Camera dei deputati - XV Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento affari comunitari
Altri Autori: Ufficio Rapporti con l'Unione Europea
Titolo: Disposizioni urgenti in materia di allontanamento dal territorio nazionale per esigenze di pubblica sicurezza - D.L. 181/2007 - A.C. 3292
Riferimenti:
AC n. 3292/XV   DL n. 181 del 01-NOV-07
Serie: Note per la compatibilità comunitaria    Numero: 9
Data: 12/12/2007
Organi della Camera: I-Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni
II-Giustizia
XIV - Politiche dell'Unione europea

 

 

 


Camera dei deputati

xv legislatura

 

servizio studi

ufficio rapporti con l’unione europea

 

 

 

 

note sulla compatibilità comunitaria per la xiv commissione

 

Disposizioni urgenti in materia di allontanamento dal territorio nazionale per esigenze di pubblica sicurezza

D.L. 181/2007

A.C. 3292

 

 

n. 9

 

12 dicembre 2007


 


Camera dei deputati

xv legislatura

 

servizio studi

ufficio rapporti
con l’unione europea

 

 

 

NOTE SULLA COMPATIBILITA’ COMUNITARIA

 

 

 

 

Disposizioni urgenti in materia di allontanamento dal territorio nazionale per esigenze di pubblica sicurezza

D.L. 181/2007

A.C. 3292

 

 

 

 

 

 

n. 9

 

 

 

12 dicembre 2007


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La nota è stata redatta in collaborazione con il Dipartimento Istituzioni e con il Dipartimento Giustizia

 

 

Dipartimento affari comunitari

SIWEB

 

I dossier dei servizi e degli uffici della Camera sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.

 

 

 

File: NOTST009.doc


I N D I C E

 

Dati identificativi1

Contenuto  2

Elementi di valutazione per la compatibilità comunitaria  19

§      Esame del provvedimento in relazione alla normativa comunitaria  19

§      Procedure di contenzioso  19

§      Documenti all’esame delle istituzioni dell’Unione europea  19

 

 

 

 


Dati identificativi

 

 

Numero dell'atto

A.C. 3292

Numero del deceto-legge

181/2007

Titolo

Disposizioni urgenti in materia di allontanamento dal territorio nazionale per esigenze di pubblica sicurezza

Settore d’intervento

Diritti e libertà fondamentali; Unione europea; immigrazione

Iter al Senato

Sì (A.S. 1872)

§         Testo originario

2

§         Testo approvato dal Senato

4

Date

 

§       Emanazione

1° novembre 2007

§       pubblicazione in Gazzetta ufficiale

2 novembre 2007

§       approvazione del Senato

29 novembre 2007

§       assegnazione

7 dicembre 2007

§       scadenza

1° gennaio 2008

Commissione competente

Commissioni riunite I (Affari costituzionali) e II (Giustizia)

Pareri previsti

Commissioni III (Affari esteri), V (Bilancio), XII (Affari sociali) e XIV (Politiche dell’Unione europea)

 

 


Contenuto

Il decreto-legge 1º novembre 2007, n. 181, recante disposizioni urgenti in materia di allontanamento dal territorio nazionale per esigenze di pubblica sicurezza, è stato pubblicato nella G.U. n. 255 del 2 novembre 2007. Scadrà pertanto in data 1° gennaio 2008.

Il testo del decreto-legge, comprensivo delle modificazioni e integrazioni apportate nel corso dell’esame al Senato del disegno di legge di conversione (A.S. 1872), consta di quattro articoli.

Articolo 1

L’articolo in esame reca una serie di modifiche testuali al D.Lgs. 30/2007[1], che ha recepito nell’ordinamento interlo la direttiva 2004/38/CE, relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri[2].

 

La finalità perseguita dal Governo, secondo quanto si desume dalla relazione illustrativa al d.d.l. di conversione presentato al Senato, è quella di “assicurare celerità ed effettività all’esecuzione degli allontanamenti dei cittadini dell’Unione europea e dei loro familiari, quando tali provvedimenti sono adottati per motivi di pubblica sicurezza”.

 

Fanno eccezione i commi 2-bis, 2-ter e 2-quater, introdotti nel corso dell’esame al Senato, che novellano il D.Lgs. 215/2003, in tema di parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica.

Comma 01 (dichiarazione di presenza nel territorio nazionale)

I commi da 01 a 04 dell’articolo sono stati introdotti in sede di conversione del decreto-legge al Senato.

Il comma 01 aggiunge un comma all’art. 5 del D.Lgs. 30/2007, ai sensi del quale il cittadino dell’Unione o il suo familiare che abbia fatto ingresso in Italia, può dichiarare presso un ufficio di polizia la propria presenza nel territorio nazionale. Tale adempimento non è obbligatorio; la sua mancanza, peraltro, fa sorgere la presunzione giuridica (salva prova contraria), che il soggiorno si sia protratto da oltre tre mesi.

Le modalità della dichiarazione saranno fissate con decreto del ministro dell’interno entro trenta giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione.

L’onere di dichiarazione e la correlata presunzione si collegano al diritto, riconosciuto ai cittadini dell'Unione (e ai familiari) dall’art. 6 del D.Lgs. 30/2007 (che riprende il disposto dell’art. 6 della direttiva) di soggiornare nel territorio nazionale per un periodo non superiore a tre mesi senza alcuna condizione o formalità, salvo il possesso di un documento d'identità valido per l'espatrio (o, per i familiari, di un passaporto valido).

 

Si ricorda che l’art. 5, co. 5 della direttiva dà allo Stato membro la possibilità di “prescrivere all'interessato di dichiarare la propria presenza nel territorio nazionale entro un termine ragionevole e non discriminatorio. L'inosservanza di tale obbligo può comportare sanzioni proporzionate e non discriminatorie”.

Commi 02-04 (requisiti per il soggiorno e l’iscrizione anagrafica)

I commi 02 e 03 modificano l’elencazione dei requisiti posti dall’art. 7 e dall’art. 9 del D.Lgs. 30/2007 ai fini, rispettivamente, del soggiorno del cittadino dell’Unione nel territorio nazionale per un periodo superiore a tre mesi e dell’iscrizione nell’anagrafe dei residenti. Ad entrambi i fini, il requisito della disponibilità di risorse economiche sufficienti per sé stesso e per i propri familiari, prescritto dalla vigente disciplina (e la relativa documentazione) è integrato con la precisazione che tali risorse devono derivare da fonti lecite e dimostrabili.

Il comma 04 integra l’art. 18, co. 2, del D.Lgs. 30/2007, ove si prevede che la continuità del soggiorno sia interrotta dal provvedimento di allontanamento adottato nei confronti della persona interessata, precisando che tale provvedimento di allontanamento costituisce causa di cancellazione anagrafica.

Comma 1 (allontanamento per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza)

Il comma 1 modifica l’articolo 20 del D.Lgs. 30/2007, che reca la disciplina in tema di limitazioni al diritto di ingresso e di soggiorno per motivi di ordine pubblico. L’intervento governativo si appalesa, sin dalla modifica apportata alla rubrica dell’articolo, come volto a prevedere l’innovazione della suddetta disciplina limitativa con riferimento ai profili di pubblica sicurezza.

In particolare, è la disciplina dell’allontanamento ad essere innovata, con riguardo sia ai presupposti sia al procedimento.

 

Quanto ai presupposti dell’allontanamento, l’inserimento di un nuovo comma 1-bis nell’art. 20 (previsto da una modifica apportata dal Senato al testo del decreto-legge) precisa in via generale che i provvedimenti di allontanamento sia per motivi di ordine pubblico, di sicurezza dello Stato o di pubblica sicurezza, sia per cessazione delle condizioni che determinano il diritto di soggiorno, non possono essere motivati da ragioni estranee ai comportamenti individuali della persona interessata. Alla luce di tale criterio dovranno dunque essere interpretate le condizioni che, ai sensi delle ulteriori modifiche apportate all’articolo, giustificano l’allontanamento.

 

In base al comma 1 dell’art. 20 – non modificato dal decreto-legge – il diritto di ingresso e di soggiorno dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari, qualsiasi sia la loro cittadinanza, può essere in generale limitato solo per motivi “di ordine pubblico o di pubblica sicurezza”.

L’art. 20, co. 4, nel testo previgente, consente l’allontanamento nei confronti dei cittadini della UE titolari del diritto di soggiorno permanente, solo per “gravi motivi di ordine e di sicurezza pubblica”. In base al testo modificato, l’allontanamento può essere disposto per “gravi motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza”.

 

Si ricorda che, in base all’art. 14 del D.Lgs. 30/2007, il cittadino dell'Unione che ha soggiornato legalmente ed in via continuativa per cinque anni nel territorio nazionale ha diritto al soggiorno permanente, così come il familiare non avente la cittadinanza di uno Stato membro che abbia soggiornato legalmente in via continuativa per cinque anni nel territorio nazionale unitamente al cittadino dell'Unione[3].

In base all’art. 28 della direttiva 2004/38/CE lo Stato membro ospitante non può adottare provvedimenti di allontanamento dal territorio nei confronti del cittadino dell'Unione o del suo familiare qualunque sia la cittadinanza, che abbia acquisito il diritto di soggiorno permanente nel suo territorio, se non per gravi motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza.

 

Nei riguardi dei cittadini dell'Unione europea che hanno soggiornato nel territorio nazionale nei precedenti dieci anni o che siano minorenni, il testo previgente (art. 20, co. 5) condizionava l’allontanamento alla sussistenza di “motivi di pubblica sicurezza che mettano a repentaglio la sicurezza dello Stato”. Il testo modificato, invece, individua il presupposto per l’allontanamento nell’esistenza di “motivi di sicurezza dello Stato”, ovvero di “motivi imperativi di pubblica sicurezza”.

In base all’art. 28 della direttiva, le tipologie di cittadini sopra citate non possono essere oggetto di una decisione di allontanamento, salvo che la decisione sia adottata per “motivi imperativi di pubblica sicurezza definiti dallo Stato”.

Resta salva, nel testo modificato, la possibilità di allontanamento del minore disposta nel suo stesso interesse, secondo quanto previsto dalla Convenzione sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, ratificata con legge 27 maggio 1991, n. 176.

 

Tali modifiche testuali appaiono funzionali a una riclassificazione dei presupposti definiti dal testo previgente (motivi di ordine e di sicurezza pubblica; motivi di pubblica sicurezza ridondanti in rischio per la sicurezza dello Stato) in più distinti e autonomi presupposti, ciascuno di per sé legittimante l’allontanamento:

§         motivi di ordine pubblico;

§         motivi di sicurezza dello Stato;

§         motivi di pubblica sicurezza;

§         motivi imperativi di pubblica sicurezza.

Il testo in esame non reca una definizione delle categorie testé elencate, ad eccezione di quella dei motivi “imperativi” di pubblica sicurezza (sulla quale, vedi infra).

Tale riclassificazione incide, come si dirà, sia sulla titolarità del potere di allontanamento sia sulle modalità di esercizio di tale potere.

 

Quanto alla titolarità del potere di allontanamento, i commi 7 (novellato) e 7-bis(di nuova introduzione) dell’articolo 20 delineano un “doppio binario”.

Spettano al ministro dell’interno (co. 7) i provvedimenti di allontanamento disposti:

§         per motivi di ordine pubblico;

§         per motivi di sicurezza dello Stato;

§         nei riguardi di cittadini dell'Unione europea che hanno soggiornato nel territorio nazionale nei precedenti dieci anni o che siano minorenni.

La competenza del ministro dell’interno è fondata pertanto in due casi sulla tipologia del presupposto, nel terzo sulle caratteristiche personali del soggetto destinatario del provvedimento.

Competono invece al prefetto(co. 7-bis), i provvedimenti disposti

§         per motivi di pubblica sicurezza;

§         per motivi imperativi di pubblica sicurezza, se riguardanti soggetti diversi da quelli di cui al co. 5 (cittadini dell'Unione che hanno soggiornato in Italia nei precedenti dieci anni o minorenni).

La competenza territoriale del prefetto è individuata secondo la residenza o dimora del destinatario del provvedimento.

 

In base al codice civile, per residenza s’intende il luogo in cui la persona ha la dimora abituale (art. 43). Il concetto di dimora non è invece definito a livello codicistico; la dottrina ritiene che esso indichi il “luogo ove una persona si trova sia pure momentaneamente purché in via non passeggera” (Gazzoni).

 

Quanto all’allontanamento disposto dal ministro dell’interno (art. 20, co. 7), nel testo modificato dal Senato si prevede che la durata del divieto di reingresso sul territorio nazionale non possa essere superiore a dieci anni (erano tre anni nel testo previgente del D.Lgs. 30/2007), e che il termine stabilito per lasciare il territorio nazionale, non inferiore ad un mese dalla data della notifica, nei casi di comprovata urgenza può essere ridotto a dieci giorni.

Il principale elemento di innovazione in tema di competenza all’allontanamento risiede peraltro nella attribuzione della relativa titolarità al prefetto ove i motivi legittimanti attengano alla pubblica sicurezza (art. 20, co. 7-bis). Nel testo previgente, infatti, i poteri di allontanamento erano attribuiti in tutti i casi al ministro dell’interno.

 

Il provvedimento prefettizio di allontanamento per motivi di pubblica sicurezza deve avere i seguenti connotati (art. 20, co. 7-bis):

§         va in ogni caso disposto con atto motivato[4];

§         va notificato all’interessato;

§         va tradotto in una lingua comprensibile al destinatario, ovvero in inglese;

§         deve riportare le modalità di impugnazione;

§         deve indicare la durata del divieto di reingresso sul territorio nazionale, che non può essere superiore a cinque anni (tre anni nel testo originario del decreto-legge: il termine è stato ampliato nel corso dell’esame al Senato);

§         deve indicare il termine stabilito per lasciare il territorio nazionale, che non può essere inferiore ad un mese dalla data della notifica ma, nei casi di comprovata urgenza, può essere ridotto a dieci giorni (anche questo secondo termine è stato introdotto dal Senato).

In base al testo in esame, normalmente l’allontanamento per motivi di pubblica sicurezza è eseguito dal prefetto mediante intimazione a lasciare il territorio nazionale entro un certo termine. Ove però ricorrano motivi imperativi di pubblica sicurezza, il provvedimento di allontanamento è immediatamente eseguito dal questore.

 

Il testo prevede invece espressamente, tramite rinvio all'art. 13, co. 5-bis, del d.lgs. 286/1998, che il rimedio giurisdizionale esperibile avverso il provvedimento di allontanamento eseguito dal questore per motivi imperativi di pubblica sicurezza è il medesimo previsto per gli stranieri cittadini di Paesi non appartenenti all’Unione europea.

 

L’art. 13 del T.U. disciplina l’espulsione amministrativa dello straniero. Il comma 5-bis prevede che, nei casi di espulsione con accompagnamento alla frontiera, il questore comunica immediatamente e, comunque, entro 48 ore (decorrenti dal momento della comunicazione del provvedimento alla cancelleria) al giudice di pace territorialmente competente, il provvedimento con il quale è disposto l'accompagnamento. L'esecuzione del provvedimento del questore di allontanamento dal territorio nazionale è sospesa fino alla decisione sulla convalida[5], che avviene in udienza camerale, con decreto motivato, entro le 48 ore successive, garantito il contraddittorio. In attesa della definizione del procedimento di convalida, lo straniero espulso è trattenuto in uno dei CPT (centri di permanenza temporanea) salvo che il procedimento possa essere definito nel luogo in cui è stato adottato il provvedimento di allontanamento anche prima del trasferimento in uno dei centri disponibili. Quando la convalida è concessa, il provvedimento di accompagnamento alla frontiera diventa esecutivo. Se la convalida non è concessa ovvero non è osservato il termine per la decisione, il provvedimento del questore perde ogni effetto. Avverso il decreto di convalida è proponibile ricorso per cassazione. Il relativo ricorso non sospende l'esecuzione dell'allontanamento dal territorio nazionale. Il termine di quarantotto ore entro il quale il giudice di pace deve provvedere alla convalida.

 

A tale proposito va sin d’ora segnalato che l’articolo 1-ter del decreto-legge in esame, introdotto nel corso dell’esame al Senato (vedi infra), trasferisce al tribunale ordinario in composizione monocratica le competenze attualmente riconosciute al giudice di pace dal testo unico sull’immigrazione.

Il questore dispone l’allontanamento immediato dal territorio dello Stato anche nei casi in cui:

§         il provvedimento – in questo caso disposto dal ministro dell’interno – sia fondato su motivi di sicurezza dello Stato;

§         l’intimato non abbandoni il territorio dello Stato entro il termine in precedenza assegnato in sede di intimazione (art. 20, co. 9, novellato);

§         il destinatario del provvedimento rientri nel territorio dello Stato in violazione del divieto di reingresso.

Il novellato art. 20, co. 8, stabilisce che quest’ultimo caso configura un’ipotesi di delitto, punito con la reclusione fino a tre anni. Sul punto, il decreto-legge innova rispetto al testo previgente, che prevedeva per la stessa condotta una fattispecie contravvenzionale, punita con l'arresto da tre mesi ad un anno e con l'ammenda da euro 500 ad euro 5.000.

 

Si ricorda, quanto alle ulteriori conseguenze processuali della innovazione in esame, che possono essere disposte misure cautelari coercitive solo ove si proceda per delitti puniti con l’ergastolo o con la reclusione superiore nel massimo a tre anni. L’applicazione della custodia cautelare in carcere, peraltro, è possibile ove si proceda per un delitto punito con la reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni (art. 280 c.p.p.). Pertanto, l’introduzione della nuova ipotesi di delitto non pare comportare l’applicabilità di misure cautelari di tipo coercitivo.

 

A seguito delle modifiche apportate, nel corso dell’esame al Senato, alle lettere f) e g) del comma 4 dell'articolo 1 del decreto-legge, anche alle ipotesi di allontanamento immediato testé elencate è assicurata l'applicabilità del già richiamato rimedio giurisdizionale previsto dall'art. 13, co. 5-bis, del testo unico in materia di immigrazione.

Il comma 7-ter introdotto nell’art. 20 (e riformulato nel corso dell’esame al Senato) reca una definizione legislativa della nuova nozione di motivi imperativi di pubblica sicurezza: essi ricorrono quando il cittadino dell'Unione o un suo familiare che non abbia la cittadinanza di uno Stato membro, abbia tenuto “comportamenti che costituiscono una minaccia effettiva, concreta e grave alla dignità umana o ai diritti fondamentali della persona umana ovvero all’incolumità pubblica, rendendo urgente l’allontanamento perché la sua ulteriore permanenza sul territorio è incompatibile con la civile e sicura convivenza”.

Il comma 7-quater, introdotto dal Senato, integra il comma precedente individuando una serie di elementi che devono essere presi in considerazione dal prefetto in sede di adozione del provvedimento di allontanamento dal territorio nazionale per motivi imperativi di pubblica sicurezza.

La norma in esame fa riferimento, in primo luogo, ad eventuali sentenze di condanna pronunciate da un giudice nazionale o straniero per uno o più delitti non colposi, anche tentati contro la vita o l'incolumità della persona, ovvero per taluni delitti corrispondenti a quelli previsti dall'articolo 8 della legge 22 aprile 2005, n. 69, anche nel caso in cui la pena inflitta per i citati reati sia stata oggetto di patteggiamento ai sensi dell'articolo 444 c.p.p..

 

Inoltre, dovrà essere tenuta in considerazione l'eventuale appartenenza della persona nei cui confronti si intenda disporre il provvedimento di allontanamento dal territorio nazionale per motivi imperativi di pubblica sicurezza a taluna delle categorie di persone nei cui confronti è possibile applicare una misura di prevenzione personale ai sensi dell'art. 1 della L. 1423/1956[6], e dell'art. 1 della L. 575/1965[7].

 

La L. 1423/1956 individua i seguenti destinatari delle misure di prevenzione personale:

§       coloro che debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che siano abitualmente dediti a traffici delittuosi;

§       coloro che per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose;

§       coloro che per il loro comportamento debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che sono dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l’integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica.

A sua volta, la L. 575/1965 individua i destinatari delle misure di prevenzione “antimafia”, in coloro che siano “indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso, alla camorra o ad altre associazioni, comunque localmente denominate, che perseguono finalità o agiscono con metodi corrispondenti a quelli delle associazioni di tipo mafioso”.

 

Da ultimo, il citato comma 7-quater fa, altresì, riferimento all'eventuale applicazione di misure di prevenzione o di allontanamento disposte da autorità straniere.

Un ulteriore elemento è apportato dal comma 7-sexies, anch’esso introdotto dal Senato, secondo il quale i provvedimenti di allontanamento comunque motivati sono adottati tendendo conto anche delle segnalazioni motivate del sindaco del luogo di soggiorno del cittadino dell’Unione o del suo familiare.

 

Il comma 7-quinquies, anch’esso introdotto in sede di conversione, introduce una procedura che consente al cittadino dell’Unione destinatario del provvedimento di allontanamento per motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza o sicurezza dello Stato di chiedere la revoca del divieto di reingresso, qualora ritenga di poter dimostrare l’avvenuto oggettivo mutamento delle circostanze che hanno motivato la decisione, purché sia decorsa almeno la metà della durata del divieto, o comunque almeno tre anni, dall’esecuzione del provvedimento. di vietarne il reingresso nel territorio nazionale. Sulla domanda decide entro sei mesi con atto motivato l’autorità che ha emanato il provvedimento. Durante l’esame della domanda l’interessato non ha diritto di ingresso nel territorio nazionale.

 

La direttiva 2004/38/CE (art. 32) prevede che la persona nei cui confronti sia stato adottato un provvedimento di divieto d'ingresso nel territorio per motivi d'ordine pubblico o pubblica sicurezza possa presentare una domanda di revoca del divieto d'ingresso nel territorio nazionale dopo il decorso di un congruo periodo, determinato in funzione delle circostanze e in ogni modo dopo tre anni a decorrere dall'esecuzione del provvedimento definitivo di divieto validamente adottato ai sensi del diritto comunitario, nella quale essa deve addurre argomenti intesi a dimostrare l'avvenuto oggettivo mutamento delle circostanze che hanno motivato la decisione di vietarne l'ingresso nel territorio. Lo Stato membro interessato si pronuncia in merito a tale nuova domanda entro sei mesi dalla data di presentazione della stessa. La persona interessata non ha diritto d'ingresso nel territorio dello Stato membro durante l'esame della sua domanda.

Comma 2 (allontanamento del soggetto sottoposto a procedimento penale)

L’articolo 1, comma 2, del decreto-legge in esame introduce nel D.Lgs. 30/2007 un nuovo articolo 20-bis, composto da tre commi e rubricato: Allontanamento del cittadino dell’Unione o di un suo familiare sottoposto a procedimento penale.

 

Il comma 1 prevede che, qualora il destinatario del provvedimento di allontanamento per motivi imperativi di pubblica sicurezza sia sottoposto a procedimento penale, si applicano le disposizioni di cui all’art. 13, co. 3, 3-bis, 3-ter, 3-quater e 3-quinquies del testo unico sull'immigrazione, di cui al citato D.Lgs. 286/1998. In altri termini, si rinvia alla analoga disciplina già vigente per i cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea e per gli apolidi. Tale disciplina si basa sulla necessità di un nulla-osta da parte dell'autorità giudiziaria.

 

I commi 13, 13-bis, 13-ter e 14, richiamati dal comma 3-quater dell’art. 13 citato, contengono una disciplina del reingresso che differisce da quella di cui all'art. 20 del D. Lgs. 30/2007 (e dalla direttiva 2004/38). Pertanto parrebbe che il rinvio al comma 3-quater non dovrebbe essere interpretato nel senso di ricomprendere anche l'ultimo periodo.

 

Infine, ai sensi dell'art. 3-quinquies, se lo straniero espulso rientra illegalmente nel territorio dello Stato prima del termine previsto dal comma 14 ovvero, se di durata superiore, prima del termine di prescrizione del reato più grave per il quale si era proceduto nei suoi confronti, si applica l'art. 345 c.p.p.. Se lo straniero era stato scarcerato per decorrenza dei termini di durata massima della custodia cautelare, quest'ultima è ripristinata a norma dell'art. 307 c.p.p..

 

Per i motivi suindicati, anche il rinvio al comma 3-quinquies sembrerebbe porre qualche problema di coordinamento con la disciplina del reingresso per i cittadini dell'Unione europea.

 

Il comma 1-bis, introdotto dal Senato, dà facoltà al questore di disporre, nei casi di cui al comma 1, il trattenimento in strutture già destinate per legge alla permanenza temporanea.

 

Il comma 2 prevede che, contrariamente a quanto previsto dal suddetto comma 3-quater dell'art. 13 del Testo unico sull'immigrazione, nell'ipotesi di reati di cui all'art. 380 c.p.p. il giudice non pronuncia la sentenza di non luogo a procedere una volta avvenuta l'espulsione.

 

Alla luce di tale disposizione sembrerebbe dunque esservi una diversità tra la situazione del cittadino extracomunitario, nei cui confronti viene pronunciato il non luogo a procedere, e quello dell'Unione, nei confronti del quale, in alcuni casi, ciò non avviene.

 

Il comma 3 stabilisce che, per i suddetti reati di cui all'art. 380 c.p.p., può procedersi all’allontanamento solo nell’ipotesi in cui il soggetto, per qualsiasi causa, non sia sottoposto a misura cautelare detentiva (e non solo, dunque, nel caso in cui esso non si trovi in stato di custodia cautelare in carcere, come previsto dall'art. 13, co. 3, del D.Lgs. 286/1998).

Commi 2-bis-2-quater (disposizioni in materia di parità di trattamento indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica)

I commi 2-bis, 2-ter e 2-quaterdell’articolo 1 – introdotti nel corso dell’esame del disegno di legge di conversione del decreto presso il Senato – novellano il D.Lgs. 215/2003, in tema di parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica[8].

 

Il D.Lgs. 215/2003 recepisce la direttiva 2000/43/CE e reca disposizioni relative alla parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica, prevedendo le misure necessarie ad evitare che le differenze di razza o etnia siano causa di discriminazione, diretta e indiretta, anche in considerazione del differente impatto che le medesime forme di discriminazione possano avere su donne e uomini e sull’esistenza di forme di razzismo a carattere culturale e religioso.

 

In particolare, il comma 2-bis interviene sull’art. 2 del D.Lgs. 215/2003, che introduce la nozione di discriminazione.

 

Ai sensi dell’art. 2, la parità di trattamento è assicurata qualora non sia praticata alcuna discriminazione diretta o indiretta a causa della razza o dell’origine etnica (comma 1).

Si ha una discriminazione diretta, quando, per la razza o l’origine etnica, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in una situazione analoga.

La discriminazione indiretta si verifica invece quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri mettono persone di una determinata razza od origine etnica in una posizione di particolare svantaggio rispetto ad altre persone.

Sono altresì considerate alla stregua di discriminazioni anche le molestie, ovvero quei comportamenti indesiderati, posti in essere per motivi di razza o di origine etnica, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una persona e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante e offensivo (comma 3).

Anche l’ordine di discriminare le persone a causa della razza o dell’origine etnica è una forma di discriminazione (comma 4).

 

Il provvedimento in commento modifica il comma 3 dell’art. 2 sostituendo fra le parole “umiliante” e “offensivo” la particella “e” con la particella “o”. Ciò comporta che costituiscono discriminazione anche le molestie o i comportamenti indesiderati che hanno come scopo o effetto di violare la dignità di una persona così da creare un clima intimidatorio, ostile, degradante umiliante o offensivo.

 

I commi 2-ter e 2-quater intervengono sull’articolo 4 del decreto legislativo n. 215/1993, relativo alla tutela giurisdizionale dei diritti dei soggetti che si ritengano lesi dalle forme di discriminazione di cui all’art. 2.

 

Tale tutela si svolge nelle forme previste dall’articolo 44 del Testo unico sull’immigrazione (comma 1).

Per coloro che intendono agire in giudizio per il riconoscimento della sussistenza di una discriminazione e che non ritengano di avvalersi delle procedure di conciliazione previste dai contratti collettivi, si prevede la possibilità di promuovere il tentativo di conciliazione di cui all’articolo 410 del codice di procedura civile o, nei casi di rapporto di lavoro con le amministrazioni pubbliche, di cui all’articolo 66 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165[9]. Il tentativo di conciliazione può essere promosso anche tramite le associazioni di cui al successivo art. 5 (comma 2).

Il ricorrente, al fine di dimostrare la sussistenza di un comportamento discriminatorio a proprio danno, può inoltre dedurre in giudizio elementi di fatto, in termini gravi, precisi e concordanti, che vengono valutati dal giudice nei limiti di cui all’articolo 2729, primo comma, del codice civile[10] (comma 3).

Il giudice che accoglie il ricorso, oltre a provvedere, se richiesto, al risarcimento del danno anche non patrimoniale, impartisce le opportune disposizioni per la cessazione del comportamento, della condotta o dell’atto discriminatorio, ove ancora sussistente. Inoltre, al fine di impedire la ripetizione degli atti di discriminazione, il giudice può ordinare, entro il termine fissato nel provvedimento, un piano di rimozione delle discriminazioni accertate (comma 4).

Ai fini della liquidazione del danno, il giudice tiene conto del fatto che l’atto o il comportamento discriminatorio costituiscono ritorsione ad una precedente azione giudiziale ovvero ingiusta reazione ad una precedente attività del soggetto leso finalizzata ad ottenere il rispetto del principio della parità di trattamento (comma 5).

Il giudice può ordinare la pubblicazione della sentenza per una sola volta su un quotidiano di tiratura nazionale, a spese del convenuto (comma 6).

Resta salva la giurisdizione del giudice amministrativo per il personale di cui all’articolo 3, comma 1, del Testo unico sul pubblico impiego[11] (comma 7).

Il disegno di legge in commento apporta a tale procedimento le seguenti modifiche:

§         sostituendo il comma 3, dispone che laddove il ricorrente fornisca in giudizio degli elementi di fatto gravi, precisi e concordanti in ordine all’esistenza di una discriminazione in suo danno, spetta al convenuto provare che la parità di trattamento non è stata violata (comma 2-ter);

§         modificando il comma 5, ed eliminando il riferimento al soggetto leso, amplia le possibilità nella quali il giudice può tener conto nella liquidazione del danno del fatto che la condotta discriminatoria è ritorsione rispetto ad una attività volta ad ottenere il rispetto della parità di trattamento. Potrà trattarsi, infatti, non solo di una ritorsione rispetto ad una attività del soggetto leso, ma anche e più in generale, di una ritorsione a fronte dell’attività diretta ad ottenere il rispetto della parità di trattamento, da chiunque svolta (comma 2-quater).

Comma 3 (attestazione dell’obbligo di adempimento)

Anche l’articolo 21 del d.lgs. 30/2007, che dispone in tema di allontanamento del cittadino UE per cessazione delle condizioni che determinano il diritto di soggiorno, è oggetto di modifiche testuali ad opera dell’articolo 1, comma 3, del decreto-legge.

In caso di cessazione delle predette condizioni (di cui agli artt. 6, 7 e 13 del decreto legislativo, precisa il nuovo testo), spetta al prefetto territorialmente competente secondo la residenza o dimora del destinatario, con atto motivato e notificato all'interessato, provvedere al relativo allontanamento dal territorio nazionale, mediante intimazione.

Il testo in esame ha introdotto la previsione secondo cui, unitamente al provvedimento di allontanamento, va consegnata all'interessato una “attestazione di obbligo di adempimento” dell'allontanamento, secondo un modello stabilito con decreto del ministro dell'interno e del ministro degli affari esteri. Detta attestazione deve essere presentata presso un consolato italiano (il testo originario del D.L., poi modificato dal Senato, prevedeva dovesse trattarsi del consolato italiano del Paese di cittadinanza dell'allontanato).

Inoltre, è introdotta una specifica fattispecie contravvenzionale, sanzionata con l'arresto da un mese a sei mesi e con l'ammenda da 200 a 2.000 euro, che ricorre allorquando l’allontanato sia individuato sul territorio dello Stato oltre il termine fissato nel provvedimento di allontanamento, e non abbia provveduto alla presentazione dell'attestazione di cui sopra.

 

La relazione illustrativa chiarisce che la ratio di tali modifiche è quella di garantire l’ottemperanza all’allontanamento del cittadino dell’Unione europea quando vengono a mancare le condizioni che determinano il soggiorno. Va ricordato, al riguardo, che il provvedimento di allontanamento per cessazione delle condizioni che determinano il diritto di soggiorno non può prevedere un divieto di reingresso sul territorio nazionale.

Comma 4 (ricorsi contro i provvedimenti di allontanamento)

Il decreto-legge in esame, infine, apporta (articolo 1, comma 4) alcune modifiche all'articolo 22 del d.lgs. 30/2007, in materia di ricorsi contro i provvedimenti di allontanamento, che conseguono alle modifiche apportate dai commi precedenti.

Il testo previgente dell'art. 22 prevedeva che il provvedimento del ministro, basato su motivi di ordine e sicurezza pubblica, potesse essere impugnato innanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma.

Il provvedimento di allontanamento adottato dal prefetto – nei casi in cui fossero venute a mancare le condizioni che avevano determinato il diritto di soggiorno – era invece ricorribile innanzi al tribunale in composizione monocratica del luogo in cui ha sede l'autorità che lo ha emanato.

Il testo modificato dell'art. 22 specifica che il ricorso al TAR del Lazio è esperibile nel caso di provvedimenti di allontanamento per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato (di competenza del ministro). I provvedimenti prefettizi di espulsione per motivi di pubblica sicurezza sono impugnabili, analogamente a quelli per cessazione delle condizioni che determinano il diritto di soggiorno, con ricorso al tribunale in composizione monocratica del luogo in cui ha sede l'autorità che l'ha disposto.

Si è inoltre esplicitato che l’istanza di sospensione dell'esecutorietà del provvedimento di allontanamento prevista dal comma 7 riguarda i ricorsi avverso i provvedimenti di espulsione per motivi di pubblica sicurezza e per cessazione delle condizioni che determinano il diritto di soggiorno (di cui al comma 4), e che la presentazione dell'istanza di sospensione non sospende l'efficacia del provvedimento impugnato nel caso in cui esso si basi su motivi imperativi di pubblica sicurezza.

Il comma 8, infine, precedentemente stabiliva che al cittadino comunitario o al suo familiare cui fosse stata negata la sospensione del provvedimento di allontanamento erano consentiti l'ingresso e il soggiorno in Italia per partecipare alle fasi essenziali del procedimento, salvo che la loro presenza potesse procurare gravi turbative o grave pericolo all'ordine e alla sicurezza pubblica.

Conformemente alle modifiche apportate nelle restanti parti del testo, la dicitura "all'ordine e alla sicurezza pubblica" è stata sostituita con: “all'ordine pubblico o alla sicurezza pubblica”. Un’ulteriore, più sostanziale modifica è stata apportata dal Senato prevedendo che l’ingresso e il soggiorno in Italia può essere consentito per partecipare al procedimento (e non solo alle sue “fasi essenziali”).

Articolo 1-bis

Attraverso questa disposizione – introdotta nel corso dell’esame del disegno di legge presso il Senato – il legislatore intende sanzionare penalmente chiunque incita a commettere o commette atti di violenza, di provocazione alla violenza o di discriminazione che siano fondati sul sesso, la razza o l'origine etnica, la religione o le convinzioni personali, gli handicap, l'età o le tendenze sessuali.

 

Analiticamente, la disposizione interviene sull’articolo 3 della legge n. 654 del 1975[12], di ratifica ed esecuzione della Convenzione contro il razzismo adottata dalle Nazioni Unite a New York nel 1966.

 

La Convenzione condanna qualsiasi forma di discriminazione razziale, ed in particolare le forme più estreme quali la segregazione razziale e l’apartheid. Gli Stati contraenti si impegnano, da un lato, a non porre in essere pratiche di discriminazione razziale e, dall’altro, ad adottare provvedimenti volti ad eliminare tali pratiche, ove esistano.

In particolare, si prevede che ciascuno degli Stati che aderiscono alla Convenzione modifichi la propria legislazione penale nel senso di prevedere i delitti di propaganda e di violenza razziale. Tali modifiche sono state apportate nel nostro ordinamento dalla L. 654/1975 di ratifica della Convenzione e, in particolare, dall’art. 3.

La formulazione vigente dell’articolo 3 della legge n. 654/1975 è oggi diversa da quella originariamente approvata nel 1975; sono infatti intervenute due importanti novelle:

§         la c.d. “Legge Mancino” (D.L. 26 aprile 1993, n. 122[13], nel testo modificato dalla relativa legge di conversione 25 giugno 1993, n. 205);

§         la recente riforma dei reati di opinione (L. 24 febbraio 2006, n. 85[14]).

L’articolo 3 prevede oggi le seguenti sanzioni penali (comma 1):

§         reclusione fino a 1 anno e 6 mesi o multa fino a 6.000 euro per chi “propaganda idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi” (lett. a));

§         reclusione da 6 mesi a 4 anni per chi “istiga a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi” (lett. b)).

Il co. 3 vieta ogni organizzazione, associazione, movimento o gruppo che abbia tra i propri scopi l'incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi e sanziona:

§         con la reclusione da 6 mesi a 4 anni chi partecipa a tali organizzazioni;

§         con la reclusione da 1 a 6 anni chi promuove o dirige tali organizzazioni.

 

In particolare, il disegno di legge sostituisce il comma 1 dell’articolo 3 della legge n. 654, prevedendo le seguenti fattispecie penali:

a)   incitamento alla commissione o commissione di atti di discriminazione di cui all’art. 13, n. 1, del Trattato di Amsterdam: reclusione fino a 3 anni;

b)   incitamento alla commissione o commissione di violenza o di atti di provocazione alla violenza per i motivi di cui all’art. 13, n. 1, del Trattato di Amsterdam: reclusione da 6 mesi a 4 anni.

 

Per quanto riguarda la formulazione della lettera a), come evidenziato anche nel corso dell’esame presso il Senato, la disposizione richiama erroneamente gli atti di discriminazione di cui all’art. 13, n. 1, del Trattato di Amsterdam.

 

Per Trattato di Amsterdam si intende il Trattato 2 ottobre 1997, firmato ad Amsterdam, che modifica il trattato sull'Unione europea, i trattati che istituiscono le Comunità europee e alcuni atti connessi[15]. Tale Trattato, all’articolo 13, reca esclusivamente la seguente previsione: “Il presente trattato è concluso per un periodo illimitato”.

 

Il legislatore intendeva invece presumibilmente riferirsi all’articolo 13, n. 1, della versione consolidata del Trattato 25 marzo 1957, che istituisce la Comunità europea, cioè al trattato CE come modificato a seguito dei successivi trattati[16].

Tale disposizione – frutto di una modifica introdotta dal Trattato di Amsterdam – prevede che il Consiglio, deliberando all'unanimità su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo, possa prendere i provvedimenti opportuni per combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l'origine etnica, la religione o le convinzioni personali, gli handicap, l'età o le tendenze sessuali.

 

Laddove il legislatore intenda riferirsi a questa elencazione di discriminazioni mantenendo fermo il riferimento al Trattato di Amsterdam dovrà spostare il richiamo dall’art. 13, n. 1, all’art. 2, parte 1, n. 7, ai sensi del quale: “Il trattato che istituisce la Comunità europea è modificato in base alle disposizioni del presente articolo. […] 7) È inserito il seguente articolo: ‘Articolo 6 A – Fatte salve le altre disposizioni del presente trattato e nell'ambito delle competenze da esso conferite alla Comunità, il Consiglio, deliberando all'unanimità su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo, può prendere i provvedimenti opportuni per combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l'origine etnica, la religione o le convinzioni personali, gli handicap, l'età o le tendenze sessuali’”.

 

La fattispecie penale sanziona dunque con la reclusione fino a tre anni chiunque istighi a discriminare ovvero discrimini qualcuno in base al sesso, la razza, l’origine etnica, la religione, le convinzioni personali, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali; sanziona con la reclusione da 6 mesi a 4 anni chiunque, per i medesimi motivi, commetta atti di violenza, o di provocazione alla violenza, ovvero inciti alla violenza.

Rispetto all’attuale formulazione dell’art. 3 della L. 654/1975 si rilevano, oltre ad un ampliamento delle ipotesi discriminatorie sanzionate (attraverso il rinvio alla formulazione del trattato europeo), le seguenti differenze:

§      inasprimento della sanzione penale: da “reclusione fino a 1 anno e 6 mesi o multa fino a 6.000 euro” a reclusione fino a 3 anni” (lett. a));

§      eliminazione dalla condotta penalmente rilevante della propaganda di idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico (lett. a));

In merito si ricorda che la previsione di una sanzione penale per tali ultime condotte è richiesta dalla Convenzione di New York.

 

La Convenzione, all’art. 4, così dispone: “Gli Stati contraenti condannano ogni propaganda ed ogni organizzazione che s'ispiri a concetti ed a teorie basate sulla superiorità di una razza […], e si impegnano […] in particolare: a) A dichiarare crimini punibili dalla legge, ogni diffusione di idee basate sulla superiorità o sull'odio razziale […]; b) A dichiarare illegali ed a vietare le organizzazioni e le attività di propaganda organizzate ed ogni altro tipo di attività di propaganda che incitino alla discriminazione razziale e che l'incoraggino, nonché a dichiarare reato punibile dalla legge la partecipazione a tali organizzazioni od a tali attività;[…]”.

 

§      sostituzione del termine “istigazione” (a commettere atti di violenza) con il diverso termine “incitamento” (lett. b)).

 

Così facendo il legislatore ripristina la formulazione della lett. b) in vigore prima della legge 24 febbraio 2006, n. 85 (Modifiche al codice penale in materia di reati di opinione): è stato infatti l’art. 13 di questa recente legge a sostituire il termine “incita” con “istiga”. Peraltro, come evidenziato già dai commentatori della riforma del 2006, la scelta dell’uno o dell’altro termine è priva di rilevanti effetti sul piano sostanziale, salvo per un più vincolante richiamo ai criteri ricostruttivi del concetto di istigazione in chiave di pericolo concreto. Diversamente, ai fini della sussistenza del reato di incitamento a commettere violenza, non rileva che l'incitamento risulti raccolto dalle persone presenti al fatto, non essendo il conseguimento di tale effetto richiesto dalla norma incriminatrice, che si limita a prevedere un reato di pura condotta e di pericolo astratto (cfr. Cassazione penale, Sez. I, sent. n. 724 del 21 gennaio 1998, Insabato).

Si ricorda, peraltro, che la Corte di cassazione ha affermato che “l'incitamento ha un contenuto fattivo di istigazione ad una condotta”, con questo riconoscendo all’incitamento “un ‘quid pluris’ rispetto alla mera manifestazione di opinioni personali” (cfr. Cassazione penale, Sez. V, sent. n. 31655 del 24 agosto 2001, Gariglio).

Articolo 1-ter

L’articolo – inserito nel corso dell’esame del provvedimento presso il Senato - trasferisce al tribunale ordinario in composizione monocratica le competenze in materia di espulsioni attualmente riconosciute al giudice di pace dagli artt. 13, 13-bis e 14 del testo unico sull’immigrazione (D.Lgs. 286/1998)[17].

In particolare, la disposizione dispone che agli articoli 13, 13-bis e 14 del testo unico sull’immigrazione ogni riferimento al giudice di pace sia sostituito con la competenza del tribunale in composizione monocratica.

Articolo 2

L’articolo si limita a prevedere che il decreto-legge entri in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione nella Gazzetta ufficiale.

 

Il disegno di legge in esame, approvato dal Senato, dispone la conversione del decreto-legge 1° novembre 2007, n. 181, recante “Disposizioni urgenti in materia di allontanamento dal territorio nazionale per esigenze di pubblica sicurezza”.  A seguito delle modifiche introdotte dal Senato, il testo originario del decreto-legge, composto di 2 articoli, è stato integrato con ulteriori 2 articoli.

Il testo del decreto, come modificato dal Senato in sede di esame del disegno di legge di conversione, consta di quattro articoli.

L’articolo 1 reca diverse modifiche testuali al decreto legislativo n. 30/2007, principalmente volte a ridefinire i presupposti e le modalità di esecuzione degli allontanamenti dal territorio nazionale dei cittadini dell’Unione europea e dei loro familiari, quando tali provvedimenti sono adottati per motivi di pubblica sicurezza.

I commi 2-bis, 2- ter e 2-quater dell’articolo, peraltro, recano materia diversa, novellando il decreto legislativo n. 215/2003 in tema di parità di trattamento indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica.

L’articolo 1-bis interviene sull’articolo 3 della legge n. 654/1975 con l’intento di sanzionare penalmente chiunque incita a commettere o commette atti di violenza, di provocazione alla violenza o di discriminazione che siano fondati sul sesso, la razza o l'origine etnica, la religione o le convinzioni personali, gli handicap, l'età o le tendenze sessuali.

L’articolo 1-ter trasferisce al tribunale ordinario in composizione monocratica le competenze in materia di espulsioni degli stranieri non appartenenti all’Unione europea, attualmente riconosciute al giudice di pace dal testo unico sull’immigrazione.

L’articolo 2, infine, dispone l’immediata entrata in vigore del decreto.

Elementi di valutazione
per la compatibilità comunitaria

Esame del provvedimento in relazione alla normativa comunitaria

Uno specifico profilo di criticità in relazione alla compatibilità con l’ordinamento comunitaria attiene, come illustrato nel paragrafo precedente, all’art. 1-bis del provvedimento, che novellando la fattispecie penale dell’art. 3, comma 1, lett. a),della legge n. 654 del 1975 richiama erroneamente gli atti di discriminazione di cui all’art. 13, n. 1, del Trattato di Amsterdam, in luogo del corretto riferimento all’articolo 13, paragrafo 1, del Trattato che istituisce la Comunità europea, come modificato dal Trattato di Nizza.

Procedure di contenzioso
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione europea)

Il 12 dicembre 2006 la Commissione ha inviato all’Italia un parere motivato[18] ex art. 226 del TCE[19] per mancata attuazione della direttiva 2004/38/CE, il cui termine di recepimento scadeva il 24 aprile 2006.

Dal 1° ottobre 2007 la procedura di infrazione risulta in fase di archiviazione in seguito all’adozione del decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 30, recante attuazione della direttiva in questione.

Documenti all’esame delle istituzioni dell’Unione europea
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione europea)

Il 15 novembre 2007, il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione sull’applicazione della direttiva 2004/38/CE, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, anche in riferimento ai recenti avvenimenti italiani.

 

 

 

In particolare, il Parlamento,

§       esprime il proprio dolore per l'assassinio della signora Giovanna Reggiani, avvenuto a Roma il 31 ottobre scorso 2007, e presenta sentite condoglianze ai suoi familiari;

§       ribadisce il valore della libertà di circolazione delle persone quale principio fondamentale dell'Unione, parte costitutiva della cittadinanza europea ed elemento fondamentale del mercato interno;

§       riafferma l'obiettivo di fare dell'Unione e delle collettività uno spazio in cui ogni persona possa vivere vedendosi garantito un elevato livello di sicurezza, libertà e giustizia;

§       osserva che la direttiva 2004/38/CE circoscrive la possibilità di espellere un cittadino dell’Unione entro limiti molto ben definiti, specificando in particolare che:

-        in base all’articolo 27, gli Stati membri possono limitare la libertà di circolazione e di residenza solo per motivi di ordine pubblico, di sicurezza pubblica o di sanità pubblica e tali motivi non possono essere invocati per fini economici, ogni misura presa deve rispettare il principio di proporzionalità e deve essere adottata esclusivamente in relazione al comportamento della persona nei riguardi della quale è applicata e non basarsi su considerazioni di prevenzione generale.

-        in base all’articolo 28, ogni espulsione deve essere preceduta da una valutazione della situazione personale dell’interessato, tenendo conto di elementi quali la durata del suo soggiorno nel territorio dello Stato membro, la sua età, il suo stato di salute, la sua situazione familiare ed economica, la sua integrazione sociale e culturale nello Stato membro ospitante;

-        in base all’articolo 30, il provvedimento di espulsione deve essere notificato per iscritto alla persona interessata secondo modalità che gli consentano di comprenderne il contenuto e le conseguenze. L’interessato deve essere informato in modo preciso e completo circa i motivi della decisione, l’organo giudiziario o l’autorità amministrativa dinanzi al quale può opporre ricorso e il temine entro il quale deve agire e, all’occorrenza, il termine impartito per lasciare il territorio, in ogni caso non inferiore ad un mese dalla data di notificazione;

-        in base all’articolo 31, la persona interessata deve avere accesso ai mezzi di impugnazione giurisdizionali e, all’occorrenza, amministrativi nello Stato membro ospitante e deve avere il diritto di richiedere un’ordinanza provvisoria di sospensione dell’esecuzione, che deve essere garantita, salvo nei casi specificamente definiti;

-        in base all’articolo 36, le sanzioni determinate dagli Stati membri devono essere effettive e proporzionate;

-        in base al punto 16 del preambolo e all’articolo 14, i cittadini possono essere allontanati qualora diventino un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante, a condizione tuttavia che ogni caso individuale sia esaminato approfonditamente. Inoltre, l’onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale non è di per sé condizione sufficiente a giustificare un’ espulsione automatica.

§       ribadisce che qualsiasi legislazione nazionale deve rispettare rigorosamente tali limiti e garanzie, compreso l'accesso a un ricorso alle vie legali contro l'allontanamento e all'esercizio dei diritti della difesa e che qualsiasi eccezione definita dalla direttiva 2004/38/CE deve essere interpretata in modo restrittivo; ricorda che le espulsioni collettive sono proibite dalla Carta dei diritti fondamentali e dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali;

§       si compiace della visita effettuata dal Primo ministro rumeno in Italia e della dichiarazione congiunta di Romano Prodi e Călin Popescu-Tăriceanu; manifesta il proprio appoggio all'appello del Presidente del Consiglio e del Primo ministro per l'impegno dell'Unione a favore dell'integrazione sociale delle popolazioni meno avvantaggiate e della cooperazione fra gli Stati membri in termini di gestione dei movimenti della loro popolazione, in particolare mediante programmi di sviluppo e di aiuto sociale inclusi nei Fondi strutturali;

§       invita la Commissione a presentare senza ritardi una valutazione esauriente dell'attuazione e del corretto recepimento, da parte degli Stati membri, della direttiva 2004/38/CE nonché a presentare proposte, a norma dell'articolo 39 di tale direttiva;

§       fatte salve le competenze della Commissione, incarica la propria commissione parlamentare competente di effettuare entro il 1°giugno 2008, in collaborazione con i parlamenti nazionali, una valutazione dei problemi di recepimento di tale direttiva in modo da mettere in evidenza le migliori prassi nonché le misure che potrebbero portare a discriminazioni tra i cittadini europei;

§       invita gli Stati membri a superare qualsiasi esitazione e a procedere più rapidamente al rafforzamento degli strumenti di cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale a livello dell'Unione per garantire una lotta efficace contro la criminalità organizzata e la tratta degli esseri umani, fenomeni di dimensione transnazionale, garantendo, al contempo, un quadro uniforme di garanzie procedurali;

§       respinge il principio della responsabilità collettiva e ribadisce con forza la necessità di lottare contro qualsiasi forma di razzismo e xenofobia e qualsiasi forma di discriminazione e stigmatizzazione basate sulla nazionalità e sull'origine etnica, come previsto dalla Carta dei diritti fondamentali;

§       ricorda alla Commissione che è urgente presentare una proposta di direttiva orizzontale contro tutte le discriminazioni menzionate all'articolo 13 Trattato CE[20], prevista nel programma legislativo e di lavoro della Commissione per il 2008;

§       ritiene che la protezione dei diritti dei Rom e la loro integrazione costituiscano una sfida per l'Unione nel suo complesso e invita la Commissione ad agire senza indugio elaborando una strategia globale per l'inclusione sociale dei Rom, facendo ricorso, segnatamente, alle linee di bilancio disponibili nonché ai Fondi strutturali per sostenere le autorità nazionali, regionali e locali nei loro sforzi atti a garantire l'inclusione sociale dei Rom;

§       propone l'istituzione di una rete di organizzazioni che si occupino dell'integrazione sociale dei Rom nonché la promozione di strumenti volti ad aumentare la consapevolezza in materia di diritti e doveri dei Rom, ivi compreso lo scambio di migliori prassi; considera, a questo proposito, molto importante una collaborazione intensa e strutturata con il Consiglio d'Europa;

§       ritiene che le recenti dichiarazioni rilasciate alla stampa italiana da Franco Frattini, Vicepresidente della Commissione, in occasione dei gravi episodi verificatisi a Roma, siano contrarie allo spirito e alla lettera della direttiva 2004/38/CE, direttiva che gli si chiede di rispettare pienamente.

 



[1]     D.Lgs. 6 febbraio 2007, n. 30, Attuazione della direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri.

[2]     Le modifiche apportate al D.Lgs. 30/2007 sono evidenziate nel testo a fronte riportato nel presente dossier. Per una illustrazione del decreto legislativo e della direttiva, si rinvia alla scheda di lettura dedicata al quadro normativo.

[3]     Gli artt. 11 e 12 del D.Lgs. 30/2007 dettano norme specifiche relativamente alla conservazione del diritto di soggiorno dei familiari in caso di decesso o di partenza del cittadino dell'Unione europea ovvero in caso di divorzio e di annullamento del matrimonio.

[4]     A differenza del provvedimento di allontanamento disposto dal ministro dell’interno, che può essere apodittico, ove alla motivazione ostino motivi attinenti alla sicurezza dello Stato.

[5]    La disciplina previgente non prevedeva un controllo giurisdizionale necessariamente antecedente l’esecuzione dell’espulsione, ben potendo accadere che la decisione del giudice sulla convalida arrivasse a straniero già espulso dal territorio nazionale. Con la sentenza 8-15 luglio 2004, n. 222, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità del comma 5-bis dell’art. 13 del TU nella parte in cui non prevedeva che il giudizio di convalida debba svolgersi in contraddittorio prima dell'esecuzione del provvedimento di accompagnamento alla frontiera, con le garanzie della difesa.

[6]     Legge 27 dicembre 1956, n. 1423, Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità.

[7]     Legge 31 maggio 1965, n. 575, Disposizioni contro la mafia.

[8]    D.Lgs. 9 luglio 2003, n. 215, Attuazione della direttiva 2000/43/CE per la parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica.

[9]     D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165 Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche.

[10]    A norma del quale le presunzioni non stabilite dalla legge sono lasciate alla prudenza del giudice che non deve ammettere che presunzioni gravi, precise e concordanti.

[11]    Si tratta del personale che, in deroga a quanto previsto dall’articolo 2, commi 2 e 3, del T.U. in ordine alla “privatizzazione” del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, rimane in regime di diritto pubblico ed è disciplinato dai rispettivi ordinamenti: Si tratta di: magistrati ordinari, amministrativi e contabili, avvocati e procuratori dello Stato, personale militare e delle Forze di polizia di Stato, personale della carriera diplomatica e della carriera prefettizia e di altre specifiche categorie di personale.

[12]   Legge 13 ottobre 1975, n. 654, Ratifica ed esecuzione della convenzione internazionale sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, aperta alla firma a New York il 7 marzo 1966.

[13]   Recante “Misure urgenti in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa”.

[14] -Recante “Modifiche al codice penale in materia di reati di opinione”.

[15]    Il Trattato, pubblicato nella G.U.C.E. del 10 novembre 1997, n. C 340 è entrato in vigore il 1° maggio 1999.

[16]   Fra cui, oltre al citato Trattato di Amsterdam, anche il Trattato di Nizza del 2001 (cfr. Trattato 26 febbraio 2001, Trattato di Nizza che modifica il trattato sull'Unione europea, i trattati che istituiscono le Comunità europee e alcuni atti connessi).

[17]   D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero.

[18]    Procedura di infrazione n.2006/46.

[19]    Il parere motivato rappresenta la seconda e ultima fase della procedura d’infrazione, prima che la Commissione europea proceda al deferimento formale dello Stato membro davanti alla Corte di giustizia, affinché accerti la sussistenza di una violazione del diritto comunitario.

[20]    L’art. 13 TCE stabilisce che il Consiglio, deliberando all’unanimità su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo, può prendere i provvedimenti opportuni per combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l’origine etnica, la religione o le convinzioni personali, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali.