Camera dei deputati - XV Legislatura - Dossier di documentazione
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento giustizia | ||
Titolo: | Disposizioni in materia di reati di grave allarme sociale e di certezza della pena - A.C. 3241 | ||
Riferimenti: |
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Serie: | Progetti di legge Numero: 306 | ||
Data: | 16/01/2008 | ||
Organi della Camera: | II-Giustizia |
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Camera dei deputati |
XV LEGISLATURA |
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SERVIZIO STUDI |
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Progetti di legge |
Disposizioni in materia di reati di grave allarme sociale e di certezza della pena A.C. 3241 |
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n. 306 |
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16 gennaio 2008 |
Dipartimento giustizia
SIWEB
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File: gi0265.doc
INDICE
Elementi per l’istruttoria legislativa
§ Necessità dell’intervento con legge
§ Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite
§ Incidenza sull’ordinamento giuridico
§ Impatto sui destinatari delle norme
Contenuto del disegno di legge AC 3241
§ Art. 1. (Modifiche al codice penale).
§ Art. 2. (Modifica all'articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354).
§ Art. 3. (Modifica all'articolo 222 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285).
§ Art. 4. (Modifiche al codice di procedura penale).
§ Art. 6. (Clausola di invarianza).
§ Art. 7. (Entrata in vigore).
§ Codice penale (artt. 43, 62, 63, 69, 98, 99, 102, 103, 105, 114, 133, 135, 157-161, 164, 240, 285, 286, 407, 416, 416-bis, 422, 423-bis, 439, 440, 449, 571, 572, 575, 589, 590, 600-604, 609-bis-609-quinquies, 609-octies 609-decies, 624, 624-bis, 625, 628-630, 648-bis, 648-ter)
§ Codice di procedura penale (art. 38, 47, 51, 71, 253-263, 274-276, 284, 303, 309-311, 321, 360, 364, 380, 392, 444, 453-455, 533, 599, 602, 656)
§ Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del C.P.P. (artt. 83 e 97)
§ Legge 22 aprile 1941 n. 633. Protezione del diritto d'autore e di altri diritti connessi al suo esercizio (art. 171-sexies)
§ D.P.R. 23 gennaio 1973 n. 43. Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale.
§ L. 26 luglio 1975, n. 354. Norme sull'ordinamento penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative e limitative della libertà (artt. 4-bis, 13, 47, 47-ter e 50)
§ L. 25 ottobre 1977, n. 881. Ratifica ed esecuzione del patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali, nonché del patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, con protocollo facoltativo, adottati e aperti alla firma a New York rispettivamente il 16 e il 19 dicembre 1966 (art. 14 del patto)
§ D.P.R. 22 settembre 1988 n. 448. Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni (art. 23)
§ D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza (artt. 89, 90 e 94)
§ D.L. 13 maggio 1991, n. 152. Provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata e di trasparenza e buon andamento dell'attività amministrativa (convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, L. 12 luglio 1991, n. 203)
§ D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285. Nuovo codice della strada (artt. 186, 187, 222 e 223)
§ L. 9 agosto 1993, n. 328. Ratifica ed esecuzione della convenzione sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato, fatta a Strasburgo l'8 novembre 1990.
§ L. 8 agosto 1995, n. 332. Modifiche al codice di procedura penale in tema di semplificazione dei procedimenti, di misure cautelari e di diritto di difesa.
§ D.Lgs. 25 luglio 1998 n. 286. Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero. (art. 12)
§ D.Lgs. 28 agosto 2000 n. 274. Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell'articolo 14 della L. 24 novembre 1999, n. 468 (art. 52)
§ L. 19 marzo 2001, n. 92. Modifiche alla normativa concernente la repressione del contrabbando di tabacchi lavorati.
§ Legge n. 128 del 26 Marzo 2001. Interventi legislativi in materia di tutela della sicurezza dei cittadini
§ Legge 5 dicembre 2005, n. 251. Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n.354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione
§ L. 20 febbraio 2006 n. 46. Modifiche al codice di procedura penale, in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento (art. 5)
§ D.Lgs. 3 aprile 2006 n. 152. Norme in materia ambientale (art. 260)
§ D.L. 1 ottobre 2007 n. 159. Interventi urgenti in materia economico-finanziaria, per lo sviluppo e l'equità sociale (convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, L. 29 novembre 2007, n. 222 (art. 38)
Giurisprudenza
Corte costituzionale
§ Sentenza n. 64 del 1970
§ Sentenza n.1 del 1980
§ Sentenza n. 15 del 1982
§ Sentenza n. 342 del 1983
§ Ordinanza n. 339 del 1995
§ Ordinanza n. 450 del 1995
§ Ordinanza n. 40 del 2002
§ Ordinanza n.130 del 2003
§ Ordinanza n. 137 del 2003
§ Sentenza n. 393 del 2006
§ Ordinanza n. 281 del 2007
Corte di cassazione
§ Sez. I penale, Sentenza n. 8058 del 1995 (massima).
§ Sez. VII, Ordinanza n. 40767 del 2001
§ Sez. I, Sentenza n. 40320 del 2003
§ Sez. V, Sentenza n. 5771 del 2004
§ Sez. II penale, Sentenza n. 39673 del 2004
§ Sez. VI, Sentenza n. 29405 del 2006
Corte europea dei diritti dell’uomo
§ Sentenza 6 novembre 2003, Pantano c. Italia
Commissione bicamerale di inchiesta sul fenomeno della criminalità organizzata mafiosa o similare
§ Seduta del 14 giugno 2007, Audizione del Governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi
Numero del progetto di legge |
3241 |
Titolo |
Disposizioni in materia di reati di grave allarme sociale e di certezza della pena |
Iniziativa |
Governo |
Settore d’intervento |
Diritto penale, Diritto processuale penale |
Iter al Senato |
No |
Numero di articoli |
7 |
Date |
|
§ presentazione alla Camera |
13 novembre 2007 |
§ annuncio |
14 novembre 2007 |
§ assegnazione |
28 novembre 2007 |
Commissione competente |
II (Giustizia) |
Sede |
Referente |
Pareri previsti |
Commissioni I (Aff. costit.),V (Bilancio), VI (Finanze), VIII (Ambiente), IX (Trasporti), X (Att. produt.), XII (Aff. sociali) (ai sensi dell'art. 73 reg. Camera) |
Il disegno di legge A.C. 3241, adottato dal Governo a seguito del verificarsi di taluni gravi episodi di criminalità che hanno suscitato particolare allarme sociale, prevede una serie di interventi normativi di carattere penale sostanziale e processuale volti ad assicurare più adeguati strumenti di tutela della sicurezza dei cittadini.
Nello specifico, l'articolo 1 del disegno di legge reca talune modifiche al codice penale riguardanti, in particolare, gli istituti della prescrizione e della sospensione condizionale della pena, nonché taluni reati di maggiore incidenza sulla sicurezza dei cittadini.
Il medesimo articolo prevede, inoltre, l'inserimento nel codice penale di un nuovo delitto, rubricato "adescamento di minorenni" e sanzionato con la pena della reclusione da 1 a 3 anni.
L’articolo 2 del disegno di legge in esame interviene, invece, sulla legge n. 354 del 1975(ordinamento penitenziario) al fine di aggiungere all'attuale formulazione dell'articolo 4-bis un ulteriore comma, riguardante uno specifico elemento di valutazione che deve essere tenuto presente dal magistrato al fine del riconoscimento dei benefici penitenziari nei confronti delle persone detenute per specifici reati.
L’articolo 3 integra la formulazione dell’articolo 222 del Codice della strada al fine di prevedere l'applicabilità della sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente nel caso di omicidio colposo commesso in violazione delle norme del citato Codice della strada eda persona che, al momento del fatto, si trovava in un particolare stato di ebbrezza o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti.
L’articolo 4 del disegno di legge novella alcuni articoli del codice di procedura penale riguardanti, in particolare, la disciplina delle misure cautelari, dell'incidente probatorio, del rito immediato e della sospensione della esecuzione della pena detentiva.
Il medesimo articolo 4, prevede poi l'abrogazione del cosiddetto istituto del "patteggiamento in appello".
L'articolo 5 del disegno di legge novella l’articolo 23, primo comma, delle disposizioni sul processo penale minorile (DPR 448/1988) al fine di prevedere la possibilità di applicare la misura della custodia cautelare in carcere anche ai minori indagati o imputati per i reati di furto in abitazione e furto con strappo.
L'articolo 6 reca la clausola di invarianza finanziaria del provvedimento, mentre il successivo articolo 7 concerne l'entrata in vigore del disegno di legge prevista per il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
Al disegno di legge A.C. 3241 è allegata unicamente la relazione illustrativa del Governo.
Il disegno di legge A.C. 3241 intervie su disposizioni legislative di rango primario e su materie coperte da riserva di legge. Si giustifica, pertanto, l’utilizzo dello strumento legislativo.
Come precedentemente rilevato, il disegno di legge in esame interviene su istituti di diritto penale e processual-penale e, quindi, su materie rientranti nella potestà legislativa esclusiva dello Stato.
La base normativa dei provvedimenti è, pertanto, ravvisabile nell’articolo 117, comma 2, lettera l (giurisdizione enorme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa).
Con decisione n. 779 del 20 giugno 2007 è stato istituito il programma specifico “Lotta alla violenza (Daphne III)” nell’ambito del programma generale “Diritti fondamentali e giustizia”.
Il programma, istituito per il periodo dal 1º gennaio 2007 al 31 dicembre 2013 con una dotazione di 116,85 milioni di euro, prevede i seguenti obiettivi specifici:
§ prevenire e combattere tutte le forme di violenza che si verificano nel settore pubblico o privato contro i bambini, i giovani e le donne, adottando misure preventive e sostenendo le vittime e i gruppi a rischio;
§ promuovere azioni transnazionali.
Al fine di conseguire gli obiettivi indicati, il programma intende sostenere i seguenti tipi di azione:
§ azioni specifiche della Commissione, quali studi e ricerche, elaborazione di indicatori, sviluppo e diffusione di dati e statistiche, supporto e gestione di reti di esperti nazionali, di monitoraggio;
§ progetti transnazionali specifici di interesse comunitario;
§ sostegno alle attività di organizzazioni non governative o di altri enti che perseguono un obiettivo di interesse europeo generale nel quadro degli obiettivi generali del programma;
§ una sovvenzione di funzionamento per cofinanziare le spese connesse con il programma di lavoro permanente della Federazione europea per i bambini scomparsi e sfruttati a scopo sessuale.
Il 1° marzo 2006 la Commissione ha presentato una comunicazione relativa ad una tabella di marcia (COM(2006)92) che individua sei ambiti prioritari dell’azione dell’UE in tema di parità tra i generi per il periodo 2006-2010:
§ una pari indipendenza economica per le donne e gli uomini;
§ l’equilibrio tra attività professionale e vita privata;
§ la pari rappresentanza nel processo decisionale;
§ l’eradicazione di tutte le forme di violenza fondate sul genere;
§ l’eliminazione di stereotipi sessisti;
§ la promozione della parità tra i generi nelle politiche esterne e di sviluppo.
La Commissione sottolinea che le donne sono le principali vittime della violenza basata sul genere, una violazione del diritto fondamentale alla vita, alla sicurezza, alla libertà e all’integrità fisica ed emotiva che non può essere tollerata né giustificata per alcun motivo. Ritiene pertanto necessario un intervento urgente al fine di eliminare attitudini e pratiche nefaste, abituali o tradizionali, quali la mutilazione genitale femminile, i matrimoni precoci forzati e i delitti d’onore.
Considerando la tabella di marcia, il Consiglio europeo del 23 e 24 marzo 2006 ha adottato un patto europeo per la parità di genere, al fine di incoraggiare l’azione a livello di Stati membri e di Unione europea nei settori considerati dalla Tabella.
Il 13 marzo 2007 Il Parlamento europeo ha approvato una risoluzionesu una tabella di marcia per la parità tra donne e uomini 2006-2010, nella quale, tra le altre cose, sollecita un maggiore impegno della Commissione e degli Stati membri in tema di parità di genere, considerando che la violenza contro le donne è la più diffusa violazione dei diritti dell'uomo, senza limiti geografici, economici o sociali, e che nonostante gli sforzi messi in opera a livello nazionale, comunitario ed internazionale, il numero di donne vittime di violenze è allarmante. Il Parlamento europeo ribadisce inoltre che l'espressione "violenza contro le donne" comprende tutti gli atti di violenza contro il genere femminile che si traducono, o possono tradursi, in lesioni o sofferenze fisiche, sessuali o psicologiche per le donne, incluse le minacce di tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica che nella vita privata,
Si ricorda infine che il 2 febbraio 2006 il Parlamento europeo ha approvato una risoluzionesulla situazione attuale nella lotta alla violenza contro le donne ed eventuali azioni future, nella quale, fra l’altro:
§ raccomanda alla Commissione e agli Stati membri:
- di considerare la violenza contro le donne come un fenomeno strutturale e come uno degli ostacoli principali agli sforzi volti a superare le ineguaglianze tra donne e uomini;
- di adottare una politica di “tolleranza zero” nei confronti di tutte le forme di violenza contro le donne;
- di adottare un quadro di cooperazione tra organizzazioni governative e non governative (ONG) allo scopo di sviluppare pratiche per combattere la violenza domestica;
- di nominare relatori nazionali incaricati di raccogliere, scambiarsi ed elaborare informazioni e statistiche sulla violenza degli uomini contro le donne;
- di stabilire un sistema unico di registrazione dei casi di maltrattamento, presso tutte le autorità competenti degli Stati membri, gli ospedali e i servizi sociali, in modo da garantire una registrazione comune dei dati e un loro impiego più frequente;
- di monitorare attentamente il traffico di esseri umani attraverso tutte le frontiere;
§ sollecita gli Stati membri ad adottare misure adeguate in materia di violenza contro le donne nelle legislazioni nazionali, e in particolare:
- riconoscere come reato la violenza sessuale tra coniugi e rendere punibile lo stupro all’interno del matrimonio;
- assicurare alla vittima il diritto ad un accesso sicuro alla giustizia e la sua effettiva applicazione, anche prevedendo indennizzi;
§ chiede agli Stati membri di adottare misure adeguate per assicurare una protezione e un’assistenza migliori alle vittime e a coloro che rischiano di divenire vittime della violenza contro le donne;
§ invita gli Stati membri a fare uso del programma Daphne II per combattere i “delitti d’onore” negli Stati membri;
§ invita gli Stati membri a sviluppare programmi di sensibilizzazione e di informazione del pubblico sulla violenza domestica e a ridurre gli stereotipi sociali sulla posizione delle donne nella società attraverso i sistemi educativi e i mezzi d’informazione.
§ invita gli Stati membri ad adottare misure adeguate per far cessare le mutilazioni genitali femminili;
§ chiede alla Commissione di proclamare un Anno europeo contro la violenza degli uomini ai danni delle donne;
§ considera della massima importanza l’esistenza di statistiche affidabili sulle denunce fatte dalle donne alle forze dell’ordine in merito ai trattamenti brutali ed inumani da esse subiti;
§ chiede alla Commissione di istituire un meccanismo con cui identificare gli Stati membri in cui le donne subiscono maggiori violenze.
Nella comunicazione sugli obiettivi strategici 2005-2009 la Commissione ha posto i diritti dei minori al centro della sua attenzione: “Una particolare priorità consiste nell’efficace tutela dei diritti dei minori contro lo sfruttamento economico e tutte le forme di abuso. A tale riguardo, l’Unione dovrebbe fungere da esempio per il resto del mondo”[1].
In questo quadro, il 4 luglio 2006 la Commissione europea ha presentato la comunicazione intitolata “Verso una strategia dell’Unione europea sui diritti dei minori” (COM(2006) 367)[2], con la quale propone di elaborare una strategia globale dell’UE per promuovere e salvaguardare i diritti dei minori nelle politiche interne ed esterne dell’Unione europea, e di sostenere gli sforzi degli Stati membri in questo settore[3].
La Commissione suggerisce che la strategia si articoli intorno a sette obiettivi specifici, comprendenti ciascuno una serie di iniziative:
- Fare tesoro delle attività già avviate affrontando i bisogni urgenti
- Individuare le priorità per l’azione futura dell’UE
- Integrare sistematicamente i diritti dei minori nelle politiche dell’UE
- Creare un coordinamento e meccanismi di consultazione efficaci
- Migliorare le capacità e le competenze
- Elaborare una strategia di comunicazione più efficace
- Promuovere i diritti dei minori nelle relazioni esterne.
La Commissione intende elaborare una strategia globale in materia e invita gli Stati membri, le istituzioni europee e le altre parti interessate a partecipare attivamente allo sviluppo e al buon esito di questa strategia.
Nell’ambito delle iniziative previste nella comunicazione, il 4 giugno 2007 la Commissione ha inaugurato a Berlino un Forum per i diritti dei minori, al quale partecipano, accanto alle istituzioni dell’Unione europea, l’ONU, l’Unicef, il Consiglio d’Europa, Interpol, osservatori nazionali dell’infanzia, difensori dei diritti dei minori, rappresentanti della società civile ed altri operatori. Il Forum è concepito come uno spazio permanente di lavoro e di riflessione per ampliare ed adeguare la Strategia europea dei diritti del bambino.
Temi fondamentali del Forum sono l’importanza della centralità del ruolo dei minori nel processo decisionale e le ripercussioni positive che da tale centralità conseguono nell’istruzione, nell’integrazione e nelle relazioni esterne. Il Forum si occupa, inoltre, del problema dei contenuti violenti e indesiderati nelle tecnologie digitali come Internet, le consolle di gioco e i giochi in linea, per valutare il necessario livello di controllo.
Il 16 gennaio 2008 il Parlamento europeo ha posto all’ordine del giorno la discussione su una proposta di risoluzione (relatrice on. Roberta Angelilli, gruppo Unione per l’Europa delle Nazioni), relativa alla strategia europea per i diritti dei minori, nella quale, tra le altre cose, viene dato particolare rilievo alle misure contro la cibercriminalità e si auspica una maggiore cooperazione tra autorità pubbliche ed enti privati al fine di impedire agli utenti di Internet l’accesso a siti illegali correlati ad abusi sessuali su minori.
Il programma legislativo e di lavoro della Commissione per il 2008 include tra le iniziative prioritarie l’approvazione di un programma volto a proteggere i bambini che utilizzano Internet e i nuovi mezzi di comunicazione (2009-2013). Questo nuovo programma, che dovrebbe essere adottato nel mese di febbraio 2008, si baserà sui risultati ottenuti con il programma Safer internet plus[4]. L’obiettivo è promuovere un utilizzo piùsicuro di Internet e delle nuove tecnologie online, soprattutto per i minori, e combattere i contenuti illegali e i contenuti non richiesti dall’utente finale, nell’ambito di una strategia coerente dell’UE.
Si ricorda inoltre che il 20 dicembre 2006 è stata adottata una raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio (2006/952/CE) relativa alla tutela dei minori e della dignità umana e al diritto di rettifica relativamente alla competitività dell’industria europea dei servizi audiovisivi e d’informazione in linea.
Il Parlamento europeo e il Consiglio, in particolare, raccomandano che:gli Stati membri adottino le misure necessarie per assicurare la protezione dei minori e della dignità umana nell’insieme dei servizi audiovisivi e d’informazione in linea:
La raccomandazione prevede in particolare che gli Stati membri adottino le misure necessarie per punire i reati relativi allo sfruttamento sessuale dei bambini e i reati di pornografia infantile. Dispone inoltre che ciascuno Stato membro adotti le misure necessarie a fare sì che l’istigazione, il favoreggiamento e la complicità nella commissione di tali reati siano punibili.
Il 22 maggio 2007 la Commissione ha presentato la comunicazione “Verso una politica generale di lotta contro la cibercriminalità”, in cui illustra una serie di iniziative volte, in particolare, a migliorare la cooperazione transnazionale fra le autorità di contrasto e la cooperazione pubblico-privato nella lotta contro la diffusione di materiale pedopornografico.
La guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti figura tra le principali cause di incidenti stradali, come ricordato in una serie di documenti in materia di sicurezza stradale adottati dalla Commissione europea e ribadito anche dal Consiglio e dal Parlamento europeo in occasione del loro esame.
Gli interventi intesi a prevenire o a sanzionare tali comportamenti di guida pericolosi sono considerati prioritari dalle istituzioni europee anche al fine di contribuire al raggiungimento dell’obiettivo di dimezzare, entro il 2010, il numero delle vittime di incidenti stradali. Tale obiettivo, fissato nel libro bianco del 2001 sulla politica comune dei trasporti (COM(2001)370), è stato successivamente riconfermato da altri documenti che prospettano misure intese a migliorare la sicurezza stradale.
Misure specifiche volte ad arginare il fenomeno della guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti sono previste dal programma di azione sulla sicurezza stradale relativo al periodo 2003-2010 (COM(2003)311) che prospetta tra l’altro:
§ l’applicazione della raccomandazione del 17 gennaio 2001 sul tasso massimo di alcolemia al volante nonché la prova di alcolemia antiavviamento;
§ la promozione di studi riguardanti gli effetti di droghe e medicine ed un’adeguata classificazione per i farmaci che hanno effetti sull’idoneità alla guida;
§ la revisione delle norme minime concernenti l’idoneità fisica e mentale alla guida;
§ la riabilitazione degli autori di infrazioni gravi al codice della strada;
§ una revisione della direttiva 91/439/CEE sulla patente di guida al fine di introdurre norme minime per gli esaminatori e un accesso progressivo ai veicoli motorizzati[5]. La Commissione ritiene, inoltre, che gli Stati membri dovrebbero accelerare l’applicazione della Convenzione di Vienna del 1998 relativa al ritiro della patente di guida al fine di ridurre le differenze esistenti a livello comunitario per quanto riguarda le sanzioni applicate. Per contribuirvi, la Commissione intende favorire la realizzazione di una rete di informazione[6] fra le amministrazioni nazionali competenti in materia di patenti di guida e dare il proprio sostegno a campagne di informazione su scala europea;
§ incoraggiare gli utenti ad un migliore comportamento mediante un rafforzamento dei controlli di polizia e la promozione di campagne di sensibilizzazione e di educazione;
§ promuovere i lavori specifici sui giovani conducenti e sugli anziani nel quadro della patente di guida e dell’educazione stradale.
Infine, partendo dal presupposto che la guida pericolosa è assimilabile alla criminalità, nel programma di azione la Commissione preannuncia l’intenzione di presentare iniziative nel quadro della politica comunitaria in materia di giustizia.
Successivamente, anche una raccomandazione sull’applicazione della regolamentazione in materia di sicurezza stradale (2004/345/CE)[7] ha ribadito che le principali infrazioni, cause di incidenti mortali, continuano ad essere, oltre al mancato uso delle cinture di sicurezza, l’eccesso di velocità e la guida in stato di ebbrezza. Considerato che una migliore applicazione della regolamentazione relativa a queste infrazioni ridurrebbe di più del 50% il numero delle vittime, la Commissione ha deciso di formulare alcune raccomandazioni esclusivamente su questi aspetti della sicurezza stradale.
La Commissione, tra l’altro, invita gli Stati membri a fare in modo che tutte le infrazioni ai limiti di velocità registrate dai dispositivi di controllo siano perseguite, ad effettuare controlli a campione dell’alcolemia specialmente nei luoghi e nei momenti in cui si registra il maggior numero di infrazioni, ad applicare sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive o misure correttive per le infrazioni constatate nel corso dei controlli intensivi, ad assicurare la notifica delle infrazioni commesse da conducenti cittadini di altri Stati membri al rispettivo Stato di appartenenza.
Da ultimo nella comunicazione del 7 febbraio 2007 “Un quadro normativo competitivo nelsettore automobilisticoper il XXI secolo – Posizione della Commissione sulla relazione finale del gruppo ad alto livello CARS 21”, (COM(2007)22), la Commissione, dopo aver ribadito la necessità che un'efficace strategia di sicurezza stradale sia basata su un approccio integrato che comprenda miglioramenti in materia di tecnologia dei veicoli, infrastrutture stradali, comportamenti di guida ed applicazione delle norme, sollecita gli Stati membri a migliorare ulteriormente le attività di repressione della guida in stato di ebbrezza e degli eccessi di velocità.
Anche il Consiglio ed il Parlamento europeo si sono pronunciati in varie occasioni su questi aspetti, associandosi alle preoccupazioni espresse dalla Commissione ed invitando all’adozione di misure tempestive e dissuasive.
In particolare, il Parlamento europeo nella risoluzione del 18 gennaio 2007 relativa allacomunicazione sul bilancio intermedio delle misure previste nel programma d’azione sulla sicurezza stradale (COM(2006)74) sottolinea che, nel breve periodo, il modo più efficace per favorire il miglioramento delle norme di idoneità alla guida nell'Unione europea consiste nel fare rispettare il codice della strada degli Stati membri, in particolare per quanto riguarda l'eccesso di velocità e la guida in stato di ebbrezza. Con particolare riferimento a questi aspetti il Parlamento europeo esorta gli Stati membri a valutare l'introduzione di un tasso massimo di alcolemia dello zero per mille per i giovani conducenti nonché per gli autisti che guidano veicoli per il trasporto di passeggeri o di merci pericolose, ritiene che la guida sotto l'effetto di stupefacenti sia un problema grave che va combattuto e che gli Stati membri e la Commissione debbano destinare maggiori risorse alla ricerca e alla lotta contro tali infrazioni.
Inoltre, il 5 settembre 2007 il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione sulla strategia comunitaria volta ad affiancare gli Stati membri nei loro sforzi per ridurre i danni derivanti dal consumo di alcool, nella quale, con specifico riferimento alla stretta correlazione tra consumo di alcol e sicurezza stradale:
§ esprime preoccupazione per l'aumento del consumo di alcol tra minorenni e giovani e prende atto della loro allarmante tendenza alla guida sotto l'effetto di alcol e droghe;
§ chiede agli Stati membri di limitare l'accesso dei giovani alle bevande alcoliche e la loro disponibilità, ad esempio applicando rigorosamente la legislazione in vigore che proibisce la vendita di alcol ai giovani ed intensificando i controlli su rivenditori e distributori;
§ è convinto che la riduzione del numero di incidenti stradali e dei danni correlati provocati dall'alcol (17.000 vittime ogni anno) sia una priorità dell'Unione europea e quindi chiede alla Commissione di indicare e quantificare gli effetti nocivi della guida in stato di ebbrezza negli Stati membri, per poi procedere alla formulazione di obiettivi europei destinati agli Stati membri nell'ambito dei quali questi ultimi si impegnino a ridurre gli effetti nocivi della guida in stato di ebbrezza. Rileva, inoltre, che la Commissione deve svolgere una funzione di supporto in relazione al conseguimento degli obiettivi europei, aiutando gli Stati membri a scambiarsi le conoscenze e le migliori pratiche e a realizzare studi europei sugli effetti nocivi della guida in stato di ebbrezza,
§ fatti salvi gli eventuali impegni imposti dalla normativa comunitaria, sottolinea che gli Stati membri hanno la facoltà di decidere le misure da adottare a livello nazionale, ma che essi devono riferire alla Commissione in merito ai progressi compiuti nella lotta agli effetti nocivi della guida in stato di ebbrezza;
§ sottolinea la necessità di contrastare il problema del consumo nocivo e pericoloso di alcol da parte di chi guida, mediante campagne d'informazione e di sensibilizzazione ed eventualmente attraverso un attento controllo del contenuto delle legislazioni nazionali. A tal fine ritiene necessario adottare una serie di misure specifiche quali: aumentare i controlli del tasso di alcolemia ed affrontare la notevole disparità delle normative tra Stati membri; promuovere sanzioni più severe per la guida in stato di ebbrezza, quali la sospensione prolungata della patente di guida; promuovere la fissazione di un livello massimo di alcolemia pari allo zero per mille per i conducenti di un mezzo di trasporto che richieda una patente di guida di categoria A o B e per i conducenti di un mezzo di trasporto che richieda una patente di guida di categoria superiore, e per tutti gli autisti professionisti; garantire la disponibilità di mezzi di trasporto pubblici alternativi per i conducenti che hanno consumato alcolici; incoraggiare l'estensione dei "programmi sul conducente designato" ("chi guida non beve"); intensificare lo scambio delle migliori pratiche tra Stati membri in merito alle modalità di cooperazione in materia di consumo nocivo e pericoloso di alcol e tra forze di polizia nazionali in merito ai controlli sulla guida in stato di ebbrezza da parte dei giovani; sollecitare vivamente l'ulteriore sviluppo di sistemi alcolock e di altri strumenti che impediscano meccanicamente alle persone in stato di ebbrezza di guidare, in particolare agli autisti professionisti; prevedere maggiori possibilità per conoscere e verificare il tasso di alcolemia anche mediante un calcolo effettuato in proprio su Internet nonché l'ampia disponibilità di etilometri, specialmente presso discoteche, pub e stadi, e lungo le autostrade e le strade in generale, in particolare durante le ore notturne e garantire che il messaggio trasmesso ai consumatori sottolinei che il consumo di alcol e la guida non sono compatibili.
Anche il Consiglio trasporti dell’8 e 9 giugno 2006 ha adottato conclusioni sulla medesima comunicazione con le quali invita a rafforzare le misure di contrasto della guida sotto l'influenza di alcol o droga e dell'eccesso di velocità.
Peraltro, richiamandosi alla strategia dell'Unione europea in materia di droga (2000-2004) e al citato programma di azione sulla sicurezza stradale, il Consiglio aveva adottato, il 27 novembre 2003, una risoluzione sulla correlazione tra l’uso di droghe e incidenti stradali.
Il Consiglio, in particolare, richiamava l’attenzione sulla necessità di:
§ promuovere la ricerca concernente gli effetti delle sostanze psicoattive sulla capacità di guida per potere fondare le misure di prevenzione e di contrasto su solide conoscenze scientifiche;
§ aumentare, nei limiti consentiti dalla legislazione nazionale, l'utilizzo di test neuro-comportamentali e tossicologici volti a rilevare l'eventuale assunzione di sostanze psicoattive da parte dei conducenti, nonché a verificare gli effetti di tali sostanze sulla guida;
§ garantire lo scambio di informazioni tra Stati membri per individuare le migliori pratiche e fornire tempestivamente alla Commissione europea e all'OEDT (Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze) le informazioni relative alle azioni intraprese a livello nazionale al fine di consentire il monitoraggio del fenomeno a livello europeo;
§ promuovere campagne di informazione e prevenzione sui pericoli derivanti dall'uso di sostanze psicoattive alla guida di veicoli e sviluppare efficaci misure di prevenzione al fine di ridurre il numero di incidenti stradali connessi con il consumo di sostanze psicoattive negli ambienti ricreativi;
§ adottare tutte le disposizioni del caso, ivi comprese sanzioni, nei confronti di conducenti di veicoli che sono sotto l'effetto di sostanze psicoattive suscettibili di ridurre la loro capacità di guida;
§ raccogliere e valutare informazioni riguardanti le misure di recupero per conducenti di veicoli che abbiano fatto uso di droghe al fine di sviluppare programmi di intervento precoci personalizzati.
Il Consiglio, inoltre, invitava la Commissione a:
§ proporre procedure armonizzate o orientamenti a livello europeo in materia di test neuro-comportamentali e tossicologici concernenti l'uso e gli effetti delle sostanze psicoattive sulla capacità di guida e di gestione dei casi;
§ garantire che le questioni relative alla guida sotto l'effetto di sostanze psicoattive fossero affrontate nell'ambito delle attività dell'Unione europea in materia di incidenti stradali;
§ elaborare, in collaborazione con gli Stati membri e le parti interessate, un glossario comprendente termini e definizioni relativi ai principali aspetti dell'uso di sostanze psicoattive correlato alla capacità di guida di veicoli, al fine di migliorare la reciproca comprensione tra i Paesi dell'Unione europea.
In materia di misure cautelari, il 4 settembre 2006 la Commissione ha presentato la proposta di decisione quadro (COM(2006)468)relativa all’ordinanza cautelare europea nel corso delle indagini preliminari tra gli Stati membri dell’Unione europea.
L’ordinanza cautelare europea, alla cui istituzione è volta la proposta di decisione quadro, si configura come un provvedimento giudiziario emesso da un’autorità giudiziaria (tribunale, giudice, giudice istruttore, pubblico ministero) di uno Stato membro nei confronti di un indagato ivi non residente, per permettergli di fare ritorno nello Stato membro di residenza a condizione che egli osservi le misure cautelari, al fine di garantire il regolare andamento della giustizia e, in particolare, la comparizione dell’interessato dinanzi al giudice dello Stato di emissione. Gli Stati membri sono tenuti ad eseguire l’ordinanza cautelare europea in base al principio del reciproco riconoscimento e conformemente alle disposizioni a tal fine previste nella proposta di decisione quadro. In base alla proposta, l’ordinanza cautelare europea potrà essere emessa ogni qualvolta sia possibile, ai sensi della legge nazionale dello Stato di emissione, mantenere un indagato in stato di custodia, indipendentemente dal fatto che le soglie previste differiscano o meno da uno Stato membro all’altro. La proposta di decisione quadro non obbliga l’autorità giudiziaria a emettere un’ordinanza cautelare europea, ma conferisce la facoltà di farlo, lasciando alle autorità competenti la scelta discrezionale.
La proposta, che segue la procedura di consultazione, è stata esaminata dal Parlamento europeo il 29 novembre 2007 ed è in attesa di decisione finale da parte del Consiglio.
In materia di sospensione condizionale della pena, il 20 aprile 2007 è stata presentata la proposta di decisione quadro (GAI(2007)4) relativa al riconoscimento e alla sorveglianza della sospensione condizionale della pena, delle sanzioni sostitutive e delle condanne condizionali.
Il progetto di decisione quadro intende fissare le norme in base alle quali uno Stato membro (Stato di esecuzione), al fine di favorire il reinserimento sociale della persona condannata nonché di migliorare la protezione delle vittime, sorveglia le misure condizionali imposte sulla base di una sentenza emessa in un altro Stato membro (Stato di emissione) o le sanzioni sostitutive contenute in tale sentenza e prende tutte le altre decisioni in relazione all’esecuzione della sentenza, nella misura in cui ciò sia di sua competenza.
La proposta, che segue la procedura di consultazione, è stata esaminata dal Parlamento europeo nella seduta del 25 ottobre 2007. Il Consiglio giustizia e affari interni del 13 giugno 2007 ha avviato l’esame della proposta pervenendo ad un’interpretazione comune sui seguenti “elementi chiave” della proposta stessa: scopo della decisione quadro, ambito di applicazione, tipo di misure condizionali e sanzioni sostitutive ricadenti nell’ambito della decisione quadro, divisione delle competenze tra Stato di emissione e Stato di esecuzione. Il dibattito è proseguito nella riunione del 6 dicembre 2007 in occasione della quale il Consiglio ha raggiunto un orientamento generale.
Si ricorda inoltre che nell’ambito delle nuove prospettive finanziare 2007-2013, e, in particolare, del programma quadro “Diritti fondamentali e giustizia”[8], il 12 febbraio 2007 è stato adottato il programma specifico “Giustizia penale” (decisione 2007/126/GAI), con dotazione pari a 196,2 milioni di euro per il periodo 2007-2013. Il programma annovera, tra i suoi obiettivi specifici, il sostegno alla cooperazione giudiziaria in materia penale allo scopo di:
§ promuovere il riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie e delle sentenze;
§ accrescere ulteriormente l’introduzione di norme minime relative ad aspetti del diritto processuale penale ai fini della promozione degli aspetti pratici della cooperazione giudiziaria;
§ garantire una corretta amministrazione della giustizia, evitando i conflitti di giurisdizione;
§ migliorare lo scambio di informazioni, in particolare quelle estratte dai casellari giudiziari nazionali, attraverso l’uso di sistemi informatizzati;
§ promuovere i diritti degli imputati e l’assistenza sociale e giudiziaria alle vittime;
§ eliminare gli ostacoli creati dalle disparità esistenti tra i sistemi giudiziari degli Stati membri e promuovere il necessario ravvicinamento del diritto penale sostanziale concernente le forme gravi di criminalità, in particolare quelle con dimensioni transfrontaliere.
Il 18 ottobre 2005 la Commissione ha presentato una comunicazione (COM(2005)514) relativa ad un approccio integrato alla lotta contro la tratta degli esseri umani e alla definizione di un piano d’azione sulla materia.
La comunicazione mira a potenziare l’impegno dell’Unione europea e degli Stati membri per la prevenzione e la lotta contro la tratta degli esseri umani, realizzata ai fini dello sfruttamento sessuale o dello sfruttamento di manodopera, conformemente alle definizioni riportate nella decisione quadro del 19 luglio 2002 relativa alla lotta contro la tratta degli esseri umani e alla tutela, assistenza e riabilitazione delle sue vittime.
Secondo il documento, per combattere efficacemente la tratta degli esseri umani è necessario un approccio integrato, che si fondi sul rispetto dei diritti umani e tenga conto della natura mondiale del fenomeno. Tale approccio richiede una risposta politica coordinata, segnatamente nel settore della libertà, sicurezza e giustizia, delle relazioni esterne, della cooperazione allo sviluppo, dell’occupazione, della parità tra uomo e donna e della non discriminazione. La comunicazione, inoltre, si propone di consolidare il dialogo tra settore pubblico e privato in materia.
La comunicazione della Commissione fa seguito agli orientamenti stabiliti in materia dal nuovo programma pluriennale per il rafforzamento dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia nell’Unione europea, il cosiddetto programma dell’Aja, adottato dal Consiglio europeo nel novembre 2004, che ha invitato il Consiglio e la Commissione a elaborare, nel 2005, un piano per stabilire norme comuni, migliori pratiche e meccanismi per prevenire e combattere la tratta degli esseri umani e potenziare la lotta contro l’immigrazione clandestina.
La comunicazione richiama l’attenzione, fra l’altro, sulla tratta delle bambine e sottolinea che le istituzioni dell’UE e gli Stati membri devono promuovere strategie specifiche di prevenzione sulla base della differenza di genere come un elemento chiave per combattere la tratta delle donne e delle bambine. Tali strategie, secondo la Commissione, dovrebbero prevedere l’attuazione dei principi di parità tra uomo e donna e l’eliminazione della domanda di tutte le forme di sfruttamento, compreso lo sfruttamento sessuale e quello della manodopera.
La comunicazione è in attesa di esame da parte del Consiglio.
Il Parlamento europeo ha esaminato la comunicazione nella sessione plenaria del 17 gennaio 2006, approvando una risoluzione sulle strategie di prevenzione della tratta di donne e bambini, vulnerabili allo sfruttamento sessuale, nella quale, tra l’altro:
§ sottolinea l'importanza, nel quadro della messa a punto e dell'attuazione delle strategie di prevenzione, di un approccio basato sui diritti umani e sull'integrazione della prospettiva di genere e che consideri l'infanzia nella sua specificità;
§ deplora che le misure adottate finora per contrastare il traffico degli esseri umani non abbiano portato alla riduzione del numero di donne e bambini sfruttati sul mercato della schiavitù sessuale. Al contrario, considera che la tratta degli esseri umani ai fini sessuali è l'attività criminale in più rapida crescita rispetto alle altre forme di criminalità organizzata dell'UE.
§ sollecita la Commissione e il Consiglio a predisporre una chiara base giuridica per la lotta contro ogni forma di violenza contro le donne, e chiede di rendere “integralmente comunitaria” la politica europea in materia di lotta alla tratta degli esseri umani. A questo proposito sono raccomandate l'instaurazione di una politica comune dell'UE incentrata sull'elaborazione di un quadro giuridico e l'applicazione delle norme regolamentari nonché sulle contromisure, la prevenzione, le azioni penali e la punizione dei responsabili, come pure sulla protezione e il sostegno alle vittime;
§ esorta gli Stati membri e la Commissione a continuare i propri studi sulle cause alla base della tratta degli esseri umani (in particolare di donne e bambini a fini sessuali);
§ sottolinea che è opportuno scoraggiare la domanda anche con misure a carattere educativo, giuridico, sociale e culturale. A questo proposito, nel sollecitare gli Stati membri ad affrontare “seriamente” i problemi derivanti dalla prostituzione nel loro territorio, il Parlamento europeo chiede loro di istituire linee telefoniche di assistenza nazionali ed internazionali contro la tratta delle donne, che potrebbero essere pubblicizzate nel quadro di campagne di informazione. Inoltre, evidenzia l'esigenza di un Telefono azzurro, vale a dire un unico numero internazionale gratuito destinato ai bambini[9];
§ esorta la Commissione e gli Stati membri a prendere con urgenza tutte le misure opportune per contrastare la tendenza a ricorrere alle nuove tecnologie, in particolare Internet, per divulgare informazioni sulla disponibilità e sulla domanda di donne e bambini per prestazioni sessuali, “il cui sviluppo incide sull'incremento della tratta”;
§ invita gli Stati membri a varare e/o rafforzare le campagne di sensibilizzazione miranti ad informare sui pericoli e ad educare i membri vulnerabili della società nei paesi di origine, ad allertare e sensibilizzare il pubblico al problema nonché a ridurre la domanda nei paesi di destinazione. Il Parlamento chiede poi che “la pratica degradante che consiste nell'acquisto e nello sfruttamento da parte di uomini, di donne e bambini” divenga oggetto di una campagna nell'ambito dei programmi comunitari. La Commissione, inoltre, è invitata a istituire, a livello dell'intera Unione, una giornata di lotta contro la tratta di esseri umani, contraddistinta da un logo internazionale e da un messaggio coerente, al fine di sensibilizzare la popolazione in generale al fenomeno della tratta di donne e bambini;
§ sottolinea l'importanza di affrontare la connessione tra traffico di esseri umani, immigrazione legale e immigrazione clandestina e di considerare le vie di immigrazione legale come un meccanismo di prevenzione della tratta. Gli Stati membri sono quindi invitati a rivedere le loro politiche in materia di visti, nella prospettiva di prevenire gli abusi e di assicurare una protezione contro lo sfruttamento. E' poi posto in luce il legame tra sfruttamento sessuale e sfruttamento del lavoro nel settore della fornitura di servizi domestici;
§ invita gli Stati membri ad applicare la legge e a rafforzare l'azione penale nei confronti dei trafficanti e dei loro complici. Inoltre, chiede un'azione repressiva contro gli autori delle pagine Internet in cui vengono proposti annunci di intermediari della tratta e di coloro che cercano di ottenere prestazioni sessuali da minori (la cui definizione deve essere omogenea in tutti gli Stati membri, vale a dire le persone di età inferiore ai 18 anni). Ritiene inoltre necessario perseguire il riciclaggio dei proventi della tratta e sottoporre a procedimenti penali i clienti che consapevolmente ricorrono alle prestazioni di prostitute coatte;
§ sottolinea che finora esiste solo in Italia ed in Belgio il diritto di soggiorno per le vittime della tratta delle donne dopo il processo contro i trafficanti e che, ai fini della testimonianza da parte delle vittime e della condanna dei responsabili, sarebbe necessario concedere il permesso di soggiorno in tutti gli Stati membri;
§ infine, esorta tutti gli Stati membri ad adottare, nel proprio diritto penale, atti normativi identici che contengano una chiara definizione giuridica della tratta dei bambini, basata sulle norme internazionalmente riconosciute, per evitare che il traffico di bambini venga considerato come una sottocategoria del traffico di esseri umani.
In relazione allo sfruttamento dei lavoratori clandestini, il 16 maggio 2007, la Commissione ha presentato una proposta di direttiva (COM(2007)249), relativa a sanzioni contro i datori di lavoro che impiegano cittadini di paesi terzi in posizione irregolare[10]. La proposta, che mira ad introdurre un deterrente all’utilizzo di manodopera irregolare, intende ridurre le discrepanze fra le misure preventive, le sanzioni e le modalità di applicazione già esistenti nei vari Stati membri, creando, inoltre, condizioni di parità tra le imprese.
La proposta di direttiva prevede sanzioni per i datori di lavoro (persone fisiche o giuridiche, ma anche privati cittadini quando agiscono in qualità di datori di lavoro) che impieghino cittadini di paesi terzi in posizione irregolare, senza aver svolto le necessarie verifiche. In base alla proposta infatti, e come misura preventiva, i datori di lavoro, prima dell’assunzione sono tenuti a verificare che i cittadini di paesi terzi siano in possesso di permesso di soggiorno o di altra autorizzazione analoga. Oltre a multe ed altre sanzioni amministrative, la Commissione propone, per i casi più gravi anche sanzioni penali.In particolare, la proposta di direttiva dispone che la violazione del divieto di impiego illegale, se intenzionale, costituisca reato se:
§ la violazione prosegue, oppure è reiterata, dopo che le autorità o i giudici nazionali competenti, in un periodo di due anni, hanno accertato che il datore di lavoro l’ha già commessa due volte;
§ la violazione riguarda un numero significativo di cittadini di paesi terzi in posizione irregolare (almeno quattro);
§ la violazione è accompagnata da situazioni di particolare sfruttamento, ad esempio, da condizioni lavorative sensibilmente diverse da quelle di cui godono i lavoratori assunti legalmente, oppure
§ il datore di lavoro ricorre al lavoro o ai servizi di una persona nella consapevolezza che tale persona è vittima della tratta di esseri umani.
La proposta prevede che gli Stati membri predispongano un meccanismo che consenta ai cittadini di paesi terzi interessati di presentare denunce, sia direttamente che tramite terzi, come sindacati o associazioni. Gli Stati membri dovrebbero inoltre rilasciare permessi di soggiorno per un periodo limitato – a seconda della durata dei procedimenti nazionali – ai cittadini dei paesi terzi vittime di sfruttamento e che cooperino ad azioni penali contro i datori di lavoro. La proposta prevede infine che gli Stati membri effettuino un numero minimo di ispezioni nelle imprese stabilite nei loro territori.
La proposta di direttiva, che segue la procedura di codecisione, dovrebbe essere esaminata dal Parlamento europeo nella seduta del 20 maggio 2008. Il Consiglio europeo del 21-22 giugno 2007 ha sottolineato l’importanza della proposta, in considerazione del fatto che il lavoro illegale costituisce uno dei principali fattori di attrazione per gli immigrati clandestini[11].
Il 9 febbraio 2007 la Commissione ha presentato una proposta di direttiva sulla tutela penale dell’ambiente, intesa ad assicurare un livello adeguato di protezione dell'ambiente[12] affrontando, a livello europeo, il problema della criminalità ambientale (COM(2007)51).
La proposta di direttiva istituisce un elenco minimo di reati ambientali gravi[13]- che dovranno essere considerati fatti penalmente rilevanti in tutta la Comunità qualora siano posti in essere intenzionalmente o per grave negligenza - e definisce dettagliatamente l'ambito di responsabilità delle persone giuridiche.
La proposta prevede, altresì, che i reati debbano essere puniti mediante sanzioni penali effettive, proporzionate e dissuasive, quando sono commessi da persone fisiche, e mediante sanzioni penali o non penali, se commesse da persone giuridiche.
Per quanto riguarda i reati commessi in determinate circostanze aggravanti, è stato ravvicinato anche il livello minimo delle sanzioni massime irrogabili alle persone fisiche e giuridiche.
Per quanto riguarda la sanzione della reclusione, la proposta prevede che l’armonizzazione tra le legislazioni nazionali si basi su tre livelli di gravità, con una durata minima della pena pari ad un anno e una durata massima pari a dieci anni, correlati all'elemento psicologico (intenzionalità o negligenza grave) e alle circostanze aggravanti del caso. Il sistema delle sanzioni pecuniarie applicabili alle persone giuridiche segue anch'esso un profilo su tre livelli che può variare da 300.000 a 1.500.000 euro. Il testo propone, inoltre, l'irrogazione di sanzioni alternative sia alle persone fisiche che alle persone giuridiche, che prevedono l'obbligo di riparare il pregiudizio arrecato all'ambiente, l'assoggettamento a sorveglianza giudiziaria, il divieto di esercitare determinate attività commerciali, nonché la pubblicazione delle decisioni giudiziarie.
In particolare, la proposta definisce infrazioni, attività quali:
§ lo scarico, l'emissione o l'immissione nell'aria, nel suolo o nelle acque, di un quantitativo di sostanze o radiazioni ionizzanti che provochino il decesso o lesioni gravi alle persone;
§ lo scarico, l'emissione o l'immissione illeciti di un quantitativo di sostanze o radiazioni ionizzanti nell'aria, nel suolo o nelle acque che provochino o possano provocare il decesso o lesioni gravi alle persone o danni rilevanti alla qualità dell'aria, del suolo o delle acque, alla fauna o alla flora;
§ il trattamento illecito, compresi l'eliminazione, il deposito, il trasporto, l'esportazione o l'importazione illeciti di rifiuti, compresi i rifiuti pericolosi, che provochino o possano provocare il decesso o lesioni gravi alle persone o danni rilevanti alla qualità dell'aria, del suolo o delle acque, alla fauna o alla flora;
§ il funzionamento illecito di un impianto in cui sono svolte attività pericolose o nel quale siano depositate sostanze o preparazioni pericolose che provochino o possano provocare, all'esterno dell'impianto, il decesso o lesioni gravi alle persone o danni rilevanti alla qualità dell'aria, del suolo o delle acque, alla fauna o alla flora;
§ la spedizione illegale di rifiuti, quali definiti all'articolo 2, comma 35, del regolamento (CE) n. 1013/2006[14], effettuata per fini di lucro in un'unica operazione o in più operazioni che risultino fra di loro connesse;
§ la fabbricazione, il trattamento, il deposito, l'uso, il trasporto, l'esportazione o l'importazione illeciti di materiali nucleari o di altre sostanze radioattive pericolose che provochino o possano provocare il decesso o lesioni gravi alle persone o danni rilevanti alla qualità dell'aria, del suolo o delle acque, alla fauna o alla flora;
§ il possesso, la cattura, il danneggiamento, l'uccisione o il commercio illeciti di esemplari di specie protette animali o vegetali o di parti di esse o di prodotti derivati;
§ l'illecito e significativo deterioramento di un habitat protetto;
§ il commercio o l'uso illeciti di sostanze che riducono lo strato di ozono.
Per tali attività, la proposta prevede che ciascuno Stato membro adotti le misure necessarie affinché esse siano perseguibili penalmente, qualora siano poste in essere intenzionalmente o quanto meno per grave negligenza.
La proposta, che segue la procedura di codecisione, è in attesa di esame da parte del Parlamento europeo in prima lettura. Il Consiglio ha tenuto su di essa un dibattito nelle riunioni del 12 giugno e del 20 dicembre 2007.
In relazione alle modifiche previste dal disegno di legge in esame a taluni reati che destano particolare alla allarme sociale, si segnala che è in corso, presso la Commissione giustizia della Camera, l'esame delle proposte di legge A.C. 950 e abb., recanti normecontrola violenza sessuale.
Tali proposte intervengono, tra l'altro, su taluni reati oggetto, altresì, del disegno di legge A.C. 3241, con particolare riferimento ai reati di Maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli, Violenza sessuale e Adescamento di minori.
Come precisato nella relazione illustrativa del disegno di legge A.C. 3241 il provvedimento in esame contiene taluni interventi normativi volti a contrastare i più gravi fenomeni criminosi e il conseguente grave pregiudizio per la sicurezza dei cittadini.
Il disegno di legge in esame, adottato dal Governo a seguito del verificarsi di taluni gravi episodi di criminalità che hanno suscitato particolare allarme sociale, prevede una serie di interventi normativi di carattere penale sostanziale e processuale al fine di apprestare più adeguati strumenti di tutela della sicurezza dei cittadini e di garanzia della certezza della pena.
Il disegno di legge si compone di sette articoli, il cui contenuto in particolare:
§ ridisegna la disciplina della prescrizione dei reati, già profondamente riformata dalla legge 251 del 2005 (legge cd. “ex Cirielli”), sostanzialmente allungando i termini di estinzione del reato, ampliando le ipotesi di sospensione e limitando quelle di interruzione;
§ inasprisce le sanzioni previste per i reati di omicidio e lesioni provocate da guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di stupefacenti;
§ amplia il numero dei reati considerati dal legislatore di maggiore gravità, o comunque di maggiore incidenza sulla sicurezza dei cittadini, per i quali, in presenza di esigenze cautelari, si ritiene che la misura cautelare della custodia in carcere sia l'unica applicabile ed esclude l’automatismo della sospensione dell’esecuzione della pena quando la condanna irrogata sia riferita a tali reati;
§ elimina il cd. patteggiamento in appello ;
§ prevede che il pubblico ministero debba richiedere il rito immediato per tutti gli imputati in stato di custodia cautelare, confermata dal tribunale del riesame, anche qualora sia trascorso il termine di novanta giorni dalla iscrizione nel registro degli indagati.
1. Al codice penale sono apportate le seguenti modificazioni:
a) l'articolo 157 è sostituito dal seguente:
«Art. 157. - (Prescrizione. Tempo necessario a prescrivere). - La prescrizione estingue il reato con il decorso di un tempo pari al massimo della pena edittalmente prevista aumentato della metà.
Il tempo necessario a prescrivere non può comunque:
1) essere inferiore a sei anni per i delitti e a quattro anni per le contravvenzioni, ancorché puniti con la sola pena pecuniaria;
2) essere superiore a venti anni. Per i delitti indicati all'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale il termine è di trenta anni.
Per determinare il tempo necessario a prescrivere si ha riguardo alla pena stabilita dalla legge per il reato consumato o tentato, senza tener conto della diminuzione per le circostanze attenuanti e dell'aumento per le circostanze aggravanti, salvo che per le circostanze a effetto speciale e per quelle per le quali la legge determina la pena in modo autonomo.
Quando per il reato la legge stabilisce congiuntamente o alternativamente la pena detentiva e la pena pecuniaria, per determinare il tempo necessario a prescrivere si ha riguardo soltanto alla pena detentiva.
Quando per il reato la legge stabilisce pene diverse da quella detentiva e da quella pecuniaria, nonché per le sanzioni applicate dal giudice di pace diverse da quella pecuniaria, si applica il termine di sei anni.
La prescrizione non estingue i reati per i quali la legge prevede la pena dell'ergastolo, anche come effetto dell'applicazione di circostanze aggravanti.
La prescrizione è sempre espressamente rinunciabile dall'imputato»;
b) all'articolo 158, primo comma, dopo la parola: «permanente» sono inserite le seguenti: «o continuato» e dopo la parola: «permanenza» sono aggiunte le seguenti: «o continuazione»;
c) all'articolo 159, primo comma, dopo il numero 3) sono aggiunti i seguenti:
«3-bis) presentazione di dichiarazione di ricusazione ai sensi dell'articolo 38 del codice di procedura penale, dalla data della presentazione della stessa fino a quella della comunicazione al giudice procedente del provvedimento che dichiara l'inammissibilità della medesima;
3-ter) concessione di termine a difesa in caso di rinuncia, revoca, incompatibilità e abbandono della difesa, per un periodo corrispondente al termine concesso;
3-quater) rinnovazione, su richiesta dell'imputato, delle prove assunte in dibattimento, a seguito di mutamento della persona fisica del giudice, per tutto il tempo necessario alla rinnovazione; tale disposizione non si applica ai coimputati cui non si riferisce la richiesta di rinnovazione, se viene disposta la separazione dei processi, né al caso in cui la nuova assunzione concerna fatti e circostanze nuovi;
3-quinquies) richiesta di estradizione di un imputato dall'estero, per tutto il tempo decorrente dalla data della relativa richiesta sino a quella della effettiva estradizione;
3-sexies) richiesta, in udienza preliminare o nel corso del dibattimento, di una rogatoria all'estero, per tutto il periodo compreso tra la data dell'inoltro della richiesta di assistenza giudiziaria e quella in cui perviene la risposta all'autorità giudiziaria procedente»;
d) all'articolo 160 sono apportate le seguenti modificazioni:
1) al secondo comma, dopo le parole: «davanti al pubblico ministero» sono inserite le seguenti: «o alla polizia giudiziaria da questi delegata», dopo le parole: «sulla richiesta di archiviazione,» sono inserite le seguenti: «l'avviso di conclusione delle indagini preliminari,» e dopo le parole: «rinvio a giudizio» sono inserite le seguenti: «o di emissione del decreto penale di condanna»;
2) il terzo comma è sostituito dal seguente:
«La prescrizione interrotta comincia nuovamente a decorrere dal giorno dell'interruzione. Se più sono gli atti interruttivi, la prescrizione decorre dall'ultimo di essi. Salvo che per i reati di cui all'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale, i termini stabiliti dall'articolo 157, commi primo e secondo, non possono essere prolungati oltre la metà. In ogni caso, non possono essere superati i termini di cui all'articolo 157, secondo comma, numero 2)»;
3) dopo il terzo comma sono aggiunti i seguenti:
«La prescrizione del reato interrotta dalla sentenza di condanna non comincia nuovamente a decorrere nel caso in cui il ricorso per cassazione presentato avverso la predetta sentenza sia dichiarato inammissibile.
La prescrizione non comincia nuovamente a decorrere, altresì, nel caso in cui sia presentato ricorso per cassazione avverso una sentenza pronunciata in grado di appello che abbia confermato la sentenza di condanna di primo grado ovvero abbia riformato la stessa limitatamente alla specie o alla misura della pena, anche con riferimento al giudizio di comparazione tra circostanze. La disposizione di cui al presente comma non si applica in caso di accoglimento del ricorso»;
e) all'articolo 161, il secondo comma è sostituito dal seguente:
«Quando per più reati connessi si procede congiuntamente, la sospensione o l'interruzione della prescrizione per taluno di essi ha effetto anche per gli altri»;
f) all'articolo 164, primo comma, dopo le parole: «nell'articolo 133,» sono inserite le seguenti: «nonché alle risultanze desumibili dal servizio informatico previsto dall'articolo 97 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271,»;
g) l'articolo 572 è sostituito dal seguente:
«Art. 572. - (Maltrattamenti contro familiari e conviventi). - Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo 571, maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l'esercizio di una professione o di un'arte, è punito con la reclusione da due a sei anni.
La pena è aumentata se il fatto è commesso in danno di persona minore degli anni quattordici.
Se dal fatto deriva una lesione personale grave, si applica la reclusione da quattro a nove anni; se ne deriva una lesione gravissima, la reclusione da sette a quindici anni; se ne deriva la morte, la reclusione da dodici a venti anni»;
h) all'articolo 589 sono apportate le seguenti modificazioni:
1) al secondo comma, la parola: «cinque» è sostituita dalla seguente: «sei»;
2) dopo il secondo comma è inserito il seguente:
«Si applica la pena della reclusione da tre a dieci anni se il fatto è commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale da:
1) soggetto in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell'articolo 186, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni;
2) soggetto sotto l'effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope»;
3) al terzo comma, le parole: «anni dodici» sono sostituite dalle seguenti: «anni quindici»;
i) all'articolo 590, dopo il terzo comma è inserito il seguente:
«Nei casi di violazione delle norme sulla circolazione stradale, se il fatto di cui al terzo comma è commesso da soggetto in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell'articolo 186, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, ovvero da soggetto sotto l'effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope, la pena per le lesioni gravi è della reclusione da sei mesi a due anni e la pena per le lesioni gravissime è della reclusione da un anno e sei mesi a quattro anni»;
l) dopo l'articolo 590 è inserito il seguente:
«Art. 590-bis. - (Computo delle circostanze). - Quando ricorre la circostanza di cui all'articolo 589, terzo comma, ovvero quella di cui all'articolo 590, quarto comma, le concorrenti circostanze attenuanti, diverse da quelle previste dagli articoli 98 e 114, non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste e le diminuzioni si operano sulla quantità di pena determinata ai sensi delle predette circostanze aggravanti»;
m) all'articolo 609-ter, primo comma, dopo il numero 5) è aggiunto il seguente:
«5-bis) nei confronti della persona della quale il colpevole sia il coniuge, il convivente o comunque la persona che sia o sia stata legata da stabile relazione affettiva anche senza convivenza»;
n) alla sezione II del capo III del titolo XII del libro secondo, dopo l'articolo 609-decies è aggiunto il seguente:
«Art. 609-undecies. - (Adescamento di minorenni). - Chiunque, allo scopo di abusare o sfruttare sessualmente un minore di anni sedici, intrattiene con lui, anche attraverso l'utilizzazione della rete internet o di altre reti o mezzi di comunicazione, una relazione tale da sedurlo, ingannarlo e comunque carpirne la fiducia, è punito con la reclusione da uno a tre anni»;
o) all'articolo 648-bis, primo comma, le parole: «Fuori dei casi di concorso nel reato,» sono soppresse;
p) all'articolo 648-ter, primo comma, le parole: «dei casi di concorso nel reato e» sono soppresse.
L'articolo 1 del disegno di legge in esame reca talune modifiche al codice penale riguardanti, in particolare, gli istituti della prescrizione e della sospensione condizionale della pena, nonché taluni reati di maggiore incidenza sulla sicurezza dei cittadini.
Nello specifico, la prima parte dell'articolo 1, - lettere da a) ad e) – è dedicata alla nuova disciplina della prescrizione dei reati e novella a tal fine gli articoli 157-161 del codice penale.
In linea generale va ricordato che la prescrizione del reato è una causa estintiva costituita, appunto, dal decorso del tempo senza che alla commissione del reato segua una sentenza di condanna irrevocabile.
Al riguardo, la vigente normativa in materia è stata dettata dalla legge 5 dicembre 2005, n. 251 (cd. ex Cirielli)[15] che, introducendo rilevanti modifiche al codice penale, ha operato anche una radicale revisione dell'istituto della prescrizione dei reati. La legge ha, in particolare, riformulato l’art. 157 del codice penale, relativo ai tempi della prescrizione, sostituendo il criterio precedente – basato sullo "scaglionamento" dei reati per fasce edittali - con il criterio volto a commisurare il tempo della prescrizione esclusivamente alla pena massima stabilita dalla legge per ogni singolo reato e precisando che comunque, in caso di delitto, il tempo necessario a prescrivere non può essere inferiore a 6 anni, mentre in caso di contravvenzione non può essere inferiore a 4 anni. (comma 1)
Al fine dell’individuazione del tempo necessario a prescrivere un reato e quindi dell’individuazione del massimo della pena edittale, l'attuale articolo 157 c.p., come modificato dalla citata riforma del 2005, stabilisce, poi, che non si debba tener conto né delle circostanze aggravanti né di quelle attenuanti, ad eccezione delle circostanze aggravanti ad effetto speciale (che comportano cioè un aumento della pena superiore ad un terzo, cfr art. 63 c.p., terzo comma) e di quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria, dovendosi, in questi casi, tener presente – ai fini del computo dei tempi di prescrizione - dell’aumento massimo di pena previsto per l’aggravante (comma 3). Analogamente, non si tiene conto della disciplina del concorso di circostanze aggravanti e attenuanti di cui all’art. 69 c.p (comma 4). Se il reato è punito congiuntamente o alternativamente con pena pecuniaria si dovrà tener conto della sola pena detentiva, mentre in caso di pene di natura diversa il termine di prescrizione è fissato in tre anni (comma 5).
I termini di prescrizione sono attualmente raddoppiati per i delitti colposi di danno di cui all’art. 449 c.p.(disastri ferroviari e aviatori, incendi boschivi, naufragi, ecc.), per l‘omicidio colposo e l'omicidio colposo plurimo commessi in violazione di norme del codice della strada (art. 589 c.p.), nonché per i gravi reati di cui all’art. 51-bis, comi 3-bis e 3-quater, c.p.p. (tratta, sequestro di persona a scopo di estorsione, associazione mafiosa e finalizzata al traffico di droga, terrorismo, ecc), illeciti che di norma richiedono indagini molto più complesse (comma 6).
La norma prevede, infine, la possibile, espressarinunciabilità alla prescrizione da parte dall’imputato nonché l’imprescrettibilità dei reati puniti (anche a seguito dell’applicazione di aggravanti) con la pena dell’ergastolo (commi 7 e 8).
Si ricorda, inoltre, che la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 393 del 2006 ha dichiarato l'icostituzionalità del comma 3 dell'articolo 10 della citata legge n. 251 del 2005 nella parte in cui prevedeva l’inapplicabilità dei nuovi termini di prescrizione ai processi già pendenti in primo grado, quando fosse già stato dichiarato aperto il dibattimento.
In particolare, il comma 1 dell'articolo in esame, novella, in primo luogo, l'articolo 157 del codice penale, concernente i tempi necessari per la maturazione della prescrizione.
Codice penale[16] |
A.C. 3241, art. 1, co. 1, lett. a)-e) |
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Art. 157 |
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Prescrizione. Tempo necessario a prescrivere. |
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1. La prescrizione estingue il reato decorso il tempo corrispondente al massimo della pena edittale stabilita dalla legge e comunque un tempo non inferiore a sei anni se si tratta di delitto e a quattro anni se si tratta di contravvenzione, ancorché puniti con la sola pena pecuniaria. |
1. La prescrizione estingue il reato con il decorso di un tempo pari al massimo della pena edittalmente prevista aumentato della metà. |
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2. Il tempo necessario a prescrivere non può comunque: 1) essere inferiore a sei anni per i delitti e a quattro anni per le contravvenzioni, ancorché puniti con la sola pena pecuniaria; 2) essere superiore a venti anni. Per i delitti indicati all'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale il termine è di trenta anni. |
2. Per determinare il tempo necessario a prescrivere si ha riguardo alla pena stabilita dalla legge per il reato consumato o tentato, senza tener conto della diminuzione per le circostanze attenuanti e dell'aumento per le circostanze aggravanti, salvo che per le aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria e per quelle ad effetto speciale, nel qual caso si tiene conto dell'aumento massimo di pena previsto per l'aggravante. |
3. Per determinare il tempo necessario a prescrivere si ha riguardo alla pena stabilita dalla legge per il reato consumato o tentato, senza tener conto della diminuzione per le circostanze attenuanti e dell'aumento per le circostanze aggravanti, salvo che per le circostanze a effetto speciale e per quelle per le quali la legge determina la pena in modo autonomo. |
3. Non si applicano le disposizioni dell'articolo 69 e il tempo necessario a prescrivere è determinato a norma del secondo comma. |
(soppresso) |
4. Quando per il reato la legge stabilisce congiuntamente o alternativamente la pena detentiva e la pena pecuniaria, per determinare il tempo necessario a prescrivere si ha riguardo soltanto alla pena detentiva. |
4. Identico. |
5. Quando per il reato la legge stabilisce pene diverse da quella detentiva e da quella pecuniaria, si applica il termine di tre anni. |
5. Quando per il reato la legge stabilisce pene diverse da quella detentiva e da quella pecuniaria, nonché per le sanzioni applicate dal giudice di pace diverse da quella pecuniaria, si applica il termine di sei anni. |
6. I termini di cui ai commi che precedono sono raddoppiati per i reati di cui agli articoli 449 e 589, secondo e terzo comma, nonché per i reati di cui all'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale. |
(soppresso) |
7. La prescrizione è sempre espressamente rinunciabile dall'imputato. |
7. Identico. |
8. La prescrizione non estingue i reati per i quali la legge prevede la pena dell'ergastolo, anche come effetto dell'applicazione di circostanze aggravanti. |
6. Identico. |
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Al riguardo, si osserva, in via preliminare, che la nuova disciplina prevista dall'articolo in esame non segna il ritorno al vecchio modello di prescrizione vigente anteriormente alla citata legge 251 del 2005, basato su una elencazione analitica dei tempi di prescrizione in relazione a talune fasce edittali, confermando, invece, in via generale e con talune rilevati modifiche la vigente disciplina che, al riguardo, prevede un più omogeneo criterio di riferimento.
In merito la relazione illustrativa del d.d.l. in esame rileva come già prima della legge 251 del 2005, l’istituto necessitasse di una profonda rimeditazione che potesse operare un corretto bilanciamento tra la pretesa sanzionatoria dello Stato ed il diritto dell’imputato ad un processo definito in tempi ragionevoli, ex art. 111 Cost.
Nella medesima relazione si legge, altresì, che non si è ritenuto di seguire la strada tracciata dall'originaria formulazione dell'articolo 157 del codice penale, che conteneva una elencazione analitica dei tempi di prescrizione, modulata sulla base dello «scaglionamento» dei reati per fasce edittali: essa, oltre a peccare di un eccesso di tassatività, creava ingiustificate disparità nel caso concreto tra reati puniti edittalmente in modo differente.
Nello specifico, la prima novità prevista dall'articolo in esame è volta ad allungare gli attuali tempi di prescrizione dei reati.
A questo proposito si osserva, infatti, che mentre, allo stato, il tempo della prescrizione viene calcolato con riferimento alla sola pena massima prevista dal legislatore per ciascun reato, il nuovo comma 1 dell'articolo 157 c.p. stabilisce il principio in base al quale la prescrizione estingue il reato con il decorso di un tempo pari al massimo della pena edittale, aumentato della metà (aumento non previsto dalla citata riforma del 2005).
Le ulteriori novità introdotte all’art. 157 riguardano:
§ la previsione di un limite massimo di prescrizione dei reati, pari a 20 anni, con l'eccezione dei delitti previsti dall’art. 51, commi 3-bis e 3-quater del codice di rito penale[17], per i quali tale limite è di trenta anni (articolo 157, comma 2, punti 1 e 2).
Al riguardo, si ricorda, infatti, che, attualmente, l'articolo 157 del codice penale si limita a prevedere che il tempo necessario a prescrivere un reato non può essere inferiore a sei anni per i delitti e quattro anni per le contravvenzioni, senza indicazione di un limite massimo di prescrizione.
Per quanto riguarda, invece, il richiamo ai delitti previsti dall'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater del codice di procedura penale si ricorda che il citato comma 3-bis attribuisce specifica competenza alla Procura distrettuale antimafia per lo svolgimento delle indagini e delle funzioni accusatorie nei procedimenti afferenti ai delitti di criminalità organizzata tra i quali si annoverano: i delitti di associazione per delinquere di stampo mafioso; il delitto di sequestro di persona a scopo d'estorsione, i delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416-bis, c.p.; i delitti commessi al fine di agevolare l'attività di tali associazioni; il delitto di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope; il delitto di associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri; il delitto di riduzione o mantenimento in schiavitù o servitù; il delitto di tratta di persone; il delitto di acquisto o alienazione di schiavi; il delitto di associazione a delinquere finalizzata a tali ultime illecite attività.
Il comma 3-quater, richiama, invece i delitti consumati o tentati con finalità di terrorismo.
§ la previsione di un termine di prescrizione di 6 anni per i reati sanzionati dal giudice di pace con pene diverse da quella detentiva e pecuniaria (articolo 157, comma 4,).
Come precisato nella relazione illustrativa del d.d.l. tale previsione, "rendendo tale termine omogeneo con il termine prescrizionale minimo dei delitti, supera i dubbi di costituzionalità sollevati, ad esempio, con riferimento alle sanzioni applicate dal giudice di pace ai sensi dell'articolo 52 del decreto legislativo n. 274 del 2000 (il caso è quello della irragionevole diversità di termini di prescrizione tra il «lavoro sostitutivo», per cui è attualmente previsto un termine triennale, e la pena pecuniaria, per cui il termine è ora fissato in sei anni), cui ora si dovrà applicare il nuovo termine".
La lettera b) novella, poi, il comma 1 dell’art. 158 del codice penale, relativo alla decorrenza del termine della prescrizione, al fine di ripristinare la formulazione di tale comma vigente anteriormente all’entrata in vigore della citata legge 251 del 2005 la quale ha eliminato da tale disposizione ogni riferimento al reato continuato.
Codice penale |
A.C. 3241, art. 1, co. 1, lett. a)-e) |
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Art. 158 |
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Decorrenza del termine della prescrizione. |
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1. Il termine della prescrizione decorre, per il reato consumato, dal giorno della consumazione; per il reato tentato, dal giorno in cui è cessata l'attività del colpevole; per il reato permanente, dal giorno in cui è cessata la permanenza. |
1. Il termine della prescrizione decorre, per il reato consumato, dal giorno della consumazione; per il reato tentato, dal giorno in cui è cessata l'attività del colpevole; per il reato permanente o continuato, dal giorno in cui è cessata la permanenza o continuazione. |
2. Quando la legge fa dipendere la punibilità del reato dal verificarsi di una condizione, il termine della prescrizione decorre dal giorno in cui la condizione si è verificata. Nondimeno nei reati punibili a querela, istanza o richiesta, il termine della prescrizione decorre dal giorno del commesso reato. |
2. Identico. |
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Nello specifico, la modifica introdotta è volta prevedere che il termine di prescrizione decorre, anche per il reato continuato, dal giorno in cui è cessata la continuazione.
Come precisato nella relazione illustrativa "l’opzione normativa è coerente con la scelta di prevedere termini di prescrizione non più articolati per scaglioni ma in ragione della pena edittale di ciascuno di essi". Nella medesima relazione si precisa, altresì, che "è apparso, pertanto opportuno, in caso di contestazione congiunta, stabilire un dies a quo unico, onde evitare complicati calcoli, così come prevedere che, in caso di reati connessi, l'interruzione per taluni di essi abbia effetto anche per gli altri".
La successiva lettera c) aggiunge all’articolo 159 c.p., primo comma, i numeri da 3-bis a 3-sexies, prevedendo ulteriori ipotesi di sospensione della prescrizione.
L’art. 159 c.p. prevede, attualmente, la sospensione del corso della prescrizione in ogni caso in cui la sospensione del procedimento o del processo penale o dei termini di custodia cautelare è imposta da una particolare disposizione di legge. La prescrizione è, inoltre, sospesa nei casi di:
1) autorizzazione a procedere;
2) deferimento della questione ad altro giudizio;
3) sospensione del procedimento o del processo penale per ragioni di impedimento delle parti e dei difensori ovvero su richiesta dell'imputato o del suo difensore. In caso di sospensione del processo per impedimento delle parti o dei difensori, l'udienza non può essere differita 60 gg. oltre la prevedibile cessazione dell'impedimento, dovendosi avere riguardo in caso contrario al tempo dell'impedimento aumentato di 60 gg. Sono fatte salve le facoltà previste dall'articolo 71, commi 1 e 5, del codice di procedura penale.
Nel caso di autorizzazione a procedere, la sospensione del corso della prescrizione si verifica dal momento in cui il pubblico ministero presenta la richiesta e il corso della prescrizione riprende dal giorno in cui l'autorità competente accoglie la richiesta.
La prescrizione riprende il suo corso dal giorno in cui è cessata la causa della sospensione.
Codice penale |
A.C. 3241, art. 1, co. 1, lett. a)-e) |
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Art. 159 |
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Sospensione del corso della prescrizione. |
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1. Il corso della prescrizione rimane sospeso in ogni caso in cui la sospensione del procedimento o del processo penale o dei termini di custodia cautelare è imposta da una particolare disposizione di legge, oltre che nei casi di: |
1. Identico: |
1) autorizzazione a procedere; |
1) identico; |
2) deferimento della questione ad altro giudizio; |
2) identico; |
3) sospensione del procedimento o del processo penale per ragioni di impedimento delle parti e dei difensori ovvero su richiesta dell'imputato o del suo difensore. In caso di sospensione del processo per impedimento delle parti o dei difensori, l'udienza non può essere differita oltre il sessantesimo giorno successivo alla prevedibile cessazione dell'impedimento, dovendosi avere riguardo in caso contrario al tempo dell'impedimento aumentato di sessanta giorni. Sono fatte salve le facoltà previste dall'articolo 71, commi 1 e 5, del codice di procedura penale. |
3) identico; |
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3-bis) presentazione di dichiarazione di ricusazione ai sensi dell'articolo 38 del codice di procedura penale, dalla data della presentazione della stessa fino a quella della comunicazione al giudice procedente del provvedimento che dichiara l'inammissibilità della medesima; 3-ter) concessione di termine a difesa in caso di rinuncia, revoca, incompatibilità e abbandono della difesa, per un periodo corrispondente al termine concesso; 3-quater) rinnovazione, su richiesta dell'imputato, delle prove assunte in dibattimento, a seguito di mutamento della persona fisica del giudice, per tutto il tempo necessario alla rinnovazione; tale disposizione non si applica ai coimputati cui non si riferisce la richiesta di rinnovazione, se viene disposta la separazione dei processi, né al caso in cui la nuova assunzione concerna fatti e circostanze nuovi; 3-quinquies) richiesta di estradizione di un imputato dall'estero, per tutto il tempo decorrente dalla data della relativa richiesta sino a quella della effettiva estradizione; 3-sexies) richiesta, in udienza preliminare o nel corso del dibattimento, di una rogatoria all'estero, per tutto il periodo compreso tra la data dell'inoltro della richiesta di assistenza giudiziaria e quella in cui perviene la risposta all'autorità giudiziaria procedente. |
2. Nel caso di autorizzazione a procedere, la sospensione del corso della prescrizione si verifica dal momento in cui il pubblico ministero presenta la richiesta e il corso della prescrizione riprende dal giorno in cui l'autorità competente accoglie la richiesta. |
2. Identico. |
3. La prescrizione riprende il suo corso dal giorno in cui è cessata la causa della sospensione.
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3. Identico. |
Si tratta dei seguenti casi:
§ ricusazione del giudice (n. 3-bis);
§ concessione di un termine a difesa (solo per abbandono della causa da parte del difensore o per rinuncia al mandato o per revoca dello stesso da parte dell’imputato) (3-ter) ;
§ richiesta di rinnovazione delle prove da parte dell’imputato (3-quater), se cambia il giudice, come persona fisica (3-quater);
§ richiesta di estradizione di un imputato dall’estero (3-quinquies);
§ richiesta di una rogatoria all’estero (3-sexies).
La lettera d) modifica, invece, la formulazione dell’articolo 160 c.p., integrando le attuali ipotesi di interruzione della prescrizione.
Il vigente art. 160 c.p. stabilisce che il corso della prescrizione è interrotto dalla sentenza di condanna o dal decreto di condanna.
Altre ipotesi d’interruzione sono l’emanazione dell'ordinanza che applica le misure cautelari personali e quella di convalida del fermo o dell'arresto, l'interrogatorio reso davanti al PM o al giudice, l'invito a presentarsi al pubblico ministero per rendere l'interrogatorio, il provvedimento del giudice di fissazione dell'udienza in camera di consiglio per la decisione sulla richiesta di archiviazione, la richiesta di rinvio a giudizio, il decreto di fissazione della udienza preliminare, l'ordinanza che dispone il giudizio abbreviato, il decreto di fissazione della udienza per la decisione sulla richiesta di applicazione della pena, la presentazione o la citazione per il giudizio direttissimo, il decreto che dispone il giudizio immediato, il decreto che dispone il giudizio e il decreto di citazione a giudizio).
La prescrizione interrotta comincia nuovamente a decorrere dal giorno della interruzione. Se più sono gli atti interruttivi, la prescrizione decorre dall'ultimo di essi; ma in nessun caso i termini i di prescrizione stabiliti nell'articolo 157 possono essere prolungati oltre i termini di cui all'articolo 161, secondo comma (v. ultra), fatta eccezione per i gravi reati di cui all'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale.
Codice penale |
A.C. 3241, art. 1, co. 1, lett. a)-e) |
Art. 160 |
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Interruzione del corso della prescrizione. |
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1. Il corso della prescrizione è interrotto dalla sentenza di condanna o dal decreto di condanna. |
1. Identico. |
2. Interrompono pure la prescrizione l'ordinanza che applica le misure cautelari personali e quella di convalida del fermo o dell'arresto, l'interrogatorio reso davanti al pubblico ministero o al giudice, l'invito a presentarsi al pubblico ministero per rendere l'interrogatorio, il provvedimento del giudice di fissazione dell'udienza in camera di consiglio per la decisione sulla richiesta di archiviazione, la richiesta di rinvio a giudizio, il decreto di fissazione della udienza preliminare, l'ordinanza che dispone il giudizio abbreviato, il decreto di fissazione della udienza per la decisione sulla richiesta di applicazione della pena, la presentazione o la citazione per il giudizio direttissimo, il decreto che dispone il giudizio immediato, il decreto che dispone il giudizio e il decreto di citazione a giudizio. |
2. Interrompono pure la prescrizione l'ordinanza che applica le misure cautelari personali e quella di convalida del fermo o dell'arresto, l'interrogatorio reso davanti al pubblico ministero o alla polizia giudiziaria da questi delegata o al giudice, l'invito a presentarsi al pubblico ministero per rendere l'interrogatorio, il provvedimento del giudice di fissazione dell'udienza in camera di consiglio per la decisione sulla richiesta di archiviazione, l'avviso di conclusione delle indagini preliminari, la richiesta di rinvio a giudizio o di emissione del decreto penale di condanna, il decreto di fissazione della udienza preliminare, l'ordinanza che dispone il giudizio abbreviato, il decreto di fissazione della udienza per la decisione sulla richiesta di applicazione della pena, la presentazione o la citazione per il giudizio direttissimo, il decreto che dispone il giudizio immediato, il decreto che dispone il giudizio e il decreto di citazione a giudizio. |
3. La prescrizione interrotta comincia nuovamente a decorrere dal giorno della interruzione. Se più sono gli atti interruttivi, la prescrizione decorre dall'ultimo di essi; ma in nessun caso i termini stabiliti nell'articolo 157 possono essere prolungati oltre i termini di cui all'articolo 161, secondo comma, fatta eccezione per i reati di cui all'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale. |
3. La prescrizione interrotta comincia nuovamente a decorrere dal giorno dell'interruzione. Se più sono gli atti interruttivi, la prescrizione decorre dall'ultimo di essi. Salvo che per i reati di cui all'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale, i termini stabiliti dall'articolo 157, commi primo e secondo, non possono essere prolungati oltre la metà. In ogni caso, non possono essere superati i termini di cui all'articolo 157, secondo comma, numero 2). |
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3-bis. La prescrizione del reato interrotta dalla sentenza di condanna non comincia nuovamente a decorrere nel caso in cui il ricorso per cassazione presentato avverso la predetta sentenza sia dichiarato inammissibile. |
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3-ter. La prescrizione non comincia nuovamente a decorrere, altresì, nel caso in cui sia presentato ricorso per cassazione avverso una sentenza pronunciata in grado di appello che abbia confermato la sentenza di condanna di primo grado ovvero abbia riformato la stessa limitatamente alla specie o alla misura della pena, anche con riferimento al giudizio di comparazione tra circostanze. La disposizione di cui al presente comma non si applica in caso di accoglimento del ricorso. |
Le nuove ipotesi d’interruzione del corso della prescrizione sono le seguenti (art. 160, secondo comma):
§ l’interrogatorio reso davanti alla polizia giudiziaria all’uopo delegata;
§ l’avviso di conclusione delle indagini preliminari;
§ l’emissione del decreto penale di condanna.
E’, poi, novellato il terzo comma dell’art. 160 al fine di coordinarlo alle citate modifiche riguardanti i tempi per la maturazione della prescrizione.
Da ultimo, sono, aggiunti all’art. 160 c.p. due ulteriori commi con i quali:
§ si precisa che, se il ricorso per Cassazione nei confronti di una sentenza di condanna viene dichiarato inammissibile, il termine di prescrizione del reato è sospeso dal momento della pronuncia della sentenza di secondo grado;
§ analogamente, nel caso di cd. “doppia conforme” (doppia sentenza di condanna, in primo grado e in appello), l’eventuale ricorso per Cassazione non sospende il decorso del termine prescrizionale. A tale caso è parificato quello del ricorso in Cassazione avverso una sentenza d’appello che abbia riformato quella di primo grado solo sull’entità o specie della pena (anche in riferimento alla comparazione delle circostanze) non toccando tale ipotesi l’affermazione di responsabilità dell’imputato.
Solo in caso di accoglimento del ricorso da parte della Suprema Corte, il termine di prescrizione è calcolato computandolo dalla data dell’impugnazione.
La lettera e) novella, poi, il secondo comma dell’articolo 161 c.p., stabilendo che, quando si procede congiuntamente per reati connessi, la sospensione o l’’interruzione per taluni di essi abbia effetto anche per gli altri.
Il vigente art. 161 c.p. prevede che la sospensione e l'interruzione della prescrizione hanno effetto per tutti coloro che hanno commesso il reato (primo comma). Il secondo comma esclude, salvo che si proceda per i reati di cui all'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, c.p.p., che l'interruzione della prescrizione possa in ogni caso comportare l'aumento di più di un quarto del tempo necessario a prescrivere, della metà nei casi di cui all'articolo 99, secondo comma, di due terzi nel caso di cui all'articolo 99, quarto comma, e del doppio nei casi di cui agli articoli 102, 103 e 105.
Codice penale |
A.C. 3241, art. 1, co. 1, lett. a)-e) |
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Art. 161 |
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Effetti della sospensione e della interruzione. |
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1. La sospensione e l'interruzione della prescrizione hanno effetto per tutti coloro che hanno commesso il reato. |
1. Identico. |
2. Salvo che si proceda per i reati di cui all'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale, in nessun caso l'interruzione della prescrizione può comportare l'aumento di più di un quarto del tempo necessario a prescrivere, della metà nei casi di cui all'articolo 99, secondo comma, di due terzi nel caso di cui all'articolo 99, quarto comma, e del doppio nei casi di cui agli articoli 102, 103 e 105. |
2. Quando per più reati connessi si procede congiuntamente, la sospensione o l'interruzione della prescrizione per taluno di essi ha effetto anche per gli altri. |
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La lettera f) interviene in materia di limiti alla concessione della sospensione condizionale della pena (art. 164 c.p.).
L’art. 163 c.p. prevede che, nel pronunciare sentenza di condanna alla reclusione o all'arresto per un tempo non superiore a due anni (ovvero a pena pecuniaria che, sola o congiunta alla pena detentiva e ragguagliata a norma dell'articolo 135, sia equivalente ad una pena privativa della libertà personale per un tempo non superiore, nel complesso, a due anni) il giudice può ordinare che l'esecuzione della pena rimanga sospesa per il termine di cinque anni se la condanna è per delitto e di due anni se la condanna è per contravvenzione. In caso di sentenza di condanna a pena pecuniaria congiunta a pena detentiva non superiore a due anni, quando la pena nel complesso, ragguagliata a norma dell'articolo 135, sia superiore a due anni, il giudice può ordinare che l'esecuzione della pena detentiva rimanga sospesa.
La novella interessa il primo comma dell’art. 164 c.p., che attualmente prevede la concessione del beneficio soltanto se, avuto riguardo alle circostanze indicate nell'articolo 133 (ovvero gli elementi da cui il giudice desume la gravità del reato ai fini della determinazione della pena: natura dell’azione, gravità del danno, intensità del dolo o della colpa, ecc), il giudice possa presumere che il colpevole si asterrà dalla commissione di ulteriori reati.
Il nuovo primo comma aggiunge come ulteriore elemento di valutazione per la concessione della sospensione condizionale della pena da parte del giudice la consultazione della cd. banca data delle misure cautelari, ovvero il servizio informatico di cui all’art. 97 delle norme di attuazione del codice di procedura penale (D.Lgs 271/1989).
Detta norma ha previsto la comunicazione dei provvedimenti con i quali è disposta una misura cautelare personale, a cura della cancelleria del giudice che li ha emessi, al servizio informatico istituito con decreto del ministro della giustizia, quando la misura ha avuto esecuzione. La stessa comunicazione è altresì data quando è dichiarato lo stato di latitanza. Nel caso di fermo o di arresto in flagranza, alla comunicazione provvede la direzione dell'istituto di custodia al quale il fermato o l'arrestato è consegnato.
Deve essere altresì data immediata comunicazione al servizio previsto dal comma 1 del provvedimento con cui è ordinata la immediata liberazione dell'arrestato o del fermato nonché di ogni provvedimento estintivo o modificativo delle misure cautelari personali. Alla comunicazione provvede la cancelleria o la segreteria dell'autorità giudiziaria che ha adottato il provvedimento.
Si rileva, inoltre, che l'articolo 38 del D.L. 1° ottobre 2007 n. 159, recante Interventi urgenti in materia economico-finanziaria, per lo sviluppo e l'equità sociale (convertito dalla legge 29 novembre 2007, n. 222) ha previsto che al fine di potenziare gli strumenti di conoscenza dei precedenti giudiziari individuali, il Ministero della giustizia provvede alla realizzazione della banca dati delle misure cautelari di cui all’articolo 97 delle disposizioni di attuazione del codice processuale penale (D.Lgs 271/1989) nonché al rafforzamento della struttura informatica del Registro generale del casellario giudiziale ed alla sua integrazione su base nazionale con i carichi pendenti, prevedendo il relativo sistema di certificazione. A tali fini, è stabilito, per l’anno 2007,un finanziamento di 20 milioni di euro.
Le rimanenti lettere da f) a n) dell’articolo 1 in esame intervengono, poi, su taluni reati che destano particolare allarme sociale.
La lettera g), in particolare, novella l’art. 572 c.p., attualmente relativo al delitto di maltrattamenti in famiglia o verso i fanciulli.
Il vigente art. 572 c.p. (Maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli) sanziona con la reclusione da uno a cinque anni chiunque, fuori dei casi di abuso dei mezzi di correzione di cui all’art. 571, maltratta una persona della famiglia, o un minore degli anni quattordici, o una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l'esercizio di una professione o di un'arte.
Se dal fatto deriva una lesione personale grave, si applica la reclusione da quattro a otto anni; se ne deriva una lesione gravissima, la reclusione da sette a quindici anni; se ne deriva la morte, la reclusione da dodici a venti anni.
La nuova norma, la cui rubrica dà ora esplicito rilievo al fatto che persona offesa dal reato può essere anche una persona convivente con l’autore del medesimo (“Maltrattamenti contro familiari e conviventi”),prevede come autonoma circostanza aggravante la condotta illecita rivolta in danno di un minore di anni 14 anni, attualmente compresa nella fattispecie base.
Risultano, inoltre, aumentati di un anno i limiti edittali massimi previsti rispettivamente per:
a) il reato base (da 5 a 6 anni)
b) una delle circostanze aggravanti speciali, ovvero le lesioni gravi prodotte in conseguenza dei maltrattamenti (da 8 a 9 anni).
La lettera h), modificando l’art. 589 c.p., interviene, poi, sulla disciplina relativa all’omicidio colposo commesso con violazione delle norme sulla circolazione stradale (si veda anche la successiva scheda relativa all'articolo 3).
L’attuale art. 589 c.p. punisce con la reclusione da sei mesi a cinque anni chiunque cagiona, per colpa[18], la morte di una persona.
Se il fatto è commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale o di quelle per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena è della reclusione da due a cinque anni.
Nel caso di morte di più persone, ovvero di morte di una o più persone e di lesioni di una o più persone, si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse aumentata fino al triplo, ma la pena non può superare gli anni dodici.
Nella nuova formulazione del secondo comma, l’art. 589 prevede, anzitutto, un aumento di un anno (da 5 a 6 anni) del limite edittale massimo previsto per l’illecito.
Viene, poi, stabilito un autonomo trattamento sanzionatorio (reclusione da 3 a 10 anni) quando l’incidente stradale da cui sia derivata la morte della persona sia causato da un soggetto sotto effetto di alcool o droghe.
Va precisato che il secondo comma fa riferimento, in particolare, all’ipotesi di guida in stato di ebbrezza grave (ovvero qualora sia accertato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi per litro)rifacendosi esplicitamente alla più grave delle fattispecie previste dell’art. 186 del Codice della strada (D.Lgs 285/1992), come recentemente novellato dal D.L. 3 agosto 2007, n. 117 (Disposizioni urgenti modificative del codice della strada per incrementare i livelli di sicurezza nella circolazione), convertito dalla legge 2 ottobre 2007, n. 160 (Cfr.anche la successiva scheda relativa all'articolo 3).
In tali gravi ipotesi, il nuovo terzo comma incrementa, inoltre, di 3 anni il limite edittale massimo della reclusione (da 12 a 15 anni) in caso di una pluralità di vittime dell’illecito (sia per morte che per lesioni).
La successiva lettera i) interviene, invece, sull'articolo 590 c.p., riguardante il delitto di lesioni personali colpose.
L’art. 590 c.p.(Lesioni personali colpose) prevede, al terzo comma, che quando le lesioni, gravi o gravissime, sono causate da violazione delle norme sulla circolazione stradale (o di quelle per la prevenzione degli infortuni sul lavoro) la pena è la reclusione da tre mesi a un anno o la multa da 500 a 2.000 euro (per le lesioni gravi) e la reclusione da uno a tre anni (per le lesioni gravissime).
Nello specifico, la modifica proposta è volta ad aggiungere un quarto comma al citato articolo 590 c.p. che prevede un aumento delle sanzioni in caso di lesioni gravi o gravissime provocate in violazione delle norme sulla circolazione stradale da parte di conducenti in stato di ebbrezza alcolica grave (come sopra definita, ovvero in presenza di tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi per litro) o sotto effetto di stupefacenti.
Sempre nell’ottica di un maggior rigore sanzionatorio, la successiva lettera l) afferma il principio in base al quale le circostanze aggravanti previste dal citato terzo comma dell'articolo 589, ovvero quella di cui all'articolo 590 comma 4, sonno sottratte all'ordinario giudizio di bilanciamento circostanze.
E’, infatti, aggiunto al codice penale il nuovo art. 590-bis (Computo delle circostanze)che, per tali fattispecie, prevede l’impossibilità - ai fini del calcolo della pena - di considerare equivalenti o prevalenti le circostanze attenuanti (esclusa la minore età e la minima importanza causale al reato) concorrenti con le citate circostanze aggravanti.
La lettera m) dell'articolo 1 interviene, poi, sull'articolo 609-ter del codice penale, al fine di aggiungervi una ulteriore circostanza aggravante del delitto di violenza sessuale di cui all’art. 609-bis del codice penale.
La violenza sessuale è aggravata (art. 609-ter c.p.), ed è punita con la reclusione da 6 a 12 anni, se è commessa:
1) nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni quattordici;
2) con l'uso di armi o di sostanze alcoliche, narcotiche o stupefacenti o di altri strumenti o sostanze gravemente lesivi della salute della persona offesa;
3) da persona travisata o che simuli la qualità di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio;
4) su persona comunque sottoposta a limitazioni della libertà personale;
5) nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni sedici della quale il colpevole sia l'ascendente, il genitore anche adottivo, il tutore (primo comma).
Il reato commesso nei confronti di un minore di 10 anni è punto con la reclusione da 7 a 14 anni (secondo comma).
Ai sensi della nuova disposizione la citata circostanza ricorre allorquando l’autore del reato sia il coniuge o convivente della vittima o, comunque, una persona che abbia con essa una stabile relazione affettiva, pur senza convivenza;
Con la lettera n), è aggiunto, poi, al codice penale un nuovo delitto, rubricato "adescamento di minorenni" e sanzionato con la pena della reclusione da 1 a 3 anni.
Tale fattispecie, inserita nell'ambito dei delitti contro la libertà personale e già prevista in altri ordinamenti, è comunemente conosciuta con l'espressione grooming (dall’inglese to groom, istruire, preparare): con tale termine si intende la manipolazione psicologica di un minore - che avviene, per lo più, mediante chat-line, forum o newshgroup in Internet ovvero mediante sms - finalizzata, grazie all’affidamento conquistato, ad abusare o sfruttare sessualmente il minore stesso.
Nello specifico il nuovo art. 609-undecies c.p. sanziona con la citata pena detentiva il comportamento di chiunque, allo scopo di abusare sessualmente un minore di anni sedici, intrattiene con lui, anche attraverso l'utilizzo della rete internet o di altre reti o mezzi di comunicazione, una relazione tale “sedurlo, ingannarlo, o comunque, carpirne la fiducia”.
Al riguardo, si segnala che analoga disposizione è prevista dal disegno di legge A.C. 2169 (Governo), attualmente all'esame della Commissione giustizia della Camera unitamente ad altre proposte di legge recanti norme in materia di violenza sessuale (legge A.C. 950 e abb.).
In particolare, il comma 8 dell'art. 12 del ddl A.C. 2169, sanziona con la reclusione da 1 a 3 anni chiunque intrattiene una relazione con un minore di anni 16 tale da carpirne la fiducia, allo scopo di sedurlo, abusarne o sfruttarlo sessualmente. La relazione può svilupparsi anche attraverso l'utilizzazione di INTERNET o di altre reti o mezzi di comunicazione.
Da ultimo, le lettere o) e p) intervengono, rispettivamente, sulla disciplina penalistica delriciclaggio (art. 648-bis c.p. ) e dell’impiego di denaro, beni e utilità di provenienza illecita(art. 648-ter c.p.), al fine di sopprimere l'attuale previsione normativa che esclude dai possibili soggetti autori dei citati illeciti gli autori dei delitti presupposti da cui provengono i beni o il denaro oggetto di riciclaggio o di impiego illegittimo.
Al riguardo, si ricorda, che, attualmente, l'articolo 648- bis c.p. stabilisce che, fuori dei casi di concorso nel reato, chiunque sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo, ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni, in modo da ostacolare l'identificazione della loro provenienza delittuosa, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da euro 1.032 a euro 15.493.
Ai sensi del successivo articolo 648- ter c.p. chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato e dei casi previsti dagli articoli 648 (ricettazione) e 648-bis, impiega in attività economiche o finanziarie denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da euro 1.032 a 15.493.
Art. 2.
(Modifica all'articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354).
1. All'articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, dopo il comma 1 è inserito il seguente:
«1-bis. Salvo quanto previsto dal comma 1, ai fini della concessione dei benefìci ai detenuti e internati per i delitti di cui agli articoli 600-bis, 600-ter, 609-bis e 609-octies del codice penale, se commessi in danno di persona minorenne, e 609-quater del citato codice penale, il magistrato di sorveglianza o il tribunale di sorveglianza valuta la positiva partecipazione ad un programma di riabilitazione specifica».
2. Con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro delle politiche per la famiglia e con il Ministro dell'economia e delle finanze, sono disciplinati programmi di riabilitazione, di cui all'articolo 13 della legge 26 luglio 1975, n. 354, con specifico riferimento a quanto previsto dall'articolo 4-bis, comma 1-bis, della medesima legge n. 354 del 1975, introdotto dal comma 1 del presente articolo.
L’articolo 2 del disegno di legge in esame interviene sulla legge n. 354 del 1975(ordinamento penitenziario)[19] al fine di aggiungere all'attuale formulazione dell'articolo 4-bis un ulteriore comma, riguardante uno specifico elemento di valutazione che deve essere tenuto presente dal magistrato al fine del riconoscimento dei benefici penitenziari nei confronti delle persone detenute per specifici reati.
L’art. 4-bis O.P. contiene disposizioni inerenti il divieto di concessione dei benefìci e l’accertamento della pericolosità sociale dei condannati per taluni delitti.
In particolare, il primo comma, stabilisce che i soggetti detenuti o internati per alcuni reati di particolare gravità possano accedere in misura condizionata ai benefici previsti dall’ordinamento penitenziario.
In particolare, ai sensi di tale disposizione, l’assegnazione al lavoro all'esterno, i permessi premio e le misure alternative alla detenzione, esclusa la liberazione anticipata, possono essere concessi ai detenuti per delitti di particolare gravità solo quando tali detenuti e internati collaborino con la giustizia[20]
Con specifico riferimento, poi, ai detenuti per una serie di reati, tra cui prostituzione minorile (art. 600-bis c.p.), pornografia minorile (art. 600-ter c.p.), violenza sessuale (art. 609-bis c.p.) violenza sessuale di gruppo (art. 609-octies c.p.), la concessione dei benefici, può avvenire solo se non vi sono elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata.
Nello specifico, la modifica prevista dall'articolo in esame è volta stabilire il principio in base al quale la concessione dei benefici penitenziari nei confronti di persone detenute per i reati di prostituzione minorile (art. 600-bis c.p.), pornografia minorile (art. 600-ter c.p.), violenza sessuale (art. 609-bis c.p.), violenza sessuale di gruppo (art. 609-octies c.p.) - quando commessi in danno di persone minorenni – e per il reato di atti sessuali con minorenne (art. 609-quater c.p.), è condizionata anche alla valutazione della partecipazione del detenuto ad un programma di riabilitazione specifica.
Per la definizione di detti programmi il citato articolo 2 rimanda ad un successivo decreto interministeriale (giustizia-politiche della famiglia-economia e finanze).
Art. 3.
(Modifica all'articolo 222 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285).
1. All'articolo 222, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Se il fatto di cui al periodo precedente è commesso da soggetto in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell'articolo 186, comma 2, lettera c), ovvero da soggetto sotto l'effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope, il giudice applica la sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente».
L’articolo 3, novellando l’articolo 222 del d.lgs. n. 285/1992 (codice della strada), interviene al fine di aggravare il regime delle sanzioni accessorie per il reato di omicidio colposo commesso da soggetto sotto effetto di alcol o di sostanze stupefacenti.
In particolare, l’articolo in esame introduce la misura della revoca della patente per coloro che siano riconosciuti responsabili del predetto reato, qualora venga accertato a loro carico lo stato di ebbrezza di cui all’articolo 186, comma 2 lettera c) (tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi per litro), ovvero lo stato di alterazione psico-fisica conseguente all’assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope.
L’articolo 222, comma 2, prevede attualmente, per l’omicidio colposo commesso mediante violazione di norme del codice della strada, la sospensione della patente fino a quattro anni. La revoca della patente è prevista dal comma 3 solo nell'ipotesi di recidiva reiterata specifica verificatasi entro il periodo di cinque anni a decorrere dalla data della condanna definitiva per la prima violazione; l’applicazione di tale misura è comunque rimessa alla valutazione del giudice competente.
Va ricordato che la materia della guida in stato di ebbrezza – cui fa peraltro riferimento anche l’articolo 1 comma 1, lettera h), del disegno di legge in esame – è stata interessata da un recente intervento normativo, adottato con il decreto legge 3 agosto 2007, n. 117, convertito con legge 2 ottobre 2007, n. 160. L’articolo 5 di tale decreto legge, modificando l’articolo 186 del codice della strada, ha aggravato il relativo regime sanzionatorio di cui al comma 2 dell’articolo 186, prevedendo:
- in caso di accertamento di un tasso alcolemico superiore a 0,5 e fino a 0,8 grammi per litro, l’ammenda da 5000 a 2000 euro, e la sospensione della patente da tre a sei mesi;
- per un tasso alcolemico superiore a 0,8 e fino a 1,5 grammi per litro, l’arresto fino a tre mesi, l’ammenda da 800 a 3200 euro e la sospensione della patente da sei mesi a un anno;
- per un tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi per litro, l’arresto fino a sei mesi, l’ammenda da 1500 a 6000 euro e la sospensione della patente da uno a due anni. E’ prevista la revoca della patente quando il reato è commesso da conducenti di autobus o veicoli di massa superiore a 3,5 t, o in caso di recidiva nel biennio.
Il comma 2 bis dello stessoarticolo 186stabilisce che se il conducente in stato di ebbrezza provoca un incidente stradale, la pene di cui al comma 2 sono raddoppiate, ed è inoltre applicato il fermo amministrativo del veicolo per novanta giorni, salvo che questo appartenga a persona estranea al reato.
Il comma 2 quater introduce per i reati in questione, la competenza del tribunale in composizione monocratica.
Il comma 7 dispone per l’ipotesi di rifiuto di sottoporsi agli accertamenti sul tasso alcolemico (sempre che il fatto non configuri altra ipotesi di reato):
§ la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 2500 a 10000 euro (la sanzione pecuniaria viene elevata - da 3000 a 12000 euro - qualora il rifiuto sia avvenuto in occasione di un incidente stradale);
§ la sospensione della patente da sei mesi a due anni, a cui consegue l’ordine del prefetto al conducente a sottoporsi a visita medica;
§ il fermo amministrativo del veicolo per 180 giorni, salvo che questo appartenga a persona estranea al reato;
In caso di ulteriori violazioni nel corso di un biennio, è prevista la revoca della patente.
1. Al codice di procedura penale sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all'articolo 260, dopo il comma 3 è aggiunto il seguente:
«3-bis. L'autorità giudiziaria può procedere, altresì, alla distruzione delle merci di cui sono comunque vietati la fabbricazione, il possesso, la detenzione o la commercializzazione quando le stesse sono, per entità, di difficile custodia, ovvero quando la custodia risulta particolarmente onerosa o pericolosa per la sicurezza, la salute o l'igiene pubblica ovvero quando, anche all'esito di accertamenti compiuti ai sensi dell'articolo 360, risulti evidente la violazione dei predetti divieti. L'autorità giudiziaria dispone il prelievo di uno più campioni con l'osservanza delle formalità di cui all'articolo 364 e ordina la distruzione della merce residua»;
b) all'articolo 274, comma 1, lettera c), dopo le parole: «o dai suoi precedenti penali» sono inserite le seguenti: «o giudiziari, ovvero dalle risultanze desumibili dal servizio informatico previsto dall'articolo 97 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del presente codice, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271» e dopo le parole: «sussiste il concreto pericolo che questi commetta» sono inserite le seguenti: «uno dei delitti di cui all'articolo 380, ovvero altri»;
c) all'articolo 275, il comma 1-bis è sostituito dal seguente:
«1-bis. Contestualmente ad una sentenza di condanna, le misure cautelari personali sono sempre disposte quando, anche tenendo conto degli elementi sopravvenuti, risultano sussistere le esigenze cautelari previste dall'articolo 274, la condanna riguarda uno dei delitti previsti dall'articolo 380 e questo risulta commesso da soggetto condannato nei cinque anni precedenti per delitti della stessa indole»;
d) all'articolo 275, il comma 2-ter è abrogato;
e) all'articolo 275, il comma 3 è sostituito dal seguente:
«3. La custodia in carcere può essere disposta soltanto quando ogni altra misura risulti inadeguata. È applicata la custodia in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti la mancanza di esigenze cautelari, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ad uno dei delitti di cui ai seguenti articoli:
a) 423-bis, commi primo, terzo e quarto, 439, 440, 624-bis e 628 del codice penale;
b) 407, comma 2, lettera a), ad esclusione di quelli di cui all'articolo 609-quater del codice penale, quando il fatto sia di minore gravità;
c) 12, commi 3-bis e 3-ter, del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni;
d) 260, commi 1 e 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152»;
f) all'articolo 310, il comma 3 è abrogato;
g) all'articolo 311, dopo il comma 5 è aggiunto il seguente:
«5-bis. Il ricorso per cassazione avverso la decisione con la quale il tribunale, accogliendo l'appello del pubblico ministero, dispone una misura cautelare non ha effetto sospensivo»;
h) all'articolo 392, il comma 1-bis è sostituito dal seguente:
«1-bis. Nei procedimenti per i delitti di cui agli articoli 572, 600, 600-bis, 600-ter, anche se relativo al materiale pornografico di cui all'articolo 600-quater.1, 600-quinquies, 601, 602, 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies e 609-undecies del codice penale il pubblico ministero, anche su richiesta della persona offesa, o la persona sottoposta alle indagini possono chiedere che si proceda con incidente probatorio all'assunzione della testimonianza di persona minorenne ovvero della persona offesa maggiorenne, anche al di fuori delle ipotesi previste dal comma 1»;
i) all'articolo 453, dopo il comma 1 sono inseriti i seguenti:
«1-bis. Il pubblico ministero richiede il giudizio immediato, anche fuori dai termini di cui all'articolo 454, comma 1, e comunque entro centottanta giorni dall'esecuzione della misura, per il reato in relazione al quale la persona sottoposta alle indagini si trova in stato di custodia cautelare, salvo che la richiesta pregiudichi gravemente le indagini.
1-ter. La richiesta di cui al comma 1-bis è formulata dopo la definizione del procedimento di cui all'articolo 309, ovvero dopo il decorso dei termini per la proposizione della richiesta di riesame»;
l) all'articolo 455, dopo il comma 1 è aggiunto il seguente:
«1-bis. Nei casi di cui all'articolo 453, comma 1-bis, il giudice rigetta la richiesta se l'ordinanza che dispone la custodia cautelare è stata revocata o annullata per sopravvenuta insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza»;
m) all'articolo 599, i commi 4 e 5 sono abrogati;
n) all'articolo 602, il comma 2 è abrogato;
o) all'articolo 656, comma 9, lettera a), dopo le parole: «della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni» sono inserite le seguenti: «, nonché di cui agli articoli 423-bis, 600-bis e 624-bis, 628 del codice penale».
L’articolo 4 del disegno di legge novella alcuni articoli del codice di procedura penale.
In particolare, la lettera a) interviene sull’art. 260 c.p.p., relativo all’apposizione di sigilli alle cose sequestrate.
Il sequestro del «corpo del reato e delle cose pertinenti al reato necessarie per l’accertamento dei fatti» è disciplinato dagli artt. 253 e seguenti del codice di rito tra i mezzi di ricerca della prova. Tale sequestro viene definito probatorio ed ha come finalità l’apprensione di una cosa determinata, mobile o immobile, che costituisce il corpo del reato o cosa a questo pertinente, per garantire al giudizio il mezzo di prova. In particolare gli articoli da 253 a 263 definiscono fattispecie specifiche di sequestri, aventi ad oggetto beni di rilevanza quali la corrispondenza, documenti bancari o atti coperti dal segreto di Stato o professionale.
L’articolo 260 c.p.p. descrive le attività materiali che vengono eseguite al fine di impedire che le cose sottoposte a sequestro vengano manipolate o ne venga modificato lo status quo. Nella disposizione viene precisato che il sigillo è uno strumento simbolico attraverso cui si manifesta la volontà dello Stato, diretta ad assicurare beni mobili o immobili contro ogni atto di disposizione o di manomissione.
La norma precisa che in presenza di cose che possono alterarsi (prodotti alimentari, farmaceutici o altri prodotti soggetti a deperimento o alterazione nel tempo), l’autorità giudiziaria può ordinare l’alienazione o la distruzione (comma 3). Per l’attuazione di questa disposizione si fa poi riferimento all’art. 83 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura.
Il disegno di legge inserisce nell’art. 260 c.p.p. un ulteriore ultimo comma (3-bis), mediante il quale si stabilisce che la distruzione delle cose sequestrate, già prevista al comma 3, può essere ordinata non soltanto in presenza di cose deperibili, ma anche per merci delle quali siano vietate la fabbricazione, il possesso, la detenzione o la commercializzazione, purché:
§ la custodia si presenti difficile in ragione dell’entità o della pericolosità per la sicurezza, la salute o l’igiene pubblica;
§ ovvero la violazione dei divieti sia evidente (anche a seguito di accertamenti tecnici non ripetibili).
Se è ordinata la distruzione, l’autorità giudiziaria dispone il prelievo di uno o più campioni, dopo aver con l’osservanza delle formalità di cui all’articolo 364 e ordina la distruzione della merce residua.
Come precisato nella relazione illustrativa del provvedimento in esame in tali ipotesi, si ritiene - salva ovviamente l'esistenza di esigenze istruttorie che impongano il mantenimento in sequestro a fini probatori - che il principio secondo cui la merce in questione, destinata alla confisca obbligatoria ai sensi dell'articolo 240, secondo comma, numero 2), del codice penale, sia mantenuta in sequestro preventivo ai sensi dell'articolo 321, comma 2, del codice di procedura penale, possa essere derogato in favore di una immediata distruzione, anche al fine di limitare la già richiamata, crescente incidenza degli oneri di custodia sull'erario.
Le successive lettere b), c), d) ed e) dell’articolo 4 novellano, poi, alcune disposizioni del codice di rito in tema di misure cautelari personali.
In particolare, la lettera b) interviene sull’art. 274 c.p.p. in tema di esigenze cautelari.
Ai sensi dell’art. 274, affinché una misura cautelare possa essere disposta, deve sussistere almeno una delle seguenti esigenze, derivanti da:
a) pericolo di inquinamento delle prove (lett. a). La finalità è quella di salvaguardare le fonti di prova, per impedirne la soppressione o l’alterazione, specialmente durante la fase delle indagini preliminari. Il pericolo deve essere attuale e concreto e deve essere fondato non su illazioni o supposizioni ma su circostanze di fatto, che devono essere espressamente indicate nell’ordinanza cautelare a pena di nullità assoluta della stessa;
b) pericolo di fuga (lett. b). Attiene al rischio che l’indagato si sottragga al processo e all’espiazione della eventuale pena. Il pericolo di fuga non giustizia la misura cautelare se è prevedibile la irrogazione di una pena inferiore entro i due anni di reclusione;
c) pericolo di reiterazione di reati (lett. c). Si tratta di esigenze di tutela della collettività in relazione al concreto pericolo che l’imputato commetta gravi delitti di violenza o contro l’ordine costituzionale o di criminalità organizzata ovvero della medesima indole di quello per cui si procede. Per poter desumere il pericolo di reiterazione dei reati occorre tener conto delle «specifiche modalità e circostanze del fatto», ovvero della «personalità della persona sottoposta alle indagini o dell'imputato, desunta da comportamenti o atti concreti o dai suoi precedenti penali». Se il pericolo riguarda il compimento di reati della stessa indole di quello per cui si procede, si può applicare la custodia cautelare solo se si tratta di delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore, nel minimo, a 4 anni.
Il disegno di legge novella, in particolare, la citata lettera c) dell’art. 274, aggiungendo agli attuali elementi dai quali il giudice può desumere il pericolo di reiterazione (v. sopra) anche la valutazione dei precedenti giudiziari e delle risultanze desumibili dal servizio informatico previsto dall’art. 97 delle disposizioni di attuazione del codice (cfr. precedente articolo 1, lettera f));
Inoltre, la disposizione in esame prevede che la misura cautelare possa essere disposta anche quando il giudice ritenga sussistere il rischio che l'imputato o la persona sottoposta alle indagini possa commettere taluno dei delitti previsti all’art. 380 c.p.p.
Al riguardo, si ricorda che l’art. 380 c.p.p. individua i delitti per i quali è previsto l’arresto obbligatorio in caso di flagranza di reato. Si tratta di i delitti di particolare gravità tra cui quelli commessi contro la personalità dello Stato, per i quali è stabilita la pena della reclusione non inferiore nel minimo a 5 o nel massimo a 10 anni; riduzione in schiavitù (art. 600 c.p.), prostituzione minorile (art. 600-bis, co. 1), pornografia minorile (art. 600-ter, co. 1 e 2), anche se relativa al materiale pornografico (art. 600-quater.1), turismo sessuale (art. 600-quinquies c.p.); furto aggravato[21] e di furto in abitazione e furto con strappo[22]; rapina (art. 628 c.p.) ed estorsione (art. 629 c.p.);itti concernenti sostanze stupefacenti o psicotrope (ex art. 73 del DPR 309/1990, testo unico sugli stupefacenti); delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine costituzionale per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel minimo a 4 anni o nel massimo a 10 anni;, etnici, nazionali o religiosi; delitti di partecipazione, promozione, direzione e organizzazione di associazioni di tipo mafioso (art. 416-bis c.p.).
Le successive lettere c), d) ed e) dell'articolo 4 novellano l’art. 275 del codice di procedura penale, attualmente rubricato criteri di scelta della misura cautelare da applicare.
Nello specifico, la lettera c) riformula il comma 1-bis dell’art. 275, ampliando le ipotesi di automatica irrogazione delle misure cautelari personali, attualmente operante, in presenza di taluni presupposti, al momento della sentenza di condanna in appello
Il comma 1-bis dell’articolo 275 c.p.p. prevede, attualmente, che contestualmente ad una sentenza di condanna, l'esame delle esigenze cautelari è condotto tenendo conto anche dell'esito del procedimento, delle modalità del fatto e degli elementi sopravvenuti, dai quali possa emergere che, a seguito della sentenza, risulti il pericolo di fuga o di reiterazione del reato ovvero della commissione di delitti con uso di armi e violenza personale, contro l’ordine costituzionale o di criminalità organizzata. Il comma 2-ter dell’art. 275 prevede, invece, nei casi di condanna di appello, un automatismo nell’irrogazione delle misure cautelari; queste, infatti, sono sempre disposte, contestualmente alla sentenza, quando, all'esito dell'esame condotto a norma del comma 1-bis, risultano sussistere esigenze cautelari previste dall'articolo 274 e la condanna riguarda uno dei delitti previsti dall'articolo 380, comma 1 (per cui è obbligatorio l’arresto in flagranza, v. ante) e questo risulta commesso da soggetto condannato nei cinque anni precedenti per delitti della stessa indole.
In particolare, il nuovo comma 1-bis dell'articolo 275 è volto ad anticipare il citato automatismo al momento della condanna di primo grado e sempre che:
§ sussista almeno una delle esigenze cautelari indicate dall’art. 274 del codice;
§ la condanna si riferisca ad uno dei reati per cui è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza (art. 380 c.p.p., v. ante);
§ il condannato sia un recidivo specifico infraquinquennale.
Per esigenze di coordinamento, la successiva lettera d)dell'articolo 4 abroga il citato comma 2-ter dell’art. 275 c.p.p., relativo all’automatismo applicativo delle misure cautelari in caso di condanna in sede di appello.
La lettera e) novella, poi, il terzo comma dello stesso art. 275 c.p., ampliando il numero dei reati per i quali, in presenza di esigenze cautelari, si ritiene che l'unica misura adeguata sia quella della custodia cautelare in carcere.
Il vigente terzo comma dell’art. 275 c.p.p. prevede la disposizione della custodia cautelare in carcere “soltanto quando ogni altra misura risulti inadeguata”. In presenza di gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti di cui all'articolo 416-bis del codice penale (associazione mafiosa) o ai delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto articolo 416-bis ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti l’assenza di esigenze cautelari.
Nello specifico, ferme restando le ipotesi delittuose attualmente previste dal vigente articolo 275, la nuova disposizione fa espresso riferimento :
a) ai reati di incendio boschivo (art. 423-bis c.p., primo, terzo e quarto comma); avvelenamento di acque o sostanze alimentari (art. 439 c.p.); adulterazione o contraffazione di sostanze alimentari (art. 440 c.p.); furto in abitazione e furto con strappo (art. 624-bis c.p.); rapina (art. 628 c.p.);
b) ai reati indicati dall'articolo 407 c.p.p.;
Si tratta dei reati per i quali è previsto un termine massimo di conclusione delle indagini più ampio di quello ordinario: tra questi reati si segnalano, in particolare, i delitti di strage, associazione mafiosa, associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga e di tabacchi, omicidio, sequestro di persona, reati di terrorismo e in materia di armi ed esplosivi, una serie di gravi delitti contro la libertà individuale come riduzione in schiavitù, tratta di persone, prostituzione e pornografia minorile, violenza sessuale aggravata e di gruppo;
c) le ipotesi aggravate del delitto di agevolazione all’ingresso o permanenza in Italia di immigrati in violazione delle disposizioni del TU 286/1998 (art. 12, commi 3-bis e 3-ter)[23];
d) le attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti (art. 260, primo e secondo comma del decreto legislativo n.152 del 2006)
La successiva lettera f) dispone l’abrogazione del comma 3 dell’art. 310 c.p.p. in base al quale l'esecuzione della decisione con la quale il tribunale, accogliendo l'appello del pubblico ministero, dispone una misura cautelare è sospesa fino a che la decisione non sia divenuta definitiva, mentre la lettera g), novellando l'articolo 311 del codice c.p.p. stabilisce il principio in base al quale il ricorso per Cassazione non sospende l'efficacia esecutiva dell'ordinanza emessa dal tribunale.
Come precisato nella relazione illustrativa del provvedimento "detta norma (comma 3 dell’art. 310 c.p.p. ) concede all'indagato … di beneficiare di un ulteriore lasso di tempo tra la decisione del giudice collegiale di applicare la misura e la sua esecuzione; questo ulteriore lasso di tempo costituisce una fonte di grave pregiudizio, sotto il profilo dell'inquinamento probatorio, per le esigenze di tutela delle indagini, ma concede anche all'indagato tutto il tempo necessario per consolidare una sua eventuale latitanza. È, pertanto, apparso necessario prevedere l'abrogazione del predetto comma 3 dell'articolo 310, e introdurre (con l'articolo 4, comma 1, lettera g), del presente disegno di legge) all'articolo 311 del codice di procedura penale l'opposto principio in base al quale il ricorso per cassazione non sospende l'efficacia esecutiva dell'ordinanza emessa dal tribunale.
La lettera h) modifica il comma 1-bis dell'articolo 392 c.p.p. al fine di ampliare le ipotesi in presenza delle quali è possibile richiedere l’incidente probatorio;
L’attuale norma prevede, infatti, che la testimonianza del minore infrasedicenne, nei procedimenti per i reati di prostituzione minorile (art. 600-bis c.p.), pornografia minorile (art. 600-ter c.p.), violenza sessuale (art. 609-bis c.p.), violenza sessuale di gruppo (art. 609-octies c.p.),anche al di fuori delle ipotesi ordinarie[24], possa essere assunta con incidente probatorio su richiesta del PM o della persona indagata.
Il novellato art. 392 - oltre ad integrare l’elenco dei citati reati con quelli di cui agli articoli 572 (Maltrattamenti in famiglia o verso i fanciulli) e 609-undecies (Adescamento di minorenni) del codice penale (quest’ultimo aggiunto dal d.d.l. in esame, v. art. 1) prevede:
§ che possa essere assunta con incidente probatorio, oltre che la testimonianza del minore di anni 16, anche quella della persona offesa maggiorenne;
§ che la richiesta d’incidente probatorio possa essere avanzata anche dalla persona offesa.
Le successive disposizioni contenute nelle lettere i) e l) del comma 1 dell'articolo 4 sono volte ad accelerare l'instaurazione del giudizio, nelle ipotesi in cui, a carico dell'indagato, sia stata emessa un'ordinanza applicativa di misura cautelare custodiale e la valutazione circa la sussistenza della gravità indiziaria sia stata confermata in sede di riesame.
Nello specifico, la lettera i) integra il contenuto dell’art. 455 c.p.p. (Decisione sulla richiesta di giudizio immediato) con i commi 1-bis e 1-ter al fine di consentire al PM di richiedere il rito immediato per tutti gli imputati in stato di custodia cautelare, confermata in sede di riesame, anche al di fuori dei limiti temporali previsti dall’art. 454(90 giorni dall’iscrizione nel registro degli indagati); il comma 1-bis fissa, in particolare, tale termine in 180 gg. decorrenti dalla data di esecuzione della misura cautelare, fatta salva l’ipotesi che tale richiesta sia di “grave pregiudizio” alle indagini; il comma 1-ter precisa, poi, che la richiesta di giudizio immediato è formulata un volta definito il giudizio da parte del tribunale del riesame di cui all’art. 309 c.p.p., ovvero decorsi i termini per la stessa richiesta di riesame (di norma, entro 10 giorni dalla notifica o esecuzione del provvedimento).
La lettera l) aggiunge, poi, un comma 1-bis all’art. 453 c.p.p. (Casi e modi di giudizio immediato) così integrando la previsione di cui alla precedente lett. i).
La nuova norma precisa, infatti, che nel caso di revoca o annullamento - per sopravvenuta insussistenza degli indizi di colpevolezza - dell’ordinanza che dispone la misura custodiale consegue l’obbligo per il giudice di rigettare la richiesta di rito immediato avanzata ai sensi del nuovo comma 1-bis dell’art. 455.
Con il combinato disposto delle lettere m) ed n) – che abrogano, rispettivamente, i commi 4 e 5 dell’art. 599 e il comma 2 dell’art. 602 c.p.p. -viene eliminata la possibilità del ricorso al cd. patteggiamento in appello.
Al riguardo, si osserva che il cd. patteggiamento in appello di cui all’art. 599 del codice di procedura penale, comma 4, rappresenta un istituto distinto rispetto al patteggiamento di cui all'art. 444 del medesimo codice. La norma prevede che la corte d’appello, se le parti ne fanno richiesta dichiarando di concordare sull’accoglimento, in tutto o in parte, dei motivi d’appello, può decidere sul punto in camera di consiglio; se, i motivi dei quali viene chiesto l’accoglimento comportano una diversa determinazione della pena (rispetto al primo grado), le parti (PM, imputato e persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria) possono accordarsi sull’entità della stessa indicandola al giudice. Questi, se accoglie la richiesta pronuncia sentenza, altrimenti ordina la citazione a comparire al dibattimento (art. 599, comma 5). Il diniego del giudice non preclude, comunque alle parti di riproporre la stessa richiesta in dibattimento.Tale patteggiamento in appello, resta, quindi, distinto da quello previsto dagli artt. 444 e ss. c.p.p., non comportando il primo né una diminuzione di pena o vantaggi premiali, nè un vincolo del giudice sul contenuto dell’accordo. Ben può, infatti, il giudice dell’appello, all'esito negativo del controllo di congruità, decidere in modo difforme dall'accordo, con la conseguente perdita di efficacia della richiesta e della rinuncia agli altri motivi di appello non riguardanti la pena.
A sua volta L’art. 602, secondo comma, c.p.p. 2. stabilisce, in caso di concorde richiesta delle parti per l'accoglimento, in tutto o in parte, dei motivi di appello a norma dell'articolo 599, comma 4, che il giudice, quando ritiene che la richiesta deve essere accolta, provveda immediatamente; altrimenti dispone per la prosecuzione del dibattimento.
Come precisato nella relazione illustrativa del provvedimento, le motivazioni dell’eliminazione di tale istituto risiedono essenzialmente nel fatto che, "pur diverso, sia come funzione che come struttura processuale, dal patteggiamento di cui all’art. 444 c.p.p. il patteggiamento in appello ha, nella pratica, provocato il rimidensionamento dell’interesse a chiedere l’applicazione del patteggiamento vero e proprio già in primo grado, così vanificando le finalità deflattive per cui era stato introdotto.
Inoltre, si legge sempre nella medesima relazione "il ricorso alla richiesta di cui all’art. 602, secondo comma, provoca grazie alla rimodulazione della pena, un abnorme abbattimento della misura della stessa, potendo, tra l’altro il giudice, accogliere la richiesta senza particolari oneri di motivazione[25] (in tale ultimo senso, v. Cassazione penale, sentenza 24 magio 1995).
Da ultimo, la lettera o), novellando il comma 9 dell’art. 656 c.p.p., dispone che in relazione a specifici reati che suscitano particolare allarme sociale non operi la prevista sospensione dell’esecuzione della pena detentiva nel caso in cui questa non superi i tre anni di reclusione (sei anni nei casi previsti dagli articoli 90 e 94 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, ovvero nei confronti dei tossicodipendenti che abbiano incorso o vogliano intraprendere un programma terapeutico socio-riabilitativo).
L’art. 656 c.p.p. (Esecuzione delle pene detentive) prevede, al comma 5, in caso di pena detentiva, anche se costituente residuo di maggiore pena, non superiore a tre anni o sei anni nei casi di cui agli articoli 90 e 94 del testo stupefacenti (DPR 309/1990), che il pubblico ministero, salvo quanto previsto dai commi 7 (la sospensione è prevista una sola volta) e 9 (deroghe alla disciplina generale), ne sospende l'esecuzione. L'ordine di esecuzione e il decreto di sospensione sono notificati al condannato e al difensore nominato per la fase dell'esecuzione o, in difetto, al difensore che lo ha assistito nella fase del giudizio, con l'avviso che entro trenta giorni può essere presentata istanza, corredata dalle indicazioni e dalla documentazione necessarie, volta ad ottenere la concessione di una delle misure alternative alla detenzione di cui all’ordinamento penitenziario (L. 354/1975). Il comma 9 della stessa norma introduce le citate deroghe stabilendo che la sospensione dell'esecuzione di cui al comma 5 non può essere disposta: a) nei confronti dei condannati per i delitti di cui all'articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, fatta eccezione per coloro che si trovano agli arresti domiciliari disposti ai sensi dell'articolo 89 del testo unico 309/1990; b) nei confronti di coloro che, per il fatto oggetto della condanna da eseguire, si trovano in stato di custodia cautelare in carcere nel momento in cui la sentenza diviene definitiva; c) nei confronti dei condannati ai quali sia stata applicata la plurirecidiva prevista dall'articolo 99, quarto comma, del codice penale.
Nello specifico, i reati citati dalla disposizione in esame (lettera o) sono:
§ l’incendio boschivo (art. 423-bis c.p.);
§ la prostituzione minorile (art. 600-bis c.p.);
§ il furto in abitazione e con strappo (art. 624-bis c.p.);
§ la rapina (art. 628 c.p.)
A questo proposito si osserva che i citati reati coincidono parzialmente con i delitti di maggior allarme sociale per i quali il nuovo comma 3 dell’art. 275 c.p.p. (v. art, 4, comma 1, lett. e, del d.d.l. in esame) stabilisce un ampliamento delle ipotesi di adozione della misura della custodia cautelare in carcere.
Codice di procedura penale |
A.C. 3241, art. 4 |
Art. 260 |
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Apposizione dei sigilli alle cose sequestrate. Cose deperibili. |
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1. Le cose sequestrate si assicurano con il sigillo dell'ufficio giudiziario e con le sottoscrizioni dell'autorità giudiziaria e dell'ausiliario che la assiste ovvero, in relazione alla natura delle cose, con altro mezzo idoneo a indicare il vincolo imposto a fini di giustizia. |
1. Identico. |
2. L'autorità giudiziaria fa estrarre copia dei documenti e fa eseguire fotografie o altre riproduzioni delle cose sequestrate che possono alterarsi o che sono di difficile custodia, le unisce agli atti e fa custodire in cancelleria o segreteria gli originali dei documenti, disponendo, quanto alle cose, in conformità dell'articolo 259. |
2. Identico. |
3. Se si tratta di cose che possono alterarsi, l'autorità giudiziaria ne ordina, secondo i casi, l'alienazione o la distruzione. |
3. Identico. |
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3-bis. L'autorità giudiziaria può procedere, altresì, alla distruzione delle merci di cui sono comunque vietati la fabbricazione, il possesso, la detenzione o la commercializzazione quando le stesse sono, per entità, di difficile custodia, ovvero quando la custodia risulta particolarmente onerosa o pericolosa per la sicurezza, la salute o l'igiene pubblica ovvero quando, anche all'esito di accertamenti compiuti ai sensi dell'articolo 360, risulti evidente la violazione dei predetti divieti. L'autorità giudiziaria dispone il prelievo di uno più campioni con l'osservanza delle formalità di cui all'articolo 364 e ordina la distruzione della merce residua. |
Art. 274 |
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Esigenze cautelari. |
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1. Le misure cautelari sono disposte: |
1. Identico: |
a) quando sussistono specifiche ed inderogabili esigenze attinenti alle indagini relative ai fatti per i quali si procede, in relazione a situazioni di concreto ed attuale pericolo per l'acquisizione o la genuinità della prova, fondate su circostanze di fatto espressamente indicate nel provvedimento a pena di nullità rilevabile anche d'ufficio. Le situazioni di concreto ed attuale pericolo non possono essere individuate nel rifiuto della persona sottoposta alle indagini o dell'imputato di rendere dichiarazioni né nella mancata ammissione degli addebiti; |
a) identica; |
b) quando l'imputato si è dato alla fuga o sussiste concreto pericolo che egli si dia alla fuga, sempre che il giudice ritenga che possa essere irrogata una pena superiore a due anni di reclusione; |
b) identica; |
c) quando, per specifiche modalità e circostanze del fatto e per la personalità della persona sottoposta alle indagini o dell'imputato, desunta da comportamenti o atti concreti o dai suoi precedenti penali, sussiste il concreto pericolo che questi commetta gravi delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro l'ordine costituzionale ovvero delitti di criminalità organizzata o della stessa specie di quello per cui si procede. Se il pericolo riguarda la commissione di delitti della stessa specie di quello per cui si procede, le misure di custodia cautelare sono disposte soltanto se trattasi di delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni. |
c) quando, per specifiche modalità e circostanze del fatto e per la personalità della persona sottoposta alle indagini o dell'imputato, desunta da comportamenti o atti concreti o dai suoi precedenti penali o giudiziari, ovvero dalle risultanze desumibili dal servizio informatico previsto dall’articolo 97 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del presente codice, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, sussiste il concreto pericolo che questi commetta uno dei delitti di cui all’articolo 380, ovvero altri gravi delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro l'ordine costituzionale ovvero delitti di criminalità organizzata o della stessa specie di quello per cui si procede. Se il pericolo riguarda la commissione di delitti della stessa specie di quello per cui si procede, le misure di custodia cautelare sono disposte soltanto se trattasi di delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni. |
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Art. 275 |
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Criteri di scelta delle misure. |
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1. Nel disporre le misure, il giudice tiene conto della specifica idoneità di ciascuna in relazione alla natura e al grado delle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto. |
1. Identico. |
1-bis. Contestualmente ad una sentenza di condanna, l'esame delle esigenze cautelari è condotto tenendo conto anche dell'esito del procedimento, delle modalità del fatto e degli elementi sopravvenuti, dai quali possa emergere che, a seguito della sentenza, risulta taluna delle esigenze indicate nell'articolo 274, comma 1, lettere b) e c). |
1-bis. Contestualmente ad una sentenza di condanna, le misure cautelari personali sono sempre disposte quando, anche tenendo conto degli elementi sopravvenuti, risultano sussistere le esigenze cautelari previste dall'articolo 274, la condanna riguarda uno dei delitti previsti dall'articolo 380 e questo risulta commesso da soggetto condannato nei cinque anni precedenti per delitti della stessa indole. |
2. Ogni misura deve essere proporzionata all'entità del fatto e alla sanzione che sia stata o si ritiene possa essere irrogata. |
2. Identico. |
2-bis. Non può essere disposta la misura della custodia cautelare se il giudice ritiene che con la sentenza possa essere concessa la sospensione condizionale della pena. |
2-bis. Identico. |
2-ter. Nei casi di condanna di appello le misure cautelari personali sono sempre disposte, contestualmente alla sentenza, quando, all'esito dell'esame condotto a norma del comma 1-bis, risultano sussistere esigenze cautelari previste dall'articolo 274 e la condanna riguarda uno dei delitti previsti dall'articolo 380, comma 1, e questo risulta commesso da soggetto condannato nei cinque anni precedenti per delitti della stessa indole. |
2-ter. Abrogato |
3. La custodia cautelare in carcere può essere disposta soltanto quando ogni altra misura risulti inadeguata. Quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti di cui all'articolo 416-bis del codice penale o ai delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto articolo 416-bis ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari. |
3. La custodia in carcere può essere disposta soltanto quando ogni altra misura risulti inadeguata. È applicata la custodia in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti la mancanza di esigenze cautelari, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ad uno dei delitti di cui ai seguenti articoli: a) 423-bis, commi primo, terzo e quarto, 439, 440, 624-bis e 628 del codice penale; b) 407, comma 2, lettera a), ad esclusione di quelli di cui all'articolo 609-quater del codice penale, quando il fatto sia di minore gravità; c) 12, commi 3-bis e 3-ter, del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni; d) 260, commi 1 e 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152. |
4. Non può essere disposta la custodia cautelare in carcere, salvo che sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, quando imputati siano donna incinta o madre di prole di età inferiore a tre anni con lei convivente, ovvero padre, qualora la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole, ovvero persona che ha superato l'età di settanta anni. |
4. Identico. |
4-bis. Non può essere disposta né mantenuta la custodia cautelare in carcere quando l'imputato è persona affetta da AIDS conclamata o da grave deficienza immunitaria accertate ai sensi dell'articolo 286-bis, comma 2, ovvero da altra malattia particolarmente grave, per effetto della quale le sue condizioni di salute risultano incompatibili con lo stato di detenzione e comunque tali da non consentire adeguate cure in caso di detenzione in carcere. |
4-bis. Identico. |
4-ter. Nell'ipotesi di cui al comma 4-bis, se sussistono esigenze cautelari di eccezionale rilevanza e la custodia cautelare presso idonee strutture sanitarie penitenziarie non è possibile senza pregiudizio per la salute dell'imputato o di quella degli altri detenuti, il giudice dispone la misura degli arresti domiciliari presso un luogo di cura o di assistenza o di accoglienza. Se l'imputato è persona affetta da AIDS conclamata o da grave deficienza immunitaria, gli arresti domiciliari possono essere disposti presso le unità operative di malattie infettive ospedaliere ed universitarie o da altre unità operative prevalentemente impegnate secondo i piani regionali nell'assistenza ai casi di AIDS, ovvero presso una residenza collettiva o casa alloggio di cui all'articolo 1, comma 2, della legge 5 giugno 1990, n. 135. |
4-ter. Identico. |
4-quater. Il giudice può comunque disporre la custodia cautelare in carcere qualora il soggetto risulti imputato o sia stato sottoposto ad altra misura cautelare per uno dei delitti previsti dall'articolo 380, relativamente a fatti commessi dopo l'applicazione delle misure disposte ai sensi dei commi 4-bis e 4-ter. In tal caso il giudice dispone che l'imputato venga condotto in un istituto dotato di reparto attrezzato per la cura e l'assistenza necessarie. |
4-quater. Identico. |
4-quinquies. La custodia cautelare in carcere non può comunque essere disposta o mantenuta quando la malattia si trova in una fase così avanzata da non rispondere più, secondo le certificazioni del servizio sanitario penitenziario o esterno, ai trattamenti disponibili e alle terapie curative. |
4-quinquies. Identico. |
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Art. 310 |
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Appello. |
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1. Fuori dei casi previsti dall'articolo 309 comma 1, il pubblico ministero, l'imputato e il suo difensore possono proporre appello contro le ordinanze in materia di misure cautelari personali, enunciandone contestualmente i motivi. |
1. Identico. |
2. Si osservano le disposizioni dell'articolo 309 commi 1, 2, 3, 4 e 7. Dell'appello è dato immediato avviso all'autorità giudiziaria precedente che, entro il giorno successivo, trasmette al tribunale l'ordinanza appellata e gli atti su cui la stessa si fonda. Il procedimento davanti al tribunale si svolge in camera di consiglio nelle forme previste dall'articolo 127. Fino al giorno dell'udienza gli atti restano depositati in cancelleria con facoltà per il difensore di esaminarli e di estrarne la copia. Il tribunale decide entro venti giorni dalla ricezione degli atti. |
2. Identico. |
3. L'esecuzione della decisione con la quale il tribunale, accogliendo l'appello del pubblico ministero, dispone una misura cautelare è sospesa fino a che la decisione non sia divenuta definitiva. |
3. Abrogato |
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Art. 311 |
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Ricorso per cassazione. |
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1. Contro le decisioni emesse a norma degli articoli 309 e 310, il pubblico ministero che ha richiesto l'applicazione della misura, l'imputato e il suo difensore possono proporre ricorso per cassazione entro dieci giorni dalla comunicazione o dalla notificazione dell'avviso di deposito del provvedimento. Il ricorso può essere proposto anche dal pubblico ministero presso il tribunale indicato nel comma 7 dell'articolo 309. |
1. Identico. |
2. Entro i termini previsti dall'articolo 309 commi 1, 2 e 3, l'imputato e il suo difensore possono proporre direttamente ricorso per cassazione per violazione di legge contro le ordinanze che dispongono una misura coercitiva. La proposizione del ricorso rende inammissibile la richiesta di riesame. |
2. Identico. |
3. Il ricorso è presentato nella cancelleria del giudice che ha emesso la decisione ovvero, nel caso previsto dal comma 2, in quella del giudice che ha emesso l'ordinanza. Il giudice cura che sia dato immediato avviso all'autorità giudiziaria procedente che, entro il giorno successivo, trasmette gli atti alla corte di cassazione. |
3. Identico. |
4. Nei casi previsti dai commi 1 e 2, i motivi devono essere enunciati contestualmente al ricorso, ma il ricorrente ha facoltà di enunciare nuovi motivi davanti alla corte di cassazione, prima dell'inizio della discussione. |
4. Identico. |
5. La Corte di cassazione decide entro trenta giorni dalla ricezione degli atti osservando le forme previste dall'articolo 127. |
5. Identico. |
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5-bis. Il ricorso per cassazione avverso la decisione con la quale il tribunale, accogliendo l'appello del pubblico ministero, dispone una misura cautelare non ha effetto sospensivo. |
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TITOLO VII -Incidente probatorio |
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Art. 392 |
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Casi. |
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1. Nel corso delle indagini preliminari il pubblico ministero e la persona sottoposta alle indagini possono chiedere al giudice che si proceda con incidente probatorio: a) all'assunzione della testimonianza di una persona, quando vi è fondato motivo di ritenere che la stessa non potrà essere esaminata nel dibattimento per infermità o altro grave impedimento; b) all'assunzione di una testimonianza quando, per elementi concreti e specifici, vi è fondato motivo di ritenere che la persona sia esposta a violenza, minaccia, offerta o promessa di denaro o di altra utilità affinché non deponga o deponga il falso; c) all'esame della persona sottoposta alle indagini su fatti concernenti la responsabilità di altri; d) all'esame delle persone indicate nell'articolo 210; e) al confronto tra persone che in altro incidente probatorio o al pubblico ministero hanno reso dichiarazioni discordanti, quando ricorre una delle circostanze previste dalle lettere a) e b); f) a una perizia o a un esperimento giudiziale, se la prova riguarda una persona, una cosa o un luogo il cui stato è soggetto a modificazione non evitabile; g) a una ricognizione, quando particolari ragioni di urgenza non consentono di rinviare l'atto al dibattimento. |
1. Identico. |
1-bis. Nei procedimenti per i delitti di cui agli articoli 600, 600-bis, 600-ter, anche se relativo al materiale pornografico di cui all'articolo 600-quater.1, 600-quinquies, 601, 602, 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-quinquies e 609-octies del codice penale il pubblico ministero o la persona sottoposta alle indagini possono chiedere che si proceda con incidente probatorio all'assunzione della testimonianza di persona minore degli anni sedici, anche al di fuori delle ipotesi previste dal comma 1. |
1-bis. Nei procedimenti per i delitti di cui agli articoli 572, 600, 600-bis, 600-ter, anche se relativo al materiale pornografico di cui all'articolo 600-quater.1, 600-quinquies, 601, 602, 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies e 609-undecies del codice penale il pubblico ministero, anche su richiesta della persona offesa, o la persona sottoposta alle indagini possono chiedere che si proceda con incidente probatorio all'assunzione della testimonianza di persona minorenne ovvero della persona offesa maggiorenne, anche al di fuori delle ipotesi previste dal comma 1. |
2. Il pubblico ministero e la persona sottoposta alle indagini possono altresì chiedere una perizia che, se fosse disposta nel dibattimento, ne potrebbe determinare una sospensione superiore a sessanta giorni. |
2. Identico. |
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TITOLO IV - Giudizio immediato |
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Art. 453 |
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Casi e modi di giudizio immediato. |
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1. Quando la prova appare evidente, il pubblico ministero può chiedere il giudizio immediato se la persona sottoposta alle indagini è stata interrogata sui fatti dai quali emerge l'evidenza della prova ovvero, a seguito di invito a presentarsi emesso con l'osservanza delle forme indicate nell'articolo 375 comma 3 secondo periodo, la stessa abbia omesso di comparire, sempre che non sia stato adottato un legittimo impedimento e che non si tratti di persona irreperibile. |
1. Identico. |
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1-bis. Il pubblico ministero richiede il giudizio immediato, anche fuori dai termini di cui all'articolo 454, comma 1, e comunque entro centottanta giorni dall'esecuzione della misura, per il reato in relazione al quale la persona sottoposta alle indagini si trova in stato di custodia cautelare, salvo che la richiesta pregiudichi gravemente le indagini. |
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1-ter. La richiesta di cui al comma 1-bis è formulata dopo la definizione del procedimento di cui all'articolo 309, ovvero dopo il decorso dei termini per la proposizione della richiesta di riesame. |
2. Quando il reato per cui è richiesto il giudizio immediato risulta connesso con altri reati per i quali mancano le condizioni che giustificano la scelta di tale rito, si procede separatamente per gli altri reati e nei confronti degli altri imputati, salvo che ciò pregiudichi gravemente le indagini. Se la riunione risulta indispensabile, prevale in ogni caso il rito ordinario. |
2. Identico. |
3. L'imputato può chiedere il giudizio immediato a norma dell'articolo 419 comma 5. |
3. Identico. |
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Art. 455 |
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Decisione sulla richiesta di giudizio immediato. |
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1. Il giudice, entro cinque giorni, emette decreto con il quale dispone il giudizio immediato ovvero rigetta la richiesta ordinando la trasmissione degli atti al pubblico ministero. |
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1-bis. Nei casi di cui all'articolo 453, comma 1-bis, il giudice rigetta la richiesta se l'ordinanza che dispone la custodia cautelare è stata revocata o annullata per sopravvenuta insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza. |
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Art. 599 |
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Decisioni in camera di consiglio. |
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1. Quando l'appello ha esclusivamente per oggetto la specie o la misura della pena, anche con riferimento al giudizio di comparazione fra circostanze, o l'applicabilità delle circostanze attenuanti generiche, di sanzioni sostitutive, della sospensione condizionale della pena o della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, la corte provvede in camera di consiglio con le forme previste dall'articolo 127. |
1. Identico. |
2. L'udienza è rinviata se sussiste un legittimo impedimento dell'imputato che ha manifestato la volontà di comparire. |
2. Identico. |
3. Nel caso di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, il giudice assume le prove in camera di consiglio, a norma dell'articolo 603, con la necessaria partecipazione del pubblico ministero e dei difensori. Se questi non sono presenti quando è disposta la rinnovazione, il giudice fissa una nuova udienza e dispone che copia del provvedimento sia comunicata al pubblico ministero e notificata ai difensori. |
3. Identico. |
4. La corte, anche al di fuori dei casi di cui al comma 1, provvede in camera di consiglio altresì quando le parti, nelle forme previste dall'articolo 589, ne fanno richiesta dichiarando di concordare sull'accoglimento, in tutto o in parte, dei motivi di appello, con rinuncia agli altri eventuali motivi. Se i motivi dei quali viene chiesto l'accoglimento comportano una nuova determinazione della pena, il pubblico ministero, l'imputato e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria indicano al giudice anche la pena sulla quale sono d'accordo. |
4. Abrogato |
5. Il giudice, se ritiene di non potere accogliere, allo stato, la richiesta, ordina la citazione a comparire al dibattimento. In questo caso la richiesta e la rinuncia perdono effetto, ma possono essere riproposte nel dibattimento. |
5. Abrogato |
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Art. 602 |
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Dibattimento di appello |
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1. Nell'udienza, il presidente o il consigliere da lui delegato fa la relazione della causa. |
1. Identico. |
2. Se le parti richiedono concordemente l'accoglimento, in tutto o in parte, dei motivi di appello a norma dell'articolo 599, comma 4, il giudice, quando ritiene che la richiesta deve essere accolta, provvede immediatamente; altrimenti dispone per la prosecuzione del dibattimento. La richiesta e la rinuncia ai motivi non hanno effetto se il giudice decide in modo difforme dall'accordo. |
2. Abrogato |
3. Nel dibattimento può essere data lettura, anche di ufficio, di atti del giudizio di primo grado nonché, entro i limiti previsti dagli articoli 511 e seguenti, di atti compiuti nelle fasi antecedenti. |
3. Identico. |
4. Per la discussione si osservano le disposizioni dell'articolo 523. |
4. Identico. |
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Art. 656 |
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Esecuzione delle pene detentive. |
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1. Quando deve essere eseguita una sentenza di condanna a pena detentiva, il pubblico ministero emette ordine di esecuzione con il quale, se il condannato non è detenuto, ne dispone la carcerazione. Copia dell'ordine è consegnata all'interessato. |
1. Identico. |
2. Se il condannato è già detenuto, l'ordine di esecuzione è comunicato al Ministro di grazia e giustizia e notificato all'interessato. |
2. Identico. |
3. L'ordine di esecuzione contiene le generalità della persona nei cui confronti deve essere eseguito e quant'altro valga a identificarla, l'imputazione, il dispositivo del provvedimento e le disposizioni necessarie all'esecuzione. L'ordine è notificato al difensore del condannato. |
3. Identico. |
4. L'ordine che dispone la carcerazione è eseguito secondo le modalità previste dall'articolo 277. |
4. Identico. |
5. Se la pena detentiva, anche se costituente residuo di maggiore pena, non è superiore a tre anni o sei anni nei casi di cui agli articoli 90 e 94 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni, il pubblico ministero, salvo quanto previsto dai commi 7 e 9, ne sospende l'esecuzione. L'ordine di esecuzione e il decreto di sospensione sono notificati al condannato e al difensore nominato per la fase dell'esecuzione o, in difetto, al difensore che lo ha assistito nella fase del giudizio, con l'avviso che entro trenta giorni può essere presentata istanza, corredata dalle indicazioni e dalla documentazione necessarie, volta ad ottenere la concessione di una delle misure alternative alla detenzione di cui agli articoli 47, 47-ter e 50, comma 1, della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, e di cui all'articolo 94 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni, ovvero la sospensione dell'esecuzione della pena di cui all'articolo 90 dello stesso testo unico. L'avviso informa altresì che, ove non sia presentata l'istanza o la stessa sia inammissibile ai sensi degli articoli 90 e seguenti del citato testo unico, l'esecuzione della pena avrà corso immediato. |
5. Identico. |
6. L'istanza deve essere presentata dal condannato o dal difensore di cui al comma 5 ovvero allo scopo nominato dal pubblico ministero, il quale la trasmette, unitamente alla documentazione, al tribunale di sorveglianza competente in relazione al luogo in cui ha sede l'ufficio del pubblico ministero. Se l'istanza non è corredata dalla documentazione utile, questa, salvi i casi di inammissibilità, può essere depositata nella cancelleria del tribunale di sorveglianza fino a cinque giorni prima dell'udienza fissata a norma dell'articolo 666, comma 3. Resta salva, in ogni caso, la facoltà del tribunale di sorveglianza di procedere anche d'ufficio alla richiesta di documenti o di informazioni, o all'assunzione di prove a norma dell'articolo 666, comma 5. Il tribunale di sorveglianza decide entro quarantacinque giorni dal ricevimento dell'istanza. |
6. Identico. |
7. La sospensione dell'esecuzione per la stessa condanna non può essere disposta più di una volta, anche se il condannato ripropone nuova istanza sia in ordine a diversa misura alternativa, sia in ordine alla medesima, diversamente motivata, sia in ordine alla sospensione dell'esecuzione della pena di cui all'articolo 90 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni. |
7. Identico. |
8. Salva la disposizione del comma 8-bis, qualora l'istanza non sia tempestivamente presentata, o il tribunale di sorveglianza la dichiari inammissibile o la respinga, il pubblico ministero revoca immediatamente il decreto di sospensione dell'esecuzione. Il pubblico ministero provvede analogamente quando l'istanza presentata è inammissibile ai sensi degli articoli 90 e seguenti del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni, nonché, nelle more della decisione del tribunale di sorveglianza, quando il programma di recupero di cui all'articolo 94 del medesimo testo unico non risulta iniziato entro cinque giorni dalla data di presentazione della relativa istanza o risulta interrotto. A tal fine il pubblico ministero, nel trasmettere l'istanza al tribunale di sorveglianza, dispone gli opportuni accertamenti. |
8. Identico. |
8-bis. Quando è provato o appare probabile che il condannato non abbia avuto effettiva conoscenza dell'avviso di cui al comma 5, il pubblico ministero può assumere, anche presso il difensore, le opportune informazioni, all'esito delle quali può disporre la rinnovazione della notifica. |
8-bis. Identico. |
9. La sospensione dell'esecuzione di cui al comma 5 non può essere disposta: |
9. Identico: |
a) nei confronti dei condannati per i delitti di cui all'articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, fatta eccezione per coloro che si trovano agli arresti domiciliari disposti ai sensi dell'articolo 89 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni; |
a) nei confronti dei condannati per i delitti di cui all'articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, nonché di cui agli articoli 423-bis, 600-bis e 624-bis, 628 del codice penale, fatta eccezione per coloro che si trovano agli arresti domiciliari disposti ai sensi dell'articolo 89 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni; |
b) nei confronti di coloro che, per il fatto oggetto della condanna da eseguire, si trovano in stato di custodia cautelare in carcere nel momento in cui la sentenza diviene definitiva; |
b) identica; |
c) nei confronti dei condannati ai quali sia stata applicata la recidiva prevista dall'articolo 99, quarto comma, del codice penale». |
c) identica. |
10. Nella situazione considerata dal comma 5, se il condannato si trova agli arresti domiciliari per il fatto oggetto della condanna da eseguire, il pubblico ministero sospende l'esecuzione dell'ordine di carcerazione e trasmette gli atti senza ritardo al tribunale di sorveglianza perché provveda alla eventuale applicazione di una delle misure alternative di cui al comma 5. Fino alla decisione del tribunale di sorveglianza, il condannato permane nello stato detentivo nel quale si trova e il tempo corrispondente è considerato come pena espiata a tutti gli effetti. Agli adempimenti previsti dall'articolo 47-ter della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, provvede in ogni caso il magistrato di sorveglianza. |
10. Identico. |
Art. 5.
(Modifica all'articolo 23 delle disposizioni di cui al decreto del Presidente
della Repubblica 22 settembre 1988, n. 448).
1. All'articolo 23, comma 1, delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 448, dopo le parole: «previsti dall'articolo 380, comma 2, lettere e),» sono inserite le seguenti: «e-bis),».
L'articolo 5 del disegno di legge novella l’articolo 23, primo comma, delle disposizioni sul processo penale minorile (DPR 448/1988) al fine di prevedere la possibilità di applicare la misura della custodia cautelare in carcere anche nei confronti dei minori indagati o imputati per i reati di furto in abitazione e furto con strappo.
Tale disposizione prevede che la custodia cautelare può essere applicata quando si procede per delitti non colposi per i quali la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a nove anni. Anche fuori dei casi predetti, la custodia cautelare può essere applicata quando si procede per uno dei delitti, consumati o tentati per cui è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza di cui all'articolo 380, comma 2, lettere e), f), g), h) c.p.p., nonché, in ogni caso, per il delitto di violenza carnale
Come precisato nella relazione illustrativa del provvedimento la disposizione in esame "intende eliminare il difetto di coordinamento tra il codice di procedura penale e le disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni… in ordine alla possibilità di applicare la misura della custodia cautelare ai minori indagati o imputati dei reati di cui al vigente articolo 624-bis del codice penale".
Art. 6.
(Clausola di invarianza).
1. Dall'esecuzione della presente legge non derivano nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato.
L’articolo in esame reca la clausola di invarianza finanziaria del provvedimento che, pertanto, non comporta oneri a carico del bilancio dello Stato.
1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
L’articolo 7 del disegno di legge stabilisce, infine, che il provvedimento in esame entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
N. 3241
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CAMERA DEI DEPUTATI ______________________________ |
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DISEGNO DI LEGGE |
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presentato dal ministro della giustizia (MASTELLA) di concerto con il ministro dell'interno (AMATO) con il ministro delle politiche per la famiglia (BINDI) con il ministro dello sviluppo economico (BERSANI) e con il ministro dell'economia e della finanze (PADOA SCHIOPPA) ¾ |
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Disposizioni in materia di reati di grave allarme sociale e di certezza della pena |
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Presentato il 13 novembre 2007
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Onorevoli Deputati! - La particolare efferatezza che connota alcuni recenti fenomeni delinquenziali, l'aggressività dell'attività riconducibile alla criminalità organizzata e al conseguente allarme sociale derivante proprio dalla frequente ricorrenza di gravi condotte delittuose, idonee ad incidere direttamente sulla sicurezza dei cittadini, inducono a un intervento modificativo di alcuni importanti profili del vigente ordinamento penale. A tale fine, con il presente disegno di legge si prevede l'inserimento di disposizioni finalizzate ad assicurare una compiuta valutazione della personalità dell'indagato da parte del giudice in sede cautelare e di concessione della sospensione condizionale della pena; si provvede inoltre a delineare una disciplina processuale più rigorosa in materia cautelare, nonché ad eliminare l'istituto del cosiddetto «patteggiamento in appello», nell'ottica di assicurare la certezza della pena. Sul fronte dell'esecuzione di quest'ultima vengono esclusi, per i reati di maggiore allarme sociale, gli automatismi previsti per la sospensione dell'esecuzione stessa, mentre, con specifico riferimento ai reati a sfondo sessuale commessi in danno di minori, la possibilità di ottenere benefìci viene ancorata al positivo espletamento di percorsi riabilitativi. Nel contempo, si è disegnato un percorso processuale più spedito per i processi con imputati in stato di custodia cautelare, e sono state ampliate le possibilità di ricorso all'incidente probatorio per l'acquisizione della testimonianza di minori e della persona offesa, nei procedimenti per i reati di maltrattamenti in famiglia e per i gravi reati di cui agli articoli 600 e seguenti del codice penale. Per esigenze di snellimento e riduzione dei costi del procedimento, si è provveduto altresì ad ampliare il novero delle ipotesi in cui è possibile procedere alla distruzione delle merci in sequestro, anche prima della sentenza definitiva.
Sul piano sostanziale, si è altresì ritenuto di intervenire specificamente, da un lato, sull'istituto della prescrizione (come modificato per effetto della legge 5 dicembre 2005, n. 251) e, dall'altro lato, sull'attuale assetto normativo in tema di maltrattamenti in famiglia, di omicidio colposo e di lesioni colpose gravi o gravissime (con particolare riguardo ai fatti commessi da soggetti in stato di elevata ebbrezza alcolica o in stato di alterazione da sostanze stupefacenti o psicotrope), nonché in tema di riciclaggio e di impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita. Con specifico riferimento ai delitti a tutela della libertà personale, si è provveduto ad introdurre, da un lato, una specifica aggravante in caso di violenza sessuale commessa dal coniuge o convivente, e, dall'altro lato, il nuovo reato di adescamento di minorenni, che mira a reprimere quelle forme di approfittamento della fiducia di un minore degli anni sedici, realizzate mediante l'instaurazione di relazioni amichevoli, anche attraverso forme di comunicazione a distanza (telefono, sms, chat line eccetera), in funzione del compimento di delitti sessuali.
Il provvedimento si compone di 7 articoli.
Nella prospettiva volta a contrastare i più gravi ed allarmanti fenomeni criminosi e il conseguente grave pregiudizio per la sicurezza dei cittadini, sono state riviste - in relazione alle fattispecie delittuose che, in quest'ottica, assumono un preponderante rilievo - le attuali disposizioni del codice di rito, in tema di presupposti per l'applicazione della misura cautelare della custodia in carcere. Le fattispecie penali considerate sono state incluse nell'elenco di cui al comma 3 dell'articolo 275 del codice di procedura penale, il quale già oggi individua alcuni reati per cui la misura della custodia cautelare in carcere è ritenuta l'unica adeguata a fronteggiare le esigenze cautelari, salvo che emerga l'insussistenza di queste ultime (articolo 4, comma 1, lettera e), del disegno di legge). In sede esecutiva, per questa tipologia di reati è stata esclusa la possibilità di sospendere automaticamente l'esecuzione della pena irrogata con sentenza divenuta irrevocabile, come avviene attualmente in base all'articolo 656 del codice di procedura penale (articolo 4, comma 1, lettera o), del disegno di legge).
Con riferimento, poi, alla più ampia tipologia di gravi delitti per cui è già oggi previsto l'arresto obbligatorio in flagranza (ai sensi dell'articolo 380 del codice di procedura penale), la nuova disciplina prevede, da un lato, un ampliamento della possibilità di concreta applicazione della misura cautelare per fronteggiare il pericolo della loro commissione (possibilità che viene estesa anche al di là degli odierni limiti fissati dall'articolo 274, comma 1, lettera c), del codice di procedura penale, ovvero anche qualora il delitto in questione non sia connotato dall'uso di armi, violenza personale eccetera, né sia della stessa specie di quello per cui si procede: articolo 4, comma 1, lettera b), del disegno di legge); dall'altro lato, è stata prevista la possibilità per il giudice, che al momento della sentenza di condanna ravvisi la sussistenza di esigenze cautelari, di emettere la misura anche ex officio, qualora si proceda nei confronti di imputato recidivo infraquinquennale specifico (possibilità oggi limitata al momento della condanna in appello: si veda l'articolo 4, comma 1, lettere c) e d), del disegno di legge e il vigente articolo 275, comma 2-ter, del codice di procedura penale).
Di portata generale è invece, in primo luogo, l'innovazione concernente la possibilità, per il giudice procedente, di valutare - dapprima in sede di applicazione delle misure cautelari per esigenze di prevenzione speciale, poi di concessione della sospensione condizionale della pena irrogata con la sentenza di condanna - non solo il contenuto dei certificati del casellario giudiziale e dei carichi pendenti, ma anche le risultanze desumibili dalla banca dati di cui all'articolo 97 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo n. 271 del 1989 (servizio informatico relativo alle misure cautelari personali: articoli 1, comma 1, lettera f), e 4, comma 1, lettera b), del disegno di legge). È stata poi attribuita efficacia esecutiva all'ordinanza che applica la misura cautelare emessa dal tribunale, ai sensi dell'articolo 310 del codice di procedura penale, in accoglimento dell'appello proposto dal pubblico ministero avverso il provvedimento di rigetto della richiesta (articolo 4, comma 1, lettere f) e g), del disegno di legge).
È stato poi eliminato il cosiddetto «patteggiamento in appello» (articoli 599, commi 4 e 5, e 602, comma 2, del codice di procedura penale), attraverso il quale è oggi possibile - qualora la corte territoriale recepisca, con sentenza camerale, l'accordo tra le parti sull'accoglimento in tutto o in parte dei motivi di appello - un abbattimento anche assai considerevole della pena irrogata in primo grado (articolo 4, comma 1, lettere m) e n), del disegno di legge), al di fuori di qualsiasi forbice normativa che non sia quella della pena minima da irrogare.
A tali disposizioni fa peraltro riscontro (articolo 4, comma 1, lettere i) e l), del disegno di legge) l'introduzione - con evidenti finalità acceleratorie del processo nei confronti di persone sottoposte a custodia cautelare - di una specifica ipotesi di giudizio immediato, che il pubblico ministero può richiedere dopo l'esecuzione della misura e anche al di fuori degli ordinari, ristretti termini temporali oggi vigenti (novanta giorni dalla data di iscrizione sul registro degli indagati: peraltro, nel disegno di legge sull'accelerazione del processo (atto Camera n. 2664), è stato previsto un significativo ampliamento di tale termine, che viene elevato a sei mesi). Lo stesso termine di sei mesi è oggi previsto con decorrenza dall'esecuzione della misura di custodia cautelare (salva, ovviamente, l'operatività del termine di fase di cui all'articolo 303, comma 1, lettera a), del codice di procedura penale). Si vuole così delineare un sistema di riti alternativi volto a favorire il più possibile la speditezza del processo per gli imputati in stato di custodia cautelare, sia nelle ipotesi «speciali» (ma statisticamente preponderanti) in cui la misura sia stata applicata all'esito dell'udienza di convalida dell'arresto o del fermo, sia nelle ipotesi «ordinarie» di richiesta al giudice per le indagini preliminari (gip) da parte del pubblico ministero.
Ulteriori modificazioni del codice di rito concernono, come detto, l'ampliamento delle ipotesi in cui, da un lato, può disporsi la distruzione della merce in sequestro (articolo 4, comma 1, lettera a), del disegno di legge) e, dall'altro lato, è possibile far ricorso all'istituto dell'incidente probatorio (articolo 4, comma 1, lettera h), del disegno di legge).
Con l'articolo 5 è stato eliminato il difetto di coordinamento tra le vigenti disposizioni del codice di rito e quelle che disciplinano il processo penale a carico di minorenni, in tema di applicabilità della misura della custodia cautelare a carico di indagati per i delitti di cui all'articolo 624-bis del codice penale, risolvendo in senso affermativo il contrasto giurisprudenziale esistente in sede di legittimità.
L'articolo 1 contiene invece le modifiche al codice penale cui si è già accennato.
Il primo intervento, articolato nelle lettere da a) ad e) del comma 1 di tale articolo, ha ad oggetto una complessiva ridefinizione dell'istituto della prescrizione.
Com'è noto, tale istituto esprime un limite temporale che lo Stato si dà preventivamente e legislativamente, in ordine all'esercizio della sua pretesa punitiva contro l'incolpato di un reato, sulla base di un duplice ordine di motivazioni: da un lato, l'«impallidire» nella memoria sociale del ricordo del delitto (aspetto prevalentemente general-preventivo), dall'altro lato, la sofferenza dell'incolpato a fronte di un processo potenzialmente interminabile, con il rischio concreto che venga condannata una persona «diversa» rispetto a quella che ha commesso il fatto.
L'istituto è stato profondamente riformato dalla legge n. 251 del 2005, a seguito della quale la Corte costituzionale è stata investita di numerose questioni di legittimità, la prima delle quali, decisa in data 23 ottobre 2006 (sentenza n. 393 del 2006), ha già stabilito l'illegittimità dell'articolo 10, comma 3, della legge, per la parte in cui la norma prevedeva che i nuovi termini di prescrizione non si applicassero ai processi già pendenti in primo grado ove vi fosse stata la dichiarazione di apertura del dibattimento.
Peraltro, l'istituto necessitava, già prima dell'entrata in vigore della legge n. 251 del 2005 cosiddetta «ex-Cirielli», di una profonda rimeditazione, che operasse un corretto bilanciamento tra l'affermazione della pretesa punitiva dello Stato e il diritto dell'imputato a un processo definito in tempi ragionevoli.
Il principio della durata ragionevole, consacrato dall'articolo 111 della Costituzione, deve dunque fungere da linea guida per il legislatore in due direzioni.
La prima è quella di provvedere a razionalizzare la «sequenza procedurale», eliminando attività o garanzie superflue ovvero meramente formali, senza intaccare il nucleo di garanzie costitutive del modello di giusto processo.
La seconda è quella di predisporre soluzioni normative volte a disincentivare comportamenti delle parti strumentali al prolungamento del processo al di là della sua ragionevole durata e, in particolare, diretti ad ottenere la prescrizione. Si intende qui fare riferimento alle impugnazioni dichiaratamente pretestuose, come ad esempio quelle relative a gran parte delle sentenze emesse in esito all'applicazione della pena ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale. E in tale senso sono state approntate norme che, da un lato, sono volte a disincentivare condotte dilatorie, e, dall'altro lato, modificano gli istituti vigenti che, allo stato, costituiscono veicolo di inutili appesantimenti procedurali (innumerevoli reiterazioni delle notifiche di atti, rinvii eccetera).
Sotto il profilo «sostanziale», ai fini del presente intervento, si ritiene che gli obiettivi di accelerazione del processo possano essere raggiunti anche attraverso una completa ridefinizione dell'istituto della prescrizione del reato, da mantenere quale causa estintiva dello stesso.
Muovendosi in tale direzione, si è previsto quindi che la ridefinizione dell'istituto della prescrizione debba passare attraverso alcuni snodi fondamentali:
1) commisurare il tempo della prescrizione esclusivamente alla pena massima edittale (in continuità, sotto questo aspetto, con la modifica normativa del 2005, a sua volta mutuata dai progetti di riforma del codice penale Pagliaro e Nordio). Non si è ritenuto di seguire la strada tracciata dall'originaria formulazione dell'articolo 157 del codice penale, che conteneva una elencazione analitica dei tempi di prescrizione, modulata sulla base dello «scaglionamento» dei reati per fasce edittali: essa, oltre a peccare di un eccesso di tassatività, creava ingiustificate disparità nel caso concreto tra reati puniti edittalmente in modo differente. Si è quindi preferito un rinvio alla pena edittale prevista per ciascun reato, aumentata della metà (aumento non contemplato dalla legge n. 251 del 2005). Quando per il reato la legge stabilisce congiuntamente o alternativamente la pena detentiva e la pena pecuniaria, come nell'attuale disciplina, per determinare il tempo necessario a prescrivere si ha riguardo soltanto alla pena detentiva;
2) escludere le circostanze dal computo, ad eccezione di quelle cosiddette «ad effetto o ad efficacia speciale». Per determinare il tempo necessario a prescrivere si stabilisce, infatti, che si abbia riguardo alla pena stabilita dalla legge per il reato consumato o tentato, senza tenere conto della diminuzione per le circostanze attenuanti e dell'aumento per le circostanze aggravanti, salvo che per le circostanze ad effetto speciale (aumenti o diminuzioni di pena superiori a un terzo) e per quelle per le quali la legge determina la pena in modo autonomo (circostanze cosiddette «ad efficacia speciale» o «indipendenti»), in quanto espressione di un disvalore superiore a quello che il legislatore ordinariamente opera nel prevedere il regime delle circostanze «ordinarie»;
3) prevedere, in ogni caso, un limite minimo e massimo della prescrizione dei reati; si prevede infatti che la prescrizione non possa:
a) essere inferiore a sei anni per i delitti e a quattro per le contravvenzioni, ancorché puniti con la sola pena pecuniaria;
b) essere superiore a venti anni per i delitti, ad eccezione che per i delitti di maggiore gravità, per i quali il termine massimo è previsto nella misura di trenta anni. La prescrizione non estingue i reati per i quali la legge prevede la pena dell'ergastolo, anche come effetto dell'applicazione di circostanze aggravanti;
4) adattare la decorrenza del termine di prescrizione alla diversa natura delle sanzioni, prevedendo termini differenti non solo tra delitti e contravvenzioni, ma anche tra le sanzioni «originarie» del codice e le sanzioni di specie diversa; si prevede, pertanto, che quando per il reato la legge stabilisce pene diverse da quella detentiva e da quella pecuniaria, si applica il termine di sei anni. Questa ultima norma, rendendo tale termine omogeneo con il termine prescrizionale minimo dei delitti, supera i dubbi di costituzionalità sollevati, ad esempio, con riferimento alle sanzioni applicate dal giudice di pace ai sensi dell'articolo 52 del decreto legislativo n. 274 del 2000 (il caso è quello della irragionevole diversità di termini di prescrizione tra il «lavoro sostitutivo», per cui è attualmente previsto un termine triennale, e la pena pecuniaria, per cui il termine è ora fissato in sei anni), cui ora si dovrà applicare il nuovo termine;
5) recependo una giurisprudenza ormai consolidata della Suprema Corte (su cui, più diffusamente, ci si soffermerà in seguito, in tema di impugnazioni), si è ritenuto che in caso di dichiarazione di inammissibilità del ricorso per cassazione, il termine di prescrizione si debba ritenere sospeso al momento della pronuncia della sentenza di condanna di secondo grado (con esclusione, quindi, dei casi in cui ricorrente sia il pubblico ministero).
Parimenti, si ritiene che il termine prescrizionale non debba decorrere nei casi di sentenza di condanna nell'ipotesi di cosiddetta «doppia conforme». In questo caso, infatti, la pronuncia che contiene un doppio accertamento di merito in ordine alla responsabilità è sicuramente connotata da una stabilità tale da superare l'opportunità di mantenere l'operatività dell'istituto della prescrizione, senza peraltro comprimere in alcun modo i diritti sanciti dall'articolo 14 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, adottato a New York il 19 dicembre 1966 e ratificato dall'Italia con la legge 25 ottobre 1977, n. 881.
Tuttavia, nel caso in cui il ricorso per cassazione venga accolto, il tempo occorrente alla celebrazione del giudizio di cassazione verrà computato ai fini prescrizionali, così come quello necessario per la celebrazione dei successivi gradi di giudizio, ove presenti. In tale modo, l'imputato che faccia valere i propri diritti vittoriosamente non dovrà subire gli effetti negativi del decorso del tempo.
Per gli stessi motivi, a tale ipotesi viene parificata quella in cui la pronuncia di appello abbia riformato la sentenza di condanna di primo grado limitatamente alla specie o alla misura della pena, anche con riferimento al giudizio di comparazione tra circostanze, in quanto tale pronuncia non tocca l'affermazione di responsabilità.
Sono state ripristinate alcune norme della disciplina «ante legge ex-Cirielli», quali quella dei reati connessi e del reato continuato: in coerenza con la scelta di prevedere termini di prescrizione non più articolati per «scaglioni», ma in ragione della pena edittale di ciascuno di essi, appare necessario, in caso di contestazione congiunta, stabilire un dies a quo unico, onde evitare complicati calcoli, così come prevedere che, in caso di reati connessi, l'interruzione per taluni di essi abbia effetto anche per gli altri.
Si sono inoltre ridisegnate le cause di sospensione (articolo 159, primo comma, del codice penale) e di interruzione della prescrizione (articolo 160 del codice penale).
Tra le seconde, è stato attribuito rilievo, risolvendo datati contrasti giurisprudenziali, all'interrogatorio delegato dal pubblico ministero e all'avviso di conclusione delle indagini preliminari.
Tra le prime, invece, sono state incluse tutte le ipotesi di «stasi processuali» riconducibili ad attività dell'imputato, e segnatamente:
a) presentazione di dichiarazione di ricusazione ai sensi dell'articolo 38 del codice di procedura penale, dalla data della presentazione della stessa fino a quella della comunicazione al giudice procedente del provvedimento che dichiara l'inammissibilità della medesima (per la «remissione» del processo la sospensione del termine di prescrizione è già prevista dall'articolo 47, comma 4, del codice di procedura penale);
b) concessione di termine a difesa in caso di rinuncia, revoca, incompatibilità e abbandono della difesa, per un periodo corrispondente al termine concesso;
c) rinnovazione, su richiesta dell'imputato, delle prove assunte in dibattimento, a seguito di mutamento della persona fisica del giudice, per tutto il tempo necessario alla rinnovazione. La disposizione non si applica ai coimputati cui non si riferisce la richiesta di rinnovazione, se viene disposta la separazione dei processi, né al caso in cui la nuova assunzione concerna fatti e circostanze nuovi.
Si ritiene tuttavia necessario (simmetricamente a quanto previsto in tema di recidiva) mantenere un regime prescrizionale più rigido per i reati di cui all'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale. Ed infatti, la legge n. 251 del 2005, da un lato, ha previsto che il termine «ordinario» di prescrizione per tali reati fosse pari al doppio della pena edittale (articolo 157, sesto comma, del codice penale); dall'altro lato ha escluso un termine di prescrizione «massima» (articolo 161, secondo comma, del codice penale), circostanza che in dottrina aveva sollevato molteplici dubbi di incostituzionalità.
Nel testo proposto, in cui il termine di prescrizione «ordinario» viene aumentato della metà, si ritiene sufficiente prevedere per detti reati un congruo aumento dei termini di prescrizione massima, quantificato nella misura di trenta anni.
Per meglio comprendere, in parte qua, la portata e gli effetti della novella, sembra opportuno rappresentare, seppur in modo esemplificativo, in forma sinottica il percorso evolutivo dei termini prescrizionali, evidenziando i termini «ordinari» e «massimi» previsti per alcuni gravi reati dalla disciplina codicistica precedente all'entrata in vigore della legge n. 251 del 2005, successivi alla stessa e come disciplinati nel presente disegno di legge.
Reato |
Prescrizione ante |
Prescrizione post |
Prescrizione proposta attuale |
articolo 416, sesto comma, del codice penale |
ordinaria: 15 anni massima: 22,5 anni |
ordinaria: 30 anni massima: senza limite |
ordinaria: 22,5 anni massima: 30 anni |
articolo 416-bis, primo comma, del codice penale |
ordinaria: 15 anni massima: 22,5 anni |
ordinaria: 20 anni massima: senza limite |
ordinaria: 15 anni massima: 22,5 anni |
articolo 600 del codice penale |
ordinaria: 15 anni massima: 22,5 anni |
ordinaria: 40 anni massima: senza limite |
ordinaria: 30 anni massima: 30 anni |
articolo 630 del codice penale |
ordinaria: 20 anni massima: 30 anni |
ordinaria: 60 anni massima: senza limite |
ordinaria: 30 anni massima: 30 anni |
Come già accennato, si interviene in secondo luogo (articolo 1, comma 1, lettera f), del disegno di legge) sull'istituto della sospensione condizionale della pena, inserendo al primo comma dell'articolo 164 del codice penale, quali elementi da valutare - unitamente alle altre circostanze indicate dall'articolo 133 - nel giudizio prognostico relativo alla commissione di ulteriori reati da parte dell'imputato, le informazioni contenute nel servizio informatico previsto dall'articolo 97 delle citate norme di attuazione (concernente, come già accennato, la banca dati relativa alle misure cautelari personali in corso di esecuzione, ovvero non ancora eseguite per la latitanza dell'indagato). Nonostante l'istituzione della banca dati fosse stata prevista sin dall'entrata in vigore del codice di rito, si tratta di uno strumento che solo ora può definirsi di imminente realizzazione, essendo stati stanziati appositi fondi nell'articolo 38 del decreto-legge n. 159 del 2007, cosiddetto «collegato alla legge finanziaria 2008», in corso di conversione.
Si tratta, evidentemente, di un intervento volto a completare e integrare il compendio valutativo desumibile dal certificato del casellario giudiziale e da quello dei carichi pendenti: compendio che oggi può risultare privo dell'aggiornamento e della completezza necessari, anche in considerazione, quanto al certificato penale, del perdurante arretrato nell'inserimento delle schede da parte degli uffici giudiziari e, quanto al certificato dei carichi pendenti, per l'altrettanto perdurante indisponibilità di tale tipologia di informazioni su scala nazionale.
Le disposizioni contenute nelle lettere da g) a n) del comma 1 dell'articolo 1 intervengono in modo significativo su alcune figure criminose contemplate nella parte speciale del codice penale, al fine specifico di rafforzare la tutela contro alcune gravi forme di violenza e di prevaricazione, nonché di fronteggiare adeguatamente l'esponenziale diffusione di un peculiare fenomeno criminoso che ha, soprattutto di recente, inciso in modo assai rilevante sulla sicurezza sociale.
In particolare, la lettera g) interviene anche sulla rubrica del delitto di maltrattamenti di cui all'articolo 572 del codice penale, non solo conferendo esplicito rilievo, quale persona offesa, al convivente del soggetto attivo, ma anche prevedendo che la condotta in danno di persona minore degli anni quattordici, legata all'autore del reato dalle relazioni elencate nel primo comma della norma, costituisca ipotesi aggravata del reato medesimo. Si provvede altresì ad un inasprimento sanzionatorio sia per la fattispecie base, sia per quella in cui dalla condotta derivi una lesione personale grave.
Le successive lettere da h) a l) del comma 1 dell'articolo 1 contengono poi alcune significative modifiche alle vigenti disposizioni concernenti uno dei fenomeni criminosi che più profondamente hanno minato, negli ultimi tempi, la sicurezza dei cittadini. Si allude ai delitti di omicidio e di lesioni colpose commessi con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale, con particolare riferimento a quelli posti in essere da soggetti postisi alla guida in stato di ebbrezza o di alterazione conseguente ad assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope.
L'inquietante, quotidiano moltiplicarsi di tali delitti, in tutte le zone del Paese e ad opera di soggetti di ogni condizione ed estrazione sociali, induce a ritenere che le attuali risposte sanzionatorie siano sostanzialmente prive di adeguata efficacia deterrente, e che pertanto si renda indispensabile un loro inasprimento, sia sul piano penale che su quello delle sanzioni amministrative accessorie (su tale ultimo punto, si veda quanto illustrato in relazione all'articolo 3).
In tale prospettiva, e con riferimento al delitto di omicidio colposo, si è ritenuto anzitutto (articolo 1, comma 1, lettera h), numero 1), del disegno di legge) di elevare da cinque a sei anni il massimo edittale per tutti i fatti commessi in violazione delle norme sulla circolazione stradale (e sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro). Peraltro, un autonomo e ben più severo trattamento sanzionatorio è previsto per i soggetti postisi alla guida di veicoli in stato di alterazione conseguente all'assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope, ovvero in rilevante stato di ebbrezza (si fa espresso richiamo alla più grave delle situazioni contemplate dall'articolo 186 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, recante il codice della strada, come da ultimo novellato dal decreto-legge 3 agosto 2007, n. 117, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 ottobre 2007, n. 60: accertamento di valori corrispondenti ad un tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi per litro).
In tali fattispecie, infatti, la pena edittale viene ulteriormente inasprita sia per le ipotesi in cui viene cagionata la morte di una sola persona (reclusione da tre a dieci anni: articolo 1, comma 1, lettera h), numero 2), del disegno di legge), sia per quelle in cui vi è invece una pluralità di vittime (morte di più persone, ovvero morte di una o più persone e lesioni di una o più persone: il massimo previsto dal terzo comma dell'articolo 589 del codice penale viene innalzato da dodici a quindici anni di reclusione: articolo 1 comma 1, lettera h), numero 3), del disegno di legge). D'altro lato, con l'introduzione dell'articolo 590-bis (articolo 1, comma 1, lettera l), del disegno di legge), si esclude la possibilità di operare il cosiddetto «giudizio di bilanciamento» con eventuali circostanze attenuanti, ad eccezione di quelle della minore età e della cooperazione di minima importanza: conseguentemente, la riduzione per le attenuanti diverse da quelle di cui agli articoli 98 e 114 del codice penale opererà sulla pena determinata ai sensi dell'articolo 589, terzo comma, dello stesso codice. Si tratta, evidentemente, di una disposizione di particolare rigore, già vigente in relazione ad altri fenomeni criminosi di notevole gravità: peraltro, le già richiamate finalità dissuasive - unitamente alla necessità di proporzionare l'entità della risposta sanzionatoria alla condotta, estremamente grave, di chi si rende responsabile di altrettanto gravi incidenti dopo essersi posto alla guida nelle condizioni appena richiamate - giustificano il suo inserimento in relazione alle tipologie di omicidio colposo sopra ricordate.
Modifiche di segno analogo vengono introdotte anche per le ipotesi in cui, dalle condotte di soggetti postisi alla guida pur trovandosi in rilevante stato di ebbrezza o in stato di alterazione da sostanze stupefacenti o psicotrope, siano derivate lesioni colpose gravi o gravissime. Per un verso, infatti, si prevede un inasprimento delle pene attualmente previste dall'articolo 590, terzo comma, del codice penale (estendendosi anche alle lesioni gravi la pena della sola reclusione, in luogo della pena alternativa, e innalzandosi i limiti edittali per quelle gravissime: articolo 1, comma 1, lettera i), del disegno di legge); per altro verso, si rende anche in questo caso inapplicabile il giudizio di bilanciamento con eventuali circostanze attenuanti (eccezion fatta, anche qui, per quelle di cui agli articoli 98 e 114 del codice penale: articolo 1, comma 1, lettera l), del disegno di legge).
Con riferimento, poi, al delitto di violenza sessuale, la lettera m) del comma 1 dell'articolo 1 introduce una ulteriore aggravante specifica nell'ambito dell'articolo 609-ter del codice penale. In particolare, viene introdotto al primo comma il numero 5-bis), che aggrava il delitto commesso dal coniuge o dal convivente, ovvero da persona cui la vittima comunque sia o sia stata legata da relazione affettiva: si vogliono così sottolineare, anche sul piano delle conseguenze sanzionatorie, la gravità e il disvalore morali dell'approfittamento di una situazione di consuetudine nelle relazioni intime.
Come già accennato, il comma 1, lettera n), dell'articolo 1 introduce, con l'articolo 609-undecies del codice penale, il nuovo reato di adescamento di minorenni. Il fenomeno, conosciuto all'estero come «grooming», può definirsi come un metodo usato per indebolire la volontà del minore, in modo da ottenerne il massimo controllo. In questo processo, ancora scarsamente studiato in Italia, colui che abusa «cura» (grooms) la vittima, inducendola gradualmente a superare le resistenze attraverso tecniche di manipolazione psicologica. Il metodo può essere diverso: ad esempio mediante una subdola opera di convincimento effettuata attraverso una normale comunicazione (ad esempio, chat) o supportando quest'attività con l'invio di immagini pedopornografiche al minore. Il fine è sempre lo stesso: cioè quello di convincere la potenziale vittima della normalità dei rapporti sessuali tra adulti e minori.
Questa tipologia di adescamento, proprio perché svolta in maniera «amichevole», è in realtà molto insidiosa ed è utilizzata soprattutto su internet e attraverso lo scambio di sms.
Il dibattito circa la possibilità di inserire il «grooming» come una vera e propria fattispecie di reato nella legislazione penale degli Stati membri dell'Unione europea è alquanto recente: il Comitato per la Convenzione sul Cyber Crime del Consiglio d'Europa, in un suo rapporto, ha messo in guardia i Paesi interessati circa il rischio del «grooming» effettuato attraverso internet ed i telefoni cellulari. In effetti se ne parla molto, però, specialmente in Europa, la legislazione nazionale dei Paesi è alquanto carente. Infatti l'unico Stato che ha recentemente introdotto la previsione del «grooming» come fattispecie di reato è il Regno Unito, specificando che: «è reato ogni condotta tesa ad organizzare un incontro, per se stessi o per conto di terzi, con un minore al fine di abusarne sessualmente». Altri Paesi che hanno introdotto una ancora più specifica fattispecie di reato relativa al «grooming» sono l'Australia, il Canada e alcuni Stati degli USA, i quali hanno previsto sanzioni penali per il solo fatto di instaurare una comunicazione (attraverso internet) al fine di sedurre un minore per poi abusarne sessualmente. Ai sensi della citata Convenzione, allo stato attuale, per «grooming» si intende la condotta dell'adulto che comunica con il minore o compie altre azioni finalizzate ad incontrarlo, con l'intento di commettere reati quali l'abuso sessuale, la prostituzione o per organizzare performance pornografiche. Il limite di età della vittima, entro il quale si configura il reato in oggetto, è stato individuato tenendo in conto l'influenzabilità che normalmente caratterizza i soggetti minorenni appartenenti a tale fascia.
L'articolo 1 reca, infine, importanti modifiche alle norme incriminatrici del riciclaggio (articolo 648-bis del codice penale) e dell'impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita (articolo 648-ter del codice penale).
Come è noto, l'attuale formulazione dei suddetti articoli esclude, tra i soggetti attivi di entrambi i delitti in questione, il concorrente nei reati presupposti, non consentendo quindi l'incriminazione del cosiddetto «autoriciclaggio» o «autoreimpiego».
Tale esclusione suscita perplessità a livello istituzionale, sia nel contesto internazionale (essendo stata censurata espressamente dal Fondo monetario internazionale nel «Detailed Assessment Report on Anti-Money Laundering and Combatting the Financing of Terrorism»), sia in quello interno (in proposito il Governatore della Banca d'Italia, nell'audizione del 14 giugno 2007 dinanzi alla Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della criminalità organizzata mafiosa o similare, non ha mancato di richiamare «i risultati positivi ottenuti dagli ordinamenti che puniscono anche il cosiddetto «autoriciclaggio»), ed è stata avversata da una parte della dottrina. Del resto, la Convenzione sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato, fatta a Strasburgo l'8 novembre 1990 - ratificata con la legge 9 agosto 1993, n. 328, la quale ha introdotto la vigente formulazione dell'articolo 648-bis e dell'articolo 648-ter del codice penale - consente l'inclusione, tra i soggetti attivi, dei concorrenti nel delitto di provenienza dei beni riciclati (articolo 6, paragrafo 2), lettera b), della Convenzione).
In tale contesto, si ritiene di eliminare, in entrambe le fattispecie criminose, la clausola di esclusione concernente appunto gli autori (eventualmente a titolo di concorso) nel delitto presupposto (articolo 1, comma 1, lettere o) e p), del disegno di legge). Invero, l'autonoma e consapevole decisione di compiere, rispettivamente, le ulteriori attività di ostacolo all'identificazione della provenienza illecita dei beni (articolo 648-bis), ovvero quelle di reimpiego degli stessi in attività economiche o finanziarie (articolo 648-ter), e il grave disvalore che connota anche tali condotte - evidentemente del tutto autonome dall'originaria azione delittuosa che aveva consentito l'apprensione dei beni riciclati o reimpiegati - consente di superare le tesi dottrinali contrarie, imperniate sul rispetto del principio del cosiddetto «ne bis in idem» sostanziale.
L'articolo 2, recante modifica all'articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, sull'ordinamento penitenziario, condiziona - per i detenuti e gli internati condannati per delitti qualificati dalla violenza o dallo sfruttamento di natura sessuale ai danni di minorenni - la possibilità di fruire di permessi premio, di misure alternative alla detenzione e dell'assegnazione al lavoro all'esterno, di cui al medesimo articolo 4-bis alla valutazione, da parte del giudice di sorveglianza, della positiva partecipazione a programmi di riabilitazione. Con ciò si confida che le autorità preposte all'applicazione dei benefìci indaghino in modo approfondito sulla propensione dei detenuti a delinquere ulteriormente, valorizzando specifici percorsi riabilitativi. Per la definizione di tali percorsi si rimanda peraltro a un successivo decreto adottato dal Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro delle politiche per la famiglia e con il Ministro dell'economia e delle finanze.
L'articolo 3 contiene, come già accennato, un significativo intervento sull'articolo 222 del decreto legislativo n. 285 del 1992, recante il codice della strada. All'inasprimento della risposta sanzionatoria penale per i delitti di omicidio colposo commessi da soggetto postosi alla guida di un veicolo, pur trovandosi in stato di rilevante ebbrezza alcolica o di alterazione da sostanze stupefacenti o psicotrope (si veda quanto già illustrato in relazione all'articolo 1, comma 1, lettere h) ed i), del disegno di legge) fa riscontro - per le stesse ipotesi - la previsione della sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente di guida (resta invece ferma, per le altre fattispecie di omicidio colposo, la sanzione della sospensione della patente fino a quattro anni, prevista dal vigente comma 2 del citato articolo 222).
L'articolo 4 contiene alcune rilevanti modifiche al vigente codice di rito.
Con la lettera a) del comma 1, si intende intervenire sulla problematica (di sempre maggior rilievo, anche per la sua diretta incidenza sul bilancio dello Stato) inerente la custodia e la conservazione della merce sottoposta a sequestro nell'ambito di un procedimento penale.
In particolare, attraverso l'introduzione del comma 3-bis nell'articolo 260 del codice di procedura penale, si attribuisce all'autorità giudiziaria procedente il potere di disporre la distruzione non solo - come oggi previsto dal comma 3 dell'articolo 260 - delle merci deperibili, ma anche delle cose di cui sono vietati la fabbricazione, il possesso, la commercializzazione eccetera, e ricorrano una delle seguenti condizioni: a) la custodia risulti problematica per l'entità della merce in sequestro (come già previsto per i reati in tema di diritto d'autore: articolo 171-sexies della legge 22 aprile 1941, n. 633); b) la custodia risulti particolarmente onerosa, ovvero pericolosa per la sicurezza, la salute o l'igiene pubblica; c) le violazioni dei predetti divieti risultino evidenti, anche all'esito di eventuali accertamenti disposti ai sensi dell'articolo 360 del medesimo codice di procedura penale.
In tali ipotesi, si ritiene - salva ovviamente l'esistenza di esigenze istruttorie che impongano il mantenimento in sequestro a fini probatori - che il principio secondo cui la merce in questione, destinata alla confisca obbligatoria ai sensi dell'articolo 240, secondo comma, numero 2), del codice penale, sia mantenuta in sequestro preventivo ai sensi dell'articolo 321, comma 2, del codice di procedura penale, possa essere derogato in favore di una immediata distruzione, anche al fine di limitare la già richiamata, crescente incidenza degli oneri di custodia sull'erario. Peraltro, prima di procedere alla distruzione, l'autorità giudiziaria è tenuta al prelevamento di uno o più campioni, con l'osservanza delle formalità di cui all'articolo 364 del codice di procedura penale.
Le successive lettere da b) a g) del comma 1 dell'articolo 4 contengono alcune disposizioni improntate ad una rivisitazione in senso più rigoroso della disciplina delle misure cautelari, nella prospettiva inizialmente evidenziata.
In particolare, alla lettera b) del comma 1 si prevede una duplice modifica dell'articolo 274, comma 1, lettera c), del codice di procedura penale, in tema di presupposti per l'applicazione di misure cautelari finalizzate a fronteggiare il pericolo di reiterazione di condotte criminose.
Da un lato, con riguardo al momento valutativo della personalità dell'indagato, il richiamo ai soli «precedenti penali» viene integrato con quello ai precedenti giudiziari e alle risultanze desumibili dal già citato servizio informatico di cui all'articolo 97, delle citate norme di attuazione; in tal modo: l'oggetto della valutazione prognostica viene espressamente esteso - per il perseguimento delle finalità indicate in relazione all'articolo 1 - non solo ai precedenti giudiziari (risultato cui peraltro era già pervenuta la giurisprudenza della Corte di cassazione: da ultimo cassazione, sezione VI, 11 luglio 2006 n. 29405), ma anche alle risultanze desumibili dalla banca dati relativa alle misure cautelari in corso di esecuzione ovvero non eseguite per la latitanza dell'indagato o imputato.
D'altro lato, attraverso l'inserimento di un espresso richiamo ai delitti di cui all'articolo 380 del codice di procedura penale nella citata lettera c) del comma 1 dell'articolo 274 dello stesso codice, si vuole rendere possibile l'applicazione delle misure cautelari in ogni caso in cui vi sia concreto pericolo di reiterazione di taluno dei reati per cui, attualmente, è previsto l'arresto obbligatorio in flagranza: ovvero anche nelle ipotesi in cui il delitto in questione, di cui si paventa la commissione da parte dell'indagato, non sia connotato da «uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro l'ordine costituzionale ovvero delitti di criminalità organizzata», né sia «della stessa specie di quello per cui si procede». Si allude, evidentemente, alle eventualità in cui sia ravvisabile, ad esempio, un concreto pericolo di commissione di delitti di furto aggravato dalla violenza sulle cose, di furto in appartamento, di detenzione, cessione eccetera, di sostanze stupefacenti, e tuttavia la persona sia indagata per diversa tipologia di reati (ad esempio evasione ovvero anche violazione della disciplina sugli stupefacenti, qualora il pericolo di commissione - di gravità e concretezza tali da imporre l'adozione di misure cautelari - concerna i soli predetti reati contro il patrimonio).
Attraverso le lettere c) e d) del comma 1 dell'articolo 4 (e dunque con la riformulazione del comma 1-bis e la contestuale abrogazione del comma 2-ter dell'articolo 275 del codice di procedura penale), è stato operato un ampliamento delle ipotesi, già previste dal codice di rito, in cui l'applicazione della misura cautelare avviene ex officio (ovvero anche senza una previa richiesta da parte del pubblico ministero).
Attualmente, il comma 1-bis dell'articolo 275 del codice di procedura penale impone al giudice, che emetta una sentenza di condanna, di operare contestualmente un esame delle esigenze cautelari (peraltro nella sola ottica del pericolo di fuga e di quello di reiterazione) anche alla luce dell'esito del procedimento, delle modalità del fatto e degli elementi sopravvenuti. Il successivo comma 2-ter dispone invece che «Nei casi di condanna di appello le misure cautelari personali sono sempre disposte, contestualmente alla sentenza, quando, all'esito dell'esame condotto a norma del comma 1-bis, risultano sussistere esigenze cautelari previste dall'articolo 274 e la condanna riguarda uno dei delitti previsti dall'articolo 380, comma 1, e questo risulta commesso da soggetto condannato nei cinque anni precedenti per delitti della stessa indole».
In sostanza, l'automatismo dell'applicazione di una misura cautelare personale (non necessariamente di tipo custodiale) è attualmente operante, al momento della sentenza di condanna in appello - e sempre che, ovviamente, venga accertata la sussistenza di esigenze cautelari ai sensi del comma 1-bis - solo in relazione ai reati per cui è previsto, in ragione della pena edittale, l'arresto obbligatorio in flagranza, e solo a carico dei recidivi specifici infraquinquennali.
Al fine di fronteggiare le più volte richiamate esigenze di tutela della collettività, si intende modificare il sistema procedendo all'anticipazione di tale limitato automatismo già all'esito della sentenza di condanna di primo grado, e con riferimento a tutti i reati individuati - ai fini dell'obbligatorietà dell'arresto in flagranza - dall'articolo 380 del codice di rito.
Invero, l'intervenuto accertamento della responsabilità dell'imputato «al di là di ogni ragionevole dubbio» (si veda l'articolo 533, comma 1, del codice di procedura penale, come sostituito dall'articolo 5 della legge 20 febbraio 2006, n. 46) rende possibile e ragionevole la suddetta anticipazione, qualora si abbia riguardo all'estremo allarme sociale derivante da tali situazioni, non solo per la gravità dei reati in questione - nessuna particolare distinzione sembra possibile, a tale specifico proposito, tra quelli per cui è previsto l'arresto obbligatorio in ragione della pena edittale e quelli puntualmente elencati nel comma 2 dell'articolo 380 del codice di procedura penale - ma anche per le condizioni personali dell'imputato (recidivo specifico infraquinquennale).
Al riguardo, le possibili obiezioni - già sollevate con riferimento al vigente comma 2-ter dell'articolo 275 del codice di procedura penale ai sensi dell'articolo 27, secondo comma, della Costituzione, paventandosi la violazione della presunzione di non colpevolezza attraverso l'introduzione di una sorta di esecuzione anticipata della sentenza di condanna - appaiono superabili non solo alla luce dell'ambito applicativo della disposizione in parola, sia dal punto di vista oggettivo che soggettivo, ma anche, ed anzi soprattutto, in considerazione delle ben differenti finalità perseguite dall'eventuale intervento officioso del giudice.
È infatti ovviamente indispensabile, come già accennato, che quest'ultimo ravvisi - anche alla luce degli elementi sopravvenuti fino all'emissione della sentenza - la concreta sussistenza di una delle esigenze cautelari di cui all'articolo 274 del codice di procedura penale. Sul punto, la Corte costituzionale ha più di una volta sottolineato che in tema di misure cautelari personali, ferma ovviamente la necessità di rispettare la riserva di legge di cui all'articolo 13 della Costituzione, il richiamo al principio di non colpevolezza di cui all'articolo 27 della stessa Costituzione «si rivela manifestamente non conferente, data l'estraneità di quest'ultimo parametro all'assetto e alla conformazione delle misure restrittive della libertà personale che operano sul piano cautelare, che è piano del tutto distinto da quello concernente la condanna e la pena (ord. n. 339 del 1995; sentt. n. 342 del 1983 e n. 15 del 1982)» (Corte costituzionale, ordinanza n. 450 del 1995). Tra l'altro, con riferimento alla vigente disciplina, è stato posto in evidenza che gli elementi in possesso del giudice di appello, chiamato ad un intervento cautelare officioso, e, in presenza di esigenze cautelari, necessitato, sono fisiologicamente - oltre che per qualità ed entità più circoscritti di quelli a disposizione delle parti - scarsamente attuali, perché risalenti nel tempo (salvo che nei casi, peraltro assai rari nella pratica, di una rinnovazione in appello dell'istruttoria dibattimentale).
Va anche evidenziato che un intervento officioso del giudice, in materia cautelare e contra reum, è già previsto nell'articolo 276 del codice di procedura penale, il quale disciplina i provvedimenti in caso di trasgressione alle prescrizioni imposte. In quella sede, anzi, tale intervento officioso risulta connotato anche da un preciso automatismo nell'applicazione della misura custodiale in carcere, in caso di trasgressione delle prescrizioni degli arresti domiciliari concernenti il divieto di allontanarsi dalla propria abitazione o da altro luogo di privata dimora (articolo 276, comma 1-ter): e tale disposizione ha, tra l'altro, positivamente superato lo scrutinio di legittimità costituzionale (Corte costituzionale, ordinanza n. 40 del 2002).
La rivisitazione dell'attuale sistema in tema di presupposti applicativi per la misura custodiale in carcere, con particolare riferimento alla sua necessaria applicazione in presenza di esigenze cautelari, è oggetto dell'articolo 4, comma 1, lettera e).
Il primo periodo del comma 3 dell'articolo 275 del codice di procedura penale, nel testo oggi in vigore, prevede - in linea con i princìpi di adeguatezza e proporzionalità dettati dai commi 1 e 2 dello stesso articolo - che la misura della custodia in carcere possa essere disposta solo in caso di inadeguatezza di ogni altra misura.
Peraltro, il secondo periodo del medesimo comma 3 prevede una rilevante deroga a tale principio, imponendo l'adozione della misura custodiale in carcere, «salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari», qualora vi siano gravi indizi di colpevolezza per i delitti di cui all'articolo 416-bis del codice penale, per quelli commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo, nonché per quelli finalizzati ad agevolare l'attività di quel tipo di associazioni.
L'elenco dei reati è stato in tal senso ridotto dalla legge 8 agosto 1995, n. 332.
In precedenza, ovvero per effetto del decreto-legge 9 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, l'elenco in questione comprendeva anche numerose altre fattispecie, che il legislatore del 1995 ha «trasferito in blocco» nell'ambito dell'articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di rito (articolo che disciplina la durata massima delle indagini preliminari). Si allude in particolare: a gravissimi delitti contro la personalità dello Stato (articoli 285 e 286 del codice penale), contro l'incolumità pubblica (articolo 422), contro la persona (articolo 575) e il patrimonio (articoli 628, terzo comma, 629, secondo comma, e 630); ai delitti commessi con finalità di terrorismo o di eversione dell'ordinamento costituzionale (puniti con pena edittale non inferiore nel minimo a cinque anni o nel massimo a dieci anni di reclusione); ai delitti in tema di armi (fabbricazione, introduzione, messa in vendita eccetera, di armi da guerra, esplosivi, armi clandestine ovvero più armi comuni da sparo); ai delitti di traffico di quantità ingenti di sostanze stupefacenti e di associazione per delinquere finalizzata alla predetta attività.
L'automatismo nell'applicazione della misura custodiale di cui all'articolo 275, comma 3, del codice di procedura penale è stato ritenuto - in considerazione della gravità dei reati individuati e della possibilità per il giudice di ritenere comunque, in concreto, insussistenti le esigenze cautelari - compatibile sia con la Costituzione (ordinanze n. 339 del 1995 e n. 450 del 1995 della Consulta), sia con la Convenzione europea dei diritti dell'uomo (sentenza 6 novembre 2003, Pantano c. Italia, della Corte di Strasburgo, la quale, con specifico riferimento ad imputazioni associative di cui all'articolo 416-bis, del codice penale, ha rilevato che «la lotta contro questo flagello può, in certi casi, portare all'adozione di misure che giustificano una deroga alla norma fissata dall'articolo 5, che mira a tutelare, prima di tutto, la sicurezza e l'ordine pubblico, nonché a prevenire la commissione di altri reati penali gravi. In questo contesto, una presunzione di pericolosità può essere giustificata, in particolare quando non è assoluta, ma si presta ad essere contraddetta dalla prova contraria»).
Quanto alle pronunce della Corte costituzionale, nella citata ordinanza n. 339 del 1995 (emessa prima dell'entrata in vigore della legge n. 332 del 1995, e dunque con riferimento al più ampio elenco di reati sopra richiamato) si è in particolare evidenziato che «la regola, posta in via generale quanto a delimitazione della discrezionalità giudiziale nella scelta delle misure coercitive sul piano dell'adeguatezza, allorché l'imputazione per cui si procede pervenga a livelli di spiccata gravità», risulta «rappresentativa di una scelta del legislatore orientata nel senso del rafforzamento della tutela delle ragioni di cautela (naturalmente dove sussistenti, o più esattamente dove non verificate insussistenti, ex articolo 275, comma 3, ultimo periodo, cod. proc. pen.)». In tale contesto, è stata esclusa qualsiasi violazione dell'articolo 3 della Costituzione nella comparazione tra tossicodipendenti imputati di un reato di cui all'articolo 275, comma 3, del codice di procedura penale (esclusi perciò dai benefìci dell'articolo 89 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990) e tossicodipendenti imputati di diverso reato, «attesa l'assoluta disomogeneità dei termini posti a raffronto proprio sul piano della considerazione della gravità del fatto e della pericolosità soggettiva desumibile da certi delitti piuttosto che da altri; considerazione anch'essa riservata alle scelte del legislatore, certamente non irragionevoli nella specie, alla luce della catalogazione contenuta nel citato articolo 275, comma 3, del codice».
L'ordinanza n. 450 del 1995, emessa invece subito dopo l'entrata in vigore della legge n. 332 del 1995, ha ribadito la legittimità costituzionale dell'articolo 275, comma 3, del codice di procedura penale, evidenziando anzi la «manifesta non irragionevolezza» del particolare regime riservato ai reati di mafia e chiarendo, in termini generali, che «la sussistenza in concreto di una o più delle esigenze cautelari prefigurate dalla legge (l'an della cautela) non può, per definizione, prescindere dall'accertamento della loro effettiva ricorrenza di volta in volta; mentre la scelta del tipo di misura (il quomodo di una cautela, in concreto rilevata come necessaria) non impone, ex se, l'attribuzione al giudice di analogo potere di apprezzamento, ben potendo essere effettuata in termini generali dal legislatore, nel rispetto della ragionevolezza della scelta e del corretto bilanciamento dei valori costituzionali coinvolti»: competendo in particolare al legislatore «l'individuazione del punto di equilibrio tra le diverse esigenze, della minore restrizione possibile della libertà personale e dell'effettiva garanzia degli interessi di rilievo costituzionale tutelati attraverso la previsione degli strumenti cautelari nel processo penale (sentt. n. 1 del 1980; n. 64 del 1970)». In buona sostanza, «la predeterminazione in via generale della necessità della cautela più rigorosa (salvi, ovviamente, gli istituti specificamente disposti a salvaguardia di peculiari situazioni soggettive, quali l'età, la salute e così via) non risulta in contrasto con il parametro dell'articolo 3 della Costituzione, non potendosi ritenere soluzione costituzionalmente obbligata quella di affidare sempre e comunque al giudice la determinazione dell'accennato punto di equilibrio e contemperamento tra il sacrificio della libertà personale e gli antagonisti interessi collettivi, anch'essi di rilievo costituzionale».
Tali princìpi sono stati di recente ribaditi, negli stessi termini, non solo dalla già citata ordinanza n. 40 del 2002 (si veda quanto illustrato in relazione all'articolo 4, comma 1, lettere b) e c)), ma anche dall'ordinanza n. 130 del 2003, nella quale la Consulta ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di costituzionalità sollevata in relazione all'articolo 284, comma 5-bis, del codice di procedura penale: disposizione che, come è noto, preclude l'applicazione della misura gradata degli arresti domiciliari nei confronti della persona condannata per il reato di evasione nei cinque anni precedenti al fatto per cui si procede.
In tale prospettiva, e avendo riguardo allo straordinario allarme sociale e all'altrettanto straordinaria efferatezza riconducibili ad una variegata tipologia di fenomeni delittuosi, anche di tragica attualità, si impone una riconsiderazione del «punto di equilibrio» più volte evocato nelle ordinanze della Corte costituzionale.
In particolare, si ritiene che, al fine di soddisfare le esigenze di tutela della collettività più volte richiamate anche nelle pronunce della Consulta, l'elenco di cui al comma 3 dell'articolo 275 del codice di procedura penale debba essere ampliato non solo con il reinserimento - indipendentemente dall'esistenza di una connessione con l'articolo 416-bis del codice penale, nel senso sopra chiarito - delle fattispecie a suo tempo individuate dal legislatore del 1991 e oggi (come detto) elencate nei numeri da 1) a 6) della lettera a) del comma 2 dell'articolo 407 del medesimo codice; ma anche con il richiamo ad una serie di ulteriori fenomeni delittuosi che, soprattutto negli anni più recenti, hanno acquisito un'altrettanto primaria rilevanza ai fini specifici che qui interessano.
A tale ultimo riguardo, vengono in rilievo:
a) quanto ai delitti contro la persona (articolo 407, comma 2, lettera a), numero 7-bis), del codice di procedura penale), i delitti di riduzione o mantenimento in schiavitù (articolo 600 del codice penale); di induzione, favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione minorile (articolo 600-bis, primo comma, del codice penale); di pornografia minorile (articolo 600-ter, primo comma, del codice penale); di tratta di persone, e di acquisto e alienazione di schiavi (articoli 601 e 602 del codice penale); di violenza sessuale aggravata ai sensi dell'articolo 609-ter (nei confronti di minore infraquattordicenne, con uso di armi e sostanze alcoliche eccetera), dell'articolo 609-quater (atti sessuali con minorenne: con esclusione, peraltro, delle ipotesi in cui il fatto debba considerarsi di minore gravità, in considerazione della estrema delicatezza e varietà delle situazioni evidentemente configurabili nelle relazioni tra autore del reato e persona offesa) e dell'articolo 609-octies del codice penale (violenza sessuale di gruppo);
b) quanto ai delitti contro l'ordine pubblico, le figure apicali del sodalizio di cui all'articolo 416 del codice penale, qualora questo sia finalizzato alla commissione dei più gravi tra i delitti per cui è previsto l'arresto in flagranza (articolo 407, comma 2, lettera a), numero 7), del codice di procedura penale);
c) quanto ai delitti contro il patrimonio, i delitti di furto in abitazione e furto con strappo di cui all'articolo 624-bis del codice penale, nonchè il delitto di rapina di cui all'articolo 628 del medesimo codice. La valorizzazione di tali figure criminose è dovuta ai ben noti, dirompenti effetti che esse determinano sulla sicurezza dei cittadini; tra l'altro, con specifico riguardo ai delitti di cui all'articolo 624-bis, deve essere adeguatamente evidenziata la loro «naturale» e tutt'altro che teorica attitudine - come quotidianamente comprovato dalle crona che giudiziarie - ad una «progressione criminosa» verso fattispecie di ancor maggiore gravità (quali il sequestro di persona e l'omicidio, oltre ovviamente alla stessa rapina). Anche in occasione dell'inserimento di tali delitti nell'autonoma collocazione attuale (all'interno, appunto, dell'articolo 624-bis del codice), si è fondatamente rilevato che, proprio per tale loro peculiare connotazione, la salvaguardia del bene giuridico «patrimonio» assume ormai uno spazio e un rilievo secondari rispetto alla tutela di valori immediatamente riconducibili alla persona, quali l'integrità fisica o morale, e la stessa inviolabilità del domicilio. In tale prospettiva, l'inclusione di tali fattispecie nel nuovo elenco di cui all'articolo 275, comma 3, del codice di procedura penale appare - nonostante l'entità non particolarmente elevata delle pene edittali previste per le ipotesi non aggravate - giustificata e coerente con le linee fondanti, più volte richiamate, dell'intervento di riforma;
d) quanto ai delitti in tema di immigazione, le condotte di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina a fine di profitto previste dall'articolo 12, comma 3, del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, eventualmente aggravate ai sensi dei commi 3-bis (numero degli stranieri superiore a cinque, messa in pericolo della loro vita o sottoposizione a trattamenti inumani o degradanti) e 3-ter (destinazione degli stranieri alla prostituzione o comunque allo sfruttamento sessuale, all'impiego in attività illecite degli stranieri minorenni al fine di favorirne lo sfruttamento). L'opportunità di tale inclusione è tra l'altro comprovata dagli strettissimi rapporti esistenti tra le suddette figure di reato e quelle, sopra richiamate, di cui all'articolo 407, comma 2, lettera a), numero 7), del codice di procedura penale;
e) quanto ai delitti contro l'incolumità pubblica, l'incendio boschivo doloso di cui all'articolo 423-bis, commi primo, terzo e quarto, del codice penale (la ratio di tale inserimento va rinvenuta nella esponenziale crescita di tale fenomeno criminoso e nello straordinario allarme sociale ad esso direttamente riconducibile, anche per la portata spesso irreversibile dei suoi effetti), nonché i delitti di avvelenamento di acque o di sostanze alimentari (articolo 439 del codice penale) e di adulterazione e contraffazione di sostanze alimentari (articolo 440 del codice penale), in considerazione della estrema pericolosità, insita in tali condotte criminose, per la salute dei cittadini;
f) quanto ai delitti in tema di contrabbando, le fattispecie aggravate dall'uso di armi, di mezzi appositamente alterati eccetera, previste dall'articolo 291-ter, comma 2, lettere a), d) ed e), del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, nonché le più gravi ipotesi associative di cui all'articolo 291-quater, comma 4, dello stesso testo unico (reati attualmente inseriti nell'articolo 407, comma 2, lettera a), numero 1), del codice di procedura penale per effetto della legge 19 marzo 2001, n. 92). Si tratta infatti delle più allarmanti ipotesi criminose in un settore di sicuro rilievo per la criminalità organizzata, non a caso inserite anche nell'elenco dei reati attribuiti, nella fase delle indagini, alla procura distrettuale (articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale);
g) quanto ai delitti a tutela dell'ambiente, il traffico illecito di ingenti quantità di rifiuti attraverso attività organizzate, di cui all'articolo 260, comma 1, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, eventualmente aggravato ai sensi del comma 2 (traffico di sostanze ad alta radioattività): anche in questo caso si tratta di condotte di estrema rilevanza e pericolosità, in un settore che attualmente attira sempre più gli interessi della criminalità organizzata.
È appena il caso di ricordare che, in ogni concreta fattispecie riconducibile a tali figure criminose, resta ovviamente ferma la necessità di valutare l'eventuale presenza (e valenza significativa) di circostanze idonee a far ritenere insussistenti le esigenze cautelari. Si è visto infatti che tale accertamento costituisce un presupposto assolutamente irrinunciabile - «l'an della cautela»: si vedano le citate ordinanze n. 450 del 1995 e n. 130 del 2003 - nella stessa ricostruzione sistematica operata dalla Consulta in tema di misure cautelari detentive, e di legittimità delle scelte legislative che, ragionevolmente, sottraggano al giudice la scelta del tipo di misura da adottare («il quomodo della cautela»): si tratta dunque di un presupposto che, anche nella prospettiva fatta propria dall'odierno intervento di riforma, non può che rimanere imprescindibile, nonostante la diversa soluzione adottata negli ordinamenti di diversi Paesi membri dell'Unione europea (quali ad esempio la Francia, il Belgio e la Germania), qualora si tratti di sottoporre a detenzione cautelare un indagato per delitti di massimo allarme sociale.
Le lettere f) e g) del comma 1 dell'articolo 4 in oggetto contengono una significativa modifica nell'ambito del regime delle impugnazioni avverso i provvedimenti in materia cautelare. Nella prima, si prevede l'abrogazione del comma 3 dell'articolo 310 del codice di procedura penale, in base al quale attualmente l'esecuzione della decisione con la quale il tribunale, accogliendo l'appello del pubblico ministero, dispone una misura cautelare è sospesa fino a che la stessa diventi definitiva, pertanto fino alla scadenza del termine per proporre ricorso per cassazione o alla conferma della decisione all'esito del predetto giudizio di legittimità. Detta norma concede all'indagato - il quale ha già avuto modo di consultare gli atti posti a suo carico essendo necessariamente intervenuta la discovery in sede di giudizio di appello, nonché di avere notizia, pur essendo in stato di libertà, della sussistenza di una richiesta di custodia cautelare nei suoi confronti da parte del pubblico ministero - di beneficiare di un ulteriore lasso di tempo tra la decisione del giudice collegiale di applicare la misura e la sua esecuzione; questo ulteriore lasso di tempo costituisce una fonte di grave pregiudizio, sotto il profilo dell'inquinamento probatorio, per le esigenze di tutela delle indagini, ma concede anche all'indagato tutto il tempo necessario per consolidare una sua eventuale latitanza. È, pertanto, apparso necessario prevedere l'abrogazione del predetto comma 3 dell'articolo 310, e introdurre (con l'articolo 4, comma 1, lettera g), del presente disegno di legge) all'articolo 311 del codice di procedura penale l'opposto principio in base al quale il ricorso per cassazione non sospende l'efficacia esecutiva dell'ordinanza emessa dal tribunale. Del resto, trattandosi di ordinanza emessa da un tribunale collegiale con la completa garanzia del contraddittorio per l'indagato, non residua alcun motivo per sospenderne l'esecuzione fino alla definitività della decisione.
La lettera h) del comma 1 prevede, come già accennato, una modifica all'articolo 392 del codice di procedura penale, il quale individua i casi in cui è possibile svolgere l'incidente probatorio.
Attualmente, la norma permette, nei procedimenti per i delitti di violenza e abuso sessuale, nonché per i delitti di cui agli articoli 600-bis e seguenti del codice penale (prostituzione e pornografia minorile), l'assunzione della testimonianza di persona minore degli anni sedici, anche qualora non ricorrano le altre condizioni previste in generale dalla legge. Sostanzialmente, la previsione mira ad estromettere quanto prima il minore degli anni sedici dal processo penale, evitandogli nei limiti del possibile ulteriori turbamenti e traumi.
L'innovazione rende possibile effettuare con incidente probatorio, sempre con riferimento ai reati citati, l'assunzione della testimonianza del minore ultrasedicenne, nonché della parte offesa anche maggiorenne, trattandosi di delitti portatori di conseguenze psicologicamente distruttive anche nei confronti dei soggetti adulti o quasi adulti. Si giustifica pertanto anche nei loro confronti l'esigenza di limitare quanto possibile la reiterazione del confronto in sede giudiziaria con la ricostruzione di esperienze drammatiche e dolorosamente umilianti.
Le disposizioni contenute nelle lettere i) e l) del comma 1 dell'articolo 4 sono volte ad accelerare l'instaurazione del giudizio, nelle ipotesi in cui, a carico dell'indagato, sia stata emessa un'ordinanza applicativa di misura cautelare custodiale, e la valutazione circa la sussistenza della gravità indiziaria sia stata confermata in sede di riesame.
In particolare, in siffatte ipotesi - cui possono essere assimilate quelle della mancata impugnazione ai sensi dell'articolo 309 del codice di procedura penale, della rinuncia espressa al gravame e della declaratoria di inammissibilità dello stesso da parte del tribunale - è stato previsto che, attraverso l'introduzione del comma 1-bis nell'articolo 453 del codice di procedura penale, il pubblico ministero richieda il giudizio immediato anche al di fuori dei limiti temporali individuati dall'articolo 454, comma 1, con riferimento alla iscrizione della persona nel registro degli indagati.
Appare infatti opportuno, in tali casi (ovvero sia quando la prognosi di qualificata probabilità di colpevolezza - presupposto della misura custodiale - ha ricevuto un significativo avallo in sede di riesame, sia anche quando l'indagato non ha validamente attivato tale rimedio), un «recupero» di tale procedimento speciale, che il pubblico ministero deve attivare, entro il termine sollecitatorio di sei mesi a decorrere dall'esecuzione della misura custodiale, con l'unico (e ovvio) limite costituito dalla ritenuta sussistenza di un pregiudizio per l'attività investigativa.
Il nuovo comma 1-bis dell'articolo 455 prevede peraltro anche che, qualora dopo la formulazione della richiesta sopravvenga la revoca o l'annullamento dell'ordinanza applicativa della misura custodiale, per insussistenza della gravità indiziaria, il giudice rigetti la richiesta formulata ai sensi dell'articolo 453, comma 1-bis.
Con le disposizioni contenute nelle lettere m) e n) del comma 1 dell'articolo 4, si prevede inoltre l'abrogazione, rispettivamente, dei commi 4 e 5 dell'articolo 599 e del comma 2 dell'articolo 602 del codice di rito, i quali attualmente disciplinano l'ipotesi di accordo tra le parti per l'accoglimento, in tutto o in parte, dei motivi di appello con rideterminazione della pena e rinuncia agli altri motivi. Invero tale istituto, pur essendo strutturalmente e funzionalmente diverso da quello di cui all'articolo 444 del codice di procedura penale - come più volte ribadito dalla Corte di cassazione: si veda, ex plurimis, le sentenze 2 luglio 2004, imputato Mezzana; 17 ottobre 2001, imputato Pugliese - ha per un verso fortemente ridimensionato, in ragione delle condizioni di accesso oggi previste per la sua applicazione (durante tutto il corso del dibattimento in appello), l'interesse a ricorrere all'istituto del patteggiamento di primo grado, con ricadute assolutamente negative sull'obiettivo di deflazione del carico processuale legato proprio al ricorso ai riti alternativi in tale fase. Per altro verso, come già accennato, l'istituto in questione rende possibile un abbattimento anche assai considerevole della pena irrogata in primo grado, attraverso l'accordo delle parti sull'accoglimento dei motivi di appello o di una parte di essi, sulla rinuncia agli altri eventuali motivi e sulla pena da loro stesse eventualmente rideterminata (nei casi in cui ciò consegua all'intesa raggiunta quanto ai motivi: ad esempio, l'accordo raggiunto per l'accoglimento del motivo di appello inerente la partecipazione ad un'associazione prevista dall'articolo 74 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, con rinuncia al motivo concernente il singolo episodio di spaccio). La Corte di cassazione ha tra l'altro affermato che tali accordi possono essere recepiti dal giudice senza particolari oneri motivazionali (potendo egli limitarsi ad affermare di aver valutato come congrua la pena indicata dalle parti: si veda Cassazione, 24 maggio 1995, imputato Di Stefano; in caso di rigetto della richiesta concordata, invece, è stata sostenuta la necessità di una specifica motivazione: si veda Cassazione, 10 ottobre 2003, imputato Mazzuca).
Alla lettera o) del medesimo comma 1 dell'articolo 4 si prevede, infine, una modifica all'articolo 656, comma 9, del codice di procedura penale; detto articolo reca la disciplina dell'esecuzione delle pene detentive, imponendo al comma 5 che, nei casi di condanna a pena non superiore a tre anni (sei anni nei casi previsti dagli articoli 90 e 94 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, ovvero nei confronti dei tossicodipendenti che abbiano incorso o vogliano intraprendere un programma terapeutico socio-riabilitativo), il pubblico ministero ne sospenda in ogni caso l'esecuzione, onde consentire la presentazione delle eventuali richieste di concessione delle misure alternative alla detenzione previste dagli articoli 47, 47-ter e 50, comma 1, della legge n. 354 del 1975 (affidamento in prova al servizio sociale, detenzione domiciliare e semilibertà) o della richiesta di sospensione dell'esecuzione della pena ai sensi dell'articolo 90 del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990.
Detta disciplina prevede alcune deroghe, elencate al comma 9 del medesimo articolo 656:
a) condannati per delitti di cui all'articolo 4-bis della legge n. 354 del 1975;
b) condannati che si trovano in stato di custodia cautelare per il fatto oggetto della condanna da eseguire;
c) condannati ai quali sia stata applicata la recidiva.
In relazione a tali tipologie di condannati la sospensione non avrà luogo e si procederà con l'immediata esecuzione della pena.
I reati previsti nella lettera a) del citato comma 9 sono in buona parte quelli già individuati come di particolare rilevanza nell'ambito del presente disegno di legge e in relazione ai quali si ritiene doverosa l'applicazione della custodia cautelare, salva l'insussistenza delle esigenze cautelari (comma 1, lettera e), dell'articolo 4 in oggetto). Conformemente a quanto già rilevato in detta sede, appare opportuno ampliare l'operatività del divieto di sospensione con riferimento a tutti i reati sopra elencati, in relazione ai quali le esigenze di tutela della collettività appaiono maggiormente bisognose di tutela; per quanto concerne, allora, le sentenze di condanna per taluno dei predetti reati, l'esecuzione della pena detentiva non sarà più automaticamente sospesa in attesa di una eventuale decisione, ma sarà immediatamente applicata, salva la facoltà per il condannato di presentare le richieste sopra descritte e salva la decisione in merito del tribunale di sorveglianza.
La lettera o) del comma 1 dell'articolo 4, pertanto, aggiorna il catalogo dei reati indicati nell'articolo 656, comma 9, lettera a), del codice di procedura penale, aggiungendo agli stessi anche quelli di cui agli articoli 423-bis, 600-bis, 624-bis e 628 del codice penale, e rendendo quindi coerente il dettato della norma in questione con quello di cui al medesimo comma 1, lettera e), la quale elenca la ristretta cerchia di reati in relazione ai quali, come visto, è stata prevista l'applicazione della custodia in carcere, salva la prova dell'insussistenza delle esigenze cautelari.
In tal modo si prevede un percorso processuale nei confronti dei soggetti responsabili dei predetti, gravissimi reati, in relazione ai quali, ove non sia stata applicata la custodia cautelare nelle precedenti fasi del procedimento, l'esecuzione della pena avverrà sempre e comunque, salva la successiva possibilità, ove ne ricorrano i presupposti, di richiedere la sospensione dell'esecuzione medesima.
L'articolo 5, come già accennato, intende eliminare il difetto di coordinamento tra il codice di procedura penale e le disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 448, in ordine alla possibilità di applicare la misura della custodia cautelare ai minori indagati o imputati dei reati di cui al vigente articolo 624-bis del codice penale.
In particolare, deve osservarsi che ai sensi dell'articolo 23, comma 1, delle citate disposizioni di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 448 del 1988 - come novellato dall'articolo 42 del decreto legislativo 14 gennaio 1991, n. 12 - l'applicazione della custodia cautelare nei confronti dei minorenni è prevista per i delitti dolosi puniti con l'ergastolo o con la reclusione non inferiore nel massimo a nove anni, nonché «quando si procede per uno dei delitti, consumati o tentati, previsti dall'articolo 380, comma 2, lettere e), f), g), h), del codice di procedura penale nonché, in ogni caso, per il delitto di violenza carnale». D'altro canto, l'articolo 380, comma 2, lettera e), del codice di procedura penale richiamava, nella originaria formulazione della sua ultima parte, i delitti di furto aggravati dalla violazione di domicilio, dalla violenza sulle cose e dall'aver strappato la cosa di mano o di dosso alla persona («quando ricorre (...) taluna delle circostanze aggravanti previste dall'articolo 625, comma 1, numero 2, prima ipotesi e 4 seconda ipotesi del codice penale»).
Come già in precedenza (e ad altri fini) evidenziato, la legge 26 marzo 2001, n. 128, ha peraltro autonomamente disciplinato il furto in abitazione e il furto con strappo nel nuovo articolo 624-bis del codice penale: contemporaneamente, è stata, da un lato, introdotta - nell'elencazione dei reati per cui è previsto l'arresto obbligatorio in flagranza, contenuta nel comma 2 dell'articolo 380 del codice di rito - la lettera e-bis), relativa appunto alle fattispecie criminose in questione, salvo che ricorra l'attenuante della speciale tenuità di cui all'articolo 62, numero 4), del codice penale (e ciò in conseguenza della declaratoria di parziale illegittimità costituzionale dell'originario articolo 380, comma 2, lettera e), nella parte in cui comprendeva le fattispecie in cui ricorreva la predetta attenuante); dall'altro lato, coerentemente, la legge n. 128 del 2001 ha espunto dalla lettera e) i riferimenti al furto in abitazione e al furto con strappo.
Analogo intervento non è invece stato previsto sulla corrispondente disposizione relativa agli indagati o imputati minorenni, dettata - come si è visto - nell'articolo 23 delle citate disposizioni di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 448 del 1988. Il perdurante rinvio, ivi contenuto, alla sola lettera e) del comma 2 dell'articolo 380 del codice di procedura penale, ha determinato nella Suprema corte due contrapposti indirizzi interpretativi: una prima soluzione - imperniata sul principio di tassatività che deve presidiare l'applicazione delle misure cautelari, soprattutto nei confronti dei minori - esclude l'applicabilità di misure cautelari per i delitti di cui alla lettera e-bis) del comma 2 dell'articolo 380 del codice di procedura penale, non richiamata dall'articolo 23 (si veda, ad esempio Cassazione, Sezione V, 16 gennaio 2004; in senso analogo si veda anche la sentenza n. 137 del 2003 della Corte costituzionale, che ha escluso la possibilità di diverse interpretazioni anche qualora la situazione normativa fosse frutto di una svista del legislatore).
In senso contrario si è invece sostenuto che le modifiche intervenute nel codice penale e nell'articolo 380 del codice di rito non hanno determinato il venir meno dell'applicabilità della custodia in carcere per i delitti di furto in appartamento e furto con strappo, desumibile dall'articolo 23 delle citate disposizioni di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 488 del 1988 nel testo risultante dalla novella del 1991 (in tal senso, da ultimo, si veda Cassazione, Sezione IV, 23 gennaio 2007, n. 76). Ancor più recentemente, la Consulta ha avallato tale indirizzo ermeneutico, evidenziando che «il mancato "adeguamento" dell'art. 23 del d.P.R. n. 448 del 1988 alla nuova "rassegna" delle ipotesi di furto enunciate dall'art. 380 cod. proc. pen., come novellato, non risulti affatto denotare una sorta di voluntas excludendi delle più gravi ipotesi di cui all'articolo 624-bis cod. pen. dal panorama delle fattispecie in ordine alle quali è consentita l'applicazione della misura cautelare nei confronti degli imputati minorenni» (Corte costituzionale, ordinanza 4 luglio 2007, n. 281).
Con l'inserimento di un espresso richiamo alla lettera e-bis) del comma 2 dell'articolo 380 del codice di procedura penale, oggetto dell'intervento di cui all'articolo 5 del presente disegno di legge, si intende porre rimedio al richiamato difetto di coordinamento: risultando del tutto coerente - salva sempre l'esclusione delle ipotesi in cui ricorra la speciale tenuità del danno - l'assimilazione dei delitti di cui all'articolo 624-bis del codice penale al furto aggravato dall'uso di armi o dalla violenza sulle cose, per i quali è oggi pacificamente applicabile la custodia cautelare (attraverso il rinvio dell'articolo 23 delle citate disposizioni, di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 448 del 1988, all'articolo 380, comma 2, lettera e), del codice di procedura penale, nell'attuale formulazione).
L'articolo 6 contiene la clausola di invarianza degli oneri a carico del bilancio dello Stato. L'articolo 7 disciplina l'entrata in vigore.
DISEGNO DI LEGGE Art. 1. (Modifiche al codice penale). 1. Al codice penale sono apportate le seguenti modificazioni: a) l'articolo 157 è sostituito dal seguente: «Art. 157. - (Prescrizione. Tempo necessario a prescrivere). - La prescrizione estingue il reato con il decorso di un tempo pari al massimo della pena edittalmente prevista aumentato della metà. Il tempo necessario a prescrivere non può comunque: 1) essere inferiore a sei anni per i delitti e a quattro anni per le contravvenzioni, ancorché puniti con la sola pena pecuniaria; 2) essere superiore a venti anni. Per i delitti indicati all'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale il termine è di trenta anni. Per determinare il tempo necessario a prescrivere si ha riguardo alla pena stabilita dalla legge per il reato consumato o tentato, senza tener conto della diminuzione per le circostanze attenuanti e dell'aumento per le circostanze aggravanti, salvo che per le circostanze a effetto speciale e per quelle per le quali la legge determina la pena in modo autonomo. Quando per il reato la legge stabilisce congiuntamente o alternativamente la pena detentiva e la pena pecuniaria, per determinare il tempo necessario a prescrivere si ha riguardo soltanto alla pena detentiva. Quando per il reato la legge stabilisce pene diverse da quella detentiva e da quella pecuniaria, nonché per le sanzioni applicate dal giudice di pace diverse da quella pecuniaria, si applica il termine di sei anni. La prescrizione non estingue i reati per i quali la legge prevede la pena dell'ergastolo, anche come effetto dell'applicazione di circostanze aggravanti. La prescrizione è sempre espressamente rinunciabile dall'imputato»; b) all'articolo 158, primo comma, dopo la parola: «permanente» sono inserite le seguenti: «o continuato» e dopo la parola: «permanenza» sono aggiunte le seguenti: «o continuazione»; c) all'articolo 159, primo comma, dopo il numero 3) sono aggiunti i seguenti: «3-bis) presentazione di dichiarazione di ricusazione ai sensi dell'articolo 38 del codice di procedura penale, dalla data della presentazione della stessa fino a quella della comunicazione al giudice procedente del provvedimento che dichiara l'inammissibilità della medesima; 3-ter) concessione di termine a difesa in caso di rinuncia, revoca, incompatibilità e abbandono della difesa, per un periodo corrispondente al termine concesso; 3-quater) rinnovazione, su richiesta dell'imputato, delle prove assunte in dibattimento, a seguito di mutamento della persona fisica del giudice, per tutto il tempo necessario alla rinnovazione; tale disposizione non si applica ai coimputati cui non si riferisce la richiesta di rinnovazione, se viene disposta la separazione dei processi, né al caso in cui la nuova assunzione concerna fatti e circostanze nuovi; 3-quinquies) richiesta di estradizione di un imputato dall'estero, per tutto il tempo decorrente dalla data della relativa richiesta sino a quella della effettiva estradizione; 3-sexies) richiesta, in udienza preliminare o nel corso del dibattimento, di una rogatoria all'estero, per tutto il periodo compreso tra la data dell'inoltro della richiesta di assistenza giudiziaria e quella in cui perviene la risposta all'autorità giudiziaria procedente»; d) all'articolo 160 sono apportate le seguenti modificazioni: 1) al secondo comma, dopo le parole: «davanti al pubblico ministero» sono inserite le seguenti: «o alla polizia giudiziaria da questi delegata», dopo le parole: «sulla richiesta di archiviazione,» sono inserite le seguenti: «l'avviso di conclusione delle indagini preliminari,» e dopo le parole: «rinvio a giudizio» sono inserite le seguenti: «o di emissione del decreto penale di condanna»; 2) il terzo comma è sostituito dal seguente: «La prescrizione interrotta comincia nuovamente a decorrere dal giorno dell'interruzione. Se più sono gli atti interruttivi, la prescrizione decorre dall'ultimo di essi. Salvo che per i reati di cui all'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale, i termini stabiliti dall'articolo 157, commi primo e secondo, non possono essere prolungati oltre la metà. In ogni caso, non possono essere superati i termini di cui all'articolo 157, secondo comma, numero 2)»; 3) dopo il terzo comma sono aggiunti i seguenti: «La prescrizione del reato interrotta dalla sentenza di condanna non comincia nuovamente a decorrere nel caso in cui il ricorso per cassazione presentato avverso la predetta sentenza sia dichiarato inammissibile. La prescrizione non comincia nuovamente a decorrere, altresì, nel caso in cui sia presentato ricorso per cassazione avverso una sentenza pronunciata in grado di appello che abbia confermato la sentenza di condanna di primo grado ovvero abbia riformato la stessa limitatamente alla specie o alla misura della pena, anche con riferimento al giudizio di comparazione tra circostanze. La disposizione di cui al presente comma non si applica in caso di accoglimento del ricorso»; e) all'articolo 161, il secondo comma è sostituito dal seguente: «Quando per più reati connessi si procede congiuntamente, la sospensione o l'interruzione della prescrizione per taluno di essi ha effetto anche per gli altri»; f) all'articolo 164, primo comma, dopo le parole: «nell'articolo 133,» sono inserite le seguenti: «nonché alle risultanze desumibili dal servizio informatico previsto dall'articolo 97 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271,»; g) l'articolo 572 è sostituito dal seguente: «Art. 572. - (Maltrattamenti contro familiari e conviventi). - Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo 571, maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l'esercizio di una professione o di un'arte, è punito con la reclusione da due a sei anni. La pena è aumentata se il fatto è commesso in danno di persona minore degli anni quattordici. Se dal fatto deriva una lesione personale grave, si applica la reclusione da quattro a nove anni; se ne deriva una lesione gravissima, la reclusione da sette a quindici anni; se ne deriva la morte, la reclusione da dodici a venti anni»; h) all'articolo 589 sono apportate le seguenti modificazioni: 1) al secondo comma, la parola: «cinque» è sostituita dalla seguente: «sei»; 2) dopo il secondo comma è inserito il seguente: «Si applica la pena della reclusione da tre a dieci anni se il fatto è commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale da: 1) soggetto in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell'articolo 186, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni; 2) soggetto sotto l'effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope»; 3) al terzo comma, le parole: «anni dodici» sono sostituite dalle seguenti: «anni quindici»; i) all'articolo 590, dopo il terzo comma è inserito il seguente: «Nei casi di violazione delle norme sulla circolazione stradale, se il fatto di cui al terzo comma è commesso da soggetto in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell'articolo 186, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, ovvero da soggetto sotto l'effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope, la pena per le lesioni gravi è della reclusione da sei mesi a due anni e la pena per le lesioni gravissime è della reclusione da un anno e sei mesi a quattro anni»; l) dopo l'articolo 590 è inserito il seguente: «Art. 590-bis. - (Computo delle circostanze). - Quando ricorre la circostanza di cui all'articolo 589, terzo comma, ovvero quella di cui all'articolo 590, quarto comma, le concorrenti circostanze attenuanti, diverse da quelle previste dagli articoli 98 e 114, non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste e le diminuzioni si operano sulla quantità di pena determinata ai sensi delle predette circostanze aggravanti»; m) all'articolo 609-ter, primo comma, dopo il numero 5) è aggiunto il seguente: «5-bis) nei confronti della persona della quale il colpevole sia il coniuge, il convivente o comunque la persona che sia o sia stata legata da stabile relazione affettiva anche senza convivenza»; n) alla sezione II del capo III del titolo XII del libro secondo, dopo l'articolo 609-decies è aggiunto il seguente: «Art. 609-undecies. - (Adescamento di minorenni). - Chiunque, allo scopo di abusare o sfruttare sessualmente un minore di anni sedici, intrattiene con lui, anche attraverso l'utilizzazione della rete internet o di altre reti o mezzi di comunicazione, una relazione tale da sedurlo, ingannarlo e comunque carpirne la fiducia, è punito con la reclusione da uno a tre anni»; o) all'articolo 648-bis, primo comma, le parole: «Fuori dei casi di concorso nel reato,» sono soppresse; p) all'articolo 648-ter, primo comma, le parole: «dei casi di concorso nel reato e» sono soppresse.
Art. 2. (Modifica all'articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354). 1. All'articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, dopo il comma 1 è inserito il seguente: «1-bis. Salvo quanto previsto dal comma 1, ai fini della concessione dei benefìci ai detenuti e internati per i delitti di cui agli articoli 600-bis, 600-ter, 609-bis e 609-octies del codice penale, se commessi in danno di persona minorenne, e 609-quater del citato codice penale, il magistrato di sorveglianza o il tribunale di sorveglianza valuta la positiva partecipazione ad un programma di riabilitazione specifica». 2. Con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro delle politiche per la famiglia e con il Ministro dell'economia e delle finanze, sono disciplinati programmi di riabilitazione, di cui all'articolo 13 della legge 26 luglio 1975, n. 354, con specifico riferimento a quanto previsto dall'articolo 4-bis, comma 1-bis, della medesima legge n. 354 del 1975, introdotto dal comma 1 del presente articolo.
Art. 3. (Modifica all'articolo 222 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285). 1. All'articolo 222, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Se il fatto di cui al periodo precedente è commesso da soggetto in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell'articolo 186, comma 2, lettera c), ovvero da soggetto sotto l'effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope, il giudice applica la sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente».
Art. 4. (Modifiche al codice di procedura penale). 1. Al codice di procedura penale sono apportate le seguenti modificazioni: a) all'articolo 260, dopo il comma 3 è aggiunto il seguente: «3-bis. L'autorità giudiziaria può procedere, altresì, alla distruzione delle merci di cui sono comunque vietati la fabbricazione, il possesso, la detenzione o la commercializzazione quando le stesse sono, per entità, di difficile custodia, ovvero quando la custodia risulta particolarmente onerosa o pericolosa per la sicurezza, la salute o l'igiene pubblica ovvero quando, anche all'esito di accertamenti compiuti ai sensi dell'articolo 360, risulti evidente la violazione dei predetti divieti. L'autorità giudiziaria dispone il prelievo di uno più campioni con l'osservanza delle formalità di cui all'articolo 364 e ordina la distruzione della merce residua»; b) all'articolo 274, comma 1, lettera c), dopo le parole: «o dai suoi precedenti penali» sono inserite le seguenti: «o giudiziari, ovvero dalle risultanze desumibili dal servizio informatico previsto dall'articolo 97 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del presente codice, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271» e dopo le parole: «sussiste il concreto pericolo che questi commetta» sono inserite le seguenti: «uno dei delitti di cui all'articolo 380, ovvero altri»; c) all'articolo 275, il comma 1-bis è sostituito dal seguente: «1-bis. Contestualmente ad una sentenza di condanna, le misure cautelari personali sono sempre disposte quando, anche tenendo conto degli elementi sopravvenuti, risultano sussistere le esigenze cautelari previste dall'articolo 274, la condanna riguarda uno dei delitti previsti dall'articolo 380 e questo risulta commesso da soggetto condannato nei cinque anni precedenti per delitti della stessa indole»; d) all'articolo 275, il comma 2-ter è abrogato; e) all'articolo 275, il comma 3 è sostituito dal seguente: «3. La custodia in carcere può essere disposta soltanto quando ogni altra misura risulti inadeguata. È applicata la custodia in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti la mancanza di esigenze cautelari, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ad uno dei delitti di cui ai seguenti articoli: a) 423-bis, commi primo, terzo e quarto, 439, 440, 624-bis e 628 del codice penale; b) 407, comma 2, lettera a), ad esclusione di quelli di cui all'articolo 609-quater del codice penale, quando il fatto sia di minore gravità; c) 12, commi 3-bis e 3-ter, del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni; d) 260, commi 1 e 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152»; f) all'articolo 310, il comma 3 è abrogato; g) all'articolo 311, dopo il comma 5 è aggiunto il seguente: «5-bis. Il ricorso per cassazione avverso la decisione con la quale il tribunale, accogliendo l'appello del pubblico ministero, dispone una misura cautelare non ha effetto sospensivo»; h) all'articolo 392, il comma 1-bis è sostituito dal seguente: «1-bis. Nei procedimenti per i delitti di cui agli articoli 572, 600, 600-bis, 600-ter, anche se relativo al materiale pornografico di cui all'articolo 600-quater.1, 600-quinquies, 601, 602, 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies e 609-undecies del codice penale il pubblico ministero, anche su richiesta della persona offesa, o la persona sottoposta alle indagini possono chiedere che si proceda con incidente probatorio all'assunzione della testimonianza di persona minorenne ovvero della persona offesa maggiorenne, anche al di fuori delle ipotesi previste dal comma 1»; i) all'articolo 453, dopo il comma 1 sono inseriti i seguenti: «1-bis. Il pubblico ministero richiede il giudizio immediato, anche fuori dai termini di cui all'articolo 454, comma 1, e comunque entro centottanta giorni dall'esecuzione della misura, per il reato in relazione al quale la persona sottoposta alle indagini si trova in stato di custodia cautelare, salvo che la richiesta pregiudichi gravemente le indagini. 1-ter. La richiesta di cui al comma 1-bis è formulata dopo la definizione del procedimento di cui all'articolo 309, ovvero dopo il decorso dei termini per la proposizione della richiesta di riesame»; l) all'articolo 455, dopo il comma 1 è aggiunto il seguente: «1-bis. Nei casi di cui all'articolo 453, comma 1-bis, il giudice rigetta la richiesta se l'ordinanza che dispone la custodia cautelare è stata revocata o annullata per sopravvenuta insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza»; m) all'articolo 599, i commi 4 e 5 sono abrogati; n) all'articolo 602, il comma 2 è abrogato; o) all'articolo 656, comma 9, lettera a), dopo le parole: «della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni» sono inserite le seguenti: «, nonché di cui agli articoli 423-bis, 600-bis e 624-bis, 628 del codice penale».
Art. 5. (Modifica all'articolo 23 delle disposizioni di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 448). 1. All'articolo 23, comma 1, delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 448, dopo le parole: «previsti dall'articolo 380, comma 2, lettere e),» sono inserite le seguenti: «e-bis),».
Art. 6. (Clausola di invarianza). 1. Dall'esecuzione della presente legge non derivano nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato.
Art. 7. (Entrata in vigore). 1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
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COMMISSIONE PARLAMENTARE DI INCHIESTA SUL FENOMENO DELLA CRIMINALITA` ORGANIZZATA MAFIOSA O SIMILARE |
RESOCONTO STENOGRAFICO |
21. |
SEDUTA DI GIOVEDI` 14 GIUGNO 2007 |
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE FRANCESCO FORGIONE |
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE FRANCESCO FORGIONE
La seduta comincia alle 14.20.
(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).
PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).
Audizione del Governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del Governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, che ringrazio per aver accolto il nostro invito.
Con l'odierna audizione avviamo un percorso di analisi, di inchiesta e di studio sui temi del riciclaggio. Ricordo che la seduta è pubblica, fermo restando che la Commissione può decidere di riunirsi in seduta segreta tutte le volte che lo ritenga opportuno. A tal fine invito il Governatore della Banca d'Italia a segnalare eventuali esigenze di riservatezza.
La Commissione ritiene quello di oggi un incontro importante: sono dieci anni che un Governatore della Banca d'Italia non viene audito in una Commissione parlamentare antimafia. Quanto ci dirà sarà certamente di grande rilevanza per l'avvio di un sistema di relazioni e di convergenze anche istituzionali, al quale ognuno dovrebbe contribuire per la propria parte al fine di garantire un'articolata capacità di contrasto alla pervasività delle mafie nel tessuto sociale, economico e produttivo.
Quando parliamo di mafia - il Governatore lo sa bene - parliamo di organizzazioni capaci ormai di muovere milioni e milioni di euro, di intervenire nelle dinamiche della globalizzazione e insieme di controllare intere aree del tessuto produttivo. Sa inoltre che tutte le movimentazioni finanziarie, anche i trasferimenti dall'estero o all'estero, prima o poi passano inevitabilmente attraverso il sistema bancario e che in intere aree del nostro Paese il livello di penetrazione delle organizzazioni criminali nelle banche è ormai oggetto di decine di processi, oltre che di inchieste. Abbiamo dati drammatici in materia di usura, ma dopo le speranze accese dalla legge n. 108 del 1996 assistiamo oggi ad un crollo delle denunce, e quindi anche ad un crollo delle speranze per le vittime di riuscire a sottrarsi a tale fenomeno.
In questi anni, come segnalato ripetutamente dalle associazioni antimafia, antiracket e antiusura, nella lotta all'usura è mancato un soggetto decisivo, e cioè proprio le banche: lo diciamo facendo nostre le denunce delle associazioni. Lo stesso vale per il contrasto al riciclaggio, nonostante lo sforzo straordinario e le grandissime competenze dell'Ufficio italiano cambi. Mentre siamo qui a parlare sono in corso in Italia cinque o sei processi su questo argomento. L'applicazione della legge richiede non solo la capacità aritmetica di verificare se le operazioni superino o meno l'importo di 12.500 euro, ma anche una forte capacità di discernimento dei clienti e «dell'odore» dei soldi.
Si tratta di un problema enorme che riguarda la trasparenza dell'economia, l'azione di contrasto all'inabissamento dei capitali criminali nei circuiti finanziari legali, l'aggressione ai capitali e ai patrimoni e il loro processo di confisca. La Commissione è impegnata su questo fronte: proporrà le modifiche legislative al Parlamento entro la fine del mese.
Altrettanto centrali sono la trasparenza degli appalti e la legalità nella gestione dei flussi di finanziamento pubblici, italiani ed europei, tutti temi che hanno a che fare con la trasparenza del sistema bancario, a Locri come a Palermo, a Napoli come a Bari, ma anche a Milano, nelle borse italiane ed europee, nelle grandi centrali e cittadelle finanziarie dell'Europa e del mondo.
La libertà di impresa e di mercato sono temi su cui ci interroghiamo tutti. Questa sede parlamentare intende essere luogo di confronto per la costruzione delle convergenze istituzionali, oltre che di proposte legislative nel contrasto alle mafie.
Ho letto attentamente la sua relazione del 31 maggio e ho colto anche le sottolineature su alcuni aspetti del gap strutturale del Mezzogiorno: dall'istruzione, alla ricerca fino ai limiti della giustizia civile. Lo dico con spirito di confronto non polemico, però in quel testo non ho trovato adeguate sottolineature né citazioni sul tema della legalità come elemento della libertà dell'impresa e del mercato connesso alla presenza mafiosa nel sud, temi che rilevano a proposito di quel gap. Essi hanno per noi, ma anche per il sistema complessivo del Paese, una centralità segnalata da tutti anche in questa sede: prefetti, questori, associazioni antiracket e antiusura.
Non vorrei - lo dico ad un Governatore la cui sensibilità ed il cui rigore sono noti a chiunque - che tutto ciò venisse relegato ad una dimensione esclusivamente giudiziaria e repressiva, senza investire la consapevolezza del grado di pervasività delle mafie dentro un modello economico, produttivo e sociale più ampio e che ne risulta condizionato; tale condizionamento comporta la modifica del paesaggio sociale di intere aree del Paese e, di seguito, della natura complessiva della trasparenza economica.
Lo stesso tema riguarda la confisca dei beni e dei patrimoni. A 25 anni dall'emanazione della legge che porta il nome di La Torre (e anche dal suo omicidio) noi siamo impegnati a modificare tutte le procedure. Spesso le banche sono un elemento di ostacolo nel processo di confisca.
Governatore, proprio perché conosco il suo impegno sono certo che coglierà questi miei rilievi non come critiche pretestuose ma come annotazioni volte ad introdurre il nostro incontro; saranno poi i senatori e i deputati ad articolare le domande. Io mi sono preso una libertà quasi eccessiva, perchè in qualità di presidente dovevo solo passarle la parola, ma ritengo che questo sia un momento importante di discussione e di confronto tra noi. È indubbio infatti che il tema dell'economia oggi è il tema della mafia; se posso permettermi, il tema della mafia è anche il tema dell'economia di questo Paese, e rispetto a ciò l'azione di contrasto deve vedere tutte le istituzioni preposte convergere in unica volontà politica e in un'unica volontà civile.
Do ora la parola al Governatore Draghi.
CARLO VIZZINI. Mi scusi, presidente...
CARLO VIZZINI. C'è una concomitanza di questa seduta con una visita del Presidente della Repubblica nella città di Palermo. Qualcuno di noi (io tra questi) non può non essere presente alla visita ufficiale del Presidente. Scusandomi fin da ora se dovrò allontanarmi, le sarei grato se prendesse in considerazione di prevedere un'altra seduta con il Governatore.
PRESIDENTE. Glielo garantisco.
Prego, Governatore Draghi.
MARIO DRAGHI, Governatore della Banca d'Italia. Signor presidente, la ringrazio per l'onore di questa audizione, ma anche perché per me e per i miei collaboratori essa ha rappresentato l'occasione per mettere insieme tutte le idee e i fatti che la Banca d'Italia e l'Ufficio italiano cambi hanno sviluppato nel corso di questi anni al riguardo e per valutare l'esperienza di quanto è avvenuto.
Vorrei osservare, a proposito di quanto lei ha detto prima, che il nesso tra legalità e sviluppo è una questione su cui la Banca è intervenuta negli anni scorsi e su cui volevo assicurarle la mia completa attenzione, una questione su cui torneremo in futuro in maggior dettaglio, perché il dettaglio è veramente tutto, qui come per altre questioni.
Il fenomeno del riciclaggio, cioè l'investimento dei proventi di attività illecite in attività economiche e finanziarie legali, assume dimensioni tanto più ampie quanto maggiore è la scala delle organizzazioni criminali; al crescere delle dimensioni operative di queste ultime, infatti, aumenta l'esigenza di impiegare i fondi disponibili occultandone la provenienza.
L'attività di riciclaggio può oggi sfruttare lo sviluppo dei mercati finanziari e la globalizzazione, beneficiando degli stessi canali che favoriscono gli scambi legittimi, delle maggiori possibilità di comunicazione, delle innovazioni tecnologiche e finanziarie e anche della circostanza che la reazione delle autorità è ostacolata dalla difficoltà di acquisire adeguate informazioni e dai costi del coordinamento internazionale.
La possibilità di utilizzare in operazioni illecite anche intermediari inconsapevoli accresce la pericolosità delle organizzazioni criminali. L'esistenza di varchi nella disciplina e nell'apparato di controllo dei diversi Paesi permette agli operatori illegali «arbitraggi regolamentari» su scala internazionale. In sostanza, si sceglie il posto dove c'è meno controllo. L'efficacia dell'azione di prevenzione e contrasto può essere inoltre ridotta dall'interessata tolleranza di alcuni Stati e dall'opacità di taluni centri offshore.
L'azione della criminalità non si limita a turbare l'ordine pubblico; essa attenta anche alla stabilità economica e finanziaria, alterando il corretto funzionamento dei meccanismi di mercato a vantaggio degli operatori disonesti.
In linea con le più recenti direttive europee in materia, la criminalità economica va combattuta perseguendo nel contempo gli obiettivi dell'ordine pubblico e dello sviluppo economico. Un'equilibrata strategia di prevenzione e contrasto deve basarsi su regole che, secondo un principio di proporzionalità al rischio, prescrivano obblighi chiaramente formulati e di agevole applicazione; evitino il ricorso a strumenti intrusivi o a procedure eccessivamente rigide; non intralcino oltre misura l'attività degli operatori onesti; prevedano solidi meccanismi di enforcement, fondati su sanzioni rapide, efficaci e proporzionate al disvalore delle violazioni; incentivino la collaborazione degli intermediari con gli apparati antiriciclaggio; rafforzino la cooperazione interna e internazionale tra autorità.
Gli Stati eticamente più evoluti, consapevoli che le organizzazioni malavitose sono più vulnerabili nella fase di innesto dei proventi del crimine nei circuiti legali, hanno da tempo incentrato l'attenzione sul sistema bancario e finanziario. Questo, per le attività che svolge, da un lato può essere facilmente utilizzato per il riciclaggio dei capitali di provenienza delittuosa, dall'altro ha dimostrato di essere il soggetto più idoneo a cooperare efficacemente con le autorità.
La Banca d'Italia, come ho detto prima, è pronta ad accrescere il proprio impegno nella lotta contro la criminalità sia sul piano organizzativo sia in termini di risorse dedicate a tale attività. Ciò nella consapevolezza che riciclaggio e terrorismo, con le potenzialità di contagio che li caratterizzano, costituiscono oggi una grave minaccia per gli ordinamenti democratici.
Nel passare in rapida rassegna i principali nodi che ostacolano l'azione di prevenzione e contrasto del riciclaggio, mi propongo di prospettare alcuni possibili rimedi. I risultati dell'azione svolta sono riepilogati in documenti allegati alla relazione che ho messo a disposizione della Commissione.
Quanto all'evoluzione della normativa antiriciclaggio, interventi legislativi per il coordinamento della lotta alla criminalità organizzata si sono susseguiti nel nostro Paese sin dai primi anni ottanta. Nel 1982, percependo l'estrema pericolosità dell'aggressione criminale all'economia legale, il legislatore introdusse il reato di associazione di tipo mafioso, che si qualifica anche per lo scopo di controllare attività imprenditoriali e reinvestire in tali attività i proventi illeciti.
La normativa italiana in materia di prevenzione del riciclaggio è dunque il portato di un impegno ormai più che ventennale del legislatore e delle autorità. Essa ha recepito e, talora, anticipato, le principali indicazioni maturate nelle diverse sedi internazionali; la sua evoluzione è avvenuta in coerenza con alcune scelte di fondo: la distinzione tra le aree della prevenzione e della repressione; l'accentramento dei flussi informativi e delle valutazioni; la cooperazione tra intermediari e autorità.
Le modifiche degli ultimi anni hanno recepito le innovazioni introdotte dagli standard internazionali e, a seguire, dalle norme comunitarie. La revisione nel 2003 delle 40 raccomandazioni del Gruppo di azione finanziaria internazionale (GAFI), l'emanazione di 9 raccomandazioni speciali a fini di contrasto del finanziamento del terrorismo e l'approvazione di tre direttive comunitarie, due delle quali a pochi anni di distanza l'una dall'altra, costituiscono il segno tangibile di un quadro regolamentare attento all'evoluzione delle tecniche criminali.
Nelle scelte normative sono individuabili due linee di tendenza. La prima - già presente nella 2a direttiva antiriciclaggio del 2001 - estende a categorie professionali e a operatori commerciali esposti al rischio di riciclaggio gli obblighi di partecipazione attiva al sistema di prevenzione e contrasto, finora tradizionalmente basato sulla collaborazione degli intermediari bancari e finanziari. La seconda - introdotta dalla 3a direttiva del 2005 - commisura il rigore degli obblighi di identificazione e verifica della clientela al rischio di riciclaggio desumibile dalla natura della controparte, dal tipo di servizio richiesto, dall'area geografica di riferimento.
La possibilità di valutare il livello di rischio rende più flessibile la disciplina, ma comporta una maggiore responsabilità sia per gli operatori, chiamati a dotarsi di procedure, strumenti e controlli appropriati, sia per le autorità di vigilanza e controllo, impegnate a disciplinare, promuovere e verificare la corretta applicazione delle nuove disposizioni. Un'efficace attività di controllo presuppone specifiche conoscenze sui fattori di rischio, che consentano di valutare l'adeguatezza dei presidi adottati dagli operatori e di sollecitare, se necessario, idonee iniziative correttive.
Nel 2005 il Fondo monetario internazionale (FMI), in sede di valutazione del sistema italiano, ha riconosciuto che le nostre regole di prevenzione e contrasto del riciclaggio hanno dato buona prova, tanto da poter essere utilizzate, a partire dai tragici eventi dei 2001, anche a fini di prevenzione del finanziamento del terrorismo internazionale che, a differenza del riciclaggio, si caratterizza non per la provenienza illecita dei fondi utilizzati, bensì per l'illiceità della loro destinazione.
Sulla base delle indicazioni del Fondo monetario, l'attuazione ormai imminente della 3a direttiva antiriciclaggio potrà costituire l'occasione per rafforzare l'efficacia di un corpus normativo cruciale per l'integrità del sistema economico nazionale.
La stratificazione dei molteplici provvedimenti succedutisi nel tempo, la scarsa chiarezza di molti precetti e talune carenze nel sistema dei controlli rendono comunque opportuno un intervento di riordino. La redazione di un testo unico di coordinamento - già prevista e mai realizzata - è stata esplicitamente sollecitata dallo stesso FMI. Il Governo, raccogliendo l'invito, ha recentemente costituito presso il Ministero dell'economia e delle finanze un'apposita commissione di studio presieduta dal sottosegretario Lettieri e coordinata dal procuratore Vigna.
Quanto all'apparato di prevenzione, il sistema italiano di antiriciclaggio è stato inizialmente caratterizzato dal frazionamento delle funzioni tra diversi organismi e dalla preminenza dell'attività investigativa su quella di analisi finanziaria; le segnalazioni di operazioni sospette erano trasmesse direttamente a organi investigativi decentrati (i questori) e solo successivamente convogliate per approfondimenti presso il Nucleo speciale di Polizia valutaria della Guardia di finanza.
Nel 1997 - in linea con l'esperienza internazionale, che colloca al centro del sistema di prevenzione e contrasto del riciclaggio le Financial intelligence unit (FIU) - è stata realizzata anche in Italia la centralizzazione delle funzioni di ricezione e analisi delle segnalazioni presso un unico organismo, individuato nell'Ufficio italiano dei cambi (UIC), deputato ad approfondirne solo l'aspetto finanziario.
Tale assetto è il risultato di un lungo dibattito sviluppatosi attorno alle ipotesi alternative di costituire un'autorità amministrativa dedita esclusivamente all'analisi finanziaria oppure un'agenzia mista con compiti anche investigativi, nella quale far confluire funzioni provenienti dagli organi di vigilanza finanziaria, dalle forze di polizia e dalla magistratura. In Italia quest'ultima soluzione è apparsa di difficile realizzazione e gestione, sia per i costi connessi alla creazione e al funzionamento di una tale agenzia sia per la difficoltà di concentrare in essa diverse competenze, rimuovendo i limiti di accesso alle informazioni riservate detenute dalle singole amministrazioni per i propri specifici compiti.
Nel volgere di pochi anni tre interventi legislativi hanno mutato profondamente natura e funzioni dell'Ufficio italiano cambi: la riforma del 1997, fondata sul principio della separazione dell'area investigativa da quella finanziaria, attribuisce all'istituto un ruolo incisivo nel contrasto del riciclaggio; nel 1998, a seguito dell'introduzione della moneta unica, il decreto legislativo n. 319 ne riconfigura la struttura e lo dichiara ente strumentale della Banca d'Italia; nel 2000, la legge n. 388, in attuazione dei principi di una decisione del Consiglio dell'Unione europea, formalizza l'istituzione presso l'UIC della Financial intelligence unit nazionale.
Nell'ambito di un sistema che stabilisce una tripartizione delle funzioni antiriciclaggio tra diversi organi deputati, rispettivamente, all'analisi finanziaria, all'indagine investigativa e all'accertamento giudiziario, l'UIC riceve e approfondisce, sotto il profilo finanziario, le operazioni sospette, fungendo da filtro tra i soggetti segnalanti e gli organi investigativi e giudiziari.
Oltre che dai soggetti tenuti alle segnalazioni, la FIU attinge informazioni anche da archivi interni ed esterni, da altre amministrazioni, dalle omologhe strutture estere. Tra gli strumenti informativi a disposizione della FIU va annoverato anche l'archivio in corso di costituzione presso l'anagrafe tributaria (previsto dal decreto legge n. 223 del 2006, convertito dalla legge n. 24 del 2006) equivalente per taluni aspetti all'anagrafe dei conti e dei depositi contemplata dalla legge fin dal 1991 e mai realizzata. Le nuove norme impongono alle banche, agli intermediari finanziari e a Poste italiane di comunicare all'anagrafe tributaria tutti i rapporti intrattenuti con la clientela, secondo quanto stabilito con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate.
La FIU costituisce quindi lo snodo di una complessa rete di rapporti: sul piano interno, dialoga intensamente con i soggetti segnalanti, con le competenti autorità di vigilanza, con gli organismi investigativi e con l'autorità giudiziaria; sul piano internazionale, è parte del circuito di cooperazione composto da tutte le autorità ad essa corrispondenti negli altri Paesi.
I fenomeni di riciclaggio più significativi hanno rilievo sopranazionale; per il loro efficace contrasto sono quindi essenziali sia la cooperazione tra le autorità dei paesi coinvolti, sia l'esistenza di norme omogenee atte a evitare distorsioni e pratiche di arbitraggio regolamentare. Per questi motivi la FIU partecipa agli organismi internazionali preposti alla prevenzione e al contrasto del riciclaggio nonché alle iniziative bilaterali e multilaterali.
Quale autorità di vigilanza sul sistema creditizio, la Banca d'Italia persegue la sana e prudente gestione dei singoli soggetti vigilati, la stabilità, l'efficienza e la competitività complessive del sistema finanziario. In ossequio a tali finalità, la normativa vigente in materia contrasta l'accesso al settore di operatori inaffidabili, imponendo requisiti di onorabilità e/o professionalità a esponenti aziendali e azionisti rilevanti; sottopone a controllo la qualità e i conflitti d'interesse dei soggetti cui fa capo la proprietà degli intermediari; richiede un'organizzazione aziendale adeguata e, in particolare, controlli interni efficaci; promuove la trasparenza e la correttezza nei rapporti con la clientela. Sono tutte previsioni che contribuiscono a prevenire l'utilizzo dei meccanismi finanziari per operazioni di riciclaggio e che testimoniano l'esistenza di rapporti di complementarità e convergenza tra le finalità della vigilanza creditizia e finanziaria e le finalità della disciplina antiriciclaggio.
Sin dal 1993 la Banca d'Italia, allo scopo di rafforzare i presidi contro l'utilizzo degli intermediari a fini di riciclaggio, ha emanato il cosiddetto «Decalogo», un documento contenente istruzioni operative volte a individuare indicatori di anomalia per la rilevazione delle operazioni sospette. Tali istruzioni sono state aggiornate nel 2001 per tener conto dello sviluppo del mercato mobiliare, dell'evoluzione tecnica del sistema dei pagamenti e della diffusione di nuovi canali di commercializzazione dei prodotti finanziari. Una volta recepita la 3a direttiva, si procederà a un ulteriore aggiornamento, come auspicato dal Fondo monetario internazionale.
Gli strumenti su cui si basa la lotta al riciclaggio sono molteplici e articolati. Tra essi vanno ricordati la stessa definizione giuridica del reato, i limiti posti all'uso del contante per i pagamenti tra privati, l'identificazione dei soggetti che instaurano rapporti continuativi con gli intermediari o effettuano operazioni eccedenti l'importo stabilito dalla legge, la registrazione di queste ultime in appositi archivi, le analisi statistiche dei flussi finanziari volte a individuare indici di anomalie, l'obbligo di segnalare le operazioni di qualunque ammontare che suscitano sospetti di collegamento con attività illecite. Completano il quadro l'applicazione di sanzioni e la confisca dei beni di provenienza delittuosa.
Quanto alla definizione del reato, nel diritto penale la fattispecie del reato di riciclaggio - dalla cui definizione legislativa discende l'identificazione dei comportamenti illeciti - è stata interessata da un lungo processo di affinamento ed estensione.
Nel 1978 la sussistenza del reato era collegata alla provenienza dei fondi illeciti da pochi delitti di particolare gravità, aventi per obiettivo l'appropriazione di beni patrimoniali (rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di estorsione). Nel 1990, nell'ambito della lotta alla criminalità mafiosa, la fattispecie delittuosa fu ampliata, inserendo tra i «reati presupposto» anche il traffico di droga. Nel 1993, il reato di riciclaggio è stato infine correlato a tutti i delitti non colposi, semplificando il compito di chi è chiamato a individuare e segnalare le operazioni sospette.
Secondo la legislazione attuale, l'autore del reato presupposto non può essere punito anche per il reato di riciclaggio; la scelta di politica criminale è stata quella di ritenere che il disvalore giuridico insito nella condotta di riciclaggio rimanga assorbito da quello proprio del reato presupposto. Ne consegue che, quando risulti conveniente per i responsabili, abili strategie di difesa processuale, basate sulla falsa ammissione del concorso nel reato sottostante, consentono di evitare la condanna per riciclaggio.
Il Fondo monetario internazionale ha suggerito di riconsiderare l'idoneità di tale scelta legislativa, avendo presenti i risultati positivi ottenuti dagli ordinamenti che puniscono anche il cosiddetto «autoriciclaggio», vale a dire il riciclaggio posto in essere dallo stesso autore del reato che genera l'acquisizione illecita delle disponibilità finanziarie. La questione è ora all'attenzione della commissione Lettieri, che potrebbe prendere in esame anche l'opportunità di qualificare meglio l'attuale fattispecie del delitto di riciclaggio, incentrando la condotta criminosa sul compimento di atti idonei a occultare la provenienza illecita del denaro o dei beni.
Per quanto riguarda la limitazione dell'uso del contante, le norme che in Italia vietano i trasferimenti tra privati di fondi di importo rilevante in contanti o con mezzi anonimi si propongono di ostacolare le pratiche di riciclaggio, obbligando gli operatori a utilizzare per i pagamenti il canale bancario. Si tratta di previsioni non comuni nel panorama normativo comunitario, in relazione alle quali permane elevato il numero delle violazioni, spesso involontarie.
Secondo l'opinione prevalente nel nostro Paese, le limitazioni all'uso del contante costituiscono un fondamentale presidio antiriciclaggio, che andrebbe confermato e reso più efficiente, abbassando la soglia di liceità di utilizzo e introducendo misure più stringenti per la rilevazione dei trasferimenti di fondi attuati attraverso i cosiddetti money transfer.
Lo schema di decreto legislativo per il recepimento della 3a direttiva comunitaria posto in consultazione lo scorso febbraio dal Ministero dell'economia chiarisce alcuni aspetti applicativi delle vigenti disposizioni e promuove la diffusione di strumenti di pagamento nominativi. Un significativo abbassamento della soglia oggi stabilita per limitare l'uso del contante nelle transazioni tra privati forma oggetto di esame da parte della commissione Lettieri.
Di certo, la crescente integrazione dei servizi di pagamento condiziona l'efficacia di misure adottate su base esclusivamente nazionale.
Nell'aprile scorso, il Parlamento europeo ha approvato all'unanimità la proposta di direttiva in materia di servizi di pagamento al dettaglio nel mercato interno. La disciplina stabilisce le condizioni per l'offerta di servizi di pagamento in tutti i paesi della Unione europea e definisce schemi di pagamento paneuropei (per bonifici, carte, addebiti diretti), contribuendo in tal modo alla realizzazione del progetto SEPA (Single euro payments area), elaborato dalle banche europee per promuovere l'uso di strumenti di pagamento elettronici. Misure dirette alla riduzione dei costi e degli oneri fiscali potrebbero ulteriormente incentivare la diffusione di strumenti alternativi al contante che, salvo casi marginali, lasciano traccia del loro utilizzo.
L'Italia si distingue nel confronto europeo per lo scarso ricorso a mezzi di pagamento diversi dal contante: alla fine del 2006, le transazioni regolate non in contante erano 62 per abitante a fronte di 150 registrate nell'eurosistema già nel 2004. Le carte rappresentano il principale strumento che consente ai consumatori di limitare le scorte monetarie a fini transattivi; nonostante la dotazione infrastrutturale del nostro Paese sia allineata a quella europea, a fine 2006 le transazioni con carte di pagamento erano pari ad appena 22 per abitante a fronte delle 46 registrate nell'area dell'euro a fine 2005.
Quanto agli obblighi di identificazione e registrazione, la vigente normativa pone a carico degli intermediari e degli altri soggetti specificamente individuati l'obbligo di identificare i propri clienti all'atto dell'instaurazione del rapporto d'affari o quando essi pongono in essere operazioni di importo pari o superiore a 12.500 euro. Ciò comporta che ogni transazione potenzialmente riconducibile a fenomeni di riciclaggio lasci traccia di sé e possa essere ricostruita anche a distanza di tempo.
Come ho ricordato, in attuazione della 3a direttiva antiriciclaggio le regole per l'identificazione della clientela andranno calibrate in modo che il rigore delle modalità di identificazione sia commisurato al rischio di riciclaggio autonomamente valutato da ogni obbligato. In molti casi ciò potrà comportare l'adozione di modalità attenuate o rinforzate rispetto alle prassi attualmente seguite.
I dati raccolti devono essere registrati da ciascun soggetto in un proprio archivio. II recepimento della direttiva offre l'occasione per semplificare le regole stabilite per la tenuta degli archivi informatici, in modo da renderne più agevoli la gestione da parte dei soggetti obbligati e la consultazione in sede ispettiva.
Sui dati aggregati tratti dagli archivi degli intermediari si basano le analisi statistiche impiegate dalla FIU operante presso l'Ufficio italiano cambi per effettuare studi su singoli fenomeni o aree territoriali, per integrare l'approfondimento delle segnalazioni sospette, per attivare verifiche su possibili omesse segnalazioni, per sviluppare modelli di rilevazione automatica di anomalie.
La segnalazione delle operazioni sospette costituisce il fulcro della normativa antiriciclaggio. Gli intermediari e gli altri soggetti obbligati, sulla base della conoscenza della propria clientela, procedono all'individuazione dei casi sospetti e all'inoltro delle segnalazioni alla FIU nazionale. Questa, quale autorità esperta sul piano finanziario, funge da filtro analizzando le segnalazioni, effettuando i necessari approfondimenti e compendiando le risultanze dell'analisi in una relazione sintetica, che invia agli organi investigativi, ai quali spetta valutare se condurre ulteriori accertamenti, fino a istruire eventuali approfondimenti di indagine.
L'efficacia dell'azione svolta dalla FIU è testimoniata dall'esito del più importante processo per riciclaggio recentemente conclusosi in primo grado, dopo ben dieci anni, presso il tribunale di Brindisi. Come è noto a questa Commissione, la sentenza, oltre a comminare pesanti condanne, ha riconosciuto all'UIC 3 milioni di euro come risarcimento per danni non patrimoniali. È stata in tal modo attestata l'importanza dei ruolo svolto dall'Ufficio, quale parte civile, nell'ambito della ricostruzione tecnica delle operazioni bancarie oggetto di indagine.
Tra i diversi sistemi seguiti in Europa quelli italiano e spagnolo pongono un maggior onere di approfondimento a carico dei soggetti obbligati alla segnalazione; a questi si chiede infatti un'accurata valutazione preventiva, volta a selezionare solo i casi effettivamente sospetti. Nel Regno Unito, ove è prevista la comunicazione anche di semplici anomalie, le segnalazioni effettuate nel 2006 hanno superato le 200 mila, aggravando il compito della FIU nazionale nella cernita delle operazioni da approfondire. Francia e Olanda adottano metodologie più composite.
La soluzione prescelta dal nostro Paese sembra preferibile, anche se più onerosa per gli operatori. Questi sono infatti tenuti a valutare, avvalendosi del proprio patrimonio informativo, l'operatività dei soggetti con cui intrattengono relazioni e a confrontare le caratteristiche oggettive delle operazioni con quelle soggettive del cliente per individuare eventuali anomalie. Questa maggiore selezione alla fonte riduce il numero delle segnalazioni, rendendole più gestibili dalla FIU, alla quale ne sono peraltro pervenute circa 10 mila nel 2006 e oltre 5.400 nei primi cinque mesi di quest'anno.
Dal 2000 alla FIU è stata attribuita la facoltà di procedere all'archiviazione delle segnalazioni irrilevanti; ne consegue la possibilità di concentrare l'analisi finanziaria e gli accertamenti investigativi sui casi di effettivo interesse.
Il corretto funzionamento del meccanismo esige che l'identità di chi segnala operazioni sospette sia mantenuta riservata. La protezione degli enti e delle persone segnalanti è da tempo all'attenzione del legislatore italiano e delle istituzioni comunitarie; anche la 3a direttiva prescrive agli Stati membri di adottare misure appropriate ed efficaci. Gli sforzi in tal senso vanno intensificati.
Il coinvolgimento dei singoli non può essere evitato affidando l'individuazione delle operazioni anomale soltanto a programmi automatici basati su standard prefissati. Per quanto sofisticati e tecnicamente evoluti, tali programmi possono fornire un ausilio, ma non sostituire le valutazioni soggettive dalle quali il buon funzionamento del sistema non può prescindere.
La collaborazione fra tutti i soggetti a vario titolo interessati nel processo di prevenzione e contrasto dei fenomeni di riciclaggio e finanziamento del terrorismo è di cruciale importanza. Il conseguimento di risultati soddisfacenti dipende, infatti, dal funzionamento corretto ed efficiente dell'intera filiera degli attori coinvolti, ciascuno dei quali, nell'ambito delle proprie competenze, è chiamato a contribuire attivamente al processo. Il sistema degli intermediari sta dimostrando la propria disponibilità. È necessario che attraverso una maggiore collaborazione venga soddisfatta anche l'esigenza, da essi rappresentata, di essere più puntualmente informati dagli organi investigativi sull'esito delle segnalazioni; ciò è funzionale sia all'affinamento dei processi valutativi sia alla preservazione delle relazioni commerciali con i clienti risultati in regola.
La normativa antiriciclaggio è presidiata da sanzioni penali di limitata applicazione giurisprudenziale e da sanzioni amministrative dimostratesi scarsamente efficaci.
Lo schema di provvedimento predisposto per l'attuazione della 3a direttiva prevede un rafforzamento dell'apparato sanzionatorio, soprattutto attribuendo alle stesse autorità di settore (Banca d'Italia, ISVAP e CONSOB) il compito di applicare direttamente le sanzioni ai soggetti da esse controllati nei casi di mancato rispetto delle disposizioni disciplinanti l'organizzazione amministrativa e le procedure di controllo interno.
L'attuale delega legislativa non consente di depenalizzare il reato di omessa o errata identificazione e registrazione, causato spesso da mere disfunzioni procedurali, sostituendolo con una sanzione amministrativa. Un intervento in tal senso sarebbe opportuno anche per evitare che, temendo di commettere reato, gli intermediari si astengano dall'esercitare la maggiore discrezionalità prevista dalla direttiva. D'altra parte, i comportamenti dolosi resterebbero comunque autonomamente perseguibili, in quanto funzionali alla commissione di reati più gravi.
Incongrua appare anche la sanzione penale per l'omessa comunicazione di irregolarità anche di tipo meramente organizzativo da parte degli organi di controllo delle persone giuridiche, considerato che le analoghe disposizioni dei testi unici bancario e della finanza prevedono già sanzioni amministrative.
In generale, ritengo opportuna una complessiva riconsiderazione della materia per ottenere una maggiore corrispondenza tra offensività della condotta e rigore delle sanzioni, delle quali va assicurata l'effettiva applicazione. Alla severa punizione delle violazioni più gravi dovrebbe corrispondere un alleggerimento degli oneri imposti alla generalità degli operatori. Opportuni rimedi potrebbero essere introdotti in sede di redazione del testo unico antiriciclaggio, previa integrazione dei principi di delega, ovvero per mezzo di modifiche legislative dirette.
Senz'altro condivisibile è la decisione di valorizzare il ruolo delle autorità di controllo; le loro specifiche competenze e la flessibilità del loro ordinamento possono rendere più rapidi ed efficaci l'accertamento delle irregolarità e l'applicazione delle sanzioni. Ulteriori interventi in tal senso sarebbero auspicabili per attribuire alla FIU il potere di proposta delle sanzioni per l'omessa segnalazione di operazioni sospette e per semplificare la complessa procedura prevista per sanzionare la violazione dei limiti all'uso del contante.
Cresce la consapevolezza che lo Stato, nella sua azione di contrasto alla criminalità, deve porsi come obiettivo non secondario la confisca dei beni frutto del crimine. Solo colpendo il potere economico di cui le organizzazioni malavitose dispongono si può impedire che il crimine si autoalimenti e che i proventi illeciti siano utilizzati per penetrare nell'economia legale.
Validi strumenti per aggredire i patrimoni di origine illecita sono la «confisca per equivalente» e la «confisca allargata». La prima consente di vincolare beni di valore equivalente al profitto del reato anche se a quest'ultimo non riconducibili; la seconda, realizzando un'inversione dell'onere della prova, impone all'imputato di dimostrare la provenienza dei propri beni, quando questi siano sproporzionati rispetto al reddito dichiarato o all'attività svolta.
Le disposizioni in tema di sequestro e confisca sono tuttavia numerose e non sempre coordinate. L'attuale frammentaria disciplina non tiene inoltre conto delle difficoltà che l'attivazione della confisca può presentare in un contesto economico e finanziario evoluto, in cui occorre spesso intervenire su strumenti finanziari innovativi e complessi.
I beni destinati alla confisca andrebbero inoltre gestiti in modo da assicurare non solo la loro conservazione, ma anche la produzione di un reddito e l'incremento del valore. Il sistema attuale non offre sul punto adeguate risposte. Le esperienze di altri Paesi (ad esempio Regno Unito) dimostrano che la centralizzazione dell'amministrazione dei beni in apposite strutture può garantire risultati economicamente migliori rispetto a quelli ottenibili attraverso una gestione parcellizzata. Occorre dunque razionalizzare la materia.
In più occasioni il presidente Forgione ha denunciato le carenze nella gestione dei beni sequestrati in vista della successiva confisca penale. Presso il Ministero della giustizia è attualmente insediata una commissione - alla quale partecipano la Banca d'Italia e l'UIC - che ha per oggetto anche l'esame di questa problematica. È necessario proseguire per questa strada.
Passando ai progetti di modifica dell'apparato antiriciclaggio, come ho ricordato, lo scorso febbraio il Ministero dell'economia e delle finanze ha avviato la consultazione su uno schema di decreto legislativo destinato a recepire nel nostro ordinamento la 3a direttiva antiriciclaggio. Appare senz'altro condivisibile la scelta di procedere a un riordino generale delle disposizioni vigenti e di coinvolgere maggiormente le autorità di vigilanza di settore nell'emanazione di disposizioni normative e nella verifica del rispetto della disciplina.
L'attuazione della direttiva ha anche fornito l'occasione per proporre una razionalizzazione delle competenze delle autorità a vario titolo coinvolte nella prevenzione e repressione del fenomeno. In particolare, il progetto di decreto dello scorso febbraio - riproponendo disposizioni ormai di fatto superate - conferma l'attribuzione al Ministero di poteri di «alta vigilanza e di indirizzo» sulla complessiva attività di prevenzione del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo. È inoltre previsto che il Ministro possa avvalersi del comitato di sicurezza finanziaria (CSF), estendendo in tal modo alla materia del riciclaggio i penetranti poteri, temporanei ed eccezionali, attribuiti dalla legge a tale comitato per fronteggiare l'emergenza della lotta al terrorismo internazionale.
La soluzione proposta suscita perplessità.
In particolare, non appare condivisibile la scelta di attribuire al Ministero, con riguardo all'intera disciplina del riciclaggio, incisivi poteri di indirizzo nei confronti di tutte le autorità e le amministrazioni interessate.
La soluzione prospettata non è in linea con l'autonomia e l'indipendenza che la normativa internazionale riconosce alle FIU. Già nel 1998 la Banca centrale europea (BCE), chiamata a pronunciarsi su una legge di riordino dell'UIC, precisò che, data la necessità di assicurare l'indipendenza dell'Ufficio, i previsti poteri di «alta vigilanza» del Ministero in materia di antiriciclaggio andavano interpretati riduttivamente, in modo tale da non comportare interferenze del Governo sull'operato dell'Ufficio.
Lo schema di decreto di attuazione della direttiva si pone in contrasto anche con il disegno di legge governativo S. 1366 del 5 marzo scorso, recante, tra l'altro, il riordino delle competenze delle autorità di vigilanza dei mercati finanziari. Il disegno di legge, infatti, prevede l'incorporazione dell'Ufficio italiano cambi nella Banca d'Italia e, in tale contesto, disciplina in modo specifico l'inquadramento istituzionale e le competenze della struttura deputata a svolgere le funzioni di «unità di informazione finanziaria», nel rispetto delle garanzie di indipendenza e autonomia prescritte dalle disposizioni internazionali. Il disegno di legge tiene anche conto delle osservazioni formulate dal Fondo monetario internazionale in esito alla recente valutazione delle misure di prevenzione del riciclaggio in Italia.
Il nuovo apparato prefigurato dal disegno di legge governativo contempla anche l'istituzione, presso il Ministero dell'economia, di un comitato, composto dalle autorità di vigilanza di settore e dagli organi investigativi, che al suo interno sono chiamati a coordinare su un piano paritario la propria azione.
L'intervento ipotizzato nel disegno di legge va giudicato positivamente e potrebbe costituire l'occasione per un rilancio della FIU nazionale. Confido che alla sua impostazione venga allineata la proposta di decreto per il recepimento della 3a direttiva, che il Ministero si appresta a sottoporre al Consiglio dei Ministri.
In conclusione può ritenersi che, terminata la lunga fase del collaudo, la normativa in materia di antiriciclaggio e di contrasto al finanziamento del terrorismo si stia dimostrando sufficientemente efficace. II giudizio tiene ovviamente conto della circostanza che non esistono strumenti in grado di debellare definitivamente questi fenomeni patologici, ma solo misure più o meno idonee ad ostacolare le organizzazioni criminali, riducendone i profitti e accrescendone i rischi e i costi operativi.
Tanto sul piano normativo quanto su quello operativo permangono comunque ampi margini di miglioramento.
Andranno anzitutto adottate tutte le misure necessarie per incentivare l'uso di mezzi di pagamento elettronici sostitutivi del contante e di altri strumenti egualmente anonimi. Nel contempo, sarà necessario sottoporre ad attenti controlli i numerosi soggetti che la direttiva, approvata dal Parlamento europeo a fine aprile, abilita all'offerta dei servizi di pagamento al dettaglio nel mercato interno.
Il coordinamento tra le diverse autorità componenti l'apparato antiriciclaggio può essere reso più efficiente adottando le modifiche organizzative che - come ho ricordato - sono state recentemente proposte dal Governo nell'ambito del disegno di legge sulla riforma delle authority. In particolare, la funzionalità della FIU può risultare potenziata dalla prevista incorporazione dell'UIC nella Banca d'Italia.
Pur nel rispetto della separazione di ruoli tra l'autorità di vigilanza e l'unità preposta alla prevenzione e contrasto del riciclaggio, l'incorporazione dell'UIC è suscettibile di generare importanti sinergie sul piano dell'informazione e dei controlli. Nella Banca verrebbero infatti a confluire i poteri di controllo su tutti gli intermediari finanziari iscritti nell'elenco generale di cui all'articolo 106 del testo unico bancario e la tenuta degli elenchi dei mediatori creditizi e degli agenti in attività finanziaria. A proposito di questi ultimi, il cui numero complessivo è di circa 120 mila soggetti, segnalo però l'esigenza di una profonda riconsiderazione della vigente disciplina, tenuto conto delle oggettive difficoltà di censimento, gestione e controllo. Una soluzione idonea a rendere più efficaci i controlli richiede il coinvolgimento della responsabilità degli intermediari, un rafforzamento dei requisiti di accesso all'attività e l'attribuzione della tenuta degli elenchi ad appositi organismi di categoria.
Le modifiche previste dal disegno di legge governativo vanno portate a compimento con la massima sollecitudine per evitare che le incertezze che accompagnano inevitabilmente i periodi di riassetto organizzativo producano ostacoli o ritardi per l'attività di prevenzione e repressione del riciclaggio.
La Banca d'Italia s'impegna a potenziare l'attività della FIU, rafforzandone le capacità operative tanto sul piano delle risorse umane quanto su quello delle dotazioni tecniche e informatiche.
Tra i primi obiettivi da perseguire figurano la riduzione dei tempi di analisi finanziaria delle operazioni sospette, l'arricchimento degli approfondimenti da effettuare prima dell'avvio delle eventuali indagini, l'individuazione di forme di collaborazione più snelle ed efficaci con l'autorità giudiziaria e le altre autorità a vario titolo impegnate nella lotta alla criminalità.
Sul piano sanzionatorio occorre programmare un intervento organico di razionalizzazione attraverso un'apposita delega al Governo che individui precise linee d'intervento. La commissione Lettieri potrà affrontare l'argomento ai fini della predisposizione del testo unico antiriciclaggio, che non dovrebbe, quindi, avere natura meramente compilativa. Sembra preferibile puntare su misure di repressione severa, basate su controlli successivi, piuttosto che gravare indistintamente tutti gli operatori con vincoli eccessivamente onerosi.
Si tratta di obiettivi di grande impegno, che tutte le autorità coinvolte devono affrontare, collaborando efficacemente fra loro e compiendo il massimo sforzo per ottenere risultati soddisfacenti.
PRESIDENTE. Ringrazio il Governatore per il suo intervento approfondito, rispetto al quale tutti i commissari possono chiedere ulteriori informazioni.
Per utilizzare proficuamente il tempo rimasto, proporrei di formulare domande «secche», evitando ragionamenti che non pongano precise questioni. Desideriamo infatti approfondire tutti i temi posti cosicché il Governatore possa replicare al maggior numero di interventi. Alla fine verificheremo, anche in base alle esigenze poste dal senatore Vizzini, come proseguire.
Do ora la parola ai deputati e senatori che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.
NUCCIO IOVENE. Signor Governatore, la ringrazio molto per la sua relazione, per gli spunti di riflessione e anche per gli utili suggerimenti posti all'attenzione del legislatore, di cui faremo certamente buon uso.
Desidero però, accogliendo le indicazioni del presidente, affrontare una questione specifica che possiede però una valenza generale, in quanto ha diretta attinenza con quanto ha affermato. Parlando del riciclaggio, infatti, ha evidenziato il meccanismo che conduce dall'arricchimento illecito all'ingresso, attraverso il riciclaggio, nell'economia legale con conseguente alterazione del sistema economico generale.
Alcuni casi che riguardano l'attività del sistema bancario, sottoposto in Italia al controllo dell'istituto da lei diretto, mostrano aspetti preoccupanti. Uno di essi è stato oggetto anche di una mia interrogazione nei giorni scorsi. In provincia di Reggio Calabria, nella piana di Gioia Tauro, territorio esposto alla criminalità organizzata, un'azienda storica con 52 anni di attività e 280 dipendenti negli ultimi anni è stata sottoposta a rapporti bancari vessatori. Nel corso del relativo processo è emerso chiaramente come per 15 trimestri da parte delle banche sia stato superato il tasso di interesse-soglia.
Il punto è un altro: l'aver sollevato questo problema ha però causato all'azienda l'ostilità dell'intero sistema bancario, per cui da quel momento, nonostante abbia 280 dipendenti e milioni di euro di fatturato ed esporti i suoi macchinari all'estero, dall'Australia al Messico, essa deve operare in contanti, perché nessun istituto di credito le garantisce la possibilità di operare con l'elasticità necessaria in questi casi.
Mohammed Yunus, banchiere dei poveri, premio Nobel per la pace, ha affermato che il credito è un diritto umano. In questo caso, però, esso viene negato, creando una situazione per cui gli imprenditori onesti vengono sospinti verso l'area criminale, con il rischio quindi di alimentare il percorso inverso, per cui l'economia lecita venga inghiottita, per forza di cose, da quella illecita. Sarebbe dunque opportuno capire come intervenire per evitare che ciò avvenga..
MARIA GRAZIA LAGANÀ FORTUGNO. Governatore, nel complimentarmi per la puntuale relazione, riconosco che ciò che più mi ha colpito favorevolmente è la volontà di accrescere l'impegno nella lotta contro la criminalità con un maggiore controllo.
Ritengo però che per il contrasto al riciclaggio esista un'inadeguatezza strutturale, non limitata solo a un problema di norme, giacché la questione centrale riguarda il livello di consapevolezza degli effetti. Di conseguenza, la lotta al riciclaggio dovrebbe appartenere all'impegno degli stessi operatori economici e delle loro associazioni di categoria.
Un buon funzionario di banca, un buon dirigente, dovrebbero saper distinguere il denaro buono da quello cattivo (un direttore di agenzia riconosce sempre un cliente usuraio, così come individua il cliente usurato) ed essere coerenti, dimostrando il coraggio di perdere clienti e di procedere alla segnalazione delle operazioni sospette.
Il decalogo della Banca d'Italia, da lei citato nella relazione, indica gli indici di anomalia secondo cui un'attività creditizia diventa sospetta, però le uniche segnalazioni riguardano operazioni oltre la soglia dei 12.500 euro.
Non si può ritenere che mafiosi o usurai siano così stupidi. La legge richiede non solo la virtù dell'aritmetica, ma anche la capacità di valutare il merito dall'attività creditizia di un cliente. Chiedo dunque se sia mai stata effettuata un'approfondita analisi di merito sulle operazioni sospette e se i parametri utilizzati per la loro individuazione siano adeguati.
In secondo luogo, nel corso di una recente audizione parlamentare in Commissione giustizia, il Vicedirettore generale della Banca d'Italia ha fornito alcuni dati sulle segnalazioni di operazioni sospette di usura. Sulla base degli indici di anomalia finalizzati all'individuazione dei fenomeni dell'usura, sono pervenute all'Ufficio italiano cambi 1.139 segnalazioni nel quinquennio 2001-2006 e 497 segnalazioni relative ad ipotesi di abusivo esercizio di attività finanziaria. Vorrei sapere come sia possibile che risulti un numero così irrisorio di segnalazioni di usura.
Infine, un'altra fonte di impegno riguarda la trasparenza e il controllo delle varie attività non degli intermediari finanziari ma dei mediatori creditizi: perché non sono sottoposti ad alcun controllo e possono iscriversi all'albo con una semplice dichiarazione di atto notorio, come affermato dal Vicedirettore della Banca d'Italia?
Non perderei l'occasione di formulare tutte le domande, avendo ancora tredici iscritti a parlare...
GIACOMO MANCINI. Signor presidente, forse non mi sono spiegato bene. Desidero soltanto che si prenda in considerazione la possibilità di tenere un'altra seduta.
PRESIDENTE. Sono sicuro che il Governatore non potrà rispondere oggi a tutte le domande, ma non mi sembra opportuno sospendere qui.
GIACOMO MANCINI. Non ho chiesto questo. La mia richiesta era quella di un approfondimento che, per quanto mi riguarda, ritengo necessario, e mi prenoto sin d'ora per la prossima seduta.
PRESIDENTE. Va bene. Invito tutti ad attenersi alle domande, piuttosto che procedere ad analisi complessive.
GIUSEPPE LUMIA. Ho apprezzato anch'io il contributo che il Governatore Draghi ha offerto alla Commissione, in particolare il fatto che la Banca d'Italia è pronta a fare di più e la sottolineatura del principio che si sta elaborando nei Paesi avanzati in base al quale è necessario passare dalla collaborazione alla partecipazione attiva. Su questi due presupposti si può aprire una proficua collaborazione.
Il Governatore ha avanzato l'ipotesi di passare da una fase preventiva a un rafforzamento delle sanzioni e del controllo successivo. Vorrei chiedere perciò un ulteriore approfondimento, perché ritengo che i due aspetti possano invece integrarsi, giacché una capacità di prevenzione, di «sbarramento» del riciclaggio può convivere con un'azione di potenziamento degli strumenti dell'accertamento, dell'approfondimento e anche della trasmissione dei dati all'autorità investigativa e poi giudiziaria. Vorrei quindi chiedere al Governatore di fornirci qualche ulteriore elemento per evitare uno sbilanciamento e un eventuale indebolimento della capacità sistemica di aggredire il riciclaggio.
Vorrei inoltre che ci fornisse una lettura critica di quanto avvenuto in questi anni nel nostro Paese. Si rileva infatti una disomogeneità di dati per quanto riguarda le segnalazioni, e nella documentazione c'è uno specchietto illuminante da questo punto di vista, perché si può notare come nelle aree con maggiore presenza delle organizzazioni mafiose si rilevino minori segnalazioni. Su tutti spicca il dato delle isole, costante intorno al 4 per cento. Si tratta di un indicatore prezioso, che dovrebbe essere sottoposto ad una vostra valutazione critica e a ulteriori sollecitazioni degli operatori e a controlli sugli istituti direttamente coinvolti.
Vorrei sapere quindi quale valutazione critica il Governatore, attraverso il prezioso lavoro della FIU, possa proporre alla Commissione. Vorrei che fosse analizzata anche la distanza che spesso intercorre tra il momento in cui si evidenzia una segnalazione sospetta e la fase in cui si avvia veramente la segnalazione. Infatti spesso, nel corso delle audizioni della Commissione parlamentare antimafia, abbiamo notato come le segnalazioni siano partite solo dopo che gli organi di stampa avevano divulgato l'implicazione di un soggetto in attività criminali e mafiose. Una valutazione della tempistica si rivela dunque importante e costituisce un punto di forza su cui lavorare per valutare l'anomalia.
Chiedo inoltre una sua valutazione sul ruolo che sempre più le banche esercitano nell'intermediazione con i fondi pubblici che intervengono a sostegno delle imprese e dei progetti di sviluppo territoriali. Spesso, infatti, le banche svolgono anche un'opera di servizio e, quindi, di valutazione dei progetti, ma intorno alla legge n. 488 del 1992 o ad altri strumenti positivi si sono organizzate forme di intermediazione mafiosa. Nell'ambito dei poteri di vigilanza complessiva volevo chiedere se, dopo che l'autorità giudiziaria ha svelato questi fatti, i suoi funzionari per i compiti di vigilanza e di intervento ispettivo siano intervenuti per rimuovere le cause di questa forma di intermediazione.
Inoltre vorrei sapere, Governatore, cosa accada sul versante della cooperazione internazionale, giacché una quota del riciclaggio si incammina lungo queste strade.
Lei ha rilevato la partecipazione della Banca d'Italia ai vari organismi, che il GAFI - sono d'accordo - è un punto di riferimento molto forte. Al di là del riciclaggio territoriale da combattere in ogni singolo Paese, esistono alcuni circuiti, Paesi offshore, paradisi fiscali, sistemi di transazione e di finanziarizzazione che costituiscono i canali privilegiati del riciclaggio. Vorrei conoscere dunque una vostra valutazione critica e sapere se in questo campo esistano una vera cooperazione e e attività integrate.
Vorrei sapere, Governatore, quale valutazione esprimiate sul cosiddetto «scudo fiscale», sui capitali illegalmente portati all'estero poi rientrati nel nostro Paese e su cui teoricamente non si escludeva l'applicabilità della normativa antimafia e di quella antiriciclaggio, ma su cui, attraverso l'anonimato è stato possibile - come è emerso da alcune inchieste -avviare una forma di riciclaggio. Infine, come valutazione di sistema, ho apprezzato molto la vostra proposta di rafforzare l'Ufficio italiano cambi e, nel suo ambito, la funzione della FIU, e quindi di non depotenziare questo lavoro attraverso la creazione di altri organismi. Vorrei sapere se nella vostra interlocuzione abbiate trovato una rispondenza positiva nel Parlamento e nel Governo su questo apprezzabile punto di forza, su cui anche la Commissione parlamentare antimafia può esercitare una sua autonoma e positiva valutazione.
ROSA MARIA VILLECCO CALIPARI. La ringrazio, Governatore, per la sua relazione puntuale e, per alcuni versi e alcuni punti critici posti in evidenza, illuminante.
Vorrei porle alcune domande «secche», anche rispondendo alla sollecitazione del presidente. Ricollegandomi a quanto affermato dall'onorevole Lumia, anch'io rilevo questo strano dato - fornito alla commissione studi del Ministero dell'economia da parte dell'UIC - secondo cui l'83 per cento delle segnalazioni di operazioni sospette proviene dagli istituti di credito, il 6 per cento dalle Poste, che prevalentemente sono collocate al nord d'Italia. Pertanto, ad una lettura superficiale potrebbe sembrare che la collaborazione dei mediatori finanziari nel sud risulti ancora insufficiente. Vorrei sapere se lei lo ritenga un elemento di criticità e quali siano, oltre quelle già indicate, le possibili soluzioni, considerando anche che mi pare che lei ritenga possibile anche abbassare la soglia del 12.500 euro per la registrazione delle transazioni in contanti.
Lei ha anche sottolineato il problema del binomio terrorismo/riciclaggio, con un'inversione del reato di riciclaggio, in base alla quale il denaro bianco viene destinato in nero.
Per quanto riguarda l'espansione del sistema bancario, del sistema creditizio islamico in Europa ed anche in Italia, vorrei sapere come la Banca d'Italia possa vigilare su sistemi che, riferendosi alle regole della Sharia, quindi anche al problema del non profitto - che poi non è così, perché sappiamo che hanno contratti diversi da quelli previsti nel sistema occidentale, e in particolare in quello italiano (non chiarezza dei consiglieri di amministrazione, dei soci e degli azionisti dell'istituto bancario) -, potrebbero costituire un altro rischio connesso a un trend in crescita, e quali ritenga possano essere le eventuali soluzioni sul piano legislativo che, come Commissione di inchiesta parlamentare, potremmo proporre.
In questo, mi ricollego anche a quanto ha affermato sul comitato di sicurezza finanziaria, con cui precedentemente ho lavorato, per cui ne conosco gli esiti nel primo quinquennio in cui è stato costituito, subito dopo l'attentato alle Twin towers.
Lei ha rilevato giustamente come la soluzione proposta susciti perplessità: ma ciò anche in riferimento all'ampliamento dei compiti dello stesso comitato di sicurezza finanziaria?
Ritengo che, in materia di terrorismo internazionale, l'altro collegamento sia in relazione a money transfer. Nel 2005, attraverso i money transfer italiani, sono transitati circa 1,4 miliardi di euro, a fronte di 750 milioni del sistema bancario ufficiale. Su circa 25.000 mila punti di raccolta di denaro presenti in Italia, 8.000 sono illegali. A questo proposito, ricordo l'operazione «Easy money» condotta dal Nucleo di Polizia tributaria della Guardia di finanza nel marzo scorso. In relazione ai money transfer, vorrei sapere quali controlli ulteriori potrebbero essere predisposti, quali abbia già disposto l'UIC e con quali risultati.
Oltre a norme penali più cogenti, vorrei chiederle quali interventi normativi o strutturali occorrano per contrastare il canale illegale di raccolta e di trasferimento di denaro.
In uno dei documenti allegati si parla della riduzione dei centri offshore e lei sottolinea il rischio da essi rappresentato. La black list costituita nel 1991 ne citava circa 45, mentre attualmente mi pare siano stati ridotti a 3. So che questo è avvenuto a livello internazionale e che è stato fatto uno studio in proposito, però le sembra possibile che, grazie a queste normative agevolative, questi centri offshore abbiano trovato sistemi di compensazione per gli interventi a livello normativo che li inserivano nella black list e abbiano evaso il controllo internazionale?
ANGELA NAPOLI. Mi associo ai ringraziamenti per la relazione, Governatore, in particolare per le parti propositive estremamente utili per il nostro lavoro.
Desidero chiedere se la Banca d'Italia sia a conoscenza di un'attività di riciclaggio operata attraverso una ripulitura del denaro sporco all'estero che poi rientra in Italia, e se esistano dati in tal senso.
Per quanto riguarda le operazioni sospette, sono già state poste opportune domande dai colleghi. In particolare, vorrei sapere quanti direttori di banche, e soprattutto di banche calabresi, abbiano denunziato alla Banca d'Italia le richieste sottoposte direttamente loro da parte di noti mafiosi calabresi e se venga svolta un'attività di controllo da parte dell'istituto sui direttori delle varie agenzie. Risulta che qualche direttore stringa stretti rapporti con noti appartenenti ai clan della 'ndrangheta calabrese?
La Banca d'Italia è a conoscenza di tentativi di «golpe» da parte di comitati di cittadini per acquisire banche, in particolare nel territorio della piana di Gioia Tauro, per farle diventare punti di riferimento del riciclaggio e del denaro dei clan della 'ndrangheta.
Vorrei chiedere infine un approfondimento sul costo del denaro al sud, aspetto che erroneamente potrebbe apparire sganciato dal problema della criminalità organizzata, perché spesso induce, talvolta anche dall'interno da funzionari delle singole agenzie - alla pratica usuraria esterna e quindi a quella dalla criminalità organizzata.
NITTO FRANCESCO PALMA. Alla prossima!
ANGELO PICANO. Ho maturato esperienze su alcune banche del centro-sud che, in periodo elettorale, si intromettono pesantemente nella scelta dei candidati o nell'orientare i voti attraverso una disinvolta gestione del credito, rendendo dubbia l'imparzialità delle agenzie nella gestione del credito.
Vorrei sapere se la Banca d'Italia, nella sua azione di ispettorato, abbia rilevato anomalie tra la gestione del credito da parte delle piccole banche del sud e quella delle grandi banche del nord o delle grandi banche nazionali che dovrebbero godere di una maggiore autonomia, sebbene talvolta anche i direttori di grandi banche subiscono condizionamenti.
PRESIDENTE. Il senatore Palma è andato via. La parola all'onorevole Pellegrino.
TOMMASO PELLEGRINO. Anch'io voglio ringraziare il Governatore per la sua relazione, ma soprattutto per la consapevolezza che colpire il potere economico delle organizzazioni criminali sia l'unico modo per ottenere concretamente risultati contro la criminalità organizzata.
Esiste ormai un'evidente penetrazione nei settori «legali» dell'economia della criminalità organizzata e delle mafie, molto forte soprattutto in determinati territori.
Ho esaminato con grande attenzione gli allegati che il Governatore ci ha consegnato che, oltre che particolarmente interessanti, forniscono una serie di spunti, il primo dei quali, evidenziato dall'onorevole Lumia, concerne l'anomalia della distribuzione geografica.
Rispetto a questi dati, vorrei sapere come intervenga la Banca d'Italia soprattutto nei territori ad alto tasso di criminalità, e se esista un intervento centrale tendente a controllare eventuali anomalie.
Con grande interesse ho constatato l'aumento di determinate segnalazioni in settori quali quello dell'edilizia e dei rifiuti. Per quanto riguarda in particolare l'edilizia, in alcuni territori del nostro Paese si rilevano fenomeni di abusivismo diffuso, soprattutto in Campania. Vorrei sapere quante siano le segnalazioni in tali territori, per effettuare un confronto con le attività criminali in essi svolte.
Un altro dato anomalo è costituito dall'impostazione delle banche nei confronti di coloro che hanno acquistato case abusive. Dalle indagini in atto in questi territori è emerso uno strano dato riscontrato anche in sede di Commissione, ovvero come l'ipoteca da parte delle banche sia stata accesa su immobili diversi da quelli acquistati, quelli abusivi.
Sembra che questa sia stata una prassi consolidata, e vorrei sapere se lei lo ritenga un elemento degno di segnalazione, quindi di verifica da parte della Banca d'Italia, giacché è considerato anomalo dagli organi investigativi. Ciò dimostra come in diverse banche esista probabilmente una presenza interna, talvolta una collaborazione da parte di alcuni dirigenti o alcuni direttori di banca.
In rapporto soprattutto alla Campania, poiché sono aumentate le segnalazioni per quanto concerne il tema dei rifiuti, vorrei sapere quali aspetti dello smaltimento dei rifiuti riguardino, poiché si rileva un grosso problema in una serie di settori estremamente condizionati dalla criminalità organizzata.
Si constata inoltre un aumento delle frodi informatiche. Le operazioni bancarie si svolgono sempre più attraverso canali informatici e vorrei sapere, poiché riguarda soprattutto tanti giovani, come la criminalità organizzata possa entrare in questi meccanismi, se questi riguardino esclusivamente operazioni di grosso respiro e quindi solo alcune aziende, o se anche i cittadini comuni possano essere vittime di queste frodi della criminalità organizzata.
GIOVANNI MARIO SALVINO BURTONE. Presidente, vorrei porre due domande. Il reato presupposto a quello del riciclaggio molto spesso è legato ad una violazione tributaria o fiscale. Nella relazione è presente qualche accenno, ma vorrei sapere se esistano rapporti strutturali tra l'Ufficio italiano cambi e il Ministero delle finanze o la Guardia di finanza.
La seconda domanda prende spunto dal suo giusto riferimento all'obbligo di identificare i clienti che effettuino operazioni al di sopra dei 12.500 euro, pur sapendo come alcune operazioni sospette vengano effettuate dallo stesso soggetto con importi inferiori. Chiedo pertanto se siano effettuati controlli di questi casi, anche perché è il mezzo più semplice per evadere tale norma.
MARIO TASSONE. Signor Governatore, questo è un confronto, ma soprattutto è una nostra esigenza di conoscenza perché, dopo la valutazione, le considerazioni e le conseguenti risposte, anche la Commissione dovrà determinarsi.
Vorrei richiamare l'argomento sollevato da alcuni colleghi: non solo al sud si sono diffuse presenze nel reticolato delle banche, che sono diventate strutture logistiche per l'usura. Poiché la Banca d'Italia ha compiti di vigilanza, vorrei sapere come essa si sviluppi, si realizzi, si attualizzi anche nel controllo, ma soprattutto nel condizionamento di alcune scelte.
Evidentemente l'usura, il racket, tutta la criminalità organizzata sono - come si dice ormai con un termine consumato - pervasivi e costituiscono un unico aspetto di un diffuso clima di criminalità.
Nelle tavole che lei ci ha consegnato, signor Governatore, fa riferimento ad un'iniziativa dalla Banca d'Italia condotta nel 2003 per sensibilizzare le altre banche, soprattutto quelle inadempienti rispetto alle segnalazioni. Chiederei pertanto di far pervenire alla Commissione i dati di queste banche, scorporati per territorio, per delineare un preciso quadro di riferimento.
Vorrei avere inoltre un suo giudizio sulla legge Bersani, per quanto riguarda i dati di rintracciabilità delle spese, che certamente rappresentano un momento di riflessione perché rientrano in un dato importante.
Le organizzazioni criminali richiamano l'illegalità. Chiedo un suo giudizio anche per quanto riguarda vicende che hanno interessato la Banca d'Italia. Sono convinto, così come tutti colleghi, che criminale non sia soltanto chi concorre nell'illecito ed è classificato in quanto tale, ma che spesso esistano aree di illegalità, ma soprattutto di mediazione e di affari, che hanno determinato contraccolpi negativi sull'economia senza favorire l'immagine né coadiuvare la lotta contro la criminalità organizzata.
MARIA FORTUNA INCOSTANTE. Ringrazio il Governatore per la sua relazione. Vorrei porre alcune domande.
Per quanto riguarda l'Ufficio italiano cambi, volevo sapere se abbia effettuato specifiche analisi sui flussi monetari interni ed esterni e, in caso di risposta positiva, quali, e se sia in grado di rilevare anomalie tecniche e funzionali in questi flussi.
Vorrei chiedere inoltre se i flussi affetti da anomalie siano catalogabili in funzione di antiriciclaggio e riconducibili, per rilevanti somme, ad azioni collegate alla criminalità organizzata.
Vorrei chiederle, in riferimento alla raccolta dei dati, se esistano analisi di tipo statistico e quali siano i dati in possesso della Banca d'Italia.
L'ultima questione riguarda la FIU, che costituisce lo snodo di una serie di rapporti interni e dialoga con una serie di autorità. Poiché non sono pienamente a conoscenza delle competenze, vorrei sapere se la FIU abbia l'obbligo di informare l'autorità giudiziaria per quanto riguarda segnalazioni sospette o se si limiti semplicemente al loro recepimento. In sostanza, vorrei sapere che cosa accada una volta avute tali segnalazioni.
Mi sembra che lei ritenga più opportuno non ingolfare troppo con una serie di vincoli i soggetti per le segnalazioni in materia di movimenti di denaro sospetti. Da questo punto di vista, ritengo molto più importante rintracciare i flussi finanziari anomali e intervenire su di essi, prima che si introducano nell'economia legale continuando ad accrescersi.
In sostanza, signor Governatore, vorrei sapere se ritenga che il nostro impianto legislativo e i vari organi competenti siano adeguati alla sfida sempre più grande che la criminalità organizzata lancia, non solo in territori in cui è particolarmente radicata ma in tutto il nostro Paese, giacché la stampa come le indagini della magistratura parlano di un impero economico pienamente inserito nella nostra economia. Vorrei quindi conoscere la percezione attuale rispetto all'entità di questi fenomeni, agli strumenti di cui disponiamo e al modo per renderli più cogenti.
ANIELLO PALUMBO. Ringrazio il Governatore e mi limito a chiedere chiarimenti sul tema della segnalazione delle operazioni sospette.
Dalla relazione emerge infatti come un ruolo strategico sia svolto dalla FIU, che riceve le segnalazioni dagli intermediari e dagli altri soggetti obbligati e che addirittura esercita un potere di archiviazione, quindi altamente discrezionale, rispetto alle segnalazioni inoltrate. La sua efficacia è dimostrata anche dalla citata vicenda di Brindisi.
Vorrei chiederle quanti altri casi di riciclaggio, sotto il profilo del sospetto e dell'accertamento, si siano verificati e siano documentabili. Non so come questo meccanismo, che affida l'iniziativa non alla FIU ma agli intermediari o agli altri soggetti obbligati, consenta di verificare la piena affidabilità della funzione fondamentale svolta dai titolari di questo potere di azione.
Nell'ultima parte della sua relazione, lei ha evidenziato l'intenzione di rafforzare e potenziare l'attività della FIU. Vorrei sapere dunque se questa esigenza sia connessa ad ulteriori compiti che saranno assegnati a questo organismo, oppure possa essere ravvisata con riferimento ai compiti attualmente esercitati.
FRANCO MALVANO. Signor Governatore, le pongo solo una breve domanda perché molte mie richieste sono già state poste.
Lei ha evidenziato come un migliore coordinamento tra FIU e autorità giudiziaria potrebbe consentirne un maggiore utilizzo. Vorrei quindi sapere quali siano i problemi, i limiti, da parte di chi provengano e come si potrebbero abbattere questi ostacoli.
Il nostro lavoro necessariamente dovrà intrecciarsi con quello della commissione Lettieri-Vigna in materia di testo unico antiriciclaggio, perché anche nel nostro ambito è stato costituito un apposito comitato per la definizione di un testo unico di norme antimafia, antiracket, antiusura.
Dovremmo quindi concludere qui la seduta odierna, concordando con il Governatore una data successiva per le risposte, compatibile con gli impegni suoi e della Commissione, offrendo la possibilità anche agli onorevoli Mancini e Vizzini, che si sono dovuti assentare, di porre le loro questioni.
ROSA MARIA VILLECCO CALIPARI. Signor presidente, mi scuso a nome di molti colleghi che oggi purtroppo non hanno potuto partecipare all'audizione del Governatore, molto dispiaciuti per questo, i quali mi hanno chiesto di segnalare l'opportunità di calendarizzare le audizioni anche il lunedì o il venerdì, perché spesso coincidono con le sedute delle Commissioni permanenti; ciò sta creando problemi.
PRESIDENTE. Accogliamo la segnalazione, che però mal si concilia con il calendario dei lavori delle due Assemblee di Camera e Senato. Valuteremo in sede di ufficio di presidenza tale possibilità. Il presidente di lunedì è qui, ma purtroppo la presenza del presidente non è sempre compatibile con quella dei molti colleghi che dedicano il lunedì al lavoro sul territorio.
Ringrazio il Governatore Draghi per la sua relazione e la sua presenza, nonché i colleghi intervenuti, dando mandato alla presidenza e agli Uffici di definire la calendarizzazione della prossima riunione.
Dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 16.
[1] “Obiettivi strategici 2005-2009 – Europa 2010: un partenariato per il rinnovamento europeo – Prosperità, solidarietà e sicurezza”, COM(2005)12 del 26 gennaio 2005.
[2] In allegato, comunicato stampa della Commissione europea, “Rapid”, del 4 luglio 2006, sulla strategia.
[3] La comunicazione ricorda che i minori sono intesi, conformemente alla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, come le persone di età inferiore a 18 anni.
[4] Al fine di garantire la protezione dei minori nei servizi audiovisivi e di informazione in linea, con la decisione n. 854/2005/CE è stato istituito un programma comunitario pluriennale (2005-2008) “Safer Internet Plus”, inteso a promuovere un uso più sicuro di Internet e delle nuove tecnologie in linea, in particolare per i bambini, e a lottare contro i contenuti illegali e i contenuti indesiderati dall’utente finale.
Il programma è articolato attorno alle seguenti azioni:
· lotta ai contenuti illegali;
· contrasto ai contenuti indesiderati e nocivi;
· promozione di un ambiente più sicuro;
· sensibilizzazione.
La dotazione finanziaria per l’esecuzione delle azioni comunitarie previste dal programma ammonta complessivamente a 45 milioni di euro.
[5] In esito a tale revisione è stata adottata la direttiva 2006/126/CE che ha operato una rifusione della direttiva 91/439/CEE e delle successive modifiche.
[6]Nel 2004 la Commissione ha avviato una progetto per la creazione di una rete telematica, RESPER, volta a facilitare lo scambio di informazioni fra le autorità nazionali competenti per il rilascio delle patenti, il riconoscimento dei documenti e dei diritti acquisiti in altri Stati membri e la lotta contro le frodi.
[7] La raccomandazione è stata pubblicata nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, serie L, n. 111, del 17 aprile 2004.
[8] (COM(2005)122-1)
[9]Il 17 gennaio 2006 il Parlamento europeo ha adottato una dichiarazione sulle linee di assistenza telefonica per bambini in Europa, nella quale raccomanda, in particolare, l’introduzione, nell’UE, di un numero verde unico per le linee di assistenza telefonica per bambini.
[10] Per le due comunicazioni che, insieme alla proposta di direttiva, costituiscono il “pacchetto” di misure (cd.pacchetto Frattini) presentato dalla Commissione il 16 maggio 2007, vedi supra, paragrafo “L’approccio globale in materia di migrazione: recenti iniziative della Commissione”.
[11] A questo proposito si segnala che il 24 ottobre 2007 la Commissione ha presentato una comunicazione (COM(2007)628) sul rafforzamento della lotta contro il lavoro non dichiarato.
[12] Tale obiettivo è riconosciuto e sancito dall’articolo 174, paragrafo 2, del trattato CE.
[13] La base giuridica per tali disposizioni, riguardanti la tutela dell'ambiente, è l'articolo 175, paragrafo 1, del trattato CE.
[14] L’articolo 2 comma 35 del regolamento (CE) n. 1013/2006 relativo alle spedizioni di rifiuti definisce "spedizione illegale" qualsiasi spedizione di rifiuti effettuata, tra l’altro: senza notifica a tutte le autorità competenti interessate a norma del presente regolamento; senza l'autorizzazione delle autorità competenti interessate a norma del presente regolamento; con l'autorizzazione delle autorità competenti interessate ottenuto mediante falsificazioni, false dichiarazioni o frodi; in un modo che non è materialmente specificato nella notifica o nei documenti di movimento; in un modo che il recupero o lo smaltimento risulti in contrasto con la normativa comunitaria o internazionale. Inoltre, esso fa definisce illegale qualsiasi spedizione di rifiuti che non siano inclusi negli elenchi di cui agli allegati III, III A o III B dello stesso regolamento.
[15] Legge 5 dicembre 2005, n. 251, Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione.
[16] Si sottolinea che all’interno del codice penale i commi degli articoli non sono numerati. La numerazione è stata inserita nel testo a fronte solo per rendere più agevole il raffronto fra le disposizioni.
[17] Per i citati delitti, nonchè per quelli colposi di danno di cui all’art. 449 c.p. (disastri ferroviari e aviatori, incendi boschivi, naufragi, ecc.) nonchè per l‘omicidio colposo e l‘omicidio colposo plurimo commessi in violazione di norme del codice della strada (art. 589 c.p.), l’attuale comma 6 dell’art. 157 c.p. prevede, invece, il raddoppio dei termini di prescrizione.
[18] Si ricorda che la colpa costituisce elemento psicologico del reato: l’art. 43 c.p. definisce il delitto colposo o contro l’intenzione quando l’evento anche se previsto non è causato dall’agente e si verifica per negligenza, imprudenza o imperizia.
[19] Recante norme sull'ordinamento penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative e limitative della libertà.
[20] I delitti di cui all’articolo 4-bis della legge 354/1975 sono delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell'ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza, delitti di associazione mafiosa di cui all’art. 416-bis del codice penale, o commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni in esso previste; delitti di cui agli articoli 600 (riduzione in schiavitù), 601 (tratta e commercio di schiavi), 602 (alienazione e acquisto di schiavi) e 630 (sequestro di persona) del codice penale; associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri (art. 291-quater del testo unico doganale, DPR 23 gennaio 1973, n. 43) ovvero al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope (art. 74, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309); delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordinamento costituzionale; omicidio (art. 575 c.p.); fattispecie aggravate di rapina ed estorsione (art. 628, terzo comma e 629, secondo comma, c.p.); contrabbando di tabacchi lavorati esteri (art. 291-ter, DPR 43/1973); associazione a delinquere (art. 416 c.p.) finalizzata alla commissione dei seguenti delitti: riduzione in schiavitù, tratta e commercio di schiavi (artt. 600-602, c.p.), prostituzione minorile (art. 600-bis, c.p.), pornografia minorile (art. 600-ter, c.p.) e detenzione di materiale pornografico minorile (600-quater, c.p.), turismo sessuale (art. 600-quinquies, c.p.), violenza sessuale (art.609-bis, c.p.), atti sessuali con minorenne (art. 609-quater, c.p.), corruzione di minorenne (art. 609-quinquies, c.p.) e violenza sessuale di gruppo (art. 609-octies, c.p.); produzione e traffico illecito di quantità ingenti di sostanze stupefacenti o psicotrope (artt. 73 e 80, comma 2, DPR 309 del 1990); reati connessi all’agevolazione all’immigrazione clandestina: procurato ingresso ed ipotesi aggravate dalle finalità di reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento sessuale e di minori da destinare ad attività illecite (artt. 12, commi 3, 3-bis e 3-ter, TU 286/1998).
[21] Si tratta del delitto di cui all’art. 624 c.p., quando ricorre la circostanza aggravante prevista dall'articolo 4 della legge 8 agosto 1977, n. 533 o quella prevista dall'articolo 625, primo comma, numero 2), prima ipotesi, del codice penale, salvo che, in quest'ultimo caso, ricorra la circostanza attenuante di cui all'articolo 62, primo comma, numero 4), del codice penale.
[22] In questo caso la fattispecie è quella dell’art. 624-bis, salvo che ricorra la circostanza attenuante di cui all'articolo 62, primo comma, numero 4), del codice penale.
[23] L'aggravante ricorre il fatto riguarda 5 o più persone; la persona è stata esposta a pericolo per la sua vita o la sua incolumità ovvero è stata sottoposta a trattamento inumano o degradante; il fatto è commesso da tre o più persone in concorso tra loro o utilizzando servizi internazionali di trasporto ovvero documenti contraffatti o alterati o comunque illegalmente ottenuti; il fatto è compiuto per reclutare persone da destinare alla prostituzione o comunque allo sfruttamento sessuale ovvero riguarda l'ingresso di minori da impiegare in attività illecite a fini di sfruttamento
[24] L’art. 392, primo comma, c.p.p. stabilisce che si procede con incidente probatorio: all’assunzione della testimonianza di una persona, quando vi è fondato motivo di ritenere che la stessa non potrà essere esaminata nel dibattimento per infermità o altro grave impedimento; all'assunzione di una testimonianza quando, per elementi concreti e specifici, vi è fondato motivo di ritenere che la persona sia esposta a violenza, minaccia, offerta o promessa di denaro o di altra utilità affinché non deponga o deponga il falso; all'esame della persona sottoposta alle indagini su fatti concernenti la responsabilità di altri ;all'esame delle persone indicate nell'articolo 210; al confronto tra persone che in altro incidente probatorio o al pubblico ministero hanno reso dichiarazioni discordanti, quando ricorre una delle circostanze previste dalle lettere a) e b); a una perizia o a un esperimento giudiziale, se la prova riguarda una persona, una cosa o un luogo il cui stato è soggetto a modificazione non evitabile; a una ricognizione, quando particolari ragioni di urgenza non consentono di rinviare l'atto al dibattimento.
[25] Non così, invece, in caso di rigetto della richiesta concordata, che deve essere adeguatamente motivata (Cassazione penale, sentenza 10 ottobre 2003).