Allegato B
Seduta n. 122 dell'8/3/2007

TESTO AGGIORNATO AL 15 GENNAIO 2008

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POLITICHE AGRICOLE, ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:

LION. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
le norme aventi carattere di principio fondamentale in materia di prelievo nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari, sono dettate dal Regolamento (CE), n. 1788/2003 e dal corrispondente regolamento di applicazione, Reg. (CE), n. 595/2004. Tale normativa ha sostituito, abrogandolo, il precedente Regolamento (CEE) n. 3950/92 e successive modificazioni, di cui ha mantenuto le disposizioni di base a carattere generale e quelle applicative di ordine particolare;
l'obiettivo perseguito dal citato regime comunitario del prelievo supplementare è quello di ridurre il divario tra l'offerta e la domanda nel mercato del latte e dei prodotti lattiero-caseari, al fine di limitare le eccedenze strutturali e conseguire un migliore equilibrio del mercato;
per conseguire tale obiettivo, la regolamentazione comunitaria ha assegnato

ad ogni Stato membro un quantitativo massimo garantito di latte commercializzabile (QGC). In caso di superamento di tale QGC, gli Stati interessati hanno l'obbligo di versare l'importo del relativo prelievo, calcolato sulla produzione eccedente il QGG, al Fondo Europeo di Garanzia e di Orientamento Agricolo;
il quantitativo garantito dello Stato membro (QGC), è assegnato, previa pertinente ripartizione, ai singoli produttori, così che ciascun produttore disponga di un quantitativo individuale, detto «quota-latte»;
come sopra evidenziato, nell'ipotesi in cui il latte commercializzato in uno Stato superi il QGG assegnato a tale Stato, l'onere di concorrere al versamento del prelievo supplementare grava su tutti quei produttori che hanno consegnato quantitativi di latte in esubero rispetto a quelli disponibili ai sensi della propria quota-latte;
il fatto generatore del prelievo è la commercializzazione annuale del latte che supera una determinata quota disponibile. Trattasi pertanto di una misura dissuasiva che colpisce la commercializzazione del latte, non la produzione dello stesso;
per «commercializzazione» il regolamento intende anche le vendite dirette, ossia le cessioni di latte o di prodotti lattiero caseari, effettuate direttamente dal produttore all'utilizzatore;
nelle vendite dirette, ai fini dell'applicazione della normativa comunitaria, occorre calcolare «l'equivalente latte» contenuto nei prodotti caseari commercializzati; infatti, a tale scopo sono previsti dei coefficienti di conversione, finalizzati ad individuare la corrispondenza-latte presente nei singoli prodotti che sono stati commercializzati dal produttore nel corso di una campagna lattiera (1o aprile-31 marzo);
si sottolinea che si tratta di «equivalente-latte» commercializzato e non di latte prodotto, perché, lo si ribadisce, l'eventuale prelievo si determina esclusivamente in presenza di un'eccedenza dell'«equivalente-latte», rispetto alla «quota-latte» (calcolato sui prodotti caseari commercializzati);
la normativa comunitaria prevede che al termine di ciascun periodo di riferimento, nell'ipotesi in cui il latte commercializzato in uno Stato membro superi il quantitativo nazionale garantito assegnato a tale Stato, i produttori che hanno contribuito a tale superamento, versino il prelievo relativo alle consegne. In questa ipotesi, l'articolo 10, comma 3, del Regolamento (CE) n. 1788/2003, prevede che in base alla decisione dello Stato membro, il contributo dei produttori al pagamento del prelievo dovuto è stabilito (previa riassegnazione o meno della parte inutilizzata del quantitativo di riferimento nazionale destinato alle consegne), proporzionalmente ai quantitativi di riferimento individuali a disposizione di ciascun produttore o secondo criteri obiettivi che devono essere fissati dagli Stati membri:
a) a livello nazionale in base al superamento del quantitativo di riferimento a disposizione di ciascun produttore;
b) oppure in un primo tempo a livello dell'acquirente e successivamente, se del caso, a livello nazionale;
la normativa comunitaria riconosce, allo Stato interessato dall'obbligo di dover pagare l'importo del prelievo, la facoltà di procedere, prima di calcolare l'importo dovuto dai singoli produttori, ad una preventiva perequazione interna, consistente nel riassegnare ai produttori in esubero, una parte di quelle quote che eventualmente altri produttori non hanno utilizzato nel corso del medesimo periodo di riferimento;
il procedimento di perequazione finale è applicabile anche ai produttori operanti in regime di «vendite dirette». In quest'ultimo caso, l'importo dovuto dai produttori che superano la propria quota è calcolato con riferimento all'eccedenza di «equivalente-latte» (ricavato dall'applicazione

dei coefficienti di conversione relativi ai singoli prodotti caseari commercializzati), rispetto alla «quota-latte» assegnata al singolo produttore;
il Regolamento contiene altresì anche una norma relativa alle trattenute periodiche, prevedendo che uno Stato membro possa decidere che l'acquirente trattenga a titolo di anticipo sul contributo del produttore al prelievo, secondo modalità determinate dallo Stato membro, una parte del prezzo del latte su ogni consegna di tale produttore che supera il quantitativo di riferimento di cui dispone per le consegne;
tale previsione, di natura facoltativa, consente all'acquirente di trattenere una parte dell'importo del prelievo dovuto, allo scopo definito anticipo, che dovrebbe essere computato sul corrispettivo realizzato dal produttore al momento in cui vende il suo latte. Trattasi di una porzione dell'importo del prelievo e non di tutto il prelievo, e ad ogni modo si deve trattenere sul ricavo effettivamente conseguito e non sulla base di una cifra meramente calcolata;
al termine di ciascun periodo di riferimento, in virtù di possibili produttori che non abbiano utilizzato e quindi commercializzato per intero i propri quantitativi disponibili, ma anche in applicazione degli anticipi periodici eventualmente incassati, può accadere che l'importo del prelievo totalmente riscosso sia superiore a quello effettivamente dovuto. In questo caso la normativa comunitaria, ai sensi dell'articolo 13, del Reg. (CE), n. 1788/2003, dispone che qualora, per le consegne o le vendite dirette, il prelievo sia dovuto e il contributo riscosso dai produttori sia superiore al prelievo, gli Stati membri possano:
a) destinare in tutto o in parte l'eccedenza riscossa al finanziamento delle misure specifiche di trasferimento, e/o;
b) ridistribuirlo in tutto o in parte ai produttori che rientrano in categorie prioritarie stabilite dallo Stato membro in base a criteri obiettivi e a un termine da determinarsi o che sono confrontati ad una situazione eccezionale risultante da una disposizione nazionale non avente alcun nesso con il regime;
l'interrogante ritiene che malgrado la presenza di una normativa comunitaria come quella sopra richiamata (chiara ed univoca), lo Stato italiano abbia adottato un ordinamento discendente, (soprattutto per quanto riguarda il settore dell'applicazione amministrativa del regime delle quote), non altrettanto soddisfacente e funzionale; con il fondato dubbio che il predetto ordinamento nazionale sia pienamente corrispondente alle preordinante disposizioni comunitarie;
si ritiene che almeno su tre aspetti determinanti le norme nazionali in materia di quote-latte contrastino palesemente con la prevalente regolamentazione comunitaria;
nel merito, la legislazione nazionale in materia di prelievo supplementare sul latte e sui prodotti lattiero-caseari, è disciplinata al decreto-legge 28 marzo 2003, n. 49, convertito in legge, con modificazioni, dall'articolo 1, della legge 30 maggio 2003, n. 119;
con riferimento alle ipotizzate difformità delle norme italiane rispetto alla disciplina comunitaria, un primo aspetto concerne l'applicazione delle trattenute periodiche; infatti, l'articolo 11 del Regolamento (CE), n. 1788/2003, prevede per l'acquirente la facoltà di trattenere una quantità limitata dell'importo del prelievo dovuto, allo scopo definito «anticipo», da detrarre sul ricavato che consegue il produttore che supera il proprio quantitativo di riferimento, al momento in cui vende il suo latte;
contrariamente alla disposizione comunitaria, la norma italiana prevede che gli acquirenti, entro il mese successivo a quello di riferimento, debbano trattenere il prelievo supplementare (calcolato in base al disposto dell'articolo 1 del regolamento n. 3950/92/CEE, e successive modificazioni),

relativo al latte consegnato in esubero rispetto al quantitativo individuale di riferimento assegnato ai singoli conferenti, tenendo conto delle variazioni intervenute in corso di periodo;
appare evidente che la disposizione nazionale assume un carattere di obbligo, e non di facoltà, e soprattutto non determina un anticipo proporzionale al ricavo conseguito, ma una trattenuta avulsa dal prezzo pagato al produttore e corrispondente al valore formale previsto dalla regola generale di cui al regolamento comunitario;
stanti i prezzi a cui oggi è pagato il latte ai produttori, spesso anche inferiore al valore cui è fissato il prelievo unitario, ed in presenza di costi alla stalla cresciuti oltre ogni limite, nella maggior parte dei casi la trattenuta mensile prevista dal nostro sistema di gestione del regime delle quote latte si trasforma quasi in un esproprio del reddito agricolo correlato alla produzione lattiera, e non certamente in una misura dissuasiva di carattere afflittivo come teorizzato dal «regime delle quote-latte»;
un secondo elemento di criticità è rappresentato dalla perequazione di fine periodo; infatti, anche in questo caso la normativa nazionale non trova alcuna corrispondenza con la preordinante regolamentazione comunitaria. L'articolo 9 del decreto-legge n. 49 del 2003 nel testo convertito dalla legge n. 119 del 2003, intitolato «Restituzione del prelievo pagato in eccesso», sembra richiamare l'articolo 13, del Reg. (CE), n. 1788/2003 (che come sopra evidenziato disciplina gli «importi pagati in eccesso o non pagati»). Ma così non è, infatti, la disposizione italiana prevede che l'autorità competente, AGEA:
1) calcoli l'ammontare del prelievo imputato in eccesso;
2) lo decurti di un importo pertinentemente accantonato;
3) ripartisca il valore della differenza tra i produttori titolari di quota che hanno versato il prelievo, secondo priorità opportunamente enumerate;
è evidente che tale disposizione risulta essere un insieme di due distinte e separate previsioni comunitarie, ossia quella di cui all'articolo 10, comma 3 del regolamento (CE) n. 1788/2003, relativa alla riassegnazione preliminare di fine periodo delle quote non utilizzate nell'anno di riferimento, e quella di cui all'articolo 13, dello stesso regolamento, relativa alla ridistribuzione delle riscossioni risultate superiori all'importo effettivamente dovuto;
ciò che secondo l'interrogante rende evidentemente contraria al diritto comunitario la disposizione contenuta nel decreto-legge n. 49 del 2003, come convertito in legge dalla legge n. 119 del 2003, è che non ridistribuisce l'importo del prelievo realmente riscosso, bensì il valore di quello calcolato (imputato);
si evidenzia che a «fine periodo» raramente è disponibile in cassa l'importo del prelievo accertato, pertanto non si hanno le somme corrispondenti al prelievo imputato; conseguentemente in Italia la disposizione comunitaria della ridistribuzione del prelievo riscosso in eccesso, non troverebbe mai applicazione;
invece, procedendo con una ripartizione prioritaria basata sugli importi calcolati, oltre ad effettuare un procedimento non previsto dalla normativa ascendente, si provoca una chiara discriminazione tra produttori che si trovano nelle medesime condizioni di esubero commerciale, con una disparità di trattamento consistente in una emissione di provvedimenti diversi in relazione a situazioni praticamente identiche;
secondo l'interrogante la procedura nazionale della ripartizione dissimula una deduzione fiscale degli oneri comunitari, altrimenti necessitante di una norma di specifica applicazione del principio costituzionale della progressività e della capacità contributiva degli interessati. Le priorità secondo cui la normativa nazionale provvede a ripartire le cifre calcolate in eccesso, sono di carattere generale e diffuso e non specifico e puntuale. Esse non

corrispondono a criteri oggettivi misurati caso per caso e secondo le singole situazioni dei produttori ed in tal senso possono privilegiare senza alcuna distinzione intere categorie di produttori, che rientrano in situazioni di priorità meramente amministrativa. A tal proposito, pertanto, non è da escludere che all'interno di queste categorie di priorità vi possano essere aziende assai sviluppate, per le quali la ripartizione potrebbe essere evitata, o imprese che sapendo a priori di poter essere compensate vi si inseriscono solo per questo fine, mentre altri produttori che si trovano in analogo esubero, non rientrando nelle previste priorità di compensazione, devono comunque pagare l'intero prelievo ed anzi i loro esuberi sono necessari per poter effettuare la perequazione in favore dei primi;
è del tutto evidente che se in Italia si applicasse correttamente l'una o l'altra tipologia di perequazione prevista dalla normativa comunitaria (quella della riassegnazione lineare delle quote non utilizzate al termine del periodo di riferimento o quella della riattribuzione del prelievo riscosso in eccesso), vi sarebbe la corretta applicazione del regime ed una reale democraticità nella gestione delle quote, che concorrerebbe a superare molte delle tensioni che travagliano la categoria dei produttori;
anche nel versante delle vendite dirette è possibile riscontrare una grande discordanza tra la regolamentazione comunitaria e le norme nazionali;
risulta all'interrogante che per quanto riguarda le vendite dirette, l'AGEA, avallata da determinate amministrazioni regionali, invece di procedere alla conversione in «equivalente latte» dei prodotti effettivamente commercializzati dai prodotti nel periodo di riferimento, chieda ai produttori di indicare nel modello L1 anche il quantitativo del latte munto nel corso dell'anno (oltre al quantitativo di prodotti caseari venduto) ed utilizzi ai fini del prelievo il dato relativo al latte munto e non l'«equivalente latte»;
in tale circostanza, l'AGEA, soprattutto in materia di formaggi a lunga maturazione, invece che applicare la conversione sulla base dei coefficienti disposti dalla Commissione europea, nella dichiarazione di fine periodo indica il latte prodotto, con ciò applicando il regime del prelievo non al latte commercializzato, ma a quello munto;
giova ricordare che il regime comunitario del prelievo supplementare per le vendite dirette, ha ad oggetto l'«equivalente latte» presente nei prodotti commercializzati e non certo il latte munto; infatti, il latte non commercializzato è estraneo al regime;
per la campagna 2005-2006, l'AGEA ha formalizzato esplicitamente questa incongruenza, infatti, nella Sezione III del modulo di dichiarazione di vendita del latte, alla voce 1, in riferimento ai formaggi a lunga stagionatura ha chiesto di indicare il quantitativo di latte prodotto nella medesima campagna. Alla successiva voce 3, in riferimento al «totale latte utilizzato» per realizzare e vendere più prodotti, ha invece chiesto ai produttori di indicare il quantitativo netto totale di latte trasformato, escludendo le eventuali sovrapposizioni di prodotto;
l'interrogante ritiene che in questo caso, trattandosi di panna, burro e ricotta, sia incongruente far riportare il latte utilizzato per singolo prodotto, in quanto ciascun prodotto deriva in pratica dallo stesso latte iniziale che, durante le diverse fasi di lavorazione, dà origine alla panna, al burro ed al formaggio;
per evitare le discrasie di cui sopra, è doveroso applicare pedissequamente il regolamento comunitario, che impone di trasformare in equivalente latte quei singoli prodotti effettivamente venduti; si deve infatti rilevare che il coefficiente di conversione, basato sul tenore di materia grassa contenuta nei prodotti, rappresenta al meglio quanto latte è occorso per poter ottenere i singoli prodotti caseari;
le scelte procedurali di AGEA, assunte secondo l'interrogante in difformità

alla normativa comunitaria, si rilevano estremamente penalizzanti per i produttori in regime di vendite dirette, dediti alla produzione di formaggi grana (Grana Padano e Parmigiano Reggiano), e conseguentemente di burro e panna che sono i derivati della lavorazione del latte destinato alla realizzazione di formaggi «a pasta dura»;
infatti, attraverso il procedimento consistente nella dichiarazione del latte munto nel periodo di riferimento (invece di quello risultante dalla conversione dei prodotti caseari venduti), i produttori interessati che vendono formaggi stagionati oltre l'anno, si sono visti imputare i prelievi riferiti all'equivalente latte dei prodotti ottenuti con il latte del periodo precedente, a cui si sono sommati i quantitativi indicati ai fini della dichiarazione dei prodotti realizzati nell'anno di cui trattasi. È facile rendersi conto che ci troviamo di fronte ad un caso eclatante e paradossale che, oltretutto, amplifica artificiosamente le capacità produttive delle aziende operanti in vendite dirette;
alcuni produttori (in particolare l'azienda relativa alla partita Iva 00538350349) hanno provveduto a far segnalare tale anomalia all'AGEA, oltre che alla Commissione europea che ha loro dato ragione, anche contestando che i coefficienti utilizzati in Italia per trasformare i prodotti lattiero caseari in «equivalente latte», non erano congruenti con i fatti oggettivi (è stato dimostrato che applicando i coefficienti AGEA la produzione di formaggio realizzata con 100 kg di latte, appare realizzata con circa 150 kg.), ma pur di fronte a queste incongruenze, soprattutto nella campagna 2005-2006, i produttori in «vendite dirette» sono stati sottoposti al «prelievo supplementare», con conseguente iscrizione nei ruoli esattoriali e sequestro dei beni aziendali;
ultima questione che merita di essere indicata è quella relativa ad una particolarità specifica della normativa italiana che non trova riscontro in quella comunitaria; trattasi della previsione contenuta nel comma 2, articolo 9 della legge n. 119 del 2003, secondo cui il 5 per cento di un importo pari a quello del prelievo nazionale debba essere detratto dall'ammontare del prelievo imputato in eccesso, per essere accantonato per eventuali restituzioni successive derivanti dalla soluzione di casi di contenzioso amministrativo e giurisdizionale ed altre circostanze specifiche. Su tale materia, risulta all'interrogante, che l'AGEA, al termine di ogni periodo, calcoli sull'importo del prelievo nazionale dovuto, una cifra pari al 5 per cento di tale importo e la sommi, invece che detrarla, al prelievo nazionale per poi distribuirla sugli importi finali netti, in tal senso introducendo una sorta di tassa a carico di quei soli produttori cui saranno comunicate le somme da pagare e che in più saranno rimasti scoperti dal beneficio dell'eventuale compensazione nazionale -:
se, in ragione delle attente, puntuali e circostanziate considerazioni che sono esposte in premessa in merito alla evidente, se pure presunta, non conformità della normativa italiana in materia di quote latte alla corrispondente regolamentazione europea sul prelievo supplementare nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari, in particolare per quanto riguarda:
1) le non proporzionate trattenute mensili;
2) la sviata compensazione nazionale;
3) le dubbie conversioni e gli aleatori prelievi applicati alle vendite dirette;
4) la surrettizia tassa, sperequativa e aggiuntiva al prelievo, del 5 per cento introdotta dall'amministrazione nazionale,
non ritenga necessario un esame di merito della materia, necessariamente comunicando alla Commissione europea le stesse incongruenze e chiedendo agli uffici comunitari competenti la regolarità e la legittimità delle specifiche disposizioni incriminate;

quali siano le valutazioni e le spiegazioni del Ministero e dell'AGEA in merito a ciascuna questione indicata nel presente atto di sindacato ispettivo;
se con riferimento alla compensazione nazionale effettuata in maniera illogica ed agli importi dei prelievi sulle consegne gravati della maggiorazione, in proporzione al totale, del 5 per cento, non ritenga di disporre una ripetizione di tali operazioni che siano conformi alla regolamentazione principale comunitaria;
se in materia di vendite dirette non intenda accertare da quanto tempo si proceda a sottoporre a prelievo il latte prodotto invece dell'«equivalente-latte» derivante dai prodotti caseari commercializzati, pur in presenza di coefficienti di conversione imprecisi o incompatibili, ed almeno per quanto riguarda il periodo 2005-2006, nei casi in cui ciò sia stato effettuato, se non intenda provvedere affinché l'AGEA revochi le comunicazioni di versamento allo scopo inoltrate.
(5-00812)

CRISAFULLI, LOMAGLIO e BARATELLA. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
gli Ispettorati Provinciali dell'Agricoltura della Regione Sicilia, dopo aver istituito le pratiche relative agli aiuti dei premi comunitari per l'agricoltura biologica, a partire dal mese di agosto 2006 le hanno regolarmente inviate all'Assessorato dell'Agricoltura della Regione Siciliana, il quale, a sua volta, ha proceduto all'invio per via telematica alla sede centrale dell'AGEA (Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura);
l'agenzia, depositaria tramite il SIAN dei finanziamenti, non risulta abbia ancora provveduto ad effettuare i pagamenti in questione nonostante siano trascorsi ormai diversi mesi dall'invio degli elenchi;
va segnalato che nel decennio compreso tra il 1995 e il 2005, detti contributi sono sempre stati erogati rapidamente, entro circa due mesi dal ricevimento degli elenchi da parte dell'AGEA. Accade invece che per quanto riguarda l'anno 2006, l'AGEA abbia bloccato i pagamenti giustificando tale decisione con motivazioni connesse alla indisponibilità delle necessarie risorse finanziarie;
tutto ciò nonostante che la regione siciliana abbia provveduto per tempo ad utilizzare tutti i finanziamenti comunitari disponibili per l'agricoltura biologica, nella misura del 133 per cento del plafond disponibile, pari ad un ammontare complessivo di 75 milioni di euro. A tale proposito è utile ricordare che il contributo dato agli agricoltori per l'agricoltura biologica si compone di una quota nazionale pari al 25 per cento e di una quota comunitaria pari al 75 per cento. Tale seconda quota è stata sempre anticipata, negli anni passati, dallo Stato ed è stata rimborsata dalla Comunità europea a consuntivo -:
cosa intenda fare - in considerazione della difficile situazione in cui si sono venuti a trovare i produttori agricoli, che hanno realizzato investimenti per sviluppare l'agricoltura biologica in Sicilia con risultati eccellenti - il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, per risolvere positivamente tale paradossale situazione prodotta dalla mancata anticipazione dei contributi da parte dello Stato, che peraltro potrebbe configurarsi come infrazione della normativa della stessa Comunità europea.
(5-00820)

COMPAGNON e MARTINELLO. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
il Ministro De Castro ha chiesto alla Commissione europea di prorogare il termine del 31 marzo 2007, data limite oltre la quale dovrebbe cessare il diritto di utilizzare la denominazione «Tocai friulano»;
il Tar del Lazio prima ed il Consiglio di Stato dopo, a seguito di ricorso da parte dell'Avvocatura di Stato, hanno bocciato

l'utilizzo della denominazione «Friulano» come denominazione alternativa in quanto non rappresentativo di tutte le zone di produzione come invece lo era la denominazione «Tocai»;
resta pendente presso la Corte di Giustizia europea la richiesta di revisione del provvedimento di divieto dell'uso del nome «Tocai» in Italia;
nonostante il divieto, dagli Usa, dall'Australia e dall'Argentina vengono commercializzati in tutto il mondo, compresa quindi anche l'Italia, prodotti con la denominazione «Tocai Friulano» -:
se non ritenga, nelle more della decisione della Corte di Giustizia europea, di autorizzare i produttori vinicoli ad utilizzare nelle zone di produzione la denominazione «Tocai» anche per non far danneggiare gli stessi da una concorrenza estera che non ha dei divieti imposti a livello europeo e di attivarsi presso la Commissione europea al fine di permettere il mantenimento della denominazione «Tocai».
(5-00822)

Interrogazione a risposta scritta:

PAOLO RUSSO, FASOLINO e CESARO. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
il grido d'allarme giunge ormai con sempre maggiore frequenza. A circa un anno dalle prime importanti segnalazioni in Italia, il Rhynchophorus ferrugineus si è esteso a macchia di leopardo ed ha già provocato la morte di centinaia di palme;
il punteruolo rosso sembra diffondersi, ormai senza controllo, anche nel nostro Paese, soprattutto nel centro e nel sud;
da allora, e come già avvenuto in ogni paese in cui il Rhynchophorus si sia insediato, l'evoluzione dell'infestazione ha avuto una diffusione di tipo esponenziale. Ciò è da imputarsi sia alle caratteristiche del ciclo vitale di quest'insetto che, avendo come obiettivo il riciclaggio della materia organica, è particolarmente breve e numericamente consistente, sia ad un'istintiva sottovalutazione del problema da parte di vivaisti e Pubbliche Amministrazioni. D'altra parte, la pericolosità del fitofago era già stata evidenziata nelle liste dell'EPPO (European Mediterranean Plant Protection Organization) che lo classificavano al livello «Alert» in relazione al fatto che, nei paesi ove si è acclimatato, le sue infestazioni hanno assunto i connotati di una vera e propria catastrofe provocando la morte di migliaia di esemplari di palme;
considerato il notevole potenziale biotico della specie, nonché i gravissimi danni arrecati alle palme, i focolai riscontrati nelle zone colpite che presentano le stesse caratteristiche riportate dagli autori spagnoli e degli altri Paesi del Bacino mediterraneo interessati al problema (Marocco, Egitto e Israele), confermano la pericolosità del punteruolo. Oggi la Palma delle Canarie rappresenta la specie di palma più diffusa sia nell'ambito del verde urbano, adornando i più significativi giardini storici pubblici e privati delle nostre città, sia tra le ornamentali coltivate in vivaio. Non è superfluo rilevare le implicazioni che nel campo commerciale e paesaggistico un'emergenza di tale portata comporta, con gravi ricadute su alcuni settori dell'economia isolana;
il Punteruolo rosso della Palma è dannoso soprattutto allo stadio di larva che, secondo quanto segnalato in altri paesi, infesta le parti tenere della corona, di numerose specie di palme, soprattutto Phoenix Canariensis, P. dactylifera, P. silvestris e Cocos nucifera. I sintomi iniziali sono a carico delle foglie apicali: vista in lontananza la palma mostra asimmetrie della cima. Nei casi di gravi infestazioni l'intera cima si piega, afflosciandosi sulle foglie inferiori; a distanza la pianta sembra come capitozzata. Da vicino la cima appare fortemente danneggiata e in avanzato stato di marcescenza. A volte, a terra si possono rinvenire foglie con la base interessata da gallerie e rosure, provocate dalle larve del punteruolo, nonché bozzoli, della lunghezza di 4-5 cm e dall'aspetto di

piccole noci di cocco. Con l'intensificarsi dell'attività trofica delle larve, l'intera chioma appare con tutte le foglie ripiegate verso il basso. Le palme in questo stadio d'infestazione sono già irrimediabilmente compromesse. I sintomi dell'infestazione sono tipici della specie e differiscono da quelli attribuibili ad altri litofagi e in particolare al Lepidottero sudamericano Paysandisia archon, presente da qualche anno anche in Italia;
da quando il problema si è spostato dai vivai alle piante da arredo urbano, i Comuni hanno dovuto affrontare una miriade di problemi. Per certi versi, è proprio l'allarme lanciato dai municipi che ha fatto uscire allo scoperto ciò che i vivaisti sapevano già;
naturalmente, la natura del problema a livello pubblico è di tutt'altra natura rispetto a quello a livello vivaistico. L'arredo urbano ha finalità di natura non economica, ma ha un'enorme importanza paesaggistica e, in certi casi piuttosto frequenti, addirittura monumentale. Inoltre, è da sottolineare che, rispetto al vivaio, è praticamente impossibile eseguire trattamenti fitosanitari efficaci in ambiente urbano. Non restano, quindi, che le misure di contenimento e cioè l'individuazione tempestiva di un focolaio di infestazione, l'abbattimento della palma e la sua sicura distruzione. Ed è proprio su queste fasi che i Comuni riscontrano serie difficoltà logistiche. È quasi sempre impossibile eseguire velocemente gli abbattimenti di palme infestate per carenza di risorse umane e di mezzi. A volte, non vi è carenza di uomini e mezzi, ma l'assoluta mancanza degli stessi, così come le risorse finanziarie necessarie ad affidare a privati l'esecuzione delle operazioni. A ciò si aggiunge l'assenza di inceneritori in grado di garantire la sicura distruzione del materiale abbattuto. A questo problema ogni Amministrazione sta rispondendo provando soluzioni originali nella speranza di ottenere risultati apprezzabili come, ad esempio, l'insacchettamento delle palme infestate con reti anti insetto ed il trattamento ripetuto con prodotti fitosanitari ammessi in ambiente urbano lasciando in piedi la pianta, o il taglio e lo sminuzzamento del tronco ed il successivo trattamento con Clorpirifos su camion coperto da inviare alla discarica più vicina. Tutte queste soluzioni non garantiscono la distruzione dell'insetto;
d'altra parte, in ambiente urbano la maggior parte degli esemplari di palme insistono su giardinetti di abitazioni private, ciò significa che è praticamente impossibile individuare l'infestazione se non è il proprietario a farne denuncia. Ed il privato cittadino ha una naturale indisponibilità ad assumersi l'onere dell'abbattimento e della distruzione di palme ricadenti sulle sua proprietà. È per questo che sinora alcuni Comuni hanno ritenuto opportuno, allo scopo di garantire l'efficacia delle misure di contenimento, di assumersi l'onere delle operazioni. Purtroppo si sono verificati casi in cui i cittadini si sono rifiutati di collaborare, ed allora l'assenza di uno strumento legale che consenta di intervenire coattivamente in aree di privati non consenzienti, con uomini e mezzi dell'Amministrazione pubblica, ha creato problemi ancora irrisolti;
le istanze delle Amministrazioni Comunali riguardano la necessità di poter disporre di aiuti economici per fronteggiare la situazione, anche attraverso la richiesta, come già avanzata dai vivaisti, della calamità naturale e l'intervento della Protezione Civile;
è ormai evidente che il canale di trasmissione dell'infestazione è da individuarsi nell'importazione di palme dall'Egitto. D'altra parte è lo stesso canale che ha portato l'infestazione a spostarsi, nell'arco di circa un secolo, dal sud dell'Asia e dalla Melanesia fino alle regione orientali dell'Arabia Saudita, l'Oman, l'Iran, l'Egitto, Israele, la Giordania, la Palestina, la Spagna e, adesso, l'Italia;
negli ultimi mesi alcune regioni hanno imposto la quarantena su tutte le palme importate dall'Egitto. Dagli iniziali 60 giorni, il periodo di quarantena imposto è oggi di almeno 120 giorni, ma si

ritiene di doverlo ulteriormente innalzare fino a 180-210 giorni in attesa del Decreto di Lotta Obbligatoria che il Ministero sta predisponendo e che vieterà del tutto l'importazione di palme dai Paesi inseriti nell'alert list della OEPPO;
i vivaisti, di contro, lamentano le enormi spese che hanno sostenuto nel vano tentativo di contrastare le infestazioni con miscele di prodotti fitosanitari, l'immobilizzazione del capitale per i lunghi periodi di quarantena imposti dal Servizio Fitosanitario, le ingenti perdite economiche dovute alle intercettazioni di palme importate e rispedite ai paesi d'origine per carenze nella documentazione o per la distruzione imposta nei casi di infestazioni evidenti. Oggi, l'istanza del settore è quella di trovare, attraverso la ricerca, prodotti fitosanitari efficaci e di ridurre il più possibile le perdite economiche attraverso la richiesta di aiuti di Stato, come il riconoscimento della calamità naturale;
le più efficaci misure di lotta sono quelle preventive mentre, allo stato attuale, risulta inefficace l'intervento curativo su piante già attaccate. Un ulteriore elemento di difficoltà deriva dalla scarsissima disponibilità di prodotti fitosanitari insetticidi e fungicidi autorizzati per l'impiego in verde urbano e giardini domestici. Il precoce rinvenimento di un attacco di punteruolo, quando ancora il sintomo è iniziale (asimmetrie a carico della cima), può essere utile nel tentativo di isolare il fenomeno e circoscrivere il problema, attraverso l'immediata eliminazione dell'esemplare colpito;
le piante che presentano sintomi anche iniziali di infestazione vanno immediatamente estirpate e incenerite con tutto il materiale di risulta. Le piante contigue vanno sottoposte a misure di profilassi effettuando ripetuti trattamenti localizzati con insetticidi e fungicidi, avendo cura di bagnare a fondo la parte interna della corona apicale (impiego di ugelli a bassa pressione);
nelle piante in buono stato vegetativo e non infestate, sono assolutamente da evitare gli interventi cesori poiché le ferite costituiscono siti preferenziali per l'ovideposizione del fitofago e punti di ingresso di numerosi agenti patogeni;
le eccezionali condizioni meteorologiche di questo anomalo inverno non hanno provocato nessun rallentamento nel ciclo biologico dell'insetto e pervengono continue segnalazioni di nuove infestazioni;
l'entità degli abbattimenti non consente più alle amministrazioni pubbliche di far fronte all'emergenza con proprie risorse umane e di mezzi;
la ricerca non è in grado di avviare significativi progetti di ricerca per mancanza di finanziamenti;
il settore vivaistico sta attraversando un momento di forte stasi nella commercializzazione di palme-:
se non si ritenga, alla luce di quanto in premessa, intervenire attraverso un provvedimento normativo al fine vietare del tutto l'importazione delle palme dai Paesi fonti dell'insorgere del focolaio prevedendo in caso di inosservanza sanzioni amministrative adeguate a fungere da deterrente per eventuali commerci senza scrupoli;
se non si ritenga opportuno prevedere una campagna specifica di prevenzione e disinfestazione delle palme nelle aree pubbliche al fine di contenere ed evitare il propagarsi dell'infestazione;
quali provvedimenti si intendano adottare nello specifico per dotarele amministrazioni locali delle risorse economiche e degli strumenti necessari a combattere il problema rappresentato dall'infestazione di cui in premessa, istituendo, nel caso, anche un'opportuna task force che, operando in sinergia con le amministrazioni locali, possa trovare nell'immediato una pronta soluzione al problema;
se non si ritenga opportuno, vista, l'importanza del problema coinvolgere nella soluzione del problema il Dipartimento della protezione civile;

se non si ritenga opportuno intervenire, di concerto con i Ministeri competenti, adottando provvedimenti e iniziative che consentano di intervenire coattivamente in aree di privati non consenzienti infestate dal punteruolo rosso, con uomini e mezzi dell'Amministrazione pubblica;
se non si intenda provvedere a determinare con opportuno provvedimento lo stato di calamità naturale relativamente alla situazione rappresentata;
quali ulteriori iniziative intenda intraprendere nell'immediato per contrastare un fenomeno che rischia di distruggere un patrimonio naturalistico che in Sicilia riveste un'importanza addirittura monumentale e che minaccia adesso di trasformarsi in una catastrofe ambientale di gravissime proporzioni.
(4-02863)