soppresse;

o) all'articolo 137, comma 3, le parole: «allargata ai rappresentanti delle comunità montane» sono soppresse;

p) all'articolo 142, comma 1, le parole: «e delle comunità montane» sono soppresse;

q) all'articolo 156, comma 2:

1) al primo periodo, le parole: «, ovvero secondo i dati dell'Uncem per le comunità montane» sono soppresse;

2) al secondo periodo, le parole: «le comunità montane e» sono soppresse;

r) all'articolo 162, comma 6, il terzo periodo è soppresso a decorrere dal trecentosessantacinquesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della presente legge;

s) all'articolo 165, il comma 4 è abrogato a decorrere dal trecentosessantacinquesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della presente legge;

t) all'articolo 175, comma 6, il secondo periodo è soppresso;

u) all'articolo 204, comma 1, il secondo periodo è soppresso;

v) all'articolo 206, comma 1, il secondo periodo è soppresso;

z) all'articolo 207, comma 1, le parole: «nonché dalle comunità montane di cui fanno parte» sono soppresse;

aa) all'articolo 208, comma 1, lettera b), le parole: «, le comunità montane» sono soppresse;

bb) all'articolo 222, comma 1, le parole: «e per le comunità montane ai primi due titoli» sono soppresse;

cc) all'articolo 224, comma 1, le parole: «, del sindaco metropolitano e del presidente della comunità montana» sono sostituite dalle seguenti: «e del sindaco metropolitano»;

dd) all'articolo 234, comma 3, le parole: «, nelle unioni dei comuni e nelle comunità montane» sono sostituite dalle seguenti: «e nelle unioni di comuni» e le parole: «o dall'assemblea della comunità montana» sono soppresse;

ee) all'articolo 236, comma 2, le parole: «, delle comunità montane» sono soppresse;

ff) all'articolo 238, comma 1, secondo periodo, le parole: «e le comunità montane ai comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti» sono soppresse;

gg) all'articolo 241, comma 5, le parole: «al revisore della comunità montana ed» e le parole: «rispettivamente, al comune totalmente montano più popoloso facente parte della comunità stessa ed» sono soppresse;

hh) all'articolo 242, il comma 3 è sostituito dal seguente:

«3. Le norme di cui al presente capo si applicano ai comuni e alle province».

2. Al decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all'articolo 34:

1) al comma 3, le parole: «, dei comuni e delle comunità montane,» sono sostituite dalle seguenti: «e dei comuni»;

2) il comma 4 è abrogato;

b) all'articolo 36, comma 1:

1) all'alinea, le parole: «, a ciascun comune ed a ciascuna comunità montana» sono sostituite dalle seguenti: «e a ciascun comune»;

2) la lettera c) è abrogata;

c) all'articolo 41:

1) al comma 1, le parole: «, di tutti i comuni e di tutte le comunità montane» sono sostituite dalle seguenti: «e di tutti i comuni»;

2) il comma 4 è abrogato.

3. Sono altresì abrogate le norme che alla data di entrata in vigore della presente legge disciplinano gli enti soppressi in base alla legge medesima.

4. Sono abrogate tutte le altre disposizioni incompatibili con la presente legge.

 

 

L’articolo 31, al comma 1, reca una serie di norme abrogative e modificative del TUEL e di altre disposizioni di legge.

In particolare, con riferimento alle disposizioni del decreto legislativo n. 267/2000, talune abrogazioni sono state individuate e rese espresse.

 

Allo stesso modo, al comma 2, sono state abrogate le disposizioni del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504[53], in tema di finanziamento delle comunità montane.

 

Parimenti, al comma 3, si è proceduto all’abrogazione espressa, per quanto “forzatamente innominata” (secondo le parole della relazione tecnico-normativa allegata) delle disposizioni che disciplinano gli enti abrogati.

 

Il comma 4 ricorre alla clausola dell’abrogazione delle disposizioni incompatibili in considerazione dell'imponenza dell'intervento normativo, secondo quanto illustrato nella relazione tecnico-normativa.

 

In merito alla clausola prevista dal comma 4, si nota che essa, da un punto di vista sostanziale, richiede all’interprete una valutazione in ordine alla perdurante compatibilità di disposizioni del TUEL con quelle introdotte dal testo nei casi di parziale sovrapposizione di alcune nuove norme rispetto a quelle vigenti non abrogate contestualmente in modo esplicito. Inoltre, la stessa clausola andrebbe valutata alla luce dell’art. 13 bis della legge n. 400 del 1988, introdotto dall’art. 3 della legge n. 69 del 2009. Esso prevede che il Governo, nell’ambito delle proprie competenze, provveda a che ogni norma che sia diretta a sostituire, modificare o abrogare norme vigenti ovvero a stabilire deroghe indichi espressamente le norme sostituite, modificate, abrogate o derogate. Del resto, tali previsioni in materia di chiarezza dei testi normativi costituiscono, ai sensi del citato art. 13 bis, princìpi generali per la produzione normativa e non possono essere derogate, modificate o abrogate se non in modo esplicito[54].

 

 E’ vero che il coordinamento sistematico, anche sostanziale, delle disposizioni in materia di autonomie locali è tra gli obiettivi espliciti della delega per l’emanazione della Carta delle autonomie locali (art. 13 AC 3118). Perciò sembrerebbe che all’emanazione della Carta delle autonomie venga rinviata la definizione di un quadro chiaro e coordinato delle funzioni degli enti locali, in modo da consentire l’esercizio della delega di cui alla legge n. 42 e il completamento della disciplina del federalismo fiscale.

Considerato, però il termine biennale della delega, andrebbero valutati i riflessi sull’ordinamento delle disposizioni in materia  in termini di impatto per l’interprete.

 

Inoltre, all’assetto complessivo della materia concorrono anche talune disposizioni del decreto-legge n. 2 del 25 gennaio 2010 (tuttora all’esame della Camera AC 3146), recante interventi urgenti in materia di enti locali. Tale provvedimento, come modificato nel corso dell’esame parlamentare presso la Camera, incide su taluni ambiti in cui interviene il d.d.l. 3118, dettando peraltro una disciplina parzialmente differente[55], con la conseguente esigenza di una valutazione,  in termini coerenza reciproca, di una pluralità di interventi normativi realizzati in un ristretto contesto temporale.

 


Articolo 32
(Norma di coordinamento per le regioni a statuto speciale
e le province autonome di Trento e di Bolzano)

1. Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano disciplinano le materie di cui alla presente legge secondo quanto previsto dai rispettivi statuti e dalle relative norme di attuazione, fermo restando quanto disposto dall'articolo 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.

 

 

L’articolo 32 reca una norma di coordinamento per le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano. Questi enti infatti, secondo quanto stabilito dai rispettivi statuti di autonomia e dalle norme di attuazione, hanno competenza legislativa primaria in materia di enti locali, in relazione all’ordinamento, alle circoscrizioni territoriali ed alla finanza[56].

Le regioni Friuli Venezia Giulia e Valle d’Aosta e le Province autonome di Trento e di Bolzano provvedono al finanziamento degli enti locali dei rispettivi territori con oneri interamente a carico del proprio bilancio.

 

La norma in esame richiama inoltre la cosiddetta clausola di maggior favore contenuta nell’articolo 10 della legge costituzionale 3/2001.

La legge costituzionale 3/2001, che ha riformato il sistema delle autonomie lasciando inalterato la distinzione tra autonomie ordinarie e speciali, ha disposto, all’articolo 10, la possibile applicazione delle disposizioni della legge costituzionale alle regioni a statuto speciale «per le parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite», fino all’adeguamento dei rispettivi statuti. In sostanza, la Corte costituzionale valuta in relazione a ciascuna questione di legittimità - se prendere a parametro l’articolo 117 Cost. anziché le norme statutarie, nel caso in cui la potestà legislativa da esso conferita nella materia oggetto della questione, assicura una autonomia più ampia di quella prevista dagli statuti speciali[57].

 

 

 


 

 



[1] Ad esempio, mentre l’A.C. 3118, all’art. 18, comma 6, abroga il comma 5 dell’art. 17 TUEL, il d.l. 2/2010, nel testo varato dalla I Commissione per l’esame in Assemblea, nonché nel testo dell’emendamento Dis. 1.1 Governo interamente sostitutivo, ne dispone espressamente il mantenimento in vigore.

[2]     L. 5 giugno 2003, n. 131, Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla L.Cost. 18 ottobre 2001, n. 3

[3]     L. 7 marzo 1986, n. 65, Legge-quadro sull'ordinamento della polizia municipale

[4] L’articolo in esame recepisce sostanzialmente un emendamento proposto dalla Conferenza delle regioni, dall’Anci e dall’Upi allo schema di disegno di legge in esame approvato in via preliminare dal Consiglio dei ministri il 15 luglio 2009 e trasmesso alla Conferenza unificata.

 

[5] Ai sensi dell’art. 15 delle cd. ‘preleggi’, le leggi non sono abrogate che da leggi posteriori per dichiarazione espressa del legislatore, o per incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti o perché la nuova legge regola l'intera materia già regolata dalla legge anteriore.

[6]    L’esame del D.L. n.2/2010, recante “Interventi urgenti concernenti enti locali e regioni”, è in corso presso la Camera dei deputati (A.C. 3146).

[7]    In tal senso le disposizioni recate dall’articolo sono da rapportare con le disposizioni recate dall’articolo 9 del testo in esame, recante Disposizioni per l’attuazione dell’articolo 118, primo e secondo comma, della Costituzione, in materia di conferimento delle funzioni amministrative alle regioni e agli enti locali nelle materie di competenza esclusiva dello Stato.

[8]    “Riforma dell'organizzazione del Governo, a norma dell'articolo 11 della L. 15 marzo 1997, n. 59”.

[9]    D.P.R. 3 aprile 2006, n. 180, Regolamento recante disposizioni in materia di Prefetture-Uffici territoriali del Governo, in attuazione dell'articolo 11 del D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, e successive modificazioni.

[10]   D.L. 25 giugno 2008, n. 112 (conv. L. 6 agosto 2008, n. 133), Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria.

[11]   “Proroga di termini previsti da disposizioni legislative”.

[12] Pagina informativa dal sito del Ministero per la pubblica amministrazione e l’innovazione - Dipartimento della Funzione pubblica.

[13]   Come rilevato dal RAPPORTO FORMEZ – UIL, Il difensore civico nelle regioni e nei comuni capoluogo di provincia, ottobre 2008, gli Statuti di diversi enti locali hanno previsto l’obbligo e la facoltà di acquisire in via preventiva il parere del Difensore civico su determinate materie e per specifici procedimenti. Dall’analisi dei dati emerge che su un totale di 104 Comuni Capoluogo di Provincia ( non sono stati presi in considerazione i Comuni di Trento e Bolzano dove però è in carica il D.c. provinciale) in 56 è in carica un Difensore civico, in 48 Comuni si è in attesa di nomina. Su un totale di 19 Comuni Capoluogo di Regione (non è stato preso in considerazione il Comune di Trento) 12 hanno in carica un Difensore civico, 7 non lo hanno ancora nominato.

[14]   La possibilità di stipulare convenzioni tra enti locali viene disciplinata, in via generale, dall’art. 30 del TUEL.

[15]   Si rileva che nella rubrica dell’articolo 29 del TUEL sono indicate come Comunità isolane o di arcipelago.

[16]   Corte costituzionale, sentenza n. 229 del 2001.

[17]   Corte costituzionale, sentenza n. 244 del 2005.

[18]   L. 24 dicembre 2007, n. 244, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2008).

[19]   Il termine originariamente previsto per l’adozione delle leggi regionali era fissato in sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge finanziaria per il 2008 (entro il 30 giugno 2008). Tale termine è stato prorogato al 30 settembre 2008 dall’articolo 4-bis, comma 5, del decreto-legge 3 giugno 2008, n. 97 (conv. dalla legge 2 agosto 2008, n. 129).

[20]    Si tratta del fondo di cui all’art. 34, co. 1, lett. a) del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, Riordino della finanza degli enti territoriali, a norma dell’articolo 4 della L. 23 ottobre 1992, n. 421.

[21]   Come rileva il D.P.C.M. 19 novembre 2008, Riordino della disciplina delle Comunità montane, ai sensi dell'articolo 2, comma 21, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, Lazio, Veneto e Puglia non hanno provveduto ad adottare proprie leggi di riordino della disciplina delle comunità montane, nel termine ivi previsto. Dopo la citata sentenza della Consulta non è stata avviata la soppressione automatica delle comunità montane.

[22]   Sul punto risulta di particolare interesse Filippini, R., Maglieri A., Le forme associative tra enti locali nella recente legislazione regionale: verso la creazione di differenti modelli ordinamentali, in Le istituzioni del Federalismo, 3-4/2008.

[23]   Fonte: Uncem Delegazioni regionali Comunità montane, in http://www.uncem.it.

[24]    D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, Riordino della finanza degli enti territoriali, a norma dell’articolo 4 della L. 23 ottobre 1992, n. 421.

[25]   Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 113. Il comma 6-bis dell’articolo 76 cit. riduce di 30 milioni di euro per ciascuno degli anni 2009, 2010 e 2011 i trasferimenti erariali a favore delle comunità montane intervenendo prioritariamente sulle comunità che si trovano ad una altitudine media inferiore a 750 metri sopra il livello del mare.

[26]   Ci si riferisce presumibilmente all’articolo 13 della legge n. 42/2009 recante i principi e criteri direttivi concernenti l’entità e il riparto dei fondi perequativi per gli enti locali.

[27]   L. 8 aprile 1976, n. 278, Norme sul decentramento e sulla partecipazione dei cittadini nella amministrazione del comune, abrogata dall'art. 13, L. 8 giugno 1990, n. 142. L’abrogazione è stata confermata dall’art. 24, D.L. 25 giugno 2008, n. 112.

[28]   L. 27 dicembre 2006, n. 296, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007, articolo 1, comma 731.

[29]   Legge 24 dicembre 2007, n. 244, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2008).

[30]   Il citato art. 82, al comma 2, prevede, per quanto rileva, che i consiglieri circoscrizionali hanno diritto a percepire un gettone di presenza per la partecipazione a consigli e commissioni. In nessun caso l’ammontare percepito nell’ambito di un mese da un consigliere può superare l’importo pari ad un quarto dell’indennità massima prevista per il rispettivo sindaco o presidente. Nessuna indennità è dovuta ai consiglieri circoscrizionali.

[31]    Legge 24 dicembre 2007, n. 244, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2008).

[32]   La presenza consortile sul territorio nazionale, 162 consorzi di bonifica e 21 di miglioramento fondiario, investe in media il 59,47% della superficie totale, quasi 18 milioni di ettari dei 30 milioni totali, con punte massime in Emilia Romagna (100% della superficie regionale), nel Lazio (94,14%) e in Sicilia (92,36%), e non scende comunque al di sotto del 38% in Sardegna, del 36% in Umbria e del 21,79% in Molise. In sole due regioni i consorzi sono quasi del tutto assenti: in Trentino Alto Adige 4 consorzi di bonifica gestiscono l’1,14% della superficie regionale, mentre nella regione ligure è presente un solo consorzio che investe lo 0,01 della superficie totale.

In merito alla distribuzione delle opere di bonifica, spiccano le tre regioni del Veneto, Emilia Romagna e Lazio che da sole includono circa la metà dell’intero territorio nazionale servito da opere di scolo delle acque (non meno di mille ettari ciascuna a fronte dei 6.900 nazionali); per quanto riguarda le opere di difesa, la massima estensione degli argini si registra in Veneto e nel Lazio, di briglie e sbarramenti invece in Emilia Romagna.

La superficie investita da opere di irrigazione è particolarmente estesa in tre province settentrionali (Lombardia 770 ha, Veneto 513 ha e Emilia Romagna 650 ha), mentre nel resto d’Italia vanno segnalate la Puglia (210 ettari), la Sardegna e la Sicilia (172 e 164 ha).

[33]    R.D. 13 febbraio 1933, n. 215, Nuove norme per la bonifica integrale.

[34]   La riduzione doveva seguire i principi di cui all’art. 1, comma 729, della finanziaria 2007 che pone il limite numerico di tre componenti (cinque se il capitale supera un determinato importo) per i consigli di amministrazione delle società totalmente partecipate, anche in via indiretta, da enti locali; per tutte le società miste, partecipate cioè anche da altri soggetti pubblici o privati, il numero massimo dei componenti non può essere superiore a cinque.

[35]    D.L. 31 dicembre 2007, n. 248, Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni urgenti in materia finanziaria, convertito con modificazioni dalla legge 28 febbraio 2008, n. 31.

[36]   L. 27 dicembre 1953, n. 959, Norme modificatrici del T.U. delle leggi sulle acque e sugli impianti elettrici.

[37]   Tra le altre figure consortili di gestione del territorio vanno menzionati i Consorzi di derivazione di acque per uso irriguo di cui all’art. 59 del TU n. 1775/1933, unioni fra tutti o parte degli utenti di un corso o bacino d'acqua, e i Consorzi di bonifica montana di cui all’art. 16 della legge n. 991/1952 che raccolgono i proprietari interessati alla esecuzione, manutenzione o esercizio delle opere di bonifica dei territori montani ricadenti nei comprensori delimitati e classificati sulla base degli artt. 14 e 15 della stessa legge n. 991.

[38]    R.D. 13 febbraio 1933, n. 215, Nuove norme per la bonifica integrale.

[39] Recante “Attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni”. In particolare, l’articolo 16, comma 2, specifica che le regioni e gli enti locali sono tenuti ad adeguare i propri ordinamenti ai principi contenuti negli articoli3, 4, 5, comma 2, 7, 9 e 15, comma 1

[40]http://www.camera.it/_dati/leg16/lavori/bollet/frsmcdin_wai.asp?percboll=/_dati/leg16/lavori/bollet/200905/0520/html/0508/&pagpro=27n2&all=off&commis=0508.

[41]   L’articolo 2 della legge n. 42/2009 prevede che entro due anni dall’entrata in vigore della legge vengano adottati una serie di decreti legislativi in grado di assicurare - attraverso la definizione dei princìpi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario e la definizione della perequazione - l’autonomia finanziaria di comuni, province, città metropolitane e regioni nonché l’armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio dei suddetti enti e dei relativi termini di presentazione e approvazione, in funzione delle esigenze di programmazione, gestione e rendicontazione della finanza pubblica. Per quanto concerne, in particolare, questo secondo aspetto, la lettera h) dell’articolo 2 prevede:

-         l’adozione di regole contabili uniformi e di un comune piano dei conti integrato;

-         l’adozione di comuni schemi di bilancio articolati in missioni e programmi coerenti con la classificazione economica e funzionale individuata dagli appositi regolamenti comunitari in materia di contabilità nazionale e relativi conti satellite;

-         l’adozione di un bilancio consolidato con le proprie aziende, società o altri organismi controllali, secondo uno schema comune;

-         l’affiancamento, a fini conoscitivi, al sistema di contabilità finanziaria di un sistema e di schemi di contabilità economico-patrimoniale ispirati a comuni criteri di contabilizzazione;

-         la raccordabilità dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio degli enti territoriali con quelli adottati in ambito europeo ai fini della procedura per i disavanzi eccessivi;

-         la definizione di una tassonomia per la riclassificazione dei dati contabili e di bilancio per le amministrazioni pubbliche tenute al regime di contabilità civilistica, ai fini del raccordo con le regole contabili uniformi;

-         la definizione di un sistema di indicatori di risultato semplici, misurabili e riferiti ai programmi del bilancio, costruiti secondo criteri e metodologie comuni ai diversi enti territoriali;

-         individuazione del termine entro il quale regioni ed enti locali devono comunicare al Governo i propri bilanci preventivi e consuntivi, come approvati, ai fini della perequazione.

[42]   Circolare n. 1 del 15 luglio 1997.

[43]L’Associazione nazionale Direttori generali degli Enti locali (ANDIGEL http://www.direttorigenerali.it/) stima che sui 701 enti che ne hanno facoltà, soltanto 300 utilizzino la figura del Direttore generale e sottolinea la non obbligatorietà dell’utilizzo di tale figura professionale, la cui istituzione è lasciata alla piena disponibilità delle autonomie

[44]   D.Lgs. n. 286/1999, recante “Riordino e potenziamento dei meccanismi e strumenti di monitoraggio e valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati dell'attività svolta dalle amministrazioni pubbliche, a norma dell'articolo 11 della L. 15 marzo 1997, n. 59”.

[45]   “Riordino e potenziamento dei meccanismi e strumenti di monitoraggio e valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati dell'attività svolta dalle amministrazioni pubbliche, a norma dell'articolo 11 della L. 15 marzo 1997, n. 59”.

[46]   “Misure urgenti per la semplificazione dei procedimenti amministrativi e per il miglioramento dell'efficienza delle pubbliche amministrazioni”.

[47]   “Attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni”.

[48]   La Commissione ha il compito di indirizzare, coordinare e sovrintendere all'esercizio indipendente delle funzioni di valutazione, di garantire la trasparenza dei sistemi di valutazione, di assicurare la comparabilità e la visibilità degli indici di andamento gestionale. La Commissione, nel rispetto dell'esercizio e delle responsabilità autonome di valutazione proprie di ogni amministrazione, adotta, tra gli altri compiti, le linee guida per la definizione degli Strumenti per la qualità dei servizi pubblici.

 

[49]   L’articolo 172 del T.U.E.L prevede che al bilancio di previsione siano allegati i seguenti documenti: a) il rendiconto deliberato del penultimo esercizio antecedente quello cui si riferisce il bilancio; b) le risultanze dei rendiconti o conti consolidati delle unioni di comuni, aziende speciali, consorzi, istituzioni, società di capitali costituite per l'esercizio di servizi pubblici, relativi al penultimo esercizio antecedente quello cui il bilancio si riferisce; c) la deliberazione con la quale i comuni verificano la quantità e qualità di aree e fabbricati da destinarsi a residenza, ad attività produttive e terziarie che potranno essere ceduti in proprietà od in diritto di superficie; d) il programma triennale dei lavori pubblici; e) le deliberazioni con le quali sono determinati, per l'esercizio successivo, le tariffe, le aliquote d'imposta e le eventuali maggiori detrazioni, le variazioni dei limiti di reddito per i tributi locali e per i servizi locali; f) la tabella relativa ai parametri di riscontro della situazione di deficitarietà strutturale dell’ente.

[50] Al quale si rinvia per l’esame degli interventi normativi più recenti in materia di comunità montane.

[51] Al quale si rinvia per l’esame degli interventi normativi più recenti in materia di comunità montane.

[52]   Recante “Attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni”. In particolare, l’articolo 16, comma 2, specifica che le regioni e gli enti locali sono tenuti ad adeguare i propri ordinamenti ai principi contenuti negli articoli3, 4, 5, comma 2, 7, 9 e 15, comma 1.

[53]   “Riordino della finanza degli enti territoriali, a norma dell'articolo 4 della L. 23 ottobre 1992, n. 421”.

[54]   Sulle regole di stesura tecnica dei testi (cosiddetto drafting) la Circolare delPresidente della Camera sulle regole e raccomandazioni per la formulazione tecnica dei testi legislativi del 20 aprile 2001, stabilisce che la cosiddetta formula abrogativa esplicita innominata (del genere: "tutte le disposizioni incompatibili con la presente legge sono abrogate") non va utilizzata poiché superflua, essendo una inutile e, al limite, equivoca ripetizione del principio stabilito, in via generale, sulla abrogazione implicita dall’articolo 15 delle disposizioni sulla legge in generale.

[55]   Ad esempio, mentre il provvedimento in esame, all’art. 18, comma 6, abroga il comma 5 dell’art. 17 TUEL, il d.l. 2/2010, nel testo varato dalla I Commissione per l’esame in Assemblea, nonché nel testo dell’emendamento Dis. 1.1 Governo interamente sostitutivo, ne dispone espressamente il mantenimento in vigore. Inoltre, all’art. 19, in tema di consorzi, se ne prevede la soppressione a decorrere dal 365° giorno dall’entrata in vigore, ma, a quella data, si sarà già verificato l’effetto soppressivo previsto dall’art. 1, co.2, del d.l. n.2/2010.

[56]   I riferimenti normativi sono i seguenti: Friuli-Venezia Giulia: L.cost. 1/1963 (Statuto) art. 4; DPR 114/1965 art. 8; D.Lgs. 9/1997; Valle d’Aosta: L.cost. 4/1948 (Statuto) artt. 2-3, D.Lgs. 431/1989 D.Lgs. 282/1992, Trentino-Alto Adige: DPR 670/1972 (Statuto) artt. 4, 8, 80; DPR 473/1975, D.Lgs. 268/1992. Sardegna: L.cost. 3/1948 art. 3. Sicilia: R.D.Lgs. art. 15.

[57]   A titolo esemplificativo si vedano le sentenze n. 326/2008 in materia di organizzazione degli uffici regionali e degli enti locali, e n. 110/2007 in materia di tutela della salute.