Allegato A
Seduta n. 122 dell'8/3/2007

(Sezione 13 - Gestione finanziaria del comune di Catania)

O)

I sottoscritti chiedono di interpellare i Ministri dell'interno, dell'economia e delle finanze, per i beni e le attività culturali e per gli affari regionali e le autonomie locali, per sapere - premesso che:
il comune di Catania ormai versa in un grave stato di sostanziale, mai formalmente dichiarato, dissesto finanziario, circostanza avvalorata dalle molte operazioni volte a far cassa e dal fatto che ormai da diversi anni l'amministrazione non solo non riesce a pagare puntualmente i fornitori con le inevitabili conseguenze sulla qualità dei servizi erogati, se non sul mantenimento degli stessi, ma già da qualche mese denuncia sensibili ritardi persino nel pagamento degli stipendi dei dipendenti comunali;
negli ultimi anni l'amministrazione comunale di Catania, per rimediare a questa situazione di grave dissesto, causata da una pessima amministrazione e da un ricorso massiccio, ingiustificato, che in un caso ha prodotto l'incriminazione del sindaco, allo strumento delle consulenze, si è vieppiù indebitata attraverso l'accensione di un'abnorme quantità di mutui, comunque ai limiti consentiti dalla legge;
l'amministrazione comunale, con deliberazione n. 335 del 2 settembre 2005, a cui allegava un prospetto con stima di valore di ciascun immobile dell'intero patrimonio comunale, autorizzava l'apertura di una linea di credito con la Unicredit banca d'impresa s.p.a l'11 novembre del 2005;
approssimandosi la scadenza triennale che deve vedere in pareggio i bilanci e persistendo, invece, un forte buco di bilancio certificato sino al 2003 in circa 40 milioni di euro, nonostante il divieto di legge, discendente dall'articolo 119 della Costituzione, comma 6, di ricorrere all'indebitamento se non per investimenti, il consiglio comunale «per far cassa», dapprima, con deliberazione n. 66 del 24 ottobre 2006, costituiva la società Catania risorse s.r.l., approvandone il relativo statuto, e successivamente, con deliberazione n. 85 del 30 dicembre 2006, disponeva il trasferimento alla suddetta società da parte del comune di Catania di 14 immobili, alcuni di enorme valore economico e di pregio storico, architettonico e culturale, per ottenere come corrispettivo la liquidità necessaria per far fronte alle esigenze di spesa del comune stesso, somme che la società dovrebbe ottenere attraverso l'ottenimento di mutui (...delibera...autorizzare il trasferimento dal comune di Catania alla società Catania risorse s.r.l. degli immobili...per un prezzo corrispondente a quello indicato nelle relative perizie di stima...Autorizzare altresì il presidente del consiglio di amministrazione della società Catania risorse s.r.l. alla richiesta dei necessari mutui per il finanziamento dell'operazione, dando fin d'ora per rato e valido l'operato del consiglio di amministrazione della suddetta società);
tale operazione, come risulta dal parere del collegio di difesa, e non mediante un'interpretazione allusiva o maligna degli interpellanti, è volta solo a far cassa per annullare il debito 2003, mentre sono ancora da risolversi quelli dei successivi anni;
tra i 14 beni trasferiti a Catania risorse s.r.l. ve ne sono diversi ricadenti nell'elenco della precedente deliberazione alla base della concessione del mutuo da parte di Unicredit e, si ritiene altamente probabile, non ancora liberati;
la deliberazione del consiglio comunale di Catania, tuttavia, si approvava il 30 dicembre 2006, ma il 18 dicembre 2006, dunque ben 12 giorni prima della seduta in questione, il collegio di difesa aveva fatto propria la relazione dell'avvocato professor Vito Branca, che indicava una serie notevole e grave di lacune.

In particolare, ecco i punti su cui era necessario intervenire che meritano di essere segnalati:
a) incongruità della fisionomia societaria (una società a responsabilità limitata, piuttosto che una società per azioni, in grado di assicurare una maggiore capacità economica e finanziaria, un maggiore - ed immediato - livello di controlli, collegio sindacale e revisione contabile) ed una migliore rappresentatività dell'impresa;
b) redazione di un piano strategico pluriennale, di tipo industriale, economico e finanziario;
c) previsione dei requisiti di onorabilità e professionalità delle aziende bancarie per gli amministratori e per i sindaci, nonché di estraneità degli stessi a rapporti di dipendenza con il comune di Catania ovvero con aziende (od enti) dallo stesso comune partecipate;
d) adozione statutaria del codice di autodisciplina (cosiddetto «codice Preda») per le società quotate ed obbligo di istituzione di un ulteriore organismo di controllo, ex decreto legislativo n. 231 del 2001;
e) obbligo per gli amministratori di rendicontazione periodica sulla situazione gestionale, patrimoniale, economica e finanziaria della società;
f) obbligo di avvalersi, per le valutazioni del patrimonio immobiliare gestito o da gestire, degli uffici dell'amministrazione finanziaria dello Stato;
g) obbligo di avvalersi di advisor di elevata professionalità, da reperirsi mediante procedure di evidenza pubblica, per le attività finanziarie di natura straordinaria e per le attività di dismissione degli immobili del comune di Catania;
ha osservato, inoltre, il collegio di difesa che non appare coerente con un'ordinaria logica di impresa la previsione statutaria (articolo 3) che la società sia, in tale ambito, priva di qualsiasi autonomia gestionale, laddove ogni atto di disposizione relativo agli immobili del comune di Catania deve essere preceduto da una specifica delibera del consiglio comunale di Catania;
nonostante tali gravi osservazioni, non si diede luogo al loro accoglimento e, tra l'altro, continua sino ad oggi a mancare il piano industriale;
il presidente del consiglio di amministrazione è il segretario generale del comune (in barba alla richiesta estraneità degli amministratori della società rispetto al comune di Catania!); è stato disatteso l'obbligo di avvalersi per la valutazione del patrimonio immobiliare degli uffici dell'amministrazione finanziaria dello Stato (ma su questo specifico punto vedi infra);
le attività di alienazione del patrimonio immobiliare dei comuni sono disciplinate dall'articolo 12, comma 2, della legge 15 maggio 1997, n. 127, recepito senza alcuna modifica dalla legge regionale 7 settembre 1998, n. 23, che, al fine di assicurare criteri di trasparenza ed adeguate forme di pubblicità per acquisire e valutare concorrenti proposte di acquisto, dispone l'adozione di un apposito regolamento da parte dell'ente interessato, di cui sino ad oggi il comune di Catania è privo e gli amministratori continuano a non porre all'ordine del giorno l'esigenza di dotarsi di tale disciplina;
fatto increscioso e grave è che tale parere, pronunciato in presenza del sindaco e del vicesegretario generale, incredibilmente non è stato portato a conoscenza del consiglio comunale, inficiandone, secondo gli interpellanti, la linearità e la trasparenza del processo di formazione della volontà dietro il preciso e irrilevante appunto burocratico della mancata approvazione del processo verbale, intervenuta singolarmente soltanto nel mese di gennaio 2007 dinanzi a un caso di cui il sindaco aveva esplicitamente dichiarato la massima urgenza;
in data 23 dicembre 2005, con protocollo generale del comune di Catania n. 9508 del 17 gennaio 2005, la soprintendenza per i beni culturali ed ambientali di Catania emanava una nota, con la quale, dinanzi alle notizie di stampa relative all'elenco di immobili comunali da

alienare, precisava che il decreto-legislativo n. 42 del 2004, nel richiamare l'articolo 822 del codice civile, annovera tra i beni appartenenti al demanio pubblico quei beni, seppur appartenenti ad enti pubblici territoriali, che siano riconosciuti di interesse storico e artistico. Pertanto, detti beni sono inalienabili ed indisponibili. Il testo unico sui beni culturali definisce il demanio culturale all'articolo 53 e all'articolo 54 (beni inalienabili), comma 3, e precisa che essi possono essere oggetto di trasferimento solo tra lo Stato, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali. L'articolo 55, comma 3, dello stesso decreto-legislativo n. 42 precisa che l'autorizzazione ad alienare comporta la sdemanializzazione del bene pubblico attraverso una procedura di verifica (articolo 12, comma 6). Solo qualora la verifica dell'interesse culturale ha esito negativo gli immobili di proprietà pubblica possono essere alienati. La soprintendenza, infine, richiedeva la pubblicazione sul quotidiano locale del chiarimento per rassicurare l'opinione pubblica circa l'obbligo di ricorrere agli strumenti legislativi suddetti per contrastare eventuali tentativi di impoverimento del patrimonio pubblico di Catania;
neanche questa importante nota della soprintendenza di Catania veniva messa a disposizione del consiglio comunale (anch'essa infatti, come il parere del collegio di difesa, non appare tra la documentazione allegata alla deliberazione), sebbene sia giunta, come già osservato circa un anno prima dall'ultima deliberazione consiliare e qualche mese dopo la prima deliberazione di giunta;
quel che è grave è che diversi immobili sembrano appunto ricadere nelle previsioni legislative richiamate dalla soprintendenza e almeno i seguenti:
a) ex monastero di Santa Chiara;
b) ex monastero di Sant'Agata;
c) ex caserma Malerba;
è possibile leggere nelle stesse perizie come detti beni appartengano al patrimonio storico e culturale della città, mentre nessuna procedura di sdemanializzazione sia stata avviata, e, trattandosi di un presupposto di validità per l'alienazione, deve ritenersi nullo l'atto di trasferimento dei beni immobili alla società Catania risorse s.r.l.;
appare, altresì, singolarmente grave la successione dei tempi e una serie di altre anomalie, così sintetizzabili:
a) secondo la visura richiesta dall'avvocatura l'11 dicembre 2006, la società Catania risorse s.r.l. si trovava ancora in fase di iscrizione presso la camera di commercio di Catania;
b) il mandato di svolgere le perizie giurate degli immobili in questione veniva conferito il giovedì 28 dicembre 2006;
c) le perizie di tali immobili, di ingente valore e consistenza, venivano effettuate tutte il venerdì 29 dicembre 2006 e tutte depositate presso la cancelleria del tribunale di Catania nel medesimo giorno;
d) la seduta del consiglio comunale aveva luogo il sabato 30 dicembre 2006;
e) il rogito notarile veniva stipulato la domenica 31 dicembre 2006;
f) tra la stima dei medesimi immobili a distanza di un anno corrono enormi e incomprensibili variazioni, non altrimenti spiegabili, secondo gli interpellanti, se non nell'ottica di ottenere il necessario credito per ripianare il deficit del 2003;
l'incarico professionale per la stima degli immobili da trasferire non viene affatto affidato agli uffici dell'amministrazione finanziaria dello Stato, come suggerito dal collegio di difesa, ma non viene neppure affidato a un tecnico (un ingegnere, architetto o persino un geometra, anche se sarebbe stato naturale immaginarsi un lavoro d'equipe), bensì al ragioniere Mario D'Antoni, iscritto all'albo dei revisori contabili (sic!) e dipendente comunale: in palese violazione di quanto risulta dal combinato disposto dell'articolo 2 della legge 24 dicembre 1908, n. 783, dell'articolo 12, comma 4, della legge 15 maggio 1997, n. 127, e dalla legge regionale

7 settembre 1998, n. 23. V'è da chiedersi se, prima ancora della dismissione degli immobili, il comune di Catania abbia dimesso i propri ingegneri, architetti e geometri;
in definitiva poiché ci si trova dinanzi:
a) a un'operazione volta a nascondere la reale condizione finanziaria del comune, con palese aggiramento del dettato dell'articolo 119, comma 6, della Costituzione, che vieta di ricorrere all'indebitamento, salvo che per spese di investimento;
b) a deliberazioni che espongono a grave rischio il patrimonio immobiliare del comune di Catania, conferito a una società di diritto privato, con capitale giudicato irrisorio e senza alcuna operatività economica, già fortemente indebitata e dunque soggetta alle procedure esecutive, a mezzo delle quali i suoi creditori possono aggredirne il cospicuo patrimonio immobiliare;
c) al pericolo che le quote della Catania risorse s.r.l. possono essere assoggettate a pignoramento da parte dei numerosissimi creditori del comune di Catania;
d) all'insuperabile constatazione che la situazione finanziaria del comune di Catania si aggraverà, giacché quegli stessi immobili in cui oggi sono allocati uffici comunali dovranno necessariamente essere dati in locazione, dunque con pagamento di un canone, al comune di Catania da parte della società Catania risorse s.r.l.;
e) al grave comportamento degli amministratori e dei dirigenti del comune di Catania contrario al principio di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione, di cui all'articolo 97 della Costituzione e all'articolo 78 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali;
f) a gravi e persistenti violazioni di legge;
g) al fatto oggettivo e ormai reiterato che il consiglio comunale di Catania approva i bilanci preventivi alla fine dell'anno e addirittura prima dei consuntivi dell'anno precedente, senza alcuna censura del competente assessorato regionale;
ricorrono forti e fondate ragioni per ritenere che tentativi di analoghe operazioni possano essere ancora praticati per ripianare i debiti degli anni successivi -:
quali iniziative il Ministro per i beni e le attività culturali intenda assumere nell'ambito dei poteri ispettivi di vigilanza conferitigli dal decreto-legislativo n. 42 del 2004, ferma restando l'autonomia della Regione siciliana;
se il Ministro dell'economia e delle finanze non ritenga di dover assumere iniziative conoscitive sulla reale situazione dei conti del comune di Catania, ai sensi dell'articolo 28 della legge finanziaria per il 2003 e in vista del rispetto del patto di stabilità.
(2-00370)
«Sgobio, Diliberto, Licandro, Burtone, Raiti, Dato».
(13 febbraio 2007)