Camera dei deputati - XV Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Rapporti Internazionali
Titolo: Territori dell'Autorità nazionale palestinese
Serie: Schede Paese    Numero: 12
Data: 01/05/2007

 

 

 

Autorità Nazionale Palestinese

 



 

Mappa 2) centri abitati nella Striscia di Gaza

 

Map showing major population centres in the Gaza Strip

La Striscia di Gaza è uno dei territori più densamente abitati al mondo. Vi abitano circa 1,3 milioni di palestinesi, il 33% dei quali vive in campi profughi delle Nazioni Unite. Circa 8.000 israeliani hanno abitato nella Striscia di Gaza prima che il Governo israeliano decidesse il loro ritiro (2005). Prima di questa data, gli spostamenti da e per la Striscia di Gaza erano sottoposti a severe limitazioni.

 

 

Mappa 3) punti di accesso nella Striscia di Gaza

 

Map showing location of crossing points, sea port, airport and built-up areas.

Israele controlla lo spazio aereo della Striscia di Gaza, le coste e la maggior parte dei suoi confini. Nel novembre 2005, Israele ha permesso il controllo congiunto del punto di ingresso di Rafah da parte del Palestinesi e degli Egiziani (con un sistema di video-sorveglianza curato da un temaUe) e di permettere un incremento dei traffici attraverso i punti di Erez e karni. In futuro, è prevista la costruzione di un porto e della ricostruzione dell’aeroporto di Gaza.

 

 

Mappa 4) Cisgiordania. Aree controllate

 

Dall’anno in cui è stata sottoscritta la “Dichiarazione dei Principi” (1993) frutto degli Accordi di Oslo, si verificati diversi cambiamenti nel controllo nei Territori. Attualmente, il 59% della Cisgiordania è sotto il controllo civile e militare di Israele. Un altro 23% è sotto il controllo civile palestinese ma resta sotto il controllo di Israele per quanto attiene alla sicurezza. Il restante 18% è controllato pienamente dall’ANP, ma ci sono state alcune aree che sono state soggetto di incursioni israeliane nel corso dell’ultima intifada.

 

 

Mappa 5) Centri abitati in Cisgiordania

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Le aree controllate dall’ANP riguardano soprattutto le aree urbane. Queste raccolgono circa l’8,5% della popolazione della Cisgiordania. Circa 2.3 milioni di palestinesi vivono nella Cisgiordania, insieme a 400.000 israeliani (compresi  quelli che vivono a Gerusalemme Est).

 

 

Mappa 6) Insediamenti ebraici in Cisgiordania

 

 

 

Dal 1967 Israele ha incoraggiato propri cittadini ad insediarsi nei Territori. Oggi gli insediamenti ebraici costituiscono il 2% della Cisgiordania e sono collegati da strade controllate dell’Esercito di Gerusalemme. Ci sono inoltre vaste parti della Cisgiordania sono il pieno controllo di Israele designate come “aree militari” o “riserve naturali”.

 

 

Mappa 7) Checkpoint israeliani

 

 

I checkpoints israeliani pongono dei severi limiti alla circolazione dei palestinesi all’interno della Cisgiordania. Nel 2002, Israele ha cominciato a costruire una barriera di sicurezza nella parte nor

 

 

 

 

DATI GENERALI

 

Superficie

6.170 Kmq

 

Capitale

RAMALLAH (40.000 abitanti)

 

Abitanti

3.635.000 (Cisgiordania: 2.311.000 ab; Striscia di Gaza: 1.324.000 ab)

Sono inoltre circa 4 milioni i palestinesi (o i loro discendenti) che vivono all’estero. Sono rappresentati dall’OLP e dal Consiglio Nazionale Palestinese.

 

Tasso di crescita della popolazione

3,39%

 

Gruppi etnici

Arabi 83%, Ebrei 17%

 

PRINCIPALI INDICATORI ECONOMICI  

 

 

PIL 2005

3.257 milioni di dollari

 

 

Donazioni dai Paesi esteri 2006

1.200 milioni di dollari

 

 

Crescita PIL 2005

4,5%

 

 

PIL pro capite

1.020 dollari

 

 

Popolazione al di sotto della soglia di povertà

60%[1]

 

 

Inflazione

4,4%

 

 

Tasso di disoccupazione

40%

 

 

 

 

Secondo FMI e ONU, i palestinesi hanno ricevuto in totale 1,2 miliardi di dollari in aiuti e sostengo finanziario nel 2006 (circa 300 dollari a testa) rispetto ad un miliardo di dollari erogato nel 2005. I fondi sono stati in gran parte distribuiti alla popolazione e non al governo, e veicolati attraverso agenzie indipendenti come il World Food Programme. Il rischio di emergenza umanitaria resta una priorità per le Nazioni Unite, che per il 2007 hanno lanciato un appello per la raccolta di almeno 450 milioni di dollari (il doppio rispetto alla somma richiesta nel 2006 e la terza più consistente dopo quelle per il Sudan ed il Congo).

 

 

 

 

PRINCIPALI CARICHE POLITICHE

 

 

Presidente dell’ANP, Presidente del Comitato Esecutivo dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) e leader di “al Fatah

Mahmoud ABBAS (Abu Mazen). In carica dal 12 gennaio 2005

 

Presidente del Consiglio Legislativo Palestinese

Abdel Aziz DWEIK (in carica dal 18 febbraio 2006. detenuto in un carcere israeliano)

 

 

Primo Ministro

Hismail HANIYAH (HAMAS, dal 17 marzo 2007)

 

 

Vice Primo MInistro

Azzam Al-AHMAD (Fatah,)

 

 

Ministro degli affari esteri

Ziyad ABU AMR (INDIPENDENT E)

 

 

Ministero delle Finanze

Salam FAYAD (Partito della TErza Via[2])

 

 

Ministro degli Interni

Hani Talab Al- QAWASMEH (indipendente)

 

 

Consigliere per la Sicurezza Nazionale del Presidente

 

MOhammed DAHLAN (Fatah,)

 

 

Ø      INVIATO  ONU PER IL MEDIO ORIENTE     TERJE ROED LARSEN

 

Ø      LEADER DI HAMAS (CON SEDE A DAMASCO)  KALED MESHAAL

 

Ø      CAPO NEGOZIATORE DELL’OLP  SAEB EREKAT

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Altri membri dell’esecutivo:

 

Ministro del Turismo

KholudDEIBES (INDIPENDENTE)

Ministro della Sanità

Radwan al-AKHRAS (FATAH)

Ministro del Lavoro

Mahmoud el AALOUL (FATAH)

Ministro dei Trasporti

Sadi al-KRONK (FATAH)

Ministro per i detenuti palestinesi

Suleiman Abu SNEINAH (FATAH)

Ministro per l’Istruzione

Nasser el-Deen ASHAIR (HAMAS)

Ministro per le Telecomunicazioni

Yousef al-MANSI (HAMAS)

Ministro per le Proprietà Islamiche

Suleiman al-SHENDI (HAMAS)

Ministro per la programmazione

Samir Abu EISHA (indipendente)

Ministro per lo Sport e la Gioventù

Bassam N’AIME (HAMAS)

Ministro per la Giustizia

Ali SARTAWI (HAMAS)

Ministro per l’Agricoltura

Mohamed el-AGHA (HAMAS)

Ministro per gli Affari Municipali

Mohammed al-BARGHOUTI (HAMAS)

Ministro per la Cultura

Bassam al-SALHI (PARTITO DEL POPOLO)

Ministro per l’Informazione

Moustafa al-BARGHOUTI (Palestina indipendente)

Ministro per l’Economia

 Zeyad al-ZAZZA (HAMAS)

Ministro per il Welfare

Salleh ZEIDAN (fronte democratico)

Ministro per i Lavori Pubblici

Sameeh el-ABBED (FATAH)

Ministro per le Questioni Femminili

Amal SIAM (indipendente)

 

 

 


 

SCADENZE ELETTORALI

 

Presidenziali

2010

Politiche

2011

 

CENNI STORICI

A CURA DEL MAE

 

Durante il Mandato britannico in Palestina i numerosi tentativi del Regno Unito di trovare una soluzione per la pacifica convivenza della comunità araba con quella ebraica, divenuta sempre più numerosa per i crescenti flussi migratori ebraici dai Paesi europei e Russia, fallirono. Dopo la Seconda Guerra Mondiale e l’avvicinarsi del termine del Mandato, l’Assemblea Generale dell’ONU adottò la risoluzione 181/47, che prevedeva la nascita di due Stati in Palestina, uno arabo ed uno ebraico.

Nonostante “il rifiuto arabo” alla creazione di uno Stato nella porzione prevista dalla Risoluzione stessa, il 14 maggio 1948 si costituì lo Stato d’Israele. In seguito al conflitto di quest’ultimo con i Paesi vicini, lo Stato ebraico si assicurò il controllo di un’area comprendente circa il 77% della Palestina, l’Egitto estese il suo controllo sulla Striscia di Gaza, e la Giordania sui territori della Cisgiordania. In queste circostanze, circa un milione di Palestinesi furono costretti all’esilio, trovando rifugio soprattutto nei Paesi arabi vicini.

Nonostante i tentativi di affermare la loro identità sia rispetto all’amministrazione coloniale che a fronte dell’incremento della presenza ebraica nei territori, la definizione di un vero e proprio movimento nazionalista palestinese non avvenne prima della nascita dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina nel 1964. Dopo la sconfitta araba del 1967 e l’occupazione dei territori da parte di Israele, l’OLP assunse la guida della resistenza palestinese contro Israele.

Dal 1967 fino allo stabilirsi dell’Autorità Palestinese nel 1994, la Cisgiordania e la Striscia di Gaza furono amministrati dal Governo israeliano. Infatti, lo scoppio dell’Intifada nel 1987 e la successiva dichiarazione di indipendenza dell’OLP nel 1988 non condussero alla nascita di un nuovo Stato nella regione.

Grazie ai nuovi equilibri internazionali del dopo guerra fredda, con il conflitto del Golfo, si crearono condizioni internazionali ed interne necessarie a ricondurre le due parti al dialogo. Se l’approccio multilaterale intrapreso a Madrid nel 1991, per iniziativa americana non riuscì a produrre frutti per divisioni e resistenze dei Paesi arabi, con lo sviluppo di un dialogo diretto tra le due parti, grazie alla mediazione del norvegese Holst, il 13 settembre 1993 fu firmata a Washington dal leader dell’OLP Arafat e dal premier israeliano Rabin una Dichiarazione di Principi (DoP – meglio nota come Accordi di Oslo). Nel DoP Israele e OLP espressero il loro reciproco riconoscimento, impegnandosi per la prosecuzione del negoziato per tappe, mediante il lavoro di Commissioni negoziali fino alla nascita di un’Autorità Palestinese nei Territori di Cisgiordania e Gaza. Nel 1994 fu concluso il primo accordo di applicazione della Dichiarazione, in merito alle modalità per il trasferimento del controllo per Gaza e Gerico. Ai sensi del DoP, nel 1994 Yasser Arafat divenne capo dell’Autorità Nazionale Palestinese, ruolo confermato dal consenso riscosso dal suo movimento di Al-Fatah nelle elezioni del 1996.

Numerosi negoziati continuarono tra le Parti finché, dopo il fallimento dei negoziati di Camp David nel luglio 2000, si assistette ad un ritorno della tensione nei Territori e allo scoppio della seconda intifada. Con la scomparsa di Arafat e l’elezione di Abu Mazen a nuovo Presidente dell’ANP il 9 gennaio 2005 ha preso avvio una fase di rilancio del processo di pace, interrotto tuttavia con la vittoria del partito estremista di Hamas alle elezioni parlamentari del gennaio 2006.

 

 

 

 

QUADRO POLITICO

 

 

 

Governo in carica

 

            Dopo mesi di scontri, violenze, annunci e smentite, è nato il 17 marzo 2007  il nuovo governo palestinese frutto dall’accordo Hamas-Fatah. Le nomine di ministri importanti come quelli di esteri e finanze sembrano dettate dalla volontà di non rendere ulteriormente radicale lo scontro con la Comunità Internazionale, soprattutto con gli USA e Israele. La nomina come ministro degli interni di un personaggio poco addentro alla politica come Hani Talab Al-Qawasmeh dimostra a sua volta come la questione della sicurezza nei Territori rimanga condizionata dal conflitto tra Hamas - in cui è in atto un sempre più evidente processo di differenziazione interna - e Fatah. Sarà probabilmente questo settore a determinare la durata dell’accordo politico. Segno di tale difficoltà sono state le dimissioni annunciate (e rifiutate) di Hani Talab Al-Qawasmeh (23 aprile 2007) il quale avrebbe lamentato scarsa cooperazione da parte dei capi della sicurezza rivali. Sin dal principio, il nuovo Ministro degli Interni, la cui nomina era il risultato di una complicata mediazione (cfr. infra) era stato considerato “un’anatra zoppa” sia per la sua mancanza di esperienza, sia per la concomitante nomina di
Dahlan a Consigliere del Presidente per la Sicurezza Nazionale.

 

Composizione del Consiglio Legislativo Palestinese (le ultime elezioni si sono tenute il 25 gennaio 2006):

 

PARTITO

SEGGI

Hamas

74

Fatah

45

Altri

13

TOTALE

132

 

 


 

 

QUADRO ISTITUZIONALE

 

 

Sistema politico

 

L'Autorità Nazionale Palestinese nasce dagli Accordi del Cairo del 4 maggio 1994, come prima attuazione della Dichiarazione di Principi (13 settembre 1993) che poneva le basi dello sviluppo autonomo della Cisgiordania e della Striscia di Gaza. Con la firma degli Accordi di Washington (28 settembre 1995) l'Autorità palestinese ha assunto l'amministrazione della Cisgiordania. Attualmente è in vigore una “legge fondamentale” sul funzionamento dell’ANP promulgata dall’allora Presidente Arafat il 30 maggio 2002 e successivamente emendata il 10 marzo 2003. La legge fondamentale regola il funzionamento dell’ANP, con particolare riguardo alla divisione dei poteri tra Presidente e Consiglio Legislativo. L’introduzione di una Costituzione basata sul multipartitismo, la democrazia, e libere e trasparenti elezioni rappresenta alcune delle condizioni espressamente richieste nella Road map alla parte palestinese.

 

 

Il Presidente dell’ANP

 

La figura del Presidente dell’ANP[3], prevista dagli Accordi di Oslo, era destinata ad essere temporanea, in attesa dell’istituzione della figura del “Presidente dello Stato di Palestina”. Le prime elezioni si sono tenute nel 1996 ed hanno visto la vittoria di Arafat. Successivamente, non si sono tenute più elezioni, anche a causa dell’opposizione di USA e Israele che richiedevano “l’elezione di un leader politico non compromesso con il terrorismo”. La fine dell’era Arafat ha permesso l’indizione di elezioni presidenziali il 9 gennaio 2005, che sono state vinte dal favorito Abu Mazen (62,5% dei voti) impostosi su Mustafa Barghouti (19,5% dei voti), appoggiato dal Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina. Le elezioni sono state boicottate dai gruppi oltranzisti (Hamas, Jihad). L’affluenza alle urne è stata però del 70%.

 

 

Potere legislativo

 

         Il Consiglio Legislativo Palestinese è composto da 132 membri, eletti a suffragio universale ogni cinque anni dall’elettorato palestinese della Cisgiordania, di Gerusalemme e della Striscia di Gaza. Sei seggi sono tuttavia riservati ai rappresentanti della comunità cristiana ed uno a quella samaritana.

 

 

Potere esecutivo

 

Il 10 marzo 2003 il Consiglio Legislativo Palestinese ha approvato gli emendamenti alla “legge fondamentale” sul funzionamento dell’ANP[4] necessari all’istituzione della figura del Primo Ministro e del Governo[5]. La riforma mira ad ottenere una migliore governance attraverso la divisione ed il contrappeso dei poteri.

Il Primo Ministro è nominato dal Presidente ed ha fino a cinque settimane di tempo per formare un Governo. Se cinque settimane non dovessero essere sufficienti, il Presidente ha facoltà di sostituirlo dall’incarico. Il Presidente non può sciogliere il Consiglio Legislativo e indire elezioni anticipate.

Il Primo Ministro ha un potere di controllo sull’operato di tutti i Ministri. Spetta a lui predisporre la lista del gabinetto che sarà responsabile dinanzi al Consiglio Legislativo Palestinese e dovrà ottenerne la fiducia anche a livello di singoli ministri. È inoltre il Primo Ministro, e non più il Presidente, che ha il potere di nominare i vertici di ogni altro organismo statale, dal campo economico alla distribuzione delle risorse idriche.

Il Primo Ministro è responsabile non solo dinanzi al Consiglio Legislativo, ma anche dinanzi al Presidente che ha il potere di revocarlo. I singoli ministri non possono essere sfiduciati dal Presidente, ma solo dal Primo Ministro o dal Consiglio Legislativo.

Fondamentale è la distinzione delle prerogative del Primo Ministro in materia di sicurezza e per quanto riguarda le trattative con Israele. Spettano al Primo Ministro ed al Governo tutte le funzioni relative alla sicurezza preventiva (ordine pubblico, difesa civile). Le responsabilità relative alla sicurezza nazionale restano invece appannaggio della figura presidenziale. Per quanto riguarda le trattative, è da porre in risalto che queste sono condotte dall’OLP, e non dall’ANP. Le riforme relative alla creazione della carica di Primo Ministro sono state approvate da 64 deputati; tre sono stati i contrari mentre quattro si sono astenuti.

 

 

Per la loro valenza politica, pur non essendo organi dell’Autorità Nazionale Palestinese, si danno brevi cenni sull’OLP e sul Consiglio Nazionale Palestinese.

 

L’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP)

 

E’ nata nel 1964, e raccoglie molte organizzazioni palestinesi e gruppi di resistenza (ma non i gruppi integralisti islamici). A seguito della disfatta araba nella guerra del 1967, l'OLP, prima strettamente dipendente dagli altri Stati arabi, ha cominciato ad acquisire una certa indipendenza. Il maggiore organo decisionale è il Comitato Esecutivo.

Con la Presidenza di Arafat (1969-2004) ha acquistato un ruolo ancora più centrale nel mobilitare i palestinesi e nel guadagnare il sostegno internazionale alla loro causa. L’OLP ha creato numerose organizzazioni di supporto nonché una struttura di tipo governativo per raggiungere obiettivi di sicurezza interna, finanze, informazione e relazioni straniere.

            L’OLP è stata riconosciuta dall’Assemblea dell’ONU con la risoluzione n. 3210 del 14 ottobre 1974 come rappresentante del popolo palestinese. Nel 1976 è entrata a far parte della Lega degli Stati Arabi. Fra i Paesi dell'Europa Occidentale, la Spagna è stata la prima a conferire uno "status" diplomatico ad una rappresentanza dell'OLP, seguita da Portogallo, Austria, Francia, Italia e Grecia. La sua sede è stata in Libano fino al 1982, quando è stata costretta ad evacuare a causa della guerra civile. I tentativi di creare una OLP "bis" (cosiddetto "fronte del rifiuto” creatosi a Baghdad nel 1974 ed il Fronte di Salvezza Palestinese creatosi a Damasco nel 1983) non hanno avuto successo. Ricostituito il suo quartier generale a Tunisi, l'OLP è rimasta in questa città fino a quando non si è trasferita nei territori palestinesi autonomi (Gaza e Gerico) a seguito della Dichiarazione dei Principi del 13 settembre 1993 e degli accordi del Cairo del 4 maggio 1994.  

            Dal 1990 l'OLP può contare su due fonti di finanziamento: le contribuzioni degli Stati Arabi ed una tassa annuale variante dal 3 al 6% sui redditi dei Palestinesi. Fra gli Stati Arabi, il contributo maggiore viene dall'Arabia Saudita.

Dopo l’insediamento di Abu Mazen, l’OLP ha lanciato un appello a tutti i gruppi radicali palestinesi (che non fanno parte dell’organizzazione) per far cessare ogni atto di violenza. Hamas e Jihad non fanno parte dell’OLP.

 

 

Il Consiglio Nazionale Palestinese

 

È l’organo legislativo dell’OLP, il più alto organo rappresentativo per i Palestinesi che è in grado di prendere le decisioni definitive che li riguardano. È di fatto il Parlamento in esilio dei palestinesi e raccoglie rappresentanti di tutta la comunità palestinese, come i gruppi di resistenza, i sindacati e le organizzazioni professionali. È, dunque, diverso nella natura e nelle funzioni dal Consiglio Legislativo Palestinese, che riguarda l’organizzazione costituzionale dell’Autorità Nazionale Palestinese.

Ha dichiarato l’indipendenza della Palestina il 15 novembre 1988. Al 2003 risultava composto da 669 membri (88 sono membri del Consiglio Legislativo Palestinese, 98 sono i rappresentanti della popolazione dei Territori, 483 sono i rappresentanti della diaspora) che possono essere sia nominati sia eletti, a seconda della libertà di cui possono godere i palestinesi nei vari Paesi di residenza. Nel 1996 ha abrogato dalla “Carta Nazionale Palestinese” gli articoli che sostenevano la resistenza contro il sionismo e si opponevano all’esistenza di uno stato ebraico. E’ presieduto da Saleem Al-Za’noon.

 

 

 

 

 

 

POLITICA INTERNA

 

 

 

Il nuovo Governo Hamas- Fatah

 

            Il 17 marzo il nuovo esecutivo si è riunito per la prima volta a Ramallah. Il governo è guidato nuovamente da Ismail Haniya, ex premier del governo nato dalla vittoria di Hamas nelle elezioni parlamentari e una delle personalità più importanti di Hamas.

            Il Consiglio Legislativo Palestinese ha votato la fiducia al governo con 81 voti favorevoli, 3 contrari mentre 41 parlamentari non hanno preso parte al voto perché agli arresti nelle carceri israeliane. Questo governo è frutto dell’Accordo della Mecca del 8 Febbraio 2007, preso sotto la tutela dell’Arabia Saudita, che ha visto protagonisti nella sostanza Abu Mazen ed il leader politico di Hamas in esilio, Khaled Meshaal.

            Questo accordo sancisce nuovamente l’importanza di Meshaal dentro Hamas ed è stato visto da molti nei fatti come una vittoria della sua visione politica rispetto a quella del premier Haniya. Meshaal era stato l’ispiratore del conflitto tra palestinesi e israeliani che poi è deflagrato, con l’ingresso di Hezbollah, nella “guerra dei 33 giorni”. Ora, con questo accordo, vuole dimostrare come è lui ad avere in mano le chiavi politiche del movimento, mostrandosi pronto a dare il via all’uso della forza ma anche a stringere accordi e a mostrarsi moderato e pacato a seconda delle necessità contingenti. Questa duttilità tattica notevole ha fatto sì che il suo ruolo dentro Hamas sia divenuto sempre più importante relegando, da un punto di vista eminentemente politico, Haniya ed i suoi ad un ruolo politico di secondo piano. Adesso, dentro Hamas, sta crescendo il dissenso tra quei personaggi che occupavano posti-chiave nel vecchio governo e che ora sono stati lasciati in disparte, come ad esempio gli ex titolari di interni ed esteri, Said Siam e Mahmoud Zahar.

            L'esecutivo di unità nazionale è formato da 25 ministri, premier incluso. Hamas conta 12 membri all’interno del governo, Fatah ha conquistato 7 dicasteri mentre 6 ministeri sono andati a personalità indipendenti o comunque non legati, ufficialmente, ai due partiti principali. I punti della piattaforma governativa prevedono l’obiettivo della nascita di uno Stato palestinese nei territori del 1967 e il ritorno dei profughi, mentre manca un richiamo chiaro e preciso sulla questione del riconoscimento di Israele. La scelta degli uomini ai quali affidare gli esteri e le finanze, due dicasteri chiave, sembrano essere state dettate dalla necessità di dare precise garanzie alla Comunità Internazionale. Il nuovo ministro degli esteri è Ziyad Abu Amr. Indipendente, ha insegnato Scienza della Politica all'università Birzeit di Ramallah. La scelta di un indipendente per questo dicastero è stata dettata dalla volontà di presentare una personalità non legata ad Hamas e che quindi potesse essere accettato come interlocutore senza troppe difficoltà dalla Comunità Internazionale. Non è un caso che, qualche giorno dopo la presentazione del nuovo governo e il voto di fiducia del parlamento palestinese, il governo americano abbia annunciato la volontà di allacciare rapporti con quei ministri dell'esecutivo palestinese non di Hamas.

            Alle finanze invece è andato il leader del “Third Way Party”, piccolo partito che ha due seggi in parlamento, Salam Fayad. Egli, più che un politico, è un vecchio tecnico, un economista di ispirazione liberale prestato alla politica da circa sei anni. É stato alla World Bank all'inizio degli anni '90 e, prima di divenire ministro delle finanze palestinese dal 2002 al 2005 con l’ultimo governo ad egemonia del Fatah, ha ricoperto il ruolo di rappresentante del Fondo Monetario Internazionale a Gerusalemme. Fayad nel corso della sua carriera ha tessuto e costruito una importante rete di contatti e conoscenze e Washington e in altre capitali importanti e ha anche buoni rapporti col mondo politico ed economico israeliano. La sua nomina vuole essere una sorta di garanzia per la Comunità Internazionale che gli aiuti allo sviluppo forniti ai palestinesi verranno gestiti in maniera oculata ed attenta, evitando sprechi e cercando di porre fine o, molto più realisticamente, di ridimensionare il fenomeno della corruzione[6].
            La scelta di Fayad in questo ruolo segna, nei fatti, un cedimento politico di Hamas, che in più di un’occasione aveva sottolineato la volontà di far proprio questo ministero. Il movimento ha dovuto rinunciare ad un ministero di tale importanza poiché in questo ruolo delicato dovevano essere offerte garanzie alla Comunità Internazionale, prima di tutto agli Stati Uniti e ad Israele, che non avrebbero mai accettato un ministro delle finanze proveniente da Hamas. Questo passo della leadership palestinese si è reso necessario per convincere le principali potenze che avevano boicottato il vecchio governo monocolore guidato da Hamas a far rifluire aiuti e prestiti nei Territori Palestinesi. In Cisgiordania e a Gaza, ed in particolar modo in questa ultima area, la crisi economica sta avendo delle importantissime ricadute in termini sociali e politici. Alla base di questa vi sono una pluralità di fattori, sia endogeni che esogeni. Certamente, il blocco agli aiuti internazionali e il congelamento del passaggio del ricavato della tassazione che Israele raccoglie nei Territori hanno avuto un ruolo importante nel deteriorarsi di tale situazione. Ma essi non esauriscono le ragioni di questa crisi. La fuga degli investitori privati presenti nei Territori e il mancato arrivo di capitali esteri, provocati dalla completa assenza di una cornice di sicurezza accettabile, hanno provocato una diminuzione della quota di economia in mano ai privati ed un aumento della quota di disoccupati.

            Questo sviluppo ha avuto come corollario immediato un aumento del peso relativo del settore pubblico nell’economia palestinese e, di conseguenza, della percentuale di popolazione il cui tenore di vita è legato ai redditi di provenienza pubblica. La crisi di liquidità che il governo di Hamas ha affrontato nell’ultimo anno, il crollo negli introiti della tassazione interna ai Territori gestita direttamente dai palestinesi (provocato dalla stagnazione dell’economia e una corruzione endemica diffusa ed alimentata ulteriormente dalla crisi) ha fatto sì che gli stipendi pubblici per mesi non venissero pagati. L’economia dei Territori è finita in un circolo vizioso dove stagnazione economica, corruzione e crollo dei consumi si alimentano a vicenda. La mancanza di denaro per pagare gli stipendi ha causato un impoverimento generale della popolazione. Tutto ciò ha provocato un aumento della violenza sociale, con gruppi sparsi di agenti delle forze di sicurezza che non rispondevano più, nelle loro azioni, a precise gerarchie, utilizzando il loro ruolo per ricavare denaro o altre guarentigie e una diffusione di comportamenti di devianza sociale strettamente connessi al fenomeno della povertà, come la tossicodipendenza o la prostituzione.

 

            Se le nomine per ciò che concerne i dicasteri delle finanze e degli esteri devono essere lette alla luce dei condizionamenti internazionali, la partita politica interna tra Hamas e Fatah continua a giocarsi eminentemente nel settore della sicurezza. I Territori Palestinesi hanno conosciuto nel corso degli ultimi anni una recrudescenza della violenza tale da aver fatto parlare alcuni osservatori di “uno Stato fallito prima ancora di essere Stato”. La nomina del nuovo ministro degli interni è divenuta così uno dei passaggi fondamentali per delineare un possibile quadro futuro delle relazioni tra i due principali attori del frammentato panorama interno palestinese. Non è un caso che lo stallo politico delle settimane successive all’accordo della Mecca del 8 febbraio fosse dovuto principalmente a questo rebus.

            La scelta infine è caduta su Hani Talab Al-Qawasmeh, una figura dal profilo politico sostanzialmente debole e sconosciuta al grande pubblico. Egli è un accademico, ed è stato uno dei direttori delle divisioni del ministero per gli affari religiosi. E’ vicino ad Hamas, anche se non ne fa parte ufficialmente. Il nome di Al-Qawasmeh era inserito nella rosa di tre nomi tra i quali Abu Mazen doveva effettuare la scelta del ministro degli interni. Il principale candidato di Hamas per questa carica era Hamoudeh Jarwan, ex officiale dell’OLP legato, ma non organico, ad Hamas.

            Appare chiaro, comunque, che le vere leve decisionali per ciò che concerne il controllo dei gruppi armati e delle fazioni che si combattono nei Territori rimarrà nelle mani dei singoli partiti. La composita galassia delle formazioni armate che operano a Gaza e in Cisgiordania è di fatto divisa tra Hamas che ha in mano le redini delle cosiddette “executive forces mentre il resto dei gruppi armati sono legati al Fatah. Questi legami di controllo appaiono in realtà estremamente fragili, poiché essi sono di fatto soggetti ad un continuo processo di erosione. Spesso è accaduto, nel corso degli ultimi anni, che piccoli gruppi armati si staccassero dai reparti in cui erano inquadrati per muoversi in maniera indipendente, slegati da ogni responsabilità gerarchica, per raggiungere obiettivi contingenti, politici o economici, o semplicemente per divenire i padroni di piccole aree.

            In questo scontro, inoltre, va ad innestarsi prepotentemente la questione del ruolo di Mohamed Dahlan, l’uomo forte del Fatah a Gaza e nemico numero uno di Hamas. Egli è stato accusato in più occasioni dai membri del partito islamista di aver pianificato l’uccisione di molte personalità del movimento, tra cui anche il premier Ismail Haniya.         

            Abu Mazen voleva Dahlan come vice-premier, ma la scelta è stata fortemente osteggiata da Hamas. In questo ruolo è stato scelto Azzam al-Ahmad, ex ambasciatore dell’OLP in Iraq ai tempi del conflitto del 1991 ed anche egli uomo di punta del Fatah. Al-Ahmad, al pari di Dahlan, non gode di simpatia presso Hamas, ma nello scontro degli ultimi mesi tra i due partiti il suo ruolo è stato più defilato rispetto a quello di Dahlan. Quest’ultimo invece avrà il ruolo di Consigliere per la Sicurezza Nazionale del Presidente Abu Mazen.

 

Le difficoltà economiche

 

            Da quando i quattro mediatori per il Medioriente (Usa, UE, Russia e Nazioni Unite), nel 2005 hanno tagliato gli aiuti economici ai palestinesi e Israele ha chiuso i Territori, Cisgiordania e Striscia di Gaza hanno vissuto una crisi economica senza precedenti. Oltre il 60% della popolazione palestinese vive al di sotto della soglia di povertà (con due dollari al giorno secondo le stime della Banca Mondiale) e con una percentuale in crescita di bambini in condizione di malnutrizione acuta.

            La nascita del governo di unità nazionale, nato dall’accordo tra Fatah (il partito del presidente Abu Mazen) e Hamas, non sembra aprire grandi spiragli di miglioramento delle condizioni economiche. Gli aiuti internazionali (che rappresentano un terzo del reddito nazionale lordo pro-capite) sono ancora sospesi dal 2005. Israele e Usa hanno dichiarato che non riprenderanno, mentre l’Ue, più cauta, ha dichiarato che attenderà con maggior chiarezza le posizioni del nuovo governo. Le Nazioni Unite confermano una spirale drammatica nell’aumento della povertà e della disoccupazione, con un’economia soffocata nei suoi settori vitali. In base al report pubblicato recentemente dal PAM (Programma Alimentare Mondiale) e dalla FAO, sulla situazione alimentare e sulle condizioni socio economiche in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, emerge ormai il rischio di una gravissima crisi alimentare.           Solamente l’assistenza umanitaria e una forte solidarietà reciproca, i palestinesi riescono ad attutire il disastro in atto. Gli standardsdi vita sono crollati. Alla fine del 2006, l’84% della popolazione di Gaza e il 60% di quella della Cisgiordania aveva ridotto le spese per beni primari. Molte persone sono state costrette a vendere mezzi fondamentali per vivere quali terreni e attrezzature. Manca l’energia elettrica, il riscaldamento e i cibi vengono preparati con acqua non sempre potabile. Il crollo del potere d’acquisto riguarda tutta la popolazione palestinese, sia essa urbana che rurale, comprendendo ovviamente anche i rifugiati.

            Le restrizioni sul commercio e sulla libertà di movimento (Gaza vive con i beni primari importati dal valico di Karni), poste in essere da Israele, hanno ulteriormente aggravato l’economia. I più colpiti sono stati operai, agricoltori e piccoli commercianti. Nel rapporto emerge come lo stesso programma di sostegno del PAM è stato ridimensionato a causa dell’imposizione delle restrizioni al finanziamento internazionale dell’Autorità palestinese.

            Presente nel WTO solo come osservatore, l’Autorità Palestinese, in base al Protocollo di Parigi del 1994, vive di un commercio totalmente dipendente da Israele. Con un PIL negativo dal 2000, e con un’inflazione calata di 7 punti percentuali dal 2001, la produzione principale del paese è nel settore industriale privato (33%), che precede il settore agricolo privato con il 27%. Il settore industriale è concentrato in pochi settori manufatturieri chiave, legati al processo di estrazione e trasformazione dei prodotti alimentari.

            Importante è anche l’industria di estrazione della pietra, unica risorsa naturale dei Territori. In agricoltura i settori trainanti sono quelli della verdura e del bestiame. Notevoli contributi provengono dalla produzione di olio d’oliva, di fragole, agrumi e fiori. I servizi e il commercio sono dominati dalle imprese al dettaglio. Il settore privato è composto principalmente da medie e piccole imprese che operano nel commercio interno, nell’agricoltura e nel settore manifatturiero. Gli impiegati nel commercio al minuto e al dettaglio sono 77.000, che rappresentano il 31% degli impiegati nel settore privato. La maggior parte di queste piccole imprese contano non più di 5 operai. I settori agricoli e industriali contano un altro 50% dell’occupazione, distribuita equamente tra i due settori. L’economia dipende totalmente dai sussidi internazionali. Nonostante la decisione del settembre scorso di riattivare il fondo di donazione della Banca Mondiale[7], la situazione non sembra essere affatto migliorata, soprattutto perché il denaro è stato impiegato per progetti legati all’emergenza sanitaria.

            I maggiori partner internazionali sono Egitto, Giordania e i paesi della UE. I dati del 2005 indicano che la UE ha indirizzato aiuti immediati alla popolazione palestinese per 192 milioni di euro, fondi per infrastrutture 40 milioni di euro, fondi per lo sviluppo delle istituzioni 12 milioni di euro, infine per i servizi sociali di sostegno 32 milioni di euro.

            In base agli accordi di Parigi del 1994, accordi bilaterali non possono essere stipulati. Tuttavia nel corso del gli anni Israele ha permesso accordi di libero commercio con Ungheria, Slovacchia, Turchia e Repubblica Ceca. Con tutti quei paesi con sui Israele non ha rapporti diplomatici, l’Autorità Palestinese non può commerciare. Esistono accordi di libero commercio, con regole rigide e sottoposte al controllo israeliano con Usa, Canada, Unione Europea, EFTA, Giordania, Egitto, Arabia Saudita. Gli stessi paesi che hanno sospeso a partire dal 2005 i sussidi. Il Fondo Monetario Internazionale, inoltre pone in evidenza una profonda crisi fiscale dell’Autorità Palestinese anche con la ripresa dei trasferimenti delle ritenute d’imposta da parte di Israele (solo 100 milioni di dollari su 800 milioni da trasferire). Lo stesso FMI ha ribadito che anche la ripresa del supporto finanziario internazionale non potrà migliorare di molto la situazione.

            Il FMI giustifica questa affermazione guardando al periodo 2001-2005 i cui apporti di quasi 1 miliardo di dollari annui non hanno migliorato la situazione. Il FMI parla di riforme strutturali, dell’amministrazione e delle istituzioni in generale, capaci di dirigere i fondi e permettere lo sviluppo. In base ai dati del 2007 forniti da Paltrade (Palesatine Trade Centre) i carichi di camion in entrata nella Striscia di Gaza sono stati 8972 (maggior parte cemento e beni alimentari), mentre quelli in uscita sono stati 1239 (maggior parte verdure). Rispetto al periodo precedente c’è stato un aumento delle esportazioni del 13% e una diminuzione delle importazioni del 4%. Facendo un’analisi a partire da luglio–agosto 2006, dove le esportazioni erano inesistenti, dal settembre 2006 al febbraio 2007 c’è stato un costante aumento ma sempre con un volume bassissimo. La Palestinian Trade Association ha sottolineato l’insufficienza delle esportazioni che passano attraverso il valico di Karni non in grado di rilanciare l’economia di Gaza.

 

 

Il nuovo programma economico del governo di unità nazionale

Tra i punti principali del programma del nuovo governo palestinese di unità nazionale c’è quello, come ha dichiarato il Ministro dell’economia Zeyad al-Zazza, di liberare la propria economia dalla dipendenza di quella israeliana, incrementando le importazioni dai paesi arabi vicini. Il ministro ha ribadito che la ragione principale del declino dell’economia palestinese è attribuibile alla ratifica del Protocollo di Parigi del 1994 (parte degli Accordi di Oslo del 1993) che regola le relazioni economiche tra Israele e le aree autonome palestinesi. Il Protocollo prevede un’unione doganale tra le due parti, una zona di libero commercio nella quale sono imposti comuni diritti doganali solo su beni provenienti dall’esterno delle zone. Le merci scambiate anche se non dovrebbero essere sottoposte a nessun controllo sono soggette a delle procedure durissime da parte degli addetti alla sicurezza israeliana. I diritti doganali delle merci che entrano nella Cisgiordania e a Gaza, vengono incassati all’inizio da Israele, che dovrebbe poi successivamente girarli all’Autorità.

            Dal 2005 Israele, come forma di ricatto contro il governo palestinese, eletto dopo le elezioni del 2005, non trasferisce più il denaro. Sono ormai 800 milioni i dollari che Israele deve versare al governo palestinese. Lo stesso protocollo impone all’Autorità che il commercio con paesi terzi debba avvenire esclusivamente all’interno delle politiche di importazione di Israele, ed è proprio su questa linea che fino adesso si sono incentrati i rapporti tra Autorità palestinese e UE. Ovviamente tale obbligo è allargato anche alla tipologia di prodotti importati.

            Contro questo Protocollo e più in generale contro i legami che tengono l’economia palestinese sotto il controllo di quella israeliana, si sta battendo il Ministro Thatha nella prospettiva di un’apertura più netta verso le economie arabe limitrofe, soprattutto Egitto e Giordania. L’apertura verso i paesi arabi e verso l’Unione Europea è il secondo punto del programma economico del governo. Al terzo emerge la necessità di proteggere il consumo e incoraggiare il settore privato, nonché stabilire un clima appropriato per lo sviluppo di tali settori e stabilire regole nuove per il lavoro pubblico. Il governo inoltre si impegna a garantire una situazione di protezione e stabilità per i progetti di investimento. L’ultimo punto prevede il rispetto dei principi del libero mercato, per permettere lo sviluppo del paese, la protezione del settore privato, la lotta alla disoccupazione e alla povertà, attraverso il rafforzamento dei settori produttivi. Il governo si impegna anche a dare ai Territori le infrastrutture necessarie per lo sviluppo industriale e tecnologico.

            Il premier Haniyeh, nel discorso di insediamento del Governo Hamas-Fatah (marzo 2007), al punto 19, dal titolo “le relazioni internazionali” ha dichiarato che punterà sul sostegno in primis dell’UE e poi di Cina, Russia e Giappone. Qualche segno positivo è arrivato da qualche paese europeo che ha, seppur in misura minima, riattivato i sussidi.

 


Il recente viaggio della Presidente di turno Ue in Medio Oriente

 

Il recente viaggio di Angela Merkel in Medio Oriente (31 marzo-2 aprile 2007) si prefiggeva l’obiettivo di contribuire alla stabilizzazione della Regione e al rafforzamento del processo di pace circa il conflitto arabo-israeliano.

Angela Merkel ha incontrato Re Abdullah di Giordania, il Primo Ministro israeliano Olmert, il Primo Ministro libanese Fouad Siniora, e il Presidente palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen). Il viaggio rientrava in una strategia politica generale che si propone di potenziare il ruolo dell’Europa nel sistema internazionale in quanto soggetto che sappia bilanciare competitività, peso diplomatico ed equilibrio sociale e ambientale.

            Sul piano specifico della politica internazionale, l’interesse europeo è rivolto a garantire e ampliare l’area europea di sicurezza e stabilità. Fanno parte di questo programma il rafforzamento delle politiche di buon vicinato nei Balcani, in Asia Centrale, le relazioni con la Russia, e infine il coinvolgimento di Bruxelles nel processo di pace in Medio Oriente.

            Nel corso del recente summit sul dialogo tra Europa e Israele (European-Israeli Dialogue, 10-11 Marzo 2007), Merkel aveva già delineato i punti di maggior interesse della strategia tedesca/europea per il Medio Oriente. Aspetto di maggior interesse della questione è l’aver riconosciuto la necessità di coinvolgere attivamente gli attori locali, affiancandoli alle mosse del cosiddetto ‘Quartetto medio orientale’ – UE, Russia, USA, ONU, quali principali mediatori internazionali nell’area medio orientale. Per comprendere meglio la questione, occorre inserire la visita di Angela Merkel e la questione arabo-israeliana in un disegno diplomatico dove le parti a confronto sono raggruppabili su due fronti:


Allo stato attuale, i due blocchi dimostrano l’intenzione di voler rafforzare ulteriormente la cooperazione. Tuttavia, dal momento che lo scacchiere medio orientale è un punto sensibile delle strategie mondiali, è importante tenere presente i seguenti aspetti:

           

L’arresto del Presidente del Consiglio Legislativo palestinese, Abdel Aziz DWEIK, da parte delle forze israeliane

 

Il Presidente del Consiglio Legislativo Palestinese è stato arrestato il 6 agosto 2006 nella sua abitazione di Ramallah. L’esercito israeliano ha fornito la seguente motivazione all’atto: “Lo abbiamo fermato in quanto si tratta di un dirigente di Hamas, che è un’organizzazione terroristica”. In passato, Dweik è già stato arrestato cinque volte.        A due giorni dall’arresto, Dweik è stato ricoverato in ospedale.

            Nel mese di agosto, hanno chiesto – tra gli altri - l’immediata scarcerazione del Presidente del Consiglio Legislativo Palestinese (attraverso dichiarazioni o comunicati stampa):

Si ricorda che, al momento, il Presidente del Consiglio Legislativo Palestinese,  Abdel Aziz Dweik(Hamas)  e il dirigente Fatah, Marwan Barghouti, continuano ad essere detenuti in Israele. Secondo quanto affermato recentemente dal Primo Ministro, Ismail Haniyeh, Marwan Barghouti compare nella lista dei prigionieri con cui i palestinesi vorrebbero scambiare il soldato israeliano rapito nella Striscia di Gaza, Gilad Shalit. Marwan Barghouti è stato condannato a cinque ergastoli dalla giustizia israeliana.

 

Il rapimento del giornalista britannico della BBC, Alan Johnston (12 marzo 2007)

 

          Cinque milioni di dollari (circa 3,6 milioni di euro) per la liberazione del corrispondente della BBC. Sarebbe questo il riscatto chiesto dai rapitori di Alan Johnston, 44 anni, sequestrato il 12 marzo scorso nella striscia di Gaza. La notizia è stata diffusa il 17 aprile dal quotidiano israeliano, "The Jerusalem Post", che cita il giornale in lingua araba, Ansharq Al Awsat.

          Domenica 15 aprile, un'organizzazione palestinese, dalla sigla sconosciuta, "Monoteismo e Jihad", aveva annunciato di aver giustiziato il reporter della Bbc. Ora, la richiesta del riscatto smentirebbe la notizia diffusa precedentemente  dal quotidiano israeliano "Yediot Aharonot". Il Presidente dell’ANP, Abu Mazen,ha garantito il massimo impegno di tutte le istituzioni per arrivare alla liberazione del giornalista ed ha affermato nel corso del suo tour europeo iniziato il 17 aprile che il giornalista inglese è ancora vivo.

 

 

POLITICA ESTERA

A CURA DEL MAE

 

Dopo le elezioni nei Territori del 25 gennaio 2006, gli Stati Uniti hanno adottato una linea dura, fondata sull'auspicio che l'insuccesso porti i palestinesi ad abbandonare Hamas. Sullo sfondo di questa premessa, gli USA intendono continuare la pressione politica sul Governo Hamas affinché cambi la propria condotta nei confronti di Israele. In secondo luogo, la strategia americana insiste sulla necessità che vi sia ordine e sicurezza nella Striscia di Gaza e la fine degli attentati terroristici. L'Amministrazione intende dunque sostenere le forze moderate, il Presidente Abbas, gli uffici e le forze che dipendono direttamente da lui. A tal fine, il Generale Keith Dayton (U.S. Security Coordinator) continua a lavorare sia per la riforma degli apparati di sicurezza che quelli per il controllo delle frontiere e dei valichi. Il terzo punto della strategia americana riguarda l'assistenza alla popolazione palestinese, con l'obiettivo di mantenere anche ciò che è stato realizzato nel settore dell'institution building, che comprende anche programmi di promozione della democrazia. E’ in gioco un caposaldo della politica estera americana: la difesa e la sicurezza di Israele, messe in discussione da Hamas. Occorre dunque un richiamo all'ordine per la linea da tenere con il governo Hamas, nel timore che più passa il tempo, più gli altri membri del Quartetto saranno tentati di aprire canali di dialogo (parlamentari, amministratori locali, esponenti della società civile ecc.) con il movimento. L'obiettivo di fondo americano resta la ripresa dei negoziati di pace che realizzino la visione dei due Stati, anche se Washington si rende conto che, qualora, ciò non fosse possibile, l’attuazione del “piano di riallineamento” di Olmert sarà inevitabile.

Le priorità dell'Amministrazione rimangono altrove (Iraq, Iran e Afghanistan): da Washington non e' stata attivata alcuna particolare iniziativa per facilitare una soluzione delle crisi in Libano e a Gaza, dando un sostanziale sostegno all'azione militare israeliana, anche se non si e' mancato di richiamare Gerusalemme ai propri obblighi di salvaguardia della popolazione civile palestinese. Il vero problema per gli americani e' il legame tra Hamas, Hezbollah, Damasco e Teheran. Gli attacchi contro Israele da parte di Hamas e di Hezbollah sono considerati strumentali, rispettivamente, a far saltare il negoziato intrapalestinese e a rinviare le decisioni della Comunità Internazionale sul dossier nucleare iraniano. In quest'ottica, la crisi servirebbe anche a Damasco per far abbassare il profilo dell'inchiesta ONU sulla morte di Hariri e recuperare influenza sul Libano e nella regione.

 

Sul dossier sicurezza convergono i rapporti con Egitto e Giordania, il cui impegno nella soluzione del conflitto è motivo dell’intenso dialogo, che ha culminato nel vertice di Sharm-El-Sheik (8 febbraio 2005). Su un piano di “solidarietà” politica e spesso, ma non sempre, finanziaria si incentrano i rapporti con il resto della comunità dei “paesi fratelli”.

Dopo l'imbarazzo per l'esito imprevisto delle elezioni legislative palestinesi del 25 gennaio, l'Egitto si è subito messo all'opera per creare armonia nel movimento inter-palestinese attorno al negoziato di pace e condurre abilmente Hamas nel doppio binario di Oslo e della Road Map. Nella sua opera di buoni uffici, il Cairo continua le pressioni su Israele e sugli altri Paesi arabi - soprattutto Iran e Siria - affinché garantiscano il sostegno ai palestinesi. Il paese segue con gravissima inquietudine gli sviluppi situazione a Gaza ed alla frontiera con il Libano. Il Presidente Mubarak si e' immediatamente messo in contatto con i principali leader della regione (Abdallah II, Hariri, Siniora ed Assad) oltre che con il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Annan per favorire i suoi numerosi interventi di mediazione. Proprio il ruolo della Siria viene individuato come determinante per disinnescare l'escalation del conflitto. Quanto all'azione egiziana, bisogna rilevare che, nonostante l'attivismo di facciata, l'Egitto ha assunto un ruolo difficile da portare avanti, in quanto vi e' ormai un palpabile scollamento tra le posizioni ufficialmente assunte dal Governo ed i sentimenti della società civile.

 

 

RELAZIONI CON L’UNIONE EUROPEA

 

            Le relazioni tra l’Unione Europea e i Territori Palestinesi s’inquadrano nel contesto del Partenariato Euro-Mediterraneo, stabilito dalla Conferenza di Barcellona (27-28 novembre 1995) che riunisce i Ministri dei Quindici e di 12 Paesi rivieraschi del Mediterraneo[9] e pone le basi giuridiche per relazioni politiche, economiche e sociali più approfondite tra le due sponde del Mediterraneo.

Da parte palestinese viene sollecitato un più incisivo ruolo dell’Unione Europea nel Processo di pace, anche per bilanciare gli Stati Uniti, ritenuti da sempre troppo orientati a favore di Israele. Un ruolo che non dovrà più essere eminentemente finanziario, ma che dovrà prevedere una diretta e piena partecipazione dell’Unione Europea al meccanismo di monitoraggio previsto dalla Road Map.

            Esiste un Accordo interinale di Associazione di commercio e cooperazione tra l’UE e l’ANP, è entrato in vigore il 1° luglio 1997. Sinora l’applicazione è stata giudicata dai Servizi della Commissione lenta a causa dell’insufficiente capacità dell’economia palestinese ma soprattutto a causa degli ostacoli israeliani al commercio palestinese, Israele infatti non consente l’applicazione dell’Accordo interinale, motivo per cui, in alcuni casi, gli esportatori palestinesi, sono costretti a ricorrere ad intermediari israeliani. In questo quadro, il Piano d’Azione per la Politica di Vicinato, che risulta in questa fase complessivamente concordato tra le parti, si propone di addivenire ad un pieno utilizzo dei meccanismi di consultazione già previsti dall’Accordo Interinale, nonché di prendere in considerazione l’avvio dei negoziati per la firma di un effettivo Accordo di Associazione. Si auspica ora che un rinnovato impulso alla liberazione commerciale possa essere fornito dalla risoluzione della controversia con Israele relativa all’applicazione delle “regole d’origine” e dall’entrata in vigore, il 1° gennaio 2005, dei nuovi Protocolli agricoli

La delicata situazione politica non ha peraltro permesso ancora l’avvio di negoziati per un AEMA «completo». L’accordo attuale, infatti, si limita ad istituire una cornice per la cooperazione politica, commerciale, economica e finanziaria tra l’UE e la Striscia di Gaza e Gerusalemme est. Il principale obbiettivo è il rafforzamento della cooperazione dell’ANP sia con l’UE che con Israele, per rendere possibile la piena attuazione delle disposizioni commerciali dell’Accordo Interinale, addivenire ad un utilizzo di tutti i meccanismi già previsti dall’Accordo e procedere quindi, sulla base dei progressi registrati nella messa ad opera del Piano, all’avvio dei negoziati per la firma di un effettivo Accordo di Associazione.

 

Assistenza Finanziaria

L'assistenza della Comunità Europea ai Territori Palestinesi ha inizio nel 1971 con il primo contributo all'UNRWA (United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees in the Near East), aiuto che continua tutt'oggi attraverso convenzioni tra Comunità e UNRWA per interventi prevalentemente nei settori della salute e dell'educazione. L’ultima Convenzione con l’UNRWA, ha stabilito l’entità dei contributi della Comunità Europea all’Agenzia delle Nazioni Unite per il periodo 2002-2005 (237 milioni di Euro).

Con la firma, nel 1980 della Dichiarazione di Venezia, con la quale la Comunità espresse il proprio sostegno per l'auto-determinazione Palestinese, ha avuto inizio il finanziamento di progetti di ONG in vari settori - salute, agricoltura, educazione -.

L'assistenza globale dell'UE (fondi comunitari, assistenza dei singoli Stati membri, prestiti BEI) ha rappresentato più del 50% del totale dell'assistenza internazionale ai Territori Palestinesi. Sin dall'inizio dell'Intifada l'UE ha fatto fronte alla crisi in atto incrementando il sostegno finanziario. Tali contributi sono stati forniti sotto forma di supporto budgetario, aiuto umanitario, e assistenza ai progetti dell'UNRWA e al Processo di pace nel Medio Oriente.

I principali settori beneficiari dell'assistenza finanziaria dell'UE, nel corso degli anni, sono stati i seguenti:

Assistenza umanitaria (ECHO): 83 M€ dal 1993 al 2001. Nell'aprile scorso l'UE ha fornito un ulteriore aiuto umanitario di 5 M€ in favore dei Territori Occupati e del Libano. A seguito delle recenti crisi, è, inoltre, in via di predisposizione un nuovo intervento per un importo di 3,5 M€;

Sostegno ai rifugiati palestinesi (UNRWA): oltre 300 M€ dal 1994 (di cui 40,2 M€ nel 2000 e 57,3 M€ nel 2001). Aiuti alimentari: oltre 100 M€ a partire dal 1994;

Assistenza budgetaria all'Autorità Palestinese: 155 M€ dall'inizio dell'Intifada (10 M€ al mese). Ulteriori 20 M€ sono stati allocati per il programma di sostegno ai servizi di emergenza della Banca Mondiale;

Progetti per la Pace in Medio Oriente: circa 100 M€ dal 1995. Ulteriore allocazione di 8 M€ nel 2002;

Diritti umani e democrazia: 9 M€ dal 1996 suddivisi in 37 progetti. Dal 2002 è stata prevista un'allocazione addizionale di 1,2 M€;

Programma anti-terrorismo: 18,7 M€ a partire dal 1997.

 

 

Cooperazione finanziaria

 

Nell’ambito del programma MEDA la Commissione ha finanziato diverse iniziative nei territori occupati, molte delle quali dirette al miglioramento delle condizioni socio-economiche della popolazione e di sostegno alle riforme intraprese.

Nell’ambito di queste ultime importanti progressi sono stati realizzati grazie al programma relativo alla Special Cash Facility (SCF) e l’aiuto diretto al bilancio.

Il primo programma è stato lanciato a seguito del Consiglio Affari Generali del settembre 1997, con lo scopo di aiutare l’Autorità Palestinese a fronteggiare i problemi di liquidità a breve termine a seguito del congelamento dei trasferimenti dei pagamenti da parte del Governo Israeliano. In seguito al peggioramento della situazione economica nei territori, il Consiglio Affari Generali del febbraio 2001 ha chiesto alla Commissione di sviluppare una nuova strategia a lungo termine, in modo da consentire all’Autorità Palestinese di fronteggiare immediatamente le conseguenze finanziarie del congelamento dei fondi e della chiusura dei Territori.

Il piano d’Azione ha dovuto tenere conto delle difficoltà incontrate nell’applicazione dell’accordo interinale, in vigore dal 1997. Esso è incentrato su due canali:

- l’attuazione dello stato di diritto: il successo nell’organizzazione delle ultime elezioni legislative deve essere ormai completato dalla lotta contro la corruzione e da una riforma giudiziaria. La creazione di una vera Corte dei Conti è un obbiettivo prioritario.

- Nel settore commerciale, il ritardo nella messa in opera dell’accordo interinale, e le difficoltà economiche permettono soltanto adesso di creare le condizioni favorevoli al negoziato di un futuro ACAA.

 

A seguito della decisione di sospendere gli aiuti comunitari dopo la vittoria del partito Hamas, la Commissione Europea ha elaborato il Meccanismo Temporaneo di Assistenza (TIM), diviso in tre settori. Le tre “finestre” del TIM sono:

      Finestra I: L’Emergency Service Support Programme (ESPP), relativa alla messa a disposizione di forniture essenziali e alla copertura di costi di esercizio per i servizi sociali e sanitari. I fondi della Commissione Europea sono devoluti attraverso un accordo amministrativo con la Banca Mondiale.

      Finestra II: L’Interim Emergency Relief Contribution (IERC).Si tratta di un programma della Commissione per fornire direttamente alla popolazione denaro per il pagamento di combustibili, elettricità e acqua corrente. Inoltre, la Commissione Europea ha coperto il rifornimento di carburante alle centrali energetiche e agli ospedali pubblici della Striscia di Gaza.

      Finestra III: Pagamento degli indennizzi sociali, riceve un contributo da erogare attraverso un meccanismo di gestione e controllo. E' inteso a pagare sussidi sociali al personale degli ospedali e degli ambulatori, dei pensionati e delle famiglie più bisognose. È la più complessa delle tre finestre e quella che ha avuto applicazione più tardi. Garantisce il pagamento di sussidi individuali ed è stata attivata con tre tipi di azione:

      -pagamenti al personale sanitario, privilegiato per ragioni di urgenza,

      -categoria "low income cases" comprendente i dipendenti pubblici di altri settori, e pensionati;

      -casi sociali più critici, nuclei familiari privati del capofamiglia, vedove, disoccupati, ecc..

E' un meccanismo a disposizione di tutti i donatori. In occasione del CAGRE di ottobre, il TIM è stato rinnovato di ulteriori tre mesi ("extension") ed ampliato per includere un numero più ampio di beneficiari nell'ambito della Finestra III ("expansion").

 

 

RAPPORTI BILATERALI

A cura del MAE

 

 

1. Relazioni politiche ed economiche

 

I rapporti politici bilaterali tra Roma e l’Autorità palestinese sono tradizionalmente molto buoni. Da parte palestinese si riconosce al nostro Paese un “ruolo guida”, nel contesto occidentale, nell’affermare senza esitazioni il pieno sostegno all’autodeterminazione di quel popolo. Il nome dell’Italia è in effetti legato a storiche ed autorevoli prese di posizione dell’Europa in tal senso, tra le quali la principale è la Dichiarazione di Berlino sul Medio Oriente del 24 marzo 1999, che ha di fatto fornito ad Arafat una solenne “garanzia internazionale” circa la validità del suo diritto a proclamare uno Stato palestinese sovrano, sulla base degli Accordi esistenti e attraverso il negoziato con la controparte israeliana.

All’interno della TIPH (Temporary International Presence in Hebron), è presente da anni un distaccamento di Carabinieri italiani come forza di polizia per prevenire scontri e tensioni tra gli abitanti palestinesi ed i coloni israeliani. La presenza dei nostri militari è stata grandemente apprezzata dai residenti e dalle autorità locali. Il mandato della missione è stato rinnovato, da ultimo, nel settembre 2006, per altri sei mesi. La TIPH si prefigge di promuovere la stabilità politica, nonché il benessere e lo sviluppo economico dei palestinesi a Hebron. Svolge funzioni di osservazione, predisponendo rapporti sulla situazione, e coordina le proprie attività con le autorità israeliane e palestinesi. Il personale della Missione non può interferire in dispute o incidenti, non ha compiti militari o di polizia, né può condurre indagini, ma solo raccogliere informazioni aggiuntive per fornire relazioni più esaustive su quanto rilevato. I rapporti redatti, sono inoltrati ai comitati congiunti israelo-palestinesi previsti dagli accordi, i quali sono competenti a darne seguito, nel caso fossero riscontrate violazioni degli accordi internazionali o dei diritti umani universalmente riconosciuti. In concomitanza con le proteste legate alla questione delle vignette satiriche irridenti all’Islam – che si sono spinte agli inizi di febbraio fin dentro il compound dove è allocata la TIPH ad Hebron – era stato predisposto il ripiegamento a Gerusalemme. Tali incidenti hanno portato ad un ripensamento sulla struttura della Missione, per ovviare alle difficoltà sul terreno puntualmente riferite dai rapporti informativi. In particolare, il nuovo organigramma adottato il 27 agosto 2006 introduce l'ipotesi di rafforzare il profilo sicurezza, di orientare le attività della Missione in modo più visibile per la popolazione locale, nonché la possibilità di cambiamenti strutturali della TIPH onde coinvolgere maggiormente gli Stati membri ed assicurare un maggior rispetto degli impegni da parte di israeliani e palestinesi. La nuova struttura si basa sull'assunto di uno snellimento dell'organico fornito dalle Capitali, che passerebbe da 74 a 58 elementi, eventualmente integrabili con alcuni impiegati assunti in loco. Il contingente italiano diventa di 12 carabinieri. La Missione si articola attorno alle posizioni di Capo Missione (Norvegia), Vice Capo Missione (Italia) e tre Divisioni principali (Operazioni; Logistica ed Amministrazione; Analisi Ricerca ed Informazione) ciascuna guidata da una coppia di Paesi che si alterneranno nelle posizioni di Capo e Vice Capo della Divisione su base semestrale. Italia e Danimarca guidano la Divisione Operazioni, Turchia e Svezia, la Logistica e l'Amministrazione mentre Norvegia e Svizzera si alternano alla guida della Divisione di Analisi Ricerca ed Informazione. Al Capo Missione (HoM) spettano le responsabilità dei rapporti esterni mentre il Vice Capo Missione (DHoM) si occupano di problematiche interne e di sicurezza.

 

Nel corso dell’ultimo biennio sono state numerose le occasioni di incontri bilaterali, sia a livello politico che di amministrazioni ed enti locali. Il Ministro D’Alema si è già recato varie volte nei Territori palestinesi (da ultimo il 7-8 settembre 2006)

Il Governo italiano garantisce, tra l’altro, un contributo annuo di circa 309.000 Euro per il funzionamento della Delegazione Generale Palestinese a Roma.

 

L’Italia è attualmente attiva tra i Paesi del G8 per promuovere il coordinamento necessario tra i donatori (comprese istituzioni internazionali come la Banca Mondiale) per dare concreta applicazione al Piano Marshall. Grande importanza ha avuto lo svolgimento a Roma, nel mese di dicembre 2003, delle riunioni dei donatori nel quadro dell’AHLC e della Task Force per le riforme.

L’Italia ha stanziato circa 241 milioni di Euro negli ultimi 5 anni. Gli interventi previsti si muovono lungo tre linee: la rivitalizzazione del settore privato, con interventi in favore delle piccole e medie imprese palestinesi; lo sviluppo di distretti industriali sul modello italiano e il sostegno alla democratizzazione delle istituzioni e delle amministrazioni locali palestinesi attraverso la formazione dei loro quadri. I settori prioritari congiuntamente identificati dalla Dichiarazione Congiunta, firmata a Roma il 2 dicembre 2005, sono: Sostegno alle Riforme Istituzionali, Assistenza Umanitaria e Sociale (Sanità, Educazione, sostegno ai giovani), Supporto alla Crescita Economica, incremento delle attività di Informazione e Comunicazione. Sono state elaborate due rilevanti iniziative:

- un intervento di 25 milioni di Euro per progetti finalizzati alla democratizzazione delle istituzioni e amministrazioni locali palestinesi attraverso la formazione in loco ed in Italia dei nuovi quadri dirigenti;

- un “Commodity Aid” per la rivitalizzazione del settore privato, per un importo di 25 milioni di Euro e 1,5 milioni di Euro in dono.

 

Nel più ampio quadro degli interventi riconducibili ad “Ali della Colomba”, l’iniziativa italiana del Tavolo 4+1 dà sostanza e contenuto al programma di supporto alle Municipalità Palestinesi cui, come noto, contribuiscono anche UE, Banca Mondiale, Francia, con l’obiettivo di riformare il sistema delle autorità locali. L’iniziativa italiana si concentra su specifiche aree geografiche e settori di intervento mirati, sviluppandosi su due livelli paralleli, in necessario collegamento.

 

Strutturalmente sopravvive nei Territori palestinesi una rete imprenditoriale – con personale qualificato e motivato – che ha continuato, nonostante le lacerazioni dell’Intifada, ad impegnarsi ed a produrre. Permangono – in particolare – settori di interesse per i nostri operatori economici: marmi e materiali lapidei (all’ultima edizione della Fiera del marmo di Verona erano presenti dieci imprese palestinesi del settore); tessile e abbigliamento; pellami e calzature; macchinari; agroindustria; turismo e formazione manageriale; legno (settore in ripresa, in particolare nella Striscia di Gaza dove si concentra la maggior parte della produzione). Un maggiore coinvolgimento delle imprese italiane in tali segmenti produttivi, sarebbe auspicabile, al fine di dare corso a progetti di collaborazione industriale nell’ambito di joint-ventures/cessione di tecnologia.

L’attività economica della regione ha subito una profonda crisi nel corso del primo semestre del 2006 a seguito della costituzione del governo di Hamas. Infatti l’ UE non intrattiene con questo né rapporti né contatti istituzionali, avendo inserito tale organizzazione nella “lista nera” già dal 2003.

 

Per quanto riguarda la collaborazione imprenditoriale, è stato stipulato un accordo per la creazione di una joint-venture italo-palestinese tra la beneventana Seieffe (specializzata in mattonelle realizzate con pietre macinate) ed il gruppo Jerash di Betlemme. Un altro accordo vede impegnata l’Alchemia di Napoli (elementi ornamentali e arredi urbani sempre con pietre macinate) con il gruppo Waleed. Su richiesta della locale Palestinian Federation of Industries è stato recentemente creato un meccanismo di regolare consultazione tra la PFI e rappresentanti del Consolato in Gerusalemme, dell’UTL e dell’ICE per lo sviluppo di iniziative congiunte: nel corso di alcuni incontri gli imprenditori palestinesi hanno mostrato un forte interesse e disponibilità per un loro immediato coinvolgimento nella realizzazione del Piano Marshall.

Non è agevole quantificare l’interscambio con l’Italia essendo la Palestina inserita, praticamente, nella linea doganale israeliana. L’Italia detiene comunque posizioni rilevanti nei seguenti settori: macchinari per la lavorazione dei marmi e pietre, macchinari per l’agroindustria (frantoi ed oleifici), macchinari per la lavorazione delle pelli, macchinario tessile ed in misura più contenuta macchine per la lavorazione delle materie plastiche. Permane una diffusa preferenza per i nostri beni di consumo. L’Italia importa prevalentemente marmo, legname (olivo), manufatti in legno (presepi).

Data l’attuale congiuntura di forte “sensibilità” in loco ed il pressoché totale blocco delle attività economiche non si è in grado di rilevare l’orientamento del sistema bancario italiano (non si registra, peraltro, presenza di banche italiane nei territori palestinesi).

Sono inoltre da segnalare le seguenti joint-venture italo-palestinese, purtroppo ancora in attesa di decollare:

- P.D.C. (Palestinian Development Company) che e’ stata creata nel 1994 a Gaza nel settore della edilizia abitativa con un capitale pari a 4 mln di dollari USA (50% Ministry of Housing e 50% S.C.I. - Societa’ Costruttori Internazionali di Roma). Inoltre, a seguito dell’impegno Simest inquest’area, il Ministero delle Attivita’ Produttive ha concesso, ai sensi del D.M. 136/2000, il finanziamento per spese relative a studi di fattibilità ed a programmi di assistenza tecnica alle due società:

- “Italia Pegasus Institute Srl” per il progetto trilaterale “SANA”, con sede a Gerico, che produce frutta e verdura destinata ad essere esportata in Europa e vede coinvolte per la parte palestinese la ditta “Jana” e per la parte israeliana la “Biomarket;

- “Brand Srl” per la Joint Venture con la ditta palestinese “Modern Industrial Group” di Gaza, per la produzione di arredi per scuole ed uffici .

Sarebbe imminente anche la costituzione della società trilaterale “SAID MED” che realizzerà coltivazioni con tecnologie italiane sperimentali di tipo aereoponico (che permettono la crescita di vegetali senza terra e con marginale utilizzo di acqua).

- Progetto trilaterale per la creazione di un vivaio di imprese calzaturiere nell’area di Ramallah. Una prima fase del progetto, già conclusasi, ha portato alla formazione in Italia di alcuni tecnici palestinesi nel settore calzaturiero.

Questi dovrebbero poi creare alcune unità produttive il cui prodotto verrebbe poi venduto in Israele.

 

Va menzionato, infine, il finanziamento concesso alla “Agenfor” per il progetto “E-district for the Middle East”, nell’ambito dell’Accordo quadro tra Ministero del Commercio con l’Estero, ICE e Conferenza dei Rettori delle Università Italiane (CRUI). 

 

Nel maggio 2003 si è concluso l’iter di ratifica dell’Accordo interinale di collaborazione culturale, scientifica e tecnologica tra l’Italia e l’Autorità Nazionale Palestinese, firmato a Roma nel giugno 2000, che prevede la concessione di borse di studio, contributi per l’insegnamento della lingua italiana, scambi di docenti, organizzazione di eventi culturali, la promozione della mobilità giovanile e la selezione di progetti congiunti di ricerca. L’Accordo è entrato in vigore il 12 dicembre 2004.

 

Il 15 giugno 2004 è stata firmata un’Intesa di Cooperazione tecnica e sportiva tra il Sottosegretario di Stato On. Pescante e il Ministro Al Tamari. Tale intesa prevede attività di cooperazione in discipline sportive, addestramento, medicina dello sport, interscambio di personale specializzato; realizzazione di infrastrutture (centri sportivi polivalenti a livello locale) e servizi per la gioventù e lo sport nei Territori palestinesi.

L'Ufficio Commerciale del consolato di Gerusalemme, in raccordo funzionale con il Punto di Corrispondenza ICE per i Territori, assicura, a partire dal mese di Agosto del 2006, la presenza (bimestrale) di un desk italiano a Ramallah, a seguito di una intesa con la Euro-Palestinian Chamber of Commerce, che ha messo a disposizione la propria struttura. Tale iniziativa, presa a favore dei  numerosi imprenditori palestinesi (di Ramallah, ma anche di Nablus e regione) che non hanno la possibilita' di raggiungere Gerusalemme, ha riscosso vivo apprezzamento da parte degli operatori economici locali.

 

2. Cooperazione allo sviluppo

L’impegno della cooperazione allo sviluppo nei Territori Palestinesi discende dal forte impegno dell’Italia nella stabilizzazione dell’area del medio e Vicino oriente. I conseguenti impegni della Cooperazione italiana per progetti di sviluppo negli ultimi 10 anni hanno raggiunto l’importo di circa 220 milioni di Euro, di cui 160 milioni a dono e 60 milioni a credito d’aiuto.

Prima dello scoppio della seconda intifada (28 settembre 2000) gli interventi di cooperazione erano condotti nell’obiettivo principale di consolidare la formazione dello Stato palestinese secondo gli accordi di Oslo e di sostenere la società civile. I progetti di sviluppo, concordati in base a protocolli bilaterali, erano pertanto ripartiti in un ampio spettro di settori. Il degrado del quadro politico e socio-economico di riferimento a partire dalla fine del 2000, ha frenato la realizzazione dei progetti di sviluppo, ai quali si sono necessariamente affiancati nuovi interventi di emergenza o di job creation mirati a mitigare le situazioni di crisi umanitaria createsi nella striscia di Gaza ed in Cisgiordania, definiti sulla base dei successivi appelli dell’Autorità Palestinese ai donatori.

Nell’aprile 2005, l’Italia ha manifestato la propria disponibilità a sostenere il Piano d’Azione dell’Inviato del Quartetto per il disimpegno da Gaza, James Wolfensohn,

Con l’accordo “Joint Statement”, firmato a Ramallah il 15 maggio 2005 dal Sottosegretario di Stato, Sen. Alfredo Mantica ed il Ministro del Piano palestinese, H. E. Al-Khalib, sono stati definiti i seguenti settori prioritari identificati dalla Cooperazione Italiana: sostegno alle Riforme Istituzionali nell’ambito del processo di democratizzazione intrapreso dall’Autorità Nazionale Palestinese; assistenza Umanitaria e Sviluppo Sociale; sostegno alla Crescita Economica; ricostruzione e Sviluppo della Striscia di Gaza

a) Gli interventi umanitari e di emergenza nel quinquennio 2000-2005 (circa 19,5 milioni di Euro) sono stati indirizzati principalmente: a) ai bisogni immediati della popolazione più vulnerabile in area di conflitto attraverso l’erogazione di aiuti umanitari; b) a mitigare l’impatto delle distruzioni sulla popolazione attraverso la creazione di lavoro e la riabilitazione di infrastrutture essenziali, particolarmente nel campo sanitario. Particolare attenzione è stata data all’area di Betlemme -fortemente legata all’Italia- nonché ai campi rifugiati della striscia di Gaza.

b) I progetti di sviluppo sono stati avviati nei seguenti settori prioritari: sanità (nel quale l’Italia ha la guida dei Donatori), istruzione pubblica e formazione professionale, energia e gestione delle risorse idriche ed ambientali, agricoltura e sviluppo delle infrastrutture nelle aree rurali, sostegno all’imprenditoria privata.

c) Quanto alle iniziative realizzate dalle ONG italiane, 15 progetti in corso sono stati co-finanziati dalla DGCS per un importo complessivo pari a circa 9,25 milioni di Euro nei settori sanitario, educativo, sociale, agricolo, ambientale e culturale.

 

PRINCIPALI INIZIATIVE

Sono attualmente in corso di realizzazione interventi a dono per un totale di circa 37 milioni di Euro. Ove possibile, i relativi progetti sono stati orientati in via prioritaria alle aree palestinesi più fortemente legate all’Italia (Betlemme e Gerusalemme), cercando tuttavia di mantenere un certo equilibrio anche con altri distretti, particolarmente con quelli della Striscia di Gaza. Le principali iniziative sono:

-         Programma di sostegno nel settore sociale, finanziato attraverso un contributo al Fondo Fiduciario dell’UNDP (Emergency Response Programme – ERP) per un importo totale di 8,5 milioni di Euro.

-         Programma volto alla creazione di nuove opportunità di lavoro, attraverso un contributo al Fondo Fiduciario della Banca Mondiale (Palestinian Economic Assistance and Cooperation Expansion), per un importo totale di 10,5 milioni di Euro.

-         Programma finalizzato al miglioramento delle capacità operative ed istituzionali delle ONG palestinesi, finanziato con un Contributo al Fondo Fiduciario della Banca Mondiale, per un importo di 5 milioni di Euro.

-         Programma di sostegno nel settore sanitario, finanziato con un Contributo al Fondo Fiduciario della Banca Mondiale (Emergency Services Support Programme) per un importo totale di 5 milioni di Euro.

-         Programma di supporto al settore dell’educazione con un finanziamento a dono di circa 7 milioni di Euro (Support to Palestinian Education System – UNDP/PAPP).

Quanto agli interventi a credito d’aiuto:

-        E’ in procinto di essere avviata la linea di credito per il sostegno e lo sviluppo delle PMI per un importo a credito di aiuto di 25 milioni di Euro ed una parte a dono di 1,5 milioni di Euro per assistenza tecnica. Tale iniziativa si inserisce nell’ambito dei programmi di sviluppo e fornitura di beni e servizi di origine italiana a favore delle PMI palestinesi previsti dal Ministero degli Affari Esteri per un importo pari a 77 milioni di Euro. I rimanenti due terzi sono così finalizzati: uno alla creazione di distretti industriali a Gaza e Cisgiordania (Simest); l’altro alla formazione di quadri manageriali pubblici e privati (Legge 180).

-         E’ ancora in corso la riabilitazione della rete elettrica in Cisgiordania per circa 33 milioni di Euro.

Tra gli interventi di emergenza realizzati nel 2004, si evidenzia il sostegno umanitario alle popolazioni di Gaza City e del Campo profughi di Rafah, (500mila euro) a seguito delle ripetute incursioni israeliane nella striscia di Gaza: l’aiuto umanitario (kit sanitari e generi alimentari) è stato prontamente fornito; è ora in corso la riabilitazioni di alcune strutture sanitarie, nonché lo sgombero delle macerie, da trasformarsi in materiale da costruzione.

In estensione alle attività in esecuzione nella Striscia di Gaza è stato recentemente autorizzato un finanziamento per un importo di 550 mila Euro per un’iniziativa finalizzata al trattamento dell’emergenza relativa al recupero delle macerie che attualmente, a seguito degli abbattimenti delle residenze israeliane, hanno raggiunto dimensioni altamente drammatiche (quantità stimata per oltre 3 milioni di tonnellate).

Tra il 2005 e il 2006 sono state inoltre approvate due nuove iniziative di emergenza (la prima, di 1,5 milioni di Euro specificatamente rivolta alla popolazione della Striscia di Gaza, e la seconda, di 500 mila Euro, finalizzata a coordinare tutte le attività di emergenza in corso nella regione mediante la costituzione di un apposito fondo esperti) che tuttavia non è stato possibile finanziare nell’anno in corso a causa della mancanza di fondi disponibili.

Va segnalato, infine, che lo scorso luglio, in risposta alla acuta emergenza sanitaria nella Striscia di Gaza è stata effettuata una fornitura di materiale sanitario di prima emergenza per circa 15 tonnellate (per un valore di circa 200 mila Euro) in soccorso agli ospedali di Gaza, ormai carenti di scorte e materiali indispensabili.

Riguardo alle borse di studio, confermando una tradizione che vede i palestinesi in testa ai beneficiari di finanziamenti di cooperazione, per l’anno accademico 2005/2006 sono state concesse 43 borse di studio universitarie e post-universitarie.

Nell’ottobre u.s. è stata approvato il Programma di Aiuto Sanitario ai Territori (PAST), per un importo a dono di circa 7,7 milioni di Euro, che conferma l’interesse dell’Italia a mantenere un ruolo determinante nell’assistenza in campo sanitario. Il Programma comprende un pacchetto di iniziative a gestione diretta che includono assistenza tecnica, con uffici e personale basati a Gerusalemme, Bethlemme, Hebron e Gaza, e sostegno alla spesa corrente del sistema sanitario locale attraverso il contributo al fondo fiduciario della Banca Mondiale denominato Emergency Service Support Program (ESSP).

Esauritisi con la programmazione 2004 gli impegni dei protocolli bilaterali di cooperazione (l’ultimo è stato firmato nel 1998), si rende opportuno ridefinire congiuntamente le priorità per i futuri interventi di cooperazione, da concentrarsi su pochi settori ad alto impatto e visibilità, oltre che mirati a sostenere il nuovo quadro di riferimento che si sta delineando per la ripresa del processo di pace. In tale contesto potrebbe anche essere eventualmente ridefinita la priorità geografica degli interventi che sinora ha privilegiato le aree più fortemente legate all’Italia (distretti di Betlemme e Gerusalemme).

 

Finanziamenti DGCS

ANNO
TOTALE
(doni + crediti)
DONI
CREDITI

 

Deliberato

Erogato

Deliberato

Erogato

Deliberato

Erogato

2005

12.165.019

13.596.465

4.165.019

13.596.465

8.000.000

-

2004

23.460.003

8.609.164

14.460.003

7.555.839

9.000.000

1.053.325

2003

8.363.307

8.332.603

8.363.307

7.995.153

-

337.450

(Dati in Euro). Fonte: SDR, MedioCreditoCentrale, Artigiancassa

 

Percentuali per canali degli importi deliberati nel periodo 2003-2005

Bilaterale (canale ordinario)

52,9%

Multilaterale e Multibilaterale

21,2%

ONG

15,2%

Bilaterale (canale emergenza)

10,7%

Fonte: SDR

 
SETTORI D’INTERVENTO PRIORITARI

(Deliberato 2003-2005 - Euro )

PMI E PRIVATO

38,7%

FORMAZIONE

17,6%

EMERGENZA

11,2%

SANITARIO

10,4%

INSTITUTION BUILDING

10,1%

AGRICOLTURA, SVILUPPO RURALE E PESCA

4,8%

TUTELA DEI MINORI E POLITICHE DI GENERE

4,3%

PATRIMONIO ARTISTICO E CULTURALE

2%

AMBIENTE, HABITAT E TURISMO SOSTENIBILE

0,4%

ENERGIA E INFRASTRUTTURE

0,3%

INFORMAZIONE E ICT

0,2%

 

DATI STATISTICI BILATERALI

 

 

 

 

 

 

PRINCIPALI ESPORTAZIONI E IMPORTAZIONI ITALIANE (2006*)

ESPORTAZIONI

IMPORTAZIONI

1. Macchine per la lavorazione edile
  ( pietre/materiali lapidei)

1. Marmo

2. Macchine per l’agroindustria
  (frantoi /oleifici )

2. Legname (ulivo)

3. Macchine per la lavorazione della pelle

3. Altri prodotti delle industrie manifatturiere

4. Macchinari tessili e per materie plastiche

 

Fonte: ICE (*giugno 2006)

   

QUOTE DI MERCATO

PRINCIPALI FORNITORI

% su import

PRINCIPALI ACQUIRENTI

% su export

1. Israele

 

1. Israele

 

2. Giordania

 

2. Giordania

 

3. Germania / Cina

 

3. Emirati Arabi Uniti

 

Fonte: CIA

 

 

SACE (anno – milioni di Euro)

Categoria di rischio

7 su 7

Classe B (apertura con restrizioni)

BT e MLT si prevede esame caso per caso. Sono assicurabili solo i rischi accessori (escluso il rischio produzione) connessi a progetti finanziati da organismi internazionali.

Impegni in essere (a)

-

- % del totale

Indennizzi erogati da recuperare (b)

-

- % del totale

Esposizione complessiva (a+b)

-

- % del totale

Fonte: Fonte: ICE (*giugno 2006)

 

ACCORDI DI RISTRUTTURAZIONE DEBITORIA

Ultima intesa Club di Parigi

L’ANP non ha mai fatto ricorso al Club

Ultimo accordo bilaterale

-

Fonte: SACE

 

 

 

 

 

 



[1] Il tasso di povertà potrebbe raggiungere il 74% nel 2008. Infatti, attualmente, 2,4 milioni di persone vivono sotto la soglia di povertà ed il 65% di famiglie sono indebitate. Ciò potrebbe portare ad un aggravamento della situazione umanitaria nei territori palestinesi e, quindi, la necessità di ricorrere nuovamente ed con un maggior peso, agli aiuti e finanziamenti internazionali, creando un circolo vizioso forse inesauribile. Un altro elemento indispensabile è che una popolazione affamata cercherà sicuramente una via di uscita. Alcuni fenomeni di migrazione sono già accaduti a partire dal 2003, con la conseguente chiusura delle frontiere da parte degli Stati confinanti tra cui l’Iraq, la Giordania, l’Egitto, la Siria ed Israele, dove buona parte della popolazione palestinese viene trattenuta sui confini in condizioni particolarmente precarie. Un fenomeno migratorio di massa potrebbe portare alla chiusura collettiva delle frontiere, lasciando intere famiglie alla mercé della fame e rinnovando una nuova fase di crisi umanitaria e la conseguente necessità di un intervento umanitario internazionale.

 

[2] Il Partito della Terza Via conta due seggi al Consiglio Legislativo Palestinese.

[3] Hanno diritto di voto solo i Palestinesi residenti nella Cisgiordania, nella Striscia di Gaza e a Gerusalemme Est.

[4]Per la votazione della riforma e la successiva fiducia al Governo di Abu Mazen, Israele ha concesso, per la prima volta, dei permessi speciali ai deputati giunti a Ramallah da tutti i territori. Ad alcuni deputati non è stato, tuttavia, concesso tale permesso in quanto le autorità israeliane ritengono che abbiano avuto una parte attiva in alcuni attentati anti-israeliani.

[5] Precedentemente, nell’ambito del Consiglio Legislativo Palestinese era prevista un’apposita Commissione per l’esercizio del potere esecutivo denominata Autorità esecutiva del Consiglio. A tale Autorità esecutiva era delegato il potere esecutivo, che essa esercitava per conto dell’intero Consiglio. Il Presidente, eletto anch’esso a suffragio universale per cinque anni, era membro di diritto e presiedeva l’Autorità esecutiva. Proponeva al Consiglio i membri parlamentari dell’Autorità esecutiva, la cui nomina era subordinata alla successiva approvazione del Consiglio, e nominava direttamente i membri non parlamentari – in misura del 20% del totale dei componenti – che non avevano diritto di voto. Il Presidente presentava i disegni di legge al Consiglio, promulgava le leggi ed emanava decreti legislativi e regolamenti.

[6] la Palestina si trovava già al 107º posto su 159 Paesi nell’Indice di Trasparenza Internazionale sulla Percezione della Corruzione.

[7] L’andamento di progressiva chiusura della Comunità Internazionale verso la politica economica palestinese ha subito un rilevante cambiamento a seguito delle dichiarazioni rese pubbliche dal governo di Ramallah sulle intenzioni di creare un governo di unità nazionale con Fatah. Infatti, lo scorso 18 settembre i Paesi occidentali hanno deciso di premiare questa presa di posizione, riaprendo il finanziamento indiretto attraverso l’ESSP (Emergency Services Support Program) della Banca Mondiale. Il fondo di donazione, il cui totale ammonta a 46,6 milioni di dollari, ha lo scopo esclusivo di finanziare e supportare per un periodo iniziale di 7 mesi, i servizi essenziali della popolazione palestinese, tra cui la distribuzione di prodotti medici e farmaceutici, la riabilitazione delle scuole ed il dislocamento di materiale scolastico, così come le misure di sostegno alle Università e agli istituti di insegnamento superiore. Se da un lato il nuovo flusso finanziario ha mirato ad evitare una catastrofe umanitaria, dall’altro esso è stato indirizzato a coprire le spese di alcuni progetti dei Ministeri della Salute e degli Affari Sociali, escludendo esplicitamente le spese salariali.

 

[8] La Lega Araba è un’organizzazione con sede al Cairo (Egitto), fondata nel 1945. Racchiude 22 Stati arabi con l’intento di coordinare gli affari economici, sociali, e politici tra i membri. La questione palestinese ha avuto fin dall’inizio un ruolo fondamentale nel programma della Lega – si noti infatti il conflitto arabo-israeliano del 1948. Nel corso dei 50 anni successivi, la posizione espressa dall’organizzazione è stata racchiusa nei ‘3 No’: no alla pace con Israele, no al riconoscimento, e no ai negoziati. Nel 2002 invece (Vertice di Beirut), la Lega ha proposto un testo contenente un’azione programmatica nei confronti della questione palestinese. Il riconoscimento dello Stato d’Israele e la normalizzazione dei rapporti sono possibili solo in presenza dei seguenti presupposti: 1) ritiro dai territori occupati durante il conflitto arabo-israeliano del 1967 (land for peace); 2) Giusta soluzione al problema dei rifugiati palestinesi; 3) Riconoscimento di uno Stato palestinese sovrano ed indipendente a Gaza e nel West Bank. Questa stessa proposta di pace è stata ribadita all’ultimo vertice di Riad, insieme ad un confronto sulle attuali questioni che coinvolgono il Medio Oriente – Iraq, la quale occupazione è considerata illegale, e il caso Iran.

 

[9] Si tratta di tre stati del Maghreb (Algeria, Tunisia, Marocco), cinque del Mashrek (Egitto, Israele, Giordania, Libano, e Siria) e Autorità Palestinese; e tre Paesi attualmente coinvolti nel processo di Allargamento dell’UE: Malta, Cipro e Turchia.