Camera dei deputati - XV Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento giustizia
Titolo: Patteggiamento e indulto - AA.C. 1792 e 1877 - Schede di lettura
Riferimenti:
AC n. 1792/XV   AC n. 1877/XV
Serie: Progetti di legge    Numero: 97
Data: 05/02/2007
Descrittori:
AMNISTIA GRAZIA INDULTO   PATTEGGIAMENTO
Organi della Camera: II-Giustizia


Camera dei deputati

XV LEGISLATURA

 

SERVIZIO STUDI

Progetti di legge

Patteggiamento e indulto

AA.C. 1792 e 1877

Schede di lettura

 

 

 

 

 

n. 97

 

 

5 febbraio 2007

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dipartimento giustizia

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File: gi0094.doc

 

 


INDICE

Scheda di sintesi per l’istruttoria legislativa

Dati identificativi3

Struttura e oggetto  5

§      Contenuto  5

Elementi per l’istruttoria legislativa  8

§      Necessità dell’intervento con legge  8

§      Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite  8

§      Impatto sui destinatari delle norme  8

Schede di lettura

Quadro normativo  13

§      La disciplina in materia di patteggiamento e indulto  13

§      Il contenuto delle proposte di legge in esame  21

Progetti di legge

§      A.C. 1792, (on. Balducci e Boato), Norme in materia di indulto e di applicazione della pena su richiesta delle parti ovvero di accordo tra le parti in sede di giudizio di impugnazione  29

§      A.C. 1877, (on. Costa), Disposizioni in materia di termini per chiedere l'applicazione della pena su richiesta in caso di reati per i quali è previsto l'indulto  35

§      Codice penale (artt. 99, 151, 174, 176, 177 e 240)44

§      Codice di procedura penale (artt. 76, 129, 444-448, 555, 599, 665-667 e 672)49

§      Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale (art. 188)61

§      L. 24 novembre 1981, n. 689. Modifiche al sistema penale  (artt. 53, 59 e 60)62

§      D.Lgs. 19 febbraio 1998 n. 51. Norme in materia di istituzione del giudice unico di primo grado (art. 225)68

§      L. 19 gennaio 1999, n. 14. Modifica degli articoli 599 e art. 602 del codice di procedura penale  69

§      L. 12 giugno 2003, n. 134. Modifiche al codice di procedura penale in materia di applicazione della pena su richiesta delle parti71

§      L. 2 agosto 2004, n. 205. Modifica dell'articolo 188 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al D.Lgs. 28 luglio 1989, n. 271  73

§      L. 31 luglio 2006, n. 241. Concessione di indulto  74

Giurisprudenza

Corte costituzionale

§      Sentenza 26 settembre-10 ottobre 1990, n. 435  81

Corte di Cassazione

§      Sezioni unite penali, Sentenza 29 novembre 2005 – 23 maggio 2006, n. 17781  89

Documentazione

Consiglio superiore della Magistratura

§      Risoluzione 9 novembre 2006 (Nota 12 settembre 2006 del Ministro della giustizia riguardante la possibilità di differenziare, rispetto agli altri, la tempistica dei processi penali destinati ad esaurirsi senza la concreta inflizione di una pena ricorrendo il beneficio dell’indulto)119


Scheda di sintesi
per l’istruttoria legislativa


Dati identificativi

Numero del progetto di legge

1792

Titolo

Norme in materia di indulto e di applicazione della pena su richiesta delle parti ovvero di accordo tra le parti in sede di giudizio di impugnazione

Iniziativa

Parlamentare

Settore d’intervento

Processo penale

Iter al Senato

No

Numero di articoli

3

Date

 

§          presentazione alla Camera

9 ottobre 2006

§          annuncio

10 ottobre 2006

§          assegnazione

11 novembre 2006

Commissione competente

II Commissione (Giustizia)

Sede

Referente

Pareri previsti

I Commissione (Affari Costituzionali)

 


 

Numero del progetto di legge

1877

Titolo

Disposizioni in materia di termini per chiedere l' applicazione della pena su richiesta in caso di reati per i quali e' previsto l' indulto

Iniziativa

Parlamentare

Settore d’intervento

Processo penale

Iter al Senato

No

Numero di articoli

1

Date

 

§          presentazione alla Camera

31 ottobre 2006

§          annuncio

6 novembre 2006

§          assegnazione

27 novembre 2006

Commissione competente

II Commissione (Giustizia)

Sede

Referente

Pareri previsti

I Commissione (Affari Costituzionali)

 

 


 

Struttura e oggetto

Contenuto

Le proposte di legge in esame, di iniziativa dei deputati Balducci e Boato (C. 1792) e Costa (C. 1877), contengono, con talune differenze, disposizioni volte a prevedere la possibilità di ricorrere all'istituto del patteggiamento, previsto dagli articoli 444 e ss. del codice di procedura penale, anche al di fuori dei limiti temporali previsti dall'articolo 446 del medesimo codice, in tutti quei casi in cui il procedimento in corso potrebbe concludersi con una sentenza di condanna ad una la pena condonabile in virtù dell'indulto concesso con la recente legge del 31 luglio 2006, n. 241.

 

In particolare, la proposta di legge C. 1792, composta da tre articoli, prevede all'articolo 1, comma 1, che in tutti i casi in cui la pena applicata risulti in tutto o in parte estinta in virtù dell’indulto concesso ai sensi della legge 31 luglio 2006, n. 241, l’imputato può formulare, nei casi e con i limiti previsti all’articolo 444 del codice di procedura penale, richiesta di patteggiamento anche quando sono trascorsi i termini previsti dagli articoli 446, comma 1, e 555, comma 2, del medesimo codice.

 

Al riguardo, si ricorda che la richiesta di patteggiamento può essere formulata nel corso delle indagini preliminari (art. 447) ovvero nel corso dell’udienza preliminare fino a che non siano state presentate le conclusioni (art. 446, comma 1). A tale proposito va ricordato che la riforma introdotta dalla legge n. 479 del 1999 ha previsto che la presentazione delle conclusioni in udienza preliminare sia il momento ultimo in cui può essere chiesto il patteggiamento, escludendo la possibilità di poter proporre la richiesta per la prima volta in dibattimento, con scarsa efficacia deflattiva dei ruoli di udienza.

Nell’ipotesi in cui, invece, sia stato attivato il giudizio direttissimo, l’istanza può essere avanzata fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento; in caso di emissione del decreto di giudizio immediato, entro 15 giorni dalla notifica dello stesso; in caso di citazione diretta a giudizio, ai sensi del comma 2 dell'articolo 555 c.p.p, fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento.

Se il patteggiamento interviene nella fase delle indagini preliminari o della udienza preliminare comporta rinuncia al dibattimento; se sopravviene in limine litis in dibattimento (a seguito di giudizio immediato o direttissimo) vale a mutare l’oggetto di questo, dovendosi limitare, il giudice, a valutare le questioni prospettategli dalle parti (qualificazione giuridica, circostanze e comparazione, entità della pena), senza necessità di un positivo accertamento della responsabilità del giudicabile, salva la generale ipotesi dell’obbligo di immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità. Pertanto il risparmio di attività processuale è variabile a seconda del momento in cui si verifica l’accordo sulla pena da applicare.

La deflazione processuale conseguente al patteggiamento rende meritevole l’imputato di uno sconto di pena in misura variabile: diminuzione fino al limite di un terzo.

 

Il comma 2, dell'articolo 1, disciplina, a sua volta, i tempi per la presentazione della richiesta di patteggiamento a seguito dell'approvazione del provvedimento in esame.

Al riguardo, si prevede che la richiesta di applicazione della pena sull’accordo delle parti deve essere proposta, a pena di decadenza, entro la prima udienza successiva alla data di entrata in vigore delle disposizioni previste dalla proposta di legge in esame. Se tale udienza risulta fissata entro il trentesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore delle citate disposizioni, l’udienza medesima, su richiesta dell’imputato, è rinviata per consentire all’imputato stesso di formulare la richiesta di applicazione della pena sull’accordo delle parti.

 

Il successivo comma 3 precisa, da ultimo, che la richiesta di patteggiamento può essere formulata, altresì, in tutti i casi in cui l’imputato abbia richiesto il giudizio abbreviato o il medesimo sia già in corso.

 

L'articolo 2 della proposta di legge in esame è volta a prevedere la possibilità di ricorrere all'istituto del patteggiamento in appello anche se il dibattimento è già in corso, quando al medesimo consegue una rideterminazione della pena con applicazione alla medesima dell’indulto previsto dalla citata legge n. 241 del 2006. In questo caso la richiesta di applicazione della pena deve essere formulata entro la prima udienza successiva alla data di entrata in vigore presente legge. Se tale udienza risulta fissata entro il trentesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore delle disposizioni previste dal provvedimento in esame, l’udienza medesima, su richiesta dell’imputato, è rinviata per consentire all’imputato stesso di concordare con il procuratore generale la rinuncia a taluni motivi di appello e l’accoglimento di  altri con rideterminazione della pena.

 

Ai sensi del successivo articolo 3 in caso di ricorso in Cassazione, l’imputato e il Procuratore generale presso la Corte di cassazione possono concordare, secondo quanto disposto dall’articolo 599 del codice di procedura penale, la rinuncia a taluni motivi di ricorso con accoglimento di quelli che portano a una rideterminazione della pena cui deve essere applicato in tutto o in parte l'indulto previsto dalla legge n. 241 del 2006.

Anche in questo caso,  tale richiesta deve essere formulata entro la prima udienza successiva alla data di entrata in vigore della presente legge. Se tale udienza risulta fissata entro il trentesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della presente legge, l’udienza medesima, su richiesta dell’imputato, e` rinviata per consentire all’imputato stesso di concordare con il Procuratore generale presso la Corte di cassazione la rinuncia a taluni motivi di ricorso e l’accoglimento di altri con rideterminazione della pena.

 

La proposta di legge Costa C. 1877, composta da un solo articolo, prevede, la possibilità di formulare la richiesta di cui all’articolo 444 del codice di procedura penale anche nei processi in corso di dibattimento nei quali, alla data di entrata in vigore della presente proposta di legge, risulti decorso il termine stabilito dall’articolo 446, comma 1, del codice di procedura penale, se il reato contestato rientra tra quelli per i quali e` prevista la concessione di indulto ai sensi della citata legge n. 241/2006 e la pena da applicare all’imputato puo` essere dichiarata con la sentenza interamente estinta per effetto dell’indulto.

In questo caso la relativa richiesta dovrà pervenire nella prima udienza utile successiva alla data di entrata in vigore della presente proposta legge.

A differenza della proposta di legge C. 1792, si osserva che la riammissione in termini prevista dalla proposta di legge C. 1877 non opera nel caso in cui vi sia opposizione della parte civile ovvero nel caso in cui la pena presumibilmente inflitta risulti non interamente estinta in virtù del citato indulto.

 

Relazioni allegate

Si tratta di due proposte di legge di iniziativa parlamentare, corredate, pertanto della sola relazione illustrativa


 

Elementi per l’istruttoria legislativa

Necessità dell’intervento con legge

Le proposte di legge in esame intervengono sulla disciplina attualmente vigente in materia di applicazione della pena su richiesta delle parti, dettata dagli articoli 444 e ss. del codice di procedura penale. Si giustifica, pertanto, l'utilizzazione dello strumento legislativo.

Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite

La base giuridica del provvedimento appare riconducibile all’articolo 117, comma 2, lettera l della Costituzione (Giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale). Il testo delle proposte di legge, infatti, detta una disciplina normativa di carattere processuale rientrante, pertanto, nella potestà legislativa esclusiva dello Stato.

Impatto sui destinatari delle norme

Come si legge nelle relazioni illustrative delle proposte di legge in esame, molti dei procedimenti e processi attualmente in corso e riguardanti fatti commessi precedentemente alla data del 2 maggio 2006, potrebbero concludersi con una sentenza di condanna ad una pena oggetto di indulto in virtù della citata legge 31 luglio 2006, n. 241.

 

La possibilità prevista dalle proposte di legge in esame di consentire, in relazione ai citati procedimenti, il ricorso al patteggiamento, in deroga, quindi, agli ordinari limiti temporali e in presenza di taluni presupposti indicati dalle medesime proposte di legge, consentirebbe, ad avviso dei proponenti, di alleggerire l'attuale carico degli uffici giudiziari consentendo una rapida conclusione, attraverso il patteggiamento, di quei processi il cui risultato finale potrebbe essere quello di una pena contenuta nei tre anni di reclusione e, quindi, condonabile in virtù del citato indulto.

 

Al fine di garantire i diritti della parte civile, la sola proposta di legge C. 1877 prevede che la "riammissione in termini" in esame non operi nel caso di sua opposizione.


Schede di lettura

 


Quadro normativo

La disciplina in materia di patteggiamento e indulto

Il patteggiamento

Il procedimento speciale denominato “applicazione della pena su richiesta delle parti” (cd. patteggiamento, artt. 444-448 c.p.p.), è stato introdotto dal nuovo codice di rito penale del 1988 ed è stato successivamente riformato dalla legge 12 giugno 2003, n. 134[1] (cd. patteggiamento allargato, v. ultra).

 

Alla base dell'istituto vi è un accordotransattivo tra le parti non solo sul rito ma anche sulla pena da irrogare, anche se l'eventuale dissenso del P.M. resta poi assoggettabile a controllo da parte del giudice dibattimentale.

 

Ulteriori condizioni per accedere al patteggiamento sono:

§         una  pena detentiva pattuita non eccedente i cinque anni (calcolata la diminuente di un terzo per la scelta del rito, art. 444, comma 1 e valutate le circostanze);

§         il provvedimento di accoglimento della richiesta di patteggiamento da parte del giudice.

 

L’accordo tra l’imputato e il PM, oltre che sulla pena detentiva, può avere ad oggetto anche l’applicazione di una specifica pena sostitutiva o di una pena pecuniaria, anch’essa diminuita fino ad un terzo.

 

Il giudice può decidere solo sull’accoglimento od il rigetto della richiesta: può ratificare o meno l’accordo ma non può modificarlo, né integrarlo, né basarsi su atti diversi da quelli già acquisiti nel fascicolo del PM.

 

In particolare, ai fini dell'accoglimento del patteggiamento, il giudice deve valutare:

§         la correttezza della qualificazione giuridica del fatto-reato contestato, le circostanze e loro comparazione;

§         la congruità della pena patteggiata;

§         l’assenza di cause di non punibilità che imporrebbero l’immediato proscioglimento dell’imputato (nonostante la richiesta di patteggiamento) ai sensi dell’articolo 129 c.p.p.

 

Ai sensi dell’art. 444, terzo comma, l’imputato può, inoltre, subordinare il suo consenso al patteggiamento all’applicazione della sospensione condizionale della pena, sicché se il giudice riterrà inaccoglibile tale punto dell’accordo verrà meno la stessa efficacia del patteggiamento (art. 445, c. 3).

 

Tenuto conto dell’essenzialità dell’accordo per la praticabilità del patteggiamento (tra l’altro, il proponente – fino a quando non sia intervenuto il consenso dell’altra parte - può revocare o modificare la richiesta), ai sensi del comma 6 del citato articolo 444, il PM è tenuto a motivare il suo dissenso in modo da non precludere all’imputato la possibilità di beneficiare successivamente dello sconto di pena previsto. Al riguardo, si osserva, infatti, che ai sensi dell'articolo 448 c.p.p., nel caso di dissenso sul patteggiamento da parte del pubblico ministero, ovvero nel caso di rigetto della richiesta da parte del giudice per le indagini preliminari, l'imputato, prima dell’apertura del dibattimento di primo grado può rinnovare la richiesta al giudice il quale, ove ritenga fondata la richiesta pronuncia, in tal caso, immediata sentenza.

Inoltre, all’esito del dibattimento, il giudice di primo grado (o quello dell’appello), se ritiene che il diniego di consenso del PM o il rigetto della richiesta siano stati ingiustificati, può egualmente concedere la riduzione di pena (art. 448 c.p.p).

In relazione al termine di presentazione della richiesta di patteggiamento, anche se questa può essere avanzata già nel corso delle indagini preliminari (art. 447 c.p.p.), va ricordato che la riforma introdotta dalla legge n. 479 del 1999 (cd, Carotti) ha individuato, di regola, la presentazione delle conclusioni in udienza preliminare come il momento ultimo in cui può essere chiesto il patteggiamento, escludendo, appunto, la possibilità di poter proporre la richiesta per la prima volta in dibattimento, con scarsa efficacia deflattiva dei ruoli di udienza.

Nei procedimenti privi di udienza preliminare, il termine ultimo di proposizione del patteggiamento cade, invece, nella fase predibattimentale: nel giudizio direttissimo e in quello con citazione diretta a giudizio davanti al tribunale monocratico (art. 555, comma 2) l’istanza può essere avanzata fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento; in caso di emissione del decreto di giudizio immediato, entro 15 giorni dalla notifica dello stesso (art. 446, comma 1); in caso di decreto penale, con l’opposizione (art. 461, comma 3).

 

La sentenza di patteggiamento è inappellabile (l’appello per il PM è ammesso solo nel caso in cui la sentenza sia stata emessa nonostante il suo dissenso) ma ricorribile in Cassazione (art. 448, comma 2).

Istituto diverso dal patteggiamento ex art. 444 è il cd. patteggiamento in appello di cui all’art. 599 del codice, comma 4. La norma prevede che la corte d’appello, se le parti ne fanno richiesta dichiarando di concordare sull’accoglimento, in tutto o in parte, dei motivi d’appello, può decidere sul punto in camera di consiglio; se, i motivi dei quali viene chiesto l’accoglimento comportano una diversa determinazione della pena (rispetto al primo grado), le parti (PM, imputato e persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria) possono accordarsi sull’entità della stessa indicandola al giudice. Questi, se accoglie la richiesta pronuncia sentenza, altrimenti ordina la citazione a comparire al dibattimento (art. 599, comma 5). Il diniego del giudice non preclude, comunque alle parti di riproporre la stessa richiesta in dibattimento.

Tale patteggiamento in appello, resta, quindi, distinto da quello previsto dagli artt. 444 e ss. c.p.p., non comportando il primo né una diminuzione di pena o vantaggi premiali, un vincolo del giudice sul contenuto dell’accordo. Ben può, infatti, il giudice dell’appello, all'esito negativo del controllo di congruità, decidere in modo difforme dall'accordo, con la conseguente perdita di efficacia della richiesta e della rinuncia agli altri motivi di appello non riguardanti la pena.

 

In presenza delle condizioni, il giudice dispone con sentenza l’applicazione della pena su richiesta, precisando nel dispositivo l’intervenuto accordo tra le parti; in caso vi sia costituzione di parte civile, anche se il giudice non decide sul punto, l’imputato – salvo che ricorrano giusti motivi di compensazione - è comunque condannato alle spese sostenute dalla parte civile.

 

La sentenza di applicazione del patteggiamento (artt. 444, comma 2 e 448) non ha natura giuridica di sentenza di condanna, in quanto non contiene un’affermazione esplicita della responsabilità penale dell’imputato in ordine al fatto reato contestatogli. Per espressa previsione del comma 1-bis dell’art. 445, la sentenza patteggiata è però equiparata a quella di condanna (in tal senso, anche la prevalente giurisprudenza); la questione assume rilievo in quanto a tale sentenza conseguono importanti effetti in tema di revoca di sospensione condizionale, indulto, dichiarazione di abitualità del reato, ecc.

 

In relazione alla natura giuridica della sentenza patteggiata, alla luce della nuova disciplina del patteggiamento, si segnala una recente sentenza della Cassazione a sezioni unite in materia di rapporto tra sospensione condizionale della pena e patteggiamento (Cass. S.U., sent. 23 maggio-29 novembre 2006, n. 17781).

 

 

Come sopra rilevato, la disciplina dell’applicazione della pena su richiesta delle parti è stata oggetto di ampia riforma ad opera della legge sul cd. patteggiamento allargato (L.134/2003).

 

Se la novità più rilevante della legge consiste – come già accennato - nell’aumento da due a cinque anni del limite di pena detentiva, sola o congiunta a pena pecuniaria, previsto quale condizione del patteggiamento, altri rilevanti profili di novità sono stati introdotti negli artt. 444 e 445 del codice processuale penale.

 

La legge 134/2003, che ha previsto la possibile revisione anche delle sentenze patteggiate (art. 629 c.p.p.), prima non ammessa (in tal senso, Cass. S.U., sent. 25 marzo 1998, n. 6 ), ha, infatti introdotto ex novouna serie di cause di esclusione, di natura oggettiva e soggettiva, la cui presenza - nel caso di pena detentiva superiore a due anni - preclude l’accesso al possibile accordo tra le parti su una pena ridotta.

 

Le prime, cause oggettive, escludono dall’accesso al patteggiamento i procedimenti per delitti di particolare allarme sociale come l’associazione mafiosa, il sequestro di persona a scopo di rapina a o estorsione;l’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti; l’associazione finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri; il terrorismo specifici delitti di natura sessuale in danno di minori, violenza sessuale e violenza sessuale di gruppo.

 

Le cause di esclusione soggettive sono, invece, relative alla particolare situazione giuridica degli imputati impeditivi dell’accesso alla procedimento speciale di cui agli artt. 444 e ss. c.p.p.: si tratta di delinquenti abituali, professionali e per tendenza nonché di recidivi reiterati (art. 99, quarto comma, c.p.), quando siano condannati a pena superiore a due anni soli o congiunti a pena pecuniaria.

La legge 134/2003 ha, quindi, previsto due diversi tipi di patteggiamento: una forma cosiddetta allargata, (per pene fino a 5 anni) e la forma ordinaria per pene massimo biennali.

Infatti,confermata l’inefficacia della sentenza di patteggiamento nei giudizi civili e amministrativi (esclusi, però, quelli disciplinari davanti alla P.A.),l a legge hai limitato alcuni benefici previsti dall’art. 445 c.p.p. - e sempre accessibili secondo la norma previgente - alle sole ipotesi di sentenza che preveda una pena irrogata non superiore ai due anni.

 

Si tratta dei seguenti benefici:

§         l’esonero dal pagamento delle spese processuali;

§         l’inapplicabilità di pene accessorie e di misure di sicurezza, fatta eccezione per la citata confisca, ex art. 240 c.p.;

§         l’estinzione del reato in caso di mancata commissione di delitto (entro 5 anni) o contravvenzione (entro 2 anni) della stessa indole.

 

Altro aspetto rilevante della riforma è costituito dalle modifiche alla disciplina delle c.d. sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi.

Di tali sanzioni, previste dall’art. 53 della legge 689/81, è ora possibile l’applicazione in termini più favorevoli al condannato risultando, dalla legge 134/2003, eliminate le esclusioni soggettive con l’abrogazione dell’art. 60 della legge 689 e, soprattutto, raddoppiati i limiti di pena ivi previsti. Infatti:

§         la pena detentiva entro il limite di due anni può essere sostituita con la pena della semidetenzione (il precedente limite era di un anno);

§         la pena detentiva entro il limite di un anno può essere sostituita con la libertà controllata (il precedente limite era di sei mesi);

§         la pena detentiva entro il limite di sei mesi può essere sostituita con la pena pecuniaria della specie corrispondente (il precedente limite era di tre mesi).

Per determinare la pena pecuniaria il giudice individua il valore giornaliero al quale può essere assoggettato l’imputato e lo moltiplica per i giorni di pena detentiva sostituita (il valore giornaliero è determinato in misura compresa tra 38 e 380 euro, valutando la complessiva situazione economica dell’imputato e del suo nucleo familiare; il pagamento potrà essere rateizzato da tre a trenta mesi con ciascuna rata non inferiore ad € 15.

Con la riforma, è novellato, inoltre, l’art. 59 della stessa legge 689/1981, sostanzialmente ampliando la possibilità per i recidivi di usufruire della sostituzione della pena detentiva. Analogo effetto estensivo comporta l’abrogazione dell’art. 60 della stessa legge 689 che prevedeva una specifica serie di delitti per la cui condanna non era possibile l’applicazione delle pene sostitutive.

La legge 134/2003 ha, infine, previsto una specifica disciplina transitoria per l’applicabilità della nuova disciplina ai processi in corso al momento della sua entrata in vigore.

 

Successivamente, il legislatore - per finalità di coordinamento con la descritta riforma del patteggiamento - è intervenuto con la legge 2 agosto 2004, n. 205[2] a novellare l’articolo 188 delle norme di attuazione al codice di procedura penale.

Il citato articolo 188, collocato tra le disposizioni relative all’esecuzione, prevede l'ipotesi in cui contro una stessa persona siano state pronunciate, in procedimenti distinti, più sentenze patteggiate ai sensi dell’art. 444 del codice processuale penale.

In tal caso, nella sua formulazione anteriore alla novella del 2004, il giudice dell’esecuzione applicava la disciplina del concorso formale o del reato continuato in presenza di due condizioni:

 

§         richiesta del condannato e del pubblico ministero;

§         entità della sanzione sostitutiva o della pena concordata non superiore a due anni.

 

In relazione a tale disposizione si è, quindi, posto il problema di coordinare la disposizione in esame con l’innalzamento a cinque anni del limite della pena detentiva entro il quale è ammesso il patteggiamento stesso, oggetto principale della riforma introdotta con la legge 134/2003 e ciò al fine di evitare una ingiusta disparità di trattamento fra soggetti in identica situazione giuridica: imputati che, nel giudizio di merito, nel caso della commissione di più reati, potevano patteggiare la pena nel limite dei cinque anni, previa applicazione della disciplina del reato continuato e condannati che nel giudizio di esecuzione, in analoga posizione giuridica, restavano invece legati al limite biennale.

Tale discrasia normativa, oggetto anche di un ricorso alla Corte costituzionale è stata così alla base dell’intervento di coordinamento normativo oggetto della legge 205/2004.

Il provvedimento modifica, quindi, il citato articolo 188 portando da due a cinque anni il limite di pena detentiva che permette, in fase esecutiva, l’applicazione della disciplina del concorso formale o del reato continuato; è mantenuto, peraltro, fermo il limite dei due anni nei più gravi casi di cui al nuovo comma 1-bis dell’art. 444 del codice di procedura penale.

L’indulto

Fino all'approvazione della legge costituzionale n. 1/1992, la competenza ad adottare i provvedimenti di amnistia o di indulto era dalla Costituzione assegnata al Capo dello Stato, sulla base di una legge di delegazione approvata dal Parlamento (art. 79 della Costituzione).

Nella prassi, il rapporto tra la legge ed il decreto presidenziale si era configurato nel senso che la legge stabiliva in modo dettagliato le ipotesi ed i limiti della concessione dei benefici in questione, mentre al Capo dello Stato, previa delibera del Consiglio dei Ministri, restava il compito di recepire con decreto i contenuti della legge.

La legge costituzionale 6 marzo 1992, n. 1, "Revisione dell'articolo 79 della Costituzione in materia di concessione di amnistia e indulto", ha incisivamente modificato l'art. 79, prevedendo che siano le Camere a concedere l'amnistia e l'indulto con legge deliberata a maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera in ogni suo articolo e nella votazione finale. E' stato in tal modo eliminato ogni residuo potere in materia del Capo dello Stato e reso più difficile, per la particolare maggioranza prescritta in sede di approvazione della legge, l'esercizio del c.d. potere di clemenza.

 

Il nuovo testo dell'articolo 79 Cost. stabilisce, altresì, che la legge che concede l'amnistia e l'indulto indichi il termine per la loro applicazione ed espressamente dispone che tali benefici non possano applicarsi ai reati commessi successivamente alla presentazione del progetto di legge. In proposito va osservato che l’articolo 151, comma 3, del c.p., riferendosi al testo previgente dell’art. 79 Cost (ora, infatti, i benefici sono concessi direttamente con la legge), limita gli effetti estintivi dell’amnistia e dell’indulto (per quest’ultimo, in forza del rinvio di cui all’art. 174, comma 3, c.p.) ai reati commessi sino al giorno precedente la data del decreto, salvo che questo stabilisca una data diversa.

 

Mentre “l’amnistia estingue il reato, e, se vi è stata condanna, fa cessare l’esecuzione della condanna e le pene accessorie[3]” (art. 151) l'indulto (art. 174c.p.) condona in tutto o in parte la pena inflitta (o la commuta in altra specie di pena) ma non estingue le pene accessorie – salvo che lo stabilisca lo stesso decreto di concessione – e neanche gli altri effetti penali della condanna.

 

Se, quindi, l’amnistia è un provvedimento generale ed astratto con il quale lo Stato rinuncia a punire un determinato numero di reati estinguendoli, l’indulto è una causa estintiva della sola pena, e, in quanto tale, presuppone l'accertamento della colpevolezza dell'imputato.

 

Peraltro, al pari dell'amnistia, l'indulto è provvedimento di carattere generale (a differenza della grazia, che, seppure incidente come l'indulto sulla pena e non sul reato, è provvedimento individuale) comporta l'inapplicabilità ovvero la cessazione delle misure di sicurezza.

Tali effetti sono, in ogni caso, sottoposti ai limiti previsti all'art. 210 c.p.

 

 A norma di tale articolo, infatti, l'indulto non impedisce l'applicazione né di quelle misure di sicurezza “che possono essere ordinate in ogni tempo” (quelle cioè conseguenti alla dichiarazione di pericolosità sociale, ubriachezza, infermità, ecc.), né delle misure di sicurezza che risultano “già ordinate dal giudice come misure accessorie di una condanna alla pena della reclusione superiore a dieci anni” (sostituendosi, peraltro, in questo caso la libertà vigilata all'assegnazione alla colonia agricola o alla casa di lavoro).

 

La differenza forse di maggior rilievo tra i due benefici previsti dall’art. 79 Cost si registra rispetto agli effetti processuali: mentre la concessione di amnistia preclude l'esercizio dell'azione penale nei confronti del reo (c.d. amnistia propria) ovvero, quando sia intervenuta una sentenza di condanna, fa cessare del tutto l'esecuzione della condanna e delle pene accessorie, l'indulto, estinguendo la sola pena, non impedisce l’avvio o la prosecuzione dell’azione penale.

Da ciò deriva che, in caso di concessione del solo indulto (in determinati limiti di pena) il procedimento penale inizia o prosegue anche quando la pena teoricamente irrogabile non debba essere effettivamente scontata in quanto neutralizzatadagli effetti del decreto di concessione dell’indulto.

Nessun limite generale è posto dalla legge per i tipi di reato ai quali può applicarsi il condono: eventuali esclusioni sono, pertanto, demandate al provvedimento con il quale l'indulto è concesso insieme con la fissazione del limite della pena condonabile.

L'art. 174 c.p., inoltre, richiamando quanto disposto dall'ultimo comma dell'art. 151 c.p. in tema di amnistia, stabilisce chel'indulto non si applica ai recidivi, nei casi previsti dai capoversi dell'art. 99 c.p., né ai delinquenti abituali, professionali o per tendenza, salvo che il provvedimento di concessione dell'indulto non disponga diversamente.

Ancora in forza del richiamo contenuto nell'art. 174 c.p. agli ultimi tre commi dell'art. 151 c.p., l'indulto può essere sottoposto a condizioni ed obblighi. Nei casi più recenti di concessione, l'indulto è sempre stato sottoposto a condizione, prevedendosene la revoca in caso di condanna, entro cinque anni dalla data di entrata in vigore del provvedimento concessorio, a delitto non colposo punibile con la pena detentiva non inferiore ad un periodo predeterminato - un anno o sei mesi -.

Nel caso di concorso di reati, secondo quanto dispone il comma 2 dell'art. 174 c.p., l'indulto si applica una sola volta dopo cumulate le pene.

Sul piano processuale, i provvedimenti per l'applicazione dell'amnistia o dell’indulto sono regolati dall'art. 672 c.p.p. In forza dell'art. 667, comma 4, il provvedimento di concessione dell'indulto (come dell’amnistia) viene applicato dal giudice dell'esecuzione, cioè dal giudice che ha emesso la sentenza di condanna (individuato in base alle previsioni contenute nell'art. 665 c.p.p.) “senza formalità con ordinanza comunicata al pubblico ministero e notificata all'interessato”. Contro l'ordinanza possono proporre opposizione, a norma dello stesso comma 4 dell'art. 667 c.p.p., davanti allo stesso giudice dell'esecuzione, il pubblico ministero e l'interessato o il suo difensore, entro quindici giorni dalla comunicazione o notificazione dell'ordinanza[4].

Il comma 3 dell'art. 672, inoltre, prevede che il pubblico ministero può disporre provvisoriamente la liberazione del condannato detenuto, ovvero la cessazione delle sanzioni sostitutive e delle misure alternative “prima che essa sia definitivamente ordinata con il provvedimento che applica l’amnistia o l'indulto”.

 

Nella storia repubblicana, i 17 indulti concessi sono stati sempre accompagnati (anche se non sempre contestualmente) da analoghi provvedimenti di amnistia (v. sul punto, l’allegata risoluzione C.S.M. del 9 novembre 2006).

 

Analoga circostanza non si è verificata in relazione al 18° indulto, concesso con la recente legge 31 luglio 2006, n. 241, per tutti i reati commessi fino a tutto il 2 maggio 2006, nella misura non superiore a tre anni per le pene detentive e non superiore a 10.000 euro per quelle pecuniarie sole o congiunte a pene detentive (v. ultra).

Il contenuto delle proposte di legge in esame

I provvedimenti in esame recano una disciplina speciale volta a prevedere la possibilità di ricorrere all'istituto del patteggiamento, previsto dagli articoli 444 e ss. del codice di procedura penale, anche al di fuori dei limiti temporali previsti dall'articolo 446 del medesimo codice, in tutti quei casi in cui il procedimento in corso potrebbe concludersi con una sentenza di condanna ad una la pena condonabile in virtù dell'indulto concesso con la recente legge del 31 luglio 2006, n. 241.

 

La citata legge 31 luglio 2006, n. 241, ha concesso indulto “per tutti i reati commessi fino al 2 maggio 2006, nella misura non superiore a tre anni per le pene detentive e non superiore a 10.000 euro per quelle pecuniarie, sole o congiunte a quelle detentive”.

La legge esplicitamente esclude che cause ostative della concessione del beneficio possano essere quelle di cui all’art. 151, ultimo comma, c.p. e relative alle condizioni soggettive del destinatario del beneficio (recidivi, delinquenti abituali professionali e per tendenza). Non prevedendo, invece, nulla di specifico in ordine alle pene accessorie, queste,al contrario delle misure di sicurezza[5], non sono estinte dall’indulto, ex art. 174, primo comma, del codice penale.

La legge 241/2006 ha poi introdotto cause oggettive di esclusione dall’indulto, prevedendone l’inapplicabilità in ordine ai seguenti reati:

-  reati di terrorismo,

-  associazioni mafiose

- delitti aggravati da finalità di eversione/terrorismo, discriminazione o odio razziale-etnico-nazionale-religioso o avvalendosi delle condizioni di cui all’art. 416 bis c.p.)

-  reati sessuali

- specifici reati in materia di pedo-pornografia;

-  tratta di persone (art. 601 c.p.) e acquisto e alienazione di schiavi (art. 602 c.p);

-  sequestro di persona a scopo di estorsione (non per il concorrente dissociato)

-  usura;

-  riciclaggio di proventi da sequestro di persona a scopo di estorsione e dai delitti di cui al TU stupefacenti (DPR 309/1990);

-  art. 73 TU stupefacenti, produzione, traffico e detenzione illecita di droga, aggravato da quantità o cessione a minori;

-  art. 74 TU stupefacenti, associazione finalizzata al traffico di droga  (per coloro che promuovono o costituiscono l’associazione, per ipotesi di associazione armata e avente ad oggetto spaccio di droghe adulterate, non quindi per i partecipanti di cui al secondo comma).

La legge prevede, infine, la revoca di diritto del beneficio se chi ne ha usufruito commette, entro cinque anni dalla data di entrata in vigore della legge (1° agosto 2006), un delitto non colposo per il quale riporti condanna a pena detentiva non inferiore a due anni.

 

Alla base delle proposte di legge in esame vi è l'osservazione che molti dei processi attualmente in corso e riguardanti fatti commessi precedentemente alla data del 2 maggio 2006, potrebbero concludersi con una sentenza di condanna ad una pena oggetto di indulto in virtù della citata legge 31 luglio 2006, n. 241.

 

Pertanto, in relazione ai citati procedimenti, i proponenti le proposte di legge in esame reputano opportuno consentire il ricorso al patteggiamento, anche in deroga, quindi, agli ordinari limiti temporali, al fine di alleggerire l'attuale carico degli uffici giudiziari, consentendo, al contempo, la conclusione rapida di quei processi il cui risultato finale potrebbe essere quello di una pena contenuta nei tre anni di reclusione e, quindi, condonabile in virtù del citato indulto.

La proposta di legge AC 1792 (Balducci e Boato)

Il comma 1 dell'articolo 1 della proposta di legge C. 1792 prevede che in tutti i casi in cui la pena applicata risulti in tutto o in parte estinta in virtù dell’indulto concesso ai sensi della legge 31 luglio 2006, n. 241, l’imputato può formulare, nei casi e con i limiti previsti all’articolo 444 del codice di procedura penale, richiesta di patteggiamento anche quando sono trascorsi i termini previsti dagli articoli 446, comma 1, e 555, comma 2, del medesimo codice.

 

Si potrebbero, infatti, verificare due ipotesi: con la prima, la pena da infliggere rientra nel limite triennale coperto dall’indulto ed è quindi teoricamente estinta in toto; con la seconda, l’indulto incide, invece, su una pena maggiore di tre anni e quindi la estingue solo in parte.

Ai sensi del citato comma 1, quindi, l’imputato potrà chiedere il patteggiamento, nel rito ordinario, anche dopo la presentazione delle conclusioni in udienza preliminare (art. 446, co. 1), nel rito direttissimo, dopo la dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado ovvero, nel rito monocratico con citazione diretta davanti al tribunale, dopo  la dichiarazione di apertura del dibattimento (art. 555, co. 2).

 

Il comma 2, dell'articolo 1, disciplina, a sua volta, i tempi per la presentazione della richiesta di patteggiamento a seguito dell'approvazione del provvedimento in esame.

 

Al riguardo, il termine ultimo individuato per la presentazione della richiesta è, a pena di decadenza, la prima udienza successiva alla data di entrata in vigore del provvedimento in esame.

 

Al fine di consentire all’imputato un termine congruo per la richiesta di patteggiamento è’ prevista - a richiesta dell’imputato – un’ipotesi di rinvio di tale udienza, quando questa sia fissata entri i trenta giorni successivi alla citata data di entrata in vigore del provvedimento.

 

L’ultimo comma dell’art. 1 della p.d.l. estende la possibilità di ricorrere alla procedura di cui al citato 444 anche all’imputato che abbia chiesto il giudizio abbreviato o quando questo sia in corso.

 

L’articolo 2 del provvedimento concerne il patteggiamento in appello.

 

Si tratta del descritto meccanismo di cui all’art. 599, co. 4, c.p.p. che permette alle parti – in cambio del loro accoglimento, anche parziale, dei motivi di appello con rinuncia agli altri eventuali motivi del gravame – di ottenere, all’esito dell’udienza in camera di consiglio, una rideterminazione concordata dell’entità della pena. Tale possibilità, in forza del rinvio all’art. 589, sussiste fino all’apertura del dibattimento.

 

L’articolo 2, precisa, in particolare, che la richiesta di patteggiamento anche a dibattimento avviato è ammissibile quando la pena concretamente rideterminabile in seguito al patteggiamento rientri nel limite triennale utile per l’applicazione dell’indulto.

 

Ai sensi del medesimo comma 1 dell'articolo 2, il termine utile ai fini della presentazione della richiesta è, come per il primo grado, la prima udienza successiva alla data di entrata in vigore della legge in esame. Anche in questa ipotesi, nel caso di fissazione di tale udienza nei trenta giorni successivi a tale data, l’imputato può chiedere il rinvio per cercare con il PM (il PG presso la corte d’appello) l’accordo sui termini del patteggiamento.

 

L’articolo 3 fa ricorso al citato meccanismo di cui all’art. 599 c.p.p. per consentire il patteggiamento in caso di ricorso per cassazione nei casi in cui  la pena, così rideterminata, rientri nel limite triennale assorbito dall’indulto di cui alla legge 241/2006.

 

Si ricorda come tale possibilità era gia stata prevista dalla legge 14/1999[6], in conseguenzadell’emanazione del D.Lgs 51/1998 di attuazione del giudice unico di primo grado, il cui art. 225 reintroduceva di fatto il patteggiamento sui motivi in sede di appello (art. 599, commi 4 e 5, c.p.p.) dichiarato a suo tempo incostituzionale dalla sentenza 435 del 1990.

Con una norma transitoria relativa ai procedimenti nei quali fosse già stata pronunciata sentenza di appello prima della vigenza della legge e fosse ancora pendente (o proposto successivamente) il ricorso in cassazione, l’art. 3 della legge aveva - oltre che in appello - stabilito la possibilità di patteggiare sui motivi anche in Cassazione, con procedimento camerale.

 

Anche in questo caso tale richiesta deve essere formulata entro la prima udienza successiva alla data di entrata in vigore della presente legge. Se tale udienza risulta fissata entro il trentesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della presente legge, l’udienza medesima, su richiesta dell’imputato, e` rinviata per consentire all’imputato stesso di concordare con il Procuratore generale presso la Corte di cassazione la rinuncia a taluni motivi di ricorso e l’accoglimento di altri con rideterminazione della pena.

La proposta di legge AC 1877 (Costa)

Il comma 1 dell'articolo 1 della proposta di legge C. 1877 prevede la possibilità di formulare la richiesta di cui all’articolo 444 del codice di procedura penale anche nei processi in corso di dibattimento nei quali, alla data di entrata in vigore della proposta di legge, sia decorso il termine stabilito dall’articolo 446, comma 1, del codice di procedura penale; tale richiesta sarà possibile soltanto se il reato contestato rientri tra quelli per i quali è prevista la concessione di indulto ai sensi della citata legge n. 241/2006  e la pena da applicare all’imputato possa essere dichiarata, con la sentenza, interamente estinta per effetto dell’indulto stesso.

 

In questo caso, la relativa richiesta dovrà pervenire nella prima udienza utile successiva alla data di entrata in vigore della presente proposta legge.

 

Rispetto alla illustrata p.d.l. AC 1792, una prima differenza consiste nel fatto che la riapertura dei termini per la richiesta di patteggiamento è circoscritta al giudizio di primo grado; inoltre, non è possibile ricorrere al patteggiamento se l’effetto estintivo dell’indulto è solo parziale rispetto alla pena astrattamente comminabile.

 

Da ultimo, la possibilità di ricorrere all'istituto del patteggiamento prevista dallaproposta di legge C. 1877 non opera nel caso in cui vi sia opposizione della parte civile, circostanza questa non prevista dalla proposta di legge C1792.

 


Progetti di legge

 


N. 1792

¾

CAMERA DEI DEPUTATI

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PROPOSTA DI LEGGE

 

d’iniziativa dei deputati

BALDUCCI e BOATO

¾

 

Norme in materia di indulto e di applicazione della pena su richiesta delle parti ovvero di accordo tra le parti in sede di giudizio di impugnazione

 

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Presentata il 9 ottobre 2006

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Onorevoli Colleghi! - Il recente provvedimento di indulto di cui alla legge 31 luglio 2006, n. 241, ha comportato sicuramente una importante e significativa risposta al problema del sovraffollamento delle carceri portando alla liberazione di un rilevante numero di detenuti, essenzialmente di persone che hanno riportato condanna definitiva. L'indulto, per sua natura, non dà invece una risposta al problema del rilevante numero di processi pendenti e non contribuisce alla deflazione delle cause.

      Sembra, da recenti articoli giornalistici, che il possibile effetto del condono sul processo sia quello dell'abbandono di fatto, da parte di non pochi pubblici ministeri, delle investigazioni e delle indagini in tutti i casi in cui il risultato finale potrebbe essere quello di una pena contenuta nei tre anni di reclusione e quindi da non scontare effettivamente. Sul quotidiano Il Giornale, in un articolo a firma di Stefano Zurlo, apparso il 20 agosto 2006, vengono riportate le opinioni di diversi procuratori della Repubblica, concordi nel propugnare la tesi di una archiviazione di fatto, o meglio della «posposizione» nella scala delle priorità dei fascicoli da trattare con solerzia, di tutti i casi in cui l'indulto porterebbe ad una vanificazione della condanna. Sotto il profilo pragmatico, la tesi secondo la quale vanno trattati solo i casi in cui alla condanna può seguire una effettiva sanzione, con la deterrenza e gli effetti di prevenzione speciale e generale ai quali l'esecuzione della pena può condurre, merita una certa adesione. Tuttavia, sotto il profilo sia della serietà di tutto l'apparato giudiziario e dell'ordinamento, sia della tutela degli interessi delle vittime e dei danneggiati, la soluzione di «lasciare negli armadi», di archiviare di fatto i processi, non ci può trovare consenzienti. È il potere giudiziario che deve, nell'ambito della sua responsabilità, dosare (senza «abusarne») quella forma di oggettiva discrezionalità dell'azione penale che è la scelta dei fascicoli da trattare prioritariamente (e la scelta dei fascicoli da «posporre»); ma il legislatore, nell'ambito della sua «sovranità» può sicuramente dare indirizzi in materia e (o meglio contemporaneamente e soprattutto) introdurre quelle norme anche temporanee e (impropriamente) transitorie che, da un lato, aiutino a trovare giusta soluzione al problema del sovraccarico dei processi e, dall'altro, individuino una soluzione giuridicamente corretta ed ineccepibile rispetto alla necessità di chiudere rapidamente, senza abbandonarli, tutti i procedimenti e i processi nei quali l'indagato/imputato non avrà in concreto la pena da espiare in virtù appunto del condono.

      Non sembra necessario stimolare con norme ad hoc il ricorso al patteggiamento nella fase delle indagini preliminari o nell'udienza preliminare (o nella prima udienza dibattimentale, quando non vi è stata appunto udienza preliminare, ma si procede con la cosiddetta citazione diretta) che rappresenta oggi il termine ultimo per richiedere e far luogo alla applicazione della pena su richiesta delle parti.

      Invece, un intervento legislativo che «rimetta in termini» per il patteggiamento gli imputati, la cui causa è già in fase dibattimentale, sembra assai utile.

      Infatti, pur in mancanza di dati precisi, è più che ragionevole ipotizzare l'esistenza di una non modesta quota di imputati che non hanno formulato tempestiva richiesta di patteggiamento, e che possono avere oggi interesse a ricorrere al rito previsto dagli articoli 444 e seguenti del codice di procedura penale, in relazione alla possibilità nascente dal condono di non dover scontare in concreto la pena nel limite dei tre anni (o anche, oltre questo, ove vi sia stata una precedente custodia cautelare o, ancora, quando per la pena residua si potrebbe domandare, per esempio, l'affidamento in prova ai servizi sociali).

      Dunque, si propone una riapertura della possibilità di ricorrere al patteggiamento in tutti i processi in cui è in corso il giudizio di primo grado e non sia stata ancora pronunciata la sentenza del tribunale.

      Per quanto riguarda il giudizio di appello, sembra opportuno prevedere che, nei dibattimenti di secondo grado in corso, l'imputato possa procedere al patteggiamento in appello sinché i giudici non si ritirano in camera di consiglio, o comunque abbia, come previsto anche per il dibattimento di primo grado, un congruo spatium deliberandi.

      L'effetto deflattivo si otterrà con il meccanismo del cosiddetto «patteggiamento in appello», e cioè dell'accordo tra accusa e difesa sulla rinuncia ad alcuni motivi del gravame e sull'accoglimento delle richieste di riduzione della sanzione. Evidentemente la possibilità di evitare il carcere, in virtù del condono, può, di per sé, condurre l'imputato, fino al momento della camera di consiglio, a negoziare con il procuratore generale la parziale rinuncia all'impugnazione con, appunto, rideterminazione della pena e (evidentemente) contenimento della stessa nei limiti del provvedimento di clemenza.

      Ancora, sulla falsa riga di quanto a suo tempo previsto dall'articolo 3 della legge 19 gennaio 1999, n. 14, si propone di consentire anche il patteggiamento sui motivi di impugnazione davanti la Suprema Corte, secondo quanto previsto dall'articolo 599 del codice di procedura penale.

 



 


 

 

PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

      1. In tutti i casi in cui la pena applicata risulta in tutto o in parte estinta in virtù dell'indulto concesso ai sensi della legge 31 luglio 2006, n. 241, l'imputato può formulare, nei casi e con i limiti previsti all'articolo 444 del codice di procedura penale, richiesta di applicazione della pena sull'accordo delle parti, anche quando sono trascorsi i termini previsti dagli articoli 446, comma 1, e 555, comma 2, del medesimo codice.

      2. La richiesta di applicazione della pena sull'accordo delle parti deve essere proposta, a pena di decadenza, entro la prima udienza successiva alla data di entrata in vigore della presente legge. Se tale udienza risulta fissata entro il trentesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della presente legge, l'udienza medesima, su richiesta dell'imputato, è rinviata per consentire all'imputato stesso di formulare la richiesta di applicazione della pena sull'accordo delle parti.

      3. La richiesta di applicazione della pena sull'accordo delle parti può essere formulata altresì in tutti i casi in cui l'imputato abbia richiesto il giudizio abbreviato o il medesimo sia già in corso.

Art. 2.

      1. In caso di appello, l'imputato e il pubblico ministero possono richiedere l'applicazione del patteggiamento in appello anche se il dibattimento è già in corso quando al medesimo consegue una rideterminazione della pena con applicazione alla medesima dell'indulto di cui all'articolo 1. Tale richiesta deve essere formulata entro la prima udienza successiva alla data di entrata in vigore della presente legge. Se tale udienza risulta fissata entro il trentesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della presente legge, l'udienza medesima, su richiesta dell'imputato, è rinviata per consentire all'imputato stesso di concordare con il procuratore generale la rinuncia a taluni motivi di appello e l'accoglimento di altri con rideterminazione della pena.

Art. 3.

      1. In caso di ricorso per cassazione, l'imputato e il Procuratore generale presso la Corte di cassazione possono concordare, secondo quanto disposto dall'articolo 599 del codice di procedura penale, la rinuncia a taluni motivi di ricorso con accoglimento di quelli che portano a una rideterminazione della pena cui deve essere applicato in tutto o in parte l'indulto di cui all'articolo 1. Tale richiesta deve essere formulata entro la prima udienza successiva alla data di entrata in vigore della presente legge. Se tale udienza risulta fissata entro il trentesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della presente legge, l'udienza medesima, su richiesta dell'imputato, è rinviata per consentire all'imputato stesso di concordare con il Procuratore generale presso la Corte di cassazione la rinuncia a taluni motivi di ricorso e l'accoglimento di altri con rideterminazione della pena.

 

 

 

 


N. 1877

¾

CAMERA DEI DEPUTATI

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PROPOSTA DI LEGGE

 

d’iniziativa del deputato COSTA

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Disposizioni in materia di termini per chiedere l'applicazione della pena su richiesta in caso di reati per i quali è previsto l'indulto

 

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Presentata il 31 ottobre 2006 

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Onorevoli Colleghi! - È noto che il Parlamento con la legge 31 luglio 2006, n. 241, ha previsto la concessione di indulto «nella misura non superiore a tre anni per le pene detentive e non superiore a 10.000 euro per quelle pecuniarie sole o congiunte a pene detentive» per i reati commessi prima del 2 maggio 2006, salvo che per una serie di eccezioni tipizzate.

      È noto altresì che la grande maggioranza dei processi e dei procedimenti penali in cui sono impegnati attualmente i tribunali, le corti d'appello, la Corte di cassazione e le procure riguardano fatti verificatisi prima del 2 maggio 2006, per i quali pertanto, se ne ricorrono le condizioni, in caso di sentenza di condanna, viene dichiarata l'estinzione della pena per effetto dell'indulto. Ciononostante tali procedimenti penali devono essere portati a termine determinando un forte dispendio di energie da parte dell'autorità giudiziaria, le cui risorse umane vengono assorbite in via pressoché esclusiva per reati la cui pena, per effetto dell'indulto, si estingue. Risulta illogico che tali procedimenti penali intralcino e ritardino i processi per reati per i quali non è concedibile l'indulto.

      Pertanto, con la presente proposta di legge si intende introdurre la possibilità di chiedere l'applicazione della pena su richiesta di cui all'articolo 444 del codice di procedura penale, anche al di fuori dai limiti temporali previsti dall'articolo 446 del medesimo codice, per gli imputati ai quali, per effetto di tale patteggiamento, si applicherebbe una pena estinguibile per l'indulto. Si tratta, quindi, di ampliare l'estensione di un rito alternativo con la finalità di concentrare il lavoro dell'autorità giudiziaria su procedimenti per i quali l'indulto non è concedibile. Tuttavia, al fine di garantire i diritti della parte civile, è previsto che l'estensione non operi ove vi sia opposizione della stessa.

      Il patteggiamento è consentito fuori dai termini previsti dal citato articolo 446 del codice di procedura penale, solo se la sentenza richiesta dalle parti applica una pena suscettibile di essere dichiarata interamente estinta per l'intervenuto indulto.



 


proposta di legge

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Art. 1.

      1. Salvo che vi sia opposizione della parte civile costituita, l'imputato, o il suo difensore munito di procura speciale, e il pubblico ministero, nella prima udienza utile successiva alla data di entrata in vigore della presente legge, possono formulare la richiesta di cui all'articolo 444 del codice di procedura penale anche nei processi in corso di dibattimento nei quali, alla data di entrata in vigore della presente legge, risulta decorso il termine stabilito dall'articolo 446, comma 1, del codice di procedura penale, se il reato contestato rientra tra quelli per i quali è prevista la concessione di indulto ai sensi della legge 31 luglio 2006, n. 241, e la pena da applicare all'imputato può essere dichiarata con la sentenza interamente estinta per effetto dell'indulto.

 

 

 

 




[1]    La legge reca: Modifiche al codice di procedura penale in materia di applicazione della pena su richiesta delle parti

[2]    La legge reca: Modifica dell'articolo 188 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271

[3]    Le pene accessorie previste per i delitti sono quelle della interdizione dai pubblici uffici, dall'esercizio di una professione od arte, della interdizione legale; della incapacità di contrattare con la p.a., della decadenza o sospensione dall'esercizio della potestà dei genitori; della interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche ed imprese; per le contravvenzioni: la sospensione dall'esercizio di una professione od arte e la sospensione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche ed imprese: pena accessoria comune ai delitti ed alle contravvenzioni è la pubblicazione della sentenza di condanna. Pene accessorie speciali sono, infine, previste da leggi speciali in materia di assegni, di frodi alimentari, di bancarotta, ecc.

3     Quando l'applicazione dell’amnistia o dell'indulto esplica effetti sull'applicabilità di una misura di sicurezza, il giudice dell'esecuzione trasmette, a norma dell'art. 672, comma 2, gli atti relativi al magistrato di sorveglianza.

[5]    L‘art. 210, secondo comma, c.p. prevede che l’estinzione della pena impedisce l’applicazione delle  misure di sicurezza (eccetto quelle che possono essere ordinate in ogni tempo) ma non l’esecuzione di quelle già ordinate dal giudice come misure accessorie di una condanna alla reclusione superiore a 10 anni.

[6]    Legge 19 gennaio 1999, n. 14, "Modifica degli articoli 599 e 602 del codice di procedura penale”.