Camera dei deputati - XV Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento giustizia
Titolo: Inapplicabilità e cessazione degli effetti di misure di prevenzione - A.C. 2226
Riferimenti:
AC n. 2226/XV     
Serie: Progetti di legge    Numero: 142
Data: 17/04/2007
Descrittori:
MISURE DI PREVENZIONE E SICUREZZA   SENTENZE PENALI
Organi della Camera: II-Giustizia


Camera dei deputati

XV LEGISLATURA

 

SERVIZIO STUDI

 

Progetti di legge

Inapplicabilità e cessazione degli effetti di misure di prevenzione

A.C. 2226

 

 

 

 

 

n. 142

 

 

17 aprile 2007

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dipartimento giustizia

SIWEB

 

 

I dossier dei servizi e degli uffici della Camera sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.

 

 

File: GI0142.doc

 

 


INDICE

 

Scheda di sintesi

Dati identificativi3

Struttura e oggetto  4

§      Contenuto  4

§      Relazioni allegate  4

Elementi per l’istruttoria legislativa  5

§      Necessità dell’intervento con legge  5

§      Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite  5

§      Rispetto degli altri princìpi costituzionali5

§      Incidenza sull’ordinamento giuridico  6

§      Impatto sui destinatari delle norme  6

Schede di lettura

§      Quadro normativo  9

§      Il contenuto della proposta di legge AC 2226 (Buemi ed altri)21

Progetto di legge

§      A.C. 2226, (on. Buemi ed altri), Modifiche alle leggi 27 dicembre 1956, n. 1423, e 31 maggio 1965, n. 575. Inapplicabilità e cessazione degli effetti di misure di prevenzione a seguito di sentenza irrevocabile di proscioglimento  29

§      Codice penale (artt. 166 e 240)39

§      Codice di Procedura Penale (artt. 69, 129, 425, 529, 530, 531 e 532)41

§      Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale (artt. 81-88)45

§      L. 27 dicembre 1956, n. 1423. Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità.49

§      L. 31 maggio 1965, n. 575. Disposizioni contro la mafia  58

§      L. 25 novembre 1971, n. 1041. Gestioni fuori bilancio nell'ambito delle Amministrazioni dello Stato  85

§      D.P.R. 23 gennaio 1973 n. 43. Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale.  (artt. 301 e 301-bis)89

§      D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza.  (artt. 100 e 101)92

§      L. 23 luglio 1991 n. 223. Norme in materia di cassa integrazione, mobilità, trattamenti di disoccupazione, attuazione di direttive della Comunità europea, avviamento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato del lavoro (art. 3)94

§      L. 11 agosto 1991, n. 266. Legge-quadro sul volontariato  97

§      L. 8 novembre 1991, n. 381. Disciplina delle cooperative sociali106

§      D.L. 8 giugno 1992 n. 306. Modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa (convertito in legge con modificazioni dalla L. 7 agosto 1992, n. 356) (art. 12-sexies)112

§      D.M. 24 febbraio 1997, n. 73. Regolamento recante disciplina della raccolta dei dati relativi ai beni sequestrati o confiscati115

§      D.Lgs. 30 luglio 1999 n. 300. Riforma dell'organizzazione del Governo, a norma dell'articolo 11 della L. 15 marzo 1997, n. 59 (art. 65)120

§      D.Lgs. 3 luglio 2003, n. 173. Riorganizzazione del Ministero dell'economia e delle finanze e delle agenzie fiscali, a norma dell'articolo 1 della L. 6 luglio 2002, n. 137  (art. 1)121

§      L. 27 dicembre 2006 n. 296. Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato  (legge finanziaria 2007) (art. 1, co. 220 e 221)125

Giurisprudenza

Corte Costituzionale

§      Sentenza del 20 aprile 1959, n.  27  131

Corte di Cassazione

§      Sez. I penale, Sentenza del 20 giugno 1988, n. 1706  139

§      Sez. Unite penali, Sentenza del 3 luglio 1996, n. 18  149

§      Sez. V penale, Sentenza del 15 gennaio 2004,  n. 5738  163

§      Sez. VI penale, Sentenza del 17 settembre 2004, n. 46449  166

§      Sez. VI penale, Sentenza del 18 ottobre 2005, n. 44985  168

§      Sez. V penale, Sentenza del 27 giugno 2006, n. 33056  183

§      Sez. Unite penali, Sentenza del 19 dicembre 2006, n. 57  191

Documentazione

Ministero della Giustizia

§      Commissione Fiandaca, Relazione conclusiva 2001, estratto: ‘’Confisca e tutela dei terzi in buona fede’’203

 

 


Scheda di sintesi

per l’istruttoria legislativa

 


Dati identificativi

Numero del progetto di legge

2226

Titolo

Modifiche alle leggi 27 dicembre 1956, n. 1423, e 31 maggio 1965, n. 575. Inapplicabilità e cessazione degli effetti di misure di prevenzione a seguito di sentenza irrevocabile di proscioglimento

Iniziativa

parlamentare

Settore d’intervento

Diritto penale; Criminalità e ordine pubblico

Iter al Senato

no

Numero di articoli

4

Date

 

§       presentazione alla Camera

7 febbraio 2007

§       annuncio

8 febbraio 2007

§       assegnazione

13 marzo 2007

Commissione competente

2ª Commissione (Giustizia)

Sede

referente

Pareri previsti

1a Commissione (Affari costituzionali)

 


 

Struttura e oggetto

Contenuto

La proposta di legge A.C. 2226, composta da quattro articoli, contiene disposizioni in materia di misure di prevenzione con particolare riguardo alla relativa disciplina nel caso in cui la loro applicazione sia stata disposta o richiesta sulla base degli stessi fatti rispetto ai quali è stata pronunciata una sentenza penale irrevocabile di proscioglimento.

 

Nello specifico, mentre l'articolo 1 prevede l’inapplicabilità delle misure di prevenzione personali nel caso in cui per i medesimi fatti oggetto del procedimento di prevenzione sia intervenuta una sentenza irrevocabile di proscioglimento, il successivo articolo 2, in relazione alla medesima ipotesi,  prevede la revoca obbligatoria del provvedimento di applicazione della misura di prevenzione personale.

 

Sempre con riferimento al caso in cui sia intervenuta una sentenza definitiva di proscioglimento, l’articolo 3 dispone, poi, l'inapplicabilità di misure di prevenzione previste dalla legge 575 del 1965 nei confronti di persone indiziate di appartenere ad organizzazioni mafiose qualora il procedimento di prevenzione si basi sui medesimi fatti oggetto del procedimento penale.

Da ultimo, nell’analogo caso di sentenza definitiva di proscioglimento pronunciata in relazione ai medesimi fatti oggetto del procedimento di prevenzione, l’articolo 4 prevede l’obbligo di revoca, da parte del tribunale, delle misure di prevenzione reali (sequestro e confisca) eventualmente disposte.

 

Relazioni allegate

Si tratta di una proposta di legge di iniziativa parlamentare corredata, pertanto, della sola relazione illustrativa.

 


 

Elementi per l’istruttoria legislativa

Necessità dell’intervento con legge

La proposta in esame modifica talune disposizioni normative di rango primario: si giustifica, pertanto, l’intervento con legge.

 

Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite

La proposta di legge A.C. 2226 reca disposizioni riguardanti l'inapplicabilità e la cessazione degli effetti delle misure di prevenzione. Si tratta, quindi, di materia riservata alla competenza legislazione esclusiva dello Stato ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettere h) (Ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale) ed l) (Giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa) della Costituzione.

 

Rispetto degli altri princìpi costituzionali

Il nostro ordinamento, accanto alle misure cautelari e di sicurezza,  contemplate, rispettivamente, agli articoli 13 e 25 della Carta fondamentale, prevede e disciplina le misure di prevenzione: esse si differenziano dalle prime in quanto trovano applicazione indipendentemente dalla commissione di un precedente reato e costituiscono applicazione del principio di “prevenzione e sicurezza sociale, per il quale l’ordinato e pacifico svolgimento dei rapporti fra i cittadini deve essere garantito, oltre che dal sistema di norme repressive dei fatti illeciti, anche da un parallelo sistema di adeguate misure preventive contro il pericolo del loro verificarsi nell’avvenire” (Corte Costituzionale, sentenza n. 27 del 1959). La Consulta, quindi, ha rinvenuto negli articoli 13 (“che con lo statuire che restrizioni alla libertà personale possono essere disposte soltanto per atto motivato della autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge, riconosce per ciò stesso la possibilità di tali restrizioni in via di principio”), 16 e 17 della Costituzione (l’uno statuisce “che la legge possa apportare limitazioni alla libertà di circolazione e di soggiorno quando ricorrano motivi di sicurezza”, l’altro consente “il divieto delle pubbliche riunioni per comprovati motivi di sicurezza ed incolumità pubblica”) il fondamento di tale istituto.

Sempre la Consulta, nella già citata sentenza n. 27, ha richiamato tra i presupposti costituzionali delle misure di prevenzione l’articolo 25, secondo comma, in base al quale nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi stabiliti dalla legge: “è ben vero –sostiene la Corte- che le misure di sicurezza in senso stretto si applicano dopo che un fatto preveduto dalla legge come reato sia stato commesso, ma poiché le misure di sicurezza intervengono o successivamente all’espiazione della pena, e cioè quando il reo ha già per il reato commesso soddisfatto il suo debito verso la società, ovvero in casi nei quali il fatto, pur essendo preveduto dalla legge come reato, non è punibile, bisogna dedurne che oggetto di tali misure rimane sempre quello comune a tutte le misure di prevenzione, cioè la pericolosità sociale del soggetto”.

Incidenza sull’ordinamento giuridico

Coordinamento con la normativa vigente

La proposta di legge in esame modifica talune disposizioni della legge n. 1423 del 1956, recante Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità e della legge n. 575 del 1965, recante Disposizioni contro la mafia.

Il coordinamento con la normativa vigente è, pertanto, realizzato attraverso la tecnica della novellazione.

Impatto sui destinatari delle norme

Come si legge nella relazione illustrativa del provvedimento, scopo della proposta di legge in esame è quello di porre rimedio ad “una grave ingiustizia che subiscono quei cittadini che sono sottoposti a misure di prevenzione, sebbene in sede penale siano stati prosciolti nel procedimento di merito” modificando, quindi, l'attuale normativa secondo le indicazioni espresse dalla giurisprudenza più recente.

 

 


Schede di lettura

 


 

Quadro normativo

Il nostro ordinamento, accanto alle misure cautelari e di sicurezza, previste, rispettivamente, dagli articoli 13 e 25 della Carta fondamentale, prevede e disciplina le misure di prevenzione: queste si differenziano dalle prime in quanto trovano applicazione indipendentemente dalla commissione di un precedente reato e costituiscono applicazione del principio di “prevenzione e sicurezza sociale, per il quale l’ordinato e pacifico svolgimento dei rapporti fra i cittadini deve essere garantito, oltre che dal sistema di norme repressive dei fatti illeciti, anche da un parallelo sistema di adeguate misure preventive contro il pericolo del loro verificarsi nell’avvenire” (Corte Costituzionale, sentenza n. 27 del 1959).

Attualmente, la disciplina positiva delle misure di prevenzione è ricavabile da una serie di stratificazioni legislative dovute, a loro volta, ad una pluridecennale tecnica novellistica.

Il testo normativo fondamentale rimane quello della legge 27 dicembre 1956, n. 1423[1], così come modificato e integrato dai numerosi interventi legislativi successivi.

Le tradizionali misure preventive di natura personale (sorveglianza speciale, divieto ed obbligo di soggiorno) sono state estese, con la legge 31 maggio 1965, n. 575 (Disposizioni contro la mafia), agli indiziati di appartenere ad associazioni mafiose e, con la legge 13 settembre 1982, n. 646 (c.d. Rognoni La Torre)[2], anche agli indiziati di appartenere ad associazioni camorristiche ed assimilabili.

 

L’art. 3 della legge 1423/1956 prevede che a determinati soggetti[3] che non abbiano cambiato condotta nonostante l'avviso orale del questore a tenere condotta conforme alla legge, quando siano pericolosi per la sicurezza pubblica, può essere applicata dal tribunale la misura di prevenzione della sorveglianza speciale della pubblica sicurezza, cui può essere aggiunto ove le circostanze del caso lo richiedano, il divieto di soggiorno in uno o più comuni, diversi da quelli di residenza o di dimora abituale o in una o più Province. Nei casi in cui le altre misure di prevenzione non sono ritenute idonee alla tutela della sicurezza pubblica può essere imposto l'obbligo di soggiorno nel comune di residenza o di dimora abituale.

Il successivo art. 7 della legge 1423 prevede che il provvedimento di applicazione delle misure di prevenzione personali è comunicato al Questore per l'esecuzione.

Il provvedimento stesso, su istanza dell'interessato e sentita l'autorità di pubblica sicurezza che lo propose, può essere revocato o modificato dall'organo dal quale fu emanato, quando sia cessata o mutata la causa che lo ha determinato. Il provvedimento può essere altresì modificato, anche per l'applicazione del divieto o dell'obbligo di soggiorno, su richiesta dell'autorità proponente, quando ricorrono gravi esigenze di ordine e sicurezza pubblica o quando la persona sottoposta alla sorveglianza speciale abbia ripetutamente violato gli obblighi inerenti alla misura.

Il ricorso contro il provvedimento di revoca o di modifica non ha effetto sospensivo.

Nel caso di modificazione del provvedimento o di taluna delle prescrizioni per gravi esigenze di ordine e sicurezza pubblica, ovvero per violazione degli obblighi inerenti alla sorveglianza speciale, il presidente del tribunale può, nella pendenza del procedimento, disporre con decreto l'applicazione provvisoria della misura, delle prescrizioni o degli obblighi richiesti con la proposta

 

La legge n. 646/1982 ha, in particolare, provveduto al potenziamento del sistema della prevenzione antimafia, mentre le leggi 3 agosto 1988, n. 327[4], 19 marzo 1990, n. 55[5] e, soprattutto, la legge 7 marzo 1996, n. 109[6]hanno introdotto rilevanti modifiche alla normativa concernente le tradizionali misure di prevenzione, con l’obiettivo di eliminare gli inconvenienti più vistosi della precedente disciplina. La citata legge 109/1996 ha, in particolare, introdotto nella legge quadro 575/1965 una serie di disposizioni (artt. da 2-nonies a 2-duodecies) che hanno profondamente riformato la disciplina della gestione e destinazione dei beni oggetto di sequestro e confisca.

 

Le misure di prevenzione patrimoniali

La legge n. 575/1965 contiene attualmente le principali disposizioni in materia di misure di prevenzione patrimoniali antimafia.

Tali misure sono state introdotte nella suddetta normativa dalla citata legge Rognoni-La Torre(legge n. 646/1982) che ha inteso così affiancare alle misure di prevenzione di natura personale, strumenti che, colpendo i patrimoni degli appartenenti ad associazioni mafiose, potessero assolvere sia ad una funzione preventiva e deterrente, sia, rimuovendo dal mercato capitali illegali, di ripristino della libera concorrenza e delle regole dell’economia legale.

Il nucleo fondamentale della legge n. 646/1982 è costituito, pertanto, dall’arricchimento del quadro delle misure di prevenzione, con l’introduzione di misure di natura patrimoniale, il sequestro e la confisca, volte a sottrarre, prima provvisoriamente e poi in via definitiva, agli appartenenti alle organizzazioni criminali la disponibilità giuridica e materiale di beni di illecita provenienza.

 

Il sequestro è un provvedimento di natura provvisoria e cautelare, disposto dal tribunale o, in via temporanea, dal presidente del Tribunale, su richiesta del Procuratore della Repubblica o del questore o anche d’ufficio, sui beni dei quali la persona nei confronti della quale è pendente un procedimento per la applicazione di una misura di prevenzione personale risulta poter disporre[7], quando il loro valore risulta sproporzionato al reddito dichiarato o alla attività economica svolta, ovvero quando, sulla base di sufficienti indizi, si ha motivo di ritenere che gli stessi siano il frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego; la misura in esame - finalizzata ad anticipare e ad assicurare gli effetti della confisca, rispetto alla quale, dunque, assume natura strumentale - ha come effetto la provvisoria perdita da parte del destinatario della disponibilità materiale del bene e la altrettanto provvisoria limitazione a compiere atti giuridici che abbiano ad oggetto il bene sequestrato (art. 2-ter della legge n. 575/1965). Nei casi di particolare urgenza, possono richiedere il sequestro, oltre al procuratore della Repubblica e al questore, anche gli organi incaricati di procedere ad ulteriori indagini nei confronti delle persone indiziate. In tal caso il presidente del tribunale, con decreto motivato, dispone immediatamente il sequestro, ma il provvedimento  presidenziale perde efficacia se non è convalidato dal tribunale entro 10 giorni.

Le condizioni per poter disporre la misura, quindi, sono:

 

§      l’esistenza di un nesso con una misura di prevenzione personale: il sequestro può essere disposto sia durante l’iter applicativo della misura personale che successivamente ma, in ogni caso, prima che ne sia cessata l’esecuzione;

§      la disponibilità del bene oggetto del sequestro in capo ad un soggetto candidato all’applicazione di una misura di prevenzione personale, in quanto indiziato di appartenere ad associazione mafiosa, camorristica o ad esse assimilabile;

§      il valore sproporzionato dei beni rispetto al reddito dichiarato o all’attività economica svolta, ovvero, in alternativa, la sussistenza di sufficienti indizi circa la provenienza illegittima dei beni[8].

Ai sensi dell'art. 2-bis, comma 4 della legge n. 575/1965, il sequestro può anche essere disposto anticipatamente, su richiesta del procuratore della Repubblica e del questore, dal Presidente del tribunale prima della fissazione dell'udienza, quando vi sia concreto pericolo che i beni di cui si prevede debba essere disposta la confisca vengano dispersi, sottratti o alienati (cd. sequestro anticipato). La proposta di applicazione delle misure di prevenzione non è, in tal caso, preceduta dall'avviso del questore previsto dall'art. 4 della L. n. 1423/1965.

Il presidente del tribunale provvede con decreto motivato entro 5 giorni dalla richiesta, ma il sequestro eventualmente disposto perde efficacia se non convalidato dal tribunale entro 30 giorni dalla proposta. Analoga revoca consegue al respingimento della proposta di applicazione della misura di prevenzione ovvero alla dimostrazione della provenienza legittima dei beni o del fatto che di essi l’indiziato non poteva disporre, direttamente o meno.

La confisca dei beni sequestrati, dei quali non sia stata dimostrata la legittima provenienza, consiste, invece, in un provvedimento di natura ablativa che comporta la devoluzione allo Stato dei beni (mobili, immobili, mobili registrati, crediti, ecc.) che ne costituiscono oggetto: analogamente al sequestro, anche la confisca di prevenzione possiede la comune caratteristica del collegamento con un procedimento di prevenzione personale[9].

Infatti, qualora il suddetto procedimento si concluda con l'applicazione della misura di prevenzione, il tribunale dispone la confisca dei beni sequestrati dei quali non sia stata dimostrata la legittima provenienza (art. 2-ter, 3° comma L. n. 575/1965). Il tribunale può altresì imporre all'indiziato un'adeguata cauzione o idonee garanzie patrimoniali in sostituzione di quest’ultima. Tale cauzione, in caso di violazione degli obblighi o dei divieti derivanti dall'applicazione della misura di prevenzione, viene confiscata su provvedimento del tribunale (art. 3-bis, comma 6, L. n. 575/1965).

I beni confiscati sono devoluti allo Stato e successivamente “destinati” al termine dello speciale procedimento previsto dalla citata legge n. 109/1996 (vedi ultra).

 

Alla confisca quale misura di prevenzione l’ordinamento giuridico affianca una particolare ipotesi di confisca penale obbligatoria, prevista dall’art. 12-sexies del D.L. n. 306/1992 (L.n. 356/1992) recante Modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa.

Il suddetto art. 12-sexies (comma 1) ha previsto la confisca obbligatoria del denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato non possa giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulti essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica, in caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta a norma dell'art. 444 c.p.p. (c.d. patteggiamento) per alcuni reati di particolare gravità: associazione di tipo mafioso (art. 416-bis c.p.), riduzione o mantenimento in schiavitù o servitù (art. 600 c.p.), tratta di persone (art. 601 c.p.), acquisto e alienazione di schiavi (art. 602 c.p.), associazione a delinquere volta alla commissione dei citati reati di cui agli artt. 600, 601 e 602 c.p.(art. 416, sesto comma, c.p.), estorsione (art. 629 c.p.), sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione (art. 630 c.p.), usura (art. 644 c.p.), ricettazione, riciclaggio, associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope, nonché produzione e traffico illecito di tali sostanze (artt. 73 e 74 del D.P.R. 309/90). L’elencazione di reati contenuta al primo comma della disposizione è arricchita, ai sensi del secondo comma, dal reato di contrabbando (art. 295, co. 2, T.U. approvato con D.P.R. 43/73), nonché dai reati commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416-bis c.p., ovvero per agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo.

Su tale disciplina è recentemente intervenuta la legge finanziaria 2007 (L. 27 dicembre 2006, n. 296) che con il suo art. 1, comma 220, novellando il comma 1 del citato art. 12-sexies, integra l’elenco dei reati alla cui condanna o patteggiamento consegue la confisca obbligatoria dei valori ingiustificati, comprendendovi la maggior parte dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione (escluso l’abuso d’ufficio, art. 323 c.p). Si tratta dei seguenti delitti previsti dal codice penale: art. 314 c.p. (Peculato); art. 316 c.p. (Peculato mediante profitto dell'errore altrui); art. 316-bis c.p. (Malversazione a danno dello Stato); art. 316-ter c.p. (Indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato); art. 317 c.p. (Concussione); art. 318 c.p. (Corruzione per un atto d'ufficio); art. 319 c.p. (Corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio); art. 319-ter c.p. (Corruzione in atti giudiziari); art. 320 c.p. (Corruzione di persona incaricata di un pubblico servizio); art. 322 c.p. (Istigazione alla corruzione); art. 322-bis c.p. (Peculato, concussione, corruzione e istigazione alla corruzione di membri degli organi delle Comunità europee e di funzionari delle Comunità europee e di Stati esteri); art. 325 c.p. (Utilizzazione d'invenzioni o scoperte conosciute per ragioni d'ufficio).

Il citato comma 220 dell'articolo 1 della legge finanziaria 2007 aggiunge allo stesso art. 12-sexies un comma 2-bis secondo il quale in caso di confisca di beni per uno dei delitti sopraelencati si applicano le disposizioni degli articoli 2-nonies, 2-decies e 2-undecies della legge 31 maggio 1965, n. 575 (v. ultra).

 

L'art. 2-ter della legge n. 575/1965 prevede, in particolari ipotesi, alcune deroghe alle normali condizioni di applicabilità delle misure del sequestro e della confisca:

§      in caso di indagini complesse il provvedimento di confisca può intervenire anche dopo un anno dalla data dell'avvenuto sequestro (termine prorogabile per analogo periodo) (comma 3, secondo periodo);

§      il sequestro e la confisca possono essere adottati anche dopo l'applicazione della misura di prevenzione personale, ma prima della sua cessazione (comma 6);

§      il sequestro e la confisca possono essere adottati anche in caso di assenza o di residenza o dimora all'estero della persona alla quale potrebbe applicarsi la misura di prevenzione (comma 7);

§      il sequestro e la confisca possono essere adottati anche quando la persona è già sottoposta a misura di sicurezza detentiva o alla libertà vigilata (comma 8);

§      il sequestro e la confisca possono essere adottati anche in relazione a beni sequestrati in un procedimento penale, ma i relativi effetti sono sospesi per la durata del processo e si estinguono qualora in quella sede sia disposta la confisca (comma 9).

 

I provvedimenti del tribunale, a norma degli articoli 2-ter e 3-bis, che dispongono, rispettivamente, la confisca dei beni sequestrati e la revoca del sequestro (ovvero la restituzione della cauzione, la liberazione delle garanzie, la confisca della cauzione o la esecuzione sui beni costituiti in garanzia) sono comunicati senza indugio al Procuratore Generale presso la Corte di appello, al procuratore della Repubblica e agli interessati, i quali hanno facoltà di proporre ricorso (privo di effetti sospensivi) anche per il merito, entro 10 giorni alla Corte d'appello. La Corte provvede in camera di consiglio, con decreto motivato, nei 30 giorni successivi alla proposizione del ricorso.

Tale decreto è impugnabile in cassazione per violazione di legge da parte del pubblico ministero e dell'interessato, entro dieci giorni. La Corte di cassazione provvede, in camera di consiglio, entro 30 giorni dal ricorso.

 

In relazione alla gestione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati occorre ricordare che, mentre la disciplina per i beni sequestrati e confiscati in sede penale è prevista agli artt. 81-88 delle norme di attuazione del c.p.p[10]., quella relativa alla gestione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati in sede preventiva è contenuta nella citata legge n. 575/1965.

La legge è stata oggetto di ripetuti interventi di modifica da parte del legislatore; il più organico intervento di riforma della materia si è, tuttavia, avuto con la legge 7 marzo 1996, n. 109[11] che, pur non incidendo sui profili costitutivi delle misure, ha introdotto significative innovazioni finalizzate ad una più razionale amministrazione dei beni confiscati e ad una più puntuale destinazione degli stessi a fini istituzionali e sociali.

L’intervento normativo mirava, in particolare, a rendere effettivo l’utilizzo dei beni confiscati, assicurando termini perentori entro cui decidere l'impiego degli stessi, a ridurre la differenza numerica tra il totale dei sequestri e le effettive confische (che nel biennio precedente l’entrata in vigore della legge rappresentavano appena il 5% dei sequestri), a garantire il risarcimento dei danni provocati alla collettività dalla mafia mediante la destinazione dei beni immobili confiscati ad attività sociali (assegnazioni a comuni, organizzazioni di volontariato, comunità terapeutiche, ecc), ad assicurare una gestione “manageriale” dei beni e delle imprese sequestrate alla mafia (prevedendo per queste ultime una amministrazione straordinaria che tenesse conto anche dell’esigenza di mantenere  i lavoratori occupati).

La citata legge n. 109 del 1996 ha, inoltre, recepito l’esigenza di attuare un monitoraggio permanente relativo ai beni oggetto di sequestro e confisca, allo scopo di avere un quadro aggiornato della situazione, anche al fine di assolvere agli obblighi di relazione al Parlamento (v. ultra).

Tuttavia, le previsioni di procedure amministrative più rapide e semplificate non hanno impedito tuttavia il verificarsi di lentezze procedurali e difficoltà di varia natura nell’effettiva utilizzazione dei beni confiscati.

Si segnala, inoltre, che la necessità di assicurare un coordinamento a livello centrale delle molteplici attività previste dalla legge in capo a diversi organi pubblici ha determinato dapprima la costituzione di un Osservatorio permanente sui beni confiscati e, successivamente, nel 1999, l’istituzione di un Ufficio del Commissario straordinario del Governo per la gestione e la destinazione dei beni confiscati ad organizzazioni criminali con lo scopo di assicurare il coordinamento tra le amministrazioni interessate alla materia, nonchè il collegamento tra queste e le realtà associative interessate alla gestione e destinazione dei beni previste dalla legge. Tra i compiti del Commissario straordinario risultavano quelli di segnalazione e di impulso dei provvedimenti amministrativi necessari alla corretta gestione dei beni confiscati, oltre al controllo sulla effettiva destinazione sociale dei beni. L’ufficio del Commissario straordinario è stato, però, soppresso nel dicembre 2003.

 

L'amministrazione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati in sede preventiva è attualmente disciplinata agli artt. 2-sexies e seguenti della citata legge n. 575/1965.

L'art. 2-sexies stabilisce che, nel disporre il sequestro, il tribunale provveda a nominare un giudice delegato alla procedura ed un amministratore.

 Circa i requisiti per la nomina, il comma 3 dell'art. 2-sexies dispone che l'amministratore sia scelto tra gli avvocati, i commercialisti o i ragionieri del distretto di corte d'appello, ovvero nella ipotesi in cui il sequestro riguardi beni aziendali, tra coloro che abbiano svolto o svolgano funzioni di commissario per l'amministrazione di grandi aziende in crisi ai sensi del D.L. n. 26/1979 (L.n. 95/1979)[12]. Per particolari esigenze può essere nominato un soggetto non in possesso delle suddette qualifiche professionali, ma comunque munito di comprovata esperienza nell’amministrazione di beni di tipologia analoga a quelli sequestrati, mentre sono esclusi dalla nomina le persone oggetto delle misure patrimoniali, i parenti, gli affini, i conviventi o le persone interdette anche temporaneamente ai pubblici uffici o sottoposte a misure di prevenzione.

Le funzioni dell'amministratore sono specificate al comma 1 dell'art. 2-sexies e all'art. 2-septies; in particolare l’amministratore:

§      provvede alla custodia, alla conservazione e all'amministrazione dei beni sequestrati, anche nel corso degli eventuali giudizi di impugnazione; la norma precisa che l'amministrazione non deve necessariamente avere finalità conservative, potendo essere anche diretta essere ad incrementare la redditività dei beni;

§      presenta al giudice delegato, entro un mese dalla nomina, una relazione particolareggiata sullo stato e sulla consistenza dei beni sequestrati; successive relazioni sono svolte con la cadenza stabilita dal giudice;

§      segnala al giudice delegato l'esistenza di altri beni di cui sia venuto a conoscenza e che potrebbero essere sequestrati.

Ai sensi dell’art. 2-octies della legge 575, le spese necessarie o utili per la conservazione e la gestione dei beni sequestrati e confiscati sono sostenute dall'amministratore attingendo alle somme riscosse o, in caso di insufficienza delle prime, a quelle anticipate dallo Stato. Specifiche disposizioni sono dettate per il compenso ed i rimborsi spettanti all’amministratore (tali emolumenti sono liquidati dal tribunale con decreto motivato, appellabile davanti alla Corte d’appello).

Al giudice delegato, nominato secondo le stesse modalità stabilite per l’amministratore, sono affidate le seguenti funzioni:

§      dirigere la attività dell’amministratore di gestione dei beni sequestrati;

§      autorizzare, per iscritto, il compimento di atti di straordinaria amministrazione (es: mutui, transazioni, compromessi, fideiussioni, ipoteche, alienazioni di immobili);

§      autorizzare la concessione di un sussidio alimentare al titolare dei beni e alla sua famiglia (cfr art. 47 RD n.267/1942), qualora vengano a mancare i mezzi di sussistenza;

§      autorizzare l'amministratore a farsi coadiuvare, sotto la propria responsabilità, da tecnici o personale retribuito;

§      proporre al tribunale la revoca dell’amministratore in caso di inosservanza dei propri doveri o di incapacità.

 

Dopo l’emanazione del provvedimento di confisca, con cui i beni sono devoluti allo Stato, l'amministratore continua ad esercitare le proprie funzioni[13] sotto la direzione non più del giudice delegato ma dell’Agenzia del territoriocompetente; l'opera dell'amministratore prosegue sino all'esaurimento delle operazioni di liquidazione ovvero sino all'attuazione del decreto con il quale il bene confiscato viene destinato (art. 2-nonies, L 575/1965).

 

Si segnala checon disposizione aggiunta al D.Lgs n. 300 del 1999 dall’articolo 1, comma 1, lettera i) del D.Lgs. n. 173 del 2003[14], alla Agenzia del demanio èattribuita la gestione dei beni confiscati e che l’articolo 2 dello statuto della medesima Agenzia individua, tra i compiti dell’ente, la gestione dei beni mobili e immobili e delle aziende confiscati alla criminalità organizzata, nonché dei veicoli sequestrati e confiscati.

 

L'art. 2-decies disciplina il procedimento di adozione del provvedimento che imprime la destinazione di beni immobili e beni aziendali confiscati. Tale destinazione è effettuata con provvedimento del direttore centrale del demanio del Ministero delle finanze, su proposta non vincolante del dirigente del competente ufficio del territorio, sulla base della stima del valore dei beni effettuata dal medesimo ufficio, acquisiti i pareri del prefetto e del sindaco del comune interessato e sentito l'amministratore nominato dal giudice delegato.

Detta proposta è formulata entro 90 gg. dal ricevimento della comunicazione del provvedimento definitivo di confisca; il provvedimento del direttore centrale del demanio è emanato entro 30 gg. dalla comunicazione della proposta.

 

Per quanto concerne la destinazione dei beni confiscati, occorre ricordare che mentre tutte le somme di denaro che non debbano essere utilizzate per la gestione di altri beni confiscati o che non debbano essere utilizzate per il risarcimento delle vittime dei reati di tipo mafioso  (confiscate o ricavate dalla vendita di beni mobili o dal recupero di crediti personali) debbono essere obbligatoriamente versate dall’amministratore all’ufficio del registro, per la destinazione dei beni immobili sono previste  diverse alternative (art. 2-undecies, comma 2):

 

§      la conservazione al patrimonio dello Stato, con utilizzazione diretta esclusivamente per esigenze istituzionali tipizzate: giustizia, ordine pubblico e protezione civile;

§      il trasferimento al patrimonio del comune ove l'immobile è sito, ovvero al patrimonio della provincia o della regione con destinazione a fini istituzionali e sociali. Gli enti territoriali possono amministrare direttamente il bene o assegnarlo in concessione a titolo gratuito a comunità, ad enti, ad associazioni maggiormente rappresentative degli enti locali, ad organizzazioni di volontariato, a cooperative sociali, o a comunità terapeutiche e centri di recupero e cura di tossicodipendenti. La destinazione del bene da parte del comune deve avvenire entro un anno e in caso di inadempienza si prevede la nomina, da parte del prefetto, di un commissario ad acta;

§      il trasferimento al patrimonio del comune ove l'immobile è sito, se si tratta di beni confiscati per il reato di cui associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga (cfr art. 74 TU sulle tossicodipendenze, D.P.R. n. 309/1990); in questo caso il comune può amministrare direttamente il bene o affidarlo, preferibilmente in concessione, a comunità o enti per il recupero di tossicodipendenti.

 

Per la destinazione dei beni aziendali sono previste, invece, le seguenti  alternative:

§      qualora vi siano prospettive fondate di continuazione o ripresa delle attività produttive l'affitto a titolo oneroso a società e imprese pubbliche o private, oppure l'affitto a titolo gratuito, senza oneri per lo Stato, a cooperative di lavoratori dipendenti dell'impresa confiscata;

§      la vendita a richiedenti, per importo almeno pari alla stima del competente ufficio territoriale del Ministero dell’economia e delle finanze, qualora vi sia maggiore utilità pubblica;

§      la liquidazione, anche in tal caso in presenza di maggiore utilità pubblica.

 

Proprio in relazione ai beni aziendali oggetto di confisca, si segnala che l’art. 1, comma 221, della citata legge finanziaria 2007 (L. 296/2006) ha sostituto il comma 5 dell'articolo 2-undecies della legge 575/1965, norma che prevedeva il versamento all’ufficio del registro dei proventi derivanti dall'affitto, dalla vendita o dalla liquidazione di tali beni .

 

Il citato comma 221, in particolare:

-    ha ampliato l'oggetto della disposizione, affiancando ai citati proventi le somme ricavate dalla vendita dei beni mobili non costituiti in azienda e quelle derivanti dal recupero dei crediti personali;

-    ha vincolato le somme così individuate al finanziamento degli interventi per l'edilizia scolastica e per l'informatizzazione del processo, in egual misura.

 

La legge 109/1996 ha, inoltre, novellato la disciplina sul trattamento straordinario di integrazione salariale e di collocamento in mobilità (L. 23 luglio 1991, n. 223)al fine di estendere tale trattamento anche ai lavoratori delle imprese soggette a sequestro o confisca, fino alla concorrenza massima di lire dieci miliardi annui, previo parere motivato del prefetto (art. 3, comma 5-bis).

 

Come accennato, la legge 109 del 1996 ha, altresì, previsto l’emanazione di norme regolamentari finalizzate ad una raccolta centralizzata ed organica dei dati relativi ai procedimenti di sequestro e confisca.

Tali norme sono ora contenute nel D.M. giustizia 24 febbraio 1997, n. 73, che tra l'altro prevede che i dati raccolti presso i diversi uffici e le diverse istituzioni (le cancellerie e le segreterie degli uffici giudiziari interessati, gli uffici del registro, la Direzione centrale del demanio del Ministero dell’economia e delle finanze[15] e gli uffici del territorio, le prefetture, le questure ed i comuni) debbano affluire presso il Ministero della giustizia.

La legge 109/1996 ha, infine, previsto che il Governo trasmetta ogni sei mesi una relazione al Parlamento sui dati relativi alla consistenza, destinazione ed utilizzazione dei beni sequestrati o confiscati.

 

L’istituzione della Commissione Greco

In relazione alla materia in esame si segnala la recente istituzione presso l'Ufficio Legislativo del Ministero della Giustizia (decreto interministeriale 19 marzo 2007) di una Commissione di studio[16] avente, tra gli altri compiti, quello di proporre interventi volti a razionalizzare e semplificare le procedure di gestione e destinazione dei beni confiscati e sequestrati.

A presiedere la Commissione, che dovrebbe concludere i propri lavori entro il 31 luglio 2007, è stato chiamato il Dott. Francesco Greco, sostituto procuratore presso la Procura della Repubblica del Tribunale di Milano.

 

Si ricorda che già nel corso della XIII^ legislatura era stata istituita presso il Ministero della giustizia, con DM 15 ottobre 1998, una Commissione per la ricognizione e il riordino della normativa di contrasto alla criminalità organizzata, presieduta dal Prof. Giovanni Fiandaca.

La Commissione ha presentato, in tale ambito, un progetto di riforma della disciplina concernente le misure di prevenzione, in prospettiva della emanazione di un testo unico finalizzato al coordinamento e alla razionalizzazione delle numerose disposizioni sulla materia, attualmente presenti in diversi testi legislativi.

In riferimento alle misure patrimoniali, il progetto di riforma prevedeva numerose novità; tra le principali, si ricordano:

o        l’adozione del principio della autonomia delle misure di prevenzione patrimoniali rispetto a quelle personali;

o        la previsione, come unico presupposto per l’adozione delle misure, della sproporzione tra il valore dei beni e il reddito dichiarato o la attività economica svolta;

o        l’introduzione della possibilità di sospendere, in presenza di motivi gravi ed in attesa della decisione della cassazione sul ricorso del PM, l’efficacia del provvedimento di restituzione dei beni sequestrati emesso dalla Corte d’appello (sospensione attualmente possibile solo nei confronti dell’analoga decisione adottata in primo grado);

o        l'adozione di un’autonoma disciplina volta alla tutela dei terzi di buona fede.

 

Il contenuto della proposta di legge AC 2226 (Buemi ed altri)

Il provvedimento in esame modifica talune disposizioni delle citate leggi in materia di misure di prevenzione (L. 575/1965 e 1423/1956) al fine di stabilire il principio generale in base al quale una sentenza definitiva di proscioglimento comporta l’inapplicabilità ovvero la revoca dellemisure di prevenzione personali e patrimoniali disposte sulla basedegli stessi fatti già valutati nel giudizio penale conclusosi con la citata sentenza di proscioglimento .

 

Come si legge nella relazione illustrativa del provvedimento, scopo della proposta di legge in esame è quello di porre rimedio ad “una grave ingiustizia che subiscono quei cittadini che sono sottoposti a misure di prevenzione, sebbene in sede penale siano stati prosciolti nel procedimento di merito” modificando, quindi, l'attuale normativa secondo le indicazioni espresse dalla giurisprudenza più recente.

 

La proposta di legge in esame mira, quindi, al superamento del c.d. modello di intervento a “doppio binario”, in base al quale il procedimento diretto alla applicazione della misura di prevenzione e quello finalizzato all’accertamento del reato e alla determinazione della pena sono considerati autonomi ed indipendenti tra di loro, con la conseguenza, tra l’altro, che la sentenza definitiva di proscioglimento non comporta la automatica cessazione di efficacia delle misure di prevenzione applicate in relazione ai medesimi fatti oggetto dell’accertamento giurisdizionale.

 

In relazione alla nota teoria dell’autonomia dei due procedimenti si segnala che la  Cassazione, sez. I, con la sentenza n. 1706 del 20 giugno 1988, ha affermato che, "in tema di lotta alla delinquenza mafiosa, la differenza, nei presupposti e nei fini, tra il procedimento penale ed il procedimento di prevenzione non solo determina l'autonomia dei due procedimenti ma ha anche notevole rilevanza nelle questioni probatorie. Il primo richiede che la responsabilità penale per un reato sia fondata su prove piene, che sono tali anche se di natura indiretta (indiziaria, secondo la comune definizione), in quanto gli indizi debbono condurre ad un giudizio di certezza sul fatto; il secondo prescinde dall'accertamento della responsabilità penale per un reato, avendo come presupposto la pericolosità, comune o qualificata, del soggetto, la quale richiede un giudizio essenzialmente prognostico rapportato a determinati parametri. Questo giudizio, cioè, si fonda su elementi con minore efficacia probatoria che, tuttavia, qualora si tratti di pericolosità qualificata dall'appartenenza ad associazione di tipo mafioso debbono raggiungere la consistenza dell'indizio con esclusione, quindi, di sospetti, congetture ed illazioni. Ne consegue che è sufficiente ai fini dell'applicazione della misura di prevenzione nei confronti degli indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso che gli indizi dimostrino anche la sola probabilità che il prevenuto sia appartenente all'associazione stessa".

Inoltre, precisa la Cassazione nella medesima sentenza, "l’autonomia del procedimento di prevenzione rispetto al procedimento penale impone al giudice della prevenzione, qualora fondi il suo giudizio su elementi probatori tratti da procedimenti penali in corso, di provvedere ad una propria autonoma valutazione di detti elementi, nel senso che non basta il riferimento generico ad eventuali provvedimenti coercitivi od all'ordinanza di rinvio a giudizio e nemmeno ad una sentenza di condanna non definitiva, (ossia il rinvio, implicito od esplicito alla motivazione adottata dal giudice penale) ma è invece necessario che il giudice esprima il suo autonomo giudizio, non solo indicando gli elementi concreti presi in considerazione, ma anche spiegando le ragioni per le quali tali elementi conducono ad un accertamento di pericolosità sociale, comune o qualificata".

 

Tale orientamento è stato successivamente ribadito dalle Sezioni unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 18 del 3 luglio 1996, le quali hanno rilevato che "l'assoluta autonomia dei due procedimenti - penale e di prevenzione - comporta la possibilità di applicazione dei provvedimenti, personali e/o patrimoniali, anche in contrasto con le conclusioni cui possa pervenire il giudizio penale: e ciò, sia per diversità dei presupposti, sia per la valenza diversa che la legge assegna agli elementi sulla cui base le singole procedure vengono definite".

"Basti porre mente, infatti" osservano le citate Sezioni Unite "al rilievo secondo cui alla mancanza anche assoluta di prove o di gravi indizi di colpevolezza richiesti dalla legge per giungere ad un'affermazione di responsabilità in sede penale non corrisponde affatto un'analoga valenza in tema di "procedimento di prevenzione, nel quale gli indizi di affiliazione ad un clan mafioso - e la indimostrata liceità dell'appartenenza dei beni - possono essere desunti anche dagli stessi fatti storici in ordine ai quali è stata esclusa la configurabilità di illiceità".

Pertanto, le Sezioni Unite hanno rilevato che "la ratio sottesa ai provvedimenti adottabili nell’ambito del procedimento di prevenzione – siccome diretta a colpire beni e proventi di natura presuntivamente illeciti (sussistendo ovviamente i presupposti di legge) per escluderli dal cosiddetto circuito economico-, si ricollega, seppur con un ambito di estensione non identico, alle ipotesi previste dall’art. 240 cpv c.p., nn.1 e 2 (confisca delle cose che costituiscono prezzo del reato e delle cose la cui fabbricazione, uso porto, detenzione o alienazione, costituiscano reato) che, come è noto, prescindono dalla condanna – da una affermazione di responsabilità accertata in sede penale- con la conseguente applicabilità anche nel caso di proscioglimento: quale che sia la formula".

 

In relazione al citato orientamento giurisprudenziale va però rilevato che di recente è intervenuta una ulteriore sentenza delle Sezioni unite della Corte di Cassazione (Cass. S.U. penali, sentenza 8 gennaio 2007, n. 57) chiamate a risolvere un importante contrasto giurisprudenziale in ordine all’applicabilità, alla misura di prevenzione della confisca, della revoca prevista dall’art. 7, comma 2, della legge n. 1423 del 1956 ed in base al quale il provvedimento di prevenzione personale, su istanza dell'interessato e sentita l'autorità di pubblica sicurezza che lo propose, può essere revocato o modificato dall'organo dal quale fu emanato, quando sia cessata o mutata la causa che lo ha determinato[17].

Al riguardo, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la citata sentenza n. 57 del 2007, hanno rilevato che gli argomenti addotti dai fautori della tesi della irrevocabilità della confisca si basano - oltre che su argomentazioni di carattere letterale[18] - anche sul fatto che "al momento del passaggio in giudicato della sentenza che la dispone, alla confisca consegue un istantaneo trasferimento a titolo originario in favore del patrimonio dello Stato del bene che ne costituisce l'oggetto, con conseguente esaurimento ed irreversibilità della situazione giuridica considerata". Non avrebbe senso, quindi, secondo il citato orientamento giurisprudenziale, una revoca ex nunc del provvedimento di prevenzione reale, come diversamente può verificarsi nel caso della revoca della misura preventiva personale, avendo la confisca già prodotto i suoi effetti.

In relazione a tale motivazione le Sezioni Unite hanno, però, diversamente osservato che l'irreversibilità dell'ablazione non impedisce di accertare, "oggi per allora, e nello spazio non precluso dalla definitività del provvedimento, l'originaria insussistenza dei presupposti che hanno condotto alla sua emanazione. Infatti, la dimostrazione dell'insussistenza non è tanto diretta a far cessare gli effetti di una confisca legittimamente imposta, quanto a farne palese un vizio d'origine. Talchè, una volta riconosciuta l'invalidità del titolo, la ritenuta irreversibilità dell'ablazione non esclude la possibilità di una restituzione, per determinazione discrezionale della Pubblica Amministrazione, e, quanto meno, provoca l'insorgenza di un obbligo riparatorio della perdita patrimoniale, priva di giustificazione sin dal momento in cui si è verificata".

Sulla base di queste considerazioni, le citate Sezioni Unite della Cassazione penale riconoscono la possibilità di una revoca della misura reale di prevenzione della confisca "in funzione di revisione, per la persistenza di un concreto interesse e in conformità alla ratio di questo istituto che, al di là di ogni effetto di pratico ripristino, comprende il superamento del degrado sociale, con l'affermazione dell'ingiustizia del provvedimento sanzionatorio[19]".

 

Nello specifico, larticolo 1 della proposta di legge novella l’art. 3 della legge n. 1423 del 1956 integrandone la formulazione con un ulteriore comma volto a stabilire il principio generale in base al quale le misure di prevenzione personali (sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, divieto ed obbligo di soggiorno) non possono essere applicate se per i medesimi fatti oggetto del procedimento di prevenzione è stata pronunciata, in sede penale, sentenza irrevocabile di proscioglimento.

 

Come rilevato in precedenza (cfr. quadro normativo), l’art. 3 della legge n. 1423 del 1956 prevede che a determinati soggetti  che non abbiano cambiato condotta nonostante l'avviso orale del questore a tenere un comportamento conforme alla legge, quando siano pericolosi per la sicurezza pubblica, può essere applicata dal tribunale la misura di prevenzione della sorveglianza speciale della pubblica sicurezza, cui può essere aggiunto ove le circostanze del caso lo richiedano, il divieto di soggiorno in uno o più comuni, diversi da quelli di residenza o di dimora abituale o in una o più Province. Nei casi in cui le altre misure di prevenzione non sono ritenute idonee alla tutela della sicurezza pubblica può essere imposto l'obbligo di soggiorno nel comune di residenza o di dimora abituale.

In relazione all'articolo 1 della proposta di legge in esame, si ricorda, altresì, che la sezione I del Libro VII (giudizio) del capo II (decisione) del codice di procedura penale è dedicata alle "Sentenze di proscioglimento", cui si riferiscono le varie formule che non comportano una condanna. Si tratta, in particolare, della sentenza di non doversi procedere (art. 529) e della sentenza di assoluzione (art.530).

 

In relazione alla medesima circostanza prevista dall'articolo 1, il successivo articolo 2,modificando l’art. 7 della citata legge n. 1423 del 1956, prevede, poi, la revoca obbligatoria del provvedimento di applicazione della misura di prevenzione personale.

 

Al riguardo, si osserva, infatti, che il comma 2 del citato articolo 7 prevede unicamente che il provvedimento che dispone la misura di prevenzione personale, su istanza dell'interessato e sentita l'autorità di pubblica sicurezza che lo propose, può essere revocato o modificato dall'organo dal quale fu emanato, quando sia cessata o mutata la causa che lo ha determinato. Il provvedimento può essere, altresì modificato, anche per l'applicazione del divieto o dell'obbligo di soggiorno, su richiesta dell'autorità proponente, quando ricorrono gravi esigenze di ordine e sicurezza pubblica o quando la persona sottoposta alla sorveglianza speciale abbia ripetutamente violato gli obblighi inerenti alla misura.

 

Il medesimo articolo 2 della proposta di legge specifica, altresì, che la procedura di revoca (la cui competenza è del tribunale) è avviata su istanza di parte, sentita l’autorità proponente la misura (questore).

 

I successivi  articoli 3 e 4 della p.d.l. novellano, rispettivamente, gli artt. 2 e 2-ter della legge n. 575 del 1965.

 

Al riguardo, si ricorda che la legge 31 maggio 1965, n. 575 (Disposizioni contro la mafia), ha esteso le tradizionali misure preventive di natura personale (sorveglianza speciale, divieto ed obbligo di soggiorno) previste dalla citata legge n. 1423 del 1956 agli indiziati di appartenere ad associazioni mafiose, mentre la successiva legge 13 settembre 1982, n. 646 (c.d. Rognoni La Torre) ha esteso le medesime misure anche agli indiziati di appartenere ad associazioni camorristiche ed assimilabili.

Si ricorda, altresì che la legge n. 575/1965 contiene attualmente le principali disposizioni in materia di misure di prevenzione patrimoniali antimafia introdotte nella citata normativa dall citata legge Rognoni-La Torre (legge n. 646/1982). Si tratta, in particolare degli istituti del sequestro e della confisca, volti a sottrarre, prima provvisoriamente e poi in via definitiva, agli appartenenti alle organizzazioni criminali, la disponibilità giuridica e materiale di beni di illecita provenienza.

 

In particolare, l’articolo 3 della proposta di legge prevede l'inserimento del nuovo comma 1-ter all’art. 2 della legge n. 575 del 1965 stabilendo, anche in questo caso, il principio generale della inapplicabilità delle misure di prevenzione personali della sorveglianza speciale di PS e dell'obbligo di soggiorno nel comune di residenza o di dimora abituale (proposte nei confronti di persone indiziate di appartenere ad organizzazioni criminali dal procuratore della Repubblica presso il tribunale nel cui circondario dimora la persona o dal questore, anche se non vi è stato il preventivo avviso) nel caso in cui, in sede penale, per gli stessi fatti oggetto del procedimento di prevenzione, sia intervenuta sentenza irrevocabile di proscioglimento.

 

La medesima inapplicabilità viene, altresì, sancita dall'articolo 3 della proposta di legge anche in relazione alle misure di prevenzione patrimoniali previste dal successivo articolo 2-ter della citata legge 575 del 1965.

 

Nell’analogo caso di sentenza irrevocabile di proscioglimento riguardante i medesimi fatti posti alla base del giudizio di prevenzione, l’articolo 4 della proposta di legge integra con un comma aggiuntivo l'attuale formulazione dell’art. 2-ter della legge n. 575 del 1965 stabilendo, così, l’obbligo di revoca da parte del tribunale delle misure di prevenzione reali (sequestro e confisca) eventualmente disposte.

 


Progetto di legge

 


 

N. 2226

¾

CAMERA DEI DEPUTATI

______________________________

PROPOSTA DI LEGGE

 

d’iniziativa dei deputati BUEMI, ANTINUCCI, BELTRANDI, CREMA, D'ELIA, DI GIOIA, MANCINI, MELLANO, ANGELO PIAZZA, PORETTI, SCHIETROMA, TURCI, TURCO, VILLETTI

¾

 

Modifiche alle leggi 27 dicembre 1956, n. 1423, e 31 maggio 1965, n. 575. Inapplicabilità e cessazione degli effetti di misure di prevenzione a seguito di sentenza irrevocabile di proscioglimento

 

¾¾¾¾¾¾¾¾

Presentata il 7 febbraio 2007

¾¾¾¾¾¾¾¾

 

 


Onorevoli Colleghi! - La presente proposta di legge è diretta a sanare una grave ingiustizia che subiscono tutti quei cittadini che sono sottoposti a misure di prevenzione, sebbene in sede penale siano stati prosciolti nel procedimento di merito, ovviamente qualora non sussistano elementi fattuali desumibili dal giudizio penale o aliunde che denotino la pericolosità del proposto o del sottoposto alla misura di prevenzione personale o patrimoniale.

Del resto, la stessa normativa penalistica sostanziale prevede all'articolo 166, secondo comma, del codice penale, che la condanna a pena condizionalmente sospesa non possa costituire «in alcun caso, di per sé sola, motivo per l'applicazione di misure di prevenzione».

Proprio la ratio di tale disposizione è stata sussunta nell'intento di contenere il fenomeno delle cosiddette «pene accessorie occulte», volte a reprimere (eccedendo la finalità esclusivamente preventiva delle misure di prevenzione) illeciti difficili da provare più che a prevenire la commissione di futuri reati (con gli ovvi consequenziali problemi di costituzionalità).

Di talché, per quanto siano diversi i presupposti e le finalità della sentenza penale rispetto a quelli delle misure di prevenzione, è di tutta evidenza che in nessuno Stato democratico è tollerabile che un medesimo soggetto sia riconosciuto da un giudice (a seguito di un procedimento penale) non appartenente ad una associazione di stampo mafioso e, allo stesso tempo e per gli stessi fatti, da un altro giudice (nell'ambito di un procedimento per l'applicazione di misure di prevenzione) «ritenuto» indiziato o sospettato di appartenervi e, quindi, passibile di essere sottoposto ad una misura di prevenzione.

È evidente che in questo caso tale misura dovrebbe essere revocata per inesistenza originaria dei presupposti legittimanti l'adozione. Ciò anche quando la misura di prevenzione produce un effetto istantaneo anziché permanente, come nel caso della confisca disposta ai sensi dell'articolo 2-ter, terzo comma, della legge 31 maggio 1965, n. 575.

Infatti, come è stato recentemente affermato dalle sezioni unite della Corte di cassazione, con la sentenza n. 57 del 2007, è da escludere che «l'irreversibilità dell'ablazione impedisca di accertare, oggi per allora, e nello spazio non precluso dalla definitività del provvedimento, l'originaria insussistenza dei presupposti che hanno condotto alla sua emanazione. Infatti la dimostrazione dell'insussistenza non è tanto diretta a far cessare gli effetti di una confisca legittimamente imposta, quanto a farne palese un vizio d'origine. Talché, una volta riconosciuta l'invalidità del titolo, la ritenuta irreversibilità dell'ablazione non esclude la possibilità di una restituzione, per determinazione discrezionale della Pubblica Amministrazione, e, quanto meno, provoca l'insorgenza di un obbligo riparatorio della perdita patrimoniale, priva di giustificazione sin dal momento in cui si è verificata. Di qui dunque la possibilità di una revoca in funzione di revisione, per la persistenza di un concreto interesse e in conformità alla ratio di questo istituto che, al di là di ogni effetto di pratico ripristino, comprende il superamento del degrado sociale, con l'affermazione dell'ingiustizia del provvedimento sanzionatorio».

La presente proposta di legge è in linea proprio con i princìpi ai quali si sono ispirate con la predetta sentenza le sezioni unite nel superare un contrasto della giurisprudenza di legittimità in ordine alla revocabilità della confisca disposta ai sensi dell'articolo 2-ter, terzo comma, della legge n. 575 del 1965. Con questa sentenza, infatti, si è sancita definitivamente l'applicabilità dell'articolo 7, secondo comma, della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, in materia di revoca, qualora vi sia una invalidità genetica del provvedimento di confisca. Rispetto alla citata sentenza n. 57 del 2007 delle sezioni unite, la presente proposta di legge costituisce un ulteriore passo in avanti, laddove si prevede ex lege che la sentenza definitiva di proscioglimento anche dall'accusa di partecipazione ad un'associazione di stampo mafioso precluda la possibilità di sottoporre a misura di prevenzione personale e patrimoniale ovvero a revocarla se già applicata per la mera esistenza del procedimento di merito pendente.

È evidente che tale soluzione normativa non mette in dubbio la peculiarità dello strumento delle misure di prevenzione rispetto allo strumento penale. Ed invero alle misure di prevenzione spetta la funzione di impedire il compimento dei reati, mentre al diritto penale spetta prevalentemente la funzione repressiva in riferimento a reati già posti in essere. Le misure di prevenzione, infatti, sono interventi considerati tradizionalmente - e formalmente - di carattere amministrativo, sebbene abbiano ormai subìto, per più versi, un netto processo di giurisdizionalizzazione, che ha condotto parte della dottrina a configurarle sostanzialmente come «sanzioni penali anomale» volte ad impedire che determinati soggetti, ritenuti socialmente pericolosi, commettano reati. La caratteristica di tali misure è pertanto quella di venire applicate indipendentemente dalla commissione di un precedente reato. Da questa innegabile diversità di funzioni si fa correttamente derivare l'autonomia dei procedimenti. Tuttavia non è corretto considerare assoluta questa autonomia, dovendo essa incontrare dei limiti ben precisi. Proprio l'individuazione di questi limiti costituisce l'oggetto della presente proposta di legge.

Come ha più volte ribadito la Corte di cassazione (si veda, ad esempio, la sentenza n. 1706 del 16 luglio 1967), autonomia significa, da un lato, che la responsabilità penale per un reato deve essere fondata su prove piene, che sono tali anche se di natura indiretta (indiziaria è la comune definizione), in quanto gli indizi devono condurre ad un giudizio di certezza sul fatto e, dall'altro, che la misura di prevenzione può prescindere dall'accertamento della responsabilità penale per un reato, avendo come presupposto la pericolosità, comune o qualificata, del soggetto, la quale richiede un giudizio essenzialmente prognostico rapportato a determinati parametri. La circostanza che questo giudizio si fonda su elementi con minore efficacia probatoria rispetto a quelli penali significa comunque (è la Corte di cassazione a stabilirlo) che, qualora si tratti di pericolosità qualificata dall'appartenenza ad un'associazione di tipo mafioso, tali elementi devono raggiungere la consistenza dell'indizio con esclusione, quindi, di sospetti, congetture e illazioni. In sostanza, anche le misure di prevenzione devono avere una giustificazione di carattere oggettivo. Si ricorda, infatti, che ai sensi dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, le misure di prevenzione si devono ancorare ad elementi di fatto dai quali poter desumere la pericolosità del destinatario. Ne consegue che è sufficiente, ai fini dell'applicazione della misura di prevenzione nei confronti degli indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso, che gli indizi dimostrino anche la sola probabilità che il prevenuto sia appartenente all'associazione stessa. Ma in uno Stato di diritto non si può ammettere che tale probabilità sussista anche a fronte di una sentenza di assoluzione. L'autonomia tra i due procedimenti deve venire meno quando si accerta con sentenza irrevocabile l'innocenza del soggetto sottoposto a misura di prevenzione, in quanto presunto pericoloso, prescindendo dai sintomi fattuali già oggetto di verifica del giudice di merito: in questo caso vengono meno tutti gli elementi sui quali poter basare una prognosi positiva di pericolosità del soggetto. Solamente finché tale accertamento non sia stato raggiunto è corretto considerare autonomi il procedimento penale e quello delle misure di prevenzione. Dopo tale momento l'autonomia si traduce in una ingiustizia.

La presente proposta di legge (nell'auspicio che nell'immediato proseguo si provvederà ad una revisione organica e complessiva in un testo unico, se non in una previsione normativa penale sostanziale, della materia in oggetto), in definitiva, modifica la legge 27 dicembre 1956, n. 1423, e la legge 31 maggio 1965, n. 575, stabilendo il principio in base al quale la sentenza di assoluzione del soggetto proposto o sottoposto a misura di prevenzione deve, rispettivamente, per il primo escluderne l'applicazione, per il secondo provocarne la cessazione degli effetti ex tunc, qualora le misure di prevenzione trovino fondamento sui fatti per i quali è stata pronunciata sentenza di proscioglimento.



 


proposta di legge

¾¾¾

 


 

Art. 1.

1. All'articolo 3 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, e successive modificazioni, è aggiunto, in fine, il seguente comma:

«Le misure di prevenzione di cui al presente articolo non possono essere applicate se, per gli stessi fatti oggetto del procedimento di prevenzione, è stata pronunciata sentenza irrevocabile di proscioglimento».

Art. 2.

1. Dopo il primo comma dell'articolo 7 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, è inserito il seguente:

«Il provvedimento di applicazione delle misure di prevenzione di cui all'articolo 3 deve essere revocato, su istanza dell'interessato e sentita l'autorità di pubblica sicurezza che lo ha proposto, dall'organo dal quale è stato emanato se, per gli stessi fatti oggetto del procedimento di prevenzione, è stata pronunciata sentenza irrevocabile di proscioglimento».

Art. 3.

1. Dopo il comma 1-bis dell'articolo 2 della legge 31 maggio 1965, n. 575, è aggiunto il seguente:

«1-ter. Le misure di prevenzione di cui al comma 1 del presente articolo e di cui all'articolo 2-ter non possono essere applicate se, per gli stessi fatti oggetto del procedimento di prevenzione, è stata pronunciata sentenza irrevocabile di proscioglimento».

 

Art. 4.

1. Dopo il quinto comma dell'articolo 2-ter della legge 31 maggio 1965, n. 575, è inserito il seguente:

«I provvedimenti previsti dal presente articolo devono essere revocati dal tribunale se, per gli stessi fatti oggetto del procedimento di prevenzione, è stata pronunciata sentenza irrevocabile di proscioglimento».

 


 



[1]    La legge reca: Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità.

[2]    La legge reca: Disposizioni in materia di misure di prevenzione di carattere patrimoniale ed integrazione alle leggi 27 dicembre 1956, n. 1423, 10 febbraio 1962, n. 57 e 31 maggio 1965, n. 575. Istituzione di una commissione parlamentare sul fenomeno della mafia.

[3]     Si tratta di coloro che debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che sono abitualmente dediti a traffici delittuosi; coloro che per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose; coloro che per il loro comportamento debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che sono dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l'integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica.

[4]    La legge reca:  Norme in materia di misure di prevenzione personali.

[5]    La legge reca: Nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione di pericolosità sociale.

[6]    La legge reca: Disposizioni in materia di gestione e destinazione di beni sequestrati o confiscati. Modifiche alla legge 31 maggio 1965, n. 575, e all'art. 3 della legge 23 luglio 1991, n. 223. Abrogazione dell'art. 4 del decreto-legge 14 giugno 1989, n. 230, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 1989, n. 282.

[7]   Per la disciplina dell’ordinario sequestro preventivo, applicabile non già nel corso di un procedimento di prevenzione, ma nel corso del procedimento penale, si vedano gli articoli 321 e seguenti del codice di procedura penale.

[8]   La legge n.256/1993, novellando l’art. 2-ter,  secondo comma della legge n.575, ha ampliato l’operatività del sequestro di prevenzione, rendendo applicabile la misura anche in presenza di uno solo dei due presupposti principali (sperequazione tra tenore di vita e redditi dichiarati; sufficienti indizi sulla provenienza illecita dei beni).

[9]   La confisca penale ordinaria, applicabile, pertanto, non già nel corso del procedimento di prevenzione ma di quello penale, è prevista all'art. 240 c.p. come misura di sicurezza patrimoniale e può essere sia facoltativa che obbligatoria. La confisca facoltativa è disciplinata al primo comma del citato art.240: nel caso di condanna, il giudice può disporre la confisca delle cose che sono servite o sono state destinate a compiere il reato e delle cose che costituiscono il prodotto o il profitto dell’attività delittuosa; il secondo comma prevede, invece, la confisca obbligatoria delle cose che costituiscono il prezzo del reato e, anche se non viene pronunciata condanna, delle cose la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione, alienazione costituisce reato.

A tutela dei terzi possessori, il terzo comma esclude l’applicabilità della confisca facoltativa e di quella obbligatoria del prezzo del reato, nel caso in cui la cosa appartenga a persona estranea al reato stesso. La tutela del terzo è invece disciplinata diversamente se si tratti di cose la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione, alienazione costituisca reato; in tal caso, la confisca  è obbligatoria anche se la cosa appartiene ad un terzo. È invece esclusa la possibilità di disporre la confisca delle cose quando le attività descritte dalla norma possano essere autorizzate in via amministrativa.

Ipotesi di confisca penale obbligatoria è, tra le altre, quella prevista all’art. 416-bis, comma 7, c.p.., oltre che nei casi indicati, anche per le cose che costituiscono il reimpiego del profitto illecito. Tra le ulteriori ipotesi di confisca obbligatoria si segnalano quelle previste agli articoli 100 e 101 del TU sugli stupefacenti (DPR n. 309/1990) nonché agli artt. 301 e ss. del TU doganale o sul contrabbando (DPR n. 43/1973).

 

[10]  In particolare, l’art. 86 stabilisce che tali beni siano venduti, ovvero distrutti se la vendita non risulti opportuna. Tale regola, precisa la disposizione richiamata, non si applica nei casi in cui sia prevista una specifica destinazione delle cose confiscate.

[11]   La legge reca "Disposizioni in materia di gestione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati. Modifiche alla legge 31 maggio 1965, n. 575, e all'articolo 3 della legge 23 luglio 1991, n. 223. Abrogazione dell'articolo 4 del decreto-legge 14 giugno 1989, n. 230, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 1989, n. 282"

[12]  Tale previsione va oggi riferita ai commissari giudiziali di cui al D.Lgs. n. 270 del 1999 (Nuova disciplina dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, a norma dell'articolo 1 della L. 30 luglio 1998, n. 274).

 

[13]   La gestione deve essere effettuata secondo le disposizioni della legge n. 1041/1971(relativa alle gestioni fuori bilancio), secondo le norme che regolano l'amministrazione durante il sequestro e la confisca ed in base alle prescrizioni contenute nel decreto del Ministro del Tesoro del 27 marzo 1990, emanato di concerto con il Ministro delle finanze: il principio cardine, comune a tali disposizioni, è quello della copertura delle spese con le risorse della gestione; il rimborso e la anticipazione delle spese che non siano coperte dalle risorse della gestione sono disposti dal dirigente dell’Agenzia del territorio, secondo le procedure delle aperture di credito sui fondi a propria disposizione.

[14]   D.Lgs 3 luglio 2003, n. 173, Riorganizzazione del Ministero dell'economia e delle finanze e delle agenzie fiscali, a norma dell'articolo 1 della L. 6 luglio 2002, n. 137.

[15]   Ora Agenzia del demanio.

[16]   Si tratta della “Commissione per lo studio e la proposta di riforme e di interventi per la razionalizzazione, armonizzazione e semplificazione delle procedure processuali ed amministrative relative alle sanzioni pecuniarie da reato applicate a norma del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, alle spese processuali ed alla gestione dei beni confiscati ed in giudiziale sequestro nonché la verifica ed ampliamento delle forme di contrasto alla criminalità economica con riferimento particolare all’ambito di applicazione della responsabilità degli enti”.

[17]   In merito alla citata applicazione analogica, infatti, la Cassazione si è espressa, in passato, sia negativamente (Cass., sez. 5^, sent. 15 gennaio 2004, n. 5738 e sent. 27 giugno 2006, n. 33056) che positivamente (Cass., sez. 6^, sent. 17 settembre 2004, n. 46449 e sent. 18 ottobre 2005, n. 44985), determinando, quindi, il citato intervento delle Sezioni Unite penali della Cassazione .

[18]   La legge 575/1965 prevede la revoca del solo sequestro e non della confisca 8 (art. 2-ter); inoltre, il regime delle impugnazioni delle misure reali non fa rinvio al citato art. 7 della legge 1423 che disciplina l’istituto della revoca (art. 3-ter).

[19]   Le Sezioni Unite rilevano, inoltre, - in relazione poi all'ulteriore argomento contrario alla revocabilità, formulato in considerazione della distinzione tra gli interessi sottesi alle diverse misure di prevenzione, personali o reali- "che attraverso la revoca in funzione di revisione, si tratta di porre rimedio ad un errore giudiziario. E in vista di questo fine è allora inconferente parlare di eterogeneità degli interessi tutelati, dato che anche la lesione del diritto di proprietà appare quale violazione di bene costituzionalmente protetto, al pari dell'ingiustificata limitazione di libertà. Con la conseguenza che nulla impedisce di ritenere accomunati il regime di revoca delle misure di prevenzione personali a quello reale della confisca, nell'identità dell'interesse a predisporre un mezzo per la riparazione dell'ingiustizia".