Camera dei deputati - XV Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento giustizia
Titolo: Revisione dei processi penali a seguito di sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo - A.C. n. 917 (2^ edizione)
Riferimenti:
AC n. 917/XV     
Serie: Progetti di legge    Numero: 12
Data: 07/07/2006
Descrittori:
CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL' UOMO   PROCESSO PENALE
REVISIONE DEL PROCESSO PENALE     
Organi della Camera: II-Giustizia


Camera dei deputati

XV LEGISLATURA

 

 

 

 

SERVIZIO STUDI

Progetti di legge

 

 

 

 

 

 

Revisione dei processi penali a seguito di sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo

(A.C. n. 917)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

n. 12

2^ edizione

 

7 luglio 2006

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il presente dossier è stato redatto con la collaborazione dell’Avvocatura della Camera

 

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file: gi0010.doc

 


INDICE

Scheda di sintesi per l’istruttoria legislativa

Dati identificativi3

Struttura e oggetto  4

§      Contenuto  4

§      Relazioni allegate  4

Elementi per l’istruttoria legislativa  5

§      Necessità dell’intervento con legge  5

§      Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite  5

§      Rispetto degli altri princìpi costituzionali5

§      Incidenza sull’ordinamento giuridico  6

§      Formulazione del testo  6

Schede di lettura

§      Il contenuto della proposta di legge  9

Progetto di legge

§      A.C. 917, (on. Pecorella), Modifiche al codice di procedura penale in materia di revisione a seguito di sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo  19

Riferimenti normativi

§      Costituzione della Repubblica (art. 111)27

§      Codice di procedura civile (art. 375)30

§      Codice di procedura penale (artt. 629-647)34

§      L. 4 agosto 1955, n. 848. Ratifica ed esecuzione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950 e del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952.42

§      L. 16 febbraio 1987, n. 81. Delega legislativa al Governo della Repubblica per l'emanazione del nuovo codice di procedura penale.57

§      L. Cost. 23 novembre 1999, n. 2. Inserimento dei princìpi del giusto processo nell'articolo 111 della Costituzione.76

§      L. 24 marzo 2001, n. 89. Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell' articolo 375 del codice di procedura civile  77

Lavori preparatori nella XIV Legislatura

Camera dei deputati

Progetti di legge

§      A.C. 1447, (on. Pepe ed altri), Modifiche agli articoli 630 e 633 del codice di procedura penale in materia di revisione dei processi penali a seguito di sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo  89

§      A.C. 1992, (on. Cola), Modifica agli articoli 630 e 633 del codice di procedura penale in materia di revisione delle sentenze di condanna e dei decreti penali di condanna  95

Esame in sede referente

-       II Commissione (Giustizia)

Seduta del 28 novembre 2001  101

Seduta del 5 febbraio 2002  107

Seduta del 14 febbraio 2002  109

Seduta del 21 febbraio 2002  113

Seduta del 7 marzo 2002  117

Seduta del 12 marzo 2002  119

Seduta del 21 marzo 2002  121

Esame in sede consultiva

§      Pareri resi alla II Commissione (Giustizia)

-       I Commissione (Affari costituzionali)

Seduta del 21 marzo 2002  125

§      Pareri resi all’Assemblea

-       I Commissione (Affari costituzionali)

Seduta del 6 maggio 2003  131

Relazione della II Commissione (Giustizia)

§      A.C. 1447-1992-A  135

Esame in Assemblea

Seduta del 5 maggio 2003  141

Seduta del 6 maggio 2003  155

Seduta del 28 luglio 2003  181

Senato della Repubblica

Progetti di legge

§      A.S. 2441, (on. Mario Pepe ed altri), Modifiche al codice di procedura penale in materia di revisione a seguito di sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo  211

§      A.S. 498, (sen. Compagna ed altri), Revisione dei processi penali in seguito a sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo  215

Esame in sede referente

-       II Commissione (Giustizia)

Seduta del 6 novembre 2003  221

Seduta del 11 novembre 2003  223

Seduta del 12 novembre 2003  227

Seduta del 2 dicembre 2003  229

Seduta del 3 dicembre 2003  231

Seduta del 27 gennaio 2004  233

Seduta del 17 febbraio 2004  241

Esame in sede consultiva

-       I Commissione (Affari costituzionali)

§      Pareri resi alla II Commissione (Giustizia)

Seduta del 5 novembre 2003  253

Seduta dell’11 novembre 2003  255

Seduta del 17 febbraio 2004  257

Documentazione

Camera dei deputati

§      Commissioni riunite II (Giustizia) e III (Affari esteri) - Risoluzione in Commissione 7-00596, seduta del 6 aprile 2005  263

Corte d’Appello di Bologna

§      Ordinanza del 21 marzo 2006  269

Consiglio d’Europa

§      Comitato dei Ministri - Raccomandazione R(2000) 2 del 19 gennaio 2000  279

§      Assemblea parlamentare - Risoluzione 1411 (2004) (in inglese)281

§      Assemblea parlamentare - Raccomandazione 1684 (2004) (in inglese)285

§      Comitato dei Ministri - Decisione dell’8 febbraio 2006, n. 955  287

§      Comitato dei Ministri - Decisione del 30 marzo 2006, n. 960  291

§      Comitato dei Ministri - Decisione del 4 luglio 2006, n. 970  295

Normativa straniera

§      Francia - Code de procedure penale – (artt. 626/1-626/7 modificati dalla Legge del 15/6/2000, n. 516)301

 

 


Scheda di sintesi
per l’istruttoria legislativa


Dati identificativi

Numero del progetto di legge

917

Titolo

Modifiche al codice di procedura penale in materia di revisione a seguito di sentenze della Corte europea dei diritti dell' uomo

Iniziativa

Parlamentare

Settore d’intervento

Diritto processuale penale

Iter al Senato

no

Numero di articoli

2

Date

 

§    presentazione alla Camera

26 maggio 2006

§    annuncio

30 maggio 2006

§    assegnazione

13 giugno 2006

Commissione competente

II Commissione (Giustizia)

Sede

Referente

Pareri previsti

I Commissione (Affari costituzionali) e III Commissione (Affari esteri)

 


Struttura e oggetto

Contenuto

La proposta A.C. 917, nei suoi due articoli, introduce  una specifica ipotesi di revisione a seguito di sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che abbia accertato la violazione dell’articolo 6 della Convenzione, dettando contestualmente una particolare disciplina transitoria.

 

Relazioni allegate

Si tratta di una proposta di legge di iniziativa parlamentare, corredata, pertanto, della sola relazione illustrativa.


Elementi per l’istruttoria legislativa

Necessità dell’intervento con legge

Il provvedimento prevede e disciplina, mediante l’inserimento di un articolo aggiuntivo nel codice di procedura penale e attraverso modifiche di coordinamento a disposizioni contenute nel codice medesimo, una ulteriore ipotesi di revisione del processo: si giustifica, pertanto, l’utilizzazione dello strumento legislativo.

Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite

La materia disciplinata dalla proposta di legge è quella della revisione del processo: la base giuridica del provvedimento appare pertanto riconducibile all’articolo 117, comma 2, lettera l (giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale;) della Costituzione.

Rispetto degli altri princìpi costituzionali

Il comma 2 dell’articolo 2 della proposta di legge, a differenza del principio stabilito in via generale al comma 1, diretto a consentire la proponibilità dell’istanza di revisione entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge anche nell’ipotesi in cui la sentenza della Corte europea sia stata pronunciata nel periodo anteriore, reca un’eccezione riferita ad alcune categorie di reati; viene pertanto esclusa la proponibilità dell’istanza di revisione qualora la violazione dell’articolo 6 della Convenzione sia avvenuta prima dell’entrata in vigore della legge, in relazione ai reati di cui all’articolo 51, comma 3 bis (associazione per delinquere, reati di criminalità organizzata, di schiavitù, tratta di persone e alienazione di schiavi, di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti) e comma 3 quater (delitti con finalità di terrorismo). In relazione a tale previsione, nel corso del dibattito presso l’Assemblea della Camera, nella XIV legislatura, veniva espressa la preoccupazione che l’applicazione  indiscriminata delle nuove disposizioni avrebbe potuto travolgere i giudicati di processi quali quelli in materia di criminalità organizzata che, avendo richiesto molti anni per lo svolgimento delle indagini preliminari e anche per lo sviluppo dibattimentale, sarebbero potuti risultare non compiutamente aderenti alla lettera dell’articolo 6 della Convenzione. In quella sede, e anche nel corso della discussione del progetto svoltasi presso la commissione giustizia del Senato,  è stato tuttavia anche eccepito che tale soluzione si fonderebbe sull’implicito presupposto che il valore della presunzione d’innocenza e del rispetto delle regole del giusto processo possa avere un rilievo minore in funzione della tipologia dei reati. 

La disposizione di cui al comma 2 dell’articolo  2  potrebbe pertanto dar luogo a dubbi di legittimità costituzionale per la disparità di trattamento determinata dal diverso titolo del reato. Infatti, come rilevato anche nel corso del successivo esame del provvedimento presso la commissione giustizia del Senato, il titolo del reato se può giustificare un diverso regime processuale ad altri fini, non può tuttavia giustificare una minor tutela del valore dell’innocenza del condannato.

Incidenza sull’ordinamento giuridico

Coordinamento con la normativa vigente

Il provvedimento è diretto ad inserire un nuovo articolo nel c.p.p. e a dettare modifiche di coordinamento ad altre disposizioni del medesimo codice (oltre che a dettare una specifica disciplina transitoria). La tecnica utilizzata è quindi quella della novellazione.

Formulazione del testo

L’articolo 2, al comma 1, consente la proponibilità dell’istanza di revisione di cui all’articolo 630 bis entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge nei casi in cui la pronuncia della Corte europea (o del Comitato dei ministri) sia intervenuta prima di tale data. In proposito va rilevato che la formulazione letterale della norma comprende anche la pronuncia del Comitato dei ministri che non è invece contemplata dall’articolo 1 del provvedimento relativo alla nuova ipotesi di revisione di cui all’articolo 630 bis.

 

 


Schede di lettura


Il contenuto della proposta di legge

La proposta di legge A.C. 917 (Modifiche al codice di procedura penale in materia di revisione a seguito di sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo), d’iniziativa del deputato Pecorella, riprende un tema che, nel corso della XIV legislatura era stato affrontato da alcune proposte di legge (A.C. 1447 e A.C. 1992), vale a dire quello dell’inserimento di una ulteriore ipotesi di revisione delle sentenze di condanna definitive qualora la Corte europea dei diritti dell’uomo abbia accertato con sentenza la violazione nel corso del giudizio delle disposizioni dell’articolo 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848.

L’iter delle proposte di legge presentate ed esaminate nella scorsa legislatura non si è tuttavia concluso. L’esame dei provvedimenti, avviato nel novembre 2001, in sede referente presso la commissione giustizia della Camera, si è articolato nella presentazione, da parte del relatore (On.le Aurelio Gironda Veraldi, AN, nelle sedute del 21 febbraio e del 7 marzo 2002) di due ipotesi di testo unificato adottate di volta in volta come testo base, di cui l’Assemblea della Camera ha concluso l’esame nel luglio 2003.  Trasmesso al Senato (S.2441) ed esaminato in sede referente dalla commissione giustizia di questo ramo del Parlamento, il provvedimento non ha poi proseguito il suo iter.

 

A conferma dell’importanza del tema affrontato dalle diverse proposte di legge citate, va ricordato che la proposta di legge A.C. n. 1447, presentata ed esaminata nella XIV legislatura, riproduceva pressoché integralmente, nei suoi due articoli, il contenuto della proposta di legge S. 3168-bis (Modifiche al codice di procedura penale in materia di revisione), risultante dallo stralcio che, nel corso della XIII legislatura veniva deliberato dalla Commissione Giustizia del Senato, in relazione agli articoli 2 e 3 del progetto di legge S. 3168; mentre poi quest’ultimo proseguiva il suo iter fino all’approvazione della legge 23 novembre 1998, n. 405, che ha modificato gli articoli 633 e 634 del codice di procedura penale, del progetto di legge A.S. n. 3168-bis la commissione giustizia del Senato non ha mai iniziato l’esame.

 

La proposta A.C. 917, pertanto, nei suoi due articoli introduce  una specifica ipotesi di revisione a seguito di sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che abbia accertato la violazione dell’articolo 6 della Convenzione, dettando contestualmente una particolare disciplina transitoria.

 

In proposito va ricordato che la Convenzione europea dei diritti dell’uomo è stata elaborata in seno al Consiglio d’Europa, aperta alla firma a Roma il 4 novembre 1950, e resa esecutiva in Italia con la legge 4 agosto 1955, n. 848. Nello spirito dei suoi autori si trattava di prendere le prime misure atte ad assicurare la garanzia collettiva di alcuni diritti enunciati dalla dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948.

La Convenzione consacra da un lato una serie di diritti e libertà civili e politiche, e stabilisce dall’altro un sistema diretto a garantirne il rispetto da parte degli Stati contraenti. Tre istituzioni si dividono la responsabilità di questo controllo: la Commissione europea dei diritti dell’uomo, la Corte europea dei diritti dell’uomo ed il Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa, composto dai Ministri degli affari esteri degli Stati membri o dei loro rappresentanti.

Dopo l’entrata in vigore della Convenzione sono stati adottati undici Protocolli addizionali, alcuni dei quali hanno aggiunto diritti e libertà a quelli consacrati dalla Convenzione.

Tra le disposizioni della Convenzione particolare importanza rivestono quelle di cui all’articolo 6 dirette a garantire il diritto ad un processo equo: la norma citata, infatti, esordisce affermando il diritto di ogni persona a che la sua causa sia esaminata imparzialmente, pubblicamente e in un tempo ragionevole da parte di un tribunale indipendente ed imparziale. Tale diritto potrà essere fatto valere, oltre che davanti al giudice nazionale, anche innanzi alla Corte europea di Strasburgo. Con l’inserimento nella Costituzione dei principi del “giusto processo” il legislatore italiano ha recepito quasi integralmente, al livello più elevato nella gerarchia delle fonti normative, il contenuto del citato articolo 6 della Convenzione. In tal senso, quindi, le decisioni della Corte europea di Strasburgo, competente a pronunciarsi su tutte le questioni concernenti l’interpretazione e l’applicazione della Carta internazionale, divengono un punto d’osservazione anche al fine di comprendere il concreto atteggiarsi di quei principi nel diritto interno.  

 

Va ricordato che la legge 24 marzo 2001, n. 89 ha inteso fornire una risposta adeguata di diritto interno alla violazione del principio del tempo ragionevole del processo, introducendo la previsione espressa del diritto ad un’equa riparazione per chiunque abbia subito un danno patrimoniale e non patrimoniale per effetto della violazione del diritto ad ottenere una decisione giudiziaria nel “termine ragionevole” previsto dall’articolo 6, par. 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. La legge non specifica la durata del termine ragionevole, la cui definizione, quindi, è rimessa al giudice anche e soprattutto con l’ausilio della giurisprudenza che in materia si è formata presso la Corte europea dei diritti dell’uomo. Inoltre non si tratta di un risarcimento commisurato all’entità del danno ma di un’equa riparazione, sia pure determinata ai sensi dell’articolo 2056 del codice civile, concernente la valutazione del danno risarcibile nel caso di responsabilità extracontrattuale. Viene delineata poi una procedura particolare da esperire davanti alla Corte d’appello competente a giudicare sulla responsabilità dei magistrati nel cui distretto è concluso o estinto relativamente ai gradi di merito o comunque è ancora pendente il procedimento. Sull’articolo 6 della legge n. 89 è poi intervenuto il decreto-legge 12 ottobre 2001, n. 370, convertito nella legge 14 dicembre 2001, n. 432, all’esame del Senato, per prorogare di sei mesi (fino al 18 aprile 2002) il termine per instaurare la nuova procedura innanzi alla Corte d’appello per tutti coloro che abbiano già adito la Corte europea dei diritti dell’uomo purché non sia intervenuta una decisone sulla ricevibilità da parte della predetta Corte.     

 

Più in particolare, il paragrafo 3 dell’articolo 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, in relazione alle garanzie di difesa, garantisce all’accusato il diritto ad essere informato, nel più breve tempo possibile e in una lingua a lui dettagliata, del contenuto dell’accusa elevata a suo carico; di disporre del tempo e delle facilitazioni necessari per preparare la sua difesa; di difendersi personalmente o con l’assistenza di un difensore di sua scelta e in caso di mancanza di mezzi economici, di godere dell’assistenza gratuita di un avvocato d’ufficio quando lo esigono gli interessi della giustizia; di interrogare o far interrogare i testimoni a carico e ottenere la convocazione e l’interrogazione dei testimoni a discarico nelle stesse condizioni dei testimoni dell’accusa; di farsi assistere gratuitamente da un interprete se non comprende o non parla la lingua usata in udienza.

Il procedimento per l’accesso alla Corte europea dei diritti dell’uomo, in base all’articolo 35 della Convenzione presuppone il previo esaurimento delle vie di ricorso interne………ed entro un periodo di sei mesi dalla data della decisione interna definitiva. La procedura innanzi alla Corte di Strasburgo presuppone quindi l’avvenuto passaggio in giudicato della sentenza.[1]

Pertanto il riconoscimento da parte della Corte dell’avvenuta violazione delle regole del giusto processo, riferendosi a procedimenti definitivi, pone la questione se la decisione di Strasburgo costituisce un fatto nuovo idoneo a legittimare la revisione del processo[2].

 

L’art. 46, par. 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali (CEDU) prevede per ogni Stato l’obbligo di conformarsi alle sentenze definitive della Corte europea dei diritti dell’uomo sulle controversie nelle quali assume la posizione di parte.

Gli Stati membri godono di discrezionalità per quanto riguarda le modalità di adempimento dell’obbligo derivante dal citato articolo e l’esercizio concreto di tale discrezionalità è oggetto di controllo da parte del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa.

Tale Organo ha adottato la raccomandazione R(2000)2, con la quale ha invitato gli Stati membri ad adottare misure adeguate che prevedano - in favore della parte lesa da violazioni della CEDU riscontrate in sentenze della Corte europea - la restitutio in integrum, nonché meccanismi appropriati per il riesame di casi, ivi compresa la riapertura di procedimenti. Ciò, in particolare, quando: la parte lesa continui a risentire gravi conseguenze negative a seguito della decisione nazionale, conseguenze che non possono essere compensate dalla concessione di un’equa riparazione e non possono essere modificate se non attraverso il riesame o la riapertura di procedimenti; nonché quando risulti dalla sentenza della Corte che la decisione nazionale è contraria ai principi di fondo della Convenzione o che la violazione constatata è causata da errori o mancanze del procedimento di una gravità tale che seri dubbi ricadano sul risultato del procedimento interno sanzionato dalla sentenza.

Uno dei criteri cui si ispira la raccomandazione è quello di stimolare gli Stati contraenti a identificare le situazioni eccezionali nelle quali l’obiettivo di garantire i diritti dell’individuo e la messa in opera effettiva delle sentenze della Corte prevale sulle valutazioni sottese al principio della cosa giudicata, in particolare quelle relative alla certezza giuridica, fermo restando che l’accertamento di un legame di causalità diretta tra la violazione constatata e le gravi conseguenze di cui la parte lesa continua a soffrire costituisce un punto centrale della questione.

 

L’attuazione delle sentenze della Corte europea da parte dello Stato italiano è questione oggetto di particolare attenzione da parte sia del Comitato dei Ministri sia dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa[3], a causa del notevole ritardo con cui l’Italia provvede all’esecuzione delle pronunce[4].

 

In particolare, con riferimento alla questione della riapertura dei processi per i quali sia intervenuta sentenza della Corte europea che abbia constatato la violazione dell’art. 6 CEDU (diritto ad un giusto processo), il Comitato dei Ministri, con Decisione adottata nella riunione n. 955 dell’8 febbraio 2006, ha nuovamente deplorato – con riferimento alla sentenza Dorigo c. Italia del 16 novembre 2000[5] – il fatto che i ripetuti appelli del Comitato medesimo, affinché l’Italia si conformi all’obbligo di porre rimedio alle violazioni della Convenzione, non abbiano condotto ad una soluzione soddisfacente. Esso ha inoltre ribadito l’obbligo dell’Italia di assicurare, per quanto possibile, la restitutio in integrum in favore del ricorrente.

A proposito del caso Dorigo, tuttavia, occorre segnalare che la Corte d’Appello di Bologna, a seguito dell’istanza di revisione del processo presentata dai difensori del condannato a tenore dell’art. 630 c.p.p., con due distinte ordinanze ha disposto:

§         in forza dell’art. 635 c.p.p., la sospensione dell’esecuzione della pena detentiva, anche in considerazione dell’approssimarsi del termine dell’esecuzione medesima (il fine pena è fissato infatti per il 23 aprile 2007), “tale per cui un’ulteriore dilazione renderebbe praticamente vani l’istanza di revisione presentata ed il suo non improbabile accoglimento” (ord. del 13 marzo 2006);

§         ai sensi e per gli effetti dell’art. 23 della l. n. 87 del 1953, la remissione alla Consulta della questione di legittimità costituzionale dell’art. 630, lett. a), c.p.p., “nella parte in cui esclude, dai casi di revisione, l’impossibilità che i fatti stabiliti a fondamento della sentenza o del decreto penale di condanna si concilino con la sentenza definitiva della Corte europea che abbia accertato l’assenza di equità del processo, ai sensi dell’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, per contrasto con gli articoli 3, 10 e 27 della Costituzione” (ord. del 22 marzo 2006, cfr. allegato).

 

A tale ordinanza della Corte d’appello ha fatto poi riferimento il citato Comitato dei ministri nella decisione del 30 marzo 2006 adottata nella riunione n. 960, confermando il proprio indirizzo in tema di riapertura dei processi definiti in violazione della Convenzione anche nella decisione del 5 luglio 2006, adottata nella riunione n. 970.

Il costante indirizzo della Corte europea – secondo il quale, quando un individuo è stato condannato al termine di un processo svolto in violazione dell’art. 6 Cedu, un nuovo processo o la riapertura del precedente a domanda dell’interessato costituiscono, in linea di principio, i mezzi più adeguati per il ristoro della violazione constatata – è stato da ultimo ribadito nella sentenza Sejdovic c. Italia del 29 marzo 2006.

 

La previsione di una ulteriore ipotesi di revisione del processo, rappresenta quindi, come rilevato anche nella relazione di accompagnamento alla proposta di legge, uno strumento per assicurare la necessaria osservanza degli obblighi internazionali assunti dall’Italia con la firma della Convenzione, anche al fine di armonizzare ai nuovi principi sanciti dall’articolo 111 della Costituzione la vigente disciplina processuale contenuta nel codice di procedura penale.

 

La revisione (artt. 629 e ss. c.p.p.), a differenza dell’appello e del ricorso per cassazione, è un mezzo straordinario di impugnazione, idoneo, quindi, a travolgere il giudicato. Essa ha ad oggetto sentenze irrevocabili ed è esperibile senza limiti di tempo. Più precisamente assoggettabili a revisione sono soltanto le pronunce irrevocabili con contenuto di condanna.

Proprio in relazione alla sua capacità di sfociare nella revoca “straordinaria” della sentenza di condanna, la revisione è necessariamente confinata a quattro ipotesi (art. 630) tassative attinenti:

§         alla inconciliabilità dei fatti posti a suo fondamento con quelli di altra sentenza irrevocabile;

§         alla sopravvenuta revoca della sentenza pregiudiziale, civile o amministrativa;

§         alla sopravvenienza di nuove prove di innocenza;

§         alla falsità in atti o in giudizio o di altro fatto reato da cui dipenda la attuale condanna.

Legittimati a richiedere la revisione sono il condannato, o altri soggetti in particolare rapporto con lui, e il procuratore generale presso la corte di appello; la competenza a decidere spetta alla corte d’appello individuata secondo i criteri di cui all’articolo 11 c.p.p.

La competenza della Corte è stata così modificata dalla citata legge 23 novembre 1998, n. 405, per evitare influenze ambientali che potrebbe patire il giudice della revisione se esso fosse situato nello stesso ambito territoriale di quello che ha pronunciato la sentenza da revisionare. Il procedimento di revisione, comprendente una fase per la valutazione dell’ammissibilità della richiesta, è poi disciplinato dagli articoli 633 e ss. del c.p.p.

 

Venendo ad esaminare in modo più specifico il contenuto degli articoli della proposta di legge, l’articolo 1 detta alcune modifiche a norme del codice di procedura penale.

Il comma 1, in particolare, inserisce dopo l’articolo 630, riguardante in generale i casi di revisione, l’articolo 630 bis diretto a consentire, fuori dalle ipotesi di cui al precedente articolo 630, la richiesta di revisione delle sentenze e dei decreti penali di condanna qualora sia accertato con sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che nel corso del giudizio sono state violate le disposizioni dell’articolo 6 della Convenzione  per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

 I commi due e tre intervengono a fini di coordinamento sugli articoli 633 (Forma della richiesta) comma 2 , e 634 (Declaratoria d’inammissibilità) comma 1 c.p.p., estendendo all’ipotesi di revisione di cui al nuovo articolo 630 bis l’obbligo di allegare la copia autentica della sentenza e del decreto penale di condanna, e prevedendo la dichiarazione di inammissibilità da parte della corte d’appello anche quando la richiesta di revisione sia proposta fuori dall’ipotesi introdotta dall’articolo citato.   

 

L’articolo 2 contiene la disciplina transitoria.

Il comma 1, in particolare, affronta la questione della proponibilità dell’istanza di revisione da parte di chi abbia conseguito la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo prima dell’entrata in vigore della legge in esame.

Su tale aspetto, nel corso della discussione svoltasi nella scorsa legislatura (cfr. allegati) erano state prospettate diverse posizioni, e tuttavia la tesi diretta a limitare la proponibilità al momento successivo all’entrata in vigore della legge non era risultata prevalente nel dibattito svoltosi presso la commissione giustizia della Camera. Si era, infatti, ritenuto da un lato, che pur potendo essere molte le sentenze pronunciate con violazione dell’articolo 6 della Convenzione, sono poche quelle già sottoposte alla Corte europea dei diritti dell’uomo nel termine di sei mesi di cui all’articolo 35 della Convenzione stessa, dall’altro, che non appariva giusto privare dell’esercizio al diritto della revisione chi, pur avendo conseguito una pronuncia della Corte, rimarrebbe senza tutela soltanto perché all’epoca della pronuncia mancava una legge che prevedesse un rimedio processuale all’eventuale ingiustizia subita.

La soluzione adottata al comma 1 è stata pertanto quella di consentire la proponibilità dell’istanza di revisione di cui all’articolo 630 bis entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge nei casi in cui la pronuncia della Corte europea (o del Comitato dei ministri) sia intervenuta prima di tale data.

Va rilevato che la formulazione letterale della norma comprende anche la pronuncia del Comitato dei ministri che non è invece contemplata dall’articolo 1 del provvedimento relativo alla nuova ipotesi di revisione di cui all’articolo 630 bis.

 

Il comma 2 dell’articolo in esame, tuttavia, reca un’eccezione a questo principio per alcune categorie di reati, escludendo la proponibilità dell’istanza di revisione qualora la violazione dell’articolo 6 della Convenzione sia avvenuta prima dell’entrata in vigore della legge, in relazione ai reati di cui all’articolo 51, comma 3 bis (associazione per delinquere, reati di criminalità organizzata, di schiavitù, tratta di persone e alienazione di schiavi, di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti) e comma 3 quater (delitti con finalità di terrorismo).

In relazione a tale previsione nel corso del dibattito presso l’Assemblea della Camera, nella XIV legislatura, veniva espressa la preoccupazione che l’applicazione indiscriminata delle nuove disposizioni avrebbe potuto travolgere i giudicati di processi quali quelli in materia di criminalità organizzata che, avendo richiesto molti anni per lo svolgimento delle indagini preliminari e anche per lo sviluppo dibattimentale, sarebbero potuti risultare non compiutamente aderenti alla lettera dell’articolo 6 della Convenzione.

In quella sede, e anche nel corso della discussione del progetto svoltasi presso la commissione giustizia del Senato, è stato tuttavia anche eccepito che tale soluzione si fonderebbe sull’implicito presupposto che il valore della presunzione d’innocenza e del rispetto delle regole del giusto processo possa avere un rilievo minore in funzione della tipologia dei reati. 

La disposizione di cui al comma 2 dell’articolo 2 potrebbe ,pertanto, dar luogo a dubbi di legittimità costituzionale per la disparità di trattamento determinata dal diverso titolo del reato. Infatti, come rilevato anche nel corso del successivo esame del provvedimento presso la commissione giustizia del Senato, il titolo del reato, se può giustificare un diverso regime processuale ad altri fini, non può tuttavia giustificare una minor tutela del valore dell’innocenza del condannato.

 


Progetto di legge

 


N. 917

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CAMERA DEI DEPUTATI

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PROPOSTA DI LEGGE

 

d’iniziativa del deputato PECORELLA

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Modifiche al codice di procedura penale in materia di revisione a seguito di sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo

 

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Presentata il 26 maggio 2006

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Onorevoli Colleghi! - La Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 dagli Stati membri del Consiglio d'Europa, fa parte integrante dell'ordinamento giuridico italiano, essendo stata resa esecutiva nel nostro Paese dalla legge 4 agosto 1955, n. 848.

Nell'ambito delle disposizioni della citata Convenzione, immediatamente applicabili in Italia e che garantiscono ai cittadini diritti soggettivi perfetti, particolare rilievo assume il complesso di norme che garantiscono il cosiddetto «diritto ad un processo equo» (articolo 6 della Convenzione). I diritti soggettivi in oggetto, oltre che davanti al giudice nazionale, possono essere fatti valere davanti all'organo sovranazionale competente, ovvero la Corte europea dei diritti dell'uomo, avente sede a Strasburgo.

In particolare, l'articolo 6 della Convenzione prevede il diritto di ogni persona a un'equa e pubblica udienza entro un termine ragionevole davanti a un tribunale indipendente e imparziale costituito dalla legge, al fine della determinazione sia dei suoi diritti e dei suoi doveri di carattere civile, sia della fondatezza di ogni accusa penale rivolta. Viene ribadito il principio della non colpevolezza dell'accusato fino a prova contraria.

In relazione alle garanzie di difesa, il paragrafo 3 dell'articolo 6 della citata Convenzione, garantisce all'accusato, tra l'altro, di essere informato, nel più breve tempo possibile, in una lingua a lui comprensibile e in modo dettagliato, del contenuto dell'accusa elevata a suo carico; di disporre del tempo e delle facilitazioni necessari per preparare la sua difesa; di difendersi personalmente o con l'assistenza di un difensore di sua scelta e, in caso di mancanza di mezzi economici, di godere dell'assistenza gratuita di un avvocato d'ufficio quando lo esigono gli interessi della giustizia; di interrogare o di far interrogare i testimoni a carico e di ottenere la convocazione e l'interrogazione dei testimoni a discarico nelle stesse condizioni dei testimoni dell'accusa.

D'altra parte, l'introduzione del principio del «giusto processo» nell'articolo 111 della Costituzione italiana - sancito con la legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2 - rappresenta un significativo traguardo del nostro ordinamento giuridico, volto a garantire la costruzione di un sistema in cui un giudice terzo e imparziale possa assicurare in tempi ragionevoli l'applicazione del diritto, in un processo rispettoso dei valori costituzionali e fondato sul contraddittorio tra parti che operano in condizioni di parità.

Occorre, peraltro, proseguire nel processo riformatore sul terreno delle garanzie processuali, al fine di garantire il pieno esercizio del diritto di difesa.

Da tale punto di vista si deve rilevare che, nel caso di censura da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo di una sentenza di un giudice italiano (che ai fini dell'ammissibilità del ricorso deve essere passata in giudicato) per violazione dei diritti di difesa del cittadino, attualmente il codice di procedura penale non riconosce la possibilità di chiedere la revisione della sentenza di condanna.

Come è noto, l'istituto della revisione - disciplinato dal titolo IV del libro IX del codice di procedura penale (articoli 629 e seguenti) - rappresenta un mezzo straordinario di impugnazione, principalmente diretto alla tutela dell'interesse pubblico alla riparazione dell'errore giudiziario nonché a quello del soggetto nei cui confronti sia stata assunta una erronea decisione. Incidendo sulla cosa giudicata, tale rimedio è soggetto a una disciplina particolarmente rigorosa. Attualmente, la revisione può essere chiesta esclusivamente per quattro motivi, tassativamente individuati dall'articolo 630 del codice di procedura penale, tra i quali non rientra il caso in cui la Corte europea abbia accertato che nel corso del giudizio sia stato violato l'articolo 6 della citata Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. Conseguentemente, nel caso in cui la Corte di Strasburgo censurasse una sentenza italiana per violazione dell'articolo 6 della medesima Convenzione - ad esempio, per un'ingiusta limitazione del diritto di difesa - la sentenza non potrebbe essere oggetto di revisione nell'ordinamento giuridico italiano, non essendo contemplata tale ipotesi tra i casi di revisione, risultando così preclusa al cittadino italiano la possibilità di ottenere una nuova pronuncia che possa fare giustizia.

Occorre pertanto prevedere una ulteriore ipotesi di revisione del processo penale, in ragione della necessaria osservanza degli obblighi internazionali assunti dall'Italia con la firma della citata Convenzione, i cui contenuti sono di immediata applicazione nel nostro Paese, anche al fine di armonizzare ai nuovi princìpi sanciti dall'articolo 111 della Costituzione la vigente disciplina processuale contenuta nel codice di procedura penale. Peraltro, occorre sottolineare che anche gli altri ordinamenti si sono adeguati a quanto stabilito dalla Convenzione: si pensi che in Francia la legge n. 2000-516 del 15 giugno 2000 ha introdotto - al titolo III del codice di procedura penale - gli articoli 626-1 e seguenti in tema di riesame di sentenze penali definitive a seguito di pronunce della Corte europea dei diritti dell'uomo.

Del resto, lo stesso articolo 2 della legge delega per l'emanazione del nuovo codice processuale penale (legge 16 febbraio 1987, n. 81) stabilisce al comma 1, che il «codice di procedura penale deve attuare i princìpi della Costituzione e adeguarsi alle norme delle convenzioni internazionali ratificate dall'Italia e relative ai diritti della persona e al processo penale».

 

In questa prospettiva la presente proposta di legge introduce la possibilità di chiedere la revisione di una sentenza di condanna in tutti i casi in cui la Corte europea dei diritti dell'uomo rilevi con sentenza che il cittadino non sia stato in condizione di esercitare il suo diritto a una effettiva difesa.

Il testo della proposta di legge riprende, senza apportarvi modifiche, il testo unificato approvato dalla Camera dei deputati nel corso della XIV legislatura (atto Camera n. 1447-1992-A). Si tratta pertanto di riprendere il lavoro già svolto dalla Camera dei deputati nella scorsa legislatura e garantire una effettiva ed efficace applicazione della citata Convenzione europea sui diritti dell'uomo, prevedendo tra i casi di revisione contemplati dall'articolo 630 del codice di procedura penale la possibilità della revisione del processo a seguito di sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo.


 


 


proposta  di legge

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Art. 1.

(Modifiche al codice di procedura penale).

1. Dopo l'articolo 630 del codice di procedura penale è inserito il seguente:

«Art. 630-bis. - (Revisione a seguito di sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo) - 1. Fuori dalle ipotesi previste dall'articolo 630, la revisione delle sentenze e dei decreti penali di condanna può essere richiesta se è accertato con sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo che nel corso del giudizio sono state violate le disposizioni di cui all'articolo 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, resa esecutiva ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848».

2. All'articolo 633, comma 2, del codice di procedura penale, dopo le parole: «dall'articolo 630 comma 1 lettere a) e b)» sono inserite le seguenti: «e dall'articolo 630-bis».

3. All'articolo 634, comma 1, del codice di procedura penale, le parole: «629 e 630» sono sostituite dalle seguenti: «629, 630 e 630-bis».

Art. 2.

(Norme transitorie).

1. La richiesta di revisione ai sensi dell'articolo 630-bis del codice di procedura penale, introdotto dall'articolo 1 della presente legge, può essere proposta entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge nel caso in cui la sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo o la decisione del Comitato dei ministri sia stata pronunciata prima di tale data.

2. La revisione delle sentenze e dei decreti penali di condanna per uno dei reati di cui all'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale, non può essere richiesta qualora la violazione delle disposizioni di cui all'articolo 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, resa esecutiva ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848, sia stata commessa prima della data di entrata in vigore della presente legge.

 


SIWEB

Lavori preparatori nella XIV Legislatura

 


Camera dei deputati

 


Progetti di legge

 


N. 1447

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CAMERA DEI DEPUTATI

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PROPOSTA DI LEGGE

 

d’iniziativa dei deputati

MARIO PEPE, SAPONARA, LICASTRO SCARDINO, OSVALDO NAPOLI, COLASIO, SARDELLI, LAZZARI, BRUSCO, TARANTINO, RIZZI, ANNA MARIA LEONE, LORUSSO, LAMORTE, RICCIUTI, SANTORI, ORICCHIO

¾

 

Modifiche agli articoli 630 e 633 del codice di procedura penale in materia di revisione dei processi penali a seguito di sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo

 

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Presentata il 31 luglio 2001

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Onorevoli Colleghi! - La Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 dagli Stati membri del Consiglio d'Europa, fa parte integrante dell'ordinamento giuridico italiano, essendo stata resa esecutiva nel nostro Paese con la legge 4 agosto 1955, n. 848.

Nell'ambito delle disposizioni della citata Convenzione, immediatamente applicabili in Italia e che garantiscono ai cittadini diritti soggettivi perfetti, particolare rilievo assume il complesso di norme che garantiscono il cosiddetto diritto ad un processo equo (articolo 6 della Convenzione). I diritti soggettivi in oggetto, oltre che davanti al giudice nazionale, possono essere fatti valere davanti all'organo sovranazionale competente, ovvero la Corte europea dei diritti dell'uomo, avente sede a Strasburgo.

In particolare, l'articolo 6 della Convenzione prevede il diritto di ogni persona ad un'equa e pubblica udienza entro un termine ragionevole davanti ad un tribunale indipendente ed imparziale costituito dalla legge, al fine della determinazione sia dei suoi diritti e dei suoi doveri di carattere civile, sia della fondatezza di ogni accusa penale rivolta. Viene ribadito il principio della non colpevolezza dell'accusato fino a prova contraria.

In relazione alle garanzie di difesa, il paragrafo 3 dell'articolo 6 della citata Convenzione, garantisce all'accusato, tra l'altro, di essere informato, nel più breve tempo possibile, in una lingua a lui comprensibile e in modo dettagliato, del contenuto dell'accusa elevata a suo carico; di disporre del tempo e delle facilitazioni necessari per preparare la sua difesa; di difendersi personalmente o con l'assistenza di un difensore di sua scelta e, in caso di mancanza di mezzi economici, di godere dell'assistenza gratuita di un avvocato d'ufficio quando lo esigono gli interessi della giustizia; di interrogare o far interrogare i testimoni a carico e ottenere la convocazione e l'interrogazione dei testimoni a discarico nelle stesse condizioni dei testimoni dell'accusa.

D'altra parte, l'introduzione del principio del "giusto processo" nell'articolo 111 della Costituzione italiana - sancito con la legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2 - rappresenta un significativo traguardo del nostro ordinamento giuridico, volto a garantire la costruzione di un sistema in cui un giudice terzo ed imparziale possa assicurare in tempi ragionevoli l'applicazione del diritto, in un processo rispettoso dei valori costituzionali e fondato sul contraddittorio tra parti che operano in condizioni di parità.

Occorre, peraltro, proseguire nel processo riformatore sul terreno delle garanzie processuali, al fine di garantire il pieno esercizio del diritto di difesa.

Da tale punto di vista si deve rilevare che, nel caso di censura da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo di una sentenza di un giudice italiano (che ai fini dell'ammissibilità del ricorso deve essere passata in giudicato) per violazione dei diritti di difesa del cittadino, attualmente il codice di procedura penale non riconosce la possibilità di chiedere la revisione della sentenza di condanna.

Come è noto, l'istituto della revisione - disciplinato dal titolo IV del libro IX del codice di procedura penale (articoli 629 e seguenti) - rappresenta un mezzo straordinario di impugnazione, principalmente diretto alla tutela dell'interesse pubblico alla riparazione dell'errore giudiziario nonché a quello del soggetto nei cui confronti sia stata assunta una erronea decisione. Incidendo sulla cosa giudicata, tale rimedio è soggetto ad una disciplina particolarmente rigorosa.

Attualmente, la revisione può essere chiesta esclusivamente per i seguenti quattro motivi, tassativamente individuati dall'articolo 630 del codice di procedura penale:

 

a) se i fatti stabiliti a fondamento della decisione di condanna (sentenza o decreto penale) sono inconciliabili con quelli stabiliti in un'altra sentenza penale irrevocabile del giudice ordinario o di un giudice speciale (conflitto di giudicati); ai sensi dell'articolo 633, comma 2, alla richiesta di revisione devono essere allegate le copie autentiche delle sentenze o dei decreti penali di condanna che si ritengono in contrasto;

 

b) se il giudice penale ha basato la propria sentenza (o decreto penale) di condanna su una sentenza civile o amministrativa, successivamente revocata, risolutiva di una questione civile di stato (articolo 3 del medesimo codice, questioni pregiudiziali) ovvero di una questione civile o amministrativa particolarmente complessa (articolo 479 del medesimo codice);

 

c) se dopo la condanna sono sopravvenute o si scoprono nuove prove che, da sole o con quelle già oggetto di valutazione, dimostrano che il condannato avrebbe dovuto essere prosciolto;

 

d) se viene dimostrato che la condanna penale è stata conseguenza di falsità in atti o in giudizio o di altro fatto previsto dalla legge come reato (falsa testimonianza, falsità documentali, calunnia, eccetera).

 

Dunque, tra i motivi di revisione, attualmente il codice di procedura penale non riconosce la possibilità di chiedere la revisione di una sentenza di condanna, nel caso di censura da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo di una sentenza di un giudice italiano per violazione dei diritti di difesa del cittadino. Il procedimento stabilito per ricorrere alla Corte di Strasburgo presuppone il passaggio in giudicato di una sentenza.

Conseguentemente, nel caso in cui la Corte di Strasburgo censurasse una sentenza italiana per violazione dell'articolo 6 della citata Convenzione - ad esempio, per un'ingiusta limitazione del diritto di difesa - la sentenza non potrebbe essere oggetto di revisione nell'ordinamento giuridico italiano, non essendo contemplata tale ipotesi tra i casi di revisione, risultando così preclusa al cittadino italiano la possibilità di ottenere una nuova pronuncia che possa fare giustizia.

Occorre pertanto prevedere una ulteriore ipotesi di revisione del processo penale, in ragione della necessaria osservanza degli obblighi internazionali assunti dall'Italia con la firma della citata Convenzione, i cui contenuti sono d'immediata applicazione nel nostro Paese, anche al fine di armonizzare ai nuovi princìpi sanciti dall'articolo 111 della Costituzione la vigente disciplina processuale contenuta nel codice di procedura penale. Peraltro, occorre sottolineare che anche gli altri ordinamenti si stanno prontamente adeguando a quanto stabilito dalla Convenzione: si pensi che in Francia la legge n. 2000-516 del 15 giugno 2000 ha introdotto - al titolo III del codice di procedura penale - gli articoli 626-1 e seguenti in tema di riesame di sentenze penali definitive a seguito di pronunce della Corte europea dei diritti dell'uomo.

Del resto, lo stesso articolo 2 della legge delega per l'emanazione del nuovo codice processuale penale (legge 16 febbraio 1987, n. 81) stabilisce al comma 1, che il "codice di procedura penale deve attuare i princìpi della Costituzione e adeguarsi alle norme delle convenzioni internazionali ratificate dall'Italia e relative ai diritti della persona e al processo penale".

In questa prospettiva gli articoli 1 e 2 della presente proposta di legge introducono la possibilità di chiedere la revisione di una sentenza di condanna in tutti i casi in cui la Corte europea dei diritti dell'uomo rilevi con sentenza che il cittadino non sia stato in condizione di esercitare il suo diritto ad una effettiva difesa.

In tale senso l'articolo 1, introducendo la lettera d-bis) al comma 1 dell'articolo 630 del codice di procedura penale, intende garantire questa possibilità prevedendo una specifica ipotesi di revisione del processo in caso di violazione dell'articolo 6 della Convenzione - accertata con sentenza definitiva dalla Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo - e in particolare del paragrafo 3 in cui si riconosce il diritto all'accusato:

 

"b) di disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie per preparare la sua difesa;

 

c) di difendersi da sé o di avere l'assistenza di un difensore di propria scelta e, se non ha i mezzi per ricompensare un difensore, di poter essere assistito gratuitamente da un avvocato d'ufficio, quando lo esigano gli interessi della giustizia;

 

d) di interrogare o far interrogare testimoni a carico e ottenere la convocazione e l'interrogazione dei testimoni a discarico nelle stesse condizioni dei testimoni a carico".

 

L'articolo 2 della proposta di legge prevede inoltre - in relazione alla richiesta di revisione del processo, motivata con le indicate violazioni del diritto di difesa - di introdurre all'articolo 633 del codice di procedura penale un ulteriore comma che stabilisca l'obbligo di allegare copia autentica della sentenza della Corte europea di Strasburgo.

Si rammenta che la materia di cui alla presente proposta di legge era già stata oggetto di esame parlamentare nella XIII legislatura, nel corso dell'iter della legge 23 novembre 1998, n. 405, recante modifiche al codice di procedura penale in materia di revisione. Infatti, il disegno di legge atto Senato n. 3168, da cui traeva origine la citata legge, già conteneva, agli articoli 2 e 3, analoghe disposizioni volte a consentire la richiesta di revisione del processo in particolari ipotesi di violazione delle disposizioni dell'articolo 6 della Convenzione europea sui diritti dell'uomo accertate con sentenza della Corte di Strasburgo. Peraltro, nel corso della scorsa legislatura, era emersa anche nell'ambito della Commissione bicamerale per le riforme costituzionali l'opportunità di recepire a livello costituzionale i contenuti del paragrafo 3 dell'articolo 6 della citata Convenzione.

Le norme in questione sono state, peraltro, stralciate nella seduta della Commissione Giustizia del Senato della Repubblica del 22 settembre 1998 ai fini di un ulteriore approfondimento, prevalendo all'epoca l'urgenza di approvare solo la prima parte del citato disegno di legge, finalizzata alla precisa individuazione dell'ufficio giudiziario competente per territorio a decidere sull'istanza di revisione.

Si tratta pertanto di riprendere il lavoro già svolto dalla Camera dei deputati nella scorsa legislatura e garantire una effettiva ed efficace applicazione della citata Convenzione europea sui diritti dell'uomo, prevedendo tra i casi di revisione contemplati dall'articolo 630 del codice di procedura penale la possibilità della revisione del processo a seguito di sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo.


 

 


 


proposta di legge

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Art. 1.

 

1. Al comma 1 dell'articolo 630 del codice di procedura penale è aggiunta, in fine, la seguente lettera:

 

"d-bis) se è stata accertata con sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo la violazione dell'articolo 6, paragrafo 3, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848".

 

Art. 2.

 

1. All'articolo 633 del codice di procedura penale è aggiunto, in fine, il seguente comma:

 

"3-bis. Nel caso previsto dall'articolo 630, comma 1, lettera d-bis), alla richiesta deve essere unita copia autentica della sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo".

 


N. 1992

¾

CAMERA DEI DEPUTATI

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PROPOSTA DI LEGGE

 

d’iniziativa del deputato COLA

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Modifica agli articoli 630 e 633 del codice di procedura penale in materia di revisione delle sentenze di condanna e dei decreti penali di condanna

 

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Presentata il 20 novembre 2001

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Onorevoli Colleghi! - L'Italia è la nazione europea che, in questo ultimo anno, ha ricevuto il maggior numero di condanne da parte della Corte di giustizia delle Comunità europee per la violazione dei diritti dell'uomo.

Il procedimento per adire l'Alta Corte di Strasburgo prevede, come prima cosa, l'esaurimento dei gradi di giudizio interni: ciò vuol dire che soltanto una sentenza passata in giudicato può essere oggetto di una pronuncia da parte dell'organo di giustizia europeo.

Pertanto, nel caso in cui la Corte si pronunciasse nel senso di accogliere il ricorso per violazione dell'articolo 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, resa esecutiva dalla legge 4 agosto 1955, n. 848 - magari per un'ingiusta limitazione del diritto al contraddittorio - il cittadino italiano si troverebbe nell'assurda situazione di non poter ottenere una revisione della sua sentenza che gli consenta di avere giustizia nel proprio Paese.

Ciò avviene perché l'articolo 630 del codice di procedura penale non prevede fra i casi tassativi di revisione questa ipotesi.

Il giorno 8 aprile 1997, il Parlamento europeo ha approvato la relazione annuale sul rispetto dei diritti dell'uomo nell'Unione europea, nella quale ribadisce il suo impegno a "tutelare integralmente" tali diritti, attraverso una effettiva ed efficace applicazione della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali.

L'integrazione dell'istituto della revisione con l'ipotesi di un suo azionamento anche in caso di violazione della citata Convenzione europea, si muove proprio in questa direzione e tale è l'obiettivo della presente proposta di legge.


 


 


proposta di legge

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Art. 1.

 

1. Al comma 1 dell'articolo 630 del codice di procedura penale è aggiunta, in fine, la seguente lettera:

 

"d-bis) se la Corte di giustizia delle Comunità europee ha, con sentenza irrevocabile, accertato la violazione dell'articolo 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, fatta a Roma il 4 novembre 1950 e resa esecutiva dalla legge 4 agosto 1955, n. 848".

 

Art. 2.

 

1. All'articolo 633 del codice di procedura penale è aggiunto, in fine, il seguente comma:

 

"3-bis. Nel caso previsto dall'articolo 630, comma 1, lettera d-bis), alla richiesta deve essere unita copia autentica della sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee".

 


Esame in sede referente

 


II COMMISSIONE PERMANENTE

(Giustizia)

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SEDE REFERENTE

Mercoledì 28 novembre 2001. - Presidenza del presidente Gaetano PECORELLA.

La seduta comincia alle 14.30.

(omissis)

 

Disposizioni in materia di revisione dei processi penali a seguito di sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo.

C. 1447 Mario Pepe e C. 1992 Cola.

(Esame e rinvio).

La Commissione inizia l'esame.

Aurelio GIRONDA VERALDI (AN), relatore, dopo aver premesso che i progetti di legge in esame appaiono quanto meno intempestivi, essendo stato ormai approvato il principio del giusto processo contenuto nelle modifiche apportate all'articolo 111 della Costituzione, illustra le proposte di legge in esame, volte ad inserire un nuovo caso di revisione oltre quelli indicati nell'articolo 630 del codice di procedura penale.

Altro caso utile a tal fine, dovrebbe essere la utilizzazione di sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo che abbia accertato la violazione dell'articolo 6 paragrafo 3 della Convenzione 4.11.1950, resa esecutiva con legge 4.8.1955 n. 848.

Una volta accertata la violazione della norma (articolo 6), ed in particolare il paragrafo 3 lettere A), B), C) e D), non si può non assegnare alla sentenza della Corte europea pari efficacia, ai fini della richiesta di revisione, rispetto agli altri casi enunciati nelle lettere A), B), C) e D) dell'articolo 630 del codice di procedura penale.

La proposta, presentata il 31 luglio 2001, riprende il disegno di legge n. 3168 presentato al Senato da più parlamentari, peraltro di maggioranza ed opposizione, che non concluse l'iter parlamentare a causa di uno stralcio degli articoli 2 e 3, quelli testualmente oggi riproposti, a causa della prospettata esigenza di urgenza di approvazione dell'articolo 1, quello che poi fu effettivamente approvato in sede legislativa, ed avente ad oggetto l'individuazione del giudice competente.

Ricorda che all'epoca non era ancora intervenuta la modifica dell'articolo 111 della Costituzione (regole per il cosiddetto giusto processo), per cui i senatori proponenti avevano come parametro di riferimento solo «gli obblighi internazionali assunti dal nostro Paese con la firma della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e della libertà fondamentale ed individuale rese esecutive in Italia con legge 4 agosto 1955, n. 848».

La nuova proposta di legge del 3 luglio 2001 fa quindi riferimento all'introduzione del principio del giusto processo nell'articolo 111 della Costituzione italiana, sancito con la legge costituzionale 23 ottobre 1999, n. 2.»

Non vi è dubbio dunque, che la sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, debba spiegare la sua efficacia nell'ambito del nostro ordinamento nel caso in cui abbia accertato la dichiarata  violazione delle norme contenute nei paragrafi A), B), C) e D ) dell'articolo 6 della Convenzione.

Sul punto il nostro legislatore si è già espresso, laddove ha sancito con la legge 24 marzo 2001, n.89, il diritto del cittadino ad un'equa riparazione a causa dell'accertata violazione «sotto il profilo del mancato rispetto del termine ragionevole di cui all'articolo 6 della Convenzione».

Ciò premesso, vi è solo da considerare se la sentenza della Corte europea, la cui efficacia nell'ambito del nostro ordinamento non è in discussione, possa e debba rappresentare un nuovo caso di revisione da inserire nel nostro sistema processuale, da aggiungere ai casi già enunciati nell'articolo 630 del codice di procedura penale.

La revisione, in sostanza. è l'istituto che consente di vulnerare il giudicato e di rivederlo, quando, in costanza di nuovi elementi o di situazioni processuali anch'esse sopravvenute, si possa e si debba riconoscere un errore giudiziario e, quindi, neutralizzarlo.

È comprensibile e doverosa la tutela del giudicato e, quindi, la sensibilità del legislatore di sempre a contenere l'ambito di previsione dei casi di revisione.

Basta scorrere l'articolo 630 del codice di procedura penale e l'elencazione dei casi utili ai fini della revisione per avere la conferma e la verifica di tale orientamento.

Detta esigenza di carattere normativo da una parte, e la consapevolezza che non si può non apprestare a colui il quale reclami ragionevolmente e motivatamente un mezzo processuale utile a dimostrare la propria innocenza, anche dopo il passaggio in giudicato della sentenza di condanna, ispirarono a suo tempo la formulazione dell'articolo 630 del vecchio codice di procedura penale, che va definito un mezzo straordinario d'impugnazione.

Il limite alla effettiva applicazione della norma era costituito dalla devoluzione della competenza esclusivamente e direttamente al giudice di legittimità, tanto è vero che il legislatore, sempre più sensibile all'esigenza di accordare al condannato maggiori spazi d'indagine ai fini del riconoscimento eventuale della propria innocenza, con l'articolo 633 del codice di procedura penale ha fissato la competenza a conoscere dell'istanza di revisione del giudice di merito ed in particolare, a seguito della modifica apportata dall'articolo 1 comma 1 della legge 23 novembre 1998, n.405 (lo stralcio di cui sopra) della corte di appello individuata «secondo i criteri indicati dall'articolo 11».

Peraltro, il «tabù» del giudicato è stato, indipendentemente dalla revisione, già vulnerato con la rivoluzionaria innovazione del giudizio di esecuzione, inserito nell'attuale codice di rito. Ed infatti, questo consente agli organi giurisdizionali esecutivi vasti settori d'intervento sull'effettività della sanzione, con ipotesi tipiche del giudice di merito: non a caso si sostiene che l'esecuzione ha così assunto i connotati di una fase ineliminabile.

Ed infatti, in ossequio all'adesione ai valori recepiti nelle carte costituzionali sui diritti umani, la diffusa affermazione dei principi costituzionali e l'affinamento della sensibilità giuridica hanno determinato il legislatore, in ossequio alla legge delega articolo 2 n.97 a contemplare l'applicabilità, anche in sede di esecuzione, delle norme sul concorso formale di reati e sulla continuazione, sancendo così la trasformazione progressiva dello scarno sistema previsto per l'esecuzione in una qualche cosa di più complesso molto vicino al modello del processo penale di cognizione.

Ho posto, non a caso, l'accento sulle competenze funzionali del giudice dell'esecuzione. Ed infatti, una volta inserito in Costituzione il giusto processo dinanzi al giudice terzo, l'evoluzione successiva passa necessariamente attraverso l'individuazione di una giurisdizione esclusiva, con l'accertamento di tutte le vicende esecutive in capo ad un organo ad hoc.

In questa prospettiva merita finalmente completa attuazione il dictum della Corte costituzionale che, nella sentenza n.395 del 2000, ebbe a chiarire che qualunque tipo di errore processuale, da qualunque giudice commesso, dal quale sia derivata la compromissione del diritto al processo  giusto «deve avere un necessario rimedio», vincolando in tal senso lo stesso legislatore, libero unicamente d'individuare «lo strumento riparatorio più idoneo».

Paradossalmente si può sostenere che dette situazioni potrebbero trovare lo strumento riparatorio più idoneo secondo gli schemi collaudati dell'articolo 673 del codice di procedura penale.

Esaurita la disgressione, utile a stabilire la tendenza del legislatore alla individuazione di mezzi processuali utili a sopperire alle eventuali lacune del processo di cognizione e, quindi, all'esigenza di colmarle il tema, ora, è quello della rilevanza, ai fini della revisione, della sentenza della Corte europea che abbia sancito la violazione dell'articolo 6 paragrafo 3 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, specie a seguito dell'approvazione della legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2 con cui è stato sancito che «la giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge».

Com'è noto, la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà individuali all'articolo 6 sancisce il «diritto ad un processo equo» ed in particolare nel paragrafo 3, sancisce il diritto dell'accusato ad essere informato nel più breve tempo possibile in una lingua a lui comprensibile ed in un modo dettagliato della natura e dei motivi dell'accusa elevata a suo carico; di disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie a preparare la sua difesa; di difendersi personalmente o avere l'assistenza di un difensore di sua scelta e se non ha i mezzi per retribuire un difensore, poter essere assistito gratuitamente da un avvocato di ufficio, quando lo esigono gli interessi della giustizia; di esaminare o far esaminare i testimoni a carico ed ottenere la convocazione e l'esame dei testimoni a discarico nelle stesse condizioni dei testimoni a carico; farsi assistere gratuitamente da un interprete se non comprende o non parla la lingua usata all'udienza.

Alcuni paesi dell'Europa (Austria, Bulgaria, Croazia, Lussemburgo Svizzera, Regno Unito) hanno espressamente previsto la possibilità della revisione dopo una sentenza della Corte che abbia constatato la violazione delle regole del giusto processo; altri paesi (Belgio, Danimarca, Finlandia, Russia) hanno risolto la questione in via giurisprudenziale.

È evidente che le posizioni legislative e giurisprudenziali di cui sopra sono state assunte, stante la indiscussa vincolatività delle sentenze della Corte europea per i paesi che hanno aderito alla Convenzione.

Se una sentenza della Corte europea, che spiega effetti nell'ordinamento interno, ha sancito la violazione dei diritti dell'accusato, non vi è dubbio che di detto pronunciato questi si possa avvalere per chiedere la revisione della sentenza di condanna, salvo la legittimazione del giudice destinatario dell'istanza di revisione a delibarne il contenuto in funzione del giudizio di ammissibilità, che è risaputo essere subordinato all'accertamento dell'incidenza che gli elementi offerti abbiano avuto o meno nel giudizio di colpevolezza (articolo 631 c.p.p.). E infatti la norma «limiti della revisione», di cui all'articolo 631 del codice di procedura penale, pone un doveroso ed opportuno limite, nel caso di specie, all'inflazione dei procedimenti per revisione, nel senso che non è sufficiente avere ottenuto una sentenza della Corte europea per conseguire automaticamente l'ammissibilità della revisione.

Si tenga presente che fino alla pubblicazione della legge costituzionale (articolo 111 della Costituzione) la Corte europea ha esaminato e deciso i ricorsi avendo come parametro esclusivamente i contenuti del paragrafo 3 dell'articolo 6 della Convenzione ed ha emesso le proprie sentenze assertive della violazione delle norme prescindendo dalla sussistenza di norme parallele esistenti nell'ordinamento dello Stato italiano.

Con l'introduzione della norma costituzionale, che praticamente ha recepito in tutto od in parte i principi enunciati dalla Convenzione, ferma restando la vincolabilità della pronunzia della Corte europea, sarebbe incongruo ed inconcepibile che il nostro ordinamento non prevedesse la possibilità di una revisione, in costanza di  un accertamento della violazione della norma costituzionale cui sarebbe conseguita una sentenza di condanna.

Peraltro, non può il legislatore, una volta ammesso il diritto alla revisione, operare una distinzione fra sentenza della Corte europea pronunziata prima o dopo della riforma costituzionale, posto che il diritto a chiedere la revisione è assicurato al condannato che abbia conseguito la sentenza di cui sopra.

Si domanda se la promulgazione di questa legge possa determinare un intasamento di pratiche di revisione a causa dell'utilizzazione della stessa presso la Corte europea e, quindi, presso le corti di appello: in realtà questo pericolo non c'è, essendovi una preclusione insuperabile nell'articolo 35 comma 1 della Convenzione, laddove è previsto «che la Corte può essere adita entro un periodo di sei mesi a partire dalla data della decisione interna definitiva».

Poiché il presupposto per la richiesta di revisione è l'esibizione della sentenza della Corte europea, è ovvio che il nostro ordinamento potrà prendere in esame le istanze di revisione solo se colui il quale la chieda abbia già conseguito la sentenza.

Si porrà il quesito - ma è di competenza della Corte Europea - se si possa prospettare ed accordare una deroga all'articolo 35 della Convenzione, avendo riguardo all'introduzione nell'ordinamento interno della nuova normativa che regola l'attuale sistema della revisione.

Peraltro, anche se non è necessario ai fini dell'esame del progetto, sarebbe opportuno un'indagine presso la Corte europea per stabilire quante sentenze siano state pronunciate nei confronti di cittadini aventi ad oggetto il riconoscimento di violazione del paragrafo 3 dell'articolo 6 della Convenzione.

Così come è avvenuto per la legge 24 marzo 2001, n. 89 (legge Pinto), occorre stabilire un termine entro cui coloro i quali possono avvalersi della nuova normativa ed in particolare del momento in cui è divenuta definitiva la sentenza della Corte europea che costituisce titolo ai fini della presentazione dell'istanza di revisione. A questo proposito appare congruo il termine di sei mesi.

Sergio COLA (AN), dopo aver illustrato la proposta di legge di cui è firmatario, che riproduce integralmente il testo di quella presentata nel 1997, osserva che essa non può ritenersi intempestiva, in quanto appare comunque utile per stimolare un'ulteriore riflessione sulla materia.

Anna FINOCCHIARO (DS-U) ritiene che sia necessario riflettere sulle modifiche che si vogliono introdurre con i progetti di legge in esame, in quanto non tengono conto del nuovo quadro normativo di riferimento creatosi a seguito della modifica dell'articolo 111 della Costituzione. Esprime altresì il timore che il termine di sei mesi entro il quale la Corte europea può essere adita a partire dalla data della decisione interna definitiva non sia un deterrente sufficiente contro un uso spregiudicato del ricorso alla Corte. Infatti la norma è applicabile anche a quei processi ancora in corso che ricadono, sulla base delle disposizioni transitorie previste dalla legge di attuazione del giusto processo, nella disciplina previgente rispetto all'introduzione di tale principio. Vi è il rischio per questi processi che venga introdotto un quarto grado di giudizio.

Aurelio GIRONDA VERALDI (AN), relatore, fa presente di aver richiamato la necessità di esperire un'indagine presso la Corte europea per stabilire quante sentenze siano state pronunciate e quanti processi siano ancora in corso aventi ad oggetto il riconoscimento di violazione del paragrafo 3 dell'articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, al fine di accertare quanti soggetti potrebbero ottenere la revisione del processo.

Sergio COLA (AN) evidenzia la necessità di stabilire una disciplina transitoria che fissi il termine entro il quale ci si possa avvalere della nuova normativa.

Gaetano PECORELLA, presidente, osserva che sarebbe opportuno introdurre,  come è previsto nell'ordinamento francese, l'obbligo della valutazione di ammissibilità.

Anna FINOCCHIARO (DS-U) osserva che la revisione ha un senso qualora emergono nuovi elementi che possano portare all'assoluzione dell'imputato rispetto a quelli emersi nel corso del giudizio. In caso contrario, sono sufficienti i rimedi previsti dall'ordinamento per rilevare le eventuali violazioni delle norme processuali.

Vincenzo SINISCALCHI (DS-U), dopo aver ricordato che la Commissione giustizia ebbe modo di occuparsi del problema in occasione dell'esame del progetto di legge in materia di revisione delle sentenze di condanna, auspica il consenso unanime dei gruppi su un testo più completo, che elimini ogni dubbio sulla volontà di istituire un quarto grado di giudizio.

Francesco BONITO (DS-U) rileva che l'istituto della revisione è collegato ad elementi oggettivi nuovi che si inseriscono nel contesto giuridico e processuale.

Gaetano PECORELLA, presidente, evidenzia l'opportunità di spostare l'attenzione dalla revisione del processo alla creazione di una normativa specifica, attingendo eventualmente dall'esperienza francese o di altri paesi europei e valutando preventivamente il carico giurisdizionale pendente.

Nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

(omissis)


 

 

 

 


II COMMISSIONE PERMANENTE

(Giustizia)

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SEDE REFERENTE

 

Martedì 5 febbraio 2002. - Presidenza del vicepresidente Nino MORMINO. - Interviene il sottosegretario di Stato per la giustizia Michele Vietti.

 

La seduta comincia alle 12.50.

 

(omissis)

 

Disposizioni in materia di revisione dei processi penali a seguito di sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo.

C. 1447 Mario Pepe e C. 1992 Cola.

(Seguito dell'esame e rinvio).

 

La Commissione prosegue l'esame, rinviato, da ultimo, nella seduta del 28 novembre 2001.

Aurelio GIRONDA VERALDI (AN), relatore, in riferimento alle osservazioni formulate dal deputato Finocchiaro nel corso del dibattito, osserva che i timori relativi ad un'inflazione di richieste di revisione dei processi penali sono infondati, soprattutto in considerazione della situazione normativa intervenuta a seguito della modifica dell'articolo 111 della Costituzione. Ricorda inoltre che il ricorso non è possibile dopo che siano trascorsi sei mesi dal passaggio in giudicato della sentenza e che la proponibilità del ricorso alla Corte europea è cosa diversa dall'ammissibilità; quest'ultima è disciplinata con i limiti previsti dall'articolo 631 del codice di procedura penale, che fanno riferimento ad elementi nuovi i quali, se accertati, debbono portare al proscioglimento del condannato. In proposito ritiene opportuno attribuire al giudice che valuta l'istanza di revisione il compito di stabilire se il contenuto della sentenza della Corte europea possa incidere sull'eventuale sentenza di assoluzione.

Il problema della revisione, che non si pone per le sentenze già emesse, vigendo il principio del tempus regit actum, vale soltanto per i procedimenti in corso. Permane peraltro la questione dei giudizi alternativi, cioè di un diverso giudicato ad opera di giudici diversi che abbia ad oggetto gli stessi fatti: richiama in proposito l'esempio del reato di corruzione, che veda i diversi imputati subire differenti sorti processuali ad opera di sentenze contrastanti.

Ritiene infine che, data la complessità e la delicatezza delle problematiche, sia necessario raccogliere sulla materia il più ampio contributo possibile da parte di tutte le forze politiche.

Francesco BONITO (DS-U) invita il relatore ad elaborare un testo base che tenga conto delle questioni evidenziate.

Nino MORMINO, presidente, si unisce alla richiesta del deputato Bonito. Nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 13.30.


 

 


II COMMISSIONE PERMANENTE

(Giustizia)

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SEDE REFERENTE

Giovedì 14 febbraio 2002. - Presidenza del presidente Gaetano PECORELLA. - Interviene il sottosegretario di Stato per la giustizia Giuseppe Valentino.

 

La seduta comincia alle 14.15.

Disposizioni in materia di revisione dei processi penali a seguito di sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo.

C. 1447 Mario Pepe e C. 1992 Cola.

(Seguito dell'esame e rinvio - Nomina di un Comitato ristretto).

 

La Commissione prosegue l'esame, rinviato nella seduta del 5 febbraio 2002.

Aurelio GIRONDA VERALDI (AN), relatore, dopo essersi richiamato alla relazione precedentemente svolta, propone di aggiungere al comma 1 dell'articolo 630 del codice di procedura penale, relativo ai casi di revisione delle sentenze di condanna, le lettere e) ed f). Secondo la lettera e), la revisione può essere richiesta se sia stata accertata con sentenza della Corte europea la violazione dell'articolo 6, paragrafo 3 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, resa esecutiva con legge 4 agosto 1955 n. 484; in base alla lettera f), la revisione è ammissibile se più sentenze divenute irrevocabili sono state emesse nei confronti di persone diverse, ma per gli stessi fatti, purché le decisioni siano inconciliabili tra di loro.

Ritiene altresì necessario stabilire che la norma di cui all'articolo 631 del codice di procedura penale è applicabile anche nei casi di cui alle lettere e) ed f) di cui propone l'introduzione. Infine rileva la necessità di introdurre l'articolo 633-bis, secondo il quale nei casi previsti dall'articolo 360, lettere e) ed f), alla richiesta  devono essere unite rispettivamente copie delle sentenze su cui fonda la richiesta.

Si sofferma quindi sul problema della revisione, il cui istituto, concepito nel 1930 con gli articoli 553 e seguenti del codice di procedura penale, deve essere rivisitato tenendo presente che l'inconciliabilità di cui alla lettera a) dell'articolo 630 del codice di procedura penale deve essere contemplata non solo relativamente ai fatti ma anche alle sentenze stesse. Infatti va considerato che l'introduzione dei riti alternativi e l'eventuale separazione delle posizioni processuali di più imputati nell'ambito dello stesso processo può determinare l'emissione di una sentenza di condanna che si ponga in contrasto con altra sentenza che, pur avendo ad oggetto gli stessi fatti, abbia portato viceversa ad una pronunzia di assoluzione.

Evidenzia infine la necessità di stabilire un termine, che potrebbe essere individuato rispetto alla data di pubblicazione della legge, a partire dal quale sia possibile chiedere la revisione delle sentenze.

Mario PEPE (FI) osserva preliminarmente che la revisione dei processi deve essere considerata come un evento di carattere eccezionale, al fine di non creare un meccanismo inflattivo e di evitare l'introduzione di un quarto grado di giudizio. A tale proposito ritiene necessario introdurre una modifica dell'articolo 630 del codice di procedura penale volta a condizionare l'istanza di revisione delle sentenze di condanna alla circostanza che la violazione accertata con sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo produca per sua natura e gravità conseguenze pregiudizievoli che non possono essere altrimenti eliminabili. Osserva altresì che attualmente i casi in cui sarebbe possibile la revisione dei processi sono assai limitati, essendo quest'ultima inutile qualora i soggetti abbiano già scontato la pena, bastando in questo caso la cancellazione del reato dal casellario giudiziario.

Suggerisce infine l'introduzione di una norma transitoria secondo la quale le decisioni prese dal Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa a seguito di una decisione della Commissione dei diritti umani in base all'articolo 32 della Convenzione europea o all'articolo 5, comma 6, del protocollo 11 della Convenzione sono equiparati alle sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo.

Vincenzo SINISCALCHI (DS-U) si associa alle considerazioni dei deputati Gironda Veraldi e Pepe, che hanno espresso linee di tendenza condivisibili dal punto di vista culturale. Osserva tuttavia che le norme proposte, così come sono formulate, non appaiono sufficienti a rendere applicabile agli errori giudiziari i benefici di cui all'articolo 111 della Costituzione attraverso il semplice richiamo alla violazione dell'articolo 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. Peraltro l'articolo 111 della Costituzione non può ritenersi retroattivamente applicabile alle sentenze passate in giudicato; pertanto la modifica proposta dell'articolo 630 del codice di procedura penale è destinata a risolvere solo in parte i problemi sollevati, pur scongiurando in ogni caso i rischi di un processo inflattivo delle istanze di revisione.

Quanto ai rilievi del deputato Pepe, osserva che con le modifiche proposte si introduce una soluzione intermedia, mentre occorre una norma più forte, volta a stabilire regole di garanzia a vantaggio di chi non ha potuto fruire di determinate leggi ed è stato condannato ingiustamente. Si dichiara comunque disposto a collaborare per l'elaborazione di un testo di legge spendibile sul piano pratico e non solo sotto il profilo della mera enunciazione di principi.

Sergio COLA (AN) manifesta perplessità sulla formulazione della lettera f) proposta dal relatore, ritenendo opportuno esplicitare il concetto secondo il quale, che senza una violazione del citato articolo 6 della Convenzione, non sarebbe intervenuta alcuna sentenza di condanna. Rileva infine la necessità di un maggiore approfondimento della tematica, con particolare  riferimento alla violazione dei diritti dell'uomo, che in ogni caso è iniqua ed inaccettabile in un regime democratico.

Niccolò GHEDINI (FI) ritiene che il contenuto della lettera f) proposta dal relatore debba essere trattato separatamente, presentando profili che attengono, tra l'altro, al concorso del reato ed alla qualificazione giuridica all'esito della sentenza. Nell'osservare che, in sostanza, la lettera e) si richiama al contenuto della lettera d) dell'articolo 630 del codice di procedura penale, non ritiene opportuno introdurre una valutazione di tipo diverso.

Gaetano PECORELLA, presidente, dopo aver osservato che la formulazione della lettera f) non rende chiaramente individuabili le sentenze in esame, rileva che fondamentalmente sono in discussione due diversi modelli: quello francese, sostenuto nella proposta di legge Pepe, volto a concedere la revisione dei processi penali quando non vi sia altro mezzo per eliminare gli effetti pregiudizievoli da esse derivanti, e quello anglosassone, sostenuto dal deputato Cola, secondo il quale, in assenza di violazione dell'articolo 6 della Convenzione, vi sarebbe stata una sentenza diversa. Vi è poi la soluzione del codice di procedura penale tedesco, che prevede la possibilità di revisione del processo qualora la Corte europea dei diritti dell'uomo abbia accertato una violazione della Convenzione suddetta tale da aver costituito elemento decisivo per il giudizio di condanna nei confronti del ricorrente.

Data la complessità della materia, chiede infine ai rappresentanti dei gruppi di pronunciarsi sull'eventualità di proseguire l'esame delle proposte di legge in sede di Comitato ristretto.

I deputati Sergio COLA (AN), Francesco BONITO (DS-U) e Luigi VITALI (FI) esprimono l'assenso dei rispettivi gruppi.

Gaetano PECORELLA, presidente, propone la costituzione di un Comitato ristretto.

La Commissione approva la proposta del presidente.

Gaetano PECORELLA, presidente, invita i gruppi a designare i propri rappresentanti in seno al Comitato ristretto e rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.


 

 


II COMMISSIONE PERMANENTE

(Giustizia)

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SEDE REFERENTE

Giovedì 21 febbraio 2002. - Presidenza del presidente Gaetano PECORELLA. - Interviene il sottosegretario di Stato per la giustizia Jole Santelli.

 

La seduta comincia alle 12.

(omissis)

Disposizioni in materia di revisione dei processi penali a seguito di sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo.

C. 1447 Mario Pepe e C. 1992 Cola.

(Seguito dell'esame e rinvio - Adozione di un testo base).

 

La Commissione prosegue l'esame, rinviato, da ultimo, nella seduta del 14 febbraio 2002.

Mario PEPE (FI), richiamando le osservazioni già svolte nella precedente seduta, propone di introdurre una norma transitoria volta ad equiparare alle sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo le decisioni prese dal comitato dei ministri del Consiglio d'Europa a seguito di una decisione della commissione dei diritti umani in base all'articolo 32 della Convenzione europea o all'articolo 5, comma 6, del protocollo 11 della medesima Convenzione. Sottolinea inoltre la necessità di eliminare il riferimento al paragrafo 3 della Convenzione in relazione all'accertamento della violazione dei diritti dell'uomo, osservando come vi siano violazioni ben più gravi di quelle contemplate in tale paragrafo.

Enrico BUEMI (Misto-SDI) sottolinea la necessità di dare efficacia alle sentenze favorevoli pronunciate dalla Corte europea, soprattutto in materia di restrizione della libertà delle persone.

Nino MORMINO (FI) si sofferma in particolare sull'opportunità di introdurre una norma transitoria che travalichi il principio di irretroattività.

Aurelio GIRONDA VERALDI (AN), relatore, si dichiara favorevole alla norma transitoria, condividendo le osservazioni del deputato Pepe.

Gaetano PECORELLA, presidente, invita al rispetto del principio del tempus regit actum, che impone una certa cautela nell'applicazione indiscriminata del principio di retroattività.

Aurelio GIRONDA VERALDI (AN), relatore, sulla base delle osservazioni emerse dal dibattito e del lavoro svolto dal Comitato ristretto, presenta una proposta di testo unificato (vedi allegato 2).

La Commissione adotta il testo unificato proposto del relatore come testo base per il seguito dell'esame.

Gaetano PECORELLA, presidente, rileva l'opportunità di effettuare una ricognizione della casistica interessata dal provvedimento in esame.

Fissa quindi il termine per la presentazione degli emendamenti a mercoledì 27 febbraio, alle 10, e rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 13.



ALLEGATO 2

Disposizioni in materia di revisione dei processi penali a seguito di sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo (C. 1447 Mario Pepe e C. 1992 Cola).

TESTO UNIFICATO ELABORATO DAL RELATORE ADOTTATO COME TESTO BASE

 

 


Art. 1.

1. Al comma 1 dell'articolo 630 del codice di procedura penale è aggiunta, in fine, la seguente lettera:

d-bis) se è stata accertata con sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo che la condanna è stata pronunciata in conseguenza della violazione dell'articolo 6, paragrafo 3, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848.

Art. 2.

1. All'articolo 631 del codice di procedura penale è aggiunto, in fine, il seguente comma:

1-bis. Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano anche qualora si chiede la revisione ai sensi dell'articolo 630, comma 1, lettera d-bis).

Art. 3.

1. Dopo l'articolo 632 del codice di procedura penale è inserito il seguente articolo:

Art. 632-bis. (Termine di proposizione della richiesta). - 1. Nel caso previsto dall'articolo 630, comma 1, lettera d-bis), la richiesta di revisione deve essere proposta entro 180 giorni dal momento in cui la sentenza diviene definitiva.

Art. 4.

1. All'articolo 633 del codice di procedura penale è aggiunto, in fine, il seguente comma:

3-bis. Nel caso previsto dall'articolo 630, comma 1, lettera d-bis), alla richiesta deve essere unita copia autentica della sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo.

Art. 5.

1. La richiesta di revisione, ai sensi dell'articolo 630, comma 1, lettera d-bis) del codice di procedura penale, può essere proposta entro 180 giorni dalla entrata in vigore della presente legge, nel caso in cui la sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo sia stata emanata prima dalla entrata in vigore della medesima legge e sia in corso di esecuzione una sentenza penale di condanna a pena restrittiva della libertà.


 

 


II COMMISSIONE PERMANENTE

(Giustizia)

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SEDE REFERENTE

Giovedì 7 marzo 2002. - Presidenza del presidente Gaetano PECORELLA. - Interviene il sottosegretario di Stato per la giustizia Giuseppe Valentino.

 

La seduta comincia alle 15.55.

Disposizioni in materia di revisione dei processi penali a seguito di sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo.

C. 1447 Mario Pepe e C. 1992 Cola.

(Seguito dell'esame e rinvio - Adozione di un nuovo testo).

 

La Commissione prosegue l'esame, rinviato, da ultimo, nella seduta del 21 febbraio 2002.

Gaetano PECORELLA, presidente, avverte che il relatore ha presentato una nuova proposta di testo unificato, volta a differenziare la disciplina della revisione dei processi penali a seguito di sentenze della Corte europea dalla disciplina vigente per la revisione ordinaria (vedi allegato).

Aurelio GIRONDA VERALDI (AN), relatore, propone che la Commissione adotti quale testo base il nuovo testo unificato.

La Commissione adotta come testo base per il seguito dell'esame il nuovo testo unificato elaborato dal relatore.

Gaetano PECORELLA, presidente, rileva che nella nuova formulazione del testo è stato introdotto come criterio di ammissibilità che la violazione da cui è derivata la condanna della Corte europea abbia avuto incidenza determinante nella decisione; è stata poi stabilita la possibilità di proporre la revisione anche per le condanne intervenute precedentemente, con il limite che permangano gli effetti negativi dell'esecuzione; infine è stata prevista la dichiarazione di inammissibilità, ma, a differenza della disciplina della revisione ordinaria, la decisione avviene in camera di consiglio con l'intervento delle parti.

Aurelio GIRONDA VERALDI (AN), relatore, fa presente che, dal punto di vista dell'economia processuale, la norma si  rivelerà particolarmente utile, in quanto la maggior parte delle istanze si fermerà alla fase della camera di consiglio senza giungere alla revisione.

Gaetano PECORELLA, presidente, avverte che il termine per la presentazione degli emendamenti al nuovo testo unificato presentato dal relatore è fissato alle ore 18 di lunedì 11 marzo.

Chiede infine ai rappresentanti dei gruppi di riflettere sull'opportunità di proseguire l'esame del provvedimento in sede legislativa.

Rinvia quindi il seguito dell'esame ad altra seduta.



ALLEGATO

Disposizioni in materia di revisione dei processi penali a seguito di sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo (C. 1447 Mario Pepe e C. 1992 Cola).

NUOVO TESTO UNIFICATO ELABORATO DAL RELATORE ADOTTATO COME TESTO BASE

 

 


Articolo 1.

(Revisione a seguito di sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo).

1. La revisione delle sentenze e dei decreti penali di condanna può essere richiesta qualora risulti, da una sentenza di condanna dello Stato italiano pronunciata in accoglimento del ricorso del condannato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, che nel corso del giudizio sono state violate le norme di cui all'articolo 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali di cui alla legge 4 agosto 1955 n. 848, sempre che la violazione abbia avuto incidenza determinante nella decisione.

Articolo 2.

(Termine di presentazione della richiesta).

1. La richiesta di revisione può essere proposta entro 180 giorni dall'entrata in vigore della presente legge anche nel caso in cui la sentenza della Corte europea o del Comitato dei ministri sia stata pronunciata in precedenza, ma solo se permangono gli effetti negativi dell'esecuzione.

Articolo 3.

(Limiti della revisione).

1. La Corte, in camera di consiglio, osservando le norme indicate nell'articolo 127 del codice di procedura penale dichiara, con ordinanza, l'inammissibilità della richiesta, se questa è stata proposta in mancanza delle condizioni indicate negli articoli 1 e 2.

Articolo 4.

(Procedimento di revisione).

1. Si osservano, in quanto applicabili, le norme di cui al Titolo IV del codice di procedura penale.


 

 

 


II COMMISSIONE PERMANENTE

(Giustizia)

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SEDE REFERENTE

Martedì 12 marzo 2002. - Presidenza del vicepresidente Nino MORMINO. - Interviene il sottosegretario di Stato per la giustizia Giuseppe Valentino.

 

La seduta comincia alle 11.50.

(omissis)

Disposizioni in materia di revisione dei processi penali a seguito di sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo.

C. 1447 Mario Pepe e C. 1992 Cola.

(Seguito dell'esame e richiesta di trasferimento in sede legislativa).

 

La Commissione prosegue l'esame, rinviato nella seduta del 7 marzo 2002.

Nino MORMINO, presidente, avverte che sono stati presentati emendamenti al  nuovo testo unificato adottato come testo base (vedi allegato 2).

Aurelio GIRONDA VERALDI (AN), relatore, illustra il suo emendamento 1.1, interamente sostitutivo del testo base adottato, volto sostanzialmente a consentire la revisione di sentenze in fase di esecuzione. Le modifiche apportate dall'emendamento sono dirette ad inserire la nuova ipotesi di revisione nell'ambito del codice di procedura penale.

Il sottosegretario Giuseppe VALENTINO esprime parere favorevole sull'emendamento 1.1.

Nino MORMINO, presidente, constatata l'assenza del deputato Tarditi, avverte che i suoi emendamenti si intendono ritirati.

La Commissione approva l'emendamento 1.1 del relatore.

Nino MORMINO, presidente, avverte che il testo sarà trasmesso alle Commissioni competenti per l'espressione del prescritto parere.

Aurelio GIRONDA VERALDI (AN), relatore, propone di proseguire l'esame del provvedimento in sede legislativa al fine di accelerarne l'iter.

Nino MORMINO, presidente, preso atto del consenso dei gruppi, avverte che la richiesta di trasferimento in sede legislativa sarà trasmessa al Presidente della Camera una volta verificata la sussistenza delle condizioni di cui all'articolo 92, comma 6, del regolamento.


 


ALLEGATO 2

Disposizioni in materia di revisione dei processi penali a seguito di sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo (C. 1447 Mario Pepe e C. 1992 Cola).

EMENDAMENTI

 


ART. 1

Gli articoli 1, 2, 3 e 4 sono sostituiti dai seguenti:

Art. 1.

(Modifiche al codice di procedura penale).

1. Dopo l'articolo 630 del codice di procedura penale è inserito il seguente: «Art. 630.bis (Revisione a seguito di sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo) 1. Fuori dalle ipotesi previste dall'articolo630, la revisione può essere richiesta se è accertato con sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo che nel corso del giudizio sono state violate le disposizioni di cui all'articolo 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali di cui alla legge del 4 agosto 1955, n. 848.»

2. All'articolo 631 del codice di procedura penale sono apportate le seguenti modifiche:

a) al comma 1, dopo le parole: «la revisione» sono aggiunte le seguenti: «nelle ipotesi previste dagli articoli 629 e 630».

b) dopo il comma 1, è aggiunto il seguente: «1-bis La richiesta di revisione ai sensi dell'articolo 630-bis è inammissibile se la violazione delle disposizioni richiamate non abbia avuto incidenza rilevante sulla decisione e se non permangono gli effetti negativi della esecuzione della sentenza di condanna».

3. All'articolo 633, comma 2, del codice di procedura penale, dopo le parole: «dall'articolo 630 comma 1, lett. a) e b)» sono inserite le seguenti: «e dall'articolo 630-bis».

4. All'articolo 634 del codice di procedura penale sono apportate le seguenti modifiche:

a) al comma 1, dopo le parole: «dagli articoli 631,» sono inserite le seguenti: «comma 1,».

b) dopo il comma 2, è inserito il seguente: «2-bis La Corte d'appello, in camera di consiglio, osservando le norme indicate nell'articolo 127 dichiara, con ordinanza, l'inammissibilità della richiesta, se questa è stata proposta senza l'osservanza delle disposizioni previste dall'articolo 631, comma 1-bis».

ART. 2

(Norma transitoria).

1. La richiesta di revisione può essere proposta entro 180 giorni dall'entrata in vigore della presente legge anche nel caso in cui la sentenza della Corte europea o del Comitato dei ministri sia stata pronunciata prima di tale data.

1.1.Il Relatore.

ART. 2

Al comma 1, sostituire la parola «centottanta» con la seguente: «trecentosessanta».

2. 1.Tarditi.

Al comma 1, sostituire le parole effetti negativi della sentenza con le seguenti: effetti penali o effetti comunque negativi.

2. 2.Tarditi.


 


II COMMISSIONE PERMANENTE

(Giustizia)

¾¾¾¾¾¾¾¾¾¾¾

 


SEDE REFERENTE

Giovedì 21 marzo 2002 - Presidenza del presidente Gaetano PECORELLA. - Interviene il sottosegretario di Stato per la giustizia Giuseppe Valentino.

La seduta comincia alle 13.50.

(omissis)

Disposizioni in materia di revisione dei processi penali a seguito di sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo.

C. 1447 Mario Pepe e C. 1992 Cola.

(Seguito dell'esame e conclusione).

 

La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato, da ultimo, nella seduta del 7 marzo 2002.

Gaetano PECORELLA, presidente, avverte che la Commissione affari costituzionali è in procinto di esprime il prescritto parere. Sospende quindi la seduta.

La seduta, sospesa alle 16, è ripresa alle 16.10.

Gaetano PECORELLA, presidente, avverte che la Commissione affari costituzionali ha espresso parere favorevole.

La Commissione delibera quindi di conferire il mandato al relatore, onorevole Gironda Veraldi, a riferire in senso favorevole all'Assemblea sul provvedimento in esame. Delibera altresì di chiedere l'autorizzazione a riferire oralmente.

Gaetano PECORELLA, presidente, si riserva di designare i componenti del Comitato dei nove sulla base delle indicazioni dei gruppi.

La seduta termina alle 16.15.


 

 


Esame in sede consultiva

 


I COMMISSIONE PERMANENTE

(Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni)

¾¾¾¾¾¾¾¾¾¾¾

 


COMITATO PERMANENTE PER I PARERI

Giovedì 21 marzo 2002. - Presidenza del presidente Pierantonio ZANETTIN. - Interviene il sottosegretario di Stato per la salute Cesare Cursi.

 

La seduta comincia alle 15.30.

(omissis)

Disposizioni in materia di revisione dei processi penali a seguito di sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo.

Testo unificato C. 1447 Mario Pepe e C. 1992 Cola.

(Parere alla II Commissione).

(Esame e conclusione - Parere favorevole).

 

Il Comitato inizia l'esame.

Francesco Nitto PALMA (FI), relatore, illustra il contenuto del testo unificato, diretto a consentire l'esperimento del mezzo straordinario di impugnazione di una sentenza passata in giudicato qualora la Corte europea dei diritti dell'uomo abbia accertato con sentenza che nel corso del giudizio sono state violate le disposizioni di cui all'articolo 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali.

Non essendovi nulla da osservare relativamente ai profili di competenza della Commissione, propone, di esprimere parere favorevole (vedi allegato 2).

Marco BOATO (Misto-Verdi-U) dichiara di condividere la proposta di parere del relatore su un testo che consente di colmare una grave lacuna dell'ordinamento dopo la tempestiva ratifica della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali.

Esprime tuttavia perplessità sulla previsione di cui alla lettera b) del comma 2 dell'articolo 1, secondo cui la richiesta di revisione ai sensi dell'articolo 630-bis è inammissibile se la violazione delle disposizioni richiamate non abbia avuto incidenza rilevante sulla decisione e se non permangono gli effetti negativi dell'esecuzione della sentenza di condanna; ritiene infatti che tale previsione presupponga un margine di discrezionalità della corte d'appello.

Giannicola SINISI (MARGH-U) dichiara voto favorevole sulla proposta di parere del relatore, considerando ragionevole l'introduzione di un principio di valutazione della violazione del diritto di difesa.

I deputati Sesa AMICI (DS-U) e Graziella MASCIA (RC) dichiarano voto favorevole sulla proposta di parere del relatore.

Il Comitato approva la proposta di parere formulata dal relatore.

Procreazione medicalmente assistita.

Testo unificato C. 47 Giancarlo Giorgetti ed abb.

(Parere alla XII Commissione).

(Esame e conclusione - Parere favorevole con condizioni - Parere su emendamenti).

 

Il Comitato inizia l'esame.

Pierantonio ZANETTIN (FI), presidente relatore, illustra il contenuto del testo unificato adottato dalla XII Commissione come testo base.

Propone quindi di esprimere un parere favorevole con osservazioni (vedi allegato 3).

Giannicola SINISI (MARGH-U) evidenzia la difficoltà di procedere nell'esame in sede consultiva del testo unificato in considerazione del fatto che la Commissione di merito sta modificando il testo medesimo. Evidenzia pertanto l'opportunità di attendere per l'espressione del parere che la disciplina in esame sia stata compiutamente definita dalla XII Commissione.

Pierantonio ZANETTIN (FI), presidente relatore, fa presente che, qualora il testo venisse modificato, verrebbe nuovamente sottoposto all'esame della Commissione.

Francesco Nitto PALMA (FI) esprime perplessità sull'esame di un testo destinato ad essere modificato.

Graziella MASCIA (RC) sottolinea l'esigenza di esaminare il testo nella stesura definitiva, al di là delle valutazioni di ordine procedurale, per ragioni di opportunità politiche.

Pierantonio ZANETTIN (FI), presidente relatore, prospetta motivazioni di urgenza nell'espressione del parere in considerazione della prevista calendarizzazione del provvedimento per l'esame da parte dell'Assemblea.

Sesa AMICI (DS-U) si associa alle considerazioni svolte circa l'opportunità di esprimere il parere una volta che il testo sia stato definito.

Pierantonio ZANETTIN (FI), presidente relatore, ribadisce che il testo, una volta emendato, potrà essere nuovamente sottoposto all'esame della Commissione, qualora i tempi imposti dal calendario dei lavori dell'Assemblea lo rendano possibile.

Giulio SCHMIDT (FI) sottolinea che il parere della I Commissione sul testo unificato può costituire un elemento di valutazione per la Commissione di merito.

Giannicola SINISI (MARGH-U), espressa preliminarmente disponibilità rispetto alle deliberazioni che verranno assunte sul piano procedurale, sottolinea che il testo unificato è già stato emendato dalla Commissione di merito indipendentemente dal contributo della I Commissione, evidenziando altresì la delicatezza sotto il profilo costituzionale e dell'espressione della libertà di coscienza delle questioni affrontate dal provvedimento in esame.

Pierantonio ZANETTIN (FI), presidente relatore, ritiene opportuno che la Commissione per l'intanto si esprima sul testo unificato, salva restando la possibilità di pronunciarsi nuovamente sullo stesso ove modificato.

Sesa AMICI (DS-U) esprime apprezzamento sulla proposta di parere del relatore, con particolare riferimento alla seconda osservazione in esso contenuta.

Giannicola SINISI (MARGH-U) ritiene che i rilievi contenuti nelle due osservazioni debbano essere espressi attraverso condizioni per ragioni di congruenza con il merito degli stessi che attengono ad una violazione della potestà regolamentare delle regioni come prevista dall'articolo 117, sesto comma, della Costituzione, nonché alla violazione del principio di legalità e di determinatezza della fattispecie penale di cui all'articolo 25 della Costituzione.

Marco BOATO (Misto-Verdi-U), dichiarato di condividere la richiesta del deputato Sinisi di trasformazione delle osservazioni in condizioni, osserva che il riferimento di cui al comma 1 dell'articolo 1 ai diritti «in particolare del concepito» non trova riscontro nei principi fondamentali della Costituzione e in particolare nell'articolo 2. Ritiene pertanto che la proposta di parere debba essere integrata con un rilievo critico in proposito, espresso sotto la forma di osservazione o di condizione.

Graziella MASCIA (RC), nell'associarsi all'ulteriore richiesta del deputato Boato,  evidenzia i numerosi profili problematici connessi alla individuazione di diritti riguardanti il concepito che potrebbero entrare in conflitto con quelli di tutti gli altri soggetti coinvolti.

Francesco Nitto PALMA (FI), con riferimento alla previsione di cui al comma 1 dell'articolo 9, riguardante il divieto del disconoscimento della paternità, osserva che tale diritto di disconoscimento può essere esercitato anche dal figlio unicamente nei casi in cui ciò sia consentito al padre, ai sensi dell'articolo 244 del codice civile. Si chiede pertanto se il divieto di cui al comma 1 dell'articolo 9 non comporti una limitazione della capacità disconoscitoria del figlio.

Manifesta quindi perplessità sulla possibilità di formulare come osservazione piuttosto che come condizione il secondo rilievo contenuto nella proposta di parere, relativo all'opportunità di valutare le disposizioni dei primi due commi dell'articolo 12 sotto il profilo della conformità ai principi di cui agli articoli 3 e 25 della Costituzione.

Sesa AMICI (DS-U)dichiara di condividere i rilievi espressi dai deputati Boato e Mascia, osservando altresì che le considerazioni svolte dal deputato Palma sulla questione del disconoscimento della paternità rendono necessaria una riflessione più approfondita sul testo.

Pierantonio ZANETTIN (FI), presidente relatore, ritiene di poter accogliere la richiesta di trasformare le osservazioni contenute nella proposta di parere in condizioni.

Ritiene invece di non aderire alla proposta avanzata dal deputato Boato circa la formulazione di un'osservazione riguardante il comma 1 all'articolo 1.

Quanto alle considerazioni svolte dal deputato Palma sul divieto del disconoscimento di paternità, di cui al comma 1 dell'articolo 9, osserva che le osservazioni, pur pertinenti, non attengono alla competenza della I Commissione.

Giannicola SINISI (MARGH-U) manifesta l'intenzione di non partecipare alla votazione sulla proposta di parere del relatore, riservandosi una riflessione aggiuntiva sul testo unificato, che presenta profili problematici, tra cui evidenzia quello riguardante la tutela del concepito, di cui al comma 1 dell'articolo 1, e la previsione di cui all'articolo 5.

Marco BOATO (Misto-Verdi-U) preso atto positivamente della disponibilità manifestata dal relatore a modificare la proposta di parere trasformando le osservazioni in condizioni, ritiene che la Commissione dovrebbe evidenziare, sotto forma di osservazione o di condizione, l'opportunità di riformulare il comma 1 dell'articolo 1 sopprimendo il riferimento ai diritti «in particolare del concepito», in quanto contrastante con gli articoli 2, 30 e 32 della Costituzione.

Francesco Nitto PALMA (FI) manifesta disagio per la difficoltà, attesa la ristrettezza dei tempi, di approfondire adeguatamente la riflessione su un tema particolarmente delicato. Rilevata la fondatezza delle problematiche sollevate dal deputato Boato, esprime perplessità sulla conformità costituzionale della previsione di cui al comma 1 dell'articolo 1, osservando i diritti del concepito richiamati dal provvedimento in esame potrebbero includere quello di non essere soggetto passivo dell'interruzione di gravidanza; inoltre, nel momento in cui il concepito assume figura giuridica si determinerebbe una disparità di trattamento rispetto al concepito nell'ambito di una fecondazione non assistita.

Remo DI GIANDOMENICO (UDC) manifesta la difficoltà di pronunciarsi su una tematica che investe questioni attinenti alla valutazione o meno dell'embrione come soggetto umano. Evidenziato che la distinzione tra uomo e persona umana contenuta rispettivamente negli articoli 2 e 32 della Costituzione non è solo nominalistica, ritiene che, al di là del dato semantico, l'articolo 2 introduca una garanzia di portata generale.

Pierantonio ZANETTIN (FI), presidente relatore, in considerazione del previsto svolgimento di audizioni nel quadro dell'indagine conoscitiva sulle problematiche inerenti il servizio civile nazionale, sospende la seduta.

La seduta, sospesa alle 17.10, è ripresa alle 21.15.

Pierantonio ZANETTIN (FI), presidente relatore, avverte che sono stati trasmessi dalla XII Commissione alcuni emendamenti approvati nel corso della seduta odierna ai fini dell'espressione del parere.

Riformula quindi la proposta di parere (vedi allegato 4).

I deputati Marco BOATO (Misto-Verdi-U), Graziella MASCIA (RC), Sesa AMICI (DS-U), Francesco Nitto PALMA (FI) e Nuccio CARRARA (AN) dichiarano voto favorevole sulla nuova proposta di parere formulata dal relatore.

Il Comitato approva la proposta di parere formulata dal relatore.

La seduta termina alle 21.20.



ALLEGATO 2

Disposizioni in materia di revisione dei processi penali a seguito di sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo (Testo unificato C. 1447 Mario Pepe e C. 1992 Cola).

 

PARERE APPROVATO DALLA COMMISSIONE

 

 


La I Commissione,

esaminato il testo unificato delle proposte di legge C. 1447 e C. 1992;

rilevato che esso incide su materia riservata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione

esprime

PARERE FAVOREVOLE.



I COMMISSIONE PERMANENTE

(Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni)

¾¾¾¾¾¾¾¾¾¾¾

 


COMITATO PERMANENTE PER I PARERI

Martedì 6 maggio 2003. - Presidenza del presidente Perantonio ZANETTIN. - Interviene il sottosegretario di Stato per la difesa Filippo Berselli.

La seduta comincia alle 12.05.

(omissis)

Disposizioni in materia di revisione dei processi penali a seguito di sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo.

C. 1447-1992/A

(Parere all'Assemblea).

(Esame emendamenti e conclusione - Parere).

Il Comitato inizia l'esame.

Pierantonio ZANETTIN (FI), presidente relatore, dichiara che gli emendamenti contenuti nel fascicolo n. 1 non presentano profili problematici che investano questioni di competenza legislativa ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione.

Formula quindi la seguente proposta di parere:

sugli emendamenti trasmessi dall'Assemblea:

NULLA OSTA

sugli emendamenti contenuti nel fascicolo n. 1.

Nessuno chiedendo di intervenire, il Comitato approva la proposta di parere del relatore.


 


Relazione della II Commissione (Giustizia)

*


N. 1447 - 1992-A

¾

CAMERA DEI DEPUTATI

¾¾¾¾¾¾¾¾

 

RELAZIONE DELLA II COMMISSIONE PERMANENTE

(GIUSTIZIA)

 

n. 1447, d'iniziativa dei deputati

 

MARIO PEPE, SAPONARA, LICASTRO SCARDINO, OSVALDO NAPOLI, COLASIO, SARDELLI, LAZZARI, BRUSCO, TARANTINO, RIZZI, ANNA MARIA LEONE, LORUSSO, LAMORTE, RICCIUTI, SANTORI, ORICCHIO

 

Modifiche agli articoli 630 e 633 del codice di procedura

penale in materia di revisione dei processi penali a seguito

di sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo

 

Presentata il 31 luglio 2001

 

n. 1992, d'iniziativa del deputato COLA

 

Modifica agli articoli 630 e 633 del codice di procedura

penale in materia di revisione delle sentenze di condanna e

dei decreti penali di condanna

 

Presentata il 20 novembre 2001

 

(Relatore: GIRONDA VERALDI)

 


NOTA: La II Commissione permanente (Giustizia), il 21 marzo 2002, ha deliberato di riferire favorevolmente sul testo unificato delle proposte di legge nn. 1447 e 1992. In pari data la Commissione ha chiesto di essere autorizzata a riferire oralmente. Per il testo delle proposte di legge nn. 1447 e 1992 si vedano i relativi stampati.


 

Testo

unificato della Commissione

 

Modifiche al codice di procedura penale in materia di revisione dei processi penali a seguito di sentenze della  Corte europea dei diritti dell'uomo

 

 

 


Art. 1.

(Modifiche al codice di procedura penale).

 

1. Dopo l'articolo 630 del codice di procedura penale è inserito il seguente:

"Art. 630-bis. - (Revisione a seguito di sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo) - 1. Fuori dalle ipotesi previste dall'articolo 630, la revisione delle sentenze e dei decreti penali di condanna può essere richiesta se è accertato con sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo che nel corso del giudizio sono state violate le disposizioni di cui all'articolo 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, resa esecutiva ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848".

 

2. All'articolo 631 del codice di procedura penale sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al comma 1, dopo le parole: "la revisione" sono inserite le seguenti: "nelle ipotesi previste dagli articoli 629 e 630";

b) dopo il comma 1, è aggiunto il seguente:

1-bis. La richiesta di revisione ai sensi dell'articolo 630-bis è inammissibile se la violazione delle disposizioni ivi richiamate non ha avuto incidenza rilevante sulla decisione e se non permangono gli effetti negativi della esecuzione della sentenza o del decreto penale di condanna".

3. All'articolo 633, comma 2, del codice di procedura penale, dopo le parole: "dall'articolo 630 comma 1 lettere a) e b)" sono inserite le seguenti: "e dall'articolo 630-bis".

4. All'articolo 634 del codice di procedura penale sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al comma 1, dopo le parole: "dagli articoli 631," sono inserite le seguenti: "comma 1,";

b) dopo il comma 2, è aggiunto il seguente:

"2-bis. La corte d'appello, in camera di consiglio, osservando le norme di cui all'articolo 127, dichiara, con ordinanza, l'inammissibilità della richiesta, se questa è stata proposta nelle ipotesi di cui all'articolo 631, comma 1-bis".

 

Art. 2.

(Norma transitoria).

1. La richiesta di revisione può essere proposta entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge anche nel caso in cui la sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo o la decisione del Comitato dei ministri sia stata pronunciata prima di tale data.



 

PARERE DELLA I COMMISSIONE PERMANENTE

(Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni)

 

 

 


esaminato il testo unificato delle proposte di legge C. 1447 e C. 1992;

 

rilevato che esso incide sulla materia riservata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione

 

esprime

PARERE FAVOREVOLE


 


Esame in Assemblea

 


 

RESOCONTO STENOGRAFICO

 


______________   ______________


 

303.

 

Seduta di lunedì 5 maggio 2003

 

presidenza del vicepresidente MARIO CLEMENTE MASTELLA

indi  DEL VICEPRESIDENTE PUBLIO FIORI

(omissis)


Discussione del testo unificato delle proposte di legge: Mario Pepe ed altri e Cola: Modifiche al codice di procedura penale in materia di revisione dei processi penali a seguito di sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo (1447-1992) (ore 16,03).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del testo unificato delle  proposte di legge di iniziativa dei deputati Mario Pepe ed altri e Cola: Modifiche al codice di procedura penale in materia di revisione dei processi penali a seguito di sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo.

La ripartizione dei tempi di esame del provvedimento è pubblicata nel vigente calendario dei lavori (vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali - A.C. 1447)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Avverto che il presidente del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare ai sensi dell'articolo 83, comma 2 del regolamento.

Avverto che la II Commissione (Giustizia) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Il relatore, onorevole Gironda Veraldi, ha facoltà di svolgere la relazione.

AURELIO GIRONDA VERALDI, Relatore. Signor Presidente, onorevoli colleghi, mi accingo a svolgere questa relazione preferendo leggere, perché, pur abituato a parlare, credo sia più opportuno procedere in tal modo per essere puntuale nei riferimenti.

Il testo unificato delle proposte di legge nn. 1447 e 1992 che ci accingiamo a discutere, e che, senza eccessivo ottimismo, ritengo, o quanto meno spero, venga approvato con largo consenso, non può e non deve lasciare indifferente il Parlamento.

L'approccio al testo è agevole nel senso che, oltre ad essere composto di un solo articolo con più commi e di una norma transitoria, propone un tema di estrema attualità che ha già interessato la legislazione di altri paesi: quello relativo all'incidenza che devono avere le sentenze pronunciate dalla Corte europea in sede di applicazione dell'articolo 41 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. Convenzione questa che è stata recepita nel nostro ordinamento con la legge 4 agosto 1955, n. 848.

Come è noto, l'articolo 6 della suddetta legge sancisce il diritto di ogni persona ad un processo equo per cui esige innanzi tutto che «la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente ed imparziale, costituito per legge». (Ho ripreso letteralmente ciò che stabilisce la Convenzione europea).

Afferma inoltre la norma, ampliando il principio di non colpevolezza di cui all'articolo 27 della nostra Costituzione, la presunzione di innocenza ed enuncia, alle lettere a), b), c), d) ed e), quali diritti debbano essere riconosciuti alla persona ai fini del conseguimento di un giusto processo.

L'articolo 41 sanziona la violazione della Convenzione o dei suoi protocolli nei termini indicati dalla norma. Sanzioni queste ultime che non sono state risparmiate allo Stato italiano che, finalmente, e solo con la legge 24 marzo 2001, n. 89, ha previsto un diritto all'equa riparazione a favore di chi abbia lamentato e provato il mancato rispetto del termine ragionevole di cui all'articolo 6 della Convenzione. Mi riferisco alla cosiddetta legge Pinto, già nota e purtroppo già superata dall'inflazione dei ricorsi che l'ha caratterizzata fino a questo momento.

Questa legge però non ha preso in considerazione le altre violazioni, che non sono poche e, soprattutto, non irrilevanti. Da qui l'esigenza, avvertita da tutte le forze politiche, di approntare un rimedio doveroso ed efficace, sotto il profilo sostanziale, a favore della persona - mi riferisco alla dizione adoperata dalla Convenzione europea - che, una volta adita la Corte europea ed ottenuta la declaratoria di violazione dell'articolo 6, con conseguente sanzione a carico dello Stato inadempiente, sarebbe rimasta priva di tutela. Esigenza questa già avvertita da altri paesi della comunità che, legislativamente in alcuni casi e con costante indirizzo giurisprudenziale in altri, hanno affermato il principio secondo cui alla sentenza di  condanna emessa dalla Corte europea può seguire la revisione della sentenza pronunciata in violazione di uno o più diritti sanciti dall'articolo 6 della Convenzione.

La proposta di legge in esame riprende quella avanzata nella precedente legislatura, nel lontano 1998, e che non fu portata ad integrale attuazione essendo prevalsa all'epoca l'esigenza di occuparsi subito, con la legge 23 novembre 1998, n. 405, di un unico profilo, cioè quello relativo all'individuazione del giudice competente a decidere sull'istanza di revisione. Profilo urgente e, peraltro, condivisibile, anche se asservito ad un caso particolare. Mi riferisco al processo Sofri, allorquando fu necessario scindere dal nucleo essenziale della legge questo profilo per dare a Sofri, che lo richiedeva, il giusto riconoscimento di un giudizio di revisione presso il giudice competente che lo aveva già giudicato.

Analogo disegno di legge è stato presentato al Senato il 18 luglio 2001 dai senatori Compagna, Sodano, Cirami, Castagnetti, Callegaro, Calderoli - li cito tutti per sottolineare che essi appartengono a diverse forze politiche - Giuliano, Moncada, Iannuzzi, Bobbio, Alberti, Greco, Dell'Utri, Contestabile e Consolo.

Si tratta dunque, come ho già detto in Commissione, di riprendere il lavoro già svolto in sede parlamentare nella scorsa legislatura e di garantire un'effettiva ed efficace applicazione della citata Convenzione europea sui diritti dell'uomo, prevedendo la possibilità di revisione del processo a seguito della sentenza della Corte europea.

La questione è stata peraltro affrontata recentemente dalla Corte europea con la sentenza «Scozzari e Giunta contro Italia» del 13 luglio 2000, che ha stabilito per la prima volta, in modo esplicito ed incisivo, che l'equa soddisfazione costituisce solo una delle conseguenze riparatorie. Ha aggiunto «che lo Stato deve adottare, sotto il controllo del Comitato dei ministri, le misure generali e/o, se del caso, individuali, destinate a porre termine alla violazione constatata ed a rimuoverne, per quanto possibile, le conseguenze». In sostanza, la Corte ha espresso il principio secondo il quale non bastano poche migliaia di lire, per risolvere la situazione di colui il quale sia stato dichiarato colpevole con sentenza di condanna dello Stato, da parte della Corte europea.

Chiariti dunque la ragione, l'intendimento e la finalità della legge, ritengo che il testo dia, in tal senso, adeguata risposta. La Commissione ha ritenuto di proporre un testo unificato che si prefigge di assicurare alla persona destinataria della sentenza della Corte europea la possibilità di presentare istanza di revisione, utilizzando a tal fine la sentenza stessa. Anche se è stato previsto il ricorso all'istituto della revisione di cui all'articolo 630, non si è potuto, per ovvie ragioni, mutuarlo integralmente. Ed infatti, si è previsto non essere sufficiente l'aver conseguito una sentenza della Corte europea che abbia sancito la violazione dell'articolo 6 per essere ammessa la revisione. Occorre, invece, che vi siano due condizioni essenziali a tal fine.

Innanzitutto, il giudice della revisione deve stabilire - e questo è importante, ai fini dei pericoli di inflazione che erano stati giustamente prospettati - se, in concreto e in che misura, la violazione dell'articolo 6 sancita dalla sentenza della Corte europea abbia avuto incidenza rilevante nel giudizio definito con la sentenza o il decreto di cui si chiede la revisione. In sostanza, non tutte le violazioni di determinate norme possono avere influito nella sentenza di cui poi si chiede la revisione. In secondo luogo, l'ammissibilità è legata all'attualità dell'esecuzione della condanna, essendo evidente che non può chiedere la revisione nei termini previsti dalla norma transitoria chi, condannato, abbia già scontato la pena.

Con il comma 2-bis dell'articolo 634 si è inteso evitare un appesantimento del lavoro della Corte d'appello in sede dibattimentale, prevedendo all'uopo una delibazione del caso in via preliminare e in camera di consiglio, assicurando però la garanzia del contraddittorio. Sarebbe, infatti,  inutile un giudizio di revisione nel merito, se già l'istanza ha i presupposti dell'inammissibilità.

Sulla norma transitoria vi è stata ampia discussione in Commissione, essendo sorto il problema della proponibilità dell'istanza di revisione da parte di chi abbia conseguito la sentenza della Corte europea ancora prima dell'entrata in vigore della legge attuale. La tesi secondo cui la proponibilità dovrebbe essere limitata al momento successivo all'entrata in vigore della legge, onde evitare l'inflazione delle istanze di revisione, non è stata condivisa dalla Commissione per due ordini di considerazioni. La prima: anche se dovessero essere molte - ed è probabile - le sentenze pronunciate con violazione delle norme di cui all'articolo 6, sono poche quelle già sottoposte alla Corte europea nel termine di sei mesi previsto dall'articolo 35 della Convenzione e, come tali, suscettibili di richiesta di revisione. La seconda: non è apparso giusto privare dell'esercizio del diritto alla revisione chi, pur avendo conseguito una sentenza della Corte europea, resterebbe senza tutela soltanto perché all'epoca della pronuncia non vi era una legge che avesse sancito un rimedio processuale all'eventuale ingiustizia subita. Ciò nonostante si è ritenuto opportunamente di limitare a centottanta giorni il termine utile alla proposizione dell'istanza.

Si è, altresì, osservato che la norma transitoria consentirebbe anche a coloro che abbiano processi in corso di avvalersi della norma se, conclusosi questo con una sentenza di condanna, l'interessato, adita la Corte europea, dovesse ottenere il riconoscimento della violazione dell'articolo 6. Ed è così. In sostanza, può avvenire che per un processo attualmente in corso, non definito, taluno, dopo essere stato condannato, dopo avere esperito tutti i rimedi previsti dall'ordinamento, se condannato, si rivolga alla Corte europea per dichiarare di essere stato condannato con la violazione delle norme di cui all'articolo 6. Noi abbiamo risposto in questo senso. Il problema non si sarebbe posto se non vi fosse la ragionevole preoccupazione che tale norma possa essere utilizzata anche da «condannati» in processi di criminalità organizzata (leggi l'articolo 416-bis del codice penale), la cui ragionevole durata (una delle condizioni per rivolgersi alla Corte europea) dipende dalla natura e dalla complessità dello stesso, tanto da potersi dire che un processo di tal fatta non può essere esaurito in un tempo ragionevole. In sostanza, ci siamo posti il quesito della costituzionalità o meno della norma. Le norme della Convenzione europea hanno come destinatari tutti i cittadini, anzi si fa riferimento alle persone, alla persona; nella Convenzione si parla, non di presunzione di non colpevolezza, ma (si va oltre) di presunzione di innocenza. Ci siamo posti il seguente quesito: fino a che punto possiamo privare una persona che si presume innocente dell'esercizio di questo diritto? È così. Da vecchio avvocato, ma da nuovo legislatore, sto cominciando a considerare che spesso i profili politici prevalgono su quelli tecnici.

Ecco la ragione per la quale ho dichiarato, nella mia relazione, nel doveroso rispetto della volontà parlamentare, che, a mio avviso, l'inconveniente potrebbe essere rimosso con un emendamento che preveda la non applicabilità della norma nei processi in corso e, se definiti, ancora suscettibili di ricorso alla Corte europea, quando gli stessi abbiano avuto ad oggetto reati che, per la loro natura, impongono una disciplina diversa.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

COSIMO VENTUCCI, Sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento. Signor Presidente, mi riservo di intervenire in sede di replica.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Mario Pepe. Ne ha facoltà.

MARIO PEPE. Signor Presidente, il provvedimento che oggi arriva all'esame dell'Assemblea dopo un aspro dibattito e molte polemiche in Commissione Giustizia  risponde ad un'esigenza strettamente collegata al rispetto dei valori della democrazia, dello Stato di diritto e dei diritti dell'uomo cui l'Italia si è solennemente impegnata mediante l'adesione al Consiglio d'Europa e la ratifica della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali.

Infatti, è divenuto ormai indispensabile ed urgente provvedere all'adeguamento del codice di procedura penale per assicurare la piena esecuzione, sul piano interno, delle sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo che accertano una violazione delle garanzie fondamentali dell'equo processo.

A questo scopo, sulla scorta delle sollecitazioni sempre più pressanti degli organi di Strasburgo e delle esperienze maturate in molti altri paesi membri del Consiglio d'Europa (ricordo la Francia, la Germania, il Regno Unito e la Spagna), si richiede che anche l'ordinamento italiano contempli la possibilità di ottenere la revisione del processo penale allorché la condanna definitiva sia stata pronunciata contravvenendo gravemente alle regole dell'equo processo stabilite dall'articolo 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali.

La protezione internazionale offerta dal sistema di Strasburgo sarebbe sostanzialmente svuotata di ogni utilità pratica se, come oggi accade, colui che ha ricevuto giustizia dinanzi alla Corte europea dei diritti dell'uomo non possa poi avvalersi di un idoneo strumento per rimediare, sul piano nazionale, al torto subito attraverso lo svolgimento di un nuovo giudizio.

A questo punto, per sgombrare il campo da tutte le polemiche, sollevate anche attraverso gli organi di stampa, vorrei precisare che tale adeguamento normativo non rischia affatto di compromettere la certezza del diritto e di aggravare ulteriormente il pesante carico di lavoro degli uffici giudiziari, atteso che sono state molto rare, in passato, e saranno ancora più rare in futuro, dopo gli interventi legislativi germinati dalla riforma dell'articolo 111 della Costituzione, ipotesi di violazioni delle garanzie processuali, accertate dalla Corte europea, tali da richiedere la revisione del processo interno nell'ambito del quale esse hanno avuto luogo. Basti pensare che, attualmente, sono soltanto due i casi in relazione ai quali ci viene chiesto da Strasburgo di procedere alla revisione del processo penale quale strumento per rimediare alla violazione accertata. Si tratta, appunto, di casi nei quali le carenze della disciplina processuale in materia di formazione e valutazione della prova anteriore alla riforma costituzionale del 1999 ed alle sue successive attuazioni sul piano legislativo si sono manifestate in maniera eclatante.

A tale ultimo riguardo, si deve osservare, peraltro, che l'approvazione della proposta di legge in esame non sarà neppure astrattamente in grado di rimettere in discussione quei processi che, sia pure svoltisi nella vigenza della disciplina interiore, si siano già conclusi con sentenza passata in giudicato da più di sei mesi che non sia stata oggetto di ricorso davanti alla Corte europea dei diritti dell'uomo. Ciò avviene in quanto, com'è noto, l'articolo 35, comma 1, della Convenzione - sul quale la legge statale non incide (né potrebbe incidere) minimamente - stabilisce, a pena di inammissibilità, un termine di sei mesi dalla decisione interna definitiva per la proposizione del ricorso in sede sovranazionale, con la conseguenza che tutti coloro i quali non abbiano tempestivamente introdotto tale ricorso non potranno mai ottenere una sentenza favorevole da parte della Corte di Strasburgo e, dunque, neppure avvalersi del nuovo rimedio impugnatorio previsto dal diritto interno.

La revisione continuerà a rivestire la sua particolare natura di mezzo straordinario di impugnazione, essendo destinata ad operare solamente nella misura in cui non esistano, nei casi di specie, altri mezzi attraverso cui realizzare l'obiettivo, imposto dal diritto internazionale, della restitutio in integrum.

Nei primi mesi della corrente legislatura, sono state presentate, a breve distanza,  due proposte di legge - la n. 1447 del 31 luglio 2001, di iniziativa del sottoscritto, e la n. 1992 del 20 novembre 2001, di iniziativa dell'onorevole Cola - con le quali si intende assicurare la piena esecuzione delle sentenze rese dalla Corte europea dei diritti dell'uomo in materia di violazione delle garanzie dell'equo processo previste dall'articolo 6 della Convenzione. Esse si ricollegano ad analoghe iniziative intraprese al Senato, come ricordava il relatore, onorevole Gironda Veraldi, nel corso della XIII legislatura (precisamente il 24 marzo 1998): si tratta degli articoli 2 e 3 della proposta di legge n. 3168, stralciati dalla II Commissione permanente del Senato in sede deliberante e ripresentati nella seduta del 22 settembre 1998 con la proposta n. 3168-bis, mai approvata.

Le proposte di legge in questione miravano, con formulazioni normative parzialmente difformi, ad ampliare le ipotesi di revisione delle sentenze e dei decreti penali di condanna previste dall'attuale articolo 630 del codice di procedura penale, così da consentire l'operatività dell'impugnazione straordinaria quale strumento per onorare l'obbligo giuridico internazionale a conformarsi alle sentenze della Corte europea prescritto dall'articolo 46, paragrafo 1, della Convenzione. Tali proposte sono state poi unificate in un nuovo testo elaborato dall'onorevole Gironda Veraldi, la cui stesura definitiva, dopo il parere favorevole reso dalla I Commissione (Affari costituzionali) ha ricevuto l'approvazione della II Commissione (Giustizia) il 21 marzo 2002.

Orbene, il testo legislativo oggi in esame riveste un'importanza cruciale nel quadro degli impegni assunti dall'Italia sul piano europeo quale misura irrinunciabile per rendere effettive a livello interno le pronunce della Corte di Strasburgo e per adeguare l'ordinamento giuridico italiano alle esigenze di protezione dei diritti fondamentali che esse mirano a garantire.

In effetti, senza la possibilità di rimettere in discussione il giudicato penale formatosi all'esito di un processo che la Corte europea abbia ritenuto gravemente lesivo di alcuni essenziali garanzie di equità, l'obiettivo di tutela effettiva dei diritti, sancita dalla Convenzione, sarebbe sostanzialmente vanificato, risolvendosi la censura internazionale in una mera condanna morale dello Stato priva di qualsiasi utilità per la vittima della violazione.

Peraltro, tale obiettivo risulta oggi ancora più denso di implicazioni, allorché ci accingiamo a costruire uno spazio giudiziario comune nell'ambito dell'Unione europea; la realizzazione della giustizia a livello comunitario deve andare di pari passo con la tutela effettiva dei diritti fondamentali. Il richiamo al rispetto degli impegni assunti sul piano europeo vale dunque tanto per gli strumenti attraverso cui si vuole migliorare la cooperazione giudiziaria, quale il mandato di cattura internazionale, quanto per quegli strumenti attraverso cui si intende assicurare la garanzie del giusto processo.

La possibilità di ottenere la revisione della condanna penale a seguito della sentenza della Corte europea rappresenta in tale contesto una valvola di salvaguardia contro possibili abusi di cui il nostro paese non può fare a meno al pari degli altri Stati membri dell'Unione che già la contemplano.

A questo proposito merita di essere richiamato all'attenzione il tenore della raccomandazione n. 2 adottata il 19 gennaio del 2000 dal Comitato dei ministri del consiglio d'Europa, con la quale gli Stati membri, che sono parte della Convenzione europea, vengono invitati ad introdurre nei rispettivi ordinamenti interni la possibilità, per la vittima di una violazione dei diritti da essa tutelati, di ottenere il riesame o la riapertura del caso in seguito alla sentenza della Corte di Strasburgo, allorché l'interessato continui a soffrire delle conseguenze negative molto gravi in seguito alla decisione nazionale, conseguenze che non possano essere ricompensate dalla equa soddisfazione e che non possano essere rimosse se non attraverso il riesame o la riapertura, allorché la violazione appaia di una gravità tale da gettare seri dubbi sul risultato della procedura interna oggetto della contestazione.

D'altronde, se si guarda al panorama legislativo europeo in materia, l'Italia risulta ormai tra i pochi paesi che non hanno ancora provveduto nella direzione indicata dalla menzionata raccomandazione; invero, per fare fronte ad esigenze di tutela imposte dalla Convenzione europea, ben 22 Stati, 11 dei quali sono anche membri dell'Unione, hanno riconosciuto in via giurisprudenziale o attraverso un apposito intervento legislativo la possibilità per la vittima di una violazione di ottenere la riapertura del processo interno a seguito della sentenza della Corte europea. Si tratta in particolare di Austria, Belgio, Bulgaria, Croazia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Norvegia, Polonia, Regno Unito, Russia, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia, Svizzera. Inoltre, altre due stati, Romania e Turchia (sì, la Turchia), sono prossimi a varare dei provvedimenti legislativi in materia.

Ma vi è di più: per alcuni casi già decisi negli anni passati dagli organi di tutela della Convenzione europea si rende attualmente indispensabile consentire la revisione dei relativi processi penali le cui modalità di svolgimento sono state considerate incompatibili con il rispetto delle garanzie dell'equo processo. Tanto richiede con sempre maggiore insistenza il Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa, organo istituzionalmente deputato a sorvegliare l'esecuzione delle sentenze della Corte di Strasburgo, il quale ha espressamente indicato nella riforma legislativa in itinere l'unico strumento idoneo per dare seguito sul piano interno alle decisioni del giudice europeo dei diritti umani. In particolare, con la risoluzione n. 30 del 19 febbraio del 2002 il Comitato dei ministri ha sottolineato come sino a questo momento l'assenza di strumenti per riaprire il processo censurato ha reso impossibile rettificare completamente le gravi e persistenti conseguenze della violazione riscontrata, prendendo nota con soddisfazione del lavori legislativi in corso al fine di assicurare la capacità dell'Italia di ottemperare alle decisioni prese nei casi menzionati.

Fino ad oggi, dunque, il nostro paese ha potuto guadagnare del tempo accampando la necessità di carattere oggettivo di procedere ad un adeguamento della propria legislazione interna per poter onorare i suoi impegni convenzionali. Ma la disponibilità del Comitato dei ministri non durerà ancora a lungo, e presto potremo trovarci dinanzi a prese di posizione molto più incisive e gravide di implicazioni negative per l'immagine internazionale del nostro paese.

Per questi motivi il Parlamento è oggi chiamato a rimediare ad un vuoto normativo di cui l'Italia non può andare fiera a livello internazionale.

Signor Presidente, siamo vicini alla vigilia del semestre di Presidenza italiana dell'Unione europea - inizierà il 1o luglio del 2003 - ed io mi auguro che il provvedimento al nostro esame, che sta concludendo un lungo e travagliato iter nel primo ramo del Parlamento, possa, entro tale data, diventare legge dello Stato.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fanfani. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE FANFANI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, credo che il problema posto dal provvedimento al nostro esame vada affrontato con rigore, con serenità e dando per scontato che i valori della democrazia e i diritti fondamentali dell'uomo sono dati acquisiti in relazione ai quali non è d'uopo né fare riferimenti apologetici né porre questioni.

Siamo di fronte ad un provvedimento che inserisce tra i casi di revisione, già previsti nel nostro ordinamento processuale dall'articolo 630, l'ipotesi in cui sia stato accertato, con sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, che nel corso del giudizio sono state violate le norme di cui all'articolo 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. Ricordo che tale Convenzione è stata approvata a Roma nel 1950 e ad essa è stata data attuazione già nel 1955 in una situazione processuale dell'ordinamento penalistico italiano che era totalmente diversa da quella attuale;  non solo era diversa da quella attuale in punto di formazione della prova quale disciplinata dall'articolo 111 della Costituzione e dalle leggi che ad esso hanno dato attuazione, ma era totalmente diversa dalla disciplina innovata a seguito dell'introduzione del nuovo codice di procedura penale nel 1989.

Questa Convenzione intervenne in una situazione processuale dominata da un sistema inquisitorio nel quale, molto spesso o troppo spesso, la formazione della prova avveniva fuori da ogni contraddittorio ed era demandata, il più delle volte, alla iniziativa della polizia giudiziaria, ed era, il più delle volte, difficile da confrontare in dibattimento, sede nella quale i testimoni, molto spesso, si limitavano a confermare quello che avevano già riferito. In questo quadro trovava ovvia e corretta collocazione il diritto al processo, che nella Convenzione non veniva definito giusto ma equo, il quale era esplicitato in tutta una serie di principi che andavano dalla ragionevole durata del processo, alla pubblicità dell'udienza, alla costituzione di un tribunale indipendente ed imparziale precostituito per legge - da non confondersi con il tribunale terzo, con il giudice soggetto terzo, a cui oggi, più volte, è fatto riferimento a seguito dell'introduzione all'articolo 111 - alla presunzione di innocenza, al diritto dell'imputato ad essere tempestivamente informato sulla natura e sul contenuto dell'accusa che veniva ad esso mossa, ed anche sulla necessità di concedere all'imputato un tempo ragionevole per preparare la difesa.

Il principio che oggi viene esaminato in questo progetto di legge, tuttavia, è il richiamo contenuto nell'articolo 6, numero 3, lettera d), della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, vale a dire il diritto dell'imputato ad esaminare o far esaminare i testimoni a carico ed ottenere la convocazione e l'esame dei testimoni a discarico nelle stesse condizioni dei testimoni a carico.

Si tratta del principio che oggi troviamo codificato nell'articolo 111 della Costituzione, il quale, oltre ad avere recepito - ovviamente, con molto ritardo - gran parte dei princìpi richiamati nell'articolo 6, accoglie anche questo particolare orientamento in quella definizione che genericamente viene chiamata principio del contraddittorio nella formazione della prova. Tale diritto è stato introdotto nel nostro ordinamento con le modifiche apportate all'assetto processuale dalla legge 1o marzo 2001, n. 63, attuativa dell'articolo 111 della Costituzione, in materia di formazione e valutazione della prova; con tale provvedimento è stata data attuazione soprattutto a quella parte del principio costituzionale nella quale si garantiva all'imputato sia la possibilità di esaminare direttamente tutti coloro che lo accusavano, sia il diritto di convocare le persone e di esaminarle nelle stesse condizioni dell'accusa, sia il principio del contraddittorio nella formazione della prova, ed infine si garantiva all'imputato di non poter essere condannato in base alle dichiarazioni rese da coloro che, per libera scelta, si erano sempre sottratti all'esame in contraddittorio: questi, grosso modo, erano i princìpi dettati dall'articolo 111 della Costituzione.

Oggi ci troviamo di fronte ad un provvedimento che sussume i princìpi dettati dall'articolo 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, resa esecutiva ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848, i quali, come è stato correttamente ricordato, trovano attualmente struttura normativa nel nostro codice di rito, a seguito dell'attuazione dell'articolo 111 della Costituzione; pur tuttavia, essi non trovavano un riferimento normativo nell'articolo 630 del codice di procedura penale, in materia di revisione, al punto da ipotizzare che tali princìpi, come è stato precedentemente ricordato, non fossero altro che princìpi di carattere generale, poiché, a seguito della violazione delle disposizioni in materia di garanzia circa il diritto dell'imputato ad avere un processo equo, non poteva desumersene la possibilità di ottenere la revisione di un processo.

In questo caso, tuttavia, occorre essere estremamente cauti e passare dalla comune condivisione dei princìpi - sulla  quale non ho alcuna censura da muovere, e sulla quale credo che tutti possiamo trovarci d'accordo, al punto da averli comunemente recepiti all'interno del nostro ordinamento - alla loro attuazione pratica in relazione ad una legge che lascia aperti ambiti di pericolosità. L'aspetto più delicato da affrontare è proprio quello previsto dall'articolo 6, numero 3, lettera d), in materia di formazione della prova, ovvero di principio di legalità nella formazione della prova.

Ciò perché il diritto processuale non è una materia statica, in relazione alla quale si possa stabilire oggi, con un'unica norma, tutto quanto è accaduto nel corso di un'evoluzione storica che ha visto, come ho ricordato all'inizio del mio intervento, diverse conformazioni della metodologia di formazione della prova.

Il diritto processuale è materia viva, in relazione alla quale proprio in questo particolare settore negli ultimi anni si è verificata tutta una serie di modifiche con le quali ci troviamo a doverci confrontare. Pertanto, da un lato, trovo limitativa la struttura della disposizione sostanziale, la quale limita i casi di inammissibilità a due sole ipotesi che, oltretutto, hanno struttura concorrente; dall'altro, trovo altresì limitativo il contenuto della norma transitoria che consente di proporre la richiesta di revisione entro il termine di centottanta giorni nei casi in cui la sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo sia stata pronunciata prima di tale data.

Colleghi, sostenere che la richiesta di revisione ai sensi dell'articolo 630 è inammissibile quando ricorrano contemporaneamente due condizioni - ossia che la violazione non abbia avuto incidenza rilevante sulla decisione (cioè sulla rilevanza della violazione dei principi, perché sulla decisione vi sarebbe da discutere all'infinito) e che non permangano gli effetti negativi dell'esecuzione della sentenza o del decreto penale di condanna, ossia che la pena non sia già stata complessivamente scontata - credo che introduca, da un lato, un principio di difficilissima interpretazione e che contenga, dall'altro, anche un principio di notevole disparità. Infatti, non vedo perché non possa essere richiesta la revisione di una sentenza per violazione di principi fondamentali stabiliti da una Carta sui diritti dell'uomo quando la pena sia stata integralmente scontata. Anzi, per equità di impostazione culturale, saremmo tutti portati a dire che, a maggior ragione, se una persona è stata ingiustamente condannata ed ha dovuto scontare anche la pena, ad essa dovrebbero aprirsi le porte di una revisione. Quest'ultima non gli restituirà sicuramente la libertà persa per un certo periodo della sua vita, ma gli potrà restituire quantomeno la dignità sotto il profilo della ingiustizia della condanna.

Il problema si pone in termini diversi in ordine alla formazione della prova. Ritengo che questa legge sia carente nella parte in cui non prevede che la richiesta di revisione, fondata sulla violazione dei principi in ordine alla legalità nella formazione della prova, non sia ammissibile quando la prova sia stata legittimamente formata in base alle leggi processuali all'epoca vigenti. Infatti, se non si tiene presente la limitazione che ho adesso suggerito, è estremamente difficile - anche se oggi, a seguito della modifica dell'articolo 111 della Costituzione, il problema diventa più circoscritto - ritenere che le sentenze fino ad oggi pronunciate in molti processi di mafia, nei quali si è fatto abbondante ricorso all'istituto dell'esame sotto copertura, all'esame di pentiti ovvero all'esame non in contraddittorio, non siano violatorie del principio che consente all'imputato di esaminare o fare esaminare i testimoni a carico ed ottenere la convocazione dei testimoni a discarico nelle stesse condizioni dei testimoni a carico. Ciò è estremamente difficile.

Pertanto, credo che, nel momento stesso in cui ci accingiamo a legiferare su questa delicatissima materia, ci si debba porre il problema - che è di carattere primario per la salvaguardia della legittimità delle decisioni adottate (vi parla un avvocato e non un magistrato) - di come coordinare il recepimento di questi principi e la legittima (a parere di chi vi parla) estensione delle possibilità di revisione  delle sentenze in base all'accertata violazione di tali principi con la necessità di salvaguardare decisioni in relazione alle quali vi è stata una sentenza legittimamente pronunciata in base a principi processuali che in quel momento rendevano quelle prove, acquisite e valutate secondo i principi all'epoca vigenti, perfettamente valide ai fini della decisione.

Credo che questo provvedimento sia monco: da un lato, è positivo e correttamente valutabile in quest'aula, ma deve essere integrato con una norma che limiti la richiesta di revisione, che sia fondata sull'articolo 6, comma 3, lettera d), quando la prova sia stata legittimamente acquisita in base alla legge precedentemente vigente al momento della sua acquisizione.

Non è un fatto che si colloca al di fuori del nostro ordinamento, sia chiaro. Infatti, ricordo ai colleghi che già nella legge attuativa dell'articolo 111 della Costituzione, nell'articolo 26 della legge 1o marzo 2001, n. 63, esisteva una norma di questo tipo. L'ultimo comma dell'articolo 26 così recitava: «alle dichiarazioni acquisite al fascicolo per il dibattimento e già valutate ai fini della decisione» - si tratta di dichiarazioni rese fuori dall'ambito di disciplina dell'articolo 111 - «si applicano nel giudizio dinanzi alla Corte di Cassazione le disposizioni vigenti in materia di valutazione della prova al momento delle decisioni stesse». Quindi, tale principio aveva già trovato applicazione nel nostro ordinamento come, peraltro, varie deroghe ai principi costituzionali dettati nell'articolo 111 avevano trovato sede normativa nelle previsioni dell'articolo 512-bis, come novellato da questa norma, dell'articolo 513 che disegnava una serie di casi in cui malgrado l'assenza di contraddittorio la prova era da considerarsi legalmente acquisita, e in alcune deroghe al divieto di lettura di cui all'articolo 514.

Ecco perché ritengo che il provvedimento in esame, pur nella positività del giudizio, debba essere integrato con una norma transitoria che conservi validità alle prove legalmente acquisite secondo lo schema processuale del momento in cui esse furono legittimamente acquisite. Altrimenti, corriamo il rischio di aprire la porta ad una destabilizzazione del giudicato soprattutto in quei gravissimi processi di mafia in cui, per necessità, più volte la sistematica della prova prevista dall'articolo 111 è stata derogata.

Credo, quindi, sia necessario un approfondimento di tale materia nel senso indicato ed a tal fine mi dichiaro disponibile per una verifica certamente necessaria senza la quale non sarà consentito un giudizio positivo sul provvedimento in esame.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Carboni. Ne ha facoltà.

FRANCESCO CARBONI. Signor Presidente, il testo unificato oggi in esame ripropone le norme contenute negli articoli 2 e 3 del disegno di legge n. 3168 presentato al Senato nella XIII legislatura e stralciate dalla Commissione giustizia di quel ramo del Parlamento in sede di approvazione della legge di modifica degli articoli 633 e 634 del codice di procedura penale in tema di revisione dei processi.

Il provvedimento si componeva originariamente di due articoli diretti ad inserire una nuova norma di revisione nei processi definiti con sentenza passata in giudicato nell'ipotesi di violazione dell'articolo 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo accertata con sentenza della Corte europea. La nostra Commissione giustizia ha esaminato il progetto di legge proposto da deputati appartenenti a diversi gruppi di maggioranza e di opposizione e ha modificato profondamente il testo originario. Il relatore ha elaborato due proposte di testo unificato nel corso dell'esame in Commissione. La seconda proposta è stata fortemente emendata ad iniziativa dello stesso relatore e di altri deputati appartenenti a gruppi di maggioranza ed è stata licenziata dalla Commissione con il testo pervenuto dall'Assemblea.

Questo testo, a mio avviso, rischia di vulnerare - al riguardo utilizzo un concetto espresso in Commissione dal relatore, giungendo però ad opposte conclusioni  - il nostro sistema di revisione dei processi, poiché introduce non pochi, e al tempo stesso rilevantissimi, problemi in questa parte del codice di rito.

Veniamo dunque ai termini della questione, in parte già illustrati dal collega Fanfani. La Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 ed il Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a Parigi nel 1952, sono stati ratificati con la legge 4 agosto 1955, n. 848. Dopo l'entrata in vigore della legge di ratifica sono stati introdotti altri 11 Protocolli addizionali, alcuni dei quali hanno aggiunto altri diritti e libertà a quelli indicati nel testo originario della Convenzione e nel primo Protocollo aggiuntivo.

Un siffatto sistema, quindi, non può non indurre la Camera ad una profonda riflessione sugli effetti negativi che il provvedimento potrà produrre nel nostro sistema e quindi sull'opportunità di procedere all'approvazione del testo così come è stato presentato. Nel merito, la Convenzione assicura una serie di diritti e di libertà in campo civile e politico, sui quali assolutamente concordiamo; non vi è nessun dissenso in proposito. La Convenzione prevede, altresì, un sistema diretto a garantire l'osservanza, da parte degli Stati, delle norme e dei principi in essa contenuti. Tra le disposizioni della Convenzione assumono particolare importanza e significato - lo hanno ricordato il relatore e i colleghi che mi hanno preceduto - quelle contenute nell'articolo 6, che hanno motivato poi la presentazione delle proposte di legge, confluite nel testo unificato al nostro esame.

L'articolo 6 della Convenzione garantisce il diritto all'equo processo e per raggiungere questo obiettivo afferma il diritto di ogni persona ad ottenere l'esame della propria causa in modo equo ed in forma pubblica, entro un termine ragionevole, da un tribunale indipendente ed imparziale, precostituito per legge. Però, colleghi - lo ricordava il collega Fanfani ed io concordo -, questi principi sono stati introdotti, nel nostro ordinamento, dall'articolo 111 della Costituzione, attraverso le modifiche costituzionali apportate dalla legge 23 novembre 1999, n. 2, approvata nel corso della XIII legislatura. Il comma 2 dell'articolo 6 della Convenzione, inoltre, prevede la presunzione di innocenza, che è anch'essa uno dei capisaldi del nostro sistema penale. Il comma 3 dell'articolo 6, infine, enuncia le garanzie processuali per l'imputato, che devono essere prestate, fornite ed assicurate nel corso del processo: l'essere informato nel più breve tempo possibile in una lingua non incomprensibile ed in modo dettagliato; avere la possibilità di predisporre le proprie difese; avere la possibilità di difendersi personalmente o avere l'assistenza di un difensore e la garanzia, qualora non si abbiano i mezzi per retribuirlo, di poter essere assistiti gratuitamente da un difensore d'ufficio; esaminare, e fare esaminare, i testi di accusa e quelli a discarico; farsi assistere da un interprete. Sul problema delle deposizioni testimoniali, cioè sulla formazione della prova testimoniale, già si è soffermato il collega Fanfani.

Mentre il richiamo a tutti questi principi aveva un senso al momento della ratifica della Convenzione, oggi essi si trovano tutti contenuti nel nostro sistema penale e vengono normalmente riconosciuti. Quindi tutti i principi indicati dall'articolo 6 della Convenzione sono stati introdotti nel nostro sistema penale, vengono generalmente applicati e possono avere un notevole rilievo nella formazione delle decisioni, oltre che costituire elementi utili per la richiesta di revisione, ora disciplinata dagli articoli 630 e seguenti del codice di procedura penale.

Per questi motivi e per alcuni altri, che di seguito brevemente cercherò di illustrare, il provvedimento in esame, a mio avviso, nulla aggiunge al sistema delle garanzie nel processo penale, poiché i principi e i diritti contenuti nella Convenzione vi sono già enunciati e riconosciuti e perché la loro violazione può essere elevata e corretta con il ricorso a norme interne (come quelle sull'equa riparazione,  prima richiamate dal collega relatore), oltre che ovviamente con il ricorso alla Corte europea dei diritti dell'uomo.

Tuttavia, il provvedimento in esame vulnera il nostro sistema processuale per diverse ragioni. Innanzitutto, vi è il rischio - come evidenziato dalla collega Finocchiaro durante l'esame in Commissione - che la nuova ipotesi di revisione si risolva in un vero e proprio quarto grado di giudizio, con i rischi facilmente intuibili per alcuni processi e, in particolare, per quelli contro la criminalità organizzata. Infatti, si prevede la soggezione dell'ordinamento interno ad un deliberato della Commissione europea.

Inoltre, non può sfuggire che le norme richiamate nell'articolo 6 della Convenzione sono tutte contenute nell'articolo 111 della Costituzione. Quindi, a mio avviso, vi è anche un profilo non accettabile di soggezione della nostra norma costituzionale ai deliberati della Corte europea.

Certamente, la nostra normativa processuale deve ancora essere conformata al disposto dell'articolo 111 sul giusto processo e questa è una responsabilità del legislatore nazionale e, in particolare, del Governo e della maggioranza che lo sostiene.

Quindi, questa esigenza deve e può essere soddisfatta attraverso un progetto organico di riforme che, tuttavia, il Governo e la maggioranza non propongono, privilegiando il lavoro su singole partite con proposte legislative spesso condizionate dalle congiunture processuali che tutti noi conosciamo.

Ciò è tanto più vero se si considera che, con il mandato di arresto europeo e con la legge sulle rogatorie, la maggioranza parlamentare ha sostenuto una tesi diametralmente opposta, negando la prevalenza della fonte internazionale rispetto a quella ordinaria interna. Ora, invece, poiché forse si ravvisano particolari convenienze, si sottopone senza problemi la norma costituzionale ad una decisione della Corta europea assunta in applicazione della Convenzione e di numerosi protocolli addizionali successivamente emanati e, quindi, anche di altri che potranno eventualmente essere aggiunti in futuro.

Ancora, il provvedimento introduce, a mio avviso, forti profili di disuguaglianza in riferimento alla disposizione sulla revisione dei processi, contenuta nell'articolo 630 del vigente codice di procedura penale. Infatti, a fronte di condizioni e di situazioni tassative e tipiche, contenute nell'articolo 630 del codice di rito, l'articolo 630-bis, che il testo legislativo intende introdurre, contiene un rinvio generico ai principi dell'articolo 6 della Convenzione e fa dipendere l'ammissibilità della revisione dalla decisione della Corte europea o del Comitato dei ministri - seppur temperata dalla valutazione di ammissibilità demandata alla competenza della corte d'appello individuata ai sensi dell'articolo 11 del codice di procedura penale - che potrà essere negata solo se la violazione delle disposizioni non ha avuto rilevante incidenza sulla decisione. Quindi, riteniamo tale impianto estremamente generico con riferimento a quanto previsto nel codice in ordine alla revisione.

Da ultimo, sottolineo la negatività della norma transitoria, che costituisce una vera e propria costante di ogni provvedimento di questa maggioranza e che è stata sempre finalizzata a particolari situazioni processuali.

Infatti, l'articolo 2 del provvedimento consente di recuperare, nel termine di centottanta giorni dall'entrata in vigore della legge, le sentenze della Corte europea pronunziate prima di tale data. Non solo, ma il medesimo rilievo viene attribuito anche alle decisioni assunte dal Comitato dei ministri.

In sostanza, con la norma transitoria, si introduce quale motivo di revisione, retroattivamente e per un periodo di tempo illimitato antecedente alla novella dell'articolo 111 della Costituzione, l'incidenza di decisioni assunte dalla Corte di giustizia europea o dal Comitato dei ministri, ad esempio sulla ragionevole durata del processo, mettendo a rischio, proprio sotto questo profilo, un numero rilevante di processi contro la criminalità organizzata.

Allo stato, esprimo quindi il nostro dissenso e la nostra contrarietà sul provvedimento oggi in esame, in particolare sulle norme contenute nell'articolo 1, comma 2, lettera b) e nell'articolo 2, recante la disciplina transitoria.

L'articolo 1-bis, che si propone di aggiungere all'articolo 631 del codice di procedura penale, richiama il concetto dell'incidenza rilevante, che consentirebbe di introdurre un motivo di revisione assolutamente generico, mentre la norma transitoria - come ho già detto - può costituire uno strumento utile per scardinare un numero notevole di procedimenti contro la criminalità organizzata già definiti.

Presidente, abbiamo proposto alcuni emendamenti, sia soppressivi sia modificativi delle parti più critiche del testo, vale a dire di quelle che riteniamo fortemente non condivisibili. Chiederemo dunque l'approvazione di tali proposte emendative, in particolare di quelle che riguardano l'articolo 1, ultimo comma, e l'articolo 2 (disposizioni transitorie).

Riteniamo che con l'approvazione di quegli emendamenti, in qualche modo, si potrà ridurre il danno che la proposta di legge, per come è stata presentata all'attenzione dell'Assemblea, potrebbe produrre nel nostro ordinamento.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 1447)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, onorevole Gironda Veraldi.

AURELIO GIRONDA VERALDI, Relatore. Signor Presidente, rinuncio alla replica.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

COSIMO VENTUCCI, Sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento. Signor Presidente, il Governo ringrazia il relatore e gli intervenuti su un tema che, ovviamente, suscita chiavi di lettura diverse, pur su un fondamento di rispetto dei principi universali condivisibili. Si tratta di modifiche al codice di procedura penale inerenti alla libertà e ai diritti dell'uomo, che l'Assemblea saprà gestire in questa proposta di iniziativa parlamentare, a cui il Governo pone la dovuta attenzione, nel rispetto delle decisioni dell'Assemblea.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.


 

 


 

RESOCONTO STENOGRAFICO

 


______________   ______________


 

304.

 

Seduta di MARTEDì 6 maGGIO 2003

 

presidenza del vicepresidente PUBLIO FIORI

indi  DEL VICEPRESIDENTE  MARIO CLEMENTE MASTELLA

(omissis)


Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge: Mario Pepe ed altri e Cola: Modifiche al codice di procedura penale in materia di revisione dei processi penali a seguito di sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo (1447-1992) (ore 15,07).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge d'iniziativa dei deputati Mario Pepe ed altri e Cola: Modifiche al codice di procedura penale in materia di revisione dei processi penali a seguito di sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo.

Ricordo che nella seduta di ieri si è svolta la discussione sulle linee generali.

(Esame degli articoli - A.C. 1447)

PRESIDENTE. Passiamo all'esame degli articoli, nel testo unificato della Commissione.

Avverto che la I Commissione (Affari costituzionali) ha espresso il prescritto parere, che è distribuito in fotocopia (vedi l'allegato A - A.C. 1447 sezione 1).

Avverto che prima dell'inizio della seduta è stato ritirato l'emendamento Pecorella 2.1.

(Esame dell'articolo 1 - A.C. 1447)

PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo 1 e delle proposte emendative ad esso presentate (vedi l'allegato A - A.C. 1447 sezione 2).

Nessuno chiedendo di parlare, invito il relatore ad esprimere il parere della Commissione.

AURELIO GIRONDA VERALDI, Relatore. Signor Presidente, la Commissione esprime parere contrario sugli identici emendamenti Russo Spena 1.5 e Finocchiaro 1.6, invita al ritiro, altrimenti il parere è contrario, degli emendamenti Sinisi 1.1 e 1.2, esprime parere favorevole sull'emendamento 1.10 della Commissione ed invita al ritiro, altrimenti il parere è contrario, degli emendamenti Sinisi 1.3, Finocchiaro 1.9, Sinisi 1.4 e Finocchiaro 1.7.

PRESIDENTE. Il Governo?

GIUSEPPE VALENTINO, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, il Governo esprime parere conforme a quello del relatore.

Preavviso di votazioni elettroniche (ore 15,09).

PRESIDENTE. Poiché nel corso della seduta potranno aver luogo votazioni mediante procedimento elettronico, decorrono da questo momento i termini di preavviso di cinque e venti minuti previsti dall'articolo 49, comma 5, del regolamento.

Avverto che è stata chiesta la votazione nominale mediante procedimento elettronico. Pertanto, per consentire il decorso del termine regolamentare di preavviso, sospendo la seduta fino alle 15,30.

La seduta, sospesa alle 15,10, è ripresa alle 15,40.

Si riprende la discussione del disegno di legge n. 1447.

(Ripresa esame dell'articolo 1 - A.C. 1447)

GAETANO PECORELLA, Presidente della II Commissione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GAETANO PECORELLA, Presidente della II Commissione. Vorrei chiedere, signor Presidente, alla sua cortesia e a quella dei colleghi, alcuni minuti di sospensione, perché su un emendamento la Commissione ha qualche problema e non vorremmo iniziare l'esame degli emendamenti senza aver prima definito questo aspetto. Pertanto le chiederei, Presidente, se possibile, un'ulteriore breve sospensione della seduta, per 10 - 15 minuti al massimo.

PRESIDENTE. Non essendovi obiezioni, sospendo brevemente la seduta.

La seduta, sospesa alle 15,45, è ripresa alle 16,15.

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione degli identici emendamenti Russo Spena 1.5 e Finocchiaro 1.6.

Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Finocchiaro. Ne ha facoltà.

ANNA FINOCCHIARO. Signor Presidente, il mio emendamento avrebbe dovuto avere tutt'altro tenore in quanto, nel corso degli odierni lavori, la Commissione aveva approvato l'emendamento 2.6 che sterilizzava i rischi di un provvedimento che, come sappiamo, è stato assai contestato perché è apparso interessante per le proteste che, in questi mesi, i detenuti in regime di 41-bis hanno posto in essere anche pubblicamente contro il Ministero della giustizia e le istituzioni.

Erano queste le ragioni per le quali il testo originario approvato dalla Commissione non ci soddisfaceva e abbiamo gioito dell'introduzione dell'emendamento 2.6 da parte della Commissione, al punto che questo mio intervento sarebbe dovuto servire a ritirare ogni emendamento presentato al testo.

Eravamo particolarmente soddisfatti di aver raggiunto per una volta questo risultato su una questione così delicata che, ovviamente, coinvolge anche il processo di integrazione europea e quindi anche la responsabilità nei confronti degli altri paesi dell'Unione europea. Sennonché, proprio alla vigilia del dibattito di oggi pomeriggio, questo clima è stato interrotto, attraverso l'introduzione da parte della maggioranza di una nuova variante.

Stiamo ragionando sul fatto che il processo di revisione - come i colleghi sanno - viene innescato da una sentenza dalla Corte europea dei diritti dell'uomo che ha quale parametro, quale cifra del proprio decidere, l'articolo 6 della Convenzione sui diritti dell'uomo, recepito in gran parte nel nostro ordinamento con l'approvazione dell'articolo 111 della Costituzione.

È ovvio che tutti quei procedimenti - alcuni già definiti ed altri in corso - ai quali è possibile applicare norme - mi riferisco in particolare all'articolo 513 del codice di procedura penale - che in una  originaria stesura, successivamente modificata negli anni, non soddisfano i criteri suggeriti dall'articolo 6 - oggi stabiliti nel nostro ordinamento dall'articolo 111 della Costituzione - sarebbero stati soggetti a revisione e, quindi, ad annullamento.

Quali potessero essere i rischi complessivi per la tenuta, per la credibilità, per l'efficacia del nostro sistema processuale oltre che per la repressione di fenomeni particolarmente relativi a reati, certo di mafia, ma non solo, era una conseguenza che avevamo tutti troppo presente per non convincerci della bontà dell'emendamento 2.6 presentato dalla Commissione.

Sulla base di questo emendamento, per i procedimenti in corso o già definiti al momento dell'entrata in vigore della legge, la richiesta di revisione non poteva essere proposta se la prova fosse stata formata legittimamente secondo le disposizioni vigenti al momento del giudizio.

Il suggerimento attualmente formulato dai colleghi della maggioranza è quello di arginare l'ambito di applicazione di questa norma - introdotta all'unanimità dalla Commissione - e di limitarne l'effetto soltanto ai processi di mafia.

Non vorrei che, dietro questo intento, ci fosse - e lo dico con molta chiarezza - una resipiscenza che è molto legata alla necessità di salvare le sorti di altri processi che, non compresi tra i processi di mafia, vengono però ritenuti tali da poter essere sottoposti ad una compiuta opera di revisione.

Ed è per questo, signor Presidente, che il nostro atteggiamento, che era originariamente di grande disponibilità ed anche di favore rispetto ad un lavoro compiuto dalla Commissione - devo dire - sotto la regia del presidente Pecorella, ma con l'accoglimento di suggerimenti preziosi venuti dall'onorevole Fanfani e da altri colleghi della Commissione, è destinato - come dire - a scemare. Siamo costretti, quindi, a mantenere gli emendamenti che avevamo presentato e, sulla scorta di essi, a condurre un'opposizione al testo di questo provvedimento, che è ben altro rispetto a quello che la concordia tra le diverse forze politiche, la ragionevolezza delle argomentazioni portate, la felice soluzione ai dubbi e ai rischi da noi paventati avevano prodotto e che avrebbe consigliato, invece, di ritirare gli emendamenti.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Fanfani. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE FANFANI. Signor Presidente, iniziando l'esame di questo provvedimento, non posso esimermi dal dire che sono, da un lato, esterrefatto e, dall'altro, estremamente amareggiato. Questa mattina in Commissione e anche - devo dire - nel corso della discussione sulle linee generali tenutasi ieri, tutti i membri della Commissione avevano tenuto un atteggiamento corretto, serio e costruttivo, a cominciare dal presidente e dal relatore, consentendo che venisse migliorato questo provvedimento di legge, che tutti - e mi riferisco alla maggioranza - ritenevamo estremamente carente e tutti ritenevamo degno di una valutazione diversa rispetto a quella rappresentata dal testo che ci veniva proposto. E, innanzitutto, avevamo valutato con estremo pericolo quelle che sarebbero state le conseguenze che il testo avrebbe avuto sia sui procedimenti già definiti sia, soprattutto, sui grandi procedimenti in corso, in relazione ai quali gran parte delle prove potevano essere acquisite in maniera diversa dal dettato dell'articolo 6 della Convenzione, il quale, già dal 1955, istituiva tutta una serie di garanzie processuali in ordine alla formazione della prova che sarebbero state recepite nel nostro ordinamento esclusivamente nel 2001, a distanza di oltre 45 anni, con la legge di attuazione dell'articolo 111 della Costituzione. Ma, nel frattempo, ciò nonostante, erano state legittimamente strutturati e legittimamente attuati molteplici procedimenti penali, tra i quali gravissimi procedimenti di mafia, nei quali le prove erano state acquisite legittimamente secondo l'ordinamento interno italiano, nel rigoroso rispetto della normativa processuale all'epoca vigente che, tuttavia, in assenza dell'articolo 111 della Costituzione e in assenza della legge attuativa dell'articolo  111 della Costituzione, non trovava una corrispondenza, un'interfaccia seria con la normativa prevista dall'articolo 6.3, lettera d), della Convenzione.

Ecco perché si poneva il problema ed ecco perché tutti in Commissione - e dico tutti - avevamo ritenuto che la normativa dovesse essere integrata con quell'emendamento che era stato approvato all'unanimità in Commissione e che la Commissione aveva fatto proprio, il quale stabiliva che nei procedimenti in corso la richiesta di revisione non poteva essere proposta se la prova fosse stata legittimamente acquisita secondo le disposizioni vigenti al momento del giudizio.

Allora, fatta questa premessa e ricordato a tutti che la Commissione aveva all'unanimità approvato e fatto proprio questo emendamento, io mi domando se vi rendete conto oggi - e mi rivolgo a coloro che da posizioni di maggioranza hanno richiesto e imposto alla Commissione di modificare questo dettato - che spazio enorme aprite all'interno dei procedimenti in corso che sono stati legittimamente posti in essere in base alla legislazione italiana? Vi rendete conto che in questo modo voi autorizzate un'autorità straniera ad intervenire nel corpo di un procedimento e soprattutto all'interno di un sistema di acquisizione della prova, facendo in modo che le prove legittimamente acquisite vengano dichiarate non legittime, aprendo una strada enorme a un sistema di revisione in procedimenti che abbiamo faticosamente strutturato e, vi dirò di più, molto spesso pagato con il sangue di magistrati, con il sangue della polizia giudiziaria, con il sangue di coloro che molto spesso delle manifestazioni pubbliche taluni si permettono ...

PRESIDENTE. Onorevole Fanfani, la prego di concludere.

GIUSEPPE FANFANI. Signor Presidente, la ringrazio del richiamo che mi ha fatto sul tempo, ma la prego di lasciarmi un minuto e non parlerò dopo.

PRESIDENTE. Il tempo è il tempo.

GIUSEPPE FANFANI. Noi siamo di fronte a un provvedimento difficilissimo e pesantissimo. Pertanto, richiamo ancora una volta alla necessità di conservare il testo così come la Commissione lo ha approvato.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Pisapia. Ne ha facoltà.

GIULIANO PISAPIA. Signor Presidente, anche il gruppo di Rifondazione comunista era pronto e disponibile a ritirare l'emendamento soppressivo dell'articolo 1 proprio sulla base del punto di equilibrio che si era trovato nel Comitato dei nove e che teneva conto delle indicazioni e dei suggerimenti provenienti da vari gruppi parlamentari. Purtroppo, nell'ultima ora c'è stata un'indicazione da parte della maggioranza in senso diverso e questo ci impone di mantenere, con rammarico, l'emendamento soppressivo dell'articolo 1. Questo provvedimento riguarda un problema reale e importante in quanto, oltre ad essere delicato, incide profondamente sulla possibilità di proporre la revisione di quei processi che sono pervenuti a sentenza di condanna sulla base della violazione, io non direi in genere dell'articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, perché poi dirò il motivo per cui non tutta la convenzione deve essere valutata nel provvedimento, ma nei casi in cui non vi sia stato il contraddittorio delle parti nella formazione della prova: in altre parole, in tutti quei casi in cui, ad esempio, si è arrivati ad una sentenza di condanna sulla base di dichiarazioni di collaboratori di giustizia che poi in dibattimento si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. Questo era necessario e indispensabile.

Purtroppo, però, al di là della esperienza e della professionalità del relatore e dei componenti della Commissione, il testo è diventato abnorme e addirittura assurdo nel senso che, così com'è formulato e nel momento in cui si dice «no» agli emendamenti proposti dall'opposizione, si prevede che vi possa essere motivo di  revisione nell'ipotesi di sentenza di condanna della Corte europea dei diritti dell'uomo in numerosi casi: non solo quando è mancato il contraddittorio delle parti nella formazione della prova, ma anche quando non vi è stata udienza pubblica.

E voi sapete benissimo che in tutti i giudizi abbreviati l'udienza pubblica non vi è stata, e nel giudizio abbreviato è l'imputato che ha fatto questa scelta, o, ad esempio, quando - così afferma l'articolo 1 - vi è stato un decreto penale di condanna; decreto emesso dal giudice delle indagini preliminari senza contraddittorio, senza indagini, a cui l'imputato può opporsi - pur decidendo di non farlo - e che rappresenterebbe un motivo per chiedere la revisione dei processi.

Inoltre, l'articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo prevede che la sentenza deve essere resa pubblicamente. Loro sanno che in tutti i giudizi alternativi, richiesti e voluti dall'imputato, la sentenza non è mai resa pubblicamente e ciò comporta una violazione della Convenzione, ma su richiesta e su volontà dell'imputato, quindi non può rappresentare un motivo di revisione.

Aggiungo che il secondo comma dell'articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo afferma, giustamente, che vi deve essere la presunzione di innocenza: cosa che il nostro ordinamento garantisce. Successivamente, l'articolo 3 prevede che si viola dell'articolo 6 quando l'imputato non può difendersi da solo, e nel nostro ordinamento questo non è possibile per cui qualsiasi processo sarebbe, di fatto, passibile di censura e di condanna da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo.

Nell'articolo 6 è previsto anche che ogni imputato deve essere difeso gratuitamente da un difensore d'ufficio. Loro sanno perfettamente che il difensore d'ufficio rappresenta un diritto dell'imputato, ma oggi il nostro ordinamento non prevede che quest'ultimo possa essere difeso gratuitamente dal difensore d'ufficio.

Quindi l'articolo 1, così come è formulato, tende giustamente nella ratio e nella volontà dei proponenti - e anche nella ratio e nella volontà di chi vi parla - ad ottemperare alle indicazioni della Corte europea dei diritti dell'uomo.

Ricordo la raccomandazione del 19 gennaio 2000 del Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa, con la quale si invitavano gli Stati membri ad introdurre nei rispettivi ordinamenti interni la possibilità, per la vittima di una violazione dei diritti da essi tutelati di ottenere il riesame o la riapertura del caso in seguito alla sentenza della Corte di Strasburgo.

Faccio presente anche una recente decisione della Corte europea - mi riferisco alla sentenza che riguardava il caso Scozzari, del 13 luglio 2000 - la quale ha stabilito, in modo esplicito ed incisivo, che l'equa soddisfazione costituisce una delle conseguenze riparatorie, aggiungendo che lo Stato deve adottare - sotto il controllo del Comitato dei ministri - tutte le misure necessarie...

PRESIDENTE. Onorevole Pisapia...

GIULIANO PISAPIA. Signor Presidente, ho quasi terminato il mio intervento: faccio presente che sto parlando anche in riferimento ai successivi emendamenti.

PRESIDENTE. In questo caso, vada avanti.

GIULIANO PISAPIA. ...per porre fine alla violazione constatata.

Se la norma che oggi stiamo per approvare si fosse limitata a prevedere la possibilità di revisione in caso di violazione del principio del contraddittorio saremmo stati assolutamente convinti nel votare a favore.

Nel momento in cui si allarga lo spettro, ancora una volta, creiamo un qualcosa che sarebbe estremamente negativo per il nostro ordinamento.

Sotto questo profilo - ed in questo caso mi aggancio anche all'emendamento successivo - sono convinto che l'approvazione dell'emendamento Sinisi - su cui purtroppo è stato dato parere contrario dalla Commissione - risolverebbe tutti i problemi a cui ho accennato e si arriverebbe  veramente all'approvazione di un provvedimento garantista, in ottemperanza alle indicazioni della Corte europea dei diritti dell'uomo, soprattutto, in osservanza dei principi contenuti nella Convenzione europea dei diritti dell'uomo.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Cola. Ne ha facoltà.

SERGIO COLA. Signor Presidente, intervengo molto telegraficamente per interloquire e per esprimere, per la verità, un parere personale.

Attraverso la ratifica del trattato - il 4 agosto 1955 - abbiamo recepito la Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Tale Convenzione non è stata mai applicata, né è stata recepita nel nostro codice di rito.

Si sono perpetrate nel corso degli anni migliaia e migliaia di iniquità, di violazioni del principio del contraddittorio e dei diritti della difesa e si è arrivati nel 2001, attraverso la convergenza di tutte le posizioni politiche, a recepire questi principi addirittura nella Costituzione con la modifica dell'articolo 111. Pertanto, mi chiedo, se nell'ambito di un processo (dicendo ciò, intendo riferirmi all'emendamento 2.6 della Commissione di cui hanno parlato gli onorevoli Finocchiaro e Fanfani) una violazione dovesse essere considerata decisiva ai fini dell'affermazione della responsabilità o della condanna, quale sia il motivo per cui la persona, che, per avventura, si è vista violare i propri diritti e attribuire trent'anni di reclusione, l'ergastolo o dieci anni di reclusione, a seguito della violazione dei diritti e ha avuto l'accortezza di rivolgersi all'alta Corte di giustizia, ottenendo una sentenza di condanna dello Stato italiano per violazione dei suddetti diritti, relativamente ad una sentenza passata in giudicato, debba essere penalizzata (è stata così accorta e diligente e probabilmente è innocente proprio perché vi è stata questo tipo di violazione e gli si è impedito, per la soppressione del contraddittorio, di interloquire e di esaminare il suo accusatore), a maggior ragione - consentitemelo - se vi sono procedimenti in corso?

Mi rendo perfettamente conto che esistono determinate esigenze connesse a quella di non aggravare il carico giudiziario, ma è una giustificazione plausibile che corrisponde soprattutto allo spirito della Convenzione europea. È plausibile siffatta giustificazione per la quale tali prove nei procedimenti in corso siano state acquisite legittimamente per mettere nel dimenticatoio, per neutralizzare gli effetti della costituzionalizzazione dell'articolo 111. Arriveremmo al caso assurdo che, per evitare di gravare la giustizia, consacreremmo la condanna di una persona che, presumibilmente, è innocente proprio perché è stata condannata per la violazione dei diritti dell'uomo. La mia è una posizione personale nella quale - se mi consentite - prevale il rispetto della Convenzione dei diritti dell'uomo, dei principi costituzionali, la ratio che ci ha indotto a modificare l'articolo 111.

Se vogliamo essere seri e se non vogliamo arrivare a soluzioni pasticciate che sono politiche e che non corrispondono a principi di equità, ritengo che chi si è rivolto all'alta Corte di giustizia nei tempi prescritti (sono previsti sei mesi per farlo), anche con riferimento ai procedimenti in corso ove la Corte giustizia rinvenga la violazione dei diritti dell'uomo, che chi ha subito siffatto torto debba essere messo nella condizione di rivedere la propria posizione processuale e far trionfare la propria innocenza.

PRESIDENTE. Passiamo ai voti.

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sugli identici emendamenti Russo Spena 1.5 e Finocchiaro 1.6, non accettati dalla Commissione né dal Governo.

(Segue la votazione).

PIERO RUZZANTE. Presidente!

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione.

Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).

(Presenti 433

Votanti 423

Astenuti 10

Maggioranza 212

Hanno votato 200

Hanno votato no 223).

Passiamo alla votazione dell'emendamento Sinisi 1.2.

Chiedo al presentatore se acceda all'invito a ritirare l'emendamento formulato dal relatore.

GIANNICOLA SINISI. No, signor Presidente, e chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIANNICOLA SINISI. Signor Presidente, questo pomeriggio, in quest'aula un po' distratta si è tornati a discutere dei temi del processo penale e non soddisfatti delle tante lesioni dei principi costituzionali e della coerenza giuridica del nostro ordinamento fin qui perpetrate se ne vuole consumare una ancora più grave: si intende spezzare il principio del nostro ordinamento della irrevocabilità del giudicato, con argomentazioni del tutto pretestuose, totalmente prive di ogni fondamento giuridico e, dal punto di vista della logica, rabberciate attraverso un'argomentazione che sarebbe smentita dal più debole degli studenti di giurisprudenza.

Sommare garanzie di un sistema che non esiste più, volerle vedere oggi attuate, addirittura pretendendo una verifica attraverso una convenzione internazionale che necessitava di una legge di applicazione affinché la revisione potesse essere adottata nel nostro ordinamento: si tratta di una verifica di istituti incompatibili, così come il giudizio abbreviato, il decreto penale di condanna, che fa in modo che tutti questi processi possano essere censurati dalla Corte europea di giustizia e perciò stesso suscettibili di revisione. È un'offesa ingiustificata al nostro ordinamento che ancora una volta nasconde intenzioni maliziose che certamente mirano al cattivo funzionamento della giustizia perché la verità, signor Presidente, onorevoli colleghi, è che non si vuole che funzioni la giustizia di questo paese, in modo che si possa parlar male legittimamente dei magistrati nascondendo le nostre gravissime colpe di legislatori.

Questa è la realtà che noi abbiamo di fronte ed anche qui, introducendo una norma che non consentirà a nessun procedimento di reggere, noi faremo in modo che tutti i processi penali del nostro paese potranno essere sindacati e rivisti.

Signor Presidente, onorevoli colleghi, mi auguro che se la distrazione non sarà vinta, almeno vi saranno la prudenza ed il pudore di ricordare che la richiesta di questa legge è stata avanzata da Totò Riina, che è una richiesta del capo di Cosa nostra quella che si potesse accedere alla revisione dei procedimenti. Dobbiamo avere oggi la responsabilità di votare un provvedimento che è stato chiesto per Giovanni Brusca da Totò Riina! Questo infatti è chiesto al Parlamento italiano, di cui sino ad oggi mi sono onorato di far parte, ma da questo momento comincio ad avere molti dubbi (Commenti dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza nazionale). Non è questo l'esempio che dobbiamo dare agli italiani (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-l'Ulivo)!

PRESIDENTE. Passiamo ai voti.

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Sinisi 1.1, non accettato dalla Commissione né dal Governo.

(Segue la votazione).

PIERO RUZZANTE. Signor Presidente!

RENZO INNOCENTI. Signor Presidente, guardi là! È una vergogna!

PRESIDENTE. Ciascuno voti per sé! Invito i deputati segretari a controllare quanto avviene.

Dichiaro chiusa la votazione.

Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).

(Presenti 410

Votanti 405

Astenuti 5

Maggioranza 203

Hanno votato 188

Hanno votato no 217).

Passiamo all'emendamento Sinisi 1.2.

Chiedo all'onorevole Sinisi se acceda all'invito al ritiro.

GIANNICOLA SINISI. No, signor Presidente, insisto per la votazione e chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIANNICOLA SINISI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, anche in questo caso devo tentare di destare l'attenzione dei colleghi su un'argomentazione giuridica che reputo insuperabile. La revisione dei procedimenti oggi è concepita nel nostro ordinamento come una revisione delle questioni di fatto che hanno determinato la condanna dell'imputato. In buona sostanza, la revisione dei procedimenti è concepita come un rimedio estremo rispetto al caso in cui una prova, che non era stato possibile addurre in precedenza, venga raggiunta successivamente ed in base a questa nuova prova l'imputato dovesse essere assolto e ciò non è stato fatto per mancanza di questa.

Noi introduciamo un elemento assai singolare che è quello della revisione dei procedimenti per una violazione di una questione di diritto. Quindi anche una questione di diritto che potrebbe essere non determinante ai fini del processo, anche se e è previsto un recupero in una norma successiva, una questione che afferisce, come ricordavo, alla generalità delle regole del procedimento può portare alla revisione. Quello che si chiede con questo emendamento è che si ritorni alla ragione e che quanto meno si adduca che la revisione è possibile per una questione afferente alla prova soltanto quando questa è decisiva e quindi si escluda che vi sia la possibilità di revisione quando le questioni giuridiche non riguardano la prova, bensì altre regole processuali che sono inerenti la formazione e la valutazione di una prova decisiva.

Signor Presidente, questa è una richiesta di buon senso che vuole limitare gli effetti di questo obbrobrio giuridico, un autentico catorcio procedimentale che noi inseriremo come un ostacolo all'interno della macchina del processo, affinché nulla funzioni. Questa, lo ribadisco, è l'intenzione di chi oggi si accinge a legiferare positivamente.

Con questo strumento violiamo un principio invalicabile del nostro ordinamento che è quello della irrevocabilità del giudicato. Introduciamo l'elemento per cui anche le prove dichiarate utilizzabili nel procedimento potranno essere rese inutilizzabili dopo, perché le regole che non riguardano la prova potranno travolgerle. Un'autentica, ignobile argomentazione può cercare in qualche modo di salvare la faccia rispetto ad un provvedimento del quale si avvantaggeranno migliaia di mafiosi e migliaia di delinquenti abituali nel nostro paese (Commenti dei deputati del gruppo di Alleanza nazionale)! Non so, in questa campagna elettorale, con quale coraggio andrete nelle piazze a parlare dell'effettività della pena che sta sui vostri manifesti! La morale di un uomo, signor Presidente, sta nella coerenza tra ciò che pensa e ciò che dice! Nel momento in cui si dice qualcosa di diverso da quello che si pensa e, per di più, lo si dice agli elettori, questo è alto tradimento dell'opinione pubblica e tradimento del mandato elettorale (Commenti dei deputati del gruppo di Alleanza nazionale)! Grazie, Presidente (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-l'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Filippo Mancuso. Ne ha facoltà.

FILIPPO MANCUSO. Signor Presidente, signori deputati, convengo con l'onorevole  Sinisi che l'istituto della revisione è un istituto che determina un'infrazione del giudicato solitamente - attualmente - per motivi di fatto comunque rivalutabili in base allo ius facti. Però questo è un ostacolo relativo all'ammissibilità, anche concettuale e sistematica, di una revisione che poggi invece sullo ius novum, cioè una modifica legislativa, in questo caso, proveniente dall'ordinamento comunitario. Quindi, non una violazione del sistema attuale della revisione, ma un completamento di esso nell'ambito di questa più grande realtà giuridica continentale.

Ma c'è di più. Si può tornare anche alla valutazione di fatto e, quindi, confortare l'idea che non vi sia una deroga al principio che abbiamo detto, circa la rilevanza di fatto del procedimento di revisione, quando consideriamo che nel processo penale non vi sono, come nel processo civile, prove formalmente determinanti e definitive: non v'è il giuramento decisorio, non v'è il giuramento suppletorio, non v'è l'atto pubblico fidefacente. Nel processo penale sovrano è - e purtroppo troppo sovrano è - il libero convincimento del giudice, che riduce tutto, anche la norma processuale, ad uno strumento di accertamento del fatto. Quindi, anche in questo caso, lo scrupolo dell'osservanza dei lineamenti generali della revisione non viene per nulla turbato, se è vero che l'atteggiamento critico ricostruttivo della volontà del giudice avviene anche attraverso la riforma dei suoi poteri processuali. C'è un riposto motivo per ostacolare questa innovazione? Se le violazioni sono tali - quelle pregresse - da aver turbato la regolarità del procedimento - quale ora è da noi disegnato dal riformato articolo 111 - dobbiamo rimettere alla prudenza del giudice la valutazione di situazioni che, dal punto di vista della legalità sostanziale, rispondono, a mio avviso, ad una esigenza inderogabile.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Mantini. Ne ha facoltà.

PIERLUIGI MANTINI. Signor Presidente, intervengo a sostegno dell'emendamento Sinisi 1.2, anche per sottolineare che noi abbiamo avuto e mantenuto, forse fino a pochi minuti fa, un atteggiamento positivo nei confronti di questo provvedimento, con alcune cautele che sembravano essere ben rappresentate anche attraverso gli emendamenti oggetto del lavoro della Commissione.

In particolare, mi riferisco al fatto che non avremmo dato vita ad un quarto grado (o, ad avviso di qualcuno, ad un quinto, in conformità al modo in cui si vuole valutare l'attività del giudice per le indagini preliminari) di giudizio, ma a una misura concreta di riparazione, al di là delle condanne irrogate allo Stato, spesso in modo simbolico, in caso di violazione di diritti fondamentali.

Avevamo, dunque, un approccio positivo e concreto, considerando che la revisione è possibile solo se vi è la prova decisiva ai fini dell'innocenza.

PRESIDENTE. Onorevole Mantini...

PIERLUIGI MANTINI. Questo provvedimento ha assunto tutt'altro tono e contenuto, consentendo revisioni anche a processi gravissimi (mi riferisco a quelli di mafia e non solo), trasformandosi (Commenti dei deputati del gruppo di Alleanza nazionale)...

PRESIDENTE. La invito a concludere, onorevole Mantini.

PIERLUIGI MANTINI. ...in qualcosa di molto diverso - sto per concludere, Presidente -, ossia un ulteriore grado di giudizio, un modo per colpire, ancora una volta, l'efficienza del processo e per rinunciare all'effettività del diritto. Non è per questi obiettivi che ci battiamo in Parlamento.

PRESIDENTE. Passiamo ai voti.

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Sinisi 1.2, non accettato dalla Commissione né dal Governo.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.

Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).

(Presenti 432

Votanti 423

Astenuti 9

Maggioranza 212

Hanno votato 189

Hanno votato no 234).

Passiamo alla votazione dell'emendamento 1.10 della Commissione.

Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Kessler. Ne ha facoltà.

GIOVANNI KESSLER. Signor Presidente, intervengo per annunciare, a nome del mio gruppo, il voto favorevole sull'emendamento in esame formulato nel corso della riunione di questa mattina della Commissione e frutto di quel clima, che avevamo precedentemente descritto, di utile e costruttivo confronto che si è sviluppato ieri, in aula, in sede di discussione sulle linee generali ed oggi, propiziato anche dal presidente in Commissione.

Questo clima, purtroppo, è mutato bruscamente pochi minuti fa, in maniera sorprendente, quando la maggioranza ha annunciato l'intenzione di ritirare o di riformulare il secondo dei due emendamenti che unanimemente avevamo concordato nella riunione odierna della Commissione. Tuttavia, rimaniamo fermi sulle nostre posizioni condivise, in questo caso, da tutta la Commissione ed esprimeremo un voto favorevole su questa proposta che evita il pericolo, evocato precedentemente dagli interventi di alcuni colleghi, di creare un quarto grado di giudizio. In sostanza, con questo emendamento, anche nel caso di una sentenza che viene censurata dalla Corte europea, per potersi avere un giudizio di revisione nel nostro ordinamento, rimangono i limiti generali del giudizio di revisione previsti dall'articolo 631 del codice di procedura penale, vale a dire che la violazione rilevata dalla Corte europea, se accertata, deve essere tale da prosciogliere il condannato.

Deve esservi, quindi, non una qualsiasi formale o procedurale violazione della Convenzione, ma una violazione che porti in concreto alla assoluzione di una persona che era stata condannata in violazione dell'articolo 6 della Convenzione medesima. Concordiamo, ovviamente, con tale principio e crediamo che con questa disciplina, che unanimemente abbiamo concordato oggi in Commissione (essa già traspariva dai nostri emendamenti Sinisi 1.2 e Finocchiaro 1.9) si eviti il pericolo di una pletora di giudizi di revisione (del resto, del tutto inutili perché non conducono alla assoluzione di persone condannate ma alla statuizione di principi), e si affermi, invece, un giusto principio di favor libertatis nei confronti degli imputati. Per questo motivo annuncio il voto favorevole.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Fanfani. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE FANFANI. Signor Presidente, poiché condivido le considerazioni del collega Kessler, preannuncio anch'io il mio voto favorevole.

Questo è un emendamento che ha ricevuto unanime consenso all'interno della Commissione ed alla cui formulazione è stato apportato un grande contributo da parte dell'opposizione, per due motivi sostanziali: anzitutto, perché rende tutta la disciplina di questo provvedimento omogenea rispetto al dato normativo processualpenalistico del nostro ordinamento relativo all'istituto della revisione e, poi, perché comprime entro limiti certi la rivedibilità delle sentenze nella parte in cui consente al giudice, come in tutti gli altri casi di revisione, di valutare se gli elementi in base ai quali la revisione è richiesta siano tali da portare, se accertati, al proscioglimento del condannato secondo le varie formule previste dal codice.

È ovvio che questo emendamento, così com'è formulato, garantisce quella verifica da parte della magistratura di merito adita in sede di revisione che è garanzia, per i cittadini, di una valutazione sostanzialmente omogenea e, soprattutto, per la collettività, di una verifica corretta anche  in ordine all'incidenza diretta che la statuizione dei principi della Corte europea debba o non debba avere, all'interno del nostro ordinamento processuale, su una decisione sostanziale precedentemente pronunciata.

Per questi motivi, credo che l'emendamento sia correttamente strutturato e che come tale esso debba essere approvato.

PRESIDENTE. Passiamo ai voti.

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento 1.10 della Commissione, accettato dal Governo.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.

Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazioni).

(Presenti 440

Votanti 437

Astenuti 3

Maggioranza 219

Hanno votato 434

Hanno votato no 3).

Avverto che gli emendamenti Sinisi 1.3 e Finocchiaro 1.9 sono preclusi e che l'emendamento Sinisi 1.4 è assorbito.

Rivolgo il saluto dell'Assemblea agli studenti della scuola media di Castrignano del Capo, in provincia di Lecce, presenti in tribuna (Applausi).

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Finocchiaro 1.7, non accettato dalla Commissione né dal Governo.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.

Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).

(Presenti 429

Votanti 423

Astenuti 6

Maggioranza 212

Hanno votato 189

Hanno votato no 234).

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo 1, nel testo emendato.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.

Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazioni).

(Presenti 438

Votanti 420

Astenuti 18

Maggioranza 211

Hanno votato 373

Hanno votato no 47).

(Esame dell'articolo 2 - A.C. 1447)

PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo 2 e delle proposte emendative ad esso presentate (vedi l'allegato A - A.C. 1447 sezione 3).

Nessuno chiedendo di parlare, invito il relatore ad esprimere il parere della Commissione.

AURELIO GIRONDA VERALDI, Relatore. Signor Presidente, la Commissione invita al ritiro, altrimenti il parere è contrario, degli emendamenti Finocchiaro 2.3 e 2.4 e Sinisi 2.2.

Per quanto riguarda, poi, l'emendamento 2.6 della Commissione, la Commissione medesima ha presentato il subemendamento 0.2.6.1, così formulato: «All'emendamento 2.6 della Commissione, dopo le parole «della presente legge» inserire le seguenti: «aventi ad oggetto i reati di cui all'articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale». In sostanza, si propone di limitare l'applicabilità della norma così com'era stata concepita dalla Commissione.

PRESIDENTE. Il Governo?

GIUSEPPE VALENTINO, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Il Governo si rimette all'Assemblea, signor Presidente.

PRESIDENTE. Sta bene.

RENZO INNOCENTI. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RENZO INNOCENTI. Signor Presidente, intervengo per capire bene come sia stato formulato questo subemendamento (mi sembra che sia stato definito tale dal relatore). Per prima cosa vorrei sapere: è stato presentato dal relatore? È stato valutato dal Comitato dei nove? È una riformulazione dell'emendamento 2.6? Sappiamo che formalmente, per regolamento, le proposte emendative vengono presentate all'Assemblea e deve essere data possibilità ai colleghi, anche a quelli che non fanno parte del Comitato dei nove, di intervenire nel merito degli emendamenti, dei subemendamenti, delle riformulazioni e quant'altro.

Quindi, Presidente, vorrei che si facesse chiarezza sulla definizione di questo nuovo testo che noi abbiamo all'esame; poi, se sarà il caso, interverremo per capire cosa possiamo fare, anche per rispettare la possibilità di subemendare o ulteriormente riformulare il testo che ci è stato letto testé dal relatore.

PRESIDENTE. Chiedo al presidente della Commissione di spiegare quale sia stato l'esito della riunione del Comitato dei nove per meglio capire la procedura seguita.

GAETANO PECORELLA, Presidente della II Commissione. Signor Presidente, per quanto concerne l'articolo 2 il Comitato dei nove ha sostanzialmente riesaminato i pareri su tutti gli emendamenti. Si erano prospettate diverse possibili soluzioni, tra l'altro con la possibilità di modificare anche i pareri precedentemente raccolti. Alla fine, è prevalso, all'interno del Comitato dei nove, l'orientamento di mantenere il testo già approvato dalla Commissione in mattinata e di aggiungere all'emendamento una precisazione, attraverso una nuova proposta emendativa, per cui questa norma vale in relazione soltanto a determinati reati e non come norma generale.

Quindi, si tratta dell'approvazione di una norma generale da parte della Commissione; in sede di Comitato dei nove, che si è riunito pochi minuti fa, si è apportata una limitazione, in forma di subemendamento, dell'emendamento generale. Questo è quindi quanto è avvenuto. Per correttezza devo dire che naturalmente abbiamo riletto la norma nel suo complesso come emergeva dall'insieme dell'emendamento originario e dalla correzione proposta, però il senso tecnico è quello di mantenere l'emendamento con una correzione, con un subemendamento.

ANNA FINOCCHIARO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANNA FINOCCHIARO. Signor Presidente, intervengo per dire che la richiesta avanzata dall'onorevole Innocenti trova ragione anche nelle parole espresse poc'anzi dal presidente Pecorella. Il Comitato dei nove ha riesaminato interamente la partita, al punto che in un momento è sembrata prevalere la tesi secondo la quale era necessario rinunciare anche all'emendamento originario della Commissione 2.6 e tornare al testo originario del disegno di legge. Questo vuol dire che nel corso dei lavori del Comitato dei nove ciò che è stato sottoposto a profondissima revisione è stato l'atteggiamento complessivo rispetto ad una questione che non è secondaria, ma che attiene invece alla norma transitoria.

Mi spiego meglio. Il subemendamento presentato dalla Commissione non accoglie un dato di margine, ma, al contrario, ribalta complessivamente il senso dell'emendamento 2.6. Cerco di spiegarlo con una parola ai colleghi. Il senso del testo, così come risulterebbe approvato con il subemendamento presentato ora e letto dal relatore in aula, è che, al di là dei processi di mafia per i quali non può essere proposta richiesta di revisione se le prove sono state legittimamente assunte secondo la legge vigente nel momento in cui si celebrava il processo, per tutti gli  altri giudicati, a prescindere dal fatto che vi sia stata una prova legittimamente assunta secondo la legge vigente in quel momento o meno, quindi anche nel caso in cui la legge sia stata osservata, si può proporre revisione.

Per ricordare ai colleghi di cosa stiamo discutendo occorre ricordare a quest'Assemblea che, quando è entrato in vigore l'articolo 111 della Costituzione e teoricamente avremmo dovuto buttare a mare tutti processi celebrati nei cinquant'anni precedenti, l'accortezza e la responsabilità di maggioranza e di opposizione del tempo fecero in modo che gli effetti di quei processi venissero completamente salvati.

Le argomentazioni svolte dall'onorevole Sergio Cola sono uno specchietto per le allodole e sono argomenti buoni, lasciatemelo dire, per gli allocchi. Dico ciò perché noi, in realtà, stiamo dicendo che in questo paese non c'è più un giudicato che possa resistere! E riguardo a ciò, francamente, mi chiedo con quale senso di responsabilità, la maggioranza e l'opposizione, possano assumersi tale responsabilità in questo momento.

Sono queste le ragioni per cui chiediamo di poter avere un termine perché su questo testo, completamente nuovo, siamo messi nelle condizioni, noi e tutti i colleghi che non hanno partecipato al Comitato dei nove, di presentare una proposta emendativa.

GIUSEPPE FANFANI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE FANFANI. Signor Presidente, intervengo per insistere sulla richiesta di fissare un termine per presentare delle proposte emendative e anche riconfermare le posizioni che sono state poc'anzi espresse dalla collega Finocchiaro.

SERGIO COLA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SERGIO COLA. Signor Presidente, intervengo solo per chiarire un aspetto che ritengo non sia assolutamente secondario e che costituisce una risposta alle osservazioni svolte, certamente non da allocca, dalla collega Finocchiaro. In particolare, desidero ricordare che il secondo comma dell'articolo 1 del provvedimento in questione recita, fra l'altro, che: la richiesta di revisione ai sensi dell'articolo 630-bis è inammissibile se la violazione delle disposizioni ivi richiamate non ha avuto incidenza rilevante sulla decisione e se non permangono gli effetti negativi dell'esecuzione della sentenza o del decreto penale di condanna.

GIOVANNI KESSLER. L'abbiamo già modificato pochi minuti fa!

SERGIO COLA. Siamo perfettamente d'accordo, però la ratio di quella norma era relativa proprio alla sussistenza di questi determinati effetti. Pertanto, non vedo perché una persona - che sia stata condannata in violazione delle disposizioni della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, e soprattutto con una violazione che sia decisiva (lo si dice anche testualmente in questa proposta di legge) - non debba vedersi riconosciuto perlomeno il diritto di far proclamare la propria innocenza, che è stata disattesa sulla scorta di una violazione, ripeto, delle disposizioni della Convenzione citata.

LUCIANO VIOLANTE. Chiedo di parlare a titolo personale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIANO VIOLANTE. Signor Presidente, intervengo a titolo personale per sottolineare la questione politica che abbiamo davanti e per vedere se riusciamo a trovare un punto d'intesa. La questione è la seguente. La formulazione originaria della Commissione estende l'operatività di questo provvedimento a tutti quanti i processi, nel senso che stabilisce la regola secondo cui una prova acquisita legittimamente,  sulla base delle regole che vigevano quando la stessa è stata acquisita, resta valida anche se le regole successive sono cambiate. Questo è il principio. Ora, in realtà, i colleghi della maggioranza limitano l'operatività di questo principio soltanto ad alcuni reati.

Presidente, noi vorremmo capire bene quale sia l'ambito di operatività perché, come i colleghi sanno, l'articolo 51-bis è stato modificato, varie volte, anche indirettamente. E poiché, in questo momento, il collega Gironda Veraldi, ci comunica che è stato modificato il testo, noi abbiamo bisogno del tempo necessario per capire quale sia l'ambito di operatività dell'intervento operato dalla Commissione. Può darsi che la cosa ci trovi d'accordo e può anche darsi che la cosa non ci trovi d'accordo; tuttavia, abbiamo bisogno capire bene a quali reati si applichi. Questa è la questione.

Conseguentemente, Presidente, noi le chiederemmo, per cortesia, prescindendo ora dalla questione regolamentare, d'intesa, spero con i colleghi della Commissione, una breve sospensione in modo tale che si possa capire bene, ripeto, quale sia l'ambito di operatività del provvedimento che adesso i colleghi propongono. È un provvedimento che, in un primo momento, si estendeva a tutti, adesso non si estende più; pertanto, vogliamo capire bene a quali reati questo provvedimento si estenda e a quali no, soprattutto se teniamo presente, ad esempio, che la questione relativa ai reati di terrorismo, è abbastanza delicata.

PRESIDENTE. Io non entro nel merito della questione anche perché non tocca a me farlo. Tuttavia, è auspicabile che si trovi, su fatti di questo genere, come è accaduto prima, un'intesa la più generale possibile. In questo caso, mentre per quanto concerne la procedura dirò alcune cose dopo, per quanto riguarda, invece, la richiesta di una breve sospensione fatta dal presidente Violante chiedo al relatore, Gironda Veraldi, ed al presidente della Commissione se accedano a questa richiesta, tenuto conto che la Presidenza non avrebbe al riguardo nulla in contrario. Laddove si tratti di procedere in ordine ai lavori dell'Assemblea, mi limiterò a ricordare la prassi consolidata.

AURELIO GIRONDA VERALDI, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

AURELIO GIRONDA VERALDI, Relatore. Signor Presidente, per un atto di cortesia nei confronti del collega Violante e per un atto di cortesia ...(Commenti) per un atto di cortesia all'Assemblea devo fare semplicemente un'osservazione: il riferimento è chiaro ed inequivoco, ed è all'articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale, il cui testo è a disposizione...

GIOVANNI KESSLER. No, perché quello che c'è in aula è quello vecchio!

AURELIO GIRONDA VERALDI, Relatore. Facciamo riferimento non al testo vecchio o al testo nuovo, ma al testo vigente, e basta leggerlo per verificare a quali reati ci siamo...

PRESIDENTE. Mi scusi, onorevole relatore, non voglio entrare nel merito, ma intendo chiedere soltanto se da parte sua, come relatore - o, per l'amor di Dio, del presidente - ritenga opportuna una sospensione di cinque minuti. Io non concederei più di tanto: si tratta di un atto di correttezza, però non cambia le cose...

AURELIO GIRONDA VERALDI, Relatore. Io personalmente...

PRESIDENTE. Si tratta di un atto di correttezza, però non cambia le cose...

AURELIO GIRONDA VERALDI, Relatore. Personalmente...

PRESIDENTE. Se lei accede a questa richiesta, posso sospendere la seduta per soli cinque minuti, e non di più.

AURELIO GIRONDA VERALDI, Relatore. Signor Presidente, non sono contrario perché il tempo è galantuomo, e cinque minuti potrebbero essere...

PRESIDENTE Non essendovi obiezioni, sospendo brevemente la seduta.

La seduta, sospesa alle 17,10, è ripresa alle 17,20.

PRESIDENTE. Prego il presidente della II Commissione, onorevole Pecorella, di riferire sulle decisioni assunte.

GAETANO PECORELLA, Presidente della II Commissione. Signor Presidente, credo che dobbiamo ringraziare il presidente Violante, perché in effetti la Commissione, nelle continue variazioni che questo testo ha subìto, aveva omesso di fare riferimento - come era, invece, nelle intenzioni - anche ai reati di terrorismo. Avremmo voluto ricomprendere anche tali reati, ma mancando il riferimento al comma 3-quater, così non era.

MARCO BOATO. Non si sente!

GAETANO PECORELLA, Presidente della II Commissione. La Commissione, quindi, propone di riformulare il testo del subemendamento, semplicemente aggiungendo dopo le parole «all'articolo 51, comma 3-bis» le seguenti: «e 3-quater». Pertanto, questa è la formulazione definitiva della proposta emendativa.

PRESIDENTE. Chiedo al relatore ed al Governo di precisare il parere sull'emendamento Finocchiaro 2.5 che non risulta ritirato.

AURELIO GIRONDA VERALDI, Relatore. Signor Presidente, la Commissione invita a ritirare l'emendamento Finocchiaro 2.5, altrimenti il parere è contrario.

PRESIDENTE. Il Governo?

GIUSEPPE VALENTINO, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, il Governo si rimette all'Assemblea.

PRESIDENTE. Prendo atto che i presentatori non accedono all'invito a ritirare l'emendamento Finocchiaro 2.3 formulato dal relatore.

Passiamo ai voti.

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Finocchiaro 2.3, non accettato dalla Commissione né dal Governo.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.

Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).

(Presenti 397

Votanti 391

Astenuti 6

Maggioranza 196

Hanno votato 191

Hanno votato no 200).

Prendo atto che i presentatori non accedono all'invito a ritirare l'emendamento Finocchiaro 2.4 formulato dal relatore.

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Finocchiaro 2.4, non accettato dalla Commissione né dal Governo.

(Segue la votazione).

PIERO RUZZANTE. Presidente, guardi là (Commenti dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo)!

GIOVANNA MELANDRI. L'ultima fila, Presidente!

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, ognuno voti per sé!

Dichiaro chiusa la votazione.

Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni) (Proteste  dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e della Margherita, DL-l'Ulivo).

(Presenti 386

Votanti 360

Astenuti 26

Maggioranza 181

Hanno votato 180

Hanno votato no 180).

Prego i deputati segretari di compiere gli opportuni accertamenti (I deputati segretari compiono gli accertamenti disposti dal Presidente).

ROSY BINDI. Adesso, Presidente?

PRESIDENTE. Colleghi, per cortesia!

Mentre i deputati segretari continuano a svolgere l'opera di bonifica, ritirando le tessere dei deputati che non risultino presenti in aula, passiamo all'emendamento Sinisi 2.2.

GIANNICOLA SINISI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIANNICOLA SINISI. Signor Presidente, il mio emendamento 2.2 aveva un senso soltanto se fossero stati approvati quelli precedenti e, pertanto, lo ritiro.

PRESIDENTE. Sta bene.

Onorevole Buontempo, ha concluso?

Passiamo ai voti.

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento 2.7 della Commissione...

GIOVANNI KESSLER. È l'emendamento appena annunciato?

PRESIDENTE. È quello per il quale vi siete riuniti e, mi pare, abbiate raggiunto l'accordo.

Indìco la votazione...

RENZO INNOCENTI. La fai finita di votare per due!

PRESIDENTE. Onorevole Innocenti, mi dica chi é, così posso mandare l'onorevole Buontempo a verificare.

PIERO RUZZANTE. Primo settore, ultima fila!

MARCO BOATO. Cosa stiamo votando?

PRESIDENTE. L'emendamento 2.7 della Commissione.

MARCO BOATO. Ma dov'è il 2.7? Non esiste!

PRESIDENTE. È stato presentato da poco, quindi è in distribuzione (Commenti dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo, della Margherita, DL-l'Ulivo e Misto-Verdi-l'Ulivo).

CAROLINA LUSSANA. Presidente, Presidente!

PRESIDENTE. Calmatevi un poco!

Prego il relatore di leggere il testo dell'emendamento 2.7.

AURELIO GIRONDA VERALDI, Relatore. Si tratta di sopprimere la parola «anche» dal comma 1 dell'articolo 2. Dunque, la norma transitoria ora recita: «La richiesta di revisione può essere proposta entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge nel caso in cui la sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo o la decisione del comitato dei ministri sia stata pronunciata prima di tale data». Abbiamo tutti avvertito l'esigenza di eliminare la parola «anche» che non solo era pleonastica, ma determinava un'equivoca interpretazione. Raccomando pertanto l'approvazione dell'emendamento 2.7 della Commissione.

PRESIDENTE. Mi pare che ora sia chiaro.

Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Kessler. Ne ha facoltà.

GIOVANNI KESSLER. Vorrei ringraziare il relatore perché soltanto ora l'Assemblea  ha avuto l'esatta contezza del contenuto dell'emendamento che non era ancora stato distribuito.

Annuncio il voto favorevole a nome del mio gruppo sull'emendamento in esame che elimina un'ambiguità che avrebbe potuto essere grave.

PRESIDENTE. Resi i chiarimenti del caso, preso atto che il Governo esprime parere favorevole, possiamo passare ai voti.

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento 2.7 della Commissione, accettato dal Governo.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.

Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazioni).

(Presenti 415

Votanti 407

Astenuti 8

Maggioranza 204

Hanno votato 405

Hanno votato no 2).

Passiamo alla votazione del subemendamento 0.2.6.1 della Commissione, nel testo riformulato.

Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Buemi. Ne ha facoltà.

ENRICO BUEMI. Signor Presidente, innanzitutto inviterei ad una maggiore chiarezza circa le questioni che vengono votate perché dall'estrema periferia dell'aula è difficilissimo capire cosa si vota. Inoltre, vi è un certo stato confusionale della Commissione, quindi tutto è più difficile.

Per quanto riguarda il subemendamento in esame, esprimo il voto contrario dei Socialisti democratici italiani. Riteniamo non vi possano essere due percorsi rispetto ad una procedura che deve valere per tutti i cittadini che incappano nelle sanzioni della giustizia. Pertanto, escludere alcune fattispecie di reato dalla possibilità di revisione ci sembra un errore dal punto di vista costituzionale e confermo il nostro voto contrario.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto onorevole Kessler. Ne ha facoltà.

GIOVANNI KESSLER. Signor Presidente, anch'io annuncio il voto contrario del mio gruppo. Il subemendamento 0.2.6.1 della Commissione, che posso leggere solo in quest'istante, è la nuova formulazione, per così dire, dell'emendamento che questa mattina aveva trovato l'unanimità dei consensi in Commissione. Tale nuova versione, però, stravolge il senso dell'accordo che avevamo trovato questa mattina e, per di più, priva l'Assemblea della possibilità di votare sul testo che unanimemente avevamo trovato soddisfacente.

Il subemendamento in oggetto, al quale ci opponiamo, stabilisce che soltanto per alcune categorie di processi - e non per tutti - il ricorso alla revisione è limitato ai casi in cui vi sia stata una violazione delle norme processuali. Noi riteniamo invece che questo principio - e così ritenevano tutti i gruppi in Commissione questa mattina ed anche il presidente della Commissione giustizia fino a poche ore fa -, cioè questa limitazione della possibilità di esperire il giudizio di revisione, debba valere per tutti i processi; altrimenti non vi sarà più un giudicato che tenga ed anche processi che si sono svolti nello scrupoloso rispetto delle norme processuali vigenti in quel momento potranno essere riaperti, riscritti, rifatti, con una danno alla giustizia davvero incalcolabile. Non vale limitare l'esclusione solo ad alcune categorie di processi.

Dato che fino a poche ore fa tutti la pensavamo in modo diverso, forse la maggioranza ci dovrebbe spiegare perché in poche ore ha cambiato la sua opinione. Noi non l'abbiamo cambiata e rimaniamo convinti che esigenze di giustizia impongano di opporci a questo subemendamento.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Fanfani. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE FANFANI. Credo che questo subemendamento abbia un nome e un cognome; non voglio domandare quali siano il nome e il cognome, ma certamente ce l'ha. Onestamente mi sono stancato di assistere in quest'aula a provvedimenti legislativi che portano sempre una targa dietro le spalle, perché ciò non è corretto e tutti lo sappiamo qui! Difatti, fino a poco fa, all'interno della Commissione, questo subemendamento era stato approvato per tutti i procedimenti: ripeto, tutti! Poi, all'ultimo momento, si è cercato di limitarne la portata, perché serviva evidentemente a qualche procedimento che qui nessuno conosce, ovvero che non si può dire. E questo, ripeto, non è corretto, perché la legge ha per sua caratteristica il fatto di avere una destinazione universale e non è consentito strumentalizzare costantemente il lavoro di quest'Assemblea per interessi indicibili!

Ma vi dirò di più: la Commissione aveva strutturato questa proposta emendativa, sostenendo che la richiesta di revisione non potesse essere proposta se le prove erano state correttamente formulate in base alla legislazione vigente. Qui, invece, si dice che questo assunto è valido esclusivamente in funzione di una particolare categoria di reati. Ma, colleghi del Parlamento, ci rendiamo conto che la violazione posta alla base della revisione di queste sentenze è una violazione di principi fondamentali per l'uomo? L'avete letta, colleghi, la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali? Sapete di quali diritti si parla? Si parla dei diritti di libertà, del diritto alla vita, del divieto di tortura, del diritto alla libertà e alla sicurezza, del diritto a un processo equo (nel quale si inserisce questa norma), del diritto a non essere condannati senza legge, del diritto al rispetto della vita, della libertà di pensiero, della libertà di espressione, della libertà di riunione in associazione, del divieto di discriminazione, della deroga in caso di urgenza e del divieto di abuso di diritto. Questi sono i diritti con i quali ci dobbiamo confrontare e che sono posti alla base della normazione in base alla quale giudica la Corte europea dei diritti dell'uomo. E voi ritenete che questi diritti possano essere posti alla base di una discriminazione tra cittadini o tra reati? Il doppio binario è consentito in quanto si discuta della gravità dei fatti, ma non quando alla base della discriminazione vi sia la violazione di un diritto fondamentale, perché altrimenti dovrete sostenere che un drogato (perché i delitti di droga sono quelli previsti nell'articolo 51-ter) non ha gli stessi diritti di un corruttore. Ditemelo! Sostenete questa tesi!

SERGIO COLA. 74!

GIUSEPPE FANFANI. 74, va bene, lo spaccio! Allora dimmi un altro reato, uno qualsiasi. Mi devi dire perché questo principio non vale per i corruttori, ma vale ad esempio per un assassino. Perché? Perché è possibile il doppio binario quando si discute di diritti fondamentali della persona umana? Oppure questo è soltanto un pretesto per imporre al Parlamento, ancora una volta, la violazione di regole fondamentali di civiltà e processuali nell'interesse di pochi?

Non lo accetto e invito quest'Assemblea a fare lo stesso, se non altro per rispetto alla dignità che a quest'Assemblea è dovuta (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-l'Ulivo e dei Democratici di sinistra-l'Ulivo)!

PRESIDENTE. Colgo l'occasione per salutare la scuola media Ungaretti di Manfredonia oggi presente in tribuna (Applausi).

Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Sinisi. Ne ha facoltà.

GIANNICOLA SINISI. Signor Presidente, questa riformulazione avrebbe potuto acquietarmi rispetto alle ragioni che mi avevano determinato a sollevare le prime obiezioni. Tuttavia, vorrei che tutti  avessimo il senso dell'enormità che permane nell'approvare questa legge e questa proposta emendativa.

Il sistema concepito è tale per cui, oggi, un estorsore, un rapinatore, uno spacciatore di sostanze stupefacenti può chiedere legittimamente un giudizio abbreviato incassando la riduzione di pena e, alla fine, una volta intervenuto il giudizio definitivo in Cassazione, proporre impugnazione di fronte alla Corte europea di giustizia per mancanza del contraddittorio.

Questa è una legge aberrante, un autentico insulto oltre che all'intelligenza anche ai principi del nostro ordinamento. Mi auguro che di questo vostro interesse a favorire qualcuno, danneggiando l'interesse di tutti, ne rispondiate presto al Parlamento oltre che al paese (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-l'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Lussana. Ne ha facoltà.

CAROLINA LUSSANA. Signor Presidente, intervengo per esprimere la posizione del gruppo della Lega nord Padania su questo subemendamento.

Riteniamo che quello della norma transitoria sia il punto più controverso del provvedimento, quello che suscita le maggiori perplessità. Del resto, abbiamo notato anche la posizione del Governo che, con riferimento a tale aspetto, si è rimesso all'Assemblea.

Sinceramente ritengo che tale formulazione, che è poi quella relativa ai procedimenti in corso o comunque conclusi nei quali la prova si sarebbe legittimamente formata sulla base delle norme interne in vigore al momento della sua acquisizione - formulazione concordata questa mattina in Commissione -, fosse quella da preferire. Mentre la strada praticata, vale a dire quella dell'istituzione del doppio binario o, comunque, delle esclusioni oggettive, è, sì, un passo in avanti rispetto alla formulazione originaria del provvedimento, ma non ci convince pienamente.

Per tale motivo sul subemendamento in esame ci asterremo e ciò comporterà - lo annuncio sin da ora - anche l'astensione sul provvedimento nel suo complesso.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Finocchiaro. Ne ha facoltà.

ANNA FINOCCHIARO. Intervengo a titolo personale in quanto la presentazione di questo subemendamento è stata accompagnata ed anche suggerita da una rappresentazione dei fatti che non è quella reale.

PRESIDENTE. Colleghi, per cortesia, lasciate intervenire l'onorevole Finocchiaro.

Prego, onorevole Finocchiaro.

ANNA FINOCCHIARO. Vedete, colleghi - mi rivolgo in particolare ai colleghi della maggioranza -, lo scontro può essere il più aspro possibile, la diversità di opinioni può essere la più radicale, tuttavia, nei rapporti tra avversari politici, esiste un livello di lealtà che ritengo non possa essere inquinato così è come accaduto questo pomeriggio. Infatti, questo subemendamento è stato spacciato all'opposizione, che assisteva abbastanza sbigottita al cambiamento di orientamento della maggioranza, come una proposta emendativa volta a rendere più comprensibile e più simbolicamente evidente all'opinione pubblica che questo non è un provvedimento attinente ai reati di criminalità organizzata.

In realtà, invece, come, fino a questo momento, in maniera assolutamente esplicita, la discussione ha squadernato all'attenzione dei colleghi, abbiamo assistito ad una operazione assai meno nobile di questa, nel senso che i reati di criminalità organizzata, che prima erano inclusi insieme a tutti gli altri, sono stati tirati fuori.

PRESIDENTE. Onorevole Finocchiaro...

ANNA FINOCCHIARO. Ho concluso signor Presidente. La verità è che questa norma non si applicherà alla quantità di reati enumerati, per esempio, dall'onorevole Fanfani, alcuni dei quali molto gravi. In tal modo, si contrabbanda presso l'opinione pubblica, come si è tentato di fare nei confronti dell'opposizione, che si tratta di una norma che, simbolicamente, deve manifestare ai cittadini italiani la ferma intenzione di tutto il Parlamento di non buttare a mare i processi di mafia.

AURELIO GIRONDA VERALDI, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

AURELIO GIRONDA VERALDI, Relatore. Signor Presidente, non basta evocare le norme. Bisogna approfondirne l'esame. Vi è un articolo della Convenzione europea - l'articolo 40 - che prevede la vincolatività delle sentenze presso l'ordinamento interno: ogni qual volta da parte della Corte europea sia pronunziata una sentenza che sancisca la responsabilità dello Stato per violazioni delle norme contenute nella Convenzione europea, non si può rimanere indifferenti. Signori, noi viviamo in uno Stato che per quarant'anni - dico quarant'anni - e forse più ha ignorato questa normativa. Di chi sia la responsabilità, non so. Sta di fatto che sono state consumate eventuali ingiustizie nell'indifferenza generale.

Finalmente, arriva questo progetto di legge che prevede la revisione per le condanne che siano state pronunciate in violazione delle norme di cui alla Convenzione europea. Quali sono tali norme? Esse sono indicate tassativamente all'articolo 6. A questo proposito, c'è da fare una delicata ed importante distinzione fra le norme che si possano violare. La norma indicata al numero 1 riguarda la durata del processo. E qui vi era una mia perplessità. Cosa volevo dire? Mi riferisco ai casi in cui la durata non ragionevole del processo è legata al tipo di processo che non può essere breve. Fisiologicamente, devono essere processi lunghi. Anche quella è una violazione delle norme previste all'articolo 6, violazione che ha legittimato diversi ricorsi presso la Corte europea con relative condanne dello Stato. Per rimediare a questo inconveniente, è stata approvata la legge Pinto che prevede semplicemente una sanzione amministrativa, vale a dire una pena pecuniaria per lo Stato.

Però, raccogliendo le sollecitazioni che sono venute da tutti i settori, si è ritenuto di non lasciare impunite le violazioni delle altre norme previste dall'articolo 6 della Convenzione. Signor Presidente, si dice che «ogni persona accusata di un reato è presunta innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata». Vi prego di soffermarvi su questa norma che va oltre la nostra Costituzione, la quale prevede una presunzione di non colpevolezza. Qui c'è una presunzione di innocenza rispetto all'imputato.

Allora, io comincio a dire che non ha senso questa norma che prevede una discriminazione tra i processi in corso ed i processi futuri. Se volessimo essere coerenti, tutti i processi dovrebbero essere suscettibili di revisione le volte in cui ci sia stata una sentenza della Corte europea.

Comunque, stamani in Commissione si è fatto un discorso - eravamo in pochi per la verità, e questa è una responsabilità di chi eventualmente non è stato presente - per cui se vi è una prova già acquisita al momento in cui è stata formata questa prova, la prova è stata legittimamente acquisita. Possiamo noi ignorarla? Noi abbiamo dato una risposta: non la possiamo ignorare. Tuttavia, c'è stato fatto osservare - ecco la ragione: non c'è nessuno scandalo - che non è opportuno, non è giusto e non è equo che questa norma ignori coloro i quali sono stati già condannati per fatti diversi da quelli di cui all'articolo 51 e abbiamo tentato di trovare un rimedio con l'introduzione di questo subemendamento. Niente di scandaloso. Non so se questa norma possa coprire qualcuno: se è così, a mio avviso, è un fatto censurabile. Se non è così, è spiegabile il subemendamento che abbiamo presentato.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Pisapia. Ne ha facoltà.

GIULIANO PISAPIA. Signor Presidente, volevo esprimere - e questa sarà anche la mia dichiarazione di voto - l'amarezza perché, da un lato, una proposta di legge che doveva ottemperare a un'indicazione della Corte di giustizia europea, rispetto alla possibilità di revisione dei processi in tutti quei casi in cui la formazione della prova non è avvenuta nel contraddittorio delle parti e ha determinato una condanna che poteva essere ingiusta, si è trasformata invece in un provvedimento che determinerà uno sfascio nella nostra giustizia penale perché darà la possibilità di revisione dei processi fatti, ad esempio, in sede di riti alternativi o dei decreti penali di condanna: casi in cui è lo stesso imputato che ha fatto la scelta di quel rito. Dall'altro lato, però - debbo dirlo anche qui con rammarico -, mi sembra che siamo ad un livello di schizofrenia assoluta. Prima, nella votazione dell'articolo 1, il centrosinistra, l'Ulivo, propone un emendamento in cui si esclude dalla norma a regime tutta una serie di reati, i cosiddetti reati più gravi, e poi, una volta che questo emendamento è stato rigettato, vota a favore dell'articolo 1. Adesso, nella norma transitoria succede esattamente l'opposto: quel principio di eguaglianza non è più accettato invece dal centrodestra, che nella norma transitoria prevede di escludere, invece, tutti i reati più gravi, violando il principio di eguaglianza.

Lo dico con rispetto nei confronti di tutti. Quando parliamo di giustizia, cerchiamo di non guardare i singoli processi e le singole posizioni ma di avere un minimo di coerenza perché questo serve alla nostra giustizia penale (Applausi dei deputati del gruppo di Rifondazione comunista).

GAETANO PECORELLA, Presidente della II Commissione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GAETANO PECORELLA, Presidente della II Commissione. Signor Presidente, onorevoli colleghi, sappiamo bene che - accade non solo per la Commissione giustizia - i mutamenti in aula di posizioni in qualche modo già verificate comportano il più delle volte difficoltà nel trovare soluzioni sulle quali si possa concordare. È opinione del presidente della Commissione che decidere in una materia di questa natura, ossia decidere in ordine alla possibilità, per chi e per quante persone, di poter avere un giudizio di revisione sulla base di un processo ingiusto, sia questione che richiede la massima consapevolezza ed anche una riflessione che sia sufficientemente matura.

La Commissione si era presentata con un testo che era sostanzialmente concordato e che una serie di riflessioni ha però rimesso totalmente in discussione per quanto riguarda la norma transitoria. A noi pare che su quest'ultima norma sia responsabile disporre di un margine di tempo per svolgere una comune discussione e riflessione che coinvolgano tutta la Commissione, affinché sia possibile, non solo in Commissione ma anche in aula, arrivare ad una soluzione condivisa possibilmente da tutti.

Chiederei quindi, se questo è consentito e se la Presidenza è d'accordo, di sospendere al momento l'esame del provvedimento per poterlo riprendere, ad esempio, domani mattina alla ripresa dei lavori.

Questo, probabilmente, consentirebbe a tutti - anche a chi è stato coinvolto nella discussione, ma non ha ancora gli elementi sufficienti - di poter decidere in coscienza.

Quindi, la mia richiesta è di consentire a tutti di meditare un po' di più e di decidere domani sull'articolo 2.

PRESIDENTE. Sulla richiesta avanzata dal presidente Pecorella di sospendere l'esame del provvedimento per riprenderlo nella giornata di domani, darò la parola ad un deputato contro e ad uno a favore.

LUCIANO VIOLANTE. Chiedo di parlare contro.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIANO VIOLANTE. Signor Presidente, presidente Pecorella, in realtà, in questo caso, la questione di fondo è assai chiara: avete cambiato opinione quattro volte nell'arco di otto ore.

Colleghi, questo è un problema di democrazia abbastanza chiaro: si tratta di capire se vada o non vada attuato il principio secondo cui gli atti processuali vanno giudicati sulla base della legge che vigeva al tempo in cui sono stati commessi.

Sulla base dell'opinione espressa dalla Commissione stabiliremmo che questo principio vale per alcuni processi e non vale per altri. Non capisco per quale motivo un assassino efferato od uno stupratore debbano essere avvantaggiati rispetto ad un ragazzotto coinvolto in un processo di mafia: questo non lo capisco!

Tutti quanti abbiamo presente cos'è successo nelle ville del nord d'Italia, quindi non capisco per quale motivo dobbiamo stabilire questo tipo di discriminazione. Mi pare che la questione sia assolutamente chiara, perciò, signor Presidente, chiediamo che l'Assemblea si esprima a tal proposito.

SERGIO COLA. Chiedo di parlare a favore.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SERGIO COLA. Signor Presidente, intervengo a favore della richiesta avanzata dal Presidente Pecorella, anche per far rilevare all'onorevole Violante che questa proposta fa seguito ad un dibattito in cui sono state manifestate disparate opinioni, anche da parte dell'opposizione. L'onorevole Buemi, ad esempio, ha espresso un'opinione diametralmente opposta sull'emendamento concordato e a cui aveva fatto riferimento l'onorevole Finocchiaro.

ANNA FINOCCHIARO. Non hai capito l'intenzione del collega Buemi!

SERGIO COLA. L'onorevole Buemi chiedeva l'estensione della norma, non solo ai reati comuni, ma anche ai reati di mafia.

ANNA FINOCCHIARO. Appunto, l'emendamento 2.6, non hai capito!

SERGIO COLA. L'emendamento precedente, invece, chiedeva l'opposto e cioè che per i processi in corso e per quelli già definiti - sempre che la prova fosse stata acquisita legittimamente secondo le norme del codice di procedura penale - non si applicasse la revisione; l'onorevole Buemi, invece, ha espresso un'opinione completamente diversa.

Anche il sottoscritto ha espresso un'opinione diversa, mentre altri colleghi stavano per pronunciarsi in senso contrapposto; quindi, a mio modo di vedere, il problema esiste. Per quale motivo vogliamo affrettare i tempi e decidere in un senso o in un altro quando vi è la possibilità di trovare una soluzione che soddisfi tutte le esigenze rappresentate? Ciò mi induce a ritenere che la proposta avanzata dall'onorevole Pecorella vada accolta affinché, tutti insieme, si possa cercare di trovare una soluzione unitaria a livello trasversale, senza nessuna connotazione di carattere politico, ma guardando solamente all'aspetto tecnico del problema.

PRESIDENTE. Pongo in votazione, mediante procedimento elettronico senza registrazione di nomi, la proposta di sospendere l'esame del provvedimento, formulata dal presidente Pecorella.

(È approvata).

RENZO INNOCENTI. Signor Presidente, nel quarto e quinto settore vi è una moltiplicazione di voti!

PRESIDENTE. La Camera approva per 27 voti di differenza.

Il seguito del dibattito è pertanto rinviato ad altra seduta.



Allegato A

 

 

TESTO UNIFICATO DELLE PROPOSTE DI LEGGE: MARIO PEPE ED ALTRI E COLA: MODIFICHE AL CODICE DI PROCEDURA PENALE IN MATERIA DI REVISIONE DEI PROCESSI PENALI A SEGUITO DI SENTENZE DELLA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO (1447-1992)

 

(A.C. 1447 - Sezione 1)

 

PARERE DELLA I COMMISSIONE SULLE PROPOSTE EMENDATIVE PRESENTATE

 

NULLA OSTA

 

sugli emendamenti contenuti nel fascicolo n. 1.

 


 

RESOCONTO  STENOGRAFICO

 


______________   ______________


 

347.

 

Seduta di lunedì 28 LUGLIO 2003

 

presidenza del vicepresidente MARIO CLEMENTE MASTELLA

indi  DEL VICEPRESIDENTE PUBLIO FIORI

 

 


(omissis)

Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge: Mario Pepe ed altri e Cola: Modifiche al codice di procedura penale in materia di revisione dei processi penali a seguito di sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo (1447-1992) (ore 15,07)

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge, d'iniziativa dei deputati: Mario Pepe ed altri e Cola: Modifiche al codice di procedura penale in materia di revisione dei processi penali a seguito di sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo.

Ricordo che nella seduta del 6 maggio scorso è stato votato, da ultimo, l'emendamento 2.7 della Commissione.

Avverto che prima della seduta sono stati ritirati il subemendamento 0.2.6.1 e l'emendamento 2.6 della Commissione.

 

 

(Ripresa esame dell'articolo 2 - A.C. 1447)

PRESIDENTE. Riprendiamo quindi l'esame dell'articolo 2 e dell'unica proposta emendativa residua (vedi l'allegato A - A.C. 1447 sezione 1).

 

AURELIO GIRONDA VERALDI, Relatore. Chiedo di parlare.

 

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

 

AURELIO GIRONDA VERALDI, Relatore. Signor Presidente, a seguito del ritiro dell'emendamento 2.6 della Commissione e del relativo subemendamento, è stato necessario riformulare l'emendamento Finocchiaro 2.5, nel senso che, laddove si dice «La revisione delle sentenze dei decreti penali di condanna per uno dei reati di cui all'articolo 51, comma 3-bis», si deve aggiungere «e 3-quater». In tal caso, il parere della Commissione sarebbe favorevole.

 

PRESIDENTE. Il Governo?

 

GIUSEPPE VALENTINO, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Il Governo esprime parere conforme a quello espresso dal relatore.

 

PRESIDENTE. Chiedo ai presentatori se accettino la riformulazione dell'emendamento Finocchiaro 2.5 proposta dal relatore.

 

FRANCESCO BONITO. Sì, signor Presidente, siamo d'accordo.

Preavviso di votazioni elettroniche (ore 15,10).

PRESIDENTE. Poiché nel corso della seduta potranno aver luogo votazioni mediante procedimento elettronico, decorrono da questo momento i termini di preavviso di cinque e venti minuti previsti dall'articolo 49, comma 5, del regolamento.

Sull'ordine dei lavori (ore 15,11).

AUGUSTO BATTAGLIA. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

AUGUSTO BATTAGLIA. Signor Presidente, come lei ben sa - dal momento che era presente venerdì in Commissione finanze -, la VI Commissione venerdì mattina avrebbe dovuto votare le mozioni relative alla vicenda della vendita degli immobili degli enti perché, come lei ben sa, il Parlamento aveva approvato - prima il Senato e poi la Camera - alcuni emendamenti migliorativi del decreto ma, a quel punto, il Governo ha ritirato il decreto-legge, determinando una situazione gravissima, perché la volontà espressa liberamente dal Parlamento in questo modo non trova riscontro nell'attuazione della norma. Già in queste settimane, infatti, migliaia di famiglie italiane riceveranno la lettera da parte degli enti, in cui verrà  imposto loro di andare a firmare i rogiti a condizioni diverse da quelle previste dal voto del Parlamento.

Questo è molto grave e, quindi, sarebbe importante che si arrivasse una sospensione delle procedure di vendita, per dare tempo al Parlamento e al Governo di adottare quei provvedimenti che possano dare concretezza alle migliorie già approvate dal Parlamento. Ora, il Governo, che probabilmente si trova in difficoltà politiche, perché su questa questione - ma del resto, da quello che vedo, non soltanto su questa - non ha una maggioranza, ha imposto il blocco della votazione ed ha imposto la votazione in aula.

Siccome questa è l'ultima settimana di lavoro prima della pausa estiva, credo che per il rispetto che dobbiamo alle migliaia e migliaia di famiglie che abitano nelle case degli enti - per queste famiglie di pensionati e di lavoratori dipendenti un aumento di prezzo del 40 per cento può rappresentare un impedimento per l'acquisto della casa, e può esporle allo sfratto e al rischio di restare fuori dall'appartamento -, nonché per il rispetto che dobbiamo a migliaia di commercianti, di piccoli artigiani - che, se non vi è una prelazione effettiva nella procedura di vendita, vedono a rischio la loro attività perché possono subentrare grandi concentrazioni finanziarie ed economiche che fanno fuori tutti i piccoli commercianti e tutti i piccoli artigiani -, e per il rispetto che dobbiamo alle migliaia di famiglie che abitano in case definite dal decreto Tremonti «case di pregio», ma che spesso sono vecchie e cadenti, ebbene, per il rispetto che dobbiamo a tutte queste persone, credo che la Presidenza della Camera debba disporre che tali mozioni vengano votate nel corso di questa settimana. Credo sia un atto dovuto.

Liberamente e secondo coscienza, i parlamentari esprimeranno la loro volontà, tuttavia le chiediamo di farsi parte attiva perché questi provvedimenti vengano inseriti nell'ordine del giorno di questa settimana (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Battaglia. Tale problema è già stato segnalato questa mattina dall'onorevole Buontempo. Oggi pomeriggio, sarà convocata la Conferenza dei presidenti di gruppo; tale questione sarà senz'altro posta all'attenzione della Conferenza dei presidenti di gruppo.

Per consentire il decorso del termine regolamentare di preavviso, sospendo la seduta che riprenderà alle ore 15,30.

La seduta, sospesa alle 15,15, è ripresa alle 15,35.

Si riprende la discussione della proposta di legge n. 1447 ed abbinata.

(Ripresa esame dell'articolo 2 - A.C. 1447)

PRESIDENTE. La seduta è ripresa.

Passiamo alla votazione dell'emendamento Finocchiaro 2.5.

Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Finocchiaro. Ne ha facoltà.

ANNA FINOCCHIARO. Signor Presidente, l'emendamento 2.5 fu da noi presentato in chiave di riduzione del danno, per la ragione che eravamo assai preoccupati del fatto che questa disciplina - che pure trova sue ragioni in un orientamento di natura europea e che è stata già accolta da altri ordinamenti -, sia pure collocata sistematicamente sotto il titolo e nell'ambito dell'istituto della revisione, fosse produttiva di effetti devastanti, nel senso che ne sarebbero stati travolti, ai sensi della versione originaria del testo, tutti i giudicati per giungere ai quali vi fosse stata una valutazione della prova e, comunque, un andamento del processo in violazione dei principi di cui all'articolo 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali.

Durante la discussione parlamentare, insistemmo su una vicenda analoga che il Parlamento e la Commissione giustizia aveva vissuto nella scorsa legislatura, allorquando, entrato in vigore l'articolo 111  della Costituzione, occorreva apprestare una disciplina transitoria. In quell'occasione, con il parere unanime, voglio ricordarlo, di tutte le forze politiche rappresentate in Commissione, si stabilì che quanto era stato compiuto legittimamente sotto la vigenza della precedente legislazione in materia di assunzione e di valutazione della prova andasse esente da qualunque possibilità di rivisitazione processuale.

Era questo, quindi, l'orientamento, che, peraltro, venne accolto dalla Commissione con l'emendamento 2.6, che assai più ci convinceva. L'emendamento 2.5, a mia prima firma, fu presentato per evitare che, non approvato quell'orientamento, restasse vulnerato il principio del giudicato in relazione a processi delicatissimi (quali quelli in materia di mafia e di terrorismo) che fossero stati celebrati nella vigenza di una norma processuale non compiutamente aderente alla lettera dell'articolo 6 della Convenzione. Tali procedimenti, come tutti sanno, hanno occupato, spesso, anni ed anni non solo di indagini preliminari, ma anche di sviluppo dibattimentale e ritenevamo troppo rischioso il loro possibile azzeramento in virtù di una disciplina quale quella prioritariamente prevista.

Le vicende interne alla Commissione e, in particolare, quelle interne ai gruppi di maggioranza, hanno fatto sì che l'emendamento 2.6 della Commissione e quella sistemazione, che ritenevamo più congrua, venissero abbandonati per convergere sul mio emendamento 2.5, che ovviamente manteniamo e sosteniamo. A questo punto, ritengo, però, che a tale emendamento venga affidato un compito che è marginale. Soprattutto, esso non può essere elevato a principio sistematico giacché, com'è ovvio, si reca eccezione al principio esclusivamente per alcune categorie di reati. Riteniamo che una disciplina come quella che ci apprestiamo ad approvare non abbia i connotati, appunto, della sistematicità.

PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Finocchiaro.

Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Buemi. Ne ha facoltà.

ENRICO BUEMI. Signor Presidente, apprezziamo il tentativo portato avanti con questo emendamento, che è quello di tentare di coniugare i principi con le esigenze politiche; però, francamente, rinunciare in maniera così esplicita all'introduzione di principi di garanzia permanente, ancora più indispensabili nei processi di maggiore gravità, nei quali l'errore giudiziario può provocare danni maggiori, è una linea che ci convince poco.

Il mantenimento anche di questo doppio binario, che prevede un certo regime di garanzie per alcuni reati e li esclude per altri, è un po' il retaggio di una fase storica del nostro paese certamente grave, che nello stesso tempo però ci dovrebbe avere insegnato che una volta che si abbandona una certa linea principale poi è difficile porre limiti a determinate derive. Quindi, ripeto, pur apprezzando il tentativo dell'emendamento a prima firma della collega Finocchiaro, il gruppo Misto-Socialisti democratici italiani si asterrà.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Mantini. Ne ha facoltà.

PIERLUIGI MANTINI. Signor Presidente, intervengo invece a favore di questo emendamento per una ragione di sostanza e direi anche di metodo. Nell'approccio costruttivo a questa proposta di legge, abbiamo cercato di circoscrivere e di precisare i casi in cui le violazioni dei diritti fondamentali possano costituire causa di revisione del processo, con la preoccupazione di non introdurre un ulteriore grado di appello, ma di limitare le fattispecie esattamente ai casi più importanti. Per questo motivo abbiamo escluso, ad esempio, i reati di mafia, per venire ad un tema che è stato vastamente oggetto di attenzione anche da parte della stampa, e abbiamo circoscritto ai casi in cui la violazione accertata in sede europea dei diritti fondamentali possa costituire motivo incidente sulla sentenza, cioè non un  motivo di carattere formale o del tutto secondario, ma un motivo tale da dover ragionevolmente far riaprire il processo, costituendo appunto causa di revisione. Nella medesima direzione di un equilibrato contemperamento, va l'emendamento Finocchiaro 2.5, che ovviamente prevede che la revisione delle sentenze non può essere richiesta qualora la violazione delle disposizioni fondamentali di cui all'articolo 6 della Convenzione per la salvaguardia di diritti dell'uomo sia stata commessa prima della data di entrata in vigore della presente legge. Insomma, credo che anche con l'approvazione di questo emendamento, cui tutti i colleghi dovrebbero prestare consenso, si raggiunga un assetto più equilibrato, perché il rischio che ci rappresentiamo dinanzi al testo di legge in esame è quello di evitare evidentemente che, attraverso l'ampliamento dei casi di revisione del processo, si possa esattamente aggiungere in modo indistinto un altro grado del processo. Noi anzi abbiamo forse il problema contrario, facciamo fatica a fare una riflessione seria in questa legislatura sul fatto che il processo penale non corrisponde ai principi di ragionevole durata introdotti dall'articolo 111 della Costituzione, per la violazione dei quali siamo, per il vero, frequentemente condannati, proprio perché abbiamo ormai un processo che somma tutte le garanzie per l'imputato tipiche del processo inquisitorio con quelle proprie del processo accusatorio, con tre gradi o forse quattro di giudizio.

Quindi, non vorremmo che obiettivamente questo ampliamento della revisione fosse o potesse essere inteso o interpretato un domani come un quinto grado. Dico questo, poi, per una preoccupazione anche di metodo, se vogliamo, visto ciò che sta accadendo in questi giorni, e cioè che ciò che è ben chiaro nei lavori parlamentari, mi riferisco ovviamente al cosiddetto lodo o norma di salvaguardia delle alte cariche dello Stato, cioè di sospensione del processo, pur chiarissimo nella interpretazione degli atti parlamentari, divenga poi oggetto di confusione, di amnesia, con una richiesta di interpretazione nuova, da parte sia del ministro della giustizia, senatore Castelli, il quale non dovrebbe avere queste confusioni e sia anche del presidente della Commissione giustizia, onorevole Pecorella.

L'intento di questo emendamento e anche del lavoro svolto in Commissione e in Assemblea dev'essere chiaro: non vogliamo che l'ampliamento dei casi di revisione possa essere un domani oggetto di un abuso da parte degli imputati già condannati con sentenza passata in giudicato.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Pisapia. Ne ha facoltà.

GIULIANO PISAPIA. Signor Presidente, anche noi manifestiamo delle perplessità su questo emendamento in quanto, una volta approvato l'articolo 1-bis - che prevede che la richiesta di revisione, ai sensi del nuovo articolo 630-bis, è inammissibile se la violazione delle disposizioni ivi richiamate non ha avuto incidenza rilevante sulla decisione -, ci sembra assolutamente inammissibile non permettere la possibilità di revisione solo perché un soggetto è stato condannato, forse ingiustamente, per determinati reati particolarmente gravi. Se vi è stato un errore giudiziario o anche se vi sia stato soltanto il rischio che sia stato commesso un errore giudiziario, eliminare la possibilità della richiesta di revisione da parte del soggetto, che potrebbe essere ingiustamente detenuto, non è concepibile in uno Stato di diritto e soprattutto è in contrasto anche con i principi e le direttive della Corte europea dei diritti dell'uomo. Per questo motivo preannuncio che ci asterremo dal voto su questo emendamento, nel testo riformulato.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Cola. Ne ha facoltà.

SERGIO COLA. Signor Presidente, ritengo che non ci si debba lasciare condizionare esclusivamente dal nomen iuris cioè dai reati previsti dall'articolo 4-bis;  infatti, la violazione dei diritti dell'uomo, in modo particolare l'articolo 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e le libertà fondamentali, è tale da determinare un'automatica sentenza di condanna, a prescindere dal nomen iuris. Chiaramente, se uno è imputato in base all'articolo 416-bis, questi può anche essere ritenuto innocente e non è il nomen iuris che deve condizionare una società che si dice essere culla del diritto.

Non condivido peraltro nemmeno le osservazioni svolte dall'onorevole Finocchiaro in ordine a quella sorta di analogia relativa a quando si è proceduto ad approvare l'articolo 111 della Costituzione e relative disposizioni transitorie. Dico ciò per una ragione molto semplice e cioè che essendo nell'ambito del diritto interno si sono volute sanare delle situazioni che erano perfettamente legittime e che magari si ponevano in modo diverso a livello di diritto processuale nel momento in cui entrava in vigore l'articolo 111 della Costituzione. Qui ci troviamo di fronte ad una casistica del tutto diversa; infatti, siamo di fronte ad una pronuncia non dello Stato italiano ma dell'Alta Corte di giustizia che ha ritenuto sussistere questo tipo di violazione.

All'onorevole Mantini devo ricordare che per ricorrere all'Alta Corte di giustizia è necessario che decorrano soltanto sei mesi, conseguentemente ci troveremmo di fronte ad una casistica estremamente sparuta: pochissimi processi che attengono alla posizione di alcuni imputati che, ancorché imputati o condannati per reati particolarmente allarmanti, siano stati ritenuti in un certo senso lesi dall'Alta Corte di giustizia per la violazione delle disposizioni di cui all'articolo 6 della Convenzione dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, quando questo tipo di violazione sia stata determinante ai fini della sentenza di condanna. Pertanto, ritengo che questa soluzione - in relazione alla quale, per queste ragioni, mi asterrò dal voto su questo emendamento esprimendo solamente una posizione personale mentre il gruppo di Alleanza nazionale sarà invitato a votare a favore - non sia conforme ad equità ma sia una soluzione che, a prescindere dal nomen iuris dei reati, non è degna della civiltà giuridica di cui molte volte solo a chiacchiere diciamo di essere portatori.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Lussana. Ne ha facoltà.

CAROLINA LUSSANA. Signor Presidente, intervengo per esprimere la posizione del gruppo della Lega nord Padania che voterà a favore di questo emendamento anche se rimangono delle perplessità già evidenziate nel corso dell'esame di questo provvedimento durante le sedute precedenti.

Per noi rimangono le perplessità relative agli scenari e alle possibili conseguenze che si potrebbero avere sui processi già celebrati a seguito dell'introduzione, nel nostro ordinamento, di questo strumento della revisione, che consente - e speriamo non sia così - una sorta di quarto grado di giudizio per coloro che, grazie ad una sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, vedano ravvisata una violazione dell'articolo 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali; soprattutto, rimangono le nostre perplessità relative al periodo transitorio ed alle possibili conseguenze sui processi già celebrati.

Pertanto, la soluzione scelta dalla Commissione di escludere o di limitare la possibilità di accedere alla revisione per alcuni tipi di reato (e quindi, l'esclusione oggettiva per reati particolarmente gravi, come quelli di mafia e di terrorismo) è da noi condivisa, tuttavia non ci convince fino in fondo: a nostro avviso, infatti, espone il provvedimento che stiamo per approvare anche a dubbi profili di costituzionalità.

Avremmo sicuramente preferito la soluzione adottata in precedenza dalla Commissione, che limitava o inibiva la possibilità di accedere all'istituto della revisione in tutti quei casi in cui la prova si fosse legittimamente formata in base alle disposizioni vigenti al momento del giudizio: mi  sembra fosse questa la formula allora adottata per l'entrata in vigore del nuovo articolo 111 della Costituzione.

Ribadisco il voto favorevole del nostro gruppo, perché concordo sul fatto che la proposta emendativa al nostro esame limita i danni, tuttavia restano le perplessità testè espresse sia nel merito, sia sotto il profilo della costituzionalità.

PRESIDENTE. Passiamo ai voti.

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Finocchiaro 2.5, nel testo riformulato, accettato dalla Commissione e dal Governo.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.

Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazioni).

(Presenti 333

Votanti 318

Astenuti 15

Maggioranza 160

Hanno votato 317

Hanno votato no 1).

Prendo atto che l'onorevole Buontempo non è riuscito ad esprimere il proprio voto.

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo 2, nel testo emendato.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.

Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazioni).

(Presenti 337

Votanti 336

Astenuti 1

Maggioranza 169

Hanno votato 336).

(Esame di un emendamento al titolo - A.C. 1447)

PRESIDENTE. Ricordo che è stato presentato l'emendamento Tit. 1 della Commissione (vedi l'allegato A - A.C. 1447 sezione 2).

Invito il relatore ad esprimere il parere della Commissione.

AURELIO GIRONDA VERALDI, Relatore. Signor Presidente, la Commissione ne raccomanda, ovviamente, l'approvazione.

PRESIDENTE. Il Governo?

GIUSEPPE VALENTINO, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, il Governo esprime parere favorevole.

PRESIDENTE. Passiamo ai voti.

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Tit. 1 della Commissione, accettato dal Governo.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.

Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazioni).

(Presenti 340

Votanti 338

Astenuti 2

Maggioranza 170

Hanno votato 338).

(Dichiarazioni di voto finale - A.C. 1447)

PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto sul complesso del provvedimento.

Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Mazzoni. Ne ha facoltà.

ERMINIA MAZZONI. Signor Presidente, ritengo che l'approvazione del provvedimento al nostro esame sia una sorta di atto dovuto; di conseguenza, il mio intervento per annunziare il voto favorevole del gruppo dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro sarà brevissimo.

Vorrei dire solamente che, con questo provvedimento, ci apprestiamo ad uniformare anche il nostro paese agli ordinamenti europei. L'ulteriore ipotesi di revisione che introduciamo nel nostro sistema giudiziario, infatti, trae origine dai princìpi sanciti dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, che l'Italia ha ratificato nel lontano 1955, e sin da allora il nostro paese avrebbe dovuto individuare strumenti per consentire l'effettiva applicazione dei princìpi sanciti da tale Convenzione.

Oggi finalmente operiamo in tale direzione, introducendo un passaggio procedurale a mio avviso indispensabile.

L'emendamento che è stato esaminato, e sul quale non sono intervenuta, ha visto dubbiosi molti di noi e su di esso ci siamo confrontati. Alla fine, abbiamo scelto una soluzione che indubbiamente non è lineare e che, forse, nella sua ultima stesura non soddisfa tutti; tuttavia, è la formula migliore per evitare di passare da una situazione di inattuazione normativa ad una situazione di ulteriore disagio procedurale e processuale.

Quindi, il voto del gruppo dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro sarà favorevole e voteremo in maniera convinta a favore di questo provvedimento (Applausi dei deputati del gruppo dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Finocchiaro. Ne ha facoltà.

ANNA FINOCCHIARO. Signor Presidente, intervengo per motivare l'astensione del mio gruppo, sulla scorta delle considerazioni cui ho già accennato nell'intervento di poc'anzi, ma che vorrei sviluppare più compiutamente.

La nostra astensione rispetto a questo provvedimento, sia pure in un testo che ci sembra parzialmente migliorato rispetto a quello originario, nasce da una valutazione che abbiamo ripreso più volte nel corso della discussione parlamentare. Mi riferisco alla valutazione secondo la quale adoperare la revisione come strumento per dare esecuzione all'orientamento secondo cui le sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo debbano ricondurre ad una rivisitazione del giudicato sia improprio rispetto al nostro assetto sistematico.

Come tutti i colleghi sanno, la revisione tradizionalmente nel nostro ordinamento viene ancorata all'emergere di dati di fatto che travolgono il giudicato: una prova che emerga successivamente o una sentenza passata in giudicato che comunque investa un fatto rilevante ai fini della decisione. Si tratta di una valutazione tutta di merito che riguarda la dinamica del fatto, la riconducibilità del fatto all'autore e la responsabilità dell'autore stesso.

In questo caso, invece, adoperiamo la revisione come strumento di accertamento della legittimità della decisione, poiché è fin troppo ovvio che la valutazione che il giudice sarà chiamato a compiere, infrangendo il giudicato precedente, riguarda la corrispondenza tra le norme che hanno assistito la conduzione del processo nonché la valutazione della prova rispetto ai principi statuiti nell'articolo 6 della Convenzione. Questo è uno strappo sistematico che non può essere senza influenza sull'intero impianto, perché cambia la natura dello strumento.

Più volte, intervenendo nel corso della discussione parlamentare, abbiamo sottolineato come sarebbe stato assai più coerente introdurre un nuovo strumento. Peraltro, cosa ce lo avrebbe impedito? Siamo nella fase della costruzione di uno spazio giuridico comune ed avremmo potuto trovare altri strumenti, anche estranei alla nostra tradizione codicistica, che pure sono stati adottati in altri sistemi, a cominciare dalla Francia, e non avremo dunque torto un istituto che, nato rispetto ad un accertamento di fatto, viene piegato ad essere uno strumento che inizia alla rimeditazione del giudicato sulla base di una valutazione di mera legittimità.

Questa è la prima ragione e non è senza significato. Mi sembra, infatti, che questa stagione del Parlamento sempre più travalichi il dato sistematico, non ne tenga  conto e lo considera, addirittura ininfluente, se non a volte un argomento capzioso quando è adoperato per contrastare alcuni provvedimenti. Invece, ritengo che la sistematicità di un ordinamento, in particolare dell'ordinamento processuale penale (perché di questo ci stiamo occupando), sia essenziale, perché è essenziale, ad esempio, sotto il profilo dell'interpretazione della norma e della sua applicazione.

Non sono discorsi da giurista, sono discorsi da Parlamento. Sono valutazioni che dovrebbero guidare il legislatore nel momento in cui introduce uno strumento così innovativo come quello di cui oggi stiamo trattando.

Vi è, poi, un altro profilo e ho sentito che anche l'onorevole Lussana poc'anzi lo affrontava: credo vi sia su questo punto una visione comune. Onorevole Cola, non è improprio ricordare ciò che avvenne con la disciplina transitoria a seguito dell'introduzione della nuova disciplina in materia di valutazione della prova. Al contrario, fu proprio quella la sede nella quale si rappresentò la necessità di come valutare il patrimonio di acquisizione probatoria costituito da tutte le prove legittimamente assunte nella vigenza della disciplina precedente ed in perfetta coerenza con il quadro costituzionale allora vigente. Credo che quella compiuta allora dal Parlamento non soltanto sia stata una scelta saggia, ma altrettanto saggiamente avrebbe potuto replicarsi in questa sede, tanto più - bisogna sottolinearlo - che oggi il nostro ordinamento possiede l'articolo 111 della Costituzione. Quest'ultimo, sotto il profilo dell'elencazione dei valori e della loro ordinazione gerarchica, è identicamente concepito rispetto all'articolo 6 della Convenzione.

Sono, quindi, queste preoccupazioni, unite a quelle che ho aggiunto all'intervento precedente, che ci determinano ad astenerci sul provvedimento in esame. Sappiamo bene che si tratta di una disciplina utile non solo dal punto di vista legislativo, ma anche della giurisprudenza e della prassi giuridica per la costruzione dello spazio giuridico comune europeo. Attribuire vincolatività all'articolo 6 varrà assai più per gli altri paesi che si approssimeranno alla costruzione dello spazio giuridico comune di quanto valga per noi che già abbiamo introdotto l'articolo 111 qualche anno fa.

Residua la preoccupazione suddetta: quella di avere incarnato tale principio con uno strumento improprio che disorganizza la sistematicità del nostro codice processuale penale e di averlo fatto essendo costretti a salvare ciò che era stato legittimamente assunto esclusivamente per i processi di mafia e terrorismo piuttosto che estenderlo all'intero complesso dei giudicati.

In un tempo in cui della certezza del giudicato si discute con accenti così vivaci anche da parte dei gruppi del centrodestra credo che tale valutazione avrebbe dovuto avere assai più pregio ai fini della decisione di quanto non abbia, fino a questo momento, avuto.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Fanfani. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE FANFANI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, condivido le considerazioni svolte dalla collega Finocchiaro in maniera puntuale, come sempre.

Oggi abbiamo dato esecuzione ad un'esigenza che, prima di tutto, è di carattere etico-giuridico nella parte in cui abbiamo ritenuto di dover affrontare un problema posto fin dal 1955 nel nostro ordinamento dalla ratifica della Convenzione per la salvaguardia di diritti dell'uomo. Questa aveva imposto agli Stati aderenti il rispetto dei diritti fondamentali quali il diritto alla vita, il diritto alla libertà, il divieto della tortura e del lavoro forzato, il diritto alla sicurezza ed altri diritti fondamentali che venivano a far parte di un patrimonio giusnaturalistico e, come tali, venivano codificati.

Tra questi vi era un diritto che, già all'epoca, veniva definito diritto ad un equo processo e si sostanziava nella necessità di esaminare pubblicamente le prove, in un termine ragionevole, da parte  di un tribunale indipendente e precostituito per legge. La persona indagata ha il diritto di essere informata, in maniera dettagliata, dei motivi e dell'accusa elevata a suo carico e di esaminare o fare esaminare i testimoni a carico ed ottenere la convocazione e l'esame dei testimoni a discarico nelle stesse condizioni dei testimoni a carico.

Ho letto testualmente i principi che fecero patrimonio, all'epoca, del provvedimento ratificato dallo Stato italiano, perché essi hanno trovato spazio processuale nel nostro ordinamento soltanto molti anni dopo, nel 1999, con la modifica dell'articolo 111 della Costituzione e con il conferimento a tali principi della dignità che loro derivava dall'essere recepiti nel testo fondante della nostra Repubblica. Con esso veniva data attuazione - che successivamente sarebbe stata trasferita nella normativa ordinaria di vari articoli del codice di procedura penale - a quei principi, che molti anni prima erano stati già patrimonio della Convenzione internazionale, che ho prima ricordato. Di ciò non possiamo che essere felici - come giuristi, come cittadini, come cultori di questo ramo specifico -, perché essi attengono ad un patrimonio di libertà e soprattutto ad un patrimonio di correttezza nell'accertamento della verità processuale, che non poteva essere eluso più a lungo.

Il problema, a cui abbiamo tentato di dar soluzione, si è posto principalmente in ordine agli effetti che la pronuncia da parte del tribunale per la salvaguardia dei diritti dell'uomo potesse avere nel nostro ordinamento. Come è stato ricordato dalla collega Finocchiaro, a tale problema poteva essere data soluzione diversa. È stata scelta, da parte di questo Parlamento, la soluzione di farne diventare parte, come figura autonoma, della disciplina previgente in materia di revisione delle condanne disciplinate negli articoli 629 e seguenti del nostro codice di rito.

La decisione poteva essere certamente criticabile, ed è stata in concreto criticata, tuttavia occorre tenere conto delle valutazioni che sono state svolte in ordine alla delicatezza del tema e soprattutto in ordine all'incidenza diretta che questa soluzione poteva avere nella sistematica complessiva del nostro ordinamento, nella parte in cui veniva ad introdurre nella sistematica della revisione un caso di revisione collegata non alla violazione di una norma sostanziale in materia di prova, non all'emergenza di fatti nuovi o di sentenze che potessero essere inconciliabili con fatti precedenti, né all'emergenza di falsità negli atti, ma ad una violazione esterna, di carattere meramente processuale, che incideva sulla non correttezza nella formazione della prova e soprattutto che si traduce, più che nella non correttezza, nel non rispetto del dato processuale di base, al quale si deve attenere, nel mancato rispetto della normativa prevista nella Convenzione europea, pur in presenza di un rispetto formale della normativa vigente.

Questo è il problema vero, che si è posto la Commissione e al quale si è cercato di dare risposta, anche attraverso la presentazione di emendamenti qui in aula. Ciò in quanto, un conto è sostenere che vi è stato rispetto formale della normativa all'epoca vigente in materia processuale e, quindi, le prove sono state correttamente acquisite e, quindi, in mancanza di elementi nuovi su quelle prove non si può tornare, un altro conto è sostenere che quelle prove, pur formalmente acquisite in maniera regolare, in realtà sono state acquisite con un procedimento che si poneva al di fuori delle regole fondamentali, ora disciplinate dall'articolo 111 della Costituzione, ma nello spazio di tempo che va dal 1955 al 1999 disciplinate prima in maniera (fino al 1989) assolutamente contraria a questi principi, poi in maniera approssimativamente aderente ad essi, ma non certamente ad essi sovrapponibili.

La risposta a questa problematica di fondo, all'interno della Commissione, è stata fornita in termini diversi. Infatti, si è cercato - e potrete verificarlo leggendo la sequenzialità dei tre emendamenti proposti e accettati dalla Commissione e, in un secondo momento, non più accettati in  quanto considerati non confacenti - di fornire risposte diverse che dovevano avere la finalità di salvare le prove assunte in conformità ai principi generali e ordinamentali all'epoca vigenti. E questo si faceva in parte per un dovere di rispetto del giudicato ma, soprattutto, di quel lavoro in termini di sicurezza svolto sia dagli organi di polizia giudiziaria sia dalla nostra magistratura in processi di estrema rilevanza anche sotto il profilo dell'ordine pubblico, in relazione ai quali non si poteva dare spazio ad una riapertura della revisione del sistema probatorio, che non avrebbe più potuto essere riformato.

Ci rendiamo conto che la soluzione fornita non è certo delle migliori, infatti su tale formulazione si potranno aprire ampie discussioni anche in termini di rispetto costituzionale della norma. Tuttavia, riteniamo che, nella situazione data, l'emendamento Finocchiaro 2.5 costituisca un apprezzabile espediente di perequazione di una norma di difficilissima applicazione che - condivido - avrebbe dovuto formare oggetto di una verifica più approfondita e di un confronto più ampio all'interno di questo Parlamento.

Sono queste le valutazioni che ci fanno propendere per la necessità di affrontare in termini concreti il problema che veniva posto dalla discrasia esistente nel nostro ordinamento, almeno per il periodo che va dalla 1955 al 1999, costituita dalla non corrispondenza della normativa interna con quella della Convenzione e dagli effetti che tale discrasia ha prodotto per lungo tempo nel nostro ordinamento.

La soluzione fornita non è ampiamente soddisfacente, ma costituisce certamente un passo verso un avvicinamento della normativa ai principi fondamentali che devono regolare il nostro ordinamento. Per questi motivi il gruppo della Margherita, DL-l'Ulivo sulla proposta di legge in esame si asterrà.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bonito. Ne ha facoltà.

FRANCESCO BONITO. Signor Presidente, come già evidenziato nel precedente intervento dalla collega Anna Finocchiaro, il gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo sul provvedimento in esame si asterrà.

Le ragioni di questo voto sono state ampiamente illustrate dalla collega e, certo, non è mio compito reiterare e ribadire concetti già espressi. Tuttavia, tenterò di rafforzare la motivazione del voto del gruppo al quale appartengo, prendendo le mosse da una considerazione di ordine generale.

La proposta che stiamo esaminando, che porta la prima firma dell'onorevole Mario Pepe, mira ad una modifica di un istituto giuridico del nostro processo penale molto importante, istituto giuridico che può ben dirsi essere ormai l'espressione di una tradizione normativa assai antica. Mi riferisco alla revisione del processo penale, che si connette strettamente ad un altro fondamentale istituto del processo penale stesso: il giudicato, che assicura la certezza dei rapporti giuridici.

La revisione è quell'istituto che costituisce la deroga al principio generale del giudicato. Da qui la connessione dei due istituti e, soprattutto, l'importanza dell'istituto del quale ci stiamo occupando. Si tratta dei modi, dei tempi e delle ipotesi in cui ciò che per il diritto è immutabile può diventare mutabile, può cambiare.

La tradizione giuridica del nostro paese - ma credo di poter dire la tradizione giuridica del processo penale in generale - conosce quali ipotesi di revisione soltanto ed esclusivamente ipotesi di fatto. In altri termini, si può legittimamente ricorrere alla revisione quale istituto del processo e si può pertanto legittimamente chiedere la revisione del processo stesso per derogare alla fissità del giudicato, soltanto quando si sia in presenza di ipotesi che possiamo definire ipotesi oggettive e di fatto. Ad esempio, il caso classico della revisione è quello di una prova che non è stata delibata nel processo, perché non è stato possibile evocarla e presentarla.

Nella proposta di legge che stiamo discutendo, abbiamo quale ipotesi di revisione un'ipotesi tutta diversa da quella assegnataci dalla tradizione del processo  penale del nostro paese: ovvero, è possibile chiedere legittimamente di attaccare la fissità del giudicato ed è possibile e legittimo chiedere che un processo possa essere ripetuto, non già sulla base della sopravvenienza o del rinvenimento di fatti e prove non delibate nel processo esaurito, ma sulla base di una valutazione giuridica. Dunque, inglobiamo nella possibilità di revisione del processo la questione di diritto, questione eminentemente affidata all'intelligenza del giudice e alla discussione delle parti.

Ritengo appaia di tutta evidenza, anche solo sulla base di quanto modestamente rappresentato, che la revisione, una volta approvata la proposta di legge in esame, sarà istituto del tutto diverso rispetto a quello che ci è consegnato da una decennale, anzi secolare, tradizione del processo penale del nostro paese e non soltanto del nostro paese.

Da qui deriva la delicatezza del giudizio politico che a noi viene richiesto e del giudizio politico che ciascuno di noi come appartenente ad un gruppo parlamentare deve esprimere. Da qui derivano anche il nostro dubbio fortissimo e la nostra perplessità, così sinteticamente motivata, che ci inducono a scegliere l'astensione dalla votazione.

Ma, utilizzando il tempo che abbiamo a disposizione, proseguiamo nella disamina del testo che ci viene proposto. Cosa prevede la proposta presentata dall'onorevole Mario Pepe? Essa prevede che, in presenza di violazione di disposizioni giuridiche previste dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e in presenza, altresì, di un giudizio di rilevante incidenza di siffatta violazione rispetto alla decisione che si impugna, è possibile chiedere ed ottenere la revisione del processo penale. La disciplina, così sinteticamente e certamente male delineata, dà, comunque, forza e vigore all'argomentazione tutta teorica che ho cercato prima di esprimere, di sviluppare, di chiarire e di esporre.

Prima di concludere, vorrei affrontare una seconda questione, peraltro strettamente connessa alla prima. Mi riferisco all'articolo 2 della proposta di legge, che disciplina le situazioni transitorie. Ebbene, cosa dice questa norma? La norma afferma il principio che la richiesta di revisione può essere proposta entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, anche nel caso in cui la sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo o la decisione del Comitato dei ministri sia stata pronunciata prima di tale data. Ebbene, questa norma suscita molte perplessità perché la dizione letterale evidenzia e dimostra in modo inequivocabile che discipliniamo casi che già conosciamo. Infatti, discipliniamo casi che sono ormai maturati e si sono ormai concretizzati. Oggi, possiamo già dire in modo inequivocabile a quali fattispecie, a quali ipotesi, a quali vicende questa disciplina transitoria possa applicarsi.

Questo non ci convince molto e rafforza vieppiù la nostra decisione di astenerci dalla votazione sul provvedimento in esame (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Pisapia. Ne ha facoltà.

Onorevole Pisapia, le ricordo che ha otto minuti di tempo a sua disposizione.

GIULIANO PISAPIA. Signor Presidente, è già stato ricordato in alcuni degli interventi precedenti che questo provvedimento, oltre ad essere un segno di civiltà giuridica, era ed è un atto dovuto da parte del nostro paese, a seguito della raccomandazione del Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa del 19 gennaio 2000, con la quale gli Stati membri sono stati invitati - e stiamo parlando di oltre tre anni fa - ad introdurre nei rispettivi ordinamenti interni la possibilità, per la vittima di una violazione di diritti tutelati dalla Convenzione di salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, di ottenere il riesame o la riapertura del caso in seguito alla sentenza della Corte di Strasburgo. Ancora - siamo al 13 luglio 2000 -, nella sentenza Scozzari-Giunta contro Italia sempre la Corte europea,  che aveva condannato l'Italia, ha stabilito in maniera esplicita che l'equa soddisfazione costituisce soltanto una delle conseguenze riparatorie e ha aggiunto che lo Stato deve adottare, sotto il controllo del Comitato dei ministri, le misure generali o, se del caso, individuali, destinate a porre termine alla violazione constatata e a rimuoverne - e questo riguarda la proposta di legge in esame - per quanto possibile le conseguenze. Dicevo che si tratta di un atto dovuto e, quindi, sotto il profilo giuridico, di un atto dovuto per rimanere in Europa e per non continuare a violare le direttive della Corte europea dei diritti dell'uomo.

Io debbo dire - sinceramente, l'avevamo già detto nei nostri interventi di parlamentari di Rifondazione comunista durante la discussione generale e poi nell'esame degli emendamenti - che, pur apprezzandone fino in fondo il contenuto, il testo della proposta di legge non ci convince del tutto. Infatti, avremmo preferito che, anziché un richiamo generico e di carattere generale all'articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, la possibilità di revisione fosse stata resa possibile allorché vi fosse stata una violazione specifica che poteva o avrebbe potuto determinare la condanna di un innocente. In altre parole, avremmo preferito che nella legge ci fosse stato un richiamo alla violazione del terzo comma dell'articolo 6, quello che riguarda, ad esempio, la possibilità e il diritto di ogni accusato di essere informato - ripeto, ogni accusato, che è cosa ben diversa da ogni indagato - in una lingua che egli comprende in maniera dettagliata e nel più breve tempo possibile, del contenuto dell'accusa elevata contro di lui; di disporre del tempo e della possibilità necessaria a prepararsi la difesa; di difendersi e avere in pieno, attraverso un difensore d'ufficio o personalmente, la possibilità di essere assistito e, quindi, di non veder violato il principio fondamentale del diritto di difesa e, soprattutto, quello di interrogare o far interrogare i testimoni a carico e di ottenere la citazione nell'interrogatorio dei testimoni a discarico alla pari condizione dei testimoni a carico, nonché - e questo punto, vale a dire la lettera e) del terzo comma dell'articolo 6 della convenzione della salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali mi preme particolarmente - che ogni accusato ha diritto a farsi assistere gratuitamente da un interprete se non comprende o non parla la lingua usata in udienza.

Il testo che oggi è all'esame e su cui noi esprimeremo voto favorevole ci crea delle perplessità perché sarebbe stato possibile migliorarlo e renderlo anche più aderente alle direttive della Corte europea e del Consiglio d'Europa. Pur con queste riserve e con l'auspicio che al Senato questa proposta di legge possa essere migliorata o che quanto meno il testo, mantenendo confermato il principio, possa subire delle modifiche migliorative, noi voteremo a favore.

Vorrei solo aggiungere due considerazioni. È opportuno ricordare, avendo seguito gli interventi di chi mi ha preceduto, i quali hanno sollevato delle perplessità e paventato dei rischi rispetto alla proposta di legge in esame, che la richiesta di revisione non significa assolutamente - soprattutto rispetto alle maglie ristrette previste dal nuovo articolo 630-bis - assoluzione, ma solamente ed esclusivamente che qualora ci sia stata una violazione di quei principi fondamentali che possono avere determinato il rischio di un errore giudiziario, quel soggetto ha la possibilità di rivolgersi nuovamente ai giudici, che sono autonomi e indipendenti nella loro valutazione, per vedere se effettivamente vi erano le prove necessarie e sufficienti per una loro condanna.

Vorrei concludere ricordando le parole del professor Conso che in una recente intervista proprio rispetto alla proposta di legge sulla revisione del processo dopo la condanna da parte della corte di Strasburgo, ha concluso la sua illuminata intervista con queste parole: siamo in ritardo sia da un punto di vista assoluto perché dal 1999 il Consiglio d'Europa attraverso i suoi organi segnala questa esigenza, sia da un punto di vista relativo dato che già 22 Stati si trovano in linea  con questa più larga revisione; ritardi a parte, l'Italia è tenuta a rispettare precise prescrizioni di portata europea, altrimenti, rischiamo brutte figure.

Io vorrei solo aggiungere: altrimenti, rischiamo che in carcere possano rimanere delle persone innocenti. Per questi motivi, il nostro voto sarà favorevole pur con le perplessità manifestate (Applausi dei deputati del gruppo di Rifondazione comunista e del deputato Biondi).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Kessler, al quale ricordo che ha 9 minuti a disposizione. Ne ha facoltà.

GIOVANNI KESSLER. Signor Presidente, vorrei esordire, dicendo che le perplessità, le timidezze, ben espresse dai colleghi che mi hanno preceduto, in particolare dagli onorevoli Fanfani, Finocchiaro e Bonito, che porteranno i nostri gruppi ad astenersi dal voto sul provvedimento in esame, non sono state manifestate rispetto ai principi sanciti nella Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo di cui si dice che il provvedimento in esame dovrebbe essere una sorta di esecuzione o di continuazione. Tra i diritti sanciti nella Convenzione (resa esecutiva, nel nostro ordinamento, con la legge del 1955) vi è quello sacrosanto ad un equo processo, descritto in maniera assai articolata nell'articolo 6 della Convenzione stessa, che nel nostro ordinamento - è già stato detto - abbiamo recepito per gradi.

Dal 1955 ad oggi il nostro ordinamento penale ha subito notevoli modifiche; in particolare, con la riforma completa del nuovo codice di procedura penale del 1989 sono state introdotte nuove leggi (anche recentemente), fino alla modifica dell'articolo 111 della Costituzione sul giusto processo. Sono intervenute nuove leggi, rilevanti per l'applicazione di questo principio sancito nella Convenzione dei diritti dell'uomo, finalizzate a disciplinare ad esempio il gratuito patrocinio, dunque il diritto di assistenza gratuita degli indagati, degli accusati nel processo.

L'adeguamento del nostro ordinamento a questo principio sancito nella Convenzione è stato un processo graduale nel tempo che, probabilmente, non è ancora terminato.

Ho voluto insistere su tale questione perché credo che uno dei limiti del provvedimento in esame, soprattutto direi dell'entusiasmo dei suoi sostenitori, sia costituito dal fatto che viene accentuato un certo aspetto di applicazione della Convenzione dei diritti dell'uomo, vale a dire quello per via giudiziaria di cui ci occuperemo tra poco.

Il vero scopo, la vera funzione, l'importanza della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, come di molte altre convenzioni simili, è l'incidenza sulla legislazione, sulla politica degli Stati che hanno aderito alla stessa (essi, infatti, dovranno adeguare le loro legislazioni nazionali a quanto sancito solennemente nella Convenzione).

Dunque, la più importante funzione della Convenzione è quella di spingere, se non costringere, per l'adeguamento delle legislazioni nazionali alla stessa. Questo scopo è stato, in gran parte, raggiunto dalla Convenzione se perfino oggi (non da molto tempo) vi è un articolo della Costituzione dedicato completamente al giusto processo.

Possiamo dire, pertanto, che, da questo punto di vista, sicuramente la Convenzione ha avuto una positiva applicazione tant'è che ora è ben difficile sostenere che il nostro ordinamento non rispetti la Convenzione stessa.

Ed allora, perché cercare con tanta enfasi uno strumento esecutivo della Convenzione, una sanzione per l'eventuale inosservanza dei principi della Convenzione a livello giudiziario? Su questo punto si concentrano le nostre perplessità ed i nostri dubbi, ovvero esattamente sullo strumento che si è scelto per rendere i principi di questa Convenzione esecutivi, in qualche modo effettivi nel nostro ordinamento o meglio ancora nei nostri processi.

Vi sono i dubbi già espressi sull'utilizzo dello strumento della revisione dei processi;  segnatamente, l'apertura di una fase di revisione del processo a seguito di una declaratoria negativa della Corte dei diritti dell'uomo sulla non osservanza nel nostro processo dei diritti di cui all'articolo 6 apre una strada nuova e assai rischiosa. Sino ad ora, la revisione dei processi è utilizzata esclusivamente per la sopravvenienza di fatti esterni e nuovi rispetto al processo, fatti oggettivi; con questa legge invece si avrà una revisione dei processi ed una riapertura dei processi italiani anche dopo il giudicato, a seguito di una rivalutazione degli stessi fatti già valutati in tre gradi di giudizio nel processo italiano e poi valutati ulteriormente in sede europea da un giudice straniero.

È una strada, questa, assai rischiosa perché di fatto introduce un quarto grado di giudizio ed una quarta valutazione degli stessi fatti, addirittura degli stessi vizi procedurali; una quarta istanza affidata ad un giudice che non è italiano. È facile immaginare come di questa opportunità si servirà un'infinità di difensori e di condannati, i quali, anche nella più remota speranza di ottenere una revisione del processo ed una decisione a loro favorevole, non esiteranno a proporre una marea di istanze alla Corte di Strasburgo per ottenere qualcosa. Ciò che otterranno invece sarà un appesantimento dei lavori della Corte di Strasburgo ed un allungamento dei processi. Questo per due motivi: in primo luogo perché l'articolo 6 comprende una lista sterminata di diritti che potrebbero essere violati e che quindi darebbero, secondo la nuova legge, motivo per la riapertura del processo ed una conseguente revisione. Persino le circostanze relative al fatto che il tribunale si trovi in pubblico o meno o se la stampa sia stata ammessa o meno, valutate da tre giudici italiani e che trovassero dissenzienti i giudici europei porterebbero alla riapertura ed anche ad una revisione del processo.

Non crediamo che ciò aiuti la giustizia nei nostri processi, anzi rischia di appesantire questi ultimi, allungandoli, e rischia di deresponsabilizzare noi parlamentari delegando tutto ad un giudice straniero e alla sua sanzione, mentre invece, come dicevo in apertura, credo che la prima responsabilità di noi parlamentari e dell'istituzione parlamentare sia quello di adottare una legislazione che non permetta che i nostri processi siano poi sanzionati dalla Corte europea.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Mario Pepe. Ne ha facoltà.

MARIO PEPE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il gruppo di Forza Italia esprimerà voto favorevole su questa proposta di legge perché la tutela dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, nonché della dignità della persona umana rispetto ai soprusi e alla sopraffazione, rappresenta uno dei principi cardine delle democrazie europee.

In passato l'Italia ha fatto molto in questa direzione; è sufficiente pensare alle due Corti, quella europea dei diritti dell'uomo e quella penale europea, entrambe nate a Roma.

Purtroppo oggi, se si guarda al panorama giuridico internazionale, ci sono 34 paesi che hanno previsto nell'ordinamento interno le conseguenze di una sentenza della Corte: fra questi 34 paesi, tra cui c'è perfino la Turchia, non c'è l'Italia. Nonostante i continui richiami da parte di Strasburgo, l'Italia è arrivata in ritardo a questa legge - io l'ho seguita dall'inizio - e il motivo è da ricercarsi nelle perplessità di molti colleghi, sia della maggioranza che dell'opposizione. I colleghi temevano che il nostro sistema giudiziario giungesse al collasso perché tutti, come diceva prima l'onorevole Kessler, avrebbero fatto ricorso, tutti avrebbero chiesto la revisione dei processi. Ma ci sono due limitazioni: la limitazione contenuta nella Convenzione, che stabilisce che solo entro 180 giorni dalla sentenza definitiva si può fare ricorso, e quella contenuta nella legge che abbiamo scritto, la quale, al comma 2 dell'articolo 1, recita: la richiesta di revisione ai sensi dell'articolo 630-bis è inammissibile se la violazione delle disposizioni ivi richiamate non ha avuto incidenza  rilevante sulla decisione e se non permangono gli effetti negativi della esecuzione della sentenza o del decreto penale di condanna.

Per quanto riguarda la perplessità e l'eccezione di incostituzionalità dell'emendamento Finocchiaro 2.5, un intervento autorevole del Presidente emerito della Corte costituzionale ha dichiarato che già in passato la Corte ha utilizzato il doppio binario in materia.

Mi avvio alla conclusione. Questa legge, che viene approvata alla fine del primo mese del semestre italiano di presidenza europea, avvicina l'Italia a quello spazio giuridico di cui parlava prima l'onorevole Finocchiaro, avvicina l'Italia a quello spazio giuridico europeo, avvicina l'Italia all'Europa che non è soltanto l'Europa del mandato di cattura internazionale, ma è soprattutto l'Europa della civiltà e del diritto (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Cola. Ne ha facoltà.

SERGIO COLA. Signor Presidente, ho il dovere di ricordare un dato storico. Non è che in questa legislatura si presenti per la prima volta una proposta di legge siffatta. Una proposta di legge siffatta è stata presentata anche nella XIII legislatura, ancora prima che si mettesse mano all'articolo 111 della Costituzione, tanto perché - lo devo dire con grande sincerità - la famosa Convenzione dei diritti dell'uomo, che è stata ratificata il 4 agosto del 1955, per ben 44-45 anni non è stata mai attuata nel codice di procedura penale. Non sono state mai recepite quelle norme e quei principi importantissimi, tra i quali il più clamoroso: il rispetto del contraddittorio delle parti che è previsto dalla lettera d) del terzo paragrafo dell'articolo 6.

Questa proposta di legge presentata nella XIII legislatura, che recava la mia firma, era coeva alla modifica dell'articolo 513 (bisogna rinfrescare un po' la memoria in proposito). Con l'articolo 513 noi introducemmo una sorta di contraddittorio delle parti nell'ambito del dibattimento. Il 513 fu travolto clamorosamente da una discutibile sentenza della Corte costituzionale e si diede la stura, a livello trasversale, alle modifiche all'articolo 111 e, quindi, alla recezione totale dei principi della Convenzione dei diritti dell'uomo, in particolare quelli previsti dall'articolo 6.

Soffermandomi un poco su questo aspetto, devo dire che ho sentito degli interventi da parte della sinistra - soprattutto dei Democratici di sinistra - tendenti a tutelare la sistematica dell'assetto del codice di rito, nel senso che non si può procedere all'ampliamento dei casi di revisione che sono previsti solo a livello non endoprocessuale, ma extraprocessuale.

Ho sentito l'onorevole Fanfani che si è soffermato prevalentemente sul regime transitorio e lo ha fatto istintivamente, forse, inconsapevolmente, dando atto di ciò che ho detto poco tempo fa, ossia che tutte le questioni nascono da una chiarissima inadempienza dello Stato italiano quando non ha recepito i principi dei diritti dell'uomo ratificati quarantacinque, quarantasei anni fa.

Mi chiedo: se abbiamo modificato l'articolo 111 e se finalmente siamo stati costretti - ancora lo dobbiamo fare - a modificare il codice di rito perché vi sia un adeguamento del codice di procedura penale alla Convenzione dei diritti dell'uomo che abbiamo recepito con l'articolo 111, questo non è un quid novi? È un quid novi che deve assolutamente metterci nella condizione di ampliare i casi di revisione. Mi domando, onorevole Kessler, che, poc'anzi, ha parlato veramente da pubblico ministero, come colui che vuole tutelare determinate indagini che sono state recepite da giudicanti, le pare bello che non debba essere un caso di revisione la violazione del principio di contraddittorio, ossia una condanna che si basi su dichiarazioni di un chiamante in correità che si è rifiutato di rispondere in dibattimento? Tutto questo deve essere il pilastro per un'affermazione di responsabilità senza che la difesa abbia potuto praticare il rispetto della lettera d), ossia esaminare o fare esaminare i testimoni a carico ed  ottenere la convocazione e l'esame dei destinatari a discarico? Allora il processo chi lo fa? Solo la pubblica accusa? La difesa è una testa di legno, un uomo di paglia che non ha alcun tipo di funzione perché vale solo e deve essere utilizzato solo ciò che afferma il pubblico ministero? No. Queste affermazioni, per la verità, non sono armoniche ad una civiltà di diritto e non sono assolutamente degne da parte di chi le pronuncia.

Vorrei far riferimento assolutamente alla situazione europea per poi concludere con una notazione che ritengo sia, in un certo senso, importante svolgere in questa sede.

Per un solo istante, sembriamo l'anomalia di tutto il mondo: quello che facciamo noi non si può fare secondo le vestali e i depositari della morale, ossia la sinistra, mentre si può, anzi, si deve fare in tutta Europa! La Convenzione dei diritti dell'uomo è stata attuata e si sono ampliati i casi di revisione ovunque!

Il relatore, dinanzi alla Commissione, enumerò paesi, Austria, Bulgaria, Croazia, Lussemburgo, Svizzera e Regno Unito, gli Stati che hanno legiferato ampliando i casi di revisione per prevedere la revisione quando vi sia stata una violazione dei diritti dell'uomo recepita dall'alta Corte di giustizia. Altri paesi l'hanno attuata a livello giurisprudenziale, ma - mi rivolgo particolarmente agli onorevoli Bonito, Kessler e Finocchiaro - lo hanno fatto in base ad un principio che qui sfugge e che non è stato assolutamente evocato, ossia che le sentenze dell'alta Corte sono sentenze vincolanti! Cosa significa vincolanti? Significa che quando riguardano la prima parte dell'articolo 6, la durata non ragionevole del processo, si estrinsecano e si concretizzano in un diritto al risarcimento danni, ma quando si estrinsecano nell'ambito della violazione del paragrafo 3, mi volete dire cosa significa sentenza vincolante? Non rivedere il processo nei confronti della persona condannata all'ergastolo? La violazione dell'articolo e l'elemento vincolante della sentenza della Corte di giustizia non dovrebbero portare, secondo questo indirizzo, alla revisione del processo? Ma siamo all'assurdo? Si dovrebbe far marcire una persona per tutti i suoi giorni in carcere pur sapendo che vi è stata una violazione dell'articolo 111 della Costituzione e magari trasferire agli eredi il risarcimento dei danni di chi è stato condannato e ha marcito nelle patrie galere per tutta la propria vita. Questo è un modo di ragionare assurdo, incivile non degno dell'Italia che è stata la culla del diritto.

Allora, ripeto, con i distinguo che abbiamo operato, adeguandoci all'Europa, per la prima volta ripariamo ad un'iniquità non degna di noi. Forse, questo è il primo passo. Votare a favore di questa legge significa veramente far rialzare la testa all'Italia, significa farla andare ancora orgogliosa di quella civiltà giuridica di cui è stata sempre custode (Applausi del deputato Biondi).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Biondi. Ne ha facoltà.

ALFREDO BIONDI. Signor Presidente, intervengo a titolo personale perché, per il gruppo di Forza Italia, si è espresso, da par suo, l'onorevole Mario Pepe. Desidero, ora, dire alcune cose perché ho ascoltato con grande interesse quanto è stato detto dai colleghi Bonito e Kessler, oltre che da quelli che più mi sono più vicini, su questo tema, come Cola ed altri.

Bonito ha ragione: si tratta di una causa di revisione nuova. Se non fosse nuova, non saremmo qui a discuterne! Ogni tanto, vengono fuori, anche dai giuristi più raffinati, visioni lapalissiane non in linea con una metodologia nella quale la novazione ha una sua caratteristica derivante proprio dall'esigenza dell'adeguamento del diritto alla realtà mutata dei tempi, alla sensibilità giuridica popolare, ai diritti dell'uomo, i quali, naturalmente, evolvono, così come dovrebbero evolvere la statura politica ed anche quella giuridica di chi esamina queste materie.

È stato detto che si tratta di un atto dovuto. Dovuto perché? È dovuto perché non è stato voluto nei momenti in cui si  poteva e si doveva. Se la volontà è l'attuazione di ciò che si desidera nel momento in cui si può, perché tale volontà non è stata esercitata? Perché c'è un'Europa retorica, alla quale siamo tutti disposti ad inchinarci; poi, c'è una Europa più difficile, quella dei diritti la cui realizzazione contravviene alle situazione stratificate, ai vantaggi corporativi ed anche ai vantaggi dello stare decisis. Non si tratta di avere un sistema diverso da quello che ci regola, ma di avere - l'ha detto, poco fa, Fanfani, al quale rubo la frase - un'obbedienza tolemaica al diritto, secondo una visione nella quale ci deve essere qualche stella fissa e le altre che brillano, se brillano, di luce riflessa.

GIUSEPPE FANFANI. Grazie per la citazione!

ALFREDO BIONDI. Noi siamo attratti da queste nostalgie ed abbiamo la difficoltà di stare ai tempi e di stare alle situazioni.

È stato obiettato da Bonito: ma non si tratta di un quid novi, di una sopravvenienza probatoria imprevista, imprevedibile, non considerata; no - dice lui - si tratta di una violazione di diritto. Come se fosse meno! Come se la violazione di un diritto naturale, di un diritto dell'uomo, che modifica l'equilibrio tra le parti - tra chi accusa, chi si difende e chi giudica -, non fosse ciò che veramente sbriciola la realtà giuridica, la quale si fonda sull'equilibrio e sulla possibilità di stare, nella tutela dei diritti, non dalla parte di questo o di quello, ma dalla parte di chi ha ragione, secondo un metodo giusto. Se si è violato questo criterio, se una corte dice che è stata commessa siffatta violazione, che volete di più, di nuovo - anzi, di antico! -, del principio secondo il quale la legge deve essere rispettata sempre e secondo il quale l'uomo è al centro della legge e deve esserne considerato il vero destinatario?

Ho battuto le mani a Pisapia e qualcuno mi ha rimproverato. Non sono solito battere le mani agli avversari, però sono solito capire le loro ragioni, le loro buone ragioni e non ho mai distinto, sotto questo profilo, un banco da un altro. Perciò, se, una volta tanto, Pisapia ha ragione - non sempre gli succede! - sono stato contento di applaudirlo su un tema sul quale non c'è differenza tra destra e sinistra o centro, ma c'è differenza tra conservatori e progressisti, quelli che credono che l'evoluzione del diritto sia uguale all'evoluzione dei popoli (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza nazionale).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Taormina. Ne ha facoltà.

CARLO TAORMINA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, questa disciplina costituisce un adempimento tardivo rispetto ad una normativa come quella europea per la quale questo costituisce il primo atto attraverso il quale dare ad essa esecuzione. È stato già detto, ma è bene che si ribadisca, che il motivo per il quale soltanto oggi si provvede a dare seguito ai contenuti dispositivi dell'articolo 6 della Convenzione europea è dipeso fondamentalmente da un certo modo di procedere della nostra legislazione processuale penalistica che ha sentito i rintocchi di una Corte costituzionale (prima si ricordava da parte dell'onorevole Cola la storia dell'articolo 513), la quale è stata fortemente renitente su questo tema rispetto al problema che oggi ci occupa. Dunque, si tratta di una ottemperanza che diventa un punto di vantaggio e di distinzione finalmente anche per il nostro ordinamento, e non conta la quantità dei ricorsi o delle istanze che potranno essere presentate perché si tratta di dover risarcire un danno che in passato può essere stato consumato.

Vorrei anche dire che questa nuova disciplina della revisione, con riferimento a questo particolare caso, si inserisce nel solco di una normativa processuale, che riguarda questo istituto, che certamente ha visto notevoli ampliamenti nella legislazione che attualmente ci governa; da un istituto che era fortemente ristretto dal punto di vista dei presupposti e delle  procedure, che era recato dal codice Rocco, si è passati invece ad una disciplina più ampia con la possibilità di applicazione dell'istituto stesso sulla base della possibilità di pervenire a formule proscioglitive anche meno gravi e meno drastiche di quanto non fosse nel passato.

L'onorevole Bonito e con lui anche altri intervenuti, in ultimo l'amico e collega, onorevole Biondi, hanno parlato, con riferimento a questo caso, di una ipotesi nettamente distinta da quelle che riguardano tradizionalmente la revisione; nel momento in cui - è stato detto - c'è un problema di osservanza di norme è una questione di diritto, che è posta a fondamento della revisione, normalmente riservata a questioni di fatto. A me pare di dovere rispondere che invece questo istituto, così come emerge dalla normativa che stiamo per approvare, rispecchi in tutte le sue caratteristiche il tradizionale istituto della revisione. Vorrei far notare che certamente saranno molte le ipotesi di istanze di revisione, ma certamente quelle che saranno le più importanti e che potranno aspirare ad essere accolte riguarderanno la osservanza del principio del contraddittorio, proprio per quella ragione di cui parlavamo prima, un contraddittorio che fu smorzato, fu interrotto, fu vietato da alcune sentenze della Corte costituzionale.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MARIO CLEMENTE MASTELLA (ore 17)

CARLO TAORMINA. È chiaro che in un caso del genere, quando la questione di diritto sarà sottoposta al vaglio del giudice della revisione, intanto sarà possibile che essa si traduca in una causa effettiva di revisione in quanto si parta dal presupposto che la circostanza di fatto consegnata da una formazione della prova contraria ai principi della convenzione invece possa essere diversa da quella originariamente individuata.

E questa interpretazione è confermata dalla disposizione di cui al comma 1-bis dove si prevede che intanto sarà possibile che la violazione di diritto costituisca causa di revisione in quanto essa sia incidente in maniera rilevante sulla decisione. Questo significa che non si può non prescindere dalla circostanza di fatto che si allega come risultato di quella formazione probatoria illegale e che, quindi, riporta ai presupposti tradizionali della revisione. Tradizionali anche nel senso della sopravvenienza, perché la sopravvenienza di una circostanza di fatto, costituita attraverso un procedimento probatorio diverso da quello originario ed illegale, realizza esattamente i presupposti che sempre hanno fatto parte della disciplina della revisione. Da qui, un collegamento non soltanto dal punto di vista dei presupposti ma anche da quello della complessiva disciplina; perché è evidente che intanto la revisione potrà avere successo sulla base di questa normativa in quanto si tratti di una circostanza di fatto - quella diversamente acquisita rispetto all'originaria formazione illegale della prova -, da sola oppure unita alle prove già esistenti in quel processo, e possa produrre una decisione definitiva.

Ritengo, quindi, che possiamo con assoluta tranquillità esaminare ed approvare questo provvedimento che è nel solco della tradizione dell'istituto e che costituisce un risarcimento doveroso rispetto a tante sentenze a cui, non essendo state applicata quella normativa, hanno avuto o possono aver avuto un risultato diverso da quello di giustizia.

Onorevoli colleghi, signor Presidente, concludo questo mio intervento con una notazione, che rimane tale in quanto non è stata tradotta in alcun emendamento almeno per quanto è a mia conoscenza, per dire che se approveremo questa normativa credo che per difetto incorreremo in una questione di legittimità costituzionale. Se è vero che il principio di diritto ha determinato la costruzione di una circostanza di fatto che è stata decisiva per concludere un processo in un modo piuttosto che in un altro non vedo per quale ragione e come sia possibile che un'identica situazione, riguardante qualcuno dei processi celebratisi per quei reati per i quali è stata stabilita la  esclusione dell'operatività di questa disciplina, possa sottrarsi al giudizio di incostituzionalità della Corte costituzionale. Sarebbe stato, quindi, certamente bene che di questo problema ci si fosse occupati in questa sede. Non esiste ragione plausibile, non esiste motivo, e in titoli di reato non hanno alcuna importanza dentro ai processi, perché si possa affermare con un minimo di plausibilità che, a seconda dei reati, si abbiano dei diversi processi quando si tratta di materie che colgono all'essenziale dello svolgimento dei processi o all'essenziale della formazione della prova e, quindi, del giudizio. Mi limito a svolgere soltanto questa rilevazione perché se noi non ce ne interesseremo, dopo sarà certamente la Corte costituzionale, una Corte che abbia un minimo di credibilità e di attendibilità, a sancire quello che in questo momento non capisco per quale ragione e per quale timore un Parlamento come il nostro, nel caso in cui un mafioso o un qualunque altro imputato di gravissimi reati sia stato giudicato e condannato ingiustamente in base a quella prova illegale, non debba avere il coraggio di dire come stanno le cose (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Buemi. Ne ha facoltà.

ENRICO BUEMI. Signor Presidente, per noi socialisti la visione dei rapporti tra cittadino e Stato è stata da sempre attenta sia al tema delle garanzie nel processo, poiché esse tutelano gli interessi di tutti, e non solo quelli dell'imputato, sia al rispetto dei princìpi fondamentali, ai quali pensiamo non si debba mai derogare.

I princìpi sanciti dell'articolo 111 della Costituzione sono stati un grande passo in avanti, e dunque ad essi ci richiamiamo per la nostra valutazione; invece, anche con il provvedimento al nostro esame, come già altri approvati in questi anni, vi è stata una deroga al rispetto rigoroso di tali princìpi.

Il prevalere dell'opportunità politica in materia di giustizia non ci convince: più sono gravi i reati, più alto deve essere il sistema delle garanzie previsto nel processo, perché più alto è il rischio di provocare gravi danni in base a sentenze sbagliate. In questa sede abbiamo fatto il contrario, ed è per questo motivo che i socialisti democratici italiani, pur essendo una piccola forza, ma non volendo rinunciare ai princìpi a cui da sempre si sono ispirati, si asterranno dal voto, perché è mancato il coraggio dei più ad abbandonare il doppio binario, retaggio di una impostazione che non abbiamo mai condiviso e che consideriamo ingiusta.

Siamo consapevoli che non si tratta di una posizione popolare, ma pensiamo ad un futuro di maggiore e più avanzata civiltà giuridica (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Socialisti democratici italiani e del deputato Biondi).

PRESIDENTE. Sono così esaurite le dichiarazioni di voto sul complesso del provvedimento.

AURELIO GIRONDA VERALDI, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

AURELIO GIRONDA VERALDI, Relatore. Signor Presidente, innanzitutto rilevo con soddisfazione che il mio doppio cognome è stato recepito bene dal Presidente e non è stato deformato come la volta scorsa.

Ho ascoltato tutti gli interventi, qualificati e motivati, li ho apprezzati e sarebbe stato inutile un intervento da parte del relatore se non si fosse recentemente verificato questo infortunio relativo alle interpretazioni della legge. È bene, allora, che resti agli atti qualcosa in più e, soprattutto, il pensiero della Commissione e della maggioranza.

L'intervento più efficace da un punto di vista immediato è stato quello del padre della legge, l'onorevole Mario Pepe, il quale, da buon medico, l'ha prima radiografata, poi diagnosticata e successivamente ne ha fatto una prognosi: diamogli atto che la sua qualità di medico è servita anche in sede legislativa.

Questo provvedimento, signori, è una buona legge; mi soffermo alla lettura, perché voglio che resti fermo il mio pensiero sul provvedimento che ci accingiamo a votare, anche se perviene con notevole ritardo rispetto al suo oggetto; vorrei aggiungere: forse troppo tardi, al punto da renderla inutile, per le considerazioni che da qui a poco svolgerò.

Come è risaputo, da tempo e con frequenza la Corte europea dei diritti dell'uomo cui abbia avuto modo di rivolgersi un cittadino italiano per presunta violazione dell'articolo 6, inserito nel titolo I (Diritti e libertà) della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, resa esecutiva ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848, ha stabilito, sotto il suddetto profilo, la responsabilità dell'Italia quale Stato membro.

Le sentenze di condanna, pur avendo sancito la violazione della normativa, con riferimento all'articolo 6 della suddetta Convenzione, sono rimaste senza effetto fino all'approvazione della cosiddetta «legge Pinto», sia pure circoscritta alla violazione della norma relativa alla ragionevole durata del processo.

Con il provvedimento al nostro esame (atto Camera n. 1447), l'Italia si propone di allinearsi a quasi tutte le legislazioni degli altri paesi membri, i quali, da tempo, hanno già decretato la suscettibilità alla revisione delle sentenze di condanna che abbiano formato oggetto di esame e di condanna da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo.

Il testo unificato delle proposte di legge n. 1447 d'iniziativa dei deputati Mario Pepe ed altri e del deputato Cola, che peraltro ha ripreso quella presentata da parlamentari di maggioranza e minoranza della precedente legislatura, ha registrato il consenso di quasi tutti i membri della Commissione modulato nei termini che si colgono nel testo offerto alla valutazione dell'Assemblea.

La Commissione si è incaricata di proporre una legge che, pur rispettando l'esigenza di giustizia di accordare al destinatario della sentenza di condanna dello Stato italiano il diritto di proporre istanza di revisione, ne ha disciplinato l'esercizio con la giusta preoccupazione di evitare un'inflazione dell'istituto con un conseguente appesantimento delle relative procedure.

Con queste annotazioni sto rispondendo, sia pure succintamente, a tutte le critiche che sono state mosse alla legge. Da qui la previsione - questo è importante - di una declaratoria di inammissibilità in camera di consiglio ma con la garanzia del contraddittorio imposto dall'articolo 127 del codice di procedura penale, se il giudice con una valutazione affidata all'esercizio del suo potere discrezionale stabilisca che la violazione delle disposizioni di cui all'articolo 630-bis non abbia avuto incidenza rilevante sulla decisione e che non permangano gli effetti negativi dell'esecuzione della sentenza.

Non vi è pericolo di inflazione ai fini della decisione e, per le ragioni che illustrerò di qui a poco, non vi è nemmeno pericolo di inflazione nelle richieste. Secondo la Commissione, la preclusione alla richiesta di revisione sotto quest'ultimo profilo va riferita ai casi in cui il condannato abbia già scontato la pena. Mi interessa fermarmi su questo punto: infatti, mi è stato proposto amichevolmente fuori dall'Assemblea il quesito se queste conseguenze possano essere di natura diversa ed io sono di questa opinione. È ovvio che resta impregiudicato il diritto al ricorso all'articolo 630-bis nei casi in cui permangano comunque effetti negativi.

Un giudizio autorevole e motivato sull'urgenza e la bontà della legge è stato recentemente espresso da un luminare della procedura penale, il professor Giovanni Conso, di cui parlava poco fa l'onorevole Pisapia. Ho quell'intervista nella mia cartella e la conservo con il rispetto e la venerazione che merita l'autorevole autore della stessa. Si può con lui affermare che le sentenze di condanna passibili di revisione saranno solo quelle già pronunziate o da pronunziare per violazione del diritto di difesa. Purtroppo, non saranno molte a causa del ritardo con cui sopravviene questa legge. Infatti, per il passato pochi condannati, in mancanza di una  normativa interna che prevedesse la revisione, hanno fatto ricorso alla Corte europea dei diritti dell'uomo nel termine di sei mesi dalla definitività della sentenza di condanna. Costoro ritenevano che fosse inutile ed ultroneo richiedere una sentenza di condanna dello Stato italiano perché la sentenza stessa, data la nostra legislazione, si sarebbe potuta semplicemente incorniciare e mettere in salotto.

Per il presente, essendo entrata in vigore la legge del 1o marzo 2001, n. 63 che attua la legge costituzionale di riforma dell'articolo 111 della Costituzione, è improbabile - e direi che è difficilissimo - che si verifichino violazioni dell'articolo 6 della Convenzione suscettibili, peraltro, di impugnazione con i mezzi processuali a disposizione dell'imputato.

Come ho detto all'inizio, forse questa legge è inutile perché con l'articolo 111 della Costituzione, con la norma che lo ha attuato e con quelle norme che noi auspichiamo vengano approvate al più presto non vi potranno essere più violazioni di legge rispetto al diritto dell'imputato, anche perché se ciò avverrà, saranno comunque suscettibili di impugnazione presso il giudice competente.

Una nota a parte merita l'emendamento Finocchiaro 2.5 approvato poc'anzi dall'Assemblea con parere favorevole della Commissione e del Governo. Con tale emendamento si preclude l'esercizio del diritto alla revisione al condannato per i reati di cui all'articolo 51, 3-bis e 4-ter del codice di procedura penale, ma non per il futuro. Per il futuro anche coloro i quali rispondono dei reati di cui all'articolo 51 potranno avvalersi della presente legge. La suddetta limitazione si applica ai processi in corso ed a quelli già definiti nel caso in cui sia stata già pronunciata sentenza di condanna dello Stato membro per violazione dell'articolo 6 della Convenzione.

Ci siamo posti il problema con un senso di responsabilità che deve appartenere a tutti, salve le discriminazioni che si possono fare sulla promulgazione della legge.

PRESIDENTE. Onorevole Gironda Veraldi...

AURELIO GIRONDA VERALDI, Relatore. Personalmente ero e sono contrario alla linea cosiddetta del doppio binario già seguita, peraltro, con l'avallo della giurisprudenza della Corte costituzionale nel nostro sistema processuale: l'abbiamo dovuta applicare in molti processi ed in molte situazioni. Si è sostenuto, però, che essendovi in corso numerosi e complessi processi di cui al citato articolo iniziati prima che fosse introdotto il principio del giusto processo le eventuali sentenze di condanna sarebbero passibili di fondato ricorso...

PRESIDENTE. Onorevole Gironda Veraldi, deve concludere...

AURELIO GIRONDA VERALDI, Relatore. ...a causa dell'evidente violazione dell'articolo 6 conseguente all'applicazione della vecchia normativa. Inoltre...

PRESIDENTE. Onorevole Gironda Veraldi, le do un minuto.

AURELIO GIRONDA VERALDI, Relatore. Concludo, Presidente. È prevalso il criterio dell'esigenza di politica criminale anche se qualcuno ha sostenuto che l'istituto della revisione, pur essendo una norma inserita nel sistema processuale, ha natura di diritto sostanziale. Quindi, si potrebbero individuare nella discriminazione soggettiva profili di incostituzionalità.

Signor Presidente, la ringrazio e ringrazio tutti coloro che hanno contribuito alla formazione del provvedimento in esame (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza nazionale e di Forza Italia).

(Coordinamento - A.C. 1447)

PRESIDENTE. Prima di passare alla votazione finale, chiedo che la Presidenza sia autorizzata a procedere al coordinamento formale del testo approvato.

Se non vi sono obiezioni, rimane così stabilito.

(Così rimane stabilito).

(Votazione finale e approvazione - A.C. 1447)

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione finale.

Indìco la votazione nominale finale, mediante procedimento elettronico, sul testo unificato delle proposte di legge nn. 1447 e 1992, di cui si è testé concluso l'esame.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.

Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazioni).

(Modifiche al codice di procedura penale in materia di revisione dei processi penali a seguito di sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo) (1447-1992):

(Presenti 368

Votanti 228

Astenuti 140

Maggioranza 115

Hanno votato 227

Hanno votato no 1).

Prendo atto che gli onorevoli Cento e Realacci non sono riusciti votare ed avrebbero voluto astenersi.



Allegato A

 

TESTO UNIFICATO DELLE PROPOSTE DI LEGGE: MARIO PEPE ED ALTRI E COLA: MODIFICHE AL CODICE DI PROCEDURA PENALE IN MATERIA DI REVISIONE DEI PROCESSI PENALI A SEGUITO DI SENTENZE DELLA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO (1447-1992)

 

 


(A.C. 1447 - Sezione 1)

ARTICOLO 2 DEL TESTO UNIFICATO DELLA COMMISSIONE

Art. 2.

(Norma transitoria).

1. La richiesta di revisione può essere proposta entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge anche nel caso in cui la sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo o la decisione del Comitato dei ministri sia stata pronunciata prima di tale data.

PROPOSTE EMENDATIVE RIFERITE ALL'ARTICOLO 2 DEL TESTO UNIFICATO

ART. 2.

(Norma transitoria).

Subemendamento all'emendamento 2. 6 della Commissione

All'emendamento 2. 6 della Commissione, comma 1-bis, dopo le parole: della presente legge, aggiungere le seguenti: aventi ad oggetto i reati di cui all'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale.

0. 2. 6. 1. La Commissione.

Aggiungere, in fine, il seguente comma:

1-bis. Per i procedimenti in corso, ovvero già definiti al momento di entrata in vigore della presente legge, la richiesta di revisione non può essere proposta se la prova è stata formata legittimamente secondo le disposizioni vigenti al momento del giudizio.

2. 6. La Commissione.

Aggiungere, in fine, il seguente comma:

2. La revisione delle sentenze e dei decreti penali di condanna per uno dei reati di cui all'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale, non può essere richiesta qualora la violazione delle disposizioni di cui all'articolo 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, resa esecutiva ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848, sia stata commessa prima della data di entrata in vigore della presente legge.

2. 5. (Testo modificato nel corso della seduta)Finocchiaro, Bonito, Carboni.

(Approvato)

 


 


Senato della Repubblica

 


Progetti di legge

 


 

SENATO DELLA REPUBBLICA

¾¾¾¾¾¾¾¾   XIV LEGISLATURA   ¾¾¾¾¾¾¾¾

 

N. 2441

DISEGNO DI LEGGE

approvato dalla Camera dei deputati il 28 luglio 2003, in un testo risultante dall’unificazione dei disegni di legge

d’iniziativa dei deputati PEPE Mario, SAPONARA, LICASTRO SCARDINO, NAPOLI Osvaldo, COLASIO, SARDELLI, LAZZARI, BRUSCO, TARANTINO, RIZZI, LEONE Anna Maria, LORUSSO, LAMORTE, RICCIUTI, SANTORI e ORICCHIO (1447); COLA (1992)

(V. Stampati Camera nn. 1447 e 1992)

Trasmesso dal Presidente della Camera dei deputati alla Presidenza il 28 luglio 2003

 

 

¾¾¾¾¾¾¾¾

Modifiche al codice di procedura penale in materia di revisione a seguito di sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo

¾¾¾¾¾¾¾¾

 


 


 

DISEGNO DI LEGGE

 

Art. 1.

(Modifiche al codice di procedura penale)

1. Dopo l’articolo 630 del codice di procedura penale è inserito il seguente:

«Art. 630-bis. – (Revisione a seguito di sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo) – 1. Fuori dalle ipotesi previste dall’articolo 630, la revisione delle sentenze e dei decreti penali di condanna può essere richiesta se è accertato con sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che nel corso del giudizio sono state violate le disposizioni di cui all’articolo 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, resa esecutiva ai sensi della legge 4 agosto 1955, n.848».

2. All’articolo 633, comma 2, del codice di procedura penale, dopo le parole: «dall’articolo 630 comma 1 lettere a) e b)» sono inserite le seguenti: «e dall’articolo 630-bis».

3. All’articolo 634, comma 1, del codice di procedura penale, le parole: «629 e 630» sono sostituite dalle seguenti: «629, 630 e 630-bis».

Art. 2.

(Norme transitorie)

1. La richiesta di revisione può essere proposta entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge nel caso in cui la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo o la decisione del Comitato dei ministri sia stata pronunciata prima di tale data.

2. La revisione delle sentenze e dei decreti penali di condanna per uno dei reati di cui all’articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale, non può essere richiesta qualora la violazione delle disposizioni di cui all’articolo 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, resa esecutiva ai sensi della legge 4 agosto 1955, n.848, sia stata commessa prima della data di entrata in vigore della presente legge.

 


SENATO DELLA REPUBBLICA

¾¾¾¾¾¾¾¾   XIV LEGISLATURA   ¾¾¾¾¾¾¾¾

 

N. 498

DISEGNO DI LEGGE

d’iniziativa dei senatori COMPAGNA, SODANO Calogero, CIRAMI, CASTAGNETTI, CALLEGARO, CALDEROLI, GIULIANO, MONCADA LO GIUDICE di MONFORTE, IANNUZZI, BOBBIO Luigi, ALBERTI CASELLATI, GRECO, DELL’UTRI, CONTESTABILE e CONSOLO

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA  18 luglio 2001

 

 

¾¾¾¾¾¾¾¾

Revisione dei processi penali in seguito a sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo

¾¾¾¾¾¾¾¾

 


 


Onorevoli Senatori. – Nel corso della XIII legislatura, è stata approvata la legge 23 novembre 1998, n. 405, recante modifiche al codice di procedura penale in materia di revisione.

 

    La legge nasceva da un disegno di legge a firma della senatrice Scopelliti e altri (atto Senato n. 3168). Esso era volto non solo a modificare il comma 1 dell’articolo 633 del codice di procedura penale (nel senso di prevedere che la competenza a decidere sulla richiesta di revisione fosse attribuita alla corte d’appello individuata secondo i criteri dell’articolo 11 e non più a quella situata nel distretto in cui si trova il giudice che ha pronunciato la sentenza di primo grado), ma anche alla modifica dell’articolo 630 del codice di procedura penale. Ebbene, nel corso dell’esame, questa seconda parte del disegno di legge è stata stralciata, prevalendo allora l’urgenza di approvarne solo la prima.

    Gli articolo 2 e 3 della citata proposta legislativa (corrispondenti agli articoli 1 e 2 del presente disegno di legge) proponevano, infatti, l’inserimento all’articolo 630 del codice di procedura penale di una nuova ipotesi in cui sarebbe ammessa la revisione, nel caso in cui venisse accertato, con sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, che il cittadino non fosse stato in condizione di esercitare il suo diritto a una effettiva difesa a causa della violazione dell’articolo 6, paragrafo 3, lettere c) e d), della Convenzione della salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali di cui alla legge 4 agosto 1955, n. 848. Si ritenne che un intervento così significativo sull’istituto processuale della revisione meritasse un maggior approfondimento e, per tale ragione, venne adottata la soluzione dello stralcio.

    Giova per altro a tale proposito ricordare che in Francia, con la legge 2000-516 del 15 giugno 2000, sono stati inseriti nel codice di procedura penale francese gli articoli 626-1 e seguenti, con i quali è stata introdotta un’ipotesi di riesame delle decisioni penali definitive a seguito di pronuncia della Corte europea dei diritti dell’uomo.


 


 


DISEGNO DI LEGGE

 

Art. 1.

1. Al comma 1 dell’articolo 630 del codice di procedura penale è aggiunta, in fine, la seguente lettera:

«d-bis) se sia stata accertata con sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo la violazione dell’articolo 6, paragrafo 3, lettere c) e d), della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, di cui alla legge 4 agosto 1955, n.848».

Art. 2.

1. All’articolo 633 del codice di procedura penale è aggiunto, in fine, il seguente comma:

«3-bis. Nel caso previsto dall’articolo 630, comma 1, lettera d-bis), alla richiesta deve essere unita copia autentica della sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo».

 


Esame in sede referente

 


GIUSTIZIA (2a)

giovedi' 6 NOVEMBRE 2003

283a Seduta (antimeridiana)

 

Presidenza del Presidente

Antonino CARUSO

 

La seduta inizia alle ore 15.

 

IN SEDE REFERENTE

 

(2441) Modifiche al codice di procedura penale in materia di revisione a seguito di sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo, approvato dalla Camera dei deputati in un testo risultante dall'unificazione dei disegni di legge d'iniziativa dei deputati Mario Pepe ed altri e Cola

(498) COMPAGNA ed altri. - Revisione dei processi penali in seguito a sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo

(Esame congiunto e rinvio)

 

Riferisce il senatore ZICCONE (FI) il quale, dopo aver rilevato come i disegni di legge in titolo propongano entrambi l'introduzione nell'ordinamento italiano di una nuova ipotesi di revisione a seguito di sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo, si sofferma in particolare sul disegno di legge n. 2441, già approvato dalla Camera dei deputati. L'articolo 1 di tale disegno di legge introduce nel codice di procedura penale con il nuovo articolo 630 bis l'ipotesi di revisione, alla quale già si è già accennato, agganciandola specificamente al caso in cui con sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo sia stata accertata una violazione dell'articolo 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali ed effettuando, inoltre, alcuni interventi di coordinamento sugli articoli 633 e 634 dello stesso codice. L'articolo 2 del disegno di legge contiene invece una disposizione di carattere transitorio con la quale si stabilisce che la richiesta di revisione ai sensi della nuova normativa potrà essere proposta entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore della stessa, nel caso in cui la sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo o la decisione del Comitato dei Ministri che accertano la violazione siano state pronunciate prima di tale data. Si prevede inoltre che la revisione delle sentenze e dei decreti penali di condanna non possa essere richiesta per i reati di cui all'articolo 51, commi 3 bis e 3 quater, del codice di procedura penale, qualora la violazione dell'articolo 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo sia stata commessa prima dell'entrata in vigore della nuova legge.

Il relatore, nel sottolineare in generale il carattere fortemente innovativo delle proposte in esame, ritiene però che sulle stesse possa senz'altro esprimersi un giudizio positivo, anche se è indubbiamente necessaria un'attenta riflessione per calibrare il nuovo meccanismo procedurale così da consentire un più agevole inserimento dello stesso nell'attuale quadro ordinamentale.

Forti perplessità suscita invece la disposizione transitoria contenuta nell'articolo 2 del disegno di legge n. 2441. Non può infatti non rilevarsi come dal punto di vista tecnico sarebbero state senz'altro praticabili sia la scelta di escludere del tutto l'applicabilità del nuovo istituto ai casi in cui la violazione della Convenzione europea si fosse verificata anteriormente alla data di entrata in vigore della nuova legge, sia la soluzione di estendere l'applicabilità del nuovo istituto anche a tali casi. Ciò che invece sembra difficilmente sostenibile è che il nuovo istituto si applichi in riferimento alle violazioni anteriori, quando si tratta della generalità dei reati, e non possa invece trovare applicazione con riferimento a due gruppi di reati che si contraddistinguono esclusivamente per la loro gravità, essendo insostenibile un'impostazione fondata sull'implicito presupposto che il valore della presunzione d'innocenza e del rispetto delle regole del giusto processo possa avere un rilievo minore in funzione proprio di tale gravità.

Il relatore richiama infine l'attenzione sul rapporto fra il nuovo meccanismo procedurale delineato e il disposto dell'articolo 631 del codice di procedura penale. Al riguardo, ritiene che la formulazione del testo licenziato dalla Camera dei deputati comporti che le richieste di revisione presentate ai sensi del nuovo articolo 630 bis dovranno passare attraverso il filtro di ammissibilità previsto nel citato articolo 631. Tale soluzione gli appare obbligata sul piano interpretativo e, però, non può non rilevare come la formulazione del citato articolo 631 presupponga le ipotesi di revisione attualmente previste dall'articolo 630 del codice penale che sono ipotesi che presuppongono un'anomalia nel merito della sentenza di condanna, o in quanto la stessa è in contraddizione con altre sentenze ovvero in quanto, alla luce di nuove prove o di nuovi fatti, la sentenza appare ingiusta. La nuova ipotesi di revisione invece si differenzia radicalmente da quelle già previste in quanto essa troverebbe il suo presupposto in una anomalia di tipo procedurale. Ciò determina inevitabilmente il rischio di qualche difficoltà sul piano interpretativo.

Propone da ultimo di congiungere l'esame dei disegni di legge in titolo e di assumere come testo base per il prosieguo dell'esame il disegno di legge 2441.

 

Non facendosi osservazioni, così rimane stabilito.

 

Il presidente Antonino CARUSO, rinvia il seguito dell'esame congiunto.

 

La seduta termina alle ore 15,20.


GIUSTIZIA (2a)

martedi’ 11 novembre 2003

284a Seduta (antimeridiana)

 

Presidenza del Presidente

Antonino CARUSO

 

 

La seduta inizia alle ore 15,50.

 

IN SEDE REFERENTE

(omissis)

(2441) Modifiche al codice di procedura penale in materia di revisione a seguito di sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo, approvato dalla Camera dei deputati in un testo risultante dall'unificazione dei disegni di legge d'iniziativa dei deputati Mario Pepe ed altri e Cola

(498) COMPAGNA ed altri. - Revisione dei processi penali in seguito a sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo

(Seguito dell' esame congiunto e rinvio)

 

Riprende l'esame congiunto dei disegni di legge in titolo, sospeso nella seduta pomeridiana del 6 novembre scorso.

 

Il presidente Antonino CARUSO dichiara aperto il dibattito.

 

Interviene il senatore ZANCAN (Verdi-U) il quale invita a valutare la problematica, da approfondire, relativa alla necessità o meno di distinguere, ai fini della possibilità di addivenire alla revisione delle condanne a seguito di sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, tra le possibili violazioni considerate dall'articolo 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. Ritiene, a questo proposito, in prima approssimazione, che con molta probabilità la formulazione del nuovo articolo 630-bis, risultante dal testo approvato dalla Camera dei deputati, sia eccessivamente ampia. Si chiede infatti se non sia più opportuno circoscrivere la portata della disposizione che al momento sembrerebbe consentire la revisione, ad esempio, anche in presenza di sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo che dichiarano l'avvenuta violazione del principio della durata ragionevole del processo.

 

Il senatore FASSONE (DS-U) sottolinea come i disegni di legge in titolo incidano in modo fortemente innovativo sull'assetto del sistema processuale italiano, introducendo un'eccezione ad un principio generale fino ad oggi mai derogato, vale a dire quello dell'irrilevanza delle violazioni di carattere procedurale una volta che sia intervenuto il giudicato. Tale conclusione trova agevole conferma se si considera che le ipotesi sulla base delle quali può essere richiesta la revisione ai sensi del vigente articolo 630 del codice di procedura penale concernono tutte il merito dell'accertamento contenuto nella sentenza di condanna. Il nuovo articolo 630-bis del codice di procedura penale, come introdotto dal disegno di legge n. 2441, configura invece un'ipotesi di revisione conseguente ad una violazione di tipo processuale e la portata di tale innovazione è vieppiù accentuata dal fatto che ad essa viene attribuito anche effetto retroattivo il che ha poi ulteriormente indotto la Camera alla forzatura rappresentata dalla previsione di cui al comma 2 del medesimo articolo 2 del disegno di legge n. 2441 riguardo alla quale egli manifesta fin da ora fortissime perplessità. Infatti il titolo del reato, se può giustificare un diverso regime processuale ad altri fini, non può però giustificare una minor tutela del valore dell'innocenza del condannato.

Sotto un diverso profilo, rifacendosi anche alle considerazioni testé svolte dal senatore Zancan, deve poi evidenziarsi che non qualsiasi violazione dell'articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo appare suscettibile di giustificare una revisione della sentenza di condanna. Non sembra infatti che un simile rilievo possa essere attribuito a violazioni del principio della ragionevole durata del processo ovvero a violazioni del principio della pubblicità dell'udienza. Sarebbe quindi necessario che la revisione fosse limitata esclusivamente a quei casi in cui la violazione della Convenzione ha avuto un'efficacia determinante ai fini della condanna. A questo proposito è necessario chiedersi se un simile meccanismo di filtro non sia già assicurato dal disposto dell'articolo 631 del codice di procedura penale. Ad avviso del senatore Fassone, però, il disposto dell'articolo 631 presuppone chiaramente le ipotesi di revisione di cui all'articolo 630 dello stesso codice, per cui la revisione è ammissibile se l'accertamento di un fatto determinato che viene prospettato in ipotesi risulterebbe tale da comportare il proscioglimento del condannato. La struttura della disposizione citata quindi mal si adatta ad un diverso contesto in cui, da un lato, la violazione procedurale è già stata accertata e, dall'altro, si tratta piuttosto di valutare quale è stata, nell'iter procedurale svoltosi, l'incidenza della violazione ai fini della condanna. Le considerazioni che precedono rendono pertanto evidente la necessità di introdurre una previsione ad hoc che indichi in quali casi la violazione dell'articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo presenta caratteri tali da giustificare il ricorso allo strumento della revisione. In questa prospettiva appare peraltro significativo il fatto che indicazioni in questo senso siano anche contenute nella raccomandazione n. R (2000) 2 sul riesame o la riapertura di determinati casi a livello nazionale in seguito a giudizi della Corte europea dei diritti dell'uomo adottata dal comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa il 19 gennaio 2000.

 

Il senatore CENTARO (FI), dichiarando di far sua per molti aspetti la sostanza dell'intervento del senatore Fassone, ritiene pur tuttavia che l'articolo 631 del codice di procedura penale possa assolvere con efficacia la sua funzione anche per la nuova fattispecie, costituendo, anche in tal caso, un utile filtro di ammissibilità della domanda, anche se comunque non è da escludere la possibilità di migliorare l'articolato specificando le violazioni che possono portare alla revisione delle condanne. Dichiara poi di non condividere la disciplina transitoria di cui all'articolo 2 del disegno di legge n. 2441 della quale non comprende la necessità, anche perché introduce disparità di trattamento ed un'efficacia retroattiva di difficile giustificazione. Giudica in ogni caso necessario che non vi siano dubbi sul fatto che la possibilità di addivenire alla revisione delle condanne passate in giudicato non potrà in alcun caso riguardare condanne per reati di criminalità organizzata o di mafia, ritenendo che altrimenti si determinerebbero inammissibili aspettative dalle conseguenze dirompenti.

 

Il presidente Antonino CARUSO rinvia il seguito dell'esame congiunto.

 


GIUSTIZIA (2a)

mercoledi' 12 novembre 2003

285a Seduta (pomeridiana)

 

Presidenza del Presidente

Antonino CARUSO

 

La seduta inizia alle ore 14,05.

 

IN SEDE REFERENTE

 

(2441) Modifiche al codice di procedura penale in materia di revisione a seguito di sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo, approvato dalla Camera dei deputati in un testo risultante dall'unificazione dei disegni di legge d'iniziativa dei deputati Mario Pepe ed altri e Cola

(498) COMPAGNA ed altri. - Revisione dei processi penali in seguito a sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo

(Seguito dell'esame congiunto e rinvio)

 

Riprende l'esame congiunto dei disegni di legge in titolo, sospeso nella seduta di ieri.

 

Il presidente Antonino CARUSO dà conto del parere reso dalla 1a Commissione permanente.

 

Prende la parola il senatore FASSONE (DS-U) il quale, pur condividendo le considerazioni svolte dal senatore Centaro circa la necessità di non aprire la strada alla possibilità di revisione delle condanne definitive relative ai reati di criminalità organizzata o di mafia, ribadisce però come la soluzione adottata con il comma 2 dell'articolo 2 del disegno di legge n. 2441 gli appaia fortemente a rischio di illegittimità costituzionale. Al riguardo, si rifà alle considerazioni già emerse nel corso del dibattito con le quali si è evidenziato che la gravità di un'ipotesi di reato non può giustificare in nessun modo una minor tutela dell'innocenza del condannato. D'altra parte, la soppressione dell'articolo 2 non risolverebbe il problema in quanto troverebbero applicazione i principi generali vigenti in materia processuale per cui la revisione dovrebbe ritenersi possibile in ogni tempo, ogniqualvolta ne emergano i presupposti, anche se relativi a violazioni dell'articolo 6 della Convenzione europea verificatesi molto tempo prima dell'entrata in vigore della nuova legge.

Ad avviso del senatore Fassone, è però possibile individuare una soluzione che concili l'esigenza di evitare il rischio - assolutamente inaccettabile - della revisione di condanne per reati gravissimi con il rispetto dei principi costituzionali e, in particolare, di quello di uguaglianza. A tale proposito rileva come il problema si ponga essenzialmente con riferimento alle condanne passate in giudicato e fondate su dichiarazioni rese a carico dell'imputato al di fuori del giudizio da chi, successivamente, in sede dibattimentale si è poi a sottratto all'esame da parte dell'imputato medesimo. Tali dichiarazioni infatti, ai sensi della normativa vigente anteriormente alla riforma costituzionale effettuata con la legge costituzionale n. 2 del 1999, erano senz'altro utilizzabili sebbene la loro attendibilità dovesse essere confermata da altri elementi di prova. Da questo punto di vista va però ricordato che la legge costituzionale n. 2 del 1999, nell'inserire in Costituzione i principi contenuti nel paragrafo 3 dell'articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, previde altresì che la legge ordinaria avrebbe regolato l'applicazione dei principi contenuti nella legge costituzionale citata ai procedimenti penali in corso alla data di entrata in vigore della medesima. Il legislatore ordinario sulla base della copertura assicurata dalla norma costituzionale testé menzionata provvide quindi ad adottare prima il decreto-legge n. 2 del 2000 e, poi, ad intervenire con l'articolo 26 della legge n. 63 del 2001. Le disposizioni contenute nel decreto-legge e nella legge citati consentono l'utilizzabilità delle dichiarazioni rese in sede di indagini preliminari da chi si è in seguito sottratto all'esame da parte dell'imputato o del suo difensore, a condizione però che l'attendibilità delle stesse sia confermata da altri elementi di prova, assunti o formati con diverse modalità; l'operatività di tale disposizione di diritto transitorio è peraltro limitata alle dichiarazioni rese fino al 25 febbraio 2000, data di entrata in vigore della legge di conversione del predetto decreto-legge n. 2 dello stesso anno. Alla luce di tale quadro normativo deve quindi ritenersi che una disposizione di rango costituzionale - si tratta del menzionato articolo 2 della legge costituzionale n. 2 del 1999 - ha consentito e consente di ritenere legittime condanne pronunciate all'esito di un procedimento nel quale non è stato assicurato il pieno rispetto del diritto al contraddittorio, purché sussistano determinate condizioni. Ne consegue che sarebbe contraddittorio se, oggi, il legislatore desse rilevanza ai fini della revisione a sentenze dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, che accertano una violazione dell'articolo 6 sotto il profilo del mancato rispetto del diritto al contraddittorio, relative ad un periodo in cui una norma costituzionale consente che il diritto al contraddittorio non sia pienamente assicurato.

Le considerazioni che precedono lo inducono conclusivamente a prospettare la possibilità di una riformulazione dell'articolo 2 nel senso di lasciare invariato il testo del comma 1 di tale disposizione e di modificare invece il comma 2, prevedendo che la revisione non possa essere richiesta qualora la violazione della disposizione contenuta nella lettera d) del paragrafo 3 dell'articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo si sia verificata anteriormente al 25 febbraio 2000.

 

Il presidente Antonino CARUSO rinvia infine il seguito dell'esame congiunto.

 


GIUSTIZIA (2a)

martedi’ 2 dicembre 2003

294a Seduta

 

Presidenza del Presidente

Antonino CARUSO

 

La seduta inizia alle ore 15,15.

 

IN SEDE REFERENTE

 

(2441) Modifiche al codice di procedura penale in materia di revisione a seguito di sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo, approvato dalla Camera dei deputati in un testo risultante dall'unificazione dei disegni di legge d'iniziativa dei deputati Mario Pepe ed altri e Cola

(498) COMPAGNA ed altri. - Revisione dei processi penali in seguito a sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo

(Seguito dell'esame congiunto e rinvio)

 

Riprende l'esame congiunto dei disegni di legge in titolo, sospeso nella seduta del 12 novembre scorso.

 

Il presidente Antonino CARUSO, dopo aver sottolineato l'importanza di far sì che, al più presto, con il varo di una nuova disciplina, anche l'Italia introduca nel suo ordinamento uno strumento che consenta in sede penale il riesame dei casi giudiziari nei quali si è verificato una violazione dei principi espressi dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, propone di fissare il termine per la presentazione degli emendamenti a martedì 16 dicembre prossimo alle ore 15.

 

Non facendosi osservazioni, così rimane stabilito.

 

Il seguito dell'esame è quindi rinviato.

 


GIUSTIZIA (2a)

MERCOLEDI’ 3 DICMEBRE 2003

295a Seduta

Presidenza del Vice Presidente

BOREA

Interviene il sottosegretario per la giustizia Iole Santelli.

 

La seduta inizia alle ore 15,20.

 

 

IN SEDE REFERENTE

 

(2441) Modifiche al codice di procedura penale in materia di revisione a seguito di sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo, approvato dalla Camera dei deputati in un testo risultante dall'unificazione dei disegni di legge d'iniziativa dei deputati Mario Pepe ed altri e Cola

(498) COMPAGNA ed altri. - Revisione dei processi penali in seguito a sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo

(Seguito dell'esame congiunto e rinvio)

 

Riprende l'esame congiunto dei disegni di legge in titolo, sospeso nella seduta di ieri.

 

Il presidente BOREA, dopo aver ricordato che nella seduta di ieri è stato fissato il termine per la presentazione di eventuali emendamenti per il giorno 16 dicembre prossimo, alle ore 15, constatato che non vi sono ulteriori richieste di intervento, dichiara chiusa la discussione generale.

 

Il seguito dell'esame è quindi rinviato.


GIUSTIZIA (2a)

MARTEDI’ 27 GENNAIO 2004

306a Seduta

Presidenza del Vice Presidente

ZANCAN

La seduta inizia alle ore 15,10.

 

Interviene il sottosegretario di Stato per la giustizia Valentino.

 

 

IN SEDE REFERENTE

(omissis)

 

(2441) Modifiche al codice di procedura penale in materia di revisione a seguito di sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo, approvato dalla Camera dei deputati in un testo risultante dall'unificazione dei disegni di legge d'iniziativa dei deputati Mario Pepe ed altri e Cola

(498) COMPAGNA ed altri. - Revisione dei processi penali in seguito a sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo

(Seguito dell'esame congiunto e rinvio)

 

Riprende l'esame congiunto dei disegni di legge in titolo, sospeso nella seduta del 3 dicembre 2003.

 

Il presidente ZANCAN dichiara chiusa la discussione generale.

 

Si passa all'esame degli emendamenti riferiti all'articolo 1 del disegno di legge.

 

La senatrice MAGISTRELLI (Mar-DL-U) aggiunge la sua firma e rinuncia ad illustrare gli emendamenti 1.1, 1.2 e 1.3.

 

l senatore FASSONE (DS-U), dopo aver ritirato l'emendamento 1.4, illustra l'emendamento 1.5, rifacendosi alle considerazioni da lui già svolte nelle sedute dell'11 e del 12 novembre 2003 e sottolineando la necessità di un intervento emendativo sul testo trasmesso dalla Camera dei deputati con il quale si precisi che la revisione potrà essere richiesta, nelle ipotesi in questione, soltanto nei casi in cui non solo sia intervenuta una sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo che abbia accertato una violazione dell'articolo 6 della Convenzione, ma altresì a condizione che tale violazione abbia efficacia determinante rispetto alla pronuncia di condanna. E' evidente infatti, a suo avviso, che solo prevedendo questo ulteriore requisito è possibile inserire organicamente la nuova ipotesi di revisione - che ha il suo presupposto in una violazione di carattere processuale - nel quadro delineato dalle norme vigenti in materia. Passando poi agli emendamenti 1.7, 1.8 e 1.9 il senatore Fassone evidenzia, in particolare, come la modifica proposta con il nuovo articolo 630-bis del codice di procedura penale imponga altresì un intervento sull'articolo 631 dello stesso codice, volto a costruire un parametro per il giudizio di inammissibilità adeguatamente correlato all'ipotesi di revisione qui considerata.

L'oratore prosegue preannunciando poi le considerazioni che sono alla base degli emendamenti da lui presentati all'articolo 2, comma 2. Più specificamente gli emendamenti 2.1 e 2.2 superano l'impostazione fatta propria dalla Camera dei deputati - che si limita ad escludere la possibilità della revisione ai sensi del nuovo articolo 630-bis del codice di procedura penale per i reati di cui all'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, dello stesso codice qualora la violazione dell'articolo 6 della Convenzione della salvaguardia dei diritti dell'uomo sia avvenuta anteriormente all'entrata in vigore della legge - prevedendo, invece, una norma che esclude la possibilità della revisione sostanzialmente solo per le violazioni del diritto al contraddittorio dell'imputato, verificatesi anteriormente alla data del 25 febbraio 2000, e cioè anteriormente all'entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge n. 2 del 2000 recante disposizioni urgenti per l'attuazione dell'articolo 2 della legge costituzionale n. 2 del 1999 in materia di giusto processo.

 

Il presidente ZANCAN illustra l'emendamento 1.6 sottolineando come lo stesso prospetti una soluzione intermedia rispetto al testo licenziato dalla Camera, da un lato, e a quanto proposto dal senatore Fassone con l'emendamento 1.5, dall'altro. L'emendamento infatti subordina la revisione al fatto che sia stata accertata una effettiva compromissione dei diritti dell'imputato idonea ad influire sull'esito processuale nel presupposto che, se non è possibile accettare che la revisione si fondi su una violazione processuale che può non avere influito in alcun modo sulla pronuncia di condanna, richiedere però un'efficacia determinante di tale violazione rispetto alla sentenza potrebbe significare subordinare la revisione ad una condizione che, in concreto, non potrebbe essere mai accertata.

 

Ha quindi la parola il senatore CENTARO (FI) il quale, riferendosi in particolare agli emendamenti 1.5 e 1.6, considera tali proposte rispondenti ad una logica comprensibile che è quella restringere l'ambito applicativo della nuova ipotesi di revisione in esame, al fine di non consentire che si possa addivenire alla stessa in tutti quei casi in cui vi sia stata una sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo che abbia accertato violazioni che comunque non hanno contribuito a determinare la pronuncia di condanna. Di contro però, passando agli emendamenti relativi all'articolo 2, ritiene che su tale disposizione sia necessaria una ulteriore riflessione in quanto, se deve tenersi conto delle più che legittime preoccupazioni sollevate da prese di posizione di esponenti della criminalità organizzata, occorre però farsi carico del rischio che la norma, così come attualmente formulata, possa ritenersi affetta da illegittimità costituzionale sotto il profilo della introduzione di una ingiustificata disparità di trattamento. La distinzione operata dal secondo comma dell'articolo 2 del disegno di legge n. 2441 con riferimento ai reati di cui all'articolo 51 commi 3-bis e 3-quater del codice di procedura penale infatti potrebbe non superare un vaglio di legittimità alla stregua del principio di ragionevolezza. Dopo aver però ritenuto al tempo stesso non condivisibile la soluzione proposta dal senatore Fassone con gli emendamenti 2.1 e 2.2, in quanto non risolutiva del problema, il senatore Centaroavanza la proposta di sostituire l'intero articolo 2 del disegno di legge n. 2441 con una disposizione per la quale le previsioni di cui all'articolo 1 del medesimo disegno di legge possano, in via generale e senza distinzioni a seconda del tipo di reato, trovare applicazione solo in conseguenza di violazioni dell'articolo 6 della Convenzione verificatesi successivamente all'entrata in vigore della nuova normativa in esame.

 

Ha poi la parola il senatore Luigi BOBBIO (AN), il quale, dichiara di non condividere gli emendamenti 1.6 e 1.7 e con riferimento poi al secondo comma dell'articolo 2 del disegno di legge n. 2441 fa proprie le considerazioni e la proposta del senatore Centaro.

 

Il senatore CALVI (DS-U) ritiene che i disegni di legge in titolo meritino una particolare attenzione, osservando come gli stessi possano prestarsi ad una duplice lettura quanto alle finalità dai medesimi perseguite. Da un lato infatti si può ritenere che in tal modo si abbia di mira l'obiettivo - che ritiene condivisibile - di favorire nel modo più ampio possibile l'accertamento della verità, introducendo una nuova ipotesi di revisione dei processi. Dall'altro invece si potrebbe, con l'innovazione in esame, introdurre sostanzialmente un nuovo grado di giudizio, soluzione questa che invece certamente non avrebbe la sua condivisione. Dopo aver ricordato le ipotesi che per il diritto vigente consentono la revisione dei processi ed il contenuto dell'articolo 6 della Convenzione, il senatore CALVI (DS-U) invita a considerare l'esigenza di realizzare un adeguato contemperamento tra l'interesse a rafforzare le garanzie dell'imputato e quello a non violare i principi fondamentali che sono alla base del vigente sistema processuale. Una risposta potrebbe essere innanzitutto quella di circoscrivere i casi di revisione nei termini indicati nell'emendamento 1.5. Esprime poi preoccupazione per le aspettative di taluni ambienti vicini alla criminalità organizzata e di esponenti mafiosi che vedono nell'approvazione dei disegni di legge in titolo una nuova occasione di verifica delle proprie posizioni processuali. Manifesta pertanto adesione alla proposta del senatore Centaro riferita all'articolo 2 del disegno di legge n. 2441 in quanto se è vero, da un lato, che l'attuale formulazione della norma è in linea con quella distinzione per tipologie di reati che si rinviene anche in altri casi nell'ordinamento, dall'altro, è difficile escludere il rischio che la disposizione per i profili qui specificamente considerati non determini una violazione dell'articolo 3 della Carta costituzionale. Conclude sintetizzando il suo intervento in tre punti che sono: l'invito a circoscrivere le ipotesi che daranno luogo alla revisione del processo nel senso indicato, l'accoglimento della proposta del senatore Centaro relativa all'articolo 2, ed infine l'esigenza di escludere nella maniera più assoluta che, con l'approvazione della legge, il Parlamento si stia facendo portavoce di esigenze espresse dalla criminalità organizzata.

 

Ha la parola il senatore Massimo BRUTTI (DS-U) il quale, dopo aver richiamato l'attenzione sul carattere innovativo della nuova ipotesi di revisione che verrebbe ad introdursi con l'approvazione dei disegni di legge in titolo, sottolinea come debba essere presa attentamente in considerazione l'esigenza di circoscriverne adeguatamente i presupposti così da evitare la sostanziale introduzione di un nuovo grado di giudizio. Manifesta quindi disponibilità nei confronti della proposta del senatore Centaro per addivenire ad una nuova formulazione dell'articolo 2 sulla quale si possa determinare una generale condivisione. Si sofferma poi anch'egli sull'esigenza di escludere nel modo più assoluto possibile che la nuova ipotesi di revisione possa essere intesa come una risposta favorevole alle richieste delle organizzazioni criminali. E' pertanto necessario calibrare con attenzione le disposizioni al fine di dare un chiaro messaggio del Parlamento. Conclude osservando come anche su questo aspetto potrebbe senz'altro realizzarsi un'ampia convergenza fra tutte le forze politiche.

 

Il presidente ZANCAN, nel dichiarare il proprio consenso alle osservazioni svolte dal senatore Centaro per quanto riguarda la questione della decorrenza dell'efficacia della nuova normativa, rileva altresì come dovrebbe essere previsto che dalla possibilità di revisione siano comunque escluse le questioni già definite dalla Corte di cassazione.

 

Interviene nuovamente il senatore Luigi BOBBIO (AN) per rilevare che già le norme costituzionali sul giusto processo e il codice di procedura penale in vigore danno piena attuazione ai principi dell'articolo 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e per ciò dovrebbe essere ammissibile la revisione solo allorquando la Corte europea abbia accertato una violazione sostanziale di quei principi.

 

Ha poi la parola il relatore ZICCONE (FI) il quale sottolinea preliminarmente che, sia le proposte emendative che le osservazioni svolte dai commissari, sono volte a dare soluzione ad una serie di perplessità da lui sollevate in sede di relazione.

Ribadisce peraltro il suo giudizio complessivamente positivo sul testo in esame in considerazione della novità che lo caratterizza e che si inserisce in una prospettiva di raccordo ed integrazione dell'ordinamento italiano in un ordinamento sovranazionale. E' evidente che tutto ciò non può non implicare anche il superamento di limiti che hanno costituito fino ad oggi il riflesso di una concezione della sovranità dello Stato che appare non più attuale.

Più in particolare va sottolineato che l'esigenza di circoscrivere con precisione i casi di revisione è emersa anche nel corso dell'esame presso la Camera dei deputati anche se in quella sede è prevalsa l'opinione che tale esigenza fosse adeguatamente soddisfatta dalla ritenuta applicabilità dell'articolo 631 del codice di procedura penale nella sua attuale formulazione.

Per quanto riguarda poi le osservazioni svolte dal senatore Centaro e riprese da altri senatori in relazione alla norma transitoria dichiara di condividere quanto affermato sulla decorrenza della normativa, valevole quindi dalla data di pubblicazione della legge nella Gazzetta ufficiale e non certo per il passato.

Conclusivamente, il relatore Ziccone, alla luce delle differenti posizioni espresse dai gruppi, non ritiene sussistano allo stato le condizioni per procedere rapidamente al varo definitivo del disegno di legge approvato dalla Camera e propone quindi la riapertura dei termini per la presentazione degli emendamenti per consentire alla Commissione di trovare una adeguata e condivisa soluzione all'insieme delle problematiche sollevate.

 

Il senatore Luigi BOBBIO (AN) ritiene opportuno un approfondimento soprattutto per quanto attiene alla norma transitoria. A tal fine giudica favorevolmente la proposta di stabilire un ulteriore termine per gli emendamenti.

 

Il senatore Massimo BRUTTI (DS-U) valuta positivamente la proposta della riapertura dei termini, con l'auspicio che il testo che sarà licenziato per l'Aula contenga il necessario carattere della compiutezza, oltreché della condivisione.

 

La Commissione, all'unanimità, conviene di riaprire il termine per la presentazione degli emendamenti, fissandolo alle ore 20 del 12 febbraio 2004.

 

Il seguito dell'esame è infine rinviato.

 

La seduta termina alle ore 16,30.


EMENDAMENTI AL DISEGNO DI LEGGE N. 2441

 

Art. 1.

1.1

Cavallaro, Dalla Chiesa

Al comma 1, dopo le parole: «articolo 6», aggiungere le seguenti: «paragrafo 3, lettera c), salva la previsione dell’articolo 97 del codice di procedura penale».

 

1.2

Cavallaro, Dalla Chiesa

Al comma 1, dopo le parole: «articolo 6», aggiungere le seguenti: «paragrafo 3, lettera d), salva la previsione del comma 2 dell’articolo 468 del codice di procedura penale».

 

1.3

Cavallaro

Al comma 1, dopo le parole: «articolo 6», aggiungere le seguenti: «paragrafo 3, lettera e)».

 

1.4

Fassone

Al comma 1, all’articolo 630-bis ivi richiamato, al capoverso 1, aggiungere in fine le seguenti parole: «, e se tale violazione ha determinato la pronuncia di condanna».

 

1.5

Fassone, Maritati, Calvi, Ayala, Brutti Massimo

Al comma 1, capoverso 1, dell’articolo 630-bis, ivi richiamato, aggiungere in fine le seguenti parole: «quando la violazione ha avuto efficacia determinante ai fini della condanna».

 

1.6

Zancan

Al comma 1, capoverso 1, dell’articolo 630-bis ivi richiamato, aggiungere in fine le seguenti parole: «e sempre che venga accertata una effettiva compromissione dei diritti idonea ad influire sull’esito processuale».

 

1.7

Fassone, Maritati, Brutti Massimo, Ayala, Calvi

Al comma 1, capoverso 1, dell’articolo 630-bis richiamato, aggiungere in fine le seguenti parole: «quando la violazione accertata, per la sua natura e gravità, produce per il condannato conseguenze dannose, rispetto alle quali l’“equa riparazione“, prevista dall’articolo 50 della Convenzione, non è idonea a porre fine».

 

1.8

Fassone

Dopo il comma 1, inserire il seguente:

«1-bis. All’articolo 631 del codice di procedura penale sono apportate le seguenti modificazioni:

c) al comma 1 dopo le parole: “la revisione“ sono inserite le seguenti: “nelle ipotesi previste dagli articoli 629 e 630“;

d) dopo il comma 1 è aggiunto il seguente:

“1-bis. La richiesta di revisione nelle ipotesi previste all’articolo 630-bis è inammissibile se appare evidente che la violazione delle disposizioni ivi richiamate non ha determinato la pronuncia di condanna“».

 

1.9

Fassone, Calvi, Ayala, Brutti Massimo, Maritati

Dopo il comma 1, inserire il seguente:

«1-bis. All’articolo 631 del codice di procedura penale è aggiunto il seguente comma:

“1-bis. Quando la revisione è chiesta in forza della sentenza di cui all’articolo 630-bis, la violazione accertata deve essere tale da avere avuto effetto determinante sulla pronuncia di condanna“».

 

 

Art. 2.

2.1

Fassone

Sostituire il comma 2 con il seguente:

«2. La revisione delle sentenze di condanna non può essere richiesta qualora la violazione delle disposizioni di cui all’articolo 6 paragrafo 3 lettera d) della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali sia stata commessa anteriormente alla data del 25 febbraio 2000».

 

2.2

Fassone, Maritati, Calvi, Ayala, Brutti Massimo

Sostituire il comma 2 con il seguente:

«2. Se la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, in qualsiasi tempo pronunciata, ha accertato una violazione dell’articolo 6, paragrafo 3, lettera d) della Convenzione, la revisione è ammissibile solo se detta violazione è stata commessa successivamente al 25 febbraio 2000».


GIUSTIZIA (2a)

martedi’ 17 febbraio 2004

315a Seduta (notturna)

 

Presidenza del Presidente

Antonino CARUSO

 

La seduta inizia alle ore 21,50.

 

IN SEDE REFERENTE

 

(2441) Modifiche al codice di procedura penale in materia di revisione a seguito di sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo, approvato dalla Camera dei deputati in un testo risultante dall'unificazione dei disegni di legge d'iniziativa dei deputati Mario Pepe ed altri e Cola

(498) COMPAGNA ed altri. - Revisione dei processi penali in seguito a sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo

 

(Seguito e conclusione dell'esame)

 

Riprende l'esame congiunto dei disegni di legge in titolo, sospeso nella seduta del 27 gennaio 2004.

 

Il presidente Antonino CARUSO avverte che si continuerà con l'esame degli emendamenti riferiti all'articolo 1 non ancora illustrati.

 

Il senatore CENTARO (FI) illustrando gli emendamenti 1.10 e 1.11, quest'ultimo di contenuto sostanzialmente analogo al primo, osserva come la proposta emendativa intende esplicitare un punto che potrebbe già ritenersi desumibile implicitamente dalla disciplina, ma che appare opportuno chiarire per evitare incertezze interpretative. Osserva infatti che l'articolo 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali fa riferimento anche all'ipotesi di durata abnorme del processo ed al riguardo, pur costituendo un'interpretazione aberrante ipotizzare che in tali casi si possa dare luogo a revisione del processo, ritiene preferibile evitare qualsiasi dubbio al riguardo attraverso l'approvazione della proposta espressa dagli emendamenti sopra citati.

Illustrando poi l'emendamento 1.12 fa presente che la proposta mira a consentire la revisione anche quando non si può ritenere, sulla base di una valutazione esclusivamente formale, di essere in presenza di una violazione del procedimento, e cioè in quei casi in cui a ben diversa conclusione deve giungersi considerando la fattispecie in un'ottica sostanziale, come nell'ipotesi in cui in presenza del cambio del difensore in relazione ad un procedimento molto complesso, si sia concesso allo stesso un brevissimo tempo per esaminare la documentazione.

 

Il senatore COMPAGNA (UDC), dopo aver ricordato l'iter "sinuoso" del disegno di legge n. 2441 presso la Camera dei deputati, precisa che alla presentazione del disegno di legge n. 498 di cui è primo firmatario, esaminato congiuntamente al primo, è stato indotto dalla profonda convinzione della necessità di una legge che ponesse rimedio alle numerose inadempienze dell'Italia agli obblighi della Convenzione. Ritiene infatti del tutto insufficiente la risposta costituita dal semplice risarcimento del danno alla luce non solo del dettato della Convenzione, ma anche per la Carta costituzionale. Le fattispecie potenzialmente interessate dalla nuova legge non dovrebbero essere particolarmente numerose in quanto la Corte europea dei diritti dell'uomo è rigorosa nel suo giudizio e prende in considerazione solo quelle irregolarità processuali che hanno inciso in maniera rilevante sul procedimento. Per tale ragione non reputa fondate le preoccupazioni sollevate circa il nuovo istituto la cui introduzione è invece senz'altro urgente.

 

La senatrice ALBERTI CASELLATI (FI) preannuncia il voto contrario sull'emendamento 1.11 in quanto ritiene del tutto pletorico il riferimento all'articolo 631 ivi contenuto perché tale disposizione troverebbe comunque applicazione. Ritiene altresì che anche l'emendamento 1.12 susciti perplessità in quanto o si limita a riprodurre quanto già la Convenzione prevede, ed allora è inutile, oppure aggiunge un ulteriore elemento che pone problemi di carattere interpretativo.

 

Il senatore Luigi BOBBIO (AN), riferendosi all'emendamento 1.11 ritiene invece lo stesso necessario per ragioni di ordine sistematico in quanto l'intervento - proposto con il disegno di legge approvato dalla Camera dei deputati - si sostanzia nell'introduzione di un nuovo articolo, il 630-bis, rispetto al quale potrebbero sussistere incertezze interpretative in ordine al punto se l'articolo 631 trovi applicazione anche per esso.

 

Segue un breve intervento del presidente Antonino CARUSO il quale dichiara di non comprendere le preoccupazioni espresse dal senatore Luigi Bobbio e dal senatore Centaro, in quanto appare difficile negare l'applicabilità dell'articolo 631, che è sistematicamente riferibile a tutte le ipotesi di revisione, anche alla nuova fattispecie.

 

Il relatore ZICCONE (FI) formula un parere contrario su tutti gli emendamenti relativi all'articolo 1 e, pur osservando che le perplessità evidenziate in particolare dal senatore Centaro non possono considerarsi del tutto infondate, ritiene che il problema evocato possa risolversi in via interpretativa. Si consentirebbe così di evitare che per tale aspetto abbia luogo una nuova lettura dell'altro ramo del Parlamento rispetto ad un'iniziativa che è urgente e che induce ad una rapida approvazione. Quanto all'emendamento 1.12 il relatore dichiara di concordare con le osservazioni della senatrice Alberti Casellati in quanto ritiene che sarà la stessa Corte europea chiamata a fare la valutazione che l'emendamento in esame propone di introdurre.

 

Il presidente Antonino CARUSO fa propri gli emendamenti 1.1, 1.2, 1.3, 1.5, 1.6, 1.7, 1.8 e 1.9.

 

Il senatore CENTARO (FI) ritira l'emendamento 1.12.

 

Dopo aver verificato la presenza del numero legale, posti ai voti, con distinte votazioni, sono respinti gli emendamenti 1.1, 1.2, 1.3, 1.5, 1.10, 1.6, 1.7, 1.11, 1.8 e 1.9.

 

Posto ai voti, è approvato l'articolo 1.

 

Si passa all'esame degli emendamenti relativi all'articolo 2 del disegno di legge n. 2441.

 

Il senatore CENTARO (FI) illustrando l'emendamento 2.3 raccomanda la sua approvazione in quanto è diretto a superare un testo, qual è quello dell'articolo 2 del disegno di legge n. 2441, che presenta un evidente rischio di determinare una disparità di trattamento non giustificabile e che potrebbe dar luogo, per tale ragione, ad un intervento della Corte costituzionale. Non altrettanto invece si può ritenere per la proposta espressa dal suo emendamento in quanto la stessa non introduce una distinzione tra tipologie di reato.

 

Il senatore Luigi BOBBIO (AN) aggiunge la sua firma all'emendamento 2.3 in quanto la proposta costituisce una risposta chiara alle aspettative che si sono formate in quanti, imputati di gravi reati, sperano che la nuova disciplina possa costituire l'occasione per una riconsiderazione delle personali vicende processuali. Inoltre l'emendamento ha il pregio di evitare una distinzione tra reati che appare di dubbia legittimità sotto il profilo costituzionale.

 

Il senatore COMPAGNA (UDC), pur manifestando comprensione per le perplessità evidenziate in ordine alla distinzione tra reati operata dall'articolo 2, richiama l'attenzione sul fatto che tale doppio binario è ormai una costante dell'ordinamento processuale italiano.

 

Dopo un breve intervento del presidente Antonino CARUSO, il quale si chiede se un problema di disparità di trattamento non possa prospettarsi anche in relazione alla proposta espressa dall'emendamento 2.3, ha la parola il relatore ZICCONE (FI) il quale, se in un primo tempo aveva pensato ad un emendamento soppressivo dell'articolo 2, ad una più attenta valutazione, anche alla luce delle dichiarazioni pubblicamente espresse dal professor Conso e dell'andamento della discussione presso la Camera dei deputati, ritiene accettabile e non palesemente incostituzionale la disposizione transitoria quale espressa dall'articolo 2, in quanto il criterio del doppio binario ha già in più occasioni superato il vaglio di costituzionalità. Si tratta inoltre di una disciplina transitoria. Dichiara conclusivamente di rimettersi alla Commissione su tutti gli emendamenti riferiti all'articolo 2.

 

Segue una breve replica del senatore Luigi BOBBIO (AN), il quale ritiene non convincenti le argomentazioni del professor Conso e ribadisce l'importanza dell'approvazione dell'emendamento 2.3.

 

Il senatore CENTARO (FI) dichiara il voto favorevole sull'emendamento 2.3 osservando che non gli appaiono convincenti le osservazioni del relatore in quanto non comprende la ragione di introdurre una distinzione tra reati nell'ambito della disciplina transitoria che non si rinviene poi in quella a regime, costituendo questa una differenziazione non razionalmente giustificabile.

 

La senatrice ALBERTI CASELLATI (FI) annuncia il voto contrario sull'emendamento 2.3, sottolineando come la soluzione individuata dalla Camera dei deputati rappresenti un soddisfacente punto di equilibrio fra la finalità di una piena affermazione dei principi del giusto processo e le esigenze di difesa sociale.

 

Il senatore Luigi BOBBIO (AN) annuncia il voto favorevole sull'emendamento 2.3 ribadendo la convinzione che la scelta effettuata dalla Camera dei deputati di distinguere tra i reati di criminalità organizzata, da un lato, e i reati diversi, dall'altro, ai fini della possibilità di chiedere la revisione qualora nel processo si sia verificata una violazione dell'articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo anteriormente alla data di entrata in vigore della nuova legge, risulti del tutto insostenibile sul piano logico giuridico. Ben più opportunamente invece - come già evidenziato - l'emendamento 2.3, segue un'impostazione di assoluta coerenza ispirandosi al principio che debbano comunque essere fatti salvi tutti i giudicati intervenuti prima della predetta data di entrata in vigore.

 

Il senatore TIRELLI (LP) annuncia il voto favorevole sull'emendamento 2.3.

 

Il senatore COMPAGNA (UDC), dopo aver ricordato gli interventi esterni che hanno condizionato l'esame del disegno di legge n. 2441 nel corso del suo itner in prima lettura alla Camera dei deputati e aver sottolineato che peraltro tale circostanza rappresenta un dato di fatto che ha portato all'esito con il quale in questo momento si sta confrontando la Commissione e del quale non è possibile tener conto, annuncia il voto contrario sull'emendamento 2.3.

 

Il senatore FEDERICI (FI) annuncia il voto favorevole sull'emendamento 2.3 sottolineando come la distinzione contenuta nel comma 2 dell'articolo 2 sia priva di qualsiasi razionale giustificazione, non essendo possibile fondare una differente disciplina del giudicato sulla circostanza che la sentenza di condanna riguardi i reati di cui all'articolo 51 commi 3-bis e 3-quater del codice di procedura penale ovvero altri reati.

 

Posti separatamente ai voti sono respinti gli emendamenti 2.3, 2.1 e 2.2.

 

Posto ai voti è approvato l'articolo 2.

 

Si passa all'esame di un emendamento aggiuntivo all'articolo 2.

 

Il senatore COMPAGNA (UDC) aggiunge la sua firma e rinuncia ad illustrare l'emendamento 2.0.1.

 

Col parere contrario del relatore ZICCONE (FI), posto ai voti, è respinto l'emendamento 2.0.1.

 

La Commissione conferisce infine mandato al relatore a riferire in senso favorevole sul disegno di legge n. 2441, autorizzandolo altresì a proporre l'assorbimento in esso del disegno di legge n. 498 e a richiedere lo svolgimento della relazione orale.

 

SCONVOCAZIONE DELLA SEDUTA DI DOMANI

 

Il PRESIDENTE avverte che la seduta, già convocata domani per le ore 8,30, non avrà più luogo.

 

La seduta termina alle ore 23,05.


EMENDAMENTI AL DISEGNO DI LEGGE N. 2441

 

 

Art. 1.

 

1.1

Cavallaro, Dalla Chiesa

Al comma 1, dopo le parole: «articolo 6», aggiungere le seguenti: «paragrafo 3, lettera c), salva la previsione dell’articolo 97 del codice di procedura penale».

 

1.2

Cavallaro, Dalla Chiesa

Al comma 1, dopo le parole: «articolo 6», aggiungere le seguenti: «paragrafo 3, lettera d), salva la previsione del comma 2 dell’articolo 468 del codice di procedura penale».

 

1.3

Cavallaro

Al comma 1, dopo le parole: «articolo 6», aggiungere le seguenti: «paragrafo 3, lettera e).

 

1.5

Fassone, Maritati, Calvi, Ayala, Brutti Massimo

Al comma 1, capoverso 1, dell’articolo 630-bis, ivi richiamato, aggiungere, in fine, le seguenti parole: «quando la violazione ha avuto efficacia determinante ai fini della condanna».

 

1.10

Centaro

Al comma 1 capoverso 1 dell’articolo 630-bis aggiungere, in fine, le seguenti parole: «, qualora la violazione ha avuto effetti determinanti sulla pronuncia».

 

1.6

Zancan

Al comma 1, capoverso 1, dell’articolo 630-bis ivi richiamato, aggiungere, in fine, le seguenti parole: «e sempre che venga accertata una effettiva compromissione dei diritti idonea ad influire sull’esito processuale».

 

1.7

Fassone, Maritati, Brutti Massimo, Ayala, Calvi

Al comma 1, capoverso 1, dell’articolo 630-bis richiamato, aggiungere, in fine, le seguenti parole: «quando la violazione accertata, per la sua natura e gravità produce per il condannato conseguenze dannose, rispetto alle quali l’“equa riparazione“, prevista dall’articolo 50 della Convenzione, non è idonea a porre fine».

 

1.11

Centaro

Dopo il comma 1 dell’articolo 630-bis aggiungere il seguente comma:

«1-bis. Si applicano le disposizioni di cui all’articolo 631».

 

1.8

Fassone

Dopo il comma 1, inserire il seguente:

«1-bis. All’articolo 631 del codice di procedura penale sono apportate le seguenti modificazioni:

c) al comma 1 dopo le parole: “la revisione“ sono inserite le seguenti: “nelle ipotesi previste dagli articoli 629 e 630“;

d) dopo il comma 1 è aggiunto il seguente:

“1-bis. La richiesta di revisione nelle ipotesi previste all’articolo 630-bis è inammissibile se appare evidente che la violazione delle disposizioni ivi richiamate non ha determinato la pronuncia di condanna“».

 

1.9

Fassone, Calvi, Ayala, Brutti Massimo, Maritati

Dopo il comma 1, inserire il seguente:

«1-bis. All’articolo 631 del codice di procedura penale è aggiunto il seguente comma:

“1-bis. Quando la revisione è chiesta in forza della sentenza di cui all’articolo 630-bis, la violazione accertata deve essere tale da avere avuto effetto determinante sulla pronuncia di condanna“».

 

1.12

Centaro

Dopo il comma 1 dell’articolo 630-bis aggiungere il seguente comma:

«1-bis. Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano anche in caso di mancanza di violazione formale delle norme».

 

 

 

Art. 2.

2.3

Centaro

Sostituire l’articolo con il seguente:

«Art. 2. - 1. La revisione delle sentenze e dei decreti penali di condanna non può essere richiesta qualora la violazione delle disposizioni di cui all’articolo 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, resa esecutiva ai sensi della legge 4 agosto 1955, n.848, sia stata commessa prima della data di entrata in vigore della presente legge».

 

2.1

Fassone

Sostituire il comma 2 con il seguente:

«2. La revisione delle sentenze di condanna non può essere richiesta qualora la violazione delle disposizioni di cui all’articolo 6 paragrafo 3 lettera d) della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali sia stata commessa anteriormente alla data del 25 febbraio 2000».

 

2.2

Fassone, Maritati, Calvi, Ayala, Brutti Massimo

Sostituire il comma 2 con il seguente:

«2. Se la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, in qualsiasi tempo pronunciata, ha accertato una violazione dell’articolo 6, paragrafo 3, lettera d) della Convenzione, la revisione è ammissibile solo se detta violazione è stata commessa successivamente al 25 febbraio 2000».

 

2.0.1

Borea

 

Dopo I’articolo 2, aggiungere il seguente:

«Art. 2-bis.

1. All’articolo 395, primo comma, del codice di procedura civile è aggiunta, in fine, il seguente numero:

“6-bis) se sia stato accertato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo che la sentenza era stata pronunciata in violazione di disposizioni della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, di cui alla legge 4 agosto 1955, n. 848, o dei suoi protocolli addizionali, purché la violazione sia stata constatata dalla Corte con sentenza definitiva ed abbia prodotto conseguenze di natura e gravità tali da non poter essere interamente sanate dal riconoscimento dell’equo indennizzo ai sensi dell’articolo 41 della predetta Convenzione“.

2. La domanda di revocazione per il caso di cui al comma 1 deve essere corredata di copia autentica della sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo. La predetta domanda può essere proposta anche dal pubblico ministero ai sensi dell’articolo 397 del codice di procedura civile. In deroga all’ultimo comma dell’articolo 391-bis del codice di procedura civile, è ammessa la sospensione della sentenza della Corte di cassazione passata in giudicato per la quale sia avanzata domanda di revocazione per il caso di cui al comma 1.

3. Ai fini dell’articolo 474, secondo comma, n. 1 del codice di procedura civile, è attribuita efficacia esecutiva all’equo indennizzo riconosciuto dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nei confronti dello Stato italiano ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Il precetto notificato nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri è altresì comunicato, a cura della cancelleria, al procuratore generale della Corte dei conti, ai fini dell’eventuale avvio del procedimento di responsabilità nei confronti dei soggetti che abbiano concorso a determinare l’inadempimento degli obblighi convenzionali, assunti dallo Stato italiano ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848, accertato nella sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo.

4. All’articolo 3, quinto comma, primo periodo della legge 11 dicembre 1984, n. 839, sono aggiunte le seguenti parole: “e quello delle sentenze della Corte europea dei diritti umani di accertamento della violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli a carico dell’Italia“.

Conseguentemente, sostituire il titolo con il seguente:

«Adempimento delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo».


Esame in sede consultiva

 


AFFARI COSTITUZIONALI (1a)

Sottocommissione per i pareri

MERCOLEDI’ 5 NOVEMBRE 2003

152a Seduta

Presidenza del Presidente

FALCIER

 

Interviene il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri Gagliardi.

 

La seduta inizia alle ore 15.

(omissis)

(2441) Modifiche al codice di procedura penale in materia di revisione a seguito di sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo, approvato dalla Camera dei deputati in un testo risultante dall'unificazione dei disegni di legge d'iniziativa dei deputati Mario Pepe ed altri e Cola

(498) COMPAGNA ed altri. - Revisione dei processi penali in seguito a sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo

(Parere alla 2ª Commissione. Esame congiunto e rinvio)

 

Il relatore BOSCETTO (FI) illustra il disegno di legge n. 2441 osservando in primo luogo che, a differenza del disegno di legge n. 498, presupposto per la richiesta di revisione è l'accertamento, con sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, di violazioni delle disposizioni di cui all'articolo 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali: pur potendo tale fattispecie apparire fin troppo ampia e prestarsi pertanto a strumentalizzazioni, ritiene tuttavia che la permanenza in vigore dei limiti alla revisione di cui all'articolo 631 del codice di procedura penale, consenta di fugare le perplessità in merito.

Propone, quindi, alla Sottocommissione di esprimere un parere favorevole sul disegno di legge n. 2441 con le seguenti osservazioni:

1. all'articolo 2 si segnala l'opportunità di esplicitare che anche la decisione del Comitato dei ministri costituisce presupposto per la richiesta di revisione, per la presentazione della quale il medesimo articolo 2, comma 1, individua soltanto i termini;

2. all'articolo 2, comma 1, si segnala l'opportunità di inserire dopo le parole "la richiesta di revisione" le seguenti: “di cui all'articolo 630-bis del codice di procedura penale, introdotto dall'articolo 1 della presente legge”;

3. al medesimo articolo 2, comma 1, si segnala l’esigenza di fissare in via generale il termine per la proposizione della richiesta di revisione non solo come disposizione transitoria;

4. all'articolo 2, comma 2, si invita la Commissione di merito a valutare se l'esclusione della possibilità di richiedere la revisione delle sentenze e dei decreti penali di condanna per alcune tipologie di reati, quando la violazione delle disposizioni di cui all'articolo 6 della Convenzione sia stata commessa prima della data di entrata in vigore del disegno di legge in esame non presenti irragionevoli profili di disparità di trattamento sulla base del mero fattore temporale.

 

Illustra, quindi il disegno di legge n. 498 e, dopo avere osservato che la fattispecie in presenza della quale si prevede la possibilità di richiedere la revisione appare limitata in modo forse eccessivo, propone alla Sottocommissione di esprimere un parere favorevole osservando, tuttavia, che sembra opportuno stabilire l'obbligo di deposito della copia autentica della sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, ovvero della decisione del Comitato dei ministri, o in subordine prevedere che sia lo stesso giudice della revisione ad acquisire tale copia autentica.

 

Interviene il senatore BATTISTI (Mar-DL-U) esprimendo forti perplessità in particolare sul disegno di legge n. 2441, che fa riferimento alle violazioni di tutte le disposizioni di cui all'articolo 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali quale presupposto per la revisione delle sentenze di condanna: accanto alle ipotesi di lesione del diritto alla difesa, infatti, tale rinvio consentirebbe di chiedere la revisione anche nei casi di non ragionevole durata del processo, con grave rischio di un uso strumentale del nuovo articolo 630-bis del codice di procedura penale introdotto dall’articolo 1 di quel disegno di legge, considerata la durata media dei processi in Italia.

Il presidente FALCIER (FI), in considerazione dell’imminente inizio della seduta della Commissione affari costituzionali, propone che il seguito dell’esame congiunto dei disegni di legge in titolo sia rinviato ad altra seduta.

 

La Sottocommissione consente.

 

Il seguito dell’esame congiunto è quindi rinviato.

 

La seduta termina alle ore 15,25.

 


AFFARI COSTITUZIONALI (1a)

Sottocommissione per i pareri

MARTEDI’ 11 NOVEMBRE 2003

153a Seduta (pomeridiana)

 

Presidenza del Presidente

FALCIER

 

 

Interviene il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri Gagliardi.

 

 

La seduta inizia alle ore 14,10.

(omissis)

(498) COMPAGNA ed altri. - Revisione dei processi penali in seguito a sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo

(2441) Modifiche al codice di procedura penale in materia di revisione a seguito di sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo, approvato dalla Camera dei deputati in un testo risultante dall'unificazione dei disegni di legge d'iniziativa dei deputati Mario Pepe ed altri e Cola

(Parere alla 2ª Commissione. Seguito e conclusione dell'esame congiunto. Parere favorevole con osservazioni)

 

Prosegue l'esame congiunto sospeso nella seduta del 5 novembre 2003.

 

Il senatore BATTISTI (Mar-DL-U), dopo aver ribadito le osservazioni già svolte nel corso della precedente seduta, ricorda che l'Italia si distingue per essere il Paese destinatario del maggior numero di sentenze di condanna della Corte europea dei diritti dell'uomo, la quasi totalità delle quali deriva da violazioni del principio di ragionevole durata del processo; osserva come i ritardi e le lentezze del processo costituiscono un difetto antico del sistema giudiziario italiano, sottolineando pertanto ancora una volta l'elevato rischio che le disposizioni introdotte dal disegno di legge n. 2441 si prestino a un uso strumentale. Premesso, inoltre, che il principio sancito dall'articolo 111 della Costituzione non riguarda solo il processo penale, paventa l'estensione dell'ambito di applicazione del citato disegno di legge n. 2441 anche, ad esempio, ai giudizi civili e amministrativi. Conclude segnalando, infine, il rischio che dalle disposizioni in esame derivino effetti sulla libertà dei condannati, nonché sugli effetti civili delle condanne stesse, in particolare in materia di risarcimento del danno, e sulle pene accessorie.

Dopo un intervento del senatore VILLONE (DS-U), il relatore BOSCETTO (FI), alla luce del dibattito svolto, riformula il punto 4 della proposta di parere favorevole con osservazioni sul disegno di legge n. 2441, già formalizzata nella precedente seduta, nel senso di invitare la Commissione di merito a valutare se l'esclusione della possibilità, di cui all'articolo 2, comma 2, di richiedere la revisione delle sentenze e dei decreti penali di condanna per alcune tipologie di reati, quando la violazione delle disposizioni di cui all'articolo 6 della Convenzione sia stata commessa prima della data di entrata in vigore del disegno di legge n. 2441, pur non presentando irragionevoli profili di disparità di trattamento, risulti congrua in termini di giustizia sostanziale.

Per quanto riguarda il disegno di legge n. 498, ribadisce la proposta di parere favorevole con osservazioni formulata nella precedente seduta.

 

La Sottocommissione concorda con le proposte di parere formulate dal relatore.

 

 

La seduta termina alle ore 14,25.

 


AFFARI COSTITUZIONALI (1a)

martedi’ 17 febbraio 2004

169a Seduta

 

Presidenza del Presidente

FALCIER

 

La seduta inizia alle ore 14,35.

(omissis)

(2441) Modifiche al codice di procedura penale in materia di revisione a seguito di sentenze della Corte europea dei diritti dell' uomo, approvato dalla Camera dei deputati in un testo risultante dall'unificazione dei disegni di legge dei deputati Mario Pepe ed altri e Cola

(Parere su emendamento alla 2ª Commissione. Esame. Parere non ostativo con osservazioni)

 

Il relatore BOSCETTO (FI) illustra l'ulteriore emendamento 2.0.1 riferito al disegno di legge in titolo, con il quale si prevede che a seguito di sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo possa essere richiesta anche la revocazione delle sentenze nell’ambito del processo civile. Propone alla Sottocommissione di esprimere, per quanto di competenza, un parere non ostativo, segnalando tuttavia alla Commissione di merito che il riferimento all’“articolo 41 della predetta Convenzione”, di cui al comma 6-bis introdotto nell’articolo 395 del codice di procedura civile dall’emendamento in esame andrebbe più correttamente riformulato come richiamo all’articolo 41 del Protocollo n. 11 alla Convenzione medesima, nonché l’esigenza di prevedere anche per l’ipotesi di cui all’emendamento in esame una norma transitoria.

 

Conviene la Sottocommissione.

 


Documentazione

 


Camera dei deputati

 


 

 

Camera dei deputati

Risoluzione in Commissione 7-00596

presentata da CLAUDIO AZZOLINI
mercoledì 6 aprile 2005 nella seduta n. 607

 

 

Le Commissioni II e III,

 

considerato che con la Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà fondamentali (CEDU) si è inteso perseguire gli obiettivi del Consiglio d'Europa per la difesa e lo sviluppo dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali;

 

rilevato che l'articolo 46 della CEDU, ratificata dall'Italia con la legge n. 848 del 1955, stabilisce che le Parti contraenti si impegnano a conformarsi alle sentenze definitive della Corte europea dei diritti dell'uomo pronunciate nell'ambito delle controversie di cui siano parti e che le sentenze della Corte sono trasmesse al Comitato dei ministri che ne sorveglia l'esecuzione;

 

constatato che, anche se gli Stati contraenti non hanno l'obbligo formale di incorporare la CEDU nel sistema giuridico interno, dal principio di sussidiarietà che è alla base della Convenzione stessa discende che le giurisdizioni nazionali devono, per quanto possibile, interpretare ed applicare il diritto interno in modo conforme alla Convenzione;

 

preso atto che, se spetta alle autorità nazionali interpretare ed applicare il diritto interno, la Corte europea è comunque chiamata a verificare se il modo in cui tale diritto è interpretato ed applicato produce effetti conformi ai principi della Convenzione, della quale la giurisprudenza della Corte costituisce parte integrante;

 

esaminate le numerose sentenze di condanna nei confronti dell'Italia pronunciate dalla Corte di Strasburgo, dalle quali risulta l'accertamento di violazioni di disposizioni della CEDU e dei suoi Protocolli aggiuntivi, con particolare frequenza di quelle relative all'articolo 6 sul diritto ad un giusto processo, specie sotto il profilo del termine ragionevole di durata dei processi;

 

riscontrato, per le violazioni rilevanti sotto quest'ultimo profilo, che la Corte europea, nella sua giurisprudenza più recente, ha ritenuto non effettivo, e perciò non necessariamente esperibile ai sensi e per gli effetti dell'articolo 35 CEDU, il rimedio interno apprestato dalla legge 24 marzo 2001, n. 89 (cosiddetta legge Pinto) - in quanto, in base ad esso, i giudici italiani, nonostante la svolta operata dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 1340 del 2004, continuano a liquidare ai cittadini lesi nel proprio diritto ad una ragionevole durata del processo somme di gran lunga inferiori rispetto a quelle quantificate dal Giudice di Strasburgo - ed ha conseguentemente condannato l'Italia al pagamento di ulteriori e più consistenti indennizzi (cfr., ad esempio, le dieci sentenze del 10 novembre 2004 rese nelle cause Apicella c/Italia, Carletti e Bonetti c/Italia, Cocchiarella c/Italia, Ernestina Zullo c/Italia, Finazzi c/Italia, Giuseppe Mostacciuolo c/Italia (n. 1), Giuseppe Mostacciuolo c/Italia (n. 2), Giuseppina e Orestina Procaccini c/Italia, Musei c/Italia, Riccardi Pizzati c/Italia);

 

considerato che, da quanto esposto, emergono effetti finanziari rilevanti per lo Stato italiano, dovendosi in molti casi considerare, ai fini dell'esborso a titolo di risarcimento del danno, non solo la condanna pronunciata dalla Corte di Strasburgo - di per sé rilevante considerati i criteri di calcolo in quella sede adottati -, ma anche la riparazione eventualmente ottenuta dal ricorrente in sede nazionale, con la conseguenza che, paradossalmente, talora il risarcimento per violazione del termine ragionevole è notevolmente maggiore rispetto al petitum originario;

 

preso atto del fatto che molte pronunce della Corte europea rilevano carenze strutturali dell'ordinamento giuridico italiano che rendono lo Stato italiano inadempiente nell'ambito della Convenzione;

 

preso atto del fatto che, alla data del 28 aprile 2004, circa il 70 per cento dei 3.700 casi pendenti di fronte al Comitato dei Ministri riguardavano l'Italia e che l'applicazione delle sentenze della Corte richiede, da parte dell'Italia, un tempo di gran lunga maggiore a quello (mediamente circa tre anni) richiesto dagli altri Paesi;

 

valutato che, se da un lato il Governo italiano ha adottato anche recentemente strumenti per conformare l'ordinamento giuridico alle indicazioni provenienti dalla Corte (come avvenuto con il decreto-legge n. 17 del 22 febbraio 2004 in relazione alle sentenze Somogyi del 18 maggio 2004 e Sejdovic del 10 novembre 2004), dall'altro occorrono ulteriori ed incisivi interventi per consentire sia l'attuazione di numerose sentenze rimaste ineseguite, per le quali l'Italia è costantemente oggetto dell'attenzione del Comitato dei Ministri, sia la previsione di rimedi interni più efficaci di quello previsto dalla cosiddetta legge Pinto e applicabili anche ad altre violazioni delle disposizioni della Convenzione;

 

rilevato che l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa ha approvato la Raccomandazione 1684 (2004) con la quale chiede al Comitato dei Ministri di assicurarsi che le Autorità italiane adottino una normativa che consenta la riapertura dei processi, in particolare negli affari penali, al fine di dare un effettivo seguito alle sentenze, e diano attuazione senza ulteriori ritardi alle sentenze della Corte in sospeso da oltre cinque anni;

 

ricordato inoltre che l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa ha approvato la Risoluzione n. 1411 (2004), con la quale, sottolineati i gravi ritardi nell'attuazione delle sentenze della Corte, chiede alle autorità italiane di adottare le misure necessarie per l'esecuzione delle sentenze della Corte europea rese nelle cause Dorigo, Aldini Immobiliare Saffi, Ceteroni, Abenavoli e A.B., E.F. & C.C., A.O., G.L.IV, Lunari, P.M., Palombo Edoardo e Manganelli, S.B.F. spa, CAR, sri, A.D. e Scozzari & Giunta;

 

rilevato infine che nella suddetta Risoluzione si chiede alle Delegazioni nazionali di attivarsi affinché i rispettivi Governi diano attuazione alle sentenze della Corte, riservandosi l'Assemblea, in caso di perdurante inadempienza, di applicare l'articolo 8 del proprio Regolamento che permette la contestazione dei poteri di una Delegazione nazionale;

 

 

impegna il Governo:

 

ad adottare iniziative anche normative per rimediare ai deficit strutturali più volte rilevati dalla Corte di Strasburgo nelle sentenze di condanna emanate nei confronti dello Stato italiano, provvedendo sollecitamente all'esecuzione delle stesse.

 

(7-00596)

«Azzolini, Selva, Gerardo Bianco, Rivolta, Ranieri, Perlini, Naro, Malgieri, Michelini».

 


 

Corte d’Appello di Bologna

 


 

 

 

 

 

 


 

Consiglio d’Europa

 


 

 

 

CONSEIL

DE L'EUROPE

 

COMITÉ DES MINISTRES

 

 

Recommandation n° R (2000) 2

du Comité des Ministres aux Etats membres

sur le réexamen ou la réouverture de certaines affaires

au niveau interne suite à des arrêts

de la Cour européenne des Droits de l’Homme note 1

 

(adoptée par le Comité des Ministres

le 19 janvier 2000,

lors de la 694e réunion des Délégués des Ministres)

 

 

Le Comité des Ministres, en vertu de l'article 15.b du Statut du Conseil de l'Europe,

 

Considérant que le but du Conseil de l'Europe est de réaliser une union plus étroite entre ses membres;

 

Eu égard à la Convention de sauvegarde des Droits de l’Homme et les Libertés fondamentales (ci-après «la Convention»);

 

Notant que, sur la base de l’article 46 de la Convention, les Parties contractantes s’engagent à se conformer aux arrêts définitifs de la Cour européenne des Droits de l’Homme (« la Cour ») dans les litiges auxquels elles sont parties et que le Comité des Ministres en surveille l’exécution;

 

Ayant à l’esprit que, dans certaines circonstances, l’engagement susmentionné peut impliquer l’adoption de mesures, autres que la satisfaction équitable accordée par la Cour conformément à l’article 41 de la Convention et / ou des mesures générales, afin que la partie lésée se retrouve, dans la mesure du possible, dans la situation où elle était avant la violation de la Convention (restitutio in integrum);

 

Prenant note du fait qu’il appartient aux autorités compétentes de l’État défendeur de déterminer quelles mesures sont les plus appropriées pour réaliser la restitutio in integrum, en tenant compte des moyens disponibles dans le système juridique national;

 

Ayant toutefois à l’esprit que - ainsi que le montre la pratique du Comité des Ministres relative au contrôle de l’exécution des arrêts de la Cour- il y a des circonstances exceptionnelles dans lesquelles le réexamen d’une affaire ou la réouverture d’une procédure s’est avéré être le moyen le plus efficace, voire le seul, pour réaliser la restitutio in integrum,

 

I. Invite, à la lumière de ces considérations, les Parties contractantes à s’assurer qu’il existe au niveau interne des possibilités adéquates de réaliser, dans la mesure du possible, la restitutio in integrum.

 

II. Encourage notamment les Parties contractantes à examiner leurs systèmes juridiques nationaux en vue de s’assurer qu’il existe des possibilités appropriées pour le réexamen d’une affaire, y compris la réouverture d’une procédure, dans les cas où la Cour a constaté une violation de la Convention, en particulier lorsque :

 

(i) la partie lésée continue de souffrir des conséquences négatives très graves à la suite de la décision nationale, conséquences qui ne peuvent être compensées par la satisfaction équitable et qui ne peuvent être modifiées que par le réexamen ou la réouverture, et

 

(ii) il résulte de l’arrêt de la Cour que

 

(a) la décision interne attaquée est contraire sur le fond à la Convention, ou

 

(b) la violation constatée est causée par des erreurs ou défaillances de procédure d’une gravité telle qu’un doute sérieux est jeté sur le résultat de la procédure interne attaquée.

 

-------------------------------

1. Le titre ne fait pas mention des décisions du Comité des Ministres compte tenu du fait que, dans un avenir proche, il cessera d’exercer les fonctions quasi-judiciaires que lui attribuait l’ancien article 32 de la Convention. Il est néanmoins entendu  que si certaines affaires étaient encore en cours d’examen  à ce titre lors de l’adoption de la recommandation, les principes de celle-ci s’y appliqueraient également.

 


  Concil             Conseil

of Europe-        de l’Europe

 

 

Resolution 1411 (2004)1

 

 

Implementation of decisions of the European Court of Human Rights

-----------------------------------------------------------------------------------------

 

1. The Parliamentary Assembly recalls that, since the adoption of its Resolution 1226 (2000) on the execution of judgments of the European Court of Human Rights – in which it examined the reasons why certain decisions of the Court had not been executed and called for a number of measures to be taken to remedy the situation – it has involved itself with the implementation of judgments of the Court.

 

2. It decided, inter alia, to regularly debate the execution of judgments on the basis of a record to be drawn up by it in order to support the efforts of the Committee of Ministers in this field.

 

3. To date, it has devoted a general report to compiling an initial record for which it applied the following two criteria: the time elapsed since the Court’s decision and the urgency of the measures to be taken – which gave rise to the adoption of Resolution 1268 (2002) and Recommendation 1546 (2002) on the implementation of decisions of the European Court of Human Rights.

 

4. It has devoted two reports to Turkey owing to the large number of cases involved: one report in 2002 and another in 2004.

 

5. Its Committee on Legal Affairs and Human Rights has compiled a new record of Court judgments which have not been implemented, using the following three criteria: the time elapsed since the Court’s decision, the existence of an interim resolution of the Committee of Ministers and the importance of the issues raised.

 

6. Against this background, it wrote to eight national delegations on 17 February 2003, concerning twenty-one Court decisions in all, asking them to prevail upon their respective governments to implement the unexecuted decisions, setting a two-month deadline for replies. The delegations concerned were Austria, Belgium, France, Italy, Poland, Romania, Switzerland and the United Kingdom. A reminder was sent to three delegations on 30 May 2003 (France, Italy, Romania). Seven delegations replied (Austria, Belgium, Italy, Poland, Romania, Switzerland and the United Kingdom).

 

7. The Assembly notes that of the twenty-one decisions in question five date from 1996, seven from 1997 and eight from 1998.

 

8. In six cases, the individual or general measures requested by the Committee of Ministers have been taken (two decisions against Romania, one decision against Switzerland and three decisions against the United Kingdom).

 

9. In one case, the individual measures have been taken but general measures are still required (Poland).

 

10. In four cases, the draft legislation required to facilitate implementation of the judgments still has to be enacted by parliament (Austria, Belgium and Italy – the cases of F.C.B., Dorigo, Calogero Diana, and Domenichini).

 

11. In seven other cases involving Italy, the Italian authorities are contesting the measures they are required to take.

 

12. In one case against the United Kingdom, negotiations are under way between the authorities and the Council of Europe Secretariat.

 

13. No reply has been received concerning the two cases against France.

 

14. The overall assessment of this new exercise once again illustrates the excessive length of time taken to implement the Court’s decisions. It also illustrates the difficulty of interpreting the Court’s decisions in a number of cases. Lastly, in some cases the authorities in question have shown unwillingness to take action.

 

15. We might infer from the replies received that the aim pursued, namely to ensure that parliamentary delegations should approach their government with a view to implementation of Court decisions, has not been attained. Delegations would appear merely to take note of their government’s explanations and pass them on, without sufficiently trying to induce the authorities to act by way of making use of their parliamentary prerogatives and privileges to hold the government to account and to put pressure on it.

 

16. The Assembly welcomed the possibility of the Committee of Ministers asking the Court to clarify its decisions in cases of disputes concerning the requested measures, as established by Protocol No. 14, but regrets that its proposal to establish a system of astreintes (daily fines for a delay in the performance of a legal obligation) has been rejected.

 

17. The Assembly is, however, still convinced that pressure could usefully be put on governments and a debate organised to discuss this matter, if only to ensure that such cases are brought to public attention and enable other governments to benefit from the experience thus acquired.

 

18. Consequently, the Assembly:

 

i. asks the Italian authorities to implement the measures required of them in the following cases: Ceteroni, Abenavoli; A.B., E.F. and C.C.; Aldini; Immobiliare Saffi; A.O.; G.Le.; Lunari; P.M.; Edoardo Palumbo; Tanganelli; S.B.F. S.p.a.; C.A.R. S.r.l.; A.D.; Scozzari and Giunta;

 

ii. urges the Italian authorities to comply without further delay with the Dorigo v. Italy decision, in accordance with the Committee of Ministers’ interim resolutions, by reopening the impugned criminal proceedings or by otherwise redressing the situation of the applicant who has been serving for more than ten years a prison sentence imposed in gross violation of the right to a fair trial;

 

iii. requests the national delegations to work more actively within their respective parliaments to ensure that their government take the measures required to comply with the Court’s decisions;

 

iv. reserves the right to make use of Rule 8 of its Rules of Procedure should a government persistently refuse to take all the measures required of it pursuant to a decision by the Court;

 

v. shall continue to contribute to the implementation of the Court’s decisions by holding debates in which non-implementing governments are publicly called to account.

 

--------------------------------------------------------------------------------

 

1. Text adopted by the Standing Committee, acting on behalf of the Assembly, on 23 November 2004 (see Doc. 10351, report of the Committee on Legal Affairs and Human Rights, rapporteur: Mr Jurgens).


Concil                   Conseil

of Europe-            de l’Europe

 

 

Recommendation 1684 (2004)1

 

Implementation of decisions of the European Court of Human Rights

-------------------------------------------------------------------------------------------

 

The Parliamentary Assembly, referring to its Resolution 1411 (2004) on the implementation of decisions of the European Court of Human Rights, urges the Committee of Ministers:

 

i. to ensure without further delay that the Italian authorities rapidly take the necessary execution measures in respect of all outstanding judgments older than five years and in all cases where individual measures are urgently expected;

 

ii. to ensure that Italy adopts adequate legislation allowing the reopening of proceedings, and in particular in criminal cases, in order to give effect to findings of violations of the European Convention on Human Rights and creates the appropriate domestic mechanisms and procedures allowing for effective and systematic co-ordination between all competent authorities in the implementation of general measures required by the Court’s judgments;

 

iii. to intensify its pressure in the case of non-execution by member states due to unjustified delays, negligence or refusal;

 

iv. not to stop monitoring execution of a judgment until all the measures designed to remedy the situation responsible for the violation ascertained by the Court have been taken.

 

 

--------------------------------------------------------------------------------

 

1 Text adopted by the Standing Committee, acting on behalf of the Assembly, on 23 November 2004 (see Doc. 10351, report of the Committee on Legal Affairs and Human Rights, rapporteur: Mr Jurgens).

 

 


 

Délégués des Ministres

Décisions

 

CM/Del/Dec(2006)955 9 février 2006

 

955e réunion (DH), 7-8 février 2006

Décisions adoptées avec effet immédiat

 

 

 

955e réunion – 8 février 2006

Rubrique 4.2

 

Décisions

 

Les Délégués, ayant examiné l’état de l’exécution du présent arrêt à la lumière d’un projet de Résolution intérimaire préparé par le Secrétariat,

 

- notent que la législation interne actuellement en vigueur continue de conférer à l’exécutif une large discrétion quant à l’octroi, la suspension ou le retrait de la reconnaissance des cultes religieux et ne reflète pas d’une manière adéquate l’exigence de proportionnalité des restrictions qui peuvent être imposées à l’exercice de la liberté d’expression ;

 

- notent avec préoccupation que l’arrêt n’a donc pas été complètement exécuté en dépit du fait que presque 4 ans se sont écoulés depuis la date de son adoption ; 

 

- soulignent la nécessité d’accélérer le travail législatif visant à l’adoption d’une nouvelle loi sur les cultes respectant pleinement l’arrêt de la Cour européenne et prenant en compte les conclusions et les recommandations fournies par les experts du Conseil de l’Europe ;

 

- décident de reprendre l’examen de cette affaire lors de leur 960e réunion (28-29 mars 2006) (DH), en vue d’adopter le projet de Résolution intérimaire si des progrès adéquats ne sont pas accomplis entre temps :

 

- 1 affaire contre la Moldova

H46-920 45701/99 Eglise Métropolitaine de Bessarabie et autres, arrêt du 13/12/01, définitif le 27/03/02

 

*

 

* *

 

955e réunion – 8 février 2006

Rubrique 4.2

 

Décisions

 

Les Délégués,

 

1. adoptent la Résolution intérimaire ResDH(2006)1 telle qu’elle figure dans le volume de Résolutions ;

 

2. décident de reprendre l’examen de cette question, dans le cadre des arrêts de la Cour européenne concernés, au premier semestre de 2007 :

 

- 2 affaires contre la Fédération de Russie

H46-1066 52854/99 Ryabykh, arrêt du 24/07/03, définitif le 03/12/03

H46-1067 48758/99 Volkova, arrêt du 05/04/2005, définitif le 05/07/2005

 

 

 

955e réunion – 8 février 2006

Rubrique 4.3

 

Décisions

 

Les Délégués,

 

1. déplorent que les appels répétés du Comité pour que l’Italie se conforme à son obligation de remédier aux conséquences de la violation de la Convention européenne dans l’affaire Dorigo n’aient pas abouti à ce jour à une solution satisfaisante ;

 

2. constatent que des tentatives récentes des autorités judiciaires visant la réouverture de la procédure pénale en cause en vue d’assurer le respect de la Convention n’ont pas encore donné les résultats escomptés et expriment le vœu que tous ces efforts aient une issue conforme aux exigences de la Convention ;

 

3. insistent sur l’obligation de l’Italie en vertu de la Convention d’assurer autant que possible la restitutio in integrum en faveur du requérant qui continue de purger une peine infligée en violation de son droit à un procès équitable ;

 

4. décident d’examiner les suites à donner à cette affaire à leur 960e réunion (28-29 mars 2006) (DH) :

 

- 1 affaire contre l’Italie

H32-1105 33286/96 Dorigo Paolo, Résolutions intérimaires DH(99)258 du 15/04/99 (constat de violation), ResDH(2002)30, ResDH(2004)13 et ResDH(2005)85 (adoption de mesures d’ordre individuel)

 

 

 

955e réunion – 8 février 2006

Rubrique 4.3

 

Décisions

 

Les Délégués,

 

1. décident de reprendre l’examen des mesures prises en vue d’exécuter l’arrêt de la Cour lors de leur 956e réunion (15 février 2006) ;

 

2. chargent le Secrétariat de commencer à préparer un projet de résolution intérimaire en vue d'un examen lors d'une prochaine réunion :

 

- 1 affaire contre la Moldova et la Fédération de Russie

*H46-1106 48787/99 Ilaşcu et autres, arrêt du 08/07/2004 (Grande Chambre)

Interim Resolutions ResDH(2005)42 and ResDH(2005)84


 

 

Ministers’ Deputies
Decisions
CM/Del/Dec(2006)960 30 March 2006
960th (DH) meeting, 28-29 March 2006
Decisions adopted with immediate effect

 

 

960th meeting – 29 March 2006

 

Decision

 

The Deputies agreed, in application of the rules of procedure, to consider the following cases1 at their 961st meeting (5 April 2006):

 

Section 4.2

 

- 17 cases against the Russian Federation

H46-855 69529/01 Pravednaya, judgment of 18/11/2004, final on 30/03/2005

 

Timofeyev group (16 cases)

H46-856 58263/00 Timofeyev, judgment of 23/10/03, final on 23/01/04

 

Section 4.3

 

- 1 case against Germany

H46-888 74969/01 Görgülü, judgment of 26/02/04, final on 26/05/04, rectified on 24/05/2005

 

- 28 cases against Ukraine

Zhovner group (28 cases)

H46-865 56848/00 Zhovner, judgment of 29/06/04, final on 29/09/04

 

Section 5.1

 

- 1 case against Belgium

H46-902 51564/99 Čonka, judgment of 05/02/02, final on 05/05/02

 

- 2 cases against the United Kingdom

H54-904 22520/93 Johnson Stanley, judgment of 24/10/97

H46-908 517/02 Kolanis, judgment of 21/06/2005, final on 21/09/2005

960th meeting – 28 March 2006

Section 4.2

 

Decision

 

The Deputies adopted Interim Resolution ResDH(2006)12:

 

- 1 case against Moldova

H46-852 45701/99 Metropolitan Church of Bessarabia and others, judgment of 13/12/01,

final on 27/03/02

 

 

960th meeting – 29 March 2006

Section 4.3

 

Decisions

 

The Deputies,

 

Having examined the information provided by the Italian authorities,

 

1. noted with interest the continuing efforts made at the judicial level in Italy in order to remedy the consequences of the violations of the Convention found in the case of Dorigo;

 

2. noted, in particular, that the Court of Appeal of Bologna has referred the case to the Constitutional Court in order to check the constitutionality of the provisions in force, insofar as they do not provide for the re-opening of proceedings when violations of the Convention have been found;

 

3. welcomed the decision of the Court of Appeal to suspend the execution of the applicant’s sentence and its wish to interpret domestic law in the light of the Italy’s international commitments, and in particular its obligation to comply with the judgments of the Court under Article 46 of the Convention;

 

4. encouraged the Italian authorities to find ways, through either case law or legislative reform, in order to eliminate completely the consequences of the violations found in respect of the applicant and to prevent any problems similar to those encountered in the present case in future;

 

5. decided to resume consideration of this case at their 970th meeting (4-5 July 2006), in the light of the additional information to be provided by the authorities on the individual and general measures envisaged:

 

- 1 case against Italy

H32-889 33286/96 Dorigo Paolo, Interim Resolutions DH(99)258 du 15/04/99 (finding of a violation), ResDH(2002)30, ResDH(2004)13 and ResDH(2005)85 (adoption of individual measures)

 

960th meeting – 29 March 2006

Section 4.3

 

Decision

 

The Deputies decided to resume consideration of the measures taken towards the execution of the Court’s judgment at their 961st meeting (5 April 2006):

 

- 1 case against Moldova and the Russian Federation

H46-890 48787/99 Ilaşcu and others, judgment of 08/07/2004, Grand Chamber

Interim Resolutions ResDH(2005)42, ResDH(2005)84 and ResDH(2006)11

 

960th meeting – 29 March 2006

Section 4.3

Decisions

 

The Deputies,

 

1. invited the Chairman of the Committee of Ministers to send a letter to his Turkish counterpart in order to convey the Committee’s continuing concern at Turkey’s failure to comply with the judgment and to urge for appropriate remedial measures in favour of the applicant;

 

3. decided to continue to supervise the execution of the Court’s judgment in this case at each of its “Human Rights” meetings until full compliance is secured:

 

- 1 case against Turkey

H46-893 28490/95 Hulki Güneş, judgment of 19/06/03, final on 19/09/03, Interim Resolution ResDH(2005)113

 

Note 1 The grouped cases are those appearing in document CM/Del/OJ/DH(2006)960 Volume I.


 

 

Ministers’ Deputies
Decisions CM/Del/Dec(2006)970 5 July 2006
970th (DH) meeting, 4 July 2006
Decisions adopted with immediate effect

 

 

970th meeting – 4 July 2006

Section General Questions

Item e.

 

 

Obligation of states to furnish all necessary facilities to the European Court in its investigations with a view to establishing the facts (Article 38 of the Convention)

ResDH(2001)66, CM/Inf/DH(2006)20

 

Decision

 

The Deputies

 

1. adopted Resolution ResDH(2006)45 as it appears in the present volume of Resolutions;

 

2. agreed to resume consideration of this item at their 976th meeting (17-18 October 2006) (DH), with a view to declassifying the document CM/Inf/DH(2006)20.

 

 

970th meeting – 4 July 2006

Section 4.3

Decision

 

The Deputies decided to resume consideration of the measures taken towards the execution of the Court’s judgment at their 971st meeting (12 July 2006):

 

- 1 case against Moldova and the Russian Federation

48787/99 Ilaşcu and others, judgment of 08/07/2004, Grand Chamber

Interim Resolutions ResDH(2005)42, ResDH(2005)84, ResDH(2006)11 and ResDH(2006)26

 

 

970th meeting – 4 July 2006

Section 4.3

 

Decision

 

The Deputies, having examined progress made in ensuring execution, agreed to declassify the memorandum CM/Inf/DH(2006)4 revised 2 and Addendum revised 3 to this memorandum:

 

- 6 cases against the United Kingdom

 

- Action of the security forces in the United Kingdom

 

28883/95 McKerr, judgment of 04/05/01, final on 04/08/01

37715/97 Shanaghan, judgment of 04/05/01, final on 04/08/01

24746/94 Hugh Jordan, judgment of 04/05/01, final on 04/08/01

30054/96 Kelly and others, judgment of 04/05/01, final on 04/08/01

43290/98 McShane, judgment of 28/05/02, final on 28/08/02

29178/95 Finucane, judgment of 01/07/03, final on 01/10/03

 

Interim Resolution ResDH(2005)20 ; CM/Inf/DH(2006)4 revised 2 and CM/Inf/DH(2006)4 Addendum revised 3

 

970th meeting – 4 July 2006

Sections 2, 3.a, 4.2 and 4.3

 

Decisions

 

The Deputies,

 

1. recalling that the judgments of the Court imply, under Article 46 of the Convention, the legal obligation to erase as far as possible the consequences of the violations found for the applicant and to prevent similar further violations;

 

2. noted that in several similar cases submitted to the supervision of the Committee of Ministers the best appropriate way to erase the consequences of the violations of the right to a fair trial is the reopening of the domestic proceedings impugned (cases of Dorigo, F.C.B., R.R., Bracci, Sedjovic);

 

3. noted with great interest the recent jurisprudential efforts in the cases of Dorigo and F.C.B. to reopen the proceedings impugned but regretting that despite these efforts the applicants are still suffering some consequences of the violations after many years;

 

4. invited the Italian authorities to complete their efforts with a view to ensuring, either by case-law or legislative reform, that the consequences of proceedings found to be in violation with the Convention in all the cases concerned, may be rapidly erased in accordance with Italy’s legal obligations;

 

5. decided to resume consideration of the progress in the implementation of the judgments and decisions concerned at the their 976th meeting (17-18 October 2006), on the basis of further information to be provided by the authorities regarding the individual and general measures envisaged:

 

- 5 cases against Italy

 

36822/02 Bracci, judgment of 13/10/2005, final on 15/02/2006

33286/96 Dorigo Paolo, Interim Resolutions DH(99)258 of 15/04/99 (finding of a violation), ResDH(2002)30, ResDH(2004)13 and ResDH(2005)85 (adoption of individual measures)

12151/86 F.C.B., judgment of 28/08/91, Resolution DH(93)6 and Interim Resolution ResDH(2002)30

42191/02 R.R., judgment of 09/06/2005, final on 12/04/2006

56581/00 Sejdovic, judgment of 01/03/2006 - Grand Chamber


Normativa straniera

 


 

Francia

 

 

CODE DE PROCEDURE PENALE

 

Livre III : Des voies de recours extraordinaires.

Titre III : Du réexamen d'une décision pénale consécutif au prononcé d'un arrêt de la Cour européenne des droits de l'homme.

 

 

Article 626-1

Créé par Loi n°2000-516 du 15 juin 2000 art. 89 (JORF 16 juin 2000).

Le réexamen d'une décision pénale définitive peut être demandé au bénéfice de toute personne reconnue coupable d'une infraction lorsqu'il résulte d'un arrêt rendu par la Cour européenne des droits de l'homme que la condamnation a été prononcée en violation des dispositions de la convention de sauvegarde des droits de l'homme et des libertés fondamentales ou de ses protocoles additionnels, dès lors que, par sa nature et sa gravité, la violation constatée entraîne pour le condamné des conséquences dommageables auxquelles la " satisfaction équitable " allouée sur le fondement de l'article 41 de la convention ne pourrait mettre un terme.

 

 

Article 626-2

Créé par Loi n°2000-516 du 15 juin 2000 art. 89 (JORF 16 juin 2000).

Le réexamen peut être demandé par :

- le ministre de la justice ;

- le procureur général près la Cour de cassation ;

- le condamné ou, en cas d'incapacité, son représentant légal ;

- les ayants droit du condamné, en cas de décès de ce dernier.

 

 

Article 626-3

Modifié par Loi n°2002-307 du 4 mars 2002 art. 11 (JORF 5 mars 2002).

La demande en réexamen est adressée à une commission composée de sept magistrats de la Cour de cassation, désignés par l'assemblée générale de cette juridiction ; chacune des chambres est représentée par un de ses membres, à l'exception de la chambre criminelle qui est représentée par deux magistrats, l'un d'entre eux assurant la présidence de la commission. Sept magistrats suppléants sont désignés dans les mêmes conditions. Les fonctions du ministère public sont exercées par le parquet général de la Cour de cassation.

La demande en réexamen doit être formée dans un délai d'un an à compter de la décision de la Cour européenne des droits de l'homme.

La décision de la commission est prononcée à l'issue d'une audience publique au cours de laquelle sont recueillies les observations orales ou écrites du requérant ou de son avocat, ainsi que celles du ministère public ; cette décision n'est pas susceptible de recours.

 

 

Article  626-4

Créé par Loi n°2000-516 du 15 juin 2000 art. 89 (JORF 16 juin 2000).

Si elle estime la demande justifiée, la commission procède conformément aux dispositions ci-après :

- Si le réexamen du pourvoi du condamné, dans des conditions conformes aux dispositions de la convention, est de nature à remédier à la violation constatée par la Cour européenne des droits de l'homme, la commission renvoie l'affaire devant la Cour de cassation qui statue en assemblée plénière ;

- Dans les autres cas, la commission renvoie l'affaire devant une juridiction de même ordre et de même degré que celle qui a rendu la décision litigieuse, sous réserve de l'application des dispositions des troisième et quatrième alinéas de l'article 625.

 

 

Article  626-5

Modifié par Loi n°2004-204 du 9 mars 2004 art. 158 I (JORF 10 mars 2004).

La suspension de l'exécution de la condamnation peut être prononcée à tout moment de la procédure de réexamen par la commission ou la Cour de cassation.

Hors le cas prévu au premier alinéa, si la commission, estimant la demande justifiée, procède conformément aux dispositions de l'article 626-4, la personne qui exécutait une peine privative de liberté demeure détenue, sans que cette détention puisse excéder la durée de la peine prononcée, jusqu'à la décision, selon le cas, de la Cour de cassation statuant en assemblée plénière ou de la juridiction du fond. Cette décision doit intervenir dans un délai d'un an à compter de la décision de la commission ; faute de décision dans ce délai, la personne est mise en liberté, à moins qu'elle soit détenue pour une autre cause. Pendant ce délai, la personne est considérée comme placée en détention provisoire, et peut former des demandes de mise en liberté dans les conditions prévues aux articles 148-6 et 148-7. Ces demandes sont examinées conformément aux articles 148-1 et 148-2. Toutefois, lorsque la commission a renvoyé l'affaire devant l'assemblée plénière de la Cour de cassation, la demande de mise en liberté est examinée par la chambre de l'instruction de la cour d'appel dans le ressort de laquelle siège la juridiction ayant condamné l'intéressé.

 

 

Article  626-6

Créé par Loi n°2000-516 du 15 juin 2000 art. 89 (JORF 16 juin 2000).

Pour l'application des dispositions du présent titre, le requérant peut être représenté ou assisté par un avocat au Conseil d'Etat ou à la Cour de cassation ou par un avocat régulièrement inscrit à un barreau.

 

 

Article  626-7

Créé par Loi n°2000-516 du 15 juin 2000 art. 89 (JORF 16 juin 2000).

Si, à l'issue de la procédure, le condamné est reconnu innocent, les dispositions de l'article 626 sont applicables.



 

 



[1]     Va rilevato tuttavia che, mentre in passato la disposizione relativa al termine di sei mesi veniva interpretata in maniera restrittiva, oggi si ritiene che sia possibile presentare un ricorso alla Corte di Strasburgo anche se non è stata pronunciata la decisione definitiva da parte dello Stato per i casi in cui si denunci l’eccessiva durata dei procedimenti davanti alle autorità nazionali.   

[2]    Su ciò cfr. V. Esposito, “Le radici della crisi italiana sul giusto processo”, in Documenti giustizia, 2000, n. 1-2, pp.1-44.  Viene tra l’altro rilevato che mentre alcuni Paesi (Belgio, Danimarca, Finlandia, Russia etc.) hanno risolto la questione per via giurisprudenziale, altri (Austria, Bulgaria, Croazia, Francia, Germania, Lussemburgo, Svizzera, Regno Unito etc.), hanno espressamente previsto la possibilità della revisione dopo una sentenza della Corte che abbia constatato la violazione delle regole del giusto processo. La relazione illustrativa della proposta di legge cita, a tale proposito, la legge francese n. 2000-516 del 15 giugno 2000. 

[3]    Con la risoluzione 1411(2004), anche tale Assemblea ha stigmatizzato il ritardo dell’Italia nell’attuazione di numerose pronunce della Corte di Strasburgo e ha chiesto alle delegazioni parlamentari nazionali di svolgere un ruolo più attivo nei parlamenti di appartenenza, riservandosi il diritto di applicare l’art. 8 del proprio regolamento (contestazione dei poteri di una delegazione nazionale), in caso di inadempienze persistenti.

[4]    Circa il 60% degli affari pendenti presso il Comitato dei Ministri, relativi a pronunce in attesa di esecuzione, riguarda l’Italia.

[5]    Sentenza pronunciata a seguito del ricorso n. 46520/99, presentato contro l’Italia da un soggetto condannato a tredici anni di detenzione per reati di terrorismo. Nella fattispecie, la Corte europea ha accertato la violazione dell’art. 6 CEDU non solo sotto il profilo del paragrafo 1, ma anche del paragrafo 3 d, cioè del diritto di esaminare o far esaminare i testimoni a carico ed ottenere la convocazione e l’esame dei testimoni a discarico nelle stesse condizioni dei testimoni a carico. Secondo la Corte, infatti, la condanna del ricorrente si era basata unicamente su dichiarazioni rese prima del processo da tre coimputati “pentiti” senza che il ricorrente stesso avesse potuto ottenerne l’interrogatorio.