Camera dei deputati - XV Legislatura - Dossier di documentazione
(Versione per stampa)
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento istituzioni | ||||||||||
Titolo: | Modifiche alla disciplina dell'immigrazione ed alle norme sulla condizione dello straniero A.C. 776 e abb. - Schede di lettura | ||||||||||
Riferimenti: |
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Serie: | Progetti di legge Numero: 248 | ||||||||||
Data: | 21/09/2007 | ||||||||||
Organi della Camera: | I-Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni |
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Camera dei deputati |
XV LEGISLATURA |
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SERVIZIO STUDI |
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Progetti di legge |
Modifiche alla disciplina dell'immigrazione A.C. 776 e abb. |
Schede di lettura |
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n. 248 |
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21 Settembre 2007 |
Coordinamento: Dipartimento Istituzioni
Ha partecipato alla redazione del dossier l’Ufficio rapporti con l’Unione europea.
I dossier dei servizi e degli uffici della Camera sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.
File: ID0012.doc
INDICE
Elementi per l’istruttoria legislativa
§ Necessità dell’intervento con legge
§ Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite
§ Incidenza sull’ordinamento giuridico
§ Premessa: le dimensioni del fenomeno migratorio
§ Il testo unico sull’immigrazione e sulla condizione dello straniero
§ La programmazione dei flussi e l’integrazione
§ Il contrasto all’immigrazione clandestina
§ Gli interventi a livello internazionale
§ L’integrazione degli stranieri regolari
§ Interventi recenti e prospettive future in materia di immigrazione
§ Orientamenti generali della politica dell’Unione europea in materia di immigrazione
§ La politica migratoria nei programmi delle Istituzioni europee
§ Strumenti finanziari 2007-2013
§ L’approccio globale in materia di migrazione: recenti iniziative della Commissione
§ Immigrazione legale e integrazione
§ Politica in materia di asilo e protezione internazionale
§ Recenti iniziative in materia di visti
§ Lotta all’immigrazione clandestina e gestione delle frontiere
§ Le conferenze UE-Africa sull’immigrazione e lo sviluppo
Il disegno di legge del Governo
§ Articolo 1, comma 1, lettera a) (programmazione; incontro domanda/offerta di lavoro; sponsor)
§ Articolo 1, comma 1, lettera b) (rimesse all’estero)
§ Articolo 1, comma 1, lettere c) e d) (disciplina e procedure di ingresso e soggiorno)
§ Articolo 1, comma 1, lettera e) (elettorato attivo e passivo)
§ Articolo 1, comma 1, lettera f) (armonizzazione con la disciplina dell’Unione europea)
§ Articolo 1, comma 1, lettera g) (espulsioni e rimpatri)
§ Articolo 1, comma 1, lettera h) (centri di permanenza temporanea e assistenza)
§ Articolo 1, comma 1, lettera i) (minori stranieri)
§ Articolo 1, comma 1, lettere da l) a p) (integrazione sociale)
§ Articolo 1, comma 1, lettera q) (vittime di violenza o sfruttamento)
Le proposte di legge di iniziativa parlamentare
§ A.C. 1263 (on. Mascia ed altri)
§ A.C. 1804 (on. Sgobio ed altri) ed A.C. 1850 (on. Bordo)
§ A.C. 1852 (on. Bucchino ed altri)
§ A.C. 2547 (on. Migliore ed altri)
Numero del progetto di legge |
A.C. 776 |
Titolo |
Modifiche al testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, in materia di ingresso nel territorio dello Stato e di assunzione di lavoratori stranieri |
Iniziativa |
On. Zacchera |
Settore d’intervento |
Immigrazione |
Iter al Senato |
No |
Numero di articoli |
4 |
Date |
|
§ presentazione o trasmissione alla Camera |
17 maggio 2006 |
§ annuncio |
18 maggio 2006 |
§ assegnazione |
10 luglio 2006 |
Commissione competente |
I Commissione (Affari costituzionali) |
Sede |
Referente |
Pareri previsti |
Commissioni V (Bilancio), XI (Lavoro, ex art. 73, co. 1-bis, reg.), XII (Affari sociali), Commissione parlamentare per le questioni regionali |
Numero del progetto di legge |
A.C. 1102 |
Titolo |
Modifica all'articolo 27 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, in materia di attività degli sportivi extracomunitari |
Iniziativa |
On. Campa |
Settore d’intervento |
Immigrazione |
Iter al Senato |
No |
Numero di articoli |
1 |
Date |
|
§ presentazione alla Camera |
13 giugno 2006 |
§ annuncio |
14 giugno 2006 |
§ assegnazione |
17 luglio 2006 |
Commissione competente |
I Commissione (Affari costituzionali) |
Sede |
Referente |
Pareri previsti |
Commissioni VII (Cultura), XI (Lavoro) |
Numero del progetto di legge |
A.C. 1263 |
Titolo |
Modifica all'articolo 2 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, in materia di riconoscimento allo straniero dell’elettorato attivo e passivo nelle consultazioni elettorali e referendarie a carattere locale |
Iniziativa |
On. Mascia ed altri |
Settore d’intervento |
Immigrazione; elezioni |
Iter al Senato |
No |
Numero di articoli |
2 |
Date |
|
§ presentazione alla Camera |
1 luglio 2006 |
§ annuncio |
3 luglio 2006 |
§ assegnazione |
26 luglio 2006 |
Commissione competente |
I Commissione (Affari costituzionali) |
Sede |
Referente |
Pareri previsti |
- |
Numero del progetto di legge |
A.C. 1779 |
Titolo |
Abrogazione della legge 30 luglio 2002, n. 189, recante modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo |
Iniziativa |
On. Boato |
Settore d’intervento |
Immigrazione |
Iter al Senato |
No |
Numero di articoli |
1 |
Date |
|
§ presentazione alla Camera |
4 ottobre 2006 |
§ annuncio |
5 ottobre 2006 |
§ assegnazione |
13 novembre 2006 |
Commissione competente |
I Commissione (Affari costituzionali) |
Sede |
Referente |
Pareri previsti |
Commissioni II (Giustizia, ex art. 73, co. 1-bis, reg.), III (Affari esteri), V (Bilancio), XI (Lavoro), XII (Affari sociali), XIV (Politiche dell’Unione europea), Commissione parlamentare per le questioni regionali |
Numero del progetto di legge |
A.C. 1804 |
Titolo |
Estensione dei benefìci previsti dall'articolo 18 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, ai lavoratori stranieri impiegati in condizioni di particolare sfruttamento |
Iniziativa |
On. Sgobio ed altri |
Settore d’intervento |
Immigrazione |
Iter al Senato |
No |
Numero di articoli |
1 |
Date |
|
§ presentazione alla Camera |
11 ottobre 2006 |
§ annuncio |
12 ottobre 2006 |
§ assegnazione |
30 gennaio 2007 |
Commissione competente |
I Commissione (Affari costituzionali) |
Sede |
Referente |
Pareri previsti |
Commissioni II (Giustizia), V (Bilancio), XI (Lavoro), XII (Affari sociali) |
Numero del progetto di legge |
A.C. 1850 |
Titolo |
Modifica all'articolo 18 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, in materia di rilascio del permesso di soggiorno ai lavoratori stranieri per motivi di protezione sociale |
Iniziativa |
On. Bordo |
Settore d’intervento |
Immigrazione |
Iter al Senato |
No |
Numero di articoli |
1 |
Date |
|
§ presentazione alla Camera |
24 ottobre 2006 |
§ annuncio |
25 ottobre 2006 |
§ assegnazione |
27 novembre 2006 |
Commissione competente |
I Commissione (Affari costituzionali) |
Sede |
Referente |
Pareri previsti |
Commissioni II (Giustizia), XI (Lavoro) |
Numero del progetto di legge |
A.C. 1852 |
Titolo |
Modifica all'articolo 19 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, in materia di divieti di espulsione e di respingimento |
Iniziativa |
On. Bucchino ed altri |
Settore d’intervento |
Immigrazione |
Iter al Senato |
No |
Numero di articoli |
1 |
Date |
|
§ presentazione alla Camera |
24 ottobre 2006 |
§ annuncio |
25 ottobre 2006 |
§ assegnazione |
27 novembre 2006 |
Commissione competente |
I Commissione (Affari costituzionali) |
Sede |
Referente |
Pareri previsti |
II Commissione (Giustizia) |
Numero del progetto di legge |
A.C. 2122 |
Titolo |
Modifiche al testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, in materia di integrazione degli immigrati |
Iniziativa |
On. Capotosti |
Settore d’intervento |
Immigrazione |
Iter al Senato |
No |
Numero di articoli |
4 |
Date |
|
§ presentazione alla Camera |
10 gennaio 2007 |
§ annuncio |
16 gennaio 2007 |
§ assegnazione |
12 febbraio 2007 |
Commissione competente |
I Commissione (Affari costituzionali) |
Sede |
Referente |
Pareri previsti |
Commissioni V (Bilancio), VII (Cultura), XI (Lavoro), XII (Affari sociali), Commissione parlamentare per le questioni regionali |
Numero del progetto di legge |
A.C. 2547 |
Titolo |
Nuove norme in materia di ingresso e di soggiorno dei cittadini e delle cittadine stranieri in Italia e delega al Governo per l'emanazione di un testo unico delle disposizioni concernenti l'ingresso e il soggiorno dei cittadini e delle cittadine stranieri in Italia |
Iniziativa |
On. Migliore ed altri |
Settore d’intervento |
Immigrazione |
Iter al Senato |
No |
Numero di articoli |
54 |
Date |
|
§ presentazione o trasmissione alla Camera |
24 aprile 2007 |
§ annuncio |
24 aprile 2007 |
§ assegnazione |
19 luglio 2007 |
Commissione competente |
I Commissione (Affari costituzionali) |
Sede |
Referente |
Pareri previsti |
Commissioni II (Giustizia, ex art. 73, co. 1-bis, reg.), III (Affari esteri), V (Bilancio), VI (Finanze, ex art. 73, co. 1-bis, reg.), VII (Cultura), VIII (Ambiente), IX (Trasporti), X (Attività produttive), XI (Lavoro, ex art. 73, co. 1-bis, reg.), XII (Affari sociali), XIV (Politiche dell’Unione europea), Commissione parlamentare per le questioni regionali |
Numero del progetto di legge |
A.C. 2976 |
Titolo |
Delega al Governo per la modifica della disciplina dell'immigrazione e delle norme sulla condizione dello straniero |
Iniziativa |
Governo |
Settore d’intervento |
Immigrazione |
Iter al Senato |
No |
Numero di articoli |
1 |
Date |
|
§ presentazione o trasmissione alla Camera |
30 luglio 2007 |
§ annuncio |
31 luglio 2007 |
§ assegnazione |
10 settembre 2007 |
Commissione competente |
I Commissione (Affari costituzionali) |
Sede |
Referente |
Pareri previsti |
Commissioni II (Giustizia, ex art. 73, co. 1-bis, reg.), III (Affari esteri), V (Bilancio), VII (Cultura), X (Attività produttive), XI (Lavoro), XII (Affari sociali), XIV (Politiche dell’Unione europea), Commissione parlamentare per le questioni regionali |
Il disegno di legge presentato dal Governo (A.C. 2976), composto da un solo articolo, reca una delega per l’adozione di un decreto legislativo di modifica della disciplina legislativa in materia di immigrazione e di condizione dello straniero, di cui al testo unico approvato con D.Lgs. 286/1998. Il termine finale è fissato in dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge; l’esercizio della delega non potrà comunque aver luogo prima del gennaio 2008.
Le lettere da a) ad r) del comma 1 contengono i princìpi e criteri direttivi.
La lettera a) stabilisce i principi e criteri di delega per la revisione della disciplina dell’ingresso in Italia per motivi di lavoro degli stranieri non comunitari. In particolare:
§ il numero 1) prevede la revisione del meccanismo di determinazione dei flussi di ingresso, con una programmazione triennale delle quote e una procedura per l'adeguamento annuale;
§ il numero 2) prevede la partecipazione ai procedimenti di definizione dei flussi dei sindacati, delle associazioni dei datori di lavoro e delle organizzazioni ed enti che operano nel settore dell’immigrazione;
§ ai sensi del numero 3), con l’adeguamento annuale la quota fissata per il lavoro subordinato e autonomo può essere superata qualora ci sia un numero di richieste di nulla osta al lavoro eccedente la stessa quota;
§ il numero 4) prevede iniziative per favorire l'incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro nel settore del lavoro domestico e di assistenza alla persona;
§ i criteri di delega di cui ai numeri da 5) a 8) delineano un modello di gestione dei flussi di lavoratori immigrati da realizzarsi mediante liste collegate informaticamente che formeranno una sorta di sistema di collocamento all´estero;
§ il numero 9) reintroduce l’ingresso per inserimento nel mercato del lavoro con il meccanismo della “sponsorizzazione”;
§ il numero 10) concerne la revisione della disciplina dei permessi riservati a categorie di lavoratori altamente qualificati;
§ il numero 11) prevede la possibilità per l’immigrato di fornire personalmente prove di garanzia patrimoniale per ottenere il permesso di soggiorno per ricerca di lavoro (“autosponsorizzazione”).
La lettera b), al numero 1), prevede che il decreto contenga disposizioni volte ad agevolare l’invio delle rimesse degli stranieri verso i Paesi di origine, incentivando il ricorso a strumenti legali.
Le misure relative all’invio delle rimesse degli stranieri, che il Governo è delegato ad emanare, non riguardano solamente i canali di invio delle rimesse e la riduzione dei costi di trasferimento. Infatti, allo scopo di favorire lo sviluppo dei Paesi da cui provengono i lavoratori migranti, il numero 2) prevede l’adozione di misure di cooperazione allo sviluppo utili a convogliare sia le competenze acquisite che le risorse da essi prodotte verso i Paesi d’origine, mentre il numero 3) prevede il coinvolgimento dei lavoratori migranti in attività di cooperazione allo sviluppo anche attraverso la partecipazione a progetti specifici che si svolgano nei Paesi di origine, consentendo quindi in tali casi un rientro temporaneo, senza pregiudizio per lo status di soggiornante regolare in Italia. Il numero 3) incoraggia inoltre il ritorno produttivo, sia temporaneo che definitivo.
La lettera c) interviene in materia di visti di ingresso, allo scopo di semplificare le procedure per il rilascio e la relativa documentazione da presentare, prevedendo di estendere a tutte le tipologie di visto l’obbligo di motivazione del diniego e di introdurre forme di tutela dei richiedenti contro il ritardo nel rilascio.
La lettera d) enuncia i princìpi e criteri direttivi per la semplificazione delle procedure e dei requisiti necessari per il rilascio del nulla osta, del permesso di soggiorno e del suo rinnovo. Si prevede l’eliminazione del contratto di soggiorno, il graduale passaggio ai comuni delle competenze amministrative per il rinnovo del permesso di soggiorno, l’adeguamento della loro durata e la riorganizzazione degli sportelli unici per l’immigrazione:
§ il numero 1) estende la validità iniziale dei permessi di soggiorno per lavoro non stagionale;
§ il numero 2) prevede misure per assicurare la continuità degli effetti del soggiorno regolare nelle more del rinnovo del permesso di soggiorno;
§ il numero 3) estende la validità del permesso di soggiorno per attesa occupazione, in caso di cessazione del rapporto di lavoro;
§ il numero 4) concerne la revisione dei permessi di soggiorno per motivi umanitari;
§ il numero 5) prevede la possibilità di svolgere attività lavorativa per lo straniero legalmente soggiornante in base a disposizioni che non richiedono di dimostrare il possesso di risorse economiche.
La lettera e) prevede l’attribuzione, ad opera dell’emanando decreto legislativo, del diritto di elettorato attivo e passivo nelle elezioni amministrative per gli stranieri extracomunitari, alle condizioni e con le modalità previste per i cittadini dell'Unione europea.
La lettera f) individua la finalità dell’armonizzazione della disciplina dell'ingresso e del soggiorno degli stranieri con la normativa comunitaria, prevedendo in particolare che, in conformità con quest’ultima, la disciplina delle cause ostative all'ingresso o al soggiorno si fondi su una valutazione degli elementi soggettivi dell’interessato e non sia collegata in modo automatico alla sussistenza di determinati presupposti.
La lettera g) reca i princìpi e criteri direttivi in materia di espulsione e rimpatrio degli immigrati clandestini o irregolarmente soggiornanti. improntati al principio della graduazione delle misure di intervento.
In particolare, si prevede l’introduzione – accanto alle misure di contrasto all’immigrazione clandestina previsti a legislazione vigente – di programmi di rimpatrio volontario e assistito degli immigrati finanziati da un Fondo nazionale cui affluiscono contributi da parte dei datori di lavoro, degli sponsor e degli stranieri (numero 1)).
In base al principio di graduazione degli interventi, si prevede inoltre:
§ l’introduzione di durate differenziate dei divieti di rimpatrio tenendo conto della partecipazione degli stranieri a programmi di rimpatrio (numero 2));
§ una revisione del quadro sanzionatorio amministrativo e penale in materia di immigrazione (numeri 3) e 4));
§ la riforma della disciplina dell’allontanamento forzato dello straniero, con la previsione della sospensione dell'esecuzione per gravi motivi (numero 5)).
Si prevede, infine, (numero 6)) che la competenza giurisdizionale in materia dovrà essere riportata al giudice ordinario in composizione monocratica.
La lettera h) reca i principi e criteri di delega per la riforma del sistema dei centri di trattenimento e di assistenza degli immigrati, prevedendo il superamento dei Centri di permanenza temporanea e assistenza (CPTA) attraverso un potenziamento della loro funzione di accoglienza, di soccorso e di tutela dell’unità familiare.
Il numero 1) introduce una riforma del sistema delle strutture destinate all’accoglienza e al soccorso degli stranieri in condizione di irregolarità, che intende valorizzare – attraverso interventi strutturali e gestionali –il carattere assistenziale delle strutture esistenti.
Il numero 2) interviene sulla disciplina dell’identificazione degli stranieri da espellere, stabilendo che - nei casi in cui tali soggetti siano sottoposti a misure limitative della libertà personale – gli accertamenti sulla loro identità siano effettuati durante il periodo di carcerazione.
§ Il numero 3) prevede la conversione dei CPTA in strutture destinate alle espulsioni, nelle quali siano trattenuti esclusivamente:
§ gli stranieri da espellere che si siano sottratti all’identificazione,;
§ i cittadini stranieri identificati o che collaborino in modo fattivo alla propria identificazione, solo nei casi in cui non sia possibile procedere immediatamente all’espulsione.
Il numero 4) prevede infine una riforma della disciplina vigente in materia di accesso ai centri di permanenza e di assistenza nonché di visite agli stranieri che vi sono trattenuti.
La lettera i)è dedicata ai minori stranieri; i criteri previsti mirano a “favorirne l’inserimento civile e sociale adeguando le disposizioni sul loro soggiorno”.
Al compimento della maggiore età vengono pertanto previsti (numeri 1) e 2)) il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi familiari al minore straniero affidato o sottoposto a tutela; quanto al minore straniero non accompagnato, al compimento della maggiore età si prevede la conversione del permesso di soggiorno in altre tipologie, compresa quella per accesso al lavoro; il rilascio del nuovo titolo di soggiorno rimane in questo caso condizionato alla partecipazione ad un progetto di accoglienza e tutela gestito da un ente pubblico o privato in possesso di determinati requisiti.
È inoltre confermato (numero 3)) il rilascio del permesso per protezione sociale anche allo straniero che, avendo commesso reati durante la minore età, abbia concluso positivamente un percorso riabilitativo con la partecipazione ad un programma di assistenza ed integrazione sociale ovvero nei confronti del quale sia stata dichiarata l'estinzione del reato per esito positivo della messa alla prova.
L’azione degli enti locali nella presa in carico dei minori stranieri viene sostenuta con l'istituzione presso il ministero della Solidarietà sociale di un “Fondo nazionale di accoglienza e tutela a favore dei minori stranieri non accompagnati” (numero 4)).
È prevista la riorganizzazione e la ridefinizione delle procedure del Comitato per i minori stranieri istituito presso il Ministero della solidarietà sociale, anche con la previsione di una funzione consultiva dei Consigli territoriali per l'immigrazione presso le Prefetture-Uffici territoriali del Governo. (numero 5))
Il numero 6) introduce un criterio generale relativo alla “ridefinizione e l’estensione delle procedure di rimpatrio volontario assistito anche ai minori stranieri che al raggiungimento della maggiore età non possiedano i requisiti per la conversione del permesso di soggiorno per minore età”, stabilendo un più puntuale controllo giurisdizionale con la previsione della convalida da parte del Tribunale dei minori del rimpatrio del minore disposto senza il suo consenso. Al rientro nel paese d’origine, i minori stranieri rimpatriati, usufruiranno inoltre di un titolo di priorità relativamente all’iscrizione nelle liste di lavoratori stranieri di cui alla lettera a), numero 5), incentivando in tal modo la loro collaborazione.
Nei casi d'incertezza sulla minore età, il numero 7) prescrive che, ove gli accertamenti medico-sanitari non consentano l'esatta determinazione dell'età, si applicheranno comunque le disposizioni relative ai minori.
Le lettere da l) a p) riguardano l’integrazione sociale e l’assistenza sanitaria dei cittadini stranieri legalmente soggiornanti. Esse prevedono, in particolare, l’aggiornamento delle disposizioni in materia di assistenza sanitaria finalizzate ad una piena inclusione nel sistema sanitario nazionale (lettera l), numero 1)) e di quelle relative alle provvidenze economiche di natura assistenziale (lettera l), numero 2)), nonché la possibilità di interventi di accoglienza a carattere straordinario e temporaneo nei casi di emergenza (lettera m)).
La lettera o) richiede il potenziamento delle misure dirette all'integrazione dei migranti, concepita come inclusione, interazione e scambio e non come coabitazione tra comunità separate.
Sono previste altresì specifiche norme relativamente alla Consulta per i problemi degli stranieri immigrati e delle loro famiglie (lettera n))ed al Fondo per l'inclusione sociale degli immigrati (lettera p)).
La lettera q)prevede misure volte a rafforzare la tutela delle vittime dei reati di tratta, riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù, violenza o grave sfruttamento.
La lettera r) prevede il coordinamento formale e sostanziale delle disposizioni introdotte con le restanti disposizioni del testo unico, nonché con la legislazione nazionale e comunitaria vigente in materia.
I commi da 2 a 4 dell’articolo 1 definiscono le modalità per l’adozione del decreto legislativo e contengono due ulteriori deleghe per l’adozione delle disposizioni di coordinamento, nonché delle disposizioni correttive e integrative che si rendessero successivamente necessarie.
Il comma 5 introduce una clausola di salvaguardia finanziaria.
Oltre al disegno di legge governativo, risultano assegnate alla I Commissione della Camera nove proposte di legge di iniziativa parlamentare.
L’A.C. 2547 (on. Migliore ed altri), composta da 54 articoli, reca una disciplina organica della materia, alternativa a quella recata dal vigente testo unico in materia di immigrazione (D.Lgs. 286/1998), che in buona misura sostituisce.
L’A.C. 1779 (on. Boato) propone l’integrale abrogazione della L. 189/2002 (c.d. “legge Bossi-Fini”) e la reviviscenza della disciplina legislativa previgente.
Le altre proposte di legge intervengono su ambiti più limitati, con puntuali modifiche o integrazioni. In particolare:
§ l’A.C. 776 (on. Zacchera) modifica il procedimento che presiede all’ingresso in Italia per motivi di lavoro entro i limiti fissati dalle quote annuali, al fine di superare le difficoltà e i disagi originati dal criterio di precedenza oggi seguito, (basato sull'ordine di presentazione delle richieste presso gli uffici postali); esso regola inoltre in modo specifico, al di fuori delle quote, l’ingresso per lavoro delle c.d. “badanti”;
§ l’A.C. 1102 (on. Campa) consente agli sportivi stranieri dilettanti che si trovino nel territorio nazionale da almeno sei mesi di cambiare settore di attività per svolgere un’attività lavorativa subordinata o autonoma;
§ l’A.C. 1263 (on. Mascia ed altri) riconosce allo straniero che regolarmente e stabilmente risiede in Italia da almeno cinque anni il diritto di elettorato attivo e passivo nelle elezioni amministrative;
§ l’A.C. 1804 (on. Sgobio ed altri) e l’A.C. 1850 (on. Bordo), con formulazione diversa, estendono entrambe la disciplina concernente il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale, di cui all’art. 18 del testo unico, agli stranieri che siano vittime di violenze o grave sfruttamento sui luoghi di lavoro;
§ l’A.C. 1852 (on. Bucchino ed altri) modifica la disposizione che vieta l’espulsione delle donne in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi alla nascita del figlio, estendendo tale periodo a dodici mesi e disponendo che il divieto riguarda anche i mariti conviventi (come già sancito dalla sent. 376/2000 della Corte costituzionale);
§ l’A.C. 2122 (on. Capotosti) reca misure volte ad agevolare il processo di integrazione degli immigrati, concernenti il riconoscimento dei titoli di formazione professionale, il ricongiungimento familiare, il diritto allo studio, nonché la promozione delle attività di studio e ricerca sull’immigrazione e delle funzioni svolte dalle associazioni di stranieri e da quelle che operano in loro favore.
Il disegno di legge governativo è corredato, oltre che della relazione illustrativa, della relazione tecnica e delle relazioni sull’analisi tecnico-normativa (ATN) e sull’analisi di impatto della regolamentazione (AIR).
È inoltre allegato al disegno di legge il parere reso dalla Conferenza unificata Stato-regioni-città e autonomie locali nella seduta del 14 giugno 2007.
Le proposte di legge di iniziativa parlamentare sono accompagnate dalla sola relazione illustrativa.
Tutti i progetti di legge modificano disposizioni di rango legislativo ed intervengono su materie coperte da riserva di legge.
Con riguardo all’A.C. 2976, si ricorda che tra i princìpi e criteri direttivi per l’esercizio della delega in esso disposta, è prevista (cfr. art. 1, co. 1, lett. f) e lett. r)) l’armonizzazione e il coordinamento della nuova disciplina dell'ingresso e del soggiorno degli stranieri con la normativa comunitaria.
Il 27 giugno 2007 la Commissione ha inviato all’Italia pareri motivati per mancata comunicazione sull’attuazione della direttiva 2004/81/CE[1] riguardante il titolo di soggiorno da rilasciare ai cittadini di paesi terzi vittime della tratta di esseri umani o coinvolti in un'azione di favoreggiamento dell'immigrazione illegale che cooperino con le autorità competenti, il cui termine di recepimento scadeva il 5 agosto 2006, e della direttiva 2004/83/CE[2] recante norme minime sull'attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta, il cui termine di recepimento scadeva il 10 ottobre 2006. Lo schema di decreto legislativo recante attuazione della direttiva 2004/83/CE è attualmente all’esame delle Commissioni parlamentari (Atto del governo n. 131).
Si ricorda inoltre che il 4 aprile 2006, la Commissione ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora (procedura d’infrazione n. 2006/2075) per mancato rispetto del regolamento (CE) 1030/2002, che istituisce un modello uniforme per i permessi di soggiorno rilasciati a cittadini di paesi terzi. Non rilasciando ancora permessi di soggiorno conformi al modello uniforme, lo Stato italiano violerebbe l’articolo 9 del regolamento citato, in base al quale gli Stati membri rilasciano permessi di soggiorno di modello uniforme al più tardi entro un anno a decorrere dall’adozione degli elementi e dei requisiti di sicurezza complementari. Tali elementi e requisiti sono stati effettivamente definiti con la decisione della Commissione C/2002/3069 del 14 agosto 2002, il cui articolo 2 impone agli Stati membri di fornire alla Commissione un fac-simile del permesso di soggiorno, non appena disponibile.
Si rinvia all’apposita scheda di lettura.
Varie disposizioni recate dai provvedimenti in esame attribuiscono competenze amministrative agli enti locali, con particolare riguardo alle misure di assistenza sociale in favore degli immigrati.
L’A.C. 2976, come si è detto, è un disegno di legge di delega legislativa al Governo.
L’adozione di disposizioni di natura regolamentare è espressamente prevista dagli A.C. 1263 e 2122, nonché dall’A.C. 2547; quest’ultimo reca inoltre una disposizione di delega legislativa per l’adozione di un testo unico in materia.
L’A.C. 2976 e l’A.C. 2547 prevedono espressamente disposizioni volte al coordinamento della legislazione vigente in materia. Le altre proposte di legge sono tutte formulate in termini di novella al testo unico di cui al D.Lgs. 286/1998.
Sono all’esame delle Commissioni riunite I e II della Camera in sede referente due proposte di legge (A.C. 1936 e 1937) recanti modifiche al testo unico sull'immigrazione, nonché ai codici penale e di procedura penale, volte a prevenire o contrastare taluni fenomeni di criminalità connessi all’immigrazione clandestina o irregolare.
Sono attualmente all’esame delle Commissioni affari costituzionali delle due Camere gli schemi di decreto legislativo nn. 131, 153 e 154, concernenti rispettivamente l’attuazione delle direttive:
§ 2004/83/CE, recante norme minime sull'attribuzione della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, e sul contenuto della protezione;
§ 2005/71/CE, sull’ammissione di cittadini di Paesi terzi a fini di ricerca scientifica;
§ 2005/85/CE, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato.
Sono altresì all’esame della Commissione una serie di proposte di legge di iniziativa parlamentare (A.C. 191 ed abbinate), volte a disciplinare in modo complessivo il diritto di asilo.
Per alcune specifiche osservazioni, si rinvia alla scheda di lettura.
L’Italia è, storicamente, terra di emigrazione: sin dall’Ottocento e per gran parte del secolo scorso flussi migratori diretti, principalmente, verso gli Stati Uniti, l’America latina, i Paesi del Centro e del Nord Europa hanno interessato milioni di cittadini italiani.
Solo a partire dagli anni Ottanta tale flusso ha iniziato ad invertirsi e il nostro Paese ad essere interessato da movimenti migratori extracomunitari, di nuova formazione (come quelli dall’Europa orientale) o diretti in precedenza verso altri Paesi del Mediterraneo e dell’Europa continentale.
Le dimensioni del fenomeno, dovuto a fattori economici, sociali e politici di carattere sia interno (l’industrializzazione, lo sviluppo economico e la diffusione di un tenore di vita più alto, le trasformazioni demografiche) sia internazionale (l’evidenziarsi delle disparità economiche in un mondo globalizzato; il quadro europeo delineatosi dopo la caduta del Muro di Berlino) sono cresciute rapidamente negli ultimi due decenni.
Il numero di stranieri regolari (tra comunitari ed extracomunitari) presenti nel nostro Paese è stimato intorno ai tre milioni di persone.
Secondo l’Istituto nazionale di statistica sono 2.767.964 gli stranieri regolari presenti nel nostro Paese al 1° gennaio 2006, di cui 2.670.514 iscritti all’anagrafe della popolazione residente e che pertanto presentano caratteristiche insediative più stabili[3].
Altre stime calcolano un numero di stranieri regolari ormai superiore a tre milioni (3.035.000 a fine 2005)[4] e, considerati anche gli irregolari, a quasi quattro milioni[5].
Da rilevare che l’incremento della popolazione straniera è concentrato negli ultimi anni: nel periodo 1996-2006 la presenza straniera è aumentata di quasi due milioni di persone, di cui 1.180 mila concentrate nell’ultimo quinquennio con una media di circa 156 mila unità all’anno[6].
Il saldo migratorio contribuisce in larga parte alla crescita demografica italiana: nel 2006 su incremento della popolazione residente di 379.576 unità il saldo del movimento migratorio con l’estero è stato di + 222.410 unità, contro un saldo del movimento naturale di +2.118 unità[7].
Inoltre, sempre nel 2006 i bambini nati da genitori stranieri sono stati 58.000 (erano stati 51.971 nel 2005) , pari al 10, 3% del totale dei nati in Italia (erano il 9,4% nel 2005)[8].
Gli ultimi dati consentono ormai di annoverare l’Italia tra i grandi Paesi europei di immigrazione accanto alla Germania (7,3 milioni), Spagna (3,4), Francia (3,3) e Gran Bretagna (2,9)[9]. Anche se l’incidenza degli stranieri rispetto alla popolazione complessiva (5% alla fine del 2006[10], 4,5% alla fine del 2005, 4,1% alla fine del 2004) è ancora relativamente bassa rispetto all’8,8 della Germania, 6,6% di Spagna e Regno Unito (nel 2004) e 5,9% della Francia (1999)[11].
Nel prossimo futuro è prevedibile un incremento ancora più intenso[12]: un chiaro segnale in tal senso viene dalle oltre 470.000 domande per lavoro subordinato non stagionale presentate nel 2006 a fronte dei 120.000 posti (al netto del lavoro stagionale) resi disponibili nel decreto flussi del 15 febbraio 2006.
Le previsioni per i prossimi anni vanno da un minimo di 5,5 milioni di stranieri ad un massimo di 7 milioni nel 2016[13].
Per quanto riguarda la distribuzione territoriale della popolazione straniera, si registra una concentrazione nelle regioni del Centro-Nord, ed in particolare: nel Nord-Ovest il 36,6%, nel Nord-Est il 27,4% al Centro il 24%, nelle regioni meridionali il 12%[14].
Relativamente alla integrazione sociale degli stranieri, il quinto rapporto del CNEL sull’integrazione degli immigrati ha individuato nel Trentino Alto Adige la prima regione nella graduatoria dell’integrazione, seguita dal Veneto e dalla Lombardia. Complessivamente il Nord-Est si conferma il territorio con il massimo grado di integrazione, seguito dal Nord-Ovest[15].
Accanto alla presenza regolare degli stranieri, è diffuso il fenomeno dell’immigrazione irregolare.
Come rileva il CNEL, “nel panorama europeo, l’Italia è uno dei Paesi che patisce più di altri l’immigrazione irregolare. Per ridurne il peso negli anni si è fatto spesso ricorso ad interventi di carattere emergenziale (regolarizzazioni e sanatorie) senza tuttavia riuscire a prosciugare il serbatoio dell’irregolarità, che si ricostituisce periodicamente ponendo le basi per nuovi provvedimenti di egual natura”[16]. Nell’arco di venti anni, sono stati infatti approvati, contestualmente a modifiche della normativa sull’immigrazione, cinque provvedimenti di regolarizzazione che hanno coinvolto circa un milione e mezzo di cittadini stranieri[17].
Ovviamente, non ci sono stime ufficiali sul numero totale dei clandestini. Un recente studio ipotizza una presenza irregolare in Italia di 760 mila unità al 1° luglio 2006[18].
Il numero di stranieri destinatari di un provvedimento di allontanamento dal territorio italiano nel 2005 è stato pari a quasi 120.000 (+13,5% in più rispetto al 2004). Meno della metà di questi provvedimenti (45,3%) si è concretizzato nel rimpatrio dello straniero (56,8% nel 2004)[19].
Al 31 luglio 2007 gli stranieri rintracciati in posizione irregolare nel territorio nazionale sono stati 40.609, contro il 67.476 dello stesso periodo del 2006[20]. Il netto calo è riconducibile alla diminuzione degli sbarchi sulle costa e all’ingresso nell’Unione europea della Romania e della Bulgaria.
Per quanto concerne gli sbarchi di clandestini sulle coste italiane, si è registrato negli ultimi anni il sostanziale azzeramento dei flussi provenienti dall’Albania e dalla Turchia, diretti in Puglia e in Calabria, mentre la Sicilia continua ad essere particolarmente esposta al flusso di immigrazione illegale. Nel 2006 sono sbarcate 22.016 persone, la gran parte (21.400) sulle coste siciliane (477 eventi su 497 in totale). Si registra una lieve diminuzione rispetto al 2005, quando sono sbarcati 22.939 stranieri (22.824 in Sicilia)[21] che segna una inversione di tendenza rispetto agli anni passati (nel 2004 vi furono 13.594 arrivi)[22].
Nel periodo 1° gennaio-14 maggio 2007 sono sbarcati sulle coste italiane 3.022 immigrati clandestini, dei quali 1.855 a Lampedusa e Linosa, 385 in altre località della Sicilia, 529 in Calabria e 253 in Sardegna. Nello steso periodo del 2006 sono giunte complessivamente 4.165 persone, tutte in Sicilia e, per la precisione, 4.021 nelle isole di Lampedusa e Linosa[23].
Una analisi effettuata a partire dal 2000 permette di individuare le modalità di ingresso degli stranieri in posizione irregolare: il 10% è costituito dagli sbarchi via mare e il 15% riguarda gli ingressi effettuati in maniera fraudolenta via terra. Quindi, solamente il 25% è costituito dai clandestini in senso stretto, la grande maggioranza (75%) è costituita dagli overstayer, ossia da persone che attraversano legalmente il confine con un visto valido (prevalentemente di tipo turistico) e poi si trattengono nel nostro Paese[24].
Com’è stato affermato anche da parte governativa, i dati dell'ultima regolarizzazione dimostrano come la grande maggioranza dei clandestini non sia fatta di delinquenti, bensì di donne e uomini che sono spesso vittime di sfruttamento nel mercato della prostituzione e in quello del lavoro nero. Si può ragionevolmente sostenere che l'equazione “immigrati clandestini uguale criminali” è complessivamente infondata. Tuttavia, il degrado dell'immigrazione clandestina contribuisce pesantemente alla delittuosità complessiva nel nostro Paese[25].
L’immigrazione nel nostro Paese presenta una dimensione clandestina che comporta dirette implicazioni sul piano della sicurezza[26] e la ricerca di informazioni relativa alle reti criminali che sfruttano i flussi migratori clandestini costituiscono un obiettivo prioritario dei servizi di informazione del nostro Paese[27]
Il bacino di emarginati creato dagli arrivi illegali alimenta la prostituzione e il lavoro nero e costituisce un ambito di reclutamento per la criminalità organizzata italiana e straniera e, potenzialmente, anche per il terrorismo internazionale[28].
Nel 2004 il totale di cittadini stranieri per i quali è iniziata l’azione penale è di 117.118 persone (+0,6% rispetto al 2003) pari al 21,3% del totale nazionale. Gli illeciti più frequenti sono i reati contro il patrimonio (33%) all’interno di quali prevalgono la truffa (14,7%) e il furto (11%); seguono i delitti contro la persona (24,1%) e quello contro l’economia (16,5%) dove spicca la produzione e lo spaccio di droga (7,9%).
Le nazionalità più coinvolte sono i marocchini (16,7%), rumeni (14,2%), albanesi (9,3%).
Le aree geografiche in cui si concentra il maggior numero di denunciati stranieri sono il Nord Ovest (32,4%) e il Centro (28,5%). A livello regionale è la Lombardia ad essere maggiormente coinvolta, con il 18,2% del totale dei denunciati[29].
Per quanto riguarda la popolazione carceraria, i dati del Ministero della giustizia sono aggiornati al 30 giugno 2007: i detenuti nati all’estero incidono nella misura di oltre un terzo (15.372 unità) sul totale, che ammonta a 43.957 individui. Al Marocco appartiene la maggioranza dei detenuti stranieri (3.279), segue l’Albania con 1.879 detenuti e la Tunisia (1545)[30].
Una alta incidenza di stranieri si riscontra anche nelle persone denunciate che nel 2005 sono per il 33,41% soggetti di nazionalità non italiana. Nei primi nove mesi del 2006 tale percentuale è salita al 36,50%[31].
Si deve considerare, tuttavia, che la grande maggioranza dei denunciati si riferisce a immigrati irregolare: infatti nel complesso gli stranieri regolari denunciati nel 2006 sono stati quasi il 6% del totale dei denunciati in Italia, percentuale vicina a quella quota complessiva degli stranieri regolari sulla popolazione residente (circa il 5%)[32].
Le linee generali delle politiche pubbliche in materia di immigrazione extracomunitaria in Italia, fissate dalla legge n. 40 del 1998[33] (cosiddetta “legge Turco – Napolitano”), sono state successivamente consolidate nel decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, Testo unico sull’immigrazione e sulla condizione dello straniero.
Il testo unico interviene in entrambi gli ambiti principali del diritto dell’immigrazione: il diritto dell’immigrazionein senso stretto, concernente la gestione nel suo complesso del fenomeno migratorio: la definizione di regole di ingresso, di soggiorno, di controllo, di stabilizzazione dei migranti ed anche la repressione delle violazioni a tali regole; e il diritto dell’integrazione, che riguarda l’estensione, in misura più o meno ampia, ai migranti dei diritti propri dei cittadini (diritti civili, sociali, politici).
I princìpi fondamentali che sono alla base del testo unico sono essenzialmente tre: la programmazione dei flussi migratori e il contrasto all’immigrazione clandestina (per quanto riguarda il diritto dell’immigrazione); la concessione di una ampia serie di diritti volti all’integrazione degli stranieri regolari (diritto dell’integrazione).
La legge 30 luglio 2002, n. 189, recante Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo (la cosiddetta legge “Bossi - Fini”), mantenendo sostanzialmente inalterato nel complesso la struttura generale del testo unico, ne ha modificato la parte relativa alla gestione dell’immigrazione, non toccando, se non in minima parte, quella riguardante i diritti dei lavoratori immigrati.
In Italia l’immigrazione dei cittadini stranieri non appartenenti all’Unione europea è regolata secondo il principio della programmazione dei flussi. Ogni anno il Governo, sulla base della necessità di manodopera interna, stabilisce il numero di stranieri che possono entrare nel nostro Paese per motivi di lavoro.
In particolare, la gestione dei flussi di immigrazione è realizzata attraverso una serie di strumenti, quali il documento programmatico triennale, il decreto annuale sui flussi, il decreto sull’ingresso degli studenti universitari.
Il documento programmatico sulla politica dell’immigrazione viene elaborato dal Governo ogni tre anni ed è sottoposto al parere delle Commissioni parlamentari. Esso contiene un’analisi del fenomeno migratorio e uno studio degli scenari futuri; gli interventi che lo Stato italiano intende attuare in materia di immigrazione; le linee generali per la definizione dei flussi d’ingresso; le misure di carattere economico e sociale per favorire l’integrazione degli stranieri regolari[34].
Il decreto sui flussi è lo strumento attuativo del documento programmatico, con cui il Governo stabilisce ogni anno, sulla base delle indicazioni contenute nel documento e dei dati sull’effettiva richiesta di lavoro da parte delle realtà locali, elaborati da un’anagrafe informatizzata tenuta dal Ministero del lavoro, le quotemassime di stranieri da ammettere in Italia per motivi di lavoro. In esso sono previste quote riservate per i cittadini provenienti da Paesi a forte pressione migratoria con i quali l’Italia ha sottoscritto accordi specifici di cooperazione in materia di immigrazione.
Per il 2006 il Governo ha stabilito in 170.000 unità la quota di ingressi autorizzati di lavoratori extracomunitari[35], con un sensibile aumento rispetto agli anni precedenti quando la quota dei flussi si era stabilizzata intorno agli 80.000 permessi.
Per quanto riguarda i lavoratori stagionali, la quota di 50.000 ingressi (compresa nel 170.000 complessivi) è stata poi integrata di 30.000 unità[36], come del resto era accaduto anche in precedenza.
Una novità è, invece, rappresentata dalla decisione di allargare ulteriormente gli ingressi a tutti i lavoratori non stagionali che avevano fatto domanda per il decreto flussi del 2006: si tratta di 350.000 persone che avevano già presentato domanda[37]. L’accesso alla quota aggiuntiva non è subordinata alla presentazione di una nuova domanda, ma la concessione dei nuovi ingressi è basata sulle domande di nulla osta al lavoro già regolarmente presentate, entro il 21 luglio 2006, ai sensi del decreto flussi di febbraio, previa verifica delle condizioni di ammissibilità.
Attualmente non è ancora stato adottato il decreto flussi 2007. Per il momento sono stati ammessi, con un provvedimento transitorio, 80.000 lavoratori stagionali e 2.000 cittadini stranieri non comunitari residenti all'estero che abbiano completato dei programmi di formazione e di istruzione nel Paese di origine[38].
Il decreto sugli ingressi degli studenti universitari, infine, fissa il numero massimo dei permessi di soggiorno da concedere a studenti stranieri che intendono accedere all’istruzione universitaria in Italia. Per l’anno accademico 2007-2008 potranno essere rilasciati 52.497 visti d’ingresso di questo tipo[39].
Il secondo principio su cui si fonda la disciplina dell’immigrazione è quello del contrasto all’immigrazione clandestina.
Gli stranieri entrati in Italia senza regolare visto di ingresso sono considerati “clandestini”, mentre sono ritenuti “irregolari” gli stranieri che hanno perduto i requisiti per la permanenza sul territorio nazionale, di cui erano in possesso al momento dell’ingresso in Italia (ad esempio, per il mancato rinnovo del permesso di soggiorno scaduto).
Secondo la norme vigenti, tali immigrati devono essere respinti alla frontiera o espulsi. Quando l’espulsione non può essere immediata, gli stranieri devono essere trattenuti presso appositi centri di permanenza temporanea ed assistenza (CPTA) per il tempo strettamente necessario alla loro identificazione ed espulsione.
Dopo la recente chiusura dei centri di Brindisi, Crotone e Ragusa, al momento sono in funzione 11 centri di permanenza temporanea, con una ricettività di 1591 posti[40]. La loro localizzazione nelle varie regioni è in funzione delle dinamiche dei flussi di immigrazione clandestina.
Ai CPTA si aggiungono 5 centri di accoglienza (CPA, 2.394 posti) destinati a garantire i primi soccorsi agli stranieri e 4 centri di identificazione (CID) per il trattenimento temporaneo dei richiedenti asilo (730 posti)[41].
Nel periodo 2005 - 2006 sono stati tradotti nei CPTA circa 25.000 stranieri[42].
Per quanto riguarda, in particolare, i rimpatri effettuati nei confronti degli stranieri trattenuti nei centri di permanenza e assistenza, nel 2005 i rimpatriati sono stati il 68,6% dei trattenuti (50,5% nel 2004)[43].
Gli strumenti che l’ordinamento predispone per il contrasto all’immigrazione clandestina sono numerosi e vanno dalla repressione del reato di favoreggiamento all’immigrazione clandestina, al respingimento alla frontiera, dall’espulsione come misura di sicurezza per stranieri condannati per gravi reati, all’espulsione come sanzione sostitutiva della detenzione.
Il principale di essi può tuttavia considerarsi l’espulsione amministrativa. Dopo la legge Bossi-Fini essa si risolve, nella maggior parte dei casi, nell’accompagnamento alla frontiera da parte delle forze dell’ordine, disposto dal prefetto; più raramente si concreta in una intimazione a lasciare entro 15 giorni il territorio dello Stato. Il provvedimento di espulsione è valido per 10 anni e il mancato rispetto di quanto in esso disposto dà luogo a sanzione penale.
Per contrastare le immigrazioni clandestine e i relativi traffici, la legge Bossi-Fini ha infatti inasprito l’apparato delle sanzioni penali previste dal testo unico ed ha generalizzato il ricorso all’espulsione mediante accompagnamento coatto alla frontiera, modificando numerosi aspetti procedurali del ricorso contro il decreto di espulsione e inasprendo le pene per lo straniero espulso che rientri illegalmente nel territorio dello Stato[44].
Nella materia è intervenuto il decreto-legge n. 241 del 2004[45], che ha ridisciplinato la procedura di controllo giurisdizionale sull’espulsione del cittadino extracomunitario e l’esecuzione dell’espulsione, per adeguarle a due sentenze della Corte costituzionale (nn. 222 e 223 del 2004) che ne hanno dichiarato la parziale illegittimità costituzionale.
Particolarmente severe sono le disposizioni volte a reprimere il reato di favoreggiamento all’immigrazione clandestina, punito con la reclusione fino a cinque anni o, se il reato è compiuto a fini di lucro, fino a quindici anni. Le pene poi sono poi aumentate in presenza di circostanze aggravanti, quali l’avviamento alla prostituzione[46].
Va inoltre ricordata, in proposito, la ridefinizione dei reati di riduzione in schiavitù e di tratta di persone operata dalla legge n. 228 del 2003[47].
Una menzione spetta anche al permesso di soggiorno a fini investigativi, rilasciato in favore degli stranieri che prestino la loro collaborazione all’autorità giudiziaria o agli organi di polizia in relazione a delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell'ordine democratico. Si tratta di un nuovo strumento introdotto dal recente decreto-legge n. 144 del 2005[48], e che si inserisce nel solco della legislazione premiale in materia di immigrazione inaugurata dal permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale, che può essere rilasciato a immigrati clandestini che siano vittime di situazioni di violenza o di grave sfruttamento[49].
Uno degli strumenti che hanno reso possibile una efficace azione di contrasto all’immigrazione clandestina è stato la stipulazione, da parte del Governo italiano, di una serie di accordi bilaterali in materia di immigrazione.
Si tratta, innanzitutto, degli accordi di riammissione degli stranieri irregolari, previsti dal testo unico sull’immigrazione, volti ad ottenere la collaborazione delle autorità del Paese straniero nelle operazioni di rimpatrio dei migranti non regolari, espulsi dall’Italia o respinti al momento dell’attraversamento della frontiera.
Con alcuni Paesi, e specificamente con quelli a più alta pressione migratoria, sono stati perfezionati pacchetti di intese di portata più ampia che prevedono non soltanto accordi di riammissione, ma anche intese di cooperazione di polizia, nonché accordi in materia di lavoro. Nei decreti annuali sui flussi di ingresso del lavoratori extracomunitari sono previste quote riservate per gli stranieri provenienti da Paesi che hanno stretto tali accordi globali di cooperazione.
Attualmente l’Italia ha firmato 28 intese bilaterali in tema di riammissione, di cui 21 in vigore. Trattative in materia di immigrazione sono in corso con altri 17 Paesi[50].
Di questi accordi, 15 sono stati stipulati con Paesi dell’Unione europea, compresi quelli di nuova e di prossima adesione, e 13 con Paesi extra UE: Albania, Algeria, Croazia, Macedonia, Georgia, Marocco, Moldavia, Nigeria, Sri Lanka, Svizzera, Tunisia, Serbia-Montenegro, Egitto.
Tra i Paesi con i quali sono stati avviati contatti si ricordano le Filippine, la Siria e il Bangladesh.
Come si è accennato sopra, la stipula di trattati di riammissione non esaurisce l’azione internazionale del nostro Paese in materia di immigrazione. In proposito, assumono particolare rilievo i casi di Tunisia e Libia, in quanto gli approdi dei due Paesi rivieraschi costituiscono l’ultima base di partenza di gran parte dei flussi di immigrati clandestini che giungono in Italia via mare. Con la Tunisia, oltre all’intesa sulla riammissione, stipulato nel 1998, esistono forme di accordo su gran parte dei temi relativi all’immigrazione: dalla cooperazione allo sviluppo, al contrasto dell’immigrazione clandestina, alla collaborazione sulla gestione dei flussi regolari[51]. Con la Libia, a partire dal luglio del 2002 é stato avviato un intenso dialogo in tema di prevenzione e contrasto dell’immigrazione clandestina, sulla base dell’accordo di collaborazione nella lotta alla criminalità organizzata, al traffico illegale di stupefacenti e sostanze psicotrope e all’immigrazione clandestina, firmato a Roma il 13 dicembre 2000. Sono attualmente in corso progetti sperimentali di cooperazione in tre settori cruciali in materia: controllo delle frontiere terrestri, intelligence investigativa sulle organizzazioni criminali dedite al traffico dei clandestini e contrasto in mare[52].
Tra gli ultimi accordi in ordine di tempo, si ricorda quello con l’Egitto del novembre 2005, precedente all’accordo di riammissione del 2007, in cui il Governo italiano si impegna, tra l’altro a valutare l’attribuzione di una speciale quota annuale per i lavoratori migranti egiziani[53].
Per quanto riguarda il terzo dei tre princìpi ispiratori della legislazione vigente, l’integrazione degli stranieri regolari, il nostro ordinamento garantisce una ampia tutela dei diritti degli stranieri e promuove l’accoglienza e l’integrazione degli immigrati.
Innanzitutto, agli stranieri sono garantiti, alla stregua dei cittadini italiani, i diritti fondamentali di libertà ed eguaglianza fissati dalla prima parte della nostra Costituzione. Tra questi, espressamente destinato agli stranieri, il diritto di asilo (art. 10 Cost.).
Inoltre, una serie di disposizioni contenute in leggi ordinarie provvedono a fissare contenuti e limiti della possibilità degli stranieri di godere dei diritti propri dei cittadini e dall’altro a promuovere l’accoglienza e l’integrazione degli immigrati.
In primo luogo, la legge prevede, in presenza di determinate condizioni, la concessione agli stranieri della cittadinanza (per naturalizzazione, per nascita o per matrimonio), quale massimo strumento di integrazione e di possibilità di godimento dei diritti garantiti dall’ordinamento. L’acquisizione della cittadinanza per naturalizzazione presuppone la permanenza regolare e continuativa nel territorio nazionali per dieci anni ed è subordinata alla decisione, in larga parte discrezionale, dell’amministrazione pubblica.
Per quanto riguarda i diritti civili, agli stranieri è garantito il diritto alla difesa in giudizio (art. 17 testo unico).
Inoltre, è prevista una serie di strumenti volti al contrasto della discriminazione razziale: a partire dalla legge 654/1975 di ratifica della Convenzione di New York del 1966 contro il razzismo, fino al testo unico che da una definizione puntuale degli atti di discriminazione (art. 43) e disciplina l’azione di sede civile contro tali atti (art. 44). Recentemente in questo settore alcuni importanti interventi sono stati realizzati principalmente in attuazione della disciplina comunitaria: due decreti legislativi, 215 e 216 del 2003, hanno recepito due direttive comunitarie contenenti disposizioni per garantire la non discriminazione a causa delle proprie origini, il primo in generale, il secondo in materia di lavoro.
Sono previste, inoltre, alcune disposizioni relative alla tutela dei diritti sociali.
Specifiche disposizioni del testo unico (artt. 28-33) prendono in esame le forme di garanzia del diritto all’unità familiare, riconosciuto agli stranieri regolarmente soggiornanti, e di tutela dei minori, il cui prioritario interesse deve sorreggere tutti i provvedimenti amministrativi e giurisdizionali in materia di diritto all’unità familiare (sul punto si veda, infra, i due paragrafi specificamente dedicati ai minori stranieri).
Per quanto riguarda il diritto alla salute, viene garantita una ampia assistenza sanitaria a tutti gli stranieri, compresi coloro che non sono in regola con le norme relative all’ingresso e al soggiorno (artt. 34-36).
Anche il diritto allo studio è contemplato dal testo unico (art. 39);
Le disposizioni del testo unico in materia di servizi abitativi e di assistenza sociale per stranieri (artt. 40-41) prevedono che le regioni, in collaborazione con gli enti locali e con le associazioni di volontariato, predispongano centri di accoglienza destinati ad ospitare stranieri regolarmente soggiornanti e impossibilitati, temporaneamente, a provvedere autonomamente alle proprie esigenze abitative e di sussistenza[54].
L’art. 41 del testo unico estende a favore degli stranieri in possesso della carta o del permesso di soggiorno (di durata non inferiore a un anno) anche l’accesso ai servizi socioassistenzialiorganizzati sul territorio[55].
La legge finanziaria 2001 (art. 80, co. 19)[56] ha circoscritto la portata della disposizione precisando che l’assegno sociale e le provvidenze economiche che costituiscono diritti soggettivi in base alla legislazione vigente in materia di servizi sociali sono concessi agli stranieri che siano titolari di carta di soggiorno (e non anche a coloro in possesso del semplice permesso di soggiorno); per le altre prestazioni e servizi sociali l’equiparazione con i cittadini italiani è consentita a favore degli stranieri che siano almeno titolari di permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno
Quanto ai diritti politici, va segnalata la Convenzione sulla partecipazione degli stranieri alla vita pubblica a livello locale fatta a Strasburgo nel 1992 tra i Paesi membri del Consiglio d’Europa (ratificata dall’Italia con legge 8 marzo 1994, n. 203) con la quale vengono garantiti agli stranieri residenti nei Paesi aderenti una serie di diritti. In particolare il capitolo A della Convenzione prevede il riconoscimento agli stranieri, alle stesse condizioni previste per i cittadini, delle libertà di espressione, di riunione e di associazione, ivi compresa quella di costituire sindacati e affiliarsi ad essi, ferme restando le eventuali limitazioni per ragioni attinenti alla sicurezza dello Stato, alla tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica. Con il capitolo B si riconosce il diritto alle collettività locali che hanno nei loro rispettivi territori un numero significativo di residenti stranieri, di creare organi consultivi volti a rappresentare i residenti stranieri a livello, ai quali deve essere data la possibilità di discutere sui problemi di loro interesse per il tramite di rappresentanti eletti o nominati da gruppi associati.
Non si è data, invece, applicazione al capitolo C della Convenzione che impegna le parti a concedere agli stranieri residenti il diritto di elettorato attivo e passivo alle elezioni locali che, pertanto, non è attribuibile agli stranieri non comunitari[57].
Il trattamento giuridico del minore straniero si pone al confine fra la legislazione sui minori, improntata a principi di protezione e di sostegno, e quella sugli stranieri, nata come legislazione di pubblica sicurezza e pertanto basata su principi di controllo e di difesa.
Il primo intervento legislativo in tema di immigrazione, il c.d. decreto Martelli del 1989 poi convertito nella L. 39/1990[58], conteneva due sole norme destinate ai minorenni[59], insufficienti a disegnare adeguatamente la disciplina della condizione giuridica del minore straniero. Pertanto, assunsero un peso determinante le procedure dei vari uffici, fra l’altro largamente disomogenee fra loro.
La L. 39/1990 non prevedeva inoltre norme in materia di minori non accompagnati, con la conseguenza di lasciare di fatto alla sola autorità di polizia i poteri di determinazione. L’intervento dell’autorità giudiziaria veniva richiesto dagli operatori invocando la Convenzione di New York sui diritti del fanciullo[60] e i principi generali in materia di protezione dei minori[61]. L’Autorità giudiziaria (a volte individuata nel Tribunale dei Minori, altre nel Giudice Tutelare) rispose con orientamenti disomogenei e contraddittori, applicando le norme in materia di abbandono e di affidamenti.
La prima legge che organicamente disciplina il fenomeno migratorio in tutti i suoi aspetti, la L. 40/1998[62], compresa successivamente nel D. Lgs. 286/98[63], sana in parte la situazione precedente con numerose e importanti disposizioni specifiche riguardanti il diritto all’unità familiare e la tutela dei minori.
Il Testo unico contiene al co. 3 dell’art. 28 il principio generale di “prevalenza del superiore interesse del fanciullo in tutti i procedimenti finalizzati a dare attuazione al principio dell’unità familiare e riguardanti i minori”. Tale criterio era stato già affermato dalla Corte Costituzionale nel 1986 quando aveva stabilito che i diritti inviolabili del minore devono ritenersi estesi anche al minore straniero in stato di abbandono[64]; principio rafforzato da una sentenza del 1989 in cui si ribadiva che minore italiano e minore straniero devono ricevere parità di trattamento nel godimento di diritti essenziali, quali il diritto a sviluppare la propria personalità nella famiglia d'origine e il diritto ad avere un'unica famiglia, nonché, in subordine, il diritto ad ottenere una famiglia sostitutiva "adeguata"[65]. Precedentemente la Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo firmata a New York il 20 novembre 1989, (ratificata e resa esecutiva con L. 176/1991[66]) aveva, all'art. 3, co. 1, invitato i paesi contraenti a provvedere alla protezione della condizione del minore nei procedimenti giurisdizionali e amministrativi. Pertanto, in attuazione di tali principi, ed espressamente affermando di volersi conformare a quanto previsto della Convenzione, l’art. 28, co. 3 del Testo unico introduce come criterio valutativo prioritario, in tutti i procedimenti amministrativi e giurisdizionali finalizzati a dare attuazione al diritto all’unità familiare e riguardanti i minori, quello del “superiore interesse del fanciullo”.
I minori affidati a un cittadino straniero regolarmente soggiornante e che convivono con l’affidatario vengono iscritti nel permesso di soggiorno dell’affidatario fino al compimento dei 14 anni, allorché ricevono un permesso di soggiorno per motivi familiari.
L’art. 19 co. 2, lettera a) del testo unico dispone l’inespellibilità amministrativa del minore straniero salvo il diritto a seguire il genitore o l’affidatario espulsi e tranne per i motivi di sicurezza nazionale e ordine pubblico, per i quali, in base al co. 4 dell'art. 31, deve disporre il Tribunale per i minorenni su richiesta del Questore.
Il D.P.R. 394/1999[67] disciplina all’art. 28 le tipologie di permesso di soggiorno rilasciate dal Questore nei casi in cui la legge dispone il divieto di espulsione: permesso di soggiorno per minore età o permesso di soggiorno per integrazione sociale e civile del minore.
Il permesso per integrazione sociale e civile del minore, rilasciato previo parere del Comitato per i minori stranieri, così come disposto dall’art. 11 co. 1, lettera c-sexies, dello stesso Regolamento, è emesso in favore dei minori che si trovano nelle condizioni di cui all’art. 32 del Testo unico (Minori affidati).
L’art. 32 del Testo unico ha d’altra parte disciplinato la posizione del minore straniero, regolarmente soggiornante nel territorio italiano, al compimento della maggiore età, prevedendo la possibilità che possa essergli rilasciato il permesso di soggiorno per motivi di studio, di accesso al lavoro, di lavoro subordinato o autonomo, per esigenze sanitarie o di cura, purché nei suoi confronti siano state applicate le disposizioni di cui all’art. 31, comma 1 e 2, ovvero si tratti di un minore comunque affidato ai sensi dell’art. 2 della L. 184/1983[68]; il co. 1-bis prevede altresì le stesse tipologie di permesso anche per i minori stranieri non accompagnati ammessi per un periodo non inferiore a due anni in un progetto di integrazione sociale e civile gestito da un ente pubblico o privato a rappresentanza nazionale e comunque iscritto nel registro delle associazioni, degli enti e degli altri organismi privati che svolgono le attività a favore degli stranieri immigrati istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali[69]. IL successivo co. 1-ter stabilisce inoltre l’obbligo da parte dell’ente gestore dei progetti di provare con idonea documentazione che al momento del compimento della maggiore età del minore straniero richiedente il rilascio del permesso, questi si trovi sul territorio nazionale da non meno di tre anni, segua il progetto da non meno di due anni, abbia disponibilità di un alloggio, e frequenti corsi di studio o svolga o stia per svolgere attività retribuita.
Importanti novità sono intervenute con la sentenza della Corte Costituzionale 5 giugno 2003, n. 198, che ha disposto che la norma fosse interpretata analogicamente, estendendo ai minori non affidati, ma sottoposti a provvedimento di tutela, la disciplina di conversione del permesso di soggiorno prevista per i minori affidati, cancellando ogni dubbio sulla possibilità di concedere anche ai minori stranieri sotto tutela al compimento della maggiore età il permesso di soggiorno per motivi di lavoro, familiari o di studio. Infine, le decisioni del Consiglio di Stato 1681/2005 e 564/2007 sottolineano come i requisiti stabiliti dal co. 1 dell’art. 32 del Testo unico (affidamento o tutela) e i requisiti stabiliti dai commi 1-bis e 1-ter dello stesso articolo (ingresso da almeno 3 anni e partecipazione ad un progetto di integrazione da almeno 2 anni) siano alternativi e non concorrenti.
I minori stranieri che hanno terminato l’espiazione di una pena detentiva per reati commessi durante la minore età e hanno partecipato ad un programma di assistenza ed integrazione sociale possono ottenere al momento delle dimissioni dal carcere, un permesso di soggiorno per protezione sociale (art. 18, co. 6 del D. Lgs. 286/1998). Il permesso per protezione sociale consente di lavorare ed è rinnovabile anche dopo il compimento dei 18 anni.
L’art. 31 del Testo unico al co. 3, stabilisce inoltre che il Tribunale per i minorenni possa dare l’autorizzazione per l’ingresso o la permanenza del familiare, per gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico del minore straniero. Sulla base di questa norma, il giudice “tenuto conto dell’età e delle condizioni di salute del minore che si trova nei territorio italiano”, può autorizzare, per un periodo di tempo determinato, anche in deroga alle altre disposizioni del Testo unico, un familiare del minore a entrare o rimanere nel nostro paese. L'autorizzazione è revocata quando vengono a cessare i gravi motivi che ne giustificavano il rilascio o per attività del familiare incompatibili con le esigenze del minore o con la permanenza in Italia.
La norma è rilevante dal punto di vista costituzionale in quanto stabilisce l’intervento della magistratura minorile sulla condizione giuridica degli adulti stranieri, seppur nella loro qualità di genitori o di familiari del minore, anche in deroga alle norme legislative. In questo caso vanno considerati gli artt. 30 e 31 Cost. che impongono al legislatore di favorire gli istituti necessari alla protezione dell’infanzia e di prevedere istituti sostitutivi dei compiti educativi dei genitori.
L’art. 33 del D. Lgs. 286/1998 trasferisce altresì ad un organo amministrativo, il Comitato per i minori stranieri le competenze che, secondo i principi del diritto minorile, spettavano all’Autorità Giudiziaria.
Il Comitato opera presso il Ministero della solidarietà sociale ed è composto da rappresentanti dei Ministeri degli affari esteri, dell'interno e di grazia e giustizia, del Dipartimento per gli affari sociali della Presidenza del Consiglio dei Ministri, con compiti di vigilanza e coordinamento sulle modalità di soggiorno dei minori stranieri temporaneamente ammessi sul territorio dello Stato e con funzioni di tutela dei relativi diritti. Esso è disciplinato dal decreto del Presidente del Consiglio 535/1999[70].
Ai sensi dell’articolo 33 del testo unico e dell’articolo 3 del DPCM n. 535/1999, il Comitato per i minori stranieri, nominato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentiti i Ministri degli affari esteri, dell’interno e di grazia e giustizia, è composto dai seguenti rappresentanti:
§ uno del Dipartimento per gli affari sociali della Presidenza del Consiglio dei ministri
§ uno del Ministero degli Affari Esteri
§ uno del Ministero di Giustizia
§ uno del Ministero dell'Interno
§ uno dell’Unione province italiane
§ due dell’Associazione Nazionale Comuni Italiani (ANCI)
§ uno dell’Unione province italiane (UPI)
§ due delle organizzazioni maggiormente rappresentative operanti nel settore dei problemi della famiglia e dei minori.
Il Comitato opera al fine prioritario di tutelare i diritti dei minori presenti non accompagnati e dei minori accolti, in conformità alle previsioni della Convenzione sui diritti del fanciullo. Il comitato è responsabile del monitoraggio costante delle presenze di minori stranieri non accompagnati e dell’inserimento delle informazioni di una apposita banca dati. In secondo luogo, procede all’accertamento dello statusdel minore e all’esame delle sue condizioni di non accompagnato. In terzo luogo, promuove le indagini familiari per rintracciare i genitori dei minori di origine al fine del loro ricongiungimento. Inoltre, esamina le istanze di integrazione dei minori presentate dai servizi sociali dei comuni (co. 1-bis dell’art. 32 del D.Lgs. 286). Infine, il Comitato gestisce i programmi di accoglienza temporanea gestiti da enti pubblici o privati e famiglie.
Ai fini delle attività di tutela del Comitato, la normativa vigente opera una distinzione tra “minori stranieri non accompagnati” e “minori stranieri accolti”:
Minori non accompagnati: si intende il minorenne senza cittadinanza italiana (o di altro Paese dell’Unione Europea) che non ha presentato domanda di asilo politico e che si trova nel territorio dello Stato privo di assistenza e rappresentanza da parte dei genitori o di altri adulti per lui legalmente responsabili.
Ogni minore straniero non accompagnato deve essere segnalato:
§ alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per minorenni, anche nel caso in cui sia accolto da un parente entro il quarto grado idoneo ad accoglierlo[71], a cui comunque deve essere affidato;
§ al Giudice Tutelare, per l’apertura della tutela;
§ al Comitato per minori stranieri, ad eccezione del caso in cui il minore abbia presentato domanda di asilo.
Ai minori stranieri non accompagnati si applicano le norme previste in generale dalla legge italiana in materia di protezione e assistenza dei minori:
§ il collocamento in luogo sicuro e la competenza in materia di assistenza è attribuita in via primaria all’Ente Locale (in genere al Comune):
§ l’affidamento del minore temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo può essere disposto dal Tribunale per i minorenni (affidamento giudiziale), oppure, nel caso ci sia il consenso dei genitori o del tutore, può essere disposto dai servizi sociali e reso esecutivo dal Giudice tutelare (affidamento consensuale)[72]; la legge non prevede che per procedere all’affidamento si debba attendere la decisione del Comitato per i minori;
§ l’apertura della tutela per il minore i cui genitori non possono esercitare la potestà[73].
In relazione ai minori non accompagnati, il Comitato svolge le seguenti attività:
§ accerta lo status del minore non accompagnato;
§ svolge compiti di impulso e di ricerca al fine di promuovere l'individuazione dei familiari dei minori;
§ adotta il provvedimento di rimpatrio assistito;
§ provvede al censimento dei minori presenti non accompagnati.
In base all’articolo 6 del DPCM n. 535/99, al minore non accompagnato sono garantiti i diritti relativi al soggiorno temporaneo, alle cure sanitarie, all'avviamento scolastico e alle altre provvidenze disposte dalla legislazione vigente.
Al fine di garantire l'adeguata accoglienza del minore il Comitato può proporre la stipula di convenzioni con amministrazioni pubbliche e organismi nazionali e internazionali che svolgono attività inerenti i minori non accompagnati in conformità ai principi e agli obiettivi che garantiscono il superiore interesse del minore, la protezione contro ogni forma di discriminazione, il diritto del minore di essere ascoltato.
Minori stranieri accolti (minori stranieri non accompagnati accolti temporaneamente nel territorio dello Stato): sono i bambini, di età superiore ai sei anni, che hanno fatto ingresso in Italia nell'ambito di programmi solidaristici di accoglienza temporanea promossi da enti, associazioni o famiglie.
In relazione ai minori accolti, il Comitato:
§ delibera, previa adeguata valutazione e secondo criteri predeterminati, in ordine alle richieste provenienti da enti, associazioni o famiglie italiane per l'ingresso di minori accolti nell'ambito dei programmi solidaristici di accoglienza temporanea nonché per l'affidamento temporaneo e per il rimpatrio dei medesimi;
§ provvede alla istituzione e alla tenuta dell'elenco dei minori accolti nell'ambito dei programmi solidaristici;
§ definisce i criteri predeterminati di valutazione delle richieste per l'ingresso di minori accolti.
Ai fini del censimento dei minori stranieri presenti in Italia, il DPCM n. 535/99 (art. 5), dispone che i pubblici ufficiali, gli incaricati di pubblico servizio e gli enti, in particolare che svolgono attività sanitaria o di assistenza, i quali vengano comunque a conoscenza dell'ingresso o della presenza sul territorio dello Stato di un minorenne straniero non accompagnato, sono tenuti a darne immediata notizia al Comitato, con mezzi idonei a garantirne la riservatezza.
Il Comitato si occupa inoltre del rimpatrio assistito del minore, ossia dell'insieme delle misure adottate allo scopo di garantire al minore interessato l'assistenza necessaria fino al ricongiungimento coi propri familiari o al riaffidamento alle autorità responsabili del Paese d'origine, in conformità alle convenzioni internazionali, alla legge, alle disposizioni dell’autorità giudiziaria. Il rimpatrio assistito deve essere finalizzato a garantire il diritto all'unità familiare del minore e ad adottare le conseguenti misure di protezione.
Ai sensi dell’articolo 7 del DPCM 535/99, il rimpatrio deve svolgersi in condizioni tali da assicurare costantemente il rispetto dei diritti garantiti al minore e tali da assicurare il rispetto e l'integrità delle condizioni psicologiche del minore, fino al riaffidamento alla famiglia o alle autorità responsabili. Dell'avvenuto riaffidamento è rilasciata apposita attestazione da trasmettere al Comitato.
Inoltre, il Comitato dispone il rimpatrio assistito del minore non accompagnato, assicurando che questi sia stato previamente sentito, anche dagli enti interessati all'accoglienza, nel corso della procedura. Infine, a differenza dell’espulsione, il rimpatrio non comporta il divieto di reingresso per 10 anni.
Nel caso in cui ritenga che il rimpatrio non sia nel suo superiore interesse, il minore ha diritto di presentare ricorso alla Magistratura (Tribunale ordinario[74] o TAR) per ottenere l’annullamento del provvedimento. Il ricorso può essere presentato dal tutore o dai genitori dal paese di origine.
In questi anni di attività del Comitato per i minori stranieri, il fenomeno dei minori non accompagnati ha riguardato l'ingresso clandestino nel nostro paese di circa 20.000 minori stranieri. Tali dati sono stati ricavati dall'attività di censimento svolta in questi anni dal Comitato secondo i compiti ad esso attribuiti dal DPCM n. 535/99.
Per quanto riguarda i minori accolti, l'attività del Comitato riguarda l'ingresso temporaneo in Italia di circa 36.000 minori stranieri in media all'anno nell'ambito di programmi solidaristici di accoglienza temporanea a scopo umanitario.[75] Questa attività di accoglienza ha avuto origine dopo il disastro ambientale di Chernobyl e nel corso degli anni anche ad altri Paesi ed ad altre tipologie di minore.
Più in particolare, tra il 1° luglio 2000 e il 31 gennaio 2002 sono stati segnalati al Comitato per i minori stranieri 16.239 minori, dei quali 8.318 sono diventati maggiorenni nel periodo considerato[76]. I più importanti paesi di provenienza sono l’Albania, da cui proviene più della metà dei minori segnalati, il Marocco e la Romania.
Il Comitato per i minori stranieri, al 31 gennaio 2002, ha disposto provvedimenti di rimpatrio o di non luogo a provvedere al rimpatrio per 264 minori.
Attualmente (dati aggiornati al 31 dicembre 2006) i minori non accompagnati risultano essere 6.551, per lo più maschi e concentrati nella classe di età 15-17 anni. Di questi ben 4.293 non sono identificati. La nazionalità più diffusa è quella romena, seguita dalla marocchina e albanese.
La riforma della disciplina dell’immigrazione è uno dei temi al centro del dibattito politico.
Il disegno di legge oggetto del presente dossier riflette in parte i contenuti di una mozione in tema di flussi migratori approvata dal Senato[77] che impegna il Governo ad intervenire in materia seguendo una serie di indicazioni, quali:
§ rafforzare il processo di programmazione dei flussi sulla base di realistiche analisi previsionali circa le necessità del Paese;
§ rivedere la normativa d'accesso legale al lavoro;
§ introdurre meccanismi di concessione dei permessi di soggiorno e di loro rinnovo, non vessatori per gli immigrati;
§ tutelare i diritti degli immigrati secondo quanto prescritto dalle convenzioni internazionali;
§ realizzare la riforma dei procedimenti di acquisizione della cittadinanza;
§ sostenere i processi d'integrazione;
§ sostenere e rafforzare le politiche bilaterali e multilaterali con i Paesi di emigrazione.
La particolare attenzione del Parlamento alla questione dell’immigrazione è testimoniata dall’indagine conoscitiva sull’immigrazione e l’integrazione in corso da parte del Comitato parlamentare Schengen dal mese di febbraio 2007.
Anche il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro è intervenuto auspicando una rinnovata politica nazionale, volta al rafforzamento della politica di integrazione e alla costruzione di una ordinata convivenza civile che eviti i rischi di conflitti sociali[78].
Sul versante dell’apparato sanzionatorio delle violazioni alle regole che presiedono all’ingresso e alla permanenza regolare degli stranieri, la Corte costituzionale ne ha messo in rilievo alcuni squilibri e disarmonie, “tali da rendere problematica la verifica della compatibilità con i principi costituzionali di uguaglianza e di proporzionalità della pena e con la finalità rieducativa della stessa”. La Corte ha, inoltre, rilevato l’opportunità dell’intervento del legislatore volto ad eliminare tali squilibri (sentenza 22/2007).
In attesa di una riforma di ampio respiro, si registrano numerose iniziative (realizzate o in via di realizzazione) che intervengono su singoli aspetti delle politiche dell’immigrazione. Si tratta di iniziative di tipo legislativo e amministrativo, volte ad incidere direttamente o indirettamente sulla materia, sia sul versante della gestione dell’immigrazione e del contrasto dell’immigrazione clandestina, sia con riguardo al diritto all’integrazione.
Nella regolamentazione dell’ingresso e permanenza degli stranieri si registrano alcuni interventi volti alla semplificazione delle procedure burocratiche.
Tra questi l’abolizione dell’obbligo di permesso di soggiorno per i lavoratori extracomunitari dipendenti da datori di lavoro residenti nell’Unione europea, sostituito da una semplice dichiarazione (decreto legge 10/2007, art. 5)[79].
Recentemente è stata approvata la L. 68/2007[80] che abolisce l’analogo obbligo di richiedere il permesso di soggiorno per viaggi di breve durata (tre mesi) compiuti per motivi di visita, affari, turismo e studio. La disposizione è finalizzata ad evitare la procedura di infrazione (n. 2006/2126) avviata dalla Commissione europea per la non conformità al diritto comunitario delle norme italiane. In sostituzione sarà sufficiente una dichiarazione di presenza all’ufficio di frontiera ovvero in questura.
Inizialmente tale disposizione era contenuta nel citato decreto legge 10/2007 volto in generale all’adeguamento di diverse disposizioni interne ad obblighi comunitari disattesi. Tra queste, quelle in materia di immigrazione (contenute nell’art. 5 del decreto) sono state in parte abrogate[81]. E’ stato abrogato l’eliminazione dell’obbligo (che viene dunque ripristinato) per l’ospitante di comunicare l’ospitalità alla questura di un immigrato di cui all’art. 7 del testo unico. Già in precedenza la legge 296/2006 (legge finanziaria 2007) aveva abrogato l’obbligo di comunicazione per il datore di lavoro che assume un lavoratore non comunitario (art. 1, comma 1184).
Anche a livello amministrativo si segnalano alcuni interventi di semplificazione di specifiche procedure.
Si è chiarito che non è richiesto il permesso di soggiorno del minore straniero adottato o affidato a scopo di adozione (Direttiva del Ministro dell’interno e del Ministro delle politiche per la famiglia del 21 febbraio 2007) e che può essere rilasciato il permesso di soggiorno anche agli sportivi extracomunitari dilettanti con le modalità semplificate valide per gli sportivi professionisti (Circolare del Ministero dell’interno del 2 marzo 2007).
In materia di immigrazione clandestina e di contrasto delle attività illecite ad essa collegate il Governo ha presentato due disegni di legge, attualmente in discussione alle Camere.
Il primo[82] riguarda i cosiddetti scafisti, ossia di coloro favoriscono e sfruttano l’immigrazione clandestina, ed è volto a reprimere con maggior durezza tali reati attraverso:
§ la ridefinizione del reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina;
§ l’applicazione della custodia cautelare in carcere per i delitti connessi all’immigrazione clandestina, alla stregua di quelli di criminalità organizzata;
§ il prolungamento della durata massima delle indagini preliminari (che viene portata a due anni, come per i più gravi delitti) e, di conseguenza della custodia cautelare.
Il secondo disegno di legge[83] è volto a contrastare il lavoro nero degli stranieri irregolari. Il provvedimento introduce il delitto di grave sfruttamento dell’attività lavorativa per coloro che reclutano lavoratori, ovvero ne organizzano l'attività lavorativa, sottoponendoli a grave sfruttamento mediante violenza o minaccia o intimidazione e le cui condizioni di lavoro costituiscono violazione di norme contrattuali o di legge o sono, comunque, considerate condizioni degradanti.
La sanzione è determinata nella reclusione da 3 a 8 anni e la multa di 9.000 euro per ogni lavoratore. Un aumento di pena è stabilito se tra i lavoratori gravemente sfruttati vi sono minori o stranieri “irregolarmente soggiornanti”. Nel caso venga accertata l’occupazione di almeno un lavoratore straniero irregolarmente soggiornante, viene sospesa l’attività produttiva per un mese.
Inoltre, per il nuovo reato è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza, comportando così l’inclusione dello stesso nell’ambito della casistica prevista all’articolo 18 del testo unico sull’immigrazione per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale agli stranieri vittime di sfruttamento.
Sono, invece, di iniziativa parlamentare due proposte di legge, dal contenuto analogo, volte a introdurre disposizioni per agevolare il controllo dell’identità dello straniero e a contrastare il fenomeno dell’utilizzo di false generalità[84].
Da rilevare, l’istituzione nel gennaio 2007 dell’Osservatorio sulla prostituzione e sui fenomeni delittuosi ad essa connessi presso il Dipartimento di pubblica sicurezza, con compiti di studio, ricerca e proposta sul complessivo sistema di prevenzione e di contrasto ai fenomeni delittuosi connessi alla prostituzione e, inoltre, elabora misure di assistenza, protezione e tutela delle vittime della tratta.
La verifica delle condizioni di vita nei centri di permanenza temporanea e assistenza (CPTA), anche in vista della loro riforma, è stato l’obiettivo principale di una speciale commissione d’indagine sui CPTA istituita dal ministro Amato nel luglio scorso e presieduta dall’ambasciatore Staffan de Mistura.
La Commissione ha concluso i suoi lavori nel gennaio 2007 con la pubblicazione di un dettagliato rapporto, in cui si propone il “superamento” dei CPTA attraverso un processo di svuotamento di tutte le categorie di persone per le quali non c’è necessità di trattenimento[85].
Come si è accennato sopra, il disegno di legge approvato dal Governo in giugno recepisce tali principi prevedendo una profonda revisione dell’attuale sistema, senza tuttavia eliminare gli strumenti necessari per l’assistenza, il soccorso e l’identificazione degli immigrati.
Un primo intervento in materia è stato operato di recente con la chiusura dei centri di Brindisi, Crotone e Ragusa e con l’avvio di un approfondito studio sulle altre strutture, in vista di ulteriori, eventuali, soppressioni o riqualificazione. Saranno adottati, inoltre, nuovi criteri per l´accesso ai Centri, garantendo la più ampia trasparenza e conoscenza dell´attività e dei servizi resi agli ospiti e sono previsti progetti di riqualificazione dei Centri di accoglienza (CDA) finalizzati al miglioramento degli standards attuali di ospitalità[86].
Per quanto riguarda l’attività internazionale si ricorda che nel luglio 2006 l’Italia ha manifestato la sua intenzione di aderire al Trattato di Prüm. Si tratta di un accordo, sottoscritto il 27 maggio 2005 da sette Stati membri dell´Unione Europea (Germania, Spagna, Francia, Austria, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo), con lo scopo di rafforzare la cooperazione di polizia in materia di lotta al terrorismo, alla criminalità transfrontaliera e all’immigrazione clandestina. Il Parlamento da parte sua ha chiesto al Governo di ratificare al più presto il trattato[87].
Recentemente è stato emanato decreto legislativo 24/2007[88] per il recepimento della direttiva comunitaria 2003/110, relativa all’assistenza durante il transito in uno scalo aereo di un Paese membro dell’Unione europea – nell’ambito di provvedimenti di espulsione per via aerea – quando non sia possibile per lo Stato membro avvalersi di voli diretti per l’allontanamento degli stranieri espulsi verso i Paesi terzi di destinazione. In conformità alle convenzioni internazionali il transito per via aerea non è richiesto né autorizzato se il cittadino espulso corre il rischio di subire nel Paese di destinazione o di transito trattamenti inumani, torture o morte.
In materia di integrazione, particolare rilievo ha la discussione parlamentare in corso alla Camera su una serie di progetti di legge (di cui uno del Governo) di riforma della disciplina sulla cittadinanza, volti in genere ad agevolare l’acquisizione della cittadinanza italiana da parte degli stranieri regolarmente soggiornanti nel nostro Paese. Tra le misure principali del disegno di legge del Governo (A.C. 1607) l’abbassamento da dieci a cinque anni del periodo minimo di presenza legale in Italia richiesto ai fini della concessione della cittadinanza per naturalizzazione.
Alla concessione della cittadinanza conseguirà l’estensione agli immigrati di tutti i diritti civili, politici e sociali dei cittadini italiani, tra questi il diritto di voto attivo e passivo, la cui concessione agli stranieri regolari (limitatamente alle elezioni amministrative) ha costituito materia di ampio dibattito nella scorsa legislatura.
Al Senato è in corso l’esame del disegno di legge del Governo che adegua l’ordinamento degli enti locali alla riforma del Titolo V della parte II della Costituzione (A.S. 1464) Esso prevede appunto la possibilità di estendere il diritto di elettorato attivo e passivo agli stranieri titolari di permesso di soggiorno per le elezioni circoscrizionali (art. 2).
La I Commissione (Affari costituzionali) della Camera, ha iniziato nel mese di novembre 2006 l’esame di due proposte di legge di iniziativa parlamentare sulla libertà religiosa[89] volti ad aggiornare la disciplina in materia elaborata tra gli anni ’20 e ’30 del secolo scorso. I progetti di legge perseguono tre obiettivi principali:
§ definire i principi generali sulla libertà religiosa;
§ regolamentare la posizione giuridica delle confessioni religiose;
§ definire le procedure per la stipulazione delle intese fra lo Stato e le confessioni religiose.
Sono, inoltre, stati emanati due decreti legislativi, di attuazione di altrettante direttive comunitarie (2003/109 e 2003/86), che incidono su questioni relative allo status di immigrato: uno – D.Lgs. 3/2007[90] – riguarda i soggiornanti di lungo periodo e, tra l’altro, abbrevia (da sei a cinque anni) il periodo di minimo di permanenza regolare per l’ottenimento della carta di soggiorno a tempo indeterminato (in luogo del permesso di soggiorno soggetto a rinnovo annuale)[91].
L’altro – D.Lgs. 5/2007[92] – relativo all’istituto del ricongiungimento familiare elimina alcune condizioni limitative all’esercizio del diritto all’unità familiare (tra cui la condizione di familiari a carico per i figli minori)[93].
Da segnalare l’introduzione del permesso di soggiorno per convivenza per il cittadino straniero extracomunitario convivente con un cittadino italiano o comunitario che non ha un autonomo titolo di soggiorno. Lo prevede il disegno di legge sulle coppie di fatto in esame al Senato (A.S. 1339).
Da segnalare, l’inizio dell’esame di una serie di proposte di legge di iniziativa parlamentare di disciplina del diritto di asilo presso la Camera dei deputati[94].
Sempre in materia di asilo sono in corso di esame presso la I Commissione della Camera due schemi di decreti legislativi di recepimento di due direttive in materia: 2004/83/CE e 2005/85/CE che riformano complessivamente la disciplina a tutela dei rifugiati e dei beneficiari di protezione sussidiaria.
Un terzo schema di decreto all’esame del Parlamento concerne il recepimento della direttiva 2005/71/CE (ingresso di cittadini extracomunitari ai fini di ricerca scientifica.
La legge finanziaria 2007 (L. 296/2007, art. 1, commi 1267-1268) istituisce un Fondo per l’inclusione sociale degli immigrati presso il Ministero della solidarietà sociale. La dotazione del Fondo è pari a 50 milioni di euro annui per il triennio 2007-2009.
La legge finanziaria, inoltre, contiene altre disposizioni in materia, quali:
§ la riorganizzazione dei i centri locali per l’istruzione degli adulti, anche con il fine di diffondere la conoscenza della lingua italiana presso la popolazione adulta immigrata (art. 1, co. 632);
§ la destinazione del 90% del contributo di solidarietà dei trattamenti di fine rapporto più alti alle iniziative volte a favorire l’istruzione e la tutela delle donne immigrate (art. 1, co. 223)[95];
§ l’estensione dell’esenzione dall’IVA per le prestazioni socio-sanitarie rese a migranti, richiedenti asilo, donne vittime di tratta ecc. (art. 1, co. 312).
A livello amministrativo, si segnala l’istituzione (2003) presso la Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per le pari opportunità l’Ufficio per la promozione della parità di trattamento e la rimozione delle discriminazioni fondate sulla razza o sull’origine etnica.
Nello stesso periodo (2004) il Governo ha costituito il Comitato interministeriale contro la discriminazione e l’antisemitismo, presso il Ministero dell’interno e presieduto dal direttore del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione. Il Comitato ha il compito di vigilare sui pericoli di regressione verso forme di intolleranza, razzismo, xenofobia e antisemitismo e di individuare tutte le misure necessarie per contrastare ogni comportamento ispirato da odio religioso o razziale.
Sempre presso il Ministero dell’interno opera dal settembre 2005 la Consulta per l’islam italiano, organo consultivo dove siedono membri delle più rappresentative istituzioni islamiche presenti nel nostro Paese, che si pone l’obiettivo di avviare un dialogo istituzionale con le componenti musulmane presenti in Italia e di agevolare la costruzione di un Islam italiano, fondato sui propri valori religiosi e culturali, ma anche sulla piena accettazione degli ordinamenti politici e delle leggi italiane.
Sulla stessa linea si muove la Consulta giovanile per il pluralismo culturale e religioso istituita nel dicembre 2006 su iniziativa del Ministro dell’interno e del Ministro per le politiche giovanili e lo sport. Essa è formata da 15 giovani appartenenti a differenti culti presenti nel nostro Paese e ha sede presso gli uffici del Ministro per le Politiche giovanili.
Nell’ambito della Consulta per l’islam il Ministro dell’interno ha proposto la definizione di una Carta dei principi e dei valori destinata non solo all’adesione degli islamici ma di tutti coloro che vogliono diventare cittadini. A questo scopo il Ministro ha istituito un comitato di esperti con il compito di elaborare una bozza di Carta[96].
L’iniziativa si inquadra nell’ambito del progetto di estensione della cittadinanza del Governo. Infatti, il citato disegno di legge 1607 prevede, tra l’altro, che la concessione della cittadinanza sia sottoposta alla verifica della reale integrazione linguistica e sociale dello straniero nel territorio italiano.
Il lavoro del comitato di esperti si è concretizzato con la emanazione della Carta dei valori, della cittadinanza e dell'integrazione.
L’attività del comitato tuttavia non si è conclusa: il Ministro dell´interno lo ha incaricato di studiare e proporre le più opportune iniziative per la conoscenza e la diffusione della Carta di valori, nonché i successivi interventi e le iniziative più adeguate per l´armonica convivenza delle comunità dell´immigrazione e religiose nella società italiana[97].
Da segnalare, infine, l’istituzione, nel dicembre 2006, dell’Osservatorio nazionale per l’integrazione degli alunni stranieri e l’educazione interculturale, presso il Ministero della pubblica istruzione, con l’obbiettivo di individuare soluzioni organizzative efficaci e utili orientamenti per il lavoro delle scuole[98].
Le linee direttrici della politica europea comune in materia di asilo e immigrazione, come delineati nei programmi di Tampere e dell’Aja, possono essere sintetizzate come segue:
§ partenariato con i paesi di origine, nel quadro di un approccio globale che affronti gli aspetti politici, i diritti dell'uomo e i problemi dello sviluppo nei paesi e nelle regioni di origine e di transito;
§ regime comune europeo in materia di asilo, fondato, a termine, su una procedura d'asilo comune e uno status unico;
§ equo trattamento dei cittadini dei paesi terzi che soggiornano legalmente nel territorio degli Stati membri;
§ gestione dei flussi migratori, basata, segnatamente, su una politica comune attiva in materia di visti e di documenti falsi, sulla lotta contro la tratta degli esseri umani e lo sfruttamento economico dei migranti e sulla regolamentazione dell’entrata e del diritto di soggiorno, del permesso di lavoro e delle questioni relative al ricongiungimento familiare.
Una delle novità più rilevanti del programma dell’Aja è la decisione di applicare, dal 1° gennaio 2005, la procedura legislativa ordinaria - basata sulla codecisione con il Parlamento europeo e la maggioranza qualificata per le decisioni in seno al Consiglio dei ministri - per le misure concernenti la libertà di circolazione dei cittadini dei paesi terzi, l’immigrazione illegale, nonché il soggiorno irregolare, compreso il rimpatrio. Per quanto riguarda l'immigrazione legale, si applica ancora (in attesa degli esiti del processo costituzionale dell’Unione europea) la procedura che comporta la consultazione del PE e le decisioni del Consiglio assunte all’unanimità. Per quanto attiene, in particolare, all’integrazione dei migranti, l’obiettivo del programma dell’Aja è quello di definire un quadro europeo in materia di integrazione, mirante a garantire il rispetto dei valori europei, nonché a ribadire la non discriminazione.
Sulla base delle indicazioni dei programmi di Tampere e dell’Aja, gli orientamenti della politica europea in materia di immigrazione sono stati ulteriormente definiti nelle conclusioni dei Consigli europei del 15-16 dicembre 2005 e del 14-15 dicembre 2006 nonché nell’ambito della comunicazione della Commissione del 30 novembre 2006.
In particolare, il Consiglio europeo del 15-16 dicembre 2005 – in considerazione della crescente importanza delle questioni migratorie per l’Unione europea e per i suoi Stati membri ed allo scopo di rispondere alle opportunità ed alle sfide della migrazione, come delineato nel programma dell’Aja – ha adottato il documento “Approccio globale in materia di migrazione: azioni prioritarie incentrate sull'Africa e il Mediterraneo”, con l’indicazione di una serie di interventi da attuare nel 2006 e la definizione di un programma di azioni prioritarie in quattro settori:
§ potenziamento della cooperazione e dell'operato degli Stati membri;
§ cooperazione con i principali Paesi d’origine in Africa;
§ cooperazione con i Paesi vicini dell'area mediterranea;
§ aspetti legati al finanziamento e all’attuazione degli interventi.
Rispondendo all’invito del Consiglio europeo a riferire sui progressi compiuti entro la fine del 2006, il 30 novembre 2006 la Commissione ha presentato la comunicazione dal titolo“L'approccio globale in materia di migrazione un anno dopo: una politica generale dell'Europa sulla migrazione[99]”,
La comunicazione formula proposte per incentivare il dialogo e la cooperazione, in particolare con l'Africa, sull'intera gamma delle questioni relative alla migrazione (migrazione legale e illegale, aumento della protezione per i rifugiati, rafforzamento dei legami tra la politica in materia di migrazione e la politica di sviluppo). Si propone, inoltre, di aumentare il sostegno offerto ai Paesi africani per una migliore gestione della migrazione, istituendo fra l'altro squadre di assistenza in materia di migrazione, che dovrebbero fornire le consulenze tecniche necessarie per aumentare la capacità operativa e amministrativa dei Paesi interessati. La comunicazione suggerisce anche di creare portali europei della mobilità professionale, che offrano ai Paesi africani informazioni sulle opportunità di lavoro in Europa.
Altre azioni sarebbero destinate ad agevolare il collegamento tra domanda e offerta di lavoro. A questo scopo, la comunicazione ipotizza la creazione nei Paesi partner di centri di assistenza per la migrazione, sostenuti da finanziamenti comunitari, che potrebbero anche agevolare la gestione dei lavoratori stagionali, gli scambi di studenti e ricercatori e altre forme di circolazione legale delle persone. La Commissione propone, inoltre, di sviluppare “pacchetti sulla mobilità”, che fornirebbero il quadro generale per gestire le varie forme di movimenti legali tra l'UE e i Paesi terzi e riunirebbero le opportunità offerte dagli Stati membri e dalla Comunità europea, pur rispettando pienamente la ripartizione delle competenze prevista dalle disposizioni del Trattato.
Il Consiglio europeo del 14-15 dicembre 2006, ribadendo che la politica migratoria europea si fonda sulle conclusioni del Consiglio europeo di Tampere del 1999, sul programma dell’Aja del 2004 e sull’approccio globale in materia di migrazioni adottato nel 2005, ha affermato l’importanza di potenziare le iniziative finora condotte. In particolare, per il 2007, il Consiglio europeo ha previsto misure volte a:
§ rafforzare e approfondire la cooperazione e il dialogo internazionali con i paesi terzi di origine e di transito;
§ rafforzare la cooperazione tra gli Stati membri nella lotta all’immigrazione illegale, tenendo conto della comunicazione della Commissione sulle priorità politiche[100];
§ migliorare la gestione delle frontiere esterne dell’Unione europea sulla scorta della strategia di gestione integrata delle frontiere adottata dal consiglio nel 2006;
§ elaborare, per quanto riguarda la migrazione legale, politiche migratorie opportunamente gestite, nel rispetto delle competenze nazionali, per aiutare gli Stati membri a soddisfare le esigenze di manodopera attuali e future, contribuendo nel contempo allo sviluppo sostenibile di tutti i paesi;
§ promuovere l’integrazione e il dialogo interculturale e la lotta a tutte le forme di discriminazione negli Stati membri e nell’Unione europea;
§ realizzare entro la fine del 2010 il regime europeo comune in materia di asilo, iniziando con una valutazione preliminare della sua prima fase nel 2007[101];
§ rendere disponibili risorse adeguate per l’attuazione della politica migratoria globale.
Il Consiglio europeo ha, altresì, ricordato che la politica migratoria europea si basa sulla solidarietà, la fiducia reciproca e la ripartizione delle responsabilità tra l’Unione europea e gli Stati membri, sul rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali dei migranti, sulla Convenzione di Ginevra e sul debito accesso alle procedure di asilo.
Si ricorda, infine, che il 21 giugno 2007 il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione sulla strategia relativa alla dimensione esterna dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia[102].
Nell’ambito delle raccomandazioni in essa contenute, relative al rafforzamento della solidarietà internazionale con riguardo alle politiche di migrazione, riammissione e asilo, il Parlamento:
§ ricorda che l'immigrazione può portare notevoli benefici se gestita in modo adeguato, in termini di solidarietà e partenariato con i paesi terzi, e che l'integrazione degli immigrati dovrebbe essere un elemento fondamentale della futura politica dell'UE in materia di migrazione; sottolinea che le attività dell'UE, volte a migliorare la capacità dei paesi terzi di gestire i flussi migratori e le proprie frontiere, devono essere realizzate nell'ambito di una efficace politica di sviluppo, tenendo conto della specifica situazione economica e sociale e affrontando le cause reali della migrazione legale e clandestina, come povertà e mancanza di diritti umani, nei paesi interessati e dovrebbero comprendere sia l'aiuto per migliorare la loro capacità di gestire i flussi migratori che l'aiuto per uno sviluppo e un cosviluppo efficaci;
§ chiede al Consiglio e alla Commissione di compiere tutti gli sforzi possibili affinché le autorità dei paesi di origine e di transito cooperino efficacemente con l'UE e i suoi Stati membri per prevenire l'immigrazione illegale e lottare contro le organizzazioni che si dedicano alla tratta di esseri umani; chiede altresì al Consiglio e alla Commissione di valutare regolarmente il grado di cooperazione di questi paesi terzi in materia di immigrazione illegale;
§ ritiene che la conclusione di accordi di riammissione sia una priorità facente parte di una più ampia strategia di lotta contro l'immigrazione clandestina e ricorda la necessità di disporre di norme comuni, chiare, trasparenti ed eque sul rimpatrio.
Nel programma legislativo e di lavoro per il 2007 la Commissione ha affrontato la tematica della migrazione,segnalando che la situazione demografica dell’Unione europea ha reso più urgente la necessità di attirare immigrati economici verso il mercato del lavoro europeo.
In questo contesto, e a parziale attuazione del piano d’azione dell’Aja, il programma considera, tra le iniziative strategiche, la presentazione di:
§ una proposta di direttiva quadro sulla gestione dell’immigrazione per motivi di lavoro. L’obiettivo specifico è promuovere una migliore integrazione degli immigrati economici nel mercato del lavoro, fornendo loro uno status giuridico certo, individuando e riconoscendo i loro diritti in quanto lavoratori e membri della società che li ospita;
§ una proposta di direttiva sulle condizioni di ingresso e soggiorno di lavoratori altamente qualificati. L’obiettivo specifico è stabilire procedure di ammissione in grado di rispondere prontamente alle fluttuazioni della domanda di manodopera immigrata da parte del mercato del lavoro, cioè in grado di colmare efficacemente e rapidamente le carenze di manodopera, anche per affrontare le conseguenze delle tendenze demografiche in atto in Europa;
§ di una proposta di direttiva che introduca sanzioni minime per i datori di lavoro dei cittadini di Paesi terzi che soggiornano illegalmente nell'UE. La proposta, volta a contribuire a ridurre l’impiego di cittadini di Paesi terzi in soggiorno illegale, in modo anche da diminuire l’immigrazione illegale e lo sfruttamento dei lavoratori clandestini, è stata effettivamente presentata il 16 maggio 2007 (COM(2007)249)[103].
Nel programma è altresì preannunciata la presentazione, avvenuta il 6 giugno 2007 (COM(2007)301), di un Libro verde per l’istituzione della seconda fase del regime comune europeo di asilo, finalizzato a stimolare il dibattito e il dialogo con i soggetti coinvolti nelle politiche d’asilo, di cui si terrà conto nella preparazione degli strumenti legislativi di seconda fase, che la Commissione dovrà proporre per completare la politica comune europea in materia di asilo entro il 2010[104].
Il Programma delle Presidenze del Consiglio dell’UE per il periodo 1 gennaio 2007 – 30 giugno 2008, in materia di immigrazione, prevede azioni volte a:
§ garantire un dialogo periodico e ad attuare una cooperazione pratica tra i paesi di origine, di transito e di destinazione;
§ attuare l’”approccio globale in materia di migrazione” adottato dal Consiglio europeo del dicembre 2005 e il piano d’azione del 2006 “Azioni prioritarie incentrate sull’Africa e sul Mediterraneo”;
§ realizzare un sistema di sorveglianza della frontiera marittima meridionale.[105]
I lavori si incentrano, tra l’altro, sulla definizione di una strategia europea per la migrazione legale e di un approccio coerente in materia di politica di migrazione e integrazione.
Il problema dei flussi migratori è considerato una delle maggiori sfide dell’UE nella Strategia annuale per il 2008, presentata dalla Commissione il 21 febbraio 2007.
Nell’ambito delle azioni prioritarie previste per il 2008, la Commissione riconosce alla gestione dei flussi migratori il carattere di “priorità trasversale”, sottolineando che essa deve formare oggetto di azioni all’interno dell’Unione europea. Tale gestione deve, nel contempo, basarsi su di un’impostazione globale concordata con i vari partner su scala mondiale. Un simile approccio richiederà politiche coerenti, che travalichino i limiti tradizionali e si avvalgano appieno di un’ampia serie di strumenti finanziari e normativi. Considerando la migrazione dei lavoratori come un contributo positivo alla prosperità e alla diversità culturale dell’Europa, la Commissione intende presentare nel 2008 una proposta legislativa sulla manodopera, la quale verterà sulle condizioni di ingresso e di soggiorno dei lavoratori stagionali. Verranno proposte nuove azioni a favore di una politica comune in materia di migrazione, nonché misure destinate a porre in essere un regime di asilo europeo comune entro il 2010, espressione dei valori europei di solidarietà. Al fine di assolvere l’obbligo dell’Unione di prevenire la migrazione clandestina, lottare contro la tratta di essere umani e proteggere le proprie frontiere esterne, la Commissione prevede il potenziamento dell’Agenzia per la gestione delle frontiere esterne e il sostegno agli Stati membri nel contrasto all’immigrazione clandestina, attraverso un sistema europeo di sorveglianza.
Il Programma della Presidenza portoghese, in materia di immigrazione, contiene l’impegno a: proseguire negli impegni assunti nelle conferenze di Rabat e Tripoli, sostenere il dialogo tra l’UE e l’Africa e le iniziative intraprese nell’area euromediterranea; rafforzare le politiche di immigrazione legale, basandosi sulle proposte legislative che la Commissione intende presentare nel settembre 2007.
Esse consistono in una proposta di direttiva relativa alla definizione dei diritti dei cittadini terzi che lavorano legalmente in uno Stato membro dell’UE e in una proposta di direttiva sulle condizioni di ammissione e residenza di lavoratori altamente qualificati, che la presidenza portoghese prevede di esaminare in una riunione congiunta del Consiglio giustizia e affari interni e del Consiglio occupazione .
Sul versante dell’immigrazione clandestina, la Presidenza portoghese prevede di concludere entro la fine del 2007 l’esame della proposta di direttiva relativa a norme comuni e procedure per il rimpatrio di cittadini di paesi terzi in posizione irregolare e di approfondire il dibattito sulla proposta di direttiva relativa a sanzioni nei confronti dei datori di lavoro che impiegano immigrati clandestini.
In considerazione della gravità della situazione alla frontiera marittima meridionale la Presidenza ribadisce la necessità di rinforzare la solidarietà tra gli Stati membri al fine di garantire il salvataggio dei clandestini dispersi in mare e si impegna a lavorare all’elaborazione di direttive di orientamento per gli Stati membri che si confrontino con queste situazioni e partecipino alle operazioni di Frontez.
Al fine di dare piena attuazione al programma dell’Aja, la Presidenza ritiene necessario dare un forte impulso alla creazione di un sistema integrato delle frontiere esterne, avvalendosi, accanto alla Rete europea di pattugliamento, delle squadre di intervento rapido alle frontiere (RABIT).
Per quanto riguarda la politica dei visti la Presidenza portoghese continuerà il dibattito sulla proposta di regolamento per la revisione delle Istruzioni consolari comuni e la negoziazione di accordi di facilitazione del rilascio dei visti di breve durata per i cittadini di paesi terzi. Una delle priorità sarà la rapida attuazione, a partire dal 1° Gennaio 2008, degli accordi di riammissione e facilitazione del visto con i paesi dei Balcani occidentali.
In materia di asilo, la Presidenza si impegnerà principalmente nella valutazione del regolamento di Dublino II[106] e degli esiti del dibattito lanciato dal Libro verde sul futuro regime europeo comune di asilo, presentato dalla Commissione il 6 giugno 2007.
Nell’ambito delle nuove prospettive finanziarie per il 2007[107], il programma quadro “Solidarietà e gestione dei flussi migratori” per il periodo 2007-2013 (COM(2005)123-1)[108] intende rispondere al problema della ripartizione equa delle responsabilità tra gli Stati membri, per quanto riguarda l’onere finanziario conseguente all’introduzione di una gestione integrata delle frontiere esterne e all’attuazione di politiche comuni in materia di asilo e immigrazione. Esso opera in funzione di complementarietà rispetto alle altre iniziative ed organi operanti nel contesto della stessa politica comune, quali l’Agenzia per la gestione delle frontiere esterne (Frontex), il Sistema di informazione visti (VIS) e il Sistema di informazione Schengen (SIS). Il programma quadro si sostanzia nei seguenti strumenti finanziari specifici
§ “Fondo europeo per le frontiere esterne “, con una dotazione di 1820 milioni di euro per il periodo 2007-2013 (decisione 574/2007/CE del 7 maggio 2007);
§ “Fondo europeo per i rifugiati”, con una dotazione di 699,3 milioni di euro per il periodo 2008-2013 (decisione 573/2007/CE del 7 maggio 2007);[109]
§ “Fondo europeo per il rimpatrio”, con una dotazione di 676 milioni di euro per il periodo 2008-2013 (decisione 575/2007/CE del 7 maggio 2007);
§ “Fondo europeo per l’integrazione dei cittadini di paesi terzi”, con dotazione pari a 825 milioni di euro per il periodo 2007-2013 (decisione 2007/435/CE del 25 giugno 2007).
Il 26 giugno 2007, la Commissione, secondo quanto preannunciato nella comunicazione del 25 gennaio 2006 “Programma tematico di cooperazione con i paesi terzi nei settori dell’emigrazione e dell’asilo” (COM(2006)26),ha presentato il programma di cooperazione con i paesi terzi nel campo dell’immigrazione e dell’asilo, con una dotazione di 380 milioni di euro per il periodo 2007-2013, destinato a sostituire il vigente programma Aeneas.
Il 16 maggio 2007, la Commissione ha presentato un pacchetto di iniziative (cd. pacchetto Frattini) volte al sostegno dell’immigrazione legale e al contrasto all’immigrazione clandestina. Il pacchetto comprende:
§ la comunicazione “Applicazione dell’approccio globale in materia di migrazione alle aree orientali e sudorientali vicine all’Unione europea”(COM(2007)247);
§ la comunicazione“Migrazione circolare e partenariati di mobilità tra UE e paesi terzi”(COM(2007)248);
§ la proposta di direttiva (COM(2007)249) relativa a sanzioni contro i datori di lavoro che impiegano cittadini di paesi terzi soggiornanti illegalmente nell’Unione europea (vedi infra, paragrafo 2.10).
La comunicazione “Applicazione dell’approccio globale in materia di migrazione alle aree orientali e sudorientali vicine all’Unione europea” fa seguito all’invito, rivolto alla Commissione dal Consiglio europeo del dicembre 2006, a “presentare proposte sul dialogo rafforzato e misure concrete” per quanto riguarda l’applicazione dell’approccio globale, inizialmente centrato sull’Africa e l’area mediterranea[110], anche alle aree orientali e sudorientali vicine all’Unione europea.
La comunicazione interessa pertanto principalmente: Turchia, Balcani occidentali (Albania, Bosnia-Erzegovina, Croazia, ex Repubblica jugoslava di Macedonia, Montenegro e Serbia, incluso il Kosovo); i paesi partner della politica europea di vicinato (ENP) in Europa orientale (Ucraina, Moldavia e Bielorussia) e Caucaso meridionale (Armenia, Azerbadjan e Georgia) e la Federazione russa. Per ogni singola area geografica viene ricordato l’attuale quadro di dialogo politico ed economico con l’UE e le relazioni di cooperazione (che investono di solito anche l’immigrazione) e vengono formulate raccomandazioni al fine di rafforzare la cooperazione in materia di immigrazione sulla base delle iniziative già esistenti.
La comunicazione sottolinea inoltre che l’applicazione dell’approccio globale alle aree orientali e sudorientali vicine all’UE, secondo il concetto di “rotte migratorie”, esige che si considerino anche i paesi di origine e di transito più lontani: paesi partner della Politica Europea di vicinato (PEV)[111] in Medio Oriente (Siria, Libano e Giordania), Iran e Iraq; Asia centrale (Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan) e paesi d’origine asiatici come la Cina, l’India, il Pakistan, l’Afghanistan, il Bangladesh, lo Sri Lanka, il Vietman, le Filippine e l’Indonesia.
La comunicazione “Migrazione circolare e partenariati di mobilità tra UE e paesi terzi”intende conferire un contenuto operativo all’Approccio globale in materia di migrazione dell’UE, fornendo un sostegno all’immigrazione legale.
A tal fine essa esamina la natura giuridica, la forma e i contenuti dei “partenariati per la mobilità”[112] che l’Unione europea potrà concludere con i paesi terzi, che si sono impegnati a cooperare attivamente nella gestione dei flussi migratori, anche combattendo contro la migrazione illegale, e che desiderano assicurare ai loro cittadini un migliore accesso al territorio dell’Unione. I partenariati saranno concepiti in funzione della specificità di ogni paese terzo interessato nonché del livello di impegno che il paese terzo è disposto ad assumere per combattere la migrazione illegale e facilitare il reinserimento dei migranti di rientro. Gli impegni della CE e degli Stati membri partecipanti potrebbero comprendere: migliori opportunità di migrazione legale per cittadini del paese terzo; assistenza ai paesi terzi per lo sviluppo della loro capacità di gestire i flussi migratori legali; misure per affrontare il rischio della fuga di cervelli e promuovere la migrazione circolare o di rientro; miglioramento e/o facilitazione delle procedure per il rilascio di visti di breve durata a cittadini di un paese terzo. La comunicazione affronta, inoltre, il tema specifico della “migrazione circolare”, individuando le forme di migrazione circolare più adatte al contesto dell’UE (migrazione circolare di cittadini di paesi terzi stabiliti nell’UE e migrazione circolare di persone residenti in un paese terzo)e indicando interventi legislativi specifici al fine di promuoverle. In particolare la comunicazione suggerisce l’introduzione di incentivi alla migrazione circolare in alcuni strumenti legislativi annunciati nel Piano d’azione sulla migrazione legale[113]: proposta di direttiva sull’ammissione dei migranti altamente qualificati; proposta di direttiva sull’ammissione dei migranti stagionali; proposta di direttiva sull’ammissione di tirocinanti retribuiti[114]. Modifiche potrebbero inoltre essere apportate alla direttiva 2003/109/CE relativa allo status dei soggiornanti di lungo periodo, alla direttiva 2004/114/CE, relativa alle condizioni di ammissione dei cittadini di paesi terzi per motivi di studio, scambio di alunni tirocinio non retribuito o volontariato e alla direttiva 2005/71/CE, relativa a una procedura specificamente concepita per l’ammissione di cittadini di paesi terzi a fini di ricerca scientifica.
Il Consiglio giustizia e affari interni del 12-13 giugno 2007 e il Consiglio affari generali del 18 giugno 2007, nelle loro conclusioni, hanno accolto favorevolmente le misure proposte, esprimendo soddisfazione per i progressi realizzati nell’attuazione della Strategia di approccio globale alla migrazione, stabilita dal Consiglio europeo del dicembre 2005 e completata dalle conclusioni sullo sviluppo di una politica europea integrata delle migrazioni del dicembre 2006. Il Consiglio europeo del 21-22 giugno 2007 ha approvato le conclusioni del Consiglio del 12 e del 18 giugno, invitando gli Stati membri e la Commissione ad assicurare che siano assegnate risorse umane e finanziarie adeguate, all’interno del quadro finanziario esistente, per permettere la tempestiva attuazione della politica migratoria globale. Il Consiglio europeo ha inoltre stabilito che valuterà lo stato di attuazione della politica migratoria globale nella prossima riunione del dicembre 2007, in base ad una relazione interinale sull’andamento dei lavori, elaborata dalla Commissione.
I documenti di riferimento per la politica dell’Unione in materia di immigrazione legale e integrazione sono costituiti dalla comunicazione “Un’agenda comune per l’integrazione”, presentata dalla Commissione il 1° settembre 2005 (COM(2005)389), e dal Piano d’azione per l’immigrazione legale, presentato dalla Commissione il 21 dicembre 2005 (COM(2005)669), al fine di sviluppare una politica coerente dell’UE in materia di immigrazione legale, nel periodo rimanente del programma dell’Aia (2006-2009).
La comunicazione “Un’agenda comune per l’integrazione” propone un quadro per l’integrazione dei cittadini di paesi terzi nell’Unione europea.
Poiché l’integrazione tocca diversi settori, tra cui il lavoro, le politiche urbane e l’istruzione, la Commissione intende far sì che le priorità della politica per l’integrazione siano tradotte in modo coerente nell’insieme delle diverse politiche. Tra le misure raccomandate nei diversi settori interessati figura il miglioramento dei programmi e delle attività di accoglienza per gli immigrati legali e per le persone a loro carico. Tali misure dovrebbero includere dei fascicoli informativi per gli immigrati economici appena arrivati, nonché corsi di orientamento linguistico e di educazione civica, finalizzati a far sì che gli immigrati comprendano e rispettino i valori comuni nazionali ed europei.
Il Consiglio, nel corso della riunione del 1° dicembre 2005, ha esaminato la comunicazione della Commissione ed ha adottato conclusioni in proposito, nelle quali esprime parere favorevole sul documento. Il Parlamento europeo ha esaminato il documento nel corso della seduta del 6 luglio 2006, approvando una risoluzione, nella quale, tra l’altro, per promuovere l’integrazione degli immigrati, sollecita lo scambio delle migliori pratiche, il dialogo interculturale e corsi di lingua. Sollecita anche procedure rapide e trasparenti per la loro naturalizzazione e l’effettiva attuazione delle direttive europee in questo campo.
Il Piano d’azione per l’immigrazione legale comprende, invece, quattro sezioni consacrate alle principali dimensioni del fenomeno dell’immigrazione legale, nel quadro di un approccio globale, così come richiesto dal Consiglio europeo del 15 – 16 dicembre 2005. In particolare, la Commissione prevede di presentare, per tappe, proposte legislative sulle condizioni per l’entrata ed il soggiorno degli immigrati da Paesi terzi con finalità di lavoro.
Si tratta in particolare di:
§ una direttiva quadro generale che mira a definire un quadro comune di diritti per tutti i cittadini di Paesi terzi legalmente occupati, già ammessi in uno Stato membro, ma non ancora in possesso dello status di residenti di lunga durata. La proposta non definirà le condizioni e le procedure di ammissione per gli immigrati economici, che saranno invece stabilite nelle direttive specifiche;
§ quattro direttive specifiche, che tratteranno delle condizioni di entrata e soggiorno di determinate categorie di immigrati (lavoratori altamente qualificati, lavoratori stagionali, lavoratori in trasferimento all'interno di società multinazionali e tirocinanti retribuiti). Gli Stati membri resteranno competenti per determinare le quote di lavoratori migranti da ammettere.
Il piano d’azione è stato esaminato dal Consiglio il 24 luglio 2006 e dal Parlamento europeo (che ha adottato una risoluzione) il 24 ottobre 2006. Nella risoluzione adottata il Parlamento europeo sottolinea, tra l’altro, che la politica dell'UE deve prevedere efficaci misure di accoglienza e di integrazione degli immigrati, soprattutto delle donne, che rappresentano ormai la maggioranza, e invitano gli Stati membri a rafforzare le strutture e i servizi sociali che consentiranno il normale stabilimento dei migranti, nonché l'informazione relativa ai diritti e ai doveri che discendono dai principi e dalle leggi vigenti in ciascuno Stato membro.
ll 10 marzo 2006, la Commissione ha presentato la proposta modificata di regolamento[115], che modifica il regolamento (CE) n.1030/2002 istitutivo del modello uniforme per i permessi di soggiorno rilasciati a cittadini di paesi terzi (COM2006)110).
La proposta modificata di regolamento risponde all’esigenza, rilevata dalla Commissione, che il modello uniforme per i permessi di soggiorno contenga tutte le informazioni necessarie e risponda a elevati requisiti tecnici, in particolare per quanto attiene alle garanzie contro la contraffazione e la falsificazione, allo scopo di contribuire alla lotta contro l’immigrazione clandestina e il soggiorno irregolare.
Essa prevede a tal fine l’inserimento di dati biometrici che consentano di creare un legame più sicuro tra il permesso di soggiorno e il suo titolare, fornendo un notevole contributo alla protezione del permesso di soggiorno contro una sua utilizzazione fraudolenta.
La proposta di regolamento dispone che il modello uniforme di permesso di soggiorno, rilasciato unicamente come documento in formato ID1 o ID2, comprenda un supporto memorizzatore contenente l’immagine del volto del titolare e che gli Stati membri aggiungano anche le impronte digitali in formato interoperativo. I dati devono essere protetti e il supporto di memorizzazione deve essere dotato di capacità sufficiente per garantire l’integrità, l’autenticità e la riservatezza dei dati. E’ data inoltre facoltà agli Stati membri di inserire nel permesso di soggiorno un ulteriore microprocessore contact, per servizi telematici come l’e-governement e l’e-business.
In base alla proposta di regolamento, gli elementi biometrici contenuti nei permessi di soggiorno possono essere usati solo al fine di verificare l’autenticità del documento e l’identità del titolare attraverso elementi comparativi disponibili, quando la legge prevede che sia necessario il permesso di soggiorno.
Sulla proposta di regolamento, che segue la procedura di consultazione, il Consiglio ha raggiunto l’accordo nella riunione del 18 settembre 2007.
Per quanto riguarda, in particolare, l’integrazione,nel corso del vertice informale dei ministri UE responsabili dell’immigrazione, tenutosi a Potsdam il 10-11 maggio 2007, la Commissione ha presentato la seconda edizione del manuale sull’integrazione dei cittadini di paesi terzi.
L’idea di elaborare un manuale sull’integrazione è nata dal Consiglio europeo di Salonicco del giugno 2003, al fine di sviluppare la cooperazione e gli scambi di informazioni tra i differenti Punti di contatto nazionali sull’integrazione, allora istituiti. La prima edizione del manuale è stata pubblicata nel novembre 2004, durante la presidenza olandese[116].
Il manuale, rivolto a chiunque si occupi di integrazione sia a livello legislativo nazionale che a livello di attuazione locale, esamina le strutture e i meccanismi utilizzati per le strategie politiche di integrazione, relativamente ai temi della abitazione e dell’integrazione economica. Vengono presentate, in particolare, le politiche integrative, governative e non, consigliando modi e strumenti per renderle efficaci. Con l’ausilio di esempi concreti, vengono descritte le pratiche attuate per migliorare la qualità abitativa nello spazio urbano ed eliminare le barriere sociali per gli immigrati.
Il manuale suggerisce modalità di integrazione economica che permettano di facilitare l’accesso degli immigrati al mercato del lavoro e strategie antidiscriminatorie sul posto di lavoro, che si basino sulla valorizzazione della diversità.
Il Consiglio giustizia e affari interni del 12-13 giugno 2007 ha adottato conclusioni in materia di rafforzamento delle politiche di integrazione nell’Unione europea. In esse, richiamandosi al programma dell’Aja e alla comunicazione della Commissione del 1° settembre 2005 “Agenda comune per l’integrazione”, il Consiglio ha ribadito l’importanza di sostenere le politiche di integrazione nell’Unione europea promuovendo l’unità nella diversità e sottolineato la necessitò di riflettere su strategie che coinvolgano l’intera società e si basi no sul dialogo interculturale. In questo quadro il Consiglio ha espresso apprezzamento per la pubblicazione del manuale sull’integrazione, ha invitato la Commissione a fornire costantemente il suo sostegno ai Punti di contatto nazionali per l’integrazione e ha esortato gli Stati membri ad avvalersi degli strumenti finanziari offerti dal programma quadro Solidarietà e gestione dei flussi migratori.
Infine, il Consiglio europeo del 21-22 giugno 2007 ha espresso compiacimento per le conclusioni del Consiglio del 12 giugno, sottolineando l’importanza di ulteriori iniziative volte ad agevolare lo scambio di esperienze sulle politiche di integrazione degli Stati membri[117].
L’11 settembre 2007 la Commissione ha presentato la terza relazione annuale su migrazione e integrazione (COM(2007)512)[118], nella quale, richiamandosi ai “Principi di base comuni della politica di integrazione dell’immigrante nell’Unione europea (PCB)”, adottati dal Consiglio europeo del 4-5 novembre 2004, nel quadro del programma dell’Aja e alla comunicazione della Commissione ”Un programma comune per l’integrazione” (vedi supra), ribadisce la necessità di rafforzare il nesso fra le politiche relative all’immigrazione legale e le strategie di integrazione.
Dopo aver riaffermato l’importanza dei Punti di contatto nazionali, del manuale sull’integrazione destinato ai responsabili politici e agli operatori e del Forum europeo per l’integrazione[119], la comunicazione si sofferma sul tema dell’occupazione sottolineando che il buon esito dell’integrazione degli immigrati sul mercato del lavoro contribuisce in misura rilevante a realizzare gli obiettivi di Lisbona in materia di crescita e occupazione. In particolare, la Commissione ricorda che l’attività imprenditoriale degli immigrati ha un’incidenza rilevante sulla crescita economica dell’Unione e che è stata istituita una rete di creatori di imprese appartenenti a minoranze etniche, al fine di scambiare informazioni e superare le difficoltà con le quali la creazione di imprese si scontra. Relativamente al rafforzamento dell’aspetto dell’integrazione nelle politiche di inserimento e previdenza sociale, la comunicazione ricorda l’attività, all’interno della Commissione, del gruppo interservizi “sviluppo urbano” che ha il compito di coordinare la dimensione urbana delle politiche comunitarie, nonché l’attenzione dedicata alle esigenze dei gruppi vulnerabili nel quadro d’azione comunitario in materia di pubblica sanità 2003-2008[120]. L’integrazione viene inoltre promossa tramite iniziative in materia di istruzione come il programma Istruzione e formazione 2010[121], la Strategia europea in materia di diritti dei bambini (COM2006)367) e il Patto europeo a favore della gioventù (COM(2005)206). Per quanto riguarda le tendenze delle politiche nazionali in materia di integrazione, la comunicazione sottolinea che in determinati casi, eventi drammatici hanno influito profondamente sul modo in cui l’opinione pubblica percepisce l’immigrazione e che numerosi Stati membri hanno individuato nuove priorità e adeguato le loro politiche di conseguenza. In massima parte i concetti che si ritrovano nelle politiche di integrazione degli Stati membri sono codificati nei principi di base comuni e si rispecchiano, in misura variabile, nelle strategie nazionali. Richiamandosi infine alle conclusioni del Consiglio del 12-13 giugno 2007, la Commissione si impegna a: presentare nuove iniziative volte a sviluppare ulteriormente il quadro comunitario fondato sui principi di base comuni e sul programma comune; analizzare nuove formule in materia di “partecipazione e cittadinanza”; esaminare il valore aggiunto offerto dai modelli europei comuni per l’integrazione dei migranti, basati sullo scambio di buone pratiche; studiare l’incidenza dei processi di integrazione sulla prevenzione dell’alienazione sociale e della discriminazione nei confronti degli immigranti; favorire maggiormente la definizione di indicatori e indici comuni.
In allegato alla comunicazione è infine presentata una sintesi della politiche di integrazione nell'UE-27, elaborata in cooperazione con le cellule nazionali di contatto in materia di integrazione, che fornisce informazioni specifiche sulle varie dimensioni del processo di integrazione negli Stati membri per il 2005 e la prima metà del 2006.
In materia di asilo, l’obiettivo del programma dell’Aja, è l'instaurazione, entro il 2010, di una procedura comune e di uno status uniforme per i cittadini di paesi terzi che hanno ottenuto l'asilo o che, necessitando di protezione internazionale pur non potendo ottenere il beneficio dell'asilo, hanno ricevuto una protezione sussidiaria. Il regime sarà basato sulla piena applicazione della Convenzione di Ginevra del 1951 relativa allo status dei rifugiati e degli altri trattati pertinenti.
Nel programma dell’Aja è riconosciuta la necessità che l’Unione europea contribuisca, in uno spirito di responsabilità condivisa, ad un sistema di protezione internazionale più accessibile, equo ed efficace nell’ambito di un partenariato con i paesi terzi. Il programma traccia una distinzione tra le esigenze dei paesi che si trovano in regioni di transito e quelle dei paesi compresi nelle regioni di origine, invitando la Commissione a sviluppare programmi di protezione regionale dell’UE nel quadro di un partenariato con i paesi terzi interessati ed in stretta consultazione e cooperazione con l’ACNUR (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati).
In particolare, dando seguito alle indicazioni espresse dal Consiglio europeo del 14-15 dicembre 2006[122], il 6 giugno 2007 la Commissione ha presentato di un insieme di misure volte ad avviare la realizzazione del futuro regime comune europeo in materia di asilo, entro il 2010, in attuazione di quanto previsto dal Programma dell’Aja.
Le misure proposte della Commissione comprendono:
§ una relazione sulla valutazione del sistema di Dublino (COM(2007)299).
§ il Libro verde sul futuro del regime comune europeo di asilo (COM(2007)301), inteso a stimolare il dibattito sul futuro del regime comune europeo in materia di asilo;
§ una proposta di direttiva (COM(2007)298), recante modifica della direttiva 2003/109/CE del 25 novembre 2003, relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo, al fine di estendere il suo campo di applicazione anche ai beneficiari di una protezione internazionale;
La relazione sulla valutazione del sistema di Dublino rappresenta, nelle intenzioni della Commissione, un primo passo per lanciare un dibattito sul futuro della politica europea comune in materia di asilo e, in quanto tale, costituisce la base argomentativa del Libro verde contestualmente presentato.
Il sistema di Dublino comprende quattro strumenti legislativi[123] volti a determinare quale Stato sia competente ad esaminare una domanda di asilo presentata in uno degli Stati membri delle comunità europee, Norvegia e Islanda[124], da parte di un cittadino proveniente da paesi terzi. Tale sistema è stato elaborato per dare attuazione alla Convenzione di Dublino[125] e costituisce la prima fase dell’applicazione del programma dell’Aja.
La relazione presentata dalla Commissione intende iniziare il periodo di valutazione[126] di tale prima fase, che ha avuto come finalità principale l’armonizzazione degli ordinamenti degli Stati membri sulla base di norme minime comuni.
Nel valutare i primi tre anni di applicazione (periodo 2003-2005), la Commissione conclude che gli obiettivi del sistema di Dublino, sul piano politico, sono largamente raggiunti. La Commissione ritiene, tuttavia, che permangono alcune preoccupazioni in merito a taluni aspetti pratici relativi all’applicazione e all’efficacia complessiva del sistema, impegnandosi, perciò, a presentare quanto prima proposte per migliorare tali profili. Tra gli aspetti che la Commissione ritiene di dover migliorare si segnalano, ad esempio, quelli volti a limitare il fenomeno delle domande multiple (c.d. “asylum shopping”[127]) ed a offrire maggiore protezione a chi ne ha effettivamente bisogno.
Il Libro verde sul futuro del regime comune europeo di asilo è inteso a promuovere la discussione su come realizzare la seconda fase del programma dell’Aja[128].
Tale seconda fase, si ricorda, è finalizzata a completare l’istituzione di un sistema comune europeo di asilo quale parte essenziale di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, che faccia dell’UE uno spazio di protezione unico per chi si trovi in stato di necessità, sulla base di una piena applicazione della Convenzione di Ginevra e di comuni valori umanitari condivisi dagli Stati membri dell’UE.
In particolare, il Libro verde intende fornire un contributo affinché sia garantito un più elevato standard di protezione ed una maggiore parità di trattamento attraverso l’UE nonché ad assicurare un più elevato livello di solidarietà tra gli Stati membri. Si prospetta, ad esempio, l’istituzione di una procedura unica europea per la domanda di asilo nonché la definizione uniforme di status di persona in stato di necessità di protezione internazionale, a livello europeo. Accanto a tali proposte compare un’ampia serie di questioni, che la Commissione sottopone alla consultazione delle parti interessate fino al 31 agosto 2007.
Tra queste si segnalano: la possibilità di uniformare le condizioni di trattamento nelle fasi di accoglimento messe in atto dai singoli Stati membri; armonizzare ulteriormente le garanzie di protezione; identificare i soggetti aventi maggiore bisogno, attraverso una più puntuale definizione delle loro specifiche necessità, ad esempio tramite la definizione di norme comuni applicabili ai richiedenti asilo più vulnerabili quali donne, bambini o vittime di tortura; individuare misure legislative che assicurino una maggiore integrazione di chi cerca asilo o è già beneficiario di protezione internazionale, ad esempio riguardo l’integrazione nel mercato del lavoro; il reinsediamento dei profughi; la ricerca di misure che possano assicurare il contrasto dell’immigrazione illegale senza mettere in discussione l’applicazione del diritto d’asilo; il ruolo deve che svolgere l’Europa a livello internazionale.
Nel primo trimestre 2008 la Commissione pubblicherà un piano strategico basato sull’esito della consultazione, per delineare le modalità di attuazione del regime comune europeo in materia di asilo e precisare il relativo calendario.
Attraverso la proposta di direttiva COM(2007)298 che modifica la direttiva relativa allo status dei c.d. soggiornanti di lungo periodo, la Commissione propone di estendere anche ai beneficiari di protezione internazionale (ossia ai rifugiati e ai beneficiari di protezione sussidiaria) le prerogative che la vigente direttiva 2003/109/CE riconosce ai cittadini di paesi terzi, stabilitisi a titolo duraturo in uno Stato membro.
Per agevolare l'integrazione dei cittadini di paesi terzi che beneficiano di protezione nell’UE, la Commissione propone di modificare la direttiva in questione per consentire loro di ottenere lo status di soggiornante di lungo periodo. Tale status, infatti, consente di godere di maggiore protezione contro un’eventuale espulsione, il diritto al medesimo trattamento riservato ai cittadini dell’UE in ordine a numerose questioni economiche e sociali nonché il diritto di risiedere in un altro Stato membro per motivi di lavoro, di studio o di altro tipo, alle condizioni stabilite nella direttiva. Tutti i cittadini provenienti da paesi terzi che risiedono nell’Unione europea per un lungo periodo di tempo e soddisfano determinate condizioni potranno quindi, in base alla proposta della Commissione, ricevere il medesimo trattamento.
La proposta, che segue la procedura di consultazione, dovrebbe essere esaminata dal Parlamento europeo nella seduta del 12 novembre 2007.
Il 10 agosto 2007 la Commissione ha presentato una proposta di decisione (COM(2007)466) che istituisce una rete europea sulle migrazioni (REM).
Obiettivo della REM è "soddisfare le esigenze di informazione sulla migrazione e sull’asilo delle istituzioni comunitarie, delle autorità e delle istituzioni degli Stati membri e dei cittadini, fornendo informazioni aggiornate, oggettive, affidabili e comparabili nell’intento di sostenere il processo politico e decisionale nell’Unione europea in questi settori".
La rete è tenuta, in particolare, a raccogliere e scambiare dati e informazioni provenienti da varie fonti, analizzarli, pubblicare relazioni, creare e mantenere un sistema di scambio di informazioni accessibile al pubblico basato su Internet (sito REM) e cooperare con altri organi competenti europei e internazionali. La rete sarà composta dai punti di contatto nazionali, uno per Stato membro, e dalla Commissione europea. Per garantire la partecipazione attiva degli Stati membri e un adeguato collegamento tra l'attività della REM e l'agenda politica dell'UE, sarà istituito un comitato direttivo composto da rappresentanti dei singoli Stati membri, della Commissione e del Parlamento europeo.
La proposta di decisione, che segue la procedura di consultazione, è in attesa di esame da parte del Parlamento europeo e del Consiglio
Il 21 giugno 2007 il Parlamento europeo ha approvato la risoluzione “Cooperazione pratica, qualità del processo decisionale del regime europeo comune in materia di asilo”.
In essa il Parlamento europeo:
§ si compiace degli sforzi compiuti per migliorare la cooperazione pratica nel quadro del regime comune europeo in materia di asilo; ritiene che un miglioramento della qualità delle procedure e delle decisioni sia nell'interesse tanto degli Stati membri quanto dei richiedenti asilo;
§ ribadisce la necessità di una politica UE comune in materia di asilo, che sia proattiva e basata sull'obbligo di ammettere i richiedenti asilo e sul rispetto del principio del non respingimento; ricorda, in tale contesto, il ruolo fondamentale di una forte politica estera e di sicurezza comune, che promuova e salvaguardi la democrazia e i diritti fondamentali;
§ chiede di effettuare nei paesi di origine e di transito campagne di informazione che illustrino ai potenziali migranti i rischi dell'immigrazione illegale e le conseguenze del rifiuto dello status di rifugiato nonché le caratteristiche dell'immigrazione legale e la possibilità di chiedere asilo in casi giustificati, come pure i pericoli del traffico di esseri umani, in particolare di donne e minori non accompagnati;
§ chiede che, una volta esperite tutte le possibilità giudiziarie, le misure applicabili alle persone cui non è stato concesso lo status di rifugiato o il cui status di rifugiato è stato revocato vengano attuate rapidamente ed equamente, nel pieno rispetto della dignità umana e dei diritti fondamentali delle persone che vanno rimpatriate; chiede inoltre, al riguardo, la messa a punto quanto più rapida possibile di una procedura UE di rimpatrio;
§ chiede un'attuazione rapida ed equa delle misure da applicare alle persone che hanno ottenuto lo status di rifugiato o la protezione umanitaria al fine di favorire condizioni di vita decorose, un’integrazione effettiva nella vita sociale e politica e la partecipazione attiva e condivisa alle scelte della comunità di accoglienza;
§ sottolinea la necessità di realizzare centri di accoglienza con strutture separate per le famiglie, le donne e i bambini nonché strutture adeguate per gli anziani e i disabili richiedenti asilo; chiede che, nel contesto dell'applicazione della direttiva 2003/9/CE,recante norme minime relative all'accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati, si proceda a una valutazione delle condizioni di accoglienza; sottolinea che in materia occorre utilizzare pienamente le possibilità offerte dal nuovo Fondo europeo per i rifugiati.
Il Programma dell’ Aja sottolinea la necessità di sviluppare la politica comune in materia di visti quale parte integrante di un sistema a più livelli, inteso a facilitare i viaggi legittimi e a combattere l’immigrazione clandestina, tramite una ulteriore armonizzazione delle legislazioni nazionali e delle prassi per il trattamento delle domande di visto, presso le rappresentanze consolari locali.
Nella riunione del 12 giugno 2007 il Consiglio ha raggiunto un accordo politico sul pacchetto legislativo volto a dare attuazione al sistema di informazione visti (VIS).
Il Sistema di informazione visti, che dovrebbe essere operativo nella primavera del 2009, è stato previsto dalla decisione 2004/512/CE del 18 giugno 2004. Esso è inteso a rendere più agevole l’attuazione della politica comune in materia di visti, la cooperazione consolare e la consultazione tra autorità consolari centrali, al fine di:
§ prevenire le minacce alla sicurezza interna degli Stati membri;
§ evitare che i criteri sanciti dal regolamento di Dublino II vengano elusi[129];
§ contribuire alla lotta contro la frode documentale;
§ facilitare i controlli ai valichi delle frontiere esterne
§ contribuire al rimpatrio di immigrati in situazione irregolare.
Il sistema si basa su una architettura centralizzata e comprende un sistema di informazione centrale (CS VIS) e un’interfaccia in ogni Stato membro (NI-VIS).
Le informazioni contenute nel VIS consisteranno esclusivamente in: dati alfanumerici sul richiedente e sui visti richiesti, rilasciati, rifiutati, annullati, revocati o prorogati; fotografie digitali; dati biometrici.
II pacchetto legislativo comprende:
§ la proposta di regolamento COM(2004)835, concernente il sistema di informazione visti (VIS) e lo scambio di dati tra Stati membri.
La proposta definisce lo scopo, le funzionalità e le competenze del VIS, conferisce alla Commissione il mandato di istituirlo e gestirlo e stabilisce le procedure e le condizioni per lo scambio di dati tra Stati membri in merito alle domande di visto per soggiorni di breve durata, onde agevolare l’esame di tali richieste e le relative decisioni;
§ la proposta di decisione COM(2005)600, relativa all’accesso per la consultazione al sistema di informazione visti[130].
La proposta mira a creare la base giuridica necessaria per permettere alle autorità degli Stati membri competenti in materia di sicurezza interna e ad Europol di accedere al detto sistema e a stabilire le condizioni di tale accesso. Ciò permetterà a questi organismi di consultare il sistema VIS per prevenire e individuare atti terroristici nonché le forme di criminalità e i reati di competenza di Europol, come pure a fini d’indagine in materia.
Riferendosi all’accordo raggiunto sul pacchetto legislativo, il Consiglio del 12 luglio 2007 ha inoltre espresso le seguenti osservazioni:
“Il VIS è uno strumento particolarmente importante per il rafforzamento dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia. Il regolamento CE che disciplina il VIS consente alle autorità competenti (in particolare, i servizi preposti ai visti, alle frontiere e all’immigrazione) di archiviare in una banca dati centrale europea dati biometrici e alfanumerici sui richiedenti il visto e sui visti rilasciati, negati o revocati, e di estrarre i dati in questione, permettendo loro di prevenire il fenomeno denominato “visa shopping” e di individuare le richieste presentate dalla stessa persona sotto nomi diversi. La decisione del Consiglio sull’accesso al VIS consente alle autorità preposte alla sicurezza di interrogare il VIS ai fini della prevenzione, dell’individuazione e dell’investigazione di reati terroristici. Offrendo alle autorità preposte alla sicurezza questa nuova possibilità di interrogare il VIS, si potrà compiere un importante progresso nella protezione contro il terrorismo internazionale e la criminalità organizzata in particolare.”.
L’importanza dell’accordo politico raggiunto è stata ribadita nelle conclusioni del Consiglio europeo del 21-22 giugno 2007.
Il 31 maggio 2006, la Commissione ha presentato una proposta di regolamentorecante, modifica dell’Istruzione consolare comune diretta alle rappresentanze diplomatiche e consolari di prima categoria, in relazione all’introduzione di elementi biometrici e comprendente norme sull’organizzazione del ricevimento e del trattamento delle domande di visto (COM(2006)269)[131].
La proposta, intesa a completare l’attuazione del sistema di informazione visti (VIS), definisce le norme per il rilevamento degli identificatori biometrici dei richiedenti il visto, fornisce una serie di opzioni per l’organizzazione pratica delle missioni diplomatiche e consolari degli Stati membri, ai fini dell’iscrizione dei richiedenti il visto, e dispone un quadro giuridico per la cooperazione degli Stati membri con i fornitori di servizi esterni.
La proposta di regolamento impone agli Stati membri di rilevare gli identificatori biometrici (immagine del volto e impronte delle dieci dita) nel quadro della procedura di rilascio del visto, nel rispetto delle norme di garanzia previste dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo.
In particolare, le impronte digitali sono rilevate in occasione della prima presentazione della domanda; in caso di nuove domande nei quattro anni successivi, l’obbligo cade e non è necessario un nuovo rilevamento: le impronte digitali e la fotografia del richiedente possono essere copiate e riutilizzate. A tal fine occorre garantire che i dati biometrici della prima domanda siano ancora nel sistema di informazione visti.
Sono esentati dall’obbligo di rilevamento delle impronte digitali i bambini di età inferiore a 6 anni e le persone per cui è fisicamente impossibile.
Per una migliore attuazione del VIS, la proposta introduce la possibilità per gli Stati membri di collaborare fra loro e di istituire centri comuni per l’introduzione delle domande di visto.[132]
La proposta, che segue la procedura di codecisione, dovrebbe essere esaminata dal Consiglio l’8 novembre 2007 e dal Parlamento europeo il 16 gennaio 2008.
Il 19 luglio 2006, la Commissione ha presentato una proposta di regolamento (COM(2006)403)[133], che istituisce un Codice comunitario dei visti[134], volto, secondo le indicazioni contenute nel programma dell’Aja a facilitare i viaggi effettuati legalmente ed a lottare contro l’immigrazione clandestina.
Ai fini della semplificazione e in accordo con la politica della Commissione di “legiferare meglio”, la proposta incorpora in un unico codice dei visti tutti gli strumenti giuridici che disciplinano le decisioni relative alle condizioni e alla procedura di rilascio dei visti.
Il Parlamento europeo dovrebbe esaminare la proposta, in prima lettura secondo la procedura di codecisione, nella riunione del 12 dicembre 2007.
Il 1° settembre 2005 la Commissione ha presentato una proposta di direttiva[135], che stabilisce norme comuni in materia di rimpatrio di cittadini di Paesi terzi in condizioni di soggiorno irregolare.
La proposta di direttiva introduce norme comuni agli Stati membri riguardanti il rimpatrio, l'allontanamento, l'uso di misure coercitive, la custodia temporanea e il reingresso di cittadini di paesi terzi soggiornanti illegalmente. La proposta è volta a stabilire un corpus di norme applicabile a qualsiasi cittadino di un paese terzo soggiornante illegalmente e prevede una procedura diretta a porre fine ad un soggiorno irregolare. Nei confronti del cittadino di un paese terzo soggiornante illegalmente deve essere presa una decisione di rimpatrio. Va data priorità al rimpatrio volontario e, solo se il cittadino in questione non intende rimpatriare volontariamente, gli Stati membri fanno rispettare l’obbligo di rimpatrio con un provvedimento di allontanamento. La proposta attribuisce una dimensione europea agli effetti delle misure di rimpatrio adottate a livello nazionale, ponendo in essere un divieto al rientro sul territorio, valido per l’insieme dell’Unione Europea.
Il Parlamento europeo dovrebbe esaminare la proposta, in prima lettura, secondo la procedura di codecisione, nella riunione del 14 novembre 2007.
Nel quadro dell’impegno dell’Unione europea contro l’immigrazione illegale e lo sfruttamento dei lavoratori clandestini, il 16 maggio 2007, la Commissione ha presentato una proposta di direttiva (COM(2007)249), relativa a sanzioni contro i datori di lavoro che impiegano cittadini di paesi terzi in posizione irregolare[136]. La proposta, che mira ad introdurre un deterrente all’utilizzo di manodopera irregolare, intende ridurre le discrepanze fra le misure preventive, le sanzioni e le modalità di applicazione già esistenti nei vari Stati membri, creando, inoltre, condizioni di parità tra le imprese.
La proposta di direttiva prevede sanzioni per i datori di lavoro (persone fisiche o giuridiche, ma anche privati cittadini quando agiscono in qualità di datori di lavoro) che impieghino cittadini di paesi terzi in posizione irregolare, senza aver svolto le necessarie verifiche. In base alla proposta infatti, e come misura preventiva, i datori di lavoro, prima dell’assunzione sono tenuti a verificare che i cittadini di paesi terzi siano in possesso di permesso di soggiorno o di altra autorizzazione analoga[137]. Oltre a multe ed altre sanzioni amministrative, la Commissione propone, per i casi più gravi anche sanzioni penali.In particolare, la proposta di direttiva dispone che la violazione del divieto di impiego illegale, se intenzionale, costituisca reato se:
§ la violazione prosegue, oppure è reiterata, dopo che le autorità o i giudici nazionali competenti, in un periodo di due anni, hanno accertato che il datore di lavoro l’ha già commessa due volte;
§ la violazione riguarda un numero significativo di cittadini di paesi terzi in posizione irregolare (almeno quattro);
§ la violazione è accompagnata da situazioni di particolare sfruttamento, ad esempio, da condizioni lavorative sensibilmente diverse da quelle di cui godono i lavoratori assunti legalmente, oppure
§ il datore di lavoro ricorre al lavoro o ai servizi di una persona nella consapevolezza che tale persona è vittima della tratta di esseri umani.
La proposta prevede che gli Stati membri predispongano un meccanismo che consenta ai paesi terzi interessati di presentare denunce, sia direttamente che tramite terzi, come sindacati o associazioni. Gli Stati membri dovrebbero inoltre rilasciare permessi di soggiorno per un periodo limitato – a seconda della durata dei procedimenti nazionali – ai cittadini dei paesi terzi vittime di sfruttamento e che cooperino ad azioni penali contro i datori di lavoro. La proposta prevede infine che gli Stati membri effettuino un numero minimo di ispezioni nelle imprese stabilite nei loro territori.
La proposta di direttiva, che segue la procedura di codecisione, dovrebbe essere all’ordine del giorno del Consiglio nelle riunioni del 5 e del 6 dicembre 2007.L’esame da parte del Parlamento europeo è previsto nella seduta del 18 febbraio 2008. Il Consiglio europeo del 21-22 giugno 2007 ha sottolineato l’importanza della proposta, in considerazione del fatto che il lavoro illegale costituisce uno dei principali fattori di attrazione per gli immigrati clandestini.
Per quanto riguarda il contrasto all’immigrazione clandestina e il controllo delle frontiere, conformemente al programma dell’Aja, il 19 luglio 2006 la Commissione ha presentato la comunicazione (COM(2006)402) sulle priorità politiche nella lotta contro l’immigrazione clandestina di cittadini di paesi terzi. Nella comunicazione si esamina, in particolare, come rendere più sicure le frontiere esterne, ipotizzando l’introduzione di una gestione elettronica delle frontiere e di un sistema d’ingresso e di uscita automatizzato. Vi si trattano, inoltre, i problemi della regolarizzazione (dai primi anni Ottanta sono state regolarizzate, in cinque Stati dell’UE, 3.752.565 persone) e la necessità di affrontare il problema dell’occupazione dei cittadini di paesi terzi in situazione irregolare.
Il documento è stato esaminato dal Consiglio il 24 luglio 2006.
Infine, per quanto riguarda più specificamente il controllo delle frontiere, il 30 novembre 2006, sulla base delle indicazioni del Consiglio del 5-6 ottobre 2006, la Commissione ha presentato la comunicazione “Rinforzare la gestione delle frontiere marittime meridionali dell’Unione europea[138]”. La comunicazione, finalizzata a rafforzare l’attività dell’Agenzia europea per la gestione delle frontiere esterne[139], evidenzia una serie di nuovi strumenti destinati a migliorare la gestione integrata delle frontiere europee. Si propone, fra l'altro, una rete di pattugliamento costiero, un sistema europeo di sorveglianza e un'assistenza operativa, volta a migliorare la capacità degli Stati membri di gestire flussi misti di immigranti illegali.
La comunicazione è stata esaminata dal Consiglio nella riunione del 4 dicembre 2006.
In questo quadro, il 24 maggio 2007 l’Agenzia per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne (Frontex) ha lanciato il programma “Rete di pattuglie europea” (EPN), primo sistema di coordinamento delle pattuglie di sorveglianza delle frontiere marittime dell’Unione europea, per contrastare l’immigrazione clandestina. Il progetto interessa le coste atlantiche e mediterranee, al fine di sincronizzare le misure adottate dagli Stati membri e permettere la loro integrazione alle attività comuni dell’UE. In questa prima fase l’ENP si basa su un sistema di punti di contatto nazionali individuati dagli Stati membri lungo le coste del Mediterraneo e dell’Atlantico. In una fase più avanzata saranno istituite strutture organizzative appropriate (Centri di coordinamento nazionali), che copriranno anche il mare aperto.
Il 12 giugno 2007 il Consiglioha adottato un regolamento[140] relativo ai poteri ed al finanziamento di squadre di intervento rapido (RABIT), comprendenti guardie di frontiera distaccate in un altro Stato membro per fornirvi assistenza tecnica ed operativa. Come constatato nel corso del Consiglio giustizia e affari interni del 18 settembre 2007, Frontex ha avviato le procedure di applicazione del regolamento, che prevedono la redazione di una lista di ufficiali, la loro formazione e la composizione delle squadre. La prima esercitazione dovrebbe avere luogo in Portogallo nel periodo ottobre-novembre 2007.
Il Consiglio giustizia e affari interni del 18 settembre 2007 ha inoltre adottato conclusioni sull’ulteriore rafforzamento delle frontiere marittime meridionali dell’UE nelle quali esorta gli Stati membri, in uno spirito di solidarietà e di responsabilità condivisa, a fornire supporto, in modo bilaterale, a singoli Stati membri[141] che siano confrontati a particolari pressioni, acuite da fattori quali la loro posizione geografica, il livello di impegno degli Stati terzi confinanti nello adempiere ai loro obblighi internazionali in materia di ricerca e salvataggio e lo stato attuale della cooperazione con detti paesi.
Nelle sue conclusioni, il Consiglio inoltre:
§ sottolinea il bisogno di promuovere una più stretta cooperazione con i paesi di origine e di transito;
§ accoglie con favore l’iniziativa della presidenza Portoghese di rafforzare il dialogo con i partner euromediterranei sulle questioni relative all’immigrazione all’occasione dell’incontro ministeriale Euromed del 18 e 19 novembre prossimi;
§ invita gli Stati membri e Frontex a individuare e applicare misure di lungo termine riguardanti le pattuglie marittime sulla frontiera meridionale;
§ chiede agli Stati membri di garantire a Frontex gli strumenti tecnici e il supporto necessario al suo funzionamento;
§ chiede agli Stati membri e a Frontex di rafforzare la cooperazione in materia di rimpatri;
§ invita la Commisione, Frontex e gli Stati membri a completare l’analisi del diritto del mare in quanto rilevante ai fini delle operazioni congiunte condotte da Frontex e chiede alla Commissione di riferire al Consiglio in proposito prima della fine del 2007;
§ invita la Commissione e gli Stati membri, nel quadro del dibattito lanciato dal Libro verde sul regime comune europeo di asilo, a prestare particolare attenzione allo sviluppo di squadre di esperti in materia di asilo nei punti di arrivo e ad ideare soluzioni per sostenere gli Stati membri in situazioni eccezionali di particolare pressione.
Il 10 e 11 luglio 2006 si è svolta a Rabat la conferenza ministeriale congiunta tra Europa ed Africa sullo sviluppo e l’immigrazione che, su iniziativa di Francia, Spagna e Marocco, ha visto la partecipazione di 57 paesi delle due sponde del Mediterraneo. La Conferenza ha approvato un piano di azione in 62 punti, basata su un’azione congiunta Europa-Africa, che sottolinea la necessità di moltiplicare le azioni a favore dello sviluppo dei paesi africani anche attraverso nuovi aiuti finanziari agli immigrati legali in Europa che desiderano investire in progetti imperniati sul loro paese di origine. Un altro argomento riguarda al lotta contro i trafficanti clandestini.
In questo quadro, in occasione del 7° incontro della troika ministeriale UE-Africa di Brazzaville del 10 ottobre 2006, è stata accettata l'offerta della Libia di ospitare una conferenza ministeriale UE-Africa sulla immigrazione e lo sviluppo, che si è tenuta il 22 e 23 novembre 2006 a Tripoli.
Nell’ambito della conferenza, i ministri hanno approvato una dichiarazione congiunta Africa-UE, che riguarda l'intera gamma di questioni connesse alla migrazione, in particolare la immigrazione legale e illegale, il rapporto tra immigrazione e sviluppo, la protezione dei rifugiati.
In occasione della conferenza è stato, inoltre, adottato il piano d’azione di Ouagadougou per combattere la tratta degli esseri umani, in particolare di donne e bambini.
Sulla base dei lavori delle citate conferenze, nel corso della riunione ad alto livello Unione europea/Mali/CEDEAO (Comunità economica degli Stati dell'Africa occidentale) - che si è tenuta l'8 febbraio 2007 a Bamako, nel quadro del dialogo euro-africano sui flussi migratori e lo sviluppo - la Commissione europea, il Mali, la Spagna e la Francia si sono accordati per avviare un progetto pilota per gestire i flussi migratori provenienti dal Mali.
L'accordo verte sulla creazione in Mali di una Maison des Maliens de l'Extérieur e di un Centro d'informazione e di gestione dei flussi migratori, con il sostegno della Commissione e dei due Stati membri interessati. Questi organismi avrebbero il compito di raccogliere e di diramare informazioni sui flussi migratori e, segnatamente, sulle condizioni e le possibilità di lavoro e di formazione al livello nazionale, subregionale ed europeo, sui rischi e le incertezze dell'emigrazione clandestina e sull'accompagnamento dei migranti di ritorno nel Paese d'origine per agevolare il loro reinserimento in loco.
Avrebbero, inoltre, il compito di aiutare a valorizzare il risparmio e i trasferimenti finanziari, di incoraggiare il ritorno in patria delle competenze, di sostenere progetti comuni di sviluppo e la cooperazione decentrata e di promuovere i legami tra i giovani della seconda generazione di emigrati in Europa con quelli del Paese d'origine.
Il disegno di legge presentato dal Governo alla Camera il 30 luglio 2007 (A.C. 2976) è composto da un solo articolo, recante (comma 1, alinea) una delega legislativa al Governo avente ad oggetto la modifica della disciplina legislativa in materia di immigrazione e di condizione dello straniero, di cui al testo unico approvato con D.Lgs. 286/1998[142].
Mentre le sedici lettere (da a) ad r)) in cui si articola il comma 1 contengono i princìpi e criteri direttivi per l’esercizio della delega, i successivi commi da 2 a 5 definiscono le modalità per l’adozione del decreto legislativo e delle successive disposizioni di coordinamento, correttive e integrative.
Qui di seguito sono sommariamente indicate, suddivise per argomento, alcune delle principali innovazioni proposte dal disegno di legge, confrontate con le disposizioni attualmente vigenti.
La situazione attuale |
Le modifiche proposte |
La definizione delle quote massime di stranieri da ammettere nel territorio dello Stato per motivi di lavoro avviene annualmente con un decreto del Presidente del Consiglio (decreto-flussi) sulla base del documento triennale di programmazione (art. 3, co. 4, TU). |
La programmazione delle quote assume cadenza triennale, con eventuali quote aggiuntive annuali in presenza di ulteriori esigenze. Alle procedure di definizione delle quote partecipano i sindacati, le associazioni dei datori di lavoro e le organizzazioni non governative del settore. |
La situazione attuale |
Le modifiche proposte |
Le intese di cooperazione in materia di immigrazione con i Paesi a forte pressione migratoria prevedono l’istituzione di liste di collocamento di lavoratori stranieri che intendono fare ingresso in Italia. Ad essi sono assegnate quote riservate nel decreto flussi annuale (art. 21, co. 1 e 5, TU). |
Il sistema delle liste di collocamento viene generalizzato: esse saranno istituite non solamente nei Paesi che hanno stretto accordi ufficiali con l’Italia, ma ovunque e in via prioritaria negli Stati che collaborino al contrasto dell’immigrazione clandestina. Nella formazione della graduatoria, costituiranno titolo di preferenza la conoscenza della lingua italiana e la qualifica professionale posseduta. |
Il testo unico prevedeva la possibilità di ingresso per ricerca di lavoro, abrogata dalla L. 189/2002, basata sulla prestazione di adeguate garanzie da parte di sponsor, quali enti locali, associazioni di volontariato, privati. |
Viene ripristinato l’ingresso per inserimento nel mercato di lavoro, destinandovi una quota apposita del decreto flussi. E’ prevista inoltre la possibilità per l’immigrato di fornire egli stesso prove di adeguate risorse finanziarie al fine di ottenere il premesso di soggiorno per ricerca di lavoro (autosponsorizzazione). |
Alcune categorie di professionisti e di lavoratori particolarmente qualificati (dirigenti, ricercatori, artisti, sportivi, ecc.) non sono sottoposti al sistema delle quote e beneficiano di un trattamento di favore (art. 27 TU). |
Sarà semplificato l’ingresso dei lavoratori altamente qualificati nell’ambito della revisione dei canali di ingresso e soggiorno agevolato al di fuori delle quote. |
Il datore di lavoro e il lavoratore straniero devono stipulare il contratto di soggiorno per lavoro (introdotto a dalla L. 189/2002) indispensabile per il rilascio del permesso di soggiorno (art. 5-bis TU). |
Il contratto di soggiorno è abolito. |
La situazione attuale |
Le modifiche proposte |
L’ingresso nel territorio italiano è consentito ai cittadini dei Paesi non appartenenti all’Unione europea in possesso di passaporto e di visto d’ingresso. Per ottenere il visto di ingresso deve avere prove idonee a confermare lo scopo e le condizioni del soggiorno, nonché la disponibilità di mezzi di sussistenza sufficienti per la durata di soggiorno. Mentre in origine il testo unico prevedeva che tutti i provvedimenti di diniego del visto fossero accompagnati dalla motivazione, la legge 189 ha conservato tale obbligo solo per i visti per lavoro, studio e ricongiungimento familiare. Anche se il testo unico non ne fa menzione, il provvedimento di diniego è impugnabile davanti al giudice amministrativo (art. 4 TU). |
Il decreto delegato dovrà semplificare le procedure per il rilascio del visto per l’ingresso anche attraverso la revisione della documentazione da esibire. La previsione dell’obbligo di motivazione del diniego viene estesa a tutte le tipologie di visto, prevedendo forme di tutela e garanzia per i richiedenti i visti. |
Il permesso di soggiorno è rilasciato e rinnovato dalle questure (art. 5 TU). Attualmente è in corso il trasferimento agli uffici postali dell'attività di sportello in materia di richiesta e rinnovo di numerose tipologie di permessi di soggiorno. Gli sportelli unici per l’immigrazione, istituiti dalla L. 189/2002, rilasciano il nulla osta al lavoro e presiedono alla stipula del contratto di soggiorno per lavoro tra datore di lavoro e lavoratore (art. 22 TU). |
Il disegno di legge prevede la semplificazione delle procedure per il rilascio del nulla osta, del permesso di soggiorno e del suo rinnovo. Mentre il contratto di soggiorno, come si è detto, viene eliminato. Saranno trasferite ai Comuni le competenze per la ricezione delle domande di rilascio e rinnovo del permesso di soggiorno e per il suo ritiro e rinnovo. Anche gli sportelli unici saranno riorganizzati. |
La durata del permesso di soggiorno è al massimo di 9 mesi per lavoro stagionale, un anno per lavoro a tempo determinato, e di due anni, per lavoro a tempo indeterminato e autonomo. Il rinnovo va richiesto rispettivamente almeno 60 e 90 giorni prima della scadenza (art. 5, TU). |
Vengono allungati i tempi di durata dei permessi di soggiorno: un anno per rapporti di lavoro di durata fino a 6 mesi; due anni per rapporti di lavoro a tempo determinato superiore a 6 mesi; tre anni per rapporti di lavoro a tempo intederminato e lavoro autonomo. E’ prevista, inoltre, l’unificazione dei termini per la richiesta di rinnovo. |
La situazione attuale |
Le modifiche proposte |
Gli stranieri rintracciati in posizione irregolare sono espulsi di norma con l’accompagnamento alla frontiera da parte della forza pubblica. Nei casi di violazioni di minor rilievo l’espulsione avviene con la semplice intimazione a lasciare il territorio dello Stato (art. 13). |
Alle tipologie di esecuzione di espulsione vigenti si aggiunge il rimpatrio volontario assistito esteso anche ai non espulsi. Per il suo finanziamento è prevista l’istituzione di un Fondo nazionale rimpatri. |
All’espulsione si accompagna il divieto di reingresso nel territorio dello Stato per un periodo che di norma è pari a dieci anni. Il decreto di espulsione può prevedere un termine inferiore sino a un minimo di cinque anni (art. 13, co. 14, TU). |
Si procederà ad una differenziazione dei termini di divieto di reingresso in considerazione alla partecipazione ai programmi di rimpatrio e ai motivi dell’espulsione. |
L’autorità competente a decidere sul ricorso contro l’espulsione è il giudice di pace (art. 13, co. 8, TU). |
La competenza sul ricorso in materia di espulsione viene attribuita al giudice ordinario, come previsto prima dell’approvazione del decreto-legge 241/2004. Si prevede, inoltre, una revisione delle sanzioni, anche penali, e delle modalità di allontanamento in correlazione alle violazioni delle disposizioni in materia di immigrazione. |
Nei centri di permanenza temporanea e accoglienza (CPTA) sono trattenuti gli stranieri quando non è possibile eseguire immediatamente l’espulsione per necessità di prestare soccorso, accertamento dell’identità dello straniero, acquisizione dei documenti per il viaggio, indisponibilità di un mezzo di trasporto idoneo per l’espulsione, attesa di definizione del procedimento di convalida (art. 14). |
L’attuale sistema dei CPTA deve essere superato attraverso la differenziazione del trattamento tra coloro che si sottraggono all’identificazione (che dovrà essere effettuata in carcere) e gli stranieri da trattenere per altri motivi. Da rivedere anche il regime di gestione e l’accesso ai centri. |
La situazione attuale |
Le modifiche proposte |
Attualmente non è previsto il diritto di voto per gli stranieri non comunitari. |
Gli immigrati regolari soggiornanti da lungo tempo in Italia potranno votare ed essere eletti nelle elezioni amministrative. |
I minori stranieri sono iscritti automaticamente nel permesso di soggiorno dei genitori fino al compimento del 14° anno di età. Ad essi viene in seguito rilasciato un permesso di soggiorno per motivi familiari, valido fino al raggiungimento della maggiore età, e che potrà essere successivamente riconvertito in altra categoria di permesso (art. 31). Particolari forme di tutela sono previste per i minori non accompagnati (art. 33). |
Il disegno di legge da ampio rilievo ai diritti dei minori stranieri prevedendo: il rilascio del permesso di soggiorno per motivi familiari anche dopo la maggiore età per i ragazzi ancora a carico della famiglia, la conversione del permesso di soggiorno dei minori non accompagnati in permesso per lavoro, l’istituzione di un Fondo di accoglienza e tutela dei minori non accompagnati, disposizioni di tutela del minore in caso di espulsione. |
Gli stranieri regolarmente soggiornanti hanno l’obbligo di iscrizione al servizio sanitario nazionale e hanno parità di trattamento rispetto ai cittadini italiani. Agli irregolari sono assicurate le cure urgenti e essenziali (artt. 34-35 TU). |
Si prevede l’aggiornamento delle disposizioni relative all’iscrizione al Servizio sanitario nazionale e la razionalizzazione delle competenze in materia di assistenza sanitaria dei cittadini stranieri. |
L’accesso all’assistenza sociale è garantita ai titolari della carta di soggiorno (di durata illimitata) o del permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno e ai bambini (art. 41 TU). |
Si prevede l’equiparazione ai cittadini italiani degli stranieri regolarmente soggiornanti da almeno due anni e dei minori iscritti nel loro permesso di soggiorno in materia di accesso alle provvidenze di assistenza sociale. |
La legge finanziaria 2007 (art. 1, co. 1267) ha istituito un Fondo per l’inclusione sociale degli immigrati di 50 milioni di euro annui, finalizzato anche all’accoglienza degli alunni stranieri. |
Il Fondo potrà contare su ulteriori forme di finanziamento quali contributi volontari dei datori di lavoro e contributi, o donazioni disposti da privati, enti, organismi internazionali e dall’Unione Europea. |
Gli stranieri vittime di violenza e di sfruttamento che tentano di sottrarsi ai condizionamenti di organizzazioni criminali possono usufruire di un permesso di soggiorno speciale e di programmi di assistenza sociale (art. 18, TU). |
Si prevede ulteriori forme di tutela degli stranieri sfruttati o ridotti in schiavitù attraverso alcune modifiche delle disposizione riguardanti l’espulsione, il ricongiungimento e la punibilità delle vittime. |
Articolo 1, commi 1
(alinea e lettera r)) 2, 3, 4 e 5
(oggetto, termini e modalità di esercizio della delega)
1. Il Governo è delegato ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, e comunque non prima del gennaio 2008, un decreto legislativo per la modifica del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:
[…]
r) coordinare, sul piano formale e sostanziale, le disposizioni da emanare in attuazione della delega di cui al presente comma con le altre disposizioni del citato testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, nonché con la legislazione nazionale e comunitaria vigente in materia.
[…]
2. Il decreto legislativo di cui al comma 1 è emanato su proposta dei Ministri dell'interno e della solidarietà sociale, di concerto, per i profili di rispettiva competenza, con i Ministri degli affari esteri, della giustizia, della difesa, del lavoro e della previdenza sociale, per le politiche europee, della salute, delle politiche per la famiglia, per i diritti e le pari opportunità, della pubblica istruzione, per gli affari regionali e le autonomie locali, per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione, per le politiche giovanili e le attività sportive, delle politiche agricole alimentari e forestali, dell'economia e delle finanze e dell'università e della ricerca. Lo schema di decreto legislativo è trasmesso alla Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, che si esprime entro trenta giorni. Il medesimo schema di decreto legislativo è successivamente trasmesso alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica per il parere delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per le conseguenze di carattere finanziario, che si esprimono entro quaranta giorni dalla data di assegnazione, trascorsi i quali il decreto legislativo è emanato anche in assenza del parere.
3. Con uno o più decreti legislativi da emanare entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo di cui al comma 1, possono essere adottate disposizioni correttive e integrative di quest'ultimo, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi e delle procedure stabiliti dai commi 1 e 2.
4. Entro un anno dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo di cui al comma 1, il Governo è delegato ad adottare, sentito il Consiglio di Stato che deve rendere il parere entro novanta giorni e senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, un decreto legislativo per coordinare le disposizioni emanate ai sensi del citato comma 1 con le altre disposizioni vigenti concernenti l'immigrazione e la condizione giuridica dello straniero, al fine di semplificare e di garantire la coerenza logica, sistematica e lessicale della normativa.
5. I decreti legislativi di cui ai commi 1 e 3, la cui attuazione determini nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, sono emanati solo successivamente alla data di entrata in vigore di provvedimenti legislativi che stanziano le occorrenti risorse finanziarie.
[…]
L’alinea del comma 1 reca, come si è accennato, una delega al Governo per l’adozione di un (solo) decreto legislativo di modifica del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al D.Lgs. 286/1998.
Il termine finale per l’esercizio della delega è fissato in dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge; è tuttavia previsto anche un doppio termine iniziale motivato, è da ritenere, dall’esigenza di assicurare ai provvedimenti di riforma la necessaria copertura finanziaria, da reperire nell’ambito della manovra di bilancio o comunque ricorrendo a distinti provvedimenti legislativi:
§ l’esercizio della delega non potrà comunque aver luogo prima del gennaio 2008 (comma 1, alinea);
§ qualora comporti nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica (oneri peraltro già quantificati nella relazione tecnica che accompagna il disegno di legge), il decreto potrà essere emanato solo dopo l’entrata in vigore di provvedimenti legislativi che stanzino le necessarie risorse (comma 5: v. infra).
Il comma 2 definisce le procedure per l’adozione del decreto legislativo. Esso è emanato:
§ su proposta dei ministri dell'interno e della solidarietà sociale;
§ di concerto con gli altri ministri interessati, con riguardo ai diversi profili di competenza (affari esteri, giustizia, difesa, lavoro e previdenza sociale, politiche europee, salute, politiche per la famiglia, diritti e pari opportunità, pubblica istruzione, affari regionali ed autonomie locali, riforme e innovazioni nella pubblica amministrazione, politiche giovanili e attività sportive, politiche agricole alimentari e forestali, economia e finanze e università e ricerca);
§ previo parere della Conferenza unificata Stato-regioni-città e autonomie locali, che si esprime sullo schema entro trenta giorni dalla sua trasmissione;
§ previo successivo parere delle Commissioni permanenti competenti per materia (quanto al merito) e delle Commissioni bilancio (per le conseguenze di carattere finanziario) delle due Camere; queste si esprimono entro quaranta giorni dalla data di assegnazione dello schema, trascorsi i quali il decreto legislativo è emanato anche in assenza del parere.
La previsione che il parere parlamentare sia richiesto successivamente a quello della Conferenza unificata conferma la prassi affermatasi nelle scorse legislature, soprattutto a partire dal 1998, a seguito dei reiterati interventi dei Presidenti delle Camere nei confronti del Governo, volti ad ottenere che il testo di atti normativi trasmesso per il parere parlamentare abbia completato la fase procedimentale interna all’esecutivo, comprensiva dell’acquisizione di tutti gli altri pareri previsti dalla legge.
Il comma 3, con disposizione ormai divenuta usuale nell’ambito della legislazione di delega, accompagna a quella principale un’ulteriore delega legislativa per l’adozione, con uno o più successivi decreti legislativi, di disposizioni correttive e integrative della riforma.
Il termine per l’esercizio di questa seconda delega è fissato in ventiquattro mesi, decorrenti dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo principale. È tenuto fermo il rispetto dei princìpi e criteri direttivi di cui al comma 1, così come delle procedure per l’emanazione definite al comma 2.
Il comma 4 reca una terza delega legislativa, da esercitare entro un anno dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo di riforma del testo unico in materia di immigrazione, e finalizzata a coordinare le disposizioni così emanate con le altre disposizioni vigenti concernenti l'immigrazione e la condizione giuridica dello straniero.
Quale unico principio o criterio direttivo, il comma prescrive la finalità di semplificare e di garantire la coerenza logica, sistematica e lessicale della normativa.
Il decreto legislativo è adottato, precisa il comma 4, previo parere del Consiglio di Stato, da esprimere entro il termine di novanta giorni (dalla trasmissione dello schema). Non è invece previsto il parere parlamentare.
Esso non dovrà comportare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
Va segnalato che il coordinamento normativo che forma oggetto della delega di cui al comma 4 sembra in parte coincidere, o quantomeno giustapporsi, a quello previsto nell’ambito dell’attuazione della delega principale in virtù della lettera r) del comma 1.
L’ultimo tra i princìpi e criteri direttivi per l’esercizio di tale delega, recato dal comma 1, lettera r) del testo in esame, prescrive infatti al Governo di coordinare sul piano formale e sostanziale le disposizioni introdotte a modifica del testo unico di cui al D.Lgs. 286/1998 con le restanti disposizioni del medesimo testo unico, nonché con la legislazione nazionale e comunitaria vigente in materia.
Il comma 5 introduce, infine, una clausola di salvaguardia finanziaria in virtù della quale si stabilisce che, ove dall’attuazione dei decreti legislativi individuati ai commi 1 e 3 (rispettivamente, un decreto legislativo per la modifica del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione, nonché uno o più decreti legislativi recanti norme correttive e integrative del primo) derivino nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, detti decreti siano emanati solo dopo l’entrata in vigore di provvedimenti legislativi che stanzino le necessarie risorse.
Una quantificazione dei prevedibili oneri derivanti dall’attuazione della delega di cui al comma 1 è contenuta nella relazione tecnica che accompagna il disegno di legge governativo.
Articolo 1, comma
1, lettera a)
(programmazione; incontro domanda/offerta di lavoro; sponsor)
[…]
a) promuovere l'immigrazione regolare, favorendo l'incontro tra domanda e offerta di lavoro di cittadini stranieri, attraverso:
1) la revisione del meccanismo di determinazione dei flussi di ingresso, prevedendo, in particolare, una programmazione triennale delle quote massime di cittadini stranieri da ammettere ogni anno sul territorio nazionale e una procedura per l'adeguamento annuale delle quote ad ulteriori e nuove esigenze del mercato del lavoro, che tenga conto dei dati sull'effettiva richiesta di lavoro elaborati dal Ministero della solidarietà sociale, dei dati forniti dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale, delle indicazioni provenienti dai consigli territoriali per l'immigrazione istituiti presso le prefetture - uffici territoriali del Governo, dei programmi di istruzione e di formazione professionale nei Paesi di origine, delle indicazioni provenienti dalle regioni e dalle province autonome sui flussi sostenibili in rapporto alle capacità di assorbimento del tessuto sociale e produttivo;
2) la partecipazione alle procedure di cui al numero 1) dei rappresentanti delle organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro, nonché degli enti e delle associazioni rappresentativi sul piano nazionale e attivi nell'assistenza e nell'integrazione degli immigrati;
3) la previsione che, in relazione a necessità emergenti del mondo del lavoro, in occasione dell'adeguamento annuale delle quote, da adottare con procedura semplificata e accelerata, la quota stabilita per lavoro subordinato e autonomo possa essere superata, in presenza di un numero di richieste di nulla osta eccedenti la stessa quota, prevedendo la possibilità di introdurre un diverso tetto numerico sulla base del monitoraggio semestrale del numero di nulla osta al lavoro richiesti;
4) la previsione di opportune azioni di sviluppo dei canali per l'incontro della domanda e dell'offerta nel settore del lavoro domestico e di assistenza alla persona nonché la promozione di specifiche azioni formative e di riconoscimento delle professionalità pregresse;
5) l'istituzione, secondo un unico modello, di liste organizzate in base alle singole nazionalità con criterio cronologico, alle quali possano iscriversi i lavoratori stranieri che intendano fare ingresso in Italia per lavoro, anche stagionale, da coordinare con quelle già previste in attuazione delle intese conseguenti agli accordi con i Paesi di origine concernenti l'ingresso per lavoro e il rimpatrio e da realizzare prioritariamente con Stati che abbiano dimostrato un atteggiamento collaborativo in materia di contrasto all'immigrazione clandestina;
6) l'individuazione di una pluralità di soggetti, come enti e organismi nazionali o internazionali con sedi nei Paesi di origine o autorità degli stessi Paesi, ai quali affidare, mediante convenzione con lo Stato italiano, la responsabilità dell'iscrizione nelle liste di cui al numero 5) e della loro tenuta, prevedendo la trasmissione delle liste alle rappresentanze diplomatiche e consolari italiane all'estero;
7) la definizione di una procedura per l'iscrizione nelle liste di cui al numero 5), che tenga conto del grado di conoscenza della lingua italiana, dei titoli e della qualifica professionale posseduti, dell'eventuale frequenza di corsi di istruzione e di formazione professionale nei Paesi di origine, nell'ambito dei quali sia garantita la diffusione dei valori a cui si ispira la Costituzione italiana e dei princìpi su cui si basa la convivenza della comunità nazionale;
8) l'istituzione di una banca dati interministeriale di raccolta delle richieste di ingresso per lavoro e delle offerte di lavoro, da coordinare con quelle attualmente operative, da utilizzare transitoriamente fino all'attivazione delle liste di cui al numero 5);
9) l'ingresso nel territorio dello Stato per l'inserimento nel mercato del lavoro, nell'ambito delle quote a tale fine previste, del cittadino straniero, iscritto nelle liste di cui al numero 5), ove istituite nel Paese di residenza, ovvero iscritto nella banca dati di cui al numero 8), a seguito di richiesta, nominativa o numerica, proveniente da regioni, province autonome, enti locali, associazioni imprenditoriali, professionali e sindacali, nonché istituti di patronato, con la costituzione di forme di garanzia patrimoniale a carico dell'ente o dell'associazione richiedente;
10) la revisione dei canali di ingresso e di soggiorno agevolato al di fuori delle quote e con esclusione dall'iscrizione nelle liste o nella banca dati di cui ai numeri 5) e 8), rivedendo le procedure, le categorie e le tipologie previste dall'articolo 27 del citato testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni;
11) la previsione di una quota stabilita nel decreto di programmazione dei flussi destinata all'ingresso nel territorio dello Stato per inserimento nel mercato del lavoro del cittadino straniero, iscritto nelle liste di cui al numero 5), ove istituite nel Paese di residenza, ovvero iscritto nella banca dati di cui al numero 8), che sia in possesso di risorse finanziarie adeguate al periodo di permanenza sul territorio nazionale e al contributo di cui alla lettera g), numero 1), ovvero che sia richiesto nominativamente da parte del cittadino italiano o dell'Unione europea ovvero di titolare del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, in possesso di un reddito adeguato a prestare idonea garanzia patrimoniale limitatamente a un solo ingresso per anno e con possibilità di nuova richiesta, per gli anni successivi, previa dimostrazione dell'inserimento lavorativo o del rimpatrio dello straniero precedentemente garantito;
[…]
La lettera a) del comma 1 stabilisce i principi e criteri di delega per la revisione della disciplina dell’ingresso in Italia per motivi di lavoro degli stranieri non comunitari. Tali misure, come precisato nella relazione illustrativa del provvedimento, sono finalizzate a promuovere l’immigrazione regolare e a favorire l’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro di cittadini stranieri, da un lato, introducendo elementi di flessibilità nei meccanismi di programmazione dei flussi, e dall’altro, prevedendo nuovi canali di ingresso che siano in grado di rendere il collegamento tra la domanda e l’offerta di lavoratori stranieri più realistico e più rispondente alle esigenze delle famiglie e delle imprese italiane.
La logica ispiratrice delle modifiche proposte è quella di governare in modo razionale l’immigrazione regolare, nell’intento di risolvere i problemi connessi con la forte pressione migratoria cui è soggetta l’Italia, pressione che, in assenza di un canale di sbocco regolare, si traduce in un alto livello di clandestinità, rendendo più difficile l’integrazione e alimentando l’allarme sociale[143].
La delega individua vari strumenti per l’attuazione di una più efficace politica dell’immigrazione, tra i quali una diversa e più flessibile procedura per la determinazione delle quote massime di lavoratori stranieri da ammettere in Italia; l’istituzione di liste di collocamento all’estero, per la cui formazione si tiene conto di titoli preferenziali quali la conoscenza della lingua italiana e la qualifica professionale posseduta; la reintroduzione, con modalità diverse e più articolate, della figura dello sponsor-garante, prevedendo anche la possibilità per l’immigrato di fornire personalmente prove di garanzia patrimoniale per ottenere il permesso di soggiorno per ricerca di lavoro (autosponsorizzazione); la revisione della disciplina dei permessi cosiddetti fuori quota, riservati a categorie di lavoratori altamente qualificati.
Più in dettaglio, il numero 1) della lettera a) stabilisce i criteri direttivi per la modifica del sistema di definizione delle quote massime di stranieri da ammettere in Italia per motivi di lavoro.
La prima innovazione rispetto alla normativa vigente è rappresentata dal fatto che lo strumento attraverso il quale si determinano le quote, il decreto-flussi, viene ad assumere una cadenza triennale. Con ciò si intende ampliare l’orizzonte temporale della programmazione dei flussi migratori, al fine di renderla più rispondente alle necessità di medio-lungo periodo.
Per adeguare la programmazione triennale alle eventuali nuove e ulteriori esigenze del mercato del lavoro che dovessero presentarsi nel corso del periodo di riferimento del decreto-flussi, il nuovo sistema prevede la possibilità di revisione annuale dei flussi da attuarsi mediante singoli provvedimenti di adeguamento delle quote.
Il meccanismo per la determinazione delle quote si basa su una procedura di concertazione che coinvolge una pluralità di soggetti, a livello sia centrale (ministeri della solidarietà sociale e del lavoro), sia locale (consigli territoriali per l’immigrazione e regioni e province autonome).
Al riguardo si osserva che, in base al tenore letterale delle disposizioni, tale concertazione sembrerebbe applicarsi soltanto all’adeguamento annuale dei flussi.
La fissazione delle quote viene effettuata sulla base dei dati sull’effettiva richiesta di lavoro elaborati dal ministero della solidarietà sociale, dei dati del Ministero del lavoro e della previdenza sociale e delle indicazioni dei Consigli territoriali per l’immigrazione, peraltro già previsti dall’art. 3, comma 6, del testo unico sull’immigrazione (vedi infra); ai fini della valutazione dell’impatto sul territorio, le regioni e le province autonome trasmettono al Governo le proprie indicazioni circa la capacità di assorbimento dei flussi migratori in relazione alle rispettive situazioni economico-produttive e sociali.
Il principio di delega sembra voler valorizzare il ruolo dei Consigli territoriali per l’immigrazione, prevedendone la partecipazione alle procedure per la definizione e l’adeguamento delle quote in considerazione del fatto che di tali organismi fanno parte tutti gli operatori pubblici e privati del territorio coinvolti nella gestione dell’immigrazione.
I Consigli territoriali per l'immigrazione, disciplinati dall'articolo 3, comma 6, del testo unico e dall’art. 57 del regolamento di attuazione del testo unico[144] e istituiti con il DPCM 18 dicembre 1999, sono organismi con compiti di analisi delle problematiche connesse al fenomeno dell'immigrazione e delle esigenze degli immigrati e di promozione dei relativi interventi da attuare a livello locale. Operano in ambito provinciale e sono presieduti dai prefetti, che ne assicurano il collegamento con la Consulta per i problemi degli stranieri immigrati e delle loro famiglie, di cui all'articolo 42, comma 4, del testo unico. In essi sono rappresentate le competenti amministrazioni locali dello Stato, la Regione, gli enti locali, i rappresentanti delle camere di commercio, delle organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro, degli enti e associazioni localmente attive nel soccorso e nell'assistenza agli immigrati, delle associazioni più rappresentative degli stranieri extracomunitari operanti nel territorio. I Consigli territoriali per l'immigrazione operano, per la necessaria interazione delle rispettive attività, in collegamento con le Consulte regionali per i problemi dei lavoratori extracomunitari e delle loro famiglie delle Regioni che le abbiano eventualmente costituite.
Il ministero dell’interno assegna una funzione strategica ai Consigli territoriali per l'immigrazione come organismi fondamentali per monitorare in sede locale la presenza degli stranieri sul territorio e la capacità di assorbire i flussi migratori[145] e persegue un progetto di rivalutazione degli stessi, soprattutto nell’attuazione a livello locale delle politiche di integrazione sociale degli immigrati, come risulta anche dalla direttiva del ministro dell’interno 13 febbraio 2007 con cui sono stati destinati a tale scopo 10 milioni di euro alla cui gestione partecipano anche i consigli territoriali (si veda più diffusamente sub lettera i) dei principi di delega.
Nella determinazione delle quote sono inoltre valutati i programmi di istruzione e formazione professionale effettuati nei Paesi di origine.
Con riferimento alla disposizione in esame si ricorda che la normativa vigente (art. 23 del testo unico) disciplina l’ingresso di lavoratori stranieri preventivamente formati all’estero nell’ambito di programmi realizzati a tale scopo da soggetti istituzionali italiani in collaborazione con le associazioni degli imprenditori e dei lavoratori e con gli enti che operano nel settore dell’immigrazione. La formazione dei lavoratori all’estero può essere finalizzata sia all'inserimento lavorativo mirato nei settori produttivi italiani che operano in Italia o nei Paesi di origine sia allo sviluppo delle attività produttive o imprenditoriali autonome nei Paesi di origine.
Ai sensi dell’art. 34 del regolamento di attuazione del testo unico, una quota del decreto-flussi è riservata ai lavoratori non comunitari che abbiano partecipato alle attività formative nei Paesi di provenienza di cui all’art. 23 del testo unico.
Quest’ultima disposizione prevede dei titoli di preferenza nel collocamento dei lavoratori stranieri, derivanti dall’aver frequentato corsi di istruzione e di formazione professionale organizzati nei Paesi di origine da enti abilitati. L’art. 34 del regolamento stabilisce inoltre che le modalità di predisposizione e di svolgimento dei programmi di formazione e di istruzione da effettuarsi nel Paese di origine siano fissati con decreto del ministro del lavoro, di concerto con il ministro dell’istruzione, di intesa con la Conferenza Stato-Regioni. Tale disposizione ha avuto attuazione con l’emanazione di due decreti del Ministro del lavoro (entrambi adottati il 22 marzo 2006) uno relativo alla disciplina nazionale e regionale in materia di tirocini formativi e di orientamento per i cittadini non appartenenti all'Unione europea, e l’altro concernente lo svolgimento dei programmi di istruzione e formazione da effettuarsi nei Paesi d'origine dei medesimi soggetti. Progetti pilota di formazione in loco sono stati avviati dal ministero del lavoro in Tunisia, Sri Lanka e Moldavia[146].
A proposito dei corsi di formazione al lavoro organizzati nei Paesi di origine da soggetti istituzionali italiani, il documento informativo sulla riforma del testo unico predisposto dal Ministero dell’interno[147] cita a titolo di esempio l’esperienza della Regione Friuli-Venezia Giulia. La Regione ha varato il 31 agosto 2006 un progetto di formazione di manodopera nei Paesi d'origine degli extracomunitari. La Giunta regionale ha approvato uno stanziamento di 375.000 euro per quattro progetti di corsi professionali e linguistici. In particolare, sono stati individuati tre profili professionali: assistenti alla persona (le così dette badanti), per le quali sono stati stanziati 176.000 euro per corsi in Moldavia; lavoratori edili in Serbia (79.000 euro) e Romania (39.000 euro); infine, operai metalmeccanici in Bosnia Erzegovina (79.000 euro). Ai fondi propri si sono aggiunte assegnazioni alla Regione da parte del ministero del lavoro. La Regione Abruzzo ha finanziato nel 2006 un progetto di formazione dei lavoratori extracomunitari con un fondo complessivo di 320.000 euro. La formazione avviene nei Paesi d'origine. I corsi sono attivi nei settori dell'acquacoltura e della pesca, dell'agricoltura, della ristorazione e ricettività e nell'edilizia.
Per quanto riguarda le iniziative formative di stranieri da svolgersi in Italia, recentemente il D.Lgs. 154/2007[148], in attuazione della direttiva 2004/114/CE, ha novellato il testo unico inserendo l’art. 39-ter, che consente l'ingresso e il soggiorno in Italia per motivi di studio dei cittadini stranieri ammessi a frequentare corsi di formazione professionale e tirocini formativi nell'ambito di un contingente annuale stabilito con decreto del ministro della solidarietà sociale, di concerto con i ministri dell’interno e degli esteri, e sentita la Conferenza Stato-Regioni.
Il criterio di delega di cui al numero 2) della lettera a), stabilisce che nei procedimenti di definizione triennale dei flussi e del loro adeguamento annuale sono consultati anche i rappresentanti delle organizzazioni sindacali, dei datori di lavoro e delle organizzazioni ed enti che operano nel settore dell’assistenza e dell’integrazione degli immigrati.
Il documento del Ministero dell’interno citato attribuisce particolare importanza al fatto che nella nuova disciplina la determinazione dei flussi sia adeguata alle mutevoli realtà economiche e sociali e alle capacità di assorbimento delle singole realtà territoriali. In questo senso, secondo il documento, la riforma, attraverso i consigli territoriali per l’immigrazione, dà spazio al flusso informativo che dai territori deve arrivare al Governo. Le Regioni e le Province autonome, ma anche le locali organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro, così come gli enti e le associazioni che operano sul territorio nel settore dell’immigrazione, indicheranno le reali necessità e le reali capacità di assorbimento a livello locale, in base ai dati sul mercato del lavoro, sulla situazione abitativa, sul livello e sulle potenzialità di integrazione (alloggi, istruzione, assistenza sanitaria).
Il numero 3) della lettera a) prevede in via generale che il provvedimento per l’adeguamento annuale delle quote venga adottato con procedura semplificata e accelerata e stabilisce che, in relazione alle necessità emergenti dal mondo del lavoro, il tetto stabilito per il lavoro subordinato e autonomo possa essere superato qualora ci sia un numero di richieste di nulla osta al lavoro che ecceda il tetto medesimo; la nuova quota viene fissata sulla base dei dati derivanti dal controllo semestrale del numero dei nulla osta al lavoro richiesti.
Il sistema fin qui delineato, in modo necessariamente sommario, dai criteri di delega illustrati mantiene una struttura per molti versi analoga a quella attuale.
Secondo la legislazione in vigore, la politica dell’immigrazione è regolata, con riferimento al mercato del lavoro, mediante due strumenti[149]: il documento programmatico triennale (articolo 3, commi 1-3, del testo unico) e il decreto sui flussi (art. 3, comma 4).
Il documento programmatico reca, tra l’altro, un’analisi del fenomeno migratorio e degli scenari futuri; gli interventi che si intendono attuare in materia di immigrazione; le linee generali per la definizione dei flussi d’ingresso. Nel procedimento di formazione del documento, predisposto dal Governo, sono coinvolti, oltre ai ministri interessati, una serie di soggetti: il CNEL; la Conferenza Stato-Regioni e la Conferenza Stato-Città; le organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro maggiormente rappresentative sul piano nazionale; gli enti e le associazioni nazionali maggiormente attivi nell’assistenza e nell’integrazione degli immigrati. Sul documento viene acquisito il parere delle Commissioni parlamentari.
In base alle indicazioni del documento programmatico, ogni anno il Governo fissa con decreto le quote massime di stranieri ai quali consentire l’ingresso nel territorio dello Stato per motivi di lavoro. Ai fini dell’adozione del decreto-flussi il Governo consulta il Comitato interministeriale per il coordinamento e il monitoraggio delle politiche in materia di immigrazione[150] e la Conferenza unificata; anche su questo provvedimento esprimono il proprio parere le Commissioni parlamentari.
Il testo unico già prevede alcuni strumenti per assicurare il collegamento con le reali esigenze del mercato del lavoro e con le capacità di assorbimento a livello locale[151], laddove si stabilisce che i decreti sui flussi devono tenere conto delle indicazioni del Ministero del lavoro sull'andamento dell'occupazione e dei tassi di disoccupazione a livello nazionale e regionale e sul numero dei cittadini stranieri non comunitari iscritti nelle liste di collocamento e devono essere predisposti in base ai dati sulla effettiva richiesta di lavoro suddivisi per regioni e per bacini provinciali di utenza, elaborati da un'anagrafe informatizzata, tenuta dal Ministero del lavoro. Ciascuna Regione, inoltre, può trasmettere alla Presidenza del Consiglio, in vista della predisposizione del decreto flussi, un rapporto sulla presenza e sulla condizione degli immigrati nel territorio regionale, indicando anche la capacità di assorbimento di nuova manodopera.
Nel caso in cui il decreto-flussi non sia emanato secondo la procedura ordinaria, il Governo può provvedere in via transitoria mediante un D.P.C.M. adottato senza il parere delle Camere, nel rispetto del limite delle quote fissate l’anno precedente.
Peraltro, il sistema vigente prevede già la possibilità per il Governo di adeguare le quote di ingressi già fissate dal documento programmatico e stabilite per l’anno in corso dal decreto-flussi, facendo ricorso ad una procedura semplificata e più rapida, in quanto non soggetta all'ordinario procedimento di consultazione previsto dal testo unico.
Per quanto riguarda soltanto il lavoro stagionale, infatti, una disposizione introdotta nel 2005[152] consente al Governo – limitatamente ai settori dell’agricoltura e del turismo – di superare le quote massime di lavoratori stagionali non comunitari stabilite l’anno precedente.
Tale previsione ha trovato applicazione con il D.P.C.M. 14 luglio 2006, con il quale, in aggiunta alla quota di 50.000 lavoratori stagionali, già determinata con il decreto-flussi per il 2006[153], è stata ammessa un'ulteriore quota di 30.000 ingressi. Comunque, anche prima dell’entrata in vigore della norma di cui sopra, era stato autorizzato l'ingresso di ulteriori quote di lavoratori stagionali in relazione a specifiche esigenze[154].
Nel 2006, infine, si è registrato un precedente di rilievo: il Governo ha deciso[155] di ampliare ulteriormente (di 350.000 unità) il numero degli ingressi per lavoro non stagionale inizialmente fissato a 170.000 quote dal decreto-flussi per il 2006. La decisione[156] è stata assunta avendo preso atto che al 31 maggio 2006 era stato presentato un numero di domande di concessione di nulla osta al lavoro non stagionale notevolmente superiore alla corrispondente quota di ingressi prevista dal decreto-flussi citato e dopo aver considerato il fabbisogno di lavoratori extracomunitari espresso dal mercato del lavoro interno, con particolare riferimento alle esigenze di specifici settori produttivi, del lavoro domestico e della cura e assistenza alla persona. Gli ulteriori ingressi sono autorizzati a condizione che le domande di nulla osta al lavoro risultino regolarmente presentate dai datori di lavoro entro il 21 luglio 2006 e superino il vaglio delle condizioni di ammissibilità.
Il numero 4) della lettera a) prevede la realizzazione di iniziative per favorire l'incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro nel settore del lavoro domestico e di assistenza alla persona e per promuovere la formazione e il riconoscimento delle esperienze maturate.
La relazione tecnica fa rientrare tali attività tra quelle che potranno essere finanziate con i fondi stanziati per il potenziamento delle misure per l’integrazione dei migranti previste dal criterio di delega di cui alla lettera o), che dispongono un rifinanziamento del Fondo per l’inclusione sociale dei migranti e un finanziamento di ulteriori programmi attuati dai consigli territoriali per l’immigrazione (vedi infra).
I criteri di delega di cui ai numeri da 5) a 8) della lettera a) delineano un modello di gestione dei flussi di lavoratori immigrati da realizzarsi mediante liste collegate informaticamente che diventino una sorta di sistema di collocamento all´estero.
In considerazione delle difficoltà che comporta la richiesta di assunzione nominativa di un lavoratore straniero che vive all’estero, in quanto essa presuppone in molti casi[157] la conoscenza diretta dello straniero da parte del datore di lavoro[158], il criterio di delega di cui al numero 5) della lettera a) prevede l'istituzione di liste di collocamento alle quali possono iscriversi i lavoratori stranieri che intendono entrare in Italia per lavoro, distinte per singole nazionalità e formate sulla base di un criterio cronologico e dei titoli preferenziali indicati dal successivo numero 7). Tali liste devono essere coordinate con quelle già esistenti nei Paesi che hanno stretto con l’Italia accordi ufficiali di ingresso per lavoro e di rimpatrio (vedi infra); esse sono comunque istituite in via prioritaria con i Paesi disponibili a collaborare nella lotta all'immigrazione illegale.
La disposizione prefigura l'istituzione generalizzata di liste di collocamento all’estero, mentre attualmente esse possono essere previste solo nell'ambito di accordi di ingresso per lavoro e di rimpatrio con i Paesi di origine.
L’art. 21 del testo unico, infatti, consente all’Italia di concludere con Stati non appartenenti all'Unione europea accordi finalizzati alla regolamentazione dei flussi d'ingresso e delle procedure di riammissione. Gli accordi possono prevedere che i lavoratori stranieri che intendono fare ingresso in Italia per motivi di lavoro si iscrivano in apposite liste, specificando le loro qualifiche o mansioni e gli altri requisiti[159] indicati dal regolamento di attuazione, il cui art. 32 disciplina dettagliatamente i criteri per la formazione e la tenuta delle liste, che sono trasmesse tramite le rappresentanze diplomatico-consolari, al Ministero del lavoro, il quale provvede alla loro diffusione mediante l'inserimento nel sistema informativo delle Direzioni provinciali del lavoro. Le liste sono distinte per Paesi di provenienza. Con i decreti-flussi annuali sono assegnate in via preferenziale quote riservate ai lavoratori provenienti dagli Stati che abbiano stipulato gli accordi in questione.
Per quanto riguarda la loro effettiva gestione, le liste possono essere tenute dalle autorità dei Paesi di origine, oppure da enti e organismi nazionali o internazionali, con sede in quei Paesi che stipulino convenzioni a tale scopo con lo Stato italiano. Comunque, le liste di collocamento devono essere trasmesse alle rappresentanze diplomatiche e consolari italiane all'estero (numero 6).
Nella formazione della graduatoria sono valutati come titoli di preferenza, oltre all’anzianità di iscrizione, la conoscenza della lingua italiana, i titoli e le qualifiche professionali possedute, la frequenza di corsi di istruzione e di formazione professionale, nei quali sia garantita la diffusione dei principi su cui si fondano l’ordinamento costituzionale italiano e la comunità nazionale (numero 7).
In attesa dell'istituzione di tali liste, la cui concreta realizzazione presenta aspetti di indubbia complessità, viene creata in via transitoria una banca dati interministeriale, nella quale confluiscono tutte le richieste di ingresso per lavoro e le offerte di impiego (numero 8) e i cui dati sono coordinati con quelli delle liste attualmente attivate (per le quali si veda supra).
Il successivo numero 9) ripristina l’ingresso per inserimento nel mercato del lavoro con il meccanismo della “sponsorizzazione”, già previsto dal testo unico e abrogato dalla L. 189/2002.
Sembra utile richiamare la disciplina che regolava la materia prima della sua soppressione operata dalla L. 189/2002. L’articolo 23 del testo unico stabiliva che gli ingressi in Italia per lavoro potessero avvenire – oltre che per chiamata nominativa del datore di lavoro e mediante selezione nelle liste di collocamento – attraverso la prestazione di garanzia di sostentamento da parte di soggetti, individuali o collettivi, operanti in Italia. In tal modo i cittadini extracomunitari residenti all'estero potevano ottenere un permesso di soggiorno in Italia per la ricerca di lavoro. L'art. 34 del regolamento di attuazione del testo unico individuava le modalità applicative della prestazione.
Erano ammessi a prestare garanzia i cittadini italiani o stranieri regolarmente residenti in Italia, ovvero le regioni, gli enti locali, le associazioni professionali e sindacali, nonché gli enti e le associazioni di volontariato. Questi ultimi soggetti dovevano operare nel settore dell'immigrazione da almeno tre anni e possedere i requisiti patrimoniali ed organizzativi individuati dall’art. 52 del regolamento di attuazione.
Per essere ammessi a prestare la garanzia in esame era necessario, nel caso di persone fisiche:
§ essere cittadini italiani o, in caso di cittadinanza straniera, soggiornare regolarmente in Italia con un permesso di soggiorno di durata residua non inferiore ad un anno;
§ avere una capacità economica adeguata;
§ non essere stati denunciati per uno dei reati per i quali è previsto, in caso di flagranza, l’arresto obbligatorio o facoltativo, salvo che il procedimento si fosse concluso con l’esclusione del reato o della responsabilità dell’interessato, ovvero risultasse essere stata applicata nei loro confronti una misura di prevenzione, salvi, in ogni caso, gli effetti della riabilitazione.
La garanzia[160] non poteva essere prestata per più di due stranieri ogni anno e riguardava:
§ l'assicurazione obbligatoria al servizio sanitario nazionale;
§ la disponibilità di un alloggio idoneo;
§ la prestazione di mezzi di sussistenza in misura non inferiore all'importo annuo dell'assegno sociale;
§ il pagamento delle spese di rimpatrio.
I soggetti interessati a prestare garanzia erano tenuti a presentare, entro 60 giorni dalla pubblicazione dei decreti di programmazione dei flussi d’ingresso, domanda alla questura della provincia di residenza, dimostrando di poter assicurare allo straniero alloggio, copertura dei costi di sostentamento e assistenza sanitaria per la durata del permesso di soggiorno.
L'autorizzazione all'ingresso veniva concessa, se sussistevano gli altri requisiti per l'ingresso, nell'ambito delle quote stabilite con i decreti sui flussi di immigrazione e doveva essere utilizzata entro e non oltre sei mesi dalla presentazione della domanda. Essa consentiva di ottenere, previa iscrizione alle liste di collocamento, un permesso di soggiorno, della durata di un anno, a fini di inserimento nel mercato del lavoro.
Trascorso il termine per la presentazione delle domande volte ad ottenere la prestazione di garanzia (60 giorni dalla pubblicazione dei decreti sui flussi), i visti di ingresso per inserimento nel mercato del lavoro erano rilasciati su richiesta dei lavoratori extracomunitari interessati (residenti all'estero) iscritti in apposite liste tenute dalle rappresentanze diplomatiche e consolari italiane, mediante una graduatoria basata sull'anzianità di iscrizione.
Le disposizioni illustrate hanno trovato applicazione nell’art. 4 del D.P.C.M. 8 febbraio 2000, di programmazione dei flussi d'ingresso dei lavoratori extracomunitari per l'anno 2000, il primo emanato ai sensi dell'art. 3, comma 4, del testo unico sull’immigrazione, con cui è stata riservata una quota di ingresso per ricerca di lavoro con il meccanismo dello sponsor a favore di 15.000 persone, nell'ambito della quota massima di 63.000 unità prevista dal decreto.
Analogamente il D.P.C.M. 9 aprile 2001, di programmazione dei flussi di ingresso per l'anno 2001, ha previsto, all’interno della quota massima di 83.000 unità, l'ingresso fino ad un numero massimo di 15.000 persone in applicazione della normativa sullo sponsor.
In sostituzione dei contratti di sponsorizzazione la L. 189/2002 (nuovo art. 23) ha istituito dei titoli di prelazione nel collocamento dei lavoratori stranieri derivanti dall’aver frequentato corsi di istruzione e di formazione professionale organizzati nei Paesi di origine da enti abilitati (si veda in proposito, il commento al numero 1) della lettera a) del disegno di legge).
L’intento della nuova disposizione, secondo la relazione illustrativa, è di permettere modalità di incontro legale tra domanda e offerta di lavoro realistiche ed efficaci, rendendo più conveniente l'ingresso regolare, per consentire, da un lato, allo straniero di entrare in Italia regolarmente per cercare lavoro, con adeguate garanzie di carattere patrimoniale collegate alla permanenza nel territorio, e, dall'altro, al datore di lavoro italiano di conoscere il lavoratore straniero prima di assumerlo.
Le quote di ingressi per ricerca di lavoro devono essere comunque ricomprese nell’ambito di quelle previste a tale scopo dal decreto-flussi.
Per avvalersi della procedura in questione, il lavoratore straniero deve essere iscritto nelle liste di collocamento all’estero o nella banca dati provvisoria delle richieste di ingresso e delle offerte di impiego ed essere in possesso di forme di garanzia patrimoniale sul suo sostentamento e sull’eventuale rimpatrio prestate per lui da uno sponsor-garante, che abbia presentato una richiesta numerica o nominativa in suo favore.
La delega prevede una differenziazione tra la sponsorizzazione pubblica e quella privata, le cui rispettive quote sono individuate separatamente.
Possono assumere il ruolo di sponsor-garante “istituzionale” le regioni, gli enti locali, le associazioni imprenditoriali, professionali, i sindacati e gli istituti di patronato.
La prestazione di garanzia per l'ingresso di lavoratori stranieri è consentita anche a privati cittadini italiani o comunitari ovvero a stranieri titolari di un permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo (numero 11)).
Con il D.Lgs. 8 gennaio 2007, n. 3 è stata recentemente attuata la direttiva 2003/109/CE, abbreviando (da sei a cinque anni) il periodo di minimo di permanenza regolare per l’ottenimento della carta di soggiorno a tempo indeterminato, che ha assunto la denominazione di permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo.
Gli sponsor privati devono essere in possesso di un reddito adeguato a prestare garanzia. Diversamente da quanto previsto per i garanti istituzionali, le richieste avanzate dai privati possono essere soltanto nominative e sono limitate ad un solo ingresso per ciascun anno; qualora il medesimo sponsor,voglia presentarne di nuove per gli anni successivi, deve provare che lo straniero per il quale ha fornito in precedenza garanzia abbia effettivamente instaurato un rapporto di lavoro oppure che abbia lasciato l’Italia.
Con una rilevante innovazione anche rispetto alla disciplina previgente e successivamente abrogata, è prevista infine la possibilità per l’immigrato di fornire egli stesso prova del possesso di adeguate risorse finanziarie al fine di ottenere il permesso di soggiorno per ricerca di lavoro (“autosponsorizzazione”).
Gli organismi pubblici e privati e i singoli cittadini che prestano garanzia come sponsor e gli immigrati stessi che lo fanno con le proprie risorse devono versare un contributo al Fondo nazionale rimpatri, previsto dal numero 1) della lettera g) del comma 1, destinato a finanziare programmi di rimpatrio volontario e assistito (per il quale, vedi infra).
Il contributo al Fondo andrà a sostituire l’impegno al pagamento da parte del datore di lavoro delle spese di viaggio per il rientro del lavoratore nel Paese di provenienza ora richiesto per la stipula del contratto di soggiorno per lavoro dall’art. 5-bis del testo unico.
Il numero 10) enuncia i criteri per la modifica della disciplina per l’ingresso e il soggiorno di particolari categorie di lavoratori in possesso di competenze altamente qualificate, che possono entrare in Italia al di fuori delle quote fissate per i flussi, con l’intento di semplificare le relative procedure ora dettate dall’articolo 27 del testo unico. Gli interessati sono esclusi dall’obbligo di iscrizione nelle liste di collocamento all’estero e nella banca dati interministeriale provvisoria delle richieste di ingresso per lavoro.
La disposizione mira a incentivare l’ingresso in Italia di lavoratori con qualifiche professionali utili in particolari settori considerati cruciali dal punto di vista economico.
Nel citato documento del ministero dell’interno illustrativo della riforma si ipotizza di introdurre un canale privilegiato per l’immigrazione qualificata, con la concessione “veloce” di un permesso di soggiorno aperto della durata massima di cinque anni, oltre ad un regime speciale – da definire con il Ministero degli esteri – in materia di visto, con la possibilità per le imprese multinazionali o per istituzioni come le università di fare da garante per la figura professionale altamente specializzata da impiegare in Italia.
In linea con questo indirizzo, il 10 settembre 2007 il Governo ha presentato alle Camere per il parere lo schema di decreto legislativo attuativo della direttiva 2005/71/CE[161], con cui si semplificano le procedure per l’ingresso e il soggiorno in Italia dei ricercatori stranieri non comunitari. Il provvedimento stabilisce tra l’altro che il ricercatore straniero stipuli con l’istituto di ricerca una convenzione d’accoglienza con cui si impegnano reciprocamente a tener fede ai rispettivi impegni (realizzazione del progetto di ricerca da una parte, accoglienza e sostegno del ricercatore dall’altra) e che costituisce il presupposto per il rilascio del permesso di soggiorno per ricerca scientifica.
L’art. 27 del testo unico e l’art. 40 del regolamento di attuazione regolano i cosiddetti ingressi fuori quota,che riguardano lavoratori appartenenti a specifiche categorie, in possesso di determinati requisiti, i quali possono entrare in Italia indipendentemente dalle quote stabilite ogni anno dai decreti sui flussi, a condizione che ci sia un datore di lavoro che intenda assumerli.
Le categorie che possono usufruire degli ingressi fuori quota sono espressamente indicate dall’art. 27, comma 1; tra queste si ricordano:
§ dirigenti o personale altamente specializzato di società aventi sede o filiali in Italia o di uffici di rappresentanza di società estere che abbiano la sede principale di attività nel territorio di uno Stato membro dell'Organizzazione mondiale del commercio, ovvero dirigenti di sedi principali in Italia di società italiane o di società di altro Stato membro dell'Unione europea;
§ lettori universitari di scambio o di madre lingua;
§ professori universitari e ricercatori destinati a svolgere in Italia un incarico accademico o un'attività retribuita di ricerca presso università, istituti di istruzione e di ricerca operanti in Italia;
§ traduttori e interpreti;
§ persone che, autorizzate a soggiornare per motivi di formazione professionale, svolgano periodi temporanei di addestramento presso datori di lavoro italiani effettuando anche prestazioni che rientrano nell'ambito del lavoro subordinato;
§ lavoratori alle dipendenze di organizzazioni o imprese operanti nel territorio italiano, che siano stati ammessi temporaneamente a domanda del datore di lavoro, per adempiere funzioni o compiti specifici, per un periodo limitato o determinato, tenuti a lasciare l'Italia quando tali compiti o funzioni siano terminati;
§ lavoratori dipendenti regolarmente retribuiti da datori di lavoro, persone fisiche o giuridiche, residenti o aventi sede all'estero e da questi direttamente retribuiti, i quali siano temporaneamente trasferiti dall'estero presso persone fisiche o giuridiche, italiane o straniere, residenti in Italia, al fine di effettuare nel territorio italiano determinate prestazioni oggetto di contratto di appalto stipulato tra le predette persone fisiche o giuridiche residenti o aventi sede in Italia e quelle residenti o aventi sede all'estero;
§ artisti e personale artistico e tecnico per spettacoli
§ stranieri che siano destinati a svolgere qualsiasi tipo di attività sportiva professionistica presso società sportive italiane;
§ giornalisti corrispondenti ufficialmente accreditati in Italia e dipendenti regolarmente retribuiti da organi di stampa quotidiani o periodici, ovvero da emittenti radiofoniche o televisive straniere;
§ persone che, secondo le norme di accordi internazionali in vigore per l'Italia, svolgono in Italia attività di ricerca o un lavoro occasionale nell'ambito di programmi di scambi di giovani o di mobilità di giovani o sono persone collocate “alla pari”;
§ infermieri professionali assunti presso strutture sanitarie pubbliche e private.
§La richiesta di nulla osta al lavoro per l’ingresso al di fuori delle quote può essere presentata in qualsiasi periodo dell'anno.
Le domande per il rilascio del nulla osta al lavoro vanno presentate presso lo Sportello unico per l’immigrazione, secondo le modalità previste in via generale per coloro che intendano assumere lavoratori stranieri dall’art. 30-bis, commi 2 e 3, del regolamento di attuazione.
Per i procedimenti in questione, non è richiesto l’adempimento della preventiva verifica della sussistenza di eventuali richieste presentate da parte di un lavoratore nazionale o comunitario per il medesimo impiego.
Per gli ingresso al di fuori delle quote, il nulla osta al lavoro non può essere concesso per un periodo superiore a quello del rapporto di lavoro a tempo determinato e, comunque, a due anni; la proroga oltre il limite biennale, se prevista, non può superare lo stesso termine di due anni[162]. La validità del nullaosta deve essere espressamente indicata nel provvedimento.
La Conferenza Stato – Regioni ha espresso parere favorevole[163], con il voto contrario delle Regioni Lombardia, Veneto, Molise e Sicilia, sul disegno di legge in esame, condividendo in particolare il potenziamento e la diversificazione dei canali di ingresso regolare, la logica di una progressiva stabilizzazione dei soggiorni, il potenziamento della collaborazione tra Comuni, questure e sportelli unici per l’immigrazione in materia di permessi di soggiorno, il graduale passaggio delle competenze ai Comuni delle competenze sul loro rinnovo, ritenendo necessaria una modifica che chiarisca meglio il ruolo di supporto dei consigli territoriali per l’immigrazione agli Enti titolari di competenze in materia di immigrazione.
La Regione Veneto, nel documento di valutazione del disegno di legge in esame[164], ha espresso rilievi critici in particolare sul meccanismo delle sponsorizzazioni per ricerca di lavoro, che potrebbe vanificare gli sforzi sostenuti dalle amministrazioni locali per promuovere canali di ingresso selezionati di lavoratori stranieri formati nei Paesi di origine e presentare rischi sotto il profilo della legalità, e sulla istituzione generalizzata di liste di collocamento all’estero, sistema ritenuto inadeguato ad offrire garanzia qualitative alle imprese in ordine alle mansioni e qualifiche richieste.
Secondo la Regione Lombardia dal disegno di legge emerge “una netta sottovalutazione del ruolo di programmazione assegnato dalla Costituzione alle Regioni e alle Province autonome”. A titolo esemplificativo nel parere, si richiamano “le procedure di determinazione triennale delle quote di cittadini stranieri, sulle quali le Regioni vengono chiamate solo a fornire indicazioni dei propri ‘fabbisogni’, invece che essere chiamate a co-programmare le quote”.
Il CNEL ha espresso, il 14 settembre 2007, il proprio parere sul documento programmatico sulla politica dell’immigrazione per il triennio 2007 – 2009, in corso di predisposizione.
Riguardo ai provvedimenti varati dal Governo, illustrati nel documento programmatico e già all’esame del Parlamento, il CNEL esprime apprezzamento per gran parte delle soluzioni indicate, in quanto rispondenti ad istanze già prospettate nelle sue pronunce[165]. Con riferimento al disegno di legge in esame, il CNEL condivide la triennalità della programmazione dei flussi, la sua flessibilità, il suo rafforzamento in termini di partecipazione, la sua implementazione con quote selettive di immigrazione qualificata, il suo collegamento funzionale con i Paesi di origine, e con una disciplina dei permessi di soggiorno flessibili rispetto alle diverse esigenze di incontro tra domanda e offerta nel mercato del lavoro e non precari nella durata; per quanto riguarda l’organizzazione amministrativa, la previsione di una maggiore funzionalità dello sportello unico presso le Prefetture, la semplificazione delle procedure, il rafforzamento dell’informatizzazione, la soluzione a regime presso i Comuni.
D’altra parte, il CNEL ritiene necessario un chiarimento sul significato e sulla portata della misura che, nella delega sulla estensione della validità del permesso di soggiorno per attesa occupazione, consente l’assunzione di lavoratore che abbia perso la regolarità del soggiorno, ed esprime riserve sul meccanismo dell’autosponsorizzazione da parte dei lavoratori immigrati.
Per l’efficienza dell’organizzazione amministrativa, secondo il CNEL sarebbe opportuna l’indicazione di modalità e tempi certi per il trasferimento delle competenze sul rinnovo e il rilascio dei permessi di soggiorno agli uffici anagrafici dei Comuni. Evidenzia, infine, il mancato impegno di risorse per potenziare i servizi di rilascio dei visti erogati dagli uffici consolari italiani e i processi di informatizzazione in materia di immigrazione.
Articolo 1, comma
1, lettera b)
(rimesse all’estero)
[…]
b) agevolare l'invio delle rimesse degli stranieri verso i Paesi di origine attraverso:
1) misure finalizzate a incentivare il ricorso a strumenti legali per il trasferimento delle rimesse, promuovendo accordi con le associazioni di categoria al fine di ridurre i costi di trasferimento;
2) misure di cooperazione allo sviluppo volte a valorizzare e a canalizzare le competenze dei migranti e le risorse da loro prodotte ai fini dello sviluppo dei Paesi di origine, nel rispetto della titolarità individuale e privata di tali risorse;
3) misure volte a favorire l'utilizzo delle competenze acquisite dai migranti in Italia ai fini dello sviluppo dei Paesi di origine, in particolare attraverso l'impiego dei cittadini stranieri quali esperti in attività di cooperazione allo sviluppo e l'incentivazione del ritorno produttivo, temporaneo o definitivo, dei migranti nei Paesi di origine, permettendo il mantenimento dello status di soggiornante regolare in Italia nel caso di partecipazione a specifici progetti effettuati in collaborazione con i Ministeri competenti;
[…]
La lettera b), al numero 1), prevede che l’emanando decreto legislativo contenga disposizioni volte ad agevolare l’invio delle rimesse degli stranieri verso i Paesi di origine, incentivando il ricorso a strumenti legali per il trasferimento delle rimesse stesse. Si prevede in particolare la promozione di accordi con le associazioni di categoria allo scopo di ridurre i costi di trasferimento.
I principali canali attualmente utilizzati per il trasferimento delle rimesse possono essere distinti in canali ufficiali e in canali informali.
I canali ufficiali sono costituiti dal sistema bancario, postale e dalle agenzie di money transfer, i quali sono iscritti nell’elenco generale degli intermediari finanziari presso l’Ufficio italiano cambi, ai sensi dell’articolo 106 del D.Lgs. 1° settembre 1993, n. 385 (Testo unico delle legge in materia bancaria e creditizia) e sono soggetti al controllo degli organi di vigilanza (Banca d’Italia e Ufficio italiano cambi), nel rispetto della normativa antiriciclaggio.
Tra i canali informali possiamo citare il trasporto personale del contante, l’invio mediante familiari, amici o corrieri organizzati, o il trasferimento mediante circuiti non bancari, come quello, diffuso nei paesi arabi, denominato hawala[166].
Con riferimento a questi canali, si ricorda che, ai sensi dell’articolo 3 del D.L. 28 giugno 1990, n. 167, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 1990, n. 227, i trasferimenti al seguito ovvero mediante plico postale o equivalente da e verso l'estero, da parte di residenti e non residenti, di denaro, titoli e valori mobiliari in lire o valute estere, di importo superiore a 10.000 euro o al relativo controvalore, devono essere dichiarati all'Ufficio italiano dei cambi (UIC). La violazione di tale obbligo è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria fino al quaranta per cento dell'importo trasferito, o che si tenta di trasferire, eccedente il controvalore di 10.000 euro, con un minimo di lire duecentomila (pari a 103,29 euro).
Le misure relative all’invio delle rimesse degli stranieri, che il Governo è delegato ad emanare secondo quanto disposto dalla lettera b), comma 1, dell’articolo 1 in esame, non riguardano solamente i canali di invio delle rimesse e la riduzione dei costi di trasferimento.
Infatti – allo scopo di favorire lo sviluppo dei Paesi da cui provengono i lavoratori migranti – il numero 2) prevede l’adozione di misure di cooperazione allo sviluppo utili a convogliare sia le competenze acquisite che le risorse da essi prodotte verso i Paesi d’origine; Sempre al medesimo scopo, il numero 3) prevede invece il coinvolgimento dei lavoratori migranti in attività di cooperazione allo sviluppo, anche attraverso la partecipazione a progetti specifici che si svolgano nei Paesi di origine, consentendo in tali casi dunque un rientro temporaneo, senza pregiudizio per lo status di soggiornante regolare in Italia. Il numero 3) incoraggia inoltre il ritorno produttivo, sia temporaneo che definitivo.
L’adozione di tali misure assume un rilievo particolare se si tiene conto che attualmente in molti Paesi in via di sviluppo l’ammontare delle risorse provenienti dalle rimesse degli emigranti supera quello proveniente dagli aiuti internazionali o dalle loro esportazioni e che l’Italia si colloca – nella graduatoria mondiale – al nono posto[167] tra i Paesi dai quali le rimesse provengono.
Le politiche che consentono di collegare il fenomeno migratorio con lo sviluppo dei Paesi di origine sono già da tempo oggetto di sperimentazione a livello territoriale e, da un paio d’anni, sono entrate a far parte dei criteri che informano la politica europea sulla migrazione.
A tale proposito – e rispecchiando il dibattito sempre più vivo a livello internazionale che tende a vedere nei migranti anche dei potenziali fattori di sviluppo per i paesi d'origine attraverso i contributi che essi danno sotto forma di rimesse e di trasferimento di conoscenze – la Commissione europea ha adottato, il 1° settembre 2005, la Comunicazione “Migrazione e sviluppo: orientamenti concreti” [COM (2005)390], che individua nuove iniziative per massimizzare l’impatto della migrazione sullo sviluppo.
Oltre che misure per rendere i trasferimenti monetari meno costosi, la Commissione si propone di incentivare l’investimento delle rimesse in progetti produttivi nei paesi d’origine. Poiché le rimesse sono costituite da denaro privato, esse confluiranno in investimenti produttivi solo se – sottolinea il documento della Commissione – i beneficiari saranno in grado di fare scelte informate e se verranno previsti incentivi adeguati.
La Commissione si propone di esaminare, anche in collaborazione con i paesi interessati e con la BEI, le possibilità di promuovere l’intermediazione finanziaria nei paesi in via di sviluppo, agevolando i partenariati fra istituzioni di microfinanza e le principali istituzioni finanziarie. La Commissione si è espressa in favore di eventuali partenariati con le istituzioni finanziarie internazionali interessate, fra cui la BEI, a condizione che sia possibile raggiungere un accordo preventivo con quelle istituzioni e che queste si assumano la piena responsabilità dell’attuazione operativa della linea di credito o del fondo di garanzia.
Il documento della Commissione pone l’accento sull’importanza delle rimesse collettive, cioè sul denaro che i migranti possono investire, ad esempio attraverso organizzazioni situate nel loro paese di provenienza, in iniziative di carattere filantropico o di interesse comune.
Va inoltre sottolineato che, per incoraggiare i migranti a investire le loro rimesse in progetti di finanziamento di infrastrutture o in attività produttive, molti paesi in via di sviluppo, hanno messo a punto forme di incentivi quali bond governativi o conti di risparmio che offrono interessi molto vantaggiosi.
La Commissione individua poi iniziative per facilitare il coinvolgimento dei membri della diaspora che lo desiderino allo sviluppo dei loro paesi d’origine. Tra di esse: 1) aiutare i paesi in via di sviluppo a localizzare la propria diaspora e a creare legami con questa; 2) aiutare i giovani appartenenti a comunità di migranti a mantenere forme di rapporto con il paese di origine della loro famiglia e incoraggiare il loro impegno nello sviluppo di tali paesi[168]; 3) facilitare l’integrazione dei migranti permettendo loro di sentire allo stesso tempo che la loro identità culturale è riconosciuta e valutata.
La Commissione ritiene che il rientro dei migranti, anche temporaneo, può avere un ruolo utile nel promuovere il trasferimento di competenze al mondo in via di sviluppo, insieme con altre forme di circolazione dei cervelli. La Commissione valuterà le modalità affinché il rientro temporaneo nel paese d’origine non pregiudichi i diritti di soggiorno nell’UE dei membri della diaspora che decidono di impegnarsi in queste attività.
Le politiche dirette a massimizzare l’impatto sullo sviluppo della migrazione temporanea dovrebbero inoltre agevolare la migrazione circolare, dando priorità, per nuovi lavori temporanei, a quei lavoratori che hanno già lavorato secondo questa formula e sono rientrati in patria alla fine del contratto.
Nell’ambito dei programmi di rientro assistito e di sostegno ai paesi d’origine per un efficace reinserimento dei migranti di rientro, la Commissione si propone di valutare la fattibilità di misure come la trasferibilità dei diritti a pensione o il riconoscimento delle qualifiche, nonché di meccanismi per consentire ai ricercatori o ad altri professionisti che abbiano lavorato nell’UE di mantenere contatti con gli ex colleghi per agevolare il rientro volontario.
La Commissione propone anche programmi di rientro virtuale servendosi di programmi di e-learningincentivando la creazione di reti fra ricercatori stranieri che operano nell’UE - specie nei settori di diretto interesse per i paesi in via di sviluppo - e gli istituti di ricerca nei rispettivi paesi d’origine.
Articolo 1, comma
1, lettere c) e d)
(disciplina e procedure di ingresso e soggiorno)
[…]
c) semplificare, nel rispetto dei vincoli derivanti all'Italia dall'adesione agli accordi di Schengen, le procedure per il rilascio del visto per l'ingresso nel territorio nazionale anche attraverso la revisione della documentazione da esibire da parte dello straniero interessato e la previsione dell'obbligo di motivazione del diniego per tutte le tipologie di visto, prevedendo forme di tutela e garanzia per i richiedenti i visti;
d) semplificare le procedure e i requisiti necessari per il rilascio del nulla osta, del permesso di soggiorno e del suo rinnovo, eliminando il contratto di soggiorno, prevedendo sportelli presso i comuni per presentare le richieste di rilascio e di rinnovo del permesso di soggiorno e per il ritiro del documento e, dopo una congrua fase transitoria, il passaggio delle competenze ai comuni per il rinnovo del permesso di soggiorno, adeguando e graduando la durata dei permessi di soggiorno, razionalizzando i relativi procedimenti anche con una riorganizzazione degli sportelli unici per l'immigrazione istituiti presso le prefetture-uffici territoriali del Governo attraverso forme di supporto e di collaborazione alle loro attività da parte degli enti pubblici nazionali, degli enti locali, delle associazioni di datori di lavoro e di lavoratori, nonché delle associazioni di promozione sociale e delle organizzazioni del volontariato e della cooperazione, attraverso:
1) l'allungamento dei termini di validità iniziali dei permessi di soggiorno non stagionali, la cui durata è raddoppiata in sede di rinnovo, con l'unificazione dei termini per la relativa richiesta, prevedendo, in particolare, il rilascio del permesso di soggiorno per una durata pari ad un anno per un rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato di durata inferiore o pari a sei mesi, pari a due anni per un rapporto di lavoro superiore a sei mesi e pari a tre anni per un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato o autonomo;
2) la previsione di misure idonee ad assicurare la continuità degli effetti del soggiorno regolare nelle more del rinnovo del permesso di soggiorno;
3) l'estensione del periodo di validità del permesso di soggiorno per attesa occupazione, in caso di cessazione del rapporto di lavoro, ad un anno, ovvero alla maggiore durata degli istituti previsti dalla normativa vigente in materia di ammortizzatori sociali, ove applicati, con possibilità di un solo rinnovo del medesimo permesso, in presenza di adeguati mezzi di sussistenza, e con la previsione di misure dirette a consentire l'assunzione, su formale iniziativa del datore di lavoro, di uno straniero già titolare di un permesso di soggiorno per lavoro subordinato da almeno diciotto mesi che abbia perso la regolarità del soggiorno a seguito di cessazione del suo ultimo rapporto di lavoro;
4) la revisione dei permessi di soggiorno per motivi umanitari, da rilasciare da parte del prefetto, sentiti il consiglio territoriale per l'immigrazione e il questore, anche a favore dello straniero che dimostri spirito di appartenenza alla comunità civile e non costituisca una minaccia per l'ordine pubblico e per la sicurezza dello Stato, disciplinando ipotesi di riconoscimento del diritto al ricongiungimento familiare a favore del titolare del permesso compatibilmente con la normativa comunitaria;
5) la previsione della possibilità di svolgere attività lavorativa per lo straniero che ha titolo di soggiornare sul territorio nazionale in ragione di disposizioni di legge senza dover dimostrare il possesso di risorse economiche;
[…]
La lettera c) del comma 1 interviene in materia di visti di ingresso allo scopo di semplificare le procedure per il rilascio e la relativa documentazione da presentare. La delega prevede inoltre di introdurre, per i richiedenti dei visti, forme di tutela contro il ritardo nel rilascio e di estendere a tutte le tipologie di visto l’obbligo di motivazione del diniego di rilascio, onere che attualmente non sussiste per i dinieghi per motivi di sicurezza o di ordine pubblico, salvo i casi espressamente indicati (vedi infra).
In proposito si osserva che mentre la relazione illustrativa sembra circoscrivere la previsione di tutele per i richiedenti i visti unicamente ai casi di ritardo nel rilascio, l’articolato, più estensivamente, fa riferimento in modo generico a “forme di tutela e garanzia” per i medesimi soggetti.
In origine, il testo unico prevedeva che tutti i provvedimenti di diniego del visto fossero accompagnati dalla motivazione. La L. 189/2002 ha mantenuto tale obbligo soltanto per i visti per lavoro, ricongiungimento familiare, cure mediche e accesso all’università.
Sebbene ciò non sia espressamente previsto dal testo unico, il provvedimento di diniego di concessione del visto d’ingresso è impugnabile davanti al giudice amministrativo. In questo senso si è orientata la giurisprudenza[169], che lo ha ritenuto tale, in quanto, essendo il visto d’ingresso subordinato, al pari del permesso di soggiorno, alla valutazione della sussistenza di requisiti soggettivi o di condizioni internazionali, la pubblica amministrazione dispiega, nella sua emanazione, una specifica ed ampia discrezionalità, il che esclude la configurabilità, in capo allo straniero, di una posizione di diritto soggettivo al relativo ottenimento.
Dal documento informativo del ministero dell’interno sulla riforma emergono alcune sintetiche indicazioni sulle linee di intervento che probabilmente saranno seguite nell’attuazione di questo criterio direttivo della delega. Secondo il documento governativo, saranno semplificate le richieste presso le sedi consolari. La documentazione da presentare sarà più snella e più facilmente identificabile. Le domande per soggiorni molto brevi avranno una procedura accelerata. Un canale agevolato sarà individuato per i lavoratori altamente qualificati. Alle imprese multinazionali o alle istituzioni come le università sarà data la possibilità di fare da garante per il loro dirigente o per il docente che deve venire a lavorare o insegnare in sedi italiane per periodi limitati.
Il documento ricorda inoltre che in sede europea è allo studio un regolamento che riunisce e razionalizza la vigente normativa comunitaria in materia; per le iniziative in corso in ambito comunitario si rinvia alla relativa sezione del dossier.
Secondo la disciplina vigente, l’ingresso in Italia dei cittadini dei Paesi non appartenenti all’Unione europea è consentito a condizione che essi siano in possesso di passaporto valido (o documento equipollente) e di visto d’ingresso (salvi i casi di esclusione).
Il ministero degli affari esteri definisce le diverse tipologie dei visti d’ingresso e le modalità di concessione[170].
Non sempre è necessario il visto d’ingresso: spetta al Ministero degli esteri redigere l’elenco dei Paesi i cui cittadini sono soggetti ad obbligo di visto, anche in attuazione di specifici accordi internazionali (art. 4, comma 6, T.U.)[171].
Nella competenza del ministero degli esteri rientra anche la procedura di concessione dei visti: le rappresentanze diplomatiche o consolari italiane localizzate nello Stato di origine o di residenza sono competenti alla ricezione delle richieste, al rilascio o al diniego del visto d’ingresso.
Il rilascio del visto di ingressoè subordinato alla presenza di una serie di condizioni: lo straniero deve avere prove idonee a confermare lo scopo e le condizioni del soggiorno, nonché la disponibilità di mezzi di sussistenza sufficienti per la durata di soggiorno. L’entità di tali mezzi sono determinati dal Ministro dell’interno (art. 4, comma 3, T.U.)[172].
La documentazione attestante il possesso di tali requisiti può essere richiesta nuovamente al momento dell’ingresso in Italia, anche se in possesso del visto.
Per quanto riguarda l’immigrazione per lavoro, l’ingresso degli stranieri è limitato e determinato secondo le quote annuali; pertanto, le autorità diplomatiche rilasciano i visti di ingresso entro tali quote (art. 3, comma 4, T.U.) e secondo le modalità definite dal testo unico (artt. 21 e seguenti).
Il testo unico prevede anche la possibilità di rilasciare visti per soggiorni di breve durata validi per non più di novanta giorni (art. 4, co. 4).
Sempre per soggiorni non superiore ai tre mesi i visti rilasciati dalle autorità diplomatiche e consolari di altri Stati, emessi in virtù di specifici accordi, sono equiparati a quelli rilasciati dalle autorità italiane (art. 4, co. 2, T.U.).
Inoltre, il testo unico individua alcune condizioni ostative al rilascio del visto: oltre a coloro che non sono in possesso dei requisiti indicati (mezzi di sussistenza e documenti che confermano lo scopo del soggiorno), non sono ammessi gli stranieri che sono considerati una minaccia per l’ordine pubblico sia da parte dell’Italia, sia di uno degli Paesi dell’area Schengen (art. 4, comma 3, T.U.).
Qualora non sussistano i requisiti previsti per procedere al rilascio del visto, l'autorità diplomatica o consolare comunica il diniego allo straniero in lingua a lui comprensibile, o, in mancanza, in inglese, francese, spagnolo o arabo. In deroga a quanto stabilito dalla legge sulla trasparenza amministrativa (L. 241/1990), il diniego del visto per motivi di sicurezza o di ordine pubblico non deve essere motivato; l’obbligo di motivazione del diniego sussiste quando riguarda le domande di visto presentate per motivi di lavoro, ricongiungimento familiare, cure mediche e accesso all’università (art. 4, comma 2, T.U.)
La lettera d) del comma 1 enuncia i princìpi e criteri direttivi per la semplificazione delle procedure e dei requisiti necessari per il rilascio del nulla osta, del permesso di soggiorno e del suo rinnovo.
Le misure di semplificazione sono volte a ridurre gli oneri burocratici sia delle amministrazioni competenti all'erogazione di tali servizi, sia degli utenti (i lavoratori stranieri e i datori di lavoro).
Il principio di delega prevede in primo luogo la soppressione del contratto di soggiorno.
Il contratto di soggiorno per lavoro (introdotto dalla L. 189/2002) viene stipulato tra il datore di lavoro e il lavoratore presso lo sportello unico per l’immigrazione e costituisce un elemento indispensabile per il rilascio del permesso di soggiorno, unitamente alla garanzia da parte del datore di lavoro della disponibilità di un idoneo alloggio per il lavoratore, e dell’impegno al pagamento da parte del datore di lavoro delle spese di viaggio per il rientro del lavoratore nel Paese di provenienza (artt. 5-bis e 22, del testo unico).
Si riassume di seguito la procedura vigente per l’assunzione di un lavoratore straniero che non risieda già in Italia. Il datore di lavoro (che può essere sia un cittadino italiano, sia uno straniero regolarmente soggiornante) il quale intende instaurare un rapporto di lavoro con uno straniero residente all'estero deve presentare allo sportello unico per l'immigrazione una richiesta nominativa di nulla osta al lavoro, la documentazione sull’alloggio e la proposta di contratto di soggiorno con le relative condizioni e l’impegno al rimborso delle spese di rimpatrio. Se non conosce direttamente lo straniero, il datore di lavoro può richiedere il nulla osta al lavoro di una o più persone iscritte nelle liste di collocamento all’estero in quei Paesi che hanno stretto con l’Italia accordi ufficiali per regolare i flussi di immigrazione e i rimpatri. Lo sportello unico per l’immigrazione, accertata la regolarità delle domande, le trasmette al centro provinciale per l’impiego, che verifica se ci sono lavoratori italiani o comunitari disponibili ad accettare quegli impieghi. In caso negativo, lo sportello unico, sentito il questore per verificare se sussistono motivi ostativi alla richiesta del datore di lavoro o all’ingresso in Italia del lavoratore (quali ad esempio denunce o condanne penali per alcune tipologie di reati), rilascia il nulla osta al lavoro, che viene inviato, su richiesta del datore di lavoro, all’ufficio consolare italiano del Paese di residenza del lavoratore per consentirgli di richiedere il visto. Una volta ottenutolo, il lavoratore può entrare in Italia; entro otto giorni deve recarsi presso lo sportello unico per sottoscrivere il contratto di soggiorno e richiedere il permesso di soggiorno per lavoro. La questura rilascia il permesso di soggiorno dandone comunicazione allo sportello unico che lo consegna al lavoratore.
Sull’inefficacia di questa procedura, che viene elusa da quegli stranieri che iniziano la ricerca di un lavoro soltanto dopo essere entrati in Italia con un visto per motivi diversi da quello per lavoro o clandestinamente, si veda l’intervento del ministro dell’interno Amato nella citata audizione del 27 giugno 2006 presso la Commissione affari costituzionali del Senato.
Nell’ottica dello snellimento delle procedure, il principio di delega prevede il trasferimento ai Comuni delle competenze per la ricezione delle domande per il rilascio e per il rinnovo del permesso di soggiorno e per il suo ritiro. Dopo una prima fase transitoria necessaria per sperimentare le nuove procedure, saranno gradualmente attribuite ai Comuni anche le competenze per il rinnovo del permesso di soggiorno.
Al riguardo la relazione tecnica precisa che l'attività di diretto contatto con l'utente della procedura relativa al rilascio e al rinnovo del permesso di soggiorno, che la disposizione in esame attribuisce ai comuni, è sostanzialmente un’attività di front office per competenze che sono successivamente espletate dagli uffici delle questure. La relazione ipotizza che per assolvere a tale compito, i comuni potranno utilizzare gli sportelli che svolgono altri attività come, ad esempio, quelle anagrafiche, realizzando le necessarie sinergie.
La semplificazione delle procedure relative al permesso di soggiorno è stata oggetto di alcune iniziative adottate in via amministrativa[173].
A partire dal 2006, le domande di rilascio e rinnovo del permesso di soggiorno[174] si possono presentare presso gli uffici postali abilitati, sulla base di una convenzione non onerosa che il ministero dell'interno ha stipulato con la Società Poste italiane Spa[175]. Tutte le spese che sopporta Poste italiane Spa per svolgere i servizi in questione sono interamente coperte da quanto versano gli stranieri interessati (attualmente 30 euro per ciascuna pratica[176]).
Per la compilazione delle domande i cittadini stranieri possono avvalersi dell’assistenza gratuita dei comuni e dei patronati. Alcune amministrazioni comunali hanno attivato i loro sportelli attraverso i quali forniscono informazione, consulenza e assistenza allo straniero per la corretta predisposizione delle domande. La rete di assistenza a livello locale è in via di ulteriore ampliamento con l’adesione al programma di altri comuni[177].
Contestualmente all’avvio della nuova procedura per la presentazione delle domande presso gli uffici postali, il ministero dell’interno e l’ANCI hanno iniziato un programma triennale di sperimentazione finalizzato all’attuazione del processo di trasferimento ai Comuni delle competenze amministrative in materia di immigrazione.
Il programma di sperimentazione coinvolge i comuni di Ancona, Brescia, Firenze, Lecce, Padova, Prato, Ravenna, il consorzio dei comuni di Portogruaro e la Provincia Autonoma di Trento.
Le amministrazioni locali che partecipano al programma triennale di sperimentazione sono state scelte in base ad una serie di criteri, tra cui i principali sono: la collocazione geografica, il numero di stranieri residenti, le buone prassi in atto in termini di innovatività, sostenibilità e riproducibilità, la presenza sul territorio di poli industriali e di sedi universitarie, l’emissione della carta d’identità elettronica[178].
Tale attività sperimentale, secondo la relazione tecnica, sarà progressivamente estesa ad altri comuni, con un affinamento delle procedure, in particolare informatiche, nell’ottica del graduale passaggio ai comuni della competenza al rilascio dei permessi di soggiorno.
Tutto ciò si sta realizzando attraverso risorse finanziarie reperite con i versamenti effettuati dagli utenti interessati alla procedura in questione. Il criterio di delega non comporta, quindi, oneri per i comuni o per lo Stato in quanto i costi delle attività che verranno svolte in adempimento della disposizione in esame saranno interamente coperti da quelle quote che dovranno essere versate dagli utenti dei servizi svolti dai comuni.
La relazione tecnica evidenzia, inoltre, che il sistema sarà attuato progressivamente, come previsto nella disposizione, attraverso una realizzazione in fasi successive, per estendere il numero degli sportelli comunali fino a dare copertura all'intero territorio nazionale.
Per incrementare l’efficienza dell’organizzazione amministrativa, la delega interviene inoltre sugli sportelli unici per l'immigrazione, prevedendone la riorganizzazione, da un lato, attraverso la razionalizzazione dei procedimenti di loro competenza, dall’altro, mediante il supporto e la collaborazione alla loro attività da parte di enti pubblici nazionali, enti locali, associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori, associazioni di promozione sociale, organizzazioni del volontariato e della cooperazione.
Lo sportello unico per l’immigrazione, istituito dalla L. 189/2002 presso ciascuna prefettura – ufficio territoriale del Governo con lo scopo di semplificare le procedure per l’instaurazione del rapporto di lavoro degli immigrati, è, come si è visto, l’organismo che funge da snodo delle attività svolte in materia dalle prefetture, dai centri provinciali per l’impiego e dalle questure. Gli sportelli unici sono divenuti operativi soltanto nel 2005, dopo la modifica del regolamento di attuazione del testo unico (e in particolare dell’art. 30) e l’adozione delle previste direttive dei ministri dell’interno e del lavoro.
Per quanto concerne gli oneri derivanti dalla semplificazione delle procedure e dei requisiti d'ingresso per il rilascio del nulla osta e la riorganizzazione degli sportelli unici per l'immigrazione, la relazione tecnica precisa che le disposizioni di cui alla lettera d) richiedono l'implementazione – relativamente all'hardware e al software – dei sistemi informatici esistenti, la formazione e l'aggiornamento periodico del personale a livello centrale e periferico e la costante manutenzione del sistema stesso.
Il numero 1) della lettera d) estende i termini di validità iniziale dei permessi di soggiorno per lavoro non stagionale, unificando i termini per la relativa richiesta.
La durata del permesso di soggiorno è pertanto fissata a:
§ un anno, per i contratti di lavoro a termine con durata fino a sei mesi;
§ due anni, per i contratti di lavoro a termine con durata superiore a sei mesi;
§ tre anni, per i contratti di lavoro a tempo indeterminato o per il lavoro autonomo.
Attualmente invece la durata del permesso di soggiorno rilasciato per motivi di lavoro è quella prevista dal contratto di soggiorno, cui è strettamente collegata, e comunque non può superare la durata di un anno per un contratto di lavoro subordinato a tempo determinato, di due anni per quello a tempo indeterminato o autonomo (art. 5, comma 3-bis, del testo unico).
Con riferimento alla disciplina dei permessi di soggiorno, la L. 68/2007[179], in attuazione un obbligo dettato dalla normativa comunitaria, ha soppresso i permessi di soggiorno per visite, affari e turismo nel caso in cui la durata del soggiorno sia inferiore a tre mesi. Il permesso di soggiorno è stato sostituito, fermo restando l’obbligo del visto di ingresso, con una dichiarazione di presenza, che va rilasciata all'autorità di frontiera al momento dell'ingresso in Italia, nel caso dello straniero proveniente da Paesi che non applicano l'accordo di Schengen; oppure, nel caso di stranieri provenienti da Paesi dell’area Schengen, con una dichiarazione di presenza da rilasciare al questore della provincia in cui ci si trova, entro otto giorni dall'ingresso.
I nuovi termini, secondo la relazione illustrativa, sembrano più adeguati alla realtà del mondo del lavoro, in cui sono sempre più frequenti i contratti di lavoro di breve durata, suscettibili di ripetuti rinnovi. La riforma intende evitare oneri burocratici per le amministrazioni e inefficienze per il lavoratore e per il datore di lavoro.
La durata del permesso di soggiorno per lavoro, al momento del rinnovo, è raddoppiata rispetto alla validità iniziale. È inoltre prevista l’unificazione dei termini per la richiesta di rinnovo, che la normativa vigente fissa a 90 giorni prima della scadenza per i permessi concessi per la frequenza di corsi di studio o di formazione e a 30 giorni per i restanti casi (art. 5, comma 4, del testo unico).
Il numero 2) della lettera d) prevede l’adozione di disposizioni volte a garantire, al lavoratore straniero che abbia chiesto nei termini previsti il rinnovo del permesso di soggiorno scaduto, la continuità degli effetti della regolarità del soggiorno in attesa del rinnovo.
Con riferimento alla disposizione in esame, si segnala la Direttiva sui diritti dello straniero nelle more del rinnovo del permesso di soggiorno, emanata dal Ministro dell’interno il 5 agosto 2006.
La direttiva, considerato che le norme in materia di immigrazione postulano la continuità del soggiorno regolare, consentendo al cittadino straniero, che ha chiesto il rinnovo del permesso di soggiorno e che attende la definizione del relativo procedimento, di continuare a permanere sul territorio nazionale con pienezza dei connessi diritti, o delle altre posizioni soggettive giuridicamente rilevanti, senza soluzione di continuità, essendo sufficiente la documentazione rilasciata dall’ufficio che attesti l’avvenuta richiesta di rinnovo, stabilisce che il mancato rispetto del termine di venti giorni per la conclusione del procedimento di rinnovo del permesso di soggiorno non incide sulla piena legittimità del soggiorno stesso e sul godimento dei diritti ad esso connessi, qualora:
§ la domanda di rinnovo sia stata presentata prima della scadenza del permesso di soggiorno o entro sessanta giorni dalla scadenza dello stesso;
§ sia stata verificata la completezza della documentazione prescritta a corredo della richiesta di rinnovo;
§ sia stata rilasciata dall’ufficio la ricevuta attestante l’avvenuta presentazione della richiesta di rinnovo.
Gli effetti dei diritti esercitati, nelle more del rinnovo del permesso di soggiorno, cessano solo in caso di mancato rinnovo, revoca o annullamento del permesso in questione.
Il numero 3) della lettera d) estende ad un anno la durata del permesso di soggiorno per attesa occupazione del cittadino straniero che abbia cessato il rapporto di lavoro e sia alla ricerca di una nuova occupazione, con la possibilità di ottenere un unico rinnovo per un altro anno qualora dimostri di avere sufficienti mezzi di sussistenza[180].
Per il lavoratore che usufruisca di misure di sostegno previste dalla normativa in materia di ammortizzatori sociali, il periodo di validità del permesso è adeguato alla durata di tali misure nel caso in cui questa sia superiore a un anno.
La delega prevede, infine, l’introduzione di misure per consentire l'assunzione dello straniero, in possesso di un permesso per lavoro subordinato da almeno diciotto mesi, che abbia perso la regolarità del soggiorno a causa della cessazione del suo ultimo rapporto di impiego.
La normativa vigente stabilisce che la perdita del posto di lavoro non costituisce motivo di revoca del permesso di soggiorno al lavoratore extracomunitario ed ai suoi familiari legalmente soggiornanti. Il lavoratore straniero in possesso del permesso di soggiorno per lavoro subordinato che perde il posto di lavoro, anche per dimissioni, può essere iscritto nelle liste di collocamento per il periodo di residua validità del permesso di soggiorno, e comunque, salvo che si tratti di permesso di soggiorno per lavoro stagionale, per un periodo non inferiore a sei mesi (art. 22, comma 11, del testo unico).
Il 20 agosto 2007 il ministero dell’Interno ha emanato una circolare sul rilascio di un permesso di soggiorno per attesa occupazione a favore dei cittadini stranieri, nel caso siano impossibilitati alla firma del contratto di lavoro per sopravvenuta indisponibilità del datore di lavoro che non ritenga più opportuno procedere all'assunzione. In questo caso, poiché la mancata formalizzazione del rapporto dì lavoro dipende da causa non riconducibile allo straniero, il lavoratore giunto in Italia con regolare visto d’ingresso per lavoro subordinato può richiedere il rilascio di un permesso di soggiorno per attesa occupazione allegando alla domanda una apposita dichiarazione a firma dei responsabile dello sportello unico dell’immigrazione dalla quale risulti il venir meno della disponibilità del datore di lavoro a formalizzare l’assunzione.
La problematica aveva già costituito oggetto della circolare n. 2570 del 7 luglio 2006 limitatamente alle ipotesi di decesso del datore di lavoro o di cessazione della azienda.
Con riferimento al prolungamento della validità del permesso di soggiorno per attesa occupazione, da sei mesi a un anno, la relazione tecnica osserva che l'onere potrebbe essere individuato con riferimento alle maggiori spese del Servizio sanitario nazionale cui sono iscritti i disoccupati stranieri. Il numero di permessi di soggiorno rilasciati per attesa occupazione nel 2006 è stato pari a 3.982 e, pertanto, i soggetti interessati al primo anno di applicazione della nuova normativa possono stimarsi prudenzialmente in 4.000. Prevedendo per gli anni successivi un incremento del 20 per cento annuo fino ad arrivare al terzo anno di applicazione della disposizione, momento in cui c'è la stabilizzazione del numero, atteso che l'incremento è annullato dal numero degli inserimenti lavorativi e delle cessazioni per altri motivi, il numero dei beneficiari è quindi stimato in 5.000, per il secondo anno, e in 6.000, per il terzo.
Il numero 4) della lettera d) prevede una revisione della disciplina del permesso di soggiorno per motivi umanitari, al cui rilascio sarà competente non più il questore ma il prefetto, sentiti il consiglio territoriale per l'immigrazione e il questore. Sarà consentito il rilascio di questo tipo di permesso anche allo straniero che dimostri spirito di appartenenza alla comunità civile e non sia pericoloso per l'ordine pubblico e per la sicurezza dello Stato. E’ infine prevista l’ipotesi di ricongiungimento familiare per il titolare di permesso di soggiorno per motivi umanitari, compatibilmente con i vincoli normativi comunitari.
La relazione tecnica ritiene che l'aumento dei permessi di soggiorno rilasciati sulla base della disposizione è quantificabile in poche decine l'anno, che per stima prudenziale, considerati anche gli eventuali ricongiungimenti, si arrotondano a 100 per anno. Tale numero subirà un progressivo aumento per gli anni successivi fino al terzo anno, momento in cui l'incremento dei permessi umanitari sarà compensato dalla cessazione dei titoli di soggiorno già rilasciati soprattutto in relazione alla possibilità di conversione di tale permesso in quello per lavoro.
Il permesso di soggiorno per motivi umanitari è previsto dall’art. 5, comma 6, del testo unico ed è rilasciato nel caso in cui ricorrano “seri motivi, in particolare di carattere umanitario […]”. Il permesso per motivi umanitari consente lo svolgimento del lavoro subordinato ed autonomo (art. 14, comma 1, del regolamento di attuazione).
Ai titolari è consentito di permanere in Italia riconoscendo loro una particolare situazione oggettiva connessa, sulla base di elementi valutati dalla Commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato, ad una concreta esposizione a rischi per la incolumità personale o per l’esercizio dei diritti fondamentali della persona. Per sua stessa natura, tale situazione, non è riconducibile a quella di un rifugiato[181].
Il numero 5) della lettera d) prevede, per lo straniero che soggiorna in Italia per disposizione di legge senza dover dimostrare il possesso di risorse economiche, la possibilità di svolgere un’attività lavorativa.
Articolo 1, comma
1, lettera e)
(elettorato attivo e passivo)
[…]
e) prevedere, previa ratifica del capitolo C della Convenzione sulla partecipazione degli stranieri alla vita pubblica a livello locale, fatta a Strasburgo il 5 febbraio 1992, l'elettorato attivo e passivo per le elezioni amministrative a favore degli stranieri titolari del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo secondo le modalità di esercizio e le condizioni previste per i cittadini dell'Unione europea;
[…]
La lettera e) introduce tra i princìpi e criteri direttivi l’attribuzione, ad opera dell’emanando decreto legislativo, del diritto di elettorato attivo (diritto di voto) e passivo (eleggibilità) nelle elezioni amministrative ai cittadini di Paesi non appartenenti all’Unione europea residenti in Italia, con le seguenti limitazioni e condizioni:
§ destinatari della disposizione saranno i (soli) stranieri titolari del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo; si ricorda al riguardo che l’art. 9 del testo unico in materia di immigrazione, che disciplina il rilascio e il contenuto del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, attribuisce al titolare (co. 12, lett. d)) il diritto di “partecipare alla vita pubblica locale, con le forme e nei limiti previsti dalla vigente normativa”;
§ i destinatari saranno equiparati, quanto alle condizioni per l’attribuzione del diritto e alle modalità per il suo esercizio, ai cittadini dell'Unione europea, che già dispongono dell’elettorato attivo e passivo nelle elezioni comunali; da tale equiparazione sembra potersi desumere che l’estensione dell’elettorato attivo e passivo agli stranieri extracomunitari concernerebbe, allo stato, le sole elezioni comunali e circoscrizionali, restando esclusa la possibilità per lo straniero di candidarsi alla carica di sindaco;
§ la nuova disciplina potrà essere introdotta nell’ordinamento solo dopo la ratifica del capitolo C della Convenzione di Strasburgo del 1992 sulla partecipazione degli stranieri alla vita pubblica a livello locale[182]; capitolo nel quale le parti contraenti si impegnano a concedere agli stranieri residenti il diritto di elettorato attivo e passivo nelle elezioni locali.
Con riguardo a quest’ultimo punto, sembra da ritenere che l’autorizzazione alla ratifica, pur essendo posta quale condizione per l’esercizio della delega legislativa nella parte de qua, non possa rientrare nel contenuto del decreto legislativo, ma debba formare oggetto di una distinta legge ordinaria; la dizione dell’art. 80 della Costituzione, secondo cui “le Camere autorizzano con legge la ratifica dei trattati internazionali […]” non sembra consentire a tal fine se non il ricorso a una legge approvata dalle due Camere.
Va ricordato, in premessa, che l’articolo 10 della Costituzione prevede, al secondo comma, che la condizione giuridica dello straniero sia regolata dalla legge in conformità alle norme ed ai trattati internazionali. Ai sensi di tale disposizione la condizione giuridica dello straniero risulta tutelata da una riserva di legge così detta “rinforzata”: è infatti previsto che le norme riguardanti lo status dello straniero debbano essere emanate con legge che, a sua volta, deve conformarsi a quanto previsto dalle norme internazionali generali e dai trattati stipulati dall’Italia.
Oltre a tale tutela riguardante il regime delle fonti destinate a disciplinare la condizione giuridica dello straniero, la Costituzione offre peraltro ai cittadini stranieri presenti sul territorio nazionale anche una tutela di carattere sostanziale. La dottrina[183] prevalente ritiene infatti che le disposizioni della Costituzione riguardanti i diritti fondamentali che non si riferiscono esplicitamente ai soli cittadini italiani, ma garantiscono un diritto in via generale “a tutti” o in modo impersonale ed astratto, debbano ritenersi implicitamente applicabili anche agli stranieri.
Questo orientamento dottrinario ritiene, in particolare, che agli stranieri vada comunque riconosciuta una serie di diritti e di libertà che, rientrando nell’ambito delle libertà fondamentali, la dizione letterale del testo costituzionale garantirebbe solo nei confronti dei “cittadini” (ad es. per quanto riguarda la libertà di riunione di cui all’art. 17 Cost.). Si ritiene di conseguenza abrogata o solo parzialmente in vigore, per la parte non in diretto contrasto con le norme costituzionali, la previsione dell’art. 16 delle disposizioni sulla legge in generale premesse al codice civile (c.d. preleggi) a norma della quale “lo straniero è ammesso a godere dei diritti civili attribuiti al cittadino in condizioni di reciprocità”. Ciò si argomenta facendo riferimento al tenore generale delle previsioni costituzionali riguardanti i diritti di libertà e alle disposizioni dei trattati internazionali in materia richiamati dalla stessa Costituzione, in base ai quali la tutela dei diritti fondamentali viene garantita ai singoli con riferimento alla loro condizione generale ed astratta di persona umana, indipendentemente dal requisito del possesso di una determinata nazionalità. Minoritaria rispetto a tale orientamento risulta la tesi di chi ritiene invece non sussistente una tutela diretta dello straniero da parte dei princìpi di libertà enunciati in Costituzione, e pertanto necessario, per il riconoscimento di tali diritti, l’intervento, ex art. 10, secondo comma, Cost., di uno specifico provvedimento legislativo: in caso contrario dovrebbe ritenersi ancora vigente il principio di reciprocità enunciato dalle preleggi.
La giurisprudenza della Corte costituzionale non ha attribuito particolare valore discriminante, ai fini della definizione della situazione giuridica degli stranieri, al tenore letterale delle singole disposizioni costituzionali, ritenendo che il principio di eguaglianza sancito dall’art. 3 Cost. sia pienamente applicabile anche agli stranieri quando si tratti di stabilire la titolarità in capo a tali soggetti dei diritti fondamentali. La Corte ha tuttavia ammesso che la posizione dello straniero possa essere legittimamente differenziata per quanto riguarda le modalità di godimento dei diritti fondamentali.
È quindi ragionevole, a parere della Corte, che la legge disponga, valutata la particolarità della situazione, un trattamento diverso per lo straniero, che non costituisce una illegittima discriminazione ai suoi danni, poiché la riconosciuta eguaglianza di situazioni soggettive nel campo della titolarità dei diritti di libertà non esclude che nelle situazioni concrete possano presentarsi, fra soggetti eguali, differenze di fatto che il legislatore può regolare con una discrezionalità che è limitata unicamente dalla razionalità del suo apprezzamento (sentenze 120/1967, 104/1969, 503/1987).
Per quanto riguarda il principio di reciprocità, la Corte ha stabilito che la sua applicazione a particolari situazioni riguardanti l’esercizio di diritti da parte dello straniero non sia illegittimamente stabilita dalla legge purché ciò non abbia incidenza sul godimento da parte dello straniero delle libertà democratiche il cui esercizio sia a lui impedito nel Paese di appartenenza.
Quanto ai vincoli derivanti dall’adesione a trattati internazionali, si ricorda che la già citata Convenzione sulla partecipazione degli stranieri alla vita pubblica a livello locale fatta a Strasburgo nel 1992 tra i Paesi membri del Consiglio d’Europa (ratificata dall’Italia con legge 8 marzo 1994, n. 203: ma sul punto, vedi infra), garantisce agli stranieri residenti nei Paesi aderenti una serie di diritti civili e politici.
In particolare, con il capitolo A della Convenzione si impegnano le Parti a riconoscere agli stranieri, alle stesse condizioni previste per i cittadini, le libertà di espressione, di riunione e di associazione, ivi compresa quella di costituire sindacati e affiliarsi ad essi, ferme restando le eventuali limitazioni per ragioni attinenti alla sicurezza dello Stato, alla tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica e ad altri casi di particolare rilievo.
A parere della prevalente dottrina, le attuali previsioni costituzionali non consentirebbero tuttavia l’estensione agli stranieri del riconoscimento dei diritti propriamente politici, il cui esercizio deve pertanto intendersi riservato ai soli cittadini italiani. Si tratta in particolare del diritto di elettorato attivo e passivo (art. 48 Cost.[184]), della facoltà di richiedere i referendum previsti dagli art. 75 e 138 della Costituzione, del diritto di rivolgere petizioni alle Camere (art. 50 Cost.), del diritto all’accesso alle cariche elettive ed agli uffici pubblici (art. 51 Cost.[185]).
Una parte della dottrina, peraltro, ha assunto una posizione più articolata distinguendo, all’interno dei diritti politici, quelli direttamente afferenti all’esercizio della sovranità ex art. 1 Cost. – primo fra i quali l’elettorato attivo e passivo alle elezioni politiche – i quali soltanto risulterebbe impossibile estendere ai cittadini stranieri senza un intervento di revisione costituzionale. Secondo questa tesi, per attribuire il voto nelle elezioni locali agli stranieri residenti in Italia sarebbe dunque sufficiente un intervento legislativo ordinario.
Sul piano del diritto positivo, va comunque ricordato che la legge 18 gennaio 1989, n. 9 ha attribuito ai cittadini stranieri appartenenti ai Paesi della Comunità europea il diritto di elettorato passivo per le elezioni dei rappresentanti dell’Italia al Parlamento europeo[186].
Al tempo dell’entrata in vigore di tale disciplina, l’Italia era l’unico tra i Paesi comunitari ad ammettere tale possibilità, che quindi era prevista al di fuori da qualsiasi condizione di reciprocità. Attualmente la possibilità di elettorato attivo e passivo dei cittadini comunitari in qualsiasi Paese dell’Unione in occasione dell’elezione del Parlamento europeo è stabilita per tutti gli Stati membri sulla base del Trattato dell’Unione europea.
Le divergenze interpretative in ordine alle menzionate disposizioni costituzionali hanno sinora indotto l’Italia a non dare applicazione al capitolo C della Convenzione di Strasburgo del 5 febbraio 1992 in materia di partecipazione degli stranieri alla vita pubblica a livello locale. Il capitolo in questione, come si è accennato, impegna le parti a concedere agli stranieri residenti il diritto di elettorato attivo e passivo alle elezioni locali. Il nostro Paese si è al riguardo avvalso della facoltà, prevista dalla stessa Convenzione, di non aderire a tale parte dell’accordo.
L’Italia si è invece impegnata ad applicare, oltre al capitolo A (cui si è fatto cenno in precedenza), anche il capitolo B della Convenzione, che impegna i Paesi aderenti a consentire la creazione di organi consultivi in seno alle collettività locali comprendenti un numero significativo di residenti stranieri, ai quali deve essere data la possibilità di discutere sui problemi di loro interesse per il tramite di rappresentanti eletti o nominati da gruppi associati.
L’articolo 19 (ex art. 8 B), del Trattato che istituisce la Comunità europea prevede che i cittadini dell’Unione residenti in un Paese membro di cui non siano cittadini hanno il diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni comunali ed alle elezioni del Parlamento europeo nello Stato membro di residenza, alle stesse condizioni previste per i cittadini di questo Stato.
La direttiva 94/80/CEE del 19 dicembre 1994ha stabilito le modalità di esercizio del diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni comunali per i cittadini dell’Unione che risiedono in uno Stato membro di cui non hanno la cittadinanza.
La direttiva si pone in diretta attuazione del principio contenuto nel citato art. 19 del Trattato ed è essenzialmente finalizzata a sopprimere la condizione del possesso della cittadinanza, richiesta dalla maggioranza dei Paesi membri per l’esercizio del diritto di voto attivo e passivo alle elezioni municipali, prevedendo a tal proposito che i cittadini comunitari possano esercitare il diritto di voto nei Paesi nell’Unione alle stesse condizioni previste per i cittadini del Paese ospitante anche per quanto concerne la disciplina in materia di età per l’esercizio del diritto di voto, di capacità elettorale, di cumulo dei mandati, di iscrizione nelle liste elettorali, di residenza etc. La direttiva prevede inoltre che lo straniero comunitario eserciti il diritto di voto nel Paese ospitante solo qualora manifesti una esplicita volontà in questo senso e dà facoltà agli stati membri di riservare l’eleggibilità alla carica di sindaco e vicesindaco ai propri cittadini: è precisato infine che gli enti locali italiani cui si applicherà la nuova disciplina sono il comune e la circoscrizione.
La legge 6 febbraio 1996, n. 52 (legge comunitaria 1994) ha delegato, all’art. 11, il Governo ad emanare decreti legislativi volti alla concreta attuazione della direttiva. In attuazione di tale delega è stato emanato il D.Lgs. 197/1996[187], il quale disciplina le modalità per la presentazione al sindaco, da parte dei cittadini di uno Stato membro dell’Unione che intendano partecipare alle elezioni per il rinnovo degli organi del comune e della circoscrizione, della domanda di iscrizione nella lista elettorale aggiunta, istituita presso lo stesso comune, nonché le modalità per la presentazione della propria candidatura a consigliere comunale e circoscrizionale.
L’iscrizione consente l’esercizio del diritto di voto per l’elezione del sindaco, del consiglio del comune e della circoscrizione nelle cui liste sono iscritti, l’eleggibilità a consigliere e l’eventuale nomina a componente della giunta del comune.
È invece esclusa la possibilità per lo straniero comunitario di candidarsi alla carica di sindaco (e di ricoprire la carica di vice sindaco).
Il riconoscimento del diritto di voto degli stranieri non comunitari alle elezioni locali è stato oggetto, in particolare negli ultimi anni, di numerosi interventi da parte di enti locali. Il Governo è peraltro intervenuto in più occasioni annullando le relative delibere a tutela dell’unità dell’ordinamento.
A titolo d’esempio, si ricorda l’iniziativa del comune di Genova che con delibera consiliare ha previsto l’estensione ai cittadini extracomunitari dell’elettorato attivo e passivo alle elezioni comunali e circoscrizionali[188]. Il Governo ha esercitato nei confronti della deliberail potere di annullamento straordinario a tutela dell'unità dell'ordinamento di cui all'art. 138 del testo unico sugli enti locali (D.Lgs. 267/2000) ed all’art. 2, co. 3, lett. p), della L. 400/1988, anche a seguito del parere del Consiglio di Stato che ha riconosciuto la sussistenza dei presupposti per l’annullamento dell’atto[189].
Analoghe iniziative (tradottesi in deliberazioni consiliari o in modifiche statutarie) dei comuni di Ancona, Torino, Calenzano, Ragusa, Firenze, Bassano Romano, Jesi, Acquapendente, e della provincia di Pisa sono state anch’esse annullate dal Governo.
L’attribuzione del diritto di voto nei referendum regionali agli immigrati, è stata invece, ritenuta legittima dalla Corte costituzionale, che ha riconosciuto nell’area delle possibili determinazioni delle Regioni la scelta di coinvolgere in altre forme di consultazione o di partecipazione soggetti che comunque prendano parte consapevolmente e con almeno relativa stabilità alla vita associata, anche a prescindere dalla titolarità del diritto di voto o anche dalla cittadinanza italiana[190].
La Consulta non ha, infine, dichiarato illegittima la facoltà dello statuto regionale di prevedere che “la Regione promuove” l’estensione del diritto di voto, stante il carattere di natura culturale e politica e non certo normativa di enunciazioni statutarie di questo tipo[191].
Nel corso della XIV legislatura la I Commissione della Camera dei deputati ha esaminato congiuntamente otto proposte di legge costituzionale, tutte di iniziativa parlamentare ad eccezione di una di iniziativa regionale, volte a concedere il diritto di voto agli immigrati regolari (A.C. 1464 ed abbinate).
Le proposte di legge, integrando la disciplina recata dall’art. 48 della Costituzione in materia di titolarità e di esercizio del diritto di voto, estendono agli stranieri il diritto di elettorato attivo (e in alcuni casi anche di quello passivo) in via generale, rimettendo alla legge ordinaria l’individuazione di limiti, requisiti e modalità; alcune delle proposte limitano tale estensione al voto amministrativo ed introducono direttamente specifici requisiti soggettivi.
L’iter di modifica costituzionale si è peraltro rivelato alquanto complesso e si è infine fermato alla fase del comitato ristretto[192].
Il D.Lgs. 8 gennaio 2007, n. 3, ha recepito nell’ordinamento la direttiva 2003/109/CE, del 25 novembre 2003, del Consiglio, relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo[193]. In particolare, l’art. 1 del decreto legislativo ha interamente novellato l’art. 9 del testo unico in materia di immigrazione, sostituendo la previsione e la disciplina della carta di soggiorno (recata da quell’articolo) con il nuovo istituto del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo[194].
L’art. 9 del testo unico, nel testo riformulato, prevede come requisiti per il rilascio di tale permesso di soggiorno:
§ il possesso da almeno cinque anni di un permesso di soggiorno in corso di validità;
§ un reddito minimo non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale.
Il permesso di soggiorno può essere richiesto dallo straniero, oltre che per sé, per i familiari dei quali lo straniero può chiedere il ricongiungimento ai sensi dell’art. 29, co. 1, del testo unico[195]. In tal caso sono richiesti i più elevati requisiti di reddito fissati, ai fini del ricongiungimento, dal co. 3, lett. b), del citato art. 29, nonché la disponibilità di un idoneo alloggio.
Non diversamente dalla previgente carta di soggiorno, il permesso di soggiorno è a tempo indeterminato ed è rilasciato entro 90 giorni dalla data della richiesta (co. 2).
Sono fatti salvi i casi (co. 3 e co. 4) in cui il permesso di soggiorno non può essere richiesto (permanenza del personale diplomatico, titolarità di permessi soggiorno per motivi di carattere temporaneo, soggiorno per motivi di carattere umanitario, soggiorno dei rifugiati e dei richiedenti asilo, soggiorno per motivi di studio o di formazione professionale) o rilasciato (stranieri pericolosi per l'ordine pubblico o la sicurezza dello Stato).
I co. 5 e 6 dell’art. 9 definiscono i criteri di computo del periodo di soggiorno; i co. 7, 8 e 9 i casi di revoca e riacquisto del permesso di soggiorno.
Il titolare di permesso di soggiorno CE per i soggiornanti di lungo periodo può essere espulso solo per i motivi, elencati al co. 10, attinenti alla tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza.
Il co. 12 elenca i diritti del soggiornante di lungo periodo:
§ fare ingresso nel territorio nazionale in esenzione di visto e circolare liberamente sul territorio nazionale (salve le limitazioni disposte per esigenze di difesa militare ex art. 6, co. 6);
§ svolgere nel territorio dello Stato ogni attività lavorativa subordinata o autonoma (salvo le eccezioni espressamente disposte dalla legge). Per lo svolgimento di attività di lavoro subordinato non è richiesta la stipula del contratto di soggiorno;
§ usufruire delle prestazioni di assistenza sociale, di previdenza sociale, di quelle relative ad erogazioni in materia sanitaria, scolastica e sociale, di quelle relative all'accesso a beni e servizi a disposizione del pubblico, compreso l'accesso alla procedura per l'ottenimento di alloggi di edilizia residenziale pubblica, “salvo che sia diversamente disposto e sempre che sia dimostrata l'effettiva residenza dello straniero sul territorio nazionale”;
§ partecipare alla vita pubblica locale, con le forme e nei limiti previsti dalla vigente normativa.
Articolo 1, comma
1, lettera f)
(armonizzazione con la disciplina dell’Unione europea)
[…]
f) armonizzare la disciplina dell'ingresso e del soggiorno sul territorio nazionale con la normativa dell'Unione europea anche prevedendo la revisione degli automatismi collegati alla sussistenza di determinati presupposti o all'assenza di cause ostative, con l'introduzione di una più puntuale valutazione di elementi soggettivi;
[…]
La lettera f) del comma 1 introduce tra i princìpi e criteri direttivi l’armonizzazione della disciplina dell'ingresso e del soggiorno degli stranieri con la normativa comunitaria, prevedendo in particolare che, in conformità con quest’ultima, la disciplina delle cause ostative all'ingresso o al soggiorno si fondi su una valutazione degli elementi soggettivi dell’interessato e non sia collegata in modo automatico alla sussistenza di determinati presupposti.
Tale disposizione va letta in collegamento con la norma di chiusura contenuta nel principio di delega di cui alla lettera r) (vedi supra) che autorizza il Governo a coordinare le disposizioni che saranno adottate in attuazione della legge delega in esame con la normativa nazionale e comunitaria vigente in materia.
Con riferimento al principio di delega in questione, la relazione tecnica osserva che l’ordinamento comunitario richiede, al momento dell'ingresso o del rilascio o della revoca del titolo di soggiorno, una valutazione degli elementi soggettivi dello straniero (l'età dell'interessato, l'esistenza o meno di vincoli familiari nel Paese di origine e in Italia, la durata del soggiorno nel territorio nazionale).
Tale principio è stato recentemente recepito nel diritto interno per i soggiornanti di lungo periodo e per i ricongiungimenti familiari a seguito dell’adozione di due decreti legislativi attuativi di direttive comunitarie, che hanno novellato in alcune parti il testo unico sull’immigrazione: il D.Lgs. n. 3/2007[196], concernente i diritti degli stranieri non comunitari soggiornanti di lungo periodo, e il D.Lgs. 5/2007[197], che ha modificato l’istituto del ricongiungimento familiare eliminando alcune condizioni limitative all’esercizio del diritto all’unità familiare.
In particolare, l’articolo 9, comma 4, del testo unico, come sostituito dal D.Lgs. 3/2007, stabilisce che il permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo non può essere rilasciato allo straniero pericoloso per la sicurezza dello Stato e l’ordine pubblico. Un eventuale provvedimento di diniego di rilascio del permesso di soggiorno deve tenere conto dell’inserimento sociale, familiare e lavorativo dello straniero, nonché della durata del soggiorno sul territorio nazionale. Parimenti, nell’adozione del provvedimento di espulsione di un soggiornante di lungo periodo per gravi motivi di ordine pubblico o pericolosità sociale devono essere valutate l’età dello straniero, la durata del soggiorno sul territorio nazionale, le conseguenze dell’espulsione per l’interessato e i suoi familiari, l’esistenza di legami familiari e sociali nel territorio nazionale e l’assenza di tali vincoli con il Paese di origine (articolo 9, comma 11, del testo unico, come sostituito dal D.Lgs. 3/2007).
Il medesimo principio si applica al provvedimento di rifiuto del rilascio, di revoca o di diniego di rinnovo del permesso di soggiorno dello straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare o del familiare ricongiunto; nella sua adozione si tiene conto anche della natura e della effettività dei vincoli familiari dell'interessato e dell'esistenza di legami familiari e sociali con il suo Paese d'origine, nonché, per lo straniero già presente in Italia, anche della durata del suo soggiorno nel medesimo territorio nazionale (articolo 5, comma 5, ultimo periodo, del testo unico, aggiunto dal D.Lgs. 5/2007).
Un ulteriore applicazione del principio si rinviene nel comma 2 dell’articolo 32 dello schema di decreto legislativo di attuazione della direttiva 2005/85/CE sulle procedure per il riconoscimento dello status di rifugiato[198], attualmente all’esame delle Camere. La disposizione stabilisce che il solo fatto che un richiedente asilo provenga da un Paese di origine sicuro, non deve necessariamente determinare il respingimento della sua domanda senza che essa sia stata esaminata dall’organo competente alla luce dei motivi personali invocati dal richiedente per non ritenere sicuro quel Paese nelle circostanze specifiche in cui egli si trova.
Secondo la relazione tecnica, infine, le disposizioni applicative del principio comunitario sono esplicative del principio generale stabilito dall'articolo 5, comma 6, del testo unico, relativo alla valutazione in sede di rifiuto o revoca del permesso di soggiorno dei “seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano”.
La disposizione in esame, conclude la relazione tecnica, è solo chiarificatrice di princìpi giuridici già in vigore e, pertanto, non comporta maggiori oneri né minori entrate rispetto alla disciplina vigente.
Articolo 1, comma
1, lettera g)
(espulsioni e rimpatri)
[…]
g) rendere effettivi i rimpatri, graduando le misure d'intervento, anche al fine di migliorare il contrasto dello sfruttamento dell'immigrazione clandestina, incentivando la collaborazione, a tale fine, dell'immigrato, attraverso:
1) la previsione di programmi di rimpatrio volontario e assistito indirizzati anche a cittadini stranieri non espulsi privi dei necessari mezzi di sussistenza per il rientro nei Paesi di origine o di provenienza, finanziati da un «Fondo nazionale rimpatri», da istituire presso il Ministero dell'interno, alimentato con contributi a carico dei datori di lavoro, degli enti o delle associazioni, dei cittadini che garantiscono l'ingresso degli stranieri e degli stranieri medesimi;
2) la differenziazione della durata del divieto di reingresso per gli stranieri espulsi in considerazione della partecipazione ai programmi di rimpatrio di cui al numero 1), nonché dei motivi dell'espulsione;
3) la rimodulazione delle scelte sanzionatorie correlate alla violazione delle disposizioni in materia di immigrazione mediante la previsione di un meccanismo deterrente graduale, anche con riferimento al tipo di sanzione da irrogare, amministrativa o penale, in relazione alla gravità e alla reiterazione delle violazioni, nonché ai motivi dell'espulsione;
4) la riconduzione, per i casi in cui si preveda il ricorso alla sanzione penale, delle procedure correlate alla violazione delle disposizioni in materia d'immigrazione nell'alveo degli istituti e dei princìpi stabiliti in via generale dai codici penale e di procedura penale;
5) la revisione delle modalità di allontanamento, con sospensione dell'esecuzione per gravi motivi, tenendo conto della natura e della gravità delle violazioni commesse ovvero della pericolosità per l'ordine pubblico e per la sicurezza dello Stato dello straniero espulso;
6) l'attribuzione delle competenze giurisdizionali al giudice ordinario in composizione monocratica;
[…]
La lettera g) del comma 1 reca i princìpi e criteri direttivi in materia di espulsione e rimpatrio degli immigrati clandestini o irregolarmente soggiornanti, prevedendo misure che – come evidenziato anche nella relazione illustrativa del provvedimento – intendono superare le difficoltà evidenziatesi a legislazione vigente nelle procedure di rimpatrio, specialmente in relazione ai problemi connessi all’identificazione degli immigrati[199].
Al riguardo si segnala che nel documento contenente le linee guida per la riforma del testo unico in materia di immigrazione, depositato dal Ministro dell’interno Amato in occasione della sua audizione del 27 settembre 2006 presso la 1a Commissione del Senato si evidenziava che nel nostro Paese, come peraltro negli altri Paesi europei, il principale ostacolo all’effettività dei provvedimenti amministrativi e giudiziari di espulsione è rappresentato dalla difficoltà di identificare con certezza la nazionalità dell’immigrato clandestino o irregolare. L’incertezza sulla nazionalità determina infatti l’impossibilità del rimpatrio, in quanto esso può essere effettuato solo nel Paese di origine dell’immigrato.
La delega individua quale principale strumento per il rafforzamento dell’effettività dei rimpatri la graduazione delle misure di intervento, che dovrebbe incentivare la collaborazione degli stranieri destinatari dei provvedimenti, consentendo altresì il potenziamento dell’azione di contrasto nei confronti dello sfruttamento dell’immigrazione clandestina.
In particolare, il numero 1 della lettera g) prevede l’introduzione – accanto alle misure di contrasto all’immigrazione clandestina previsti a legislazione vigente – di programmi di rimpatrio volontario e assistito degli immigrati, indirizzati non solo agli stranieri destinatari di un provvedimento di espulsione ma anche agli immigrati che siano sprovvisti delle somme necessarie al rientro nel rispettivo Paese di origine o di provenienza. La delega prevede altresì (numero 6) della lettera i) del comma 1 – su cui v. infra) che alle procedure di rimpatrio assistito possano accedere anche gli stranieri che, essendo titolari di un permesso di soggiorno per minore età, al momento del raggiungimento dei 18 anni non siano in possesso dei requisiti per la conversione di tale permesso in un altro permesso di soggiorno.
Al riguardo, si segnala altresì che la “Commissione De Mistura” incaricata dal Ministero dell’interno di effettuare verifiche sulle condizioni di vita nelle strutture destinate al trattenimento e all’assistenza degli immigrati irregolari, nel suo rapporto conclusivo ha sottolineato l’opportunità di introdurre programmi di rimpatrio concordato ed assistito in alternativa al rimpatrio forzato[200]. Il Rapporto, in particolare, evidenzia che il rimpatrio concordato consentirebbe di ridurre il ricorso al trattenimento nei CPTA, in quanto lo straniero che aderisse al programma non sarebbe soggetto a trattenimento, rafforzando al contempo l’effettività dei provvedimenti di espulsione. Per la Commissione i programmi di rimpatrio dovrebbero essere indirizzati in favore di immigrati identificati o che collaborino fattivamente alla propria identificazione e dovrebbero prevedere forme di supporto economico per facilitare il reinserimento lavorativo dello straniero nel proprio Paese di origine.
Come evidenziato anche nella documentazione informativa predisposta dal Ministero dell’interno sul disegno di legge in esame, la previsione di programmi di assistenza al rimpatrio è ispirata alla disciplina prevista a tale riguardo nell’ordinamento francese. Già attorno alla metà degli anni ’80, infatti, in Francia era stato istituito un sistema di aiuti al reinserimento dei lavoratori stranieri nei loro Paesi di origine, che prevedeva in particolare la concessione di sussidi volti da un lato a garantire la disponibilità di risorse per il rimpatrio, dall’altro risorse all’avvio di un’attività economica nel Paese di origine o alla formazione del lavoratore[201].
La materia è attualmente disciplinata dal Codice in materia di immigrazione e di asilo[202], che si occupa dell’ aide au retour volontarie nell’art. L 331-1 della parte legislativa e, per quanto riguarda i lavoratori stranieri, negli articoli D331-1 – D 331-7 della parte regolamentare, che disciplinano l’aide publique à la réinsertion. Gli aiuti al rientro volontario degli stranieri in condizione di irregolarità o di bisogno sono invece stati di recente disciplinati dalla Circulaire interministérielle n. DPM/ACI3/2006/522 del 7 dicembre 2006, che ha inteso stabilizzare le misure di sostegno ai rimpatri volontari previste a partire dal 2004 e potenziate dal settembre 2005.
Gli aiuti previsti per gli stranieri in condizione di irregolarità (aiuti al rimpatrio volontario) o in condizioni di bisogno (aiuti al rimpatrio umanitario) comprendono:
§ un aiuto individuale alla partenza, con particolare riferimento all’espletamento delle formalità amministrative per il rilascio dei documenti necessari al viaggio;
§ il pagamento dei costi di viaggio dal luogo di residenza in Francia alla destinazione di arrivo nel Paese di origine;
§ un contributo finanziario dell’importo di 2.000 euro per ciascun adulto (o di 3.500 euro per ciascuna coppia sposata), di 1.000 euro per ciascun dei primi tre figli minori e di 500 euro per gli ulteriori figli minori; nel caso di stranieri in condizioni di bisogno gli aiuti finanziari sono di 153 euro per gli adulti e di 46 euro per i minori.
§ ove necessarie, misure di accompagnamento ed assistenza sociale nel Paese di origine.
Competente alla gestione dei programmi di aiuto è l’Agenzia nazionale per l’accoglienza agli stranieri e per le migrazioni (ANAEM), che gestisce altresì specifici programmi di reinserimento economico degli immigrati nei rispettivi Paesi di origine, sulla base di progetti previsti in accordi di cooperazione.
Al fine di finanziare tali programmi la delega prevede l’istituzione presso il Ministero dell’interno di un “Fondo nazionale rimpatri”. Come evidenziato anche nella relazione tecnica che accompagna il disegno di legge, la quale non ascrive al criterio direttivo maggiori oneri a carico della finanza pubblica, il Fondo sarà alimentato esclusivamente con risorse private. In primo luogo, infatti, nel Fondo affluiranno specifici contributi versati dai datori di lavoro che chiederanno l’ingresso in Italia dei lavoratori stranieri.
A tale riguardo la relazione tecnica precisa che il contributo al Fondo da parte dei datori di lavoro sostituirà l’impegno da parte degli stessi soggetti al pagamento delle spese di viaggio per il rientro dei lavoratori extracomunitari nel Paese di provenienza, attualmente richiesto dall’art. 5-bis, comma 1, lettera b) del D.Lgs. 286/1998 per la stipula di un contratto di soggiorno per lavoro subordinato[203].
Analoga contribuzione sarà poi richiesta anche agli organismi pubblici e privati ed ai singoli cittadini che abbiano prestato la propria garanzia come sponsor ai fini dell’ingresso nel territorio italiano per la ricerca di un lavoro, nonché all’immigrato stesso. Il contributo dovrebbe, in primo luogo, essere previsto per l’immigrato titolare di un permesso di soggiorno per ricerca di lavoro che si sia “autosponsorizzato”, dimostrando di essere in possesso di risorse finanziarie adeguate (a tale riguardo si segnala infatti che il n. 11 della lettera a) del comma 1 prevede specificamente che nella valutazione dell’adeguatezza delle risorse si debba tener conto anche del contributo al Fondo previsto dal numero 1 della lettera g)). La relazione tecnica evidenza inoltre che modesti contributi di solidarietà potrebbero inoltre essere previsti anche a carico degli stranieri interessati al rilascio e al rinnovo del permesso di soggiorno.
Si segnala, infine, che la relazione tecnica – ma non il dettato normativo della disposizione in esame – rileva che al Fondo potranno anche essere destinate specifiche risorse da parte dell’Unione europea, che sta elaborando innovazioni normative in tale settore.
Al riguardo, si rileva che con la decisione n. 575/2007 del Parlamento europeo e Consiglio, del 23 maggio 2007[204], è stato istituito il Fondo europeo per i rimpatri per il periodo 2008-2013 nell'ambito del programma generale "Solidarietà e gestione dei flussi migratori"
La decisione intende “dotare la Comunità di uno strumento destinato a sostenere ed incoraggiare gli sforzi compiuti dagli Stati membri per migliorare la gestione dei rimpatri in tutte le sue dimensioni, sulla base del principio di una gestione integrata dei rimpatri, al fine di favorire un'applicazione equa ed efficace delle norme comuni in materia di rimpatrio definite nella normativa comunitaria relativa al rimpatrio”[205] e prevede l’istituzione di un Fondo con una dotazione finanziaria di 676 milioni di euro per il periodo tra il 1° gennaio 2008 ed il 31 dicembre 2013 (art. 13 della decisione).
Il Fondo è ripartito tra gli Stati membri in parte in misura uguale (con una maggiorazione della quota spettante ai Paesi che hanno aderito all’Unione a partire dal 2004 e a quelli che aderiranno in futuro) e in parte in misura proporzionale al numero dei cittadini extracomunitari clandestini o irregolari che nel corso dei tre anni precedenti sono stati oggetto di una decisione di rimpatrio e a quello degli stranieri che hanno effettivamente lasciato il territorio dello Stato membro nel corso dei tre anni precedenti, su base volontaria o coattivamente, in ottemperanza ad un ordine di allontanamento amministrativo o giudiziario (art. 14). Il Fondo è destinato, in particolare, a finanziare – nel rispetto dei principi di complementarietà e sussidiarietà – programmi volti a:
§ introdurre una gestione integrata dei rimpatri e migliorarne l'organizzazione e l'attuazione da parte degli Stati membri;
§ rafforzare la cooperazione tra gli Stati membri nel quadro della gestione integrata dei rimpatri;
§ promuovere un'applicazione efficace ed uniforme delle norme comuni concernenti il rimpatrio in conformità all'evoluzione della politica nel settore (art. 3, paragrafo 1).
In questo quadro, si prevede tra l’altro che possano beneficiare dell’azione del Fondo progetti volti ad agevolare i rimpatri volontari di cittadini di paesi terzi, in particolare mediante programmi di rimpatrio volontario assistito, al fine di assicurare l'efficacia e il carattere duraturo dei rimpatri (art. 4, paragrafo 1, lettera c)). La decisione, infatti, evidenzia che gli Stati membri dovrebbero essere incoraggiati a dare la preferenza al rimpatrio volontario, in quanto tale forma di rimpatrio corrisponde tanto all'interesse dei rimpatriati, ai quali assicura condizioni di rimpatrio degne, quanto a quello delle autorità nazionali, in relazione al rapporto costi-efficacia (considerando n. 22).
Al fine di incentivare la collaborazione degli immigrati[206], il numero 2 della lettera g) introduce una misura premiale nei confronti degli immigrati destinatari di provvedimenti di espulsione che abbiano partecipato ai programmi di rimpatrio volontario. Si prevede, infatti, che la durata del divieto di reingresso per gli stranieri espulsi sia differenziata tenendo conto della partecipazione a tali programmi di rimpatrio, oltre che della gravità dei motivi sottesi all’espulsione.
Al riguardo, si ricorda che in base alla legislazione vigente lo straniero destinatario di un provvedimento di espulsione amministrativa non può rientrare in Italia per un periodo che di norma è pari a 10 anni, salva una speciale autorizzazione rilasciata dal Ministro dell’interno. Il decreto di espulsione può tuttavia prevedere un termine più breve, comunque superiore a 5 anni, in relazione alla condotta tenuta dall’immigrato nell’arco della sua permanenza in Italia (art. 13, commi 13 e 14, D.Lgs. 286/1998).
Con riferimento alla previsione di termini più brevi per il divieto di reingresso per gli stranieri che collaborino con i programmi di rientro volontario, si segnala che indicazioni in tal senso erano contenute nel rapporto finale della Commissione De Mistura. La Commissione, in particolare, riteneva che nel caso in cui l’immigrato irregolare si presentasse spontaneamente alle autorità o comunque contribuisse, non appena fermato, alla propria identificazione, il divieto di reingresso potesse avere una durata più breve di quella ordinaria, ipotizzandosi al riguardo un termine di 2 anni. Tale termine non dovrebbe peraltro applicarsi ai c.d. overstayers (immigrati entrati in Italia regolarmente e trattenutisi nel nostro Paese oltre il termine di scadenza del visto o dell’autorizzazione al soggiorno. Per tali soggetti, infatti, il rapporto ritiene infatti non debbano prevedersi limitazioni per il reingresso[207].
Il numero 3 della lettera g),impone, poi, al legislatore delegato di rivedere il sistema sanzionatorio attualmente vigente per le violazioni delle disposizioni in materia di immigrazione.
A tal fine il Governo è tenuto, in particolare, a prevedere un sistema graduale di sanzioni di carattere penale o amministrativo a seconda della gravità e reiterazione della violazione commessa dallo straniero e dei motivi dell'espulsione.
Nel caso in cui si preveda la sanzione penale, il legislatore delegato dovrà, inoltre, disciplinare le relative fattispecie facendo ricorso agli istituti previsti dal vigente codice penale e di procedura penale, superando, quindi, come si legge nella relazione illustrativa del provvedimento in esame, il cosiddetto "diritto speciale" dello straniero (numero 4 lettera g)).
In relazione ai principi direttivi indicati nei precedenti punti 3 e 4 si osserva che la Corte Costituzionale, nella recente sentenza n. 22 del 2007, ha rilevato che il quadro normativo in materia di sanzioni penali per l’illecito ingresso o trattenimento di stranieri nel territorio nazionale, risultante dalle modificazioni che si sono succedute negli ultimi anni, anche per interventi legislativi successivi a pronunce di questa Corte, presenta squilibri, sproporzioni e disarmonie, tali da rendere problematica la verifica di compatibilità con i principi costituzionali di uguaglianza e di proporzionalità della pena e con la finalità rieducativa della stessa.
In particolare, rileva la Corte, mentre l’art. 14, comma 5-ter, Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione prevede la pena della reclusione da uno a quattro anni per il semplice trattenimento indebito nel territorio nazionale, il precedente art. 13, comma 13-bis, prima parte, stabilisce la medesima pena della reclusione da uno a quattro anni per l’indebito reingresso dello straniero già colpito da provvedimento giudiziale di espulsione. Osserva, quindi, la Corte che potrebbero in effetti trovarsi sullo stesso piano lo straniero che si rende responsabile per la prima volta del reato di indebito trattenimento nel territorio nazionale e lo straniero che, dopo essere stato effettivamente estromesso a seguito di uno o più provvedimenti di espulsione (eventualmente collegati a fatti di significato criminoso), si attiva per reiterare una violazione delle vigenti disposizioni in materia, vanificando gli effetti dell’attività giudiziale ed amministrativa culminata con il suo allontanamento.
La valutazione della gravità della infrazione commessa dallo straniero e la sua pericolosità dovranno essere, inoltre, prese in considerazione dal legislatore delegato nel disciplinare i casi in cui l'ordine di allontanamento dello straniero espulso può essere sospeso per gravi motivi (numero 5 lettera g)).
A tale riguardo si segnala che una specifica fattispecie di sospensione dell’espulsione è già prevista dal numero 1) dalla lettera q) per i casi nei quali fondati motivi facciano ritenere che il destinatario del provvedimento di allontanamento sia stato assoggettato nel nostro Paese a forme di violenza o grave sfruttamento (v. infra).
Da ultimo, la competenza giurisdizionale nella materia dovrà essere riportata al giudice ordinario in composizione monocratica (numero 6 lettera g)).
Come si legge nella relazione illustrativa del provvedimento, tale modifica si rende necessaria in considerazione dell'incidenza della normativa in esame sui diritti fondamentali della persona.
Al riguardo, si ricorda che il decreto legge 241/2004, recante “Disposizioni urgenti in materia di immigrazione” ha proceduto ad un radicale intervento sulla fase giurisdizionale prevista per la convalida del provvedimento di accompagnamento e di quello di trattenimento, modificando la disciplina processuale e mutando la competenza dell’autorità giudiziaria, attribuendola al giudice di pace invece che al tribunale in composizione monocratica.
Articolo 1, comma
1, lettera h)
(centri di permanenza temporanea e assistenza)
[…]
h) superare l'attuale sistema dei centri di permanenza temporanea e assistenza, promuovendone e valorizzandone le funzioni di accoglienza, di soccorso e di tutela dell'unità familiare e modificando la disciplina relativa alle strutture di accoglienza, nonché il sistema di trattenimento degli stranieri irregolari, in modo da assicurare comunque sedi e strumenti efficaci per l'assistenza, il soccorso e l'identificazione degli immigrati e il rimpatrio di quanti sono legittimamente espulsi attraverso:
1) la revisione delle caratteristiche strutturali e gestionali delle strutture finalizzate all'accoglienza, al soccorso, con particolare attenzione alla tutela delle esigenze di rispetto e protezione dei nuclei familiari con minori, e all'identificazione degli stranieri presenti irregolarmente sul territorio nazionale e privi di mezzi di sostentamento per il tempo strettamente necessario a tali fini, prevedendo misure di sicurezza strettamente limitate e proporzionate in relazione alle loro finalità, con un congruo orario di uscita per gli stranieri già identificati o anche non identificati, per ragioni a loro non imputabili, dopo un congruo termine per le operazioni d'identificazione, e con l'individuazione di forme di gestione in collaborazione con gli enti locali, le aziende sanitarie locali e le associazioni o le organizzazioni umanitarie, intese ad assicurare un'informazione specifica sulle procedure di asilo, sulla normativa vigente in materia di tratta e di grave sfruttamento del lavoro, nonché sulle modalità di ingresso regolare nel territorio nazionale e sui programmi di rimpatrio volontario e assistito;
2) l'introduzione di procedure amministrative per identificare gli stranieri durante l'esecuzione di misure idonee a incidere sulla libertà personale, finalizzate a escludere la necessità di un successivo trattenimento a tale fine;
3) la previsione di strutture per le espulsioni destinate esclusivamente al trattenimento dei cittadini stranieri da espellere che si sono sottratti all'identificazione, con congrua riduzione del periodo di permanenza, e l'utilizzo delle medesime strutture per il tempo strettamente necessario nei confronti dei cittadini stranieri identificati o che collaborano fattivamente alla loro identificazione, quando non è possibile eseguire con immediatezza l'espulsione con accompagnamento coattivo, con la previsione di forme di gestione delle strutture per le espulsioni anche mediante la collaborazione e la previsione dei servizi di cui al numero 1), nonché la specifica regolamentazione dei diritti fondamentali della persona trattenuta;
4) la revisione della disciplina delle visite ai cittadini stranieri e dell'accesso alle strutture di cui ai numeri 1) e 3), prevedendo in particolare l'accesso dei familiari dei cittadini stranieri regolarmente identificati, del sindaco, del presidente della provincia e del presidente della regione, nei cui territori è collocata la struttura, o di consiglieri o assessori, del responsabile delle associazioni che per finalità statutarie forniscono servizi di orientamento, informazione e tutela per cittadini stranieri, nonché di rappresentanti degli organi di informazione e di stampa, nel rispetto della riservatezza dei cittadini stranieri e senza pregiudizio della funzionalità dei servizi;
[…]
La lettera h) reca i principi e criteri di delega per la riforma del sistema dei centri di trattenimento e di assistenza degli immigrati, prevedendo il superamento dei Centri di permanenza temporanea e assistenza (CPTA) attraverso un potenziamento della loro funzione assistenziale e di soccorso, nonché di tutela dell’unità familiare che non sia tuttavia disgiunto dalla garanzia di procedure e strutture adeguate all’assistenza, all’identificazione e al rimpatrio degli stranieri espulsi.
Il disegno complessivo della riforma, come evidenziato dal dossier informativo sulla riforma elaborato dal Ministero dell’interno nell’aprile 2007[208], intende alleggerire la platea dei soggetti potenzialmente destinati a CPTA, consentendo un progressivo svuotamento del centri stessi, potenziando il ruolo attualmente svolto dai Centri di accoglienza, che dovrebbero rappresentare strutture di assistenza destinate ad ospitare gli immigrati irregolarmente soggiornanti per il tempo strettamente necessario alla loro identificazione e all’individuazione della disciplina giuridica loro applicabile.
Come sottolineato anche nella relazione illustrativa che accompagna il disegno di legge in esame, la riforma proposta tiene conto delle conclusioni della relazione della commissione (denominata “Commissione De Mistura” dal nome del suo presidente), che nel luglio 2006 era stata incaricata dal ministro Amato di condurre un’indagine conoscitiva sulle condizioni di sicurezza e sulla situazione della vivibilità nelle strutture destinante al trattenimento temporaneo e all’assistenza degli immigrati irregolari.
Il Rapporto conclusivo della Commissione propone[209] il riassetto complessivo del vigente sistema del trattenimento sulla base dei seguenti principi:
§ diversificazione della disciplina in relazione alle differenti situazioni da affrontare;
§ gradualità e proporzionalità degli interventi;
§ incentivazione della collaborazione tra immigrato e autorità;
§ maggior coinvolgimento della società nella gestione dell’immigrazione.
In particolare, con riferimento al sistema di trattenimento attualmente vigente la Commissione ritiene necessario “un ‘superamento’ dei CPTA attraverso un processo di svuotamento graduale dei centri di tutte le categorie di persone per le quali non c’è alcuna necessità né utilità del trattenimento”. In corrispondenza di tale superamento, le conclusioni del rapporto della Commissione propongono “il rafforzamento dei CPA[210], per l’accoglienza e il soccorso di immigrati che entrano irregolarmente nel territorio, comunque prevedendo una permanenza breve e strettamente limitata alla definizione delle posizioni giuridiche individuali”.
Più in particolare, il numero 1) della lettera in esame introduce una riforma del sistema delle strutture destinate all’accoglienza e al soccorso degli stranieri in condizione di irregolarità (in base alla formulazione letterale della disposizione, che fa riferimento a “stranieri presenti irregolarmente sul territorio nazionale e privi di mezzi di sostentamento” pare doversi ritenere che essa sia agli stranieri appena sbarcati irregolarmente sia a soggetti che vengano individuati in una fase successiva)[211].
La riforma intende valorizzare – attraverso interventi strutturali e gestionali – la natura assistenziale delle strutture esistenti, che saranno gestite anche grazie alla collaborazione degli enti locali, delle Aziende sanitarie locali e delle associazioni e organizzazioni umanitarie, limitando la permanenza dello straniero nei centri al tempo strettamente necessario alla sua identificazione e agli interventi di accoglienza e soccorso.
Attualmente, in assenza di una definizione normativa dei tempi di trattenimento, si registra una permanenza nei centri compresa tra i 15 giorni e i 2 mesi, con un soggiorno medio di 20-30 giorni[212].
In quest’ottica, si prevede che le misure di sicurezza debbano essere “strettamente limitate” e proporzionate alle finalità dei centri stessi e debbano comunque consentire allo straniero la possibilità di godere di un congruo orario di uscita, qualora sia stato identificato o l’identificazione non sia stata possibile per cause a li non imputabili. In quest’ultimo caso, si richiede tuttavia che sia trascorso un termine adeguato al compimento delle procedure di identificazione.
Vengono in particolare accentuate le funzioni di informazione e di orientamento dei centri prevedendosi che le strutture di accoglienza offrano agli stranieri la possibilità di acquisire conoscenza delle normative italiane che li riguardano, con particolare riferimento alla disciplina del diritto d’asilo, alla legislazione in materia di tratta e sfruttamento del lavoro, alle modalità di ingresso regolare sul territorio italiano e ai programmi di rimpatrio volontario e assistito istituiti dalla lettera g), numero 1) della delega. In questo senso, la riforma prevede che le strutture.
Con riferimento all’evoluzione del sistema dei centri di assistenza, il rapporto De Mistura[213] evidenziava come le strutture di Prima Accoglienza e Soccorso e i Centri di Accoglienza dovessero in particolare:
§ assicurare forme di primo soccorso, assistenza di carattere sanitario[214] ed accoglienza ai cittadini stranieri subito dopo il loro ingresso nel territorio;.
§ effettuare il foto-segnalamento e verifiche circa i precedenti relativi a soggiorni in Italia o in un altro Stato dell’UE; richieste di asilo, eventuali precedenti penali o rilievi in materia di sicurezza;
§ garantire in forma individuale informazioni su diritti, doveri e procedure in materia di immigrazione, con particolare riferimento al diritto di richiedere asilo o altre forme di protezione,
§ prevedere forme specializzate di orientamento dell’immigrato volte ad agevolare l’individuazione da parte dell’immigrato del percorso più adatto alla propria situazione;
§ procedere ai provvedimenti amministrativi necessari a seconda delle circostanze (rilascio del permesso di soggiorno, per richiesta di asilo; avvio delle procedure per il rimpatrio concordato…)
§ fornire l’assistenza per raggiungere strutture di seconda accoglienza o l’assistenza per il rimpatrio concordato.
Il rapporto richiama, in particolare, l’attenzione sull’esigenza di definire con chiarezza la disciplina relativa al trattenimento presso i CPA, definendo in particolare un termine breve di permanenza nei centri (non superiore ai 20 giorni) e comunque nei limiti in cui essa sia strettamente necessario per la definizione delle situazioni giuridiche individuali.
Il rafforzamento dei servizi offerti e l’abbreviamento dei termini massimi di permanenza richiederebbero quindi che i CPA fossero dotati di contingenti delle forze di polizia più consistenti e specializzati; di una presenza fissa del personale sanitario della ASL competente; di operatori qualificati, anche non istituzionali e di più adeguate infrastrutture, anche informatiche.
Con riferimento alle misure adottate a legislazione vigente, in aderenza agli orientamenti espresso dalla Commissione De Mistura, si segnala in particolare, la direttiva del 24 aprile 2007[215] con la quale il Ministero dell’interno ha previsto la promozione di progetti di riqualificazione dei Centri di accoglienza (CDA) finalizzati al miglioramento degli standards di ospitalità attualmente previsti, con particolare attenzione al rispetto dei diritti e della dignità delle persone, nonché alla tutela dell’unità dei nuclei familiari.
Può inoltre ricordarsi che nell’ottica del rinnovamento delle strutture di prima assistenza si colloca la costruzione di un nuovo Centro di accoglienza a Lampedusa, destinato a sostituire quello precedentemente in funzione, istituito nel 1998, e riqualificato nel febbraio 2006 come Centro di soccorso e prima accoglienza. Il nuovo Centro di accoglienza– che, secondo le informazioni fornite dal sito istituzionale del ministero dell’interno, sarà già in linea con i requisiti della riforma contenuta nel disegno di legge in esame - avrà una capienza di 320 posti che in caso di necessità potrà raddoppiare, e sarà dotato di barriere antintrusione al posto del filo spinato.
Il numero 2) della lettera h) interviene invece sulla disciplina dell’identificazione degli stranieri da espellere, stabilendo che – nei casi in cui tali soggetti siano sottoposti a misure limitative della libertà personale – gli accertamenti sulla loro identità siano effettuati durante il periodo di carcerazione, in modo da escludere l’esigenza di realizzarli al momento dell’esecuzione dell’espulsione, che determinerebbe la necessità di un successivo trattenimento a tal fine in un CPTA. Nel dossier illustrativo del disegno di legge in esame, elaborato dal Ministero dell’interno, si sottolinea come la disposizione intenda principalmente interrompere la continuità tra carcere e Centri di trattenimento, che allo stato interessa molti immigrati, evitando che i Centri si traducano in un proseguimento del carcere in altra forma.
Con particolare riferimento alle tematiche connesse all’identificazione degli stranieri detenuti, affrontate dal numero 2 della lettera in esame, il rapporto della Commissione De Mistura evidenziava[216] la problematicità connesse alla presenza di ex detenuti nei CPTA: i detenuti destinatari di provvedimenti di espulsione, infatti, dopo aver scontato la propria pena, sono trasferiti in un centro di permanenza temporanea per poi essere identificati ed espulsi. Tale procedura, oltre a configurare una sorta di prolungamento della pena per gli ex detenuti, comporta – nella ricostruzione della Commissione – rilevanti problemi di affollamento dei centri, deteriorando in particolare le condizioni di sicurezza dei centri e portando ad una forzata convivenza di tali soggetti con categorie assai differenziate di stranieri (irregolari, potenziali vittime dello sfruttamento…).La Commissione De Mistura proponeva, quindi, che gli accertamenti su identità e nazionalità degli stranieri da espellere dovessero avvenire già durante il periodo della carcerazione e che i documenti di viaggio necessari al rimpatrio fossero acquisiti prima della scarcerazione.
Tali indicazioni sono sostanzialmente state recepite – a legislazione vigente - dalla direttiva interministeriale 24 luglio 2007[217] con cui il Ministro dell’interno Amato e il Ministro della giustizia hanno disposto l’introduzione di nuove procedure volte a consentire l’identificazione in carcere dei detenuti extracomunitari da espellere e a rendere più efficiente il sistema dei rimpatri, alleggerendo altresì la pressione sui CPTA, dove attualmente sono indirizzati al momento della scarcerazione gli stranieri da espellere ai fini della loro identificazione. Le nuove procedure previste intendono consentire, attraverso un più stretto raccordo tra le autorità carcerarie e le forze di polizia, il completamento di tutte le pratiche necessarie all’identificazione durante la permanenza in carcere degli extracomunitari. La direttiva interviene altresì sulla fase successiva all’identificazione, prevedendo da un lato un’accelerazione e un potenziamento della fase di acquisizione da parte della Questura del provvedimento di espulsione, del documento valido per l’espatrio e dell’individuazione del vettore per la partenza e dall’altro misure volte ad agevolare l’effettivo rimpatrio, attraverso il trasferimento dei detenuti in penitenziari vicini al luogo di partenza del vettore prescelto ed un maggiore coordinamento tra orario di scarcerazione e partenza.
Il numero 3) – nell’ottica di un utilizzo di carattere residuale degli attuali CPTA –prevede che essi si convertano in strutture destinate alle espulsioni, nelle quali siano trattenuti esclusivamente:
§ gli stranieri da espellere che si siano sottratti all’identificazione, prevedendosi nei loro confronti una “congrua riduzione” del periodo massimo di trattenimento, che – come si è accennato – in base alla legislazione vigente è pari a 30 giorni, prorogabili dal giudice di ulteriori 30 giorni qualora l’accertamento dell’identità o della nazionalità o il reperimento dei documenti per il viaggio sia particolarmente gravoso;
§ i cittadini stranieri identificati o che collaborino in modo fattivo alla propria identificazione, solo nei casi in cui non sia possibile procedere immediatamente all’espulsione con accompagnamento coattivo e per il tempo strettamente necessario a tal fine.
La relazione illustrativa al riguardo evidenzia che per quest’ultima categoria il termine massimo di trattenimento dovrebbe essere ulteriormente ridotto, ma tale precisazione non è espressamente contenuta tra i criteri di delega.
La disposizione in esame prevede inoltre che le strutture per le espulsioni possano essere gestite anche con la collaborazione delle strutture finalizzate all’accoglienza e al soccorso degli immigrati in modo da assicurare anche al loro interno i medesimi servizi, stabilendo altresì l’introduzione di una specifica disciplina dei diritti fondamentali spettanti agli stranieri trattenuti.
A tale ultimo riguardo si ricorda che la disciplina vigente prevede con norma primaria (art. 14, comma 2 D.Lgs. 286/1998) che il trattenimento avvenga con modalità che garantiscano il pieno rispetto della dignità dello straniero, assicurando in ogni caso la liberà di corrispondenza anche telefonica con l’esterno. Le modalità del trattenimento sono ulteriormente specificate dall’art. 21 del regolamento attuativo del testo unico (D.P.R. 394/1999[218])che – fermo restando il divieto di allontanamento dal centro dispone che debbano essere garantiti i diritti fondamentali della persona, con particolare riferimento alla libertà di colloquio con visitatori esterni, con ministri di culto e con l’avvocato difensore e alla libertà di corrispondenza.
Più in generale, con riferimento alle misure previste circa la futura disciplina dei CPT; si segnala che nel rapporto conclusivo della Commissione De Mistura – in attuazione del generale principio di differenziazione degli interventi in relazione alle diverse situazioni riscontrabili – si proponeva[219] di delineare il nuovo sistema, distinguendo la disciplina applicabile agli stranieri “irregolari di ritorno” (c.d. overstayers, vale a dire soggetti titolari di un permesso di soggiorno scaduto che, pertanto, non hanno più titolo per una legale permanenza) e agli stranieri entrati irregolarmente nel territorio italiano che siano già stati identificati o che collaborino fattivamente alla propria identificazione da quella applicabile agli stranieri non identificati che resistano alla propria identificazione[220].
Con riferimento alle prime due categorie di straneri, il rapporto della Commissione propone che – fatta salva la possibilità di aderire ad un programma di rimpatrio concordato – i soggetti da espellere con accompagnamento alla frontiera siano trattenuti nei CPTA esclusivamente nel caso sia necessario acquisire i documenti di viaggio o il vettore non sia immediatamente disponibile, per un periodo di tempo che non dovrebbe essere superiore ai 5 giorni. Per quanto riguarda, invece, gli immigrati non identificati e quelli che resistono all’identificazione, si propone che la permanenza nei CPTA per l’espletamento delle procedure di identificazione ed espulsione sia ridotta entro un termine che no dovrebbe superare i 20 giorni.
La Commissione richiama infine l’esigenza di definire i diritti della persona trattenuta con una norma primaria, sottolineando come essi afferiscano a diritti inviolabili ed incidano in particolare sull’esercizio del diritto di difesa.
Con riferimento ai provvedimenti adottati a legislazione vigente successivamente alla conclusione dei lavori della Commissione De Mistura si segnala in particolare, che con la già ricordata direttiva del 24 aprile 2007 il ministro dell’Interno Amato ha disposto la soppressione dei Centri di permanenza temporanea ed assistenza (CPTA) di Brindisi, Crotone e Ragusa e ha avviato un approfondito studio sulle altre strutture, in vista di ulteriori, eventuali, soppressioni o della riqualificazione, anche in funzione di una diversa missione istituzionale. Tale studio, che terrà conto delle esigenze che verranno segnalate a livello territoriale dai Prefetti, dai Comitati Provinciali per l’Ordine e la Sicurezza Pubblica e dai rappresentanti degli enti territoriali, dedicherà particolare attenzione sarà dedicata alle strutture di Torino, Bologna, Modena e Gradisca d’Isonzo (Gorizia).
Con riferimento al ridimensionamento delle categorie da trattenere nei CPTA, si osserva, infine, che lo schema di decreto legislativo di attuazione della direttiva 2005/85/CE relativa alle procedure per il riconoscimento e la revoca dello status di rifugiato, attualmente all’esame della I Commissione (Schema n. 154, per il quale si rinvia al Dossier Atti del Governo n. 115) prevede che non siano più destinati ai centri di trattenimento, ma ai centri di accoglienza (che prendono il posto degli attuali centri di identificazione) i richiedenti asilo che siano:
§ respinti alla frontiera;
§ destinatari di un provvedimento di espulsione amministrativa per ingresso clandestino e trattenimento nel territorio nazionale senza aver fatto richiesta del permesso di soggiorno.
Con riferimento agli oneri derivanti dal riassetto del sistema dei centri di accoglienza e di trattenimento degli stranieri, la relazione tecnica evidenzia che le disposizioni dei numeri 1 e 3 della lettera h) comportano lavori di adattamento delle strutture governative attualmente in essere, richiedendo altresì un’ottimizzazione dei servizi di assistenza, mediazione culturale ed informazione allo stato offerti. A fronte di tali interventi la relazione tecnica prevede un onere entro il tetto di spesa di 30 milioni di euro per i primi due anni, in relazione alle spese da sostenere per la riqualificazione delle strutture, stimando invece in 10 milioni di euro l’onere a regime, connesso all’innalzamento degli standard di assistenza, ai nuovi servizi assicurati e alla manutenzione delle opere realizzate (per la copertura finanziaria del provvedimento si veda comunque infra il comma 5 dell’articolo 1).
Da ultimo, il numero 4) della lettera in esame prevede una riforma della disciplina vigente in materia di accesso ai centri di permanenza e di assistenza nonché di visite agli stranieri che vi sono trattenuti.
In particolare, si prevede che il decreto delegato debba consentire l’accesso ai centri da parte dei familiari degli stranieri trattenuti che siano già stati identificati, nonché – nei limiti consentiti dal rispetto della privacy dei soggetti interessati e dalla garanzia della funzionalità dei centri stessi – da parte di:
§ rappresentanti degli enti territoriali (sindaco, presidente della provincia, presidente della regione, consiglieri e assessori) nel territorio dei quali è collocata la struttura;
§ responsabili di associazioni che per loro oggetto statutario si occupino di assicurare agli immigrati servizi di orientamento, informazione e tutela;
§ rappresentanti di organi di informazione e di stampa.
Anche con riferimento alla disposizione in esame si segnala che le misure previste riprendono le proposte elaborate dalla Commissione De Mistura in materia di diritti dei soggetti trattenuti[221] e, più ampiamente, quelle in materia di trasparenza dei centri[222]. A tale ultimo riguardo, in particolare, la Commissione evidenziava come l’accesso ai centri da parte di enti ed associazioni distinti dall’ente incaricato della gestione dei centri stessi – oltre a consentire una maggiore trasparenza nella gestione dei servizi – permetterebbe una maggiore specializzazione dei servizi di assistenza e tutela dei diritti garantiti allo straniero. L’accesso ai centri da parte di associazioni che offrano tali servizi dovrebbe – nelle proposte della Commissione – essere escluso solo in presenza di gravi e fondate ragioni connesse alla mancata affidabilità dell’ente, sulle quali dovrebbe decidere il Prefetto entro termini tassativamente indicati.
Si segnala altresì che – anche in questo caso - successivamente alla presentazione del rapporto della Commissione, sono state adottate misure volte a recepire, a legislazione vigente, le indicazioni contenute nel rapporto, consentendo una maggiore accessibilità dei centri di trattenimento degli stranieri irregolari. Con direttiva del 24 aprile 2007[223], infatti, il Ministro dell’interno ha invitato i Prefetti ad assumere nuovi criteri per l’accesso ai Centri, volti a garantire la più ampia trasparenza e conoscenza dell’attività e dei servizi resi. In tale ottica, la direttiva prevede che sia consentito l’accesso in tutti i Centri ai rappresentanti delle organizzazioni umanitarie internazionali e nazionali, come l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) e la Croce Rossa Italiana, nonché a Sindaci, Presidenti di Provincia e Presidenti di Giunta e di Consiglio Regionale. Per i privati che operino in campo sociale, si prevede invece che essi siano ammessi a svolgere specifiche attività di assistenza sulla base di convenzioni con gli enti locali o con i Prefetti. I giornalisti ed i fotocineoperatori possono infine accedere ai Centri sulla base di un’autorizzazione rilasciata dai Prefetti, sentiti gli enti gestori delle strutture interessate.
In questo quadro, il 16 maggio 2007 è stato permesso per la prima volta a giornalisti e fotocineoperatori di visitare il CPTA di Lampedusa.
Si rileva che né la disposizione in esame, né le proposte elaborate dalla Commissione De Mistura e la direttiva del Ministro dell’interno affrontano espressamente la questione dell’accesso ai centri da parte dei parlamentari.
Al riguardo, si segnala che la questione era stata affrontata nello scorcio finale della passata legislatura dalla Giunta delle autorizzazioni della Camera, a seguito di una questione interpretativa posta dall’on. Falanga, che chiedeva al Presidente della Camera una valutazione circa la possibilità di consentire l'accesso ai centri di permanenza temporanea (CPT) ai membri del Parlamento senza preventiva autorizzazione dei responsabili degli stabilimenti. Il Presidente della Camera ha interessato della questione la Giunta per le autorizzazioni, che il 14 dicembre 2005 ha approvato all'unanimità la relazione dell'on. Fanfani sul problema sollevato. Nella relazione[224] sono affrontate essenzialmente due questioni: la prima relativa al merito giuridico della questione posta dall'on. Falanga; e la seconda se in effetti le facoltà di visita attengano davvero alle prerogative parlamentari e rientrino quindi nella competenza della Giunta.
Per quanto riguarda il primo aspetto la relazione riconosce che la visita senza previa autorizzazione ai CPT non sembra essere espressamente prevista dall'ordinamento italiano, a differenza delle visite nella carceri e nei luoghi militari. Inoltre, viene sottolineato che struttura e finalità dei CPT sono diverse sia dagli stabilimenti penitenziari che da quelli militari. La relazione rileva che “in via di provvisoria conclusione, si può però sostenere che – sotto il profilo delle esigenze di controllo e di verifica parlamentare – le analogie tra le carceri e le strutture militari, da un lato, e i CPT dall'altro superino le differenze”.
Relativamente alla seconda questione, la relazione conclude che gli istituti di visita non costituiscono vere e proprie prerogative parlamentari e, pertanto, non trovano una formale sede applicativa nelle procedure parlamentari attivabili da parte della Giunta per le autorizzazioni, né una loro violazione potrebbe consentire di sollevare un conflitto d'attribuzioni innanzi alla Corte costituzionale. si evidenzia tuttavia che le visite possono considerarsi una proiezione legislativa dei principi della libertà e dell'indipendenza del mandato parlamentare e che pertanto sarebbe illegittimo da parte degli organi di Governo intralciarne l'esercizio in modo arbitrario. Tale eventuale illegittimità potrebbe essere oggetto di valutazione da parte della Camera e del suo Presidente, ove di volta in volta segnalata dagli interessati.
Nella lettera con cui la relazione è stata trasmessa al Presidente della Camera[225], il Presidente pro tempore della Giunta evidenziava peraltro “la personale persuasione dell'opportunità di un intervento legislativo volto a introdurre, accanto alle esplicite disposizioni relative alle carceri e alle caserme, una previsione di visita senza autorizzazione anche per i centri di permanenza temporanea”.
Conclusivamente si segnala, con riferimento alla complessiva riforma proposta dei centri di trattenimento degli stranieri extracomunitario, che essa è stata oggetto di positive valutazioni da parte della Conferenza Stato – Regioni, che nel suo parere favorevole[226] sul disegno di legge in esame, approvato con il voto contrario delle Regioni Lombardia, Veneto, Molise e Sicilia, ha dichiarato di condividere il principio del superamento dell’attuale sistema dei Centri di permanenza temporanea in favore di un nuovo assetto improntato al principio di gradualità delle sanzioni, nel quale il ricorso ai CPT assuma un ruolo residuale.
Si rileva peraltro che la Regione Veneto, in un suo documento di valutazione sul disegno di legge in esame[227] con cui illustra le ragioni del suo parere negativo sul progetto, ha evidenziato come la riforma dei centri di permanenza temporanea sia delineata “in modo generico e incerto con misure che non sembrano intese a contemperare in modo equilibrato il rispetto dei diritti umani e della dignità delle persone ospitate e le altrettanto legittime esigenze di sicurezza della collettività nazionale”.
Articolo 1, comma
1, lettera i)
(minori
stranieri)
[…]
i) favorire l'inserimento civile e sociale dei minori stranieri, compresi quelli affidati e sottoposti a tutela, adeguando le disposizioni sul loro soggiorno, attraverso:
1) il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi familiari allo straniero che, al compimento della maggiore età, risulti a carico di uno o di entrambi i genitori o rimanga a carico di colui che era affidatario o tutore, tenuto conto del reddito degli stessi;
2) la conversione, al compimento della maggiore età, del permesso di soggiorno, rilasciato al minore straniero non accompagnato, in altre tipologie di permesso di soggiorno, compresa quella per accesso al lavoro, a condizione che ne sussistano i presupposti e che il minore straniero abbia partecipato a un progetto di accoglienza e tutela gestito da un ente pubblico o privato in possesso di determinati requisiti, con modalità idonee a valutarne l'inserimento sociale e civile da parte del consiglio territoriale per l'immigrazione istituito presso la prefettura-ufficio territoriale del Governo secondo gli indirizzi generali formulati dal Comitato per i minori stranieri di cui al numero 5), al quale sono comunicati i relativi elementi informativi;
3) il rilascio del permesso per protezione sociale anche allo straniero che, avendo commesso reati durante la minore età, abbia concluso positivamente un percorso di reinserimento sociale, nelle forme e nei modi previsti dal codice penale e dalle norme sul processo minorile;
4) l'istituzione presso il Ministero della solidarietà sociale di un «Fondo nazionale di accoglienza e tutela a favore dei minori stranieri non accompagnati» per il finanziamento, anche parziale, dei progetti di cui al numero 2);
5) la riorganizzazione e la revisione della composizione e delle procedure del Comitato per i minori stranieri istituito presso il Ministero della solidarietà sociale, anche con la previsione di una funzione consultiva dei consigli territoriali per l'immigrazione, istituiti presso le prefetture-uffici territoriali del Governo, in ordine allo svolgimento delle attività di competenza del Comitato stesso e di una funzione consultiva del Comitato in ordine all'utilizzo del Fondo di cui al numero 4);
6) la ridefinizione e l'estensione delle procedure di rimpatrio volontario assistito anche ai minori stranieri che, al raggiungimento della maggiore età, non possiedano i requisiti per la conversione del permesso di soggiorno per minore età, con la previsione di un titolo di priorità per l'iscrizione nelle liste di lavoratori stranieri suddivise per nazionalità di cui alla lettera a), numero 5);
7) la previsione che, in caso d'incertezza sulla minore età dello straniero, siano disposti gli opportuni accertamenti medico-sanitari e, ove tali accertamenti non consentano l'esatta determinazione dell'età, si applichino comunque le disposizioni relative ai minori;
8) la previsione della convalida da parte del tribunale per i minorenni del rimpatrio del minore ultraquattordicenne disposto senza il suo consenso o del minore infraquattordicenne;
[…]
Una specifica parte della riforma (lettera i)) è dedicata ai minori stranieri, con l’obiettivo di favorirne l’inserimento civile e sociale “adeguando le disposizioni sul loro soggiorno”.
I criteri previsti intendono pertanto apportare modifiche alla vigente normativa in materia di minori stranieri, con particolare riferimento ai minori stranieri non accompagnati, che risultano essere i soggetti maggiormente bisognosi di protezione, senza tuttavia dimenticare i minori affidati e sottoposti a tutela, adeguando le disposizioni sul loro soggiorno, attraverso norme volte a dare maggiore garanzia della conversione, al raggiungimento della maggiore età, del permesso di soggiorno per minore età in altre tipologie di permesso di soggiorno.
Il numero 1) della lettera i)stabilisce che il minore straniero convivente con cittadino straniero regolarmente soggiornante (affidatario o parente entro il quarto grado), al compimento della maggiore età possa prolungare il permesso di soggiorno per motivi familiari di cui era entrato in possesso al compimento dei 14 anni, sempreché il nucleo familiare convivente possa dimostrare che ciò sia compatibile con il reddito dichiarato.
Il successivo numero 2) regola invece la situazione dei minori stranieri non accompagnati al compimento della maggiore età, sanando la situazione di incertezza introdotta dalle disposizioni contenute nei commi 1-bis e1-ter dell’art. 31 del Testo unico, sulle quali erano intervenute una sentenza della Corte Costituzionale e due decisioni del Consiglio di Stato (si rinvia al paragrafo dedicato ai minorinella scheda di lettura Il quadro normativo). Conformemente a quanto stabilito dalla Consulta e dalle previsioni del Testo unico, la riforma prevede la conversione del permesso di soggiorno rilasciato durante la minore età in altre tipologie di permesso, compresa quella per accesso al lavoro, soltanto a condizione che lo straniero abbia partecipato a un progetto di accoglienza e tutela gestito da un ente pubblico o privato in possesso di determinate caratteristiche: decadono i requisiti temporali dell’ingresso da almeno tre anni e della partecipazione ad un progetto di integrazione da almeno due anni.
L’inserimento sociale e civile – obiettivo del percorso di integrazione pensato e gestito secondo gli indirizzi formulati dal Comitato per i minori stranieri – dovrà quindi essere valutato dal Consiglio territoriale presso la Prefettura-Ufficio del Governo[228]. I progetti di accoglienza e tutela saranno finanziati, anche parzialmente (numero 4)) da un Fondo nazionale di accoglienza e tutela a favore dei minori stranieri non accompagnati istituito presso il Ministero della Solidarietà sociale. L’utilizzo del Fondo, a cui la Relazione tecnica assegna una consistenza entro un limite pari a 40 milioni di euro a decorrere dal 2008, sarà impiegato seguendo gli orientamenti del Comitato dei minori stranieri.
La Conferenza delle Regioni e Province autonome, nel parere sul disegno di legge in esame, esprime forti perplessità circa la necessità di istituzione del Fondo, ricordando ed enumerando le diverse fonti di finanziamento già esistenti che attengono ad interventi in materia di accoglienza e di integrazione sociale degli stranieri. La Conferenza Unificata ritiene che la “frammentazione dei fondi […] non permette alle regioni di esercitare appieno la competenza in materia di integrazione sociale, ed introduce elementi di rigidità nella spesa degli enti locali”, propone quindi la definizione di un Sistema nazionale di interventi con standard minimi comuni che provveda alla ripartizione delle risorse alle regioni. Infine, propone la riunificazione delle diverse fonti di finanziamento in un unico Fondo per l’integrazione sociale dei cittadini stranieri da ripartire, previa intesa presso la Conferenza Unificata, alle regioni contestualmente al riparto annuale del Fondo nazionale politiche sociali.
Il numero 3) ribadisce l’utilizzo di un titolo di soggiorno, il permesso per protezione sociale, già previsto dal co. 6, art. 18 del Testo unico. A tale riguardola relazione tecnica sottolinea che la disposizione intende sottolineare e rendere esplicita “la dichiarazione dell’estinzione del reato per esito positivo del percorso di reinserimento” collegandola al rilascio del permesso per protezione sociale.
A questo proposito, può essere interessante ricordare quanto dichiarato dal sottosegretario alla Giustizia, Daniela Melchiorri[229], in merito a ulteriori misure in corso di definizione a tutela dei minori stranieri non accompagnati, reclusi nelle carceri italiane: la previsione della nomina di un tutore legale e il diritto di accesso alle pene alternative alla reclusione previste a favore dei minori italiani, attualmente precluse ai minori stranieri non accompagnati perché privi di riferimenti familiari e domiciliari. Il sottosegretario ha inoltre sottolineato l’importanza dei percorsi educativi di recupero ma anche la difficoltà di attuarli pienamente per il ristretto numero di figure professionali di tutoring indispensabili ai Tribunali per i minorenni per renderli operativi.
Il numero 5) demanda alle norme delegate la riorganizzazione e la revisione della composizione e delle procedure del Comitato per i minori stranieri (sul quale, vedi il paragrafo dedicato ai minorinella scheda di lettura Il quadro normativo) istituito presso il Ministero della Solidarietà sociale[230], con la previsione diuna funzione consultiva dei Consigli territoriali per l’immigrazione.
I consigli territoriali per l'immigrazione, previsti dall'art. 57 del D.P.R n.394/99 e istituiti a livello provinciale presso le Prefetture, sono presieduti dai prefetti e composti da rappresentanti delle competenti amministrazioni locali dello Stato, della Regione, degli Enti locali, della camera di commercio, degli enti localmente attivi nell'assistenza agli immigrati, delle organizzazioni dei lavoratori, dei datori di lavoro e dei lavoratori extracomunitari, hanno il compito di promuovere interventi finalizzati all'inserimento del migrante a livello provinciale.
Il coinvolgimento dei Consigli territoriali per l’immigrazione nell’attività del Comitato per i minori sembra inserirsi in un progetto di rivalutazione di tali organismi, testimoniato in primo luogo dalla direttiva del Ministro dell’interno 13 febbraio 2007, recante disposizioni sulle modalità per il perseguimento dei fini della Riserva Fondo Lire UNRRA (United Nations Relief and Rehabilitation Administration – Amministrazione delle Nazioni Unite per l’assistenza e la riabilitazione). Per la prima volta, nella procedura finalizzata al conferimento dei contributi risultano coinvolti i Consigli territoriali per l’immigrazione, responsabili degli interventi finalizzati al miglior inserimento dell’immigrato nel contesto sociale. Gli enti pubblici interessati inviano ai Consigli le proposte progettuali, che, se ritenute valide, sono elaborate in progetti che, una volta finanziati, sono realizzati dall’ente proponente[231].
Il numero 6) della lettera i)stabilisce un criterio generale relativo alla “ridefinizione e l’estensione delle procedure di rimpatrio volontario assistito anche ai minori stranieri che al raggiungimento della maggiore età non possiedano i requisiti per la conversione del permesso di soggiorno per minore età”.
Come previsto da Testo unico i beneficiari di programmi di ritorno volontario assistito possono essere generalmente distinti in due grandi gruppi:
§ emergenze umanitarie e asilo: titolari di permesso per protezione umanitaria temporanea e sfollati per emergenze umanitarie, richiedenti asilo, rifugiati, ma anche persone che hanno rinunciato alla domanda di asilo o a cui è stato negato lo status di rifugiato o altra forma di protezione temporanea e, infine, soggetti ex Convenzione di Dublino;
§ vittime di tratta e casi umanitari: gruppi di migranti in stato di vulnerabilità, vittime della tratta, casi umanitari, minori non accompagnati e lavoratori in difficoltà.
Nel caso dei minori, ogni minore straniero non accompagnato deve essere segnalato al Comitato per i minori stranieri, che decide se il minore debba essere rimpatriato ovvero restare in Italia. In attesa di tale decisione, il minore riceve un permesso di soggiorno "per minore età". Il rimpatrio è un provvedimento che il Comitato per i minori stranieri adotta, a seguito di una valutazione specifica del caso in esame, qualora ne ravvisi l’opportunità e la necessità nell’interesse del minore; si configura come l’insieme di misure adottate allo scopo di garantire al minore l’assistenza necessaria fino al ricongiungimento coi propri familiari o al riaffidamento alle autorità responsabili del Paese d’origine.
Ricevuti i risultati delle indagini familiari, le informazioni circa l’inserimento del minore in Italia, e la comunicazione circa l’opinione espressa dal minore, il Comitato per i minori stranieri decide se il minore debba essere rimpatriato o debba invece restare in Italia.
Se il Comitato decide che il minore deve essere rimpatriato, comunica il provvedimento di rimpatrio al Comune, alla Questura, al Tribunale per i minorenni e all’ONG che ha svolto le indagini nel paese d’origine del minore: a questo punto si apre l’esecuzione del provvedimento, se invece valuta che è nell’interesse del minore restare in Italia, il Comitato dispone il “non luogo a provvedere al rimpatrio” e informa l’Autorità Giudiziaria competente per la valutazione dell’eventuale stato di abbandono e per i conseguenti provvedimenti, nonché i servizi sociali del Comune ove il minore dimora per l’eventuale affidamento.
Dal 1991 ai primi mesi del 2006 sono stati 7.223 i casi di rimpatri assistiti degli immigrati nei loro paesi d'origine: i tre quarti (72,7%) hanno beneficiato di programmi speciali di ritorno, legati alle emergenze umanitarie prima nei Balcani (inizio degli anni '90) e poi in Kosovo (inizio del 2000). Dal 2001, anno di istituzione del Piano Nazionale Asilo (PNA, poi divenuto operativamente, dal dicembre 2003, Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati, SPRAR), al settembre 2006 si sono aggiunti altri 797 casi riguardanti: richiedenti asilo, rifugiati, titolari di protezione temporanea, minori non accompagnati, pari a circa l'11,0% del totale. Il restante 16,3% dei casi ha riguardato 458 vittime di tratta (6,3%), e alcuni altri casi umanitari.
I costi del ritorno volontario assistito possono variare tra i 2.000 e i 5.000 euro a beneficiario, a seconda degli obiettivi del progetto, del paese di ritorno e delle caratteristiche del beneficiario. Nel caso delle vittime della tratta, infatti, i costi possono essere maggiori, essendo il percorso di reinserimento più complesso[232].
Nel 2006 il Comitato per i minori ha disposto 8 provvedimenti di rimpatrio assistito[233].
I minori stranieri rimpatriati, al rientro nel paese d’origine, usufruiranno di un titolo di priorità relativamente all’iscrizione nelle liste di lavoratori stranieri di cui alla lettera a), numero 5) di questo provvedimento.
Il criterio illustrato, come evidenziato dalla Relazione tecnica, non comporta oneri specifici, in quanto i programmi di ritorno volontario ed assistito saranno a carico del Fondo nazionale rimpatri, previsto dalla lettera g), numero 1) di questo provvedimento, da istituire presso il Ministero dell’interno, alimentato con contributi a carico dei datori di lavoro, degli enti, associazioni o cittadini che garantiscono per l’ingresso dello straniero e dai contributi a carico dello straniero.
Il numero 7) della lettera i)introduce un criterio generale da applicarsi nei casi d’incertezza sulla minore età dello straniero, con la previsione degli opportuni accertamenti sanitari per determinarne l’età e con l’applicazione, in caso di dubbio, del principio del favor minoris, ribadito più volte nella sezione del provvedimento in esame dedicata ai minori stranieri, ai quali, anche in esecuzione delle prescrizioni contenute nelle convenzioni internazionali in materia di tutela dei diritti dell'infanzia, si riserva particolare attenzione in considerazione della vulnerabilità della loro condizione. Lo stesso trattamento in materia di accertamento dell'età del minore è peraltro previsto dall’art. 8, co. 2, del D.P.R. 448/1988[234], che stabilisce che “qualora, anche dopo la perizia, permangono dubbi sull'età del minore, questa è presunta ad ogni effetto”.
Il provvedimento in esame presenta alcune analogie con la normativa vigente in materia, recentemente aggiornata dalla circolare del Ministero dell’interno del 9 luglio del 2007 n. 17272/07, in cui viene ribadito il principio del favor minoris unitamente alla necessità di appurare l'età del presunto minore, utilizzando tutti gli accertamenti individuati dalla legislazione in materia, quali ad esempio il ricorso a strutture sanitarie dotate di reparti pediatrici.
Ai sensi del criterio direttivo indicato al numero 8) della lettera i)il legislatore delegato, dovrà espressamente prevedere la convalida da parte del Tribunale dei minori del rimpatrio delminore disposto senza il suo consenso (cfr. quadro normativo).
I Tribunali per i Minorenni sono stati costituiti nel 1934 (RDL 20/7/1934 n.1404) affinché i minorenni che avessero commesso dei reati, venissero giudicati da un organo specializzato, a composizione mista, formato cioè da giudici professionali (c.d. togati) e da cittadini esperti in scienze umane (c.d. giudici onorari). Successivamente a questi Tribunali fu attribuita anche una competenza civile, che nel corso del tempo è andata via ampliandosi, sino a ricomprendere di fatto quasi tutti i procedimenti giurisdizionali in cui siano coinvolti gli interessi di soggetti minori di età. Il Tribunale è composto da giudici togati e giudici onorari. Questi ultimi vengono scelti tra i cittadini benemeriti dell’attività sociale, cultori di biologia, di psichiatria, di antropologia criminale, di pedagogia, di pediatria, di psicologia e sociologia che abbiano compiuto il trentesimo anno. Ogni decisione del tribunale viene adottata da un collegio che è presieduto da un magistrato togato con funzioni di Presidente, cui si affiancano un altro giudice togato e due giudici onorari (un uomo ed una donna).
Articolo 1, comma
1, lettere da l) a p)
(integrazione sociale)
[…]
l) favorire il pieno inserimento dei cittadini stranieri legalmente soggiornanti mediante:
1) l'aggiornamento delle disposizioni relative al diritto-dovere d'iscrizione al Servizio sanitario nazionale in relazione alle nuove tipologie di permesso di soggiorno e la razionalizzazione delle competenze in materia di assistenza sanitaria dei cittadini stranieri, con l'obiettivo di realizzare una piena inclusione nel sistema sanitario nazionale;
2) l'equiparazione ai cittadini italiani degli stranieri regolarmente soggiornanti da almeno due anni e dei minori iscritti nel loro permesso di soggiorno ai fini dell'accesso alle provvidenze di assistenza sociale, incluse quelle che costituiscono diritti soggettivi in base alla legislazione vigente in materia di servizi sociali, ad eccezione dell'assegno sociale qualora non derivante dalla conversione del trattamento d'invalidità in godimento;
m) consentire interventi di carattere straordinario e temporaneo di accoglienza da parte degli enti locali per fronteggiare situazioni di emergenza;
n) aggiornare le disposizioni relative alla composizione e alle funzioni della Consulta per i problemi degli stranieri immigrati e delle loro famiglie anche in relazione alla sua collocazione presso il Ministero della solidarietà sociale e alla presidenza del Ministro della solidarietà sociale o di persona da lui delegata;
o) potenziare le misure dirette all'integrazione dei migranti, concepita come inclusione, interazione e scambio e non come coabitazione tra comunità separate, con particolare riguardo ai problemi delle seconde generazioni e delle donne anche attraverso la definizione della figura e delle funzioni dei mediatori culturali;
p) prevedere ulteriori fonti di finanziamento del Fondo per l'inclusione sociale degli immigrati, istituito ai sensi dell'articolo 1, comma 1267, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, tra i quali contributi volontari dei datori di lavoro e contributi, donazioni o cofinanziamenti disposti da privati, enti, organismi anche internazionali e dall'Unione europea;
[…]
Le lettere l), m), n), o) e p) recano princìpi e criteri direttivi con riguardo al tema dell’integrazione sociale dei cittadini stranieri legalmente soggiornanti.
In particolare, la lettera l), numero 1), prevede l'aggiornamento delle disposizioni relative al diritto-dovere d'iscrizione al Servizio sanitario nazionale in relazione alle nuove tipologie di permesso di soggiorno e la razionalizzazione delle competenze in materia di assistenza sanitaria dei cittadini stranieri, con l'obiettivo di realizzare una piena inclusione nel sistema sanitario nazionale.
L’articolo 34 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero)reca le disposizioni riguardanti l’assistenza per gli stranieri iscritti al Servizio sanitario nazionale.
In particolare, il comma 1 prevede che hanno l'obbligo di iscrizione al servizio sanitario nazionale e hanno parità di trattamento e piena uguaglianza di diritti e doveri rispetto ai cittadini italiani per quanto attiene all'obbligo contributivo, all'assistenza erogata in Italia dal servizio sanitario nazionale e alla sua validità temporale:
§ gli stranieri regolarmente soggiornanti che abbiano in corso regolari attività di lavoro subordinato o di lavoro autonomo o siano iscritti nelle liste di collocamento;
§ gli stranieri regolarmente soggiornanti o che abbiano chiesto il rinnovo del titolo di soggiorno, per lavoro subordinato, per lavoro autonomo, per motivi familiari, per asilo politico, per asilo umanitario, per richiesta di asilo, per attesa adozione, per affidamento, per acquisto della cittadinanza.
Il comma 2 prevede, altresì, che l'assistenza sanitaria spetta ai familiari a carico regolarmente soggiornanti. Nelle more dell'iscrizione al servizio sanitario nazionale, ai minori figli di stranieri iscritti al servizio sanitario nazionale è assicurato fin dalla nascita il medesimo trattamento dei minori iscritti.
Il comma 3 dispone che lo straniero regolarmente soggiornante, non incluso tra le categorie indicate nei suddetti commi 1 e 2 è tenuto ad assicurarsi contro il rischio di malattie, infortunio e maternità mediante stipula di apposita polizza assicurativa con un istituto assicurativo italiano o straniero, valida sul territorio nazionale, ovvero mediante iscrizione al servizio sanitario nazionale valida anche per i familiari a carico. Per l'iscrizione al servizio sanitario nazionale deve essere corrisposto a titolo di partecipazione alle spese un contributo annuale, di importo percentuale pari a quello previsto per i cittadini italiani, sul reddito complessivo conseguito nell'anno precedente in Italia e all'estero. L'ammontare del contributo è determinato con decreto del Ministro della salute e non può essere inferiore al contributo minimo previsto dalle norme vigenti.
Il comma 4 prevede che l'iscrizione volontaria al servizio sanitario nazionale può essere altresì richiesta:
§ dagli stranieri soggiornanti in Italia titolari di permesso di soggiorno per motivi di studio;
§ dagli stranieri regolarmente soggiornanti collocati alla pari, ai sensi dell'accordo europeo sul collocamento alla pari, adottato a Strasburgo il 24 novembre 1969, ratificato e reso esecutivo ai sensi della legge 18 maggio 1973, n. 304.
Il comma 5 prevede che i soggetti di cui al suddetto comma 4 sono tenuti a corrispondere per l'iscrizione al servizio sanitario nazionale, a titolo di partecipazione alla spesa, un contributo annuale forfettario. Il comma 6 stabilisce che tale contributo non è valido per i familiari a carico.
Il comma 7 stabilisce che lo straniero assicurato al servizio sanitario nazionale è iscritto nella azienda sanitaria locale del comune in cui dimora.
L’articolo 35 del D.Lgs. 286/1998 concerne l’assistenza sanitaria per gli stranieri non iscritti al Servizio sanitario nazionale.
In particolare, il comma 1 dispone che per le prestazioni sanitarie erogate ai cittadini stranieri non iscritti al servizio sanitario nazionale devono essere corrisposte, dai soggetti tenuti al pagamento di tali prestazioni, le tariffe determinate dalle regioni[235].
Il comma 2 prevede che restano salve le norme che disciplinano l'assistenza sanitaria ai cittadini stranieri in Italia in base a trattati e accordi internazionali bilaterali o multilaterali di reciprocità sottoscritti dall'Italia.
Il comma 3 dispone che ai cittadini stranieri presenti sul territorio nazionale, non in regola con le norme relative all'ingresso ed al soggiorno, sono assicurate, nei presìdi pubblici ed accreditati, le cure ambulatoriali ed ospedaliere urgenti o comunque essenziali, ancorché continuative, per malattia ed infortunio e sono estesi i programmi di medicina preventiva a salvaguardia della salute individuale e collettiva. Sono, tra l’altro, garantiti:
§ la tutela sociale della gravidanza e della maternità, a parità di trattamento con le cittadine italiane[236];
§ la tutela della salute del minore in esecuzione della Convenzione sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989;
§ le vaccinazioni secondo la normativa e nell'ambito di interventi di campagne di prevenzione collettiva autorizzati dalle regioni;
§ gli interventi di profilassi internazionale;
§ la profilassi, la diagnosi e la cura delle malattie infettive.
Il comma 4 stabilisce che le suddette prestazioni sono erogate senza oneri a carico dei richiedenti, qualora privi di risorse economiche, fatte salve le quote di partecipazione alla spesa a parità con i cittadini italiani.
Il comma 5 dispone che l'accesso alle strutture sanitarie da parte dello straniero non in regola con le norme sul soggiorno non può comportare alcun tipo di segnalazione all'autorità, salvo i casi in cui sia obbligatorio il referto, a parità di condizioni con il cittadino italiano.
Il comma 6 prevede che, fermo restando il finanziamento delle prestazioni ospedaliere urgenti o comunque essenziali a carico del Ministero dell'interno, agli oneri recati dalle rimanenti prestazioni contemplate nel suddetto comma 3, nei confronti degli stranieri privi di risorse economiche sufficienti, si provvede nell'ambito delle disponibilità del Fondo sanitario nazionale, con corrispondente riduzione dei programmi riferiti agli interventi di emergenza.
Il numero 2) della lettera l) stabilisce l'equiparazione ai cittadini italiani degli stranieri regolarmente soggiornanti da almeno due anni e dei minori iscritti nel loro permesso di soggiorno, ai fini dell'accesso alle provvidenze di assistenza sociale, incluse quelle che costituiscono diritti soggettivi in base alla legislazione vigente, ad eccezione dell'assegno sociale qualora non derivante dalla conversione del trattamento d'invalidità in godimento;
L’articolo 41 del citato D.Lgs. 286/1998 reca norme riguardanti l’assistenza sociale.
In particolare, il comma 1 dispone che gli stranieri titolari della carta di soggiorno (oggi: permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo: v. infra) o di permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno (nonché i minori iscritti nella loro carta di soggiorno o nel loro permesso di soggiorno) sono equiparati ai cittadini italiani ai fini della fruizione delle provvidenze e delle prestazioni economiche e di assistenza sociale, incluse quelle previste per coloro che sono affetti da morbo di Hansen o da tubercolosi, per i sordomuti, per i ciechi civili, per gli invalidi civili e per gli indigenti.
Il comma 19 dell’articolo 80 della legge 23 dicembre 2000 n. 388 (legge finanziaria 2001), dispone, altresì, che ai sensi del citato articolo 41 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, l'assegno sociale e le provvidenze economiche che costituiscono diritti soggettivi in base alla legislazione vigente sono concessi agli stranieri che siano titolari di carta di soggiorno; per le altre prestazioni e servizi sociali, l'equiparazione con i cittadini italiani è attuata in favore degli stranieri che siano almeno titolari di permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno. Sono fatte salve le disposizioni previste dal decreto legislativo 18 giugno 1998, n. 237 (Disciplina dell'introduzione in via sperimentale, in talune aree, dell'istituto del reddito minimo di inserimento, a norma dell'articolo 59, commi 47 e 48, della legge 27 dicembre 1997, n. 449)[237] e dagli articoli 65 (Assegno ai nuclei familiari con almeno tre figli minori) e 66 (assegno di maternità) della legge 23 dicembre 1998, n. 448.
L’articolo 9 del citato decreto legislativo n. 286 del 1998, prevede tra l’altro che lo straniero in possesso, da almeno cinque anni, di un permesso di soggiorno in corso di validità, che dimostra la disponibilità di un reddito non inferiore all'importo annuo dell'assegno sociale e, nel caso di richiesta relativa ai familiari, di un reddito sufficiente secondo i parametri indicati e di un alloggio idoneo che rientri nei parametri minimi previsti dalla legge regionale per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica ovvero che sia fornito dei requisiti di idoneità igienico-sanitaria accertati dall'Azienda unità sanitaria locale competente per territorio, può chiedere al questore il rilascio del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, per sè e per i familiari. Il comma 12, lettera c, del medesimo articolo 9 stabilisce, tra l’altro, che, oltre a quanto previsto per lo straniero regolarmente soggiornante nel territorio dello Stato, il titolare del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo può : usufruire delle prestazioni di assistenza sociale, di previdenza sociale, di quelle relative ad erogazioni in materia sanitaria, scolastica e sociale, di quelle relative all'accesso a beni e servizi a disposizione del pubblico, compreso l'accesso alla procedura per l'ottenimento di alloggi di edilizia residenziale pubblica, salvo che sia diversamente disposto e sempre che sia dimostrata l'effettiva residenza dello straniero sul territorio nazionale.
Si ricorda altresì che la normativa vigente prevede, unitamente ai trattamenti previdenziali che presuppongono l’esistenza di un rapporto lavorativo, anche una serie di prestazioni di natura assistenziale.
Hanno diritto alle provvidenze per invalidità civile coloro che hanno la cittadinanza comunitaria con residenza in Italia o quella di un paese extracomunitario con carta di soggiorno, in possesso dei requisiti prescritti.
In particolare, sono numerosi i benefici economici assistenziali previsti, nel rispetto di talune condizioni, in favore degli invalidi civili (pensione di inabilità o assegno di invalidità, indennità di frequenza, indennità di accompagnamento), dei ciechi civili assoluti e parziali (pensione, indennità speciali e di accompagnamento) e dei sordomuti (assegno mensile, indennità di comunicazione).
Dal 1° gennaio 2001, tali benefici sono concessi dalle Regioni in esito a procedimenti, avviati su istanza dell'interessato o dei familiari, per la verifica dei requisiti sanitari (sussistenza e grado della disabilità) e degli altri presupposti previsti dalla legge (anagrafiche, reddituali).
Di seguito si riportano alcuni dei principali benefici di carattere economico previsti per le diverse categorie[238]:
§ Pensione di invalidità civile[239], pari ad un importo per il 2007 di 242,84 euro per 13 mensilità;
§ Assegno mensile di assistenza[240], pari ad un importo per il 2007 di 242,84 euro per 13 mensilità;
§ Indennità di accompagnamento[241], pari ad un importo per il 2007 di 455,42 euro per 12 mensilità;
§ Indennità di frequenza[242], pari ad un importo per il 2007 di 242,84 euro per 13 mensilità;
§ Pensione di cecità[243], pari ad un importo per il 2007 di 262,62 euro per 13 mensilità;
§ Pensione per sordomuti[244], pari ad un importo per il 2007 di 242,84 euro per 13 mensilità;
§ Assegno ai nuclei familiari con almeno tre figli minori[245], pari ad un importo mensile per il 2007 di 122,80 euro;
§ Assegno di maternità[246], pari ad un importo mensile per il 2007 di 294,52 euro
In sostituzione della pensione di inabilità per mutilati e invalidi civili o dell’assegno mensile di assistenza, in precedenza richiamati, i mutilati e invalidi civili, dal primo giorno del mese successivo al compimento dell'età di 65 anni, su comunicazione delle competenti Prefetture, sono ammessi al godimento della pensione sociale a carico del fondo per la pensione sociale, di cui all'articolo 26 della legge 30 aprile 1969, n. 153[247].
Si ricorda, inoltre, che l’articolo 3, comma 6, della legge 8 agosto 1995, n. 335, ha introdotto l’istituto dell’assegno sociale, prestazione di natura assistenziale che a decorrere dal 1° gennaio 1996 ha sostituito la pensione sociale, che continua comunque ad essere erogata a coloro che, avendone i requisiti, ne hanno fatto domanda entro il 31 dicembre 1995.
L’assegno sociale è riservato ai cittadini italiani che abbiano 65 anni di età, siano residenti in Italia ed abbiano un reddito pari a zero o di importo comunque inferiore ai limiti stabiliti annualmente dalla legge. Se il soggetto interessato è coniugato si tiene conto anche del reddito del coniuge.
L'importo dell'assegno viene stabilito anno per anno ed è esente da imposta. Per l'anno 2007, l'importo mensile dell'assegno è di 389,36 euro, per un importo annuo pari a 5.061,68 euro (389,36 x 13). I limiti di reddito sono di 5.061,68 euro se il richiedente non è coniugato e di 10.123,36 euro annui (cioè 5.061,68 x 2) se il richiedente è coniugato.
L'assegno sociale non è reversibile e non viene corrisposto se l'interessato si trasferisce all'estero.
Come già detto, l’assegno sociale spetta anche ai mutilati ed invalidi civili, totali e parziali, ed ai sordomuti che compiano 65 anni di età, in sostituzione delle specifiche prestazioni loro corrisposte fino a tale età. I ciechi civili, invece, continuano a percepire anche dopo il 65° anno di età il trattamento economico cui hanno diritto; tuttavia, poiché questo è d’importo inferiore al limite di reddito stabilito per il diritto all’assegno sociale, in assenza di altri redditi i ciechi civili possono ottenere una quota integrativa di assegno sociale.
La relazione tecnica al provvedimento in esame precisa che l’onere finanziario previsto per le suindicate provvidenze è ripartito nel seguente modo:
(valori in milioni di euro)
|
2008 |
2009 |
2010 |
2011 |
2012 |
Assegni di maternità |
31 |
31 |
32 |
32 |
33 |
Assegno per il nucleo familiare numeroso (con almeno tre figli minori) |
8 |
8 |
8 |
8 |
9 |
Pensione di invalidità civile |
33 |
67 |
102 |
104 |
106 |
Indennità di accompagnamento |
19 |
38 |
58 |
59 |
59 |
Totale costi |
91 |
144 |
200 |
203 |
207 |
Sembra opportuno verificare se i criteri recati dal comma 1, lettera l), numero 2), relativi all’equiparazione degli stranieri soggiornanti da almeno due anni ai fini dell’accesso alle provvidenze di assistenza sociale, non siano suscettibili di determinare, in alcune ipotesi, una restrizione dei requisiti di accesso a benefici già riconosciuti dalla legislazione vigente per tali categorie di stranieri.
La lettera m) fissa il principio generale dal quale discenderanno le norme di delega in grado di consentire ed assicurare lo svolgimento di interventi di accoglienza di carattere temporaneo e straordinario da parte degli enti locali per fronteggiare situazioni di emergenza.
Come brevemente ricordato nel documento contenente le osservazioni della Conferenza unificata sul disegno di legge delega in esame, “seppur gli aspetti dell’immigrazione più strettamente legati ad esigenze di certezza di status sull’intero territorio nazionale come l’ingresso e il soggiorno, gli accordi internazionali di cooperazione riguardanti la condizione giuridica dello straniero, il rilascio dei visti di ingresso e la regolazione dei flussi migratori, i provvedimenti di allontanamento dello straniero, l’accoglienza dei richiedenti asilo ecc., restino di competenza esclusiva statale, si ribadisce la competenza regionale concorrente o esclusiva in materie di forte impatto sulla vita dei migranti, tra le quali i servizi sociali, l’edilizia residenziale pubblica, la formazione professionale, l’accesso al lavoro, l’accesso alle professioni”.
Il testo unico sull’immigrazione consente di far fronte a emergenze umanitarie causate da eventi eccezionali. In tali circostanze è possibile per il Governo determinare con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri gli interventi di protezione temporanea necessari per accogliere in maniera tempestiva e adeguata le popolazioni sfollate che dovessero raggiungere in massa il territorio italiano (art. 20, D.Lgs. 286/1998).
Tali interventi erano finanziati attraverso il Fondo nazionale politiche migratorie previsto dall’art. 45 del Testo unico, costituito soprattutto per finanziare le misure di integrazione sociale a favore degli immigrati; in particolare il Fondo era mirato al finanziamento di corsi di lingua italiana, a progetti di educazione interculturale e per l'accesso all'alloggio e alle misure di accoglienza dovute a eventi straordinari. Il Fondo era ampiamente regionalizzato: il 20% era cioè gestito dall'Amministrazione centrale e il resto veniva ripartito tra le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano. Fino al 2002 la Direzione Generale dell'immigrazione presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha utilizzato la quota di propria spettanza per cofinanziare iniziative sperimentali e progetti pilota in un'ottica tendente a individuare buone pratiche e a promuovere la diffusione e la realizzazione di politiche di integrazione soprattutto a livello locale. Nel 2002 il Fondo è confluito nel Fondo nazionale per le politiche sociali che, con decreto del ministro della solidarietà sociale viene ripartito annualmente, tra le Regioni, senza vincolo di destinazione.
Infine, la L. 296/2006 (Legge finanziaria 2007) al comma 1262 prevede l’istituzione di un Fondo presso il Ministero dell’interno di 3 milioni di euro a partire dal 2007 per fare fronte alle spese connesse agli interventi in materia di immigrazione e di asilo e alle emergenze legate ai flussi migratori.
La lettera n) prevede l’aggiornamento delle disposizioni relative alla composizione e alle funzioni della Consulta per i problemi degli stranieri immigrati e delle loro famiglie, anche in relazione alla sua collocazione presso il Ministero della solidarietà sociale e alla presidenza del Ministro della solidarietà sociale.
Il comma 4 dell’articolo 42 del citato D.Lgs. 286/1998 istituisce ai fini dell'acquisizione delle osservazioni degli enti e delle associazioni nazionali maggiormente attivi nell'assistenza e nell'integrazione degli immigrati, e del collegamento con i Consigli territoriali, nonché dell'esame delle problematiche relative alla condizione degli stranieri immigrati, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, la Consulta per i problemi degli stranieri immigrati e delle loro famiglie, presieduta dal Presidente del Consiglio e di cui fanno parte:
§ rappresentanti delle associazioni e degli enti presenti nel CNEL e rappresentanti delle associazioni che svolgono attività particolarmente significative nel settore dell'immigrazione in numero non inferiore a dieci;
§ rappresentanti degli stranieri extracomunitari designati dalle associazioni più rappresentative operanti in Italia, in numero non inferiore a sei;
§ rappresentanti designati dalle confederazioni sindacali nazionali dei lavoratori, in numero non inferiore a quattro;
§ rappresentanti designati dalle organizzazioni sindacali nazionali dei datori di lavoro dei diversi settori economici, in numero non inferiore a tre;
§ otto esperti designati rispettivamente dai Ministri del lavoro e della previdenza sociale, della pubblica istruzione, dell'interno, della giustizia, degli affari esteri, dell’economia e dai Dipartimenti della solidarietà sociale e delle pari opportunità;
§ otto rappresentanti delle autonomie locali, di cui due designati dalle regioni, uno dall'Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI), uno dall'Unione delle province italiane (UPI) e quattro dalla Conferenza unificata;
§ due rappresentanti del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro (CNEL);
§ esperti dei problemi dell'immigrazione in numero non superiore a dieci.
Si ricorda che con il decreto-legge 8 maggio 2006, n. 181 (Disposizioni urgenti in materia di riordino delle attribuzioni della Presidenza del Consiglio dei Ministri e dei Ministeri), convertito con modificazioni dalla legge 17 luglio 2006, n. 233, è stata modificata per più aspetti l’organizzazione del Governo e, tra l’altro, è stato istituito il Ministero della solidarietà sociale (articolo 1, comma 1), al quale sono state attribuite (articolo 1, comma 6) le competenze in materia di politiche sociali (e di assistenza) e di vigilanza dei flussi di entrata dei lavoratori immigrati, competenze precedentemente spettanti al Ministero del lavoro e delle politiche sociali la cui denominazione è conseguentemente stata sostituita da quella di Ministero del lavoro e della previdenza sociale (articolo 1, comma 11 e 18).
Di recente, è stato adottato il D.P.R. 14 maggio 2007, n. 96, il quale ha confermato che continua ad operare presso il Ministero della solidarietà sociale, tra gli altri organismi collegiali, anche la suddetta Consulta, fissandone la durata in tre anni, decorrenti dalla data di entrata in vigore del regolamento. Tre mesi prima della scadenza del termine di durata, la Consulta, come gli altri organismi ivi previsti, presenta una relazione sull'attività svolta al Ministro della solidarietà sociale.
La lettera o) definisce l’obiettivo dipotenziare le misure dirette all'integrazione dei migranti, concepita come inclusione, interazione e scambio e non come coabitazione tra comunità separate.
Il testo del disposto fornisce un ulteriore chiarimento riguardo la corretta interpretazione del termine integrazione, qui intesa quale processo dinamico in grado di provocare una interazione tra la comunità nazionale e le comunità straniere presenti sul nostro territorio. In tal senso deve essere inteso il rimando al termine inclusione, ove per inclusione si intende l’insieme delle politiche dirette a favorire l’accesso all’alloggio da parte dei migranti e a favorirne l’inserimento lavorativo (con particolare riguardo alle donne), nonché la promozione delle pari opportunità per l’accesso all’istruzione, alla formazione, ai servizi collettivi e all’assistenza sanitaria.
Particolare attenzione viene dedicata alle seconde generazioni e alle donne, soggetti considerati particolarmente bisognosi di tutela.
Le seconde generazioni, figli di migranti nati in Italia o qui giunti nei primi anni di vita, avendo a riferimento due diversi modelli culturali (quello della famiglia d’origine e quello del paese che li ha accolti), spesso soffrono disagi relativi ai processi di costruzione identitaria o agli atteggiamenti di discriminazione su base etnica provenienti in maniera combinata dal gruppo d’origine genitoriale e dalla popolazione della nazione ospitante.
Le donne migranti, la cui presenza sul territorio nazionale si attesta al 49,4%, sono i soggetti che più soffrono dei fenomeni di marginalità sociale e discriminazione razziale, sia in quanto maggiormente esposte a forme di violenza familiari e sul lavoro sia perché dipendenti giuridicamente ed economicamente dai familiari o dal datore di lavoro.
Tali misure vengono potenziate anche attraverso la definizione della figura e delle funzioni dei mediatori culturali.
Il mediatore culturale è una figura professionale di rilievo nel processo di integrazione degli stranieri, facilita infatti le relazioni tra immigrati e società di accoglienza, affiancando gli operatori italiani, pubblici e privati, nelle attività di consulenza, informazione, formazione, orientamento e accompagnamento rivolte ai migranti. Spesso il mediatore culturale non è di nazionalità italiana, poiché deve essere in grado di conoscere profondamente la lingua e la cultura delle comunità straniere a cui offre assistenza.
L’articolo 42 del citato D. Lgs. 286/1998 dispone che lo Stato, le regioni, le province e i comuni, nell'ambito delle proprie competenze, anche in collaborazione con le associazioni di stranieri e con le organizzazioni stabilmente operanti in loro favore, nonché in collaborazione con le autorità o con enti pubblici e privati dei Paesi di origine, favoriscono, tra l’altro, la realizzazione di convenzioni con associazioni regolarmente iscritte nell’apposito registro, ai fini dell'impiego all'interno delle proprie strutture di stranieri, titolari di carta di soggiorno o di permesso di soggiorno di durata non inferiore a due anni, in qualità di mediatori interculturali (comma 1).
Dal luglio 2007 si stanno svolgendo presso la sede del Ministero della solidarietà Sociale una serie di audizioni di rappresentanti delle Regioni, degli Enti locali, delle Associazioni di volontariato e delle Università sul tema dei mediatori culturali. La riflessione sulla mediazione culturale ha come obiettivo l’elaborazione di un documento che possa rappresentare la base di discussione per la definizione del profilo, del ruolo e delle specifiche competenze del mediatore culturale anche nella prospettiva della costituzione di un albo nazionale.
Tale esperienza sembra essere stata anticipata a livello locale, dal Comune di Roma, dove, nel novembre del 2006, è stato formalizzato dall'Assessorato alle Politiche sociali il regolamento del primo “Registro pubblico dei mediatori interculturali della città di Roma”, un albo cui potranno iscriversi tutti i cittadini stranieri in possesso di specifiche competenze e professionalità.
La lettera p) del provvedimento in esame prevede il reperimento di ulteriori fonti di finanziamento per il Fondo per l’inclusione sociale degli immigrati, istituito presso il Ministero della solidarietà sociale ai sensi dell’art. 1, commi 1267-1268 della legge finanziaria 2007 (L. 296/2006[248]).
La dotazione del Fondo è pari a 50 milioni di euro annui per il triennio 2007-2009. Il Fondo è fra l’altro finalizzato alla realizzazione di un piano per l’accoglienza degli alunni stranieri, anche per favorire il rapporto scuola-famiglia, mediante l’utilizzo, per fini non didattici, di apposite figure professionali madrelingua quali i mediatori culturali. I provvedimenti concernenti l’utilizzazione del Fondo sono adottati dal ministro della solidarietà sociale di concerto con il ministro per i diritti e le pari opportunità.
In attuazione della legge finanziaria 2007, il ministro della solidarietà sociale, di concerto con il ministro per i diritti e le pari opportunità, ha emanato la Direttiva del 3 agosto 2007 concernente l’utilizzazione del Fondo, con cui vengono definiti gli obiettivi e le aree prioritarie di intervento che saranno finanziate per l’anno 2007, per un ammontare complessivo di 50 milioni di euro.
Le aree prioritarie di intervento individuate sono: sostegno all’accesso all’alloggio; accoglienza degli alunni stranieri; tutela dei minori stranieri non accompagnati; valorizzazione delle seconde generazioni di stranieri; tutela delle donne immigrate a rischio di marginalità sociale; diffusione della lingua e della cultura italiana; diffusione della conoscenza della Costituzione italiana, dell’ordinamento giuridico nazionale e dei percorsi di inclusione sociale. I progetti potranno essere presentati, in forma singola ovvero in partenariato da Regioni, province autonome, enti locali, associazioni e altri organismi privati che svolgono attività per favorire l'integrazione sociale degli stranieri, iscritte al registro di cui all’art. 52 del D.P.R. 394/99 nonché associazioni ed enti che svolgono attività nel campo della lotta alle discriminazioni ai sensi dell’art. 6 del D. Lgs.215/2003[249].
I criteri generali per il reperimento di nuove fonti di finanziamento vengono individuati in contributi volontari dei datori di lavoro nonché in contributi, donazioni o finanziamenti disposti da privati, enti ed organismi anche internazionali e dall’Unione europea.
Relativamente alle misure adottate dall’Unione europea in materia di integrazione, ricordiamo la decisione del Consiglio del 25 giugno 2007 che istituisce il Fondo europeo per l’integrazione di cittadini di paesi terzi per il periodo 2007-2013 nell’ambito del programma generale “Solidarietà e gestione dei flussi migratori”.
Obiettivo generale del Fondo è sostenere gli sforzi compiuti dagli Stati membri per permettere ai cittadini di paesi terzi di integrarsi più facilmente nelle società europee. Il Fondo si concentra essenzialmente su azioni miranti all'integrazione dei cittadini di paesi terzi appena arrivati.
Il Fondo contribuisce al conseguimento dei seguenti obiettivi specifici:
§ agevolare lo sviluppo e l'applicazione di procedure di ammissione che interessino e facilitino il processo di integrazione di cittadini di paesi terzi;
§ sviluppare e attuare il processo di integrazione dei cittadini di paesi terzi appena arrivati negli Stati membri;
§ rafforzare la capacità degli Stati membri di sviluppare, applicare, sorvegliare e valutare le politiche e le misure di integrazione di cittadini di paesi terzi;
§ perseguire lo scambio di informazioni e di migliori pratiche e la cooperazione all'interno degli Stati membri e fra di essi per quanto riguarda lo sviluppo, l'attuazione, il monitoraggio e la valutazione delle politiche e delle misure di integrazione di cittadini di paesi terzi.
Gli obiettivi sopra illustrati possono essere raggiunti attraverso Azioni negli Stati membri, sostenute dal Fondo, o attraverso Azioni comunitarie, prese su iniziativa della Commissione, attraverso le quali il Fondo può finanziare, nel limite del 7 % delle risorse disponibili, azioni transnazionali o azioni di interesse per l’intera Comunità relative alla politica in materia di immigrazione e integrazione.
La dotazione finanziaria per l'attuazione delle azioni finanziate dal Fondo per il periodo dal 1° gennaio 2007 al 31 dicembre 2013 è di 825 milioni di euro.
Articolo 1, comma
1, lettera q)
(vittime di violenza o sfruttamento)
[…]
q) favorire un'adeguata tutela delle vittime di riduzione o di mantenimento in schiavitù o in servitù, delle vittime di tratta, delle vittime di violenza o di grave sfruttamento e garantire il loro accesso ai diritti previsti dalla normativa vigente attraverso:
1) la revisione della disciplina delle espulsioni che tenga conto della necessità di sospendere il provvedimento di espulsione nei casi in cui vi siano fondati elementi per ritenere che lo straniero sia stato assoggettato a una situazione di violenza e di grave sfruttamento nel territorio nazionale;
2) la revisione della disciplina e della procedura di ricongiungimento familiare che consenta l'adozione di procedure accelerate e la semplificazione dei requisiti quando i familiari dello straniero che sia stato vittima di tratta o di grave sfruttamento corrano rischi per la loro incolumità in ragione dell'assoggettamento alla situazione di violenza o di grave sfruttamento di cui lo straniero stesso è vittima;
3) l'esclusione della punibilità per i reati e per le infrazioni relativi alla condizione di soggiorno illegale, per mancata ottemperanza all'ordine di espulsione, commessi dallo straniero in condizioni di assoggettamento alla violenza e al grave sfruttamento;
[…]
Ai sensi della lettera q)dell'articolo 1 il Governo è tenuto a favorire una adeguata tutela alle vittime dei reati di tratta, riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù, violenza o grave sfruttamento.
In tema di traffico di esseri umani, va ricordata l'approvazione della legge 11 agosto 2003, n. 228, diretta ad introdurre nuove disposizioni penali e a modificare quelle già esistenti allo scopo di contrastare il fenomeno della riduzione in schiavitù o in servitù e, più in particolare, di quella forma di riduzione in schiavitù derivante dal traffico di esseri umani. Si tratta di una nuova schiavitù riguardante esseri umani – soprattutto donne e bambini – provenienti dai paesi poveri del mondo che, spinti nel nostro Paese dalla speranza di una diversa prospettiva di vita, sono costretti alla prostituzione, al lavoro forzato e all’accattonaggio.
In particolare, il numero 1) prevede che la disciplina delle espulsioni sia modificata in modo da consentire la sospensione del provvedimento nei casi in cui sussistano fondati elementi per ritenere che l’immigrato interessato sia stato vittima di una situazione di violenza o grave sfruttamento in territorio italiano.
A tale proposito, si segnala che – ai sensi della legislazione vigente – l’accertamento di situazioni di violenza o di grave sfruttamento nei confronti di uno straniero consente, qualora emergano concreti pericoli per l’incolumità dello straniero stesso derivanti dal suo tentativo di sottrarsi ai condizionamenti dell’associazione criminale o dalle dichiarazioni da lui rese nel corso delle indagini o del processo, il rilascio di uno speciale permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale (art. 18 D.Lgs. 286/1998).
Competente al rilascio del permesso è il questore che provvede su impulso dei servizi sociali degli enti locali o delle associazioni, enti ed altri organismi titolari dei progetti di protezione, ovvero del Procuratore della Repubblica, qualora la situazione sia emersa nel corso di un procedimento penale relativo a fatti di violenza o grave sfruttamento nel quale lo straniero abbia reso dichiarazioni (art. 27 D.P.R. 394/1999[250]). Il permesso di soggiorno per protezione sociale, che ha la durata di sei mesi e può essere rinnovato per un anno ovvero per il maggior periodo necessario per le esigenze di giustizia, ed è condizionato alla partecipazione ad un programma di assistenza ed integrazione sociale, al mantenimento di una condotta compatibile con le finalità del programma ed alla persistenza delle ragioni che hanno dato luogo al suo rilascio[251].
Analogamente, in base al numero 2) della medesima lettera, si prevede una revisione della procedura del ricongiungimento familiare per i congiunti di stranieri vittime della tratta o di grave sfruttamento, volta a consentirne la conclusione entro termini abbreviati e a semplificarne i requisiti qualora i familiari siano esposti a rischi per la loro incolumità in relazione a possibili comportamenti ritorsivi legati alla situazione dei loro congiunti.
Ai sensi del numero 3) della lettera in esame il Governo dovrà assicurare una adeguata tutela alle vittime dei citati reati anche attraverso la previsione della loro non punibilità nel caso di soggiorno illegale o nel caso di mancata ottemperanza all'ordine di espulsione, quando lo straniero abbia commesso tali infrazioni trovandosi in condizioni di assoggettamento alla violenza e al grave sfruttamento.
Oltre al disegno di legge governativo, risultano assegnate alla Commissione affari costituzionali della Camera nove proposte di legge di iniziativa parlamentare in materia di immigrazione e condizione dello straniero. Una di esse, l’A.C. 2547 (on. Migliore ed altri), composta da 54 articoli, reca una disciplina organica della materia, alternativa a quella recata dal vigente testo unico in materia di immigrazione (D.Lgs. 286/1998); le altre intervengono su ambiti più limitati con puntuali modifiche o integrazioni, ad eccezione dell’A.C. 1779 (on. Boato) che propone l’integrale abrogazione della L. 189/2002 (c.d. “legge Bossi-Fini”).
Il primo dei quattro articoli di cui si compone la proposta di legge interviene sull’art. 22 del testo unico, modificando il procedimento che presiede all’ingresso in Italia per motivi di lavoro entro i limiti fissati dalle quote annuali.
Allo scopo di superare (spiega la relazione illustrativa) le difficoltà di applicazione e i disagi originati dal criterio di precedenza oggi seguito per l’accesso alle quote – basato sull'ordine di presentazione delle richieste presso gli uffici postali –, l’articolo 1 fissa un periodo di tempo predeterminato (pari all’intervallo tra il quarantacinquesimo e il sessantesimo giorno successivi alla data di emanazione del “decreto-flussi”) per la presentazione delle domande. Ad esso fa seguito (come dispone l’art. 21-bis introdotto nel testo unico dall’articolo 2) un esame “per titoli” dei richiedenti, nel quale sono considerati quali titoli preferenziali vari elementi (conoscenza della lingua, titolo di studio, precedenti soggiorni in Italia e in Europa, membri del nucleo familiare già regolarmente presenti in Italia) che il richiedente è tenuto a specificare e documentare.
L’articolo 3 novella invece il successivo art. 27 del testo unico, al fine di regolare in modo specifico, al di fuori delle quote, l’ingresso per lavoro delle c.d. “badanti”, ovvero delle persone che assistono anziani o malati a domicilio.
L’articolo 4 reca le disposizioni inerenti alla copertura finanziaria del provvedimento.
La proposta di legge, composta da un solo articolo, integra con alcuni periodi il testo dell'art. 27, co. 5-bis, del testo unico sull’immigrazione, che disciplina l’ingresso in Italia degli sportivi extracomunitari.
Il menzionato co. 5-bis, introdotto dall'art. 22 della L. 189/2002, ha introdotto una quota numerica annuale per l'ingresso degli sportivi stranieri che svolgono attività sportiva a titolo professionistico o comunque retribuita. La quota è fissata con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali, su proposta del Comitato olimpico nazionale italiano (CONI), sentiti i Ministri dell'interno e del lavoro e delle politiche sociali (oggi ministro della solidarietà sociale) ed è ripartita dal CONI, previa approvazione del ministro vigilante, tra le federazioni sportive nazionali.
L’integrazione proposta concerne gli sportivi extracomunitari autorizzati a svolgere attività sportiva dilettantistica in Italia e, come precisa la relazione illustrativa, mira a derogare per essi alla previsione generale recata dal co. 2 del citato art. 27, ai sensi del quale “i lavoratori extracomunitari autorizzati a svolgere attività lavorativa subordinata nel settore dello spettacolo [e tra questi, gli atleti] non possono cambiare settore di attività né la qualifica di assunzione”.
Il testo in esame consente invece agli sportivi dilettanti che si trovino nel territorio nazionale da almeno sei mesi di cambiare settore di attività, previa stipula di un contratto di lavoro subordinato o previo rilascio della certificazione attestante la sussistenza dei requisiti (di cui all’art. 26 del testo unico) per lo svolgimento di un lavoro autonomo. La disposizione consente inoltre il contemporaneo svolgimento dell’attività lavorativa e di quella sportiva dilettantistica.
L’articolo 1 della proposta di legge integra il co. 4 dell’art. 2 del testo unico (ai sensi del quale “lo straniero regolarmente soggiornante partecipa alla vita pubblica locale”) con un nuovo co. 4-bis il quale riconosce allo straniero che regolarmente e stabilmente risiede in Italia da almeno cinque anni il diritto di elettorato attivo e passivo nelle elezioni amministrative e nelle altre elezioni locali, nonché il diritto di partecipare alle consultazioni referendarie indette dagli enti locali.
Sembra opportuno un coordinamento tra la disposizione in esame e quanto previsto dall’art. 55 del testo unico delle disposizioni in materia di enti locali (D.Lgs. 267/2000) che pone la cittadinanza italiana (e, nei limiti e con le modalità di cui al D.Lgs. 197/1996, quella di altro Stato membro dell’Unione europea) quale requisito per l’eleggibilità.
Il periodo di residenza richiesto è pari (cinque anni) a quello richiesto dall’art. 9 del testo unico per il rilascio del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo; il testo in commento non subordina peraltro il riconoscimento dell’elettorato attivo e passivo alla titolarità di tale permesso di soggiorno, né al possesso degli altri requisiti previsti per il suo rilascio.
Si ricorda che il citato art. 9, co. 12, lett. d) attribuisce al titolare del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo il diritto di “partecipare alla vita pubblica locale, con le forme e nei limiti previsti dalla vigente normativa”.
L’articolo 2 del testo in esame autorizza il Governo a introdurre le necessarie disposizioni attuative della nuova disposizione nel regolamento di attuazione del testo unico (D.P.R. 394/1999).
La proposta di legge, composta da un solo articolo, dispone l’integrale abrogazione della c.d. “legge Bossi-Fini” (L. 30 luglio 2002, n. 189) di riforma della disciplina in materia di immigrazione e asilo[252], nonché delle successive modificazioni alla stessa.
l’articolo unico precisa inoltre che, dalla data di entrata in vigore della legge, riacquistano efficacia le disposizioni del testo unico di cui al D.Lgs. 286/1989 già soppresse o modificate dall’abrogata L. 189/2002, nel testo ad essa previgente.
Le due proposte di legge, composte da un solo articolo, pur ricorrendo a formulazioni diverse mirano entrambe ad estendere la disciplina recata dall’art. 18 del testo unico di cui al D.Lgs. 286/1998 agli stranieri che siano vittime di violenze o grave sfruttamento sui luoghi di lavoro.
L’art. 18 del D.Lgs. 286/1998 dispone che, quando nel corso di operazioni di polizia, di indagini o di un procedimento per determinati gravi delitti, ovvero nel corso di interventi assistenziali dei servizi sociali, sono accertate situazioni di violenza o di grave sfruttamento nei confronti di uno straniero, e qualora emergano concreti pericoli per la sua incolumità derivanti dal suo tentativo di sottrarsi ai condizionamenti dell’associazione criminale o dalle dichiarazioni da lui rese nel corso delle indagini o del processo, allo straniero stesso sia rilasciato uno speciale permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale, idoneo consentirgli di sottrarsi alla violenza ed ai condizionamenti dell'organizzazione criminale e di partecipare ad un programma di assistenza ed integrazione sociale.
Entrambe le proposte aggiungono un comma dopo il comma 1 dell’art. 18 citato, nel quale si prevede la possibilità di rilasciare lo speciale permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale anche ai lavoratori stranieri dei quali risulti accertato l'impiego in condizioni di grave sfruttamento, ovvero ricatto o minaccia (A.C. 1804) o violenza (A.C. 1850), a fini di rispetto delle norme relative alla tutela dei lavoratori.
Il solo A.C. 1804 riformula altresì il comma 1 del citato art. 18 allo scopo di dar rilevanza ai possibili condizionamenti operati da singole persone, e non solo da associazioni criminali.
La proposta di legge, anch’essa composta da un solo articolo, interviene sull’art. 19 del testo unico che disciplina i casi in cui, pur in presenza dei presupposti di legge, non è possibile disporre l’espulsione o il respingimento dello straniero irregolarmente presente sul territorio nazionale.
In particolare, essa riformula la lett. d) del co. 1, ove si dispone il divieto di espulsione delle donne in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi alla nascita del figlio cui provvedono.
Si ricorda in proposito che la Corte costituzionale, con sentenza 376/2000, ha dichiarato l'illegittimità della citata disposizione nella parte in cui non estende il divieto di espulsione al marito convivente della donna in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi alla nascita del figlio.
La riformulazione proposta alla citata lett. d) dal testo in commento apporta le seguenti modifiche:
§ il divieto di espulsione è temporalmente esteso sino ai dodici mesi successivi alla nascita del figlio;
§ è espressamente recepita la citata sentenza della Corte, prevedendosi che il divieto concerna anche i mariti conviventi.
I quattro articoli di cui si compone la proposta di legge apportano al testo unico di cui al D.Lgs. 286/1998 modificazioni di varia natura, volte ad agevolare il processo di integrazione sociale ed economica degli immigrati.
L’articolo 1 sostituisce con due commi il co. 15 dell’art. 22 del testo unico, con ciò ridisegnando la disciplina del riconoscimento di titoli di formazione professionale acquisiti all'estero.
Secondo il testo vigente, in assenza di accordi specifici le condizioni e modalità di riconoscimento sono definite di volta in volta dal ministro del lavoro, sentita la commissione centrale per l'impiego. Secondo il nuovo testo, il decreto ministeriale definisce invece i requisiti per il riconoscimento per le singole qualifiche professionali, e stabilisce le modalità e le forme del riconoscimento secondo il principio del silenzio-assenso.
I lavoratori stranieri possono inoltre partecipare, a norma del vigente co. 15, a tutti i corsi di formazione e di riqualificazione programmati nel territorio della Repubblica; il nuovo co. 15-bis conferma la disposizione ed attribuisce alle regioni il compito di promuovere specifici interventi per facilitarne l'inserimento nel mercato del lavoro, nonché corsi di aggiornamento rivolti principalmente agli operatori degli enti locali addetti ai problemi dell'immigrazione.
Si segnala che le disposizioni proposte, diversamente dalle altre recate dal testo unico, sono riferite anche ai lavoratori provenienti da Stati membri dell’Unione europea; sembra opportuno verificarne la compatibilità con le norme comunitarie in materia di libera circolazione dei lavoratori nell’Unione.
L’articolo 2 modifica la disciplina del ricongiungimento familiare di cui all’art. 29 del testo unico, con l’intento di sopprimere alcuni limiti introdotti dalla L. 189/2002 e di circoscrivere le ipotesi in cui il nulla osta al ricongiungimento può essere negato.
Si rileva peraltro che le modifiche proposte non sono riferibili al testo dell’art. 29 oggi vigente, poiché tale articolo è stato interamente novellato ad opera del D.Lgs. 8 gennaio 2007, n. 5.
L’articolo 3 aggiunge due commi all’art. 38 del testo unico (Istruzione degli stranieri. Educazione interculturale) attribuendo alle regioni, agli enti locali e alle istituzioni scolastiche il compito di assicurare agli studenti stranieri l'accesso ai benefìci e alle agevolazioni previsti dalla normativa vigente in materia di diritto allo studio in condizioni di parità con gli studenti italiani, anche attraverso l’istituzione di borse di studio ed altre provvidenze.
L’articolo 4 integra l’art. 42 (Misure di integrazione sociale) del testo unico con due disposizioni che, rispettivamente, mirano a promuovere, tramite regioni ed enti locali:
§ le attività di ricerca, studio e progettazione sui diversi aspetti dell'immigrazione, anche incoraggiando la partecipazione diretta dei cittadini stranieri a tali attività;
§ le funzioni socio-culturali svolte senza fine di lucro dalle associazioni di stranieri, nonché dalle altre associazioni che operano in loro favore, anche mediante sovvenzioni e agevolazioni.
La proposta di legge A.C. 2547 (d’iniziativa dell’on. Migliore ed altri[253]) è volta a riformare profondamente la disciplina dell’immigrazione e della condizione giuridica degli stranieri in Italia.
Partendo dalla consapevolezza che l’immigrazione non è un fenomeno emergenziale, ma è il frutto di processi “strutturali di lungo periodo”, e che le società occidentali hanno bisogno, per mantenere i livelli demografici attuali, di massicci ingressi di lavoratori stranieri, la proposta di legge intende modificare le politiche migratorie finora attuate ponendo come criterio fondante la tutela dei diritti degli uomini e delle donne migranti[254].
Tra i principali punti che caratterizzano la proposta di legge si possono indicare i seguenti:
§ reintroduzione della garanzia di terzi per l’accesso al lavoro (sponsor) abolito dalla legge 189/2002 e previsione dell’ingresso per ricerca di lavoro (autosponsorizzazione);
§ ampliamento dei termini di durata del permesso di soggiorno;
§ possibilità permanente di regolarizzare, in alcuni casi specifici, i lavoratori stranieri irregolari cui è permesso il soggiorno al di fuori del sistema delle quote;
§ estensione del ricongiungimento familiare ai figli maggiorenni e ai genitori anche non a carico;
§ riforma del regime delle espulsioni che devono essere in ogni caso disposte dall’autorità giudiziaria;
§ abolizione dei Centri di permanenza temporanea;
§ trasferimento ai comuni delle competenze relative al rinnovo dei permessi di soggiorno.
La struttura formale della proposta di legge richiama quella della prima legge organica sull’immigrazione, la L. 40/1998 (c.d. “legge Turco-Napolitano”), costituita da una articolata serie di disposizioni e da una delega per la emanazione di un testo unico per coordinare tali disposizioni con le altre norme in materia[255].
In particolare, la proposta in esame, che consta di 54 articoli, si può suddividere in quattro parti:
§ la maggior parte delle disposizioni (articoli da 1 a 50) sostituiscono la prima parte del testo unico (articoli da 1 a 33 che vengono contestualmente abrogati) che concerne la definizione delle regole che presiedono alla gestione amministrativa dell’immigrazione (programmazione, ingresso, permesso di soggiorno, accesso al lavoro) e delle sanzioni per la violazione di tali regole (espulsione, respingimento) e la individuazione di alcuni diritti degli immigrati (ricongiungimento familiare, tutela dei minori, diritto allo studio). Non sono coinvolte dalla riforma le disposizioni in materia di diritto all’integrazione (assistenza sociale, sanitaria, lotta alla discriminazione), che continuano ad essere disciplinate dal titolo V del testo unico (articoli da 34 a 46);
§ alcune parziali correzioni alla disciplina dell’integrazione recata dal testo unico sono apportate dall’articolo 51 della proposta in esame che modifica l’articolo 39 TU, in materia di accesso ai corsi universitari, e l’articolo 41 sui centri di accoglienza e l’alloggio degli stranieri;
§ l’articolo 52, contiene la delega all’emanazione di un testo unico delle sole disposizioni relative all’ingresso e al soggiorno degli stranieri, mentre l’articolo 53 dispone in merito all’adozione di un regolamento di attuazione del testo unico;
§ infine, l’articolo 54 riguarda la concessione del diritto di voto agli stranieri nelle elezioni amministrative.
Il Capo I (articoli 1, 2 e 3) contiene alcuni principi generali: da rilevare, all’articolo 1, il riconoscimento ai cittadini stranieri di condizioni di uguaglianza con i cittadini italiani e l’impegno a rimuovere gli ostacoli che ne impediscono pienamente la realizzazione.
Da sottolineare, inoltre, il restringimento dell’ambito di applicazione della proposta di legge: oltre ai cittadini comunitari, ne sono esclusi gli apolidi (ora espressamente compresi, art. 1, co. 1, TU) e coloro che hanno richiesto od ottenuto il riconoscimento di una forma di protezione (asilo ex articolo 10 della Costituzione, status di rifugiato, protezione umanitaria ecc.).
Il Capo II (articoli 4-10) dispone in merito alla programmazione delle politiche migratoriee alle modalità di ingresso degli stranieri.
Viene mantenuto sostanzialmente l’impianto vigente (art. 3 TU) basato sulla programmazione delle quote di stranieri che possono fare ingresso nel nostro Paese per lavorare, attraverso il documento programmatico triennale e il decreto flussi annuale. A differenza del sistema attuale, che prevede la definizione delle quote da parte del decreto annuale sulla base dei principi del documento programmatico, l’articolo 7, trasferisce a quest’ultimo il compito di fissare i tetti massimi di stranieri da ammettere nel triennio e di indicare i criteri di ripartizione. I decreti sui flussi definiscono, entro tali limiti, le quote anno per anno.
La differenza fondamentale dall’attuale sistema consiste nel consentire la regolarizzazione di lavoratori in via permanente sulla base di precise condizioni (vedi oltre il Capo V). Il numero dei lavoratori regolarizzati si va ad aggiungere a quello fissato dalle quote annuali (di cui però dovranno tener conto).
Inoltre, non sono più previste le quote riservate per gli stranieri di origine italiana e per coloro che provengono da Paesi con i quali l’Italia ha formato accordi di cooperazione in materia di immigrazione (art. 21 TU).
Sono soppressi il Comitato per il coordinamento e il monitoraggio delle disposizioni del testo unico introdotto dalla legge 189/2002 (art. 2-bis TU) e i consigli territoriali per l’immigrazione (art. 3, co. 6, TU).
Dalle quote annuali sono esclusi, oltre, come si detto, le regolarizzazioni, i ricongiungimenti familiari (ora invece compresi) i rinnovi e le conversioni dei permessi di soggiorno, gli ingressi di familiari di minori stranieri disposti dal giudice negli interessi del minore stesso.
Gli articoli 4, 5 e 6 contengono disposizioni relative all’ingresso degli stranieri in Italia, subordinato al possesso, come attualmente previsto, del passaporto e del visto di ingresso rilasciato dalle rappresentanze diplomatiche italiane all’estero. In particolare, è disciplinata in modo dettagliato la procedura di rilascio del visto di ingresso (articolo 6) ed è prevista l’istituzione di un Archivio centrale informatizzato dei visti di ingresso (ACIV) che raccoglie tutte le richieste di visto presentate dai cittadini stranieri (articolo 5).
Da rilevare, che le domande di visto presentate dopo l’esaurimento delle quote annuali disponibili non devono essere respinte e hanno la precedenza al momento dell’emanazione del successivo decreto flussi (art. 6, comma 3).
L’ingresso in Italia è consentito per soggiorni di breve durata fino a tre mesi, fattispecie ora regolata dalla L. 68/2007[256] (art. 6, co. 15) o per soggiorni di lunga durata (art. 6, co. 17).
Per questi ultimi sono individuati una serie di visti d’ingresso: per ricerca di lavoro (disciplinato dall’art. 8), su chiamata nominativa o per garanzia di terzi (art. 9), per lavoro autonomo, per motivi familiari, per motivi di studio, per cure mediche, per residenza elettiva, per motivi religiosi (art. 10).
Il Capo III (artt. 11-26) regola il soggiorno degli stranieri. In particolare, il permesso di soggiorno deve essere richiesto, come previsto attualmente (art. 5 TU) alla questura competente che provvede anche al rilascio dello stesso (articolo 12). Le funzioni attinenti il rinnovo o il rifiuto del permesso vengono trasferite ai comuni (articolo 13).
Entro tre mesi la scadenza del permesso di soggiorno questo può essere convertito in un nuovo permesso rilasciato per un motivo diverso (articolo 14).
La proposta di legge disciplina il contenuto e le procedure di rilascio di una ampia tipologia di permessi di soggiorno (articoli da 17 a 26):
§ articolo 17: permesso di soggiorno per ricerca di lavoro (non previsto attualmente) rilasciato per la durata di un anno e non rinnovabile. Esso è rilasciato al titolare di un visto di ingresso per ricerca di lavoro, subordinato alla dimostrazione di precise disponibilità finanziarie fruibili nel periodo necessario per la ricerca di occupazione Ai sensi dell’articolo 30, co. 10, il permesso di soggiorno per ricerca di lavoro è rilasciato anche a coloro che fanno ingresso in Italia dietro garanzia di terzi (sponsor);
§ articolo 18: permesso di soggiorno per attesa occupazione (anch’esso attualmente non previsto) rilasciato in caso di mancanza di lavoro per il periodo successivo alla scadenza del permesso di soggiorno per lavoro subordinato;
§ articolo 19: permesso di soggiorno per lavoro autonomo;
§ articolo 20, co. 1-19: permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo (si veda art. 9 TU);
§ articolo 20, co. 11-13: permesso di soggiorno nazionale per soggiornanti di lungo periodo, di nuova istituzione, non sottoposto come il precedente a requisiti minimi di reddito;
§ articolo 21: permesso di soggiorno per motivi di studio, compatibile con lo svolgimento di attività lavorative;
§ articolo 22: permesso di soggiorno per motivi familiari;
§ articolo 23: permesso di soggiorno per le vittime di violenza all'interno del nucleo familiare (non previsto attualmente);
§ articolo 24: permesso di soggiorno per protezione sociale (di cui all’art. 18 TU).
§ articolo 25: permesso di soggiorno per motivi di giustizia, rilasciato nei casi in cui la presenza del cittadino e della cittadina stranieri sul territorio nazionale è indispensabile in relazione a procedimenti penali in corso;
§ articolo 26: permesso di soggiorno di cittadini stranieri in stato di detenzione, rilasciato per la durata equivalente alla pena detentiva.
A questi tipi di permesso di soggiorno si aggiungono quelli rilasciati in base alle disposizione in materia di regolarizzazione di cui al Capo V (vedi oltre) e il permesso di soggiorno per motivi umanitari di durata biennale previsto per le donne irregolari in stato di gravidanza, del marito o convivente, e gli stranieri affetti da gravi patologie (articolo 41).
Il Capo IV, di cui agli articoli 27-30, regola l’accesso al lavoro degli immigrati. In linea generale, la procedura per l’accesso al lavoro ricalca quella vigente, basata sulla stipula di un contratto di lavoro e sul rilascio del nulla osta al lavoro (art. 22 TU). Rispetto al sistema attuale, vengono soppressi gli sportelli unici per l’immigrazione, istituiti di recente in seguito alla approvazione della L. 189/2002, le cui competenze (ad esempio il rilascio del nulla osta) vengono trasferite alle questure.
Da rilevare, l’introduzione del principio della conservazione da parte degli stranieri dei diritti previdenziali e di sicurezza sociale maturati e il diritto alla liquidazione dei contributi versati in loro favore comprensivi degli interessi, anche in caso di rimpatrio (articolo 28).
Viene, inoltre, reintrodotto l’istituto dello sponsor (articolo 29), ossia della prestazione di garanzia da parte terzi (cittadini italiani o stranieri regolarmente soggiornanti, enti, imprese, associazioni) per l’accesso al lavoro di immigrati, presente nel testo unico fino al 2002 (art. 23) e poi abolito dalla legge 189/2002.
L’articolo 30 disciplina i cosiddetti ingressi “fuori quota”, ossia gli ingressi per lavori (quali ad esempio dirigenti, professori universitari, artisti, sportivi) che per le loro particolari caratteristiche sono appunto sottratti al regime generale delle quote e sottostanno ad una procedura distinta di autorizzazione (si veda l’art. 27 del testo unico).
Il Capo V reca una importante innovazione rispetto alla normativa vigente: si prevede, infatti, la regolarizzazione degli stranieri presenti nel territorio nazionale non in regola con le regole relative all’ingresso o al soggiorno.
Tale strumento presenta due caratteristiche peculiari: innanzitutto, viene previsto in via permanente, a differenza delle regolarizzazioni di tipo temporaneo che si sono succedute periodicamente negli anni passati.
Inoltre, coloro che accedono al lavoro regolare tramite regolarizzazione non sono computati nelle quote fissate annualmente dai decreti flussi, e, costituiscono, pertanto, una sorta di “secondo canale” per l’ingresso e la permanenza degli stranieri, che si affianca a quello programmato.
La proposta in esame prevede tre diverse modalità di regolarizzazione:
§ regolarizzazione ad personam, (articolo 32) rilasciata da una commissione apposita, istituita dall’articolo 31, agli stranieri irregolari che dimostrino un alto livello di integrazione e di inserimento sociale e lavorativo, oppure in considerazione delle possibili conseguenze negative del rimpatrio a causa dell’età o delle condizioni di salute;
§ regolarizzazione per emersione consensuale da lavoro irregolare, la cui richiesta è presentata dal datore di lavoro e concesso dietro pagamento di una ammenda di 2.000 euro per lavoratore (articolo 33);
§ regolarizzazione per denuncia o per accertamento di lavoro irregolare, in entrambi i casi al lavoratore straniero è rilasciato un permesso di soggiorno per ricerca di lavoro (articolo 34)[257].
Gli articoli 35 e 36 concernono il diritto al ricongiungimento familiare, attualmente regolati dagli articoli 29-30 del testo unico, recentemente modificati dal decreto legislativo 5/2007 di attuazione di disposizioni comunitarie[258].
La proposta in esame amplia il novero dei possibili beneficiari del ricongiungimento, che viene esteso a tutti i figli (anche i maggiorenni che ora possono essere ricongiunti solo se a carico e impossibilitati a provvedere a se stessi per ragioni di salute), ai genitori (al momento il ricongiungimento è concesso solo ai genitori a carico che non hanno un adeguato sostegno nel proprio Paese), ai conviventi (ora solamente i coniugi possono essere ricongiunti), e ai fratelli (categoria non contemplata dal testo unico) qualora siano l’unico componente della famiglia rimasto nel Paese di origine.
Gli articoli 37-40 riguardano i minori stranieri e il diritto allo studio.
Le disposizioni relative ai diritti dei minori ricalcano quelle vigenti di cui agli articoli 31 e 32 del testo unico. Viene soppresso il comitato minori stranieri (art. 33 TU).
Particolarmente innovativo è il contenuto degli articoli 39 e 40 della proposta di legge concernenti il diritto allo studio che riprendono in parte gli articoli 38 e 39 del testo unico (non abrogati).
In particolare, viene ribadito il principio che tutti i minori, anche in posizione irregolare, hanno diritto allo studio alle identiche condizioni dei bambini italiani. Si prevede, inoltre, che tale principio debba essere attuato con misure adeguate a garantirne l’effettività, attraverso l’accoglienza e l’inserimento dei minori e la valorizzazione delle differenze linguistiche e culturali.
Il Capo VII è interamente dedicato alla questione dell’espulsione degli stranieri.
La novità principale consiste nel devolvere completamente all’autorità giudiziaria le decisioni in materia di allontanamento dal territorio nazionale, anche relativamente all’espulsione amministrativa ora di competenza del prefetto.
Il testo unico sull’immigrazione contempla diversi tipi di espulsione del cittadino straniero riconducibili sostanzialmente a due categorie giuridiche: l’espulsione quale sanzione amministrativa, comminata, appunto, dall’autorità amministrativa (ministro o prefetto) in caso di violazione delle regole relative all’ingresso e al soggiorno e l’espulsione applicata dal giudicenell’ambito di un procedimento penale (l’espulsione a titolo di misura di sicurezza e l’espulsione a titolo di sanzione sostitutiva o alternativa a sanzione penale).
Esse rispondono a due distinte finalità: la prima colpisce coloro che trasgrediscono le procedure fissate per l’ingresso e il soggiorno degli stranieri e costituiscono dunque una sanzione necessaria ai fini del loro rispetto. La seconda colpisce il comportamento delinquenziale dello straniero a prescindere dalla regolarità della sua posizione amministrativa.
Nel caso di espulsione amministrativa il giudice interviene successivamente dell’adozione del provvedimento di espulsione con la convalida dello stesso.
Per quanto riguarda l’esecuzione dell’espulsione, si segnalano due interventi di rilievo.
Innanzitutto, sono soppressi i centri di permanenza temporanea e assistenza (CPTA) di cui all’articolo 14 del testo unico. La funzione di trattenimento, in attesa di espulsione, da essi svolta, viene trasferita ad una molteplicità di strumenti, graduati in considerazione dei concreti pericoli di fuga, che vanno dal fermo di polizia, all’obbligo di soggiorno, alla sorveglianza speciale di pubblica sicurezza (articolo 47).
Inoltre, viene introdotto il ritorno concordato nei Paesi di origine, quale misura alternativa all’espulsione. Le spese di ritorno sono a carico dello Stato, come anche le spese per il reinserimento dello straniero nel proprio Paese (articolo 42).
In materia di espulsione si veda oltre anche l’articolo 51.
L’articolo 50 (Capo VIII) riformula le norme penali volte a sanzionare il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina (di cui all’articolo 12 del testo unico), depenalizzando di fatto il favoreggiamento compiuto senza scopro di lucro.
Inoltre, viene diminuita la pena per la fattispecie più semplice, il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina a scopo di lucro per meno di cinque persone, che passa da 4 a 15 anni di reclusione, a 6 mesi e 3 anni.
Pene più alte sono previste per le violazioni che riguardano 5 o più persone e l’associazione a delinquere volta al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
Infine, le somme di denaro confiscate a seguito di condanna per uno dei reati connessi all’immigrazione clandestina o ricavate dalla vendita dei beni confiscati, sono destinate agli interventi di accoglienza e assistenza umanitaria degli stranieri.
Infine, il Capo IX reca alcuni disposizioni transitorie e finali.
L’articolo 51 (comma 1) abroga gli articoli 235 e 312 del codice penale relativi rispettivamente all’espulsione a seguito di condanna alla reclusione per almeno 10 anni e all’espulsione conseguente la condanna per uno dei delitti contro la personalità dello Stato.
Il comma 2 abroga gli articoli da 1 a 33 del testo unico.
Il comma 3 modifica gli articoli 39 (relativo all’accesso ai corsi universitari) e 40 del testo unico (centri di accoglienza e accesso all’abitazione).
L’articolo 52 reca una delega al governo per l’adozione, entro 6 mesi, dall’entrata in vigore, di un testo unico in materia di ingresso e soggiorno degli stranieri, volto a coordinare le norme introdotte dalla proposta di legge esame con le altre norme vigenti.
L’articolo 53 prevede l’emanazione, entro due mesi dall’entrata in vigore del testo unico, di un regolamento di attuazione.
Infine, l’articolo 54 prevede l’estensione di diritto di voto degli stranieri alle elezioni dei consigli di comuni, province e, quando saranno istituite, di città metropolitane. Il diritto di voto comprende anche la possibilità di candidarsi ed essere eletti. Sono previste due condizioni: la permanenza regolare di almeno 5 anni e l’iscrizione nelle liste elettorali.
Il diritto di voto degli stranieri viene definito principio fondamentale e principio dell’ordinamento giuridico nei confronti delle Regioni. Si ricorda, in proposito, che ciascuna regione stabilisce il proprio sistema di elezione, nei limiti dei principi fondamentali fissati con legge ordinaria (art. 122 Cost.).
N. 776
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CAMERA DEI DEPUTATI ______________________________ |
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PROPOSTA DI LEGGE |
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d’iniziativa del deputato ZACCHERA ¾ |
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Modifiche al testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, in materia di ingresso nel territorio dello Stato e di assunzione di lavoratori stranieri |
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Presentata il 17 maggio 2006
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Onorevoli Colleghi! - Non vi è dubbio che la comunità nazionale sia stata profondamente interessata in questi ultimi anni dai problemi legati all'immigrazione e in particolare a quella clandestina.
Più volte, nel passato, si è proceduto a determinare e a normare modi e metodi di controllo per questo fenomeno che interessa centinaia di migliaia di persone ogni anno.
Anche nella XIV legislatura si è provveduto ad integrare e modificare il testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, che reca la disciplina dell'immigrazione, oltre a dettare norme sulla condizione degli stranieri in Italia.
I provvedimenti in questione - meglio noti come provvedimenti «Fini-Bossi» - sono intervenuti principalmente con l'obiettivo di collegare direttamente l'immigrato a un posto di lavoro, dandogli diritti e doveri e tendendo a farlo inserire il più presto possibile nella nostra società.
Nell'applicazione di queste norme sono peraltro emersi alcuni problemi specifici che si vogliono affrontare con la presente proposta di legge, al fine di rendere le normative in vigore il più possibile aderenti alle effettive necessità sia degli immigrati che della comunità nazionale.
In particolare, viene affrontato il problema delle «quote» ovvero del numero delle persone autorizzate ogni anno a intraprendere in Italia una attività lavorativa.
Negli anni scorsi le richieste di lavoro sono risultate sempre molto superiori ai posti disponibili ed è nato il problema di determinare criteri per la scelta di chi debba essere ammesso al permesso di soggiorno.
Fino ad ora si è optato per il criterio dell'ordine di presentazione delle richieste presso gli uffici postali, presentazione ammessa dopo la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del provvedimento che fissa le quote annuali.
Davanti al grande numero di domande presentate, però, si verificano sempre più spesso grosse difficoltà di applicazione.
Innanzitutto, nella prima giornata utile moltissime aziende presentano le proprie richieste e vengono esauriti tutti i posti disponibili, spesso nelle prime ore e addirittura - in molti casi - in pochissimi minuti.
Poiché fanno fede la data e l'orario di partenza della raccomandata postale, si scatenano facilmente situazioni di massa tese alla «conquista» del posto in coda, che creano non solo problemi di ordine pubblico, ma anche vere e proprie ingiustizie.
Basti pensare che il destino di intere famiglie finisce per dipendere dalla solerzia degli impiegati postali che - a seconda di quanto tempo impiegano per spedire lettere raccomandate - riescono a permettere a più o meno persone di presentare la propria domanda nei primissimi minuti di apertura degli sportelli. Si pensi a due uffici postali nella stessa provincia: chi era in coda da ore può aver avuto la fortuna di spedire la domanda prima di un'altra persona, magari in fila da più tempo, ma in un ufficio postale dove si procede più lentamente. Questa seconda persona sarà infatti esclusa perché - a livello provinciale - avrà presentato la propria istanza «dopo» l'altra.
Ciò sta costituendo una situazione assurda, dove non contano più le qualità delle persone che chiedono di lavorare in Italia, ma solo l'attimo di presentazione rispetto a migliaia di altre persone che magari «timbrano», appunto, pochi minuti dopo.
L'articolo 1 del testo qui proposto detta invece regole diverse: viene previsto un periodo di tempo di diversi giorni - e comunque già precedentemente fissato e conosciuto - durante il quale tutti pos- sono presentare le domande e cui fa seguito un esame «per titoli» dei candidati, nel quale sono considerati altri elementi oltre al momento temporale della presentazione dei moduli.
Abbiamo tutti da guadagnare affinché in Italia giungano persone che - ad esempio - vi siano già state o vi abbiano lavorato e non solo in campo agricolo, oppure - aspetto ancora più importante - che parlino italiano o che abbiano frequentato scuole professionali propedeutiche al posto di lavoro che viene offerto.
Ecco perché, all'articolo 2, per l'esame delle domande sono indicati criteri di merito che permetterebbero l'arrivo in Italia di persone più qualificate o già in contatto con le nostre realtà, consentendo così una scelta anche qualitativa dei candidati.
Un altro aspetto particolare è quello delle cosiddette «badanti» ovvero di quelle persone (di solito di sesso femminile e provenienti da aree ben determinate) che assistono anziani o malati a domicilio, inserendosi in famiglia e in gran parte fornendo un aiuto insostituibile a persone in difficoltà.
È questa una vera e propria «emergenza sociale», tenuto conto degli aspetti sociali e delle difficoltà di ricovero di anziani e di malati in strutture di cura. Anche la qualità della vita di queste persone è importante e il rimanere al proprio domicilio anziché essere ospitati in ospizi e in ricoveri comporta una grande risparmio economico.
La necessità di una assistenza è una situazione che spesso si sviluppa in modo improvviso e non predeterminabile, ma a quel punto la ricerca di una «badante» è difficile perché è impossibile chiedere l'arrivo in Italia di una persona comunque conosciuta o di gradimento alla famiglia ospite.
Si sviluppa così un mercato clandestino (molto diffuso e peraltro a volte anche tollerato, davanti alle obiettive necessità) che invece non avrebbe motivo di essere se per tutto l'anno - a determinate condizioni - fosse possibile instaurare un rapporto di lavoro dipendente con queste persone.
Quello che conta è piuttosto il controllo su queste tematiche al fine di evitare l'ingresso in Italia di persone per motivi che poi si dimostrano ben diversi (si pensi al mondo della prostituzione). Questo può avvenire solo (come normato all'articolo 3) con un coinvolgimento dei datori di lavoro e previa dimostrazione di titoli professionali adeguati.
Ecco perché le norme proposte appaiono significative e importanti per una migliore applicazione delle disposizioni in vigore.
proposta di legge ¾¾¾
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Art. 1. 1. Dopo il comma 8 dell'articolo 22 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, è inserito il seguente: «8-bis. Al fine di permettere una corretta e tempestiva presentazione delle richieste di cui ai commi 2 e 3 del presente articolo, per rientrare nelle quote di ingresso nel territorio dello Stato per lavoro subordinato, anche per esigenze di carattere stagionale, e per lavoro autonomo, tenuto conto dei ricongiungimenti familiari e delle misure di protezione temporanea eventualmente disposte ai sensi dell'articolo 20, l'istanza presentata presso i competenti uffici di cui al comma 1 per ottenere il nulla osta ai fini dell'ammissione dello straniero nel territorio dello Stato deve essere consegnata nel periodo di tempo che intercorre tra il quarantacinquesimo e il sessantesimo giorno successivi alla data di emanazione dei decreti di cui all'articolo 3, comma 4, allo scopo di consentire agli uffici preposti un'adeguata organizzazione dell'attività nel rispetto dei limiti numerici, quantitativi e qualitativi, determinati dallo stesso articolo 3, comma 4, e dall'articolo 21».
Art. 2. 1. Dopo l'articolo 21 del testo unico di cui al decreto legislativo 2 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, è inserito il seguente: «Art. 21-bis. (Richiesta di autorizzazione al lavoro). - 1. Il datore di lavoro che intende effettuare l'assunzione del lavoratore di Stati comunitari o extracomunitari è tenuto a presentare preventiva richiesta di autorizzazione al lavoro. 2. La richiesta di cui al comma 1 è presentata in carta da bollo allo sportello unico per l'immigrazione della provincia di svolgimento della prestazione lavorativa e deve contenere, a pena di inammissibilità, oltre alla ragione sociale, se trattasi di azienda, i seguenti elementi: a) le complete generalità del richiedente, accompagnate dalla fotocopia di un valido documento di identità ovvero del passaporto se non si tratta di cittadino italiano e, nel caso di cittadino extracomunitario regolarmente residente in Italia, anche dalla fotocopia del permesso di soggiorno in corso di validità; b) le complete generalità del lavoratore per il quale si richiede l'autorizzazione, accompagnate dalla fotocopia del passaporto dello stesso in corso di validità; c) le condizioni lavorative offerte: contratto collettivo nazionale di lavoro applicato, qualifica e livello di inquadramento contrattuale, retribuzione lorda mensile, orario di lavoro che non deve essere inferiore a venti ore settimanali nel caso di tempo parziale, località di impiego, tipologia contrattuale specificando se a tempo indeterminato, a tempo determinato o stagionale; d) se il lavoratore straniero è a conoscenza della lingua italiana e quale è la sua lingua di appartenenza, con eventuale documentazione attestante il livello di conoscenza della lingua italiana e di altre lingue ufficiali dell'Unione europea; e) il titolo di studio del lavoratore straniero eventualmente conseguito all'estero e la qualifica professionale, con particolare riguardo a una attinenza tra tale titolo di studio o professionale e la mansione per la quale viene richiesta l'autorizzazione al lavoro in Italia; f) la documentazione attestante precedenti soggiorni in Italia e in altri Paesi dell'Unione europea; g) l'indicazione relativa ai membri del nucleo familiare del lavoratore straniero già regolarmente residenti in Italia. 3. Il possesso dei requisiti di cui alle lettere d), e), f) e g) del comma 2 costituisce titolo preferenziale per l'accoglimento della richiesta di autorizzazione al lavoro. Il richiedente può altresì allegare ulteriore documentazione al fine di dimostrare l'attinenza tra la richiesta e la necessità del soggiorno in Italia del lavoratore straniero».
Art. 3. 1. All'articolo 27, comma 1, del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, è aggiunta, in fine la seguente lettera: «r-ter) collaboratori domestici o familiari qualora la richiesta di collaborazione venga inoltrata da un datore di lavoro italiano per rapporto di lavoro domestico avente natura di assistenza continuativa e diretta di persone anziane, di minori o di disabili. In tale caso all'atto dell'assunzione il lavoratore straniero deve consegnare al datore di lavoro un documento di identità personale in corso di validità ed eventuali diplomi o attestati professionali specifici, oltre a copia dei documenti prescritti dal presente testo unico per ottenere il visto di ingresso o di soggiorno, nonché adeguata documentazione nella quale si attesta la conoscenza della lingua italiana e le eventuali precedenti esperienze professionali come collaboratore domestico o familiare, con allegata lettera di presentazione e referenze del precedente datore di lavoro. Il contratto di lavoro tra le parti si intende stipulato, nel rispetto della normativa vigente e del contratto collettivo nazionale di lavoro applicato, a tempo determinato. In ogni caso, e in deroga a quanto previsto dall'articolo 22, comma 11, il lavoratore straniero è tenuto a lasciare l'Italia quando i compiti o le mansioni di cura e di assistenza sono terminati. Il datore di lavoro deve dare comunicazione ai competenti sportelli unici per l'immigrazione della cessazione o di ogni variazione del rapporto di lavoro. È altresì a cura del datore di lavoro lo svolgimento delle pratiche per la regolarizzazione dei documenti necessari, in conformità alla normativa vigente in materia, relativamente agli aspetti assicurativi e previdenziali, alla tessera sanitaria, nonché ad ogni altro documento sanitario prescritto».
Art. 4. 1. All'onere derivante dall'attuazione della presente legge si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2006-2008, nell'ambito dell'unità previsionale di base di parte corrente «Fondo speciale» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2006, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero dell'interno. 2. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.
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N. 1102
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CAMERA DEI DEPUTATI ______________________________ |
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PROPOSTA / DISEGNO DI LEGGE |
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d’iniziativa del deputato CAMPA ¾ |
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Modifica all'articolo 27 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, in materia di attività degli sportivi extracomunitari |
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Presentata il 13 giugno 2006
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Onorevoli Colleghi! - Le modifiche apportate al testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, dalla legge 30 luglio 2002, n. 189 (meglio nota come legge Bossi-Fini), hanno introdotto alcune rilevanti novità anche nel settore sportivo.
Prima del luglio 2002 l'ingresso di sportivi extracomunitari in Italia era libero, ossia non esistevano quote d'ingresso per chi volesse esercitare attività sportiva tanto a livello professionistico quanto a livello dilettantistico. Di conseguenza, il numero di atleti extracomunitari che poteva entrare nel nostro Paese poteva essere piuttosto rilevante. Oggi, a seguito delle modifiche introdotte dalla legge n. 189 del 2002 (articolo 27, comma 5-bis, del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998), il limite massimo annuo d'ingresso degli sportivi stranieri, da ripartire tra le federazioni sportive nazionali, viene determinato con decreto del Ministro dei beni e delle attività culturali, su proposta del Comitato olimpico nazionale italiano. Le varie società sportive, pertanto, non possono avvalersi dell'attività di atleti stranieri per un numero superiore rispetto a quello fissato annualmente a livello nazionale.
Pur essendo stato arginato il problema dell'ingresso incontrollato di atleti (che una volta ottenuto il permesso di soggiorno potevano decidere di dedicarsi ad attività lavorative diverse dallo sport), il legislatore ha mantenuto il divieto, per i soli lavoratori dello spettacolo (categoria in cui rientrano gli atleti), di cambiare settore di attività e qualifica. Stante tale prescrizione, un atleta non può svolgere alcun tipo di attività lavorativa diversa da quella sportiva, salvo che non chieda un nuovo visto d'ingresso o un permesso di soggiorno per lavoro subordinato o autonomo. Tale divieto risulta non solo ingiustificato, ma anche particolarmente «vessatorio» per gli atleti che sono, insieme agli altri lavoratori dello spettacolo, l'unica categoria a non poter mutare settore di attività. A ciò si aggiunga che spesso la retribuzione percepita dagli atleti dilettanti risulta essere molto modesta.
Per tale motivo, la presente proposta di legge intende modificare l'articolo 27 del testo unico di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998, rendendo così di fatto possibile, per l'atleta, svolgere attività diversa da quella sportiva. Condizione per rendere possibile il mutamento dell'attività lavorativa è che la persona si trovi in Italia da almeno sei mesi e che stipuli un contratto di lavoro subordinato od ottenga la certificazione attestante la sussistenza dei requisiti che l'articolo 26 del testo unico stabilisce per il lavoro autonomo. In considerazione dell'esiguità dei compensi percepiti dagli sportivi dilettanti, si ritiene opportuno consentire loro di svolgere attività lavorativa diversa da quella sportiva anche contemporaneamente ad essa.
proposta di legge ¾¾¾
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Art. 1. 1. Al comma 5-bis dell'articolo 27 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, introdotto dall'articolo 22 della legge 30 luglio 2002, n. 189, sono aggiunti, in fine, i seguenti periodi: «Gli sportivi extracomunitari autorizzati a svolgere attività sportiva dilettantistica in Italia, a condizione che si trovino nel territorio nazionale da almeno sei mesi, possono cambiare settore di attività previa stipula di un contratto di lavoro subordinato o previo rilascio della certificazione attestante la sussistenza dei requisiti previsti dall'articolo 26 per il lavoro autonomo. Lo svolgimento di attività lavorativa subordinata o autonoma diversa da quella sportiva è consentito anche contemporaneamente all'esercizio dell'attività sportiva dilettantistica».
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N. 1263
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CAMERA DEI DEPUTATI ______________________________ |
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PROPOSTA / DISEGNO DI LEGGE |
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d’iniziativa dei deputati MASCIA, FRIAS, FRANCO RUSSO ¾ |
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Modifica all'articolo 2 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, in materia di riconoscimento allo straniero dell'elettorato attivo e passivo nelle consultazioni elettorali e referendarie a carattere locale |
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Presentata il 1° luglio 2006
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Onorevoli Colleghi! - L'immigrazione è un fenomeno di crescenti proporzioni che - in tema di diritti e di doveri - richiede risposte urgenti, ispirate ai princìpi di solidarietà e di convivenza civile.
Gli stranieri non devono e non possono essere considerati una minaccia per l'ordine pubblico e per l'occupazione, ma una straordinaria risorsa per il progresso civile, culturale ed economico della nostra società. Il riconoscimento della ricchezza, certo non solo economica, che dà al nostro Paese la presenza di donne e di uomini provenienti da altri Stati, e che risiedono regolarmente in Italia, non può essere disgiunta dal riconoscimento dei diritti giuridici, civili e politici, che rappresentano la precondizione per rendere effettiva la partecipazione dei migranti nella società di accoglienza. È urgente, dunque, la necessità di definire e rafforzare politiche di cittadinanza nei confronti di chi vive, risiede, studia, lavora nel nostro Paese.
Gli immigrati regolari godono di diritti fondamentali in materia di tutela della maternità e dell'infanzia, di lavoro (anche autonomo), di accesso alle libere professioni e ai diritti previdenziali, in condizioni di parità con i cittadini italiani.
In altre materie, che riguardano fondamentali diritti individuali, il nostro Paese, invece, è tuttora ancorato a concezioni ormai anacronistiche, che non hanno giustificazione rispetto ai princìpi base di una moderna democrazia.
Una delle gravi lacune - rispetto all'auspicato processo di integrazione nel nostro sistema politico e sociale - consiste nel mancato riconoscimento agli stranieri, che risiedono regolarmente e stabilmente nel territorio nazionale, dell'elettorato attivo e passivo nelle consultazioni elettorali e referendarie a carattere locale.
L'Italia, infatti, non si è adeguata alla linea di tendenza europea rispetto al diritto di voto e, quindi, alla partecipazione dello sviluppo democratico, non solo nelle consultazioni elettorali nazionali, ma neppure in quelle locali (come previsto, ad esempio, in Spagna e in Belgio).
La presente proposta di legge, che modifica l'articolo 2 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, è tesa ad estendere il diritto di voto attivo e passivo nelle consultazioni elettorali amministrative e nelle altre elezioni locali, nonché il diritto di partecipare alle consultazioni referendarie indette dagli enti locali, agli stranieri che risiedono stabilmente e regolarmente in Italia da almeno cinque anni (come peraltro previsto inizialmente dall'articolo 38, poi espunto nel corso dei lavori parlamentari, del disegno di legge governativo divenuto la legge n. 40 del 1998), ed è complementare alla proposta di legge costituzionale di modifica agli articoli 48 e 51 della Costituzione in materia di riconoscimento allo straniero dell'elettorato attivo e passivo (atto Camera n. 937), già presentata dai firmatari del presente progetto di legge al fine di sancire a livello costituzionale tale diritto.
Un'ultima, ma significativa, considerazione: l'interpretazione corrente della nostra Carta costituzionale, sancita anche dalla giurisprudenza, estende i diritti fondamentali a «tutti» e non solo ai «cittadini». Nello stesso senso vanno numerose convenzioni internazionali ratificate dall'Italia, tra cui, in particolare - per quanto riguarda i cittadini dell'Unione europea - il Trattato di Maastricht che sancisce il passaggio da una situazione di «tolleranza» ad un'altra caratterizzata da diritti garantiti a tutti, senza discriminazioni.
proposta di legge ¾¾¾
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Art. 1. 1. Dopo il comma 4 dell'articolo 2 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286, è inserito il seguente: «4-bis. Allo straniero che risiede regolarmente e stabilmente in Italia da almeno cinque anni è riconosciuto l'elettorato attivo e passivo nelle elezioni amministrative e nelle altre elezioni locali, nonché il diritto di partecipare alle consultazioni referendarie indette dagli enti locali». Art. 2. 1. Entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge sono adottate le necessarie modifiche e integrazioni al regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394, e successive modificazioni, con le procedure previste dai commi 6 e 7 dell'articolo 1 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286.
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N. 1779
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CAMERA DEI DEPUTATI ______________________________ |
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PROPOSTA DI LEGGE |
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d’iniziativa del deputato BOATO ¾ |
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Abrogazione della legge 30 luglio 2002, n. 189, recante modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo |
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Presentata il 4 ottobre 2006
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Onorevoli Colleghi! - L'immigrazione è un fenomeno complesso che riguarda l'Italia, l'Europa, tutte le democrazie avanzate ed i loro rapporti con i Paesi più arretrati e sottosviluppati, sia nel confronto nord-sud, sia nelle relazioni est-ovest.
L'Italia ha conosciuto per quasi un secolo il fenomeno dell'emigrazione verso altri Paesi più sviluppati ed altri continenti; nel mondo vi sono molti milioni di persone di origine italiana, testimoni viventi della drammatica storia del nostro Paese quando era caratterizzato da povertà, miseria e sottosviluppo.
Sappiamo bene che, oggi, in Italia ed in Europa non si può immaginare una politica di immigrazione indiscriminata ed irregolare, che provocherebbe gravi lacerazioni sociali, fenomeni di razzismo, xenofobia, intolleranza ed una convivenza sempre più difficile, specialmente tra le fasce sociali più deboli ed emarginate della nostra popolazione.
L'immigrazione è un fenomeno complesso che va governato con equilibrio e fermezza, con equità e rigore, con una forte collaborazione a livello europeo e con la cooperazione e la diretta responsabilizzazione dei Paesi di provenienza, sia a sud sia ad est. La vera sicurezza non è soltanto un problema di ordine pubblico, che pure esiste e va affrontato nella sua dimensione; una cosa è la sacrosanta e doverosa lotta contro la criminalità italiana ed extracomunitaria, altra cosa il fenomeno dell'immigrazione irregolare, tecnicamente definita clandestina.
In molte delle nostre famiglie esistono persone pienamente integrate, ma che risultano tecnicamente clandestine perché non sono riconosciuti i loro diritti ed anche i loro doveri.
In molte delle nostre aziende, specialmente nel nord d'Italia, lavorano persone pienamente integrate e professionalmente capaci, ma che risultano tecnicamente clandestine perché non sono riconosciuti i loro diritti ed anche i loro doveri.
Queste persone straniere sono lavoratori e lavoratrici nelle aziende, nelle famiglie, che nulla hanno a che vedere con la criminalità.
Governare il fenomeno dell'immigrazione significa, dunque, combattere la criminalità laddove si manifesta, ma soprattutto superare il problema della clandestinità e sviluppare la capacità di integrazione, realizzando l'autentica convivenza nella solidarietà e nella sicurezza.
Governare il fenomeno dell'immigrazione significa fornire risposte adeguate alle esigenze del nostro sviluppo socio-economico e, al contempo, rispettare i diritti civili e umani per tutti, riconoscere le garanzie dello Stato di diritto e delle convenzioni internazionali in materia di asilo.
Tutto questo non è presente nella cosiddetta «legge Bossi-Fini» (legge n. 189 del 2007) in tema di immigrazione e di asilo, approvata nel corso della precedente legislatura, o è stato reso più complicato e difficile, più macchinoso e burocratico, più rigido e repressivo rispetto alla legislazione pre-esistente.
La «Bossi-Fini» non è tanto una legge, quanto un manifesto ideologico, un'arma impropria da agitare in una sorta di campagna elettorale permanente.
È per questo che con la presente proposta vogliamo abrograrla, perché essa è una pessima legge; non è una riforma, bensì una controriforma, un'operazione politica e ideologica regressiva.
Queste norme conculcano i diritti dei lavoratori stranieri, ma anche quelli delle imprese italiane dove essi lavorano; conculcano i diritti delle persone, dei minori e delle famiglie, rendendo tutto più complicato, macchinoso e difficile ed ottenendo in tal modo l'effetto opposto: non meno, ma più clandestinità; non meno, ma più irregolarità; non meno, ma più insicurezza!
Non si deve contrapporre la sicurezza alla solidarietà e alla convivenza, ma promuovere solidarietà e convivenza nella sicurezza. La «Bossi-Fini» va invece nella direzione opposta. Non si deve contrapporre una chiusura ideologica e regressiva ad aperture indiscriminate e demagogiche, ma costruire ed applicare regole certe, eque e praticabili. Questa legge va invece nella direzione opposta. Non si deve rendere sempre più difficile e precaria l'immigrazione regolare e regolata, altrimenti si incentiva il fenomeno della clandestinità e dell'emarginazione. Tale legge va appunto nella direzione opposta e ha creato nuova clandestinità; essa calpesta infatti i diritti civili ed umani fondamentali, lede la Costituzione, rende più difficile la convivenza e la coesione sociale.
Noi siamo per un'immigrazione regolare e regolarizzata, per i diritti e i doveri delle persone, delle famiglie e delle imprese, per una strategia di sviluppo socialmente ed economicamente sostenibile, per il rispetto dei diritti civili ed umani nel quadro di una convivenza possibile e di una positiva coesione sociale ed è per questo che l'abrogazione della legge n. 189 del 2002 diventa pre-requisito fondamentale da cui partire per una nuova e più equa politica dell'immigrazione.
proposta di legge ¾¾¾
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Art. 1. 1. La legge 30 luglio 2002, n. 189, e successive modificazioni, è abrogata. 2. Dalla data di entrata in vigore della presente legge riacquistano efficacia, nel testo vigente prima della data di entrata in vigore della legge 30 luglio 2002, n. 189, le disposizioni degli articoli 3, 4, 5, 6, 7, 9, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 21, 22, 23, 24, 25, 26, 27, 29, 30, 32, 39 e 40 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e dell'articolo 1 del decreto-legge 30 dicembre 1989, n. 416, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1990, n. 39. 3. Gli articoli 2-bis e 5-bis del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e gli articoli da 1-bis a 1-septies del decreto-legge 30 dicembre 1989, n. 416, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1990, n. 39, sono abrogati.
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N. 1804
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CAMERA DEI DEPUTATI ______________________________ |
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PROPOSTA DI LEGGE |
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d’iniziativa dei deputati SGOBIO, DILIBERTO, BELLILLO, CANCRINI, CESINI, CRAPOLICCHIO, DE ANGELIS, GALANTE, LICANDRO, NAPOLETANO, PAGLIARINI, FERDINANDO BENITO PIGNATARO, SOFFRITTI, TRANFAGLIA, VACCA, VENIER ¾ |
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Estensione dei benefìci previsti dall'articolo 18 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, ai lavoratori stranieri impiegati in condizioni di particolare sfruttamento |
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Presentata l’11 ottobre 2006
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Onorevoli Colleghi! - La presente proposta di legge si propone di estendere i benefìci previsti dall'articolo 18 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (la cosiddetta legge «Turco-Napolitano») anche ai lavoratori che, in condizioni di grave sfruttamento, ricatto o minaccia e in violazione delle norme relative alla tutela della salute e alla sicurezza sui luoghi di lavoro, denunciano il proprio datore di lavoro. Una previsione di civiltà che vuole colpire, soprattutto, quelle odiose forme di sfruttamento che usufruiscono del lavoro degli immigrati clandestini, mantenendoli in condizioni subumane.
L'intento è quindi quello di colpire tali situazioni di sfruttamento, alle quali si accompagnano spesso anche minacce da parte di datori di lavoro senza scrupoli. Una situazione nota da tempo e denunciata dalle associazioni che si occupano dei lavoratori immigrati, e che recentemente è stata oggetto di un'ampia inchiesta del settimanale L'Espresso, che ha documentato le condizioni di migliaia di lavoratori extracomunitari che lavorano nelle campagne pugliesi.
Il giornalista del citato settimanale Fabrizio Gatti, fingendosi un lavoratore rumeno, ha raccontato, in un lungo reportage, le vessazioni che i lavoratori del settore sono costretti a subire: sfruttati, sottopagati, massacrati di botte se protestano, spesso anche privati del passaporto come forma di ricatto, i lavoratori extracomunitari vivono in condizioni disumane, continuamente minacciati di essere denunciati ed espulsi perché privi del regolare permesso di soggiorno. Una situazione che vede implicata la mafia locale in Sicilia e in Puglia, i caporalati e la malavita nelle altre regioni. Certamente, i settori dell'agricoltura e dell'edilizia sono quelli dove più che altrove si registrano situazioni di grave sfruttamento, ma anche nei settori del tessile e del cuoio le condizioni dei lavoratori e delle lavoratrici stranieri sono terribili: essi sono costretti a lavorare anche dieci ore al giorno, in condizioni penose. Non ultimo, si ricorda il caso dell'operaio edile rumeno Spirodan Mircea, morto sotto le macerie dello stabile crollato a Licata il 22 settembre scorso perché, dato che lavorava in nero e non era in regola con il permesso di soggiorno, il suo datore di lavoro non aveva informato immediatamente i soccorritori della sua presenza sotto le macerie del crollo avvenuto addirittura due giorni prima.
La presente proposta di legge vuole essere il tentativo di sottrarre i lavoratori immigrati clandestini da qualsiasi forma di ricatto o di minaccia da parte di datori di lavoro senza scrupoli. I benefìci previsti dal citato articolo 18 del testo unico, ovvero la possibilità di rilasciare uno speciale permesso di soggiorno per consentire allo straniero di sottrarsi alla violenza e ai condizionamenti dell'organizzazione criminale e di partecipare a un programma di assistenza e integrazione sociale, sono pertanto estesi anche ai lavoratori stranieri quando «nel corso di operazioni di polizia o di indagini o di un procedimento penale ne sia accertato l'impiego in condizioni di grave sfruttamento, ricatto o minaccia e in violazione delle norme relative alla tutela della salute e alla sicurezza sui luoghi di lavoro» (comma 1-bis del citato articolo 18 del testo unico, introdotto dall'articolo 1 della proposta di legge). Una fattispecie particolare che si propone di colpire le gravi forme di sfruttamento.
La presente proposta di legge prevede, altresì, una parziale modifica anche del comma 1 del medesimo articolo 18, inserendo la possibilità che lo straniero possa usufruire di uno speciale permesso di soggiorno anche nei casi in cui la violenza o minaccia sia operata non solo da un'associazione di persone, come prevede il testo vigente, ma anche da una o più persone, dunque anche nel caso in cui non sia possibile, o risulti difficile, riconoscere l'associazione di persone. Una condizione più comune di quella attualmente prevista dalla norma vigente, che permetterebbe di colpire in maniera ancora più puntuale le forme di sfruttamento e di violenza.
proposta di legge ¾¾¾
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Art. 1. 1. Il comma 1 dell'articolo 18 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, è sostituito dai seguenti: «1. Quando, nel corso di operazioni di polizia, di indagini o di un procedimento per taluno dei delitti di cui all'articolo 3 della legge 20 febbraio 1958, n. 75, o di quelli previsti dall'articolo 380 del codice di procedura penale, ovvero nel corso di interventi assistenziali dei servizi sociali degli enti locali, siano accertate situazioni di violenza o di grave sfruttamento nei confronti di uno straniero ed emergano concreti pericoli per la sua incolumità, per effetto dei tentativi di sottrarsi ai condizionamenti di una o più persone, ovvero di un'associazione dedita ad uno dei predetti delitti, o delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari o del giudizio, il questore, anche su proposta del procuratore della Repubblica, o con il parere favorevole della stessa autorità, rilascia uno speciale permesso di soggiorno per consentire allo straniero di sottrarsi alla violenza ed ai condizionamenti dell'organizzazione criminale e di partecipare ad un programma di assistenza ed integrazione sociale. 1-bis. Lo speciale permesso di soggiorno di cui al comma 1 viene rilasciato anche ai lavoratori stranieri quando nel corso di operazioni di polizia o di indagini o di un procedimento penale ne sia accertato l'impiego in condizioni di grave sfruttamento, ricatto o minaccia e in violazione delle norme relative alla tutela della salute e alla sicurezza sui luoghi di lavoro». |
N. 1850
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CAMERA DEI DEPUTATI ______________________________ |
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PROPOSTA DI LEGGE |
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d’iniziativa del deputato BORDO ¾ |
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Modifica all'articolo 18 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, in materia di rilascio del permesso di soggiorno ai lavoratori stranieri per motivi di protezione sociale |
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Presentata il 24 ottobre 2006
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Onorevoli Colleghi! - L'emergenza immigrazione è tornata prepotentemente di attualità anche a seguito dell'emersione di gravissimi casi di sfruttamento della mano d'opera straniera.
Come, purtroppo, molti di noi sapevano anche prima delle recenti inchieste giornalistiche, e delle conseguenti attività di controllo del territorio e di repressione del fenomeno, ci sono vaste aree del sud Italia in cui ancora si pratica il caporalato e la «tratta delle braccia»; dove immigrati clandestini in cerca di un lavoro che possa sfamare loro stessi e le famiglie lasciate in patria vengono sfruttati fino al limite dello schiavismo da delinquenti che non possono definirsi imprenditori e che, in taluni casi, sono parte integrante di un sistema economico paramafioso o paracamorristico.
Migliaia di donne e di uomini costretti a vivere ai margini della società italiana in condizioni igienico-sanitarie ritenute, dall'organizzazione non governativa «Medici senza frontiere», di livello inferiore rispetto agli standard minimi richiesti dall'ONU per i campi profughi in zone di guerra. Migliaia di lavoratori che la clandestinità condanna a vivere e a lavorare senza apparire, pena l'espulsione dal nostro Paese.
E quando lo sfruttamento emerge alla luce del sole, grazie all'impegno delle Forze dell'ordine o degli organi ispettivi, gli immigrati clandestini sono i soli a non poter beneficiare del sistema di protezione sociale di cui godono gli operai agricoli e, più in generale, i lavoratori italiani. Lo status di clandestino impedisce di intentare azioni risarcitorie nei confronti di chi ha calpestato la loro dignità di esseri umani; così come non consente l'attivazione delle procedure previste dal nostro diritto del lavoro per ottenere, anche forzosamente, il giusto corrispettivo per la prestazione effettuata.
La clandestinità, a cui sono costretti anche a causa delle misure oltremodo restrittive introdotte dalla legge Bossi-Fini, cancella ogni diritto connesso allo status di lavoratore e ciò è inaccettabile in una «Repubblica fondata sul lavoro» (articolo 1 della Costituzione), nel cui territorio si «tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni» (articolo 35 della Costituzione).
Nasce da queste considerazioni la presente proposta di legge che vuole modificare l'articolo 18 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, al fine di consentire il rilascio del permesso di soggiorno ai lavoratori stranieri per motivi di protezione sociale, che sottopongo alla vostra attenzione.
proposta di legge ¾¾¾
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Art. 1
1. All'articolo 18 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, dopo il comma 1 è inserito il seguente: «1-bis. Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano altresì, anche al fine di garantire l'applicazione degli istituti di tutela dei lavoratori previsti dall'ordinamento, agli stranieri in danno dei quali siano accertate, anche a seguito di denuncia effettuata dal diretto interessato, situazioni di violenza o grave sfruttamento nei luoghi di lavoro, ad opera di soggetti singoli o associati tra loro, aggravate dalla pratica dell'intermediazione illegale di manodopera».
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N. 1852
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CAMERA DEI DEPUTATI ______________________________ |
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PROPOSTA DI LEGGE |
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d’iniziativa dei deputati BUCCHINO, ZANOTTI, BAFILE, GIANNI FARINA, FEDI, NARDUCCI ¾ |
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Modifica all'articolo 19 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, in materia di divieti di espulsione e di respingimento |
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Presentata il 24 ottobre 2006
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Onorevoli Colleghi! - Gli immigrati in Italia, secondo i dati del Ministero dell'interno, sono quasi 3 milioni. Il Dossier Statistico Immigrazione 2005 della Caritas indica esattamente in 2.786.340 gli immigrati in Italia, una percentuale sulla popolazione residente di circa il 5 per cento in linea con la media europea stimata del 5,2 per cento. Circa la metà è rappresentata da donne.
A questo numero devono aggiungersi gli immigrati «irregolari» stimati in una percentuale compresa tra il 20 e il 30 per cento degli immigrati con regolare permesso di soggiorno per un totale, quindi, di immigrati regolari e non, compreso fra i 3.200.000 e i 3.500.000. La normativa attualmente in vigore, ovvero il testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, è certamente una delle più avanzate del mondo poiché, sostanzialmente, equipara l'immigrato con regolare permesso di soggiorno al cittadino italiano e allo stesso tempo riconosce agli immigrati irregolari il diritto alle cure urgenti ancorché continuative ed essenziali. Tutto ciò a conferma della tradizione di riconoscimento, di difesa dei diritti umani e di solidarietà che caratterizza il nostro Paese nonché della presa di coscienza che gli immigrati rappresentano, di fatto, una risorsa, un investimento sul futuro del nostro Paese piuttosto che una minaccia, dato che i figli di madri straniere nella loro grande maggioranza saranno gli italiani di domani, nostri concittadini.
Il nostro Paese è così avviato a diventare un Paese multietnico, dove l'auspicata integrazione si potrà arricchire anche di parole come «interazione, reciprocità e fecondità negli scambi». È questo il percorso obbligatorio che l'Italia dovrà seguire con impegno e determinazione anche se, allo stato attuale, dobbiamo constatare che nella realtà i percorsi di integrazione sanciti dalla normativa vigente sono ancora segnati da ostacoli con disuguaglianza nell'accesso e nella fruizione dei servizi, sia per mancanza di corrette conoscenze dei propri diritti da parte degli immigrati, sia per le barriere di gravi pregiudizi che ancora devono essere abbattute. Tuttora, purtroppo, si pensa, erroneamente, agli immigrati come portatori di malattie, quando invece i dati scientifici dimostrano che arrivano in Italia sani (a parte le condizioni psico-fisiche di chi ha dovuto affrontare viaggi disperati) e si ammalano dopo l'arrivo. Possiamo quindi affermare che manca una aggiornata e adeguata politica dell'immigrazione e che c'è sempre una maggiore precarietà dell'immigrato, precarietà che va anche a gravare pesantemente sulla sua salute (una buona integrazione va infatti a limitare il fenomeno della deriva e dell'emarginazione sociale - fattori questi ultimi che incrementano violenza e criminalità - e quindi migliora il benessere e la sicurezza sociali).
Numerose e gravi sono le aree critiche sulle quali dobbiamo intervenire con urgenza come, ad esempio, quella della tutela del lavoro che, stante l'attuale normativa che prevede un legame troppo stretto con il contratto di lavoro e con il permesso di soggiorno, pone i lavoratori stranieri nella condizione di forte ricattabilità così da accettare condizioni di lavoro molto più simili a una condizione di sfruttamento (ciò viene confermato dai dati sanitari sugli infortuni dei lavoratori stranieri).
Nell'auspicio che una nuova legge di sistema sia presto approntata per dare dignitosa soluzione alle numerose problematiche, è nostro dovere affrontare e agire con adeguati strumenti almeno su un punto critico che richiede e merita immediata attenzione. Mi riferisco al problema della salute della gestante, della partoriente e del neonato. La gravidanza e il parto delle donne straniere risultano più a rischio che nelle donne italiane. Le donne immigrate di fatto risultano svantaggiate rispetto alle donne italiane nell'accesso ai servizi e nella fruizione degli esami e dei controlli assicurati dalla normativa vigente per la tutela della gravidanza. È confermato dai dati scientifici che le donne immigrate accedono con maggiore ritardo e in modo insufficiente alle prestazioni di monitoraggio e di prevenzione previste e che è diffusa la carenza dì corrette informazioni a riguardo. Ciò determina un maggiore rischio di patologia per loro e per i loro bambini al momento della nascita (le complicanze in gravidanza e al momento del parto sono fra le maggiori cause di ricovero di stranieri residenti in Italia. Le donne straniere ricorrono, inoltre, maggiormente all'interruzione volontaria di gravidanza, hanno un maggiore rischio di taglio cesareo e le malformazioni alla nascita sono più frequenti nei figli delle donne immigrate). Il problema è particolarmente grave fra le donne immigrate in condizione di irregolarità.
Attualmente le donne immigrate irregolari non possono essere espulse o respinte durante la gravidanza e fino ai sei mesi successivi alla nascita del figlio (articolo 19, comma 2, lettera d), del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998). La documentata esperienza di questi ultimi anni ha dimostrato, però, come nella stragrande maggioranza le donne in gravidanza non in possesso del permesso di soggiorno preferiscono non usufruire del divieto di espulsione fino a sei mesi dopo il parto, restando quindi nella clandestinità per il timore di venire espulse allo scadere del citato periodo prefissato di sei mesi. La presente proposta di legge, modificando l'articolo 19 del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998, vuole estendere il periodo in cui è vietata l'espulsione di almeno ulteriori sei mesi, per consentire alla donna, in tempi accettabili, di trovare una occupazione e di ottenere quindi un permesso di soggiorno per motivi di lavoro.
È facilmente comprensibile come sia realisticamente molto difficile che una donna nei sei mesi successivi al parto possa riuscire a cercare e a trovare un lavoro. Tale periodo è giustamente riconosciuto critico dal punto di vista della salute psico-fisica della donna, basti ricordare la temuta e diffusa depressione post-partum. Oltretutto, nella grande maggioranza dei casi la donna straniera immigrata, a maggior ragione se irregolare, si trova quasi sempre priva di una rete familiare o parenterale di sostegno e di adeguati supporti sociali.
Il provvedimento di modifica proposto è semplice ed è un atto dovuto in quanto consentirà di migliorare sensibilmente l'accesso ai servizi sanitari e la fruizione delle prestazioni sanitarie sia da parte delle donne gravide che delle puerpere, nonché di proteggere efficacemente la vita dei nascituri. È un provvedimento volto, quindi, a tutelare la salute delle donne e dei loro figli. Un provvedimento simile, inoltre, produrrebbe effetti molto positivi anche sulla prevenzione delle interruzioni volontarie di gravidanza spesso motivate da oggettive situazioni sociali come la precarietà per quanto riguarda il lavoro o la situazione abitativa della donna, la carenza di concreti supporti sociali e la mancanza di tutela nel medio-lungo termine. Di fatto le donne straniere immigrate irregolari abortiscono da tre a quattro volte in più delle donne italiane. E questa è una vera e propria emergenza sanitaria che conferma come la fragilità sociale sia tra i principali fattori di rischio dell'aborto volontario.
Si segnala, infine, che recependo la sentenza 12-27 luglio 2000, n. 376 della Corte costituzionale, che ha dichiarato l'illegittimità della lettera d) del comma 2 del citato articolo 19 del testo unico di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998, nella parte in cui non estende il divieto di espulsione al marito convivente della donna in stato di gravidanza o nel periodo successivo alla nascita del figlio, la presente proposta di legge prevede espressamente tale estensione.
proposta di legge ¾¾¾
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Art. 1. 1. La lettera d) del comma 2 dell'articolo 19 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, è sostituita dalla seguente: «d) delle donne in stato di gravidanza o nei dodici mesi successivi alla nascita del figlio cui provvedono, nonché dei mariti conviventi delle medesime donne».
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N. 2122
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CAMERA DEI DEPUTATI ______________________________ |
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PROPOSTA DI LEGGE |
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d’iniziativa del deputato CAPOTOSTI ¾ |
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Modifiche al testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, in materia di integrazione degli immigrati |
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Presentata il 10 gennaio 2007
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Onorevoli Colleghi! - Com'è noto, l'immigrazione su vasta scala, in Italia, è un fenomeno recente, diversamente che in altri Paesi dove è presente da tempo, o che addirittura si sono formati e sviluppati da una miscela di immigrati dalle origini più diverse (come è avvenuto negli Stati Uniti d'America). Da qui la difficoltà, che del resto non è solo italiana, di predisporre misure efficaci per garantire un buon adattamento lavorativo e sociale degli immigrati. Tali misure, tuttavia, sono oltremodo necessarie sotto un duplice profilo: da un lato, quello umanitario, volto a garantire agli immigrati condizioni di vita dignitose, degne di un Paese civile e democratico come il nostro; dall'altro, quello della sicurezza, perché è indubbio che uno straniero abbandonato a se stesso, in un Paese di cui spesso non conosce nemmeno la lingua, rischia di essere facile preda della criminalità, organizzata e non.
Questa situazione, che periodicamente riesplode in Italia nelle forme di una «emergenza» difficile da affrontare, non ha finora permesso di impostare razionalmente problemi cruciali, come quelli dell'alloggio, del lavoro, dell'integrazione culturale e sociale.
Deve prevalere una politica di assimilazione o un assoluto rispetto delle culture di origine? La soluzione andrebbe cercata in uno dei punti intermedi tra queste due soluzioni estreme, ed è quello che si prefigge la proposta di legge in oggetto, attraverso una serie di modifiche al testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286.
In particolare, l'articolo 1 prevede il diritto al riconoscimento, sulla base di requisiti prestabiliti e del principio del silenzio-assenso, dei titoli di formazione professionale acquisiti all'estero, e non più la mera possibilità di chiedere tale riconoscimento secondo condizioni e modalità fissate per singoli casi, come attualmente previsto. In questo modo si intende assicurare una procedura più spedita di riconoscimento delle qualifiche professionali, al fine di un miglior inserimento dello straniero nel mondo del lavoro, limitando il cosiddetto «brain waste»: attualmente, infatti, la maggior parte degli stranieri che possiedono un livello di scolarizzazione più elevato rispetto ai lavoratori italiani sono inseriti nel settore secondario del mercato del lavoro, caratterizzato da occupazioni più insicure, instabili e faticose.
Lo stesso articolo 1, inoltre, impegna le regioni a promuovere specifici interventi che facilitino l'ingresso e l'inserimento dei cittadini extracomunitari nel mercato del lavoro, nonché corsi di aggiornamento per gli operatori degli enti locali addetti ai problemi dell'immigrazione.
L'articolo 2, invece, mira ad agevolare il ricongiungimento familiare degli immigrati, da un lato sopprimendo alcuni limiti introdotti nella scorsa legislatura dalla legge n. 189 del 2002, che ha modificato il citato testo unico; dall'altro, sancendo in modo esplicito il principio per cui il nulla osta al ricongiungimento stesso non può essere negato se non in presenza dei gravi motivi indicati dall'articolo 29, comma 7, del medesimo testo unico, riducendo così il potere discrezionale esercitabile in materia dall'autorità amministrativa. Ciò partendo dal presupposto che un'efficace politica di integrazione non può prescindere da un'adeguata considerazione degli affetti e dei problemi familiari dell'immigrato.
L'articolo 3 prende in considerazione la questione del diritto allo studio, impegnando tutti gli enti interessati a garantire la parità di trattamento tra studenti italiani e stranieri nell'accesso ai benefìci previsti dalla normativa vigente in tale settore. È inoltre prevista la concessione di borse di studio e di altre provvidenze riservate a studenti extracomunitari meritevoli e in difficili condizioni economiche.
L'articolo 4, infine, incrementa le misure di integrazione sociale di cui all'articolo 42 del citato testo unico, prevedendo attività di ricerca, studio e progettazione sui diversi aspetti dell'immigrazione e promuovendo, a tale fine, la partecipazione diretta dei cittadini stranieri a tali attività. È inoltre disposto che le regioni e gli enti locali stabiliscano sovvenzioni e agevolazioni riservate alle associazioni che svolgono continuativamente attività in favore degli immigrati.
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Art. 1. (Riconoscimento dei titoli professionali e accesso ai corsi di formazione). 1. Il comma 15 dell'articolo 22 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, di seguito denominato «testo unico di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998», è sostituito dai seguenti: «15. I lavoratori italiani, comunitari ed extracomunitari hanno diritto al riconoscimento dei titoli di formazione professionale acquisiti all'estero che rispondono ai requisiti stabiliti per singole qualifiche professionali con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, sentita la commissione centrale per l'impiego. Con lo stesso decreto sono stabilite le modalità e le forme del riconoscimento secondo il principio del silenzio-assenso. 15-bis. I lavoratori comunitari ed extracomunitari hanno diritto di partecipare, a parità di condizioni con i lavoratori italiani, a tutti i corsi di formazione e di riqualificazione programmati nel territorio della Repubblica. Le regioni promuovono specifici interventi diretti a facilitare l'ingresso e l'inserimento dei cittadini extracomunitari nel mercato del lavoro, nonché corsi di aggiornamento rivolti principalmente agli operatori degli enti locali addetti ai problemi dell'immigrazione». 2. Il decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale previsto dal comma 15 dell'articolo 22 del testo unico di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998, come sostituito dal comma 1 del presente articolo, è adottato entro un mese dalla data di entrata in vigore della presente legge.
Art. 2. (Ricongiungimento familiare). 1. All'articolo 29 del testo unico di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni: a) al comma 1: 1) alla lettera b-bis), le parole: «a causa del loro stato di salute che comporti invalidità totale» sono soppresse; 2) alla lettera c), le parole: «genitori ultrasessantacinquenni» e le parole: «di salute» sono soppresse; b) al comma 7, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «In caso di esito positivo della verifica, il nulla osta al ricongiungimento familiare può essere negato solo per i motivi di cui all'articolo 4, comma 6, nonché per gravi motivi di salute pubblica». Art. 3. (Istruzione). 1. Dopo il comma 2 dell'articolo 38 del testo unico di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998, sono inseriti i seguenti: «2-bis. Al fine di rimuovere gli ostacoli di ordine economico, sociale e culturale che si frappongono ad una piena attuazione del diritto allo studio, lo Stato, le regioni, gli enti locali e le istituzioni scolastiche, ciascuno nell'ambito delle rispettive competenze, assicurano agli studenti stranieri l'accesso ai benefìci e alle agevolazioni previsti dalla normativa vigente in materia di diritto allo studio in condizioni di parità con gli studenti italiani. 2-ter. Gli enti di cui al comma 2-bis istituiscono borse di studio e altre provvidenze riservate a studenti extracomunitari meritevoli e in difficili condizioni economiche».
Art. 4. (Misure di integrazione sociale). 1. All'articolo 42 del testo unico di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni: a) al comma 1, dopo la lettera c) è inserita la seguente: «c-bis) le attività di ricerca, studio e progettazione sui diversi aspetti dell'immigrazione, ivi compresi seminari e convegni, nonché la raccolta, la produzione, la conservazione e la circolazione della relativa documentazione, promuovendo la partecipazione diretta dei cittadini stranieri a tali attività»; b) dopo il comma 1 è inserito il seguente: «1-bis. La Repubblica riconosce, promuove e sostiene le funzioni socio-culturali svolte senza fine di lucro dalle associazioni di stranieri, nonché dalle altre associazioni che operano in loro favore. A tale fine, le regioni e gli enti locali stabiliscono sovvenzioni e agevolazioni riservate alle associazioni che svolgono continuativamente, per almeno un anno, attività in favore degli immigrati, purché siano regolarmente costituite con atto costitutivo o con statuto ispirato a princìpi di democraticità e abbiano almeno una sede di attività nel territorio della regione o dell'ente locale che dispone il beneficio».
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N. 2547
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CAMERA DEI DEPUTATI ______________________________ |
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PROPOSTA DI LEGGE |
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d’iniziativa del deputato MIGLIORE, ACERBO, BURGIO, CACCIARI, CARDANO, CARUSO, COGODI, DE CRISTOFARO, DEIANA, DE SIMONE, DIOGUARDI, DURANTI, FALOMI, DANIELE FARINA, FERRARA, FOLENA, FORGIONE, FRIAS, GIORDANO, GUADAGNO detto VLADIMIR LUXURIA, IACOMINO, KHALIL, LOCATELLI, LOMBARDI, MANTOVANI, MASCIA, MUNGO, OLIVIERI, PEGOLO, PERUGIA, PROVERA, ANDREA RICCI, MARIO RICCI, ROCCHI, FRANCO RUSSO, SINISCALCHI, SMERIGLIO, SPERANDIO, ZIPPONI ¾ |
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Nuove norme in materia di ingresso e di soggiorno dei cittadini e delle cittadine stranieri in Italia e delega al Governo per l'emanazione di un testo unico delle disposizioni concernenti l'ingresso e il soggiorno dei cittadini e delle cittadine stranieri in Italia |
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Presentata il 24 aprile 2007
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Onorevoli Colleghi! - Siamo a un passaggio di grande rilevanza per quel che riguarda la modifica della normativa vigente in tema di politiche migratorie. A partire dall'affermazione de L'Unione alle elezioni politiche scorse, infatti, si è aperto un dibattito pubblico segnato dalla necessità di realizzare un cambiamento strutturale delle politiche sull'immigrazione, mentre il Governo ha costruito un importante percorso di confronto con regioni, enti locali, attori sociali, associazioni e migranti.
In questo quadro, ormai in prossimità della presentazione del disegno di legge delega del Governo, si colloca la nostra proposta di legge. Essa vuole rappresentare un contributo al dibattito parlamentare che si svilupperà sul testo del Governo. Al contempo, essa vuole contribuire anche alla discussione successiva: quando il disegno di legge delega sarà approvato, e l'esecutivo sarà chiamato a definire, a partire dagli indirizzi dati dalle Camere, una nuova legge in materia di immigrazione, sostitutiva del vigente testo unico di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998, di seguito denominato «testo unico».
Il testo che presentiamo rappresenta una proposta di legge organica, che sceglie di collocarsi sul terreno dell'attuazione puntuale del programma de L'Unione, nelle parti appositamente dedicate alle politiche migratorie, ma anche per quanto contenuto più complessivamente in altri passaggi, in materia di lavoro, scuola, giustizia, come dei più generali riferimenti alla necessità di costruire politiche di inclusione e di rimozione delle disuguaglianze.
Non è dunque la proposta di legge che astrattamente avremmo presentato come Rifondazione Comunista se avessimo dovuto disegnare, fuori dal contesto dato, la politica a nostro avviso più giusta ed efficace in materia di immigrazione, ma è la declinazione normativa che proponiamo di quel compromesso avanzato e che tutta l'Unione ha sottoscritto presentandosi agli elettori.
Ed è una proposta di legge organica che cerca di ridisegnare un quadro complessivo, anche oltre i temi che sono stati maggiormente affrontati nel dibattito di questi mesi. Partendo dalla riscrittura, dunque, delle finalità e dei princìpi generali, per affrontare via via tutti i nodi di una materia decisiva per il futuro della nostra società, sul terreno demografico, sociale ed economico, culturale e democratico.
La ratio della proposta di legge
La logica della nostra proposta di legge è la stessa che è sottesa ed esplicitata nel programma de L'Unione, il cui contributo innovativo si basa su un intreccio di nodi analitici e propositivi.
Da un lato, un assunto di fondo. Ci troviamo di fronte non ad una «emergenza», ma a processi strutturali di lungo periodo, determinati dalle disuguaglianze a livello planetario e dall'accresciuta mobilità delle persone. Parlare di migrazioni significa in quest'ottica parlare prima di tutto di donne e di uomini che stanno cercando di costruire propri percorsi di vita, non determinati dalla condizione che il destino ha dato in sorte a ciascuno. I diritti di queste persone devono essere criterio fondante delle politiche migratorie, in linea con quanto ci ricorda l'articolo 13 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo.
A questo assunto di fondo se ne associa un altro più «empirico», che attiene al bilancio delle politiche sin qui seguite.
È noto come dal 1986 ad oggi siano intervenute cinque sanatorie (1986, 1990, 1995, 1998, 2002), che hanno regolarizzato un milione e mezzo di persone; al 2003 - anno in cui si sono registrati gli effetti dell'ultima regolarizzazione - oltre il 70 per cento degli stranieri regolari in Italia risultava beneficiario di un provvedimento di sanatoria. Nonostante gli investimenti massicci sul terreno della repressione - va ricordato che in questi anni lo Stato italiano ha speso l'80 per cento delle risorse per azioni di contrasto, espulsioni, detenzioni, rimpatri, e solo il 20 per cento per misure e progetti di inserimento sociale - la stragrande maggioranza degli immigrati sono entrati come clandestini, o comunque hanno vissuto un periodo più o meno lungo di irregolarità.
La vera politica sull'immigrazione è stata dunque un mix di proibizionismo - con i correlati proclami propagandistici per «tranquillizzare» l'opinione pubblica - e di periodiche sanatorie.
Il bilancio è quello di un meccanismo assolutamente ipocrita e inefficace rispetto agli obiettivi dichiarati, ma che ha viceversa prodotto e alimentato clandestinità e tragedie dai costi umani elevatissimi. Com'è noto, infatti, la percentuale di migranti che arrivano clandestinamente via mare è estremamente ridotta (minore del 10 per cento), ma le tragedie che si consumano sono enormi.
L'organizzazione United for International Action ha documentato, dal 1993 ad oggi, oltre 5.000 cittadini stranieri morti nel tentativo di entrare o di rimanere nell'Unione europea: e si tratta certamente di cifre approssimate per difetto.
La grande quantità di risorse spese in azioni di contrasto e di repressione ha dunque avuto come solo esito quello di causare sofferenze, e di rendere le vite dei migranti sottoposte a ogni ricatto e precarietà. Non ha, viceversa, fermato in alcun modo i flussi migratori, alimentati dalle aspettative dei migranti, dalle dinamiche demografiche e dalle necessità del mercato del lavoro, tanto più per la presenza rilevantissima, in Italia, di un'ampia area di lavoro nero e di economia sommersa.
Per costruire nuove politiche e una nuova legislazione in materia di immigrazione è necessario fare un bilancio veritiero di quanto fin qui accaduto, guardando alla realtà dei processi sociali.
Le nostre società hanno bisogno dell'immigrazione. Vale per l'Europa e a maggior ragione per l'Italia. Secondo le stime dell'Organizzazione internazionale del lavoro, con la popolazione dei 15 «vecchi» Stati europei in costante e rapido invecchiamento c'è bisogno di circa 47 milioni di immigrati per mantenere fino all'anno 2050 l'attuale dimensione complessiva della popolazione europea e, addirittura, di 79 milioni di immigrati per mantenere costante la fascia compresa tra i 15 e i 64 anni di età, cioè la fascia attiva. Nella previsione di un costante aumento dell'occupazione femminile (+1 per cento annuo per i prossimi 25 anni), del mantenimento degli attuali livelli di crescita del prodotto interno lordo europeo, ipotizzando un aumento di produttività al 2,5 per cento annuo, l'Unione europea registrerà una carenza di lavoratori nell'anno 2050 di 38 milioni di unità, o di 88 milioni se la produttività aumenterà solo del 2 per cento.
Per quel che riguarda l'Italia, senza l'immigrazione la popolazione della fascia di età più attiva (fra i 20 e i 40 anni) diminuirebbe di oltre 300.000 unità all'anno.
La proposta di legge in dettaglio
1.Rendere possibile e conveniente l'ingresso legale.
La programmazione degli ingressi per come è sin qui avvenuta ha significato di fatto l'impossibilità di entrare legalmente nel nostro Paese: quote irrisorie rispetto agli stessi fabbisogni del mercato del lavoro, e un meccanismo, come quello della chiamata nominativa su estero, per cui i datori di lavoro avrebbero dovuto assumere «a distanza» persone che non conoscevano.
È centrale, rispetto all'ingresso, la possibilità dell'incontro diretto fra domanda e offerta di lavoro.
Nella presente proposta di legge prevediamo anzitutto una programmazione dei flussi molto più ampia e realistica di quanto fin qui avvenuto. Le quote devono tenere conto delle dinamiche del mercato del lavoro, come anche dei processi migratori effettivi. Si tratta, tra l'altro, di due fattori oggi in equilibrio: si stima in circa 250.000-300.000 il numero di persone che ogni anno entrano - regolarmente o meno - in Italia, un numero corrispondente ai fabbisogni del mercato del lavoro e alle dinamiche demografiche.
Per altro verso è centrale la previsione di poter entrare per «cercare lavoro» anche senza avere, cioè, un datore italiano che abbia effettuato un'assunzione dall'estero. Anche in questo caso si tratta di far diventare norma quanto avviene nella realtà. Nella nostra proposta di legge, che segue fedelmente le indicazioni del programma de L'Unione, l'ingresso per ricerca di lavoro è legato alla dimostrazione di un certo livello di garanzie economiche.
È cosa nota che chi decide di emigrare organizza la propria scelta, costruisce un suo percorso.
Oggi, in particolare, per chi viene dall'altra sponda del Mediterraneo (che è solo il 10 per cento dell'immigrazione clandestina) non esiste altra possibilità che mettere da parte risorse per pagare gli scafisti fino a Lampedusa, sperando di arrivare vivi. Domani dovrà essere possibile che quelle risorse servano a garantire la sopravvivenza dei migranti nel periodo di ricerca del lavoro, a prendere un traghetto di linea e a sbarcare in una qualsiasi parte del territorio nazionale. Il livello di garanzie economiche non deve essere una barriera insormontabile, ma corrispondente alle possibilità effettive dei migranti, essendo evidente che in caso contrario scafisti e trafficanti continuerebbero a lucrare sui bisogni delle persone.
Per questo, nella nostra ipotesi, il migrante che voglia venire a cercare lavoro in Italia dovrà dimostrare la disponibilità di 5 mensilità dell'assegno sociale, corrispondenti a circa 2.000 euro. Tali risorse potranno essere depositate sia dal cittadino e della cittadina stranieri che si trovano ancora nel Paese di origine (e fruite nel periodo della ricerca di lavoro), sia da un «garante» in Italia: un cittadino o una cittadina stranieri regolarmente soggiornanti, un privato, un'associazione o un'impresa. Si tratta, in questo secondo caso, della reintroduzione del cosiddetto sponsor, abolito dalla «legge Bossi-Fini», ovvero la legge n. 189 del 2002.
Una volta entrato in Italia, il migrante potrà rimanervi per un anno, per cercare lavoro.
Occorre inoltre intervenire radicalmente su altri ostacoli che si frappongono all'effettiva possibilità di costruire percorsi legali di ingresso che sono toccati solo marginalmente dalla legge, primo fra tutti una riforma del sistema dei consolati, attualmente del tutto inadeguato. Nel testo della presente proposta di legge, si dà indicazione di procedere a tale riforma, e si introducono nei consolati dei Paesi di maggiore emigrazione associazioni di tutela dei diritti.
2.Rendere meno precaria la presenza dei migranti in Italia.
Attualmente, persino i migranti già arrivati in Italia, e che soggiornano in modo regolare, sono assoggettati a una condizione di precarietà intollerabile.
Se è pressoché impossibile, per un cittadino o una cittadina stranieri, entrare legalmente nel nostro Paese, o regolarizzare la loro posizione quando sono «clandestini», è invece molto facile perdere il permesso di soggiorno quando lo si è già ottenuto: le condizioni per il rinnovo sono spesso irrealistiche, o comunque molto difficili da soddisfare. Stranieri da lungo tempo residenti in Italia, e ormai stabilmente inseriti, vengono trattati come persone appena arrivate, e assoggettati a controlli continui e spesso vessatori. I permessi di soggiorno hanno tempi di validità molto brevi, e al momento del rinnovo non possono essere rilasciati con una durata superiore rispetto a quella del primo rilascio: così, i migranti sono costretti a presentarsi più volte in questura, incrementando file e tempi di attesa. Se si perde il lavoro o si viene licenziati - cosa che accade frequentemente, data la progressiva precarizzazione del mercato del lavoro - si finisce per perdere anche il permesso di soggiorno: oggi, con la legge «Bossi-Fini», si può rimanere in Italia per non più di sei mesi.
Noi vogliamo de-precarizzare la condizione di vita dei migranti. A un mercato del lavoro che offre opportunità quasi esclusivamente a tempo determinato non possono corrispondere permessi di soggiorno rigidamente ancorati a tali contratti. Proponiamo il rilascio di un permesso per un anno allo straniero che abbia contratti di lavoro a tempo determinato inferiori a sei mesi, e di permessi di durata biennale per contratti più lunghi. Chi è assunto a tempo indeterminato avrebbe, nella nostra proposta di legge, un permesso di soggiorno per tre anni (attualmente sono al massimo due). Chi rimane senza lavoro, o il soggetto a cui scade il contratto di lavoro a tempo determinato, avrebbe diritto a un permesso di durata annuale, per attesa di occupazione, prorogabile una sola volta in presenza di adeguati mezzi di sussistenza.
Dopo cinque anni di permanenza in Italia, il cittadino e la cittadina stranieri devono aver diritto alla «carta di soggiorno» (cioè ad un documento a tempo indeterminato). Accanto alla «carta di soggiorno europea», già introdotta dal nuovo Governo in attuazione di direttive comunitarie, abbiamo previsto una «carta di soggiorno nazionale», che - come scritto nel programma de L'Unione - non è vincolata a requisiti di reddito o abitativi.
Vogliamo facilitare la possibilità di ricostruire in Italia il nucleo familiare. Attualmente il «ricongiungimento» è ostacolato da difficoltà burocratiche di ogni tipo. La nostra proposta è quella di semplificare le procedure e di ampliare le tipologie di parenti che possono entrare nel nostro Paese grazie al ricongiungimento: oltre al coniuge e ai figli minori, si prevedono figli maggiorenni e genitori (che già oggi possono entrare, ma solo se in possesso di requisiti troppo restrittivi).
3.Regolarizzare chi lavora.
Con le norme attualmente in vigore nessun cittadino o cittadina stranieri irregolari può ottenere il permesso di soggiorno: nemmeno se ha un lavoro e se dimostra di possedere tutti i requisiti per poter rimanere in Italia. In questi anni, un simile «divieto generale di regolarizzazione» ha prodotto i risultati che sono sotto gli occhi di tutti.
Sono ormai numerosissime, per esempio, le famiglie che affidano il lavoro domestico - ma anche la cura di anziani e di bambini - a migranti, spesso donne, costrette ad essere «clandestine», che rischiano di essere espulse, prive di ogni diritto, a cominciare da quello di poter tornare periodicamente e alla luce del sole alla propria famiglia e agli affetti del Paese di provenienza. Eppure a loro affidiamo la cura dei nostri parenti più stretti.
Ovviamente la modifica delle norme sugli ingressi ha l'obiettivo di diminuire considerevolmente l'area dell'immigrazione «clandestina»: tuttavia, non possiamo pensare che norme anche sensibilmente migliori possano eliminare del tutto l'irregolarità, e non esiste un motivo ragionevole per impedire che chi ha comunque costruito un proprio percorso di inserimento nella società italiana non possa accedere a meccanismi di regolarizzazione.
La nostra proposta di legge prevede sia la possibilità di regolarizzarsi consensualmente con il proprio datore di lavoro (senza penalizzazioni nel caso in cui questo sia una famiglia e non esista fine di lucro nell'assunzione irregolare del migrante); sia la regolarizzazione per denuncia o accertamento di lavoro nero; sia, infine, su valutazione di una commissione territoriale composta dal prefetto, dal questore, dalle organizzazioni sindacali e datoriali, dalle associazioni di tutela. Sono tutti strumenti presenti nel programma de L'Unione. Nel caso di denuncia di lavoro nero o di sfruttamento del lavoro dei migranti si tratta di fare un passo avanti rispetto alla modifica dell'articolo 18 del vigente testo unico, già proposta dal Governo, svincolandolo dal legame con la tratta e dunque dalla previsione che la regolarizzazione possa scattare solo in caso di «pericolo concreto e attuale per l'incolumità della persona».
Il programma dell'Unione, del resto, prevedeva che occorresse «concedere un permesso di soggiorno ad ogni immigrato che denunciasse la propria condizione di lavoro irregolare».
Il complesso di queste misure avrebbe come conseguenza non solo di tutelare i diritti dei lavoratori migranti, ma anche di rafforzare i diritti di tutti i lavoratori eliminando i meccanismi di concorrenza al ribasso. Lo svuotamento delle sacche di lavoro e di economia sommersa significa, inoltre, eliminare uno dei fattori principali di attrazione di flussi migratori irregolari, riportando a legalità il funzionamento del mercato del lavoro nel nostro Paese.
4.Allontanamento dal territorio.
Quando parliamo di immigrazione, l'associazione automatica è agli «sbarchi» di cittadini stranieri sulle coste italiane, in particolare nel sud del nostro Paese. Nonostante il risalto mediatico che viene attribuito a questo fenomeno, è noto che esso non rappresenta che il 10 per cento degli ingressi irregolari.
La costruzione di possibilità di ingresso legale, attraverso una diversa programmazione dei flussi, l'introduzione dell'ingresso per ricerca di lavoro e su garanzia di terzi, hanno come esito la riduzione degli arrivi irregolari e la convenienza dei migranti a entrare con i propri documenti di identità. D'altra parte, la messa in campo di norme volte alla stabilizzazione della presenza dei cittadini stranieri e alla diminuzione della precarietà della loro condizione di vita e di lavoro sono destinate a ridurre l'area dell'«irregolarità di ritorno» (chi entra regolarmente ma poi perde il permesso di soggiorno). A tutto questo va aggiunta l'indispensabile approvazione di una normativa sull'asilo, in attuazione dell'articolo 10 della Costituzione, che darebbe finalmente a chi emigra non per motivi economici, ma per bisogno di protezione, la possibilità di vedere riconosciuti i propri diritti.
L'insieme di queste misure riduce il problema delle espulsioni a una dimensione effettivamente residuale, che può e deve essere gestita nel pieno rispetto dei diritti delle persone e senza misure di «diritto speciale» come la detenzione amministrativa.
Il migrante arrivato irregolarmente via mare (in numeri - ribadiamo - che sarebbero sensibilmente inferiori agli attuali) dovrebbe essere accolto in strutture aperte, in cui garantire la sua reperibilità: qui dovrebbero essere distinte le diverse situazioni soggettive. Chi ha diritto all'asilo, chi non può essere espulso per motivi umanitari deve poter avere un permesso di soggiorno; chi non possiede tali requisiti deve essere avviato a programmi di ritorno concordato al Paese d'origine, secondo il meccanismo indicato dal programma de L'Unione e sviluppato dalla stessa Commissione per le verifiche e le strategie dei centri per gli immigrati del Ministero dell'interno (cosiddetta «Commissione De Mistura»).
Il ritorno concordato - che vale anche per chi sia divenuto irregolare - con il drastico abbattimento della durata del divieto di reingresso e il sostegno alla costruzione di percorsi di reinserimento nel Paese d'origine è un meccanismo che vuole ricostruire consensualmente la legalità degli ingressi e l'interesse del migrante ad accedere a tale percorso.
Nei casi in cui è necessario procedere all'espulsione deve essere il giudice ordinario a prendere la decisione, e non più il prefetto come accade attualmente, con pieno rispetto delle norme costituzionali in materia di libertà della persona.
Nel caso in cui il giudice ritenga che il migrante possa rendersi irreperibile, o per problemi legati all'identificazione, può disporre la misura della sorveglianza speciale, con obbligo di soggiorno in una determinata località (il proprio domicilio o, qualora non abbia un domicilio, altre strutture) e con obbligo di dimora in determinate ore della giornata.
Il migrante che si rende irreperibile, al rintraccio, è sottoposto alla misura del fermo di polizia e alla successiva espulsione con accompagnamento immediato alla frontiera da parte della forza pubblica.
I centri di permanenza temporanea, a cui da sempre ci opponiamo, per il loro rappresentare un'«eccezione» allo Stato di diritto, privando della libertà persone che non hanno commesso alcun reato, verrebbero in questo modo soppressi.
La situazione attuale ha del resto evidenziato in maniera eclatante l'assoluto fallimento del sistema dei centri di permanenza temporanea rispetto agli obiettivi dichiarati.
Come risulta dai dati forniti dalla Corte dei conti, dal Ministero dell'interno e dalla stessa Commissione De Mistura, i centri allontanano effettivamente appena il 2,5 per cento degli irregolari. Sono dunque luoghi di negazione dei diritti, di sperpero di risorse e, pertanto, inutili rispetto ai loro scopi dichiarati.
5.Trasferimento delle competenze sul rinnovo dei permessi di soggiorno agli enti locali.
Le competenze sul rinnovo dei permessi di soggiorno sono trasferite agli enti locali. Si deve porre fine a quel meccanismo discriminatorio per cui, mentre tutti i cittadini si recano all'anagrafe dei comuni, per gli immigrati è previsto un altro canale. La recente esperienza dell'accordo con le Poste italiane Spa sottoscritto dal precedente Governo, che deve essere revocato al più presto, è oltretutto la dimostrazione più eclatante della necessità di mettere in campo un meccanismo a regime non più emergenziale.
6.Eliminare le discriminazioni sociali.
La proposta di legge che presentiamo tecnicamente prevede la riscrittura integrale di tutti gli articoli da 1 a 33 del vigente testo unico, e l'abrogazione delle modifiche introdotte dalla legge «Bossi-Fini» per quel che riguarda gli articoli da 34 a 46, ritornando in questo caso alla legislazione precedente.
Questa scelta è motivata da due ragioni di fondo. La prima è relativa al fatto che si è ritenuto urgente intervenire sulla parte che ha in questi anni causato maggiori iniquità e distorsioni (ossia quella relativa agli ingressi, ai permessi di soggiorno e alle espulsioni), mentre gli articoli da 34 a 46 in molte loro parti contengono indubbiamente norme avanzate, il cui limite è stato semmai lo scarso seguito che hanno avuto in termini di concreta attuazione.
La seconda motivazione risiede nel fatto che tuttavia proprio sugli articoli da 34 a 46 del testo unico, che riguardano il concreto accesso ai diritti di cittadinanza sociale (sanità, assistenza, formazione, politiche abitative), sono necessari interventi fortemente intrecciati con le politiche generali di welfare e che riordinino complessivamente il quadro normativo. Si tratta, in sostanza, una volta riscritti i princìpi generali relativi all'ingresso e al soggiorno, di aprire la grande e centrale partita della ridefinizione dello Stato sociale nel nostro Paese, come di ripensare, per fare un esempio, a una scuola che non sia aggiuntivamente attenta ai problemi posti dalla presenza di bambini stranieri, ma che si ridefinisca sul terreno della promozione dell'uguaglianza e, insieme, della valorizzazione e del dialogo fra culture. Un compito complesso che riguarda in realtà la vera posta in gioco in una situazione in cui sono ormai milioni i nuovi cittadini, destinati a crescere significativamente nei prossimi anni, e che non poteva essere svolto senza il necessario approfondimento.
Su due aspetti, relativi a questi temi, interveniamo tuttavia da subito nel corpo della proposta di legge.
Il primo aspetto sancisce il diritto delle cittadine e dei cittadini stranieri a partecipare ai concorsi e alle selezioni per l'accesso al pubblico impiego.
Il secondo aspetto prevede la possibilità già contenuta nella legge n. 40 del 1998, di restituzione dei contributi pensionistici versati, in caso di ritorno in patria prima dell'età pensionabile per quei Paesi con i quali non esistono accordi che consentono la totalizzazione dei contributi, ponendo fine a un evidente furto ai danni dei lavoratori immigrati e creando anche per questa via un incentivo alla regolarizzazione dei rapporti di lavoro.
7.Diritto di voto e ratifica della Convenzione ONU.
In ultimo, la nostra proposta di legge riprende quella dell'Associazione nazionale dei comuni italiani in materia di diritto di voto attivo e passivo per le elezioni amministrative e regionali, che viene acquisito dopo cinque anni di soggiorno regolare in Italia. La proposta di legge, nei princìpi guida, indica anche la Convenzione dell'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) sulla protezione dei diritti dei lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie, adottata il 18 dicembre 1990. La Convenzione ONU non è stata ancora ratificata dall'Italia, ma rappresentava uno degli impegni del programma de L'Unione a cui crediamo si debba dare coerentemente seguito come richiesto da moltissimi soggetti associativi, a cominciare dalle organizzazioni sindacali.
proposta di legge ¾¾¾
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Capo I PRINCÌPI GENERALI
Art. 1. (Finalità). 1. Nel rispetto dei diritti fondamentali della persona e in conformità alla Costituzione, ai princìpi e alle convenzioni di diritto internazionale nonché alla normativa comunitaria, la Repubblica riconosce ai cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea, di seguito denominati «cittadini e cittadine stranieri», condizioni di uguaglianza rispetto ai cittadini e alle cittadine italiani, attivandosi per rimuovere gli ostacoli che ne impediscono la piena realizzazione. 2. Le politiche migratorie sono finalizzate a: a) promuovere un governo giusto ed efficace dei fenomeni migratori nel rispetto dei diritti fondamentali della persona; b) valorizzare il contributo sociale, economico e culturale che i fenomeni migratori possono apportare ai cittadini e alle cittadine migranti, ai Paesi di provenienza e ai Paesi di arrivo; c) garantire i diritti umani fondamentali ai cittadini e alle cittadine stranieri presenti a qualunque titolo sul territorio nazionale; d) favorire i processi di stabilizzazione, di inserimento sociale e di acquisizione della cittadinanza italiana dei cittadini e delle cittadine stranieri; e) promuovere la partecipazione alla vita pubblica; f) rimuovere ogni forma di discriminazione; g) rimuovere le situazioni di violenza e di sfruttamento lavorativo dei cittadini e delle cittadine stranieri; h) favorire la comunicazione e il reciproco riconoscimento delle identità culturali, religiose e linguistiche; i) garantire la tutela legale e, in particolare, l'effettività del diritto di difesa ai cittadini e alle cittadine stranieri presenti a qualunque titolo sul territorio nazionale.
Art. 2. (Princìpi generali). 1. La Repubblica attua e promuove i diritti fondamentali della persona umana previsti dall'ordinamento interno, dalle norme comunitarie, dai princìpi e dalle convenzioni del diritto internazionale e, in particolare, da: a) la Costituzione; b) la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, approvata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 gennaio 1948; c) la Convenzione internazionale relativa allo statuto dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951, resa esecutiva dalla legge 24 luglio 1954, n. 722; d) la Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989, resa esecutiva dalla legge 27 maggio 1991, n. 176; e) la Convenzione dell'Organizzazione internazionale del lavoro, adottata a Ginevra il 24 giugno 1975, resa esecutiva dalla legge 10 aprile 1981, n. 158, che garantisce a tutti i lavoratori stranieri regolarmente soggiornanti nel territorio italiano e alle loro famiglie parità di trattamento e piena uguaglianza di diritti rispetto ai lavoratori italiani; f) il Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, adottato a New York il 16 dicembre 1966, reso esecutivo dalla legge 25 ottobre 1977, n. 881; g) il Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali, adottato a New York il 16 dicembre 1966, reso esecutivo dalla legge 25 ottobre 1977, n. 881; h) la Convenzione internazionale sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale, adottata a New York il 21 dicembre 1965, resa esecutiva dalla legge 13 ottobre 1975, n. 654; i) la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, resa esecutiva dalla legge 4 agosto 1955, n. 848; l) la Convenzione sulla partecipazione degli stranieri alla vita pubblica a livello locale del Consiglio d'Europa, fatta a Strasburgo il 5 febbraio 1992; m) la Dichiarazione e il Programma d'azione adottati a Pechino dalla IV Conferenza mondiale sulle donne nel 1995; n) la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, proclamata dal Parlamento europeo, dal Consiglio europeo e dalla Commissione delle Comunità europee a Nizza il 7 dicembre 2000; o) la Convenzione internazionale sulla protezione dei diritti dei lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie, adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 18 dicembre 1990.
Art. 3. (Ambito di applicazione). 1. La presente legge si applica, salvo che sia diversamente disposto, ai cittadini e alle cittadine stranieri. 2. La presente legge non si applica, se non in quanto si tratti di norme più favorevoli ai: a) cittadini e cittadine degli Stati membri dell'Unione europea; b) cittadini e cittadine stranieri che richiedono o che hanno ottenuto l'asilo ai sensi dell'articolo 10 della Costituzione; c) cittadini e cittadine stranieri che richiedono o che hanno ottenuto il riconoscimento dello status di apolide; d) cittadini e cittadine stranieri che richiedono o che hanno ottenuto lo status di rifugiati ai sensi della citata Convenzione internazionale relativo allo statuto dei rifugiati, resa esecutiva dalla legge 24 luglio 1954, n. 722, o altre forme di protezione umanitaria o sussidiaria. 3. Fatto salvo quanto previsto dal comma 2, i riferimenti contenuti nelle disposizioni vigenti a istituti concernenti persone di cittadinanza diversa da quella italiana, devono intendersi fatti agli istituti previsti dalla presente legge. Sono fatte salve le disposizioni interne, comunitarie e internazionali più favorevoli comunque vigenti nel territorio dello Stato. 4. Nelle materie di competenza legislativa delle regioni, le disposizioni della presente legge costituiscono princìpi fondamentali ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione. Per le materie di competenza delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano, le disposizioni della presente legge hanno valore di norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica.
Capo II DISPOSIZIONI SULL'INGRESSO IN ITALIA
Art. 4. (Ingresso nel territorio dello Stato. Disposizioni generali). 1. L'ingresso nel territorio dello Stato è consentito al cittadino e alla cittadina stranieri in possesso di passaporto valido o documento equipollente e del visto d'ingresso, salvi i casi di esenzione e salvo che lo straniero si trovi nelle condizioni previste dall'articolo 10, terzo comma, della Costituzione, ovvero che richieda il riconoscimento dello status di rifugiato, o che comunque rientri in una delle condizioni di divieto di espulsione e di respingimento previste dall'articolo 41 della presente legge, e può avvenire, ad eccezione dei casi di forza maggiore, soltanto attraverso i valichi di frontiera appositamente istituiti. 2. L'Italia consente l'ingresso nel proprio territorio allo straniero che dimostra di essere in possesso dei requisiti stabiliti dalla presente legge. Non sono ammessi nel territorio nazionale il cittadino e la cittadina stranieri che non soddisfano tali requisiti o che sono considerati, sulla base di elementi di fatto, una minaccia concreta ed attuale per la sicurezza dello Stato o di uno dei Paesi con i quali l'Italia ha sottoscritto accordi per la soppressione dei controlli alle frontiere interne e per la libera circolazione delle persone. 3. Non possono fare ingresso nel territorio dello Stato e sono respinti alla frontiera i cittadini e le cittadine stranieri espulsi per i quali non è trascorso il periodo di divieto di reingresso nel territorio italiano.
Art. 5. (Archivio centrale informatizzato dei visti di ingresso). 1. Presso il Ministero degli affari esteri è istituito l'Archivio centrale informatizzato dei visti di ingresso (ACIVI). L'ACIVI raccoglie in forma telematica tutte le istanze per la concessione di visto di ingresso presentate alle rappresentanze diplomatiche e consolari italiane da cittadini e cittadine stranieri. 2. Nell'ACIVI ciascuna istanza per la concessione di visto di ingresso è identificata da un codice numerico, di seguito denominato «codice ACIVI». A ogni codice ACIVI sono associati i dati anagrafici e gli estremi del passaporto del richiedente, la data di presentazione dell'istanza di visto di ingresso, l'indicazione della rappresentanza diplomatica o consolare competente al rilascio o al rifiuto, nonché gli estremi dell'eventuale provvedimento adottato dall'amministrazione degli affari esteri. 3. Ai fini del rilascio del visto di ingresso entro i limiti numerici definiti dal decreto di cui all'articolo 7, comma 7, fa fede l'ordine temporale di presentazione delle domande di visto. 4. All'ACIVI accedono, per consultazione, gli uffici di polizia incaricati della sorveglianza dei valichi di frontiera e gli uffici delle rappresentanze diplomatiche e consolari italiane. 5. Il regolamento di attuazione di cui all'articolo 53 definisce le modalità di funzionamento dell'ACIVI, nonché i relativi oneri finanziari a carico dell'amministrazione degli affari esteri.
Art. 6. (Visto di ingresso). 1. Il visto di ingresso è rilasciato dalle rappresentanze diplomatiche o consolari italiane nello Stato di origine o di stabile residenza del cittadino e della cittadina stranieri. Per soggiorni non superiori a tre mesi sono equiparati ai visti rilasciati dalle rappresentanze diplomatiche e consolari italiane quelli emessi, sulla base di specifici accordi, dalle autorità diplomatiche o consolari di altri Stati. 2. Il visto di ingresso è richiesto dal cittadino e della cittadina stranieri per iscritto, anche a mezzo posta, alla rappresentanza diplomatica o consolare italiana, ed è trasmesso per conoscenza, a cura del cittadino e della cittadina stranieri, al Ministero degli affari esteri per l'attribuzione del codice ACIVI. Le rappresentanze diplomatiche o consolari italiane hanno l'obbligo di ricevere l'istanza di richiesta del visto di ingresso e di avviare il relativo procedimento, anche nel caso di documentazione carente o incompleta. All'atto della richiesta del visto di ingresso, l'interessato indica il domicilio a cui la rappresentanza diplomatica o consolare può inviare ogni comunicazione relativa al procedimento. 3. La richiesta di visto di ingresso può essere presentata anche quando siano esaurite le quote disponibili stabilite dal decreto di cui all'articolo 7, comma 7. Le domande di visto eccedenti il limite numerico fissato dal citato decreto mantengono la loro validità e hanno titolo di precedenza all'atto dell'emanazione del successivo decreto, salvo esplicita rinuncia da parte dell'interessato. 4. Presso le ambasciate e i consolati presenti nei Paesi di maggiore emigrazione verso l'Italia sono istituiti appositi uffici di consulenza legale con la presenza di rappresentanti di associazioni nazionali di tutela e di promozione dei diritti dei migranti, anche al fine di monitorare l'effettiva possibilità di accesso alle strutture consolari medesime. Il regolamento di attuazione di cui all'articolo 53 disciplina le modalità di costituzione degli uffici di consulenza legale. 5. Entro sette giorni lavorativi dalla data di ricezione dell'istanza di visto di ingresso, il Ministero degli affari esteri comunica alla rappresentanza diplomatica o consolare italiana competente il codice ACIVI attribuito all'istanza. 6. Entro quindici giorni dalla data di ricevimento dell'istanza di rilascio del visto di ingresso, salvi i casi di cui al comma 8, la rappresentanza diplomatica o consolare italiana comunica all'interessato l'avvio del procedimento finalizzato al rilascio del visto. Nella comunicazione devono essere obbligatoriamente indicati il responsabile del procedimento, il termine entro il quale il procedimento deve concludersi e i rimedi esperibili in caso di inerzia dell'amministrazione, l'eventuale documentazione integrativa da produrre ai fini del rilascio del visto e il codice ACIVI attribuito all'istanza. La comunicazione è tradotta in lingua comprensibile al destinatario, ovvero nella lingua ufficiale del Paese in cui l'interessato ha stabile dimora. 7. La rappresentanza diplomatica o consolare italiana deve concludere il procedimento di rilascio o di rifiuto del visto di ingresso entro due mesi dalla data di ricezione dell'istanza ovvero, nel caso di ingressi di durata inferiore a tre mesi o per cure mediche, entro quindici giorni. Ove alla scadenza di tale termine il visto di ingresso non sia ancora stato rilasciato, in ragione di particolari esigenze istruttorie o di eventi di forza maggiore, la rappresentanza diplomatica o consolare italiana comunica tempestivamente all'interessato che il termine per il rilascio del visto è prorogato di quindici giorni, indicando i motivi del ritardo. Decorsi tali termini, in assenza di un provvedimento di rilascio o di rifiuto, la rappresentanza diplomatica o consolare italiana è comunque tenuta al rilascio del visto richiesto, salvo ricorrano gravi e fondate ragioni di ordine pubblico e di sicurezza dello Stato. Il funzionario o il dipendente della rappresentanza diplomatica o consolare italiana, che non adempia a tale obbligo, è punito con l'ammenda fino a 1.032 euro. 8. Nel caso di ingressi di durata inferiore a tre mesi o per cure mediche, ove emergano esigenze istruttorie ovvero la necessità di richiedere integrazione documentale, la rappresentanza diplomatica o consolare italiana inoltra entro quindici giorni dalla data di ricezione dell'istanza la comunicazione di cui al comma 6; il procedimento deve essere concluso entro quindici giorni dalla notifica di tale comunicazione. 9. Contestualmente al rilascio del visto di ingresso, l'autorità diplomatica o consolare italiana consegna al cittadino e alla cittadina stranieri una comunicazione scritta in lingua ad essi comprensibile, che illustra i diritti e i doveri degli stranieri relativi all'ingresso e al soggiorno in Italia. 10. Qualora non sussistano i requisiti previsti dalla normativa vigente in materia per procedere al rilascio del visto di ingresso, l'autorità diplomatica o consolare italiana adotta il provvedimento di rifiuto del visto. Il provvedimento è adottato in forma scritta ed è motivato. Nel provvedimento sono indicati il nominativo del responsabile del procedimento nonché le modalità e i termini di impugnazione. Il provvedimento, redatto in lingua italiana, è notificato al cittadino e alla cittadina stranieri unitamente a una traduzione integrale in lingua ad essi comprensibile, ovvero nella lingua ufficiale del Paese ospite. 11. La presentazione di documentazione comprovatamente falsa o contraffatta o di false attestazioni a sostegno della domanda di visto di ingresso comporta automaticamente, oltre alle relative responsabilità penali, l'inammissibilità della domanda. 12. Per il cittadino e la cittadina stranieri in possesso di titolo di soggiorno ai sensi dell'articolo 11, comma 2, non è richiesto il visto di ingresso ai fini del reingresso nel territorio dello Stato. Il cittadino e la cittadina stranieri regolarmente soggiornanti in Italia, che si trovino al di fuori del territorio dello Stato e che abbiano smarrito il proprio titolo di soggiorno, possono chiedere un visto di reingresso alla competente rappresentanza diplomatica o consolare italiana. Il rilascio del visto di reingresso è subordinato unicamente alla verifica dell'effettiva titolarità di un titolo di soggiorno in corso di validità, ovvero scaduto da meno di due mesi. 13. Il cittadino e la cittadina stranieri che hanno lasciato l'Italia prima della scadenza del titolo di soggiorno e che non hanno potuto rientrarvi nei due mesi successivi alla scadenza del medesimo titolo, possono inoltrare richiesta di rinnovo o di conversione del permesso di soggiorno all'autorità di cui all'articolo 13, comma 2, o all'articolo 14, comma 2, per il tramite della rappresentanza diplomatica o consolare italiana, indicando i motivi del ritardo. La rappresentanza diplomatica o consolare italiana trasmette l'istanza, corredata della documentazione prodotta, alla citata autorità entro dieci giorni dalla data di presentazione. 14. Il funzionario o il dipendente della rappresentanza diplomatica o consolare italiana che non adempie agli obblighi di cui al comma 12 è punito con la reclusione fino ad un anno o con la multa fino a 1.032 euro. 15. L'ingresso in Italia è consentito per soggiorni di breve durata, validi fino a tre mesi, e per soggiorni di lunga durata. 16. L'ingresso per soggiorno di breve durata è definito dalla normativa comunitaria in materia di ingresso nel territorio dell'Unione europea ed è subordinato alla dimostrazione della disponibilità di idonei mezzi di sussistenza, come definiti da apposita direttiva emanata dal Ministero dell'interno. Il Ministero degli affari esteri adotta, dandone tempestiva comunicazione alle competenti Commissioni parlamentari, ogni opportuno provvedimento di revisione o di modifica dell'elenco dei Paesi i cui cittadini sono soggetti ad obbligo di visto, anche in attuazione di obblighi derivanti da accordi internazionali e comunitari in vigore. 17. L'ingresso per lunga durata è consentito con visti per ricerca di lavoro, per ingresso su garanzia di terzi, per lavoro subordinato con chiamata nominativa, per lavoro autonomo, per motivi familiari, per studio, per cure mediche, per residenza elettiva o per motivi religiosi sulla base dei requisiti stabiliti dalla presente legge, ovvero per gli altri motivi indicati nel regolamento di attuazione di cui all'articolo 53, o previsti da accordi internazionali, anche bilaterali. 18. Salva l'ipotesi di cui all'articolo 22, comma 4, avverso il provvedimento di diniego di rilascio del visto di ingresso è ammesso ricorso al tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma, nel termine di quattro mesi dalla data di notifica del provvedimento. Nelle ipotesi di cui agli articoli 27, 29 e 30 il ricorso è proposto al tribunale amministrativo regionale del luogo ove ha sede il datore di lavoro o il soggetto garante ai sensi dell'articolo 29.
Art. 7. (Politiche migratorie e documento programmatico). 1. Il Presidente del Consiglio dei ministri, sentiti i Ministri interessati, il Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro, la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, le organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro maggiormente rappresentative sul piano nazionale, gli enti e le associazioni nazionali operanti per la tutela dei cittadini stranieri, la loro rappresentanza e la promozione dei diritti, predispone ogni tre anni, salvo la necessità di un termine più breve, il documento programmatico relativo alla politica dell'immigrazione. 2. Il documento programmatico di cui al comma 1 è approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale. 3. Il documento programmatico di cui al comma 1 definisce i flussi di ingresso e i tetti massimi di cittadini e cittadine stranieri da ammettere nel territorio nazionale per i motivi previsti dal comma 7 nel triennio e indica i criteri per la loro ripartizione su base annua. 4. La determinazione dei flussi di ingresso di cui al comma 3 deve tenere conto delle indicazioni fornite dalle parti sociali, dalle regioni e dagli enti locali, anche in relazione agli andamenti dell'occupazione e del mercato del lavoro. I flussi di ingresso devono altresì essere predisposti in base all'effettività dei fenomeni migratori registrati nel triennio precedente. 5. Il documento programmatico di cui al comma 1 indica le azioni e gli interventi che lo Stato italiano, anche in cooperazione con gli altri Stati membri dell'Unione europea, con le organizzazioni internazionali, con le istituzioni comunitarie e con organizzazioni non governative, si propone di svolgere in materia di immigrazione. Esso prevede gli interventi volti a favorire l'inserimento sociale, le relazioni familiari, la rimozione di ogni discriminazione nei confronti dei cittadini e delle cittadine stranieri residenti in Italia. 6. Il Governo presenta annualmente al Parlamento una relazione sullo stato di attuazione degli obiettivi definiti dal documento programmatico di cui al comma 1. 7. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, sentiti la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, e le competenti Commissioni parlamentari, è annualmente definito, entro il 30 novembre dell'anno precedente a quello di riferimento, sulla base dei criteri individuati nel documento programmatico di cui al comma 1 del presente articolo, il numero di cittadini e cittadine stranieri da ammettere nel territorio dello Stato per lavoro subordinato, per ingresso su garanzia di terzi, per ricerca di lavoro e per lavoro autonomo. Qualora se ne ravvisi l'opportunità, ulteriori decreti possono essere emanati durante l'anno. I visti di ingresso per lavoro subordinato, per ingresso su garanzia di terzi, per ricerca di lavoro e per lavoro autonomo, sono rilasciati entro i limiti numerici definiti. 8. Dai tetti numerici massimi di cittadini e cittadine stranieri da ammettere nel territorio dello Stato, definiti dal decreto di cui al comma 7 del presente articolo, sono esclusi i ricongiungimenti familiari, i rinnovi dei permessi di soggiorno di cui all'articolo 13, le conversioni dei permessi di soggiorno di cui all'articolo 14, e le regolarizzazioni di cui al capo V e i provvedimenti di cui all'articolo 37, comma 3. Sono fatte salve le disposizioni di cui all'articolo 33, comma 4. 9. In considerazione di mutamenti considerevoli, registrati nel corso del triennio disciplinato dal documento programmatico di cui al comma 1, nelle condizioni occupazionali e del mercato del lavoro, ovvero nell'effettività dei fenomeni migratori, il Presidente del Consiglio dei ministri può autorizzare, con le modalità di cui al comma 7, ulteriori ingressi in deroga a quanto stabilito dal comma 3.
Art. 8. (Ingresso per ricerca di lavoro). 1. Il visto di ingresso per ricerca di lavoro consente l'ingresso al cittadino e alla cittadina stranieri che intenda soggiornare in Italia ai fini della ricerca di un lavoro, ovvero per partecipare a corsi di formazione professionale o a corsi di studio o di ricerca secondo le modalità definite dal regolamento di attuazione di cui all'articolo 53. 2. Il visto di ingresso per ricerca di lavoro è richiesto dal cittadino e dalla cittadina stranieri interessati alla rappresentanza diplomatica o consolare italiana nello Stato di origine o di stabile residenza, secondo le modalità stabilite dall'articolo 6, e può essere rilasciato nei limiti numerici annualmente definiti dal decreto di cui all'articolo 7, comma 7. 3. Ai fini del rilascio del visto di ingresso per ricerca di lavoro, il cittadino e la cittadina stranieri devono esibire il proprio passaporto valido o un documento equipollente, nonché la documentazione attestante la disponibilità finanziaria di una somma equivalente a cinque mensilità dell'assegno sociale come definito per l'anno in corso alla data di presentazione della domanda del visto, anche mediante fideiussione bancaria o assicurativa.
Art. 9. (Ingresso per lavoro su chiamata 1. Il visto di ingresso per lavoro subordinato su chiamata nominativa consente l'ingresso al cittadino e alla cittadina stranieri che intendano soggiornare in Italia per svolgere attività di lavoro subordinato a tempo determinato o indeterminato, a seguito della chiamata di un datore di lavoro secondo le modalità di cui all'articolo 27. 2. Il visto di ingresso per garanzia di terzi, rilasciato a seguito della garanzia prestata da terzi secondo le modalità di cui all'articolo 29, consente l'ingresso al cittadino e alla cittadina stranieri che intendano soggiornare in Italia ai fini della ricerca di un lavoro, ovvero per partecipare a corsi di formazione professionale o a corsi di studio o di ricerca secondo le modalità definite dal regolamento di attuazione di cui all'articolo 53. 3. I visti di ingresso per lavoro subordinato su chiamata nominativa e per garanzia di terzi sono richiesti dal cittadino e dalla cittadina stranieri interessati alla rappresentanza diplomatica o consolare italiana nello Stato di origine o di stabile residenza, secondo le modalità stabilite dall'articolo 6, e possono essere rilasciati nei limiti delle quote annuali di ingresso stabilite dal decreto di cui all'articolo 7, comma 7. 4. Ai fini del rilascio dei visti di ingresso di cui al presente articolo, il cittadino e la cittadina stranieri devono esibire il proprio passaporto valido o un documento equipollente, nonché la documentazione attestante la chiamata nominativa o la garanzia di terzi di cui agli articoli 27 e 29.
Art. 10. (Altre tipologie di ingresso). 1. Il visto di ingresso per lavoro autonomo consente l'ingresso al cittadino e alla cittadina stranieri che intendono soggiornare in Italia per svolgervi attività di lavoro autonomo, ovvero per esercitare un'attività industriale, professionale, artigianale o commerciale, ovvero costituire società di capitali o di persone o accedere a cariche societarie. Ai fini dell'ingresso per lavoro autonomo, il cittadino e la cittadina stranieri devono acquisire dalla camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura competente per il luogo dove l'attività lavorativa deve essere svolta, o presso il competente ordine professionale, l'attestazione dei parametri di riferimento riguardanti la disponibilità delle risorse finanziarie occorrenti per l'esercizio dell'attività. Tali parametri si fondano sulla disponibilità, da parte del richiedente, di una somma non inferiore alla capitalizzazione, su base annua, di un importo mensile pari all'assegno sociale come definito per l'anno in corso alla data di presentazione della domanda di visto. Ove l'esercizio dell'attività richieda il possesso di un'autorizzazione o licenza, o l'iscrizione ad un apposito registro o albo, ovvero la presentazione di una dichiarazione o denuncia, il cittadino e la cittadina stranieri devono richiedere alla competente autorità amministrativa una dichiarazione che attesta la sussistenza dei requisiti per il rilascio dell'autorizzazione o licenza, ovvero per l'iscrizione al registro o albo. I Ministeri competenti provvedono al riconoscimento dei titoli o degli attestati delle capacità professionali rilasciati da Stati esteri. Le rappresentanze diplomatiche o consolari italiane provvedono a inoltrare, senza oneri per il cittadino e la cittadina stranieri, le richieste alle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, agli ordini professionali o alle strutture decentrate dei Ministeri competenti. 2. Il visto di ingresso per motivi familiari consente l'ingresso al cittadino e alla cittadina stranieri chiamati in Italia a seguito della procedura di ricongiungimento familiare di cui all'articolo 36. 3. Il visto di ingresso per motivi di studio consente l'ingresso nel territorio nazionale al fine di frequentare un corso di studi presso una scuola, un istituto di formazione o un'università italiani. Ai fini dell'ingresso per motivi di studio, il cittadino e la cittadina stranieri devono esibire il proprio passaporto valido o un documento equipollente, l'indicazione della sistemazione alloggiativa e la documentazione attestante la disponibilità finanziaria di una somma equivalente a cinque mensilità dell'assegno sociale come definito per l'anno in corso alla data di presentazione della domanda del visto, anche mediante fideiussione bancaria o assicurativa. 4. Il visto per cure mediche consente l'ingresso al cittadino e alla cittadina stranieri che intendano ricevere cure mediche in Italia, nonché al loro eventuale accompagnatore, ai sensi dell'articolo 36 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286. 5. Il visto per residenza elettiva consente l'ingresso in Italia al cittadino e alla cittadina stranieri che intendano stabilirsi in Italia e che siano in grado di mantenersi autonomamente, senza esercitare attività lavorativa. A tale fine, il cittadino e la cittadina stranieri devono fornire adeguate e documentate garanzie circa la disponibilità di un'abitazione da eleggere a propria residenza e di risorse economiche autonome, di cui si possa ragionevolmente supporre la continuità nel futuro. 6. Il visto per motivi religiosi consente l'ingresso, ai fini di un soggiorno di breve o di lunga durata, ai religiosi stranieri, intesi come coloro che hanno già ricevuto ordinazione sacerdotale o in una condizione equivalente, e ai ministri di culto che intendono partecipare a manifestazioni di culto o esercitare attività ecclesiastica, religiosa o pastorale. I requisiti e le condizioni per l'ottenimento del visto sono: a) l'effettiva condizione di religioso; b) documentate garanzie circa il carattere religioso della manifestazione o delle attività addotte a motivo del soggiorno in Italia; c) nei casi in cui le spese di soggiorno dello straniero non sono a carico di enti religiosi, le disponibilità da parte dell'interessato di mezzi di sussistenza non inferiori all'importo stabilito dal Ministero dell'interno con apposita direttiva.
Capo III DISPOSIZIONI SUL SOGGIORNO DEGLI STRANIERI
Art. 11. (Soggiorno in Italia. Disposizioni generali). 1. Possono soggiornare nel territorio dello Stato i cittadini e le cittadine stranieri che sono muniti di titolo di soggiorno in corso di validità. 2. Ai fini della presente legge, si considerano titoli di soggiorno: a) il permesso di soggiorno; b) il titolo equipollente al permesso di soggiorno, rilasciato dalla competente autorità di uno Stato appartenente all'Unione europea, nei limiti e alle condizioni previsti da specifici accordi; c) i documenti attestanti la richiesta, o la prenotazione della medesima, per il rilascio, il rinnovo o la conversione del permesso di soggiorno, secondo le modalità previste dalla presente legge; d) la ricevuta di cui all'articolo 12, comma 2. 3. Il permesso di soggiorno e i titoli di soggiorno di cui al comma 2, lettere a), c) e d), sono rilasciati mediante utilizzo di mezzi a tecnologia avanzata con caratteristiche anticontraffazione conformi ai tipi approvati con apposito decreto del Ministro dell'interno, in attuazione delle disposizioni comunitarie riguardanti l'adozione di modelli uniformi per i permessi di soggiorno. 4. Il permesso di soggiorno e i titoli di soggiorno di cui al comma 2 autorizzano a svolgere tutte le attività consentite dai medesimi al cittadino e alla cittadina stranieri. Ove non diversamente specificato dalla presente legge, essi autorizzano anche allo svolgimento di attività diverse da quelle indicate nel motivo del soggiorno o del visto di ingresso.
Art. 12. (Richiesta e primo rilascio del permesso di soggiorno). 1. Il permesso di soggiorno deve essere richiesto unicamente per soggiorni superiori a tre mesi. Esso è richiesto, secondo le modalità previste nel regolamento di attuazione di cui all'articolo 53, al questore della provincia in cui il cittadino e la cittadina stranieri si trovano entro quindici giorni lavorativi dall'ingresso in Italia, salvi i casi di forza maggiore espressamente motivati, ed è rilasciato sulla base delle motivazioni indicate nel visto di ingresso. Il citato regolamento di attuazione può prevedere speciali modalità di rilascio relativamente ai soggiorni per l'esercizio delle funzioni di ministro di culto, nonché ai soggiorni in case di cura, ospedali, istituti civili e religiosi e altre convivenze. 2. Per soggiorni inferiori a tre mesi, il cittadino e la cittadina stranieri sono tenuti a comunicare per iscritto la loro presenza al questore della provincia in cui si trovano, entro quindici giorni lavorativi dall'ingresso in Italia, salvi i casi di forza maggiore espressamente motivati. La questura rilascia apposita ricevuta, nella quale devono essere indicati il motivo e la scadenza del soggiorno in Italia. 3. Il permesso di soggiorno è rilasciato o rifiutato dalla questura competente entro venti giorni dalla data in cui è stata presentata la relativa domanda. 4. Il permesso di soggiorno per motivi di lavoro è rilasciato per ricerca di lavoro, per lavoro subordinato a tempo indeterminato o determinato, o per lavoro autonomo, sulla base del visto di ingresso. 5. Il permesso di soggiorno per ricerca di lavoro ha durata annuale. 6. Il permesso di soggiorno per lavoro subordinato a tempo indeterminato ha durata triennale. 7. Nell'ipotesi di ingresso per lavoro su chiamata nominativa di cui all'articolo 27 il permesso di soggiorno è rilasciato per motivi di lavoro subordinato, previa stipula di un contratto di lavoro con il datore di lavoro che ha effettuato la chiamata. Sulla base di documentati motivi, non addebitabili a responsabilità del lavoratore, che abbiano determinato la mancata stipula, il permesso di soggiorno è rilasciato per motivi di lavoro ove il cittadino e la cittadina stranieri stipulano un contratto di lavoro con altro datore, ovvero per motivi di ricerca di lavoro. 8. Il permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato a tempo determinato, rilasciato al cittadino e alla cittadina stranieri a seguito del loro ingresso in Italia, ha una durata di almeno un anno per contratti di lavoro a tempo determinato di durata inferiore a sei mesi, e di due anni per contratti di lavoro a tempo determinato di durata pari o superiore a sei mesi. 9. Il permesso di soggiorno per lavoro autonomo è rilasciato per la durata di due anni. 10. Il permesso di soggiorno per motivi familiari ha la stessa durata del permesso di soggiorno del familiare straniero in possesso dei requisiti per il ricongiungimento familiare di cui all'articolo 36 ed è rinnovabile insieme con quest'ultimo. 11. Il permesso di soggiorno per residenza elettiva è rilasciato per la durata massima di tre anni. 12. Il permesso di soggiorno per motivi religiosi è rilasciato in relazione alla durata prevista del soggiorno in Italia. Esso ha una durata minima di sei mesi e una massima di tre anni. 13. Il permesso di soggiorno per motivi di studio è rilasciato per due anni, fatto salvo quanto previsto all'articolo 21.
Art. 13. (Rinnovo del permesso di soggiorno). 1. Salvi i casi espressamente previsti dalla presente legge, relativi a specifiche tipologie di permesso di soggiorno, il permesso di soggiorno può essere rinnovato, alla scadenza, se sussistono i requisiti previsti dalla normativa vigente in materia. 2. Il rinnovo del permesso di soggiorno deve essere richiesto dal cittadino e dalla cittadina stranieri entro due mesi dalla data di scadenza, salvi i casi di forza maggiore espressamente motivati, all'ufficiale di anagrafe del comune in cui il cittadino e la cittadina stranieri hanno stabile dimora. 3. Il permesso di soggiorno o il suo rinnovo sono rifiutati quando mancano o vengono a mancare i requisiti richiesti per il soggiorno nel territorio dello Stato, fatto salvo quanto previsto dal comma 6 del presente articolo, e sempre che non siano sopraggiunti nuovi elementi che ne consentano il rilascio, che non si tratti di irregolarità amministrative sanabili o che non sia possibile rilasciare un permesso di soggiorno diverso da quello richiesto, secondo le disposizioni di cui all'articolo 15, comma 6. 4. Il rifiuto o la revoca del permesso di soggiorno possono essere altresì adottati sulla base di convenzioni o accordi internazionali, resi esecutivi in Italia, salvo che ricorrano seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano. 5. Il permesso di soggiorno è rinnovato o rifiutato dal comune competente entro venti giorni dalla data in cui è stata presentata la relativa domanda. 6. La fine del rapporto di lavoro, per perdita di lavoro o per scadenza dei termini contrattuali, non costituisce motivo di revoca del permesso di soggiorno al lavoratore straniero e ai suoi familiari regolarmente soggiornanti. Il permesso di soggiorno del lavoratore straniero il quale perde il posto di lavoro, anche per dimissioni, o a cui scade il contratto di lavoro, è convertito, alla scadenza del permesso medesimo, in permesso di soggiorno per attesa occupazione secondo le modalità di cui all'articolo 18. 7. Il permesso di soggiorno è rinnovato per una durata doppia rispetto a quella del primo rilascio, salvi i casi diversamente previsti dalla presente legge.
Art. 14. (Conversione del permesso di soggiorno). 1. Ai fini della presente legge, è definita conversione del permesso di soggiorno il rilascio, in favore di un cittadino e una cittadina stranieri muniti di un permesso di soggiorno, di un nuovo permesso recante un motivo diverso da quello precedente. La conversione può essere richiesta anche in caso di permesso scaduto, salvi i limiti temporali di cui al comma 2. 2. La conversione del permesso di soggiorno deve essere richiesta dal cittadino e dalla cittadina stranieri entro i tre mesi successivi alla scadenza del precedente titolo di soggiorno, salvi i casi di forza maggiore espressamente motivati, all'ufficiale di anagrafe del comune in cui il cittadino e la cittadina stranieri hanno stabile dimora. 3. Qualora ne sussistano i requisiti, il permesso di soggiorno è sempre convertibile. 4. La conversione del permesso di soggiorno è rifiutata quando mancano o vengono a mancare i requisiti previsti per il permesso richiesto, sempre che non siano sopraggiunti nuovi elementi che ne consentano il rilascio, che non si tratti di irregolarità amministrative sanabili o che non sia possibile rilasciare un permesso di soggiorno diverso da quello richiesto, secondo le disposizioni di cui all'articolo 15, comma 6. 5. Il permesso di soggiorno è convertito o rifiutato entro venti giorni dalla data in cui è stata presentata la relativa domanda. 6. Il decreto recante i flussi annuali di cui all'articolo 7, comma 7, può stabilire quote annue di conversioni di titoli di soggiorno di breve durata in permessi di soggiorno.
Art. 15. (Procedure per il rilascio, il rinnovo e la conversione del permesso di soggiorno). 1. I procedimenti amministrativi finalizzati al rilascio, al rinnovo o alla conversione del permesso di soggiorno si conformano alle disposizioni di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni, e si ispirano a criteri di imparzialità, efficacia, pubblicità e trasparenza. 2. L'ufficio competente al rilascio, al rinnovo o alla conversione del permesso di soggiorno, all'atto di ricezione della relativa istanza, rilascia all'interessato apposita ricevuta stampata secondo le modalità di cui all'articolo 11, comma 3. 3. Unitamente alla ricevuta di cui al comma 2, l'ufficio competente consegna al cittadino e alla cittadina stranieri una comunicazione di avvio del procedimento amministrativo. Nella comunicazione, scritta in italiano e in una lingua comprensibile al destinatario, devono essere indicati: a) l'amministrazione competente; b) l'oggetto del procedimento promosso; c) l'ufficio e la persona responsabile del procedimento; d) la data entro la quale deve concludersi il procedimento e i rimedi esperibili in caso di inerzia dell'amministrazione; e) la data di presentazione della relativa istanza. 4. Qualora per esigenze organizzative si renda necessario procrastinare la ricezione dell'istanza, l'ufficio competente fissa con il cittadino e la cittadina stranieri un appuntamento, tramite il rilascio di un foglio di prenotazione per la consegna della domanda. La prenotazione è stampata secondo le modalità di cui all'articolo 11, comma 3, e ha valore di titolo di soggiorno. 5. Il modello prestampato della ricevuta di cui al comma 2 e della prenotazione di cui al comma 4 deve recare una dicitura ben visibile, da cui risulta che tali documenti hanno il valore di titoli di soggiorno. La stessa dicitura deve precisare se il cittadino e la cittadina stranieri in possesso della ricevuta o della prenotazione sono autorizzati a svolgere attività lavorativa, secondo le disposizioni di cui all'articolo 28, comma 9. 6. Qualora il cittadino e la cittadina stranieri non abbiano i requisiti per il permesso di soggiorno richiesto, l'amministrazione competente provvede al rilascio di un altro permesso di soggiorno ove ne sussistano le condizioni, ai sensi della presente legge. 7. Qualora il cittadino e la cittadina stranieri non abbiano prodotto la documentazione attestante la sussistenza dei requisiti previsti dalla presente legge per il rilascio, il rinnovo o la conversione del permesso di soggiorno, l'ufficio competente notifica all'interessato una comunicazione con la quale viene invitato a produrre, entro un mese, la documentazione integrativa ritenuta necessaria. La comunicazione è redatta in italiano e in una lingua comprensibile al destinatario, e deve contenere l'indicazione della documentazione ritenuta necessaria, l'indicazione del responsabile del procedimento, nonché le modalità di accesso agli atti e di partecipazione al procedimento amministrativo. 8. Qualora il cittadino e la cittadina stranieri non abbiano prodotto la documentazione di cui al comma 7, ovvero qualora l'ufficio competente rilevi l'insussistenza dei requisiti previsti per il rilascio, il rinnovo o la conversione del permesso di soggiorno, l'ufficio competente notifica al cittadino e alla cittadina stranieri la comunicazione dei motivi ostativi ai sensi dell'articolo 10-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241. La comunicazione è redatta in italiano e in una lingua comprensibile al destinatario, e deve obbligatoriamente contenere: a) la motivazione per cui si intende rifiutare il permesso di soggiorno; b) l'eventuale documentazione integrativa da produrre ai fini del rilascio, del rinnovo o della conversione del permesso di soggiorno; c) l'indicazione del responsabile del procedimento; d) le modalità di accesso agli atti e di partecipazione al procedimento amministrativo; e) il termine di cui all'articolo 10-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, per il deposito di memorie e documenti. 9. Il cittadino e la cittadina stranieri ai quali sia stata notificata la comunicazione di cui al comma 7 o di cui al comma 8, possono inoltrare l'istanza di accesso agli atti del procedimento. In tale ipotesi il termine di cui ai commi 7 o 8 è sospeso fino a che l'accesso sia stato consentito. Il cittadino e la cittadina stranieri possano altresì chiedere che, in relazione a particolari e comprovate difficoltà di reperire la documentazione richiesta o ritenuta necessaria nei termini indicati dal periodo precedente, sia concesso un termine ulteriore, di norma non superiore a un mese. Il responsabile del procedimento consente la proroga dei termini con provvedimento scritto e comunicato all'interessato unitamente alla traduzione in una lingua a lui comprensibile. 10. Il cittadino e la cittadina stranieri hanno diritto di partecipazione nei procedimenti amministrativi finalizzati al rilascio, al rinnovo, alla conversione o al rifiuto del proprio permesso di soggiorno, secondo le modalità ed entro i limiti definiti dalla normativa vigente in materia. Essi possono farsi assistere, in tutti gli atti che implicano un rapporto con la pubblica amministrazione, da legali o da persone di propria fiducia.
Art. 16. (Rifiuto del permesso di soggiorno). 1. Il rifiuto del permesso di soggiorno è notificato all'interessato tramite comunicazione scritta in italiano e in una lingua a lui comprensibile. La comunicazione deve obbligatoriamente contenere: a) la motivazione, a termini di legge, del rifiuto; b) gli adempimenti che il cittadino e la cittadina stranieri devono espletare a seguito del rifiuto; c) le modalità di impugnazione; d) l'indicazione del responsabile del procedimento. 2. Contestualmente alla comunicazione di cui al comma 1 del presente articolo, l'ufficio competente propone all'interessato l'accesso a un programma di ritorno concordato nel Paese di origine di cui all'articolo 42. 3. Entro due mesi lavorativi dalla data di notifica del rifiuto, il cittadino e la cittadina stranieri sono tenuti ad allontanarsi dal territorio nazionale. 4. Qualora il rifiuto sia stato disposto dal comune, il responsabile del procedimento trasmette il fascicolo relativo allo straniero alla questura competente per territorio. La trasmissione del fascicolo può essere effettuata anche in forma elettronica. 5. Avverso il provvedimento di rifiuto del rilascio del permesso di soggiorno è proponibile, entro due mesi lavorativi dalla data di notifica, ricorso al tribunale amministrativo regionale territorialmente competente. Avverso il provvedimento di rifiuto del rinnovo o della conversione del permesso di soggiorno è proponibile, entro due mesi lavorativi dalla data di notifica, ricorso al tribunale in composizione monocratica competente ai sensi dell'articolo 25, primo periodo, del codice di procedura civile, che decide secondo le modalità di cui agli articoli 737 e seguenti del medesimo codice. 6. Il ricorso avverso il provvedimento di rifiuto del permesso di soggiorno sospende l'efficacia del provvedimento fino alla decisione del tribunale di cui al comma 5, secondo periodo, che deve essere assunta entro tre mesi. In caso di particolari esigenze istruttorie specificamente motivate, il giudice può decidere oltre tale termine. 7. L'esito negativo del ricorso di cui ai commi 5 e 6 non pregiudica l'accesso al programma di ritorno concordato nel Paese di origine di cui all'articolo 42. 8. In caso di esito positivo del ricorso il giudice dispone il rilascio di un permesso di soggiorno da parte dell'autorità competente. Qualora ne ravvisi le condizioni il giudice dispone il rilascio di un permesso di soggiorno ad personam ai sensi dell'articolo 32.
Art. 17. (Permesso di soggiorno per ricerca di lavoro). 1. Il permesso di soggiorno per ricerca di lavoro può essere rilasciato soltanto ai titolari di un visto per ricerca di lavoro. Salvi i casi espressamente previsti dalla presente legge, non è consentita la conversione di un altro titolo di soggiorno in permesso per ricerca di lavoro. 2. Il permesso di soggiorno per ricerca di lavoro ha la durata di un anno e non è rinnovabile. Alla scadenza, esso può essere convertito in un altro permesso di soggiorno, se sussistono i requisiti e le condizioni previsti dalla presente legge per il permesso richiesto. 3. Le disponibilità finanziarie, relative a quattro mensilità dell'assegno sociale come definito per l'anno in corso alla data di presentazione della domanda del visto, esibite dal cittadino e dalla cittadina stranieri ai fini del rilascio del visto per ricerca di lavoro sono fruibili dalla persona interessata nel periodo di ricerca di lavoro. La quinta mensilità è trattenuta a titolo di garanzia ed è restituita all'atto della conversione del permesso di soggiorno. Il regolamento di attuazione di cui all'articolo 53 disciplina le modalità per la fruizione delle quattro mensilità e per il deposito della quinta mensilità.
Art. 18. (Permesso di soggiorno per attesa occupazione). 1. La mancanza di lavoro per il periodo successivo alla scadenza del permesso di soggiorno per lavoro subordinato comporta il rilascio di un permesso di soggiorno per attesa occupazione. 2. Il permesso di soggiorno per attesa occupazione è rinnovabile consecutivamente solo una volta previa dimostrazione della capacità di autosostentamento del cittadino e della cittadina stranieri. Se i mezzi per l'autosostentamento derivano dall'accesso al sistema di ammortizzatori sociali, il permesso è rinnovato per la durata dei medesimi. Il permesso di soggiorno per attesa occupazione può essere richiesto più volte, non consecutive, dal cittadino e dalla cittadina straniero che ne abbiano i requisiti e può essere convertito in permesso di soggiorno ad altro titolo qualora sussistono le condizioni previste dalla presente legge. 3. Il permesso di soggiorno per attesa occupazione è rilasciato anche al cittadino o alla cittadina stranieri, titolari di un permesso di soggiorno per motivi familiari o di convivenza, che divorzino o si separino dal coniuge e che alla scadenza del permesso di soggiorno non abbiano i requisiti per convertirlo in permesso di soggiorno ad altro titolo.
Art. 19. (Permesso di soggiorno per lavoro autonomo). 1. Il permesso di soggiorno per lavoro autonomo è rilasciato al cittadino e alla cittadina stranieri entrati in Italia con un visto di ingresso per lavoro autonomo. 2. Il cittadino e la cittadina stranieri muniti di permesso di soggiorno, per il quale la presente legge prevede la possibilità di conversione, possono chiedere la conversione in permesso di soggiorno per lavoro autonomo. In tale caso, il richiedente deve dimostrare la sussistenza dei requisiti necessari per l'ingresso per lavoro autonomo. 3. Il cittadino e la cittadina stranieri titolari di permesso di soggiorno per lavoro autonomo possono rinnovarlo, previa dimostrazione di aver percepito, nell'anno precedente la richiesta di rinnovo, un reddito equivalente a dodici mensilità dell'assegno sociale come definito per il medesimo anno. In caso di documentata assenza dal territorio nazionale il numero di mensilità è ridotto del periodo corrispondente. Sono fatte salve le norme sul rilascio del permesso di soggiorno per attesa occupazione di cui all'articolo 18.
Art. 20. (Permessi di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo). 1. Il cittadino e la cittadina stranieri in possesso, da almeno cinque anni, di un permesso di soggiorno in corso di validità, che dimostrano la disponibilità di un reddito non inferiore all'importo annuo dell'assegno sociale come definito per l'anno in corso alla data di presentazione della richiesta di permesso, o nel caso di richiesta relativa ai familiari, di un reddito sufficiente secondo i parametri indicati nell'articolo 36, comma 4, e di una sistemazione alloggiativa, possono chiedere al questore il rilascio del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo. Il permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo è a tempo indeterminato ed è rilasciato entro tre mesi dalla relativa richiesta. 2. La disposizione di cui al comma 1 non si applica ai cittadini e alle cittadine stranieri che: a) soggiornano per motivi di studio o di formazione professionale; b) soggiornano a titolo di protezione temporanea o per motivi umanitari ovvero hanno chiesto il permesso di soggiorno a tale titolo e sono in attesa di una decisione sulla richiesta; c) soggiornano per asilo ovvero hanno chiesto il riconoscimento dello status di rifugiato e sono ancora in attesa di una decisione definitiva circa tale richiesta; d) sono titolari di un permesso di soggiorno di breve durata previsto dalla presente legge e dal regolamento di attuazione di cui all'articolo 53; e) godono di uno status giuridico previsto dalle convenzioni sulle relazioni diplomatiche e sulle relazioni consolari, adottate a Vienna, rispettivamente il 18 aprile 1961 e il 24 aprile 1963, rese esecutive dalla legge 9 agosto 1967, n. 804, dalla convenzione sulle missioni speciali, adottata a New York l'8 dicembre 1969 o dalla convenzione di Vienna del 1975 sulla rappresentanza degli Stati nelle loro relazioni con organizzazioni internazionali di carattere universale. 3. Ai fini del calcolo del periodo di cui al comma 1, non si computano i periodi di soggiorno per i motivi indicati nelle lettere d) ed e) del comma 2. Le assenze dello straniero dal territorio nazionale non interrompono la durata del periodo di cui al citato comma 1 e sono incluse nel computo del medesimo periodo quando sono inferiori a sei mesi consecutivi e non superano complessivamente dieci mesi nel quinquennio, salvo che tale interruzione sia dipesa dalla necessità di adempiere agli obblighi militari, da gravi e documentati motivi di salute ovvero da altri gravi e comprovati motivi. 4. Il permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo non può essere rilasciato al cittadino e alla cittadina stranieri che siano considerati, sulla base di elementi di fatto, una minaccia concreta e attuale per l'ordine pubblico o la sicurezza dello Stato. La pericolosità è valutata anche in relazione ad eventuali condanne per i reati previsti dall'articolo 380 del codice di procedura penale, nonché, limitatamente ai delitti non colposi, dall'articolo 381 del medesimo codice, ovvero in relazione all'eventuale applicazione di misure di prevenzione personali. Ai fini dell'adozione di un provvedimento di diniego del rilascio del permesso di soggiorno di cui al presente comma, il questore tiene conto anche della durata del soggiorno nel territorio nazionale e dell'inserimento sociale, familiare e lavorativo del cittadino e della cittadina stranieri. In ogni caso il diniego di cui al presente comma non può essere basato su considerazioni economiche. 5. Il permesso di soggiorno di cui al comma 1 è revocato: a) se è stato acquisito fraudolentemente; b) in caso di espulsione prevista dal presente articolo; c) quando mancano o vengono a mancare i requisiti per il rilascio; d) in caso di conferimento di permesso di soggiorno di lungo periodo da parte di un altro Stato membro dell'Unione europea, previa comunicazione da parte di quest'ultimo; e) in caso di assenza continuativa dal territorio dello Stato per un periodo superiore a sei anni. 6. Il cittadino e la cittadina stranieri ai quali è stato revocato il permesso di soggiorno ai sensi delle lettere d) ed e) del comma 5, possono riacquistarlo con le stesse modalità di cui al presente articolo; in tale caso, il periodo di cui al comma 1 è ridotto a tre anni. 7. Al cittadino e alla cittadina stranieri ai quali sia stato revocato il permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo e nei confronti dei quali non debba essere disposta l'espulsione è rilasciato un permesso di soggiorno ad altro titolo ai sensi della presente legge. 8. Nei confronti del titolare del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo l'espulsione può essere disposta soltanto: a) per gravi motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato, secondo le modalità di cui all'articolo 47, comma 1; b) nei casi di cui all'articolo 47, comma 2, solo quando il cittadino e la cittadina stranieri costituiscono una concreta minaccia anche in relazione alla sua eventuale appartenenza a una delle categorie indicate all'articolo 1 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, e successive modificazioni, ovvero all'articolo 1 della legge 31 maggio 1965, n. 575, e successive modificazioni, sempre che sia stata applicata, anche in via cautelare, una delle misure di cui all'articolo 14 della legge 19 marzo 1990, n. 55, e successive modificazioni. 9. Nel valutare la pericolosità del cittadino e della cittadina stranieri, ai fini dell'adozione del provvedimento di espulsione, si tiene conto dell'età dell'interessato, della durata del soggiorno sul territorio nazionale, delle conseguenze dell'espulsione per l'interessato e i suoi familiari, dell'esistenza di legami familiari, culturali o sociali nel territorio nazionale e dell'assenza di vincoli con il suo Paese di origine. 10. Oltre a quanto previsto per il cittadino e la cittadina stranieri regolarmente soggiornanti nel territorio dello Stato, il titolare del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo può: a) fare ingresso nel territorio nazionale in esenzione di visto e circolare liberamente sul territorio nazionale; b) svolgere nel territorio dello Stato ogni attività lavorativa subordinata o autonoma salvo quelle che la legislazione vigente espressamente riserva al cittadino o vieta allo straniero; c) usufruire delle prestazioni di assistenza sociale, di previdenza sociale, di quelle relative a erogazioni in materia sanitaria, scolastica e sociale, di quelle relative all'accesso a beni e a servizi a disposizione del pubblico, compreso l'accesso alla procedura per l'ottenimento di alloggi di edilizia residenziale pubblica, salvo che sia diversamente disposto e sempre che sia dimostrata l'effettiva residenza del cittadino e della cittadina stranieri sul territorio nazionale; d) partecipare alla vita pubblica locale, con le forme e nei limiti previsti dalla vigente normativa; e) soggiornare e lavorare nel territorio dell'Unione europea, secondo le modalità ed entro i limiti stabiliti dalla direttiva 2003/109/CE del Consiglio, del 25 novembre 2003, relativa allo status dei cittadini di Paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo, e dalla normativa comunitaria vigente. 11. Al cittadino e alla cittadina stranieri in possesso, da almeno cinque anni, di un permesso di soggiorno in corso di validità, che dimostrino di avere i requisiti per il rinnovo o per la conversione del permesso di soggiorno, è rilasciato un permesso di soggiorno nazionale per soggiornanti di lungo periodo. 12. Il permesso di soggiorno di cui al comma 11 ha una durata illimitata ed è revocabile solo dal giudice, a seguito della condanna definitiva dell'interessato per uno dei reati di cui all'articolo 380, comma 1, del codice di procedura penale. 13. Il permesso di soggiorno di cui al comma 11 consente di esercitare tutte le attività consentite al cittadino e alla cittadina stranieri, in particolare quelle previste per il titolare di permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, di cui al comma 10, lettere a), b), c) e d). In ottemperanza alle disposizioni dell'articolo 13 della direttiva 2003/109/CE del Consiglio, del 25 novembre 2003, il cittadino e la cittadina stranieri titolari del permesso di soggiorno di cui al comma 11 non hanno il diritto di soggiornare in un altro Stato membro dell'Unione europea ai sensi del capo III della medesima direttiva.
Art. 21. (Permesso di soggiorno per motivi di studio). 1. Il permesso di soggiorno per motivi di studio è rilasciato di norma per un periodo di due anni. È rinnovato per un periodo corrispondente alla durata residua del corso di studi, se il cittadino e la cittadina stranieri dimostrino di avere superato la metà delle prove o degli esami previsti nei primi due anni del corso di studi medesimo. 2. Il cittadino e la cittadina stranieri che, alla scadenza della durata prevista del corso di studi, abbiano superato la metà delle prove o degli esami ma non abbiano terminato il corso di studi e intendano concluderlo, hanno diritto al rinnovo del permesso di soggiorno per una durata pari alla metà di quella prevista dal corso di studi medesimo. Sono consentite proroghe, sulla base di documentate esigenze e previo nulla osta rilasciato dalla scuola o dall'università cui il cittadino e la cittadina stranieri sono iscritti. 3. È compatibile con il permesso di soggiorno per motivi di studio lo svolgimento di attività lavorative.
Art. 22. (Permesso di soggiorno per motivi familiari). 1. Fatti salvi i casi di rilascio o di rinnovo dei permessi di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo di cui all'articolo 20, il permesso di soggiorno per motivi familiari è rilasciato: a) al cittadino e alla cittadina stranieri che hanno fatto ingresso in Italia mediante il ricongiungimento familiare ai sensi dell'articolo 36; b) ai cittadini e alle cittadine stranieri regolarmente soggiornanti ad altro titolo che hanno contratto matrimonio con cittadini o cittadine italiani o di uno Statomembro dell'Unione europea, ovvero con cittadini o cittadine stranieri regolarmente soggiornanti; c) al familiare straniero regolarmente soggiornante, in possesso dei requisiti per il ricongiungimento con un cittadino o una cittadina italiani o di uno Stato membro dell'Unione europea residenti in Italia, ovvero con un cittadino o una cittadina stranieri regolarmente soggiornanti in Italia. In tale caso il permesso del familiare è convertito in permesso di soggiorno per motivi familiari. La richiesta di conversione può essere presentata entro l'anno successivo alla scadenza del permesso di soggiorno inizialmente posseduto o alla data della scadenza del termine indicato nella comunicazione di cui all'articolo 12, comma 2. Qualora il cittadino e la cittadina siano rifugiati, si prescinde dal possesso di un valido permesso di soggiorno da parte del familiare; d) al genitore straniero, anche naturale, di minore italiano residente in Italia. In tale caso il permesso di soggiorno per motivi familiari è rilasciato anche a prescindere dal possesso di un valido titolo di soggiorno, a condizione che il genitore richiedente non sia stato privato della potestà genitoriale secondo la legge italiana. 2. Al cittadino e alla cittadina stranieri che effettuano il ricongiungimento con un cittadino o una cittadina italiani o di uno Stato membro dell'Unione europea, ovvero con un cittadino o una cittadina stranieri titolari di un permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo, è rilasciato un permesso di soggiorno per soggiornante di lungo periodo. 3. In caso di morte del familiare in possesso dei requisiti per il ricongiungimento familiare e in caso di separazione legale o di scioglimento del matrimonio o, per il figlio che non può ottenere il permesso di soggiorno per soggiornante di lungo periodo, al compimento del diciottesimo anno di età, il permesso di soggiorno può essere convertito in permesso ad altro titolo, qualora ne sussistano i requisiti. 4. Contro il diniego del nulla osta al ricongiungimento familiare e del permesso di soggiorno per motivi familiari, nonché contro gli altri provvedimenti dell'autorità amministrativa in materia di diritto all'unità familiare, l'interessato può presentare ricorso al tribunale in composizione monocratica del luogo in cui risiede, il quale provvede, sentito l'interessato, nei modi di cui agli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile. Il decreto che accoglie il ricorso può disporre il rilascio del visto o del permesso di soggiorno anche in assenza del nulla osta. Gli atti del procedimento sono esenti da imposta di bollo e di registro e da ogni altra tassa.
Art. 23. (Permesso di soggiorno per cittadine e cittadini stranieri vittime di violenza all'interno del nucleo familiare). 1. La cittadina e il cittadino stranieri titolari di un permesso di soggiorno per motivi familiari, che siano vittime all'interno del nucleo familiare, ovvero da parte della persona convivente, di violenza sessuale, fisica o psicologica, anche per motivi di genere, identità di genere od orientamento sessuale, hanno diritto a permanere sul territorio nazionale per motivi di protezione sociale, per un periodo non inferiore a due anni successivamente alla denuncia o alla segnalazione della situazione di violenza. Il comune di residenza rilascia entro il mese successivo alla denuncia o alla segnalazione della situazione di violenza, anche su proposta del questore, dei servizi sociali o dei centri antiviolenza o di associazioni di tutela operanti nel territorio, il permesso di soggiorno per protezione sociale di cui all'articolo 24, sostitutivo del permesso di soggiorno per motivi familiari. Il permesso di soggiorno è convertibile, alla scadenza, in permesso di soggiorno ad altro titolo secondo i requisiti previsti dalla presente legge. 2. Alla cittadina e al cittadino straniero di cui al comma 1 sono assicurati tutti i benefìci sanitari, previdenziali e socio-assistenziali previsti dalla normativa vigente per le cittadine e i cittadini italiani. 3. La cittadina e il cittadino straniero di cui al comma 1 accedono ai programmi di protezione sociale e di reinserimento, ivi inclusi quelli relativi al soddisfacimento delle esigenze alloggiative, al reinserimento professionale, alle esigenze di cura e al sostegno dei figli a carico della vittima, a parità di condizioni con le cittadine e i cittadini italiani.
Art. 24. (Permesso di soggiorno per protezione sociale). 1. Quando, nel corso di operazioni di polizia, di indagini o di un procedimento per taluno dei delitti di cui all'articolo 3 della legge 20 febbraio 1958, n. 75, e successive modificazioni, o dei reati previsti dall'articolo 380 del codice di procedura penale, ovvero nel corso di interventi assistenziali dei servizi sociali degli enti locali, sono accertate situazioni di violenza o di grave sfruttamento nei confronti di un cittadino o di una cittadina stranieri ed emergano concreti pericoli per la loro incolumità, per effetto dei tentativi di sottrarsi alla condizione di vittima di violenza o di sfruttamento, o ai condizionamenti di un'associazione dedita a uno dei predetti delitti, o delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari o del giudizio, il questore, anche su proposta del procuratore della Repubblica o dei servizi sociali degli enti locali, rilascia uno speciale permesso di soggiorno per consentire al cittadino e alla cittadina stranieri di sottrarsi alla violenza, allo sfruttamento o ai condizionamenti dell'organizzazione criminale e di partecipare a un programma di assistenza e di integrazione sociale. 2. Con la proposta di cui al comma 1 sono comunicati al questore gli elementi da cui risulti la sussistenza delle condizioni ivi indicate, con particolare riferimento alla gravità e attualità del pericolo e alla rilevanza del contributo offerto dal cittadino e dalla cittadina stranieri per l'individuazione o la cattura dei responsabili dei delitti indicati nel medesimo comma 1. Le modalità di partecipazione al programma di assistenza e di integrazione sociale sono comunicate al sindaco. 3. Con il regolamento di attuazione di cui all'articolo 53 sono stabilite le disposizioni occorrenti per l'affidamento della realizzazione del programma di assistenza e di integrazione sociale a soggetti diversi da quelli istituzionalmente preposti ai servizi sociali dell'ente locale e per l'espletamento dei relativi controlli. Con lo stesso regolamento sono individuati i requisiti idonei a garantire la competenza e la capacità di favorire l'assistenza e l'integrazione sociale, nonché la disponibilità di adeguate strutture organizzative dei soggetti predetti. 4. Il permesso di soggiorno rilasciato ai sensi del presente articolo ha la durata di un anno e può essere rinnovato per il periodo occorrente per motivi di giustizia ai sensi dell'articolo 25. Esso è revocato in caso di interruzione del programma di assistenza e di integrazione sociale o di condotta incompatibile con le finalità dello stesso, segnalate dal procuratore della Repubblica o, per quanto di competenza, dal servizio sociale dell'ente locale, o comunque accertate dal questore, ovvero quando vengono meno le altre condizioni che ne hanno giustificato il rilascio. 5. Il permesso di soggiorno previsto dal presente articolo consente l'accesso ai servizi assistenziali e allo studio, nonché l'iscrizione negli elenchi anagrafici dei servizi per l'impiego e lo svolgimento di lavoro subordinato o autonomo, fatti salvi i requisiti minimi di età. Alla scadenza del permesso di soggiorno, l'interessato può convertire il permesso di soggiorno, salvo che questo non sia stato revocato ai sensi del comma 4, e sempre che sussistano i requisiti previsti dalla presente legge. 6. Il permesso di soggiorno previsto dal presente articolo può essere altresì rilasciato, all'atto delle dimissioni dall'istituto di pena, anche su proposta del procuratore della Repubblica o del giudice di sorveglianza presso il tribunale per i minorenni, al cittadino e alla cittadina stranieri che abbiano terminato l'espiazione di una pena detentiva, inflitta per reati commessi durante la minore età, e che già abbiano dato prova concreta di partecipazione a un programma di assistenza e di integrazione sociale.
Art. 25. (Permesso di soggiorno per motivi di giustizia). 1. Nei casi in cui la presenza del cittadino e della cittadina stranieri sul territorio nazionale è indispensabile in relazione a procedimenti penali in corso, l'autorità giudiziaria può disporre il rilascio, da parte della questura competente per territorio, di un permesso di soggiorno per motivi di giustizia. Nel disporre il rilascio del permesso, l'autorità giudiziaria decide la durata del permesso medesimo, nonché la sua eventuale rinnovabilità o convertibilità. 2. La questura rilascia in ogni caso il permesso di soggiorno per motivi di giustizia al cittadino e alla cittadina stranieri che risultino persona offesa nell'ambito di un procedimento penale per uno dei reati di cui agli articoli 583-bis, 600, 601 e 602 del codice penale, o che siano inseriti in uno speciale programma di assistenza di cui all'articolo 13 della legge 11 agosto 2003, n. 228. In tali casi, il permesso di soggiorno per motivi di giustizia ha di norma una durata di tre mesi ed è rinnovabile per il periodo occorrente per motivi di giustizia. Esso consente l'esercizio di regolare attività di lavoro subordinato e autonomo ed è convertibile alla scadenza, ove ne ricorrano le condizioni previste dalla presente legge, in permesso di soggiorno ad altro titolo. 3. Salvo che non si debba disporre l'espulsione a titolo di sanzione sostitutiva o alternativa alla detenzione, di cui all'articolo 49, al cittadino e alla cittadina stranieri privo di titolo di soggiorno, che si trovino a scontare una pena detentiva nel territorio nazionale, è rilasciato un permesso di soggiorno per motivi di giustizia, della durata corrispondente alla pena. Il permesso di soggiorno di cui al presente comma non può essere convertito, alla scadenza, in permesso di soggiorno ad altro titolo. 4. Anche al di fuori dei casi di cui al comma 1, quando, nel corso di operazioni di polizia, di indagini o di un procedimento relativi a delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell'ordine democratico, vi è l'esigenza di garantire la permanenza nel territorio dello Stato dello straniero che ha offerto all'autorità giudiziaria o agli organi di polizia una collaborazione avente le caratteristiche di cui al comma 3 dell'articolo 9 del decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 marzo 1991, n. 82, e successive modificazioni, il questore, autonomamente o su segnalazione dei responsabili di livello almeno provinciale delle Forze di polizia ovvero dei direttori dei Servizi informativi e di sicurezza, ovvero quando richiesto dal procuratore della Repubblica, rilascia allo straniero uno speciale permesso di soggiorno, di durata annuale e rinnovabile per eguali periodi. 5. Con la segnalazione di cui al comma 4 sono comunicati al questore gli elementi da cui risulta la sussistenza delle condizioni ivi indicate, con particolare riferimento alla rilevanza del contributo offerto dallo straniero. 6. Il permesso di soggiorno rilasciato ai sensi del comma 4 può essere rinnovato per motivi di giustizia o di sicurezza pubblica. Esso è revocato in caso di condotta incompatibile con le finalità dello stesso, segnalate dal procuratore della Repubblica, dagli altri organi di cui al comma 1 o comunque accertate dal questore, ovvero quando vengono meno le altre condizioni che ne hanno giustificato il rilascio. 7. Quando la collaborazione offerta ha avuto straordinaria rilevanza per la prevenzione nel territorio dello Stato di attentati terroristici alla vita o all'incolumità delle persone o per la concreta riduzione delle conseguenze dannose o pericolose degli attentati stessi ovvero per identificare i responsabili di atti di terrorismo, allo straniero è concesso il permesso di soggiorno di cui all'articolo 20.
Art. 26. (Permesso di soggiorno di cittadini stranieri in stato di detenzione). 1. Fatti salvi i casi di cui al comma 2, quando il permesso di soggiorno scade nel periodo in cui nei confronti del cittadino e della cittadina stranieri è applicata una pena detentiva, la validità residua del permesso di soggiorno è sospesa. Alla persona interessata è rilasciato un permesso di soggiorno per motivi di giustizia della durata equivalente alla pena detentiva. Alla scadenza di quest'ultima, è rilasciato il permesso di soggiorno antecedentemente posseduto, per la durata residua del medesimo. 2. Il cittadino e la cittadina stranieri titolari di permesso di soggiorno a cui è stata comminata una condanna superiore a due anni di reclusione senza il beneficio della sospensione condizionale della pena, il cui permesso scada durante il periodo di detenzione, possono chiedere il rinnovo o la conversione del permesso di soggiorno almeno due mesi prima della data del fine pena, tenuto conto di eventuali periodi di liberazione anticipata già concessi. L'istanza è trasmessa entro cinque giorni, a cura della direzione del carcere, al comune competente e al magistrato di sorveglianza. Al magistrato di sorveglianza è altresì inviata una relazione sul comportamento del cittadino e della cittadina stranieri durante la detenzione. Entro un mese dalla data di trasmissione dell'istanza, il magistrato di sorveglianza, sentiti il cittadino o la cittadina stranieri e il loro difensore, autorizza con ordinanza il rinnovo o la conversione del permesso di soggiorno, ovvero esprime parere negativo. 3. In conformità ai princìpi e alle finalità dell'articolo 27, terzo comma, della Costituzione, l'autorizzazione di cui al comma 2 è comunque concessa quando il detenuto ha dato prova dell'effettiva partecipazione all'opera di rieducazione. Ai fini della decisione, il magistrato di sorveglianza tiene conto della gravità delle eventuali infrazioni disciplinari commesse durante la detenzione, della condotta complessiva tenuta dal detenuto durante la carcerazione e di eventuali benefìci dei quali egli ha usufruito. Il magistrato tiene altresì conto di eventuali legami familiari o sociali del cittadino o della cittadina stranieri, della durata del suo soggiorno in Italia e di attività svolte durante il periodo di detenzione, con particolare riferimento ad attività lavorative o di istruzione. L'autorizzazione non può essere negata quando sussiste uno dei motivi di divieto di espulsione e di respingimento di cui all'articolo 41. 4. Il parere negativo al rinnovo o alla conversione del permesso di soggiorno è notificato dal magistrato di sorveglianza al cittadino e alla cittadina stranieri e al loro difensore. Il diniego è altresì comunicato al comune del luogo di residenza e al questore per i provvedimenti di competenza. Avverso l'ordinanza con la quale è espresso parere negativo il cittadino e la cittadina stranieri possono proporre appello al tribunale di sorveglianza entro un mese dalla data di notifica. L'appello non ha effetti sospensivi salvo che il tribunale decida altrimenti. 5. Le disposizioni di cui ai commi 2, 3 e 4 non si applicano al cittadino e alla cittadina stranieri titolari di permesso di soggiorno per motivi familiari. In tale caso si applicano le disposizioni di cui al comma 1, indipendentemente dalla durata della pena detentiva. 6. Il cittadino e la cittadina stranieri titolari di un permesso di soggiorno per motivi di giustizia di cui all'articolo 25, comma 3, a fine pena sono espulsi dal territorio nazionale, salvo che non ricorrano i motivi di divieto di espulsione e di respingimento di cui all'articolo 41. Almeno due mesi prima della data del fine pena, l'interessato può chiedere di accedere ad un programma di ritorno concordato. L'istanza è trasmessa entro cinque giorni, a cura della direzione del carcere, al comune competente e al magistrato di sorveglianza. Al magistrato di sorveglianza è altresì inviata una relazione sul comportamento del cittadino e della cittadina stranieri durante la detenzione. Entro un mese dalla data di trasmissione dell'istanza, il magistrato di sorveglianza, sentiti il cittadino e la cittadina stranieri e il loro difensore, autorizza con ordinanza l'accesso al programma di ritorno concordato. Ai fini della decisione il magistrato di sorveglianza tiene conto dell'effettiva partecipazione del cittadino straniero all'opera di rieducazione. 7. Il parere negativo all'accesso al programma di ritorno concordato è notificato dal magistrato di sorveglianza al cittadino e alla cittadina stranieri e al loro difensore. Avverso l'ordinanza con la quale è espresso parere negativo il cittadino e la cittadina stranieri possono proporre appello al tribunale di sorveglianza, entro dieci giorni dalla data di notifica. L'appello non ha effetti sospensivi, salvo che il tribunale decida altrimenti. Capo IV ACCESSO AL LAVORO DEI CITTADINI E DELLE CITTADINE STRANIERI Art. 27. (Chiamata nominativa per lavoro subordinato). 1. Il datore di lavoro italiano, o straniero regolarmente soggiornante in Italia, che intende instaurare in Italia un rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato o indeterminato con un cittadino o una cittadina stranieri residenti all'estero deve presentare, anche a mezzo posta, alla questura della provincia di residenza, ovvero di quella in cui ha sede legale l'impresa, ovvero di quella ove avrà luogo la prestazione lavorativa, una richiesta nominativa di nulla osta al lavoro. Alla richiesta devono essere allegate: a) la proposta del contratto di lavoro con la specificazione delle relative condizioni economiche e normative; b) la dichiarazione dell'impegno a comunicare ogni variazione concernente il rapporto di lavoro; c) l'indicazione della sistemazione alloggiativa del cittadino o della cittadina stranieri. 2. La richiesta di chiamata nominativa di cui al comma 1 del presente articolo può essere presentata anche quanto sono esaurite le quote disponibili stabilite dal decreto di cui all'articolo 7, comma 7. 3. All'atto di ricezione dell'istanza di cui al comma 1, ovvero, nel caso di invio dell'istanza a mezzo posta, entro due giorni dalla data di ricezione, la questura comunica al datore di lavoro l'avvio del procedimento amministrativo finalizzato al rilascio del nulla osta al lavoro. Nella comunicazione devono essere obbligatoriamente indicati: a) l'ufficio competente e il responsabile del procedimento; b) l'oggetto del procedimento promosso; c) la data entro la quale deve concludersi il procedimento e i rimedi esperibili in caso di inerzia dell'amministrazione; d) la data di presentazione della relativa istanza. 4. La questura, ricevuta l'istanza di cui al comma 1, ne trasmette copia, entro due giorni lavorativi, alla direzione provinciale del lavoro, per gli adempimenti di competenza. La direzione provinciale del lavoro verifica che nella proposta del contratto di lavoro, di cui al citato comma 1, lettera a), siano rispettate le prescrizioni del contratto collettivo nazionale di lavoro applicabile alla fattispecie e che la richiesta rientri nei limiti numerici delle quote annuali di ingresso stabilite dal decreto di cui all'articolo 7, comma 7. La direzione provinciale del lavoro è tenuta a comunicare l'esito delle verifiche alla questura, entro venti giorni lavorativi dalla data di ricezione. 5. La questura verifica che a carico del lavoratore straniero, per il quale si richiede l'assunzione, non vi siano requisiti ostativi all'ingresso in Italia ai sensi della presente legge. 6. Effettuate le verifiche di cui ai commi 4 e 5, la questura emana il provvedimento di rilascio o di rifiuto del nulla osta al lavoro, entro quaranta giorni lavorativi dalla data di presentazione dell'istanza. Il nulla osta è trasmesso, all'atto del suo rilascio, a cura della questura, al Ministero degli affari esteri. 7. Decorsi i termini di cui al comma 6, in assenza di un provvedimento espresso da parte dell'amministrazione competente, il nulla osta si intende rilasciato, salvo che non siano esaurite le quote stabilite dal decreto di cui all'articolo 7, comma 7. 8. Entro quindici giorni lavorativi dall'ingresso, salvi i casi di forza maggiore espressamente motivati, il cittadino e la cittadina stranieri che sono entrati in Italia a seguito di chiamata nominativa si recano presso la questura che ha rilasciato il nulla osta per la firma del contratto di lavoro, che resta ivi conservato e, a cura di quest'ultima, trasmesso in copia all'autorità consolare competente e al centro per l'impiego competente. Il contratto è stipulato con il datore che ha presentato istanza di nulla osta, salvi i casi di cui all'articolo 12, comma 7. 9. Le questure forniscono all'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) e all'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL), tramite collegamenti telematici, le informazioni anagrafiche relative ai lavoratori stranieri ai quali è concesso il permesso di soggiorno per motivi di lavoro, o comunque idoneo per l'accesso al lavoro, e comunicano altresì il rilascio dei permessi concernenti i familiari; l'INPS, sulla base delle informazioni ricevute, costituisce un archivio anagrafico dei lavoratori extracomunitari, da condividere con altre amministrazioni pubbliche; lo scambio delle informazioni avviene sulla base di un'apposita convenzione tra le amministrazioni interessate. Le stesse informazioni sono trasmesse, in via telematica, a cura delle questure, all'ufficio finanziario competente che provvede all'attribuzione del codice fiscale. 10. La questura fornisce al Ministero del lavoro e della previdenza sociale il numero e il tipo di nulla osta rilasciati.
Art. 28. (Lavoro dei cittadini stranieri in Italia. Disposizioni diverse). 1. In caso di rimpatrio il lavoratore e la lavoratrice stranieri conservano i diritti previdenziali e di sicurezza sociale maturati e possono goderne indipendentemente dalla vigenza di un accordo di reciprocità. I lavoratori e le lavoratrici stranieri che hanno cessato l'attività lavorativa in Italia e che lasciano il territorio nazionale hanno comunque facoltà di richiedere, nei casi in cui la materia non è regolata da convenzioni internazionali, la liquidazione dei contributi che risultano versati in loro favore presso forme di previdenza obbligatoria maggiorati del 5 per cento annuo. 2. Le attribuzioni degli istituti di patronato e di assistenza sociale, di cui alla legge 30 marzo 2001, n. 152, e successive modificazioni, sono estese ai lavoratori stranieri che prestano regolare attività di lavoro in Italia. 3. I lavoratori e le lavoratrici italiani e stranieri possono chiedere il riconoscimento di titoli di formazione professionale acquisiti all'estero; in assenza di accordi specifici, il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, sentita la commissione centrale per l'impiego, dispone condizioni e modalità di riconoscimento delle qualifiche per singoli casi. Il lavoratore e la lavoratrice stranieri possono inoltre partecipare, ai sensi della presente legge, a tutti i corsi di formazione e di riqualificazione programmati nel territorio della Repubblica. 4. Le disposizioni del presente articolo si applicano alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano in conformità ai rispettivi statuti e alle relative norme di attuazione. 5. Ai fini della presente legge, i contratti di collaborazione coordinata e continuativa di cui agli articoli 61 e seguenti del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, sono equiparati ai contratti di lavoro subordinato a tempo determinato. 6. Ai fini della presente legge, i contratti di lavoro stipulati con soci lavoratori di cooperative sono equiparati ai contratti di lavoro subordinato. 7. I cittadini e le cittadine stranieri muniti di titoli di soggiorno per motivi di turismo non possono esercitare attività lavorativa subordinata o autonoma. I cittadini e le cittadine stranieri muniti di titoli di soggiorno inferiori a tre mesi non possono stipulare contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato, né contratti di lavoro subordinato a tempo determinato la cui durata eccede quella del titolo di soggiorno. Resta salva la possibilità di conversione di tali titoli di soggiorno in permessi di soggiorno di cui all'articolo 14, comma 6. 8. I cittadini e le cittadine stranieri titolari di permesso di soggiorno per residenza elettiva non possono esercitare attività di lavoro subordinato o autonomo. Resta salva la possibilità di conversione di tali titoli di soggiorno in permessi di soggiorno ad altro titolo di cui all'articolo 14, comma 3. 9. I cittadini e le cittadine stranieri che hanno richiesto il rinnovo o la conversione del permesso di soggiorno e che sono muniti della ricevuta di cui all'articolo 15, comma 2, o della prenotazione di cui al medesimo articolo 15, comma 4, possono esercitare tutte le attività consentite dal permesso di soggiorno antecedentemente posseduto, ivi inclusa l'attività di lavoro subordinato o autonomo qualora previsto dalla legislazione vigente in materia.
Art. 29. (Garanzia di terzi per l'accesso al lavoro). 1. L'impresa, l'associazione legalmente riconosciuta, l'ente pubblico o il cittadino e la cittadina italiani o stranieri regolarmente soggiornanti, che intendano farsi garanti dell'ingresso di un cittadino o una cittadina stranieri per consentire loro la ricerca di un lavoro, ovvero la partecipazione a corsi di studio o di ricerca o a corsi di formazione professionale, devono presentare apposita richiesta nominativa alla questura della provincia di residenza. La richiesta di garanzia di terzi di cui al presente comma può essere presentata anche quando sono esaurite le quote disponibili stabilite dal decreto di cui all'articolo 7, comma 7. 2. Il richiedente ai sensi del comma 1 deve produrre idonea documentazione attestante la disponibilità finanziaria di una somma equivalente a cinque mensilità dell'assegno sociale come definito per l'anno in corso alla data di presentazione della richiesta, anche mediante fideiussione bancaria o assicurativa. 3. Il regolamento di attuazione di cui all'articolo 53 può prevedere la formazione e le modalità di tenuta di un elenco degli enti e delle associazioni ammessi a prestare la garanzia ai sensi del comma 1 del presente articolo. 4. La questura, ricevuta la richiesta di cui al comma 1, verifica che a carico del lavoratore straniero, per il quale si richiede l'ingresso, non vi sono requisiti ostativi all'ingresso in Italia ai sensi della presente legge. 5. Effettuate le verifiche di cui al comma 4, le questura emana il provvedimento di rilascio o di rifiuto del nulla osta, entro quaranta giorni lavorativi dalla data di presentazione della richiesta. 6. In caso di rilascio del nulla osta ai sensi del comma 5, la questura comunica il nominativo e i dati anagrafici del cittadino e della cittadina stranieri al Ministero degli affari esteri, ai fini dell'attribuzione del codice ACIVI. 7. Il Ministero degli affari esteri, entro sette giorni lavorativi dalla ricezione del nulla osta ai sensi del comma 6, provvede ad attribuire al cittadino e alla cittadina stranieri il codice ACIVI. 8. Decorsi i termini di cui al comma 5, in assenza di un provvedimento espresso da parte dell'amministrazione competente, il nulla osta si intende rilasciato, sempre che non siano esaurite le quote massime stabilite dal decreto di cui all'articolo 7, comma 7. 9. Entro quindici giorni lavorativi dall'ingresso, salvi i casi di forza maggiore espressamente motivati, il cittadino e la cittadina stranieri che siano entrati in Italia a seguito di garanzia di terzi devono recarsi presso la questura per il rilascio del permesso di soggiorno di cui al comma 10. 10. Al cittadino e alla cittadina stranieri che abbiano fatto ingresso con la garanzia di cui al presente articolo è rilasciato un permesso di soggiorno per ricerca di lavoro.
Art. 30. (Ingresso per lavoro in casi particolari). 1. Al di fuori degli ingressi per lavoro di cui agli articoli precedenti, autorizzati nell'ambito delle quote stabilite dal decreto di cui all'articolo 7, comma 7, il regolamento di attuazione di cui all'articolo 53 disciplina particolari modalità e termini per il rilascio dei nulla osta al lavoro, dei visti di ingresso e dei permessi di soggiorno per lavoro subordinato, per ognuna delle seguenti categorie di lavoratori subordinati o autonomi stranieri: a) dirigenti o personale altamente specializzato di società aventi sede o filiali in Italia ovvero di uffici di rappresentanza di società estere che hanno la sede principale di attività nel territorio di uno Stato membro dell'Organizzazione mondiale del commercio, ovvero dirigenti di sedi principali in Italia di società italiane o di società di altro Stato membro dell'Unione europea; b) lettori universitari di scambio o di madre lingua; c) professori universitari e ricercatori destinati a svolgere in Italia un incarico accademico o un'attività retribuita di ricerca presso università o istituti di istruzione e di ricerca operanti in Italia; d) traduttori e interpreti; e) collaboratori familiari aventi regolarmente in corso all'estero, da almeno un anno, rapporti di lavoro domestico a tempo pieno con cittadini italiani o di uno degli Stati membri dell'Unione europea residenti all'estero che si trasferiscono in Italia, per la prosecuzione del rapporto di lavoro domestico; f) lavoratori alle dipendenze di organizzazioni o di imprese operanti nel territorio italiano, che sono stati ammessi temporaneamente a domanda del datore di lavoro, per adempiere funzioni o compiti specifici, per un periodo limitato o determinato, tenuti a lasciare l'Italia quando tali compiti o funzioni sono terminati; g) lavoratori marittimi occupati nella misura e con le modalità stabilite nel regolamento di attuazione di cui all'articolo 53; h) lavoratori dipendenti regolarmente retribuiti da datori di lavoro, persone fisiche o giuridiche, residenti o aventi sede all'estero e da questi direttamente retribuiti, i quali sono temporaneamente trasferiti dall'estero presso persone fisiche o giuridiche, italiane o straniere, residenti in Italia, al fine di effettuare nel territorio italiano determinate prestazioni oggetto di contratto di appalto stipulato tra le predette persone fisiche o giuridiche residenti o aventi sede in Italia e quelle residenti o aventi sede all'estero, nel rispetto delle disposizioni dell'articolo 1655 del codice civile e del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e delle norme internazionali e comunitarie; i) lavoratori occupati presso circhi o spettacoli viaggianti all'estero; l) personale artistico e tecnico per spettacoli lirici, teatrali, concertistici o di balletto; m) ballerini, artisti e musicisti da impiegare presso locali di intrattenimento; n) artisti da impiegare da parte di enti musicali teatrali o cinematografici o di imprese radiofoniche o televisive, pubbliche o private, o di enti pubblici, nell'ambito di manifestazioni culturali o folcloristiche; o) cittadini e cittadine stranieri destinati a svolgere qualsiasi tipo di attività sportiva professionistica presso società sportive italiane, ai sensi della legge 23 marzo 1981, n. 91, e successive modificazioni; p) giornalisti corrispondenti ufficialmente accreditati in Italia e dipendenti regolarmente retribuiti da organi di stampa quotidiani o periodici, ovvero da emittenti radiofoniche o televisive straniere; q) persone che, secondo le norme di accordi internazionali in vigore per l'Italia, svolgono in Italia attività di ricerca o un lavoro occasionale nell'ambito di programmi di scambi di giovani o di mobilità di giovani o sono persone collocate alla pari; r) infermieri professionali assunti presso strutture sanitarie pubbliche e private. 2. I permessi di soggiorno rilasciati ai sensi del comma 1 sono equiparati ai soggiorni per lavoro subordinato o autonomo corrispondenti. 3. Il regolamento di attuazione di cui all'articolo 53 reca altresì norme per l'attuazione delle convenzioni e degli accordi internazionali in vigore relativamente all'ingresso e al soggiorno dei lavoratori stranieri occupati alle dipendenze di rappresentanze diplomatiche o consolari o di enti di diritto internazionale aventi sede in Italia. 4. L'ingresso e il soggiorno di lavoratori frontalieri di Paesi non appartenenti all'Unione europea è disciplinato dalle disposizioni particolari previste negli accordi internazionali in vigore con gli Stati confinanti. 5. Con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali, su proposta del Comitato olimpico nazionale italiano (CONI), sentiti i Ministri dell'interno e del lavoro e della previdenza sociale, è determinato il limite massimo annuale di ingresso degli sportivi stranieri che svolgono attività sportiva a titolo professionistico o comunque retribuita, da ripartire tra le federazioni sportive nazionali. Tale ripartizione è effettuata dal CONI con delibera da sottoporre all'approvazione del Ministro per le politiche giovanili e le attività sportive. Con la stessa delibera sono stabiliti i criteri generali di assegnazione di tesseramento per ogni stagione agonistica anche al fine di assicurare la tutela dei vivai giovanili. Capo V REGOLARIZZAZIONI
Art. 31. (Commissione territoriale per il soggiorno ad personam). 1. Presso la prefettura - ufficio territoriale del Governo è istituita la commissione territoriale per il soggiorno ad personam, di seguito denominata «commissione territoriale». 2. La commissione territoriale è costituita da: a) il prefetto o un suo delegato; b) il questore o un suo delegato; c) un rappresentante designato dal sindaco del comune capoluogo di provincia; d) un rappresentante designato dai sindaci dei comuni della provincia; e) un rappresentante designato dal presidente della provincia; f) tre rappresentanti delle organizzazioni dei datori di lavoro maggiormente rappresentative a livello provinciale; g) tre rappresentanti delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello provinciale; h) un rappresentante dell'organo di partecipazione dei cittadini e delle cittadine stranieri istituito dal comune capoluogo di provincia o, in mancanza, un rappresentante designato dalle associazioni di rappresentanza dei cittadini e delle cittadine stranieri legalmente costituite e operanti sul territorio del comune capoluogo di provincia; i) un rappresentante dell'organo di partecipazione dei cittadini e delle cittadine stranieri istituito dalla provincia o, in mancanza, un rappresentante designato dalle associazioni di rappresentanza dei cittadini e delle cittadine stranieri legalmente costituite e operanti sul territorio provinciale; l) due rappresentanti delle articolazioni provinciali delle associazioni di rilevanza nazionale, operanti in favore dei cittadini e delle cittadine stranieri; m) un rappresentante delle associazioni di rilevanza provinciale, operanti in favore dei cittadini e delle cittadine stranieri. 3. La commissione territoriale è convocata dal prefetto, che la presiede e ne coordina i lavori. 4. Il regolamento di attuazione di cui all'articolo 53 disciplina le modalità di designazione dei componenti la commissione territoriale, nonché il funzionamento della stessa commissione.
Art. 32. (Permesso di soggiorno ad personam). 1. Il cittadino e la cittadina stranieri non regolarmente soggiornanti in Italia, i quali ritengono di essere in possesso dei requisiti di cui al comma 4, possono chiedere al prefetto della provincia in cui hanno la dimora stabile il rilascio di un permesso di soggiorno ad personam, in deroga alle disposizioni della presente legge. 2. La richiesta di cui al comma 1 è trasmessa dal prefetto alla commissione territoriale. 3. La commissione territoriale deve essere convocata, per la valutazione della richiesta di cui al comma 1, entro un mese lavorativo dalla data di presentazione della richiesta stessa. Il cittadino e la cittadina stranieri interessati non possono essere espulsi fino alla conclusione del procedimento di valutazione della richiesta. 4. Ai fini della valutazione sul rilascio del permesso di soggiorno ad personam di cui al comma 1, la commissione territoriale tiene conto: a) dell'inserimento sociale e lavorativo del cittadino e della cittadina stranieri, nonché delle possibilità di lavoro di cui potrebbero usufruire in caso di rilascio del permesso di soggiorno; b) dei legami familiari o affettivi maturati dal cittadino e dalla cittadina stranieri sul territori della provincia; c) dell'età e delle condizioni di salute del cittadino e della cittadina stranieri, anche in considerazione delle possibili conseguenze negative di un loro eventuale rimpatrio; d) della durata temporale del domicilio di fatto del cittadino e della cittadina stranieri sul territorio, nonché dell'eventuale precedente titolarità di permessi di soggiorno; e) della condotta generale del cittadino e della cittadina stranieri, con particolare riguardo alla loro pericolosità sociale, anche in considerazione di eventuali e recenti condanne penali; f) di comportamenti del cittadino e della cittadina stranieri di straordinaria rilevanza sociale e umanitaria. 5. Ai fini del rilascio del permesso di soggiorno di cui al comma 1, la commissione territoriale ha l'obbligo di ascoltare in contraddittorio il cittadino e la cittadina stranieri, i quali possono farsi assistere da un legale o da una persona di loro fiducia. La commissione ha altresì l'obbligo di valutare eventuali memorie scritte prodotte dal cittadino o dalla cittadina stranieri o dai loro legali rappresentanti. 6. Quando decide di concedere il permesso di soggiorno ad personam, la commissione territoriale definisce il motivo del permesso di soggiorno. 7. Il permesso di soggiorno rilasciato ai sensi del comma 6 è equiparato al permesso di soggiorno avente lo stesso motivo. Esso può essere rinnovato o convertito se la motivazione del permesso lo consente e se ne sussistono i requisiti previsti dalla presente legge. 8. La commissione territoriale rilascia comunque il permesso di soggiorno quando accerti che il cittadino e la cittadina stranieri sono presenti sul territorio nazionale da almeno cinque anni e non hanno riportato condanne per delitti. 9. La decisione della commissione territoriale è trasmessa alla questura competente per territorio, la quale rilascia il permesso di soggiorno, con la motivazione e la scadenza indicate dalla stessa commissione, entro cinque giorni lavorativi. 10. È istituito presso il Ministero dell'interno l'archivio centrale delle domande di regolarizzazione ad personam. All'archivio accedono le prefetture - uffici territoriali del Governo. 11. Non è consentito presentare domanda di regolarizzazione a più di una commissione territoriale.
Art. 33. (Permesso di soggiorno per emersione consensuale da lavoro irregolare). 1. Nei casi in cui un datore di lavoro che occupa alle proprie dipendenze cittadini e cittadine stranieri privi di idoneo titolo di soggiorno, decida di regolarizzare il rapporto di lavoro con il consenso del lavoratore, al cittadino e alla cittadina stranieri è rilasciato un regolare permesso di soggiorno per lavoro, ai sensi della presente legge. 2. Se la decisione di cui al comma 1 riguarda un imprenditore o un esercente un'attività commerciale o comunque a fini di lucro, il datore di lavoro è tenuto al pagamento di un'ammenda di 2.000 euro per ogni lavoratore regolarizzato, senza ulteriori oneri né conseguenze di natura penale. Gli introiti delle ammende sono utilizzati ai fini dell'istituzione di un fondo per il finanziamento dei programmi di ritorno concordato nel Paese di origine di cui all'articolo 42. 3. Ai fini dell'acquisizione del permesso di soggiorno di lunga durata, viene conteggiato il periodo nel quale il lavoratore straniero è stato occupato alle dipendenze del datore di lavoro che ha effettuato l'emersione. 4. Gli esiti delle regolarizzazioni attraverso emersione consensuale costituiscono elemento di valutazione ai fini della programmazione degli ingressi nell'ambito del documento triennale di cui all'articolo 7, comma 1.
Art. 34. (Permesso di soggiorno per denuncia o per accertamento di lavoro irregolare). 1. Quando, a seguito di operazioni ispettive e di controllo o a seguito della denuncia da parte del lavoratore straniero al giudice competente, sono accertati rapporti di lavoro irregolari con l'impiego di lavoratori stranieri privi di idoneo titolo di soggiorno, il datore di lavoro è punito con l'ammenda di 2.000 euro per ogni lavoratore impiegato. Salve le ipotesi di cui al comma 2, se il fatto è commesso da un imprenditore o da un esercente un'attività commerciale o comunque a fini di lucro, si applica la pena dell'arresto da tre mesi ad un anno e l'ammenda di 5.000 euro per ogni lavoratore impiegato. 2. Nei casi in cui, a seguito di operazioni ispettive e di controllo o a seguito della denuncia da parte del lavoratore straniero al giudice competente, sono accertati rapporti di lavoro irregolari con grave sfruttamento del lavoratore, il datore di lavoro è punito con la pena della reclusione da tre a otto anni e con l'ammenda di 9.000 euro per ogni lavoratore e lavoratrice impiegati. Ai fini del presente comma, si intende per grave sfruttamento un rapporto di lavoro irregolare connotato da una delle seguenti caratteristiche: a) retribuzione ridotta di oltre un terzo rispetto ai minimi contrattuali previsti dai contratti collettivi di categoria ovvero retribuzioni gravemente discontinue; b) sistematiche e gravi violazioni delle disposizioni degli articoli 4, 5, 6, 7 e 9 del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66, e successive modificazioni, in materia di disciplina dell'orario di lavoro e dei riposi giornalieri e settimanali; c) gravi violazioni della disciplina in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro con esposizione dei lavoratori a gravi pericoli per la loro salute, sicurezza o incolumità; d) reclutamento e avviamento al lavoro secondo le modalità previste e punite dall'articolo 18 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni. 3. Nei casi di cui ai commi 1 e 2 del presente articolo, al lavoratore straniero è rilasciato un permesso di soggiorno per ricerca di lavoro secondo le modalità stabilite dall'articolo 17. Il datore di lavoro è tenuto, aggiuntivamente alle ammende previste dai citati commi 1 e 2, a corrispondere al lavoratore le cinque mensilità dell'assegno sociale richieste ai fini del rilascio del permesso di soggiorno per ricerca di lavoro.
Capo VI DIRITTO ALL'UNITÀ FAMILIARE, TUTELA DEI MINORI STRANIERI E DIRITTO ALLO STUDIO
Art. 35. (Diritto all'unità familiare). 1. Il diritto a mantenere o a riacquistare l'unità familiare nei confronti dei familiari stranieri è riconosciuto, alle condizioni previste dalla presente legge, ai cittadini e alle cittadine stranieri titolari di permesso di soggiorno di durata non inferiore a un anno. 2. Ai familiari stranieri di cittadini e cittadine italiani o di uno Stato membro dell'Unione europea si applicano le disposizioni del decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 30, fatte salve quelle più favorevoli della presente legge o del relativo regolamento di attuazione di cui all'articolo 53. 3. In tutti i procedimenti amministrativi e giurisdizionali finalizzati a dare attuazione al diritto all'unità familiare e riguardanti i minori deve essere preso in considerazione con carattere di priorità il superiore interesse del fanciullo, conformemente a quanto previsto dall'articolo 3, paragrafo 1, della Convenzione sui diritti del fanciullo, resa esecutiva dalla legge 27 maggio 1991, n. 176.
Art. 36. (Ricongiungimento familiare). 1. Ai fini della presente legge, si intende per «ricongiungimento familiare» la procedura di rilascio di un visto di ingresso o di un permesso di soggiorno per motivi familiari a un cittadino o una cittadina stranieri residenti all'estero, o regolarmente soggiornanti in Italia ad altro titolo, per i quali sia stata presentata la relativa domanda da un proprio familiare, definito ai sensi del comma 2. 2. Il cittadino e la cittadina stranieri possono chiedere il ricongiungimento per i seguenti familiari: a) il coniuge non legalmente separato o la persona con la quale sussisteva un accertato rapporto di convivenza prima della partenza dal Paese di provenienza; b) i figli, anche del coniuge o nati fuori del matrimonio, da genitori non coniugati ovvero legalmente separati; c) i genitori; d) il fratello e la sorella, qualora siano l'unico componente del nucleo familiare rimasto nel Paese di origine. 3. I minori adottati o affidati o sottoposti a tutela sono equiparati ai figli. 4. Salvo che si tratti di rifugiato, o di un cittadino o una cittadina stranieri titolari di permesso di soggiorno per motivi di protezione umanitaria o sussidiaria, o che il ricongiungimento familiare riguardi un minore, il cittadino e la cittadina stranieri che richiedono il ricongiungimento devono dimostrare la disponibilità di un reddito annuo derivante da fonti lecite non inferiore all'importo annuo dell'assegno sociale, come definito per l'anno in corso alla data di presentazione della domanda, se si chiede il ricongiungimento di un solo familiare, al doppio dell'importo annuo dell'assegno sociale se si chiede il ricongiungimento di due o tre familiari, al triplo dell'importo annuo dell'assegno sociale se si chiede il ricongiungimento di quattro o più familiari. Ai fini della determinazione del reddito si tiene conto anche del reddito annuo complessivo dei familiari conviventi con il richiedente. 5. È consentito l'ingresso, al seguito del cittadino e della cittadina italiani o comunitari, dei familiari con i quali è possibile attuare il ricongiungimento. 6. La domanda di nulla osta al ricongiungimento familiare, corredata della documentazione di cui al comma 4, è presentata alla questura competente per il luogo di dimora del richiedente, ed è inviata, a cura del richiedente, al Ministero degli affari esteri, che provvede all'attribuzione dell'apposito codice ACIVI. La questura rilascia copia della domanda contrassegnata con timbro datario e sigla del dipendente incaricato del ricevimento. L'ufficio, verificata l'esistenza dei requisiti di cui al presente articolo, emette il provvedimento richiesto, ovvero un provvedimento di diniego del nulla osta. 7. Decorsi due mesi dalla data della richiesta del nulla osta di cui al comma 6, in assenza di un provvedimento espresso da parte dell'amministrazione competente, il nulla osta si intende rilasciato, e il cittadino e la cittadina stranieri interessati possono richiedere il visto di ingresso alla rappresentanza diplomatica o consolare italiana nel Paese di origine. 8. Quando è stato rilasciato il nulla osta di cui al presente articolo, il cittadino e la cittadina stranieri per i quali è stato richiesto il ricongiungimento sono tenuti a richiedere il visto di ingresso alla rappresentanza diplomatica o consolare competente ai sensi del comma 7. Alla richiesta di visto di ingresso deve essere allegata idonea documentazione attestante i rapporti di parentela di cui al comma 2. La rappresentanza diplomatica o consolare italiana provvede alla traduzione e alla legalizzazione di tali documenti, senza oneri per l'interessato.
Art. 37. (Disposizioni a favore dei minori). 1. Il figlio minore del cittadino o della cittadina stranieri con questi convivente e regolarmente soggiornante è iscritto nel permesso di soggiorno di uno o di entrambi i genitori fino al compimento del quattordicesimo anno di età e segue la condizione giuridica del genitore con il quale convive, ovvero la più favorevole tra quelle dei genitori con i quali convive. Fino al medesimo limite di età il minore che risulta affidato ai sensi dell'articolo 4 della legge 4 maggio 1983, n. 184, e successive modificazioni, è iscritto nel permesso di soggiorno del cittadino e della cittadina stranieri ai quali è affidato e segue la condizione giuridica di questi ultimi, se più favorevole. L'assenza occasionale e temporanea dal territorio dello Stato non esclude il requisito della convivenza e il rinnovo dell'iscrizione. 2. Al compimento del quattordicesimo anno di età al minore iscritto nel permesso di soggiorno del genitore ovvero del cittadino e della cittadina stranieri affidatari è rilasciato un permesso di soggiorno per motivi familiari valido fino al compimento della maggiore età, ovvero un permesso di soggiorno per soggiornante di lungo periodo ai sensi dell'articolo 20. 3. Il tribunale per i minorenni, per motivi connessi con il superiore interesse del minore straniero presente in Italia, tenuto conto del suo sviluppo psicofisico, della sua età, delle sue condizioni di salute e dei percorsi di inserimento e di scolarizzazione, può autorizzare l'ingresso o la permanenza del familiare, per un periodo di tempo determinato, anche in deroga alle disposizioni della presente legge. L'autorizzazione è revocata dal medesimo tribunale per i minorenni quando vengono a cessare i motivi che ne hanno giustificato il rilascio o per attività del familiare incompatibili con le esigenze del minore o con la permanenza in Italia. Nel provvedimento di cui al presente comma, il tribunale per i minorenni definisce il motivo e la scadenza del permesso di soggiorno da rilasciare in conseguenza dell'autorizzazione alla permanenza in Italia. Il permesso di soggiorno rilasciato a seguito del provvedimento del tribunale per i minorenni è equiparato al permesso di soggiorno avente lo stesso motivo. Esso può essere rinnovato o convertito se la motivazione del permesso lo consente e se ne sussistono i requisiti previsti dalla presente legge. La decisione del tribunale per i minorenni è trasmessa alla questura competente del territorio, la quale rilascia il permesso di soggiorno, con la motivazione e con la scadenza indicate dallo stesso tribunale, entro cinque giorni lavorativi. Il cittadino e la cittadina stranieri che abbiano presentato al tribunale per i minorenni istanza di autorizzazione alla permanenza in Italia ai sensi del presente comma, non possono essere espulsi fino alla decisione del medesimo tribunale.
Art. 38. (Disposizioni concernenti minori al compimento della maggiore età). 1. Al compimento della maggiore età, al cittadino e alla cittadina stranieri nei confronti dei quali sono state applicate le disposizioni di cui all'articolo 37, commi 1 e 2, e ai minori stranieri comunque presenti sul territorio nazionale, può essere rilasciato un permesso di soggiorno qualora ne abbiano i requisiti. Il permesso di soggiorno per ricerca di lavoro rilasciato ai cittadini e alle cittadine stranieri secondo le procedure di cui al presente articolo prescinde dal possesso dei requisiti stabiliti dall'articolo 17.
Art. 39. (Diritto allo studio dei minori stranieri). 1. I minori stranieri presenti sul territorio nazionale hanno diritto all'istruzione nelle forme e nei modi previsti per i cittadini italiani, indipendentemente dalla regolarità della posizione in ordine al soggiorno, e dalla condizione giuridica dei loro familiari. Essi sono soggetti all'obbligo scolastico e all'obbligo formativo a parità di condizioni con i cittadini italiani, secondo le disposizioni vigenti in materia. L'iscrizione dei minori stranieri nelle scuole e negli istituti di formazione italiani di ogni ordine e grado avviene nei modi e alle condizioni previsti per i minori italiani. Essa può essere richiesta in qualunque periodo dell'anno scolastico. I minori stranieri privi di documentazione anagrafica ovvero in possesso di documentazione irregolare o incompleta sono iscritti con riserva. 2. L'iscrizione con riserva ai sensi del comma 1 non pregiudica il conseguimento dei titoli conclusivi dei corsi di studio. In mancanza di accertamenti negativi sull'identità dichiarata dell'alunno, il titolo è rilasciato all'interessato con i dati identificativi acquisiti al momento dell'iscrizione. I minori stranieri soggetti all'obbligo scolastico sono iscritti alla classe corrispondente all'età anagrafica, salvo che, per gravi e documentati motivi, il collegio dei docenti deliberi l'iscrizione ad una classe diversa, tenendo conto: a) dell'ordinamento degli studi del Paese di provenienza dell'alunno; b) dell'accertamento di competenze, abilità e livelli di preparazione dell'alunno; c) del corso di studi eventualmente seguito dall'alunno nel Paese di provenienza; d) del titolo di studio eventualmente posseduto dall'alunno. 3. L'effettività del diritto all'istruzione è garantita dallo Stato, dalle regioni e dagli enti locali. Al fine di consentire il pieno esplicarsi del diritto all'istruzione, le istituzioni nazionali e territoriali competenti mettono in atto, di concerto, misure volte ad accogliere e ad accompagnare il minore nel percorso di inserimento nelle classi. Particolare attenzione è data all'apprendimento della lingua italiana, in funzione comunicativa e di studio, da realizzare all'interno delle singole istituzioni scolastiche, attraverso la didattica di aula comune a tutti gli alunni, integrata, ma non sostituita, da attività di laboratorio o dagli interventi di cui al comma 4. A tale fine le istituzioni scolastiche, anche in rete, predispongono percorsi, strumenti e risorse, e le inseriscono organicamente nel piano dell'offerta formativa. Le istituzioni scolastiche territoriali agiscono anche in convenzione con le associazioni degli stranieri e con le organizzazioni di volontariato sociale. La stipula delle convenzioni avviene attraverso bandi pubblici. 4. Il collegio dei docenti definisce, in relazione al livello di competenza dei singoli alunni stranieri, il necessario adattamento dei programmi di insegnamento. Allo scopo possono essere adottati specifici interventi individualizzati o per gruppi di alunni, per facilitare l'apprendimento della lingua italiana, utilizzando, ove possibile, le risorse professionali della scuola. Il consolidamento della conoscenza e della pratica della lingua italiana può essere realizzato altresì mediante l'attivazione di corsi intensivi di lingua italiana sulla base di specifici progetti, anche nell'ambito delle attività aggiuntive di insegnamento per l'arricchimento dell'offerta formativa. 5. Il collegio dei docenti formula proposte in ordine ai criteri e alle modalità per la comunicazione tra la scuola e le famiglie degli alunni stranieri. Ove necessario, anche attraverso intese con l'ente locale, l'istituzione scolastica si avvale dell'opera di mediatori linguistici e culturali qualificati. 6. L'inserimento nelle classi scolastiche dei minori di cittadinanza non italiana è effettuato sulla base del principio della compresenza di alunni italiani e di provenienza straniera e della non concentrazione delle nazionalità all'interno della stessa classe. In nessun caso si formano classi in cui sia maggioritaria o esclusiva la componente degli alunni di provenienza straniera. 7. La scuola assume l'incontro tra le culture come risorsa per la società che cambia e riconosce, attraverso l'esercizio del diritto all'istruzione, la piena cittadinanza di tutti i residenti. La comunità scolastica accoglie le differenze linguistiche e culturali come valore da porre a fondamento del rispetto reciproco, dello scambio tra le culture e della convivenza, e come risorsa per tutti. A tali fini, promuove e favorisce iniziative volte all'accoglienza, alla tutela e alla valorizzazione delle culture e delle lingue d'origine e alla realizzazione di attività interculturali comuni, nella prospettiva dell'educazione interculturale e plurilingue per tutti gli alunni. Compatibilmente con le esigenze organizzative delle attività didattiche, l'edificio scolastico deve configurarsi come uno spazio comune idoneo alla realizzazione di iniziative culturali promosse a livello territoriale dai genitori italiani e stranieri, dalle associazioni dei migranti e dal volontariato sociale. 8. Per la realizzazione degli obiettivi indicati nel presente articolo, le scuole possono avvalersi della collaborazione di mediatori linguistici e culturali qualificati, ai sensi del comma 5, con il compito di: a) affiancare il personale scolastico nelle attività di accoglienza degli alunni e dei genitori; b) facilitare la comunicazione interculturale; c) collaborare con il personale della scuola e con i genitori alla realizzazione di progetti interculturali, volti alla conoscenza dei Paesi di origine degli alunni, e all'organizzazione, all'interno della scuola, di corsi di lingue dei Paesi di provenienza; d) collaborare a progetti mirati a contrastare la dispersione scolastica degli alunni di cittadinanza non italiana. 9. I mediatori linguistici e culturali di cui al comma 8 partecipano ai consigli di classe e ai collegi dei docenti, con potere consultivo, e contribuiscono alle attività di formazione del personale della scuola promosse dalle istituzioni scolastiche. Essi hanno la loro rappresentanza negli organi collegiali. 10. Il Ministero della pubblica istruzione, sentite le organizzazioni sindacali e le associazioni dei cittadini e delle cittadine stranieri, definisce i percorsi di formazione, le modalità di reclutamento, il quadro delle specifiche mansioni e ogni aspetto relativo allo stato giuridico dei mediatori linguistici e culturali. 11. Le istituzioni scolastiche, nel quadro di una programmazione territoriale degli interventi, anche sulla base di apposite convenzioni con le regioni e con gli enti locali, promuovono: a) la realizzazione di un'offerta culturale valida per i cittadini e le cittadine stranieri adulti regolarmente soggiornanti che intendano conseguire il titolo di studio della scuola dell'obbligo; b) la predisposizione di percorsi integrativi, ove necessari, degli studi sostenuti nel Paese di provenienza al fine del conseguimento del titolo dell'obbligo o del diploma di scuola secondaria superiore; c) la realizzazione e l'attuazione di corsi di lingua italiana; d) la realizzazione di corsi di formazione anche nel quadro di accordi di collaborazione internazionale in vigore per l'Italia. 12. È istituita presso il Ministero della pubblica istruzione la Commissione per l'inserimento scolastico dei minori stranieri. La Commissione ha i seguenti compiti: a) coordinare e monitorare le attività dell'amministrazione centrale e degli uffici regionali; b) elaborare e programmare interventi per l'inserimento scolastico degli alunni di cittadinanza non italiana, con particolare riguardo alla formazione del personale scolastico, al monitoraggio e al contrasto della dispersione scolastica; c) raccogliere e disseminare le buone pratiche per l'inserimento degli alunni di cittadinanza non italiana e di educazione interculturale, realizzate a livello territoriale; far conoscere le esperienze più significative prodotte a livello europeo; d) valutare annualmente l'impatto delle attività svolte. 13. La composizione e il funzionamento della Commissione di cui al comma 12 del presente articolo sono disciplinati dal regolamento di attuazione di cui all'articolo 53.
Art. 40. (Accesso dei cittadini e delle cittadine stranieri ai corsi di studio scolastici e universitari). 1. I cittadini e le cittadine stranieri regolarmente soggiornanti in Italia possono accedere ai corsi di studio delle scuole, degli istituti professionali e delle università italiane alle stesse condizioni dei cittadini e delle cittadine italiani. Essi hanno diritto ad accedere, in condizioni di parità con i cittadini e le cittadine italiani, a borse di studio e ad altre provvidenze previste nell'ambito dei programmi di diritto allo studio. 2. L'iscrizione alle scuole, agli istituti di formazione e alle università italiane può essere effettuata anche dall'estero, ai fini dell'ingresso per motivi di studio di cui all'articolo 10, comma 3, per il tramite delle rappresentanze diplomatiche o consolari italiane. 3. Le università e gli istituti di istruzione, formazione e specializzazione italiani, predispongono adeguati strumenti di sostegno, anche linguistici, al fine di consentire un proficuo svolgimento dei corsi di studio da parte dei cittadini e delle cittadine stranieri. Capo VII GESTIONE DELLE FRONTIERE, ESPULSIONI E ALLONTANAMENTI
Art. 41. (Divieti di espulsione e di respingimento). 1. In nessun caso può disporsi l'espulsione o il respingimento verso uno Stato in cui il cittadino e la cittadina stranieri possono essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di orientamento sessuale o di identità di genere, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali, ovvero possono rischiare di essere rinviati verso un altro Stato nel quale non sono protetti dalla persecuzione, ovvero verso un Paese in cui esiste una condizione di guerra o di violenze interne generalizzate, ovvero in cui possono subire, per i reati commessi, la pena di morte. 2. Non sono consentiti l'espulsione e il respingimento nei confronti: a) dei cittadini e delle cittadine stranieri minori di anni diciotto, salvo il diritto a seguire il genitore o l'affidatario espulsi; b) dei cittadini e delle cittadine stranieri in possesso di un permesso di soggiorno CE o nazionale per soggiornante di lungo periodo di cui all'articolo 20, salvi i casi di revoca previsti dal medesimo articolo 20, comma 5; c) dei cittadini e delle cittadine stranieri parenti entro il quarto grado, o coniugi, di cittadini e cittadine italiani o comunitari, ovvero dei cittadini e delle cittadine stranieri che possono dimostrare una stabile e continuativa convivenza con un cittadino o una cittadina italiani; d) delle donne in stato di gravidanza o nei dodici mesi successivi alla nascita del figlio cui provvedono; e) del marito o del convivente della donna in stato di gravidanza o, nei dodici mesi successivi alla nascita del figlio, del padre del bambino ovvero del marito o del convivente della madre; f) dei cittadini e delle cittadine stranieri che sono affetti da infermità o da patologie e che, in considerazione della situazione del Paese di origine o di provenienza nonché della loro condizione sociale, in caso di rimpatrio, possono subire un peggioramento del loro stato di salute o non possono trovare nel Paese di destinazione adeguate cure; g) dei cittadini e delle cittadine stranieri che, pur essendo privi di titolo di soggiorno in corso di validità, sono obbligati da norme vigenti a permanere sul territorio nazionale. 3. Al cittadino e alla cittadina stranieri che si trovino nelle condizioni di cui al comma 1 e di cui alle lettere d), e) e f) del comma 2 è rilasciato un permesso di soggiorno per motivi umanitari. Nei casi di cui alle citate lettere d) ed e) del comma 2 il permesso di soggiorno ha durata annuale. Nei casi i cui al comma 1 e alla citata lettera f) del comma 2 il permesso di soggiorno per motivi umanitari ha durata di due anni ed è rinnovabile se persistono le condizioni che ne hanno giustificato il primo rilascio. Sono fatte salve le disposizioni più favorevoli previste dalla legislazione vigente in materia di asilo, di rifugio e di protezione umanitaria. Nei casi di cui alla lettera g) del citato comma 2 è rilasciato un permesso di soggiorno per motivi di giustizia, con le modalità previste all'articolo 25, comma 3.
Art. 42. (Programmi di ritorno concordato nel Paese di origine). 1. Con apposito decreto, il Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro degli affari esteri, con il Ministro della solidarietà sociale e con il Ministro per i diritti e le pari opportunità, definisce le tipologie generali dei programmi di ritorno concordato dei cittadini e delle cittadine stranieri al Paese di origine. 2. Il programma di ritorno concordato è misura sostitutiva dell'espulsione e non comporta divieto di reingresso nei casi in cui il cittadino e la cittadina stranieri che non abbiano titolo per rimanere sul territorio nazionale e che chiedano di aderire al programma abbiano avuto un pregresso titolo di soggiorno. 3. Il programma di ritorno concordato accompagna l'espulsione nei casi in cui il cittadino e la cittadina stranieri entrati irregolarmente nel territorio dello Stato non abbiano mai avuto titolo di soggiorno. Il periodo di divieto di reingresso in tale caso è fissato in un anno. 4. I programmi di ritorno concordato di cui ai commi 1, 2 e 3 prevedono: a) opportune agevolazioni economiche atte a coprire interamente le spese del viaggio; b) opportune iniziative di sostegno, anche economico, per la sussistenza degli interessati e delle loro famiglie, per il reinserimento lavorativo o per l'avvio di attività imprenditoriali nel Paese di origine, anche prevedendo la partecipazione di organizzazioni non governative attive nel campo della cooperazione allo sviluppo. 5. Il cittadino e la cittadina stranieri non possono accedere nel corso di cinque anni a più di un programma di ritorno concordato. 6. Con il decreto di cui al comma 1 sono altresì ripartite tra le singole province le risorse destinate ai programmi di ritorno concordato. 7. Presso le questure, i valichi di frontiera e i luoghi di prima accoglienza degli stranieri sono previsti servizi informativi e gestionali sui programmi di ritorno concordato svolti da enti e da associazioni di tutela riconosciuti a livello nazionale o da associazioni locali titolate a svolgere tale funzione sulla base di apposite convenzioni. 8. Gli enti e le associazioni di cui al comma 7 definiscono in accordo con la prefettura - ufficio territoriale del Governo competente i programmi individualizzati di ritorno concordato.
Art. 43. (Servizio di frontiera). 1. Presso i valichi di frontiera è istituito il servizio di frontiera. 2. Il servizio di frontiera è costituito dal responsabile dell'ufficio della polizia di frontiera, nonché da esperti designati dal Ministero dell'interno e, in misura paritetica, da organizzazioni non governative attive nel settore della tutela dei diritti umani. Il regolamento di attuazione di cui all'articolo 53 disciplina le modalità di costituzione del servizio di frontiera. 3. È consentito all'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, o ad organizzazioni da esso accreditate, di inviare proprio personale qualificato presso i valichi di frontiera maggiormente sensibili e di verificare, con il personale della polizia di frontiera e del servizio di frontiera, le condizioni dei cittadini e delle cittadine stranieri maggiormente vulnerabili. 4. Per lo svolgimento delle medesime funzioni, l'accesso degli enti e degli organismi di cui al comma 3 è altresì consentito presso le aree di transito aeroportuali nonché a bordo delle unità navali attraccate o alla fonda nelle aree portuali.
Art. 44. (Respingimento alla frontiera). 1. Il cittadino e la cittadina stranieri privi dei requisiti stabiliti dalla presente legge per l'ingresso in Italia, che vengono trovati dalle forze dell'ordine nell'atto di attraversare illegalmente la frontiera, sono rinviati al servizio di frontiera. Il servizio di frontiera verifica che il cittadino e la cittadina stranieri non si trovino nelle condizioni di cui all'articolo 10, terzo comma, della Costituzione o di cui all'articolo 1 della citata Convenzione internazionale relativa allo statuto dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951, resa esecutiva della legge 24 luglio 1954, n. 722, e che non rientrino tra i casi di divieto di espulsione e di respingimento di cui all'articolo 41 della presente legge. Qualora tali accertamenti diano esito negativo, la polizia di frontiera dispone il respingimento del cittadino e della cittadina stranieri. 2. Il respingimento di cui al comma 1 può essere disposto unicamente entro quarantotto ore dal ritrovamento del cittadino e della cittadina stranieri. Decorso tale termine senza che sia stato adottato il provvedimento, il questore territorialmente competente, se ne ricorrono i presupposti, propone al tribunale l'adozione del provvedimento di espulsione secondo le modalità di cui all'articolo 47. 3. Avverso il provvedimento di respingimento disposto dal servizio di frontiera è ammesso ricorso al tribunale amministrativo regionale territorialmente competente, anche dall'estero, entro due mesi. Il ricorso può contenere l'istanza di sospensione dell'efficacia del provvedimento. In tale caso l'esecuzione dell'allontanamento non può avvenire sino alla decisione sull'istanza di sospensione, salvo che il provvedimento di allontanamento si basi su una precedente decisione giudiziale ovvero sia fondato su motivi di pubblica sicurezza che mettano a repentaglio la sicurezza dello Stato. 4. È istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri l'Archivio centrale dei respingimenti alla frontiera. Trimestralmente gli uffici di polizia di frontiera inviano all'Archivio i dati relativi alle operazioni effettuate nel trimestre precedente. Tali dati costituiscono uno degli elementi di valutazione del fenomeno migratorio ai fini della predisposizione del documento programmatico di cui all'articolo 7, comma 1. 5. Il vettore che ha condotto alla frontiera un cittadino o una cittadina stranieri privi dei requisiti per l'ingresso in Italia di cui all'articolo 4, o che devono essere comunque respinti ai sensi del presente articolo, è tenuto a prenderli in carico e a ricondurli nello Stato di provenienza, o in quello che ha rilasciato il documento di viaggio eventualmente in possesso del cittadino e della cittadina stranieri.
Art. 45. (Gestione delle frontiere). 1. Il Ministro dell'interno e il Ministro degli affari esteri adottano, di intesa tra loro, il piano generale degli interventi per la gestione e il controllo dei valichi di frontiera, anche attraverso l'automazione delle procedure, nell'ambito delle compatibilità con i sistemi informativi di livello extranazionale previsti dagli accordi o dalle convenzioni internazionali in vigore e dalle disposizioni vigenti in materia di protezione dei dati personali. Delle parti di piano che riguardano sistemi informativi automatizzati e dei relativi contratti è data comunicazione al Centro nazionale per l'informatica nella pubblica amministrazione. 2. Nell'ambito e in attuazione delle direttive adottate dal Ministero dell'interno, i prefetti delle province di confine terrestre e i prefetti dei capoluoghi delle regioni interessate alla frontiera marittima promuovono le misure occorrenti per il coordinamento dei controlli di frontiera e della vigilanza marittima e terrestre, di intesa con i prefetti delle altre province interessate, sentiti i questori e i dirigenti delle zone di polizia di frontiera, nonché le autorità marittime e militari e i responsabili degli organi di polizia, di livello non inferiore a quello provinciale, eventualmente interessati, e sovrintendono all'attuazione delle citate direttive. 3. Il Ministero degli affari esteri e il Ministero dell'interno promuovono le iniziative occorrenti, di intesa con i Paesi interessati, al fine di garantire l'espletamento degli accertamenti e il rilascio dei documenti eventualmente necessari per i provvedimenti previsti dalla presente legge. Ogni intesa di collaborazione con i Paesi interessati deve essere sottoposta all'approvazione del Parlamento. Non possono essere stipulate intese ai sensi del presente comma con Paesi che non hanno ratificato la citata Convenzione internazionale relativa allo statuto dei rifugiati, resa esecutiva dalla legge 24 luglio 1954, n. 722, o che non rispondono ai criteri indicati dall'articolo 10, terzo comma, della Costituzione.
Art. 46. (Servizi di accoglienza ai valichi di frontiera). 1. Presso i valichi di frontiera nei quali si registra un maggiore numero di ingressi di cittadini e cittadine stranieri o comunque presso i valichi di frontiera particolarmente sensibili, il Ministero dell'interno, di concerto con il Ministero della solidarietà sociale, attiva strutture finalizzate al soccorso e all'orientamento dei cittadini e delle cittadine stranieri in condizioni di bisogno, anche attraverso la stipula di apposite convenzioni con i soggetti di cui all'articolo 43, commi 2 e 3. Le organizzazioni di cui al medesimo articolo 43, commi 2 e 3, possono altresì prendere autonomamente contatto con i cittadini e le cittadine stranieri. 2. In caso di particolare bisogno determinato da afflussi straordinari di cittadini stranieri, il Ministero dell'interno, di concerto con il Ministero della solidarietà sociale, può disporre l'allestimento delle strutture di cui al comma 1 anche in località diverse dalle zone di frontiera, presso le quali disporre il trasferimento dei cittadini e delle cittadine stranieri ad opera della polizia di frontiera. 3. Le strutture di soccorso e di assistenza di cui al comma 1 del presente articolo erogano ai cittadini e alle cittadine stranieri appositi servizi finalizzati a fornire informazioni e assistenza sulle modalità di ingresso legale in Italia, di presentazione della domanda di asilo e sull'accesso ai programmi di ritorno concordato di cui all'articolo 42. Tali servizi sono messi a disposizione, ove possibile, all'interno della zona di transito, con il coinvolgimento dei soggetti di cui all'articolo 43, commi 2 e 3. 4. L'erogazione delle prestazioni sanitarie e gli interventi di igiene pubblica e di profilassi, nonché la vigilanza sanitaria nelle strutture di soccorso e di assistenza di cui al comma 1 sono assicurati dall'azienda sanitaria locale territorialmente competente. 5. I cittadini e le cittadine stranieri trovati ai valichi di frontiera privi dei requisiti richiesti dalla presente legge per l'ingresso e il soggiorno in Italia, per i quali non possono essere disposti l'espulsione o il respingimento, in ragione della necessità di fornire loro cure mediche, ovvero per l'esigenza di disporre ulteriori accertamenti sulla loro identità e nazionalità, ovvero per la verifica della sussistenza delle eventuali condizioni di divieto di espulsione e di respingimento di cui all'articolo 41, ovvero per garantire l'espletamento degli atti relativi all'accesso alla procedura di asilo o di rifugio o di protezione umanitaria o sussidiaria, sono ospitati per il tempo strettamente necessario, e comunque per un periodo non superiore a quindici giorni, presso le strutture di soccorso e di assistenza di cui al comma 1 del presente articolo. 6. Il servizio di frontiera procede all'identificazione del cittadino e della cittadina stranieri e agli accertamenti relativi al loro status. Il cittadino e la cittadina stranieri possono allontanarsi dalla struttura di soccorso e di assistenza di cui al comma 1, ma sono tenuti all'obbligo di presenza nella struttura medesima in determinate ore della giornata, da stabilire anche in relazione alle specifiche esigenze del cittadino e della cittadina stranieri. Il cittadino e la cittadina stranieri possono aderire ai programmi di ritorno concordato di cui all'articolo 42, ovvero richiedere, sussistendone i requisiti, il rilascio di un permesso di soggiorno ad personam ai sensi dell'articolo 32. 7. In caso di mancato rispetto, senza giustificato motivo, dell'obbligo di presenza di cui al comma 6, il servizio di frontiera propone l'espulsione del cittadino e della cittadina stranieri. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni dell'articolo 47. Il questore può disporre l'applicazione della misura del fermo di polizia, ai sensi delle disposizioni del citato articolo 47, comma 18. 8. Ai cittadini e alla cittadine stranieri ospitati nelle strutture di soccorso e di assistenza di cui al comma 1 sono garantite adeguate informazioni e assistenza legale, nonché la libertà di comunicazione anche telefonica con l'esterno e la possibilità di contattare legali, enti e associazioni di tutela.
Art. 47. (Espulsione). 1. Per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato, desunti da elementi di fatto specificamente indicati, il Ministro dell'interno può proporre al tribunale in composizione monocratica l'espulsione del cittadino e della cittadina stranieri anche non residenti nel territorio dello Stato, dandone preventiva notizia al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro degli affari esteri. 2. L'espulsione è proposta dal questore, con richiesta motivata, al giudice di cui al comma 8, quando: a) il cittadino e la cittadina stranieri sono entrati nel territorio dello Stato sottraendosi ai controlli di frontiera o violando il divieto di reingresso o sono trovati nel territorio dello Stato senza valido titolo di soggiorno e non rientrano tra i casi di divieto di espulsione e di respingimento di cui all'articolo 41, o tra i casi per i quali è possibile il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi di giustizia ai sensi dell'articolo 25, comma 2, o per protezione sociale ai sensi dell'articolo 24, o non rientrano nelle tipologie per le quali è possibile richiedere un permesso di soggiorno ad personam ai sensi dell'articolo 32; b) il cittadino e la cittadina stranieri sono ritenuti, sulla base di elementi di fatto, appartenere a taluna delle categorie indicate nell'articolo 1 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, e successive modificazioni, o nell'articolo 1 della legge 31 maggio 1965, n. 575, e successive modificazioni. 3. La richiesta di espulsione deve essere contestualmente notificata all'interessato in lingua a lui comprensibile o al suo legale rappresentante, con l'indicazione della facoltà di nominare un difensore di fiducia e di eleggere domicilio. La richiesta di espulsione è inoltre comunicata al difensore di fiducia nominato dal cittadino e dalla cittadina stranieri, ovvero nominato d'ufficio all'atto dell'emissione della richiesta; il difensore d'ufficio è designato nell'ambito dei soggetti iscritti negli elenchi previsti dall'articolo 29 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271. Al difensore è comunicato il domicilio o la residenza del cittadino e della cittadina stranieri. Nell'ipotesi di cui al comma 1 la notifica della proposta di espulsione è effettuata dal questore del luogo di residenza o di domicilio o di dimora del cittadino e della cittadina stranieri. 4. Nelle ipotesi di cui al comma 1, il questore, individuato ai sensi delle disposizioni del comma 3, ultimo periodo, anche su proposta del Ministro dell'interno, quando ravvisa il concreto pericolo che il cittadino e la cittadina stranieri di cui è proposta l'espulsione si rendano irreperibili, può disporre in via provvisoria la misura del fermo di polizia. 5. Nell'ipotesi di cui al comma 2, lettera b), il questore, quando ravvisa il concreto pericolo che il cittadino e la cittadina stranieri di cui è proposta l'espulsione si rendano irreperibili, ovvero nel caso in cui non siano certe la loro identità e nazionalità, può disporre in via provvisoria la misura della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza. Il questore può altresì disporre in via provvisoria la misura del fermo di polizia, solo quando ravvisa, sulla base di elementi di fatto, che la misura della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza non risulta idonea alla finalità di ovviare al pericolo che il cittadino e la cittadina stranieri si rendano irreperibili. 6. Nelle ipotesi di cui al comma 2, lettera a), quando ravvisa il concreto pericolo che il cittadino e la cittadina stranieri di cui è proposta l'espulsione si rendano irreperibili, ovvero nel caso in cui non siano certe l'identità e la nazionalità del cittadino e della cittadina stranieri, il questore, all'atto dell'adozione della richiesta di espulsione, può disporre in via provvisoria la misura della sorveglianza speciale della pubblica sicurezza, con l'obbligo di soggiorno in una determinata località e l'obbligo di dimora in determinate ore della giornata. Nel caso di cittadini e cittadine stranieri privi di dimora, agli stessi è data facoltà di indicare quale domicilio utile, strutture di accoglienza messe a disposizione da enti, associazioni di tutela, regioni, enti locali, ivi comprese le strutture di soccorso e di assistenza di cui all'articolo 46. Nei confronti del cittadino e della cittadina stranieri già espulsi con precedente provvedimento, che abbiano fatto illegalmente reingresso in Italia prima del termine del divieto di reingresso, il questore può disporre in via provvisoria la misura del fermo di polizia. 7. I provvedimenti di cui ai commi 4, 5 e 6 sono notificati al difensore di cui al comma 3 unitamente alla richiesta di espulsione. 8. L'autorità che ha emesso la richiesta di espulsione e il provvedimento di cui ai commi 4, 5 e 6 li comunica entro quarantotto ore al tribunale in composizione monocratica del luogo in cui ha sede l'autorità che ha emesso la richiesta, ovvero al tribunale in composizione monocratica competente sul luogo di domicilio nel caso in cui è stata adottata la misura della sorveglianza speciale. Unitamente alla richiesta e al provvedimento sono inviati a cura dell'autorità che li ha adottati gli atti e i documenti dell'attività istruttoria. Nell'ipotesi di cui al comma 1 è competente il giudice del luogo di residenza o domicilio del cittadino straniero, ovvero, in mancanza, del luogo ove è effettuata la notifica di cui al comma 3. Il giudice fissa l'udienza entro quarantotto ore dalla comunicazione di cui al presente comma, notificando avviso di fissazione al cittadino e alla cittadina stranieri, al difensore, all'autorità che ha emesso il provvedimento con l'avviso della facoltà di prendere visione e trarre copia degli atti e dei documenti inviati. 9. Il giudice, sentiti il cittadino e la cittadina stranieri, il rappresentante dell'amministrazione della pubblica sicurezza e il difensore del cittadino e della cittadina stranieri, e svolte eventuali indagini, decide entro quarantotto ore dal ricevimento della richiesta, con un'unica ordinanza, nell'ordine: a) di convalidare o meno l'eventuale misura provvisoria di cui ai commi 4, 5 e 6; b) di adottare o meno il provvedimento di espulsione richiesto. Il giudice, nel caso in cui rilevi la necessità di acquisire ulteriore documentazione o svolgere ulteriori indagini, d'ufficio o su richiesta del cittadino e della cittadina stranieri, anche ai fini dell'accertamento della sussistenza di una delle ipotesi di cui ai commi 13 e 14, può disporre il rinvio della decisione di merito, che deve essere comunque adottata entro quindici giorni. In tale caso può disporre per lo stesso periodo l'applicazione della misura della sorveglianza speciale. 10. Nell'adottare il provvedimento ai sensi del comma 9, il giudice tiene conto della durata del soggiorno in Italia del cittadino e della cittadina stranieri, di eventuali legami familiari, della pendenza di procedimento penale nel quale il cittadino e la cittadina stranieri siano indagati o imputati o parti lese o parti civili, ovvero assumano la figura di persona informata sui fatti o di testimone. 11. Ove adotti l'espulsione, e il questore abbia prodotto elementi concreti dai quali risulta che occorre effettuare accertamenti in merito all'identità del cittadino e della cittadina stranieri, ovvero che occorre acquisire i documenti di viaggio, con l'ordinanza di cui al comma 9 il giudice può disporre un ulteriore periodo di sorveglianza speciale non superiore a cinque giorni, ovvero, nelle ipotesi previste dai commi 1 e 2, lettera b), e nelle ipotesi in cui è già stata disposta in via provvisoria, ai sensi del comma 6, terzo periodo, la misura del fermo di polizia, non superiore a quarantotto ore. 12. Il giudice, nell'adozione del provvedimento di espulsione, fissa l'eventuale divieto di reingresso del cittadino e della cittadina stranieri espulsi nel territorio nazionale e la sua durata, che non deve essere comunque superiore a tre anni, o a cinque anni nei casi di cui al comma l. 13. La proposta di espulsione di cui al comma 2 del presente articolo è comunque respinta quando il cittadino e la cittadina stranieri rientrino nei casi di divieto di espulsione e di respingimento di cui all'articolo 41, ovvero, nelle ipotesi di cui al citato comma 2, lettera a), possono usufruire di un permesso di soggiorno per protezione sociale ai sensi dell'articolo 24 o di un permesso di soggiorno per motivi di giustizia ai sensi dell'articolo 25, comma 2, o di un permesso di soggiorno ad personam ai sensi dell'articolo 32. Nel caso di richiesta di espulsione ai sensi del citato comma 2, lettera a), ove il cittadino e la cittadina stranieri accedano a un programma di ritorno concordato di cui all'articolo 42, e siano già stati in possesso di titolo di soggiorno, il procedimento di espulsione è sospeso fino alla conclusione del procedimento di ritorno concordato. Acquisita la prova dell'effettivo ritorno nel Paese di origine, il giudice archivia il procedimento di espulsione. Nelle ipotesi di cui al medesimo comma 2, lettera b), ove il cittadino e la cittadina stranieri accedano al programma di ritorno concordato, il giudice può applicare l'espulsione, ma il divieto di reingresso di cui al comma 12 non può avere una durata superiore a un anno. 14. La proposta di espulsione di cui al comma 1 del presente articolo è comunque respinta quando ricorre la fattispecie prevista dall'articolo 41, comma 1, ovvero quando a seguito dell'esecuzione dell'espulsione il cittadino e la cittadina stranieri possono essere esposti a torture o a pene o trattamenti inumani o degradanti, ovvero quando nei loro confronti può essere eseguita la pena capitale, ovvero quando il cittadino e la cittadina stranieri versano in gravi condizioni di salute e l'esecuzione dell'espulsione può comportare il rischio del decesso o comunque di un grave e immediato peggioramento. 15. Il cittadino e la cittadina stranieri che, successivamente all'adozione dell'ordinanza con la quale il giudice dispone l'espulsione, collaborino alla propria identificazione e abbiano rispettato tutti gli obblighi derivanti dall'eventuale misura di sorveglianza, possono chiedere al giudice che ha adottato il provvedimento, anche per il tramite del proprio difensore, la riduzione del periodo di divieto di reingresso. La durata del divieto non può essere in tale caso superiore a due anni. 16. L'espulsione è eseguita mediante accompagnamento alla frontiera da parte delle autorità di pubblica sicurezza. 17. Avverso il provvedimento di espulsione può essere presentato ricorso alla corte d'appello competente per materia entro due mesi, anche per il tramite della rappresentanza diplomatica o consolare italiana nel Paese di origine. Il ricorso può contenere l'istanza di sospensione dell'efficacia del provvedimento. In tale caso l'esecuzione dell'allontanamento non può avvenire sino alla decisione sull'istanza di sospensione, salvo che il provvedimento di allontanamento si basi su una precedente decisione giudiziale ovvero sia fondato su motivi di pubblica sicurezza che mettano a repentaglio la sicurezza dello Stato. 18. Nel caso in cui il cittadino e la cittadina stranieri per i quali è stata avanzata una richiesta di espulsione, anche accompagnata dalla misura di sorveglianza speciale, si rendano volontariamente irreperibili, all'atto del ritrovamento sono soggetti alla misura del fermo di polizia. Il questore richiede al tribunale la convalida della misura entro le quarantotto ore successive. Il tribunale convalida la misura, sentiti il cittadino e la cittadina stranieri, entro le successive quarantotto ore. L'allontanamento è eseguito dalle autorità di pubblica sicurezza entro le successive ventiquattro ore. Con l'ordinanza di convalida il giudice applica nei confronti del cittadino e della cittadina stranieri il divieto di reingresso per la durata di cinque anni. La durata del divieto è ridotta a tre anni nel solo caso in cui il cittadino e la cittadina stranieri collaborino alla propria identificazione e all'allontanamento. Sono fatte salve sopravvenute condizioni di inespellibilità.
Art. 48. (Identificazione dei cittadini e delle cittadine stranieri non in regola con le disposizioni vigenti in materia di soggiorno dei detenuti). 1. Dell'ingresso nell'istituto di reclusione del cittadino e della cittadina stranieri irregolarmente presenti sul territorio nazionale, a seguito di provvedimento di applicazione della custodia cautelare ovvero di ordine di esecuzione della pena detentiva, è data comunicazione, entro ventiquattro ore, a cura della direzione dell'istituto di reclusione, alla questura competente per territorio. Alla comunicazione sono allegate le informazioni utili all'identificazione del cittadino e della cittadina stranieri. 2. A seguito della ricezione della comunicazione di cui al comma 1, la questura avvia tempestivamente la procedura finalizzata all'identificazione del cittadino e della cittadina stranieri e all'ottenimento dei documenti di viaggio, anche mediante consultazione con l'autorità diplomatica o consolare italiana del Paese di origine. 3. All'atto dell'ingresso nell'istituto di reclusione il cittadino e la cittadina stranieri vengono informati dell'avvio delle procedure di cui al comma 2, nonché del diritto di proporre l'istanza di cui al comma 4. La comunicazione deve essere effettuata in lingua comprensibile all'interessato. 4. Il cittadino e la cittadina stranieri che si trovino nelle condizioni indicate al comma 1 possono chiedere, con istanza motivata trasmessa al questore a cura della direzione dell'istituto di reclusione, che non sia avviata la procedura di identificazione, quando sussista l'ipotesi di cui all'articolo 41, comma 1. In tale ipotesi al cittadino e alla cittadina stranieri è rilasciato, alla scarcerazione, un permesso di soggiorno per motivi umanitari. 5. Le richieste di espulsione di cui ai commi 1 e 2 dell'articolo 47, riguardanti un cittadino o una cittadina stranieri irregolari detenuti a seguito di ordine di esecuzione della pena detentiva, sono inoltrate almeno quindici giorni prima della data indicata per la scarcerazione, ai fini della procedura di espulsione. 6. Nel caso in cui sia disposta l'espulsione del cittadino e della cittadina stranieri detenuti e il vettore da utilizzare per l'accompagnamento alla frontiera non sia disponibile alla data prevista per l'effettiva scarcerazione, la questura comunica al giudice che ha disposto l'espulsione la data antecedente di non oltre cinque giorni la data di scarcerazione, in cui sia disponibile l'idoneo vettore. Il giudice autorizza la scarcerazione nella data indicata, ai fini dell'immediato accompagnamento alla frontiera. In tal caso, la pena si intende scontata.
Art. 49. (Espulsione a titolo di sanzione sostitutiva o alternativa alla detenzione). 1. Nel pronunciare sentenza di condanna per un reato non colposo o nell'applicare la pena su richiesta ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, il giudice, su istanza dell'imputato straniero, quando ritiene di dover irrogare la pena detentiva entro il limite di cinque anni e non ricorrono le condizioni per ordinare la sospensione condizionale della pena ai sensi dell'articolo 163 del codice penale, può sostituire la pena detentiva con la misura dell'espulsione con divieto di reingresso per un periodo pari al doppio della pena da irrogare. Il termine del divieto di reingresso decorre dall'effettiva esecuzione dell'espulsione. 2. Il magistrato di sorveglianza, su richiesta del pubblico ministero e del condannato, può ordinare l'espulsione per un periodo pari al doppio della pena da scontare, nei confronti dello straniero detenuto che deve scontare una pena residua non superiore a cinque anni. Se durante tale periodo lo straniero fa ingresso nel territorio nazionale, la sospensione dell'esecuzione della pena è revocata. 3. Nelle ipotesi di cui ai commi 1 e 2 la pena è estinta alla scadenza del termine di divieto di reingresso, sempre che il cittadino e la cittadina stranieri non siano rientrati illegalmente nel territorio dello Stato. In tale caso, il giudice dell'esecuzione dispone l'applicazione della pena detentiva sostitutiva di cui al comma 1, ovvero, nell'ipotesi di cui al comma 2, lo stato di detenzione è ripristinato e riprende l'esecuzione della pena. 4. Nell'ipotesi di cui al comma 2 lo stato di detenzione permane fino all'effettiva esecuzione dell'espulsione mediante accompagnamento alla frontiera a cura della forza pubblica. La misura di cui al citato comma 2 decade ove l'espulsione non sia eseguita nel termine di due mesi dalla richiesta. Capo VIII NORME PENALI
Art. 50. (Disposizioni contro il favoreggiamento dell'immigrazione clandestina). 1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di trarne ingiusto profitto, in violazione delle disposizioni della presente legge procura o favorisce l'ingresso nel territorio dello Stato di uno o più cittadini e cittadine stranieri, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa fino a 10.000 euro per ogni persona. La pena è aumentata da un terzo alla metà se il fatto riguarda l'ingresso nel territorio dello Stato di cinque o più persone. 2. Quando tre o più persone si associano allo scopo di procurare o favorire, al fine di trarne ingiusto profitto, l'ingresso nel territorio dello Stato di più cittadini e cittadine stranieri in violazione delle disposizioni della presente legge, coloro che promuovono o costituiscono od organizzano l'associazione, ovvero ne fanno parte con funzioni direttive, sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da quattro a dieci anni e alla multa di euro 15.000 per ogni cittadino e cittadina stranieri trasportati. 3. Per il solo fatto di partecipare all'associazione di cui al comma 2, al fine di trarne ingiusto profitto, la pena è della reclusione da uno a sei anni. 4. Le pene di cui ai commi 1, 2 e 3 sono aumentate da un terzo a due terzi se per procurare l'ingresso o la permanenza illegale la persona è stata esposta a pericolo per la sua vita o incolumità, ovvero è stata sottoposta a trattamento inumano o degradante, ovvero se i fatti sono compiuti al fine di reclutare persone da destinare alla prostituzione o comunque allo sfruttamento sessuale ovvero riguardano l'ingresso di minori da impiegare in attività illecite al fine di favorirne lo sfruttamento. 5. Per i delitti previsti dai commi 1, 2 e 3 le pene sono diminuite fino alla metà nei confronti dell'imputato che si adopera per evitare che l'attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, aiutando concretamente l'autorità di polizia o l'autorità giudiziaria nella raccolta di elementi di prova decisivi per la ricostruzione dei fatti, per l'individuazione o la cattura di uno o più autori di reati e per la sottrazione di risorse rilevanti alla consumazione dei delitti, ovvero per il salvataggio delle persone trasportate. 6. Nei casi previsti dai commi 2 e 3 è obbligatorio l'arresto in flagranza ed è disposta la confisca del mezzo di trasporto utilizzato per i medesimi reati, anche nel caso di applicazione della pena su richiesta delle parti. 7. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di trarre un ingiusto profitto dalla condizione di illegalità del cittadino e della cittadina stranieri, favorisce la permanenza di questi nel territorio dello Stato in violazione delle disposizioni della presente legge è punito con la reclusione fino a quattro anni e con la multa fino a 15.000 euro. La pena è aumentata quando il cittadino e la cittadina stranieri siano costretti in condizione di particolare degrado o sfruttamento. 8. Fermo restando quanto previsto dall'articolo 54 del codice penale, non costituiscono reato le attività di soccorso, di assistenza umanitaria e di accoglienza prestate in Italia nei confronti dei cittadini e delle cittadine stranieri in condizioni di bisogno comunque presenti nel territorio dello Stato o alla frontiera, e le attività di soccorso in mare. È attività di accoglienza anche l'ospitalità temporanea, apprestata dal sindaco, da associazioni e organizzazioni umanitarie presso apposite strutture o da privati, di cittadini e cittadine stranieri anche sprovvisti di titolo di soggiorno. 9. Non è punibile chi commette il reato di cui al comma 1 al fine di favorire l'ingresso dei familiari nei confronti dei quali potrebbe richiedere il ricongiungimento familiare. 10. Il vettore aereo, marittimo o terrestre, è tenuto ad accertarsi che il cittadino e la cittadina stranieri trasportati siano in possesso dei documenti richiesti per l'ingresso nel territorio dello Stato, nonché a riferire all'organo di polizia di frontiera dell'eventuale presenza a bordo dei rispettivi mezzi di trasporto di cittadini e cittadine stranieri in posizione irregolare. In caso di inosservanza anche di uno solo degli obblighi di cui al presente comma, si applica la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 3.500 euro a 5.500 euro per ciascuno dei cittadini e delle cittadine stranieri trasportati. Nei casi più gravi è disposta la sospensione da uno a dodici mesi, ovvero la revoca della licenza, dell'autorizzazione o della concessione rilasciata dall'autorità amministrativa italiana inerente all'attività professionale svolta e al mezzo di trasporto utilizzato. 11. La sanzione di cui al comma 10 non si applica nei confronti del vettore che ha trasportato un cittadino o una cittadina stranieri sprovvisti dei documenti richiesti, quando questi hanno dichiarato al momento dell'imbarco che intendano presentare istanza di riconoscimento dello status di rifugiato e presentano l'istanza al momento dello sbarco. 12. I beni sequestrati nel corso di operazioni di polizia finalizzate alla prevenzione e alla repressione dei reati previsti dal presente articolo sono affidati dall'autorità giudiziaria procedente in custodia giudiziale, salvo che vi ostino esigenze processuali, agli organi di polizia che ne facciano richiesta per l'impiego in attività di polizia ovvero ad altri organi dello Stato o ad altri enti pubblici per finalità di giustizia, di protezione civile, di tutela ambientale o di integrazione dei cittadini e delle cittadine stranieri. I mezzi di trasporto non possono essere in alcun caso alienati. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni dell'articolo 100, commi 2 e 3, del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309. 13. Nel caso in cui siano state presentate istanze di affidamento per mezzi di trasporto sequestrati, si applicano le disposizioni dell'articolo 301-bis, comma 3, del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, e successive modificazioni. La distruzione può essere direttamente disposta dal Presidente del Consiglio dei ministri o dall'autorità da lui delegata, previo nulla osta dell'autorità giudiziaria procedente. Con il provvedimento che dispone la distruzione sono altresì fissate le modalità di esecuzione. 14. I beni acquisiti dallo Stato a seguito di provvedimento definitivo di confisca sono, a richiesta, assegnati all'amministrazione o trasferiti all'ente che ne ha avuto l'uso ai sensi del comma 8 ovvero sono alienati o distrutti. I mezzi di trasporto non assegnati, o trasferiti per le finalità di cui al comma 8, sono comunque distrutti. Si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni vigenti in materia di gestione e di destinazione dei beni confiscati. Ai fini della determinazione dell'eventuale indennità, si applica il comma 5 dell'articolo 301-bis del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, e successive modificazioni. 15. Le somme di denaro confiscate a seguito di condanna per uno dei reati previsti dal presente articolo, nonché le somme di denaro ricavate dalla vendita, ove disposta, dei beni confiscati, sono destinate al potenziamento degli interventi di accoglienza e assistenza umanitaria dei cittadini e delle cittadine stranieri, anche ai sensi del comma 8. 16. La nave italiana in servizio di polizia, che incontri nel mare territoriale o nella zona contigua, una nave, di cui si ha fondato motivo di ritenere che sia adibita o coinvolta nel trasporto illecito di migranti, può fermarla, sottoporla a ispezione e, se vengono rinvenuti elementi che confermano il coinvolgimento della nave in un traffico di migranti, sequestrarla e condurla in un porto dello Stato. Tali operazioni sono condotte avendo come obiettivo primario la massima tutela dell'incolumità delle persone trasportate.
Capo IX DISPOSIZIONI TRANSITORIE E FINALI
Art. 51. (Abrogazioni e modifiche di norme). 1. Gli articoli 235 e 312 del codice penale sono abrogati. 2. Gli articoli da 1 a 33 del citato testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, sono abrogati. 3. Al citato testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all'articolo 39, il comma 5 è sostituito dal seguente: «5. È comunque consentito l'accesso ai corsi universitari, a parità di condizioni con gli studenti italiani, agli stranieri titolari di permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, ovvero di permesso di soggiorno per lavoro subordinato o per lavoro autonomo, per motivi familiari, per asilo politico, per asilo umanitario, o per motivi religiosi, ovvero agli stranieri regolarmente soggiornanti in possesso di titolo di studio superiore conseguito in Italia o, se conseguito all'estero, equipollente»; b) l'articolo 40 è sostituito dal seguente: «Art. 40. - (Centri di accoglienza. Accesso all'abitazione). - 1. Le regioni, in collaborazione con le province, con i comuni e con le associazioni e le organizzazioni di volontariato, predispongono centri di accoglienza destinati ad ospitare, anche in strutture ospitanti cittadini italiani o cittadini di altri Paesi dell'Unione europea, stranieri regolarmente soggiornanti per motivi diversi dal turismo, che siano temporaneamente impossibilitati a provvedere autonomamente alle proprie esigenze alloggiative e di sussistenza. Il sindaco, quando siano individuate situazioni di emergenza, può disporre l'alloggiamento nei centri di accoglienza di stranieri non in regola con le disposizioni sull'ingresso e sul soggiorno nel territorio dello Stato, ferme restando le norme sull'allontanamento dal territorio dello Stato degli stranieri in tali condizioni. 2. I centri di accoglienza sono finalizzati a rendere autosufficienti gli stranieri ivi ospitati nel più breve tempo possibile. I centri di accoglienza provvedono, ove possibile, ai servizi sociali e culturali idonei a favorire l'autonomia e l'inserimento sociale degli ospiti. Ogni regione determina i requisiti gestionali e strutturali dei centri di accoglienza e consente convenzioni con enti privati e finanziamenti. 3. Per centri di accoglienza si intendono le strutture alloggiative che, anche gratuitamente, provvedono alle immediate esigenze alloggiative e alimentari, nonché, ove possibile, all'offerta di occasioni di apprendimento della lingua italiana, di formazione professionale, di scambi culturali con la popolazione italiana e all'assistenza socio-sanitaria degli stranieri impossibilitati a provvedervi autonomamente per il tempo strettamente necessario al raggiungimento dell'autonomia personale per le esigenze di vitto e di alloggio nel territorio in cui vive lo straniero. 4. Lo straniero regolarmente soggiornante può accedere ad alloggi sociali, collettivi o privati, predisposti secondo i criteri previsti dalle leggi regionali, dai comuni di maggiore insediamento degli stranieri o da associazioni, fondazioni o organizzazioni di volontariato ovvero da altri enti pubblici o privati, nell'ambito di strutture alloggiative, prevalentemente organizzate in forma di pensionato, aperte a cittadini italiani e stranieri, finalizzate ad offrire una sistemazione alloggiativa dignitosa a pagamento, secondo quote calmierate, nell'attesa del reperimento di un alloggio ordinario in via definitiva. 5. Le regioni concedono contributi a comuni, province, consorzi di comuni o enti morali pubblici o privati, per opere di risanamento igienico-sanitario di alloggi di loro proprietà o di cui abbiano la disponibilità legale per almeno quindici anni, da destinare ad abitazioni di stranieri titolari di permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo o di permesso di soggiorno per lavoro subordinato, per lavoro autonomo, per studio, per motivi familiari, per asilo politico o asilo umanitario. I contributi possono essere in conto capitale o a fondo perduto e comportano l'imposizione, per un numero determinato di anni, di un vincolo sull'alloggio all'ospitabilità temporanea o alla locazione a stranieri regolarmente soggiornanti. L'assegnazione e il godimento dei contributi e degli alloggi così strutturati è effettuata sulla base dei criteri e delle modalità previsti dalla legge regionale. 6. Gli stranieri titolari di permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo e gli stranieri regolarmente soggiornanti che siano iscritti negli elenchi anagrafici dei servizi per l'impiego o che esercitino una regolare attività di lavoro subordinato o di lavoro autonomo hanno diritto di accedere in condizioni di parità con i cittadini italiani, agli alloggi di edilizia residenziale pubblica, ai servizi di intermediazione delle agenzie sociali eventualmente predisposte da ogni regione o dagli enti locali per agevolare l'accesso alle locazioni abitative e al credito agevolato in materia di edilizia, recupero, acquisto e locazione della prima casa di abitazione». 4. Il regolamento di cui al decreto del Presidente del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394, e successive modificazioni, è abrogato. 5. Gli articoli 2 e 3 del decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 luglio 2005, n. 155, sono abrogati. 6. La lettera d) del comma 1 dell'articolo 75 del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, è abrogata. Art. 52. (Delega al Governo per l'adozione di un testo unico e di norme per la regolamentazione dei cittadini stranieri). 1. Il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, un decreto legislativo recante il testo unico delle disposizioni concernenti l'ingresso e il soggiorno dei cittadini e delle cittadine stranieri in Italia, coordinando in esso le norme della presente legge e le altre norme legislative vigenti e apportando alle medesime le integrazioni, le modificazioni e le abrogazioni necessarie al loro coordinamento o per assicurarne la migliore attuazione. 2. Lo schema del decreto legislativo di cui al comma 1, a seguito di deliberazione preliminare del Consiglio dei ministri, è trasmesso, almeno sessanta giorni prima della scadenza del termine indicato al comma 1, al Parlamento per l'acquisizione del parere delle Commissioni parlamentari competenti per materia, che devono esprimersi entro quarantacinque giorni; decorso tale termine il parere si intende acquisito.
Art. 53. (Regolamento di attuazione). 1. Entro due mesi dalla data di entrata in vigore del testo unico adottato ai sensi dell'articolo 52, comma 1, il Governo adotta il regolamento di attuazione del medesimo testo unico.
Art. 54. (Diritto di voto). 1. La partecipazione alla vita politica e alle attività della pubblica amministrazione, comprensiva del diritto di accesso e di partecipazione al procedimento amministrativo, è assicurata a tutti, senza discriminazioni in base alla cittadinanza o alla nazionalità. 2. Il diritto di elettorato attivo e passivo nelle elezioni comunali e provinciali e nelle elezioni concernenti le città metropolitane è garantito ai soggetti che non sono cittadini e cittadine italiani quando hanno maturato cinque anni di regolare soggiorno in Italia. 3. Gli statuti e i regolamenti comunali, provinciali e delle città metropolitane disciplinano altre forme di partecipazione dei cittadini e delle cittadine stranieri alla vita politica e amministrativa. 4. Le disposizioni del presente articolo costituiscono, oltre che princìpi fondamentali, princìpi dell'ordinamento giuridico della Repubblica per le regioni ordinarie e per le regioni a statuto speciale, nonché per le province autonome di Trento e di Bolzano. 5. Per l'esercizio del diritto di elettorato attivo e passivo, i soggetti che non sono cittadini e cittadine italiani presentano al sindaco del comune di residenza domanda per l'iscrizione nelle liste elettorali. Per le modalità di iscrizione nelle liste elettorali si applica, in quanto compatibile, la disciplina concernente i cittadini dell'Unione europea. |
N. 2976
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CAMERA DEI DEPUTATI ______________________________ |
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DISEGNO DI LEGGE |
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presentato dal ministro dell'interno (AMATO) e dal ministro della solidarietà sociale (FERRERO) di concerto con il ministro degli affari esteri (D'ALEMA) con il ministro della giustizia (MASTELLA) con il ministro della difesa (PARISI) con il ministro del lavoro e della previdenza sociale (DAMIANO) con il ministro per le politiche europee (BONINO) con il ministro della salute (TURCO) con il ministro delle politiche per la famiglia (BINDI) con il ministro per i diritti e le pari opportunità (POLLASTRINI) con il ministro della pubblica istruzione (FIORONI) con il ministro per gli affari regionali e le autonomie locali (LANZILLOTTA) con il ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione (NICOLAIS) con il ministro per le politiche giovanili e le attività sportive (MELANDRI) con il ministro delle politiche agricole alimentari e forestali (DE CASTRO) con il ministro dell'economia e delle finanze (PADOA SCHIOPPA) e con il ministro dell'università e della ricerca (MUSSI) ¾ |
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Delega al Governo
per la modifica della disciplina |
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Presentata il 30 luglio 2007
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Onorevoli Deputati! - La vigente disciplina dell'immigrazione si è rivelata, sotto vari aspetti, non idonea ad affrontare le dimensioni e le problematiche del fenomeno migratorio, che è a tutti gli effetti un fenomeno strutturale. L'inadeguatezza delle norme vigenti a regolare questo grande evento della nostra epoca ha determinato - a partire dai meccanismi previsti per l'ingresso in Italia dei cittadini di Paesi non aderenti all'Unione europea - un allargamento della clandestinità, una enorme difficoltà all'incontro regolare tra domanda e offerta di lavoro e una compressione dei diritti dei migranti di cui la continua espansione del sistema dei centri di permanenza temporanea e assistenza (CPT) è divenuto l'emblema. Così come la farraginosità delle procedure relative ai permessi di soggiorno ha prodotto, da un lato, il sistematico ingolfamento degli uffici statali e, dall'altro, l'aleatorietà dei diritti effettivi degli stessi immigrati regolari.
La necessità di offrire soluzioni adeguate alle disfunzioni evidenziate dalla prassi in questi ultimi anni induce a un ritorno ai princìpi della legge 6 marzo 1998, n. 40, le cui norme sono confluite nel testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, con la revisione delle modifiche apportate dalla legge 30 luglio 2002, n. 189, che non hanno prodotto risultati positivi e con i correttivi suggeriti dall'osservazione concreta del fenomeno, adeguando la normativa, anche quella del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998, alle nuove esigenze di un fenomeno in continua evoluzione. L'immigrazione deve essere governata non come emergenza ma come elemento ordinario delle società moderne da gestire in base ai princìpi dell'accoglienza e dell'inclusione sociale di quanti fanno ingresso nel nostro Paese in risposta anche ad una domanda pressante di lavoratori stranieri.
Il presente disegno di legge si propone, quindi, di superare la normativa vigente, offrendo gli strumenti per un governo razionale dell'immigrazione che si ponga l'obiettivo fondamentale di promuovere l'immigrazione regolare e di favorire l'integrazione degli immigrati da un lato e di rendere effettivo il sistema dei rimpatri degli immigrati irregolari dall'altro, il tutto nel pieno rispetto dei diritti umani e della dignità della persona, a partire dai minori.
La costruzione di un Paese in cui le diverse appartenenze etniche, linguistiche, culturali e religiose possano coesistere positivamente, nel comune riferimento ai valori costituzionali e nel comune utilizzo della lingua italiana, è una delle grandi sfide a cui siamo chiamati e a cui questo disegno di legge vuole dare un contributo.
Passando ad esaminare il provvedimento in dettaglio, il comma 1 dell'articolo unico, detta i princìpi e criteri direttivi per l'esercizio della delega conferita al Governo per la modifica del citato testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni.
Il primo principio della delega [lettera a)] mira a favorire l'incontro regolare tra la domanda e l'offerta di lavoro straniero, sia introducendo elementi di flessibilità nei meccanismi di programmazione dei flussi di ingresso, sia prevedendo nuovi canali di ingresso che assicurino un collegamento più realistico tra la domanda e l'offerta di lavoro e più rispondente alle esigenze delle imprese e delle famiglie.
I criteri rivolti alla realizzazione di tale principio sono molteplici. In particolare, si prevede la revisione del meccanismo di determinazione delle quote massime di stranieri da ammettere ogni anno sul territorio nazionale, con una programmazione triennale e una possibilità di adeguamento annuale, tenendo conto dei dati sull'effettiva richiesta di lavoro elaborati dal Ministero della solidarietà sociale, dei dati forniti dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale e delle indicazioni provenienti dai consigli territoriali per l'immigrazione istituiti presso le prefetture-uffici territoriali del Governo - di cui fanno parte tutti gli operatori pubblici e privati del territorio coinvolti nella gestione dell'immigrazione - nonché dalle regioni e dalle province autonome in relazione alla sostenibilità dei flussi, considerata l'incidenza della materia dell'immigrazione su alcune competenze di tali enti, in particolare sotto il profilo dell'integrazione sociale degli immigrati (alloggi, istruzione, assistenza sanitaria). Nella determinazione delle quote saranno considerati i programmi di istruzione e di formazione effettuati nei Paesi di origine e alle procedure di determinazione delle quote prenderanno parte le associazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro, nonché gli enti e le associazioni rappresentativi sul piano nazionale e attivi nell'assistenza e nell'integrazione degli immigrati.
Per rispondere a eventuali necessità emergenti dal mondo del lavoro si prevede che il decreto per l'adeguamento annuale delle quote, per la cui adozione sarà prevista una procedura semplificata, possa consentire ingressi, per lavoro subordinato o autonomo, al di fuori delle quote, in presenza di un numero di richieste eccedenti le quote stesse, con l'eventuale fissazione di un tetto numerico sulla base del monitoraggio dei nulla osta al lavoro richiesti.
Nel settore del lavoro domestico e di assistenza alla persona si prevedono iniziative intese a favorire l'incontro tra domanda e offerta di lavoro, nonché a promuovere la formazione e il riconoscimento delle esperienze maturate.
In considerazione delle difficoltà della richiesta di assunzione nominativa che presuppone la conoscenza diretta dello straniero, il disegno di legge prevede l'istituzione generalizzata di liste di lavoratori stranieri che intendono venire in Italia, fondate su di un criterio cronologico, laddove attualmente tali liste possono essere previste solo nell'ambito di accordi di ingresso per lavoro e di rimpatrio con i Paesi di origine. In ogni caso le liste saranno realizzate innanzitutto con quei Paesi che abbiano mostrato disponibilità a concorrere nella lotta all'immigrazione clandestina. La gestione di tali liste, che dovranno essere trasmesse alle rappresentanze diplomatiche e consolari italiane all'estero, potrà essere affidata alle autorità dei Paesi di origine, nonché ad enti e organismi nazionali o internazionali, con sede in quei Paesi, che stipulino convenzioni a tale fine con lo Stato italiano. Nella formazione della relativa graduatoria si terrà conto del grado di conoscenza della lingua italiana, di eventuali titoli e qualifiche professionali e della frequenza di corsi di istruzione e di formazione professionale, in cui sia garantita la diffusione dei valori e dei princìpi su cui si fondano la Costituzione italiana e la comunità nazionale. Nella more dell'istituzione di tali liste sarà attivata una banca dati interministeriale delle richieste di ingresso per lavoro e delle offerte di lavoro.
Tali liste costituiranno bacino di utenza per le richieste numeriche dei datori di lavoro italiani ma anche per quelle nominative che, naturalmente, rimangono nel sistema.
Per la realizzazione di realistiche ed efficaci modalità di incontro legale tra domanda e offerta di lavoro, rendendo più conveniente l'ingresso regolare, si reintroduce l'istituto della cosiddetta «sponsorizzazione», per consentire, da un lato, allo straniero di entrare in Italia regolarmente per cercare lavoro, con adeguate garanzie di carattere patrimoniale collegate alla permanenza nel territorio, e, dall'altro, al datore di lavoro italiano di conoscere il lavoratore straniero prima di assumerlo. La prestazione di garanzia per l'ingresso di lavoratori stranieri è consentita, sia a regioni, enti locali, associazioni imprenditoriali, professionali e sindacali e istituti di patronato, sia a privati cittadini italiani o comunitari ovvero stranieri titolari di un permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo. Le quote destinate alla sponsorizzazione pubblica e privata saranno individuate distintamente; la sponsorizzazione da parte di privati cittadini (italiani, comunitari o stranieri) potrà essere solo nominativa e limitata, altresì, a un ingresso per anno: eventuali richieste per gli anni successivi saranno condizionate alla dimostrazione dell'inserimento lavorativo o del rimpatrio dello straniero precedentemente garantito. Nell'ambito della quota destinata alla sponsorizzazione privata potrà essere consentito l'ingresso per inserimento nel mercato del lavoro anche dello straniero in possesso di adeguate risorse finanziarie (cosiddetta «autosponsorizzazione»).
Oltre a dettare i princìpi e criteri direttivi intesi ad agevolare l'ingresso regolare di lavoratori generici, il disegno di legge prevede anche una revisione delle categorie di lavoratori che possono entrare in Italia al di fuori delle quote e senza che sia richiesta l'iscrizione nelle liste o nella banca dati transitoria, ai sensi dell'articolo 27 del citato testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, nonché del relativo procedimento, anche al fine di semplificare l'ingresso di lavoratori altamente qualificati.
Nell'ottica di favorire lo sviluppo dei Paesi di origine dei flussi migratori, si prevedono [lettera b)] misure finalizzate ad agevolare l'invio delle rimesse degli stranieri verso tali Paesi e misure di cooperazione allo sviluppo che prevedano l'impiego dei cittadini stranieri e l'incentivazione del rientro produttivo degli immigrati nei loro Paesi, anche con il mantenimento dello status di soggiornante regolare in Italia nel caso di partecipazione a specifici progetti in collaborazione con le amministrazioni competenti.
Con riferimento ai visti di ingresso sul territorio nazionale [lettera c)] si prevede una semplificazione delle procedure e della documentazione da esibire, anche mediante la previsione di tutele contro il ritardo nel rilascio, e l'estensione dell'obbligo di motivazione del relativo diniego a tutte le tipologie di visto: attualmente è prevista una deroga all'obbligo generale di motivazione del diniego di visto per motivi di sicurezza o di ordine pubblico, a meno che non si tratti di ingresso per lavoro, motivi familiari, cure mediche o accesso alle università.
Ad esigenze di semplificazione, nell'interesse tanto dell'amministrazione competente quanto dei lavoratori stranieri e dei datori di lavoro, sono indirizzati anche i princìpi e criteri direttivi [lettera d)], che presiederanno alla riforma delle disposizioni concernenti il rilascio di nulla osta e permessi di soggiorno, nonché i rinnovi dei permessi medesimi.
In particolare, sarà eliminato il contratto di soggiorno e saranno razionalizzati i procedimenti di competenza degli sportelli unici per l'immigrazione istituiti presso le prefetture-uffici territoriali del Governo, prevedendo anche forme di supporto e di collaborazione all'attività di questi ultimi da parte di enti pubblici nazionali, enti locali, associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori, nonché associazioni di promozione sociale, organizzazioni del volontariato e della cooperazione. Per lo snellimento delle procedure è prevista l'istituzione presso i comuni di sportelli per la presentazione delle istanze per il rilascio e per il rinnovo del permesso di soggiorno, attuando gradualmente, e dopo una fase transitoria per sperimentare i nuovi modelli di procedura, il trasferimento di competenze ai medesimi comuni per le procedure di rinnovo del permesso di soggiorno.
Sarà allungata la validità iniziale dei permessi di soggiorno per lavoro non stagionale. In particolare, quelli collegati a rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato o al lavoro autonomo saranno rilasciati per tre anni, mentre i permessi di soggiorno collegati a un rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato non saranno più rigidamente ancorati alla durata del contratto di lavoro bensì rilasciati per un anno in relazione a rapporti di lavoro di durata pari o inferiore a sei mesi e per due anni in relazione a rapporti di lavoro di durata superiore a sei mesi. I nuovi termini appaiono più adeguati alla realtà del mondo del lavoro, in cui sono sempre più frequenti i contratti di lavoro di breve durata, suscettibili di ripetuti rinnovi, evitando così inutili appesantimenti burocratici per le amministrazioni e inefficienze per il lavoratore e per il datore di lavoro.
La durata dei rinnovi sarà raddoppiata rispetto alla validità iniziale, in considerazione del crescente radicamento dell'immigrato nella società, e, in ogni caso, il quadro normativo delineato, che mira ad assicurare efficienza nei procedimenti di cui si tratta, sarà completato da disposizioni atte a evitare pregiudizi - non imputabili al lavoratore straniero che ha chiesto il rinnovo nei termini - derivanti da eventuali ritardi, garantendo la continuità degli effetti della regolarità del soggiorno nelle more del rinnovo.
L'abolizione del contratto di soggiorno, l'allungamento dei termini e dei rinnovi per i permessi e la semplificazione delle procedure tendono a rendere la posizione degli immigrati meno precaria e meno esposta a ricatti e al rischio del passaggio alla clandestinità, che è destinata in tale modo a ridursi.
Per le stesse ragioni, al fine di evitare il passaggio alla clandestinità in caso di cessazione del rapporto di lavoro, il cittadino straniero che, attualmente, rimane iscritto ai centri per l'impiego solo per il periodo di restante validità del permesso o comunque per un periodo non inferiore a sei mesi, avrà un permesso della durata di un anno in attesa di una nuova occupazione, con possibilità di un unico rinnovo per lo stesso periodo, in presenza di un reddito adeguato. Laddove il lavoratore usufruisca di misure di sostegno previste dalla normativa in materia di ammortizzatori sociali, la durata del permesso in questione sarà adeguata alla durata di tali misure se essa sia superiore a un anno. Saranno, infine, previste misure intese a consentire l'assunzione di quegli stranieri, già titolari di un permesso per lavoro subordinato da almeno diciotto mesi, che abbiano perso la regolarità del soggiorno.
Sempre in tema di permessi di soggiorno, il disegno di legge prevede una revisione della disciplina del permesso per motivi umanitari, al cui rilascio sarà competente non più il questore ma il prefetto, sentiti il consiglio territoriale per l'immigrazione e il questore. Nell'ambito di tale revisione è prevista la possibilità di rilascio del permesso anche in favore dello straniero che dimostri spirito di appartenenza alla comunità civile e non sia pericoloso per l'ordine pubblico e per la sicurezza dello Stato, nonché la previsione di ipotesi di ricongiungimento familiare per il titolare di permesso umanitario, laddove non vi ostino vincoli normativi comunitari. In generale, per lo straniero che ha titolo di soggiornare in Italia per disposizione di legge senza dover dimostrare il possesso di risorse economiche è prevista la possibilità di svolgimento di attività lavorativa.
La lettera e) prevede, poi, che, in armonia con quanto stabilito dal capitolo C della Convenzione sulla partecipazione degli stranieri alla vita pubblica a livello locale, fatta a Strasburgo il 5 febbraio 1992, e ratificata dall'Italia con legge 8 marzo 1994, n. 203, per i soli capitoli A e B, si estenda l'elettorato attivo e passivo per le elezioni amministrative agli stranieri che hanno ottenuto nel nostro Paese un permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, consentendo l'esercizio di tale diritto secondo le modalità e le condizioni già previste per i cittadini dell'Unione europea. È necessario, pertanto, procedere, prima dell'approvazione della legge delega, alla ratifica del predetto capitolo C della citata Convenzione internazionale, in modo che, in ossequio all' articolo 10 della Costituzione, nella regolamentazione della condizione dello straniero si possa disciplinare l'elettorato in armonia al trattato internazionale ratificato.
La lettera f) richiede che, conformemente alla normativa europea, la disciplina delle cause ostative all'ingresso o al soggiorno sul territorio nazionale si fondi su di una valutazione individuale e non ricollegata automaticamente alla sussistenza di determinati presupposti.
In considerazione delle difficoltà riscontrate nel rendere effettive le espulsioni, soprattutto per i problemi collegati all'identificazione dell'immigrato, la lettera g) mira a incentivare la collaborazione a tale fine degli stranieri, graduando le misure d'intervento. A tale scopo viene istituito il «Fondo nazionale rimpatri», presso il Ministero dell'interno, destinato a finanziare programmi di rimpatrio volontario e assistito, alimentato con contributi dei datori di lavoro, dei garanti che fanno da sponsor, nonché degli stranieri medesimi. A tali programmi potranno accedere anche gli stranieri non espulsi che non hanno i mezzi per rientrare nel proprio Paese. Per ottenere la collaborazione dell'immigrato si prevede anche un sistema premiale fondato sulla riduzione del divieto di reingresso normalmente conseguente al decreto di espulsione, sul quale inciderà anche la maggiore o minore gravità dei motivi di espulsione.
Si prevede, inoltre, la revisione della disciplina dell'allontanamento, rapportata alla gravità delle violazioni commesse e alla pericolosità dello straniero, con possibilità di sospensione dell'esecuzione del provvedimento di allontanamento per gravi motivi.
In generale è prevista la revisione della disciplina sanzionatoria per violazione delle disposizioni in materia di immigrazione, con il superamento del cosiddetto «diritto speciale» dello straniero, il cui trattamento va ricondotto ai princìpi dei codici penale e di procedura penale, con un meccanismo deterrente graduale in relazione alla gravità e alla reiterazione delle violazioni e ai motivi dell'espulsione, anche alla luce della recente sentenza della Corte costituzionale (n. 22 del 2007), che ha sottolineato l'esistenza di «squilibri, sproporzioni e disarmonie, tali da rendere problematica la verifica di compatibilità con i princìpi costituzionali di uguaglianza e di proporzionalità della pena e con la finalità rieducativa della stessa».
La competenza giurisdizionale nella materia sarà riportata al giudice ordinario in composizione monocratica, in considerazione dell'incidenza della normativa in esame sui diritti fondamentali della persona.
La lettera h) prevede, tenendo conto delle conclusioni della relazione della Commissione De Mistura, il superamento dell'attuale sistema dei CPT, valorizzandone la funzione di accoglienza e di soccorso e di tutela dell'unità familiare.
A tale fine si prevede poi la revisione delle caratteristiche strutturali e gestionali delle strutture finalizzate all'accoglienza, al soccorso, con particolare riguardo per i nuclei familiari con minori, e alla identificazione degli stranieri irregolari e privi di mezzi di sostentamento per il tempo necessario a tali fini, con misure di sicurezza strettamente proporzionate alle finalità perseguite e con la previsione di un congruo orario di uscita per gli stranieri, con modalità differenziate a seconda che lo straniero sia stato o meno già identificato. Per la gestione di tali strutture, ma anche per i CPT, si prevedono anche forme di collaborazione con gli enti locali, le aziende sanitarie locali e le associazioni od organizzazioni umanitarie, al fine di informare gli stranieri sulle procedure di asilo, sulla normativa in materia di tratta e di grave sfruttamento del lavoro, nonchè sulle modalità di ingresso e di rimpatrio.
È prevista, poi, l'introduzione di nuove procedure per consentire l'identificazione dello straniero in carcere, al fine di evitare la necessità di un successivo trattenimento a tale fine.
Tutto ciò allo scopo dell'utilizzo residuale degli attuali CPT, peraltro alcuni già in fase di chiusura, solo per gli stranieri da espellere che si sono sottratti all'identificazione, con congrua riduzione dei tempi del trattenimento, ovvero per gli stranieri identificati o che collaborano fattivamente alla loro identificazione, quando non è possibile eseguire con immediatezza tale accompagnamento e per il tempo strettamente necessario e in misura ulteriormente ridotta.
La nuova normativa, con riguardo a tutte le strutture esaminate, dovrà contenere una specifica regolamentazione dei diritti fondamentali degli stranieri trattenuti e una disciplina dell'accesso, in particolare dei familiari dei cittadini stranieri, oltre che dei rappresentanti degli enti territoriali e delle associazioni che forniscono servizi di informazione e di tutela per cittadini stranieri, nonchè degli organi di informazione e di stampa, nel rispetto della riservatezza e delle esigenze di funzionalità delle strutture.
La lettera i) è indirizzata a favorire l'inserimento dei minori stranieri, sia di quelli già titolari di un permesso per motivi familiari, che al compimento della maggiore età, attualmente, perdono la titolarità di tale permesso e devono necessariamente ottenerne un altro con requisiti e presupposti diversi, sia dei cosiddetti «minori non accompagnati».
Per i primi si prevede la possibilità, al compimento della maggiore età, di un permesso di soggiorno per motivi familiari se risultino a carico dei genitori, o di chi era affidatario o tutore, tenuto conto del loro reddito; per i secondi si prevede la conversione del permesso di soggiorno rilasciato durante la minore età in altre tipologie di permesso, compresa quella per accesso al lavoro, a condizione che ne sussistano i presupposti e che il minore straniero abbia partecipato, con modalità idonee a valutarne l'inserimento sociale e civile, a un progetto di accoglienza e tutela gestito da un ente pubblico o privato con determinati requisiti. Si sostituiscono così, per i minori non accompagnati, i rigidi limiti temporali attualmente previsti per la concessione di un permesso di soggiorno, al raggiungimento della maggiore età, con una valutazione dell'inserimento sociale conseguente alla partecipazione ai progetti di cui si tratta. A ciò è collegata anche la previsione del permesso per protezione sociale a favore degli stranieri che hanno commesso reati in minore età, ma che hanno concluso positivamente un percorso di reinserimento sociale, nelle forme e nei modi previsti dal codice penale e dalle norme sul processo minorile.
Per una più efficace tutela dei minori stranieri si procederà alla riorganizzazione e alla revisione della composizione del Comitato per i minori stranieri istituito presso il Ministero della solidarietà sociale e sarà istituito, presso il medesimo dicastero, un «Fondo nazionale di accoglienza e tutela a favore dei minori stranieri non accompagnati», allo scopo di finanziare i progetti di accoglienza, prevedendo una funzione consultiva del Comitato in ordine all'utilizzo del Fondo.
Sono previste, inoltre, la ridefinizione e l'estensione delle procedure di rimpatrio volontario per i minori, che non abbiano diritto alla conversione del permesso di soggiorno, e la convalida da parte del tribunale per i minorenni del rimpatrio disposto senza il consenso del soggetto interessato per gli ultraquattordicenni.
Infine, per l'applicazione della normativa sui minori stranieri, si disporranno gli opportuni accertamenti medico-sanitari e ove tali accertamenti non fossero risolutivi prevarrà la presunzione di minore età.
Le lettere l), m), n) e o) riguardano le politiche d'integrazione al fine del pieno inserimento nella società italiana dei cittadini stranieri legalmente soggiornanti, mediante l'aggiornamento delle disposizioni in materia di iscrizione al Servizio sanitario nazionale e di assistenza sanitaria, l'equiparazione ai cittadini italiani degli stranieri regolarmente soggiornanti da almeno due anni e dei minori iscritti nel loro permesso di soggiorno per l'accesso alle provvidenze di assistenza sociale, compresi i diritti soggettivi in materia di servizi sociali, salvo l'assegno sociale, il potenziamento delle misure dirette all'integrazione dei migranti, concepita come inclusione, interazione e scambio e non come coabitazione tra comunità separate, anche attraverso la definizione della figura e delle funzioni dei mediatori culturali e consentendo agli enti locali interventi straordinari di accoglienza per situazioni di emergenza, e, infine, l'aggiornamento delle disposizioni relative alla Consulta per i problemi degli stranieri immigrati e delle loro famiglie.
Nella lettera p) il disegno di legge prevede ulteriori fonti di finanziamento del Fondo per l'inclusione sociale degli immigrati, istituito dall'articolo 1, comma 1267, della legge n. 296 del 2006 (legge finanziaria 2007), allo scopo di incrementare le possibilità d'integrazione degli stranieri, tra i quali contributi volontari dei datori di lavoro e contributi, donazioni o cofinanziamenti disposti da privati, enti, organismi anche internazionali e dall'Unione europea.
La lettera q) ha lo scopo di predisporre un'effettiva tutela delle vittime di riduzione o di mantenimento in schiavitù o in servitù, delle vittime di tratta, nonché delle vittime di violenza o di grave sfruttamento, intervenendo in materia di espulsioni, di ricongiungimento familiare e di norme penali, allo scopo di rendere fruibili i diritti previsti per tali stranieri.
Infine, la lettera r) è una norma di chiusura per il coordinamento del disegno di legge delega con la normativa nazionale e comunitaria.
I commi 2 e 3 dell'articolo prevedono, rispettivamente, l'iter procedurale da osservare per l'emanazione del decreto legislativo attuativo della delega, con il parere della Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo n. 281 del 1997, e successive modificazioni, e delle competenti Commissioni parlamentari, nonché la possibilità di adottare disposizioni correttive e integrative del medesimo decreto legislativo entro ventiquattro mesi dalla data della sua entrata in vigore.
Il comma 4 contiene un'ulteriore delega al Governo ad adottare un decreto legislativo, entro un anno dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo di cui al comma 1, al fine di semplificare e di garantire la coerenza logica, sistematica e lessicale della normativa emanata.
Per la copertura finanziaria, utilizzando un sistema già previsto in altre disposizioni legislative (legge n. 53 del 2003), il comma 5 stabilisce che i decreti legislativi di cui ai commi 1 e 3 che comportano nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica sono emanati successivamente alla data di entrata in vigore dei provvedimenti legislativi che stanziano le occorrenti risorse finanziarie.
Il disegno di legge è stato esaminato in Conferenza unificata in data 14 giugno 2007 ai sensi dell'articolo 2, comma 3, e dell'articolo 9, comma 3, del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, con parere favorevole delle regioni (a maggioranza), dell'Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI), dell'Unione delle province d'Italia (UPI) e dell'Unione nazionale comuni, comunità ed enti montani (UNCEM).
RELAZIONE TECNICA
(Articolo 11-ter, comma 2, della legge 5 agosto 1978, n. 468,
e successive modificazioni).
Premessa.
Nella presente relazione tecnica, in considerazione della circostanza che le norme in esame costituiscono criteri di delega, la valutazione dei relativi oneri è ovviamente dipendente da ipotesi circa il concreto esercizio della delega medesima.
In ogni caso, nel provvedimento in esame è presente (articolo 1, comma 5) la clausola in base alla quale l'effettivo esercizio dei princìpi a criteri direttivi di delega comportanti maggiori oneri è subordinato all'approvazione e all'entrata in vigore di provvedimenti legislativi che stanzino le occorrenti risorse finanziarie.
Va anche rilevato che gli oneri relativi ai criteri di cui alla lettera a), numeri 5), 6) e 8); lettera d); lettera h); lettera i), numero 4); lettera o) (ricomprendenti anche quelli di cui alla lettera a), numero 4), sono espressi in termini di limite massimi di spesa.
A) Criteri di cui al comma 1, lettera a).
Per quanto riguarda i criteri di cui ai numeri 5), 6) e 8), essi prescrivono una razionalizzazione delle procedure per l'identificazione degli stranieri cui concedere la possibilità d'ingresso tramite l'istituzione di liste organizzate per nazionalità, il coinvolgimento di una pluralità di soggetti cui affidarne la responsabilità e la creazione nell'immediato di una banca dati. Si ritiene che la procedura di attivazione del nuovo sistema possa richiedere una spesa nel limite di 1 milione di euro per i primi tre anni, ridotto a 0,5 milioni di euro per gli anni successivi.
Comma 1, lettera a), numeri 5), 6) e 8) (valori in milioni di euro)
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2008 |
2009 |
2010 |
2011 |
Dal 2012 |
Maggiori oneri |
1 |
1 |
1 |
0,5 |
0,5 |
Per quanto riguarda il criterio di cui al numero 4), che prevede che siano determinate opportune azioni di sviluppo dei canali per l'incontro della domanda e dell'offerta nel settore del lavoro domestico e di assistenza alla persona nonché la promozione di specifiche azioni formative e di riconoscimento delle professionalità pregresse, tali attività rientrano in quelle che potranno essere finanziate con i fondi stanziati per le attività di cui alla lettera o).
B) Criteri di cui al comma 1, lettera b).
I criteri di delega di cui al comma 1, lettera b), che prevedono di agevolare l'invio delle rimesse degli stranieri verso i Paesi di origine, non comportano implicazioni di tipo finanziario, stante l'integrazione del mercato finanziario italiano e la completata abolizione delle barriere legali ai trasferimenti di capitali. In particolare, il criterio di cui al numero 3), che prevede di valorizzare le competenze degli immigrati anche mediante il loro impiego in attività di cooperazione con i Paesi di origine e anche ai fini del ritorno nei Paesi di origine, non ha implicazioni finanziarie in quanto volto meramente a favorire il coinvolgimento pieno anche degli immigrati nei progetti di cooperazione autonomamente stabiliti e finanziati nell'ambito dei progetti di cooperazione italiana, senza prevedere l'attivazione di progetti aggiuntivi.
C) Criteri di cui al comma 1, lettera c).
I criteri di cui al comma 1, lettera c), sono
finalizzati a semplificare le procedure per il rilascio del visto per
l'ingresso nel territorio nazionale anche attraverso la revisione della
documentazione da esibire da parte dello straniero interessato e la previsione
dell'obbligo di motivazione del diniego per tutte le tipologie di visto,
prevedendo forme di tutela e di garanzia per i richiedenti i visti.
Non sono previsti effetti finanziari.
D) Criteri di cui al comma 1, lettera d).
I criteri di delega di cui al comma 1, lettera d), prevedono la semplificazione delle procedure e dei requisiti necessari per il rilascio del nulla osta, del permesso di soggiorno e del suo rinnovo.
La disposizione prevede l'istituzione di «sportelli presso i comuni per presentare le richieste di rilascio e di rinnovo del permesso di soggiorno e per il ritiro del documento e, dopo una congrua fase transitoria, il passaggio delle competenze ai comuni per il rinnovo del permesso di soggiorno». Tale disposizione non comporta oneri per i comuni.
Si fa presente, infatti, che la disposizione attribuisce ai comuni l'attività di diretto contatto con l'utente della procedura relativa al rilascio e al rinnovo del permesso di soggiorno. Si tratta in sostanza di una mera attività di «front office» per le attribuzioni successivamente poi espletate dai competenti uffici delle questure. Per tali attività i comuni potranno utilizzare gli sportelli realizzati per altre attività come, ad esempio, quelle anagrafiche, ponendo anche in essere le necessarie sinergie per le attività da predisporre. È da sottolineare che le medesime attività attualmente vengono svolte dagli uffici postali, sulla base di una convenzione non onerosa che il Ministero dell'interno ha stipulato con la Società Poste italiane Spa. Tutte le spese che sopporta la citata Società Poste italiane Spa per svolgere i servizi in questione sono interamente coperte da quanto versano gli stranieri interessati al rilascio e al rinnovo del permesso di soggiorno (attualmente euro 30,00 per pratica). Sulla base della predetta convenzione con la Società Poste italiane Spa è stata poi avviata un'attività di sperimentazione con l'ANCI che vede coinvolti alcuni comuni per realizzare, come detto sperimentalmente, i prototipi degli sportelli prefigurati dalla norma in esame. Tale attività sperimentale avrà una progressiva espansione ad altri comuni e una raffinazione delle procedure, in particolare informatiche, per poi realizzare gradualmente il passaggio del rilascio dei permessi di soggiorno ai medesimi comuni. Tutto ciò si sta realizzando attraverso risorse finanziarie reperite con i versamenti effettuati dagli utenti interessati alla procedura di che trattasi. Il criterio di delega non comporta, quindi, oneri per i comuni o per lo Stato in quanto i costi delle attività che verranno svolte in adempimento della disposizione saranno interamente coperti da quelle quote che dovranno essere versate dagli utenti dei servizi svolti dai comuni. È da sottolineare, inoltre, che il sistema sarà attuato, come previsto nella disposizione, progressivamente attraverso una realizzazione in fasi successive per estendere il numero degli sportelli comunali fino a dare copertura all'intero territorio nazionale.
Il criterio di cui alla lettera d), è volto a semplificare e razionalizzare le procedure relative al nulla osta per l'ingresso, il rilascio e il rinnovo del permesso di soggiorno, prevedendo una riorganizzazione degli sportelli unici per l'immigrazione istituiti presso le prefetture - Uffici territoriali del Governo con forme di supporto e di collaborazione da parte degli enti locali.
Per quanto concerne i relativi oneri, la semplificazione delle procedure e dei requisiti d'ingresso per il rilascio del nulla osta e la riorganizzazione degli sportelli unici per l'immigrazione richiedono l'implementazione - relativamente all'hardware e al software - dei sistemi informatici esistenti, la formazione del personale a livello centrale e periferico e la costante manutenzione del sistema stesso. I costi previsti possono essere calcolati per le prime due voci - implementazione e formazione - nel limite di 22 milioni di euro complessivi per il triennio dalla data di entrata in vigore del decreto delegato (nel limite di 8 milioni di euro per il primo anno e di 7 milioni di euro per il secondo e il terzo anno) e di 10 milioni di euro, a regime a decorrere dal 2011 per la manutenzione e per l'aggiornamento periodico del personale.
Comma 1, lettera d) (valori in milioni di euro)
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2008 |
2009 |
2010 |
2011 |
Dal 2012 |
Maggiori oneri |
8 |
7 |
7 |
10 |
10 |
Il criterio di delega di cui al numero 3) prevede
l'estensione del periodo di validità del permesso di soggiorno per attesa
occupazione dagli attuali sei mesi, previsti dalla norma vigente (articolo 22,
comma 11, del testo unico di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998) a un
anno ovvero alla maggior durata degli istituti previsti per gli ammortizzatori
sociali. È, inoltre, disposto il rinnovo in presenza di adeguati mezzi di
sussistenza. Sotto questo ultimo profilo, la disposizione, condizionando il
rinnovo alla dimostrazione dei mezzi di sussistenza, fra i quali comprendere
anche quelli relativi alla copertura sanitaria, non comporta maggiori oneri. In
ordine al prolungamento della validità del titolo di soggiorno, da sei mesi a
un anno, l'onere potrebbe essere individuato con riferimento alle maggiori
spese del Servizio sanitario nazionale cui sono iscritti i disoccupati
stranieri. Come stima del costo pieno dell'assistenza sanitaria per soggetti
non lavoratori si considera la quota capitaria nazionale di euro 1.700.
Considerato che il maggior periodo di validità del soggiorno è di sei mesi, il
maggior onere è pari a 850 euro pro capite.
Il numero di permessi di soggiorno rilasciati per attesa occupazione nel 2006 è stato pari a 3.982 e, pertanto, i soggetti interessati al primo anno di applicazione della nuova normativa possono stimarsi prudenzialmente in 4.000. Prudenzialmente prevedendo per gli anni successivi un incremento del 20 per cento annuo fino ad arrivare al terzo anno di applicazione della disposizione, momento in cui c'è la stabilizzazione del numero, atteso che l'incremento è annullato dal numero degli inserimenti lavorativi e delle cessazioni per altri motivi. Il numero è quindi stimato in 5.000, per il secondo anno, e in 6.000, per il terzo. La maggior spesa è stimata in 3,5 milioni di euro (4.000 x 850) per l'anno 2008, in circa 6 milioni di euro (5.000 x 850+1.000x1.700) per l'anno 2009 e in circa 9 milioni di euro (6.000 x 850+2.000x1.700).
Comma 1, lettera d), numero 3 (valori in milioni di euro)
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2008 |
2009 |
2010 |
2011 |
Dal 2012 |
Maggiori oneri |
3,5 |
6 |
9 |
9 |
9 |
Il criterio di cui al numero 4) stabilisce il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari allo straniero che dimostri spirito di appartenenza alla comunità civile e non costituisca una minaccia per l'ordine e per la sicurezza dello Stato, disciplinando ipotesi di riconoscimento del diritto al ricongiungimento.
La titolarità del permesso di soggiorno per motivi umanitari autorizza all'iscrizione gratuita al Servizio sanitario nazionale. La spesa media sanitaria a persona per i non lavoratori è stimabile, come precedentemente indicato, in 1.700 euro pro capite. L'aumento dei permessi di soggiorno rilasciati sulla base della disposizione è quantificabile in poche decine l'anno, che per stima prudenziale, considerati anche gli eventuali ricongiungimenti, si arrotondano a 100 per anno. L'ulteriore spesa sanitaria stimabile è da quantificare in euro 170.000 (1.700 x 100) per anno, prudenzialmente arrotondato a euro 200.000. Tale importo subirà un progressivo aumento per gli anni successivi fino al terzo anno, momento in cui l'incremento della spesa dei nuovi permessi umanitari sarà compensato dalla cessazione dei titoli di soggiorno già rilasciati soprattutto in relazione alla possibilità di conversione di tale permesso in quello per lavoro. L'incremento dell'onere è, pertanto, così quantificato: primo anno euro 200.000, secondo anno euro 400.000, a decorrere dal terzo anno euro 600.000. Non si quantificano oneri in ordine all'erogazione di prestazioni assistenziali sociali in quanto, attesa l'esiguità del numero dei soggetti interessati, tali oneri sono considerati compresi nei calcoli effettuati in relazione alla disposizione specifica che comporta dette erogazioni [lettera l), numero 2)].
Comma 1, lettera d), numero 4) (valori in milioni di euro)
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2008 |
2009 |
2010 |
2011 |
Dal 2012 |
Maggiori oneri |
0,2 |
0,4 |
0,6 |
0,6 |
0,6 |
E) Criteri di cui al comma 1, lettera e).
I criteri di cui al comma 1, lettera e), prevedono l'elettorato attivo e passivo per le elezioni amministrative a favore degli stranieri titolari del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo alle modalità di esercizio e alle condizioni previste per i cittadini dell'Unione europea.
Non sono previsti effetti finanziari.
F) Criteri di cui al comma 1, lettera f).
La norma prevede l'armonizzazione della disciplina dell'ingresso e del soggiorno a quella dell'Unione europea che richiede al momento dell'ingresso ovvero del rilascio o della revoca del soggiorno una valutazione degli elementi soggettivi dello straniero. Tale normativa europea (già recepita per i ricongiungimenti familiari e per i lungo soggiornanti) comporta la necessità di valutare sempre l'età dell'interessato, l'esistenza o meno di vincoli familiari nel Paese di origine e in Italia, la durata del soggiorno nel territorio nazionale (vedi, ad esempio, l'articolo 5, comma 5, ultimo periodo, del testo unico di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998, introdotto dal decreto legislativo n. 5 del 2007, e l'articolo 9, comma 11, del medesimo testo unico di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998, come sostituito dal decreto legislativo n. 3 del 2007).
Le disposizioni applicative del principio comunitario sono esplicative di quel principio generale stabilito nell'articolo 5, comma 6, del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998, relativo alla valutazione in sede di rifiuto o revoca del permesso di soggiorno dei «seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano». Inoltre è anche doveroso segnalare che l'automatismo sui provvedimenti di revoca o di rifiuto del permesso di soggiorno è ancora escluso ai sensi della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (articolo 8), ratificata con legge n. 848 del 1955 e il cui protocollo n. 11 è stato ratificato con legge n. 296 del 1997.
La norma, pertanto è solo chiarificatrice di princìpi giuridici già in vigore e, pertanto, non comporta maggiori oneri né minori entrate rispetto alla disciplina vigente.
G) Criteri di cui al comma 1, lettera g).
I criteri di cui al comma 1, lettera g), sono
finalizzati a rendere effettivi i rimpatri, graduando le misure d'intervento,
anche al fine di migliorare il contrasto dello sfruttamento dell'immigrazione
clandestina.
Per i criteri di cui ai numeri 2), 3), 4) e 6), non sono da prevedere implicazioni
finanziarie.
In ordine al Fondo nazionale rimpatri, previsto dal criterio di cui al numero 1), destinato a finanziare i programmi di rimpatrio volontario e/o assistito, la disposizione che lo istituisce non comporta maggiori oneri a carico dell'erario. Tale Fondo infatti sarà alimentato esclusivamente attraverso contributi che dovranno essere versati dai datori di lavoro che chiederanno l'ingresso nel territorio nazionale del lavoratore extracomunitario. Tale contributo sostituirà l'obbligo che hanno i datori di lavoro, sulla base della disciplina vigente, di far fronte alle spese di trasporto per il rientro in patria dello straniero. Analogo contributo sarà previsto per lo sponsor, soggetto istituzionale o privato, ovvero a carico dello straniero che sarà autorizzato all'ingresso per ricerca lavoro. Una piccola quota di solidarietà potrebbe anche essere prevista a carico dello straniero interessato per il rilascio e il rinnovo del permesso di soggiorno. Contributi potranno essere ottenuti anche dall'Unione europea che sta elaborando apposite norme al riguardo.
Anche il criterio di cui al numero 5) non comporta maggiori oneri. Tale disposizione, infatti, nel prevedere la sospensione dell'esecuzione del provvedimento di espulsione per gravi motivi, ribadisce un principio generale già contenuto nel testo unico di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998. L'articolo 5, comma 6, del medesimo testo unico dispone che nella revoca o nel rifiuto del permesso di soggiorno devono valutarsi «seri motivi, in particolare di carattere umanitario». Tale concetto è poi esplicitato nel successivo articolo 19 relativo ai divieti di espulsione e di respingimento.
H) Criteri di cui al comma 1, lettera h).
Il comma 1, lettera h), contiene le disposizioni relative alla revisione delle strutture di accoglienza e di trattenimento degli stranieri attualmente operative. I centri governativi per stranieri dovranno quindi essere sottoposti ai necessari adattamenti per uniformarli al nuovo sistema delle espulsioni previsto dalla norma. Saranno, quindi, necessari lavori da effettuare sulle strutture esistenti e sarà anche necessario adeguare la gestione ottimizzando i servizi di assistenza alla persona, di mediazione culturale e informativi.
La spesa è prevista nel limite di 30 milioni di euro per due anni, per quanto concerne i costi di revisione delle strutture e di riqualificazione delle medesime e nel limite di 10 milioni di euro a regime per gli ulteriori servizi da fornire nei centri e per l'elevazione degli standard dei servizi di assistenza e informazione nonché per la manutenzione delle opere di revisione e riqualificazione effettuate.
Comma 1, lettera h), numeri 1) e 3) (valori in milioni di euro)
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2008 |
2009 |
2010 |
2011 |
Dal 2012 |
Maggiori oneri |
30 |
30 |
10 |
10 |
10 |
I) Criteri di cui al comma 1, lettera i).
I criteri di cui al comma 1, lettera i), sono finalizzati a favorire l'inserimento civile e sociale dei minori stranieri.
I criteri di cui ai numeri 2) e 8) non risultano avere implicazioni finanziarie.
Lo stesso deve evincersi anche per i criteri di cui ai numeri 1), 3) e 5):
il criterio di cui al numero 1), che prevede il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi familiari allo straniero che, al compimento della maggiore età, risulti a carico di uno o di entrambi i genitori o rimanga a carico di colui che era affidatario o tutore, tenuto conto del reddito degli stessi, non comporta effetti finanziari in ragione del fatto che gli oneri sono a carico degli stessi genitori;
il criterio di cui al numero 3), che prevede il rilascio del permesso per protezione sociale anche allo straniero che, avendo commesso reati durante la minore età, abbia concluso positivamente un percorso di reinserimento sociale, nelle forme e nei modi previsti dal codice penale e dalle norme sul processo minorile, parimenti non comporta oneri in quanto esso è già previsto ai sensi dell'articolo 18 del testo unico di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998 e in particolare del comma 6, di cui la precisazione contenuta nel presente disegno di legge, di dichiarazione dell'estinzione del reato per esito positivo della messa alla prova, è una rispecificazione;
il criterio di cui al numero 5), che prevede la riorganizzazione e la revisione della composizione e delle procedure del Comitato per i minori stranieri istituito presso il Ministero della solidarietà sociale, anche con la previsione di una funzione consultiva dei consigli territoriali per l'immigrazione, istituiti presso le prefetture-uffici territoriali del Governo, in ordine allo svolgimento delle attività di competenza del Comitato stesso, non comporta oneri, in quanto trattasi di mera riorganizzazione e ridefinizione di procedure, volte al miglioramento dell'efficacia e alla semplificazione, non di una modifica delle relative competenze. Per altro, il Comitato è già operante e inserito nei comitati per i quali il Ministero della solidarietà sociale ha effettuato le operazioni ricognitorie di cui all'articolo 29 del decreto-legge n. 223 del 2006, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 248 del 2006.
Per quanto riguarda il criterio di cui al numero 4), che prevede l'istituzione presso il Ministero della solidarietà sociale di un «Fondo nazionale di accoglienza e tutela a favore dei minori stranieri non accompagnati», si ritiene possa essere previsto un finanziamento entro un limite pari a 40 milioni di euro annui a decorrere dal 2008.
Per quanto riguarda il criterio di cui al numero 6), concernente la ridefinizione e l'estensione delle procedure di rimpatrio volontario assistito anche ai minori stranieri che, al raggiungimento della maggiore età, non possiedano i requisiti per la conversione del permesso di soggiorno per minore età, si ritiene che esso non comporti oneri specifici, dato che i programmi di ritorno volontario e assistito saranno a carico del Fondo nazionale rimpatri, totalmente alimentato dai contributi di datori di lavoro, soggetti garanti dell'ingresso e stranieri. Contributi potranno essere ottenuti anche dall'Unione europea che sta elaborando apposite norme al riguardo.
Infine, per quanto riguarda il criterio di cui al numero 7), la previsione che, in caso d'incertezza sulla minore età dello straniero, siano disposti gli opportuni accertamenti medico-sanitari e, ove tali accertamenti non consentano l'esatta determinazione dell'età, si applichino comunque le disposizioni relative ai minori, non comporta maggiori oneri. Già oggi, in caso di dubbio sull'età dello straniero, sono disposti gli accertamenti sanitari. Sotto questo profilo non vi sono ulteriori spese.
L) Criterio di cui al comma 1, lettera l).
Tale criterio mira a favorire il pieno inserimento dei cittadini stranieri legalmente soggiornanti. Comporta effetti finanziari il criterio di cui al numero 3) (riduzione da cinque a due anni delle provvidenze di assistenza sociale, con espressa esclusione dell'assegno sociale, qualora non derivante dalla conversione del trattamento di invalidità in godimento).
Le provvidenze da considerare sono dunque l'assegno di maternità, l'assegno per il nucleo familiare con almeno tre figli minori, la pensione di invalidità civile e l'indennità di accompagnamento.
Ai fini della quantificazione degli oneri finanziari, va premesso che in base ai dati dell'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) sulla presenza straniera, i cittadini stranieri regolarmente soggiornanti in Italia al 31 dicembre 2005 sono circa 2.670.000, di cui circa 530.000 cittadini dell'Unione europea (compresi rumeni e bulgari). In base ai dati forniti dal Ministero dell'interno le «carte di soggiorno» (a partire dal 2007 denominate «permessi di soggiorno CE per lungo soggiornanti») rilasciate a cittadini extracomunitari sono attualmente circa 520.000.
Considerando che l'estensione dell'accesso alle provvidenze assistenziali prevista dalla legge delega di riforma del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998 - con particolare riferimento all'articolo 1, comma 1, lettera i), numero 4) - riguarderebbe i cittadini extracomunitari con due anni di soggiorno legale nel territorio nazionale, i cittadini extracomunitari che avrebbero accesso dal 1o gennaio 2008, in quanto appunto titolari di permesso di soggiorno al 31 dicembre 2005, sono circa 1.620.000.
Tale platea di riferimento è sostanzialmente superiore a quella che può evincersi dai semplici flussi di ingressi dal 2003 al 2005 (dunque da due o più anni ma meno di cinque). Questo in ragione della presenza di uno «stock» di stranieri che, pur presenti da cinque anni o più, non hanno fatto domanda o non hanno diritto alla carta di soggiorno.
Prudenzialmente, per calcolare la platea di nuovi beneficiari a seguito della riduzione a due anni del requisito, di seguito si è considerata l'intera platea di 1.620.000 beneficiari per il 2008.
In base ai dati dell'ISTAT, i minori stranieri presenti in Italia sono circa 585.000 (tra comunitari ed extracomunitari), pari al 21,9 per cento della popolazione straniera residente.
Le nascite di bambini stranieri in Italia nell'anno 2006 sono 51.971, di cui circa il 20 per cento corrisponde a minori stranieri figli di cittadini dell'Unione europea.
Ciò costituisce un indicatore per la base di calcolo sulla corresponsione di alcune particolari prestazioni assistenziali erogate dall'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS).
Da quanto sopra esposto derivano le seguenti quantificazioni per il 2008.
Assegno di maternità.
Vi sono due tipi di assegno di maternità.
1. Assegno di maternità dello Stato, introdotto con la legge finanziaria 2000, (legge 23 dicembre 1999, n. 488, articolo 49, comma 8; regolamento di cui al decreto del Ministro per la solidarietà sociale n. 452 del 2000, recepito successivamente dal testo unico di cui al decreto legislativo n. 151 del 2001, articolo 75; circolare dell'INPS n. 143 del 16 luglio 2001), in favore delle madri lavoratrici, italiane, comunitarie ed extracomunitarie in possesso di permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti per le quali sono in atto o sono stati versati contributi per la tutela previdenziale obbligatoria della maternità, in occasione della nascita di un figlio o in caso di adozione o di affidamento preadottivo. Il beneficio è concesso nella misura intera - senza alcun vincolo di reddito - se l'interessata non beneficia dell'indennità erogata in costanza di congedo di maternità, ovvero per la quota differenziale fino all'importo previsto se:
a) ha in godimento una qualsiasi forma di tutela previdenziale e può far valere almeno tre mesi di contribuzione (in un periodo tra i 18 e i 9 mesi anteriori all'evento);
b) in caso di recesso, anche volontario, del rapporto di lavoro durante il periodo di gravidanza, con tre mesi di contribuzione, intervenuto tra i 9 e i 18 mesi precedenti l'evento;
c) qualora il periodo intercorrente tra la data della perdita del diritto a prestazioni previdenziali o assistenziali derivanti dallo svolgimento, per almeno tre mesi, di attività lavorativa e la data della nascita o dell'effettivo ingresso del minore nel nucleo familiare, non sia superiore a quello del godimento di tali prestazioni, e comunque non sia superiore a nove mesi.
La prestazione è concessa ed erogata direttamente dall'INPS su istanza da presentare entro sei mesi dalla nascita o dall'effettivo ingresso del minore nel nucleo familiare. Valgono i medesimi criteri dell'assegno di base quanto al parto gemellare e ai casi particolari (concessione al padre eccetera).
L'importo complessivo (per cinque mensilità) dell'assegno per l'anno 2007 è di 1.813 euro.
2. Assegno di maternità a carico dei comuni per madri non lavoratrici appartenenti a nuclei familiari con reddito basso (per il 2007, indicatore della situazione economica (ISE) pari a 30.701,58 euro). L'importo complessivo (per cinque mensilità) dell'assegno per l'anno 2007 è di 1.472,60 euro.
Entrambi gli assegni sono erogati dall'INPS e non sono cumulabili.
La platea dei beneficiari viene calcolata in base alle nascite di stranieri, alla nazionalità e al livello della dichiarazione relativa all'ISE della madre.
Rispetto ai nati nell'anno 2006, i nati stranieri extracomunitari sono calcolabili nel modo seguente: 51.971 nascite complessive di bambini stranieri meno il 20 per cento di bambini stranieri comunitari (pari a 10.934 nascite), ossia: 51.971 - 10.934 = 41.037, che prudenzialmente conviene approssimare per eccesso a 42.000. Ipotizzando che il 50 per cento delle madri extracomunitari sia in possesso di permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti, la misura di estensione alla prestazione assistenziale per coloro che hanno un permesso di soggiorno legale di due anni sul territorio nazionale riguarderebbe una platea di nuovi potenziali beneficiari, la cui base di riferimento viene calcolata come: 42.000 x (1/2) = 21.000, una stima del tutto prudenziale, tenuto conto che non si sono escluse dal computo dei costi le donne con permanenza da meno di due anni.
In considerazione dei bassi redditi di cui dispongono in genere gli immigrati, pur se la prestazione viene erogata in presenza di determinati requisiti reddituali è possibile formulare un'ipotesi di accesso alla provvidenza di natura assistenziale da parte della grande maggioranza delle madri extracomunitari, pari al 90 per cento di 21.000. Dunque, già rispetto all'anno 2006 è possibile individuare una platea di circa 18.900 soggetti che effettivamente potrebbero richiedere la misura assistenziale.
Se si ipotizza che la platea complessiva di 18.900 madri sia composta dal 50 per cento di madri che accedono all'assegno di maternità dello Stato lavoratrici (di cui al caso a), sopra riportato) e dal 50 per cento di madri che accedono all'assegno di maternità dei Comuni (di cui al caso b), sopra riportato), con un conseguente onere per l'anno 2008 pari, rispettivamente, a 17 milioni di euro e a 14 milioni di euro, per un totale pari a 31 milioni di euro.
Assegno per il nucleo familiare numeroso (con almeno tre figli minori).
L'assegno, concesso dai comuni, spetta ai nuclei familiari composti almeno da un genitore e tre minori di anni diciotto (sono equiparati ai minori i figli con meno di ventuno anni che siano studenti o apprendisti). Ai figli minori del richiedente sono equiparati i figli del coniuge. Il genitore e i tre minori devono far parte della stessa famiglia anagrafica. Tale requisito non si considera soddisfatto se uno dei tre figli minori, anche se risultante nella famiglia anagrafica del richiedente, sia in affidamento presso terzi.
La misura assistenziale viene erogata quando le risorse reddituali e patrimoniali del nucleo familiare non sono superiori a quelle previste dall'ISE valevole per l'assegno. Per l'anno 2007, l'ISE corrisponde a 22.105,12 euro annui per nuclei familiari con cinque componenti.
L'assegno è pari al massimo a 122,80 euro mensili (per tredici mensilità) per l'anno 2007, corrispondenti a 1.596,40 euro annui.
Formulando un'ipotesi prudenziale di accesso al beneficio assistenziale per ulteriori circa 5.000 soggetti extracomunitari, il conseguente onere risulta pari a circa 8 milioni di euro nel 2008.
Pensione di invalidità civile.
Occorre distinguere tra:
a) assegno di invalidità: assegno che spetta ai lavoratori dipendenti e autonomi, affetti da un'infermità fisica o mentale tale da provocare una riduzione permanente di due terzi della propria capacità di lavoro, in occupazioni confacenti alle attitudini del lavoratore. Per averne diritto è necessario avere un'anzianità assicurativa e contributiva pari almeno a cinque anni di assicurazione, dei quali almeno tre anni versati nel quinquennio precedente la domanda di assegno ordinario di invalidità. L'assegno di invalidità non può essere cumulato con la rendita dell'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) dovuta a infortunio sul lavoro o a malattia professionale, riconosciuta per la stessa causa;
b) pensione di inabilità: spetta ai lavoratori dipendenti e autonomi affetti da un'infermità fisica o mentale tale da provocare un'assoluta e permanente impossibilità a svolgere qualsiasi lavoro, che possono far valere l'anzianità assicurativa e contributiva pari a cinque anni di assicurazione, dei quali almeno tre anni versati nei cinque anni precedenti la domanda di pensione di inabilità;
c) pensione agli invalidi civili: l'INPS eroga prestazioni di natura assistenziale (pensioni, assegni e indennità) agli invalidi civili totali e parziali, ai ciechi e ai sordomuti, che non hanno redditi personali o, se ne hanno, sono di modesto importo. Il riconoscimento dell'invalidità civile spetta alle commissioni di accertamento istituite presso le aziende sanitarie locali. L'importo varia a seconda del reddito.
Al 31 dicembre 2006 i cittadini extracomunitari con carta di soggiorno che hanno percepito l'indennità di invalidità civile sono stati 23.061 (4,5 per cento della popolazione straniera extracomunitaria con carta di soggiorno), per effetto dello stratificarsi negli anni dei vari accessi alle prestazioni in esame. Pertanto, con riferimento ai soggetti titolari da due anni del permesso di soggiorno, occorre considerare, al fine di valutare i maggiori accesi alla prestazione:
la circostanza che in tale numero sono ricompresi soggetti che comunque avrebbero successivamente rinnovato il permesso di soggiorno;
la gradualità temporale nel ricorso alle prestazioni.
In tali termini, effettuando comunque una valutazione improntata a criteri di prudenzialità, si ipotizza un incremento dell'accesso alle prestazioni di circa 10.000 soggetti l'anno per tre anni dal 2008 (e, in via ulteriormente prudenziale, contabilizzando i relativi oneri dal 1o gennaio di ogni anno, anziché in corso d'anno). L'indennità di invalidità civile per il 2007 è valutabile al massimo nell'ammontare di 3.157 euro annui. Dunque, il relativo onere risulta stimabile in circa 33 milioni di euro per l'anno 2008, in 67 milioni di euro per l'anno 2009 e in circa 103 milioni di euro dal 2010.
Indennità di accompagnamento.
Le persone riconosciute inabili al 100 per cento, che si trovano nell'impossibilità di camminare senza l'aiuto permanente di un accompagnatore oppure che hanno bisogno di assistenza continua in quanto non sono in grado di condurre da sole la vita quotidiana possono chiedere l'assegno per l'assistenza personale e continuativa. L'indennità di accompagnamento comprende: l'indennità di accompagnamento a favore di invalidi civili totali; l'indennità di frequenza per i minori di diciotto anni; l'indennità di comunicazione per i non udenti; le indennità speciali per i ciechi parziali ventesimisti; l'indennità di accompagnamento per i ciechi assoluti.
Nel 2007 l'assegno di assistenza è pari a 457,66 euro mensili, corrispondenti a 5.492 euro annui.
L'incidenza dell'indennità di accompagnamento sulla popolazione italiana è del 2,6 per cento. Risultano circa 1,5 milioni di trattamenti, dei quali circa 1,1 milioni di trattamenti a favore di ultrasessantacinquenni. Considerando la più giovane età dei cittadini extracomunitari (dai dati dell'ISTAT risulta che solo il 5,5 per cento degli stranieri residenti in Italia risultava al 1o gennaio 2006 avere più di cinquantacinque anni di età), si può ipotizzare prudenzialmente una incidenza sulla popolazione extracomunitaria inferiore della metà, ovvero l'1,3 per cento della popolazione straniera extracomunitaria attualmente residente in Italia, ossia circa 21.000 persone. Tale stima di soggetti tuttavia va ridotta in ragione della circostanza che in tale numero sono ricompresi soggetti che comunque avrebbero successivamente rinnovato il permesso di soggiorno, nonché va considerata la gradualità temporale nel ricorso alle prestazioni. In tali termini si ipotizza in via prudenziale un incremento dell'accesso alle prestazioni di circa 3.500 soggetti l'anno per tre anni dal 2008.
Dunque, il relativo onere risulta stimabile in circa 19 milioni di euro per l'anno 2008, in circa 38 milioni di euro per l'anno 2009 e in circa 58 milioni di euro dall'anno 2010.
Comma 1, lettera l), numero 2) (valori in milioni di euro)
|
2008 |
2009 |
2010 |
2011 |
2012 |
Assegni di maternità |
31 |
31 |
32 |
32 |
33 |
Assegno per il nucleo familiare numeroso (con almeno tre figli minori) |
8 |
8 |
8 |
8 |
9 |
Pensione di invalidità civile |
33 |
67 |
102 |
104 |
106 |
Indennità di accompagnamento |
19 |
38 |
58 |
59 |
59 |
Totale costi |
91 |
144 |
200 |
203 |
207 |
M) Criteri di cui al comma 1, lettera m).
Il criterio di cui al comma 1, lettera m), prevede
di consentire interventi di carattere straordinario e temporaneo di accoglienza
da parte degli enti locali per fronteggiare situazioni di emergenza.
La disposizione non comporta maggiori oneri. Il principio, già contenuto
nell'articolo 40 del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 286
del 1998, è diretto a permettere agli enti locali di effettuare interventi di
accoglienza, straordinaria e temporanea, a favore di stranieri sulla base delle
risorse finanziarie stabilite nei loro bilanci. Tali interventi potranno essere
rivolti anche nei confronti degli stranieri irregolari come già previsto nella
legge n. 40 del 1998 e attualmente disposto dal citato testo unico, come
modificato dalla legge n. 189 del 2002.
N) Criteri di cui al comma 1, lettera n).
Il criterio è neutrale dal punto di vista finanziario, in quanto la Consulta per i problemi degli stranieri immigrati e delle loro famiglie è già attiva e si prevedono semplicemente una migliore definizione delle relative disposizioni e la definitiva collocazione presso il Ministero della solidarietà sociale.
O)Criteri di cui al comma 1, lettera o) e lettera a), numero 4).
Il criterio prevede il potenziamento delle misure dirette all'integrazione dei migranti. A tali fini si ritiene possano essere previsti, anche per le attività previste alla lettera a), numero 4):
a) un rifinanziamento del Fondo per l'inclusione sociale degli immigrati di cui all'articolo 1, comma 1267, della legge n. 296 del 2006 (legge finanziaria 2007) nel limite di 60 milioni di euro annui a decorrere dal 2008;
b) un finanziamento per ulteriori programmi specifici da attuare attraverso iniziative adottate dai consigli territoriali per l'immigrazione. Gli interventi potrebbero riguardare programmi informativi e di supporto alle attività degli sportelli unici per l'immigrazione, di assistenza e accoglienza anche di soggetti particolarmente vulnerabili, programmi di formazione eccetera. Si stima che tali interventi potrebbero finanziarsi nei limiti di 10 milioni di euro annui.
Comma 1, lettera o) e lettera a), numero 4) (valori in milioni di euro)
|
2008 |
2009 |
2010 |
2011 |
Dal 2012 |
Maggiori oneri |
70 |
70 |
70 |
70 |
70 |
P) Criteri di cui al comma 1, lettera p).
Il criterio di cui al comma 1, lettera p), prevede ulteriori fonti di finanziamento del Fondo per l'inclusione sociale degli immigrati, tra i quali contributi volontari dei datori di lavoro e contributi, donazioni o cofinanziamenti disposti da privati, enti, organismi anche internazionali e dall'Unione europea.
Nessun effetto finanziario viene previsto a carico del bilancio pubblico.
Q) Criteri di cui al comma 1, lettera q).
Il criterio di cui al comma 1, lettera q), prevede di favorire una adeguata tutela delle vittime di riduzione o di mantenimento in schiavitù o in servitù, delle vittime di tratta, delle vittime di violenza o di grave sfruttamento e di garantire il loro accesso ai diritti previsti dalla normativa.
Si ritiene che i criteri di cui ai numeri 1) e 2) abbiano implicazioni finanziarie di modesta entità, che possono ritenersi già ricomprese in quelle di cui alle lettere a), numeri 1), 3) e 10), e l), numeri 1) e 2).
Il criterio di cui al numero 3), che esclude la punibilità nel caso in oggetto, relativa alle infrazioni legate al soggiorno illegale, non comporta effetti finanziari a carico del bilancio pubblico.
R) Criteri di cui al comma 1, lettera r).
Il criterio di cui al comma 1, lettera r), prevede il coordinamento delle disposizioni da emanare in attuazione della delega con le altre disposizioni del citato testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, e con la legislazione nazionale e comunitaria vigente in materia.
Nessun effetto finanziario viene previsto a carico del bilancio pubblico.
Complessivamente, gli oneri derivanti dal disegno di legge delega al Governo per la modifica della disciplina dell'immigrazione possono riassumersi nella tabella seguente.
Valori in milioni di euro
Maggiori oneri |
2008 |
2009 |
2010 |
2011 |
2012 |
Comma 1, lettera a), numeri 5), 6) e 8) |
1 |
1 |
1 |
0,5 |
0,5 |
Comma 1, lettera d) |
11,7 |
13,4 |
16,6 |
19,6 |
19,6 |
Comma 1, lettera h) |
30 |
30 |
10 |
10 |
10 |
Comma 1, lettera i) |
40 |
40 |
40 |
40 |
40 |
Comma 1, lettera l), numero 2) |
91 |
144 |
200 |
203 |
207 |
Comma 1, lettera o) e lettera a), numero 4) |
70 |
70 |
70 |
70 |
70 |
Totale |
243,7 |
298,4 |
337,6 |
343,1 |
347,1 |
ANALISI TECNICO-NORMATIVA
1. Aspetti tecnico-normativi in senso stretto.
A) Analisi dell'impatto normativo delle norme proposte sulla legislazione vigente.
Il disegno di legge detta princìpi e criteri direttivi per l'esercizio della delega al Governo per la modifica del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni. In particolare, il disegno di legge mira a modificare le disposizioni in materia di ingresso per lavoro, di rilascio di visti, permessi di soggiorno e nulla osta, di rimpatri e di trattenimento degli stranieri irregolari, d'inserimento di minori stranieri, d'integrazione dei cittadini stranieri e di tutela delle vittime di riduzione in schiavitù e delle vittime di tratta. Il provvedimento prevede, altresì, l'adeguamento alla normativa europea della disciplina delle cause ostative all'ingresso e al soggiorno nel territorio nazionale, nonché la parificazione del cittadino straniero titolare del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo al cittadino comunitario per l'elettorato attivo e passivo, limitatamente alle elezioni amministrative, in armonia con quanto previsto dal capitolo C della Convenzione sulla partecipazione degli stranieri alla vita pubblica a livello locale, fatta a Strasburgo il 5 febbraio 1992.
B) Analisi del quadro normativo e delle situazioni di fatto che giustificano l'innovazione della legislazione vigente; accertamento dell'esistenza nella materia oggetto di intervento di riserva assoluta o relativa di legge e di precedenti norme di delegificazione.
L'intervento normativo risponde all'esigenza di promuovere l'immigrazione regolare, di favorire l'integrazione degli immigrati regolari e di rendere effettivo il sistema dei rimpatri degli immigrati irregolari.
C) Analisi della compatibilità dell'intervento con l'ordinamento comunitario.
Non si ravvisano elementi di contrasto al riguardo.
D) Analisi della compatibilità con le competenze costituzionali delle regioni ordinarie e a statuto speciale.
Non si ravvisano elementi di contrasto al riguardo.
E) Verifica della coerenza con le fonti legislative primarie che dispongono il trasferimento di funzioni alle regioni e agli enti locali.
Le disposizioni del provvedimento non inficiano l'autonomia degli enti locali né si pongono in contrasto con le fonti primarie che dispongono il trasferimento di funzioni alle regioni e agli enti locali.
2. Valutazione dell'impatto amministrativo.
A) Ricognizione degli obiettivi del progetto e analisi dei tempi e dei mezzi individuati per il perseguimento.
Adeguamento della disciplina dell'immigrazione e delle norme sulla condizione dello straniero, previste dal testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, ai princìpi e criteri direttivi fissati dal disegno di legge, con decreto legislativo da adottare entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge.
B) Valutazione dell'esistenza di oneri organizzativi a carico delle pubbliche amministrazioni.
Il provvedimento comporta gli oneri organizzativi per il Ministero dell'interno, il Ministero della solidarietà sociale e il Ministero degli affari esteri indicati nella relazione tecnica. Gli oneri delle amministrazioni comunali per l'organizzazione degli sportelli «front office» per il rilascio e il rinnovo dei permessi di soggiorno sono coperti da quote versate dagli utenti dei medesimi sportelli.
C) Valutazione dell'eventuale previsione della creazione di nuove strutture amministrative.
Non è prevista la creazione di nuove strutture amministrative.
D) Verifica dell'esistenza a carico di cittadini e delle imprese di oneri finanziari, organizzativi e adempimenti burocratici.
Il provvedimento prevede l'istituzione del «Fondo nazionale rimpatri» alimentato con contributi a carico dei datori di lavoro che chiedono l'ingresso in Italia di lavoratori stranieri, dei soggetti che offriranno le garanzie per l'ingresso dei cittadini stranieri per ricerca di lavoro e a carico di tutti gli stranieri che chiedono il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno.
3. Elementi di drafting e linguaggio normativo.
Il provvedimento:
contiene riferimenti legislativi corretti;
non introduce nuove definizioni normative;
non reca abrogazioni implicite di norme vigenti.
ANALISI DELL'IMPATTO DELLA REGOLAMENTAZIONE (AIR)
A) Soggetti destinatari.
I destinatari del provvedimento sono i cittadini di Paesi non appartenenti all'Unione europea che entrano in Italia per svolgervi attività lavorativa, nonché i datori di lavoro ovvero i soggetti pubblici e privati che prestano garanzia patrimoniale ai fini dell'ingresso di lavoratori stranieri; i cittadini stranieri regolarmente soggiornanti in Italia e i cittadini stranieri in condizioni di soggiorno irregolare; le amministrazioni che intervengono nel governo del fenomeno migratorio.
B) Obiettivi e risultati attesi.
Promuovere l'immigrazione regolare e favorire l'integrazione degli immigrati, nonché rendere effettivi i rimpatri degli immigrati irregolari.
C) Finalità del provvedimento, ambito dell'intervento e analisi dei mezzi e dei tempi individuati per il perseguimento degli obiettivi.
Il provvedimento modifica la disciplina dell'immigrazione
prevista dal testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286,
e successive modificazioni, in materia di ingresso per lavoro, rilascio di
visti, permessi di soggiorno e nulla osta al fine di introdurre nuovi canali di
ingresso regolare e di semplificare i relativi procedimenti. Il disegno di
legge interviene, altresì, sulla disciplina del trattenimento degli stranieri
irregolari e dei rimpatri, al fine di assicurarne l'effettività, e prevede
misure e interventi normativi finalizzati all'integrazione dei cittadini
stranieri in generale e dei minori stranieri in particolare.
Per l'esercizio della delega alla modifica del citato testo unico, da parte del
Governo, è previsto un termine di dodici mesi dalla data di entrata in vigore
della legge.
D) Verifica dell'esistenza di oneri finanziari.
Si rinvia alla relazione tecnica.
ALLEGATO 1
ALLEGATO 2
ALLEGATO 3
disegno di legge ¾¾¾
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Art. 1. 1. Il Governo è delegato ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, e comunque non prima del gennaio 2008, un decreto legislativo per la modifica del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi: a) promuovere l'immigrazione regolare, favorendo l'incontro tra domanda e offerta di lavoro di cittadini stranieri, attraverso: 1) la revisione del meccanismo di determinazione dei flussi di ingresso, prevedendo, in particolare, una programmazione triennale delle quote massime di cittadini stranieri da ammettere ogni anno sul territorio nazionale e una procedura per l'adeguamento annuale delle quote ad ulteriori e nuove esigenze del mercato del lavoro, che tenga conto dei dati sull'effettiva richiesta di lavoro elaborati dal Ministero della solidarietà sociale, dei dati forniti dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale, delle indicazioni provenienti dai consigli territoriali per l'immigrazione istituiti presso le prefetture - uffici territoriali del Governo, dei programmi di istruzione e di formazione professionale nei Paesi di origine, delle indicazioni provenienti dalle regioni e dalle province autonome sui flussi sostenibili in rapporto alle capacità di assorbimento del tessuto sociale e produttivo; 2) la partecipazione alle procedure di cui al numero 1) dei rappresentanti delle organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro, nonché degli enti e delle associazioni rappresentativi sul piano nazionale e attivi nell'assistenza e nell'integrazione degli immigrati; 3) la previsione che, in relazione a necessità emergenti del mondo del lavoro, in occasione dell'adeguamento annuale delle quote, da adottare con procedura semplificata e accelerata, la quota stabilita per lavoro subordinato e autonomo possa essere superata, in presenza di un numero di richieste di nulla osta eccedenti la stessa quota, prevedendo la possibilità di introdurre un diverso tetto numerico sulla base del monitoraggio semestrale del numero di nulla osta al lavoro richiesti; 4) la previsione di opportune azioni di sviluppo dei canali per l'incontro della domanda e dell'offerta nel settore del lavoro domestico e di assistenza alla persona nonché la promozione di specifiche azioni formative e di riconoscimento delle professionalità pregresse; 5) l'istituzione, secondo un unico modello, di liste organizzate in base alle singole nazionalità con criterio cronologico, alle quali possano iscriversi i lavoratori stranieri che intendano fare ingresso in Italia per lavoro, anche stagionale, da coordinare con quelle già previste in attuazione delle intese conseguenti agli accordi con i Paesi di origine concernenti l'ingresso per lavoro e il rimpatrio e da realizzare prioritariamente con Stati che abbiano dimostrato un atteggiamento collaborativo in materia di contrasto all'immigrazione clandestina; 6) l'individuazione di una pluralità di soggetti, come enti e organismi nazionali o internazionali con sedi nei Paesi di origine o autorità degli stessi Paesi, ai quali affidare, mediante convenzione con lo Stato italiano, la responsabilità dell'iscrizione nelle liste di cui al numero 5) e della loro tenuta, prevedendo la trasmissione delle liste alle rappresentanze diplomatiche e consolari italiane all'estero; 7) la definizione di una procedura per l'iscrizione nelle liste di cui al numero 5), che tenga conto del grado di conoscenza della lingua italiana, dei titoli e della qualifica professionale posseduti, dell'eventuale frequenza di corsi di istruzione e di formazione professionale nei Paesi di origine, nell'ambito dei quali sia garantita la diffusione dei valori a cui si ispira la Costituzione italiana e dei princìpi su cui si basa la convivenza della comunità nazionale; 8) l'istituzione di una banca dati interministeriale di raccolta delle richieste di ingresso per lavoro e delle offerte di lavoro, da coordinare con quelle attualmente operative, da utilizzare transitoriamente fino all'attivazione delle liste di cui al numero 5); 9) l'ingresso nel territorio dello Stato per l'inserimento nel mercato del lavoro, nell'ambito delle quote a tale fine previste, del cittadino straniero, iscritto nelle liste di cui al numero 5), ove istituite nel Paese di residenza, ovvero iscritto nella banca dati di cui al numero 8), a seguito di richiesta, nominativa o numerica, proveniente da regioni, province autonome, enti locali, associazioni imprenditoriali, professionali e sindacali, nonché istituti di patronato, con la costituzione di forme di garanzia patrimoniale a carico dell'ente o dell'associazione richiedente; 10) la revisione dei canali di ingresso e di soggiorno agevolato al di fuori delle quote e con esclusione dall'iscrizione nelle liste o nella banca dati di cui ai numeri 5) e 8), rivedendo le procedure, le categorie e le tipologie previste dall'articolo 27 del citato testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni; 11) la previsione di una quota stabilita nel decreto di programmazione dei flussi destinata all'ingresso nel territorio dello Stato per inserimento nel mercato del lavoro del cittadino straniero, iscritto nelle liste di cui al numero 5), ove istituite nel Paese di residenza, ovvero iscritto nella banca dati di cui al numero 8), che sia in possesso di risorse finanziarie adeguate al periodo di permanenza sul territorio nazionale e al contributo di cui alla lettera g), numero 1), ovvero che sia richiesto nominativamente da parte del cittadino italiano o dell'Unione europea ovvero di titolare del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, in possesso di un reddito adeguato a prestare idonea garanzia patrimoniale limitatamente a un solo ingresso per anno e con possibilità di nuova richiesta, per gli anni successivi, previa dimostrazione dell'inserimento lavorativo o del rimpatrio dello straniero precedentemente garantito; b) agevolare l'invio delle rimesse degli stranieri verso i Paesi di origine attraverso: 1) misure finalizzate a incentivare il ricorso a strumenti legali per il trasferimento delle rimesse, promuovendo accordi con le associazioni di categoria al fine di ridurre i costi di trasferimento; 2) misure di cooperazione allo sviluppo volte a valorizzare e a canalizzare le competenze dei migranti e le risorse da loro prodotte ai fini dello sviluppo dei Paesi di origine, nel rispetto della titolarità individuale e privata di tali risorse; 3) misure volte a favorire l'utilizzo delle competenze acquisite dai migranti in Italia ai fini dello sviluppo dei Paesi di origine, in particolare attraverso l'impiego dei cittadini stranieri quali esperti in attività di cooperazione allo sviluppo e l'incentivazione del ritorno produttivo, temporaneo o definitivo, dei migranti nei Paesi di origine, permettendo il mantenimento dello status di soggiornante regolare in Italia nel caso di partecipazione a specifici progetti effettuati in collaborazione con i Ministeri competenti; c) semplificare, nel rispetto dei vincoli derivanti all'Italia dall'adesione agli accordi di Schengen, le procedure per il rilascio del visto per l'ingresso nel territorio nazionale anche attraverso la revisione della documentazione da esibire da parte dello straniero interessato e la previsione dell'obbligo di motivazione del diniego per tutte le tipologie di visto, prevedendo forme di tutela e garanzia per i richiedenti i visti; d) semplificare le procedure e i requisiti necessari per il rilascio del nulla osta, del permesso di soggiorno e del suo rinnovo, eliminando il contratto di soggiorno, prevedendo sportelli presso i comuni per presentare le richieste di rilascio e di rinnovo del permesso di soggiorno e per il ritiro del documento e, dopo una congrua fase transitoria, il passaggio delle competenze ai comuni per il rinnovo del permesso di soggiorno, adeguando e graduando la durata dei permessi di soggiorno, razionalizzando i relativi procedimenti anche con una riorganizzazione degli sportelli unici per l'immigrazione istituiti presso le prefetture-uffici territoriali del Governo attraverso forme di supporto e di collaborazione alle loro attività da parte degli enti pubblici nazionali, degli enti locali, delle associazioni di datori di lavoro e di lavoratori, nonché delle associazioni di promozione sociale e delle organizzazioni del volontariato e della cooperazione, attraverso: 1) l'allungamento dei termini di validità iniziali dei permessi di soggiorno non stagionali, la cui durata è raddoppiata in sede di rinnovo, con l'unificazione dei termini per la relativa richiesta, prevedendo, in particolare, il rilascio del permesso di soggiorno per una durata pari ad un anno per un rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato di durata inferiore o pari a sei mesi, pari a due anni per un rapporto di lavoro superiore a sei mesi e pari a tre anni per un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato o autonomo; 2) la previsione di misure idonee ad assicurare la continuità degli effetti del soggiorno regolare nelle more del rinnovo del permesso di soggiorno; 3) l'estensione del periodo di validità del permesso di soggiorno per attesa occupazione, in caso di cessazione del rapporto di lavoro, ad un anno, ovvero alla maggiore durata degli istituti previsti dalla normativa vigente in materia di ammortizzatori sociali, ove applicati, con possibilità di un solo rinnovo del medesimo permesso, in presenza di adeguati mezzi di sussistenza, e con la previsione di misure dirette a consentire l'assunzione, su formale iniziativa del datore di lavoro, di uno straniero già titolare di un permesso di soggiorno per lavoro subordinato da almeno diciotto mesi che abbia perso la regolarità del soggiorno a seguito di cessazione del suo ultimo rapporto di lavoro; 4) la revisione dei permessi di soggiorno per motivi umanitari, da rilasciare da parte del prefetto, sentiti il consiglio territoriale per l'immigrazione e il questore, anche a favore dello straniero che dimostri spirito di appartenenza alla comunità civile e non costituisca una minaccia per l'ordine pubblico e per la sicurezza dello Stato, disciplinando ipotesi di riconoscimento del diritto al ricongiungimento familiare a favore del titolare del permesso compatibilmente con la normativa comunitaria; 5) la previsione della possibilità di svolgere attività lavorativa per lo straniero che ha titolo di soggiornare sul territorio nazionale in ragione di disposizioni di legge senza dover dimostrare il possesso di risorse economiche; e) prevedere, previa ratifica del capitolo C della Convenzione sulla partecipazione degli stranieri alla vita pubblica a livello locale, fatta a Strasburgo il 5 febbraio 1992, l'elettorato attivo e passivo per le elezioni amministrative a favore degli stranieri titolari del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo secondo le modalità di esercizio e le condizioni previste per i cittadini dell'Unione europea; f) armonizzare la disciplina dell'ingresso e del soggiorno sul territorio nazionale con la normativa dell'Unione europea anche prevedendo la revisione degli automatismi collegati alla sussistenza di determinati presupposti o all'assenza di cause ostative, con l'introduzione di una più puntuale valutazione di elementi soggettivi; g) rendere effettivi i rimpatri, graduando le misure d'intervento, anche al fine di migliorare il contrasto dello sfruttamento dell'immigrazione clandestina, incentivando la collaborazione, a tale fine, dell'immigrato, attraverso: 1) la previsione di programmi di rimpatrio volontario e assistito indirizzati anche a cittadini stranieri non espulsi privi dei necessari mezzi di sussistenza per il rientro nei Paesi di origine o di provenienza, finanziati da un «Fondo nazionale rimpatri», da istituire presso il Ministero dell'interno, alimentato con contributi a carico dei datori di lavoro, degli enti o delle associazioni, dei cittadini che garantiscono l'ingresso degli stranieri e degli stranieri medesimi; 2) la differenziazione della durata del divieto di reingresso per gli stranieri espulsi in considerazione della partecipazione ai programmi di rimpatrio di cui al numero 1), nonché dei motivi dell'espulsione; 3) la rimodulazione delle scelte sanzionatorie correlate alla violazione delle disposizioni in materia di immigrazione mediante la previsione di un meccanismo deterrente graduale, anche con riferimento al tipo di sanzione da irrogare, amministrativa o penale, in relazione alla gravità e alla reiterazione delle violazioni, nonché ai motivi dell'espulsione; 4) la riconduzione, per i casi in cui si preveda il ricorso alla sanzione penale, delle procedure correlate alla violazione delle disposizioni in materia d'immigrazione nell'alveo degli istituti e dei princìpi stabiliti in via generale dai codici penale e di procedura penale; 5) la revisione delle modalità di allontanamento, con sospensione dell'esecuzione per gravi motivi, tenendo conto della natura e della gravità delle violazioni commesse ovvero della pericolosità per l'ordine pubblico e per la sicurezza dello Stato dello straniero espulso; 6) l'attribuzione delle competenze giurisdizionali al giudice ordinario in composizione monocratica; h) superare l'attuale sistema dei centri di permanenza temporanea e assistenza, promuovendone e valorizzandone le funzioni di accoglienza, di soccorso e di tutela dell'unità familiare e modificando la disciplina relativa alle strutture di accoglienza, nonché il sistema di trattenimento degli stranieri irregolari, in modo da assicurare comunque sedi e strumenti efficaci per l'assistenza, il soccorso e l'identificazione degli immigrati e il rimpatrio di quanti sono legittimamente espulsi attraverso: 1) la revisione delle caratteristiche strutturali e gestionali delle strutture finalizzate all'accoglienza, al soccorso, con particolare attenzione alla tutela delle esigenze di rispetto e protezione dei nuclei familiari con minori, e all'identificazione degli stranieri presenti irregolarmente sul territorio nazionale e privi di mezzi di sostentamento per il tempo strettamente necessario a tali fini, prevedendo misure di sicurezza strettamente limitate e proporzionate in relazione alle loro finalità, con un congruo orario di uscita per gli stranieri già identificati o anche non identificati, per ragioni a loro non imputabili, dopo un congruo termine per le operazioni d'identificazione, e con l'individuazione di forme di gestione in collaborazione con gli enti locali, le aziende sanitarie locali e le associazioni o le organizzazioni umanitarie, intese ad assicurare un'informazione specifica sulle procedure di asilo, sulla normativa vigente in materia di tratta e di grave sfruttamento del lavoro, nonché sulle modalità di ingresso regolare nel territorio nazionale e sui programmi di rimpatrio volontario e assistito; 2) l'introduzione di procedure amministrative per identificare gli stranieri durante l'esecuzione di misure idonee a incidere sulla libertà personale, finalizzate a escludere la necessità di un successivo trattenimento a tale fine; 3) la previsione di strutture per le espulsioni destinate esclusivamente al trattenimento dei cittadini stranieri da espellere che si sono sottratti all'identificazione, con congrua riduzione del periodo di permanenza, e l'utilizzo delle medesime strutture per il tempo strettamente necessario nei confronti dei cittadini stranieri identificati o che collaborano fattivamente alla loro identificazione, quando non è possibile eseguire con immediatezza l'espulsione con accompagnamento coattivo, con la previsione di forme di gestione delle strutture per le espulsioni anche mediante la collaborazione e la previsione dei servizi di cui al numero 1), nonché la specifica regolamentazione dei diritti fondamentali della persona trattenuta; 4) la revisione della disciplina delle visite ai cittadini stranieri e dell'accesso alle strutture di cui ai numeri 1) e 3), prevedendo in particolare l'accesso dei familiari dei cittadini stranieri regolarmente identificati, del sindaco, del presidente della provincia e del presidente della regione, nei cui territori è collocata la struttura, o di consiglieri o assessori, del responsabile delle associazioni che per finalità statutarie forniscono servizi di orientamento, informazione e tutela per cittadini stranieri, nonché di rappresentanti degli organi di informazione e di stampa, nel rispetto della riservatezza dei cittadini stranieri e senza pregiudizio della funzionalità dei servizi; i) favorire l'inserimento civile e sociale dei minori stranieri, compresi quelli affidati e sottoposti a tutela, adeguando le disposizioni sul loro soggiorno, attraverso: 1) il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi familiari allo straniero che, al compimento della maggiore età, risulti a carico di uno o di entrambi i genitori o rimanga a carico di colui che era affidatario o tutore, tenuto conto del reddito degli stessi; 2) la conversione, al compimento della maggiore età, del permesso di soggiorno, rilasciato al minore straniero non accompagnato, in altre tipologie di permesso di soggiorno, compresa quella per accesso al lavoro, a condizione che ne sussistano i presupposti e che il minore straniero abbia partecipato a un progetto di accoglienza e tutela gestito da un ente pubblico o privato in possesso di determinati requisiti, con modalità idonee a valutarne l'inserimento sociale e civile da parte del consiglio territoriale per l'immigrazione istituito presso la prefettura-ufficio territoriale del Governo secondo gli indirizzi generali formulati dal Comitato per i minori stranieri di cui al numero 5), al quale sono comunicati i relativi elementi informativi; 3) il rilascio del permesso per protezione sociale anche allo straniero che, avendo commesso reati durante la minore età, abbia concluso positivamente un percorso di reinserimento sociale, nelle forme e nei modi previsti dal codice penale e dalle norme sul processo minorile; 4) l'istituzione presso il Ministero della solidarietà sociale di un «Fondo nazionale di accoglienza e tutela a favore dei minori stranieri non accompagnati» per il finanziamento, anche parziale, dei progetti di cui al numero 2); 5) la riorganizzazione e la revisione della composizione e delle procedure del Comitato per i minori stranieri istituito presso il Ministero della solidarietà sociale, anche con la previsione di una funzione consultiva dei consigli territoriali per l'immigrazione, istituiti presso le prefetture-uffici territoriali del Governo, in ordine allo svolgimento delle attività di competenza del Comitato stesso e di una funzione consultiva del Comitato in ordine all'utilizzo del Fondo di cui al numero 4); 6) la ridefinizione e l'estensione delle procedure di rimpatrio volontario assistito anche ai minori stranieri che, al raggiungimento della maggiore età, non possiedano i requisiti per la conversione del permesso di soggiorno per minore età, con la previsione di un titolo di priorità per l'iscrizione nelle liste di lavoratori stranieri suddivise per nazionalità di cui alla lettera a), numero 5); 7) la previsione che, in caso d'incertezza sulla minore età dello straniero, siano disposti gli opportuni accertamenti medico-sanitari e, ove tali accertamenti non consentano l'esatta determinazione dell'età, si applichino comunque le disposizioni relative ai minori; 8) la previsione della convalida da parte del tribunale per i minorenni del rimpatrio del minore ultraquattordicenne disposto senza il suo consenso o del minore infraquattordicenne; l) favorire il pieno inserimento dei cittadini stranieri legalmente soggiornanti mediante: 1) l'aggiornamento delle disposizioni relative al diritto-dovere d'iscrizione al Servizio sanitario nazionale in relazione alle nuove tipologie di permesso di soggiorno e la razionalizzazione delle competenze in materia di assistenza sanitaria dei cittadini stranieri, con l'obiettivo di realizzare una piena inclusione nel sistema sanitario nazionale; 2) l'equiparazione ai cittadini italiani degli stranieri regolarmente soggiornanti da almeno due anni e dei minori iscritti nel loro permesso di soggiorno ai fini dell'accesso alle provvidenze di assistenza sociale, incluse quelle che costituiscono diritti soggettivi in base alla legislazione vigente in materia di servizi sociali, ad eccezione dell'assegno sociale qualora non derivante dalla conversione del trattamento d'invalidità in godimento; m) consentire interventi di carattere straordinario e temporaneo di accoglienza da parte degli enti locali per fronteggiare situazioni di emergenza; n) aggiornare le disposizioni relative alla composizione e alle funzioni della Consulta per i problemi degli stranieri immigrati e delle loro famiglie anche in relazione alla sua collocazione presso il Ministero della solidarietà sociale e alla presidenza del Ministro della solidarietà sociale o di persona da lui delegata; o) potenziare le misure dirette all'integrazione dei migranti, concepita come inclusione, interazione e scambio e non come coabitazione tra comunità separate, con particolare riguardo ai problemi delle seconde generazioni e delle donne anche attraverso la definizione della figura e delle funzioni dei mediatori culturali; p) prevedere ulteriori fonti di finanziamento del Fondo per l'inclusione sociale degli immigrati, istituito ai sensi dell'articolo 1, comma 1267, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, tra i quali contributi volontari dei datori di lavoro e contributi, donazioni o cofinanziamenti disposti da privati, enti, organismi anche internazionali e dall'Unione europea; q) favorire un'adeguata tutela delle vittime di riduzione o di mantenimento in schiavitù o in servitù, delle vittime di tratta, delle vittime di violenza o di grave sfruttamento e garantire il loro accesso ai diritti previsti dalla normativa vigente attraverso: 1) la revisione della disciplina delle espulsioni che tenga conto della necessità di sospendere il provvedimento di espulsione nei casi in cui vi siano fondati elementi per ritenere che lo straniero sia stato assoggettato a una situazione di violenza e di grave sfruttamento nel territorio nazionale; 2) la revisione della disciplina e della procedura di ricongiungimento familiare che consenta l'adozione di procedure accelerate e la semplificazione dei requisiti quando i familiari dello straniero che sia stato vittima di tratta o di grave sfruttamento corrano rischi per la loro incolumità in ragione dell'assoggettamento alla situazione di violenza o di grave sfruttamento di cui lo straniero stesso è vittima; 3) l'esclusione della punibilità per i reati e per le infrazioni relativi alla condizione di soggiorno illegale, per mancata ottemperanza all'ordine di espulsione, commessi dallo straniero in condizioni di assoggettamento alla violenza e al grave sfruttamento; r) coordinare, sul piano formale e sostanziale, le disposizioni da emanare in attuazione della delega di cui al presente comma con le altre disposizioni del citato testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, nonché con la legislazione nazionale e comunitaria vigente in materia. 2. Il decreto legislativo di cui al comma 1 è emanato su proposta dei Ministri dell'interno e della solidarietà sociale, di concerto, per i profili di rispettiva competenza, con i Ministri degli affari esteri, della giustizia, della difesa, del lavoro e della previdenza sociale, per le politiche europee, della salute, delle politiche per la famiglia, per i diritti e le pari opportunità, della pubblica istruzione, per gli affari regionali e le autonomie locali, per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione, per le politiche giovanili e le attività sportive, delle politiche agricole alimentari e forestali, dell'economia e delle finanze e dell'università e della ricerca. Lo schema di decreto legislativo è trasmesso alla Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, che si esprime entro trenta giorni. Il medesimo schema di decreto legislativo è successivamente trasmesso alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica per il parere delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per le conseguenze di carattere finanziario, che si esprimono entro quaranta giorni dalla data di assegnazione, trascorsi i quali il decreto legislativo è emanato anche in assenza del parere. 3. Con uno o più decreti legislativi da emanare entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo di cui al comma 1, possono essere adottate disposizioni correttive e integrative di quest'ultimo, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi e delle procedure stabiliti dai commi 1 e 2. 4. Entro un anno dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo di cui al comma 1, il Governo è delegato ad adottare, sentito il Consiglio di Stato che deve rendere il parere entro novanta giorni e senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, un decreto legislativo per coordinare le disposizioni emanate ai sensi del citato comma 1 con le altre disposizioni vigenti concernenti l'immigrazione e la condizione giuridica dello straniero, al fine di semplificare e di garantire la coerenza logica, sistematica e lessicale della normativa. 5. I decreti legislativi di cui ai commi 1 e 3, la cui attuazione determini nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, sono emanati solo successivamente alla data di entrata in vigore di provvedimenti legislativi che stanziano le occorrenti risorse finanziarie.
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[1] Procedura di infrazione n. 2006/787
[2] Procedura d’infrazione n. 2006/878
[3] ISTAT, La popolazione straniera regolarmente presente in Italia (1° gennaio 2006), 11 aprile 2007.
[4] Caritas/Migrantes, Dossier statistico immigrazione 2006, ottobre 2006, pag. 14. Si tratta di una stima basata sul numero dei soggiornanti stranieri al 31 dicembre 2005, secondo i dati del Ministero dell’interno pari a quasi 2.300.000 stranieri (di cui 230.000 comunitari). Tale cifra è integrata del numero dei minori (registrati nel permesso di soggiorno dei genitori) e di una quota di permessi di soggiorno in corso di rinnovo (Sintesi del Dossier della Caritas 2006 pag. 2). Rispetto alla stima del 2004 si registra un aumento di circa 250.000 persone (Caritas/Migrantes, Dossier statistico immigrazione 2005, ottobre 2005, pag. 72).
[5] ISMU, Dodicesimo rapporto sulle migrazioni 2006, Milano, 2007, pag. 33.
[6] ISTAT, La popolazione straniera regolarmente presente in Italia (1° gennaio 2006), 11 aprile 2007.
[7] L’incremento residuo, pari a + 155.048 unità, è dovuto alle rettifiche post-censuarie e al saldo interno. Istat, Bilancio demografico nazionale. Anno 2006, 5 luglio 2007, p. 1.
[8] Per i dati del 2006 si veda. Istat, Bilancio demografico nazionale. Anno 2006, 5 luglio 2007, p. 3. Per il 2005 Istat, La popolazione straniera residente in Italia al 1° gennaio 2006, 17 ottobre 2006.
[9] Sintesi del Dossier della Caritas 2006 pag. 2.
[10] ISTAT, Bilancio demografico nazionale. Anno 2006, 5 luglio 2007, p. 2.
[11] ISTAT, La popolazione straniera residente in Italia al 1° gennaio 2006, 17 ottobre 2006.
[12] Dossier della Caritas 2006 pag. 14.
[13] ISMU, Dodicesimo rapporto sulle migrazioni 2006, Milano, 2007, pag. 8.
[14] ISTAT, La popolazione straniera residente in Italia al 1° gennaio 2006, 17 ottobre 2006.
[15] Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, Organismo nazionale di coordinamento per le politiche di integrazione sociale degli stranieri, Indici di integrazione degli immigrati in Italia, V Rapporto, 27 marzo 2007, pag. 12. La graduatoria è basata su serie di dati statistici suddivisi in tre indici principali: il primo relativo alla presenza al soggiorno stabile degli immigrati nel territorio, il secondo relativo alla stabilità sociale (scolarizzazione, insediamento familiare ecc.), il terzo relativo all’inserimento nel mondo del lavoro (retribuzione, disoccupazione, grado di imprenditorialità ecc.).
[16] Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, Organismo nazionale di coordinamento per le politiche di integrazione sociale degli stranieri, Immigrazione in Italia. Indici di inserimento territoriale. III Rapporto, 21 settembre 2004, pag. 22.
[17] Legge n. 943 del 1986: 105.000 regolarizzati; legge n. 39 del 1990 (“legge Martelli”): 220.000; decreto-legge n. 489 del 1995: 246.000; legge n. 40 del 1998 (“legge Turco-Napolitano”): 217.000; legge n. 189 del 2002 (“legge Bossi-Fini”) e decreto-legge n. 195 del 2002: 700.000.
[18] ISMU, Dodicesimo rapporto sulle migrazioni 2006, Milano, 2007, pag. 35. Al problema degli stranieri clandestini è dedicato il volume del Centro studi e ricerche IDOS, Immigrazione irregolare in Italia, Roma, dicembre 2005.
[19] Caritas/Migrantes, Dossier statistico immigrazione 2006, ottobre 2006, pag. 89 e segg.
[20] Ministero dell’interno, Risposta all’ordine del giorno n. 9/1746-bis/114 dell’On. Stucchi9, agosto 2007, annunciata alla Camera dei deputati il 17 settembre 2007.
[21] Dati del Ministero dell’interno. Dipartimento della pubblica sicurezza. Direzione centrale dell’immigrazione e della polizia delle frontiere.
[22] Ministero dell’interno, Note sulla sicurezza in Italia, 14 agosto 2006.
[23] Camera dei deputati, Seduta del 16 maggio 2007, Interrogazioni a risposta immediata, Orientamenti del Governo in relazione agli sbarchi di clandestini sulle coste italiane e al fenomeno dell'immigrazione clandestina - n. 3-00887, intervento dell’on. Vannino Chiti, Ministro per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali. La citata risposta del Ministero dell’interno all’ordine del giorno Stucchi rileva nei primi 7 mesi del 2007 un afflusso via mare di 8.260 persone a fronte dei 12.102 dello stesso periodo del 2006.
[24] Audizione di Alessandro Pansa, direttore centrale dell’immigrazione e della polizia delle frontiere del Ministero dell’interno, Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione, Gestione comune delle frontiere e contrasto all'immigrazione clandestina in Europa, Atti parlamentari, XIV legislatura, Indagini conoscitive e documentazioni legislative n. 19, 2005, pag. 235.
[25] In questi termini si è espresso il ministro dell’interno pro tempore Giuseppe Pisanu riferendo al Senato sulla situazione dell’immigrazione (Senato della Repubblica, seduta del 29 giugno 2005 (antimerid., n. 830) Comunicazioni del Ministro dell’interno sull’immigrazione e conseguente discussione.
[26] Presidenza del Consiglio dei ministri, Relazione sulla politica informativa e della sicurezza, 1° semestre 2006, pag. 45.
[27] Presidenza del Consiglio dei ministri, Relazione sulla politica informativa e della sicurezza, 1° semestre 2004, pag. 47.
[28] Presidenza del Consiglio dei ministri, Relazione sulla politica informativa e della sicurezza, 1° semestre 2004, pag. 48.
[29] Dossier statistico immigrazione 2006 della Caritas, pag. 225 e segg.
[30] Ministero della giustizia, Stranieri - Statistiche sull'esecuzione negli istituti penitenziari, in www.giustizia.it/statistiche/statistiche_dap/det/2006/detg31_stranieri.htm.
[31] Ministero dell’interno. Dipartimento Pubblica Sicurezza, Quadro generale di documentazione per la Commissione Affari Costituzionali, ai fini della indagine conoscitiva sullo stato della sicurezza in Italia, sugli indirizzi della politica di sicurezza e sull’organizzazione ed il funzionamento delle forze di polizia, del gennaio 2007, pubblicata nel dossier del Servizio studi della Camera dei deputati, Indagine conoscitiva sullo stato della sicurezza in Italia. La documentazione trasmessa dal Dipartimento della Pubblica Sicurezza, documentazione e ricerche n. 67, 7 maggio 2007, pag. 126.
[32] Ministero dell’interno, Rapporto sulla criminalità in Italia. Analisi, prevenzione, contrasto, 18 giugno 2007, p. 360. Si veda, inoltre, la dichiarazione del Ministro dell’interno Amato, dal contenuto analogo, alla Camera dei deputati il 5 luglio 2007 (Assemblea interrogazione n. 3-1053).
[33] L. 6 marzo 1998, n. 40, Disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero.
[34] L’ultimo documento triennale è del 2005: D.P.R. 13 maggio 2005, Approvazione del documento programmatico relativo alla politica dell’immigrazione e degli stranieri nel territorio dello Stato, per il triennio 2004-2005
[35] D.P.C.M. 15 febbraio 2006, Programmazione dei flussi d'ingresso dei lavoratori extracomunitari nel territorio dello Stato, per l'anno 2006.
[36] D.P.C.M. 14 luglio 2006.
[37] D.P.C.M. 25 ottobre 2006, Programmazione aggiuntiva dei flussi d'ingresso dei lavoratori extracomunitari non stagionali nel territorio dello Stato, per l'anno 2006.
[38] D.P.C.M. 9 gennaio 2007, Programmazione transitoria dei flussi d'ingresso dei lavoratori stagionali extracomunitari e dei lavoratori formati all'estero nel territorio dello Stato, per l'anno 2007.
[39] Schema di decreto del Ministro degli affari sociali trasmesso alle Camere per il parere della competenti Commissioni il 20 luglio 2007. Lo scorso anno la quota era di 47.128 visti (D.M. 11 ottobre 2006, Fissazione del numero massimo di visti di ingresso per l'accesso all'istruzione universitaria e di alta formazione artistica, musicale e coreutica degli studenti stranieri, per l'anno accademico 2006/2007).
[41] Commissione per le verifiche e le strategie dei centri per gli immigrati, Rapporto conclusivo, 31 gennaio 2007, p. 10-11.
[42] Ivi, p. 12.
[43] Dossier statistico immigrazione 2006 della Caritas, pag. 94-95.
[44] La nuova disciplina prevede, tra l’altro, che, al momento della richiesta del permesso di soggiorno o del rinnovo dello stesso, allo straniero siano rilevate le impronte digitali.
[45] D.L. 14 settembre 2004, n. 241, in corso di conversione alla Camera.
[46] Art. 12 del testo unico in materia di immigrazione.
[47] L. 11 agosto 2003, n. 228, Misure contro la tratta di persone. Si veda anche il regolamento di attuazione adottato con il D.P.R. 19 settembre 2005, n. 237, Regolamento di attuazione dell'articolo 13 della legge 11 agosto 2003, n. 228, recante misure contro la tratta di persone.
[48] D.L. 27 luglio 2005, n. 144 (conv. in L. 31 luglio 2005, n. 155), Misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale, art. 2.
[49] Art. 18 del testo unico in materia di immigrazione.
[50] L’elenco degli accordi in D.P.R. 13 maggio 2005, Approvazione del documento programmatico relativo alla politica dell’immigrazione e degli stranieri nel territorio dello Stato, per il triennio 2004-2005, pag. 81. Ai 27 accordi indicati nel documento di programmazione si è aggiunto di recente l’accordo con l’Egitto sottoscritto il 9 gennaio 2007.
[51] Si veda, da ultimo, l’Accordo di cooperazione tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica tunisina in materia di lotta alla criminalità, firmato a Tunisi il 13 dicembre 2003; entrato in vigore il 21 dicembre 2005, ed in particolare l’art. 9, relativo al contrasto dei flussi di immigrazione clandestina e delle organizzazioni criminali che la favoriscono
[52] D.P.R. 13 maggio 2005, pag. 77-78.
[53] Accordo tra il Governo della Repubblica Italiana e il Governo della Repubblica Araba d’Egitto di cooperazione in materia di flussi migratori bilaterali per motivi di lavoro, con il Protocollo esecutivo, firmato a Il Cairo, 28 novembre 2005, entrato in vigore il 1° agosto 2006. Si tratta di un atto non soggetto a ratifica.
[54] Secondo gli ultimi dati disponibili, pubblicati nel 2006, al 31 dicembre 2004, risultano dislocate nel territorio nazionale 1.870 strutture di accoglienza per extracomunitari, di cui 1.393 strutture residenziali, con una disponibilità di 26.970 posti letto, e 477 non residenziali; si veda Ministero dell’interno, Dipartimento affari interni e territoriali, Problematiche ed iniziative relative all’immigrazione extracomunitaria in Italia. Anno 2004, gennaio 2006, p. 7.
[55] La Corte costituzionale (sen. n. 432/2005) nel dichiarare l’illegittimità costituzionale di una norma regionale che non includeva “i cittadini stranieri, residenti nella Regione, fra gli aventi il diritto alla circolazione gratuita sui servizi di trasporto pubblico di linea, riconosciuto alle persone totalmente invalide per cause civili”, ha rilevato che l’art. 41 del T.U. costituisce, a norma dell’art. 1, co. 4, del medesimo T.U., principio fondamentale dello Stato ai sensi dell’art. 117 della Costituzione, con la conseguenza che qualsiasi scelta del legislatore regionale che introducesse rispetto ad esso regimi derogatori dovrebbe permettere di rinvenire nella stessa struttura normativa una specifica, trasparente e razionale “causa giustificatrice”, idonea a “spiegare”, sul piano costituzionale, le “ragioni” poste a base della deroga.
[56] L. 23 dicembre 2000 n. 388, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2001).
[57] Agli stranieri provenienti da Paesi membri dell’Unione europea è consentito esercitare il diritto di voto nelle elezioni del Parlamento europeo (legge 9/1989) e nelle elezioni amministrative (D.Lgs. 197/1996).
[58] L. 28 febbraio 1990, n. 39, Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 dicembre 1989, n. 416, recante norme urgenti in materia di asilo politico, di ingresso e soggiorno dei cittadini extracomunitari e di regolarizzazione dei cittadini extracomunitari ed apolidi già presenti nel territorio dello Stato. Disposizioni in materia di asilo.
[59] Il co. 13 dell’art. prevedeva che “per gli stranieri minori di anni diciotto, ospitati in istituti di istruzione, il permesso di soggiorno può essere richiesto alla questura competente da chi presiede gli istituti, ovvero dai loro tutori”. La seconda norma in materia di minori appare all’interno dell’art. 5 e prevedeva la segnalazione al Tribunale dei minori, degli stranieri minorenni richiedenti lo status di rifugiati ed introduce per la prima volta la definizione di “minori non accompagnati”.
[60] L. 27 maggio 1991, n. 176, Ratifica ed esecuzione della convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989.
[61] Il sistema generale delle norme del diritto minorile si ricavava dalla Costituzione, dalle Convenzioni Internazionali ratificate dall’Italia e, sul piano interno, dalle norme del codice civile e dalla disciplina sull'adozione e l'affidamento; tale complesso normativo, anche secondo alcune pronunce della Corte Costituzionale, assegnava all'Autorità Giudiziaria minorile un ruolo centrale nella protezione del minore, da cui veniva fatta discendere anche la competenza sul trattamento del minore straniero e quindi anche la decisione sull’opportunità del rimpatrio o della sua permanenza in Italia. Tale orientamento però non riuscì a prevalere, rimanendo predominante quantomeno numericamente, la scelta di attribuire tale competenza all'autorità amministrativa.
[62] L. 6 marzo 1998, n. 40, Disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, poi .
[63] D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero.
[64] Corte cost., sent. 1-15 luglio 1986, n. 199.
[65] Corte cost., sent. 30 novembre-11 dicembre 1989, n. 536
[66] L. 27 maggio 1991, n. 176, Ratifica ed esecuzione della convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989.
[67] D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394, Regolamento recante norme di attuazione del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, a norma dell'art. 1, comma 6, del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286.
[68] L. 4 maggio 1983, n. 184, Diritto del minore ad una famiglia.
[69] Art. 52 del D.P.R. 394/1999.
[70] D.P.C.M. 9 dicembre 1999, n.535, Regolamento concernente i compiti del Comitato per i minori stranieri, a norma dell'articolo 33, commi 2 e 2- bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n.286. Si veda, inoltre, Comitato minori stranieri, Disposizioni attuative dei compiti attribuiti al comitato minori stranieri in merito ai minori non accompagnati presenti sul territorio, 2003 (www.welfare.gov.it).
[71] L. 184/1983, art. 9, co.4; D.P.R. 394/1999, art. 28.
[72] L. 184/1983, art. 2.
[73] Sebbene sia nei Regolamenti attuativi del Testo unico che in alcune circolari del Comitato, l’apertura della tutela sia rimessa al Tribunale per i minorenni, in molti casi essa è rimessa al Giudice tutelare.
[74] Art. 30, co. 6, del D. Lgs. 286/1998; ordinanza della Corte Costituzionale del 4 agosto 2003.
[75] Fonte: Documento programmatico relativo alla politica dell'immigrazione e degli stranieri nel territorio dello Stato per il 2004-2006 (testo trasmesso alle Camere in data 7 febbraio 2005 per l’espressione del parere da parte delle competenti Commissioni).
[76] Fonte: elaborazione CISL-ANOLF (www.anolf.it) su dati del Comitato minori stranieri.
[77] Senato della repubblica, Seduta del 26 ottobre 2006 (antimerid., n. 63), Discussione delle mozioni n. 35, 42 e 43 sui flussi migratori. Ritiro della mozione n. 43 e dell’ordine del giorno G1. Approvazione della mozione n. 42 (Livi Bacci, Finocchiaro, Zanda, Russo Spena, Palermi, Peterlini, Formisano, Treu). Reiezione della mozione n. 35 (testo 2).
[78] Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro (CNEL), Documento di osservazioni e proposte sulle politiche dell’immigrazione, 19 luglio 2006.
[79] D.L. 15 febbraio 2007, n. 10, Disposizioni volte a dare attuazione ad obblighi comunitari ed internazionali (convertito dalla L. 6 aprile 2007, n. 469).
[80] L. 28 maggio 2007, n. 68, Disciplina dei soggiorni di breve durata degli stranieri per visite, affari, turismo e studio.
[81] Em. 5.1000 approvato il 13 marzo 2007 dalle commissioni 1ª e 6ª del Senato.
[82] A.C. 1857, Disposizioni in materia di contrasto al favoreggiamento dell'immigrazione clandestina e modifiche al codice di procedura penale, all’esame della II Commissione (Giustizia) della Camera.
[83] Il disegno di legge, approvato dal Senato (A.S. 1201), è in corso di esame da parte della II Commissione (Giustizia) della Camera (A.C. 2784).
[84] A.C. 1936 e 1937, Modifiche al testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, nonché al codice penale e al codice di procedura penale, all’esame delle Commissioni I (Affari costituzionali) e II (Giustizia) della Camera.
[85] Commissione per le verifiche e le strategie dei centri per gli immigrati, Rapporto conclusivo, 31 gennaio 2007, p. 25.
[86] I provvedimenti sono stati adottati con due direttive del Ministro dell’interno del 24 aprile 2007 (www.interno.it).
[87] Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione, Risoluzione relativa all’adesione dell’Italia al Trattato di Prün, approvata il 18 luglio 2007. La risoluzione impegna il Governo a prendere entro il 30 settembre 2007 le opportune iniziative volte a ratificare il Trattato di Prün.
[88] D.Lgs. 25 gennaio 2007, n. 24, Attuazione della direttiva 2003/110/CE, relativa all'assistenza durante il transito nell'ambito di provvedimenti di espulsione per via aerea.
[89] A.C. 36 e 134.
[90] D.Lgs. 8 gennaio 2007, n. 3, Attuazione della direttiva 2003/109/CE relativa allo status di cittadini di Paesi terzi soggiornanti di lungo periodo.
[91] Camera dei deputati, I Commissione (Affari costituzionali), Parere favorevole con osservazione - 24 ottobre 2006.
[92] D.Lgs. 8 gennaio 2007, n. 5, Attuazione della direttiva 2003/86/CE relativa al diritto di ricongiungimento familiare
[93] Camera dei deputati, I Commissione (Affari costituzionali), Parere favorevole - 18 ottobre 2006.
[94] A.C. 191 ed abbinate.
[95] Si segnalano, in proposito, che la Commissione Affari costituzionali del Senato ha approvato una proposta di legge per l’istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulla condizione della donna immigrata in Italia (A.S. 947 e A.S. 1443).
[96] Camera dei deputati, Seduta mercoledì 11 ottobre 2006, Interrogazioni a risposta immediata (Svolgimento) Iniziative volte all'immediata redazione di una «Carta dei valori» - n. 3-00320.
[97] Si veda il decreto del Ministro dell’interno 23 aprile 2007 che contestualmente alla pubblicazione della Carta dei valori istituisce il Consiglio scientifico incaricato di approfondire e proporre le iniziative opportune volte alla conoscenza, la diffusione della Carta e di studiare soluzioni per l’armonica convivenza delle comunità immigrate e religiose nella società italiana.
[98] D.M. 6 dicembre 2006.
[99]COM(2006)735.La comunicazione è stata esaminata dal Consiglio nella riunione del 4 dicembre 2006.
[100] COM(2006)402, vedi infra.
[101] A questo proposito vedi infra, paragrafo “Politiche in materia di asilo e protezione internazionale
[102] La risoluzione si basa, tra l’altro, sulla la comunicazione della Commissione del 12 ottobre 2005 su una strategia relativa alla dimensione esterna dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia (COM(2005)491), e la relazione di attività della Commissione sull'attuazione di tale strategia (SEC(2006)1498).
[103] Vedi infra
[104] Vedi infra
[105] A questo proposito, il 24 maggio 2007, l’Agenzia europea per la gestione delle frontiere esterne (Frontex) ha lanciato il progetto “Rete di pattuglie europea(EPN)” (vedi infra).
[106](CE) n. 343/2003 del 18 Febbraio 2003 (Regolamento di Dublino II) e relativo regolamento di attuazione
[107] Sull’insieme degli strumenti finanziari per l’area libertà, giustizia e sicurezza, vedi capitolo precedente
[108]. La comunicazione della Commissione (COM(2005)123-1), istitutiva del programma quadro Solidarietà e gestione dei flussi migratori, è stata favorevolmente accolta dal Parlamento europeo con una risoluzione il 24 ottobre 2006.
[109] L’attuale Fondo europeo per i rifugiati per il periodo 2005-2010 (COM(2004)102), rimarrà in vigore fino al 31 dicembre 2007.
[110] L’approccio globale in materia di migrazione è stato adottato dal Consiglio europeo del 15-16 dicembre 2005 (vedi supra)
[111] Inaugurata dalla Commissione con la comunicazione COM(2003)104 presentata l’11 marzo 2003, la politica europea di vicinato si rivolge ai nuovi Stati indipendenti ( Bielorussia, Moldova, Ucraina), ai paesi del Mediterraneo meridionale e, a seguito della decisione del Consiglio del 14 giugno 2004, anche agli Stati del Caucaso, con l’obiettivodi creare una zona di prosperità condivisa e buon vicinato. La politica europea di vicinato, nettamente distinta dalla questione della potenziale adesione all’UE, propone un nuovo approccio nei confronti dei paesi interessati: in cambio dei progressi concreti compiuti in termini di riconoscimento dei valori comuni e di attuazione effettiva di riforme politiche, economiche e istituzionali, si riconosce loro una partecipazione al mercato interno dell’UE, nonché un’ulteriore integrazione e liberalizzazione per favorire la libera circolazione di persone, merci, servizi e capitali. Una delle componenti principali della politica europea di vicinato è rappresentata dai piani d’azione, che vengono concordati dall’Unione europea con ciascuno dei paesi interessati. Tali piani d’azione, differenziati, per riflettere lo stato delle relazioni con ciascun paese, le sue necessità e capacità, nonché gli interessi comuni, definiscono il percorso da seguire nei prossimi 3-5 anni.
[112] Nella Comunicazione ”Approccio globale in materia di migrazione un anno dopo” si utilizzava, per queste forme di cooperazione , l’espressione “pacchetti di mobilità”. (Vedi supra).
[113] COM(2005)669. Vedi paragrafo seguente
[114] Vedi infra, paragrafo Immigrazione legale e integrazione
[115] Il testo in questione recepisce le modifiche proposte dal Consiglio il 24 febbraio 2005, alla proposta di regolamento originaria COM(2003)558/1, presentata dalla Commissione il 24 settembre 2003.
[116] La prima edizione verteva sull’accoglienza degli immigrati e delle persone riconosciute come rifugiati recentemente arrivati nonché sulla partecipazione civica.
[117] Si ricorda che nell’ottobre 2006 si è svolto a Rotterdam il primo Forum europeo per l’Integrazione. La seconda edizione avrà luogo a Milano nel prossimo mese di ottobre.
[118] Il Consiglio europeo di Salonicco del giugno 2003 ha stabilito la pubblicazione di relazioni annuali che descrivano le misure prese a livello nazionale e comunitario in materia di ammissione ed integrazione dei cittadini di paesi terzi e analizzino i cambiamenti intercorsi La prima relazione annuale COM(2004)508 è stata pubblicata nel luglio 2004, la seconda SEC(2006)892 nel giugno 2006.
[119] La prima edizione del Forum europeo di è svolta a Rotterdam nell’ottobre del 2006. La seconda avrà luogo a Milano nell’autunno 2007.
[120] Decisione 1786/2002/CE
[121] Gazzetta ufficiale delle Comunità europee, C142 del 14/6/2002
[122] Il Consiglio europeo del 14 e 15 dicembre 2006 ha ribadito la validità degli obiettivi del programma dell’Aja in materia di regime europeo comune in materia di asilo (vedi supra).
[123] Regolamento del Consiglio (CE) n. 343/2003 del 18 Febbraio 2003 (Regolamento di Dublino II) e relativo regolamento di attuazione (Regolamento della Commissione (CE) n.1560/2003 del 2 settembre 2003), e regolamento (CE) n. 2725/2000 dell’ 11 Dicembre 2000, concernente l’istituzione del sistema “EURODAC” per il confronto delle impronte digitali per un efficace applicazione della convenzione di Dublino(Regolamento Eurodac) e relativo regolamento di attuazione (Regolamento del Consiglio (CE) n. 407/2002 del 28 febbraio 2002).
[124]A partire dal 21 febbraio 2006 il sistema è stato esteso anche alla Danimarca, che inizialmente non aveva aderito. L’ambito territoriale del sistema è stato recentemente esteso anche alla Svizzera, attraverso un accordo internazionale, attualmente applicato in forma provvisoria.
[125] Convenzione sulla determinazione dello Stato competente per l'esame di una domanda di asilo presentata in uno degli Stati membri delle comunità europee - Convenzione di Dublino, pubblicata in GU C 254 del 19 agosto 1997.
[126] Nelle prossime settimane la Commissione pubblicherà anche una relazione per valutare l’attuazione della direttiva sulle condizioni di accoglienza e la relazione annuale sulle attività svolte nel 2006 dall’unità centrale EURODAC.
[127] Dal settembre 2003 al dicembre 2005, EURODAC ha rilevato che il 12% circa delle richieste di asilo erano state presentate da persone che avevano già presentato una richiesta simile in un altro stato membro.
[128] Sul Libro Verde, vedi il Dossier Fonti, n. 40 del 18 luglio 2007, a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione europea.
[129] Regolamento del Consiglio (CE) n. 343/2003 del 18 Febbraio 2003 che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l'esame di una domanda d'asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo: Vedi paragrafo “Asilo e protezione internazionale”
[130] Su questa proposta, si veda infra, paragrafo 3.2 relativo alla condivisione delle informazioni nel quadro della cooperazione di polizia.
[131] Per l’inserimento dei dati biometrici nel permesso di soggiorno, previsto dalla proposta modificata di regolamento COM(2005)391, vedi supra, paragrafo “Immigrazione legale e integrazione”.
[132] Nell’ambito di un progetto pilota in questo settore, il 25 aprile 2007 è stato inaugurato in Moldova il primo centro comune per la presentazione delle domande di visto. Il centro è ospitato nell’ambasciata d’Ungheria di Chisinau. All’iniziativa hanno aderito Austria, Slovenia e Lettonia. L’Estonia e la Danimarca parteciperanno in un secondo momento.
[133] La proposta fa parte di un “pacchetto” di iniziative che mira ad accrescere la solidarietà fra gli Stati membri, in particolare per quanto riguarda la gestione delle frontiere, a combattere con maggior vigore l’immigrazione clandestina e a stabilire un’efficiente e coerente politica comunitaria dei visti. Oltre alla proposta in questione, il pacchetto comprende la comunicazione (COM(2006)402), riguardante le priorità politiche nella lotta contro l’immigrazione clandestina di cittadini di paesi terzi, e la proposta di regolamento (COM(2006)401) relativa ai poteri e al finanziamento di squadre di rapido intervento alle frontiere, definitivamente adottato dal Consiglio il 12 giugno 2007.(vedi infra).
[134]Vedi infra.
[135] COM(2005)391.
[136] Per le due comunicazioni che, insieme alla proposta di direttiva, costituiscono il “pacchetto” di misure (cd. pacchetto Frattini) presentato dalla Commissione il 16 maggio 2007, vedi supra, paragrafo “L’approccio globale in materia di migrazione: recenti iniziative della Commissione”.
[137] Per la proposta modificata di regolamento COM(2006)110, che modifica il regolamento (CE) n. 1030/2002 istitutivo del modello uniforme per i permessi di soggiorno rilasciati a cittadini di paesi terzi, vedi supra, paragrafo“Immigrazione legale e integrazione”.
[138] COM(2006)733.
[139]L’Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione europea (FRONTEX) è stata istituita con il regolamento (CE) n. 2007/2004 del 26 ottobre 2004.
L’Agenzia ha il compito:
§di coordinare la cooperazione operativa tra gli Stati membri in materia di gestione delle frontiere esterne;
§assistere gli Stati membri nella formazione di guardie nazionali di confine, anche elaborando norme comuni in materia di formazione;
§preparare analisi dei rischi;
§seguire l’evoluzione delle ricerche in materia di controllo e sorveglianza delle frontiere esterne;
§aiutare gli Stati membri che devono affrontare circostanze tali da richiedere un’assistenza tecnica e operativa rafforzata alle frontiere esterne;
§fornire agli Stati membri il sostegno necessario per organizzare operazioni di rimpatrio congiunte.
[140] Regolamento CEn. 863/2007
[141]ad esempio, nelle operazioni di rimpatrio, di accoglienza, di presa a carico dei richiedenti asilo e dei profughi.
[142] Decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero.
[143]Si veda in questo senso il documento recante le linee guida per la riforma del testo unico in materia di immigrazione, depositato dal ministro dell’interno Amato a conclusione della sua audizione svoltasi il 27 settembre 2006 presso la Commissione affari costituzionali del Senato.
[144]DPR 394/1999, come modificato dall’art. 29 del DPR 334/2004.
[146] Si veda nel DPR 13 maggio 2005, Approvazione del documento programmatico relativo alla politica dell’immigrazione e degli stranieri nel territorio dello Stato, per il triennio 2004-2006.
[147]Ministero dell’interno, Ufficio Stampa e Comunicazione, La riforma del testo unico sull’immigrazione, aprile 2007, in www.interno.it.
[148]D.Lgs. 10 agosto 2007 n. 154, Attuazione della direttiva 2004/114/CE, relativa alle condizioni di ammissione dei cittadini di Paesi terzi per motivi di studio, scambio di alunni, tirocinio non retribuito o volontariato.
[149]E’ previsto anche un decreto annuale sugli ingressi degli studenti universitari, che fissa il numero dei permessi di soggiorno da concedere a studenti stranieri che intendono accedere all’istruzione universitaria in Italia.
[150]Il Comitato per il coordinamento e il monitoraggio delle politiche di immigrazione è un organo interministeriale presieduto dal Presidente o dal Vice Presidente del Consiglio o da un ministro delegato, ed è composto dai ministri interessati ai temi trattati in ciascuna riunione e da un presidente di Regione designato dalla Conferenza dei presidenti delle Regioni. Il Comitato è coadiuvato, per l’istruttoria delle questioni di sua competenza, da un Gruppo tecnico di lavoro istituito presso il Ministero dell’interno e composto dai rappresentanti di diverse amministrazioni.
[151]Art. 21, commi 4, 4-bis e 4-ter del testo unico.
[152]La disposizione in questione non è contenuta nel testo unico; essa è stata introdotta dall’art. 1-ter del D.L. 14 marzo 2005, n. 35, (conv. L. 14 maggio 2005, n. 80).
[153]DPCM 15 febbraio 2006.
[154]A causa dell’alto numero di richieste di lavoratori stagionali, superiore alla disponibilità degli ingressi utilizzabili, in particolare nei settori agricolo e turistico – alberghiero, con l’ordinanza del Presidente del Consiglio del 22 aprile 2005, n. 3426 è stato autorizzato per il 2005 l’ingresso di ulteriori 20.000 stagionali.
[155]Con il DPCM 25 ottobre 2006, Programmazione aggiuntiva dei flussi d'ingresso dei lavoratori extracomunitari non stagionali nel territorio dello Stato, per l'anno 2006.
[156]La decisione era stata preannunciata dal ministro dell’interno Amato nel corso dell’audizione sulle linee programmatiche del suo dicastero svoltasi presso la Commissione affari costituzionali del Senato il 27 giugno 2006.
[157]In particolare per quanto riguarda i lavoratori richiesti dalle piccole imprese, i collaboratori domestici e gli assistenti domiciliari (c.d. badanti), che costituiscono una parte rilevante della manodopera straniera impiegata in Italia.
[158]Si veda in proposito la relazione illustrativa del provvedimento.
[159]Tra questi, le capacità professionali degli interessati o loro appartenenza ad una determinata categoria di lavoratori, qualifica o mansione e la conoscenza della lingua italiana o di altre lingue.
[160] La garanzia relativa ai punti a), c) e d) veniva prestata mediante fideiussione o polizza assicurativa che doveva essere depositata presso la Questura competente assieme alla domanda di autorizzazione all'ingresso. Il titolo veniva trattenuto sino al momento in cui veniva rilasciato il permesso di soggiorno per motivi di lavoro, oppure nel momento in cui era negata l'autorizzazione all'ingresso o in cui giungeva la comunicazione della mancata concessione del visto di ingresso da parte della rappresentanza diplomatica o consolare.
[161]Atto n. 153.
[162]Disposizioni specifiche in merito alla durata sono previste per i lettori e i professori universitari, per i ricercatori, per gli infermieri professionali.
[163]Pubblicato in allegato all’A.C. 2976 (All. 1 e Allegato tecnico).
[164]Anch’esso pubblicato in allegato all’A.C. 2976, insieme a quello della Regione Lombardia (All. 2 e 3).
[165]In particolare nelle Osservazioni e proposte sulle politiche per l’immigrazione, approvate dal CNEL il 19 luglio 2006.
[166] Come si legge nell’audizione del Direttore generale dell’Ufficio italiano cambi, dottor Carlo Santini, presso il Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'accordo di Schengen, in data 21 aprile 2004: “Il sistema hawala, che si è affermato su scala mondiale e, in modo particolare, nei paesi con alta immigrazione, sostanzialmente prevede la partecipazione di quattro attori: l'ordinante, colui il quale vuole trasferire i fondi; il beneficiario, colui il quale riceverà da ultimo i fondi stessi; infine, due operatori, che vengono chiamati nella lingua del sistema hawaladar.
Il meccanismo di funzionamento è il seguente: l'ordinante del paese A, per esempio un immigrato che lavora in Italia, consegna il denaro all'hawaladar, ossia all'intermediario, che risiede in Italia. L'ordinante riceve dall'intermediario con il quale ha preso contatti un codice di autenticazione e provvede poi a comunicarlo, anche telefonicamente, al beneficiario del paese di destinazione. Il beneficiario con il codice si presenta all'altro hawaladar, ossia all'altro intermediario residente nel suo paese, e qui sulla base del codice, quest'ultimo, avendo nel frattempo parlato con il suo collega dell'altro paese, consegna la valuta. Quindi, non esiste alcun trasferimento fisico di valuta, ma un sistema di trasferimenti, prevalentemente via fono, che alla fine comportano dei sistemi di compensazione.”
[167]Dati della Banca Mondiale per il 2006.
[168]in aggiunta alle iniziative di gemellaggio già attuate da amministrazioni locali, la Commissione si propone di valutare la fattibilità di progetti di scambio focalizzati in particolare sulle comunità di migranti, basati sull’esperienza delle esperienze di scambio intracomunitarie.
[169]Cassazione civile, Sez. Unite, sen. 25 marzo 2005, n. 6426.
[170] Ministero degli affari esteri, Decreto 12 luglio 2000, Definizione delle tipologie dei visti d’ingresso e dei requisiti per il loro ottenimento.
[171] L’esigenza di una progressiva armonizzazione delle diverse politiche nazionali dei visti ha condotto in sede europea all’adozione del Regolamento n. 539 del 15 marzo 2001, che determina la lista degli Stati i cui cittadini sono soggetti all’obbligo del visto. Esso sostituisce il precedente Regolamento (CE) n. 574/99.
[172] Ministero dell’Interno, Direttiva 1° marzo 2000, Definizione dei mezzi di sussistenza per l’ingresso e il soggiorno degli stranieri nel territorio dello Stato.
[173]Come ha riferito il sottosegretario per l'interno Lucidi alla Camera il 1 febbraio 2007, il ministro dell'interno ha stipulato il 30 gennaio 2006 una convenzione con Poste italiane, il 9 febbraio 2006 un protocollo di intesa con gli istituti di patronato e il 13 febbraio 2006 un protocollo di intesa con l'ANCI.
La convenzione con Poste italiane prevede l'esternalizzazione dell'attività di front office precedentemente svolta dagli uffici immigrazione delle questure, l'informatizzazione delle procedure, la tracciabilità delle istanze in ogni fase del procedimento con l'attivazione degli elementi di sicurezza contenuti nella ricevuta di accettazione, l'utilizzo di prassi amministrative uniformi su tutto il territorio nazionale.
L'intenzione dell'accordo era quella di consentire il recupero del personale degli uffici immigrazione, già impegnato nelle attività delegate, il venir meno della necessità di ricorrere a lavoratori interinali, la riduzione dei tempi di rilascio e rinnovo dei permessi di soggiorno e l'assenza di oneri a carico del bilancio dell'amministrazione statale.
Gli istituti di patronato e gli uffici comunali hanno, invece, il compito di assistere gli stranieri, informandoli sui documenti necessari e sulle modalità di presentazione. Gli istituti di patronato, inoltre, hanno competenza a supportare gratuitamente i richiedenti nella compilazione delle istanze e nella trasmissione, in via telematica, dei relativi dati. Gli stessi istituti dispongono, altresì, di un canale privilegiato per seguire le pratiche durante il loro iter e conoscerne l'esito per informarne i diretti interessati.
Il Ministero dell'Interno, in collaborazione con Poste Italiane e l’Anci, ha anche realizzato un apposito sito web (www.portaleimmigrazione.it).
[174]Ad eccezione quelle relative ad alcune tipologie di permesso (motivi umanitari, richiesta-rilascio asilo politico, minore età, giustizia, status di apolide, ecc.) che devono essere presentate necessariamente alle questure; queste ultime possono comunque ricevere le richieste per tutti i tipi di permesso.
[175]Sulle disfunzioni del servizio prestato da Poste italiane spa è intervenuto il ministro dell’interno Amato rispondendo ad atti di sindacato ispettivo; si veda: Camera dei deputati, Assemblea, sedute dell’11 aprile e del 4 luglio 2007.
[176]È previsto un ulteriore costo di 27,50 euro per il rilascio del permesso di soggiorno elettronico.
[179]L. 28 maggio 2007, n. 68, Disciplina dei soggiorni di breve durata degli stranieri per visite, affari, turismo e studio.
[180]Nel citato documento del ministero dell’interno illustrativo della riforma si fa riferimento in proposito ad un reddito annuo non inferiore all’importo dell’assegno sociale.
[181]Circolare del Ministero dell’Interno del 24 febbraio 2003, Disposizioni in merito al rinnovo dei permessi di soggiorno per motivi umanitari.
[182] La Convenzione sulla partecipazione degli stranieri alla vita pubblica a livello locale, fatta a Strasburgo il 5 febbraio 1992, è stata ratificata dall’Italia, limitatamente ai capitoli A e B, con legge 8 marzo 1994, n. 203.
[183] Una selezione di contributi dottrinari sulla materia è rinvenibile nel dossier del Servizio studi Il riconoscimento del diritto di voto ai cittadini stranieri (Documentazione e ricerche n. 68, 15 ottobre 2003).
[184] Il primo comma dell’art. 48 Cost. recita: “Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età”.
[185] Il primo comma dell’art. 51 Cost. recita: “Tutti i cittadini dell'uno o dell'altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza […]”. Ai sensi del secondo comma, “La legge può, per l'ammissione ai pubblici uffici e alle cariche elettive, parificare ai cittadini gli italiani non appartenenti alla Repubblica”
[186] La legge ha modificato a tal fine gli artt. 4 e 6 della legge 24 gennaio 1979, n. 18, che disciplina l’elezione dei rappresentanti dell’Italia al Parlamento europeo.
[187] D.Lgs. 12 aprile 1996, n. 197, Attuazione della direttiva 94/80/CE concernente le modalità di esercizio del diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni comunali per i cittadini dell’Unione europea che risiedono in uno Stato membro di cui non hanno la cittadinanza.
[188] Deliberazione del Consiglio comunale n. 105 del 27 luglio 2004 di modifica dello statuto comunale.
[189] L’atto di annullamento è stato adottato con il D.P.R. 17 agosto 2005. Il parere del Consiglio di Stato (Sez. I) è il n. 9771/04 del 16 marzo 2005. In precedenza, ma limitatamente alle elezioni circoscrizionali, si era espresso invece in senso positivo la II sez. del Consiglio di Stato, rispondendo ad un quesito postole dalla regione Emilia-Romagna in relazione a una disposizione recata dallo statuto del comune di Forlì. il Ministero dell'interno (Dipartimento per gli affari interni e territoriali – Direzione centrale dei servizi elettorali) aveva argomentato il suo orientamento negativo nella circolare n. 4/2004 (Prot. 200400250 fasc. 15600/779) del 22 gennaio 2004.
Oggetto: elettorato attivo e passivo ai cittadini extracomunitari. Sul punto è quindi intervenuta anche la circolare
[190] Con la sent. 379/2004 la Corte ha affermato la legittimità dell’art. 15, co, 1, dello statuto dell’Emilia-Romagna che garantisce a tutti i residenti, compresi gli immigrati, il diritto di voto nei referendum regionali.
[191] La Corte, con la sent. 372/2004, ha stabilito che va dichiarata inammissibile, tra le altre, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, co. 6, dello statuto della Regione Toscana: secondo il quale “la Regione promuove, nel rispetto dei principi costituzionali, l’estensione del diritto di voto agli immigrati”.
[192] La Commissione, che aveva iniziato contestualmente l’esame della revisione della legge sulla cittadinanza, deliberò di sospendere la discussione sul diritto di voto, per concentrarsi sul tema della cittadinanza (cfr. l’intervento della relatrice sulla discussione del testo unificato delle p.d.l. 204 e abbinate in tema di cittadinanza: I Commissione, seduta del 16 maggio 2005).
[193] Il decreto è stato adottato in virtù della norma di delega conferita al Governo nell’art. 1, co. 1 e 3, della L. 62/2005 (legge comunitaria 2004).
[194] Il medesimo articolo ha inoltre inserito nel testo unico un nuovo art. 9-bis, che definisce lo status dello straniero in possesso di permesso di soggiorno di lungo periodo rilasciato da un altro Stato membro.
[195] Si tratta del coniuge, dei figli minori, anche del coniuge o nati fuori del matrimonio, non coniugati, a condizione che l’altro genitore, qualora esistente, abbia dato il suo consenso, dei figli maggiorenni a carico, qualora permanentemente non possano provvedere alle proprie indispensabili esigenze di vita in ragione del loro stato di salute e dei genitori a carico che non dispongano di un adeguato sostegno familiare nel Paese di origine o di provenienza.
[196]D.Lgs. 8 gennaio 2007, n. 3, Attuazione della direttiva 2003/109/CE relativa allo status di cittadini di Paesi terzi soggiornanti di lungo periodo.
[197] D.Lgs. 8 gennaio 2007 n. 5, Attuazione della direttiva 2003/86/CE relativa al diritto di ricongiungimento familiare.
[198]Atto n. 154, presentato il 31 agosto 2007.
[199]Al riguardo si segnala che nel documento contenente le linee guida per la riforma del testo unico in materia di immigrazione, depositato dal Ministro dell’interno Amato in occasione della sua audizione del 27 settembre 2006 presso la 1a Commissione del Senato si evidenziava che nel nostro Paese, come peraltro negli altri Paesi europei, il principale ostacolo all’effettività dei provvedimenti amministrativi e giudiziari di espulsione è rappresentato dalla difficoltà di identificare con certezza la nazionalità dell’immigrato clandestino o irregolare. L’incertezza sulla nazionalità determina infatti l’impossibilità del rimpatrio, in quanto esso può essere effettuato solo nel Paese di origine,
[200]Commissione per le verifiche e le strategie dei centri per gli immigrati, Rapporto conclusivo, 31 gennaio 2007, p. 27 - 28.
[201]Gli aiuti furono inizialmente previsti con il décret n. 84-310 del 27 aprile 1984, che trovava applicazione solo per talune categorie di lavoratori, e successivamente disciplinati dal Décret n° 87-844 du 16 octobre 1987 portant création d'une aide publique à la réinsertion des travailleurs étrangers.
[202] Code de l’entrée et du séjours des étrangers et du droit d’asile.
[203]Si ricorda peraltro che l’art. 1, comma 1, lettera d),del disegno di legge in esame prevede la soppressione della fattispecie del contratto di soggiorno.
[204]Pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea, L 144, del 6 giugno 2007.
[205]Considerando n. 11 della decisione.
[206]Tale finalità è esplicitata nella relazione illustrativa che accompagna il disegno di legge governativo (p. 7).
[207]Commissione per le verifiche e le strategie dei centri per gli immigrati, Rapporto conclusivo, 31 gennaio 2007, p. 29.
[208]Disponibile in rete al sito www.interno.it.
[209]Commissione per le verifiche e le strategie dei centri per gli immigrati, Rapporto conclusivo, 31 gennaio 2007, p. 36.
[210]Con tale sigla si fa riferimento ai Centri di Accoglienza, che hanno avuto ingresso nel nostro ordinamento con il D.L. 451/1995, convertito con la L. 563/1995 (c.d. legge “Puglia”).
[211]Tale interpretazione è peraltro supportata dal dossier informativo sulla riforma elaborato dal Ministero dell’interno.
[212]Commissione per le verifiche e le strategie dei centri per gli immigrati, Rapporto conclusivo, 31 gennaio 2007, p. 19.
[213]Commissione per le verifiche e le strategie dei centri per gli immigrati, Rapporto conclusivo, 31 gennaio 2007, p. 31.
[214]La titolarità dell’intervento dovrebbe – nelle proposte della Commissione (v. in particolare p. 33 del rapporto) –essere ricondotta in via generale all’ASL competente, escludendosi il ricorso a specifiche convenzioni in tale materia a livello locale.
[215]Si veda il comunicato stampa pubblicato al riguardo nel sito www.interno.it.
[216]Commissione per le verifiche e le strategie dei centri per gli immigrati, Rapporto conclusivo, 31 gennaio 2007, p. 25 - 26.
[217]Per un’illustrazione più puntuale dei contenuti della direttiva si veda il comunicato del 30 luglio 2007, Stretta sulle espulsioni: rimpatri più veloci attraverso il riconoscimento in carcere, pubblicato nel sito www.interno.it.
[218]D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394, Regolamento recante norme di attuazione del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, a norma dell'articolo 1, comma 6, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286.
[219]Commissione per le verifiche e le strategie dei centri per gli immigrati, Rapporto conclusivo, 31 gennaio 2007, p. 25 e segg. (specialmente pagg. 28-30).
[220]La Commissione evidenzia altresì la necessità di evitare il trattenimento nei CPTA di stranieri potenziali vittime di forme di violenza o di grave sfruttamento, dei malati e dei tossicodipendenti, sottolineando come tali soggetti dovrebbero essere tempestivamente inseriti nei programmi di protezione sociale, anche attraverso il rilascio di appositi permessi di soggiorno per motivi umanitari. Analogamente, il rapporto raccomandava l’individuazione di misure alternative al trattenimento e percorsi di regolarizzazione per colf ed assistenti familiari irregolarmente presenti nel territorio italiano.
[221]Commissione per le verifiche e le strategie dei centri per gli immigrati, Rapporto conclusivo, 31 gennaio 2007, p. 30.
[222]Commissione per le verifiche e le strategie dei centri per gli immigrati, Rapporto conclusivo, 31 gennaio 2007, p. 35.
[223]Si veda il comunicato stampa pubblicato al riguardo nel sito www.interno.it.
[224]Pubblicata in allegato al resoconto della seduta della Giunta delle autorizzazioni dell’11 gennaio 2006.
[225]Anch’essa pubblicata in allegato al resoconto della seduta della Giunta delle autorizzazioni dell’11 gennaio 2006.
[226]Pubblicato in allegato all’A.C. 2976 (All. 1).
[227]Anch’esso pubblicato in allegato all’A.C. 2976 (All. 3).
[228] Nella pubblicazione “La riforma del testo unico sull’immigrazione” (http://www.interno.it/mininterno/export/sites/default/it/sezioni/sala_stampa/documenti/immigrazione/Presentazione_riforma_Testo_Unico_Imigrazione.html_1375993313.html) a cura dell’Ufficio Stampa del Ministero dell’interno viene altresì chiarito che in assenza dei requisiti sopra illustrati “lo straniero dovrà lasciare il territorio nazionale, ma potrà comunque accedere alle procedure di rimpatrio volontario ed assistito”.
[229] Intervento nel corso del Convegno “Minori stranieri non accompagnati: percorsi di protezione e pratiche di integrazione” organizzato dal Ministero dell’Interno, della Solidarietà sociale e dall’ANCI, tenutosi a Roma il 10 luglio 2007.
[230] Il Comitato per i minori stranieri è operante presso il Ministero della Solidarietà sociale (v. art. 1 lett. b), D.P.R. 14 maggio 2007, n. 96, Regolamento per il riordino degli organismi operanti presso il Ministero della solidarietà sociale, a norma dell’articolo 29 del D.L. 4 luglio 2006, n. 223. convertito, con modificazioni dalla L. 4 agosto 2006, n. 248).
[231] “Enti locali, istituzioni e associazioni potranno così dar vita, nell’ambito dei tavoli messi a disposizione dai prefetti, ad iniziative sul territorio che consentano di affrontare i problemi dell’integrazione. Questo passo, che dà nuova forza ai consigli territoriali per l’immigrazione, è finalizzato anche ad un rinnovato dialogo ed un’analisi più approfondita fra tutti i soggetti che, a vario titolo, lavorano all’inclusione sociale, enfatizzando quella collaborazione interistituzionale che è la premessa per la soluzione dei problemi di sostegno ed inserimento degli immigrati nel contesto sociale. L’incontro tra domande ed offerte di lavoro e la collocazione nel mondo del lavoro, la formazione degli stranieri adulti, l’inserimento scolastico, la creazione di sportelli di informazione e di consulenza, il delicato tema dei minori non accompagnati, sono tutti esempi di un terreno su cui una rinnovata collaborazione può trasformarsi in un efficace sistema di governance locale” Dal comunicato stampa, relativo alla direttiva, del Ministero dell’interno http://www.interno.it/mininterno/export/sites/default/it/sezioni/sala_stampa/notizie/immigrazione/2007_03_26_Consigli_Territoriali_per_l_immigrazione.html.
[232] I dati statistici al riguardo, ripartiti per anni e per categorie sono nel raccolti nel volume "Le migrazioni di ritorno: il caso italiano” a cura dell'Organizzazione mondiale per la migrazione e dell'Anci, in collaborazione con Caritas-Migrantes e il supporto del Ministero dell'interno.
[233] “I diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia: 3° rapporto di aggiornamento sul monitoraggio della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia 2006-2007” a cura del Gruppo di lavoro per la Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza.
[234] D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, "Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni".
[235]Ai sensi dell'articolo 8 (Disciplina dei rapporti per l'erogazione delle prestazioni assistenziali), commi 5 e 7, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell'articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421)., e successive modificazioni.
[236]Ai sensi della legge 29 luglio 1975, n. 405 (Istituzione dei consultori familiari) e della legge 22 maggio 1978, n. 194 (Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza) e del decreto 6 marzo 1995 del Ministro della salute (Aggiornamento del decreto ministeriale 14 aprile 1984 recante, Protocolli di accesso agli esami di laboratorio e di diagnostica strumentale per le donne in stato di gravidanza ed a tutela della maternità responsabile), a parità di trattamento con i cittadini italiani.
[237]L’articolo 7 (Requisiti) stabilisce che possono inoltrare domanda di ammissione al reddito minimo di inserimento i soggetti indicati all'articolo 6 che alla data di entrata in vigore del decreto siano legalmente residenti da almeno dodici mesi, ovvero, se cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea o apolidi, da almeno tre anni, in uno dei comuni che effettuano la sperimentazione.
[238]Cfr. per ulteriori approfondimenti anche il sito www.inps.it.
[239]Riconosciuta ai sensi dell’articolo 12 della legge n. 118 del 1971(Conversione in legge del decreto-legge 30 gennaio 1971, n. 5 e nuove norme in favore dei mutilati ed invalidi civili). La condizione prevista è quella di essere cittadino italiano residenti in Italia o straniero titolare di carta di soggiorno con età compresa tra il 18° e il 65° anno, con un reddito annuo per 2007 non superiore a 14.238,75 euro.
[240]Riconosciuta ai sensi dell’articolo 13 della citata legge n. 118 del 1971. La condizione prevista è quella di essere cittadino italiano residenti in Italia o straniero titolare di carta di soggiorno età compresa tra il 18° al 65° anno, incollocabili al lavoro, privi di altre pensioni erogate dall'INPS o da altri enti previdenziali, con un reddito annuo non superiore per il 2007 a 4.171,44 euro.
[241]Riconosciuta ai sensi della legge 11 febbraio 1980, n. 18. La condizione prevista è quella di essere cittadino italiano residenti in Italia o straniero titolare di carta di soggiorno, senza limiti di età e di reddito.
[242]Riconosciuta ai sensi della legge 11 ottobre 1990, n. 289 (Modifiche alla disciplina delle indennità di accompagnamento di cui alla legge 21 novembre 1988, n. 508). La condizione prevista è quella di essere cittadino italiano residenti in Italia o straniero titolare di carta di soggiorno minori di 18 anni, che frequenta scuole o centri formativi o riabilitativi, con un reddito annuo non superiore per il 2007 a 4.171,44 euro.
[243]Riconosciuta ai sensi della legge 10 febbraio 1962, n. 66 (Nuove disposizioni relative all'Opera nazionale per i ciechi civili ). La condizione prevista è quella di essere cieco totale e cittadino italiano residenti in Italia o straniero titolare di carta di soggiorno età compresa tra il 18° al 65° anno non ricoverati con un reddito annuo per il 2007 non superiore a 14.238,75 euro;
[244]Riconosciuta ai sensi della legge 26 maggio 1970, n. 381 (Aumento del contributo ordinario dello Stato a favore dell'Ente nazionale per la protezione e l'assistenza ai sordomuti e delle misure dell'assegno di assistenza ai sordomuti). La condizione è quella di essere cittadino italiano residenti in Italia o straniero titolare di carta di soggiorno età compresa fra i 18 e i 65 anni di età, con un reddito personale non superiore per il 2007 a 14.238,75 euro.
[245]Riconosciuto ai sensi dell’articolo 65 (Assegno ai nuclei familiari con almeno tre figli minori) della legge 23 dicembre 1998 n. 448 (Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo). In particolare l’articolo 80, comma 5 della legge 23 dicembre 2000 n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2001) stabilisce che l'assegno di cui all'articolo 65 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, e successive modificazioni, come ulteriormente modificato dal presente articolo, e come interpretato ai sensi del comma 9, è concesso, nella misura e alle condizioni previste dal medesimo articolo 65 e dalle relative norme di attuazione, ai nuclei familiari, nei quali siano presenti il richiedente, cittadino italiano o comunitario, residente nel territorio dello Stato, e tre minori di anni 18 conviventi con il richiedente, che siano figli del richiedente medesimo o del coniuge o da essi ricevuti in affidamento preadottivo.
[246]Riconosciuto ai sensi del citato articolo 66 della legge 23 dicembre 1999, n. 488. Le disposizioni previste al menzionato articolo 66 sono ora contenute negli articoli 74, 75 e 80 del testo unico approvato con Decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell'articolo 15 della L. 8 marzo 2000, n. 53).
[247]“Revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale”.
[248] L. 27 dicembre 2006, n. 296, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007).
[249] D.Lgs. 9 luglio 2003, n. 215, Attuazione della direttiva 2000/43/CE per la parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica.
[250]D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394, Regolamento recante norme di attuazione del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, a norma dell'art. 1, comma 6, del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286.
[251]In materia si veda anche la Circolare del Ministero dell’interno del 28 maggio 2007 relativa all’applicazione dell’art. 18 del T.U. in materia di immigrazione.
[252] Per una sintetica illustrazione delle novità introdotte dalla L. 189/2002, si rinvia alla scheda di lettura concernente il quadro normativo.
[253] La proposta di legge è sottoscritta da quasi tutti i deputati del gruppo Rifondazione comunista - Sinistra europea.
[254] Si veda in proposito l’ampia relazione illustrativa.
[255] La delega fu attuata con l’emanazione del testo unico in materia di immigrazione, il D.Lgs. 286/1998. Si veda in proposito la scheda sulla normativa vigente.
[256] La L. 28 maggio 2007, n. 68, Disciplina dei soggiorni di breve durata degli stranieri per visite, affari, turismo e studio, dispone che per l'ingresso in Italia per visite, affari, turismo e studio non è richiesto il permesso di soggiorno qualora la durata del soggiorno stesso sia non superiore a tre mesi, bensì una semplice dichiarazione di presenza.
[257] Si veda in proposito il disegno di legge del Governo , approvato dal Senato (A.S. 1201), e in corso di esame da parte della II Commissione (Giustizia) della Camera (A.C. 2784) che presenta alcuni punti di contatto con tale tipo di regolarizzazione.
[258] D.Lgs. 8 gennaio 2007, n. 5, Attuazione della direttiva 2003/86/CE relativa al diritto di ricongiungimento familiare.