Camera dei deputati - XV Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento giustizia
Titolo: Risarcimento dei danni alle vittime di reati - A.C. 1705
Riferimenti:
AC n. 1705/XV     
Serie: Progetti di legge    Numero: 94
Data: 31/01/2007
Descrittori:
RISARCIMENTO DI DANNI   VITTIME DI AZIONI CRIMINOSE
Organi della Camera: II-Giustizia


Camera dei deputati

XV LEGISLATURA

 

SERVIZIO STUDI

 

Progetti di legge

Risarcimento dei danni alle vittime di reati

A.C. 1705

 

 

 

 

 

n. 94

 

 

31 gennaio 2007

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dipartimento giustizia

SIWEB

 

 

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File: GI0105.doc

 

 


INDICE

Scheda di sintesi

Dati identificativi3

Struttura e oggetto  4

§      Contenuto  4

§      Relazioni allegate  5

Elementi per l’istruttoria legislativa  6

§      Necessità dell’intervento con legge  6

§      Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite  6

§      Rispetto degli altri princìpi costituzionali6

§      Incidenza sull’ordinamento giuridico  7

§      Impatto sui destinatari delle norme  7

§      Formulazione del testo  7

Schede di lettura

Il quadro normativo  11

§      Tutela delle vittime dei reati11

Contenuto della proposta di legge  21

§      Articolo 1  21

§      Articolo 2  25

§      Articolo 3  31

§      Articolo 4  34

§      Articolo 5  38

Progetto di legge

§      A.C. 1705, (on. Cirielli ed altri), Introduzione dell'articolo 187-bis del codice penale e altre disposizioni in materia di risarcimento dei danni alle vittime di reati da parte dello Stato  41

§      Codice penale (artt. 151, 163-168, 174, 176, 240, 416-bis)50

§      Codice di procedura penale (artt. 76 e 90-95)60

§      L. 31 maggio 1965 n. 575. Disposizioni contro la mafia (art. 2-undecies)63

§      L. 26 luglio 1975 n. 354. Norme sull'ordinamento penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative e limitative della libertà (artt. 21, 47- 58-quater)66

§      L. 24 novembre 1981, n. 689. Modifiche al sistema penale (artt. 53-85)85

§      D.L. 8 giugno1992 n. 306. Modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa (convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 1992, n. 356) (art. 12-sexies)102

§      D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115. Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia. (Testo A).  (artt. 74-149 e 200-249)105

§      L. 31 luglio 2006, n. 241. Concessione di indulto.149

Documentazione

§      Ministero della giustizia – Dati statistici soggetti beneficiari dell’indulto concesso con la legge n. 241/2006  155

 

 

 


Scheda di sintesi

per l’istruttoria legislativa

 


 

Dati identificativi

Numero del progetto di legge

1705

Titolo

Introduzione dell'articolo 187-bis del codice penale e altre disposizioni in materia di risarcimento dei danni alle vittime di reati da parte dello Stato

Iniziativa

Parlamentare

Settore d’intervento

Diritto penale

Iter al Senato

No

Numero di articoli

5

Date

 

§       presentazione alla Camera

27 settembre 2006

§       annuncio

28 settembre 2006

§       assegnazione

20 dicembre 2006

Commissione competente

II Commissione (Giustizia)

Sede

Referente

Pareri previsti

I Commissione (Affari costituzionali); V Commissione (Bilancio

 


Struttura e oggetto

Contenuto

La proposta di legge in esame, composta da cinque articoli, prevede una particolare forma di tutela risarcitoria sussidiaria da parte dello Stato nei confronti delle vittime dei reati commessi da coloro che versano in talune delle condizioni indicate dall'articolo 2 medesima proposta di legge.

 

Nello specifico, mentre l'articolo 1 del provvedimento afferma che la tutela nei confronti della vittima del reato e della persona danneggiata dal reato è accordata dallo Stato in base alla legislazione vigente, il successivo articolo 2 della proposta inserisce nel codice penale il nuovo articolo 187-bis, rubricato “Risarcimento da parte dello Stato”.

 

La nuova disposizione penale, in particolare, al comma 1, prevede che lo Stato debba procedere al risarcimento del danno patrimoniale o non patrimoniale cagionato dal reato quando lo stesso sia stato commesso:

 

Ø      da una persona che sia stata liberata a seguito di concessione di amnistia, indulto o grazia, liberazione condizionale, sospensione condizionale della pena, nei cinque anni successivi alla concessione del beneficio;I

Ø      da una persona ammessa ad una misura alternativa alla detenzione, durante l’esecuzione della misura stessa;

Ø      da una persona ammessa ad un permesso o beneficio penitenziario che comporti il godimento di libertà durante l’esecuzione della pena;

Ø      da una persona condannata a sanzioni sostitutive di pene detentive brevi, durante l’esecuzione delle sanzioni;

 

Il comma 2 del nuovo articolo 187-bis specifica che compete allo Stato il risarcimento solamente nel caso in cui la persona danneggiata abbia agito in giudizio contro il colpevole e le persone civilmente responsabili e sia rimasta, anche in parte insoddisfatta.

 

Il successivo comma 3 del nuovo articolo 187-bis, prevede, poi, che lo Stato recuperi dal colpevole e dalle persone civilmente responsabili quanto risarcito alle vittime  dei reati commessi dalle persone sopra indicate.

 

L'articolo 3, contempla la possibilità per la vittima del reato, nei casi previsti dal precedente articolo 2, di accedere al patrocinio a spese dello Stato nel processo penale e nel processo civile anche in deroga ai limiti di reddito stabiliti, in via generale, dal Testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115.

 

L'articolo 4 concerne la copertura finanziaria del provvedimento, mentre l'articolo 5 riguarda la sua entrata in vigore.

Relazioni allegate

La proposta di legge, di iniziativa parlamentare, è accompagnata dalla sola relazione illustrativa.


 

Elementi per l’istruttoria legislativa

Necessità dell’intervento con legge

La proposta di legge in esame, oltre a prevedere l'introduzione del nuovo articolo 187-bis del codice penale, stabilisce, altresì, una deroga alle norme previste dal D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 recante il Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia; si giustifica pertanto l'utilizzazione dello strumento legislativo.

Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite

La proposta di legge in esame individua una particolare forma di tutela risarcitoria da parte dello Stato nei confronti delle vittime dei reati commessi da coloro che si trovano in talune delle condizioni indicate nella medesima proposta di legge.

A tal fine l'articolo 2 del provvedimento inserisce nel codice penale l’art. 187-bis, rubricato “Risarcimento da parte dello Stato”.

Si tratta, pertanto, di materia rientrante nella potestà legislativa esclusiva dello Stato, ai sensi dell'articolo 117, comma 2, lettera l (giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa).

Rispetto degli altri princìpi costituzionali

L'articolo 3 della proposta di legge in esame prevede la possibilità per la vittima del reato, nei casi stabiliti all'articolo 2, di accedere al patrocinio a spese dello Stato nel processo penale e nel processo civile, anche in deroga ai limiti di reddito stabiliti, in via generale, dal Testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115.

 

Al riguardo, si ricorda che il gratuito patrocinio è un istituto comune a qualsiasi giurisdizione e trae fondamento dall'articolo 24 della Costituzione in base al quale tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi. La difesa è un diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento. Sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione.

Incidenza sull’ordinamento giuridico

Collegamento con lavori legislativi in corso

In via generale, si segnala che in relazione alla materia delle vittime del reato, presso la Commissione Affari costituzionali della Camera è in corso l'esame della proposta di legge costituzionale Boato C. 1242 recante "Modifica all'articolo 111 della Costituzione in materia di garanzia dei diritti delle vittime di reato".

La Camera dei deputati, ha, inoltre, approvato in prima lettura la proposta di legge Mazzoni C. 616 recante "Modifica dell'articolo 15 della legge 3 agosto 2004, n. 206, in materia di benefìci per le vittime del terrorismo".

Impatto sui destinatari delle norme

Come evidenziato nella relazione illustrativa del provvedimento, la proposta di legge in esame è volta a garantire una particolare forma di assistenza sussidiaria dello Stato a favore delle vittime dei reati commessi dai soggetti che versano nelle condizioni indicate all'articolo 2 della proposta di legge, accrescendo, quindi, il grado di tutela delle vittime medesime.

Formulazione del testo

In relazione all'articolo 2, al fine di evitare eventuali dubbi interpretativi, si valuti l'opportunità di indicare espressamente i presupposti in presenza dei quali la persona danneggiata può ricorrere alla particolare tutela risarcitoria sussidiaria dello Stato.

In particolare, se, da un lato, è ragionevole ritenere che l’insoddisfazione è conseguenza dell’insolvibilità del condannato o del responsabile civile, dall'altro lato, la formulazione della norma sembra riferirsi ad una divergenza tra risarcimento chiesto e risarcimento riconosciuto nel corso del giudizio.

Inoltre, nel caso in cui si propenda per la prima delle due interpretazioni, occorrerebbe chiarire se la norma intenda subordinare la concessione del risarcimento al fatto che il richiedente abbia compiuto specifiche azioni per far eseguire una decisione di condanna al pagamento dei danni.

 

In merito alla formulazione dell'articolo 4 si osserva che sarebbe opportuno indicare il complessivo onere finanziario derivante dall'attuazione della proposta di legge, anche al fine di valutare la congruità della relativa copertura finanziaria.


Schede di lettura

 


Il quadro normativo

Tutela delle vittime dei reati

La proposta di legge in esame è volta prevedere una particolare forma di tutela statale risarcitoria, a carattere sussidiario, nei confronti delle vittime dei reati commessi da coloro che versano in talune delle condizioni indicate dall'aricolo 2 della medesima proposta di legge.

 

Al riguardo, si osserva che la legislazione vigente non contempla una normativa generale a tutela di tutte le vittime dei reati: finora sono state infatti adottate misure e forme di assistenza, sostegno e informazione solo a favore di alcune vittime di "specifici" illeciti.

L’articolata legislazione in materia ha infatti origine con la determinazione di una serie di provvidenze a favore degli appartenenti alle forze dell’ordine e dei militari colpiti nell’adempimento del dovere. Successivamente, la platea dei beneficiari si è andata estendendo, arrivando a comprendere le vittime del terrorismo e, più in generale, le vittime di azioni criminose.

 

Basata inizialmente su una disposizione del R.D.L. 261/1921[1] la disciplina generale in materia di vittime del dovereha subìto nel tempo numerose integrazioni e modifiche dirette soprattutto a:

-       adeguare la misura dell’elargizione una tantum che, almeno inizialmente, costituiva la principale provvidenza;

-       estendere le categorie ammesse a fruire dei benefìci previsti dalla legge;

-       diversificare i tipi di provvidenze, affiancando alla elargizione una tantum la concessione di pensioni privilegiate, l’attribuzione del diritto all’assunzione obbligatoria e l’esenzione dal pagamento dei ticket sanitari;

-       ampliare le condizioni per la concessione dei benefìci, sia per ciò che riguarda gli eventi considerati (morte, invalidità permanente), sia per quanto concerne le circostanze in cui l’evento si verifica, sia con riferimento alla data di decorrenza dei benefìci stessi.

 

La vigente disciplina di ordine generale fa principalmente capo alle leggi 466/1980[2], 302/1990[3], 407/1998[4], all’art. 82 della legge finanziaria 2001[5], oltre che alla legge 206/2004[6]. Le leggi 302/1990 e 407/1998 sono state da ultimo modificate in alcuni punti dal D.L. 13/2003[7]. Specificatamente dedicata ai militari deceduti o feriti in servizio è la L. 308/1981[8]. Il regolamento approvato con D.P.R. 510/1999[9]ha disciplinato in modo unitario e coordinato le modalità di attuazione delle citate leggi 466/1980, 302/1990 e 407/1998.

 

La legge 13 agosto 1980, n. 466 ha mirato ad una riorganizzazione della materia, prevedendo:

-        l’estensione della già prevista elargizione una tantum (aumentata a 100 milioni di lire) a nuove categorie di soggetti, in caso di morte o di grave invalidità: la misura interessa – oltre agli appartenenti alle Forze di polizia – i vigili del fuoco, i militari delle Forze armate, i vigili urbani, i magistrati ordinari, qualsiasi persona legalmente richiesta di prestare assistenza alle Forze di polizia, nonché tutti i cittadini italiani quando la morte o la grave invalidità consegua ad azioni terroristiche;

-        il diritto all’assunzione obbligatoria, secondo le disposizioni sul collocamento, al coniuge superstite ed ai figli dei soggetti appartenenti alle categorie destinatarie delle provvidenze, con precedenza su ogni altra categoria prevista dalle leggi vigenti;

-        l’ulteriore precisazione della definizione di “vittime del dovere”, comprendendo nelle circostanze legittimanti la corresponsione dei benefìci – indicate nell’art. 1 della L. 629/1973 – anche gli eventi connessi all’espletamento delle funzioni di istituto, proprie delle categorie considerate, e, più specificamente, all’attività di soccorso ed alle operazioni di polizia preventiva e repressiva.

 

La legge 3 giugno 1981, n. 308 ha introdotto norme in favore dei militari di leva e di carriera appartenenti alle Forze armate, feriti o caduti in servizio e dei loro superstiti, a seguito di eventi occorsi a partire dal 1979.

Essa dispone la concessione della pensione privilegiata ordinaria nonché dei benefìci, relativi anch’essi al trattamento pensionistico, previsti dagli articoli 15 e 16 della L. 9/1980[10], ai militari, di carriera o di leva, ed ai loro congiunti, che subiscano, per causa di servizio o durante il periodo di servizio, un evento dannoso che ne provochi la morte o che comporti una menomazione dell’integrità fisica ascrivibile ad una delle categorie di cui alla tabella A o alla tabella B, del testo unico sulle pensioni di guerra (L. 313/1968[11]).

Ai soggetti sopraindicati si applicano, inoltre, le norme sull’equo indennizzo, di cui alla L. 1094/1970[12].

Ai superstiti dei militari caduti nell’adempimento del dovere in servizio di ordine pubblico o di vigilanza ad infrastrutture civili e militari, ovvero in operazioni di soccorso, è corrisposta una speciale elargizione di 200.000 euro pari quella prevista per i superstiti delle vittime del dovere (tale importo è stato così fissato da ultimo con il D.L. 337/2003).

L’art. 7 della legge stabilisce che i benefìci derivanti dall’applicazione della legge stessa decorrono dal 1° gennaio 1979; tale data non costituisce termine di decorrenza dei benefìci, bensì termine per l’applicazione della legge, nel senso che questa si applica solo per i fatti verificatisi dall’entrata in vigore da quella data in poi[13].

 

La legge 20 ottobre 1990, n. 302, recante norme a favore delle vittime di atti di terrorismo e della criminalità organizzata avvenuti nel territorio dello Stato a partire dal 1967, ha disposto:

-        l’elevazione fino a 150 milioni di lire delle elargizioni di cui alla L. 466/1980 citata;

-        un ampliamento delle categorie dei beneficiari, prevedendo la corresponsione di un’elargizione, anch’essa pari a 150 milioni, a chiunque[14] subisca un’invalidità permanente per effetto di ferite o lesioni riportate in conseguenza di vari accadimenti e, in particolare:

·       di atti di terrorismo o eversione dell’ordine democratico;

·       di fatti delittuosi commessi per il perseguimento delle finalità delle associazioni mafiose;

·       di operazioni di prevenzione o repressione dei fatti delittuosi previsti dai punti precedenti;

·       di assistenza prestata ad ufficiali e agenti di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza, nel corso di operazioni di lotta al terrorismo ed alla criminalità organizzata;

-        la corresponsione della elargizione anche ai superstiti, compresi:

·       i componenti la famiglia della vittima;

·       i soggetti non parenti né affini, né legati da rapporto di coniugio, che risultino conviventi a carico della vittima negli ultimi tre anni precedenti l’evento;

·       i conviventi more uxorio;

-        l’introduzione della possibilità, per i beneficiari che abbiano riportato una invalidità pari ad almeno due terzi della capacità lavorativa e per i superstiti, di ottenere un assegno vitalizio, in luogo dell’elargizione in unica soluzione;

-        il diritto all’assunzione obbligatoria presso le pubbliche amministrazioni dei coniugi superstiti, figli e genitori dei soggetti deceduti o resi permanentemente invalidi in misura non inferiore all’80% della capacità lavorativa (tale disposizione è stata poi abrogata dall’art. 22 della L. 68/1999);

-        l’esenzione dal pagamento dei ticket sanitari per ogni tipo di prestazione conseguente agli eventi che legittimano la corresponsione dei benefìci.

 

Sul modello della normativa introdotta con la L. 302/1990, sono stati approvati in seguito provvedimenti in favore delle vittime di specifici atti criminosi, quali:

-        la L. 9 novembre 1994, n. 628, recante disposizioni urgenti in favore delle famiglie dei marittimi italiani vittime dell’eccidio in Algeria del 7 luglio 1994;

-        la L. 8 agosto 1995, n. 340, che ha disposto l’estensione dei benefìci previsti dalla citata L. 302/1990 ai componenti delle famiglie di coloro che hanno perso la vita nel disastro aereo di Ustica del 27 giugno 1980;

-        la L. 31 marzo 1998, n. 70, che prevede l’estensione delle disposizioni di cui alla L. 302/90 alle vittime della cosiddetta banda della “Uno bianca”.

 

È quindi intervenuta la legge 23 novembre 1998, n. 407, che – nel testo modificato dal citato D.L. 13/2003 – apporta, tra le altre, le seguenti innovazioni:

-        diritto al collocamento obbligatorio ai soggetti di cui all’art. 1 della L. 302/1990 (si tratta di coloro che hanno subito un’invalidità permanente a causa di atti di terrorismo) e ai superstiti dei deceduti;

-        corresponsione di un vitalizio, oltre alla elargizione una tantum, di 500 mila lire mensili a chiunque subisca un’invalidità permanente non inferiore a un quarto della capacità lavorativa e ai superstiti delle vittime;

-        attribuzione di due annualità della pensione di reversibilità ai congiunti degli invalidi di cui all’art. 1 della L. 302/1990, in caso di decesso di questi ultimi;

-        istituzione di borse di studio riservate agli invalidi di cui sopra e agli orfani e ai figli delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata;

-        riliquidazione degli importi già corrisposti a titolo di speciale elargizione sulla base della rivalutazione operata dalla L. 302/1990, che, si ricorda, aveva elevato l’importo a 150 milioni di lire[15].

 

Per le vittime dei reati di tipo mafioso la legge 22 dicembre 1999, n. 512 ha istituito un Fondo di rotazione apposito alimentato da un contributo annuo dello Stato e dai proventi derivanti dalla confisca dei beni mafiosi. Le dotazioni del fondo sono destinate al pagamento delle somme liquidate con sentenza a titolo di risarcimento dei danni subìti in conseguenza di reati di tipo mafioso.

 

Un ulteriore assestamento di questa disciplina è stato operato dall’art. 82 della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (legge finanziaria 2001), che, tra l’altro:

-        riliquida gli importi già corrisposti a titolo di speciale elargizione di cui alla citata L. 466/1980 ai “superstiti di atti di terrorismo”, colpiti da grave invalidità permanente, tenendo conto dell’aumento (a 150 milioni) disposto dalla successiva L. 302/1990. Precisa inoltre a quali familiari delle vittime di atti di terrorismo – e in quale ordine – spettino le provvidenze ex L. 302/1990 in assenza dei familiari più prossimi in grado;

-        prevede che i benefìci previsti dalla L. 302/1990 e dalla L. 407/1998 si applichino a decorrere dal 1º gennaio 1967[16];

-        introduce un principio di ordine generale, in base al quale per la concessione di benefìci alle vittime della criminalità organizzata si applicano le norme vigenti in materia per le vittime del terrorismo, qualora più favorevoli;

-        attraverso due modifiche alla L. 407/1998, tende ad equiparare, dal punto di vista dei benefìci, le vittime della criminalità organizzata a quelle del terrorismo.

 

La legge 3 agosto 2004, n. 206 ha dettato norme in favore dei cittadini italiani vittime di atti di terrorismo e di stragi, compiute sul territorio nazionale o all’estero, e dei loro familiari superstiti. Tale legge si innesta sulla stratificata disciplina preesistente: l’art. 1 infatti prevede in via generale che, per quanto non espressamente previsto dalla legge stessa, si applicano le disposizioni contenute nelle leggi 302/1990 e 407/1998 e l’art. 82 della L. 388/2000.

Le altre misure stabiliscono:

-        la ridefinizione a 200.000 euro dell’entità massima delle elargizioni, già disposte dalla normativa previgente, in favore di chiunque subisca una invalidità permanente (o dei familiari in caso di morte) a causa di atti di terrorismo;

-        la concessione, oltre all’elargizione, di uno speciale assegno vitalizio, non reversibile, di 1.033 euro mensili, soggetto alla perequazione automatica;

-        la rivalutazione delle percentuali di invalidità già riconosciute e indennizzate in base alla normativa preesistente, tenendo conto dell’eventuale intercorso aggravamento fisico e del riconoscimento del danno biologico e morale;

-        la prestazione, a carico dello Stato, dell’assistenza psicologica alle vittime e ai loro familiari;

-        alcuni benefìci che incidono sui trattamenti pensionistici (aumento figurativo di 10 anni dei versamenti contributivi utili ad aumentare l’anzianità pensionistica maturata, la misura della pensione e il trattamento di fine rapporto; equiparazione, per le vittime che hanno subìto danni più gravi, ai grandi invalidi di guerra e riconoscimento del diritto immediato alla pensione diretta; adeguamento costante, al trattamento in godimento dei lavoratori in attività, delle pensioni delle vittime);

-        il diritto al patrocinio legale gratuito, a carico dello Stato, nei procedimenti penali, civili, amministrativi e contabili per le vittime e i loro superstiti;

-        la garanzia di tempi certi per le procedure in sede amministrativa e giurisdizionale relative al riconoscimento e alla valutazione dell’invalidità e all’attribuzione di provvidenze alle vittime del terrorismo;

-        l’applicazione dei benefìci della L. 206/2004 a decorrere dal 1° gennaio 1961, per gli eventi verificatisi in Italia, e dal 1° gennaio 2003, per quelli all’estero[17].

 

Da segnalare, inoltre, la legge 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria 2006) che: prevede la progressiva estensione di tutti i benefìci previsti per le vittime della criminalità e del terrorismo alle vittime del dovere, includendo tra le vittime del dovere, non soltanto le forze dell’ordine, i militari, i magistrati, i vigili del fuoco ecc., ma anche tutti gli altri dipendenti pubblici deceduti in attività di servizio o nell’espletamento delle funzioni di istituto e per cause di servizio espressamente indicate (articolo 1, commi 562-565)[18]. L’art. 1, co. 272, della stessa legge finanziaria 2006, istituisce una specifica indennità – entro il limite di spesa di 8 milioni di euro per l’anno 2006 – per gli eredi delle vittime del disastro aereo di Ustica del 27 giugno 1980[19].

 

Infine, l’art. 1, comma 1270, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007) estende i benefici per le vittime del terrorismo previsti dalla legge 206/2004, anche ai familiari delle vittime del disastro aereo di Ustica nel 1980 e ai familiari delle vittime e (alle vittime) superstiti della cosiddetta “banda della Uno bianca”. Infatti, i due eventi citati non sono mai stati definiti, in base alle risultanze processuali, atti di terrorismo e, pertanto, le persone colpite non hanno potuto usufruire dei benefici previsti dalla normativa in materia se non attraverso appositi provvedimenti legislativi. Proprio in considerazione di questo la disposizione prevede che “ai beneficiari vanno compensate le somme già percepite”.

Le iniziative comunitarie sulla protezione delle vittime dei reati

L'esigenza di tutela delle vittime dei reati all’interno dello “spazio di libertà. sicurezza e giustizia” dell’Unione Europea è già nota all’indomani del Trattato di Amsterdam[20]. Appare, infatti, evidente come l’esistenza di un reale spazio di giustizia debba significare anche la possibilità , per le vittime di reati, di ottenere - da parte delle autorità di tutti gli Stati membri dell’Unione - una tutela dei propri diritti equivalente a quella che otterrebbero da parte del proprio Stato.

Con il Piano d'azione di Vienna[21], adottato dal Consiglio il 3 dicembre 1998 (punto 51, c), si sollecitava una soluzione per la questione dell'assistenza alle vittime attraverso un esame comparativo dei sistemi di risarcimento alle vittime medesime nonché una valutazione della fattibilità di un'azione da intraprendersi da parte dell'Unione. La Commissione ha poi presentato, il 14 luglio 1999, una Comunicazione [COM(1999) 349 def.][22] che esaminava non solo gli aspetti relativi al risarcimento delle vittime di reati, ma anche altre possibili questioni da affrontare al fine di migliorare la posizione giuridica delle stesse all'interno dell'Unione.

In considerazione di questa comunicazione, le conclusioni del Consiglio europeo di Tampere del 15-16 ottobre 1999 [punto 32] sollecitavano l'istituzione di norme minime in materia di protezione delle vittime di reati, in particolare sull'accesso alla giustizia e sui diritti delle stesse al risarcimento dei danni subiti, comprese le spese legali. Inoltre, il Consiglio di Tampere ha richiesto l'istituzione di programmi nazionali per il finanziamento di provvedimenti, pubblici ma anche non governativi, di assistenza e tutela delle vittime.

Nel marzo 2001, il Consiglio adotta una decisione quadro relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale e successivamente viene presentato da parte della Commissione delle Comunità europee un Libro Verde (Com. 2001-536 del 28 settembre 2001) che ha inteso avviare una consultazione con gli Strati membri sulle possibili misure da adottarsi a livello comunitario per migliorare il risarcimento da parte dello Stato delle vittime di reati all'interno dell'Unione[23].

 

In particolare, la decisione quadro del Consiglio relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale (Dec 2001/220/GAI del 15 marzo 2001) mira a garantire alle vittime nel processo penale una migliore tutela giuridica e una migliore difesa dei loro interessi, indipendentemente dallo Stato membro in cui si trovino. Prevede inoltre disposizioni volte a fornire assistenza alle vittime prima e dopo il procedimento penale al fine di attenuare le conseguenze del reato.

Gli Stati membri sono invitati ad armonizzare le loro disposizioni legislative e normative relative ai procedimenti penali, al fine di garantire alle vittime:

-        il diritto di essere sentite nel corso del procedimento e il diritto di fornire elementi di prova;

-        l'accesso alle informazioni rilevanti ai fini della tutela dei loro interessi, sin dall'inizio del procedimento;

-        l'accesso a forme adeguate di interpretazione e comunicazione;

-        la possibilità di partecipare al processo in qualità di vittime (parte lesa) e di accedere alla consulenza giuridica nonché - ove necessario - all'assistenza giudiziaria gratuita;

-        il diritto al rimborso delle spese giudiziarie;

-        un livello adeguato di tutela per quanto riguarda la sicurezza, la vita privata e l'immagine delle vittime e dei loro familiari;

-        il diritto al risarcimento;

-        la possibilità di partecipare in modo adeguato al processo penale per le vittime che risiedono in un altro Stato membro (utilizzazione di teleconferenze o videoconferenze, ecc…).

Il recepimento negli Stati membri della decisione quadro era fissato al 22 marzo 2002, con esclusione delle norme relative alle garanzie di comunicazione delle vittime e all’assistenza specifica (artt 5 e 6) - la cui attuazione era prevista al 22 marzo 2004 - e della disposizione relativa alla promozione della mediazione nel procedimento penale (art. 10), che avrebbe dovuto trovare attuazione entro il 22 marzo 2006[24].

 

Più recentemente, il Consiglio ha adottato la Direttiva 2004/80/CE, del 29 aprile 2004, relativa all’indennizzo delle vittime di reato. La direttiva si propone di garantire alle vittime dei reati un risarcimento equo ed adeguato per i danni subiti a prescindere dal luogo, all'interno dell'Unione europea, in cui simili eventi si siano verificati. La direttiva contiene disposizioni relative all'accesso al risarcimento in casi transfrontalieri, nonché una disposizione volta a garantire che gli Stati membri introducano le pertinenti disposizioni nazionali per assicurare un risarcimento appropriato alle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori[25].

Gli Stati membri avrebbero dovuto recepire la direttiva entro il 1º gennaio 2006. Il legislatore italiano ha inserito la direttiva nell’allegato B della legge 29 gennaio 2006, n. 29 (Legge comunitaria 2005).


Contenuto della proposta di legge

Articolo 1


1. La vittima del reato e la persona danneggiata dal reato sono tutelate dallo Stato nei modi e nelle forme previsti dalla legislazione vigente.

 


 

 

L’articolo 1 afferma il principio generale in base al quale la tutela nei confronti della vittima del reato e della persona danneggiata dal reato è accordata dallo Stato in base alla legislazione vigente.

 

Allo stato attuale, al di là delle specifiche disposizioni legislative che riconoscono benefici alle vittime di taluni reati (v. sopra), è il codice di procedura penale che assegna un ruolo alla vittima del reato all’interno della giustizia penale.

Con la persona offesa dal reato non va confusa la persona danneggiata dal reato, la quale ha sofferto un danno patrimoniale o morale per il cui risarcimento ha diritto di azione e, quindi, di costituirsi parte civile (v. infra).

Ai sensi degli articoli 90 e seguenti del codice di procedura penale la persona offesa dal reato è un soggetto processuale che svolge un ruolo di accusa privata, sussidiaria e accessoria rispetto a quella pubblica, spettante al pubblico ministero - che è l’intestatario istituzionale dell’interesse penalmente protetto. Tale ruolo si estrinseca in forme di adesione o di supporto dell’attività del PM, oppure di controllo su essa.

 

In ogni fase del procedimento la persona offesa può presentare memorie (elaborati scritti riguardanti questioni processuali o di merito, rivolte al PM o al giudice) e indicare elementi di prova. Inoltre, durante le indagini preliminari la persona offesa:

-        può nominare un difensore (art. 101 c.p.p.);

-        può proporre istanza di procedimento (art. 341 c.p.p.)

-        può assistere agli atti c.d. garantiti compiuti dal PM (art. 360 c.p.p.)

-        deve ricevere l’informazione di garanzia rivolta alla persona sottoposta alle indagini (art. 369 c.p.p.)

-        può richiedere al PM di promuovere un incidente probatorio obbligandolo – laddove non intenda procedere in tal senso – a pronunciare un decreto motivato (art. 394 c.p.p.)

-        può partecipare (attraverso il proprio difensore) all’incidente probatorio (artt. 398 e 401 c.p.p.);

-        deve ricevere l’eventuale richiesta del PM di archiviazione per infondatezza della notizia di reato potendo opporvisi e chiedendo la prosecuzione delle indagini preliminari indicando l’oggetto dell’investigazione e gli elementi di prova (artt. 408-410 c.p.p.)

-        può richiedere al procuratore generale di avocare il procedimento in caso di inerzia del PM (art. 413 c.p.p.).

Durante la fase del processo la persona offesa:

-        deve ricevere l’avviso dell’udienza preliminare (art. 419 c.p.p.)

-        può far valere in Cassazione la nullità (ex art. 419, co. 7) della sentenza di luogo a procedere (art. 428 c.p.p.);

-        deve ricevere la notifica del decreto che dispone il rinvio a giudizio dell’imputato (art. 429 c.p.p.) e del decreto che dispone il giudizio immediato (art. 456 c.p.p.);

-        può richiedere al PM di impugnare la sentenza obbligandolo – laddove non intenda procedere in tal senso – a pronunciare un decreto motivato (art. 572 c.p.p.).

 

Se la persona offesa/vittima del reato ha subito un danno suscettibile di riparazione economica può partecipare al processo penale come parte civile (artt. 76 e ss. c.p.p.). L’art. 185, co. 2, del codice penale dispone infatti che “ogni reato, che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale, obbliga al risarcimento il colpevole e le persone che, a norma delle leggi civili, debbono rispondere per il fatto di lui”.

 

La costituzione di parte civile ha carattere facoltativo, atteso che la pretesa può essere tutelata autonomamente mediante l’esercizio dell’azione ordinaria di danno in sede civile.

La dichiarazione di costituzione di parte civile va fatta personalmente o a mezzo di un procuratore speciale e depositata nella cancelleria del giudice che inizierà il giudizio, o portata all'udienza preliminare (art. 78 c.p.p.). Quando siano presenti una o più parti lese, il giudice, al momento della sentenza, deve anche stabilire (se l'imputato è stato riconosciuto colpevole) il risarcimento dei danni.

 

In veste di parte civile la vittima del reato può curare solo la pretesa civilistica alle restituzioni o al risarcimento del danno. L’azione civile ha natura secondaria, atteso che l’oggetto principale del processo penale è rappresentato dall’accertamento della penale responsabilità dell’imputato. Con l’inserimento dell’azione civile nel processo penale l’ordinamento persegue esclusivamente esigenze di economia dei giudizi, intendendo evitare che, concluso l’accertamento penale, si instauri un ulteriore giudizio in sede civile.

 

Il codice di procedura penale dispone che la parte civile:

-        sta in giudizio col ministero di un difensore (art. 100 c.p.p.), presso il quale riceve le notificazioni (art. 154 cp.p.);

-        può fare richiesta o acconsentire all’esame, sempre che non debba essere sentita come testimone (art. 208 c.p.p.);

-        può chiedere che sulle cose appartenenti all'imputato o al responsabile civile sia mantenuto il sequestro a garanzia dei crediti (artt. 262 e 323 c.p.p.); può chiedere il sequestro conservativo (art. 316 c.p.p.);

-        partecipa alla discussione nell’ambito dell’udienza preliminare (art. 421 c.p.p.) e può ricorrere in Corte di cassazione contro la sentenza di non luogo a procedere (art. 428 c.p.p.);

-        può non accettare il rito abbreviato; se però la costituzione di parte civile avviene dopo la conoscenza dell'ordinanza che dispone il giudizio abbreviato, ciò vale da accettazione del rito (art. 441 c.p.p.);

-        nel giudizio direttissimo può presentare in dibattimento testimoni senza citazione (art. 451 c.p.p.)

-        nel rito ordinario, in dibattimento, può indicare i fatti che intende provare e chiedere l’ammissione delle prove (art. 493 c.p.p.); può esaminare le parti (art. 503 c.p.p.) e partecipare alla discussione finale illustrando le proprie conclusioni scritte che devono comprendere, quando sia richiesto il risarcimento dei danni, anche la determinazione del loro ammontare (art. 523 c.p.p.);

-        può chiedere al PM di proporre impugnazione a ogni effetto penale obbligandolo – laddove non intenda procedere in tal senso – a pronunciarsi con un decreto motivato (art. 572 c.p.p.);

-        può proporre impugnazione, contro i capi della sentenza di condanna che riguardano l'azione civile e, ai soli effetti della responsabilità civile, contro la sentenza di proscioglimento pronunciata nel giudizio; può altresì proporre impugnazione contro la sentenza pronunciata a seguito di rito abbreviato, quando ha consentito al rito stesso (art. 576 c.p.p.).

 

Si segnala, inoltre che, sempre con riferimento alla giustizia penale ordinaria, il codice di rito, così come modificato dalla legge 479/1999[26] (cd. legge Carotti), attribuisce al giudice monocratico di tribunale in sede di udienza di comparizione a seguito di citazione diretta in giudizio il potere di tentare la conciliazione tra la vittima e l'autore del reato, per i reati perseguibili a querela (art. 555 c.p.p., terzo comma). Il tentativo consiste nella verifica, da parte del giudice, della possibilità della rimessione della querela da parte del querelante e nella conseguente accettazione della remissione da parte del querelato.

La più importante novità in materia di giustizia riparativa riguarda però l’emanazione del D.Lgs 28 agosto 2000, n. 274 sulle competenze penali del giudice di pace che apre la via al tentativo di introdurre “a regime” nel nostro ordinamento un effettivo filtro conciliativo precontenzioso in materia penale come strumento privilegiato di risoluzione dei conflitti[27].

 

Il diritto processuale penale, da ultimo, riconosce un ulteriore spazio alla vittima nelle ipotesi – per ora limitate – nelle quali si prevede la mediazione penale.

La mediazione è un processo di risoluzione dei conflitti che coinvolge l’intervento di una terza parte neutrale, con l’intento di favorire accordi volontari tra le parti. In ambito penale, la mediazione avviene tra vittima e autore del reato: le due parti possono, con l’aiuto di un soggetto “terzo”, discutere e trovare una soluzione ai problemi che sorgono dalla commissione del reato. La mediazione tra autore e vittima introduce una modifica importante nel processo penale, restituendo alle parti il potere di discutere del fatto di reato e delle sue conseguenze e di trovare delle forme di riparazione adeguate. Ovviamente tutto ciò avviene nel rispetto delle garanzie processuali: l’accordo è sempre sottoposto ad una conferma del giudice che ne valuta la congruità.

Dalla mediazione, solitamente, ci si attende tre effetti: a) la responsabilizzazione dell’autore di reato; b) la soddisfazione della vittima; c) una deflazione del contenzioso giudiziario.

Nel nostro ordinamento, la più nota esperienza di mediazione in ambito penale non riguarda il processo penale ordinario, bensì il processo minorile. Nell’ambito della cd. "messa alla prova" (DPR 448/1998[28], art. 28) si prevede, infatti, una specifica ipotesi di mediazione ed attività riparatoria delle conseguenze del reato[29].

 


Articolo 2

 

 


1. Dopo l'articolo 187 del codice penale è inserito il seguente:

«Art. 187-bis. - (Risarcimento da parte dello Stato). - Il danno patrimoniale o non patrimoniale cagionato dal reato è risarcito dallo Stato quando il fatto sia stato commesso da persona che sia stata:

a) liberata per la concessione dell'amnistia, dell'indulto, della grazia, della liberazione condizionale o della sospensione condizionale della pena nei cinque anni successivi all'applicazione del beneficio;

b) ammessa ad una misura alternativa alla detenzione durante l'esecuzione della misura;

c) ammessa al permesso o ad altro beneficio penitenziario che comporti il godimento di libertà durante l'esecuzione della pena;

d) condannata a sanzioni sostitutive di pene detentive brevi previste dal capo III della legge 24 novembre 1981, n. 689, e successive modificazioni, durante l'esecuzione delle sanzioni.

Lo Stato provvede al risarcimento del danno ai sensi del primo comma quando la persona danneggiata abbia agito in giudizio contro il colpevole e le persone civilmente responsabili e sia rimasta, anche in parte, insoddisfatta.

 Lo Stato recupera dal colpevole e dalle persone civilmente responsabili le somme erogate ai sensi del presente articolo. Si applicano le disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia».


 

 

L’articolo 2 della proposta di legge in esame inserisce nel codice penale l’art. 187-bis, rubricato “Risarcimento da parte dello Stato”.

La nuova disposizione penale, al comma 1, prevede che lo Stato debba procedere al risarcimento del danno patrimoniale o non patrimoniale cagionato dal reato quando lo stesso sia stato commesso a seguito o in presenza di alcune condizioni.

 

Nello specifico, la lettera a) del comma 1 prevede che lo Stato debba procedere al risarcimento quando il reato è stato commesso, nei cinque anni successivi alla concessione del beneficio, da una persona che sia stata liberata a seguito di:

 

-          concessione di amnistia, indulto o grazia;

 

Ai sensi dell’art. 151 c.p., l’amnistia è una causa di estinzione del reato che, se vi è stata condanna, fa ovviamente cessare anche l'esecuzione della stessa e le pene accessorie. Ai sensi dell’art. 174 c.p., invece, l’indulto o la grazia condona, in tutto o in parte, la pena inflitta, o la commuta in un'altra specie di pena stabilita dalla legge, senza estinguere le pene accessorie né far cessare gli altri effetti penali della condanna, salvo che il decreto disponga diversamente. Mentre, ai sensi dell’art. 87 Cost., la grazia è un atto di clemenza concesso dal Presidente della Repubblica, a seguito di un procedimento che coinvolge il Ministro della giustizia, l’amnistia e l’indulto sono concessi con legge deliberata a maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera (art. 79 Cost.).

Ai fini della applicazione della disposizione in esame si ricorda che la legge 31 luglio 2006, n. 241, Concessione di indulto che ha previsto un indulto per tutti i reati commessi fino al 2 maggio 2006, ad eccezione di quelli elencati al comma 2 dell’art. 1 (terrorismo, mafia, droga, reati sessuali, ecc.): la norma si traduce in una riduzione delle pene fino a tre anni.

 

-          liberazione condizionale;

 

Ai sensi degli artt 176 e seg. c.p., la liberazione condizionale è una causa estintiva della pena consistente nella possibilità per il condannato di essere posto in libertà qualora abbia dato segno di sicuro ravvedimento e abbia già scontato almeno metà della pena e comunque almeno 30 mesi, purché la pena da scontare non superi i 5 anni. Nel caso di condanna all'ergastolo, la liberazione condizionale può essere concessa qualora il condannato abbia dato segni di sicuro ravvedimento e abbia già scontato almeno 26 anni di pena; per i minorenni può essere concessa in qualsiasi momento della pena. Viene concessa dal tribunale di sorveglianza, e alla persona liberata è imposta la misura di sicurezza della libertà vigilata; se il soggetto non commette altri reati e non trasgredisce agli obblighi della libertà vigilata per tutto il tempo durante il quale avrebbe dovuto scontare la pena (per 5 anni nel caso di condanna all'ergastolo), la pena è estinta; in caso contrario la liberazione condizionale è revocata, e il condannato ritorna in carcere (art. 177 c.p.).

 

-          sospensione condizionale della pena;

 

In base agli artt. da 163 a 168 c.p. la sospensione condizionale della pena è una causa estintiva della punibilità consistente nella non applicazione della pena alla quale l'imputato viene condannato. Il beneficio consiste, in sostanza, nella provvisoria rinuncia a eseguire la pena, detentiva o pecuniaria, inflitta al colpevole del reato, allorché questi non ha precedenti penali, o pur avendone, essi non sono di significativa importanza. La sospensione della pena è detta condizionale perché la rinuncia a eseguire la pena è soggetta alla condizione che la persona non violi più la legge penale, o almeno non la trasgredisca con una violazione grave.

Il beneficio è applicabile una sola volta (salvo quanto disposto dall’articolo 164, u.c.), per il termine di cinque anni se la condanna è per delitto e di due se è per contravvenzione, al soggetto condannabile alla reclusione o all’arresto per un tempo non superiore a due anni, ovvero a pena pecuniaria che, sola o congiunta alla pena detentiva e ragguagliata a norma dell’articolo 135, sia equivalente ad una pena privativa della libertà personale per un tempo non superiore, nel complesso, a due anni. Condizioni particolari sono richieste nel caso in cui il reato sia stato commesso da persona minore degli anni diciotto, di età compresa tra gli anni diciotto e ventuno o superiore agli anni settanta.

La sospensione condizionale è caratterizzata da esclusioni soggettive (nei confronti di chi ha riportato una precedente condanna per delitto, o del delinquente o del contravventore abituale o professionale) ed oggettive (allorché alla pena inflitta deve essere aggiunta una misura di sicurezza personale) e può essere subordinata all’adempimento di alcuni obblighi (art. 165), l’assolvimento dei quali diviene obbligatorio nel caso in cui la sospensione sia concessa a persona che ne ha già usufruito.

La misura - disposta dal giudice al momento della pronuncia della sentenza di condanna, sempre che il giudice stesso presuma che il colpevole si asterrà dal commettere ulteriori reati - è revocata di diritto se nel termine di cinque anni (in caso di delitto) o di due (in caso di contravvenzione) il condannato commetta un delitto o una contravvenzione della stessa indole per cui venga inflitta una pena detentiva o non adempia gli obblighi impostigli o riporti un’altra condanna per un delitto anteriormente commesso a pena che, cumulata a quella precedentemente sospesa supera i limiti di cui all’articolo 163. Può essere revocata in altri casi di cui all’articolo 163, comma 4.

 

 

La lettera b) del medesimo comma 1 prevede che lo Stato debba procedere al risarcimento quando il reato è stato commesso da una persona ammessa ad una misura alternativa alla detenzione, durante l’esecuzione della misura stessa.

 

La principale fonte in tema di misure alternative alla detenzione è costituita dal Capo VI della legge 354/1975[30] sull’ordinamento penitenziario. Tali misure, le cui modalità applicative sono dettate dal regolamento di esecuzione, approvato con D.P.R. 230 del 2000, comprendono strumenti di diversa natura, accomunati dalla ratio di rappresentare dei sostitutivi o delle attenuazioni della pena detentiva.

L'attuale normativa prevede i seguenti istituti:

-        affidamento in prova al servizio sociale (art. 47, OP): la misura è applicabile ai condannati a pena detentiva per un periodo non superiore a 3 anni. Dopo almeno 1 mese di osservazione della personalità il detenuto viene assegnato dal tribunale a una attività lavorativa da svolgere fuori del carcere. Con la legge 27 maggio 1998, n. 165 (art. 2)[31] è stato previsto che l'affidamento possa essere disposto senza procedere all'osservazione in istituto quando il condannato, dopo la commissione del reato, abbia già tenuto un comportamento che ne faccia ritenere avvenuto il recupero sociale, senza pericolo che commetta altri reati. Il provvedimento che concede l'affidamento in prova al servizio sociale è di competenza del tribunale di sorveglianza, e contiene le regole e gli orari che il soggetto dovrà seguire per recarsi al lavoro. Se il condannato non osserva le prescrizioni impostegli, qualora tale inosservanza sia ritenuta incompatibile con la prosecuzione del beneficio il permesso viene revocato. Trascorso favorevolmente il periodo di affidamento al servizio sociale (che coincide con la durata della pena inflitta) si estinguono la pena e gli altri effetti penali;

-        affidamento in prova in casi particolari (art. 94, TU stupefacenti)[32]: il tribunale di sorveglianza, a domanda, può affidare al servizio sociale persone tossicodipendenti o alcooldipendenti condannate a pena detentiva non superiore a quattro anni, anche se residuo di una pena maggiore, al fine di proseguire o iniziare un'attività terapeutica di recupero. La misura non può essere concessa più di due volte.

-        detenzione domiciliare (art. 47-ter, OP): la pena della reclusione non superiore a 4 anni, anche se costituente parte residua di una pena di maggiore durata, e la pena dell'arresto, quale ne sia la durata, possono essere espiate nell'abitazione del condannato o in un altro luogo di dimora privata o in un luogo di pubblica assistenza o accoglienza, quando si tratta di donne in gravidanza o che allattano la prole o madri (o padri esercenti la potestà genitoriale in caso di morte della madre o di sua impossibilità ad assistere la prole) di minori di dieci anni con loro conviventi; persone in condizioni di salute particolarmente gravi che richiedano costanti contatti con le strutture sanitarie territoriali; persone di età superiore a 60 anni, se, anche parzialmente, inabili; persone minori di 21 anni, per comprovate esigenze di salute, studio, lavoro e di famiglia. Indipendentemente dalle condizioni indicate, la detenzione domiciliare può inoltre essere applicata per espiare pene detentive non superiori ai 2 anni (anche come pene residue di pene di più lunga durata), quando non vi siano le condizioni per l' affidamento in prova al servizio sociale, sempre che la misura consenta di evitare il pericolo di recidiva. Dal 1999 la detenzione domiciliare è applicabile, anche oltre i limiti di pena normalmente previsti, nei confronti dei malati di AIDS conclamata che intendono intraprendere un programma di cura presso le strutture sanitarie specializzate (art. 47-quater, OP);

-        detenzione domiciliare speciale (art. 47-quinquies OP): è volta a permettere l’assistenza familiare ai figli di età non superiore a 10 anni da parte delle madri condannate quando non sia possibile l’applicazione della detenzione domiciliare di cui all’art. 47-ter OP. Condizioni per accedere alla detenzione domiciliare speciale sono: l’avvenuta espiazione di almeno un terzo della pena (15 anni in caso di ergastolo); l’insussistenza di un reale pericolo di commissione di nuovi reati; la possibilità di ripristinare la convivenza con i figli. La misura è applicabile al padre detenuto in caso di morte della madre o di impossibilità della stessa ad assistere il figlio e non vi sia altri che il padre cui affidare il minore.

-        regime di semilibertà (art. 48 e ss. OP): il detenuto può passare fuori dal carcere una parte del giorno allo scopo di lavorare e partecipare all'attività di reinserimento sociale. Possono esservi ammessi i condannati all'arresto o alla reclusione per un periodo inferiore ai 6 mesi o a una qualsiasi pena detentiva purché ne abbiano scontata metà (20 anni se si tratta di condanna all'ergastolo) e purché, per la buona condotta tenuta in carcere, abbiano dimostrato una volontà di reinserimento sociale;

-        liberazione anticipata (art. 54 OP): i detenuti che abbiano dimostrato di partecipare all'opera di rieducazione svolta in carcere possono beneficiare di una riduzione di 45 giorni di pena per ogni semestre scontato.

 

 

La lettera c) del comma 1, prevede che lo Stato debba procedere al risarcimento quando il reato è stato commesso da una persona ammessa ad un permesso o beneficio penitenziario che comporti il godimento di libertà durante l’esecuzione della pena.

 

L’ordinamento penitenziario prevede (art. 21) che al detenuto o internato possa essere concesso di lavorare fuori dal carcere oppure di frequentare corsi di formazione professionale all'esterno, senza scorta. Non ci sono vincoli particolari per l'ammissione al lavoro esterno, salvo che per i condannati per delitti di cui all’art. 4-bis, che devono aver scontato almeno un terzo della pena, e per i condannati all'ergastolo, che devono aver scontato almeno 10 anni. La concessione al lavoro all'esterno viene data dal Direttore del carcere, ma deve essere approvata dal Magistrato di Sorveglianza.

L’art. 21-bis OP, laddove non sussistano i presupposti per la detenzione domiciliare speciale, prevede la misura dell’assistenza all’esterno dei figli minori, che permette comunque la cura e l’assistenza extracarceraria dei figli di età non superiore ai dieci anni alle stesse condizioni del lavoro esterno, a partire dai presupposti per la concessione.

Inoltre, ai sensi dell’art. 30 OP, nel caso di imminente pericolo di vita di un familiare o convivente, ai detenuti può essere concesso dal Magistrato di sorveglianza il permesso di recarsi a visitare l'infermo. Analoghi permessi possono essere concessi per eventi familiari di particolare gravità.

Diversa è la disciplina dei permessi premio (art. 30-ter OP), cui possono accedere i condannati che hanno tenuto regolare condotta, per consentire di coltivare interessi affettivi o di lavoro. La durata massima del permesso è di 15 giorni per volta, per un massimo di 45 giorni all'anno. La concessione dei permessi è ammessa: a) per i condannati a pene detentive non superiori ai 3 anni; b) per i condannati a pene superiori ai 3 anni dopo però aver espiato almeno una quarto della pena; c) per i condannati per i delitti di cui all’art. 4bis dopo aver espiato almeno la metà della pena (e comunque non oltre dieci anni); d) per i condannati all’ergastolo dopo aver espiato almeno dieci anni. I permessi sono concessi dal Magistrato di Sorveglianza, sentito il direttore del carcere.

 

La lettera d) prevede che lo Stato debba procedere al risarcimento quando il reato è stato commesso da una persona condannata a sanzioni sostitutive di pene detentive brevi, durante l’esecuzione delle sanzioni.

 

Il Capo III (artt. 53-85) della legge 24 novembre 1981 n. 689, ha disposto che il giudice, nel pronunciare sentenza di condanna, possa sostituire le pene detentive inferiori a un anno con alcune sanzioni sostitutive, e precisamente con:

-        semidetenzione: se la pena non supera un anno il giudice può sostituirla con la semidetenzione (che comporta l'obbligo di trascorrere almeno 10 ore al giorno in un istituto di pena) e una serie di obblighi come il divieto di detenere armi (art. 55);

-        libertà controllata: se la pena non supera i 6 mesi il giudice può sostituirla con la libertà controllata, cioè l'obbligo di presentarsi, almeno una volta al giorno, all'autorità di pubblica sicurezza del Comune di residenza, il divieto di allontanarsi dal suddetto Comune, la sospensione della patente, il ritiro del passaporto e di altri documenti validi per l'espatrio, il divieto di detenere armi (art. 56);

-        pena pecuniaria sostitutiva: se la pena non supera i 3 mesi il giudice può sostituirla con la pena pecuniaria sostitutiva, nella misura di 75000 lire per ogni giorno di pena detentiva.

 

 

Il comma 2 del nuovo articolo 187-bis specifica, poi, che compete allo Stato il risarcimento quando, nonostante l’esperimento dell’azione civile (v. commento art. 1), la persona danneggiata non sia riuscita ad ottenere soddisfazione delle proprie pretese da parte del colpevole o delle persone civilmente responsabili.

 

Responsabile civile è il soggetto (persona fisica o giuridica o ente collettivo non personificato) obbligato, in base ad una norma di diritto sostanziale, alla restituzione di cose o al risarcimento del danno in dipendenza del fatto-reato ascritto all’imputato. Il responsabile civile risponde nei confronti del danneggiato dal reato per fatto proprio, in via solidale con l’imputato, diretto autore dell’illecito. La citazione del responsabile civile è disciplinata dagli artt. 83 e ss. del codice di rito.

 

In relazione alla formulazione di questa disposizione, al fine di evitare eventuali dubbi interpretativi, si valuti l'opportunità di indicare espressamente i presupposti in presenza dei quali la persona danneggiata può ricorrere alla particolare tutela risarcitoria sussidiaria dello Stato.

In particolare, se, da un lato, è ragionevole ritenere che l’insoddisfazione è conseguenza dell’insolvibilità del condannato o del responsabile civile, dall'altro lato, la formulazione della norma sembra riferirsi ad una divergenza tra risarcimento chiesto e risarcimento riconosciuto nel corso del giudizio.

 

Inoltre, nel caso in cui si propenda per la prima delle due interpretazioni, occorrerebbe chiarire se la norma intenda subordinare la concessione del risarcimento al fatto che il richiedente abbia compiuto specifiche azioni per far eseguire una decisione di condanna al pagamento dei danni.

 

Il comma 3 del nuovo l’art. 187-bis prevede che, soddisfatte le pretese della vittima del reato, lo Stato possa recuperare quanto corrisposto dal colpevole e dai civilmente responsabili, attraverso le procedure disciplinate dal testo unico in materia di spese di giustizia[33].

 

 


 

Articolo 3

 

 


1. Il patrocinio a spese dello Stato nel processo penale per la difesa della persona offesa da reato e del danneggiato che intenda costituirsi parte civile, nonché nel processo civile per le stesse persone, previsto dal testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, e successive modificazioni, nei casi indicati dall'articolo 187-bis del codice penale, introdotto dall'articolo 2 della presente legge, è assicurato a tutti senza tenere conto dei limiti di reddito previsti dal citato testo unico.


 

 

L'articolo 3 prevede la possibilità per la vittima del reato, nei casi previsti dal precedente articolo 2, di accedere al patrocinio a spese dello Stato nel processo penale e nel processo civile, anche in deroga ai limiti di reddito stabiliti, in via generale, dal Testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115.

 

Il gratuito patrocinio è un istituto comune a qualsiasi giurisdizione e trae fondamento dall'articolo 24 della Costituzione in base al quale sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione.

Esso consiste nel riconoscimento dell'assistenza legale e tecnica gratuita, per promuovere un giudizio o per difendersi davanti al giudice, alle persone che non sono in grado di sostenerne le spese. Al pagamento delle spese (avvocati, consulenti ed investigatori autorizzati) si provvede mediante il patrocinio a spese dello Stato.

La disciplina del patrocinio a spese dello Stato è contenuta nel testo unico sulle spese di giustizia (DPR 30 maggio 2002, n. 115).

Emanato ai sensi dell’articolo 1, comma 1, della legge 8 marzo 1999, n. 50 (Legge di semplificazione 1998), che prevede l’emanazione di regolamenti di delegificazione e semplificazione di numerose discipline, tra le quali l’intera materia delle spese di giustizia, il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115[34], si suddivide in 10 parti concernenti, rispettivamente, le disposizioni generali, le voci di spesa, il patrocinio a spese dello Stato, processi particolari, la materia dei registri, i titoli di pagamento, la materia della riscossione, disposizioni speciali per il processo amministrativo contabile e tributario, le norme transitorie e le disposizioni finali e le conseguenti abrogazioni. Esso è entrato in vigore il 1° luglio 2002.

Alcune modifiche di disposizioni contenute nel citato Testo unico di cui al D.P.R. 115/2002, più in particolare per quanto attiene alla materia del patrocinio a spese dello Stato, sono contenute nella legge 24 febbraio 2005, n. 25[35]. Le innovazioni introdotte attengono essenzialmente ad un ampliamento della facoltà di nomina del difensore da parte del soggetto ammesso al patrocinio a spese dello Stato e ad una attenuazione dei requisiti richiesti per l’iscrizione negli elenchi dei patrocinanti.

In relazione ai presupposti dell'istituto in questione si osserva che mentre nel processo penale, l’unico requisito è quello della non abbienza, in quello civile (come in quello amministrativo, contabile, tributario e negli affari di volontaria giurisdizione) è, inoltre, necessario che le ragioni che il richiedente il gratuito patrocinio intende far valere nel processo appaiano non manifestamente infondate.

Il limite di reddito imponibile (risultante dall’ultima dichiarazione dei redditi) oltre il quale non si ha diritto al gratuito patrocinio è attualmente fissato dalla legge in euro 9.723,84 (art, 76, DPR 115/2002). Tale limite è aggiornato ogni due anni. Se l'interessato vive solo, la somma dei suoi redditi non deve superare 9.723,84 euro (il limite di reddito viene aggiornato ogni due anni ). Si considerano tutti i redditi imponibili ai fini delle imposte sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) percepiti nell'ultimo anno. Si tiene conto, inoltre, dei redditi esenti dall'Irpef o assoggettati a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta o ad imposta sostitutiva. Se l'interessato vive con la famiglia, i suoi redditi si sommano a quelli del coniuge e degli altri familiari conviventi. Al contrario, si considera solo il reddito dell'interessato, se egli è in causa contro i familiari.

Il presupposto concernente lo stato di non abbienza deve permanere per tutta la durata del processo.

Nel giudizio penale il limite di reddito è aumentato di 1.032,91 euro per ogni familiare convivente.

Non può essere ammesso al patrocinio a spese dello Stato, nei giudizi penali: chi è indagato, imputato o condannato per reati di evasione fiscale e chi è difeso da più di un avvocato; negli altri giudizi: chi sostiene ragioni manifestamente infondate e chi è parte in una causa per cessione di crediti e ragioni altrui, quando la cessione non sia in pagamento di crediti preesistenti.

 

In relazione alla disposizione in esame, considerato che il fondamento dell'istituto del gratuito patrocinio è da individuarsi nell'articolo 24 della Costituzione in base al quale sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione, si valuti se non sia opportuno individuare una diversa forma di sostegno a favore di quelle vittime dei reati contemplati dalla proposta di legge in esame che non versino nello stato di indigenza economica previsto per ricorrere all'istituto del gratuito patrocinio .


 

Articolo 4

 

 


1. Agli oneri derivanti dall'attuazione della presente legge si provvede mediante l'utilizzo delle somme e dei beni confiscati dallo Stato ai sensi del codice penale e delle altre leggi penali speciali, in via prioritaria rispetto ad altre destinazioni di bilancio.


 

 

L'articolo 4, concernente la copertura finanziaria del provvedimento, prevede che agli oneri derivanti dall'attuazione della proposta di legge si provveda mediante l'utilizzo delle somme e dei beni confiscati dallo Stato ai sensi del codice penale e delle altre leggi penali speciali, in via prioritaria rispetto ad altre destinazioni di bilancio.

 

In merito alla formulazione dell'articolo in esame si osserva che sarebbe opportuno indicare il complessivo onere finanziario derivante dall'attuazione della proposta di legge, anche al fine di valutare la congruità della relativa copertura finanziaria.

 

Si ricorda che l’istituto della confisca è disciplinato in generale dall’articolo 240 del codice penale. Si tratta di una misura di sicurezza disposta dal giudice, consistente nel ritiro, da parte dell'autorità giudiziaria, di oggetti pertinenti al reato; può essere obbligatoria o facoltativa.

È facoltativa la confisca riguardante: a) le cose che servirono o furono destinate a commettere il reato; b) le cose che rappresentano il prodotto del reato; c) le cose che rappresentano il profitto del reato.

È obbligatoria la confisca riguardante: a) le cose che costituiscono il prezzo del reato, cioè ciò che l'agente ha ricevuto per commetterlo; b) le cose la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione o alienazione costituiscono reato, anche se non è stata pronunciata condanna.

Nel corso degli ultimi vent’anni il legislatore italiano ha previsto nuove ipotesi di confisca penale, tra cui quella prevista dall'articolo 416- bis, introdotto dalla legge n. 646 del 1982 che prevede, al comma sette, una nuova figura di confisca da disporsi obbligatoriamente nel caso di condanna per associazione di tipo mafioso. Tale tipologia associativa è caratterizzata, secondo il disposto del terzo comma dell’art. 416-bis c.p., dai particolari metodi utilizzati da coloro che vi partecipano (individuati nella forza di intimidazione derivante dal vincolo associativo e nella condizione di assoggettamento e di omertà che ne consegue) e dai fini perseguiti mediante l’utilizzo di quei mezzi (che consistono nella commissione di delitti, nell’acquisizione diretta o indiretta della gestione o del controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, di appalti e di servizi pubblici, nella realizzazione di profitti ingiusti per sé o per altri e nell’impedire o ostacolare l’esercizio del diritto di voto o nel procurare a sé o ad altri voti).

 

Nel caso in cui venga pronunciata condanna per associazione di tipo mafioso deve essere disposta, secondo il settimo comma della disposizione, la confisca obbligatoria delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato di cui all’art. 416-bis c.p., delle cose che costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo del reato ed infine delle cose che rappresentano il reimpiego del prodotto, del profitto o del prezzo del reato.

Rispetto alla confisca di cui al citato articolo 240 si segnala sia l'ampliamento dell’oggetto della misura di cui all’art. 416-bis c.p., che colpisce anche i beni frutto di operazioni di riciclaggio delle utilità di provenienza illecita, sia il carattere sempre obbligatorio dell'istituto.

Una ulteriore ipotesi di confisca, cosiddetta confisca dei valori ingiustificati, è, poi, prevista dall'articolo 12-sexies D.L. n. 306 del 1992,così come modificato prima dall'art. 24, della legge 13 febbraio 2001, n. 45, poi dall'articolo 7 della legge  11 agosto 2003, n. 228 ed infine dal comma 220 dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296.

Il citato articolo 12-sexies del D.L. n. 306 del 1992 prevede che, in caso di condanna o di patteggiamento per i delitti espressamente indicati, è disposta la confisca del denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini fiscali, o alla propria attività economica. Per quanto riguarda la gestione e la destinazione dei beni sequestrati o confiscati, il comma 4-bis dell’articolo 12-sexies prevede l’applicazione delle disposizioni di cui alla citata legge n. 575 del 1965

 

La disciplina quadro relativa alla gestione e destinazione di beni sequestrati e confiscati è contenuta nella legge 31 maggio 1965, n. 575 (Disposizioni contro la mafia) ed è stata oggetto di ripetuti interventi del legislatore; si ricordano, tra gli altri, la legge 55 del 1990, il DL 152 del 1991 (Legge 203 del 1991), il DL 306 del 1992 (Legge 356 del 1992) e la legge 256 del 1993.

Il più organico intervento di riforma della materia in esame si è, però, avuto con la legge 7 marzo 1996, n. 109[36] che, pur non incidendo sui profili costitutivi delle misure, ha introdotto significative innovazioni allo scopo di ottenere una più razionale amministrazione dei beni confiscati ed una più puntuale destinazione degli stessi a fini istituzionali e sociali.

Nello specifico, si segnala che il comma 2 dell'articolo 2-undecies della citata legge n. 575 del 1965, oggetto di modifica da parte del comma 202 dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296, stabilisce che i beni immobili confiscati sono:

 

a) mantenuti al patrimonio dello Stato per finalità di giustizia, di ordine pubblico e di protezione civile e, ove idonei, anche per altri usi governativi o pubblici connessi allo svolgimento delle attività istituzionali di amministrazioni statali, agenzie fiscali, università statali, enti pubblici e istituzioni culturali di rilevante interesse, salvo che si debba procedere alla vendita degli stessi finalizzata al risarcimento delle vittime dei reati di tipo mafioso;

b) trasferiti per finalità istituzionali o sociali, in via prioritaria, al patrimonio del comune ove l'immobile è sito, ovvero al patrimonio della provincia o della regione. Gli enti territoriali possono amministrare direttamente il bene o assegnarlo in concessione a titolo gratuito a comunità, ad enti, ad associazioni maggiormente rappresentative degli enti locali, ad organizzazioni di volontariato di cui alla legge 11 agosto 1991, n. 266, e successive modificazioni, a cooperative sociali di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 381, e successive modificazioni, o a comunità terapeutiche e centri di recupero e cura di tossicodipendenti di cui al testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti o sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni, nonché alle associazioni ambientaliste riconosciute ai sensi dell'articolo 13 della legge 8 luglio 1986, n. 349, e successive modificazioni.

c) trasferiti al patrimonio del comune ove l'immobile è sito, se confiscati per il reato di cui all'articolo 74 del citato testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309. Il comune può amministrare direttamente il bene oppure, preferibilmente, assegnarlo in concessione, anche a titolo gratuito, secondo i criteri di cui all'articolo 129 del medesimo testo unico, ad associazioni, comunità o enti per il recupero di tossicodipendenti operanti nel territorio ove è sito l'immobile.

 

Ai sensi del successivo comma 3 i beni aziendali confiscati sono mantenuti al patrimonio dello Stato e destinati:

a) all'affitto, quando vi siano fondate prospettive di continuazione o di ripresa dell'attività produttiva,

b) alla vendita, per un corrispettivo non inferiore a quello determinato dalla stima del competente ufficio, a soggetti che ne abbiano fatto richiesta, qualora vi sia una maggiore utilità per l'interesse pubblico o qualora la vendita medesima sia finalizzata al risarcimento delle vittime dei reati di tipo mafioso.

c) alla liquidazione, qualora vi sia una maggiore utilità per l'interesse pubblico o qualora la liquidazione medesima sia finalizzata al risarcimento delle vittime dei reati di tipo mafioso, con le medesime modalità di cui alla lettera b)

 

Ai sensi del comma 5, le somme di denaro confiscate che non debbano essere utilizzate per la gestione di altri beni confiscati o che non debbano essere utilizzate per il risarcimento delle vittime dei reati di tipo mafioso e le somme ricavate dalla vendita, anche mediante trattativa privata, dei beni mobili non costituiti in azienda, ivi compresi quelli registrati, e dei titoli, al netto del ricavato della vendita dei beni finalizzata al risarcimento delle vittime dei reati di tipo mafioso, nonché i proventi derivanti dall'affitto, dalla vendita o dalla liquidazione dei beni, di cui al citato comma 3, sono versati all'entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnati in egual misura al finanziamento degli interventi per l'edilizia scolastica e per l'informatizzazione del processo.

 


 

Articolo 5

 


1. Le disposizioni della presente legge hanno effetto dal 1o agosto 2006.


 

 

 

L'articolo 5 della proposta di legge, riguardante l'entrata in vigore del provvedimento, prevede una disposizione avente carattere retroattivo in quanto volta a far retroagire l'efficacia delle disposizioni della medesima proposta di legge alla data del primo agosto 2006.

 

Al riguardo, anche in considerazione del principio generale previsto dall'articolo 11 delle disp. prel. al codice civile, in base al quale "la legge non dispone che per l'avvenire: essa non ha effetto retroattivo", si valuti l'opportunità di modificare la disposizione facendo riferimento, ai fini del riconoscimento dei benefici previsti dal provvedimento, alle richieste di risarcimento presentate, nei giudizi civili o penali, a decorrere dal primo agosto 2006 e successivamente rimaste in tutto o in parte insoddisfatte secondo quanto previsto dall'articolo 2 del provvedimento.

 

 


Progetto di legge

 


N. 1705

¾

CAMERA DEI DEPUTATI

______________________________

PROPOSTA DI LEGGE

 

d’iniziativa dei deputati
CIRIELLI, GIANFRANCO FINI, ALEMANNO, LA RUSSA, LANDOLFI, TAGLIALATELA, CONSOLO, ANGELI, ASCIERTO, BELLOTTI, BENEDETTI VALENTINI, BONO, BRIGUGLIO, BUONFIGLIO, CASTELLANI, CASTIELLO, CICCIOLI, GIORGIO CONTE, GIULIO CONTI, COSENZA, DE CORATO, GAMBA, HOLZMANN, LAMORTE, LO PRESTI, MANCUSO, MAZZOCCHI, MENIA, MIGLIORI, MINASSO, MOFFA, MURGIA, ANGELA NAPOLI, NESPOLI, RAISI, SALERNO, ULIVI, ZACCHERA, BAIAMONTE, BRUSCO, CATONE, COLUCCI, DI VIRGILIO, FERRIGNO, GREGORIO FONTANA, GOISIS, LENNA, RIVOLTA, ROMAGNOLI, PAOLO RUSSO, TUCCI

¾

 

Introduzione dell'articolo 187-bis del codice penale e altre disposizioni in materia di risarcimento dei danni alle vittime di reati da parte dello Stato

 

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Presentata il 27 settembre 2006

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Onorevoli Colleghi! - La storia del diritto penale e della pena, come affermato dal grande storico del diritto Rudolf von Jhering, «è una continua abolizione». Le pene inumane ed atroci dei secoli passati sono state via via abolite e da ultimo la pena di morte, ammessa dall'articolo 27 della Costituzione solo nei casi previsti dalle leggi militari di guerra, è stata abolita con la legge 13 ottobre 1994, n. 589.

Se, dunque, tale scelta appare assolutamente condivisibile, per gli altri tipi di pena occorre, invece, cercare di non travolgere i fondamenti del patto sociale. Questo patto stipulato tra i cittadini e lo Stato si fonda, tra l'altro, da un lato, sull'assunzione di responsabilità da parte del secondo, che si impegna a riconoscere e garantire i diritti inviolabili dell'uomo, primo tra tutti il diritto alla vita, alla integrità personale ed alla sicurezza contro il crimine, e, dall'altro, sulla fissazione di limiti precisi da imporre all'autorità dello Stato nell'attività repressiva del crimine stesso. L'impegno a garantire la sicurezza dei cittadini contro il crimine si accompagna all'esistenza di un monopolio statale dell'uso della forza, il che, giustamente, impedisce al cittadino di farsi giustizia da solo (ne cives ad arma ruant), salva l'ipotesi in cui ricorra la fattispecie della legittima difesa.

Ebbene, gli ultimi decenni hanno visto una crescente attenzione delle forze politiche, del mondo universitario e dei giuristi verso l'individuazione di sempre maggiori vincoli cui lo Stato è assoggettato nell'esercizio dell'attività repressiva del crimine. Al contrario, la parte del patto sociale riguardante la sicurezza dei cittadini è stata trascurata, se non dimenticata.

Sono fioriti gli interventi normativi e gli studi giuridici volti a spostare il baricentro del diritto penale dal reo al fatto, ad introdurre sempre maggiori benefìci penitenziari, a ridurre le pene, ad aumentare le garanzie nel processo penale. Non si intende criticare, in questa sede, tutto il movimento di pensiero che ha portato a queste innovazioni, molte delle quali condivisibili; si vuole, invece, sottolineare come quelle stesse forze politiche e quel mondo accademico, che si sono sforzati di concepire benefìci in senso unilaterale, non abbiano sprecato alcuna risorsa materiale od intellettuale per migliorare la condizione della vittima del reato.

Questa proposta di legge si pone come obiettivo quello di garantire un rinnovamento culturale che, senza assumere atteggiamenti inumani verso il reo, riconosca il giusto valore da attribuire alla vittima del reato e che sappia distinguere tra il prepotente ed il succube, tra il buono ed il cattivo.

Lo Stato, nell'applicare la pena e nell'attuare la rieducazione dei condannati, sostituisce doverosamente la propria giustizia a quella privata. Il momento della rieducazione, in particolare, che raramente è compreso dai cittadini che vorrebbero maggiore severità nell'esecuzione delle pene e che comporta l'anticipazione della liberazione del condannato, è spesso foriero di tensione sociale.

È indubbio che la rieducazione, se va a buon fine con l'effettiva risocializzazione del condannato, comporta benefici generali per lo Stato e per la società. Nel caso opposto, invece, i danni, oltre ad avere effetti generali, hanno sempre preponderanti effetti particolari. Infatti, quando il condannato - liberato attraverso l'applicazione degli istituti giuridici preposti alla sua rieducazione - incorre nella recidiva, i danni del nuovo reato, spesso gravissimi ed irreparabili, incidono sull'integrità, sulla sicurezza e sulla libertà dei singoli cittadini onesti. Né alcuno può, con onestà intellettuale, affermare che i casi di recidiva siano un «dato statistico irrilevante», perché tutti sanno che i tribunali della Repubblica e le Forze di polizia si occupano sempre delle stesse persone che entrano ed escono dal carcere continuamente.

La presente proposta di legge vuole che non siano i cittadini a pagare il fallimento della rieducazione, bensì lo Stato. Essa, poi, intende dare maggiore dignità alla vittima del reato stabilendo un principio generale di tutela ed impegnando le autorità dello Stato a garantire assistenza e sostegno alle persone offese (articolo 1). Essa vuole, inoltre, ovviare ai danni derivanti da reato garantendo sempre un ristoro economico al cittadino che, offeso dal delitto commesso da chi, per scelta dello Stato, sconta la pena in libertà ovvero non la sconta affatto, non riesca ad ottenere il risarcimento del danno da parte del reo o del responsabile civile.

L'articolo 2, pertanto, con l'introduzione dell'articolo 187 bis dal codice penale, pone a carico dello Stato il danno patrimoniale o non patrimoniale cagionato dal reato quando il fatto sia stato commesso da persona:

a) che sia stata liberata per la concessione dell'amnistia, dell'indulto, della grazia, della liberazione condizionale o della sospensione condizionale della pena nei cinque anni successivi all'applicazione del beneficio;

 b) ammessa ad una misura alternativa alla detenzione durante l'esecuzione della misura;

c) ammessa al permesso o ad altro beneficio penitenziario che comporti il godimento di libertà durante l'esecuzione della pena;

d) condannata a sanzioni sostitutive di pene detentive brevi previste dalla legge 24 novembre 1981, n. 689, durante l'esecuzione delle sanzioni.

La norma prevede sia che, per aver diritto al risarcimento del danno, la persona danneggiata debba prima infruttuosamente agire in giudizio contro il colpevole e le persone civilmente responsabili sia che lo Stato possa rivalersi sul colpevole e sulle persone civilmente responsabili, secondo le disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia.

L'articolo 3 contempla la possibilità per la vittima del reato, nei casi previsti dal nuovo articolo 187-bis del codice penale, di accedere al patrocinio a spese dello stato nel processo penale e nel processo civile senza tener conto dei limiti di reddito indicati dal testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, che ammette al patrocinio gratuito solo i non abbienti. Ovviamente l'estensione del beneficio a tutti, senza limiti di reddito, è giustificata dalla sofferenza patita dalla vittima di un reato che non avrebbe dovuto essere commesso.

L'articolo 4 stabilisce, per un principio di equità, che i proventi acquisiti dallo Stato attraverso la confisca penale siano utilizzati per far fronte alle spese a cui la presente legge dia luogo in via prioritaria rispetto ad altre voci di bilancio. Si afferma cioè che ciò che la criminalità toglie al cittadino sia a questi restituito.

Infine, per consentire alle già numerose vittime dei criminali liberati con il recente indulto di ottenere un ristoro alle loro sofferenze, la presente proposta di legge stabilisce un effetto retroattivo delle sue disposizioni al 1o agosto 2006.


 


 


proposta di legge

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Art 1.

1. La vittima del reato e la persona danneggiata dal reato sono tutelate dallo Stato nei modi e nelle forme previsti dalla legislazione vigente.

Art 2.

1. Dopo l'articolo 187 del codice penale è inserito il seguente:

«Art. 187-bis. - (Risarcimento da parte dello Stato). - Il danno patrimoniale o non patrimoniale cagionato dal reato è risarcito dallo Stato quando il fatto sia stato commesso da persona che sia stata:

a) liberata per la concessione dell'amnistia, dell'indulto, della grazia, della liberazione condizionale o della sospensione condizionale della pena nei cinque anni successivi all'applicazione del beneficio;

b) ammessa ad una misura alternativa alla detenzione durante l'esecuzione della misura;

c) ammessa al permesso o ad altro beneficio penitenziario che comporti il godimento di libertà durante l'esecuzione della pena;

d) condannata a sanzioni sostitutive di pene detentive brevi previste dal capo III della legge 24 novembre 1981, n. 689, e successive modificazioni, durante l'esecuzione delle sanzioni.

Lo Stato provvede al risarcimento del danno ai sensi del primo comma quando la persona danneggiata abbia agito in giudizio contro il colpevole e le persone civilmente responsabili e sia rimasta, anche in parte, insoddisfatta.

 Lo Stato recupera dal colpevole e dalle persone civilmente responsabili le somme erogate ai sensi del presente articolo. Si applicano le disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia».

Art 3.

1. Il patrocinio a spese dello Stato nel processo penale per la difesa della persona offesa da reato e del danneggiato che intenda costituirsi parte civile, nonché nel processo civile per le stesse persone, previsto dal testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, e successive modificazioni, nei casi indicati dall'articolo 187-bis del codice penale, introdotto dall'articolo 2 della presente legge, è assicurato a tutti senza tenere conto dei limiti di reddito previsti dal citato testo unico.

Art 4.

1. Agli oneri derivanti dall'attuazione della presente legge si provvede mediante l'utilizzo delle somme e dei beni confiscati dallo Stato ai sensi del codice penale e delle altre leggi penali speciali, in via prioritaria rispetto ad altre destinazioni di bilancio.

Art 5.

1. Le disposizioni della presente legge hanno effetto dal 1o agosto 2006.

 

 

 


SIWEB

Documentazione

 


 

 

Ministero della giustizia

 

 

Roma, 14 novembre 2006

 

 

 

 

Comunicato stampa

Indulto: DAP, scarcerate 17.449 persone secondo le previsioni

La stima effettuata dall'Ufficio Statistica del Dap, relativa al numero delle persone che sarebbero fuoriuscite dagli istituti di pena è stata puntualmente rispettata. Lo riferisce una nota del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria in merito ai dati sull'indulto riferiti dalle agenzie.

 

La stima era riferita agli effetti di scarcerazione che si sarebbero prodotti immediatamente dopo l'approvazione della legge, relativamente ai detenuti definitivi.

 

L'ultima rilevazione statistica riferita al testo del disegno di legge poi approvato faceva attestare le immediate scarcerazioni a 15750. Tale stima è stata confermata, perché il numero dei definiti che hanno immediatamente fruito dell'indulto si aggira intorno alle 15500 unità. A costoro si sono poi aggiunti circa 2000 reclusi che hanno via via maturato il fine-pena per l'applicazione del beneficio.

 

Il numero complessivo delle persone che sono state scarcerate perché hanno beneficiato dell'indulto è dunque pari a 17.449 unità, ed ha confermato in pieno la stima effettuata. Al solo scopo di far comprendere le diverse cifre battute nelle agenzie si precisa altresì che altre 7178 persone che erano in custodia cautelare, in epoca coincidente al trimestre di applicazione dell'indulto, hanno ricevuto la revoca della custodia cautelare. Di queste 4456 avevano anche un titolo definitivo e 2722 erano sottoposte unicamente a misura provvisoria. Costoro non potevano rientrare nella stima richiesta perché la loro liberazione non è conseguente alla applicazione dell'indulto, ma è frutto di una scelta discrezionale dell'autorità giudiziaria.

 

Va peraltro rappresentato che la gran parte di questi scarcerati, sarebbero comunque usciti dal carcere, perché appartenenti a quella detenzione c.d. di flusso, che comporta un transito trimestrale dagli istituti di pena di circa 10-15 mila persone, che rimangono detenute per una media di circa 90 giorni.


 

RESOCONTO

SOMMARIO e STENOGRAFICO

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39.

 

Seduta di Giovedì 21 settembre 2006

 

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE

GIORGIA MELONI

indi

DEL VICEPRESIDENTE

PIERLUIGI CASTAGNETTI

 

(omissis)

 

 


Effetti dell'applicazione della recente legge concessiva di indulto - n. 2-00118 )

PRESIDENTE. L'onorevole Palomba ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00118 (vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 1).

FEDERICO PALOMBA. Signor Presidente, vorrei illustrare brevemente le ragioni della mia interpellanza. Si tratta di avere chiarezza sui diversi aspetti dell'applicazione dell'indulto, considerato che le notizie di stampa sono contrastanti e spesso spargono allarmismo su dati di diverso genere: dal numero esatto delle persone che sono state scarcerate nella prima applicazione dell'indulto a quelli che potrebbero essere gli effetti delle scarcerazioni e al possibile aumento della criminalità.

In certi settori l'applicazione dell'indulto ha destato allarme e preoccupazione - per esempio per la possibile recrudescenza della criminalità - e vi è un certo sconcerto anche negli operatori istituzionali, che hanno visto sentenze definitive, riguardanti condanne non inferiori a tre anni di reclusione, perdere la loro valenza. Inoltre, poiché è previsto un bonus triennale di condono anche per le istruttorie ancora da compiere, ciò ha creato una certa difficoltà nell'adempiere ai doveri istruttori, mentre le vittime non sono più propense a testimoniare, soprattutto per i reati più gravi, poiché sanno che gli effetti della condanna non saranno comunque portati a termine.

Ecco le ragioni per le quali abbiamo chiesto al Governo dati ufficiali, utili a riflettere meglio ed, eventualmente, a fronteggiare possibili situazioni pericolose, preoccupanti, connesse all'applicazione dell'indulto. Auspichiamo che a noi, come all'opinione pubblica, vengano date assicurazioni sulla situazione.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la giustizia, Luigi Manconi, ha facoltà di rispondere.

LUIGI MANCONI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, onorevoli deputati, la legge 31 luglio del 2006, n. 241 ha previsto per tutti i reati commessi fino al 2 maggio 2006, e con la sola eccezione dei reati di particolare allarme sociale (quali, ad esempio, quelli di mafia, di pedofilia, di terrorismo), la concessione di un indulto revocabile per le pene detentive fino a tre anni.

Per quanto riguarda, in particolare, i quesiti posti dai deputati interpellanti, posso comunicare che i detenuti condannati con sentenza definitiva, che sono stati scarcerati in ragione dell'indulto fino ad oggi, 21 settembre, sono pari a 20.687 (di cui 16.714 definitivi, diciamo così, «puri» e 3.973 definitivi, diciamo così, «misti»: ovvero con altri procedimenti penali pendenti).

La percentuale dei reati ascritti ai detenuti definitivi usciti dagli istituti penitenziari per effetto dell'indulto è la seguente: reati contro il patrimonio 39,9 per cento; in materia di stupefacenti 14,3 per cento; contro la persona 12,1 per cento; in materia di armi 7,4 per cento; contro la fede pubblica 6,2 per cento; contro la pubblica amministrazione 5 per cento; contro l'amministrazione della giustizia 4,2 per cento; contravvenzioni (libro III codice penale) 2,4 per cento; in materia di immigrazione 2,2 per cento; contro l'ordine pubblico 1,1 per cento; contro la famiglia 0,8 per cento; contro l'economia pubblica 0,8 per cento; contro l'incolumità pubblica 0,6 per cento; in materia di prostituzione 0,5 per cento; contro la moralità pubblica 0,1 per cento; contro la personalità dello Stato 0,1 per cento; contro il sentimento religioso 0,1 per cento; altri reati 2,5 per cento.

Tra i condannati in misure alternative alla detenzione hanno terminato anzitempo l'esecuzione in ragione dell'indulto 3.788 persone.

L'indulto può operare, inoltre, come presupposto di un provvedimento di revoca della misura cautelare, adottato dal giudice nei confronti di imputati detenuti, condannati con sentenza non definitiva o anche in attesa di giudizio di primo grado, se la pena che potrebbero espiare - tenuto conto della custodia cautelare già sofferta - risulti inferiore a tre anni.

Di conseguenza, risultano usciti dal carcere per revoca della misura cautelare 2.282 detenuti, di cui 351 in attesa di primo giudizio, 1.188 appellanti, 587 ricorrenti in Cassazione, più 156 cosiddetti «misti».

È pari a 18 il numero delle persone che, in forza dell'indulto, sono rientrate nei termini per l'accesso a misure alternative al carcere, hanno presentato istanza e si sono visti accogliere la richiesta dal magistrato di sorveglianza competente.

Per quanto riguarda le persone rientrate in carcere dopo aver beneficiato dell'indulto, i titoli di reato loro ascrivibili sono ancora soggetti alla valutazione dell'autorità giudiziaria in quanto la gran parte di quelle persone risultano arrestate in flagranza di reato.

Siamo in grado, tuttavia, di fornire informazioni più puntuali sulla condizione degli stranieri rientrati in carcere al 18 settembre scorso: su un numero complessivo di 271 stranieri, a 125 è stato contestato il reato di inottemperanza all'obbligo di allontanamento dal territorio dello Stato e a 118, tra questi, è stato contestato solo ed esclusivamente tale reato. Nel complesso, a quella data, ammonta a 609 il numero dei soggetti rientrati in carcere dopo aver beneficiato dell'indulto. Se a questa cifra sottraiamo quei 118 stranieri, cui viene contestato solo ed esclusivamente l'inottemperanza all'obbligo di allontanamento dal territorio dello Stato, abbiamo tra tutti i beneficiari dell'indulto un tasso di recidiva dell'1,8 per cento.

Si tratta, in tutta evidenza, di un dato provvisorio, riferito al primo mese e mezzo di applicazione della legge, e destinato prevedibilmente a modificarsi in senso negativo. Tuttavia, tale dato, che non autorizza - ripeto, non autorizza - frettolosi ottimismi, segnala un tasso di reiterazione del reato significativamente contenuto rispetto agli ordinari livelli di recidiva, tradizionalmente registrati in assenza di provvedimenti di clemenza. Va evidenziato, a questo proposito, che il numero delle persone entrate in carcere dal 1o agosto al 1o settembre 2006 è inferiore a quello dello stesso periodo dell'anno precedente. Infatti, dal 1o agosto al 1o settembre 2006 sono entrate in carcere 6.337 persone, fra le quali quelle beneficiarie dell'indulto che hanno reiterato reato, mentre nello stesso periodo del 2005 entrarono in carcere 6.923 persone. Per quanto riguarda, infine, il numero complessivo dei reati denunciati successivamente al 1o agosto 2006, il Ministero dell'interno ha fatto presente che i relativi dati statistici contenuti nella banca dati delle Forze di polizia hanno carattere provvisorio, tenuto conto delle verifiche e degli adempimenti occorrenti per confermarne l'attendibilità, provincia per provincia, prima del loro inserimento. Prevedibilmente, pertanto, ad avviso del Ministero dell'interno, le prime valutazioni circostanziate potranno essere svolte solo nel secondo trimestre 2007.

Tuttavia, i dati disponibili al 20 settembre 2006 - ovvero nella giornata di ieri - relativamente alle grandi aree metropolitane del nostro paese, segnalano come l'indice di delittuosità riferito all'agosto del 2006 è sostanzialmente invariato rispetto all'indice riferito all'agosto del 2005. Lo ripeto: si tratta di dati provvisori, il cui consolidamento deve ancora verificarsi, ma, al presente, si hanno aree metropolitane dove l'indice di delittuosità è in calo e altre dove tende a innalzarsi. In ogni caso, gli scarti in positivo o in negativo, rispetto al corrispondente periodo dell'anno precedente, sono poco significativi. Il Governo si impegna a tenere costantemente informato il Parlamento su questo e altri aspetti, altrettanto rilevanti, della questione.

PRESIDENTE. Il deputato Palomba ha facoltà di replicare.

FEDERICO PALOMBA. Signor Presidente, ringrazio anzitutto il sottosegretario dei dati forniti alla nostra attenzione, che costituiranno certamente oggetto di analisi approfondita; credo che egli metterà a disposizione anche il cartaceo per consentirci di svolgere una riflessione più ampia.

La soddisfazione che esprimo è non solo in relazione alla risposta ma anche, e soprattutto, in relazione ad alcuni dati macroscopici emersi. Infatti, non possiamo non dichiararci soddisfatti con riferimento ad un prevedibilmente contenuto aumento dell'indice di criminalità (se non alla sua sostanziale invarianza) rispetto al periodo precedente; evidentemente, ciò dà maggiori rassicurazioni ai cittadini sull'effetto dell'indulto.

Analogamente, rileviamo con sostanziale piacere il fatto che l'indice di recidiva, allo stato, sia sufficientemente contenuto; naturalmente, la prudenza del sottosegretario palesa che si tratta di dati ancora in itinere - dati in progress -, e quindi in corso di valutazione.

Un dato però balza agli occhi in modo molto evidente, il rilevante scarto tra il  numero delle persone scarcerate per effetto dell'indulto e quanto annunciato prima dell'esame in Commissione e poi in Assemblea del provvedimento di indulto. Nella sua relazione, il ministro aveva valutato in 12 mila 756 unità il numero prevedibile di persone che avrebbero beneficiato dell'indulto nel caso in cui questo fosse stato contenuto nei limiti di tre anni. Si tratta naturalmente del dato che al ministro era stato fornito dai suoi uffici, dalle strutture tecniche del Ministero; ma noi abbiamo appreso oggi dal sottosegretario che il numero di condannati definitivi scarcerati per effetto dell'indulto è di 20 mila unità: lo scostamento è rilevante e l'aumento è calcolabile in misura, all'incirca, del 40 per cento, e forse più ancora. Ma vanno anche aggiunti i 2 mila 200 detenuti scarcerati in attesa di giudizio definitivo.

Quindi, Presidente, giungiamo ad un numero rilevante di persone, 22 mila detenuti scarcerati per effetto della concessione dell'indulto. Dunque, le ragioni per le quali le strutture tecniche possono giungere a fornire dati con scostamenti così rilevanti - e con un aumento di circa il 180 per cento, complessivamente - rispetto ai dati precedentemente annunciati sarà a mio avviso oggetto di valutazione da parte del ministero. Valutazione necessaria per cercare di capire, appunto, le ragioni di una differenza così rilevante e macroscopica, dell'ordine non di un migliaio di unità, ma di 10 mila elementi in più rispetto ai 12 mila previsti.

Si pone un problema politico, Presidente; si pone infatti un interrogativo sui dati sui quali avrebbe riflettuto la Camera - e successivamente il Senato - e sulle valutazioni che avrebbe fatto nel caso in cui avesse da subito conosciuto la reale entità dei dati.

Lo stesso ministro annunciava, nella sua relazione alla Commissione giustizia, che, oltre a tali dati assoluti, si sarebbe dovuta considerare una proiezione relativa ad un aumento che nel futuro sarebbe intervenuto. Pensiamo infatti ad una persona condannata a quattro anni di reclusione alla quale, dunque, vengano condonati tre anni; ebbene, tale detenuto sconta l'ultimo anno che gli rimane e poi, l'anno successivo, esce per effetto dell'indulto. Quindi, un rilevante effetto moltiplicatore.

Presidente, l'Italia dei Valori ha mantenuto un atteggiamento negativo nei confronti dell'indulto non perché non volesse che i cosiddetti poveracci, le persone che sono in carcere per distrazione sociale, venissero scarcerati, ma perché riteneva più giusto che alcuni reati di maggiore rilievo sociale, come quelli contro la pubblica amministrazione e quelli finanziari, fossero esclusi dall'indulto, così come il voto di scambio mafioso.

Il fatto che le altre forze politiche non abbiano ritenuto di aderire a tale richiesta, che ci sembrava assolutamente logica e scontata, ci ha indotto ad esprimere un voto contrario sul provvedimento relativo all'indulto. Inoltre, eravamo anche preoccupati delle conseguenze che l'indulto avrebbe avuto nonché del numero effettivo di persone che sarebbero state scarcerate.

Ritengo che il Parlamento sia stato costretto a ragionare su una falsa presupposizione della realtà (falsa, naturalmente, non per volontà degli organi politici, che hanno semplicemente trasmesso al Parlamento i dati che le strutture tecniche hanno loro fornito). Sta di fatto che abbiamo ragionato in termini rilevantemente differenti e distanti rispetto alle previsioni e agli annunci che vi sono stati.

Ciò pone un problema serio, vale a dire il fatto che, quando si ragiona su questioni di così rilevante importanza, non si devono precipitare i tempi, non si devono accelerare le cose, bisogna procedere con una maggiore ponderazione, quantomeno per non ingenerare nell'opinione pubblica la sensazione che si sia voluto accelerare la decisione su questo tema pur in mancanza di dati che invece erano molto rilevanti.

Signor Presidente, questo punto sarà oggetto di una successiva valutazione politica, della quale ci riserviamo di interessare anche la Camera. Per il momento mi ritengo soddisfatto per la precisione e l'onestà dimostrate dal Governo nel rispondere a questa interpellanza, ma sono  turbato dal fatto che vi è stato uno scostamento così rilevante, sul quale in ogni caso ci riserviamo una valutazione politica.


(omissis)


Allegato A

 


 

INTERPELLANZE URGENTI

(Sezione 1 - Effetti dell'applicazione della recente legge concessiva di indulto)

  A)

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della giustizia, per sapere - premesso che:

nella sua relazione, esposta alla II Commissione permanente giustizia della Camera dei deputati nella seduta del 28 giugno 2006, il Ministro interpellato affermò che «nella situazione attuale, l'applicazione dell'indulto comporterebbe, secondo quei parametri, la scarcerazione di circa 10.481 unità, pari a circa un sesto della popolazione carceraria, se concesso nella misura massima di due anni, ovvero di 12.756 unità, se concesso nella misura massima di tre anni. Comporterebbe, inoltre, ulteriori effetti negli anni a venire, perché avrebbe efficacia anche sulle pene più lunghe. Quanto all'amnistia, è prevedibile, sulla scorta di quanto accaduto in passato, un effetto additivo di scarcerazioni pari a circa il 20 per cento»;

dopo l'entrata in vigore della legge concessiva di indulto (la legge 31 luglio 2006, n. 241), la totalità, o quasi, delle scarcerazioni dovrebbe essere stata portata a compimento;

sono disponibili soltanto dati parziali riportati dai mezzi di comunicazione, mentre è necessario conoscere i dati ufficiali ed effettivi relativi all'applicazione del suddetto provvedimento clemenziale ed alle sue ricadute in ordine alla conseguente consistenza della popolazione penitenziaria;

è necessario, altresì, conoscere i dati concernenti l'evoluzione della criminalità, previa acquisizione presso il ministero dell'interno dei dati relativi al periodo successivo al 1o agosto 2006, in comparazione con il corrispondente periodo del 2005 -:

quanti detenuti condannati con sentenza definitiva siano stati scarcerati per effetto della applicazione della legge n. 241 del 2006 concessiva di indulto, distinti per tipologia di reato;

se vi siano, ed eventualmente quanti siano, detenuti in attesa di giudizio o condannati con sentenza non definitiva, i quali siano stati scarcerati in conseguenza dell'entrata in vigore della legge concessiva di indulto;

quanti detenuti, per effetto del condono di tre anni di reclusione, siano stati scarcerati per successiva concessione di misure alternative al carcere, ovvero quanti detenuti possano essere scarcerati per la medesima ragione, distinti per tipologia di reato;

quanti, essendo stati scarcerati per concessione dell'indulto, siano stati di nuovo introdotti in carcere, distinti per tipologia di reato;

quale risulti essere stata l'evoluzione del fenomeno criminoso dopo il 1o agosto 2006, con riferimento al medesimo periodo dell'anno precedente.

(2-00118) «Palomba, Donadi».

(19 settembre 2006)


 



[1]     Il R.D.L. 13 marzo 1921, n. 261, contenente provvedimenti a favore del corpo degli agenti di investigazione (istituito col R.D. 14 agosto 1919, n. 1422), prevedeva (art. 14) l’istituzione di “un fondo di lire 500.000 nel bilancio del Ministero dell’interno per elargizioni non inferiori alle lire ottomila alle famiglie dei funzionari di pubblica sicurezza, ufficiali della Regia guardia e Reali carabinieri vittime del dovere”.

[2]     L. 13 agosto 1980, n. 466, Speciali elargizioni a favore di categorie di dipendenti pubblici e di cittadini vittime del dovere o di azioni terroristiche.

[3]     L. 20 ottobre 1990, n. 302, Norme a favore delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata.

[4]     L. 23 novembre 1998, n. 407, Nuove norme in favore delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata.

[5]    L. 23 dicembre 2000, n. 388, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2001).

[6]    L. 3 agosto 2004, n. 206, Nuove norme in favore delle vittime del terrorismo e delle stragi di tale matrice.

[7]     D.L. 4 febbraio 2003, n. 13 (conv. con mod. in L. 2 aprile 2003, n. 56), Disposizioni urgenti in favore delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata.

[8]    L. 3 giugno 1981, n. 308, Norme in favore dei militari di leva e di carriera appartenenti alle Forze armate, ai Corpi armati ed ai Corpi militarmente ordinati, infortunati o caduti in servizio e dei loro superstiti.

[9]     D.P.R. 28 luglio 1999, n. 510, Regolamento recante nuove norme in favore delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata.

[10]    L. 26 gennaio 1980 n. 9, Adeguamento delle pensioni dei mutilati ed invalidi per servizio alla nuova normativa prevista per le pensioni di guerra dalla legge 29 novembre 1977, numero 875, e dal D.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915.

[11]    L. 18 marzo 1968, n. 313, Riordinamento della legislazione pensionistica di guerra.

[12]    L. 23 dicembre 1970, n. 1094, Estensione dell’equo indennizzo al personale militare.

[13]    Consiglio di Stato, Sez. IV, sent. 7 febbraio 1990, n. 67.

[14]   La L. 302/1990 pone come condizioni che il soggetto leso sia totalmente estraneo rispetto all’azione criminosa lesiva e che i fatti si siano svolti nel territorio italiano.

[15]    L’art. 12-sexies del D.L. 8 giugno 1992, n. 306 (Modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa, conv. con mod. in L. 7 agosto 1992, n. 356), al co. 4-ter (introdotto dalla L. 13 febbraio 2001, n. 45), destina alle elargizioni di cui alla L. 302/1990 una quota dei beni confiscati nell’ambito di procedimenti contro la criminalità organizzata.

[16]    Il co. 1 dell’art. 5 della L. 407/1998 prevedeva in precedenza come data di riferimento quella del 1° gennaio 1969.

[17]    Come si è detto, la legge 91/2006, derogando espressamente all’art. 15 della legge 206, ha esteso i benefìci ivi previsti anche ai familiari superstiti degli aviatori italiani caduti a Kindu, in Congo, nel 1961.

[18]    Tali disposizioni hanno trovato applicazione con la emanazione del DPR 7 luglio 2006, n. 243, Regolamento concernente termini e modalità di corresponsione delle provvidenze alle vittime del dovere ed ai soggetti equiparati, ai fini della progressiva estensione dei benefici già previsti in favore delle vittime della criminalità e del terrorismo, a norma dell'articolo 1, comma 565, della legge 23 dicembre 2005, n. 266.

[19]    Si veda in proposito il Decreto del Ministro dell’interno, 17 marzo 2006, Modalita' per l'erogazione dei benefici previsti dall'articolo 1, comma 272, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, in favore degli eredi delle vittime del disastro aereo occorso ad Ustica il 27 giugno 1980.

[20]    Si ricorda la Convenzione europea sul risarcimento delle vittime di reati violenti (1983) e la risoluzione del Parlamento europeo sull’indennizzo delle vittime di atti di violenza criminale (A 3/13/1989).

[21]    Piano d’azione del Consiglio e della Commissione sul modo migliore per attuare le disposizioni del trattato di Amsterdam concernenti uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia.

[22]    Sulla Comunicazione, vedi la corrispondente risoluzione del Parlamento europeo A 5-0126/2000

[23]   Le questioni principali affrontate nel Libro verde sono state le seguenti:

- individuazione delle norme europee pertinenti per affrontare la questione del risarcimento statale delle vittime di reati a livello comunitario;

- attuali possibilità per le vittime di reati all'interno dell'Unione europea di ricevere un risarcimento dallo Stato;

- monitoraggio dell’esigenza di un'azione a livello comunitario, e individuazione, sulla base della situazione attuale nell'Unione europea, dell’eventuale ambito di intervento;

- individuazione delle modalità atte ad aumentare, attraverso un'iniziativa comunitaria, le possibilità per le vittime di reati di ottenere un risarcimento da parte dello Stato;

- agevolazione l'accesso delle vittime di reati al risarcimento da parte dello Stato in situazioni transfrontaliere.

[24]   Il 3 febbraio 2004 la Commissione ha presentato una relazione  (COM(2004)54) sulle misure prese dagli Stati membri per conformarsi alla decisione quadro del 15 marzo 2001, relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale. La decisione quadro prevede il ravvicinamento delle legislazioni al fine di garantire un livello elevato e comparabile di protezione alle vittime, indipendentemente dallo Stato membro nel quale si trovano.

Nella relazione la Commissione sottolinea che, data la mancanza di contributi da parte di alcuni Stati membri o la loro lacunosità, ha potuto acquisire una visione solo superficiale dello stato di recepimento della decisione quadro. Tale visione superficiale le consente tuttavia di concludere che lo stato attuale di trasposizione delle disposizioni della decisione quadro è insoddisfacente.

[25]   Con Decisione del 19 aprile 2006 (2006/337/CE) la Commissione ha adottato un formulario tipo per la trasmissione delle domande e delle decisioni conformemente alla direttiva 2004/80/CE del Consiglio relativa all'indennizzo delle vittime di reato.

[26]    Legge 16 dicembre 1999, n. 479 Modifiche alle disposizioni sul procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica e altre modifiche al codice di procedura penale. Modifiche al codice di procedura penale e all'ordinamento giudiziario. Disposizioni in materia di contenzioso civile pendente, di indennità spettanti al giudice di pace e di esercizio della professione forense.

[27]   L’art. 2, comma 2 del D.Lgs 274/2000 prevede, come principio generale, che il giudice di pace debba favorire, per quanto possibile, la conciliazione tra le parti.

[28]   D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni .

[29]   Peraltro, nel processo minorile l’art. 10 del DPR 448/1988 preclude alla vittima del reato la possibilità di esercitare l'azione civile “per le restituzioni e per il risarcimento del danno cagionato dal reato”, tramite la costituzione di  parte civile. L’attuazione dell'attività di mediazione penale si è connotata, quindi, come possibile strumento di intervento a favore anche della vittima del reato, come percorso relazionale attraverso cui preparare, motivare e configurare la successiva definizione dell'attività riparatoria. In questo senso resta distinto il concetto di mediazione da quello di riparazione.

[30]   Legge 26 luglio 1975, n. 354, Norme sull'ordinamento penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative e limitative della libertà.

[31]   Legge 27 maggio 1998, n. 165, Modifiche all'articolo 656 del codice di procedura penale ed alla L. 26 luglio 1975, n. 354 , e successive modificazioni.

[32]   D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza.

[33]   Si fa riferimento alla parte VII, Riscossione (artt. 200-249) del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia.

[34]   Il D.P.R. reca: Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia.

[35]   La legge reca: Modifiche al testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115.

[36]   La legge reca "Disposizioni in materia di gestione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati. Modifiche alla legge 31 maggio 1965, n. 575, e all'articolo 3 della legge 23 luglio 1991, n. 223. Abrogazione dell'articolo 4 del decreto-legge 14 giugno 1989, n. 230, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 1989, n. 282"