Allegato A
Seduta n. 150 del 2/5/2007

DISEGNO DI LEGGE: S. 1411 - CONVERSIONE IN LEGGE, CON MODIFICAZIONI, DEL DECRETO-LEGGE 20 MARZO 2007, N. 23, RECANTE DISPOSIZIONI URGENTI PER IL RIPIANO SELETTIVO DEI DISAVANZI PREGRESSI NEL SETTORE SANITARIO (APPROVATO DAL SENATO) (A.C. 2534)

(A.C. 2534 - Sezione 1)

QUESTIONI PREGIUDIZIALI

La Camera,
premesso che:
il provvedimento in esame presenta numerosi profili di illegittimità costituzionale che possono essere così riassunti:
violazione del principio di eguaglianza (articolo 3 della Costituzione): lo stesso titolo del decreto-legge in esame, dedicato al «ripiano selettivo» dei disavanzi sanitari pregressi, testimonia l'esistenza di una palese discriminazione tra le numerose regioni che hanno cumulato disavanzi nel periodo 2002-2005. La discriminazione, nel merito, è fondata sul fatto che solo alcune regioni, quelle più inefficienti e meno capaci, sono ammesse ad accedere ai finanziamenti straordinari statali. Conseguentemente, si profila una doppia violazione dell'articolo 3 della Costituzione, sia sotto il profilo dell'eguaglianza formale (per cui tutte le regioni sono uguali innanzi alla legge), sia sotto il profilo della ragionevolezza (per cui è manifestamente irragionevole il criterio selettivo utilizzato per regolare l'accesso delle regioni in disavanzo ai 3 miliardi di euro complessivamente disponibili);
violazione dei requisiti di straordinaria necessità ed urgenza (articolo 77 della Costituzione): come noto, la Costituzione prevede che possano essere adottati dal Governo decreti-legge solo nei casi di straordinaria necessità ed urgenza. Nel caso in esame, trattandosi del ripiano selettivo di disavanzi risalenti al periodo 2002-2005, non si ravvisano le condizioni per il ricorso allo strumento della decretazione d'urgenza;
violazione del principio del buon andamento della pubblica amministrazione (articolo 97 della Costituzione): le regioni, in quanto pubblici uffici, sono chiamate costituzionalmente ad assicurare il buon andamento dell'amministrazione, ovvero a garantire che l'attività amministrativa sia svolta secondo criteri di economicità, efficienza ed efficacia. Tale obbligo assume un peculiare rilievo nel settore sanitario, che come noto impegna circa l'80 per cento dei bilanci regionali. Il provvedimento in esame, in quanto finalizzato a sanare l'inefficienza cronica di alcune regioni, rappresenta un'evidente negazione del principio costituzionale in titolo, disincentivando per il futuro anche le altre regioni, cosiddette «virtuose», dal perseguimento dell'obiettivo del buon andamento dell'amministrazione;
violazione dei principi di riparto della potestà legislativa (articolo 117 della Costituzione): come noto, l'articolo 117 della Costituzione, come riformulato dalla

legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, ha incluso, al terzo comma, la «tutela della salute» tra le materie di legislazione concorrente, riservando allo Stato una competenza esclusiva sulla sola «determinazione» dei livelli essenziali di assistenza (che di per sé non legittima lo Stato ad alcun intervento di dettaglio sull'organizzazione o erogazione di tali livelli essenziali di assistenza). Anticipando tale riparto costituzionale di competenze, l'articolo 8 del decreto legislativo 18 febbraio 2000, n. 56, sopprimendo il tradizionale Fondo sanitario nazionale, a destinazione vincolata, ha eliminato nei confronti delle regioni il previgente vincolo di destinazione nei confronti delle risorse ad esse assegnate per il finanziamento dei livelli essenziali di assistenza. Nel nuovo assetto costituzionale, si ritiene conseguentemente preclusa per lo Stato la possibilità di attribuire alle regioni in una materia di legislazione concorrente finanziamenti a destinazione vincolata, come i 3 miliardi oggetto di riparto nel decreto-legge in esame. Come affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza 29 dicembre 2004, n. 423, infatti, «non sono consentiti finanziamenti a destinazione vincolata, in materie e funzioni la cui disciplina spetti alla legge regionale, siano esse rientranti nella competenza esclusiva delle Regioni ovvero in quella concorrente, pur nel rispetto, per quest'ultima, dei principi fondamentali fissati con legge statale [...] ove non fossero osservati tali limiti e criteri, il ricorso a finanziamenti ad hoc rischierebbe di divenire uno strumento indiretto, ma pervasivo, di ingerenza dello Stato nell'esercizio delle funzioni delle Regioni e degli enti locali, nonché di sovrapposizione di politiche e di indirizzi governati centralmente a quelli legittimamente decisi dalle Regioni negli ambiti materiali di propria competenza»;
violazione del principio dell'autonomia e responsabilità finanziaria regionale (articolo 119 della Costituzione): lo straordinario intervento statale di ripiano dei disavanzi sanitari di cui al decreto-legge in esame si pone palesemente in contrasto con i principi sull'autonomia e sulla responsabilità finanziaria di ciascuna regione. In particolare, si evidenzia come l'intervento in titolo non potrebbe trovare giustificazione nel quinto comma dell'articolo 119 della Costituzione che prevede la possibilità che lo Stato destini risorse aggiuntive ed effettui interventi speciali in favore di determinate regioni solo «per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni»; è evidente, infatti, che i tre miliardi stanziati dal decreto-legge in esame sono finalizzati esclusivamente a consentire alle regioni di ottemperare al normale esercizio delle loro funzioni, ovviando alle diffuse inefficienze ed incapacità gestionali. Per altro verso, si sottolinea che l'articolo 119, sesto comma, della Costituzione stabilisce che le regioni possono ricorrere all'indebitamento solo per spese di investimento, sicché neanche sotto questo profilo potrebbe trovare legittimazione l'intervento in titolo;
violazione del principio di leale collaborazione (articolo 120 della Costituzione): l'esplicitazione, nel nuovo titolo V della Costituzione come riformato nel 2001, del principio di leale collaborazione tra gli enti territoriali ha accompagnato il consolidarsi nel settore sanitario di un nuovo spirito cooperativo incentrato sulla stipula periodica di «patti di stabilità» tra lo Stato e le regioni per la fissazione del fabbisogno sanitario ed il riparto delle risorse disponibili. Il provvedimento in titolo, ponendosi come intervento unilaterale dello Stato in un settore che invece dovrebbe essere oggetto di preventiva intesa con le regioni, rappresenta una palese violazione di tale principio costituzionale di leale collaborazione. Tale rilievo trova un'indiretta ed implicita conferma nella reiterata opposizione (conclusasi con l'espressione di una intesa solo «tecnica») che alcune regioni del

Nord hanno espresso in Conferenza Stato-regioni nei confronti del decreto-legge in esame,

delibera

di non procedere all'esame del disegno di legge n. 2534.
n. 1. Garavaglia, Filippi, Montani, Maroni.

La Camera,
premesso che:
numerose sono le ragioni ostative di merito che impongono di non procedere all'esame del provvedimento in titolo; in particolare si osserva che:
il provvedimento in esame rappresenta una palese violazione del principio di autonomia e responsabilità di ciascuna regione nel finanziamento del servizio sanitario come disciplinato nella più recente legislazione di settore: la riforma del sistema di finanziamento della sanità operata con il decreto legislativo18 febbraio 2000, n. 56, e la contestuale riforma del titolo V della Costituzione hanno, infatti, contribuito a modificare in modo sostanziale il sistema di rapporti Stato-regioni nella gestione del servizio sanitario nel senso della netta suddivisione di oneri e responsabilità. Tale principio, che è alla base della stessa stipula dei «patti di stabilità» sanitari tra lo Stato e le regioni, trova un esplicito riconoscimento legislativo nel decreto-legge 18 settembre 2001, n. 347, convertito, con modificazioni, dalla legge 16 novembre 2001, n. 405, che sancisce la responsabilità delle regioni sulla copertura degli eventuali disavanzi di gestione nel settore sanitario. Tale principio, cui il decreto in esame esplicitamente deroga, rappresenta una sorta di criterio fondamentale di riferimento che non può essere reiteramente disapplicato, pena lo stravolgimento del complessivo equilibrio di rapporti Stato-regioni nel settore sanitario;
quanto affermato al punto precedente consente di ritenere che la nuova operazione statale di ripiano del disavanzo rappresenti un vulnus insanabile al nuovo Patto per la salute, siglato il 28 settembre 2006 tra il Governo e le regioni e province autonome, che al punto 1) sancisce esplicitamente che alla disponibilità finanziaria messa a disposizione dallo stato dovrà corrispondere «un'assunzione di autonomia ed inderogabile responsabilità di bilancio da parte delle Regioni sia nell'utilizzo di eventuali maggiori risorse liberate da efficientamenti del sistema sanitario regionale sia nell'adozione di misure di ripiano di disavanzi». L'unica deroga a tale principio è individuata al punto 3) nell'istituzione del Fondo transitorio per le regioni in difficoltà, previsto dalla legge finanziaria 2007;
il nuovo intervento di ripiano statale finisce per far pagare per la terza volta allo Stato i disavanzi sanitari regionali: si ricorda, infatti, che un primo intervento straordinario di ripiano era stato disposto dalla legge finanziaria 2006 che ha stanziato 2.000 milioni di euro per il 2006 per la copertura dei disavanzi pregressi del Servizio sanitario nazionale relativamente agli anni 2002, 2003 e 2004, da ripartire tra tutte le regioni sulla base del numero dei residenti subordinatamente alla stipula di un'intesa Stato-regioni per il contenimento delle liste di attesa; a questo intervento si aggiunge il Fondo transitorio istituito dalla legge finanziaria 2007, rivolto alle regioni che presentano un disavanzo pari o superiore al 7 per cento nell'anno precedente e/o nelle quali sia scattata l'applicazione ai massimi livelli delle addizionali ed aliquote regionali. Ne consegue un'evidente sovrapposizione di operazioni statali di ripiano, destinate indubbiamente a scoraggiare l'effettivo risanamento dei conti regionali e ad indebolire anche le aspettative delle regioni «virtuose» circa la serietà del Patto stipulato con lo Stato;
oltre al già richiamato decreto-legge n. 347 del 2001, anche le successive

leggi finanziarie hanno introdotto specifiche procedure per vincolare le regioni al rispetto dell'equilibrio di bilancio; in particolare, si segnalano l'articolo 1, comma 174, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, sull'intervento sostitutivo del Presidente della regione in qualità di commissario ad acta nel caso di reiterato inadempimento regionale rispetto alla copertura dei disavanzi della spesa sanitaria, e l'articolo 1, comma 180, della medesima legge n. 311 del 2004 sulla stipula di un accordo Stato-regione per il rientro dalla situazione debitoria;
è politicamente inaccettabile che l'accesso ai tre miliardi di euro disponibili sia stato riservato solo ad alcune regioni, quelle meno virtuose, mentre le altre regioni, non avendo cumulato disavanzi o avendo provveduto tempestivamente con risorse proprie al ripiano dei medesimi, si vedono doppiamente danneggiate dal provvedimento in esame;
l'intervento statale di ripiano dei disavanzi in titolo - pur presentato come «straordinario» - rischia di disincentivare i comportamenti virtuosi regionali, costituendo un precedente che le regioni, per far fronte a nuovi disavanzi futuri, potrebbero agevolmente appellare per conseguire dallo Stato un aiuto eccezionale;
è politicamente inaccettabile che lo Stato rinvenga tempestivamente 3 miliardi di euro per ripianare i disavanzi pregressi delle regioni meno virtuose, mentre da oltre tre mesi continua a rimanere in vigore l'iniquo ticket di 10 euro a ricetta sulle prestazioni diagnostiche e specialistiche, perché lo Stato - apparentemente - non riesce a trovare gli 811 milioni di euro necessari per la sua soppressione;
non si condivide la scelta di non prevedere la percentuale minima delle ulteriori risorse che, ai sensi dell'articolo 1, comma 2, del decreto-legge in esame, devono essere destinate alla sanità (in via aggiuntiva rispetto all'innalzamento delle addizionali IRPEF ed aliquote IRAP ai massimi livelli) per le regioni che accedono al riparto dei nuovi 3 miliardi di euro; senza tale precisazione, è infatti evidente che - per assurdo - potrebbero accedere al finanziamento straordinario statale anche regioni che pur presentando ingenti disavanzi ricorrono in minima percentuale all'innalzamento della leva fiscale;
tra i criteri di riparto si contesta la decisione di indicare anche l'ammontare dei debiti al 31 dicembre 2005: se, infatti, può sembrare logico che le risorse disponibili siano ripartite tra le regioni in base all'entità del relativo disavanzo, in termini politici si ribadisce che tale misura si traduce in un disincentivo all'efficienza e al risanamento delle cause strutturali del disavanzo; per queste ragioni, si ritiene assolutamente più costruttivo che le risorse disponibili siano ripartite tra le regioni in disavanzo sulla base del criterio della quota capitaria ponderata, che è quello di regola impiegato per il riparto degli ordinari trasferimenti del Servizio sanitario nazionale;
emerge il dubbio che i criteri di riparto di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto-legge in esame siano stati «studiati a tavolino» al fine di garantire alla Regione Lazio una quota di risorse statali pari addirittura a 2,3 miliardi di euro (pari a circa il 70 per cento delle risorse complessivamente disponibili): si evidenzia, infatti, che il Piano di rientro che la regione ha stipulato con il Governo già prevede di coprire 2,3 miliardi di disavanzo con il ricorso a «provvedimenti legislativi nazionali». È tuttavia evidente che il Governo non potrebbe, legittimamente, approvare un piano di rientro regionale che si affida per la copertura di una parte ingente del disavanzo ad un provvedimento che ancora deve compiere il suo iter in Parlamento;
il piano di rientro del Lazio, in aggiunta ai 2,3 miliardi che si prevede di conseguire dallo Stato, intende coprire 5,8 miliardi di disavanzo attraverso il ricorso ad un'anticipazione statale - da restituirsi in un arco di tempo trentennale - che di fatto non è altro che un mutuo mascherato contrario ai principi di cui all'articolo 119 della Costituzione;

è politicamente e costituzionalmente inammissibile che l'intera collettività sia chiamata a coprire il costo dell'inefficienza gestionale di alcune amministrazioni regionali che, per ragioni meramente demagogiche, persistono nella scelta di non introdurre i ticket sui farmaci (mentre è noto che la spesa farmaceutica rappresenta per alcune regioni la principale fonte dello sfondamento),

delibera

di non procedere all'esame del disegno di legge n. 2534.
n. 2. Filippi, Montani, Garavaglia, Maroni.

La Camera,
premesso che:
il decreto-legge in esame presenta diversi vizi sia di natura costituzionale sia di merito e, precisamente:
a) violazione evidente dei requisiti di straordinaria necessità e urgenza tassativamente previsti dall'articolo 77, secondo comma, della Costituzione, come presupposto indispensabile per l'emanazione di decreti-legge. Questo perché il provvedimento si riferisce al ripiano selettivo dei disavanzi del Servizio sanitario di alcune regioni, relativi al periodo 2001-2005 e quindi riguarda un periodo di tempo conclusosi da quasi un anno e mezzo, per cui sicuramente non ci sono le condizioni per il ricorso alla decretazione d'urgenza e il problema poteva essere affrontato con un disegno di legge ordinario;
b) violazione dell'articolo 3 della Costituzione in quanto l'erogazione straordinaria di ingenti fondi per ripianare il disavanzo sanitario pregresso di alcune regioni si configura come discriminatorio nei confronti delle regioni «virtuose» e dei cittadini in esse residenti, i quali si trovano ad usufruire di minori fondi statali per il Servizio sanitario rispetto ai cittadini residenti nelle regioni «non virtuose»;
c) violazione sostanziale dell'articolo 97 della Costituzione, che impone il principio del buon andamento delle amministrazioni pubbliche in quanto si privilegiano le regioni che hanno amministrato il Servizio sanitario con minore efficienza;
d) violazione sostanziale dell'articolo 81 della Costituzione in quanto la copertura finanziaria del provvedimento è solo formale e non sostanziale e tra l'altro utilizza, per il ripiano di un debito corrente, accantonamenti inseriti nell'unità previsionale di base di conto capitale del Fondo speciale del Ministero dell'economia e delle finanze e questo rappresenta un obiettivo «degrado» della spesa pubblica;
e) violazione di quanto previsto dal comma 4 dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007) che prescrive che le maggiori entrate che si realizzano nel 2007 siano destinate prioritariamente a conseguire gli obiettivi di riduzione dell'indebitamento netto della pubblica amministrazione e, in quanto eccedenti rispetto a tali obiettivi, a riduzione della pressione fiscale; ora invece ben 3 miliardi di euro di maggiori entrate rispetto alle previsioni per il 2007 saranno destinati da questo provvedimento al ripiano selettivo dei disavanzi sanitari delle regioni,

delibera

di non procedere all'esame del disegno di legge n. 2534.
n. 3. Leone.