Dipartimento
Finanze
SIWEB
I dossier
dei servizi e degli uffici della Camera sono destinati alle esigenze di
documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei
parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro
eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.
File: FI0031.doc
INDICE
Scheda
di sintesi per l’istruttoria legislativa
Dati identificativi3
Struttura e oggetto. 4
§
Contenuto. 4
§
Relazioni allegate. 5
Elementi per
l’istruttoria legislativa. 6
§
Necessità
dell’intervento con legge. 6
§
Rispetto delle
competenze legislative costituzionalmente definite. 6
§
Rispetto degli altri
princìpi costituzionali6
§
Compatibilità
comunitaria. 6
§
Incidenza
sull’ordinamento giuridico. 7
§
Impatto sui destinatari
delle norme. 9
§
Formulazione del testo. 9
Schede di lettura
§
Articolo 1 (Delega
in materia di redditi di capitale e di redditi diversi di natura finanziaria)13
§
Articolo2 (Delega
in materia di riscossione)33
§
Articolo 3 (Delega in materia di accertamento)43
§
Articolo 4 (Delega per la riforma del sistema
estimativo del catasto dei fabbricati)57
§
Articolo 5 (Delega per il riassetto delle disposizioni
tributarie statali)75
§
Articolo 6 (Disposizioni attuative)80
Testo del disegno di legge (A.C. 1762)
Delega al Governo per il riordino della normativa sulla
tassazione dei redditi di capitale, sulla riscossione e accertamento dei
tributi erariali, sul sistema estimativo del catasto fabbricati, nonché per la
redazione di testi unici delle disposizioni sui tributi statali85
Normativa
§
Cost. 27 dicembre 1947 Costituzione della
Repubblica italiana (art. 47)101
§
D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 Disposizioni
comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi (artt. 31-45)102
§
D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 Approvazione del
testo unico delle imposte sui redditi (artt. 36-39, 44-48, 67, 68, 87, 89)122
§
D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241 Norme di
semplificazione degli adempimenti dei contribuenti in sede di dichiarazione dei
redditi e dell'imposta sul valore aggiunto, nonché di modernizzazione del
sistema di gestione delle dichiarazioni (artt. 17-29)138
§
D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 Disposizioni
generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme
tributarie, a norma dell'articolo 3, comma 133, della L. 23 dicembre 1996, n.
662 (artt. 2 e 21)146
§
D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322 Regolamento
recante modalità per la presentazione delle dichiarazioni relative alle imposte
sui redditi, all'imposta regionale sulle attività produttive e all'imposta sul
valore aggiunto, ai sensi dell'articolo 3, comma 136, della L. 23 dicembre
1996, n. 662 (art. 2)147
§
L. 13 maggio 1999, n. 133 Disposizioni in
materia di perequazione, razionalizzazione e federalismo fiscale (art. 18)149
§
D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 Nuova disciplina dei
reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma
dell'articolo 9 della L. 25 giugno 1999, n. 205. 152
§
L. 27 luglio 2000, n. 212 Disposizioni in
materia di statuto dei diritti del contribuente 161
§
L. 21 novembre 2000, n. 342 Misure in materia
fiscale (art. 74)172
§
D.L. 30 settembre 2005, n. 203 Misure di
contrasto all'evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e
finanziaria (art. 3)173
Giurisprudenza costituzionale
§
Corte Costituzionale
Sentenza 20-24 giugno 1994, n. 263. 185
Numero del disegno di legge
|
A.C. 1762
|
Titolo
|
Delega
al Governo per il riordino della normativa sulla tassazione dei redditi di
capitale, sulla riscossione e accertamento dei tributi erariali, sul sistema
estimativo del catasto fabbricati, nonché per la redazione di testi unici
delle disposizioni sui tributi statali
|
Iniziativa
|
Governo
|
Settore d’intervento
|
Fisco
|
Iter al Senato
|
No
|
Numero di articoli
|
6
|
Date
|
|
§
presentazione
o trasmissione alla Camera
|
4 ottobre 2006
|
§
annunzio
|
5 ottobre 2006
|
§
assegnazione
|
19 novembre 2006
|
Commissione competente
|
VI (Finanze)
|
Sede
|
Referente
|
Pareri previsti
|
I (Affari
costituzionali), II (Giustizia), V (Bilancio), XI (Lavoro), XIV (Politiche
dell’Unione europea) e Commissione parlamentare per le questioni regionali
|
L’articolo 1 del disegno di legge delega il Governo ad emanare, entro
sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più
decreti legislativi per il riordino del trattamento tributario dei redditi di
capitale e dei redditi diversi di natura finanziaria, delle gestioni
individuali di patrimoni e degli organismi di investimento collettivo mobiliare,
prevedendo, tra i princìpi e criteri direttivi, la sottoposizione di tali
redditi ad un’unica aliquota non superiore al 20 per cento.
L’articolo 2 delega il Governo ad emanare, entro dodici mesi dalla
data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi
per il riordino della disciplina della riscossione volontaria e coattiva, prevedendo,
tra i princìpi e criteri direttivi, il rafforzamento dei poteri degli agenti
della riscossione, l’estensione delle agevolazioni fiscali previste per le
azioni esecutive e cautelari ai soggetti terzi incaricati dagli agenti della
riscossione, nonché l’attribuzione a Riscossione SpA di funzioni attualmente
esercitate dall’Agenzia delle entrate per la gestione del sistema dei
versamenti unitari con compensazione e per il controllo sull’andamento dei
versamenti delle imposte
L’articolo 3 delega il Governo ad emanare, entro dodici mesi dalla
data di entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi per l’armonizzazione,
razionalizzazione e semplificazione delle disposizioni in materia di
accertamento, prevedendo, tra i princìpi e criteri direttivi, l’unificazione
dei termini, la coerenza con i princìpi dello Statuto del contribuente, la
revisione dei criteri di accertamento presuntivi, l’armonizzazione delle
diverse forme di interpello, la revisione del principio di unicità dell’atto di
accertamento, il potenziamento del sistema informativo, il riordino della
cooperazione con gli enti territoriali.
L’articolo 4 delega il Governo ad adottare, entro dodici mesi dalla
data di entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi per la riforma
del sistema del catasto, prevedendo, tra i princìpi e criteri direttivi, la
determinazione degli estimi catastali su base patrimoniale, la definizione
delle modalità e dei termini per l’aggiornamento del sistema di valutazione, la
ridefinizione della composizione e delle funzioni delle commissioni censuarie
provinciali e centrale, nonché la determinazione del ruolo dei comuni e
dell’Agenzia del territorio e l’introduzione di meccanismi volti ad assicurare l’equivalenza
del gettito complessivo delle imposte erariali e comunali aventi per base
imponibile i valori o i redditi immobiliari derivati.
L’articolo 5 delega il Governo ad adottare, entro due anni dalla data
di entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi recanti testi
unici di riordino e revisione delle disposizioni legislative vigenti,
sostanziali, processuali e procedimentali, in materia di tributi statali,
prevedendo, tra i princìpi e criteri direttivi, l’uniformità della disciplina
degli elementi essenziali dell’obbligazione fiscale e delle norme generali in
materia di dichiarazioni, di accertamento, di riscossione e di applicazione
delle sanzioni, nonché il divieto di applicazione analogica delle norme
tributarie.
L’articolo 6 disciplina le modalità di attuazione delle deleghe contenute
negli articoli precedenti.
Al disegno di legge
sono allegate la relazione illustrativa del Governo e la relazione tecnica
sulle conseguenze di carattere finanziario.
La necessità di
intervenire in via legislativa nelle materie contemplate dal provvedimento si
giustifica in considerazione della riserva di legge (sia pure relativa) posta
sulla materia tributaria dall’articolo 23 della Costituzione, il quale
prescrive che nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta
se non in base alla legge.
Il provvedimento
interviene sul sistema tributario statale, materia attribuita dall’articolo
117, comma 2, lettera e), alla
competenza legislativa esclusiva dello Stato.
Trattandosi di legge
di delegazione legislativa, occorre valutare l’idoneità e la specificità dei
princìpi e criteri direttivi per l’attuazione delle deleghe legislative
conferite, in relazione al disposto dell’articolo 76 della Costituzione.
Esame del provvedimento in relazione
alla normativa comunitaria
La materia non sembra
comportare significative interferenze con l’ordinamento comunitario.
Si osserva per altro
che l’attuazione della delega contemplata nell’articolo 1, relativo alla
tassazione dei redditi di capitale, dovrà far salva la disciplina recepita
nell’ordinamento nazionale in conseguenza delle direttive riguardanti il regime
fiscale dei rapporti tra le società madri e figlie (da ultimo la direttiva
2003/123/CE).
Documenti
all’esame delle Istituzioni dell’UE (a
cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione europea)
Il 4 dicembre 2006 la
Commissione ha presentato una proposta di direttiva concernente le imposte indirette sulla raccolta di
capitali (rifusione) (COM(2006)760).
La
proposta prospetta la rifusione della direttiva 69/335/CEE, concernente
le imposte indirette sulla raccolta di capitali, e intende semplificare una
parte della normativa comunitaria, in particolare attraverso la graduale
eliminazione nei sistemi fiscali nazionali dell’imposta sui conferimenti,
considerata dalla Commissione un ostacolo rilevante allo sviluppo delle società
europee, rafforzando il divieto di istituire o di applicare altre imposte
simili.
La proposta prevede un
limite massimo dello 0,5% per le aliquote dell'imposta sui conferimenti entro
il 2008 e una sua graduale abolizione entro il 2010, per essere in linea con la
strategia di Lisbona. La Commissione sottolinea che a quella data gli Stati
membri avranno avuto 25 anni di tempo per adattare i loro regimi fiscali al
fine di prepararsi a tale abolizione.
La prima parte della
proposta contiene le norme di carattere generale che vietano l'applicazione
dell'imposta sui conferimenti e di altre imposte analoghe. La seconda parte
contiene disposizioni speciali sull'applicazione dell'imposta sui conferimenti
relative agli Stati membri che nel corso del periodo di graduale abolizione
scelgono di continuare ad applicarla.
Gli Stati membri sono
stati consultati in relazione alle modifiche proposte a livello tecnico. Il
risultato delle consultazioni ha confermato la necessità della rifusione della
direttiva per chiarirne le disposizioni e l'opportunità di eliminare
gradualmente l'imposta sui conferimenti.
Riflessi sulle autonomie e sulle
altre potestà normative
L’articolo 3, comma 1,
lettera g), prevede che,
nell’esercizio della delega in materia di accertamento tributario, il Governo
proceda al riordino e alla razionalizzazione delle attività di cooperazione con
gli enti territoriali.
L’articolo 4, comma 1,
lettera d), prevede che,
nell’esercizio della delega in materia di catasto, il Governo proceda alla
definizione del ruolo dei comuni, mentre la successiva lettera g) prescrive di garantire la sostanziale
invarianza complessiva delle imposte comunali e di quelle erariali, aventi per
base imponibile i valori o redditi immobiliari derivati.
L’articolo 5, comma 1,
lettera i), prevede che,
nell’esercizio della delega in materia di emanazione di testi unici di riordino
delle disposizioni tributarie statali, si provveda al coordinamento con le
disposizioni degli statuti delle regioni a statuto speciale e delle province
autonome di Trento e Bolzano e delle relative norme di attuazione.
Attribuzione di poteri normativi
Gli articoli da 1 a 5
del provvedimento conferiscono deleghe legislative al Governo; l’articolo 6 ne
disciplina le modalità di attuazione.
Coordinamento con la normativa
vigente
Si ricorda che in
materia di riscossione sono da ultimo intervenuti i commi da 1 a 15
dell’articolo 2 del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, convertito, con
modificazioni, dalla legge 24 novembre 2006, n. 286.
L’attuazione delle
deleghe contemplate nel provvedimento comporterà modifiche a numerosi
provvedimenti in materia fiscale. Si segnalano, in particolare, il D.P.R. 29
settembre 1973, n. 600, recante disposizioni comuni in materia di accertamento
delle imposte sui redditi; il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, recante
disposizioni sulla riscossione delle imposte sui redditi; il testo unico delle
imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, il decreto
legislativo 21 novembre 1997, n. 461, recante il riordino della disciplina
tributaria dei redditi di capitale e dei redditi diversi.
Inoltre, l’articolo 5
conferisce al Governo un’ampia delega per la redazione di testi unici volti al
riordino e alla revisione di tutte le disposizioni legislative vigenti
sostanziali, processuali e procedimentali in materia di tributi statali.
Collegamento con lavori legislativi
in corso
Disposizioni volte al
perfezionamento dei metodi di formulazione e di applicazione degli studi di
settore, cui fa indiretto riferimento l’articolo 3, comma 1, lettera c) (che infatti si riferisce ai metodi
di accertamento presuntivo), sono contenuti nell’articolo 3, commi da 1 a 15, del
medesimo disegno di legge finanziaria per il 2007, nel testo approvato dalla
Camera e attualmente all’esame del Senato (A. S. n. 1183).
Inoltre, i commi 40 e
41 dell’articolo 3 del disegno di legge finanziaria per il 2007 istituiscono il
sistema integrato delle banche dati in materia tributaria e finanziaria, per la
condivisione e la gestione coordinata delle informazioni dell’intero settore
pubblico per l’analisi e il controllo della pressione fiscale e dell’andamento
dei flussi finanziari. La disposizione si ricollega al principio di delega in
materia di accertamento tributario di cui all’articolo 3, comma 1, lettera f), che prevede il potenziamento del
sistema informativo secondo modalità telematiche dell’accertamento tributario
Infine, in materia di
definizione delle competenze dei comuni e dell’Agenzia del territorio nella
gestione del catasto, cui fa riferimento l’articolo 4, comma 1, lettera d), intervengono gli articoli 13 e 14
del disegno di legge finanziaria per il 2007.
L’attuazione della
delega contenuta all’articolo 1 potrebbe comportare modifiche nell’applicazione
dell’imposizione sostitutiva da parte degli intermediari finanziari attualmente
disciplinati dal decreto legislativo n. 461 del 1997.
All’articolo 1, comma
1, alinea, non risulta chiaro il riferimento agli organismi di investimento
collettivo mobiliare: in particolare dovrebbe precisarsi se si faccia
riferimento agli organismi di investimento collettivo in valori mobiliari
disciplinati dalla direttiva 85/611/CEE ovvero agli organismi di investimento
collettivo del risparmio di cui all’articolo 1, comma 1, lettera m), del testo unico delle disposizioni
in materia di intermediazione finanziaria, emanato con decreto legislativo 24
febbraio 1998, n. 58.
All’articolo 1, comma
1, lettera e), non risulta chiaro il
significato del criterio di delega che impone il rispetto del principio
dell’equivalenza di trattamento tra gli intermediari finanziari.
1. Il Governo è
delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della
presente legge, uno o più decreti legislativi concernenti il riordino del
trattamento tributario dei redditi di capitale e dei redditi diversi di natura
finanziaria, nonché delle gestioni individuali di patrimoni e degli organismi
di investimento collettivo mobiliare, e recanti modifiche al regime delle
ritenute alla fonte sui redditi di capitale o delle imposte sostitutive
afferenti i medesimi redditi, con l'osservanza dei seguenti princìpi e criteri
direttivi:
a) revisione delle
aliquote delle ritenute sui redditi di capitale e dei redditi diversi di natura
finanziaria o delle misure delle imposte sostitutive afferenti i medesimi
redditi, al fine della loro unificazione, con la previsione di un'unica
aliquota non superiore al 20 per cento; conferma delle disposizioni vigenti che
prevedono l'esenzione ovvero la non imponibilità dei redditi di capitale e dei
redditi diversi di natura finanziaria;
b) applicazione
dell'aliquota di cui alla lettera a), nel rispetto dei princìpi di
incoraggiamento e di tutela del risparmio di cui all'articolo 47 della
Costituzione, al fine anche di evitare segmentazioni del mercato;
c) eventuale
introduzione di misure compensative, anche aventi natura di deduzioni o
detrazioni di imposta, a favore dei soggetti economicamente più deboli, nel
rispetto del principio indicato alla lettera d);
d) semplificazione
delle procedure al fine di ridurre i costi amministrativi a carico degli
intermediari, da realizzare in via regolamentare o con l'adozione di provvedimenti
amministrativi generali;
e) coordinamento
della nuova disciplina con le disposizioni vigenti, nel rispetto del principio
dell'equivalenza di trattamento tra i diversi redditi e strumenti di natura
finanziaria nonché tra gli intermediari finanziari;
f) introduzione di
un'adeguata disciplina transitoria, volta a regolamentare il passaggio alla
nuova disciplina tenendo conto, tra l'altro, dell'esigenza di evitare che
possano emergere, con particolare riferimento alle posizioni esistenti alla
data della sua entrata in vigore, ingiustificati guadagni o perdite e nel
rispetto del principio indicato alla lettera d);
g) possibilità di
differire l'entrata in vigore dei decreti legislativi di attuazione fino a
dodici mesi dalla data della loro pubblicazione;
h) coordinamento,
introducendo tutte le modifiche necessarie, della nuova disciplina con le
disposizioni contenute nel decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre
1973, n. 600, nel testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del
Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, ed in ogni altra legge,
regolamento, decreto o provvedimento vigenti.
2. Dall'adozione
dei decreti legislativi previsti dal presente articolo devono derivare maggiori
entrate non inferiori, per l'anno 2007, a 1.100 milioni di euro e, a decorrere
dall'anno 2008, a 2.000 milioni di euro annui.
L’articolo 1 del disegno di legge conferisce al Governo la delega legislativa, da esercitarsi entro
sei mesi dalla data di entrata in
vigore della legge, per il riordino del
trattamento tributario relativo a:
§ redditi di capitale;
§ redditi diversi, limitatamente a quelli
di natura finanziaria;
§ gestioni individuali di patrimoni;
§ organismi di investimento collettivo
mobiliare (OICVM).
La delega legislativa
si estende anche al regime delle ritenute
alla fonte e delle imposte
sostitutive cui sono sottoposti i redditi di capitale.
I tipi di
reddito e i soggetti interessati
I redditi di capitale sono, in linea generale, i redditi derivanti da
un “impiego non dinamico” del capitale (quali ad esempio gli interessi
derivanti dai conti correnti bancari). Ai sensi dell’articolo 44 del testo unico delle imposte sui redditi (TUIR),
approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917,
si considerano in particolare redditi di capitale:
§ gli
interessi e gli altri proventi derivanti da mutui, depositi e conti correnti;
§ gli
interessi e gli altri proventi delle obbligazioni
e titoli similari, degli altri titoli diversi dalle azioni e titoli
similari, nonché dei certificati di
massa;
A norma del comma 2 del medesimo articolo 44
del TUIR, si considerano similari alle obbligazioni i buoni fruttiferi emessi da società esercenti la vendita a rate di
autoveicoli, e i titoli di massa che
contengono l'obbligazione incondizionata di pagare alla scadenza una somma non
inferiore a quella in essi indicata, con o senza la corresponsione di proventi
periodici, e che non attribuiscono ai possessori alcun diritto di partecipazione
diretta o indiretta alla gestione dell'impresa emittente o dell'affare in
relazione al quale siano stati emessi, né di controllo sulla gestione stessa.
§ le
rendite perpetue e le prestazioni
annue perpetue disciplinate dagli articoli 1861 e 1869 del codice civile;
§ i
compensi per prestazioni di fideiussione
o di altra garanzia;
§ gli
utili derivanti dalla partecipazione al
capitale o al patrimonio di società ed enti soggetti all'imposta sul
reddito delle società;
A norma del comma 2 del medesimo articolo 44
del TUIR, si considerano similari alle azioni i titoli e gli strumenti
finanziari emessi da società per azioni e in accomandita per azioni, società a
responsabilità limitata, società cooperative e società di mutua assicurazione,
da enti pubblici o privati che esercitano esclusivamente o principalmente
attività commerciali, ovvero da società e enti di ogni tipo, con o senza
personalità giuridica, non residenti nel territorio dello Stato, quando la
remunerazione sia costituita totalmente dalla partecipazione ai risultati
economici della società emittente o di altre società appartenenti allo stesso
gruppo o dell'affare in relazione al quale i titoli e gli strumenti finanziari
sono stati emessi.
Quando si tratti di partecipazioni al capitale
o al patrimonio, ovvero di titoli o strumenti finanziari interamente remunerati
con la partecipazione ai risultati economici della gestione, emessi da società
ed enti non residenti, essi si considerano similari alle azioni a condizione
che la relativa remunerazione sia totalmente indeducibile nella determinazione
del reddito del soggetto emittente nello Stato estero di residenza; a tal fine,
l'indeducibilità dev’essere provata mediante dichiarazione dell'emittente
stesso o attraverso altri elementi certi e precisi.
§ gli
utili derivanti da associazioni in
partecipazione e dai contratti
di cointeressenza agli utili senza partecipazione alle perdite, o di
partecipazione agli utili e alle perdite senza corrispettivo apporto, di cui
all’articolo 2554 del codice civile;
§ i
proventi derivanti dalla gestione,
nell'interesse collettivo di pluralità di soggetti, di masse patrimoniali costituite con somme di denaro e beni
affidati da terzi o provenienti dai relativi investimenti;
§ i
proventi derivanti da riporti e pronti
contro termine su titoli e valute;
§ i
proventi derivanti dal mutuo di titoli
garantito;
§ i
redditi compresi nei capitali corrisposti in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita e di capitalizzazione;
§ i
redditi derivanti dai rendimenti delle forme
pensionistiche complementari erogati in forma periodica e delle rendite vitalizie aventi funzione
previdenziale;
§ gli
interessi e gli altri proventi derivanti da altri rapporti aventi per oggetto l'impiego del capitale, esclusi i
rapporti attraverso cui possono essere realizzati differenziali positivi e
negativi in dipendenza di un evento incerto.
Sono classificati tra
i redditi diversi anche taluni
proventi derivanti dall’impiego di capitale; essi tuttavia risultano incerti
non solo nel quantum ma anche nell’esistenza,
e si manifestano sotto forma di plusvalenze (cosiddetti capital gains).
In particolare, l’articolo 67 del TUIR stabilisce che, se non costituiscono redditi di capitale
ovvero se non sono conseguiti nell'esercizio di arti e professioni o di imprese
commerciali o da società in nome collettivo e in accomandita semplice, né in
relazione alla qualità di lavoratore dipendente, costituiscono redditi diversi:
a)
le plusvalenze realizzate mediante la lottizzazione di terreni, o
l'esecuzione di opere intese a renderli edificabili, e la successiva vendita, anche parziale, dei terreni e
degli edifici;
b)
le plusvalenze realizzate mediante cessione
a titolo oneroso di beni immobili
acquistati o costruiti da non più di cinque
anni, esclusi quelli acquisiti per successione e le unità immobiliari
urbane che per la maggior parte del periodo intercorso tra l'acquisto o la
costruzione e la cessione sono state adibite ad abitazione principale del
cedente o dei suoi familiari, nonché, in ogni caso, le plusvalenze realizzate a
seguito di cessioni a titolo oneroso di terreni
suscettibili di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici
vigenti al momento della cessione;
c)
le plusvalenze realizzate mediante cessione
a titolo oneroso di partecipazioni
qualificate, nonché dei diritti o titoli attraverso cui possono essere
acquisite le predette partecipazioni;
d)
le plusvalenze realizzate mediante cessione
a titolo oneroso di partecipazioni non
qualificate, nonché dei diritti o titoli attraverso cui possono essere acquisite
le predette partecipazioni;
e)
le plusvalenze realizzate mediante cessione
a titolo oneroso ovvero rimborso di titoli
non rappresentativi di merci, di certificati
di massa, di valute estere,
oggetto di cessione a termine o rivenienti da depositi o conti correnti, di metalli preziosi, sempreché siano allo
stato grezzo o monetato, e di quote di
partecipazione ad organismi d'investimento collettivo;
f)
i redditi, diversi da quelli precedentemente
indicati, comunque realizzati mediante rapporti da cui deriva il diritto o
l'obbligo di cedere o acquistare a
termine strumenti finanziari, valute, metalli preziosi o merci ovvero di
ricevere o effettuare a termine uno o più pagamenti collegati a tassi di
interesse, a quotazioni o valori di strumenti finanziari, di valute estere, di
metalli preziosi o di merci e ad ogni altro parametro di natura finanziaria (si
tratta, in questa seconda fattispecie, dei cosiddetti “strumenti finanziari derivati”). Agli effetti dell'applicazione
della presente lettera sono considerati strumenti finanziari anche i predetti
rapporti;
g)
le plusvalenze ed altri proventi, diversi da
quelli precedentemente indicati, realizzati mediante cessione a titolo oneroso
ovvero chiusura di rapporti produttivi
di redditi di capitale e mediante cessione a titolo oneroso ovvero rimborso
di crediti pecuniari o di strumenti finanziari, nonché quelli realizzati
mediante rapporti attraverso cui possono essere conseguiti differenziali
positivi e negativi in dipendenza di un evento
incerto;
h)
le vincite
delle lotterie, dei concorsi a premio, dei giochi e delle scommesse organizzati
per il pubblico e i premi derivanti
da prove di abilità o dalla sorte nonché quelli attribuiti in riconoscimento di
particolari meriti artistici, scientifici o sociali;
i)
i redditi
di natura fondiaria non determinabili catastalmente, compresi quelli dei
terreni dati in affitto per usi non agricoli;
l)
i redditi di beni immobili situati all'estero;
m)i
redditi derivanti dall'utilizzazione economica di opere dell'ingegno, di brevetti
industriali e di processi, formule e informazioni relativi ad esperienze
acquisite in campo industriale, commerciale o scientifico;
n)
i redditi derivanti dalla concessione in
usufrutto e dalla sublocazione di beni
immobili, dall'affitto, locazione, noleggio o concessione in uso di veicoli, macchine e altri beni mobili,
dall'affitto e dalla concessione in usufrutto di aziende; l'affitto e la concessione in usufrutto dell'unica azienda
da parte dell'imprenditore non si considerano fatti nell'esercizio
dell'impresa, ma in caso di successiva vendita totale o parziale le plusvalenze
realizzate concorrono a formare il reddito complessivo come redditi diversi;
o)
le plusvalenze realizzate in caso di
successiva cessione, anche parziale, delle aziende
acquisite per trasferimento a causa di morte o donazione;
p)
i redditi derivanti da attività commerciali non esercitate abitualmente;
q)
i redditi derivanti da attività di lavoro autonomo non esercitate abitualmente o dalla
assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere;
r)
le indennità
di trasferta, i rimborsi forfetari
di spesa, i premi e compensi erogati
nell'esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche dal CONI, dalle
Federazioni sportive nazionali, dall'Unione nazionale per l'incremento delle
razze equine (UNIRE), dagli enti di promozione sportiva e da qualunque
organismo, comunque denominato, che persegua finalità sportive dilettantistiche
e che da essi sia riconosciuto. Tale disposizione si applica anche ai rapporti
di collaborazione coordinata e continuativa di carattere
amministrativo-gestionale di natura non professionale resi in favore di società
e associazioni sportive dilettantistiche e di cori, bande e filodrammatiche da
parte del direttore e dei collaboratori tecnici;
s)
le plusvalenze realizzate a seguito della trasformazione, prevista dall’articolo
2500-octies del codice civile, dei
consorzi, delle società consortili, delle comunioni d’azienda, delle
associazioni riconosciute e delle fondazioni in società di capitali.
Particolare rilievo,
anche per il diverso regime di tassazione dei due tipi di plusvalenza, assume
la distinzione tra partecipazione
qualificata e partecipazione non
qualificata.
Ai sensi della lettera
c) del comma 1 dell’articolo 67 del
TUIR, costituisce cessione di partecipazione
qualificata la cessione di azioni, diverse dalle azioni di risparmio, e di
ogni altra partecipazione al capitale o al patrimonio delle società di persone
(società semplice, in nome collettivo e in accomandita semplice), degli enti e
delle associazioni a queste equiparate a norma dell’articolo 5 del medesimo
TUIR (con esclusione delle associazioni non riconosciute costituite per
l’esercizio in forma associata di arti o professioni), delle società di
capitali e degli enti commerciali residenti, delle società e degli enti non
residenti, nonché la cessione di diritti o titoli attraverso cui possono essere
acquisite le predette partecipazioni, qualora le partecipazioni, i diritti o
titoli ceduti rappresentino, complessivamente:
a)
una percentuale di diritti di voto
esercitabili nell'assemblea ordinaria superiore al 2 per cento ovvero una
partecipazione al capitale o al patrimonio superiore al 5 per cento, quando si
tratti di titoli negoziati in mercati regolamentati;
b)
una percentuale di diritti di voto
esercitabili nell'assemblea ordinaria superiore al 20 per cento ovvero una
partecipazione al capitale o al patrimonio superiore al 25 per cento, quando si
tratti di altre partecipazioni.
Per
i diritti o titoli attraverso cui possono essere acquisite partecipazioni si
tiene conto delle percentuali potenzialmente ricollegabili alle predette
partecipazioni. La percentuale di diritti di voto e di partecipazione è
determinata tenendo conto di tutte le cessioni effettuate nel corso di dodici
mesi, ancorché nei confronti di soggetti diversi.
La gestione individuale di patrimoni e la gestione collettiva del risparmio costituiscono
due diverse modalità di prestazione di servizi per l’investimento di capitali.
La gestione individuale di patrimoni è un
contratto tipico sottoscritto con un’impresa d’investimento o una banca. Esso
rientra nel novero dei servizi d’investimento, disciplinati dal testo unico delle
disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (TUF), emanato con
decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, ove è denominato “gestione
individuale di portafogli d’investimento per conto terzi” [articolo 1, comma 5,
lettera d)], e sottoposto a norme di
legge inderogabili.
Queste sono contenute in
particolare nell’articolo 24 del TUF:
-
il contratto deve essere redatto in forma
scritta;
-
il cliente può impartire istruzioni vincolanti
in ordine alle operazioni da compiere (l’impresa o la banca possono recedere
dal contratto per giusta causa, ai sensi dell’articolo 1727 del codice civile);
-
le imprese di investimento e le banche non
possono contrarre obbligazioni per conto del cliente che lo impegnino oltre il
patrimonio gestito;
-
il cliente ha il diritto di recedere in ogni
momento dal contratto mentre l’impresa di investimento e la banca possono farlo
alle condizioni previste dal codice civile, all’articolo 1727, per la rinunzia
del mandatario;
-
la rappresentanza per l’esercizio del diritto di
voto inerente agli strumenti finanziari in gestione può essere conferita
all’impresa di investimento e anche alla banca, ma la procura deve essere conferita
in forma scritta e per ogni assemblea;
-
la banca e le imprese di investimento non
possono delegare a terzi l’esecuzione dell’incarico di gestione loro conferito.
A norma dell’articolo
18 del TUF, l’attività di gestione individuale di patrimoni può essere svolta,
oltre che dalle banche, dalle società di intermediazione mobiliare (SIM),
dalle imprese d’investimento
comunitarie e da quelle extracomunitarie autorizzate ad operare in Italia,
dalle società di gestione del risparmio
(SGR), nonché dalle società di
gestione armonizzate aventi sede in altro Stato comunitario.
L’espressione di organismi d’investimento collettivo
mobiliare, impiegata nel testo della disposizione di delega, deve invece
ritenersi probabilmente riferita agli organismi
di investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM) come definiti dalla
normativa comunitaria.
L’articolo 1,
paragrafo 1, della direttiva 85/611/CEE
del Consiglio,del 20 dicembre 1985,
concernente il coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e
amministrative in materia di taluni organismi d’investimento collettivo in
valori mobiliari (oicvm) (modificato dalla successiva direttiva 2001/108/CE),
ha infatti definito come organismi di
investimento collettivo in valori mobiliari gli organismi con le seguenti
caratteristiche:
§ il
loro oggetto esclusivo è costituito dall’investimento collettivo dei capitali
raccolti presso il pubblico in valori mobiliari e/o in altre attività
finanziarie liquide;
§ le
quote di tali organismi sono, su richiesta dei portatori, riacquistate o
rimborsate, direttamente o indirettamente, a carico del patrimonio dei suddetti
organismi. È assimilato a tali riacquisti o rimborsi il fatto che un organismo
agisca per impedire che il corso delle sue quote in borsa si allontani
sensibilmente dal valore netto di inventario.
Nell’ordinamento
italiano il TUF ha invece introdotto la figura degli organismi di investimento collettivo del risparmio.
Tali sono infatti, ai
sensi dell’articolo 1, comma 1, lettera m),
del TUF, i fondi comuni d’investimento
e le società d’investimento a capitale
variabile (Sicav).
I fondi comuni d’investimento sono patrimoni autonomi, di pertinenza
di una pluralità di partecipanti, suddivisi in quote e gestiti in monte da una società di gestione del risparmio
(SGR).I fondi comuni d’investimento
possono essere distinti in fondi chiusi e fondi aperti. Nei fondi aperti l’investitore ha diritto
di richiedere in qualsiasi momento il riscatto delle quote; nei fondi chiusi, invece, il diritto al
riscatto delle quote matura, in linea di massima, soltanto al termine della
durata prevista del fondo.
Le Sicav sono società per azioni a
capitale variabile, con sede legale e direzione generale in Italia, aventi per
oggetto esclusivo l’investimento collettivo del patrimonio raccolto mediante
l’offerta di proprie azioni al pubblico.
La differenza tra
fondi comuni di investimento e Sicav consiste quindi nel fatto che mentre
l’acquisto di una quota di un fondo comune d’investimento non rende soci del
fondo, le Sicav si configurano come società per azioni e quindi l’acquisto di
una loro quota si configura come partecipazione al loro capitale. Anche nelle
Sicav, come nei fondi aperti, il riscatto delle quote può avvenire in qualsiasi
momento.
A norma dell’articolo
33 del TUF, le Sicav e le società di gestione del risparmio esercitano in via
esclusiva la prestazione del servizio di gestione collettiva del risparmio,
vale a dire l’attività consistente nella promozione, istituzione e
organizzazione di fondi comuni d’investimento e nell’amministrazione dei
rapporti con i partecipanti; nella gestione del patrimonio di fondi comuni di
investimento e Sicav, di propria o altrui istituzione, mediante l’investimento
avente ad oggetto strumenti finanziari, crediti, o altri beni mobili e immobili.
Gli organismi di investimento collettivo del
risparmio rappresentano una categoria più ampia rispetto agli organismi di investimento collettivo in
valori mobiliari.Infatti nei
primi possono essere ricompresi anche fondi che non operano con valori
mobiliari, quali i fondi pensione e i fondi d’investimento immobiliari, nonché
i “fondi chiusi”, che, consentendo il riscatto delle quote solo con determinate
scadenze temporali, non sono compresi nell’ambito regolato dalla direttiva
85/611/CEE.
In relazione alla formulazione dell’articolo 1, comma 1, alinea, del
disegno di legge, sarebbe quindi opportuno precisare se con l’espressione
“organismi di investimento collettivo mobiliare” s’intenda designare gli
“organismi di investimento collettivo in valori mobiliari” o, più estesamente,
gli “organismi di investimento collettivo del risparmio”.
L’attuale
regime fiscale
L’attuale impianto
normativo in materia di tassazione delle rendite finanziarie può essere
ricostruito utilizzando un duplice criterio di classificazione: da un lato,
facendo riferimento alla tipologia di
prelievo fiscale utilizzata (ritenuta alla fonte a titolo di acconto o di
imposta, ovvero imposta sostitutiva) e alle aliquote che vengono applicate, dall’altro, considerando le modalità di applicazione della tassazione
(con la possibilità di opzione tra regimi della dichiarazione, del risparmio
gestito e del risparmio amministrato). Il regime normativo in materia è stato
da ultimo significativamente modificato dal decreto legislativo 1° aprile 1996, n. 239, e dal decreto legislativo
21 novembre 1997, n. 461.
In proposito si
ricorda che:
§ come
ritenuta alla fonte s’intende una
particolare forma di applicazione
dell’imposta, applicata per alcune categorie di redditi, attraverso la
quale l’imposta è riscossa e versata dal soggetto che eroga le somme ad essa
assoggettate (cioè dalla “fonte” del reddito), o dall’intermediario attraverso
il quale esse sono erogate, al momento in cui esse vengono corrisposte al
beneficiario. La ritenuta è eseguita a
titolo d’imposta, se con essa si esaurisce l’obbligo tributario; a titolo di acconto, se il reddito su
cui viene operata concorre alla formazione del reddito complessivo del soggetto,
che opera i necessari conguagli in sede di dichiarazione e liquidazione
dell’imposta da esso complessivamente dovuta;
§ come
imposta sostitutiva s’intende
un’imposta che viene applicata a componenti del reddito i quali non rientrano quindi
nella determinazione del reddito complessivo. Per tali componenti di reddito,
l’obbligo tributario è pertanto assolto con il pagamento dell’imposta
sostitutiva.
Preliminarmente si
deve poi avvertire che il regime fiscale di seguito esposto riguarda i redditi
di capitale e i redditi diversi provenienti da attività finanziarie (ossia,
rispettivamente: dividendi e interessi; plusvalenze derivanti da
partecipazioni), compresi quelli derivanti da forme di gestione individuale o
collettiva del patrimonio, percepiti da persone
fisiche non imprenditori, in quanto:
§ per
le società di capitali tali redditi
rientrano nella base imponibile dell’imposta sui redditi delle società (IRES),
con applicazione della regola sulla participation
exemption introdotta dal decreto legislativo 12 dicembre 2003, n. 344,
istitutivo dell’IRES, e poi modificata dall’articolo 5 del decreto-legge 30
settembre 2005, n. 203: in base a tale regola, dividendi e interessi percepiti
sono esenti da tassazione per il 95 per cento del loro ammontare (articolo 89
del TUIR), mentre le plusvalenze da partecipazioni risultano esenti, a
determinate condizioni, per il 91 per cento (articolo 87 del TUIR; tale
percentuale sarà ridotta all’84 per cento a decorrere dal 2007). La parte non
esente è tassata con l’aliquota IRES del 33 per cento;
§ per
le società di persone tali redditi
sono imputati ai singoli soci e assoggettati alla tassazione IRPEF, per il 40
per cento del loro ammontare (in base agli articoli 58 e 59 del TUIR);
§ per
le gli imprenditori persone fisiche,
analogamente a quanto avviene per le società di persone, i suddetti redditi sono
sottoposti alla tassazione IRPEF (in base agli stessi articoli 58 e 59 del
TUIR), per il 40 per cento del loro ammontare.
Di norma, i dividendi
relativi a partecipazioni (qualificate e no) in società residenti negli Stati o territori a regime fiscale
privilegiato, individuati con apposito decreto del Ministro dell’economia e
delle finanze, concorrono integralmente alla formazione del reddito imponibile
(art. 47, comma 4, art. 59 e art. 89, comma 3, del TUIR).
Allo stesso modo,
concorrono integralmente alla formazione del reddito imponibile le plusvalenze
relative a partecipazioni in società residenti nei medesimi Stati e territori
[art. 68, comma 4, e art. 87, comma 1, lettera c), del TUIR]. Ad esse non si applica quindi l’imposta sostitutiva
con l’aliquota del 12,50 per cento (art. 5, comma 2, secondo periodo, del
D.P.R. n. 461 del 1997).
Inoltre per i redditi
di capitale e diversi percepiti da soggetti
non residenti in Italia, la normativa vigente contempla, con varie
modalità, il diritto al rimborso dell’imposta versata al fine di evitare
fenomeni di doppia imposizione (si vedano, ad esempio, l’articolo 27, comma 3,
del D.P.R. n. 600 del 1973, l’articolo 6 del decreto legislativo n. 239 del
1996 e l’articolo 9 del decreto legislativo n. 461 del 1997).
Imposta applicata e aliquote
Ciò premesso, per quel
che concerne specificamente i redditi di
capitale:
a)
con riferimento agli interessi e agli altri proventi corrisposti ai possessori, l’articolo
26 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600,
recante disposizioni in materia di accertamento delle imposte sui redditi,
prevede due aliquote diverse, che vengono applicate come ritenute alla fonte a
titolo di imposta:
-
aliquota del 27 per cento sugli interessi e proventi dei depositi bancari e postali e delle obbligazioni private con scadenza inferiore a 18 mesi;
-
aliquota del 12,5 per cento sugli interessi e proventi dei titoli di Stato ed equiparati e delle obbligazioni private con scadenza superiore a 18 mesi; l’articolo 2
del decreto legislativo n. 239 del 1996 ha stabilito che per gli interessi
sulle obbligazioni private con scadenza superiore a 18 mesi non si applichi la
ritenuta alla fonte a titolo di imposta nella misura del 12,5 per cento, ma un’imposta sostitutiva con l’eguale
aliquota del 12,5 per cento.
Peraltro, giova rilevare che, quando la ritenuta
è eseguita a titolo d’imposta, anch’essa esaurisce il rapporto tributario, non
concorrendo alla formazione del reddito imponibile complessivo del contribuente
né i redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, né quelli
soggetti a imposta sostitutiva [articolo 3, comma 3, lettera a), e articolo 91, comma 1, lettera b), del TUIR]. L’effetto concreto, con
riferimento alle modalità di imposizione, è quindi nei due casi equivalente.
Una differenza tra i due regimi può se mai rinvenirsi nel fatto la ritenuta
alla fonte è comunque applicata dall’emittente, mentre il pagamento
dell’imposta sostitutiva può essere eseguito, a seconda dei casi, dal
contribuente, sulla base della propria dichiarazione, ovvero dall’intermediario
(si veda infra).
b)
per i dividendi
da partecipazioni in società ed enti commerciali residenti percepiti da persone fisiche fuori dell’esercizio
dell’attività d’impresa viene effettuata una distinzione tra quelli
derivanti da:
-
partecipazioni non qualificate: da assoggettare
alla ritenuta alla fonte a titolo definitivo con l’aliquota del 12,5 per cento,
come previsto dall’articolo 27 del D.P.R. n. 600 del 1973;
-
partecipazioni qualificate: da assoggettare –
limitatamente al 40 per cento del loro ammontare – a tassazione progressiva
(IRPEF) in sede di dichiarazione dei redditi, come previsto dall’articolo 47
del TUIR.
Per quel che concerne
i redditi diversi provenienti da
attività finanziarie, l’articolo 5 del decreto legislativo 21 novembre
1997, n. 461, recante il riordino della disciplina tributaria dei redditi di
capitale e dei redditi diversi, ha previsto che sulle plusvalenze non riferite a partecipazioni qualificate e sugli altri
redditi diversi di natura finanziaria
si applichi un’imposta sostitutiva
con l’aliquota del 12,5 per cento;
le plusvalenze relative a partecipazioni qualificate rimangono invece
assoggettate – limitatamente al 40 per
cento del loro ammontare – a
tassazione progressiva (IRPEF) in sede di dichiarazione dei redditi, come
previsto dall’articolo 58 del TUIR per i redditi di impresa e dall’articolo 68,
comma 3, del TUIR per le persone fisiche non imprenditori.
Il trattamento dei
redditi finanziari (redditi diversi e di capitale) ottenuti dal risparmio previdenziale è differenziato
secondo i seguenti princìpi:
§ i
contributi non dedotti nella fase di accumulo vengono sempre esclusi dalla base
imponibile;
§ i
contributi dedotti nella fase di accumulo vengono tassati come redditi
assimilati a quelli di lavoro dipendente;
§ i
rendimenti finanziari sono assoggettati nella fase di accumulo ad imposta
sostitutiva con l'aliquota dell'11 per cento, salvo che non si tratti di
redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte ovvero ad altra imposta
sostitutiva;
§ i
rendimenti finanziari che maturano dopo l'accensione della rendita
pensionistica, se determinabili, sono assoggettati ad imposta sostitutiva con
l'aliquota del 12,5 per cento (art. 26-ter,
comma 2, del D.P.R. n. 600 del 1973).
L’articolo 11 del decreto legislativo 5
dicembre 2005, n. 252, dispone che le prestazioni pensionistiche
complementari erogate in forma di capitale sono imponibili per il loro
ammontare complessivo al netto della parte corrispondente ai redditi già
assoggettati ad imposta. Le prestazioni pensionistiche complementari erogate in
forma di rendita sono imponibili per il loro ammontare complessivo al netto
della parte corrispondente ai redditi già assoggettati ad imposta e a quelli
derivanti dai rendimenti della forma pensionistica, se determinabili. Sulla parte
imponibile delle prestazioni pensionistiche comunque erogate è operata una
ritenuta a titolo d'imposta con l'aliquota del 15 per cento ridotta di una
quota pari a 0,30 punti percentuali per ogni anno eccedente il quindicesimo
anno di partecipazione a forme pensionistiche complementari, con un limite
massimo di riduzione di 6 punti percentuali.
Per quanto riguarda la
fase di accumulo, il loro
trattamento è stato equiparato a quello proprio dei fondi comuni di diritto
italiano, con la previsione tuttavia di un’aliquota di tassazione inferiore per
tener conto del più lungo vincolo temporale cui è soggetto tale risparmio
rispetto a quello finanziario. L’articolo 17 del decreto legislativo 5 dicembre
2005, n. 252, confermando le vigenti disposizioni del decreto legislativo 21
aprile 1993, n. 124, prevede infatti che i fondi
pensione siano soggetti ad imposta
sostitutiva delle imposte sui redditi con l’aliquota dell'11 per cento, che si applica sul risultato netto maturato in ciascun
periodo d'imposta (si veda infra).
Per le assicurazioni sulla vita aventi finalità
finanziaria, nel caso di erogazione di un capitale, l’impresa di
assicurazione applica – sulla differenza tra l’ammontare percepito e quello dei
premi versati – un’imposta sostitutiva
delle imposte sui redditi nella misura del 12,5
per cento (articolo 26-ter, comma
1, del D.P.R. n. 600 del 1973). In questo caso la tassazione avviene pertanto
al momento della realizzazione (si
veda infra).
Per tali contratti di
assicurazione non è previsto alcun beneficio fiscale a fronte dei premi
versati. Tuttavia, al pari di tutti i altri contratti di assicurazione sulla
vita e di capitalizzazione, sono esenti dall'imposta sui premi disciplinata
dalla legge 29 ottobre 1961, n. 1216.
Per i fondi comuni d’investimento, infine,
l’articolo 9 della legge 23 marzo 1983, n. 77 (recante la disciplina dei fondi
comuni di investimento mobiliare) prevede che i fondi non siano soggetti alle
imposte sui redditi. Il risultato della
gestione del fondo maturato in
ciascun anno è sottoposto ad un’imposta
sostitutiva nella misura del 12,5
per cento, che viene versata dalla società di gestione del risparmio.
L’aliquota dell’imposta è ridotta al 5
per cento qualora il regolamento del fondo preveda che non meno dei due
terzi del relativo attivo siano investiti in azioni di società di piccola o
media capitalizzazione ammesse alla quotazione nei mercati regolamentati degli
Stati membri dell’Unione europea, purché, decorso il periodo di un anno dalla
data di avvio o di adeguamento del regolamento a tale condizione, il valore
dell’investimento nelle azioni delle predette società non risulti inferiore,
nel corso dell’anno solare, ai due terzi del valore dell’attivo per più di un
sesto dei giorni di valorizzazione del fondo successivi al compimento del
predetto periodo.
Stante il criterio di
tassazione sul risultato maturato – indipendentemente dalla sua effettiva
realizzazione – è consentito computare i risultati
negativi della gestione, maturati in un periodo d’imposta, in diminuzione
dei risultati positivi dei periodi successivi. La società di gestione può
altresì utilizzare tali risultati, a partire dallo stesso periodo d’imposta in
cui si sono verificati, in diminuzione del risultato di altri fondi da essa
gestiti, accreditando l’importo corrispondente in favore del fondo che ha
maturato il risultato negativo.
La medesima
disposizione della legge n. 77 del 1983 prevede poi, al fine di evitare
fenomeni di doppia imposizione, che i proventi derivanti dalle partecipazioni
ai fondi non concorrono a formare il reddito imponibile dei partecipanti. Fanno eccezione i proventi derivanti da
partecipazioni ai fondi assunte nell’esercizio di imprese commerciali (sia nella forma di società di persone o di
capitali, sia esercitate da imprenditori individuali), che concorrono a formare
il reddito nell’esercizio in cui sono percepiti, ancorché l'imprenditore li abbia
iscritti in bilancio indipendentemente dalla percezione. Sui proventi percepiti
viene tuttavia riconosciuto un credito di imposta pari al 15 per cento del loro
importo, che neutralizza l’effetto della tassazione operata a carico del fondo.
Disposizioni analoghe
sono previste per le società
d’investimento a capitale variabile (SICAV) dall’articolo 14 del decreto
legislativo 25 gennaio 1992, n. 84, e per i fondi comuni d'investimento mobiliare chiusi di diritto nazionale dall'articolo
11 della legge 14 agosto 1993, n. 344, nonché – con i necessari adattamenti –
per i fondi comuni esteri
autorizzati al collocamento nel territorio dello Stato (articolo 10-ter della citata legge n. 77 del 1983 e
articolo 11-bis del decreto-legge 30
settembre 1983, n. 512, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 novembre
1983, n. 649).
Le modalità di applicazione
Gli articoli 6 e 7 del
medesimo decreto legislativo n. 461 del 1997 hanno introdotto particolari forme
per la riscossione delle imposte
sostitutive sui redditi di capitale e diversi provenienti da attività
finanziarie, prevedendo per il contribuente la possibilità di scegliere tra:
1.
regime della dichiarazione;
2.
regime del risparmio amministrato;
3.
regime del risparmio gestito.
La disciplina non
riguarda i redditi di capitale sottoposti a ritenuta alla fonte a titolo
d’imposta.
In caso di opzione per
il regime della dichiarazione, il
contribuente deve compilare un apposito quadro della dichiarazione dei redditi,
determinare la base imponibile, calcolare e versare la relativa imposta
sostitutiva. In questo regime la tassazione avviene al momento del realizzo
(art. 5, comma 3).
In caso di opzione per
il regime del risparmio amministrato
o del risparmio gestito,invece, gli adempimenti di carattere
tributario vengono eseguiti da intermediari autorizzati.
Nel regime del risparmio amministrato, la tassazione è
applicata dall’intermediario presso il quale i titoli sono in deposito, in
custodia o in amministrazione sui redditi di capitale e sui redditi diversi
provenienti da attività finanziarie realizzati nelle singole operazioni. Le eventuali minusvalenze, perdite o
differenziali negativi possono essere dedotte e riportate a nuovo nello stesso
periodo di imposta e nei successivi, non oltre il quarto, purché si riferiscano
al medesimo rapporto (art. 6).
Nel regime del risparmio gestito, il soggetto
abilitato cui è stato conferito l’incarico di gestire la massa patrimoniale applica
l’imposta sostitutiva sul risultato
maturato della gestione, con l’aliquota del 12,50 per cento, al termine di
ciascun anno solare. Se in un anno il risultato della gestione è negativo, il
corrispondente importo è computato in diminuzione del risultato della medesima
gestione dei periodi d’imposta successivi, ma non oltre il quarto. Qualora alla
conclusione del contratto il risultato della gestione sia negativo, il
mandante, su certificazione rilasciata dal gestore, può detrarre la maggiore
imposta assolta dall'imposta da lui dovuta su plusvalenze relative a taluni
redditi diversi, oppure nell'ambito di altri rapporti di amministrazione o di
gestione da lui intrattenuti, anche nei successivi periodi d’imposta, entro il
termine individuato in base al periodo d’imposta in cui il risultato negativo è
maturato (art. 7).
Nel regime del risparmio amministrato la tassazione
avviene comunque al momento della
realizzazione, mentre nel regime del risparmio
gestito la tassazione avviene al
momento della maturazione; in altre parole applicando il regime del
risparmio gestito l’imposta sostitutiva viene applicata non sulle singole
plusvalenze e altri redditi diversi realizzati nell’ambito della gestione, ma
sul risultato di gestione maturato al termine di ciascun periodo d’imposta.
Come tassazione al
momento della realizzazione
s’intende l’imposizione che interviene nel momento in cui il reddito si
manifesta. In questo caso, le banche, le SIM e gli altri intermediari applicano
l’imposta sostitutiva su ogni singola plusvalenza, differenziale positivo o
provento percepito dal contribuente.
In tale sistema le
minusvalenze e le perdite assumono pertanto rilievo unicamente nell’ambito
delle singole operazioni: l’intermediario le computa in diminuzione, fino a
concorrenza, dalle plusvalenze o dai proventi realizzati nelle operazioni successive,
riconducibili al medesimo rapporto, effettuate nello stesso periodo d’imposta e
nei successivi, ma non oltre il quarto.
La tassazione al momento
della maturazione viene invece
eseguita dagli intermediari sul risultato di gestione maturato al termine di
ciascun periodo d’imposta. In tale sistema è pertanto consentito compensare i
risultati negativi e le minusvalenze complessive di un periodo d’imposta con
quelli positivi dei periodi successivi.
La riforma attuata con
il decreto legislativo n. 461 del 1997 prevedeva altresì l’applicazione al
calcolo dell’imposta di un meccanismo, denominato “equalizzatore”, volto a rendere la tassazione fondata sul criterio
della realizzazione finanziariamente equivalente a quella fondata sul criterio
della maturazione. L’equalizzatore, la cui attuazione si è dimostrata di
notevole complessità, è stato abrogato dall’articolo 9 del decreto legge 25
settembre 2001, n. 350, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 novembre
2001, n. 409.
Il contenuto
della delega legislativa
La materia dei redditi
di capitale e diversi è stata oggetto di significativi interventi di riforma
negli ultimi anni.
In primo luogo, merita
ricordare l’intervento previsto, nella XIII legislatura, dall’articolo 3, comma 160, della legge n. 662 del 1996, che,
conferendo una delega al Governo per la riforma della materia, ha condotto alla
riforma operata dal decreto legislativo n. 461 del 1997, sopra richiamato.
I principi e criteri di
delega contenuti nell’articolo 3, comma 160, della legge n. 662 del 1996 erano
i seguenti:
a) revisione
della disciplina dei redditi di capitale,
con una puntuale definizione delle singole
fattispecie di reddito, prevedendo norme di chiusura volte a ricomprendere ogni provento derivante dall'impiego di
capitale;
b) revisione
della disciplina dei redditi diversi
derivanti da cessioni di partecipazioni in società o enti, di altri valori
mobiliari, nonché di valute e metalli preziosi; introduzione di norme volte ad
assoggettare ad imposizione i proventi derivanti da nuovi strumenti finanziari,
con o senza attività sottostanti; possibilità, anche ai fini di
semplificazione, di prevedere esclusioni, anche temporanee, dalla tassazione o
franchigie;
c) introduzione
di norme di chiusura volte ad evitare
arbitraggi fiscali tra fattispecie produttive di redditi di capitali o
diversi e quelle produttive di risultati economici equivalenti;
d) ridefinizione
dei criteri di determinazione delle partecipazioni
qualificate, eventualmente anche in ragione dei diritti di voto
esercitabili nell'assemblea ordinaria;
e) previsione
di distinta indicazione nella dichiarazione
annuale delle plusvalenze derivanti da cessioni di partecipazioni sociali qualificate e degli altri redditi di cui alla lettera b), con possibilità di compensare distintamente le relative
minusvalenze o perdite indicate in dichiarazione e di riportarle a nuovo non
oltre il quarto periodo di imposta successivo;
f) previsione
di un'imposizione sostitutiva sui
redditi di cui alla lettera b)
derivanti da operazioni di realizzo; possibilità di optare per l'applicazione
di modalità semplificate di riscossione
dell'imposta, attraverso intermediari autorizzati e senza obbligo di
successiva dichiarazione, per i redditi di cui alla medesima lettera b) non derivanti da cessioni di
partecipazioni qualificate, subordinatamente all'esistenza di stabili rapporti
con i predetti intermediari;
g) previsione
di forme opzionali di tassazione sul risultato maturato nel periodo di imposta
per i redditi di cui alla lettera b)
non derivanti da cessioni di partecipazioni qualificate e conseguiti mediante
la gestione individuale di patrimoni
non relativi ad imprese; applicazione di un’imposta sostitutiva sul predetto
risultato, determinato al netto dei redditi affluenti alla gestione esenti da
imposta o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o ad imposta
sostitutiva o che non concorrono a formare il reddito del contribuente, per i
quali rimane fermo il trattamento sostitutivo o di esenzione specificamente
previsto; versamento dell'imposta sostitutiva da parte del soggetto incaricato
della gestione; possibilità di compensare i risultati negativi di un periodo di
imposta con quelli positivi dei successivi periodi;
h) introduzione
di meccanismi correttivi volti a
rendere la tassazione dei risultati di cui alla lettera g) equivalente con quella dei redditi diversi di cui alla lettera f) conseguiti a seguito di realizzo;
i) revisione
del regime fiscale degli organismi d’investimento
collettivo in valori mobiliari secondo criteri analoghi a quelli previsti
alla lettera g) e finalizzati a
rendere il regime dei medesimi organismi compatibile con quelli ivi previsti;
l) revisione
delle aliquote delle ritenute sui
redditi di capitale o delle misure delle imposte
sostitutive incidenti sui medesimi redditi, anche per il loro accorpamento
su non più di tre livelli compresi fra un minimo del 12,5 per cento e un
massimo del 27 per cento; applicazione, in ogni caso, ai titoli di Stato ed equiparati dell'aliquota del 12,5 per cento;
differenziazione delle aliquote, nel rispetto dei princìpi di incoraggiamento e
tutela del risparmio previsti dall'articolo 47 della Costituzione, in funzione
della durata degli strumenti,
favorendo quelli più a lungo termine, trattati nei mercati regolamentati o
oggetto di offerta al pubblico; conferma dell'applicazione delle ritenute a
titolo di imposta o delle imposte sostitutive sui redditi di capitale percepiti
da persone fisiche, soggetti di cui all'articolo 5 del TUIR (società di persone),
ed enti di cui all'articolo 73, comma 1, lettera c), del medesimo testo unico (gli enti pubblici e privati diversi
dalle società, residenti nel territorio dello Stato, che non hanno per oggetto
esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali), non esercenti
attività commerciali e residenti nel territorio dello Stato; conferma dei
regimi di non applicazione dell'imposta nei confronti dei soggetti non residenti nel territorio dello Stato, previsti dal
decreto legislativo 1° aprile 1996, n. 239
m) nel
rispetto dei princìpi direttivi indicati alla lettera l), possibilità di prevedere l'applicazione di una imposizione sostitutiva sugli utili
derivanti dalla partecipazione in
società ed enti di cui all'articolo 44, comma 1, lettera e), del TUIR (gli utili derivanti dalla
partecipazione al capitale o al patrimonio di società ed enti soggetti
all'imposta sul reddito delle società) in misura pari al livello minimo
indicato nella predetta lettera l);
sono in ogni caso esclusi dall'applicazione dell'imposizione sostitutiva gli
utili derivanti da partecipazioni qualificate;
n) determinazione
dell'imposta sostitutiva di cui alla lettera f) secondo i medesimi livelli
indicati nella lettera l) e, in
particolare, applicando il livello più basso ai redditi di cui alla lettera b), non derivanti da cessioni di
partecipazioni qualificate, nonché a quelli conseguiti nell'ambito delle
gestioni di cui alle lettere g) e i); coordinamento fra le disposizioni in
materia di ritenute alla fonte sui redditi di capitale e di imposte sostitutive
incidenti sui medesimi redditi e i trattamenti previsti alle lettere g) e i);
o) introduzione
di disposizioni necessarie al più efficace controllo
dei redditi di capitale e diversi, anche mediante la previsione di particolari obblighi di rilevazione e di comunicazione
delle operazioni imponibili da parte degli intermediari professionali o di
altri soggetti che intervengano nelle operazioni stesse, con possibilità di
limitare i predetti obblighi nei casi di esercizio delle opzioni di cui alle
lettere f) e g); revisione della disciplina contenuta nel decreto-legge 28
giugno 1990, n. 167 , convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 1990,
n. 227, e introduzione di tutte le disposizioni necessarie al più esteso
controllo dei redditi di capitale e diversi anche di fonte estera;
p) coordinamento
della nuova disciplina con quella contenuta nel decreto-legge 28 gennaio 1991,
n. 27, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 marzo 1991, n. 102, nonché
con il testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del
Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, introducendo nel citato
testo unico tutte le modifiche necessarie ad attuare il predetto coordinamento,
con particolare riguardo al trattamento dei soggetti non residenti nel territorio
dello Stato;
q) coordinamento
della nuova disciplina con quella contenuta nel decreto legislativo 1° aprile
1996, n. 239 , e con le disposizioni contenute nel decreto del Presidente della
Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 , introducendo tutte le modifiche
necessarie ad attuare il predetto coordinamento;
r) possibilità
di differire l'entrata in vigore dei decreti legislativi di attuazione fino a
nove mesi dalla loro pubblicazione.
In materia interveniva
poi, nella XIV legislatura, la legge 7
aprile 2003, n. 80, recante delega legislativa al Governo per la riforma
del sistema fiscale statale.
La finalità
complessiva dell’intervento, come indicata nella relazione illustrativa al
disegno di legge A.C. 2144 originariamente presentato dal Governo, era quella
di superare la distinzione tra “redditi di capitale” e “redditi diversi”
attraverso la previsione di un’unica categoria di “redditi finanziari”,
individuati con “norme definitorie di carattere generale, in grado di
comprendere tutte le tipologie di proventi”.
Gli specifici princìpi
di delega, espressi nell’articolo 3, comma 1, lettera d), erano:
a) introduzione
di procedure di tassazione uniformi
per tutti i redditi di natura finanziaria indipendentemente dagli strumenti
giuridici utilizzati per produrli;
b) convergenza
del regime fiscale sostitutivo su
quello proprio dei titoli del debito pubblico;
c) imposizione
del risparmio affidato in gestione
agli investitori istituzionali sulla base dei princìpi di cassa e di
compensazione;
d) regime
differenziato di favore fiscale per il risparmio
affidato a fondi pensione, a fondi etici e a casse di previdenza privatizzate;
e) regime
agevolativo per i contribuenti che destinano i propri risparmi alla
costituzione di fondi personali di
accumulo per l’acquisto della prima casa.
La delega conferita
dalla legge n. 80 del 2003 non ha tuttavia trovato attuazione relativamente a
questa parte.
I princìpi di delega
contenuti nel comma 1 dell’articolo 1 del presente disegno di legge prevedono:
a)
la revisione delle aliquote delle ritenute sui redditi di capitale e sui
redditi diversi di natura finanziaria o delle misure delle imposte sostitutive, con la previsione
di un’unica aliquota del 20 per cento,
confermando le esenzioni e la non imponibilità, ove previste, dei redditi di
capitale e dei redditi diversi di natura finanziaria [lettera a) del comma 1]. Tale aliquota dovrà
essere applicata nel rispetto dei princìpi di tutela del risparmio, anche al
fine di evitare segmentazioni del mercato [lettera b) del comma 1];
Quale segmentazione del mercato s’intende la
ripartizione del mercato in gruppi tra loro omogenei. Il rischio di
segmentazione del mercato, nella prospettiva della disposizione qui illustrata,
consiste nell’arbitraggio fiscale fra i diversi trattamenti tributari dei
redditi di natura finanziaria.
b)
introduzione
di misure compensative, anche sotto
forma di deduzioni o detrazioni, a favore dei soggetti economicamente più deboli [lettera c) del comma 1];
c)
semplificazione delle procedure a carico
degli intermediari, da realizzare in via regolamentare o con
l’adozione di provvedimenti amministrativi generali [lettera d) del comma 1];
d)
coordinamento
della nuova disciplina con le disposizioni vigenti, nel rispetto del principio
dell’equivalenza di trattamento tra
i diversi redditi, nonché tra gli intermediari finanziari [lettera e) del comma 1];
Sarebbe
opportuno chiarire il contenuto del riferimento all’ ”equivalenza di
trattamento tra gli intermediari finanziari”.
e)
introduzione
di un’adeguata disciplina transitoria
destinata, in particolare, a evitare che dall’introduzione delle nuove norme
possano derivare ingiustificati guadagni o perdite [lettera f) del comma 1];
f)
possibilità
di differire l’entrata in vigore dei
decreti legislativi di attuazione fino a dodici mesi [lettera g) del comma 1]; coordinamento delle
disposizioni, in particolare con il decreto del Presidente della Repubblica n.
600 del 1973, recante disposizioni comuni in materia di accertamento, e con il
testo unico delle imposte sui redditi;
Non
risulta compreso nei princìpi di delega sopra esposti il trattamento più
favorevole per le forme di previdenza complementare (per altro confermato dal
recente decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252).
Il comma 2 ìndica gli effetti finanziari
dell’articolo, stabilendo che dall’attuazione della delega debbano derivare maggiori entrate non inferiori, per
l’anno 2007, a 1.100 milioni di euro e, a decorrere dall’anno 2008, a 2.000
milioni di euro.
L’effetto di maggior gettito ascritto alla
presente disposizione era stato originariamente inserito nel prospetto di
copertura della manovra finanziaria per il triennio 2007-2009, allegato al
disegno di legge finanziaria per il 2007 (A.C. 1746). Tuttavia, nel corso
dell’esame alla Camera, a seguito dell’approvazione dell’emendamento 16.1000
del Governo, il prospetto di copertura è stato riformulato, eliminando il
riferimento agli effetti della delega (l’eliminazione di tale voce è risultata
compensata dal miglioramento del risparmio pubblico).
In proposito si ricorda che il
prospetto di copertura della manovra allegato al disegno di legge finanziaria
fa riferimento al saldo netto da finanziare. Si rileva quindi l’opportunità di
chiarire se l’effetto finanziario ascritto alle disposizioni dell’articolo 1
concorra o meno al conseguimento degli obiettivi prefissati con riferimento
agli altri saldi di bilancio e, in particolare, a quello stabilito per
l’indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni, che rileva ai fini del
rispetto degli obiettivi di finanza pubblica concordati a livello europeo. Infatti, ove tali effetti concorressero al
rispetto degli obiettivi di indebitamento pubblico delle pubbliche
amministrazioni, l’attuazione della delega dovrebbe intervenire in modo da
garantire l’effettiva entrata in vigore delle nuove disposizioni in termini
idonei a consentire il rispetto di tali obiettivi.
Articolo2
(Delega in materia di riscossione)
1. Il Governo è
delegato ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della
presente legge, uno o più decreti legislativi recanti disposizioni volte al
riordino della disciplina della riscossione volontaria e coattiva, al fine di
potenziare l'attività di recupero delle somme non versate spontaneamente, con
l'osservanza dei seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) razionalizzazione
e rafforzamento delle procedure di riscossione coattiva, secondo modalità tali
da consentire, tra l'altro, l'attribuzione agli agenti della riscossione del
potere di concedere, direttamente o su incarico dell'ente creditore, la
dilazione del pagamento delle entrate iscritte a ruolo;
b) estensione ai
soggetti terzi incaricati dagli agenti della riscossione, limitatamente agli
adempimenti finalizzati allo svolgimento di tali incarichi, delle agevolazioni
fiscali previste per le azioni esecutive e cautelari degli stessi agenti della
riscossione e per le attività ad esse prodromiche;
c) parziale
revisione della disciplina del rimborso delle spese sostenute dagli agenti
della riscossione, al fine di assicurare agli stessi il ristoro di tutte le
tipologie di oneri derivanti dall'esercizio dei compiti istituzionali;
d) introduzione di
criteri di controllo dell'inesigibilità degli importi iscritti a ruolo coerenti
con il nuovo sistema di riscossione nazionale e individuati anche sulla base
del valore degli stessi importi;
e) semplificazione
e razionalizzazione delle procedure di anticipazione, da parte degli agenti
della riscossione, del rimborso delle somme iscritte a ruolo riconosciute
indebite, anche con previsione del pagamento mediante accredito sul conto corrente
del beneficiario;
f) limitazione
della chiamata in giudizio degli agenti della riscossione ai soli casi in cui
siano eccepiti vizi dell'attività ad esso effettivamente riferibile;
g) attribuzione a
Riscossione S.p.a. di tutte o parte delle funzioni attualmente esercitate
dall'Agenzia delle entrate per la gestione del sistema dei versamenti unitari
con compensazione, nonché del monitoraggio dei versamenti delle imposte, dei
contributi e dei premi e del compito di effettuare interventi finalizzati al
recupero delle somme non versate.
L’articolo 2 delega il Governo ad adottare uno o più decreti
legislativi per il riordino della
disciplina della riscossione volontaria
e coattiva, al fine di potenziare
l’attività di recupero delle somme non versate spontaneamente.
Il decreti legislativi
dovranno essere adottati entro dodici
mesi dalla data di entrata in vigore della legge di delega, secondo la
procedura disciplinata dal successivo articolo 6.
In materia di
riscossione si ritiene opportuno ricordare il recente intervento contenuto nell’articolo 3 del D.L. 30 settembre 2005, n.
203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, il
quale ha disposto la riforma del sistema
nazionale di riscossione dei tributi.
In particolare esso ha
previsto, a decorrere dal 1° ottobre
2006, la soppressione del
precedente sistema di affidamento in
concessione a privati del
servizio nazionale della riscossione dei tributi e l'attribuzione delle
funzioni relative alla riscossione nazionale all'Agenzia delle entrate, che le esercita tramite una nuova società,
denominata "Riscossione Spa",
costituita dall'Agenzia predetta, unitamente all'Istituto nazionale della
previdenza sociale (INPS), con un
capitale di 150 milioni di euro; la partecipazione
pubblica al capitale, anche dopo l’ingresso di soci privati secondo quanto
esposto di seguito, non potrà mai
essere inferiore al 51 per cento; il
presidente del collegio sindacale sarà scelto tra i magistrati della Corte dei
conti. L’Agenzia esercita altresì il controllo sull’efficacia e sull’efficienza
del servizio.
La società Riscossione
Spa può esercitare – senza obbligo di cauzione – l'attività di riscossione mediante ruolo e di quella
di riscossione delle entrate prevista
dall'articolo 4 del D.Lgs. n. 237 del 1997 (concernente tributi, sanzioni e
altre somme già riscosse dai servizi autonomi di cassa degli uffici dipendenti
dal Dipartimento delle entrate), nonché ulteriori
attività – quali la riscossione spontanea, la liquidazione e l’accertamento
delle entrate degli enti pubblici, anche territoriali, e delle società da essi
partecipate – da assegnarsi mediante procedure di gara ad evidenza pubblica. Attraverso la stipulazione di appositi
contratti di servizio, essa potrà svolgere altresì attività strumentali a quelle dell'Agenzia delle entrate, potendo
in tale ipotesi assumere finanziamenti e svolgere le connesse operazioni
finanziarie.
È statuita una specifica
disciplina per il passaggio dei carichi dai
precedenti concessionari al nuovo soggetto. Per agevolare tale passaggio, è
stata prevista inoltre la possibilità che Riscossione Spa acquisti quote non
inferiori al 51 per cento del capitale delle società concessionarie (ovvero il
ramo d’azienda delle banche che hanno gestito direttamente l'attività di riscossione),
a condizione che il cedente acquisti a sua volta una partecipazione al capitale
sociale della stessa società Riscossione Spa. Tuttavia, entro il 31 dicembre
2010 i soci pubblici dovranno riacquistare tali partecipazioni, nonché le
azioni eventualmente ancora detenute da soggetti privati nelle società ex
concessionarie non interamente partecipate. Successivamente, le azioni di
Riscossione Spa possedute dai soci pubblici potranno essere cedute a soci
privati, scelti in conformità alle regole di evidenza pubblica, comunque entro
la misura massima del 49 per cento del capitale.
Per le proprie attività,
la società potrà avvalersi anche di personale dell'Agenzia delle entrate e
dell'INPS e fare ricorso alle società per azioni ex concessionarie da essa
eventualmente partecipate. Potranno essere inoltre instaurate forme di
cooperazione tra Riscossione Spa e il Corpo della Guardia di finanza. Dal 1°
ottobre 2006 il Consorzio nazionale concessionari (CNC) è trasformato in
società per azioni.
La società Riscossione
Spa deve adempiere i suoi compiti senza
nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Essa è anzi tenuta
ad adottare idonee iniziative dirette al contenimento degli oneri relativi
all'attività di riscossione coattiva.
La società Riscossione Spa
ha concluso l’acquisizione delle
società concessionarie il 28 settembre 2006. Essa è pertanto entrata nella
piena operatività il 1° ottobre 2006, come previsto dall’articolo 3 del D.L. n.
203 del 2005.
Ulteriori disposizioni
in materia di riscossione, di più limitata portata, sono contenute nel
decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge
4 agosto 2006, n. 248, e nel decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, convertito,
con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2006, n. 286.
L’articolo 35, commi da 25 a 26-bis, del decreto-legge n.
223 del 2006 consente agli agenti
della riscossione di utilizzare,
per la sola riscossione mediante ruolo
e previa autorizzazione, i dati dell’anagrafe tributaria, nonché
di accedere, previa richiesta, ai dati rilevanti detenuti da soggetti
pubblici o privati. Il successivo articolo 37 dello stesso decreto-legge,
ai commi 40-42, modifica alcuni termini
di iscrizione a ruolo; al comma 43 stabilisce che non si effettuano iscrizione a ruolo né rimborso per importi inferiori a 100 euro risultanti dalla
riliquidazione delle imposte sui redditi soggetti a tassazione separata, corrisposti negli anni 2003–2005, mentre al
comma 44 fissa il termine per la notifica
delle cartelle di pagamento emesse per il mancato pagamento degli importi dovuti dai soggetti che si sono
avvalsi degli istituti definitorî di
cui alla legge n. 289 del 2002 (legge finanziaria per il 2003).
Con il citato decreto-legge n. 262 del 2006,
all’articolo 2, commi da 1 a 17, anche allo scopo di coordinare la riforma
operata dall’articolo 3 del decreto-legge n. 203 del 2005, sono state, fra
l’altro, apportate modificazioni relative alle procedure di espropriazione nell’ambito della riscossione coattiva
(comma 6: disciplina del pignoramento dei crediti verso terzi; comma 8:
disciplina della dichiarazione stragiudiziale del terzo circa le cose e le
somme da questo dovute al soggetto iscritto a ruolo); è stato previsto altresì
che le pubbliche amministrazioni, prima
di procedere al pagamento di importi eccedenti
10.000 euro, accertino se il
beneficiario sia inadempiente ad
obblighi derivanti da cartelle di
pagamento ad esso notificate, sospendendo in tal caso il pagamento (comma
9), ed è stata introdotta la facoltà di
pagamento mediante compensazione
volontaria con crediti d’imposta (commi 13 e 14).
I princìpi e criteri direttivi che dovranno essere osservati dal
Governo nell’adozione dei decreti legislativi in esame sono i seguenti.
a)
razionalizzazione
e rafforzamento delle procedure di riscossione coattiva, secondo modalità tali
da consentire, tra l’altro, l’attribuzione agli agenti della riscossione del potere
di concedere, direttamente o su incarico dell’ente creditore, la dilazione del pagamento delle entrate
iscritte a ruolo;
Le procedure di riscossione coattiva sono attualmente disciplinate
dal titolo II del D.P.R. 29 settembre
1973, n. 602, recante Disposizioni
sulla riscossione delle imposte sul reddito. Il D.Lgs. 26 febbraio 1999, n.
46, nel riformare il ricordato D.P.R. n. 602, ha inoltre esteso (articoli 17 e
18) la sua applicazione a tutte le
entrate dello Stato e degli altri enti pubblici, anche previdenziali,
esclusi quelli economici, e, facoltativamente, alle entrate delle regioni e degli enti locali.
La procedura di
riscossione coattiva si svolge secondo il seguente schema.
L’amministrazione
finanziaria predispone un elenco dei
debitori e delle somme da questi dovute per imposte, sanzioni e interessi.
L’elenco, denominato ruolo (articolo
10 del D.P.R. n. 602 del 1973), è sottoscritto
dal titolare dell’ufficio finanziario, o da un suo delegato, divenendo in
tal modo esecutivo (articolo 12 del
D.P.R.), e viene poi consegnato agli agenti della riscossione (articolo 24 del
D.P.R.). Gli agenti della riscossione notificano
al contribuente iscritto a ruolo una cartella
di pagamento per le somme
risultanti dal suddetto ruolo. La cartella di pagamento contiene l'intimazione ad adempiere l'obbligo
risultante dal ruolo entro sessanta giorni dalla notificazione, con
l’avvertimento che, in mancanza, si procederà
all’esecuzione forzata (art. 25 del
D.P.R. n. 602 del 1973).
Contro il ruolo
e la cartella di pagamento può essere proposto ricorso, entro lo stesso termine di sessanta giorni dalla notificazione della cartella di pagamento
(articoli 19 e 20 del D.Lgs. n. 546 del 1992). Il ricorrente può chiedere
inoltre la sospensione dell’atto
impugnato, se da questo può derivargli un danno
grave e irreparabile (articolo 47 del D.Lgs. n. 546 del 1992).
Nel caso in cui
nel termine di sessanta giorni il contribuente non abbia provveduto al
pagamento e non abbia ottenuto la dilazione del pagamento o la sospensione
giudiziale della cartella di pagamento, si procede all’esecuzione forzata.
L’esecuzione
forzata per la riscossione delle imposte è esperita in base al ruolo, che
costituisce titolo esecutivo, ed è
regolata dalle norme ordinariamente applicabili al processo esecutivo, salvo
quanto espressamente derogato dal titolo II, capo II, del D.P.R. n. 602 del
1973.
Le dilazioni del pagamento delle entrate
iscritte a ruolo possono essere attualmente concesse dall’ufficio finanziario che ha effettuato l’iscrizione a ruolo, su
richiesta del contribuente, da presentare prima dell'inizio della procedura
esecutiva, ove questi si trovi in temporanea
situazione di obiettiva difficoltà.
Le somme iscritte a ruolo possono essere ripartite fino ad un massimo di sessanta rate mensili;
alternativamente, può essere concessa la sospensione
della riscossione per un anno e, quindi, la ripartizione del pagamento fino
ad un massimo di quarantotto rate
mensili. Se l'importo iscritto a ruolo è superiore a cinquanta milioni di
lire (pari a 25.822,84 euro), il riconoscimento di tali benefìci è subordinato
alla prestazione di polizza fideiussoria
o fideiussione bancaria. In caso di mancato
pagamento della prima rata o, successivamente a questa, di due rate, il
debitore decade automaticamente dal beneficio della rateazione; l'intero
importo iscritto a ruolo ancora dovuto è immediatamente e automaticamente
riscotibile in unica soluzione; il carico non può più essere rateizzato
(articolo 19 del D.P.R. n. 602 del 1973).
Sulle somme il
cui pagamento è stato rateizzato o sospeso si applicano gli interessi al tasso del 4 per cento
annuo (articolo 21 del D.P.R. n. 602 del 1973).
Inoltre,
l’articolo 26 del D.Lgs. n. 46 del 1999 prevede che, per le entrate tributarie diverse da quelle dello
Stato e per quelle non tributarie,
la rateazione è concessa in conformità delle disposizioni che le regolano. La
richiesta deve comunque essere presentata, a pena di decadenza, prima dell'inizio
della procedura esecutiva.
b)
estensione delle agevolazioni fiscali, previste per le azioni esecutive e cautelari, e per le attività ad esse
prodromiche, eseguite dagli agenti della riscossione, ai soggetti terzi da questi incaricati. L’estensione dovrà essere
limitata agli adempimenti finalizzati allo svolgimento dell’incarico conferito;
Le agevolazioni fiscali riconosciute agli
agenti della riscossione per lo svolgimento di azioni esecutive e cautelari sono le
seguenti:
-
gratuità delle trascrizioni, iscrizioni e cancellazioni di pignoramenti e ipoteche;
gratuità della trascrizione dell’eventuale assegnazione
di immobili in favore dello Stato;
rilascio in carta libera dell’elenco delle trascrizioni e iscrizioni
relative ai beni indicati dall’agente (articolo 47 del D.P.R. n. 602 del 1973);
-
gratuità delle visure ipotecarie e catastali rilasciate dall’Agenzia del
territorio sui beni immobili dei debitori iscritti a ruolo e loro coobbligati; gratuità dell’attribuzione della rendita dei beni per i quali la stessa non
risulta determinata e dello svolgimento
della perizia effettuata sui terreni con destinazione edificatoria; applicazione
dell’imposta di registro nella
misura fissa di 10 euro per i trasferimenti coattivi di beni mobili non
registrati (articolo 47-bis del
D.P.R. n. 602 del 1973);
-
riduzione del 50 per cento delle tasse e dei diritti giudiziari dovuti in occasione e in conseguenza del
procedimento di riscossione coattiva (articolo 48 del D.P.R. n. 602 del 1973).
c)
parziale
revisione della disciplina del rimborso
delle spese sostenute dagli agenti
della riscossione, al fine di assicurare agli stessi il ristoro di tutti i tipi di oneri derivanti
dall’esercizio dei compiti istituzionali;
La disciplina
del rimborso delle spese sostenute
dagli agenti della riscossione è contenuta nell’articolo 17, commi 6 e
seguenti, del D.Lgs. 13 aprile 1999, n. 112, recante Riordino del servizio nazionale della riscossione.
Ai sensi del
comma 7-ter del citato articolo 17, e
del decreto ministeriale di aggiornamento del 27 febbraio 2004, le spese di notifica della cartella di
pagamento sono a carico del debitore
e sono fissate nella misura di 5,56
euro.
La misura e le
modalità di erogazione del rimborso
delle spese relative alle procedure esecutive sono contenute nel decreto ministeriale 21 novembre 2002, emanato in
attuazione del comma 6 del citato articolo 17. Il decreto ministeriale contiene
inoltre un elenco di attività
necessariamente compiute da soggetti esterni, funzionalmente connesse allo
svolgimento della procedura di riscossione coattiva, per le quali il rimborso
all’agente della riscossione spetta nelle misure risultanti da tariffe ufficiali e sulla base di atti
di liquidazione corredati da idonea documentazione.
All’agente della
riscossione spetta un compenso anche per l’attività di esecuzione dei
provvedimenti dell'ente creditore, che riconoscono, in tutto o in parte, non
dovute le somme iscritte a ruolo (articolo 17 cit., comma 7-bis).
Il rimborso
delle spese è generalmente a carico del debitore,
tranne che nei casi di annullamento del
ruolo per effetto di provvedimenti di sgravio,
o di discarico per inesigibilità,
nei quali l’onere è posto a carico
dell’ente creditore.
d)
introduzione
di criteri di controllo dell’inesigibilità degli importi iscritti a ruolo,
coerenti con il nuovo sistema di riscossione nazionale e individuati
anche sulla base del valore degli
stessi importi.
Il discarico per inesigibilità delle quote
iscritte a ruolo, disciplinato dagli articoli 19 e 20 del D.Lgs. n. 112 del
1999, è richiesto dagli agenti della riscossione all’ente creditore nel caso in
cui, espletate tutte le fasi in cui
si articolano le procedure esecutive, il contribuente
risulti del tutto o in parte insolvente.
Per ottenere il discarico l’agente della riscossione deve presentare una comunicazione di inesigibilità, redatta
secondo le modalità contenute nel decreto ministeriale 22 ottobre 1999. Decorsi tre anni da tale comunicazione,
l’agente della riscossione è automaticamente
discaricato e i crediti erariali corrispondenti alle quote discaricate sono
contestualmente eliminati dalle
scritture patrimoniali. L’articolo 19, comma 2, del D.Lgs. n. 112 del 1999
elenca una serie omissioni da parte dell’agente della riscossione che
costituiscono cause di perdita del
diritto al discarico.
Durante i tre
anni decorrenti dalla comunicazione di inesigibilità, l’agente deve conservare la documentazione cartacea
relativa alle procedure esecutive poste in essere e l’ufficio può richiedere la trasmissione della
documentazione relativa alle quote per le quali intende esercitare il controllo di merito, ovvero procedere alla
verifica della stessa documentazione
presso l’agente; la mancata consegna o messa a disposizione della
documentazione comporta la perdita del
diritto al discarico.
Per quanto
riguarda i criteri in base ai quali
deve essere effettuato il controllo del
discarico per inesigibilità, l’articolo 20, comma 1-bis, del D.Lgs. n. 112 del 1999 prevede che il controllo di cui al
comma 1 dello stesso articolo è effettuato a campione, sulla base dei criteri stabiliti da ciascun ente creditore.
e)
semplificazione
e razionalizzazione delle procedure di anticipazione,
da parte degli agenti della riscossione, del
rimborso delle somme iscritte a ruolo riconosciute indebite, anche con previsione del pagamento mediante accredito sul conto corrente del
beneficiario;
Il rimborso delle somme indebitamente
pagate dai contribuenti è disciplinato dall’articolo 26 del D.Lgs. n. 112 del
1999, il quale prevede che l’ente creditore incarichi l’agente della
riscossione di effettuare i suddetti rimborsi, anticipando le relative somme,
che verranno poi restituite dall’ente
creditore, maggiorate degli interessi legali decorrenti dal giorno del rimborso
al contribuente. Il comma 3 del citato articolo 26 rimette a un decreto
ministeriale, non ancora emanato, l’individuazione delle modalità di esecuzione
dei rimborsi e di restituzione delle somme anticipate all’agente della
riscossione. È fatta salva per gli enti creditori diversi dallo Stato la possibilità
di determinare, con proprio provvedimento, differenti modalità di rimborso.
L’articolo 57-bis dello stesso D.Lgs. n. 112 del 1999
prevede che, fino all’emanazione del sopra indicato decreto ministeriale (come
detto, non ancora emanato), il rimborso delle somme iscritte a ruolo
riconosciute indebite è eseguito con le modalità in vigore al 30 giugno 1999, e
che la restituzione ai concessionari delle somme da essi anticipate è
effettuata mediante compensazione sui
versamenti in tesoreria dei tributi riscossi. In materia è stata emanata
un’apposita circolare dell’Agenzia delle entrate, ai sensi della
quale l’esecuzione dei rimborsi si articola nel seguente modo:
-
ricevuto
dall’ente creditore il provvedimento di discarico delle somme iscritte a ruolo,
l’agente della riscossione invita il
contribuente a riscuotere il rimborso spettante. Il rimborso deve avvenire,
nell’interesse del contribuente, entro
sessanta giorni decorrenti dal settimo giorno lavorativo successivo alla
trasmissione telematica del provvedimento di discarico. La circolare
ritiene comunque opportuno che gli agenti della riscossione inviino al
contribuente l’invito a riscuote il rimborso entro il trentesimo giorno
successivo alla suddetta trasmissione telematica;
-
il contribuente,
o un suo delegato, deve presentarsi all’agente
della riscossione per riscuotere il
rimborso (anticipato dall’agente
della riscossione) e rilasciare la relativa quietanza;
-
l’agente della
riscossione, con cadenza mensile, invia all’ente creditore un elenco di tutte le anticipazioni
effettuate nel mese precedente per erogare i rimborsi, corredato di copia delle
quietanze rilasciate dai contribuenti. L’ufficio preposto al riscontro
contabile verifica l’elenco ed emana un provvedimento
di dilazione per l’importo richiesto dall’agente, comprensivo degli interessi maturati dal giorno
dell’effettuazione del rimborso, fino alla data del provvedimento, a valere sui
versamenti in Tesoreria dei tributi riscossi.
f)
limitazione
della chiamata in giudizio degli
agenti della riscossione ai soli casi in cui siano eccepiti vizi dell’attività ad essi effettivamente
riferibili.
Come si legge nella relazione illustrativa del
Governo, questa limitazione ha lo scopo di evitare
che l’agente della riscossione possa essere considerato legittimato passivamente in
controversie che, pur traendo origine dalla notifica di una cartella di
pagamento, abbiano ad oggetto il
rapporto tra contribuente e ente creditore che ha dato luogo all’iscrizione
a ruolo.
La limitazione della chiamata in giudizio degli
agenti della riscossione ai soli casi in cui il giudizio verta sui vizi degli
atti da questi compiuti è già di fatto
operante, anche se non dichiarata espressamente da una norma legislativa.
Il giudice deve
infatti dichiarare inammissibile il
ricorso, per difetto di legittimazione
passiva,qualora venga chiamato
in giudizio l’agente della riscossione, anziché l'ufficio finanziario, per motivi
attenti alla debenza del tributo.
Si cita, a
conferma di quest’affermazione, la circolare n. 98/E del 23 aprile 1996,
interpretativa del D.Lgs. n. 546 del 1992, la quale
osserva che, per quanto concerne l’agente della riscossione, “lo stesso è parte del processo tributario quando
oggetto della controversia sia l'impugnazione
di atti a lui direttamente riferibili, nel senso che trattasi di errori
imputabili allo stesso concessionario [ora:
agente] (errori connessi alla compilazione e all'intestazione della
cartella di pagamento o degli avvisi di mora, alla notificazione degli stessi
atti, eccetera)”.
g)
attribuzione a Riscossione Spa di tutte o parte delle funzioni attualmente esercitate
dall’Agenzia delle entrate per la gestione
del sistema dei versamenti unitari con compensazione, nonché del monitoraggio dei versamenti delle imposte, dei contributi e dei premi e
del compito di effettuare interventi finalizzati
al recupero delle somme non versate.
Il sistema dei
versamenti unitari con compensazione, introdotto e disciplinato dal Capo
III (articoli da 17 a 29) del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241,
prevede il versamento contestuale di
imposte, contributi, premi
previdenziali ed assistenziali e altre
somme dovute allo Stato, alle regioni e agli enti previdenziali, al netto di eventuali compensazioni di
crediti dello stesso periodo, nei confronti dei medesimi soggetti, risultanti
dalla dichiarazioni e dalla denunce periodiche. Tali versamenti si effettuano,
utilizzando l’apposito modello F24,
presso banche, poste e agenti della
riscossione.
Ai sensi dell’articolo 22 del decreto legislativo n.
241 del 1997, con decreto del Ministro delle finanze, di concerto con i
Ministri del tesoro e del lavoro, è individuata una struttura di gestione avente il compito di attribuire agli enti
destinatari le somme a ciascuno
di essi spettanti, tenendo conto
dell’eventuale compensazione effettuata
dai contribuenti. La struttura, disciplinata dal decreto interministeriale 22
maggio 1998, n. 183, è stata costituita presso il Ministero delle finanze,
Dipartimento delle entrate, Direzione centrale per la riscossione. Attualmente,
in seguito alla creazione dell’Agenzia delle entrate, la struttura di gestione
è un ufficio della Direzione centrale
amministrativa dell’Agenzia stessa.
Le funzioni dell'ufficio
struttura di gestione, che dovrebbero essere attribuite, in tutto o in parte, a
Riscossione Spa, sono le seguenti:
-
controllo e quadratura tra quanto riversato in tesoreria dagli
intermediari della riscossione (banche, poste e agenti della riscossione) e i dati analitici, trasmessi
telematicamente, dei versamenti eseguiti dai contribuenti;
-
quadratura delle compensazioni eseguite dai
contribuenti e riaccredito delle stesse
alle entrate, mediante prelievo dagli appositi capitoli di spesa o dai
fondi messi a disposizione dagli enti percettori;
-
attribuzione agli enti percettori delle somme riscosse, mediante
bonifico telematico o accredito nei capitoli di entrata del bilancio dello
Stato;
-
addebito del conto economico dell'Agenzia per
i compensi trattenuti dagli intermediari;
-
applicazione
delle sanzioni agli intermediari nei
casi di mancato rispetto degli accordi convenzionali e controllo dell'avvenuto versamento delle sanzioni stesse nel conto
economico dell'Agenzia o nei capitoli di entrata del bilancio dello Stato;
-
versamento agli agenti della riscossione degli
importi necessari per effettuare i rimborsi
in conto fiscale e conseguente addebito sui capitoli di spesa del bilancio
dello Stato.
Con riferimento alla prevista attribuzione alla
società Riscossione Spa del controllo
sull’andamento dei versamenti delle imposte, dei contributi e dei premi, si
segnala che la normativa vigente (articolo 2, commi 1 e 10, del D.L. 30
settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre
2005, n. 248) conferisce agli uffici dell'Agenzia
delle entrate la possibilità di controllare,
anche prima della presentazione della
dichiarazione annuale, il tempestivo
versamento delle imposte sul reddito
e dell'IVA, dovute a saldo o a
titolo di acconto, nonché delle ritenute
operate dai sostituti di imposta. L'esercizio di tale potere è subordinato alla circostanza che,
secondo il prudente apprezzamento dell'ufficio, vi sia pericolo per la riscossione.
Articolo 3
(Delega in materia di accertamento)
1. Il Governo è
delegato ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della
presente legge, uno o più decreti legislativi in materia di accertamento dei
tributi erariali, volti ad armonizzare, razionalizzare e semplificare le
relative disposizioni, con l'osservanza dei seguenti princìpi e criteri
direttivi:
a) armonizzazione
delle regole generali e dei poteri di accertamento per tutti i tributi
erariali, comprese le attribuzioni e la competenza territoriale degli uffici,
al fine di assicurarne la coerenza con i princìpi della legge 27 luglio 2000,
n. 212, recante disposizioni in materia di statuto dei diritti del
contribuente, nonché con i princìpi di efficienza, efficacia ed economicità
dell'azione amministrativa, e unificazione dei termini per l'accertamento, con
la sola previsione di termini differenziati nelle ipotesi di violazioni che
comportano obbligo di denuncia per uno dei reati previsti dal decreto
legislativo 10 marzo 2000, n. 74, e dei termini per la richiesta di rimborso
dei tributi, accessori e sanzioni non dovuti;
b) individuazione
di specifici poteri di indagine e di accertamento in presenza di fenomeni di
frode ed estensione, in tali casi, della solidarietà nel pagamento del tributo
tra i soggetti che hanno concorso alla frode stessa;
c) armonizzazione
dei diversi metodi di accertamento e revisione dei criteri di accertamento
presuntivi sulla base di elementi indicativi di capacità contributiva;
d) armonizzazione
delle diverse forme di interpello, incluso quello internazionale, e definizione
di una normativa generale antielusiva valevole per tutti i tributi erariali,
con la previsione della possibilità di disconoscere le condotte poste in essere
per fini esclusivamente o prevalentemente fiscali, anche mediante l'eventuale
modificazione delle disposizioni antielusive di cui all'articolo 37-bis del
decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive
modificazioni;
e) revisione del
principio di unicità dell'atto di accertamento, della sua integrabilità, e
coordinamento con la disciplina dell'accertamento parziale e dell'adesione del
contribuente;
f) potenziamento
del sistema informativo, acquisizione secondo modalità telematiche e
armonizzazione delle informazioni utili alla prevenzione e contrasto
dell'evasione nonché utilizzo delle stesse ai fini della corretta
individuazione, anche a seguito dell'attività di controllo, dell'indicatore
della situazione economica del contribuente;
g) riordino e
razionalizzazione delle attività di cooperazione con gli enti territoriali e
previdenziali nonché con le amministrazioni fiscali degli Stati esteri e dello
scambio di informazioni, anche in attuazione degli accordi internazionali;
h) individuazione
delle modalità e dei termini di ritrattabilità delle dichiarazioni e rapporto
con la richiesta di rimborso.
L’articolo 3 delega il Governo ad intervenire, mediante uno o più
decreti legislativi, per razionalizzare e semplificare le disposizioni in
materia di accertamento di tributi
erariali.
L’espressione accertamento tributario designa il
complesso delle attività poste in essere dall’amministrazione finanziaria per
determinare l’an e il quantum dell’obbligazione tributaria.
Le disposizioni comuni
in materia di accertamento delle imposte sui redditi sono contenute nel decreto del Presidente della Repubblica 29
settembre 1973, n. 600.
La disposizione qui
illustrata individua i seguenti princìpi
e criteri direttivi per l’attuazione della delega:
a)
armonizzazione
delle regole e dei poteri di accertamento per tutti i tributi erariali,
nonché delle attribuzioni e della competenza territoriale degli uffici,
al fine di assicurarne la coerenza con le disposizioni dello statuto del
contribuente, emanato con la legge 27 luglio 2000, n. 212, e con i princìpi di
efficienza, efficacia ed economicità del procedimento amministrativo e dei
termini per la richiesta di rimborso dei tributi [comma 1, lettera a)].
Lo statuto del contribuente ha individuato
alcuni princìpi applicabili al complesso dell’ordinamento tributario e ha
apportato specifiche modifiche a singole disposizioni di legge.
In particolare,
gli articoli da 1 a 4 recano alcuni princìpi di carattere generale ai quali il
legislatore deve ispirarsi nell’adozione di norme in materia tributario.
L’articolo 1 qualifica le disposizioni
contenute nella legge n. 212 del 2000 come princìpi generali dell’ordinamento
tributario, derogabili e modificabili solo espressamente né mai attraverso
leggi speciali. Si stabilisce, inoltre, che eventuali disposizioni di carattere
interpretativo in campo tributario possono essere adottate solo in casi
eccezionali e con legge ordinaria, qualificando come tali le disposizioni di
interpretazione autentica. L’articolo 2
enunzia princìpi relativi alla chiarezza della formulazione delle disposizioni
tributarie. Il successivo articolo 3
esclude che le disposizioni tributarie possano avere effetto retroattivo
(tranne che nel caso dell’interpretazione autentica). Viene, poi,
stabilito che i termini di prescrizione e di decadenza per gli accertamenti di
imposta non possono essere prorogati. Infine, l’articolo 4 dispone che l’istituzione di nuovi tributi non possa
essere operata con decretazione di urgenza, ma solo con legge ordinaria.
Gli articoli 5,
6 e 7 recano alcune disposizioni volte ad assicurare ai contribuenti la
possibilità di acquisire le informazioni relative ai fatti che lo interessano; precisi
obblighi sono a tal fine imposti all’amministrazione finanziaria.
In particolare,
l’articolo 6 prescrive all'amministrazione
finanziaria, ferme le disposizioni in materia di notifica degli atti tributari,
di comunicare al contribuente – con le necessarie garanzie di riservatezza –
gli atti a lui destinati nel luogo del suo effettivo domicilio, quale
desumibile dalle informazioni in possesso della stessa amministrazione o di
altre amministrazioni pubbliche indicate dal contribuente, ovvero nel luogo ove
il contribuente ha eletto domicilio speciale ai fini dello specifico
procedimento cui tali atti si riferiscono.
Inoltre, l'amministrazione
deve:
1)
informare il
contribuente di fatti o circostanze ad essa noti dai quali possa derivare il
mancato riconoscimento di un credito ovvero l'irrogazione di una sanzione,
richiedendogli le necessarie integrazioni o correzioni;
2)
prima di
procedere alle iscrizioni a ruolo derivanti dalla liquidazione di tributi
risultanti da dichiarazioni, ovvero qualora dalla liquidazione emerga la
spettanza di un minor rimborso di imposta, ove sussistano incertezze su aspetti
rilevanti della dichiarazione, invitare il contribuente a fornire i chiarimenti
necessari o a produrre i documenti mancanti entro un termine congruo, comunque
non inferiore a trenta giorni dalla ricezione della richiesta. Sono nulli i
provvedimenti emessi in violazione di queste disposizioni.
L'amministrazione
deve infine assicurare la disponibilità e la comprensibilità dei modelli di
dichiarazione, delle istruzioni e di ogni altra comunicazione, e procurare che
gli adempimenti possano essere eseguiti con la maggiore semplicità ed
economicità per il contribuente. A questo non possono comunque essere richiesti
documenti e informazioni già in possesso dell'amministrazione finanziaria o di
altre amministrazioni pubbliche indicate dal contribuente.
L’articolo 7
richiama, poi, con riferimento specifico all’amministrazione finanziaria, le
prescrizioni contenute nella legge 7 agosto 1990, n. 241 in tema di chiarezza e
di motivazione degli atti, di individuazione dei responsabili di procedimenti e
di indicazione negli atti stessi degli uffici che possono fornire spiegazioni
sul loro contenuto.
Gli articoli 8,
9 e 10 contengono disposizioni dirette ad evitare al contribuente ingiusti
aggravi, a garantirgli un più immediato soddisfacimento dei suoi crediti
d’imposta e ad escludere l’applicazione di sanzioni per eventi a lui non
imputabili. In particolare, l’articolo 8 prescrive che le disposizioni
tributarie non possono stabilire né prorogare termini di prescrizione oltre il
limite ordinario determinato dal codice civile e che l'obbligo di conservazione
di atti e documenti, stabilito a soli effetti tributari, non può eccedere il
termine di dieci anni dalla loro emanazione o dalla loro formazione. Esso inoltre,
in aggiunta alla compensazione, ammette esplicitamente l’accollo del debito d’imposta
tra le forme di estinzione del debito tributario; in secondo luogo, sancisce il
diritto del contribuente ad ottenere il rimborso del costo delle fideiussioni che
il contribuente abbia dovuto richiedere per ottenere la sospensione del
pagamento, la rateizzazione o il rimborso dei tributi, quando sia accertato che
essi non erano dovuti.
L’articolo 9 concede
la remissione in termini per l’esecuzione di adempimenti tributari nel caso in
cui il loro tempestivo adempimento sia impedito da cause di forza maggiore. Ciò
comporta che, in relazione ad una forza esterna impeditiva dell’adempimento di
legge, non sia più necessario fare ricorso ad interventi legislativi di
urgenza, in quanto il provvedimento di rimessione in termini potrà essere
disposto dal Ministero delle finanze con apposito decreto. L’articolo 10
stabilisce, tra le altre cose, che non sono irrogate sanzioni tutte le volte in
cui il contribuente incorre in errori o irregolarità dovute al comportamento dell’amministrazione
finanziaria.
L’articolo 11 modifica
la disciplina in materia di interpello, ampliando notevolmente la possibilità,
riconosciuta ai contribuenti dalla legge n. 413 del 1991, di rivolgersi
all’amministrazione per acquisirne la pronunzia circa la corretta
interpretazione di disposizioni che evidenzino obiettive condizioni di
incertezza (cfr. infra).
Per quanto
concerne la tutela dei contribuenti sottoposti ad accessi, ispezioni e
verifiche, specifico rilievo assume l’articolo 12, il quale stabilisce il
principio per cui le verifiche presso i locali del contribuente destinati
all’esercizio delle attività commerciali debbono svolgersi durante l’orario
ordinario di esercizio delle attività e con modalità tali da arrecare la minore
turbativa possibile allo svolgimento delle attività stesse.
L’articolo 13 ha
infine istituito presso ogni Direzione regionale delle entrate il Garante del
contribuente.
I principi di
efficienza, efficacia ed economicità del procedimento amministrativo sono
contenuti nell’articolo 1 della legge 7 agosto 1990 n. 241, recante le norme
sul procedimento amministrativo e il diritto di accesso ai documenti
amministrativi, che è stata da ultimo modificata dalla legge 11 febbraio 2005,
n. 15.
È
altresì prevista l’unificazione dei termini
per l’accertamento, salvo quanto esposto subito sotto circa la previsione
di termini differenziati, nonché dei termini
per la richiesta di rimborso dei tributi, degli importi accessori e delle
sanzioni non dovuti [comma 1, lettera a)].
Si
ricorda inoltre, in materia di termini per l’accertamento, che l’articolo 15
del decreto legislativo 9 giugno 1997, n. 241, ha modificato in materia le
disposizioni dell’articolo 43 del D.P.R. n. 600 del 1973, relativi alle imposte sui redditi.
Tale
norma, a seguito delle modifiche introdotte, prevede che gli avvisi di
accertamento devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31
dicembre del quarto anno successivo a quella in cui è stata presentata la
dichiarazione.
Nei
casi di omessa presentazione della dichiarazione o di dichiarazione nulla,
l’avviso di accertamento può essere notificato fino al 31 dicembre del quinto
anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere
presentata.
Fino
alla scadenza del termine, l’accertamento può essere integrato o modificato in
aumento mediante la notificazione di nuovi avvisi, in base alla sopravvenuta
conoscenza di nuovi elementi. Nell’avviso devono essere specificamente indicati,
a pena di nullità, i nuovi elementi e gli atti o fatti attraverso i quali sono
venuti a conoscenza dell’amministrazione finanziaria.
Le disposizioni previste per le imposte sui
redditi si applicano anche per l’imposta regionale sulle attività produttive,
fino all’entrata in vigore delle leggi regionali applicative, secondo quanto
previsto rispettivamente dagli articoli 25 e 24 del decreto legislativo 15
dicembre 1997, n. 446.
Per quanto riguarda l’imposta sul valore aggiunto, gli avvisi relativi alle notifiche e
agli accertamenti – a norma dell'articolo 57 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633
– debbono essere notificati entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a
quello in cui è stata presentata la dichiarazione: anche in questo caso il
termine è prolungato di un anno per l'ipotesi di omessa dichiarazione.
Ai fini dell'imposta di registro, l'articolo 76
del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, dispone che l'imposta sugli atti soggetti a
registrazione non presentati deve essere richiesta, a pena di decadenza, nel
termine di cinque anni dal giorno in cui avrebbe dovuto essere richiesta la
registrazione o nel quale si è verificato il fatto che legittima la
registrazione d'ufficio. L'avviso di rettifica o di liquidazione della maggiore
imposta dovuta deve essere invece notificato entro due anni dal pagamento
dell'imposta proporzionale.
Con riguardo all'imposta comunale sugli immobili, l'articolo 11 del decreto
legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, dispone che l'azione di controllo da
parte dell'ente impositore deve essere esercitata entro i due anni successivi a
quello in cui è stata presentata la dichiarazione o la denuncia ovvero, per gli
anni in cui queste non dovevano essere presentate, a quello nel corso del quale
è stato o doveva essere eseguito il versamento dell'imposta. Il termine è di
tre anni quando debba essere attribuita la rendita, e di cinque anni in caso di
omessa presentazione della dichiarazione.
Termini specifici sono stabiliti dalla legge
per altri tributi.
b)
previsione
di termini differenziati di accertamento
unicamente nelle ipotesi di violazioni che
comportano obbligo di denunzia per uno dei reati previsti dal decreto
legislativo 10 marzo 2000, n. 74 [comma 1, lettera a)];
Il decreto
legislativo n. 74 del 2000 disciplina i reati in materia di imposte sui redditi
e sul valore aggiunto. Tra i delitti in materia di dichiarazioni vengono
previste la dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti
per operazioni inesistenti; la dichiarazione fraudolenta mediante altri
artifici; la dichiarazione infedele; l’omessa dichiarazione; tra i delitti in
materia di documenti e di pagamento di imposte vengono contemplati l’emissione
di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti; il concorso di persone
nei casi di emissione o utilizzazione di fatture o altri documenti per
operazioni inesistenti; l’occultamento o distruzione di documenti contabili;
l’omesso versamento di ritenute certificate; l’omesso versamento di IVA;
l’indebita compensazione; la sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte.
In
materia, l’articolo 43 del D.P.R. n. 600 del 1973 già prevede che, in caso di
violazione che comporta l’obbligo di
denunzia ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura penale per uno
dei reati previsti dal decreto legislativo n. 74 del 2000, i termini per
l’accertamento sono raddoppiati relativamente al periodo d’imposta in cui è
stata commessa la violazione.
L’articolo 331 del codice di procedura penale
disciplina la denunzia da parte di pubblici ufficiali e incaricati di un
pubblico servizio, prevedendo che, quando tali soggetti, nell'esercizio o a
causa delle loro funzioni o del loro servizio, hanno notizia di un reato perseguibile d’ufficio, essi devono
farne denuncia per iscritto, anche quando non sia individuata la persona alla
quale il reato è attribuito, trasmettendola senza ritardo al pubblico ministero
o a un ufficiale di polizia giudiziaria.
c)
l’individuazione
di specifici poteri di indagine e di
accertamento in presenza di fenomeni di frode e l’estensione, in tali casi, della solidarietà nel pagamento
del tributo tra i soggetti che hanno concorso alla frode stessa [comma 1,
lettera b)];
d)
l’armonizzazione dei diversi metodi di accertamento e la revisione
dei criteri di accertamento presuntivi
sulla base di elementi indicativi di capacità contributiva [comma 1, lettera c)];
Le forme di
accertamento possono essere distinte in accertamento analitico, accertamento
sintetico, accertamento induttivo, accertamento parziale, accertamento
d’ufficio.
L’accertamento d’ufficio è eseguito in
presenza di omessa dichiarazione, ovvero di dichiarazione radicalmente nulla:
in tal caso, l’amministrazione finanziaria determina il reddito complessivo del
contribuente sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolte e di cui sia
venuto a conoscenza, con facoltà di avvalersi di presunzioni non qualificate.
Si procede all’accertamento analitico quando
l’amministrazione finanziaria, sebbene la dichiarazione sia incompleta o
infedele è in grado di determinare analiticamente, ossia voce per voce, il
maggior reddito conseguito o le indebite detrazioni effettuate dal contribuente
(si veda, in proposito, l’articolo 39 del D.P.R. n. 600 del 1973).
Si procede
invece all’accertamento sintetico, disciplinato
dall’articolo 38 del D.P.R. n. 600 del 1973, quando l’accertamento analitico
esprime un volume di reddito non adeguato a quello attribuibile al contribuente
sulla base di elementi certi.
In certi aspetti
analogo all’accertamento sintetico (in quanto comunque basato su una
ricostruzione della situazione reddituale del contribuente da parte
dell’amministrazione finanziaria), risulta l’accertamento induttivo, che però si fonda sull’individuazione di
dati oggettivi in base ai quali poter definire il ricavo presunto dei
contribuenti (laddove l’accertamento sintetico e di ufficio si basano
sull’individuazione di elementi riferiti al singolo contribuente). In tale
fattispecie rientrano ad esempio gli studi
di settore, introdotti nell’ordinamento italiano dal decreto-legge 30
agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre
1993, n. 427. Gli studi di settore consistono in valutazioni molto dettagliate
per settori di attività, che dovrebbero consentire una più articolata
determinazione dei ricavi normali di tali settori. La predisposizione degli studi
si fonda su informazioni desunte da questionari inviati all’universo dei
contribuenti di cui si rilevano, in particolare, gli acquisti di beni e
servizi, i prezzi medi praticati, i consumi di materie prime, il capitale
investito, l’impiego di manodopera e di beni strumentali, la localizzazione
dell’attività ed altri elementi significativi.
Disposizioni
volte al perfezionamento dei metodi di formulazione e di applicazione degli
studi di settore sono contenuti nel disegno di legge finanziaria per il 2006,
attualmente all’esame del Senato (A.S. 1183, art. 3, commi 1-15). Esso
disciplina in particolare le modalità di revisione e di aggiornamento degli
studi di settore, ridefinendo le fattispecie alle quali non si applica tale
strumento; prevede poi la determinazione di specifici indici di normalità
economica per i contribuenti titolari di redditi di impresa o di lavoro
autonomo cui non si applicano gli studi di settore, nonché l’individuazione di
appositi indicatori di coerenza per le società di capitali, le società
cooperative, le società di mutua assicurazione, che risultano escluse
dall’applicazione degli studi di settore.
L’accertamento
riguarda, di norma, il complesso dei redditi del contribuente riferiti alla
dichiarazione presentata per il periodo d’imposta. Tuttavia, senza pregiudizio
per l’ulteriore azione accertatrice, nei termini ordinari, l’amministrazione
finanziaria, quando rilevi l’esistenza di un reddito non dichiarato o di un
maggior reddito, può procedere ad accertamento
parziale per accertare il detto reddito evaso o il maggior reddito
imponibile (art. 41-bis del DPR n.
600 del 1973: si veda anche infra).
e)
l’armonizzazione
delle diverse forme di interpello,
incluso quello internazionale [comma 1, lettera d)];
Come già si è
ricordato, l’istituto dell’interpello
è stato introdotto nell’ordinamento tributario con l’articolo 21 della legge 30
dicembre 1991, n. 413, con riguardo ad alcune specifiche disposizioni
tributarie. La possibilità di ricorrere all’interpello è stata successivamente
ampliata dall’articolo 11 dello Statuto del contribuente (cosiddetto
“interpello ordinario”). L’interpello consiste nella facoltà di rivolgersi
all’amministrazione finanziaria per acquisirne la pronunzia circa la corretta
interpretazione di disposizioni che evidenzino obiettive condizioni di
incertezza. In proposito, merita segnalare l’esclusione della possibilità di
irrogare sanzioni nei confronti del contribuente che non abbia ricevuto
risposta entro il termine di 120 giorni, limitatamente alla questione che è oggetto
dell’istanza. Va inoltre ricordata la disposizione di carattere generale per
cui, decorso inutilmente il termine, si intende che l’amministrazione concordi
con l’interpretazione prospettata dal contribuente. Si stabilisce, infine, che
è nullo qualsiasi atto adottato dall’amministrazione nei confronti del
contribuente in difformità della risposta. Si ricorda, al riguardo, che con il
decreto 26 aprile 2001, n. 209, è stato adottato il regolamento contenente le
disposizioni attuative del citato articolo 11.
In concreto, il
contribuente, quando sussistono obiettive condizioni di incertezza circa
l’applicazione delle disposizioni tributarie a casi concreti e personali può
inoltre un quesito all’Amministrazione finanziaria che risponde nel termine
sopra ricordato di 120 giorni. In particolare, l’Agenzia delle entrate può
essere interpellata per quel che concerne le imposte sui redditi; l’imposta sul
valore aggiunto; l’Irap; l’imposta di registro; l’imposta di bollo; la tassa
sulle concessioni governative; l’imposta sugli intrattenimenti ed altri tributi
minori.
In tali casi
l’istanza deve essere presentata alla Direzione regionale dell’Agenzia delle
entrate competente in ragione del domicilio fiscale del contribuente.
Per i tributi
che non sono di competenza dell’Agenzia delle entrate il contribuente potrà
presentare istanza di interpello all’ente che li gestisce (ad esempio l’Agenzia
delle dogane per le accise, i comuni per l’ICI e per gli altri tributi
comunali; le province per quelli provinciali e le regioni per quelli
regionali).
Una speciale
forma d’interpello è prevista dall’articolo 37-bis, comma 8, del D.P.R. n. 600 del 1973, nonché in varie norme del
testo unico delle imposte sui redditi, allo scopo di rimuovere limiti e divieti
contenuti in norme tributarie sostanziali a fine antielusivo, mediante
dimostrazione dell’effettiva ragione economica sottostante all’operazione del
contribuente.
L’articolo 8 del
decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla
legge 24 novembre 2003 n. 326, ha introdotto il cosiddetto interpello (o ruling) internazionale, in favore delle imprese
con attività internazionale, con principale riferimento al regime dei prezzi di
trasferimento, degli interessi, dei dividendi e delle royalties. Esso si conclude con la stipulazione di un accordo tra
l'Agenzia delle entrate e il contribuente, vincolante per il periodo d'imposta in
corso e per i due successivi, salvo che intervengano mutamenti nelle
circostanze di fatto o di diritto rilevanti al proposito.
Una forma di interpello speciale per gli
investitori non residenti consiste nella proposizione di quesiti alla Direzione
centrale per gli affari giuridici e per il contenzioso tributario da parte di
soggetti non residenti che intendono effettuare operazioni di investimento in Italia,
allo scopo di ottenere qualificata e tempestiva consulenza giuridica anche
circa le agevolazioni fiscali previste dall'ordinamento.
f)
definizione
di una normativa generale antielusiva
valevole per tutti i tributi erariali, con la possibilità di disconoscere le
condotte poste in essere per fini esclusivamente e prevalentemente fiscali,
anche attraverso la revisione delle disposizioni antielusive dell’articolo 37-bis del D.P.R. n. 600 del 1973 [comma 1,
lettera d)];
L’articolo 37-bis del D.P.R. n. 600 del 1973 prevede, tra le altre cose, che
siano inopponibili all'amministrazione finanziaria gli atti, i fatti e i
negozi, anche collegati tra loro, privi di valide ragioni economiche, diretti
ad aggirare obblighi o divieti previsti dall'ordinamento tributario e ad
ottenere riduzioni di imposte o rimborsi, altrimenti indebiti. Si prevede
quindi che l'amministrazione finanziaria disconosca i vantaggi tributari
conseguiti mediante gli atti, i fatti e i negozi sopra richiamati, applicando
le imposte determinate in base alle disposizioni eluse, al netto delle imposte
dovute per effetto del comportamento inopponibile all'amministrazione. Tali
previsioni si applicano a condizione che, nell'ambito del comportamento di cui
al comma 2, siano utilizzate le seguenti operazioni:
a)
trasformazioni,
fusioni, scissioni, liquidazioni volontarie e distribuzioni ai soci di somme
prelevate da voci del patrimonio netto diverse da quelle formate con utili;
b)
conferimenti in
società, nonché negozi aventi ad oggetto il trasferimento o il godimento di
aziende;
c)
cessioni di
crediti;
d)
cessioni di
eccedenze d'imposta;
e)
operazioni di cui
al D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 544, recante disposizioni per l'adeguamento alle
direttive comunitarie relative al regime fiscale di fusioni, scissioni,
conferimenti d'attivo e scambi di azioni;
f)
operazioni, da
chiunque effettuate, incluse le valutazioni e le classificazioni di bilancio,
aventi ad oggetto i beni ed i rapporti di cui all'articolo 81, comma 1, lettere
da c) a c-quinquies), del testo unico
delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917;
g)
cessioni di beni
e prestazioni di servizi effettuate tra i soggetti ammessi al regime della
tassazione di gruppo di cui all'articolo 117 del testo unico delle imposte sui
redditi;
h)
pagamenti di
interessi e canoni di cui all'art. 26-quater
del DPR n. 600 del 1973, qualora detti pagamenti siano effettuati a
soggetti controllati direttamente o indirettamente da uno o più soggetti non
residenti in uno Stato dell'Unione europea.
L'avviso di
accertamento è emanato, a pena di nullità, previa richiesta al contribuente
anche per lettera raccomandata, di chiarimenti da inviare per iscritto entro 60
giorni dalla data di ricezione della richiesta nella quale devono essere
indicati i motivi per cui si reputano applicabili le misure di inopponibilità
sopra richiamati. L'avviso d'accertamento deve essere specificamente motivato,
a pena di nullità, in relazione alle giustificazioni fornite dal contribuente.
g)
revisione del principio dell’unicità
dell’atto di accertamento e della sua integrabilità e coordinamento
con la disciplina dell’accertamento parziale e dell’adesione del contribuente
[comma 1, lettera e)];
L’accertamento
parziale, ai sensi dell’articolo 41-bis
del D.P.R. n. 600 del 1973, comporta che gli uffici dell’amministrazione
finanziaria competenti, senza pregiudizio dell’ulteriore azione accertatrice e
sulla scorta di segnalazioni inviate dai soggetti ivi indicati che consentono
di stabilire l’esistenza di redditi in tutto o in parte non dichiarati o di
deduzioni, esenzioni, agevolazioni non spettanti, possono limitarsi ad
accertare il reddito o il maggior reddito imponibile e la conseguente maggior
imposta dovuta in base agli elementi predetti.
L’accertamento
con adesione (o concordato), previsto in via generale ai fini delle imposte
dei redditi, dell’IVA e delle altre imposte indirette dal decreto legislativo
n. 218 del 1997, consiste nella rettifica delle dichiarazioni mediante
definizione concordata con un unico atto e con l’adesione del contribuente.
L’accertamento con adesione può applicarsi a condizione che siano state
presentate la dichiarazione dei redditi e quella dell’IVA, oppure che non
ricorrano ipotesi di reati fiscali.
Nel corso della XIV legislatura si è fatto
ricorso ad una peculiare forma di accertamento con adesione, quella del concordato preventivo.
Una prima forma di concordato triennale,
prevista dall’articolo 6 della legge 27 dicembre 2002 n. 289 (legge finanziaria
2003) non ha trovato realizzazione per la mancata emanazione del regolamento
ministeriale attuativo. In forma sperimentale, un concordato preventivo
biennale riferito agli anni 2003 e 2004 è stato quindi introdotto dall’articolo
33 del decreto-legge 30 settembre 2003 n. 269.
L’articolo 1, commi da 387 a 398, ha poi
disciplinato l’istituto della pianificazione fiscale concordata triennale,
destinata a entrare in funzione dal 2005. Tuttavia, questa disciplina è stata
sostituita dalla programmazione fiscale triennale, prevista dalla legge 23
dicembre 2005, n. 266 (articolo 1, commi da 499 a 509 e 519-520) con decorrenza
dal periodo fiscale 2006. L’articolo 1, comma 368, lettera a) della medesima legge ha inoltre prefigurato la possibilità di
concordare la tassazione di distretto (riferita a tributi statali e locali) per
le imprese aderenti ai distretti industriali, rimettendone la disciplina a un
emanando decreto ministeriale. L’istituto della programmazione fiscale
triennale è stato quindi soppresso dall’articolo 37, comma 51, del
decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito in legge, con modificazioni,
dalla legge 4 agosto 2006, n. 248 (c.d. “decreto Bersani-Visco”)
h)
potenziamento del sistema informativo,
acquisizione secondo modalità telematiche e armonizzazione delle informazioni
utili alla prevenzione e al contrasto dell’evasione, e utilizzo delle stesse
per l’individuazione corretta dell’indicatore della situazione economica del
contribuente [comma 1, lettera f)];
In materia di trasmissione telematica delle
dichiarazioni interviene l’articolo 3 del decreto del Presidente della
Repubblica 22 luglio 1998 n. 322, recante il regolamento in ordine alle
modalità per la presentazione delle dichiarazioni relative alle imposte sui
redditi, all’IRAP e all’IVA. Possono presentare dichiarazione in forma
telematica tutti i contribuenti; vi sono poi alcune categorie di soggetti che
sono tenuti alla presentazione della dichiarazione in forma telematica. Si
tratta in particolare dei seguenti:
-
soggetti passivi
IVA con volume di affari superiore a euro 10.000 (a decorrere dal 1° maggio
2007, in base a quanto disposto dall’articolo 37, comma 10, del decreto-legge 4
luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006
n. 248, tutti i soggetti passivi IVA saranno tenuti alla presentazione della
dichiarazione in via telematica);
-
i soggetti
obbligati alla presentazione della dichiarazione dei sostituti di imposta;
-
le società per
azioni e in accomandita per azioni, le società a responsabilità limitata, le
società cooperative e le società di mutua assicurazione residenti nel
territorio dello Stato;
-
gli enti pubblici
e privati diversi dalle società, residenti nel territorio dello Stato, che
hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali;
-
i soggetti tenuti
alla presentazione del modello per la comunicazione dei dati relativi all’applicazione
degli studi di settore (nonché quelli tenuti all’applicazione dei parametri, a
decorrere dal 1° maggio 2007, in base a quanto previsto dall’articolo 37, comma
10, decreto-legge 4 luglio 2006 n. 223, convertito con modificazioni dalla
legge 4 agosto 2006 n. 248).
Si prevede che
tali dichiarazioni siano trasmesse avvalendosi del servizio telematico
Entratel; il collegamento con l’Agenzia delle entrate è gratuito per gli
utenti.
La disposizione
fa riferimento all’ “indicatore della
situazione economica del contribuente”. Sembra che tale espressione non
debba intendersi riferita all’indicatore della situazione economica equivalente
(ISEE), contemplato nella legislazione vigente come indicatore della condizione
economica degli individui, utilizzato dalle pubbliche amministrazioni per
verificare il diritto dei cittadini a ricevere prestazioni sociali subordinate
a limiti di reddito e di ricchezza.
L’ISEE è infatti
un indicatore misto, di natura reddituale e patrimoniale, in quanto viene
calcolato sulla base della somma dei redditi assoggettabili ad IRPEF nonché dei
redditi derivanti da attività finanziarie di tutti i componenti il nucleo
familiare, da un lato, e del patrimonio mobiliare e immobiliare, dall’altro
lato. L’indicatore così ottenuto è poi diviso per un parametro il cui importo
dipende dal numero dei componenti il nucleo familiare (cosiddetta "scala
di equivalenza"), al fine di rendere confrontabili situazioni economiche
di soggetti appartenenti a nuclei famigliari di diversa numerosità.
Il
disegno di legge finanziaria per il 2007, attualmente all’esame del Senato
(A.S. 1183, art. 3, commi 40-41) istituisce il sistema integrato delle banche
dati in materia tributaria e finanziaria, per la condivisione e la gestione
coordinata delle informazioni dell’intero settore pubblico per l’analisi e il controllo
della pressione fiscale e dell’andamento dei flussi finanziari. Gli archivi di
dati destinati a comporlo e le regole tecniche di accesso e funzionamento
saranno definiti con decreti del Presidente del Consiglio dei ministri o del
Ministro delegato per le riforme e le innovazioni nella pubblica
amministrazione, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze,
sentita la Commissione parlamentare di vigilanza sull’anagrafe tributaria.
i)
riordino
e razionalizzazione delle attività di cooperazione
con gli enti territoriali e
previdenziali nonché con le amministrazioni
finanziarie degli Stati esteri, e dello scambio di informazioni anche in
attuazione degli accordi internazionali [comma 1, lettera g)];
In materia di partecipazione degli enti locali alle
attività di accertamento, l’articolo 1, del decreto-legge 30 settembre 2005
n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, ha
attribuito ai comuni intervenuti nell’accertamento fiscale il 30 per cento
delle maggiori somme riscosse, relativamente ai tributi statali.
La
determinazione delle modalità tecniche, delle forme di partecipazione dei
comuni e delle ulteriori materie in cui essa può esplicarsi è demandata a
provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate, d’intesa con il
Direttore dell’Agenzia del territorio per i tributi di competenza di questa.
Forme di
partecipazione dei comuni all’accertamento delle imposte sui redditi delle
persone fisiche erano inoltre già previste dal decreto del Presidente della
Repubblica 29 settembre 1973, n. 600. A questo fine, l’articolo 44 prescrive ai
centri di servizio di trasmettere ai comuni di domicilio fiscale dei soggetti
passivi le copie delle dichiarazioni dei redditi presentate dalle persone
fisiche e agli uffici delle imposte di trasmettere ai medesimi comuni le
proprie proposte di accertamento in rettifica o d’ufficio (con le successive
integrazione e modificazioni) relative a persone fisiche. Il comune di
domicilio fiscale del contribuente, avvalendosi della collaborazione del
consiglio tributario se istituito, può segnalare all'ufficio delle imposte
dirette qualsiasi integrazione degli elementi contenuti nelle dichiarazioni
presentate dalle persone fisiche, e indicare – anche nel caso di omissione
della dichiarazione – dati, fatti ed elementi rilevanti con la loro idonea
documentazione. A tal fine il comune può prendere visione presso gli uffici
delle imposte degli allegati alle dichiarazioni già trasmessegli in copia
dall'ufficio stesso. In relazione alle proposte di accertamento, il comune può
inoltre proporre l'aumento degli imponibili, fornendone idonea documentazione. Per
questi adempimenti, il comune può chiedere dati e notizie alle amministrazioni
ed enti pubblici, che debbono rispondere gratuitamente. Le proposte di aumento
non condivise dall'ufficio delle imposte devono essere trasmesse a cura dello
stesso, con le proprie deduzioni, all'apposita commissione operante presso
ciascun ufficio, la quale determina gli imponibili da accertare.
L’articolo 51
del testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta di registro, approvato
con decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, consente ai
comuni di indicare all'ufficio del registro elementi per la valutazione di beni
immobili o diritti reali immobiliari, ai fini dell'eventuale rettifica del
valore dichiarato.
Il decreto del
Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 605 (Disposizioni relative
all'anagrafe tributaria e al codice fiscale dei contribuenti), all’articolo 9,
facoltizza i comuni a segnalare all'anagrafe tributaria dati e notizie, desunti
da fatti certi, indicativi di capacità contributiva delle persone fisiche che
risiedono nei rispettivi territori, vi possiedono beni o vi svolgono attività
economica, nonché dati e notizie relativi ai soggetti, diversi dalle persone
fisiche residenti, operanti o aventi beni nei rispettivi territori. Non risulta
tuttavia essere stato emanato il decreto del Ministro per le finanze che
avrebbe dovuto disciplinare le modalità e i termini delle segnalazioni.
Per quanto
riguarda il concorso delle regioni,
l’articolo 10 del decreto legislativo 18 febbraio 2000, n. 56, ha stabilito che
le regioni a statuto ordinario partecipano all'attività di accertamento
relativa ai tributi erariali, rimettendo a decreto del Ministro delle finanze,
d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e
le province autonome di Trento e Bolzano, la determinazione delle modalità
attuative, da stabilirsi in analogia con quanto previsto dal citato articolo 44
del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973 . Anche in questo
caso, il previsto decreto attuativo non risulta essere stato emanato.
Il
disegno di legge finanziaria per il 2007, attualmente all’esame del Senato
(A.S. 1183, art. 3, commi 37-39) prevede e disciplina l’annuale trasmissione
alle regioni dei dati del sistema doganale relativi alle importazione e alle
esportazioni, nonché l’annuale trasmissione alle regioni, alle province
autonome e ai comuni, dei dati delle dichiarazioni dei redditi presentate
nell’anno precedente dai contribuenti in essi residenti.
l)
individuazione
delle modalità e dei termini di ritrattabilità
delle dichiarazioni e rapporto con la richiesta di rimborso [comma 1,
lettera h)].
Merita infine
ricordare che, nel corso della XIV legislatura, misure volte a rafforzare i poteri di accertamento da parte
dell’amministrazione finanziaria agli effetti dell’IRPEF e dell’IVA sono state
adottate, in particolare, con la legge 30 dicembre 2004, n. 311 (legge
finanziaria per il 2005), all’articolo 1, commi da 402 a 406. Le modificazioni
introdotte hanno potenziato, in particolare, le disposizioni del D.P.R. n. 600
del 1973 che già intervenivano in materia di invito ai contribuenti a comparire
per fornire dati e notizie, di uso degli elementi acquisiti agli effetti delle
rettifiche e degli accertamenti, di richieste di dati, notizie e documenti a
banche, Poste, intermediari e soggetti che prestano servizi finanziari; è stata
altresì integrata la determinazione degli elementi che consentono di stabilire
l’esistenza di violazioni fiscali, ed esteso l’oggetto dell’accertamento, nel
quale viene compresa anche l’imposta non versata. Successivamente, l’articolo
2, commi 8 e 9, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, ha disposto
l’utilizzabilità dei dati acquisiti per l’accertamento delle accise agli
effetti dell’accertamento presuntivo delle imposte dirette e dell’IVA.
Fra gli strumenti
impiegati per la determinazione dell’imponibile hanno assunto una funzione
sempre più rilevante gli studi di
settore. Nel corso della XIV legislatura sono state infatti emanate alcune
disposizioni relative alla loro revisione. Essa è stata prevista dapprima dal
decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (articolo 23, comma 1), con finalità di
controllo delle tendenze inflative rilevate in occasione del passaggio alla
nuova moneta dell’euro, per i settori in cui si fossero manifestate o fossero
in atto abnormi dinamiche di aumento dei prezzi. Per altro, tale operazione non
risulta essere stata eseguita. Il controllo dei prezzi nella filiera
agroalimentare da parte della Guardia di finanza è stato quindi nuovamente
disposto dall’articolo 2 del D.L. 9 settembre 2005, n. 182. Finalità più
propriamente tributarie ha invece rivestito la revisione quadriennale disposta
in via generale per i medesimi studi dall’articolo 1, commi da 399 a 401, della
legge n. 311 del 2004, la quale, all’articolo 1, commi da 407 a 411, ne ha
altresì disciplinato l’impiego a fine di accertamento. Tale possibilità è
estesa, nei riguardi dei soggetti che esercitano attività d’impresa in regime
di contabilità ordinaria, nonché degli esercenti arti o professioni, anche al
caso in cui emergano, nel periodo d’imposta da accertare, significative
situazioni di incoerenza rispetto agli indici di natura economica, finanziaria
o patrimoniale stabiliti con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle
entrate. La possibilità di adeguamento alle risultanze degli studi di settore
senza sanzioni e interessi, nel primo anno di applicazione, è stata altresì
estesa ai periodi precedenti e riferita anche all’imposta regionale sulle
attività produttive. In questo caso dev’essere tuttavia versata una maggiorazione
del 3 per cento calcolata sulla differenza tra ricavi e compensi derivanti
dall’applicazione degli studi e quelle annotati nelle scritture contabili,
quando tale differenza sia superiore al 10 per cento.
All’ambito specifico
dell’accertamento con adesione può poi ricondursi – pur con caratteristiche
speciali – l’istituto del concordato preventivo, contemplato in varie forme
nella legislazione degli ultimi anni (cfr. supra).
In materia di
accertamento sono inoltre intervenuti alcuni provvedimenti all’inizio della
legislatura in corso.
In particolare, il decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223,
convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, ha esteso
all’accertamento delle imposte di registro, ipotecaria e catastale i poteri di
accertamento e controllo conferiti agli uffici finanziari in materia di imposte
indirette (articolo 35, comma 24); ha abrogato alcune limitazioni alla
possibilità di effettuare l’accertamento in base agli studi di settore e
dettano disposizioni transitorie per l’adeguamento alle risultanze dei suddetti
studi (articolo 37, comma 2); ha raddoppiato i termini di decadenza dell’azione
amministrativa di accertamento, ai fini delle imposte sui redditi e dell’IVA,
in riferimento a periodi di imposta in cui siano state riscontrate, a carico
del contribuente, violazioni che comportano l’obbligo di denunzia per uno dei reati
tributari di cui al decreto legislativo n. 74 del 2000 (cfr. supra) (articolo 37, commi da 24 a 26);
ha ampliato i poteri dell’amministrazione finanziaria in materia di
accertamento delle imposte dirette, introducendo la possibilità di inviare
questionari, nonché richiedere dati, notizie e documenti o acquisire
informazioni relativamente al complesso dei rapporti economici intrattenuti dal
destinatario dell’istanza conoscitiva (articolo 37, comma 32).
Successivamente il decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262,
recante disposizioni urgenti in materia finanziaria, convertito, con
modificazioni, dalla legge 28 novembre 2006, n. 286, ha fra l’altro esteso i
poteri dell’Agenzia delle dogane in materia di accertamento con riferimento al
controllo degli elenchi riepilogativi delle cessioni e degli acquisti
intracomunitari, presentati agli uffici doganali dai soggetti passivi IVA
(articolo 1, comma 5).
Articolo 4
(Delega per la riforma del sistema
estimativo del catasto dei fabbricati)
1. Il Governo è
delegato ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della
presente legge, uno o più decreti legislativi per la riforma generale del
sistema di valutazione del catasto dei fabbricati, al fine di rinnovare
l'attuale sistema estimativo del catasto stesso, basato sulla distinzione in
categorie e classi, e per favorire il progressivo miglioramento dei relativi
livelli di perequazione, trasparenza e qualità, nonché il recupero
dell'evasione ed elusione nel settore immobiliare, nel rispetto dei seguenti
princìpi e criteri direttivi:
a) determinazione
degli estimi catastali su base patrimoniale attraverso:
1) segmentazione
territoriale e funzionale del mercato immobiliare;
2) metodi di
valutazione matematico-statistici;
3) utilizzo del
parametro «metro quadrato di superficie», quale unità di consistenza cui
riferire gli estimi catastali per le unità immobiliari a destinazione
ordinaria;
4) definizione
delle modalità e dei termini di aggiornamento del sistema di valutazione;
b) derivazione
dalla base patrimoniale di cui alla lettera a) di una base reddituale,
attraverso l'applicazione di saggi di redditività;
c) ridefinizione
della composizione e delle funzioni delle commissioni censuarie provinciali e
centrale, nelle loro specifiche competenze con particolare riguardo alla
deflazione del contenzioso;
d) articolazione
del processo riformatore attraverso la definizione del ruolo dei comuni e
dell'Agenzia del territorio nel rispetto dei princìpi sottesi alle funzioni
decentrate, assicurando, a livello nazionale, l'uniformità e la qualità dei
processi nonché il loro coordinamento e monitoraggio;
e) utilizzo di
adeguati strumenti di comunicazione per portare a conoscenza degli intestatari
catastali i nuovi estimi, in aggiunta all'affissione all'albo pretorio, da
individuare anche in deroga alle modalità previste dall'articolo 74 della legge
21 novembre 2000, n. 342;
f) introduzione di
meccanismi volti ad assicurare una sostanziale invarianza del gettito
complessivo delle imposte erariali e comunali aventi per base imponibile i
valori o i redditi immobiliari derivati.
L’articolo 4 reca un’ampia delega
al Governo per la riforma generale
del sistema di valutazione del catasto dei fabbricati al fine di rinnovare il
sistema estimativo su cui si basa attualmente il catasto.
Il comma 1 enunzia, quali finalità della riforma, quella di favorire
il progressivo miglioramento del sistema catastale, con riferimento sia ai livelli
di perequazione, che alla trasparenza e qualità, nonché quella di favorire il
recupero dell'evasione e dell’elusione nel settore immobiliare.
Il termine per l’esercizio della delega è
fissato in dodici mesi dalla data di
entrata in vigore della legge, da attuarsi mediante l’adozione di uno o più
decreti legislativi.
A tale proposito occorre preliminarmente notare che il comma 1 andrebbe
più correttamente formulato, quanto all’oggetto della delega, prevedendo la
delega “per la riforma generale del sistema di valutazione dei fabbricati su
base catastale” (oppure, alternativamente, “per la riforma generale del sistema
del catasto dei fabbricati”), anziché, come è ora, “per la riforma generale del
sistema di valutazione del catasto fabbricati”, poiché quest’ultima locuzione stricto
sensu individua quale oggetto della
delega il sistema di valutazione del catasto dei fabbricati, anziché il catasto
medesimo.
I princìpi e criteri direttivi di delega sono contenuti nelle lettere da a) a f) del comma 1.
In particolare, le
lettere a), b) e f) delineano i
criteri cui dovrà ispirarsi il nuovo catasto dei fabbricati, mentre le lettere c), d)
ed e), contengono princìpi relativi,
rispettivamente, alle commissioni censuarie (lettera c), al ruolo dei comuni e dell’Agenzia del territorio (lettera d), e agli strumenti di comunicazione
ai soggetti passivi dei nuovi estimi (lettera e).
Il nuovo catasto dei fabbricati: i princìpi di delega delle lettere a), b)
e f)
In termini generali,
dai princìpi di delega contenuti nelle lettere a) e b), si evince
complessivamente che il sistema estimativo, attualmente fondato su categorie e
classi, dovrà essere radicalmente modificato e dovrà basarsi sulla determinazione degli estimi catastali su
base patrimoniale e sulla successiva applicazione a tale base di coefficienti di redditività, attraverso
i quali si determinerà la base reddituale, cioè il reddito imponibile.
Deve osservarsi preliminarmente che l’adozione del valore patrimoniale
quale criterio per la formazione del catasto costituisce una radicale
inversione dei princìpi che hanno fin qui presieduto alla formazione dei
catasti. Essi, infatti, registrano attualmente la rendita, ossia il reddito
medio ordinariamente ritraibile, dal quale, agli effetti dell’accertamento di
taluni tributi, viene dedotto un valore convenzionale mediante l’applicazione
di coefficienti o moltiplicatori. La formazione del catasto sulla base del
valore patrimoniale inverte quest’impostazione: ciò potrebbe produrre effetti
sul funzionamento delle imposte fondate sui dati catastali.
La lettera a)prevede infatti, come primo pilastro della
riforma, la determinazione degli
estimi catastali su base patrimoniale attraverso:
1)
la segmentazione territoriale e funzionale del
mercato immobiliare;
2)
metodi di valutazione matematico-statistici;
3)
l’utilizzo del «metro quadrato di superficie»,
quale unità di consistenza cui riferire gli estimi catastali per le unità
immobiliari a destinazione ordinaria;
4)
la definizione delle modalità e dei termini di
aggiornamento del sistema di valutazione.
Dagli enunziati
criteri, peraltro oltremodo generici, si evince solamente che l’attuale sistema
degli estimi fondati sulle classi e sulle categorie sarà sostituito da uno
nuovo che si baserà (numero 3 della
lettera a) sul parametro del metro
quadrato di superficie per le unità immobiliari a destinazione ordinaria
(verrebbero quindi escluse quelle a destinazione speciale e particolare).
Non è peraltro chiarito come si realizzi la determinazione degli estimi
“su base patrimoniale”. Si può a tale proposito arguire, anche dal riferimento
contenuto nel numero 1 della lettera a)
stessa, che si tratti di un sistema volto a stimare il valore patrimoniale di
ciascun fabbricato, collegandolo ad un ipotetico valore di mercato dello stesso
in caso di compravendita, anziché al reddito retraibile dallo stesso immobile,
quale potrebbe rilevarsi attraverso i dati di mercato delle locazioni
immobiliari. Potrebbe pertanto trattarsi dello stesso sistema utilizzato per la
revisione degli estimi catastali effettuata nel 1990 su base patrimoniale.
In tale prospettiva si
colloca l’indicazione, fornita dal numero
1) della lettera a), che prevede
la segmentazione territoriale e
funzionale del mercato immobiliare, quale base per l’individuazione e la
classificazione delle differenti tipologie di fabbricati: dovranno quindi
prevedersi valori patrimoniali differenti in relazione a differenti
localizzazioni degli immobili (parametro della segmentazione territoriale) e in
relazione alla destinazione funzionale dei fabbricati stessi come rilevata dal
mercato immobiliare.
I criteri di delega contenuti nella lettera a) appaiono piuttosto generici e non consentono di individuare
precisamente strumenti e metodi attraverso i quali dovrà realizzarsi il nuovo
sistema catastale.
In particolare, il criterio enunziato nel numero 2 della lettera a), che prevede l’impiego di “metodi di
valutazione matematico-statistici”, non determina né le caratteristiche di tali
metodi né il risultato che con essi dovrà conseguirsi.
Si ricorda che i
metodi matematico-statistici sono metodi che vengono utilizzati per la stima di
misure difficili da determinare, laddove il tentativo di esprimere valori
collegati ad un certo evento risenta di valutazioni soggettive e richieda
pertanto lo sviluppo di un metodo matematico-statistico il quale individui un
indicatore caratterizzato da una relazione numericamente determinata rispetto
alla variabile.
La lettera
b)prevede poi chedalla base patrimoniale definita
secondo la lettera a) sia fatta derivare una base reddituale, attraverso l'applicazione di saggi di redditività. In base a tale criterio, i redditi dovrebbero
essere calcolati applicando coefficienti di redditività ai valori patrimoniali
accertati. Il principio di delega non chiarisce tuttavia il modo in cui
dovranno essere stabiliti tali coefficienti, la cui applicazione risulta
determinante per i risultati della tassazione su base catastale.
Ad esempio, i
coefficienti potrebbero essere calcolati attraverso rilevazioni effettuate sul
mercato degli affitti e delle compravendite, necessariamente disaggregati per
ambiti territoriali, oppure essere fissati a
priori in base al confronto con investimenti concorrenti e simili a quelli
immobiliari, portando in questo caso ad un’identificazione “presuntiva” dei
redditi immobiliari.
L’unica indicazione
sembra provenire dal principio di delega contenuto nella lettera f), chedispone l’introduzione di meccanismi
volti ad assicurare una sostanziale invarianza
del gettito complessivo delle
imposte erariali e comunali aventi per base imponibile i valori o i redditi
immobiliari derivati.
La condizione della parità di gettito complessivo non individua né i
criteri di redistribuzione dell’onere fra realtà territoriali e tipologie di
immobile, né l’incidenza dei mutamenti sul gettito delle singole imposte (ad
esempio su quelle gravanti sui trasferimenti di immobili, la cui misura
potrebbe crescere notevolmente in ragione del criterio di determinazione degli
estimi su base patrimoniale).
La presente delega legislativa
per il riordino del catasto dei fabbricati palesa notevoli affinità di
contenuto rispetto alla legge di delega per la tassazione degli immobili
contenuta nell’articolo 18 della legge 13
maggio 1999, n. 133, (provvedimento collegato alla legge finanziaria
1999), approvata nella XIII legislatura.
La suddetta delega
legislativa prevedeva un intervento sulla tassazione degli immobili, allo scopo
di razionalizzare e perequare il prelievo impositivo, in particolare
assoggettando i redditi dei fabbricati a coefficienti convenzionali di
redditività dei valori d'estimo delle unità immobiliari, determinati e
successivamente fissati periodicamente, con decreto del Ministro delle finanze.
I criteri di delega prevedevano l’assoggettamento dei redditi dei fabbricati,
calcolati in conformità a tali coefficienti (con esclusione di quelli che
concorressero a formare reddito d'impresa), ad un regime di tassazione ai fini
dell'imposta sul reddito delle persone fisiche con un'aliquota pari a quella
fissata per il primo scaglione di reddito mentre, per i redditi derivanti da
locazione o da altre forme di utilizzazione a titolo oneroso da parte di terzi,
limitava tale regime alla parte che non eccede i tassi di rendimento fissati.
In tale delega erano
previsti, tra gli altri, anche criteri
specifici di delega aventi ad oggetto categorie deboli o categorie particolari
di soggetti meritevoli di tutela, che non sono presenti nell’attuale delega.
Si tratta delle
seguenti:
-
il criterio della lettera b) prevedeva misure
agevolative, ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, in
particolare per i redditi più bassi
e per l'unità immobiliare adibita ad abitazione
principale, allo scopo di non aumentare l'onere fiscale gravante su di essi
per effetto del nuovo regime di tassazione;
-
il criterio della lettera d) prevedeva
esplicitamente la rideterminazione, a seguito della revisione degli estimi
catastali e con la medesima decorrenza, anche al fine del mantenimento degli
attuali margini di autonomia finanziaria, delle aliquote minime e massime dell'imposta comunale sugli immobili, in
misura tale da garantire il medesimo gettito complessivo;
-
il criterio della lettera f) prevedeva la
rimodulazione delle imposte sui
trasferimenti, mediante applicazione di valori ridotti rispetto a quelli di
estimo, in modo da evitare incrementi
del gettito complessivo;
-
il criterio della lettera l) prevedeva il coordinamento di tutte le disposizioni legislative
e regolamentari vigenti con la nuova disciplina, tenendo conto in particolare
delle agevolazioni fiscali in favore dei
locatori disposte dall'articolo 8 della legge 9 dicembre 1998, n. 431, in
ogni caso facendo salvi i criteri di agevolazione ivi previsti;
-
il criterio della lettera c) faceva salvo il principio di tassazione
stabilito dall'articolo 11, comma 2, della legge 30 dicembre 1991, n. 413, per il reddito degli immobili riconosciuti di interesse storico o artistico,
ai sensi dell'articolo 3 della legge 1° giugno 1939, n. 1089 , inteso a tenere
conto dei vincoli gravanti su di essi nonché dell'interesse pubblico alla loro
conservazione.
Gli altri
criteri di delega [lettere c), d) ed e)]
Il criterio di delega enunziato nellalettera c)prevede laridefinizione della composizione e delle
funzioni delle commissioni censuarie provinciali e centrale, nelle loro rispettive
competenze.
Il principio di delega
prevede, in particolare, come finalità cui dovrà mirare tale riforma, quello della
deflazione del contenzioso.
Le commissioni
censuarie provinciali e la Commissione censuaria centrale, sono organi dell’Agenzia del territorio, in
base all’art. 15, comma 1, lettera d),
del D.P.R. 26 marzo 2001, n. 107.
I loro compiti e
funzioni sono definiti negli articoli da 16 a 40 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 650 (Perfezionamento e revisione del sistema
catastale), emanato in attuazione della legge di delega per la riforma
tributaria (legge n. 825 del 1971).
Fino alla riforma tributaria degli anni '70
dello scorso secolo, le controversie in materia catastale erano in larga misura
devolute alle Commissioni censuarie. La legge delega n. 825 del 1971 e i
successivi decreti attuativi hanno sottratto alle Commissioni
censuarie tale funzione decisoria, conservandone e
valorizzandone viceversa le competenze consultive, di amministrazione attiva e
di controllo amministrativo.
Attualmente le
funzioni decisorie in ordine ai conflitti derivanti dall’applicazione delle
disposizioni in materia catastale (c.d. “contenzioso catastale”) sono
attribuite ad organi diversi, talora aventi natura giurisdizionale, talora amministrativa:
la maggior parte delle controversie sono infatti riconducibili alla giurisdizione
delle Commissioni tributarie, altre rientrano nella giurisdizione
amministrativa e altre ancora sono attribuibili alla giurisdizione generale ordinaria.
Alle commissioni censuarie, organi amministrativi di natura non
giurisdizionale, sono affidate alcuna competenze
di carattere amministrativo in materia catastale.
Il riparto attuale tra giurisdizione tributaria e giurisdizione
amministrativa in materia catastale è operato distinguendo gli atti
relativi a operazioni catastali di carattere individuale dagli atti in materia catastale
di carattere generale: i primi sono elencati analiticamente e dettagliatamente
nell'art. 2 del decreto legislativo n. 546 del 1992 e rientrano, in base al
successivo articolo 19, comma 1, lettera f), nella giurisdizione delle Commissioni tributarie. L’articolo 2, in particolare,
prevede che appartengano alla giurisdizione
tributaria le controversie promosse dai singoli possessori concernenti
l'intestazione, la delimitazione, la figura, l'estensione, il classamento dei
terreni e la ripartizione dell'estimo fra i compossessori a titolo di
promiscuità di una stessa particella, nonché le controversie concernenti la
consistenza, il classamento delle singole unità immobiliari urbane e
l'attribuzione della rendita catastale.
Gli atti in materia
catastale generale invece, sia aventi contenuto normativo, che amministrativo generale,
nonché decisorio, previsti anch'essi dalla disciplina catastale, sono invece ritenuti
impugnabili davanti ai giudici amministrativi. Ad esempio, sono ricorribili davanti
al giudice amministrativo, a condizione che siano lesivi di un interesse
legittimo di cui sia portatore il ricorrente, i regolamenti e gli atti amministrativi
generali in materia catastale, quali, ad esempio quelli recanti la
determinazione e di approvazione delle tariffe d'estimo, quelli recanti la revisione
delle stesse tariffe d'estimo ovvero quelli adottati, anche a seguito di reclamo
dei soggetti legittimati, dalle Commissioni censuarie provinciali e dalla Commissione
censuaria centrale in materia di prospetti delle qualità
e classi dei terreni e delle categorie e classi delle unità immobiliari.
Circa invece le attribuzioni delle commissioni censuarie provinciali, l’articolo 31 del D.P.R. n. 650
del 1972, prevede le seguenti competenze:
a) l’esame
e l’approvazione dei prospetti delle tariffe per i terreni e per le unità
immobiliari urbane dei comuni della propria provincia;
b) la
decisione, in prima istanza, sulle controversie sorte tra l'Amministrazione del
catasto e dei servizi tecnici erariali e le commissioni censuarie distrettuali in materia di prospetti delle qualità e classi
dei terreni e delle categorie e classi delle unità immobiliari urbane.
La Commissione censuaria centrale, in base all’articolo 32 dello
stesso decreto, ha le seguenti competenze:
a) decide
sui ricorsi inoltrati dall'Amministrazione del catasto e dei servizi tecnici
erariali e dalle commissioni distrettuali contro le decisioni delle commissioni
censuarie provinciali in merito ai prospetti delle qualità e classi dei
terreni, ai quadri delle categorie classi delle unità immobiliari urbane ed ai
rispettivi prospetti delle tariffe d'estimo di singoli comuni;
b) provvede
- nel solo caso di revisione generale delle tariffe d'estimo ed al fine di
assicurare la perequazione degli estimi nell'ambito dell'intero territorio
nazionale - alla ratifica, previe eventuali variazioni, delle tariffe relative
alle qualità e classi dei terreni e di quelle relative alle unità immobiliari
urbane;
c) si
sostituisce alle commissioni censuarie provinciali, che non adottano nei
termini di tempo stabiliti le decisioni di cui al precedente articolo;
d) dà
parere, a richiesta dell'Amministrazione del catasto e dei servizi tecnici
erariali, in ordine alle operazioni catastali regolate dai decreti emessi in
attuazione della legge 9 ottobre 1971, n. 825, e successive
modificazioni, e per le quali il parere stesso è espressamente previsto;
e) dà
parere, a richiesta degli organi competenti, in merito alla utilizzazione degli
elementi catastali disposta da norme legislative e regolamentari che
disciplinano materie anche diverse dalle funzioni istituzionali del catasto;
f) svolge
la consulenza tecnica, a richiesta della commissione centrale tributaria, in
merito alle vertenze nelle quali l'aspetto catastale assuma rilevanza;
g) dà
parere, a richiesta dell'Amministrazione finanziaria, sopra ogni questione
concernente la formazione, la revisione e la conservazione del catasto dei
terreni e del catasto edilizio urbano e l'utilizzazione dei relativi dati ai
fini tributari.
La commissione censuaria centrale ha, inoltre,
facoltà di proporre al Ministro per le finanze:
h) di
affidare a singoli componenti l'incarico di eseguire studi ed indagini
particolari per l'espletamento dei compiti demandati alla commissione stessa,
ivi compresi quelli derivanti da leggi speciali;
i) di
dare incarico a professori universitari o di istituti d'istruzione superiore ed
a tecnici di specifica competenza di provvedere alla raccolta di elementi
economici attinenti al settore agricolo o a quello dell'edilizia e alla
conseguente compilazione di analisi estimali concernenti beni rustici o urbani.
Si ricorda infine che
la revisione della disciplina delle commissioni censuarie è stata già disposta
in passato, ma mai attuata, da numerosi provvedimenti (cfr. il capitolo successivo).
Il criterio di delega della lettera
d)dispone l’articolazione del processo
riformatore attraverso la definizione
del ruolo dei comuni e dell'Agenzia del territorio nel rispetto dei
princìpi sottesi alle funzioni decentrate, assicurando, a livello nazionale,
l'uniformità e la qualità dei processi nonché il loro coordinamento e
monitoraggio.
L’esposto criterio di delega non determina distintamente la
ripartizione delle diverse funzioni catastali fra l’amministrazione finanziaria
e i comuni.
A tale proposito si
ricorda che sulla stessa materia incidono gli articoli 13 e 14 del disegno di legge finanziaria 2007, approvato
dalla Camera e attualmente all’esame del Senato (A.S. 1183).
L’articolo 13 in particolare,modifica
alcune norme del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112[31] relative al decentramento delle funzioni
catastali ai comuni, chiarendo la ripartizione di competenze tra Stato ed enti
locali per le funzioni relative agli atti catastali.
L’articolo 14 definisce le modalità di esercizio delle funzioni
catastali spettanti agli enti locali e prevede che i comuni – a decorrere dal
1° novembre 2007 – esercitino direttamente le funzioni catastali ad essi
attribuite dall’articolo 66 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112
L’articolo 13, in
particolare, modifica gli articoli 65 e 66 di tale decreto legislativo, che
elencano rispettivamente le funzioni mantenute allo Stato e quelle conferite
agli enti locali.
In base all’articolo 65 novellato,
allo Stato si confermano affidate le funzioni di tenuta dei registri
immobiliari, con esecuzione delle formalità di trascrizione, iscrizione,
rinnovazione e annotazione, nonché di visure. Viene peraltro aggiunta, come
funzione spettante allo Stato, la gestione dei certificati ipotecari.
Tra le funzioni
conservate in capo allo Stato vi è, oltre al controllo della qualità delle
informazioni, la funzione di controllo della qualità dei processi di aggiornamento
degli atti catastali, anziché il solo monitoraggio dei processi di
aggiornamento.
Per quanto riguarda la
modifica all’articolo 66, tale norma, nel testo vigente, attribuisce ai comuni
le funzioni di conservazione, utilizzazione e aggiornamento degli atti del
catasto terreni e del catasto edilizio urbano, nonché la revisione degli estimi
e del classamento. La nuova disposizione conferma l’attribuzione ai comuni
delle funzioni di conservazione, utilizzazione e aggiornamento degli atti
catastali, cioè la possibilità di utilizzare le banche dati catastali.
Per quanto riguarda
invece la revisione degli estimi e del classamento, in precedenza attribuita ai
comuni, la nuova formulazione chiarisce anche che i comuni partecipano al solo
processo di determinazione degli estimi, ed elimina il riferimento alle
funzioni relative al classamento. La relazione governativa al provvedimento
chiarisce a tale proposito che la partecipazione al processo di determinazione
degli estimi catastali include sia la funzione di attribuzione specifica alla
singola unità, sia l’intervento in relazione ad eventuali future revisioni.
Il classamento delle unità immobiliari e le relative operazioni, con
attribuzione o variazione di rendita catastale, competono esclusivamente
all'Agenzia del Territorio, come ribadito anche dalla legge 30 dicembre 2004,
n. 311 (legge finanziaria per il 2005: articolo 1, commi 335 e seguenti). Anche
la Corte costituzionale, nella sentenza n. 37 del 26 gennaio 2004, ha stabilito
esplicitamente che il sistema catastale, compresi i criteri e le procedure per
la determinazione delle relative rendite per i fabbricati iscritti o
iscrivibili in catasto, "è e resta tuttora di competenza del legislatore
statale".
Per quanto riguarda l’articolo 14, il comma 2subordina l’efficacia
dell’attribuzione della funzione comunale di conservazione degli atti del
catasto terreni e del catasto edilizio urbano all’emanazione di un apposito
decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottarsi su proposta del
Ministro dell’economia e delle finanze, previa intesa tra l’Agenzia del
territorio e l’Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI). Con il
suddetto decreto saranno individuati i termini e le modalità per il
trasferimento graduale delle funzioni indicate.
A tal fine, si dovrà
tenere conto dello stato di attuazione dell’informatizzazione del sistema di
banche dati catastali, nonché della capacità tecnico-organizzativa dei comuni
interessati, da parametrarsi in base al bacino potenziale di utenza.
I comuni hanno la
facoltà di stipulare convenzioni non onerose con l’Agenzia del territorio, per
l’esercizio di tutte o di parte delle funzioni catastali ad essi attribuite, tali
convenzioni hanno durata decennale e sono tacitamente rinnovabili.
Tra gli interventi normativi che negli ultimi anni hanno
riguardato il rapporto tra Stato e comuni nella gestione del catasto dei fabbricati si ricordano anche i
seguenti.
Il D.P.R. n. 138 del 1998, recante le norme per la revisione generale delle zone censuarie,
delle tariffe d’estimo delle unità immobiliari urbane e dei relativi
criteri, emanato in attuazione della delegificazione operata dalla legge n. 662
del 1996, prevedeva l’aggiornamento del catasto e la sua gestione unitaria con
province e comuni e in particolare l’intervento dei comuni nella determinazione
delle tariffe d’estimo.
Con il decreto del Presidente del Consiglio dei
ministri 19 dicembre 2000 sono state individuate le risorse per il trasferimento ai comuni delle funzioni in materia
di catasto. In particolare, secondo quanto convenuto nell’accordo del 1° giugno
2000 in sede di Conferenza unificata, si è concordato il passaggio delle
funzioni in maniera graduale, in considerazione dell’importanza del servizio
del catasto nel processo di acquisizione delle entrate e della necessità di
armonizzare il trasferimento delle risorse con la costituzione della citata
Agenzia del territorio. Il D.P.C.M. 22 luglio 2004 ha successivamente
modificato il comma 1 dell'articolo 6 del D.P.C.M. 19 dicembre 2000 portando da
tre a cinque anni i termini per individuare le risorse finanziarie, umane,
strumenti e organizzative da trasferire ai Comuni per l'esercizio delle
funzioni in materia di catasto. Il termine
per il trasferimento delle funzioni catastali ai comuni previsto è stato
pertanto, in base a tale decreto, differito fino al 26 febbraio 2006.
L’articolo 34-quinquies del
decreto-legge 10 gennaio 2006, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla
legge 9 marzo 2006, n. 80, ha recentemente introdotto in via transitoria (sino all'attivazione del modello unico per
l'edilizia previsto dallo stesso decreto-legge), una procedura di controllo delle dichiarazioni catastali presentate presso
l’Agenzia del territorio, effettuata con la collaborazione dei comuni.
Si prevede a questo
riguardo che l’Agenzia del territorio trasmetta ai comuni per via telematica
tutte le dichiarazioni catastali di variazione[32] e di nuova costruzione presentate presso i
suoi uffici, a decorrere dal 1° gennaio 2006. Ricevute le dichiarazioni, i
comuni dovranno verificare la coerenza di quanto dichiarato nei suddetti atti
con le informazioni disponibili, sulla base degli atti in loro possesso (non
viene pertanto richiesto ai comuni di ispezionare l’immobile). Eventuali
incoerenze riscontrate dai comuni dovranno essere segnalate all’Agenzia del
territorio, la quale provvederà agli adempimenti di propria competenza.
Le procedure attuative
di tale norma, la tipologia e i termini per la trasmissione telematica dei dati
ai comuni e per la segnalazione delle incongruenze all’Agenzia del Territorio,
nonché le modalità d’interscambio tra questi soggetti saranno disciplinate con
decreto del Direttore dell’Agenzia del territorio, sentita la Conferenza
Stato-Città ed autonomie locali, da emanare entro novanta giorni dalla data di entrata
in vigore della legge di conversione del decreto.
Il criterio di delega enunziato nella lettera e)prevede infine
l’utilizzo di adeguati strumenti
di comunicazione per portare a
conoscenza degli intestatari catastali i nuovi estimi, in aggiunta all'affissione all'albo pretorio, da
individuare anche in deroga alle modalità previste dall'articolo 74 della legge
21 novembre 2000, n. 342.
Tale norma dispone che
gli atti comunque attributivi o modificativi delle rendite catastali per
terreni e fabbricati siano efficaci solo a decorrere dalla loro notificazione, a cura dell'ufficio del
territorio competente, ai soggetti intestatari della partita e che da tale
notificazione decorra il termine di sessanta giorni per proporre il ricorso, a
pena di inammissibilità, in base all'articolo 21 del decreto legislativo 31
dicembre 1992, n. 546, e successive modificazioni.
La norma prevede
altresì che dell’avvenuta notificazione gli uffici competenti diano tempestiva
comunicazione ai comuni interessati.
Il sistema
attuale di funzionamento del catasto dei fabbricati
La struttura attuale
del catasto dei fabbricati risulta da una stratificazione molto complessa di
interventi normativi e regolamentari che hanno interessato il settore a partire
dalla riforma tributaria del 1971, aventi come obiettivo il riordino della
materia.
Per comprende la
struttura attuale occorre innanzitutto rifarsi all’articolo 9, commi 1 e 2, del
decreto-legge n. 557 del 1993,
convertito dalla legge n. 133 del 1994, che ha previsto il censimento, da parte
del Ministero delle finanze, di tutti i fabbricati e la loro iscrizione nel
catasto edilizio urbano, con la nuova denominazione di "catasto fabbricati". Per
realizzare un inventario completo e uniforme del patrimonio edilizio, il
Ministero delle finanze è stato pertanto incaricato di censire tutti i
fabbricati o porzioni di fabbricati rurali e iscriverli, mantenendo tale
qualificazione, nel nuovo catasto dei fabbricati, individuando altresì le unità
immobiliari di qualsiasi natura non dichiarate al catasto, anche mediante
ricognizione generale del territorio basata su informazioni derivanti da
rilievi aerofotografici.
In attuazione di tale
disposizione è stato emanato il decreto del Ministro delle finanze 2 gennaio
1998, n. 28 recante il regolamento per
la costituzione del catasto fabbricati e per le modalità di produzione e
adeguamento della nuova cartografia catastale, il quale ha disposto la
formazione del catasto dei fabbricati, affidando transitoriamente al
dipartimento del territorio del Ministero delle finanze (poi Agenzia del territorio, in seguito alla
riforma del Ministero delle finanze), la sua conservazione in base alla legge istituiva del "nuovo catasto
edilizio urbano", e l'aggiornamento eseguito dagli uffici o affidato in
appalto.
Il nuovo catasto edilizio urbano è stato istituito con il regio
decreto-legge 13 aprile 1939, n. 652, convertito, con modificazioni, dalla
legge 11 agosto 1939, n. 1249.
L’articolo 1 disponeva
l'accertamento generale dei
fabbricati e delle altre costruzioni stabili non censite al catasto rustico,
allo scopo di accertare le proprietà immobiliari urbane e determinarne la
rendita e di costituire un catasto generale dei fabbricati e degli altri
immobili urbani denominato nuovo catasto edilizio urbano.
A norma dell’articolo 3, l'accertamento generale degli immobili urbani è eseguito per unità
immobiliare in base a dichiarazione scritta presentata:
a)
dal proprietario
o, se questi è minore o incapace, da chi ne ha la legale rappresentanza;
b)
per gli enti
morali, dal legale rappresentante;
c)
per le società
commerciali, legalmente costituite, da chi, a termini dello statuto o dell'atto
costitutivo, ha la firma sociale;
d)
per le società
estere, da chi le rappresenta nello Stato.
Per
le associazioni, per i condomìni e per le società e le ditte diverse da quelle
sopra indicate, anche se esistenti soltanto di fatto, sono obbligati alla
dichiarazione l'associato, il condomino o il socio o il componente la ditta,
che sia amministratore anche di fatto ovvero, se l'amministratore manca, tutti
coloro che fanno parte dell'associazione, del condominio, della società o della
ditta, ciascuno per la propria quota.
A norma degli articoli 4
e 5 si considerano come immobili urbani
i fabbricati e le costruzioni stabili di qualunque materiale costituite,
compresi gli edifici sospesi o galleggianti, stabilmente assicurati al suolo, e
come unità immobiliare urbana ogni parte di immobile che, nello stato in cui si
trova, è di per se stessa utile e atta a produrre un reddito proprio.
L’articolo 6 disciplina
la dichiarazione e individua i fabbricati da essa esenti. A norma dell’articolo
7, alla dichiarazione deve essere allegata una planimetria in scala non
inferiore a 1: 200, dalla quale si rilevi anche l’ubicazione di ciascuna unità
immobiliare rispetto alle proprietà confinanti e alle strade pubbliche e
private.
L’articolo 8 prevede
che, per la determinazione della rendita,
le unità immobiliari di gruppi di comuni, comune o porzione di comune, sono
distinte, a seconda delle loro condizioni estrinseche e intrinseche, in categorie e ciascuna categoria in classi. Per ciascuna categoria e classe è determinata
la relativa tariffa, la quale
esprime in moneta legale la rendita catastale con riferimento agli elementi di
valutazione definiti dal regolamento.
L’articolo 9 definisce
come rendita catastale la rendita
lorda media ordinaria ritraibile previa detrazione delle spese di riparazione,
manutenzione e di ogni altra spesa o perdita eventuale, stabilita con una
percentuale per ogni classe di ciascuna categoria. Non sono detraibili decime,
canoni, livelli, debiti e pesi ipotecari e censuari, nonché per imposte,
sovraimposte e contributi di ogni specie.
L’articolo 10 dispone
che la rendita catastale delle unità immobiliari costituite da opifici e altri fabbricati, costruiti
per le speciali esigenze di un’attività industriale o commerciale e non
suscettibili di una destinazione estranea alle esigenze suddette senza radicali
trasformazioni, nonché delle unità immobiliari che non sono raggruppate in
categorie e classi per la singolarità delle loro caratteristiche (fabbricati a destinazione speciale o
particolare), è determinata con stima diretta per ogni singola unità.
L’articolo 11 stabilisce
che le singole categorie e classi e la relativa tariffa siano determinate, per ciascun
gruppo di comuni, comune o porzione di comune. Contro le decisioni adottate a
questo riguardo dalle commissioni censuarie provinciali l'amministrazione del
catasto e dei servizi tecnici erariali può ricorrere alla Commissione censuaria
centrale. Secondo l’articolo 12, l'assegnazione di ciascuna unità immobiliare alla categoria e alla
classe relativa, nonché l'accertamento della consistenza delle singole unità
immobiliari e il calcolo delle relative rendite catastali, sono eseguite
dall'Ufficio tecnico erariale, che compila una tabella nella quale, per ciascun
comune o porzione di comune, in corrispondenza a ciascuna ditta e distintamente
per unità immobiliare, sono indicate le rispettive categorie e classi nonché la
consistenza e, per gli immobili a destinazione speciale o particolare, la
rendita catastale. La tabella è pubblicata mediante deposito negli uffici
comunali per il periodo di trenta giorni. Contro i dati pubblicati è dato
ricorso agli interessati, a norma dell’articolo 13, in prima istanza alla
commissione censuaria comunale (ora: distrettuale) e in seconda istanza alla
commissione censuaria provinciale. Il diritto di ricorso in seconda istanza
spetta anche all'ufficio tecnico erariale. Contro le decisioni pronunciate
dalla commissione censuaria provinciale è ammesso il ricorso alla commissione
censuaria centrale soltanto per questioni di massima e per violazioni di legge.
Il termine per ricorrere è stabilito in trenta giorni (articolo 15)[35].
L’articolo 16 dispone
che il nuovo catasto edilizio urbano è formato in base alle risultanze
dell'accertamento generale dei fabbricati e alla valutazione della rispettiva
rendita catastale. Esso è costituito dallo schedario delle partite, dallo schedario dei possessori
e dalla mappa urbana.
L’articolo 19 dispone,
fra l’altro, che i comuni possono
ottenere gratuitamente con l'opera di propri incaricati, o a loro spese con
l'opera dell'amministrazione, la copia della mappa del loro territorio e degli
atti che costituiscono il nuovo catasto edilizio urbano.
L’articolo 17 ne
prescrive l’aggiornamento continuo,
in particolare rispetto alle persone dei proprietari
o dei possessori dei beni nonché rispetto alle persone che godono di diritti
reali sui beni stessi e allo stato dei beni, per quanto riguarda la consistenza
e l'attribuzione della categoria e della classe. Le tariffe possono essere rivedute in sede di verificazione periodica
o anche in dipendenza di circostanze di carattere generale o locale.
A questo fine,
l’articolo 20 obbliga le persone e gli enti indicati nell'articolo 3 a
denunziare, nei modi e nei termini stabiliti con regolamento, le variazioni nello stato e nel possesso
dei rispettivi immobili. Nei casi di mutazioni che implichino variazioni nella
consistenza delle singole unità immobiliari, la relativa dichiarazione deve
essere corredata da una planimetria delle unità variate.
L’articolo 28 dispone
che i fabbricati nuovi e ogni altra
stabile costruzione nuova che debbono considerarsi immobili urbani, devono
essere dichiarati all'Ufficio tecnico erariale entro il 31 gennaio dell'anno
successivo a quello in cui sono divenuti abitabili o servibili all'uso cui sono
destinati. La dichiarazione deve
essere compilata per ciascuna unità immobiliare e corredata da una planimetria.
Lo stesso articolo
prescrive ai comuni di informare gli uffici tecnici erariali competenti per
territorio circa le licenze di costruzione (ora: permessi di costruire) rilasciate a norma dell'articolo 31 della
legge 17 agosto 1942, n. 1150[36].
Un primo intervento
organico si è avuto, successivamente, con la legge n. 549 del 1995 (provvedimento collegato alla manovra
finanziaria per il 1996), la quale aveva disposto la delega al Governo per
l'accelerazione delle attività di revisione del catasto, disponendone altresì
la riforma. Sebbene la delega non sia stata più esercitata, le disposizioni da
essa recate sono state in larga parte trasfuse nella successiva legge n. 662 del 1996 (provvedimento
collegato 1997), nella quale, a differenza di quanto stabilito dalla legge n.
549, non è stato previsto il ricorso alla delega legislativa, avendo il Governo
ritenuto opportuno procedere ad una delegificazione della materia in oggetto.
Con l'articolo 3,
commi 154 e 156 della legge n. 662 del
1996 la revisione degli estimi e del
classamento è statapertanto delegificata prevedendosi un
complessivo riordino in materia catastale da attuarsi con l'emanazione di
regolamenti ai sensi dell'articolo 17, comma 2 della legge n. 400 del 1988,
per:
a)
la revisione generale delle zone censuarie e
delle tariffe d'estimo;
b)
la qualificazione, classificazione ed il
classamento degli immobili;
c)
la revisione delle commissioni censuarie;
d)
la revisione dei criteri di accatastamento dei
fabbricati rurali.
Nel complessivo
disegno di riforma vi erano tre elementi essenziali: in primo luogo, la partecipazione
diretta dei comuni, a cui spettava il potere di definizione delle microzone; in secondo luogo, l’adozione
di criteri di tipo parametrale e,
infine, l’utilizzazione di tecnologie
informatiche e telematiche, allo scopo di razionalizzare la tassazione del
mercato immobiliare e di assicurare una concreta trasparenza nella definizione
dei valori.
In attuazione di tale delegificazione,
sono stati emanati due regolamenti: il D.P.R.
n. 138 del 1998, recante le norme per la revisione generale delle zone censuarie, delle tariffe d’estimo delle
unità immobiliari urbane e dei relativi criteri, nonché delle commissioni
censuarie, e il D.P.R. n. 139 del 1998,
recante norme per la revisione dei criteri
di accatastamento dei fabbricati rurali.
Con il D.P.R. n. 138 del 1998 si è perseguito
in particolare l’obiettivo di imprimere una accelerazione alle operazioni da
tempo avviate sia da parte degli uffici periferici del Dipartimento del
Territorio (poi Agenzia del territorio,
in seguito alla riforma del Ministero delle finanze), sia da parte dei comuni.
L’articolo 1 definisce
la zona censuaria come porzione
omogenea di territorio provinciale, che può comprendere un solo comune o una
porzione del medesimo, ovvero gruppi di comuni, caratterizzati da similari
caratteristiche ambientali e socio-economiche. L'ambito territoriale del comune
ovvero della zona censuaria, qualora costituisca porzione dello stesso, è
ulteriormente articolato in microzone. Gli uffici provinciali del dipartimento
del territorio, sentite le amministrazioni provinciali, provvedono alla
revisione delle zone censuarie esistenti, in coerenza con le indicazioni
fornite dai comuni in merito alle microzone.
A norma dell’articolo 2,
la microzona rappresenta una porzione
del territorio comunale o, nel caso di zone costituite da gruppi di comuni, un
intero territorio comunale che presenta omogeneità nei caratteri di posizione,
urbanistici, storico-ambientali, socio-economici, nonché nella dotazione dei
servizi ed infrastrutture urbane. In ciascuna microzona le unità immobiliari
sono uniformi per caratteristiche tipologiche, epoca di costruzione e
destinazione prevalenti; essa individua ambiti territoriali di mercato omogeneo
sul piano dei redditi e dei valori.
I comuni, nell'ambito
del proprio territorio, provvedono a delimitare le microzone. In sede di prima
applicazione, le deliberazioni del consiglio comunale dovevano essere adottate
entro nove mesi dalla data di entrata in vigore del regolamento. In mancanza,
vi avrebbe provveduto il competente ufficio del dipartimento del territorio,
entro i successivi centoventi giorni.
Qualora siano
intervenute significative variazioni nel tessuto edilizio-urbanistico ovvero
nella dotazione di servizi e infrastrutture, i comuni, sentiti i competenti
uffici del dipartimento del territorio ovvero su richiesta di essi, possono
procedere ad una nuova delimitazione delle microzone, con deliberazione del
consiglio comunale avente effetto dal 1° gennaio dell'anno successivo.
L’articolo 3 stabilisce
che le tariffe d’estimo delle unità
immobiliari urbane a destinazione ordinaria sono determinate con riferimento
alla superficie, la cui unità è il metro quadrato
Per la revisione dei
quadri di qualificazione e classificazione, l’articolo 4 prevede che per
ciascuna zona censuaria siano indicate tutte le categorie riscontrate nella
zona censuaria stessa e il numero delle classi in cui ciascuna categoria è
suddivisa. I quadri sono sottoposti all'approvazione della commissione
censuaria provinciale competente per territorio.
L’articolo 5 disciplina
la revisione delle tariffe d'estimo,
da operarsi facendo riferimento ai valori e ai redditi medi espressi dal
mercato immobiliare, con esclusione dei regimi locativi disciplinati per legge
e di valori e redditi occasionali ovvero singolari. Su questa base viene
determinata la redditività media ordinariamente ritraibile dalle unità
immobiliari urbane, al netto delle spese e perdite eventuali[37].
La revisione delle tariffe d'estimo delle unità immobiliari urbane a
destinazione ordinaria consiste nella determinazione, per ogni zona censuaria,
categoria e classe, della rendita catastale per unità di superficie, sulla
base:
-
dei canoni annui ordinariamente ritraibili, con
riferimento ai dati di mercato delle locazioni;
-
dei valori di mercato degli immobili,
determinandone la redditività attraverso l'applicazione di saggi di rendimento
ordinariamente rilevabili nel mercato edilizio locale per unità immobiliari
analoghe.
Le suddette tariffe sono
determinate come media dei valori reddituali unitari individuati con i criteri
stabiliti nel presente articolo e con riferimento all'epoca censuaria
1996-1997.
Il classamento consiste (articolo 8) nell’attribuire alle unità
immobiliari a destinazione ordinaria la categoria e la classe di competenza , e
a quelle a destinazione speciale la sola categoria, con riferimento ai quadri
di qualificazione e classificazione di cui all’articolo 4.
A norma dell’articolo 9, per ciascuna zona censuaria,
i competenti uffici del dipartimento del territorio procedono alla revisione
del classamento, sulla base:
a)
dell'articolazione
del territorio comunale in microzone, definita ai sensi dell'articolo 2;
b)
dei quadri di
qualificazione e classificazione, definiti ai sensi dell'articolo 4;
c)
dei criteri e dei
fattori indicati nell'articolo 8, utilizzando le informazioni descrittive e
censuarie presenti nella banca dati del catasto edilizio urbano e quelle
rappresentate nelle schede descrittive delle microzone predisposte dai comuni,
nonché le risultanze delle indagini immobiliari svolte in sede locale.
Nel
corso delle operazioni di revisione l'amministrazione comunale viene sentita
per la perequazione del classamento tra le diverse microzone in cui risulta
articolato il territorio.
I successivi articoli da
10 a 12 riguardano la disciplina delle commissioni censuarie.
L’articolo 13 ha stabilito
al 1° gennaio 2000 la data di decorrenza dell'applicazione dei nuovi estimi
catastali.
Successivamente a tale
decreto, il legislatore è intervenuto nuovamente in più occasioni sulle tariffe
d’estimo e sul classamento. Si ricordano, tra gli altri, i seguenti
provvedimenti.
L'articolo 9, comma 11,
della legge 28 dicembre 2001, n. 448
(legge finanziaria 2002), ha demandato a un decreto del Ministro
dell'economia e delle finanze la determinazione delle nuove tariffe d'estimo
conseguenti all'attuazione delle decisioni delle commissioni censuarie
provinciali e della commissione censuaria centrale, ovvero per tenere conto
delle variazioni delle tariffe in altro modo determinatesi, prescrivendo
l’inserimento delle nuove rendite negli atti catastali. L’adempimento è stato
eseguito con il regolamento recante determinazione delle tariffe d'estimo e
delimitazione delle zone censuarie, emanato con il decreto del Ministro dell’economia
e delle finanze 6 giugno 2002, n. 159, che ha stabilito le nuove tariffe
d'estimo delle unità immobiliari urbane situate nei comuni in esso indicati.
I commi da 335 a 339 della legge n. 311 del 2004 (legge finanziaria per
il 2005) hanno più recentemente disposto una parziale revisione del classamento delle unità immobiliari,
attraverso due procedimenti diversi, l’uno relativo a porzioni di territorio (microzone), l’altro riferito a singole unità immobiliari.
In particolare, il comma
335 prevede che i comuni chiedano agli uffici provinciali dell'Agenzia del
territorio la revisione parziale del classamento delle unità immobiliari di
proprietà privata site in microzone comunali, per le quali il rapporto tra il
valore medio di mercato, individuato ai sensi del regolamento di cui al decreto
del Presidente della Repubblica n. 138 del 1998, e il corrispondente valore
medio catastale, ai fini dell'applicazione dell'imposta comunale sugli
immobili, si discosta significativamente dall'analogo rapporto relativo
all'insieme delle microzone comunali.
Per tale calcolo, il valore medio di mercato è aggiornato
secondo le modalità stabilite con il provvedimento del direttore dell’Agenzia
delle entrate che, ai sensi del successivo comma 339, determina le modalità
tecniche e applicative per la revisione. Esaminata la richiesta del comune e
verificata la sussistenza dei presupposti, l'Agenzia del territorio, con
provvedimento del suo direttore, apre il procedimento di revisione.
A questo riguardo, il provvedimento in materia di classamenti
catastali di unità immobiliari di proprietà privata, emanato con determinazione
del direttore dell’Agenzia del territorio in data 16 febbraio 2005 (Gazzetta
ufficiale n. 40 del 18 febbraio 2005), all’articolo 1, prevede che per la
selezione delle microzone interessate dalla revisione parziale del classamento,
il valore medio di mercato per microzona,
individuato ai sensi del regolamento di cui al decreto del Presidente della
Repubblica 23 marzo 1998, n. 138, è aggiornato utilizzando i valori dell'osservatorio del mercato immobiliare
dell'Agenzia del territorio riferiti al secondo semestre 2004.
In particolare,
l'aggiornamento si effettua calcolando:
a)
il valore centrale dell'intervallo dei valori
indicati nell'osservatorio, con riferimento alla tipologia immobiliare omogenea
a quella del valore medio di mercato individuato ai sensi del citato
regolamento e alla zona territoriale dell'osservatorio corrispondente alla
microzona comunale;
b)
la media dei relativi valori centrali, qualora
ad una microzona corrispondano due o più zone territoriali dell'osservatorio.
I valori medi di mercato
delle microzone così determinati, oppure i valori contenuti nella banca dati
dell'osservatorio del mercato immobiliare relativi al secondo semestre 2004,
sono messi a disposizione dagli uffici provinciali dell'Agenzia del territorio,
su richiesta del comune.
Il comma 336 reca poi
disposizioni per l’integrazione o
l’aggiornamento dei dati catastali.
I comuni, ove constatino
l’esistenza di immobili di proprietà privata non dichiarati in catasto ovvero
la sussistenza di situazioni di fatto non coerenti con i classamenti catastali
per intervenute variazioni edilizie, debbono chiedere ai titolari di diritti
reali sulle unità immobiliari interessate la presentazione di atti
d’aggiornamentoredatti ai sensi del
regolamento emanato con decreto del Ministro delle finanze 19 aprile 1994, n.
701.
Articolo 5
(Delega per il riassetto delle
disposizioni tributarie statali)
1. Il Governo è
delegato ad adottare, entro due anni dalla data di entrata in vigore della
presente legge, uno o più decreti legislativi recanti testi unici di riordino e
revisione delle disposizioni legislative vigenti, sostanziali, processuali e
procedimentali, in materia di tributi statali, con l'osservanza dei seguenti
princìpi e criteri direttivi:
a) uniformità della
disciplina degli elementi essenziali dell'obbligazione fiscale e delle norme
generali in materia di dichiarazioni, di accertamento, di riscossione e di
applicazione delle sanzioni;
b) semplificazione
e chiarezza del linguaggio normativo utilizzato nella redazione dei testi
unici;
c) organicità e
coerenza giuridica, logica e sistematica delle disposizioni raccolte in ciascun
testo unico;
d) adeguamento
della normativa vigente alle previsioni della legge 27 luglio 2000, n. 212,
recante disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente;
e) adeguamento
della normativa vigente al diritto comunitario primario e derivato, nonché alle
sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee;
f) previsione del
divieto dell'applicazione analogica delle norme tributarie che stabiliscono il
presupposto e il soggetto passivo dell'imposta, le esenzioni e le agevolazioni;
g) semplificazione
amministrativa degli adempimenti fiscali a carico del contribuente, ferma
restando la normativa che consente di disciplinare gli adempimenti fiscali con
regolamenti e atti amministrativi generali;
h) applicazione
all'organizzazione e all'attività dell'Amministrazione finanziaria del codice
dell'amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n.
82;
i) coordinamento
con le disposizioni degli statuti delle regioni a statuto speciale e delle
province autonome di Trento e di Bolzano e delle relative norme di attuazione;
l) abrogazione
delle disposizioni che abbiano esaurito la loro efficacia o siano prive di
contenuto normativo o siano comunque obsolete;
m) espressa
indicazione delle disposizioni abrogate a decorrere dalla data di entrata in
vigore dei testi unici o nei differenti termini da questi stabiliti.
L’articolo 5 conferisce al Governo una delega legislativa, da attuarsi entro due anni dall’approvazione della legge, per l’emanazione di testi unici di riordino e revisione
delle disposizioni legislative sostanziali, procedimentali e processuali in
materia di tributi statali.
La disposizione
individua i seguenti princìpi e criteri
direttivi per l’attuazione della delega:
a)
uniformità della disciplina degli elementi essenziali dell’obbligazione
fiscale e delle norme generali in
materia di dichiarazioni, di accertamento, di riscossione e di applicazione
delle sanzioni;
Per la
disciplina in materia di riscossione
e di accertamento si rinvia a quanto
esposto rispettivamente nelle schede relative agli articoli 2 e 3.
In materia di dichiarazioni mette conto ricordare che
l’articolo 1 del D.P.R. 29 settembre
1973, n. 600, dispone che ogni soggetto passivo deve dichiarare annualmente
i redditi posseduti, anche se da essi non consegua alcun debito d’imposta. I
soggetti obbligati alla tenuta di scritture contabili devono presentare la
dichiarazione anche in mancanza di reddito. In attuazione della delega
contenuta nell’articolo 3, comma 136, della legge n. 662 del 1996, è stato
emanato il D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322,
recante il regolamento sulle modalità per la presentazione delle dichiarazioni
relative alle imposte sui redditi, all'imposta regionale sulle attività
produttive e all'imposta sul valore aggiunto. Il decreto ha introdotto la
dichiarazione unificata (modello Unico) che consente di assolvere
contemporaneamente agli obblighi di dichiarazione ai fini delle imposte sui
redditi, dell’IVA, dei sostituti d’imposta e dell’IRAP. Nella dichiarazione
unificata confluiscono inoltre anche i dati relativi ai contributi
previdenziali e assistenziali e ai premi INAIL.
La disciplina
del D.P.R. n. 322 del 1998 è stata poi modificata dal D.P.R. 7 dicembre 2001, n. 435, recante il regolamento per la
semplificazione degli adempimenti tributari che ha ridotto gli adempimenti
connessi alle dichiarazioni fiscali ed ha allineato i termini di presentazione
delle stesse. In particolare i termini per la presentazione delle dichiarazioni
scadono:
-
per i soggetti
passivi IRPEF (persone fisiche, società di persone ed enti equiparati):
-
tra il 1° maggio
e il 31 luglio di ciascun anno, tramite banca o ufficio postale
-
entro il 31
ottobre per la presentazione telematica
-
per i soggetti
passivi IRES (società di capitali):
-
entro l’ultimo
giorno del settimo mese successivo a quello di chiusura del periodo d’imposta,
tramite banca o ufficio postale;
-
entro l’ultimo
giorno del decimo mese successivo a quello di chiusura del periodo di imposta
per la presentazione telematica della dichiarazione.
La materia delle
sanzioni tributarie non penali è
stata invece riformata sulla base della delega contenuta nella legge n. 662 del
1996, mediante tre decreti legislativi:
il decreto
legislativo 18 dicembre 1997 n. 472, recante i principi generali in materia di
sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie
il decreto
legislativo 18 dicembre 1997 n. 471 di riforma delle sanzioni per le violazioni
in materia di imposte dirette, IVA e riscossione dei tributi
il decreto
legislativo 18 dicembre 1997 n. 473 recante la riforma delle sanzioni
amministrative per le violazioni in materia di tributi sugli affari, sulla
produzione e sui consumi e di altri tributi indiretti.
In particolare,
l’articolo 2 del decreto legislativo n. 472 del 1997 prevede che le sanzioni amministrative
previste per la violazione di norme tributarie siano la sanzione pecuniaria,
consistente nel pagamento di una somma di denaro, e le sanzioni accessorie.
La sanzione pecuniaria, che consiste nel
pagamento di una somma di denaro improduttiva di interessi è inflitta a chi
abbia commesso la violazione da solo o in concorso con altre persone. Essa può
essere determinata in misura fissa, o tra un limite minimo e un limite massimo.
Gli importi sono suscettibili di aggiornamento, con cadenza triennale.
L’articolo 21
del decreto legislativo n. 472 del 1997 definisce invece come sanzioni accessorie:
a)
l'interdizione,
per una durata massima di sei mesi, dalle cariche di amministratore, sindaco o
revisore di società di capitali e di enti con personalità giuridica, pubblici o
privati;
b)
l'interdizione
dalla partecipazione a gare per l'affidamento di pubblici appalti e forniture,
per la durata massima di sei mesi;
c)
l'interdizione
dal conseguimento di licenze, concessioni o autorizzazioni amministrative per
l'esercizio di imprese o di attività di lavoro autonomo e la loro sospensione,
per la durata massima di sei mesi;
d)
la sospensione,
per la durata massima di sei mesi, dall'esercizio di attività di lavoro
autonomo o di impresa diverse da quelle indicate nella lettera c).
La disposizione
prevede altresì che le singole leggi d'imposta, nel prevedere i casi di
applicazione delle sanzioni accessorie, ne stabiliscono i limiti temporali in
relazione alla gravità dell'infrazione e ai limiti minimi e massimi della
sanzione principale.
b)
semplificazione e chiarezza del linguaggio
normativo utilizzato nella redazione dei
testi unici;
c)
organicità e coerenza giuridica, logica e
sistematica delle disposizioni raccolte in ciascun testo
unico;
d)
adeguamento delle disposizioni vigenti
allo statuto del contribuente,
emanato con la legge n. 212 del 2000;
Sul contenuto
dello statuto del contribuente si veda la scheda relativa all’articolo 3.
e)
adeguamento
della normativa vigente al diritto
comunitario primario e derivato e anche alle sentenze della Corte di
giustizia delle Comunità europee;
f)
previsione
del divieto dell’applicazione analogica
delle norme tributarie che stabiliscono il presupposto e il soggetto passivo
dell’imposta, le esenzioni e le agevolazioni;
Il principio non
risulta attualmente contenuto nello Statuto del contribuente, né in altre disposizioni
di legge vigenti; esso risultava comunque già compreso tra i princìpi e criteri
direttivi della delega contenuta all’articolo 2 della legge n. 80 del 2003 per
l’emanazione di un codice unico in materia fiscale [articolo 2, comma 1,
lettera e)]. La delega non è stata
poi attuata.
La dottrina e la
giurisprudenza hanno comunque ravvisato nella previsione del principio di
legalità nell’ordinamento tributario, quale risulta dall'articolo 23 della
Costituzione, un limite all’ammissibilità dell’interpretazione analogica in
tale ambito, quanto meno per ciò che concerne le norme che "determinano
gli oggetti d'imposta". Ad esempio, per il divieto di interpretazione
analogica riferito ad alcune norme di esenzione fiscale (nel caso specifico:
esenzioni dal pagamento dell’imposta comunale sull’incremento del valore degli
immobili - INVIM) si richiama la sentenza della Corte costituzionale del 6
marzo 2001, n. 49.
g)
semplificazione amministrativa degli
adempimenti fiscali a carico del contribuente, ferma restando la normativa che
consente di disciplinare gli adempimenti fiscali con regolamenti e atti
amministrativi generali;
h)
applicazione del codice dell’amministrazione digitale, emanato con decreto
legislativo 7 marzo 2005, n. 82, all’organizzazione e all’attività
dell’Amministrazione finanziaria;
Il codice
dell’amministrazione digitale raccoglie e riordina in un unico contesto
normativo le disposizioni in materia di attività digitale delle pubbliche
amministrazioni, affrontando in modo organico il tema dell’utilizzo delle
tecnologie dell’informazione e della comunicazione nell’attività
amministrativa, nei suoi aspetti organizzativi e procedimentali e con riguardo
ai rapporti con i cittadini e le imprese. Il testo reca inoltre la disciplina
dei princìpi giuridici fondamentali relativi al documento informatico ed alla
firma digitale, che era in precedenza contenuta nel testo unico “misto” sulla
documentazione amministrativa. Il codice è stato adottato con il decreto
legislativo 7 marzo 2005, n. 82, in attuazione della delega contenuta
nell’articolo 10 della legge 29 luglio 2003, n. 229 (legge di semplificazione
2001) relativa al riassetto delle disposizioni vigenti in materia di società
dell’informazione.
i)
coordinamento con le disposizioni degli statuti delle regioni a statuto speciale
e delle province autonome di Trento e Bolzano e delle relative norme di
attuazione;
j)
abrogazione delle disposizioni oramai
prive di efficacia, o di contenuto normativo o comunque obsolete;
k)
indicazione espressadelle norme
abrogate.
In materia di codificazione fiscale
interveniva già, nella XIV legislatura, la già ricordata legge n. 80 del 2003, recante la delega per la riforma del sistema
fiscale statale. In particolare, l’articolo 1 delegava il Governo ad adottare uno
o più decreti legislativi recanti la riforma del sistema fiscale statale. Il
nuovo sistema si basa su cinque imposte ordinate in un unico codice (imposta sul reddito, imposta sul reddito delle
società, imposta sul valore aggiunto, imposta sui servizi, accisa). L’articolo
2 prevedeva poi l’articolazione del codice in una parte generale e in una parte
speciale.
La parte generale
avrebbe dovuto ordinare il sistema fiscale sulla base dei seguenti princìpi:
a)
la legge disciplina gli elementi essenziali
dell'imposizione, nel rispetto dei princìpi di legalità, di capacità
contributiva, di uguaglianza;
b)
le norme fiscali si adeguano ai princìpi
fondamentali dell'ordinamento comunitario e non pregiudicano l'applicazione
delle convenzioni internazionali in vigore per l'Italia;
c)
le norme fiscali, in coerenza con le
disposizioni contenute nello Statuto del contribuente, sono informate ai
princìpi di chiarezza, semplicità, conoscibilità effettiva, irretroattività;
d)
è vietata la doppia imposizione giuridica;
e)
è vietata l'applicazione analogica delle norme
fiscali che stabiliscono il presupposto ed il soggetto passivo dell'imposta, le
esenzioni e le agevolazioni;
f)
è garantita la tutela dell'affidamento e della
buona fede nei rapporti tra contribuente e fisco;
g)
è introdotta una disciplina, unitaria per tutte
le imposte, del soggetto passivo, dell'obbligazione fiscale, delle sanzioni e
del processo, prevedendo, per quest'ultimo, l'inclusione dei consulenti del
lavoro e dei revisori contabili tra i soggetti abilitati all'assistenza tecnica
generale. La disciplina dell'obbligazione fiscale prevede princìpi e regole,
comuni a tutte le imposte, su dichiarazione, accertamento e riscossione;
h)
è previsto il progressivo innalzamento del
limite per la compensazione dei crediti di imposta;
i)
la disciplina dell'obbligazione fiscale
minimizza il sacrificio del contribuente nell'adempimento degli obblighi
fiscali;
l)
la sanzione fiscale amministrativa si concentra
sul soggetto che ha tratto effettivo beneficio dalla violazione;
m)
la sanzione fiscale penale è applicata solo nei
casi di frode e di effettivo e rilevante danno per l'erario;
n)
è prevista l'introduzione di norme che ordinano
e disciplinano istituti giuridici tributari destinati a finalità etiche e di
solidarietà sociale.
La parte speciale del
codice, invece, avrebbe dovuto raccogliere le disposizioni concernenti le
singole imposte di cui alla presente legge.
Come già ricordato, la delega non ha avuto
attuazione relativamente a quest’aspetto.
Articolo 6
(Disposizioni attuative)
1. Gli schemi
dei decreti legislativi di cui agli articoli da 1 a 5 sono trasmessi alle
Camere per l'acquisizione dei pareri delle competenti Commissioni parlamentari.
Le Commissioni parlamentari rendono il parere entro trenta giorni dall'assegnazione.
2. Decorso il
termine di cui al comma 1, secondo periodo, senza che le Commissioni abbiano
espresso i pareri di rispettiva competenza, i decreti legislativi possono
essere comunque adottati.
3. Entro due
anni dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi di cui al comma 1,
possono essere adottati, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi di cui
agli articoli da 1 a 5 e con la procedura di cui ai commi 1 e 2 del presente
articolo, uno o più decreti legislativi recanti disposizioni integrative e
correttive dei medesimi decreti legislativi, nonché tutte le modificazioni
necessarie per il migliore coordinamento normativo.
4.
Dall'attuazione delle deleghe di cui alla presente legge non derivano nuovi o
maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
L’articolo 6 disciplina in modo uniforme
la procedura per l’esercizio di tutte le
deleghe legislative previste nel provvedimento.
Nel dettaglio si
prevede che gli schemi dei decreti legislativi siano trasmessi alle Camere per
l’acquisizione dei pareri delle
competenti Commissioni parlamentari.
Le Commissioni
parlamentari devono esprimere il parere entro trenta giorni dall’assegnazione.
Ove il termine per
l’espressione del parere decorra senza che lo stesso sia rilasciato, i decreti
legislativi possono comunque essere adottati.
Entro due anni dalla data di entrata in
vigore dei decreti legislativi possono essere adottati decreti legislativi integrativi e correttivi delle disposizioni
contenute nei decreti legislativi attuativi delle deleghe conferite dal
provvedimento, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi ivi previsti e con
la medesima procedura, nonché decreti legislativi volti a conseguire un miglior
coordinamento normativo.
Si stabilisce infine
che dall’attuazione delle deleghe non
derivano nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
In proposito, si rileva che in casi analoghi
in passato si è previsto che gli schemi dei decreti legislativi trasmessi alle
competenti Commissioni parlamentari venissero corredati di relazione tecnica.
Inoltre, si rileva che, in coerenza con la
prassi consolidata, la clausola di invarianza finanziaria contenuta nel comma 4
andrebbe riformulata in senso prescrittivo (utilizzando l’espressione “non
devono derivare”, anziché “non derivano”).
N. 1762
¾
CAMERA
DEI DEPUTATI
¾¾¾¾¾¾¾¾
|
DISEGNO DI LEGGE
|
|
Presentato dal Ministro dell’economia e delle finanze
(PADOA
SCHIOPPA)
¾
|
|
Delega al Governo
per il riordino della normativa sulla tassazione
dei redditi di capitale, sulla riscossione e accertamento dei tributi
erariali, sul sistema estimativo del catasto fabbricati, nonché per
la redazione di testi unici delle disposizioni sui tributi statali
|
|
¾¾¾¾¾¾¾¾
Presentata il 4
ottobre 2006
¾¾¾¾¾¾¾¾
Onorevoli Deputati! - Il disegno di legge in esame si suddivide in
sei articoli contenenti cinque deleghe legislative volte a realizzare un
generale riordino delle disposizioni tributarie statali.
In
particolare, l'articolo 1 demanda al Governo l'adozione, entro sei mesi dalla
data di entrata in vigore della legge, di uno o più decreti legislativi volti
al riordino del trattamento tributario dei redditi di capitale e dei redditi
diversi di natura finanziaria, nonché delle gestioni individuali di patrimoni e
degli organismi di investimento collettivo mobiliare, e ad apportare modifiche
al regime delle ritenute alla fonte sui redditi di capitale o delle imposte
sostitutive afferenti i medesimi redditi.
Nell'attuazione
della delega il Governo si atterrà a princìpi aventi quali finalità: la natura
finanziaria o delle misure delle imposte sostitutive afferenti i medesimi
redditi, al fine della loro unificazione, con la previsione di un'aliquota
unica non superiore al 20 per cento e con la conferma delle vigenti
disposizioni che prevedono esenzioni ovvero non imponibilità di redditi diversi
e di capitali; il rispetto, nell'applicazione dell'aliquota unica, dei princìpi
di incoraggiamento e di tutela del risparmio di cui all'articolo 47 della
Costituzione; l'eventuale introduzione di misure compensative, anche attraverso
deduzioni o detrazioni di imposta, a favore dei soggetti economicamente più
deboli; la semplificazione delle procedure per ridurre i costi amministrativi a
carico degli intermediari; il coordinamento della nuova disciplina con le
disposizioni vigenti, attraverso l'introduzione di tutte le modifiche
necessarie e nel rispetto del principio dell'equivalenza di trattamento tra i
diversi redditi e strumenti di natura finanziaria, nonché tra gli intermediari
finanziari; l'introduzione di una adeguata disciplina transitoria volta ad
escludere, con riferimento alle posizioni maturate prima della data di entrata
in vigore della nuova normativa, la possibilità di ingiustificati guadagni o
perdite derivanti dal passaggio alla nuova disciplina.
Dall'adozione
dei decreti legislativi previsti dall'articolo 1 in oggetto sono attese
maggiori entrate per un importo non inferiore a 1.100 milioni di euro per
l'anno 2007 e a 2.000 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2008.
La delega
legislativa di cui all'articolo 2, da esercitare entro dodici mesi dalla data
di entrata in vigore della legge, ha ad oggetto la revisione della disciplina
della riscossione volontaria e coattiva, con il primario obiettivo di aumentare
l'efficacia della lotta all'evasione fiscale, anche quando essa si presenta
sotto forma di «evasione da riscossione».
Nell'attuazione
della delega il Governo si atterrà a princìpi aventi quali finalità: la
razionalizzazione e il rafforzamento delle procedure di riscossione coattiva a
mezzo ruolo, attraverso, tra l'altro, il riconoscimento agli agenti della
riscossione del potere di concedere la rateizzazione delle somme iscritte a
ruolo; l'estensione ai terzi, di cui gli agenti della riscossione decidono di
avvalersi ai fini dell'attività di riscossione coattiva, del regime fiscale
agevolato attualmente riconosciuto agli agenti medesimi nell'ambito dello
svolgimento della propria attività; la parziale revisione della vigente
disciplina in materia di rimborso delle spese sostenute dagli agenti della
riscossione, al fine di assicurare agli stessi il ristoro di tutte le tipologie
di oneri derivanti dall'esercizio dei compiti istituzionali.
Ulteriori
princìpi cui dovrà attenersi l'esecutivo riguardano: la ridefinizione del sistema
di controllo dell'inesigibilità delle somme iscritte a ruolo, prevedendo, in
particolare, che i nuovi criteri di verifica dell'effettiva inesigibilità dei
crediti siano individuati anche facendo riferimento al valore delle singole
partite iscritte a ruolo; la semplificazione delle procedure di rimborso al
contribuente delle somme oggetto di sgravio per indebito, anche attraverso la
previsione del pagamento mediante accredito sul conto corrente del
beneficiario; la limitazione della chiamata in giudizio dell'agente della
riscossione ai soli casi in cui siano eccepiti vizi effettivamente riferibili
all'attività dello stesso, evitando così che il concessionario possa essere
considerato legittimato passivamente in controversie che traggono origine dalla
notifica di una cartella di pagamento, ma che hanno ad oggetto eccezioni
relative unicamente all'operato dell'ente creditore in sede di iscrizione a
ruolo.
La
delega, infine, prevede l'attribuzione a Riscossione S.p.a. di funzioni oggi
spettanti all'Agenzia delle entrate in materia di gestione dei versamenti
unitari con compensazione di cui al capo III del decreto legislativo 9 luglio
1997, n. 241, nonché del monitoraggio dei versamenti d'imposta e contributivi,
ai fini del tempestivo recupero coattivo delle somme dovute e non versate
spontaneamente.
Con
l'articolo 3 si delega il Governo all'adozione, entro dodici mesi dalla data di
entrata in vigore della legge in esame, di uno o più decreti legislativi in
materia di accertamento dei tributi erariali, volti ad armonizzare,
razionalizzare e semplificare le relative disposizioni.
I
criteri direttivi cui dovrà attenersi l'esecutivo riguardano: l'armonizzazione
delle regole generali e dei poteri di accertamento per tutti i tributi
erariali, comprese le attribuzioni e la competenza territoriale degli uffici,
al fine di assicurare la coerenza con i princìpi della legge 27 luglio 2000, n.
212 (statuto del contribuente), e con i princìpi di efficienza, efficacia ed
economicità dell'azione amministrativa; l'unificazione dei termini per
l'accertamento dei tributi erariali, con la sola previsione di termini
differenziati nelle ipotesi di violazioni che comportano obbligo di denuncia
per uno dei reati previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, e dei
termini per la richiesta di rimborso dei tributi, accessori e sanzioni non
dovuti; l'armonizzazione dei diversi metodi di accertamento e la revisione dei
criteri di accertamento presuntivi sulla base di elementi indicativi di
capacità contributiva; l'armonizzazione delle diverse forme di interpello,
incluso quello internazionale, e l'introduzione di una normativa generale
antielusiva valevole per tutti i tributi erariali, con la previsione della
possibilità di disconoscere le condotte poste in essere per fini esclusivamente
o prevalentemente fiscali.
La
delega, inoltre, prevede: la revisione del principio di unicità dell'atto di
accertamento e della sua integrabilità, ed il coordinamento con la disciplina
dell'accertamento parziale e dell'adesione del contribuente; il potenziamento
del sistema informativo, con l'acquisizione secondo modalità telematiche,
l'armonizzazione delle informazioni utili alla prevenzione ed al contrasto
dell'evasione e l'utilizzo delle medesime informazioni anche ai fini della
corretta individuazione dell'indicatore della situazione economica del
contribuente; il riordino e la razionalizzazione dei poteri di cooperazione con
gli enti territoriali e previdenziali, nonché con le amministrazioni fiscali
degli Stati esteri, e dello scambio di informazioni, anche in attuazione degli
accordi internazionali; l'individuazione delle modalità e dei termini di
ritrattabilità delle dichiarazioni; l'individuazione di specifici poteri di
indagine e di accertamento in presenza dei fenomeni di frodi e l'estensione, in
tali casi, della solidarietà nel pagamento del tributo tra i soggetti che hanno
concorso alla stessa.
L'articolo
4 demanda al Governo l'adozione, entro dodici mesi dalla data di entrata in
vigore della legge, di uno o più decreti legislativi per la riforma del sistema
di valutazione del catasto dei fabbricati, al fine di aggiornare il sistema
estimativo del catasto stesso, attualmente basato sulla distinzione in
categorie e classi, e allo specifico scopo di favorire un progressivo
miglioramento dei relativi livelli di perequazione, trasparenza e qualità,
nonché il recupero dell'evasione ed elusione nel settore immobiliare.
Nell'attuazione
della delega il Governo si dovrà attenere a princìpi aventi quali finalità: la
determinazione degli estimi catastali su base patrimoniale tenendo conto di
parametri, specificatamente individuati dalla norma, che si basano sulla
segmentazione territoriale e funzionale del mercato immobiliare, su specifici
metodi di valutazione matematico-statistica, sull'utilizzo del parametro «metro
quadrato di superficie», quale unità di consistenza cui riferire gli estimi
catastali, per le unità immobiliari a destinazione ordinaria, e sulla
definizione delle modalità e dei termini di aggiornamento del sistema di
valutazione; la derivazione dalla base patrimoniale innanzi detta di una base
reddituale, attraverso l'applicazione di saggi di redditività.
Ulteriori
princìpi cui dovrà attenersi l'esecutivo riguardano la rideterminazione della
composizione e delle funzioni delle commissioni censuarie provinciali e
centrale, soprattutto ai fini della deflazione del contenzioso, e
l'articolazione del processo riformatore attraverso la definizione del ruolo
dei comuni e dell'Agenzia del territorio nel rispetto dei princìpi sottesi alle
funzioni decentrate, assicurando, a livello nazionale, l'uniformità e la
qualità dei processi nonché il loro coordinamento e monitoraggio.
La
delega, infine, prevede, in aggiunta all'affissione all'albo pretorio,
l'utilizzo di adeguati strumenti di comunicazione per portare a conoscenza
degli intestatari catastali i nuovi estimi, da individuare anche in deroga alle
modalità previste dall'articolo 74 della legge 21 novembre 2000, n. 342, e
l'introduzione di meccanismi volti ad assicurare una sostanziale invarianza del
gettito complessivo delle imposte erariali e comunali aventi per base
imponibile i valori o i redditi immobiliari derivati.
All'articolo
5 si demanda al Governo l'adozione, entro due anni dalla data di entrata in
vigore della legge, di uno o più decreti legislativi recanti testi unici di
riordino e revisione delle disposizioni legislative vigenti, di natura
sostanziale, processuale e procedimentale, in materia di tributi statali.
L'attuale
disciplina tributaria si caratterizza per un'oggettiva decodificazione causata
dalla pluralità degli interventi normativi che si sono susseguiti nel tempo. Di
qui la necessità di armonizzare e codificare in un'unica sede le disposizioni
fiscali nazionali.
I testi
unici, come qui sono stati pensati e disegnati, ordinano le disposizioni
legislative sulla base di princìpi e criteri direttivi volti a: semplificare il
linguaggio normativo, assicurando l'organicità e la coerenza giuridica delle
disposizioni raccolte in ciascun testo unico, con l'abrogazione delle disposizioni
obsolete; adeguare la normativa al dettato dello statuto del contribuente
(legge 27 luglio 2000, n. 212), nonché al diritto comunitario primario e
derivato e alle sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee;
uniformare la disciplina degli elementi essenziali dell'obbligazione fiscale e
delle norme generali in materia di dichiarazioni, di accertamento, di
riscossione e di applicazione delle sanzioni, ponendo il divieto
dell'applicazione analogica delle norme tributarie che stabiliscono il presupposto
e il soggetto passivo dell'imposta, le esenzioni e le agevolazioni;
semplificare i procedimenti tributari; realizzare il coordinamento con le
disposizioni degli statuti delle regioni a statuto speciale e delle province
autonome di Trento e di Bolzano e delle relative norme di attuazione.
L'articolo
6 prevede che sui testi dei decreti legislativi siano acquisiti i pareri delle
Commissioni parlamentari competenti per materia. Tali pareri dovranno essere
resi entro trenta giorni dall'assegnazione (comma 1). Decorso inutilmente tale
termine, il Governo ha facoltà di procedere in assenza dei pareri (comma 2). In
ogni caso, nei due anni successivi alla data di entrata in vigore dei decreti
legislativi, sempre nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi sopra
descritti e previa acquisizione dei pareri parlamentari, possono essere
adottati uno o più decreti legislativi recanti interventi integrativi e
correttivi, nonché tutte le modificazioni necessarie per il migliore
coordinamento normativo (comma 3). Dall'attuazione della delega non derivano
nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica (comma 4).
RELAZIONE TECNICA
(Articolo 11-ter, comma
2, della legge 5 agosto 1978,
n. 468,
e successive modificazioni).
Nell'ambito
del riordino della disciplina dei redditi di natura finanziaria, è previsto un
intervento normativo volto ad unificare le attuali aliquote impositive in
un'unica aliquota non superiore al 20 per cento senza esclusioni. Attualmente
la tassazione delle cosiddette rendite finanziarie prevede la presenza di due
aliquote impositive, pari al 12,5 per cento ed al 27 per cento in relazione
alla diversa tipologia di strumento finanziario.
I
principali proventi attualmente tassati al 27 per cento sono relativi ai
seguenti strumenti:
interessi
maturati sui depositi bancari, postali e da certificati di deposito;
accettazioni
bancarie;
titoli
di emittenti privati con durata inferiore ai diciotto mesi;
obbligazioni
con rendimenti non allineati ai parametri di legge;
titoli
atipici.
I principali
proventi, invece, attualmente tassati al 12,5 per cento sono relativi ai
seguenti strumenti:
proventi
sui titoli pubblici;
proventi
sui titoli obbligazionari o similari, emessi da banche ed imprese private con
durata superiore ai diciotto mesi;
proventi
da cambiali ed altri redditi di capitale; proventi derivanti da partecipazione
a fondi d'investimento e gestioni patrimoniali;
proventi
sulle plusvalenze derivanti da partecipazioni azionarie non qualificate.
Ai fini
della stima degli effetti sono stati presi come base di calcolo i dati di
gettito del bilancio dello Stato (ripartizione capitoli/articoli) ultimi
disponibili. La scelta di partire dai dati di gettito è dovuta al fatto che
questi ultimi risultano essere più completi e più recenti rispetto ad altre
informazioni desumibili da altre fonti.
Inoltre
si è ritenuto opportuno utilizzare come base di riferimento per il calcolo un
periodo omogeneo dal punto di vista delle normative di riferimento, in tal modo
contenendo la variabilità che, soprattutto per alcuni strumenti, risulta,
specie in anni passati, elevata e dovuta anche a circostanze contingenti.
Sulla
base informativa così ottenuta sono state operate ulteriori correzioni per
tener conto del fatto che i versamenti relativi a strumenti con differente
aliquota affluiscono nei capitoli in modo indistinto. In particolare tale
operazione ha riguardato i capitoli del comparto obbligazionario (in cui ad
esempio affluiscono i gettiti delle obbligazioni a breve e di quelle a
medio-lungo termine) e degli interessi sui depositi e conti correnti (dove
affluisce anche il gettito dei buoni postali fruttiferi). Per operare le
ripartizioni si è ipotizzata una proporzionalità tra la distribuzione degli stock
di strumenti in mano agli operatori ed il corrispondente gettito.
Ulteriori
considerazioni, con ricorso alle medesime ipotesi e fonti informative, sono
state fatte anche per individuare la distribuzione degli stock fra i
settori istituzionali e le differenti categorie di percettori (soggetti ad imposta
sostitutiva o a ritenuta alla fonte a titolo d'acconto).
Una
volta definita la base dati sulla quale operare la simulazione e prima di
effettuare i calcoli sono state compiute ulteriori valutazioni circa i
possibili effetti di sostituzione tra le diverse forme di impiego all'interno
del Paese.
Per
quanto riguarda la sostituzione tra diverse tipologie di attività finanziarie,
si ritiene che essa non sarà rilevante dal punto di vista del gettito, data
l'unificazione delle aliquote.
Per
quanto riguarda invece il possibile effetto di sostituzione tra attività
finanziarie ed attività reali (immobili), lo stesso si ritiene che non sia
rilevante, atteso il fatto che l'andamento crescente dei tassi di interesse
rende meno incentivante la sostituzione di attività finanziarie (più
remunerate) con attività reali (di cui aumenta il costo di finanziamento). Tale
sostituzione, che potrebbe interessare soggetti con alto livello di reddito e
di ricchezza, si ritiene sia già avvenuta negli scorsi anni (in presenza di bassi
tassi d'interesse).
Ipotizzando
l'invarianza dei comportamenti degli investitori, non sono stati considerati
effetti indiretti derivanti dalla sostituzione di attività finanziarie interne
con attività finanziarie estere, né possibili effetti di fuoriuscita di
capitali indotti dall'aumento dell'aliquota o l'effetto di possibili rimborsi
anticipati. Allo stesso modo non vengono presi in considerazione i possibili
effetti di spesa derivanti da un conseguente aumento dei tassi di interesse.
Per il
calcolo della stima di gettito si è considerato che il provvedimento entri in
vigore il 1o luglio 2007 e che, con riferimento ai redditi che
maturano nell'anno, agisca il meccanismo del pro-rata temporis.
La
stima del gettito derivante dall'introduzione del provvedimento, su base
d'anno, risulta essere conforme alle indicazioni contenute nella delega tenuto
conto della previsione del passaggio ad una aliquota unica al 20 per cento.
In
questa ipotesi, il saldo complessivo, derivante dall'effetto combinato dell'incremento
dell'aliquota dal 12,5 per cento al 20 per cento e della riduzione
dell'aliquota dal 27 per cento al 20 per cento, risulta essere non inferiore
per l'anno 2007 (con decorrenza 1o luglio 2007) a 1,1 miliardi di
euro ed a regime (dal 2008 in avanti) a 2 miliardi di euro annui.
proposta
di legge
¾¾¾
|
Art. 1.
(Delega in materia di redditi
di capitale
e di redditi diversi di natura finanziaria).
1. Il Governo è delegato ad adottare, entro sei
mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti
legislativi concernenti il riordino del trattamento tributario dei redditi di
capitale e dei redditi diversi di natura finanziaria, nonché delle gestioni
individuali di patrimoni e degli organismi di investimento collettivo
mobiliare, e recanti modifiche al regime delle ritenute alla fonte sui
redditi di capitale o delle imposte sostitutive afferenti i medesimi redditi,
con l'osservanza dei seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) revisione delle aliquote delle ritenute sui redditi di
capitale e dei redditi diversi di natura finanziaria o delle misure delle
imposte sostitutive afferenti i medesimi redditi, al fine della loro
unificazione, con la previsione di un'unica aliquota non superiore al 20 per
cento; conferma delle disposizioni vigenti che prevedono l'esenzione ovvero
la non imponibilità dei redditi di capitale e dei redditi diversi di natura
finanziaria;
b) applicazione dell'aliquota di cui alla lettera a),
nel rispetto dei princìpi di incoraggiamento e di tutela del risparmio di cui
all'articolo 47 della Costituzione, al fine anche di evitare segmentazioni
del mercato;
c) eventuale introduzione di misure compensative, anche
aventi natura di deduzioni o detrazioni di imposta, a favore dei soggetti
economicamente più deboli, nel rispetto del principio indicato alla lettera d);
d) semplificazione delle procedure al fine di ridurre i
costi amministrativi a carico degli intermediari, da realizzare in via
regolamentare o con l'adozione di provvedimenti amministrativi generali;
e) coordinamento della nuova disciplina con le
disposizioni vigenti, nel rispetto del principio dell'equivalenza di
trattamento tra i diversi redditi e strumenti di natura finanziaria nonché
tra gli intermediari finanziari;
f) introduzione di un'adeguata disciplina transitoria,
volta a regolamentare il passaggio alla nuova disciplina tenendo conto, tra
l'altro, dell'esigenza di evitare che possano emergere, con particolare
riferimento alle posizioni esistenti alla data della sua entrata in vigore,
ingiustificati guadagni o perdite e nel rispetto del principio indicato alla
lettera d);
g) possibilità di differire l'entrata in vigore dei
decreti legislativi di attuazione fino a dodici mesi dalla data della loro
pubblicazione;
h) coordinamento, introducendo tutte le modifiche
necessarie, della nuova disciplina con le disposizioni contenute nel decreto
del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, nel testo unico
delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica
22 dicembre 1986, n. 917, ed in ogni altra legge, regolamento, decreto o
provvedimento vigenti.
2. Dall'adozione dei decreti legislativi
previsti dal presente articolo devono derivare maggiori entrate non
inferiori, per l'anno 2007, a 1.100 milioni di euro e, a decorrere dall'anno
2008, a 2.000 milioni di euro annui.
Art. 2.
(Delega in materia di riscossione).
1. Il Governo è delegato ad adottare, entro
dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più
decreti legislativi recanti disposizioni volte al riordino della disciplina
della riscossione volontaria e coattiva, al fine di potenziare l'attività di
recupero delle somme non versate spontaneamente, con l'osservanza dei
seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) razionalizzazione e rafforzamento delle procedure di
riscossione coattiva, secondo modalità tali da consentire, tra l'altro,
l'attribuzione agli agenti della riscossione del potere di concedere,
direttamente o su incarico dell'ente creditore, la dilazione del pagamento
delle entrate iscritte a ruolo;
b) estensione ai soggetti terzi incaricati dagli agenti
della riscossione, limitatamente agli adempimenti finalizzati allo
svolgimento di tali incarichi, delle agevolazioni fiscali previste per le
azioni esecutive e cautelari degli stessi agenti della riscossione e per le
attività ad esse prodromiche;
c) parziale revisione della disciplina del rimborso delle
spese sostenute dagli agenti della riscossione, al fine di assicurare agli
stessi il ristoro di tutte le tipologie di oneri derivanti dall'esercizio dei
compiti istituzionali;
d) introduzione di criteri di controllo dell'inesigibilità
degli importi iscritti a ruolo coerenti con il nuovo sistema di riscossione
nazionale e individuati anche sulla base del valore degli stessi importi;
e) semplificazione e razionalizzazione delle procedure di
anticipazione, da parte degli agenti della riscossione, del rimborso delle
somme iscritte a ruolo riconosciute indebite, anche con previsione del
pagamento mediante accredito sul conto corrente del beneficiario;
f) limitazione della chiamata in giudizio degli agenti
della riscossione ai soli casi in cui siano eccepiti vizi dell'attività ad
esso effettivamente riferibile;
g) attribuzione a Riscossione S.p.a. di tutte o parte
delle funzioni attualmente esercitate dall'Agenzia delle entrate per la
gestione del sistema dei versamenti unitari con compensazione, nonché del
monitoraggio dei versamenti delle imposte, dei contributi e dei premi e del
compito di effettuare interventi finalizzati al recupero delle somme non
versate.
Art. 3.
(Delega in materia di accertamento).
1. Il Governo è delegato ad adottare, entro
dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più
decreti legislativi in materia di accertamento dei tributi erariali, volti ad
armonizzare, razionalizzare e semplificare le relative disposizioni, con
l'osservanza dei seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) armonizzazione delle regole generali e dei poteri di
accertamento per tutti i tributi erariali, comprese le attribuzioni e la
competenza territoriale degli uffici, al fine di assicurarne la coerenza con
i princìpi della legge 27 luglio 2000, n. 212, recante disposizioni in
materia di statuto dei diritti del contribuente, nonché con i princìpi di
efficienza, efficacia ed economicità dell'azione amministrativa, e
unificazione dei termini per l'accertamento, con la sola previsione di
termini differenziati nelle ipotesi di violazioni che comportano obbligo di
denuncia per uno dei reati previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n.
74, e dei termini per la richiesta di rimborso dei tributi, accessori e
sanzioni non dovuti;
b) individuazione di specifici poteri di indagine e di
accertamento in presenza di fenomeni di frode ed estensione, in tali casi,
della solidarietà nel pagamento del tributo tra i soggetti che hanno concorso
alla frode stessa;
c) armonizzazione dei diversi metodi di accertamento e
revisione dei criteri di accertamento presuntivi sulla base di elementi
indicativi di capacità contributiva;
d) armonizzazione delle diverse forme di interpello,
incluso quello internazionale, e definizione di una normativa generale
antielusiva valevole per tutti i tributi erariali, con la previsione della
possibilità di disconoscere le condotte poste in essere per fini
esclusivamente o prevalentemente fiscali, anche mediante l'eventuale
modificazione delle disposizioni antielusive di cui all'articolo 37-bis del
decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e
successive modificazioni;
e) revisione del principio di unicità dell'atto di
accertamento, della sua integrabilità, e coordinamento con la disciplina
dell'accertamento parziale e dell'adesione del contribuente;
f) potenziamento del sistema informativo, acquisizione
secondo modalità telematiche e armonizzazione delle informazioni utili alla
prevenzione e contrasto dell'evasione nonché utilizzo delle stesse ai fini
della corretta individuazione, anche a seguito dell'attività di controllo,
dell'indicatore della situazione economica del contribuente;
g) riordino e razionalizzazione delle attività di
cooperazione con gli enti territoriali e previdenziali nonché con le
amministrazioni fiscali degli Stati esteri e dello scambio di informazioni,
anche in attuazione degli accordi internazionali;
h) individuazione delle modalità e dei termini di
ritrattabilità delle dichiarazioni e rapporto con la richiesta di rimborso.
Art. 4.
(Delega per la riforma del sistema
estimativo del catasto dei fabbricati).
1. Il
Governo è delegato ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in
vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi per la riforma
generale del sistema di valutazione del catasto dei fabbricati, al fine di
rinnovare l'attuale sistema estimativo del catasto stesso, basato sulla distinzione
in categorie e classi, e per favorire il progressivo miglioramento dei
relativi livelli di perequazione, trasparenza e qualità, nonché il recupero
dell'evasione ed elusione nel settore immobiliare, nel rispetto dei seguenti
princìpi e criteri direttivi:
a) determinazione degli estimi catastali su base
patrimoniale attraverso:
1) segmentazione territoriale e funzionale del
mercato immobiliare;
2) metodi di valutazione matematico-statistici;
3) utilizzo del parametro «metro quadrato di
superficie», quale unità di consistenza cui riferire gli estimi catastali per
le unità immobiliari a destinazione ordinaria;
4) definizione delle modalità e dei termini di
aggiornamento del sistema di valutazione;
b) derivazione dalla base patrimoniale di cui alla lettera
a) di una base reddituale, attraverso l'applicazione di saggi di
redditività;
c) ridefinizione della composizione e delle funzioni delle
commissioni censuarie provinciali e centrale, nelle loro specifiche
competenze con particolare riguardo alla deflazione del contenzioso;
d) articolazione del processo riformatore attraverso la
definizione del ruolo dei comuni e dell'Agenzia del territorio nel rispetto
dei princìpi sottesi alle funzioni decentrate, assicurando, a livello
nazionale, l'uniformità e la qualità dei processi nonché il loro
coordinamento e monitoraggio;
e) utilizzo di adeguati strumenti di comunicazione per
portare a conoscenza degli intestatari catastali i nuovi estimi, in aggiunta
all'affissione all'albo pretorio, da individuare anche in deroga alle
modalità previste dall'articolo 74 della legge 21 novembre 2000, n. 342;
f) introduzione di meccanismi volti ad assicurare una
sostanziale invarianza del gettito complessivo delle imposte erariali e
comunali aventi per base imponibile i valori o i redditi immobiliari
derivati.
Art. 5.
(Delega per il riassetto
delle disposizioni tributarie statali).
1. Il Governo è delegato ad adottare, entro due
anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti
legislativi recanti testi unici di riordino e revisione delle disposizioni
legislative vigenti, sostanziali, processuali e procedimentali, in materia di
tributi statali, con l'osservanza dei seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) uniformità della disciplina degli elementi essenziali
dell'obbligazione fiscale e delle norme generali in materia di dichiarazioni,
di accertamento, di riscossione e di applicazione delle sanzioni;
b) semplificazione e chiarezza del linguaggio normativo
utilizzato nella redazione dei testi unici;
c) organicità e coerenza giuridica, logica e sistematica
delle disposizioni raccolte in ciascun testo unico;
d) adeguamento della normativa vigente alle previsioni
della legge 27 luglio 2000, n. 212, recante disposizioni in materia di
statuto dei diritti del contribuente;
e) adeguamento della normativa vigente al diritto
comunitario primario e derivato, nonché alle sentenze della Corte di
giustizia delle Comunità europee;
f) previsione del divieto dell'applicazione analogica
delle norme tributarie che stabiliscono il presupposto e il soggetto passivo
dell'imposta, le esenzioni e le agevolazioni;
g) semplificazione amministrativa degli adempimenti
fiscali a carico del contribuente, ferma restando la normativa che consente
di disciplinare gli adempimenti fiscali con regolamenti e atti amministrativi
generali;
h) applicazione all'organizzazione e all'attività
dell'Amministrazione finanziaria del codice dell'amministrazione digitale, di
cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82;
i) coordinamento con le disposizioni degli statuti delle
regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano e
delle relative norme di attuazione;
l) abrogazione delle disposizioni che abbiano esaurito la
loro efficacia o siano prive di contenuto normativo o siano comunque
obsolete;
m) espressa indicazione delle disposizioni abrogate a
decorrere dalla data di entrata in vigore dei testi unici o nei differenti
termini da questi stabiliti.
Art. 6.
(Disposizioni attuative).
1. Gli schemi dei decreti legislativi di cui
agli articoli da 1 a 5 sono trasmessi alle Camere per l'acquisizione dei
pareri delle competenti Commissioni parlamentari. Le Commissioni parlamentari
rendono il parere entro trenta giorni dall'assegnazione.
2. Decorso il termine di cui al comma 1, secondo
periodo, senza che le Commissioni abbiano espresso i pareri di rispettiva
competenza, i decreti legislativi possono essere comunque adottati.
3. Entro due anni dalla data di entrata in
vigore dei decreti legislativi di cui al comma 1, possono essere adottati,
nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi di cui agli articoli da 1 a 5 e
con la procedura di cui ai commi 1 e 2 del presente articolo, uno o più
decreti legislativi recanti disposizioni integrative e correttive dei medesimi
decreti legislativi, nonché tutte le modificazioni necessarie per il migliore
coordinamento normativo.
4. Dall'attuazione delle deleghe di cui alla
presente legge non derivano nuovi o maggiori oneri a carico della finanza
pubblica.
|
Corte
Costituzionale
Sentenza 20-24 giugno 1994, n. 263
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai
signori: Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA; Giudici: prof. Gabriele
PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo
CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott.
Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI, prof. Cesare MIRABELLI, prof. Fernando
SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO;
ha pronunciato la
seguente
SENTENZA
nei giudizi di
legittimità costituzionale degli artt. 2 del decreto-legge 23 gennaio 1993, n.
16 (Disposizioni in materia di imposte sui redditi, sui trasferimenti di
immobili di civile abitazione, di termini per la definizione agevolata delle
situazioni e pendenze tributarie, per la soppressione della ritenuta sugli
interessi, premi ed altri frutti derivanti da depositi e conti correnti
interbancari, nonché altre disposizioni tributarie), convertito in legge 24 marzo
1993, n. 75; 2 della legge 24 marzo 1993, n. 75 (Conversione in legge, con
modificazioni, del decreto-legge 23 gennaio 1993, n. 16, recante disposizioni
in materia di imposte sui redditi, sui trasferimenti di immobili di civile
abitazione, di termini per la definizione agevolata delle situazioni e pendenze
tributarie, per la soppressione della ritenuta sugli interessi, premi ed altri
frutti derivanti da depositi e conti correnti interbancari, nonché altre
disposizioni tributarie); 1 del decreto-legge 9 agosto 1993, n. 287
(Disposizioni urgenti in materia di ricorsi alle commissioni censuarie relativi
alle tariffe d'estimo e alle rendite delle unità immobiliari urbane, nonché
alla delimitazione delle zone censuarie); 1 del decreto-legge 9 ottobre 1993,
n. 405 (Disposizioni urgenti in materia di ricorsi alle commissioni censuarie
relativi alle tariffe d'estimo e alle rendite delle unità immobiliari urbane,
nonché alla delimitazione delle zone censuarie); del Capo I (artt. 1-18) del
decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 (Riordino della finanza degli enti
territoriali, a norma dell'art. 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421) e
dell'art. 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421 (Delega al Governo per la
razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, di
pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale), promossi con
ordinanze emesse il 4 agosto 1993 dalla Commissione tributaria di primo grado
di Piacenza, il 13 maggio 1993 dalla Commissione tributaria di secondo grado di
Venezia, il 23 novembre 1993 dalla Commissione tributaria di primo grado di
Rossano, il 2 ottobre 1993 dalla Commissione tributaria di primo grado di
Piacenza, il 10 novembre 1993 dal Tribunale amministrativo regionale
dell'Umbria (n. 2 ordinanze) e il 20 novembre 1993 dalla Commissione tributaria
di secondo grado di Perugia, iscritte rispettivamente ai nn. 628, 656 e 798 del
registro ordinanze 1993 e ai nn. 5, 31, 33 e 118 del registro ordinanze 1994 e
pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, prima serie speciale, nn.
43 e 44 dell'anno 1993 e nn. 5, 6, 8 e 13 dell'anno 1994.
Visti gli atti di
costituzione di Boselli Ernestina, dell'Associazione della proprietà edilizia
di Perugia ed altro, del Comune di Perugia, nonché gli atti di intervento del
Presidente del Consiglio dei ministri;
Udito nell'udienza
pubblica del 24 maggio 1994 il Giudice relatore Massimo Vari;
Uditi gli Avvocati
Valerio Onida per Boselli Ernestina, Valerio Onida, Gaspare Falsitta e Mario
Rampini per l'Associazione della proprietà edilizia di Perugia ed altro,
Alarico Mariani Marini e Gaetano Ardizzone per il Comune di Perugia e
l'Avvocato dello Stato Carlo Bafile per il Presidente del Consiglio dei
ministri.
Ritenuto
in fatto
1.1. - Nel corso di
un giudizio promosso da Boselli Ernestina nei confronti dell'U.T.E. di Piacenza
per ottenere - previa disapplicazione, se del caso, degli atti generali
relativi alla formazione della tariffa d'estimo (ovvero il decreto ministeriale
20 gennaio 1990) - che sia dichiarata "nulla e di nessun effetto" la
rendita attribuita sulla base della tariffa medesima agli immobili di proprietà
della ricorrente (o, in subordine, la riduzione della rendita stessa), la
Commissione tributaria di primo grado di Piacenza, con ordinanza 4 agosto 1993
(R.O. n. 628 del 1993), ha sollevato questione di legittimità costituzionale,
in riferimento agli artt. 3, 24, 53, 102 e 103 della Costituzione, dell'art. 2
del decreto-legge 23 gennaio 1993, n. 16, convertito in legge 24 marzo 1993, n.
75. Premesso che il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con decisione
n. 1184 del 6 maggio 1992, ha annullato i decreti del Ministro delle finanze
del 20 gennaio 1990 e del 27 settembre 1991, con i quali era stato posto alla
base della revisione delle tariffe d'estimo il valore unitario di mercato
ordinariamente ritraibile, il giudice a quo rileva che il Governo ha riprodotto
il contenuto dei citati decreti ministeriali in una serie di decreti-legge,
l'ultimo dei quali, e cioè il decreto-legge n. 16 del 1993, è stato convertito
in legge 24 marzo 1993, n. 75. Tale decreto-legge, all'art. 2, ha stabilito che
le nuove tariffe, che entreranno in vigore dal 1 gennaio 1995, dovranno essere
basate sul parametro della redditività anziché su quello del valore commerciale
dell'immobile. Tuttavia, osserva il remittente, il decreto-legge, sia pure per
un periodo di tempo limitato, ovvero fino al 31 dicembre 1994, ha resuscitato
le disposizioni contenute nei decreti ministeriali dichiarati illegittimi dal
Tribunale amministrativo regionale del Lazio con sentenza "divenuta
definitiva", ponendosi in tal modo in contrasto: a) con gli artt. 102,
primo comma, e 103, primo comma, della Costituzione, configurando una ipotesi
di "straripamento" del potere legislativo nel campo riservato
istituzionalmente al potere giudiziario: i contribuenti, sebbene per un periodo
limitato, sarebbero obbligati a conformarsi ad atti amministrativi illegittimi,
né tale rilievo sarebbe superabile considerando che la norma stabilisce che, se
le tariffe in vigore dal 1 gennaio 1995 risulteranno inferiori a quelle
derivanti dall'applicazione dei decreti ministeriali, il contribuente potrà
recuperare la somma versata in più sotto forma di credito d'imposta nella
dichiarazione successiva all'entrata in vigore delle nuove tariffe, in quanto
al momento i contribuenti sarebbero obbligati a pagare somme superiori a quelle
effettivamente dovute. Né è previsto un termine per la restituzione delle somme
versate, né la corresponsione di interessi; b) con gli artt. 3 e 53 della Costituzione,
non essendo conforme né al principio della capacità contributiva, né a quello
di progressività, la tassazione, sia pure in via provvisoria, delle rendite
immobiliari fondata su una ipotesi di fruttuosità del valore capitale
dell'immobile determinato in base a criteri di tipo patrimoniale, che la stessa
norma mostra di voler abbandonare per i periodi successivi al 1994, palesando,
inoltre, la propria intrinseca irrazionalità; c) con gli stessi artt. 3 e 53,
nonché con l'art. 24 della Costituzione, in quanto, differendo al periodo
successivo all'entrata in vigore dei nuovi estimi la possibilità, per i
contribuenti, di recuperare quanto eventualmente pagato in più del dovuto ed il
relativo contenzioso, sottoporrebbe, medio tempore, il contribuente ad una
tassazione avulsa dalla sua capacità contributiva e ripristinatoria di una
forma di solve et repete.
1.2. - Nel giudizio
è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall'Avvocatura dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata
infondata. In una successiva memoria, l'Avvocatura, precisato che la sentenza
del Tribunale amministrativo regionale del Lazio non è "divenuta
definitiva", deduce, rinviando alla memoria depositata per il giudizio di
cui al R.O. n. 656 del 1993, l'infondatezza della questione, osservando, in
particolare, che la Costituzione rende possibile utilizzare anche gli indici di
capacità contributiva che derivano dal possesso di cespiti patrimoniali; indici
che risultano automaticamente informati al principio di progressività.
Peraltro, le imposte sui redditi e l'imposta comunale sugli immobili (ICI) non
sono divenute imposte patrimoniali solo perché si è adottato uno dei possibili
metodi di estimo degli immobili urbani. Infine, il terzo dei profili
prospettati sarebbe inammissibile, in quanto le questioni attinenti alla
riscossione dei tributi sarebbero irrilevanti in una controversia sulla
attribuzione delle rendite.
1.3. - Si è
costituito in giudizio anche il contribuente, depositando una memoria nella
quale si sostiene che la norma, se interpretata nel senso (più attendibile) di
"convalidare" gli atti amministrativi annullati, appare
caratterizzata da un fine fraudolento in quanto, incidendo retroattivamente nei
confronti di situazioni sub judice, lede, in violazione degli artt. 24, 101,
102, 103 e 113 della Costituzione, la funzione attribuita dalla Costituzione al
potere giudiziario e il diritto dei singoli alla tutela giurisdizionale.
Inoltre la stessa, restituendo efficacia ai contenuti di un atto amministrativo
illegittimo e già annullato, viene a sostituirsi all'attività amministrativa,
con l'effetto di togliere ogni rilievo al procedimento amministrativo, in
contrasto con gli artt. 3 e 97 della Costituzione, specie in riferimento al
principio del giusto procedimento. Essa urta, altresì, contro l'art. 24 della
Costituzione, in quanto, attraverso la legificazione dell'atto amministrativo,
porta a vanificare la articolata tutela giudiziaria prevista in tema di
controversie catastali. La norma contrasta, infine, con gli artt. 3 e 53 della
Costituzione, in particolare in quanto estimi determinati col criterio del
valore non potrebbero essere utilizzati ai fini della applicazione delle
imposte sul reddito. Da ultimo, con una memoria depositata in prossimità
dell'udienza, la difesa della parte privata, ricordato che, recentemente, è
intervenuta la decisione del Consiglio di Stato su una delle sentenze del
Tribunale amministrativo regionale del Lazio che hanno annullato i decreti
ministeriali, ribadisce le argomentazioni già svolte, osservando,
conclusivamente, come il legislatore, mirando proprio a togliere di mano al
giudice l'oggetto del giudizio, abbia disposto dei rapporti tributari e
patrimoniali facenti capo ai cittadini, trascurando ogni esigenza di giusto
procedimento e precludendo la strada al controllo giudiziale dei provvedimenti
adottati per via legislativa.
2.1. - Nel corso di
un giudizio promosso da La Guardia Giuseppe e altra contro l'U.T.E. di Venezia,
per l'annullamento della decisione con cui la Commissione tributaria di primo
grado di Venezia ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto avverso
l'attribuzione della nuova rendita catastale all'immobile dei contribuenti, la
Commissione tributaria di secondo grado di Venezia, con ordinanza 13 maggio
1993 (R.O. n. 656 del 1993), ha sollevato - in riferimento agli artt. 70, 77,
secondo comma, 24, 101, 102, 104, 3 e 53 della Costituzione - questione di
legittimità costituzionale dell'art. 2 del decreto-legge 23 gennaio 1993, n.
16, convertito in legge 24 marzo 1993, n. 75, nella parte in cui dispone che
"fino alla data del 31 dicembre 1993 restano in vigore e continuano ad
applicarsi le tariffe d'estimo e le rendite già determinate in esecuzione del
decreto ministeriale 20 gennaio 1990". Il giudice a quo, premesso che i
prospetti di tariffa divenuti ormai obbligatori ex lege determinano la lesione
diretta ed immediata delle situazioni soggettive fatte valere, ritiene che il
Governo, attraverso la "legificazione" dei decreti ministeriali annullati
dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio, operata con la legge di
conversione n. 75 del 1993, al termine di una catena di decreti-legge non
convertiti, avrebbe condizionato la libera scelta del Parlamento "con la
irreversibilità delle situazioni nel frattempo intervenute, quindi
influenzandone la libera formazione del consenso circa l'opportunità di
convertire o meno il decreto in discorso". Secondo l'ordinanza, "le
suesposte considerazioni sono assorbenti della violazione del principio della
divisione dei poteri dedotto dai contribuenti, per l'evidente fine dell'art. 2
del decreto-legge n. 16 del 1993 e della relativa legge di conversione (come
dei precedenti decreti-legge) di superare l'annullamento della determinazione
tariffaria discendente dalla sentenza del Tribunale amministrativo regionale
del Lazio". L'ordinanza ripete quindi le censure avanzate ai punti sub b)
e c) dalla Commissione tributaria di primo grado di Piacenza (R.O. n. 628 del
1993).
2.2. - Nel giudizio
di fronte alla Corte è intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, chiedendo che la questione
sia dichiarata inammissibile o sia rigettata. Nell'atto di intervento ed in una
successiva memoria l'Avvocatura sostiene che il giudizio di fronte alla
Commissione tributaria di primo grado era stato promosso prima e
indipendentemente dalla nascita di uno specifico rapporto di imposta,
consistendo nella impugnativa in via principale del decreto ministeriale sulla
determinazione delle tariffe, per cui correttamente tale Commissione aveva
dichiarato il suo difetto di giurisdizione. Questo impedimento sarebbe
ulteriormente accentuato dalla legificazione del decreto ministeriale, alla
quale consegue una impugnazione in via principale dell'atto avente forza di
legge, giacché manca del tutto la incidentalità della questione e non esiste un
rapporto di imposta controverso. La questione sarebbe comunque infondata, in
quanto: - non sussisterebbe la violazione degli artt. 70 e 77 della
Costituzione, poiché "l'autonomia del Parlamento è al di sopra di ogni
sospetto e comunque non valutabile in questa sede"; - l'accenno al
tentativo di superare la sentenza del Tribunale amministrativo regionale del
Lazio sarebbe inconsistente, sia perché questa non è passata in giudicato, sia
perché la principale ragione di annullamento posta a base di essa consisteva
nella inadeguatezza della fonte normativa in una materia che richiedeva la
forma della legge; peraltro, la giurisprudenza della Corte riconosce al
legislatore la possibilità di disciplinare retroattivamente il quadro normativo
precedente, senza con ciò violare né il diritto di difesa né l'autonomia del
potere giurisdizionale (da ultimo, v. la sentenza n. 6 del 1994); inoltre, il
decreto ministeriale 20 gennaio 1990 "era già stato anteriormente
legificato con norme di cui non è contestata la legittimità"; - il fatto
che le nuove tariffe siano stabilite sulla base del valore unitario di mercato
non contrasterebbe con il principio della capacità contributiva né con quello
della progressività dell'imposizione, fermo comunque che tale censura dovrebbe
essere considerata inammissibile, in quanto questo passaggio dell'ordinanza
sarebbe incomprensibile; - ferma la ragionevolezza del criterio seguito dalla
norma denunciata, va considerato che, al valore di mercato degli immobili, per
ottenere il reddito è stato applicato un bassissimo saggio di interesse (1% per
le abitazioni, 2% per gli uffici, 3% per i negozi), in conformità delle
deliberazioni della commissione censuaria centrale (23 aprile 1990, n. 3666 e
18 giugno 1990, n. 3668); - le nuove tariffe hanno lasciato indenni situazioni
meritevoli di considerazione, quali i fabbricati non di lusso utilizzati dal
proprietario come abitazione principale, oppure i fabbricati dati in locazione
per effetto di regimi legali ad un canone che, ridotto di un quarto, risulti
inferiore alla rendita catastale; - il riferimento alla reintroduzione di una
forma di solve e repete sarebbe irrilevante, consistendo in "una mera
dissertazione accademica del tutto avulsa da un interesse concreto dedotto in
giudizio'; inoltre, l'eventualità che siano pagate somme di cui si possa
successivamente chiedere il rimborso, che è normale in molti tributi, non
avrebbe nulla in comune con il richiamato principio del solve et repete.
3.1. - Con
ordinanza emessa il 23 novembre 1993 (R.O. n. 798 del 1993) - sui ricorsi
riuniti promossi da Via Elena ed altri avverso l'U.T.E. di Cosenza per chiedere
che sia dichiarata "nulla e priva di effetti" la rendita attribuita
agli immobili di loro proprietà - la Commissione tributaria di primo grado di
Rossano ha sollevato questione di legittimità costituzionale:
a) dell'art. 2 del
decreto-legge n. 16 del 1993, convertito in legge 24 marzo 1993, n. 75, in
riferimento agli artt. 3, 24, 53, 102 e 103 della Costituzione;
b) dell'art. 1 del
decreto-legge 9 agosto 1993, n. 287 e dell'art. 1 del decreto-legge 9 ottobre
1993, n. 405, convertito in legge 10 novembre 1993, n. 457, in riferimento agli
artt. 3, 102 e 103 della Costituzione. Sostiene il remittente che la soluzione
adottata dal potere legislativo nel ripristinare, sia pure per un periodo
limitato, le disposizioni contenute nei decreti ministeriali annullati dal
Tribunale amministrativo regionale del Lazio, costituirebbe uno straripamento
del potere legislativo nel campo istituzionalmente riservato al potere
giudiziario, in violazione degli artt. 102, primo comma, e 103, primo comma,
della Costituzione. La disposizione menzionata violerebbe inoltre gli artt. 3 e
53 della Costituzione, introducendo una tassazione delle rendite immobiliari
attraverso una determinazione operata non più su base reddituale, ma
patrimoniale. Inoltre, si ripristinerebbe una forma di solve et repete, in
contrasto con gli artt. 3, 53 e 24 della Costituzione, per effetto
dell'applicazione in via provvisoria delle tariffe annullate, essendo previsto
il varo dal 1 gennaio 1995 di nuovi estimi che sostituiscano quelli illegittimi
con il recupero delle somme eventualmente versate in più. L'art. 1 del
decreto-legge n. 287 del 1993 (e l'art. 1 del decreto-legge n. 405 del 1993,
che lo reitera), in quanto dà esclusiva competenza alla commissione censuaria
centrale in tema di revisione degli estimi, esautorando le commissioni
distrettuali e provinciali ed escludendo l'interpello dei comuni interessati da
parte degli uffici tecnici erariali, violerebbe l'art. 3 della Costituzione,
"sotto il profilo del diverso trattamento normativo riservato a situazioni
del tutto analoghe tra loro". Tale norma, inoltre, rimettendo nei termini
il Ministero delle finanze per inoltrare i ricorsi presso la commissione
censuaria centrale, modificherebbe il valore sostanziale della res iudicata e
porrebbe in essere uno straripamento del potere legislativo in un campo
riservato al potere giudiziario.
3.2. - Nel giudizio
di fronte alla Corte è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, chiedendo che le questioni
siano dichiarate infondate. Soffermandosi in particolare sulla censura rivolta
avverso il decreto-legge n. 287 del 1993 e il successivo n. 405 del 1993,
l'Avvocatura rileva che tali atti hanno inteso colmare una lacuna dell'art. 2,
comma 1- bis del decreto-legge n. 16 del 1993, che non ha previsto l'ipotesi
della inesistenza "per mancata costituzione" della commissione
censuaria provinciale, alla quale taluni comuni hanno indirizzato i ricorsi
previsti dal comma sesto. Pertanto, appare erronea la congettura secondo cui il
comma 1- bis avrebbe inteso rimettere nei termini l'amministrazione
finanziaria. Inoltre, non essendo le commissioni censuarie organi
giurisdizionali, non ha senso parlare di res iudicata e di "straripamento
in un campo riservato al potere giudiziario".
4.1. - Con
ordinanza emessa in data 2 ottobre 1993 (R.O. n. 5 del 1994), la Commissione
tributaria di primo grado di Piacenza - sui ricorsi proposti da Paperi Giorgio
ed altro avverso l'applicazione da parte dell'U.T.E. di Piacenza delle tariffe
di estimo di cui ai decreti ministeriali 20 gennaio 1990 e 27 settembre 1991 -
ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 del
decreto-legge 23 gennaio 1993, n. 16, convertito in legge 24 marzo 1993, n. 75,
in relazione agli artt. 3, 24, 53, 77, 101, 102 e 104 della Costituzione.
Secondo il remittente, la disposizione impugnata violerebbe l'art. 77 della
Costituzione, per difetto dei presupposti di necessità e di urgenza ai quali è
subordinata l'emanazione dei decreti-legge. Inoltre, essa, in contrasto con gli
artt. 24, 101, 102 e 104 della Costituzione, "finisce per incidere sui
giudizi in corso, proponendosi come interpretazione autentica di una norma di
natura interpretativa". L'adozione, poi, sia pure in via temporanea, di un
criterio impositivo basato sul valore degli immobili, anziché sulla loro
redditività, si porrebbe in contrasto con gli artt. 3 e 53 della Costituzione,
perché consentirebbe, tra l'altro, l'applicazione di tariffe d'estimo
espressione di un unico saggio di interesse determinato per tutto il territorio
nazionale, con perdita di ogni collegamento con il bene e con la sua
produttività.
4.2. - Nel giudizio
di fronte alla Corte è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, deducendo l'inammissibilità
della censura relativa alla violazione dell'art. 77 della Costituzione, essendo
rimessa al Parlamento la verifica dei presupposti della necessità e
dell'urgenza dei decreti-legge. Si sostiene, inoltre, che, a seguire la
prospettazione dell'ordinanza, si attribuirebbe a qualsiasi privato il potere
di bloccare l'attività legislativa mediante la proposizione di ricorsi. In
riferimento alla esistenza di tariffe espressione di un unico saggio di
interesse su tutto il territorio nazionale, si rileva che "il saggio di
interesse di riferimento è stato determinato in misura (per solito 1% annuo) di
gran lunga inferiore al praticato e che non sono individuabili saggi di
interesse differenziati per comune o per provincia".
5.1. - Con due
identiche ordinanze, emesse il 10 novembre 1993 (R.O. n. 31 del 1994 e R.O. n.
33 del 1994) - sui ricorsi proposti, l'uno, dall'Associazione della proprietà
edilizia di Perugia e da Mantellini Gino e, l'altro, da Amati Carlo, per
l'annullamento delle deliberazioni con cui è stata determinata la misura della
aliquota dell'imposta comunale sugli immobili, per l'anno 1993 e successivi,
nel Comune di Perugia e, per l'anno 1993, nel Comune di Terni - il Tribunale
amministrativo regionale dell'Umbria ha sollevato questione di legittimità
costituzionale dell'art. 2, primo comma, della legge 24 marzo 1993, n. 75 e, in
via derivata, dell'art. 5, primo, secondo e quarto comma, del decreto
legislativo 30 dicembre 1992, n. 504; dell'art. 4 della legge 23 ottobre 1992,
n. 421 e del Capo I (artt. 1-18) del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n.
504, in riferimento agli artt. 3, 24, 53, 55, 70, 77, 92, 97, 101, 102, 104,
108 e 113 della Costituzione, "nei termini precisati in motivazione".
Nella parte motiva, il giudice a quo, ritenuto il carattere pregiudiziale delle
questioni di legittimità costituzionale, rispetto a quella della legittimità o
meno della delibera comunale determinativa dell'aliquota dell'ICI, sostiene che
non sia manifestamente infondata - in riferimento agli artt. 24, 55 e segg., 92
e segg., 97 e segg., 101, 102, 103, 104, 108 e segg. e 113 della Costituzione -
la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, primo comma, seconda
parte, della legge n. 75 del 1993 e, in via derivata, dell'art. 5, primo,
secondo e quarto comma, del decreto legislativo n. 504 del 1992, che avrebbero
prevaricato il diritto di difesa dei cittadini, nonché le prerogative del
potere giurisdizionale, attraverso il ripristino di decreti ministeriali
annullati. Del pari, non manifestamente infondata sarebbe la questione di
legittimità costituzionale delle disposizioni stesse, in riferimento agli artt.
3, 55 e segg., 70 e segg. e 97 della Costituzione per aver prevaricato le
prerogative di autotutela della pubblica amministrazione, alla quale esclusivamente
spetta il potere-dovere di riesaminare i propri atti, allo scopo di renderli
conformi a legge. Ancor più pregnante e significativa, in riferimento agli
artt. 3, 42, terzo comma, e 53 della Costituzione, sarebbe, ad avviso del
remittente, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 4 della legge
n. 421 del 1992 e dell'intero Capo I (artt. 1-18) del decreto legislativo n.
504 del 1992, per l'istituzione di un'imposta comunale sugli immobili basata su
valori di redditività astratti e rivalutabili sulla base di parametri non
pertinenti e non attendibili calcolati non sul solo effettivo andamento del
mercato locativo, ma, altresì, sull'andamento del mercato immobiliare (ai sensi
dell'art. 2 del decreto-legge n. 16 del 1993), sicché l'imposta viene a gravare
sul patrimonio immobiliare lordo del contribuente, anziché sul reddito
effettivamente ritraibile dal medesimo. L'imposta, in violazione dell'art. 3
della Costituzione, discriminerebbe illegittimamente i contribuenti, a seconda
che siano o meno proprietari di immobili, senza tener conto di altre possibili
espressioni di ricchezza. Inoltre, non attribuendo rilievo significativo agli
oneri e alle passività che gravano sul patrimonio immobiliare, essa
illegittimamente si attesterebbe, con riferimento all'art. 42, terzo comma,
della Costituzione, sullo stesso piano degli istituti ablatori; infine, essa
contrasterebbe con il principio della capacità contributiva, "squilibrando
la stessa capacità di contribuzione a tutto danno del contribuente proprietario
di immobili, senza considerazione alcuna in ordine alla pressione tributaria
specifica che già opprime tali cespiti". È prevista, infatti, una aliquota
a misura unica, applicabile sulla medesima base imponibile già gravata
dall'aliquota progressiva dell'IRPEF, ovvero dall'aliquota proporzionale
dell'IRPEG, senza alcun beneficio di detrazione dall'IRPEF (o dall'IRPEG)
medesima, così come già previsto per l'ILOR. Tutto ciò, secondo il Tribunale
amministrativo regionale remittente, non è sminuito dall'intervento del
decreto-legge n. 16 del 1993, giacché - come è stato evidenziato nell'ordinanza
4 agosto 1993 della Commissione tributaria di primo grado di Piacenza (R.O. n.
628 del 1993) e nell'ordinanza 13 maggio 1993 della Commissione tributaria di
secondo grado di Venezia (R.O. n. 656 del 1993) - tale disciplina (con
forzature di scelta anche nei confronti del libero dibattito parlamentare) dà
corso all'imposizione secondo criteri che incidono sul patrimonio e che sanano
l'attività di prelievo fiscale già operata, ma, ponendosi in contrasto con gli
artt. 70, 77, 101, 102, 104 e segg. della Costituzione, viola il principio
della divisione dei poteri.
5.2. - In entrambi
i giudizi di fronte alla Corte è intervenuto il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, chiedendo che le
questioni siano dichiarate inammissibili o infondate. Con due identiche
memorie, l'Avvocatura dello Stato sostiene in primo luogo l'irrilevanza della
questione di legittimità costituzionale, in quanto al Tribunale amministrativo
regionale compete, quanto all'ICI, "la giurisdizione solo sull'altezza
dell'aliquota in misura superiore a quella minima di legge", restando,
invece, estranea "ogni questione concernente la base imponibile e, in genere,
l'obbligazione tributaria". Nel merito, l'Avvocatura deduce l'infondatezza
della censura relativa alla violazione del principio della separazione dei
poteri, con argomentazioni analoghe a quelle di cui alle memorie relative alle
ordinanze delle Commissioni tributarie di cui si è già fatto menzione. In
ordine alla prevaricazione delle prerogative di autotutela
dell'amministrazione, si sostiene che non vi è alcun ostacolo alla traduzione
in norma di legge di un atto amministrativo, essendo la stessa amministrazione
soggetta alla legge. Inoltre, il sistema di determinazione del reddito dei
fabbricati basato sul valore di mercato degli immobili non si porrebbe in
contrasto con l'art. 53 della Costituzione, in quanto al valore di mercato è
stato applicato un bassissimo saggio di interesse. La memoria, così come quella
depositata per il giudizio di cui al R.O. n. 656 del 1993, ricorda, inoltre,
che le nuove tariffe hanno lasciato indenni molte situazioni meritevoli di
considerazione. Riguardo all'imposta comunale sugli immobili, l'Avvocatura
sostiene che l'art. 53 della Costituzione non vieta la istituzione di imposte
di tipo patrimoniale, mentre rientra nelle scelte del legislatore, non impedite
da principi costituzionali, l'esclusione delle somme corrisposte per l'ICI
dalla deduzione dell'imponibile IRPEF o IRPEG.
5.3. - Nel giudizio
iscritto al n. 31 del 1993 del registro ordinanze si sono costituiti
l'Associazione della proprietà edilizia di Perugia e il Sig. Mantellini, la cui
difesa ha presentato una memoria, simile, nella prima parte, a quella
presentata dalla parte privata nel giudizio introdotto con l'ordinanza della
Commissione tributaria di primo grado di Piacenza (R.O. n. 628 del 1993).
Si sostiene, al
riguardo: - che l'art. 2 del decreto-legge n. 16 del 1993 tende ad incidere
retroattivamente su situazioni sub judice; - che la stessa norma intende ridare
efficacia ad un atto amministrativo illegittimo e già annullato; - che in base
al principio del giusto procedimento "è da escludere che la legge possa
disporre nei casi singoli del contenuto e degli effetti degli atti
amministrativi". Soffermandosi sulla dedotta incostituzionalità della
normativa sull'ICI, la memoria osserva, poi, che l'art. 5 del decreto
legislativo n. 504 del 1992 prevede coefficienti di capitalizzazione
elevatissimi e vincolanti, comportando l'introduzione di una presunzione
assoluta, in contrasto con gli artt. 3 e 53 della Costituzione, giacché in un
elevato numero di casi il prelievo sarebbe destinato a gravare su un imponibile
assai superiore al valore effettivo del bene, senza che all'interessato sia
offerta la possibilità di dimostrare che tali valori superano il valore venale
dell'unità immobiliare. Inoltre, le norme sull'ICI - in specie l'art. 5, terzo
comma, del decreto legislativo n. 504 del 1992 - appaiono irrazionali ed
arbitrarie, contrastando perciò con gli artt. 3 e 53 della Costituzione, sia
perché sottopongono all'imposta anche gli impianti ed i macchinari posseduti da
imprese, cioè beni soggetti ad un intenso logorio, senza che sia introdotto
alcun correttivo, sia per le modalità previste per la rivalutazione del costo
storico degli immobili industriali. La mancata previsione della rilevanza delle
passività che gravano l'immobile, ai fini della determinazione della base
imponibile, costituirebbe ulteriore violazione dell'art. 53 della Costituzione.
Il mancato esonero della prima casa si configurerebbe altresì come mancato
esonero del minimo vitale, con effetto ablatorio, a fronte del quale sarebbe
insufficiente la detrazione prevista dall'art. 15 della legge n. 537 del 1993.
L'effetto ablatorio dell'imposta deriverebbe anche dall'aliquota assai elevata,
nonché dalla indetraibilità dall'imponibile IRPEF o IRPEG. Le imposte
patrimoniali, infatti, sono conformi al dettato costituzionale solo se possono
essere pagate con il reddito, in quanto, diversamente, impongono l'alienazione
del bene e assumono carattere espropriativo, intaccando le fonti produttive a
disposizione del privato, in violazione dell'art. 53, inteso alla luce
dell'art. 42, della Costituzione. Rilevato, inoltre, che la struttura
complessiva dell'imposta personale e dell'ICI, combinandosi con il divieto di
detrazione, sfocia nell'espropriazione dell'intero reddito, si lamenta, infine,
l'incostituzionalità dell'art. 12 del decreto legislativo n. 504, relativo alla
riscossione coattiva dell'imposta.
5.4. - Anche il
Comune di Perugia si è costituito nel giudizio iscritto al n. 31 del 1994 del
registro ordinanze, sostenendo che la questione relativa all'art. 2, primo
comma, seconda parte, della legge 24 marzo 1993, n. 75, sarebbe inammissibile,
in quanto dal suo accoglimento non discenderebbe la dichiarazione di
illegittimità "in via derivata" dell'art. 5 del decreto legislativo
sull'ICI. La stessa sarebbe comunque infondata, nel merito, non potendosi
opporre al legislatore una riserva di amministrazione, e conseguentemente di
giurisdizione, né risultando pregiudicato il diritto di difesa. Quanto alla
disciplina dell'ICI, secondo la memoria, l'introduzione del parametro del
valore del fabbricato razionalizzerebbe il sistema di determinazione del
reddito medio ordinario, ove si consideri che lo stesso esprime l'attitudine
del bene a produrre reddito. Circa il rilievo relativo alla tassazione del
patrimonio immobiliare lordo, da questo non potrebbe discendere la
illegittimità dell'intero Capo I (artt. 1-18) del decreto legislativo n. 504
del 1992. Premesso che la questione andrebbe rimessa al Tribunale
amministrativo regionale per una migliore specificazione o che, in alternativa,
dovrebbe essere dichiarata inammissibile, si osserva comunque che il valore
dell'immobile è determinato sulla base del reddito lordo diminuito delle spese
di riparazione e manutenzione e di ogni altra spesa necessaria a produrlo.
Rilevato che il patrimonio ben può essere considerato sintomo di capacità
contributiva, la memoria ritiene di escludere anche il contrasto con l'art. 3
della Costituzione, rientrando nella discrezionalità del legislatore la scelta
di alcune situazioni, anziché di altre, come indicative di capacità
contributiva, ed apparendo l'imposta ragionevole, anche in virtù del carattere
di generalità. Il tributo non avrebbe poi carattere ablatorio, ove si tenga
conto della mitezza delle aliquote e del reddito catastale preso in considerazione,
mentre l'art. 15 della legge n. 537 del 1993 delineerebbe in modo ancora più
netto l'intento del legislatore (di cui agli artt. 8 e 17 del decreto
legislativo n. 504 del 1992) di attenuare l'imposizione, in particolare quando
il bene sia adibito all'uso del contribuente.
5.5. -
Nell'imminenza dell'udienza, la difesa della Associazione della proprietà
edilizia e di Mantellini Gino ha depositato due ulteriori memorie. La prima, in
replica alle memorie dell'Avvocatura dello Stato e del Comune di Perugia,
ricorda, in particolare, che nel frattempo è intervenuta la sentenza del
Consiglio di Stato sugli atti amministrativi annullati dal Tribunale
amministrativo regionale del Lazio, onde è ormai inoppugnabile che la
disposizione di legge qui contestata abbia come scopo ed effetto di ridare
efficacia a detti atti, con illegittima interferenza sull'esercizio della
funzione giurisdizionale ed indebita commistione fra attività legislativa ed
attività amministrativa. La seconda memoria, soffermandosi specificamente sulla
disciplina dell'ICI, deduce che appare irrazionale e contrastante con i
principi di uguaglianza e di capacità contributiva la scelta del legislatore di
istituire una imposta patrimoniale ordinaria, avente ad oggetto i soli
immobili, per di più senza considerare i debiti che ineriscono ai cespiti cui
si riferisce. La memoria si sofferma criticamente su vari aspetti della
disciplina dell'ICI relativi ai coefficienti di capitalizzazione
"elevatissimi e vincolanti"; all'impossibilità per il contribuente di
dimostrare che il valore scaturente dalla capitalizzazione delle nuove rendite
catastali è di gran lunga superiore al valore venale; alla mancanza di
correttivi riguardanti l'esistenza di regimi vincolistici di determinazione del
canone; ai criteri di valutazione dei fabbricati classificati nel gruppo D;
agli indici fissati per la rivalutazione del costo storico degli immobili
industriali; all'inadeguatezza dell'esonero accordato al c.d. minimo vitale e
all'omessa considerazione della composizione del nucleo familiare del soggetto;
ai criteri di tassazione degli immobili inagibili; alla previsione di
un'aliquota elevata (tra 4 e 7%) e al divieto di detrazione dell'ICI
dall'imposta personale; al mancato esonero degli opifici utilizzati direttamente
dai piccoli imprenditori commerciali; alla disciplina della riscossione delle
somme liquidate dal comune per imposte, sanzioni e interessi.
5.6. - Anche il
Comune di Perugia ha depositato un'ulteriore memoria, nella quale, ribadite le
considerazioni già svolte sulla irrilevanza e sulla infondatezza delle
questioni sollevate dal Tribunale amministrativo regionale dell'Umbria, si
osserva che con la legge n. 75 del 1993 il legislatore ha utilizzato una
tecnica normativa particolare per dettare la disciplina relativa alla
determinazione degli estimi catastali. Quanto alla norma istitutiva dell'ICI,
poiché la commissione censuaria centrale ha adottato saggi di interesse
bassissimi per la determinazione della rendita, il valore degli immobili non
può che essere determinato adottando i moltiplicatori previsti per legge,
precisando che i valori hanno carattere vincolante non perché derivino da una
presunzione assoluta, ma perché individuati sulla base di criteri di calcolo
fissati dal legislatore. Dedotta l'infondatezza di quanto assunto dalle parti
private a proposito dei beni di impresa, si osserva, quanto alla mancata
deduzione delle passività, che ogni acquisto a titolo oneroso esige una spesa
che viene compensata dall'entrata del valore dell'immobile acquistato.
Rilevato, poi, che ai fini del minimo vitale occorre valutare l'insieme
dell'importo che il soggetto è chiamato a pagare, si osserva, quanto
all'effetto ablatorio dell'ICI, che esso non deriva da quest'ultima, bensì dal
cumulo di più imposte.
6.1. - Con ordinanza
emessa in data 20 novembre 1993 (R.O. n. 118 del 1994), la Commissione
tributaria di secondo grado di Perugia - nel corso del giudizio di appello
promosso dall'U.T.E. di Perugia avverso varie decisioni della Commissione
tributaria di primo grado di Perugia, emesse nei confronti di Sebastiani Bruno
ed altri - ha sollevato, in relazione agli artt. 3, 24, 53, 102, 103 e 104
della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 del
decreto-legge n. 16 del 1993, convertito in legge 24 marzo 1993, n. 75.
Il remittente
sostiene che la disposizione in esame viola: - gli artt. 102, primo comma, 103,
primo comma, e 104, primo comma, della Costituzione, in quanto, facendo
rivivere, sia pure per un periodo di tempo limitato, le disposizioni annullate
con la sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio n. 1184 del
1992, darebbe luogo ad uno straripamento del potere legislativo nel campo
riservato al potere giudiziario; - gli artt. 3 e 53 della Costituzione,
"non essendo conforme né al principio della capacità contributiva, né a
quello della progressività, la tassazione delle rendite immobiliari, su una
ipotesi di fruttuosità del capitale dell'immobile determinato in base a criteri
di tipo patrimoniale"; - gli artt. 3, 24 e 53 della Costituzione,
ripristinando una forma di solve et repete.
6.2. - Nel giudizio
è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall'Avvocatura dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata
inammissibile o infondata. Si rileva nella memoria che il Consiglio di Stato,
pronunziandosi su uno degli appelli avverso le decisioni rese dal Tribunale
amministrativo regionale del Lazio, ha affermato che, essendo stato il
contenuto dei decreti ministeriali annullati trasfuso in disposizioni
legislative, sarebbe venuto meno l'interesse a ricorrere. Ciò testimonierebbe
la inesistenza di un giudicato su cui avrebbe inciso la norma impugnata, mentre
"appare indubbio che il legislatore può recepire il contenuto di un atto
amministrativo, conferendo, così, ad esso il valore di legge". Si osserva,
poi, che la retroattività al 1 gennaio 1992 non è prevista per le tariffe e le
rendite determinate a seguito della revisione generale che avrà effetto dal 1
gennaio 1995, ma è circoscritta alle tariffe e alle rendite modificate con
l'intervento del decreto legislativo n. 568 del 1993. In ordine alla violazione
degli artt. 3 e 53 della Costituzione, si nega la lesione del principio di
uguaglianza, attesa la generale applicazione delle tariffe in questione. Circa
la capacità contributiva, si afferma che rientra nella discrezionalità del
legislatore assumere determinate situazioni, e non altre, come indicative della
capacità contributiva, né ha rilevanza, ai fini della progressività del sistema
impositivo, la determinazione della base imponibile dei fabbricati effettuata
sulla base delle tariffe d'estimo e delle rendite in questione. Sarebbe,
infine, del tutto inconferente il riferimento alla introduzione del principio
del solve et repete, in quanto la norma impugnata non pone alcun limite al
diritto di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti.
7. - Per tutti i
giudizi, l'Avvocatura dello Stato ha presentato, in prossimità dell'udienza,
una ulteriore memoria, nella quale, nel ribadire le argomentazioni già svolte,
si osserva: - quanto al decreto-legge n. 16 del 1993, che è "del tutto
normale che l'atto annullato, perché la materia in esso contenuta richiedeva la
forma di norme aventi rango legislativo, sia stato legificato non in contrasto,
ma in conformità al giudicato"; - la questione di incostituzionalità
dell'ICI nel suo complesso e nei singoli aspetti è inammissibile, perché
"riguarda esclusivamente il rapporto di imposta di diritto soggettivo ed
esula totalmente da quanto è oggetto del giudizio principale innanzi al
Tribunale amministrativo regionale"; - così come è sollevata dalle
ordinanze del Tribunale amministrativo regionale dell'Umbria, la questione si
pone in termini astratti ed accademici, senza nessun nesso con controversie
concrete, ma, soprattutto, assume il contenuto di una discussione de futuro,
dal momento che l'ICI ha cominciato a manifestare i suoi effetti nel 1993,
mentre i ricorsi al Tribunale amministrativo regionale sono anteriori; - la non
deducibilità dell'ICI dall'IRPEF non viola alcun precetto costituzionale;
comunque, l'eccezione non riguarderebbe la disciplina dell'ICI, bensì quella
dell'IRPEF o dell'IRPEG; - una serie di censure si rinvengono nella memoria di
parte, ma non nelle ordinanze del Tribunale amministrativo regionale, quali
quelle relative alla misura elevata dei coefficienti di capitalizzazione del
reddito; alla necessità che il contribuente abbia il diritto di offrire la
prova di un valore venale inferiore; all'imposta su fabbricati posseduti da
imprese; al mancato rilievo delle passività; alla tassazione della casa
destinata ad abitazione principale; al fatto che l'imposta patrimoniale debba
essere concepita in modo da consentire il pagamento con il reddito derivante
dal patrimonio stesso; al procedimento previsto dall'art. 12 del decreto
legislativo n. 504 per la riscossione dell'imposta. Infine, si sostiene che
l'imposta non può essere sospettata di incostituzionalità solo perché
patrimoniale, mentre infondata, come è dato evincere anche dalla sentenza della
Corte costituzionale 23 maggio 1985, n. 159 (relativa alla SOCOF), è anche la
censura relativa alla non universalità dell'imposta che non colpisce i
patrimoni mobiliari.
Considerato
in diritto
1. - I giudizi di
cui in epigrafe, ponendo questioni identiche o quantomeno connesse, vanno
riuniti in rito per essere decisi con un'unica sentenza.
2.1. - Le ordinanze
delle varie commissioni tributarie di cui si è riferito in narrativa - e cioè
Commissione tributaria di primo grado di Piacenza (R.O. n. 628 del 1993),
Commissione tributaria di secondo grado di Venezia (R.O. n. 656 del 1993),
Commissione tributaria di primo grado di Rossano (R.O. n. 798 del 1993),
Commissione tributaria di primo grado di Piacenza (R.O. n. 5 del 1994),
Commissione tributaria di secondo grado di Perugia (R.O. n. 118 del 1994) -
chiamano la Corte a stabilire se l'art. 2 del decreto-legge 23 gennaio 1993, n.
16, convertito in legge 24 marzo 1993, n. 75, nella parte in cui ripristina,
sia pure in via transitoria, le disposizioni contenute nei decreti ministeriali
20 gennaio 1990 e 27 settembre 1991, relativi alla revisione delle tariffe di
estimo del catasto edilizio urbano, dichiarate illegittime dal giudice
amministrativo, violi gli artt. 3 e 53 della Costituzione, in quanto la tassazione
delle rendite immobiliari, fondata su una ipotesi di fruttuosità del valore
capitale di un immobile determinata con criteri di tipo patrimoniale,
apparirebbe in contrasto con i principi della capacità contributiva e della
progressività, palesando altresì la propria irrazionalità, come si evince dalla
circostanza che lo stesso criterio viene abbandonato per i periodi successivi
al 1994. Le medesime ordinanze di cui sopra, con esclusione di quella della
Commissione tributaria di primo grado di Piacenza (R.O. n. 5 del 1994),
denunciano le stesse norme per violazione degli artt. 3, 53 e 24 della
Costituzione, in quanto ripristinatorie di una forma di solve et repete,
differendo al periodo di imposta successivo all'entrata in vigore dei nuovi
estimi la possibilità da parte dei contribuenti di recuperare quanto
eventualmente pagato in più e il relativo contenzioso. 2.2. - Le ordinanze
predette sollevano le seguenti ulteriori questioni relative al già citato art.
2 del decreto-legge n. 16 del 1993, e cioè se esso:
a) configuri una
ipotesi di "straripamento" del potere legislativo nel campo riservato
istituzionalmente al potere giudiziario, con violazione degli artt. 102 e 103
della Costituzione, secondo quanto prospettato dalla Commissione tributaria di primo
grado di Piacenza, nella prima ordinanza di rimessione (R.O. n. 628 del 1993),
e dalla Commissione tributaria di primo grado di Rossano (R.O. n. 798 del
1993); con violazione degli artt. 102, 103 e 104 della Costituzione, secondo
quanto prospettato dalla Commissione tributaria di secondo grado di Perugia
(R.O. n. 118 del 1994); con violazione degli artt. 24, 101, 102 e 104 della
Costituzione, secondo quanto prospettato dalla Commissione tributaria di primo
grado di Piacenza nella seconda ordinanza di rimessione (R.O. n. 5 del 1994);
b) violi l'art. 77,
secondo comma, della Costituzione, in quanto la reiterazione dei decreti-legge
si sarebbe tradotta in una coartazione della volontà delle Camere, secondo
quanto prospettato dalla Commissione tributaria di secondo grado di Venezia
(R.O. n. 656 del 1993), che ritiene questo profilo assorbente della violazione
del principio della divisione dei poteri per l'evidente fine dell'art. 2 del
decreto-legge n. 16 del 1993 e della relativa legge di conversione di superare
l'annullamento della determinazione tariffaria discendente dalla sentenza del
Tribunale amministrativo regionale del Lazio, non senza invocare, sia pure nel
solo dispositivo dell'ordinanza, la violazione anche degli artt. 70, 101, 102 e
104; ovvero violi lo stesso art. 77, per mancanza dei presupposti di necessità
e urgenza del decreto-legge, secondo quanto prospettato dalla Commissione
tributaria di primo grado di Piacenza (R.O. n. 5 del 1994). 3.1. - Le due
ordinanze del Tribunale amministrativo regionale dell'Umbria (R.O. n. 31 e R.O.
n. 33 del 1994) pongono questioni che investono, anzitutto, l'art. 2, primo
comma, della legge 24 marzo 1993, n. 75, nella parte in cui prevede che
"fino al 31 dicembre 1993 resta fermo per i comuni e i contribuenti l'effetto
di cui al primo comma, terzo periodo, dell'art. 2 del citato decreto-legge n.
16 del 1993". Investono, altresì, l'art. 5, primo, secondo e quarto comma,
del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504. Secondo il Tribunale
amministrativo regionale dell'Umbria, le dette disposizioni contrastano, la
prima in via diretta e la seconda in via derivata, con:
a) gli artt. 24, 55
e segg., 92 e segg., 97 e segg., 101, 102, 103, 104, 108 e segg., e 113 della
Costituzione, ledendo il diritto di difesa dei cittadini e le prerogative del
potere giurisdizionale, in quanto legittimano, fino alla data del 31 dicembre
1993, un decreto ministeriale annullato e producono una "sanatoria con
efficacia retroattiva di una procedura amministrativa illegittimà; censura che,
ad avviso del Tribunale amministrativo regionale, "non è sminuita"
dall'intervento del decreto-legge n. 16 del 1993, il cui contrasto con gli
artt. 70, 77, 101, 102 e 104 e segg. della Costituzione è stato già evidenziato
nelle ordinanze di rimessione alla Corte di cui al R.O. n. 628 del 1993 e R.O.
n. 656 del 1993, per avere il Governo, da una parte, inciso sul patrimonio dei
proprietari e, dall'altra, operato precludendo le scelte che potevano scaturire
da un libero dibattito parlamentare;
b) gli artt. 3, 55
e segg., 70 e segg. e 97 della Costituzione, per avere il legislatore, con la
sanatoria di cui sopra, sia pure in via transitoria, leso le prerogative di
autotutela della pubblica amministrazione. 3.2. - Le medesime ordinanze del
Tribunale amministrativo regionale dell'Umbria chiedono, altresì, alla Corte di
stabilire se l'art. 4 della legge n. 421 del 1992 e il Capo I (artt. 1-18) del
decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, nell'istituire l'imposta comunale
sugli immobili, violino gli artt. 3, 42, terzo comma, e 53 della Costituzione,
per avere il legislatore concepito un'imposta sugli immobili basata su valori
di redditività assolutamente astratti e rivalutabili sulla base di parametri
non pertinenti e comunque non attendibili, venendo a colpire il patrimonio
immobiliare lordo del contribuente, anziché il reddito effettivamente
ritraibile dal medesimo; nonché contrastino con:
a) l'art. 3 della
Costituzione, discriminando illegittimamente i contribuenti, a seconda che
siano o meno proprietari di immobili, senza tener conto di altre possibili
espressioni di ricchezza;
b) l'art. 42, terzo
comma, della Costituzione, in quanto non attribuiscono rilievo significativo
agli oneri e alle passività che gravano sul patrimonio immobiliare, sicché
l'imposta illegittimamente si attesterebbe sullo stesso piano degli istituti
ablatori, "con l'ulteriore aggravante che la relativa disciplina non
concede ristoro alcuno, in termini di componenti negativi del reddito
tassabile";
c) l'art. 53 della
Costituzione, collidendo con il principio della capacità contributiva, in
quanto "viene squilibrata la stessa capacità di contribuzione a tutto
danno del contribuente proprietario di immobili, senza considerazione alcuna in
ordine alla pressione tributaria specifica che già opprime tali cespiti'; ciò
atteso che l'ICI prevede una aliquota a misura unica, applicabile sulla
medesima base imponibile già gravata dall'aliquota progressiva dell'IRPEF,
ovvero dall'aliquota proporzionale dell'IRPEG, senza alcun beneficio di detrazione
dall'IRPEF (o dall'IRPEG) medesima, così come previsto, a suo tempo, per
l'ILOR.
4. - Infine,
l'ordinanza della Commissione tributaria di primo grado di Rossano (R.O. n. 798
del 1993) solleva le seguenti ulteriori questioni: - se l'art. 1 del decreto-legge
9 agosto 1993, n. 287 e l'art. 1 del decreto-legge 9 ottobre 1993, n. 405 - nel
dare competenza esclusiva alla commissione censuaria centrale in tema di
revisione degli estimi, con esautoramento delle commissioni distrettuali e
provinciali ed esclusione dell'interpello dei comuni interessati - violino
l'art. 3 della Costituzione, "sotto il profilo del diverso trattamento
normativo riservato a situazioni del tutto analoghe tra loro"; - se le
stesse norme di cui sopra violino gli artt. 102 e 103 della Costituzione, in
quanto rimettono nei termini il Ministero delle finanze per inoltrare i ricorsi
presso la commissione censuaria centrale, modificando così il valore
sostanziale della res iudicata e ponendo in essere uno straripamento del potere
legislativo in un campo riservato al potere giudiziario.
5. - Nei giudizi di
cui sopra, l'Avvocatura dello Stato, oltre a contestare nel merito il
fondamento delle questioni sottoposte all'esame della Corte, ha dedotto
l'inammissibilità delle questioni sollevate da tre delle ordinanze menzionate,
sotto il profilo dell'inesistenza dei presupposti atti a dare ingresso al
giudizio di costituzionalità.
Più in particolare,
viene negata l'ammissibilità: a) delle questioni sollevate con l'ordinanza
della Commissione tributaria di secondo grado di Venezia (R.O. n. 656 del
1993), per mancanza del carattere di incidentalità, non essendo controverso un
rapporto di imposta e trattandosi, in ipotesi, di una impugnazione in via
principale di un atto avente forza di legge, cioè dell'art. 2 del decreto-legge
23 gennaio 1993, n. 16; b) della questione di costituzionalità dell'art. 2,
primo comma, della legge 24 marzo 1993, n. 75, e dell'art. 5, primo, secondo e
quarto comma, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, sollevata dal
Tribunale amministrativo regionale dell'Umbria, in quanto la stessa esulerebbe
dall'ambito di cognizione del giudice amministrativo e sarebbe comunque
irrilevante nel processo a quo, in quanto al Tribunale amministrativo regionale
spetterebbe, in tema di imposta comunale sugli immobili, "la giurisdizione
solo sull'altezza dell'aliquota, in misura superiore a quella minima di
legge". Quanto alla prima delle eccezioni, il giudice remittente, come
risulta dall'ordinanza, si è dato carico di esaminare il profilo della rituale
introduzione innanzi a sé del giudizio, individuandone l'oggetto nella lesione
diretta ed immediata delle situazioni soggettive dei ricorrenti, "in
quanto gli interessati non possono in alcun modo sottrarsi alla tariffazione
del loro immobile come operata dall'amministrazione". Tanto è sufficiente
perché il giudizio di costituzionalità possa ritenersi ritualmente introdotto,
in quanto il controllo della Corte costituzionale, ai fini dell'ammissibilità
della questione di legittimità ex art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, va
limitato all'adeguatezza delle motivazioni in ordine ai presupposti in base ai
quali il giudizio a quo possa dirsi concretamente ed effettivamente instaurato,
con un proprio oggetto, vale a dire un petitum, separato e distinto dalla
questione di legittimità costituzionale, sul quale il giudice remittente sia
chiamato a decidere. Quanto all'altra eccezione, con la quale si deduce
l'inammissibilità della questione per il fatto che essa esulerebbe dal thema
decidendum affidato al giudice amministrativo nella materia di cui trattasi,
giova ricordare, in linea generale, che, secondo il costante indirizzo della
Corte, il difetto di giurisdizione del giudice a quo, per comportare
l'irrilevanza della questione, deve risultare chiaramente dalla legge o
corrispondere ad un univoco orientamento giurisprudenziale, sì da rivestire il
carattere dell'evidenza. Nel giudizio pendente innanzi al Tribunale
amministrativo regionale dell'Umbria, nel quale è in discussione la legittimità
di un provvedimento amministrativo, vale a dire la delibera comunale
determinativa dell'aliquota dell'ICI, il controllo della Corte - una volta
accertata l'esistenza di un giudizio sulla legittimità di un atto della
pubblica amministrazione, e cioè dell'oggetto tipico del giudizio
amministrativo - non può implicare un sindacato circa l'iter logico seguito dal
giudice remittente per affermare la propria competenza a fronte della specifica
questione, ma deve limitarsi alla verifica di una ragionevole possibilità,
valutata a priori in limine litis, che la disposizione denunziata sia
applicabile ai fini della pronunzia da emettere nel giudizio stesso.
6. - Definite come
sopra le eccezioni pregiudiziali poste dalla difesa erariale, la Corte ritiene,
prima di passare al merito delle questioni di costituzionalità, e per delineare
un più chiaro quadro di riferimento, svolgere una breve puntualizzazione sulla
vicenda normativa della quale è chiamata ad occuparsi. L'esigenza
dell'aggiornamento del catasto edilizio urbano, resa manifesta dapprima con il
d.P.R. 29 settembre 1973, n. 604, e ribadita, da ultimo, dalla legge 30
dicembre 1989, n. 427, ebbe avvio con il decreto ministeriale 20 gennaio 1990,
che, nel dettare i criteri per la revisione del catasto, fece riferimento, per
la determinazione delle tariffe di estimo, nonché per le rendite catastali
delle unità immobiliari a destinazione speciale o particolare, al "valore
unitario di mercato ordinariamente ritraibile", determinato "come
media dei valori riscontrati nel biennio 1988-1989". All'esito delle
operazioni di revisione seguì il decreto ministeriale 27 settembre 1991 che
stabilì le tariffe di estimo per l'intero territorio nazionale, con effetto dal
1 gennaio 1992, in conformità ai criteri di cui al precedente decreto
ministeriale 20 gennaio 1990. I predetti provvedimenti formarono oggetto di
diverse sentenze del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, che li
dichiararono illegittimi per aver trasformato, in contrasto con il d.P.R. 1
dicembre 1949, n. 1142, da eccezionale a generale il criterio della
determinazione delle tariffe di estimo sulla base dell'interesse del capitale
fondiario, anziché sulla base del reddito virtualmente ritraibile,
trasformazione che non era consentito effettuare in via amministrativa. Dopo
l'annullamento dei predetti decreti, il Governo è intervenuto con una serie di
decreti-legge, l'ultimo dei quali è stato finalmente convertito in legge, e
cioè quello in data 23 gennaio 1993, n. 16, il cui art. 2 ha disposto - con
effetto dal 1 gennaio 1995 - una nuova revisione generale delle zone censuarie,
delle tariffe di estimo, delle rendite delle unità immobiliari urbane e dei
criteri di classamento, ad opera di un decreto ministeriale che, al fine di
determinare la redditività media ordinariamente ritraibile, faccia riferimento
al valore del mercato degli immobili e delle locazioni. Lo stesso art. 2 del
decreto-legge ha peraltro previsto, fino al 31 dicembre 1993, la permanenza in
vigore e quindi l'applicazione delle tariffe di estimo e delle rendite già
determinate in esecuzione del decreto 20 gennaio 1990 (art. 2, primo comma,
terzo periodo). A sua volta la legge 24 marzo 1993, n. 75, nel convertire il
decreto menzionato, ha aggiunto al predetto art. 2 i commi 1-bis, 1- ter e
1-quater, con i quali si è data facoltà ai comuni di ricorrere alle commissioni
censuarie provinciali e, in sede di appello, alla commissione censuaria
centrale "con riferimento alle tariffe di estimo e alle rendite vigenti ai
sensi del primo comma" del medesimo art. 2. Le tariffe d'estimo e le
rendite modificate in conseguenza di tali ricorsi, nonché quelle derivanti da
ulteriori modificazioni al fine di mantenere l'invarianza del gettito, recepite
in un apposito decreto legislativo, secondo quanto stabilito dall'art. 2 della
legge 24 marzo 1993, n. 75, si sarebbero applicate per l'anno 1994. Peraltro,
ai fini delle imposte dirette (salve alcune esclusioni), l'applicazione sarebbe
stata anticipata al 1 gennaio 1992 ove fossero risultate inferiori a quelle
stabilite col decreto ministeriale 27 settembre 1991. Di ciò i contribuenti
avrebbero tenuto conto nella dichiarazione dei redditi da presentare per il
1993, secondo criteri indicati sempre dal predetto art. 2 del decreto-legge 23
gennaio 1993, n. 16, peraltro modificati con decreto-legge 31 maggio 1994, n.
330. È venuta così a determinarsi una articolata e complessa disciplina non
priva di farraginosità, in spregio alla chiarezza dei rapporti fra fisco e
contribuenti, per effetto della quale:
a) dal 1995
dovrebbero entrare in vigore i nuovi estimi, in attuazione della prevista
revisione generale, che dovrebbe tener conto, ai fini della "redditività
media ordinariamente ritraibile", dei "valori del mercato degli
immobili e delle locazioni";
b) per il 1992-1993
è stata riconfermata l'applicabilità delle tariffe stabilite con il decreto
ministeriale 27 settembre 1991;
c) per il 1994, ma
con eventuale retroattività, in caso di maggior favore, si applicano le tariffe
eventualmente modificate - all'esito dei ricorsi previsti dai commi 1-bis, 1-
ter e 1-quater dell'art. 2 del decreto-legge n. 16 del 1993 - dall'apposito
provvedimento che la legge di conversione aveva previsto e che, nel frattempo,
risulta emanato, vale a dire il decreto legislativo 28 dicembre 1993, n. 568.
7.1. - Passando
all'esame del merito delle varie questioni di legittimità, non fondata è,
anzitutto, quella sollevata dalle varie Commissioni tributarie menzionate, le
quali lamentano la violazione, da parte dell'art. 2 del decreto-legge 23
gennaio 1993, n. 16, degli artt. 3 e 53 della Costituzione, deducendo, in
particolare, che la tassazione delle rendite immobiliari fondata su un'ipotesi
di fruttuosità di un immobile, determinata con criteri di tipo patrimoniale,
colliderebbe con il principio della capacità contributiva e della
progressività, evidenziando, altresì, profili di irrazionalità. Al riguardo va,
in primo luogo, rilevato che il riferimento al principio di progressività
appare inconferente, giacché tale principio si riferisce, come la giurisprudenza
costituzionale ha avuto occasione di precisare, al sistema tributario nel suo
complesso e non ai singoli tributi, dal momento che il principio stesso, se
inteso come crescita dell'aliquota correlata con l'ammontare del reddito, non
può che aver riguardo al rapporto diretto fra imposizione e reddito personale
complessivo del contribuente (sentenza n. 159 del 1985). Quanto agli altri
profili dedotti, la Corte osserva come, nella specie, il legislatore, con la
norma denunciata, rimane nell'ottica tipica del catasto, sistema che già a suo
tempo ha superato positivamente il vaglio di costituzionalità (sentenza n. 16
del 1965) e la cui finalità è quella di fissare in valori obiettivi,
rappresentati dalla c.d. rendita catastale, l'attitudine del bene a produrre
reddito. Nel caso della disposizione portata all'esame della Corte, il
procedimento seguito, anziché fondarsi sul tradizionale parametro del valore
locatizio, si basa sul valore di mercato del bene in sé, nell'implicito
presupposto, tratto dall'esperienza, di una connessione fra valore del bene e
idoneità dello stesso a produrre un reddito. Il criterio, presumibilmente
ispirato dalla constatazione di una scarsa attuale rappresentatività del
mercato delle locazioni in ordine alla potenziale capacità di produrre reddito
da parte del bene, in presenza di una contingente situazione legislativa quale
quella connessa al regime vincolistico degli alloggi, si discosta indubbiamente
da quello codificato nell'art. 15 del d.P.R. 1 dicembre 1949, n. 1142; questo
pone, infatti, a base del calcolo "il canone annuo di fitto,
ordinariamente ritraibile", salvo i casi, pure previsti per legge, in cui
un siffatto calcolo non sia possibile, vale a dire quando la locazione non
esista o abbia carattere d'eccezione (così l'art. 27 del medesimo d.P.R. n.
1142 del 1949). Ma tutto ciò non è sufficiente per dedurre la illegittimità
costituzionale del criterio seguito, per contrarietà al principio della
capacità contributiva, tanto più che ciò che viene qui in discussione non è la
disciplina di una specifica imposta, quanto un sistema come quello catastale,
volto a definire valori, i quali hanno la limitata funzione di fornire una base
di riferimento generale per l'applicazione delle singole imposte, secondo la
disciplina apprestata per ciascuna di esse dal legislatore, sicché sarà
piuttosto nell'ambito della regolamentazione delle singole imposte che si potrà
verificare il rispetto del predetto canone costituzionale. È pur vero che i
criteri di determinazione delle tariffe di estimo e delle rendite catastali,
ove non ispirati a principi di ragionevolezza, potrebbero, benché le tariffe e
le rendite non siano di per sé atti di imposizione tributaria, porre le
premesse per l'incostituzionalità delle singole imposte che su di essi si
fondino. Peraltro, nel momento in cui, per determinare tariffe di estimo e
rendite catastali, si abbandona il tradizionale ancoraggio al reddito
ritraibile e si privilegia il valore di mercato del bene, si opera una scelta
procedimentale alla quale non è logicamente estraneo il rischio di
determinazione di rendite catastali tali da superare per la loro misura il
reddito effettivo, sicché imposte ordinarie, che a tali rendite si rifacessero,
porterebbero ad una sostanziale progressiva erosione del bene. Ma, a parte il
fatto che, al di là di generiche doglianze di non razionalità, le ordinanze non
prospettano profili idonei a concretamente evidenziare una incongruità dei
criteri di determinazione dei valori adottati nella norma denunciata rispetto
al fine che con essi si è inteso perseguire, è importante rilevare la
transitorietà della disciplina denunciata, peraltro ripetutamente sottolineata
anche dalle ordinanze di rimessione e superata, a partire dal 1995, dai nuovi
criteri indicati dal legislatore, e cioè il valore di mercato insieme al valore
locativo, nei quali si è evidentemente tenuto conto della più recente
evoluzione legislativa che tende, come è noto, a superare il regime
vincolistico delle locazioni. 7.2. - Del pari infondata è la doglianza relativa
alla pretesa reintroduzione della regola del solve et repete, in violazione
degli artt. 3, 53 e 24 della Costituzione. In realtà le ordinanze muovono da
una erronea premessa interpretativa dell'ultima parte dell'art. 2 del
decreto-legge n. 16 del 1993, assumendo che detta norma preveda che, ove gli
estimi catastali, determinati con decreto ministeriale, secondo i criteri
previsti a decorrere dal 1995, risultino inferiori a quelli già vigenti per gli
anni precedenti, il contribuente possa tenerne conto ai fini della imposta
personale che dovrà essere pagata a partire dal 1992. Come già rilevato,
nell'illustrare, nelle sue linee generali, il quadro normativo discendente
dall'art. 2 del decreto-legge n. 16 del 1993 e dalla relativa legge di
conversione n. 75 del 1993, il raffronto va fatto non fra le tariffe di estimo
di cui al decreto del Ministro delle finanze 27 settembre 1991 e quelle che
entreranno in vigore dal 1995, bensì fra quelle di cui al predetto decreto e
quelle risultanti all'esito dei ricorsi alle commissioni censuarie, proposti
dai comuni ai sensi dei commi 1-bis, 1- ter e 1-quater dello stesso art. 2. In
ogni caso, a parte l'erroneità della premessa interpretativa, la censura è
infondata, non essendo la situazione ipotizzata dalla disposizione impugnata in
alcun modo assimilabile a quelle che si ispirano al principio del solve et
repete, dichiarato a suo tempo incostituzionale (sentenza n. 21 del 1961),
riguardante, come è noto, l'imposizione dell'onere di pagamento di un tributo
quale presupposto indefettibile dell'esperibilità dell'azione giudiziaria
diretta a ottenere la tutela del diritto del contribuente, mediante
l'accertamento giudiziale dell'illegittimità del tributo stesso.
7.3. - Neppure
fondata è la doglianza concernente la violazione degli artt. 24, 101, 102, 103
e 104 della Costituzione, per il lamentato straripamento del potere legislativo
nel campo riservato al potere giudiziario. Il tema delle leggi, per lo più
interpretative o innovative con effetto retroattivo, che interagiscono con controversie
in corso, ha formato, come è noto, oggetto di ricorrente esame da parte della
giurisprudenza costituzionale, la quale ritiene che tali leggi non urtino, in
linea di principio, contro la Costituzione, né vulnerino le attribuzioni degli
organi giurisdizionali, a meno che non siano preordinate a vanificare i
giudicati, dovendosi tener conto che l'opera del legislatore si svolge su un
piano diverso da quello dell'opera interpretativa ed applicativa affidata al
giudice (sentenza n. 455 del 1992). D'altro canto, non può negarsi al
legislatore nemmeno la facoltà di disciplinare settori per i quali vi sia una
insufficiente copertura legislativa, come talora la Corte ha avuto occasione di
precisare (sentenza n. 356 del 1993). Nel caso di specie, per negare fondamento
alla proposta censura, appare decisiva la considerazione che a ben vedere il
legislatore, più che a vanificare pronunzie giudiziali, ha provveduto a dare
fondamento legislativo a criteri che il giudice amministrativo aveva
considerato illegittimi proprio perché enunciati in un decreto ministeriale, in
contrasto con le norme sul catasto, sovraordinate in quanto contenute in un
regolamento governativo.
7.4. -
Inammissibile è poi la questione che l'ordinanza della già menzionata
Commissione tributaria di primo grado di Piacenza (R.O. n. 5 del 1994) solleva
in ordine al medesimo art. 2 del decreto-legge n. 16 del 1993, deducendo che
sarebbero mancati i presupposti della necessità e dell'urgenza, per
l'emanazione dello stesso. Come più volte affermato da questa Corte,
intervenuta la conversione, perdono rilievo e non possono trovare ingresso nel
giudizio di costituzionalità le censure di illegittimità dedotte con riguardo
ai limiti dei poteri del Governo nell'adozione dei decreti-legge. Quanto, poi,
al rilievo che la ripetuta reiterazione del decreto-legge avrebbe coartato, in
violazione dell'art. 77, secondo comma, della Costituzione la libera
espressione della volontà delle Camere, secondo quanto sostenuto dalla
Commissione tributaria di secondo grado di Venezia, trattasi di notazione
espressiva di null'altro che di un mero punto di vista, come tale inidonea ad
attivare lo scrutinio di costituzionalità e che quindi non può che mettere capo
ad una pronuncia di inammissibilità. Come ad una pronuncia di inammissibilità
non possono che mettere capo i profili sollevati nella stessa ordinanza,
richiamando, nel solo dispositivo, gli artt. 70, 101, 102 e 104 della
Costituzione, senza addurre alcun cenno di motivazione.
8. - Quanto alle
questioni prospettate dal Tribunale amministrativo regionale dell'Umbria, vanno
anzitutto esaminate quelle che investono l'art. 2, primo comma, della legge 24
marzo 1993, n. 75 e, in via derivata l'art. 5, primo, secondo e quarto comma,
del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, per violazione degli artt. 3,
24, 55 e segg., 70 e segg., 92 e segg., 97 e segg., 101, 102, 103, 104, 108 e
segg. e 113 della Costituzione. Poiché, l'art. 2 della legge n. 75 del 1993,
nella parte in cui forma oggetto di censura, dispone che "fino al 31
dicembre 1993, resta fermo per i comuni e i contribuenti l'effetto di cui al
primo comma, terzo periodo," del decreto-legge n. 16 del 1993, ne consegue
che, sia pure nella diversità delle disposizioni investite, la sostanza delle
questioni portate all'esame della Corte corrisponde a quella di cui alle
ordinanze delle già ricordate Commissioni tributarie, segnatamente nella parte
in cui si lamenta la lesione del diritto di difesa dei cittadini e delle
prerogative del potere giurisdizionale. A ciò si aggiunge l'ulteriore profilo
attinente alla denunciata lesione delle prerogative di autotutela della
pubblica amministrazione. La Corte sarebbe portata a dubitare della corretta
proposizione di una questione di costituzionalità, quando il giudice
remittente, come nella specie, invochi a sostegno di essa parametri
puntualmente indicati, ma faccia, al tempo stesso, generico richiamo a quelli
che ad essi seguono, per di più senza adeguatamente ed analiticamente motivare
in ordine a ciascuno dei parametri che si assumono violati. Ad ogni modo,
valgono le considerazioni già svolte, nel senso che, nella specie, il
legislatore ha provveduto a dare fondamento legislativo a criteri che il
giudice amministrativo aveva considerato illegittimi, proprio perché enunciati
in un decreto ministeriale che contrastava con la disciplina del catasto
contenuta nel d.P.R. 1 dicembre 1949, n. 1142. Tutto ciò, se da una parte vale
ad escludere, come già precisato, una illegittima interferenza nell'esercizio
della funzione del giudice, non consente nemmeno di scorgere una lesione dei
poteri di autotutela della pubblica amministrazione, in quanto nel caso di
specie il legislatore è intervenuto a sanare situazioni derivanti proprio
dall'accertata inidoneità dello strumento amministrativo a realizzare una
determinata disciplina. Fermo quanto detto, non è comunque configurabile un
profilo di illegittimità derivata nell'art. 5 del decreto legislativo n. 504
del 1992, rispetto all'art. 2 della legge n. 75 del 1993, posto che la prima
norma, anche per essere cronologicamente anteriore, non fa, né in alcun modo
potrebbe fare, rinvio ai criteri enunciati nella seconda, ma si limita, nel
definire la base imponibile per l'imposta comunale sugli immobili, a richiamare
le rendite risultanti in catasto, da rivalutare "periodicamente in base a
parametri che tengono conto dell'effettivo andamento del mercato
immobiliare", ma senza qualificare la relativa fonte.
9. - Il Tribunale
amministrativo regionale dell'Umbria dubita, poi, della legittimità costituzionale
dell'art. 4 della legge n. 421 del 1992 e del Capo I (artt. 1-18) del decreto
legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, per violazione degli artt. 3, 42, terzo
comma, e 53 della Costituzione.
La lesione di tali
parametri viene prospettata sotto molteplici profili, attinenti all'incidenza
dell'imposta sul patrimonio immobiliare lordo anziché sul reddito, alla
discriminazione fra contribuenti, a seconda che siano o meno proprietari di
immobili, alla mancata considerazione degli oneri e passività nonché della
pressione tributaria specifica che già grava sugli immobili stessi. A proposito
del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, occorre osservare che la
denuncia proposta, la quale investe il Capo I (artt. 1-18) nella sua totalità,
si risolve sostanzialmente nella censura dell'intero complesso normativo
riguardante l'istituzione e la disciplina, nei suoi aspetti sostanziali e
procedimentali, dell'imposta comunale sugli immobili. Nei termini in cui viene
proposta, la questione è da dichiarare inammissibile, in quanto le disposizioni
del testo impugnato hanno oggetti eterogenei, fra i quali non è dato ravvisare
quella reciproca, intima connessione che consente, secondo la giurisprudenza di
questa Corte, di introdurre validamente un giudizio di legittimità costituzionale
quando questo ha ad oggetto un intero testo legislativo. Né possono valere a
superare un siffatto rilievo le puntuali censure prospettate dalla difesa delle
parti private, in quanto, secondo costante giurisprudenza, la Corte deve
esaminare le questioni nei limiti in cui esse sono state precisate nelle
ordinanze di rinvio (da ultimo, ordinanza n. 469 del 1992). Per la stessa
ragione è da considerare inammissibile la questione di costituzionalità in
quanto riferita all'art. 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421 - disposizione
dalla quale trae fondamento la delega a suo tempo conferita al Governo per la
istituzione dell'ICI - e che si compone di molteplici proposizioni normative,
in riferimento a ben diciannove principi e criteri direttivi. Quanto, infine,
ai rilievi che le due ordinanze svolgono in ordine all' art. 2 del
decreto-legge n. 16 del 1993, per violazione degli artt. 70, 77, 101, 102, 104
e segg. della Costituzione - senza sollevare, almeno a quanto risulta
dall'articolazione espositiva delle ordinanze medesime, specifica questione di
costituzionalità - possono valere le argomentazioni svolte a proposito delle
questioni sollevate con le ordinanze della Commissione tributaria di primo
grado di Piacenza (R.O. n. 628 del 1993) e della Commissione tributaria di
secondo grado di Venezia (R.O. n. 656 del 1993), alle cui prospettazioni il
giudice amministrativo remittente fa del resto rinvio.
10. - Inammissibile
è, infine, la questione sollevata dalla Commissione tributaria di primo grado
di Rossano nei confronti dell'art. 1 del decreto-legge 9 agosto 1993, n. 287 e
dell'art. 1 del decreto-legge 9 ottobre 1993, n. 405, in riferimento agli artt.
3, 102 e 103 della Costituzione. Anzitutto, il primo di essi non è stato
convertito in legge, anche se i suoi effetti sono stati fatti salvi dalla legge
10 novembre 1993, n. 457, di conversione del successivo decreto-legge n. 405
del 1993. In ogni caso, i due decreti-legge riguardano le procedure di ricorso
previste dai commi 1- bis e 1- ter del decreto-legge n. 16 del 1993, per la
contestazione degli estimi fra comuni e amministrazione finanziaria, destinate
a concludersi con le pronunzie poi recepite con il decreto legislativo n. 568
del 28 dicembre 1993. Le norme denunziate dispongono, in particolare, che i
ricorsi non decisi per mancata costituzione delle commissioni censuarie alla
data di entrata in vigore del decreto stesso si intendono accolti, fissando, a
decorrere da questa medesima data, un termine di trenta giorni per i ricorsi,
da parte dell'amministrazione, alla commissione censuaria centrale. Poiché nel
giudizio pendente innanzi alla Commissione tributaria di primo grado di Rossano
si discute delle rendite catastali, quali derivanti dagli estimi di cui al
decreto ministeriale 27 settembre 1991, assunti a contenuto dell'art. 2 del
decreto-legge n. 16 del 1993, risulta estranea al thema decidendum ogni questione attinente alle procedure di ricorso
di cui sopra, peraltro non ancora definite all'epoca dell'ordinanza di
rimessione.
per
questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
Riuniti i giudizi:
1) dichiara non
fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 del
decreto-legge 23 gennaio 1993, n. 16 (Disposizioni in materia di imposte sui
redditi, sui trasferimenti di immobili di civile abitazione, di termini per la
definizione agevolata delle situazioni e pendenze tributarie, per la
soppressione della ritenuta sugli interessi, premi ed altri frutti derivanti da
depositi e conti correnti interbancari, nonché altre disposizioni tributarie), convertito
in legge 24 marzo 1993, n. 75, sollevata con le ordinanze della Commissione
tributaria di primo grado di Piacenza (R.O. n. 628 del 1993), in riferimento
agli artt. 3, 24, 53, 102 e 103 della Costituzione; della Commissione
tributaria di secondo grado di Venezia (R.O. n. 656 del 1993), in riferimento
agli artt. 24, 3 e 53 della Costituzione; della Commissione tributaria di primo
grado di Rossano (R.O. n. 798 del 1993), in riferimento agli artt. 3, 24, 53,
102 e 103 della Costituzione; della Commissione tributaria di primo grado di
Piacenza (R.O. n. 5 del 1994), in riferimento agli artt. 3, 24, 53, 101, 102 e
104 della Costituzione; della Commissione tributaria di secondo grado di
Perugia (R.O. n. 118 del 1994), in riferimento agli artt. 3, 24, 53, 102, 103 e
104 della Costituzione;
2) dichiara
inammissibile la questione di legittimità costituzionale del medesimo art. 2
del decreto-legge 23 gennaio 1993, n. 16, sollevata con la ordinanza della
Commissione tributaria di secondo grado di Venezia (R.O. n. 656 del 1993), in
riferimento all'art. 77, secondo comma, della Costituzione, e con la ordinanza
della Commissione tributaria di primo grado di Piacenza (R.O. n. 5 del 1994),
in riferimento all'art. 77 della Costituzione;
3) dichiara
inammissibile la questione di legittimità costituzionale del medesimo art. 2
del decreto-legge 23 gennaio 1993, n. 16, sollevata con la ordinanza della
Commissione tributaria di secondo grado di Venezia (R.O. n. 656 del 1993), in
riferimento agli artt. 70, 101, 102 e 104 della Costituzione;
4) dichiara non
fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, primo comma,
della legge 24 marzo 1993, n. 75 (Conversione in legge, con modificazioni, del
decreto-legge 23 gennaio 1993, n. 16, recante disposizioni in materia di
imposte sui redditi, sui trasferimenti di immobili di civile abitazione, di
termini per la definizione agevolata delle situazioni e pendenze tributarie,
per la soppressione della ritenuta sugli interessi, premi ed altri frutti
derivanti da depositi e conti correnti interbancari, nonché altre disposizioni
tributarie) e dell'art. 5, primo, secondo e quarto comma, del decreto
legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 (Riordino della finanza degli enti
territoriali, a norma dell'art. 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421),
sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, 55 e segg., 70 e segg., 92 e segg.,
97 e segg., 101, 102, 103, 104, 108 e segg. e 113 della Costituzione, dal
Tribunale amministrativo regionale dell'Umbria, con due ordinanze in data 10
novembre 1993 (R.O. n. 31 del 1994 e R.O. n. 33 del 1994);
5) dichiara
inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 4 della
legge 23 ottobre 1992, n. 421 (Delega al Governo per la razionalizzazione e la
revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego, di
previdenza e di finanza territoriale) e del Capo I (artt. 1-18) del decreto
legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 (Riordino della finanza degli enti
territoriali, a norma dell'art. 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), sollevata,
in riferimento agli artt. 3, 42, terzo comma, e 53 della Costituzione, con le
menzionate ordinanze del predetto Tribunale amministrativo regionale
dell'Umbria;
6) dichiara
inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1 del decreto-legge
9 agosto 1993, n. 287 (Disposizioni urgenti in materia di ricorsi alle
commissioni censuarie relativi alle tariffe d'estimo e alle rendite delle unità
immobiliari urbane, nonché alla delimitazione delle zone censuarie) e 1 del
decreto-legge 9 ottobre 1993, n. 405 (Disposizioni urgenti in materia di
ricorsi alle commissioni censuarie relativi alle tariffe d'estimo e alle
rendite delle unità immobiliari urbane, nonché alla delimitazione delle zone
censuarie), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 102 e 103 della
Costituzione, dalla Commissione tributaria di primo grado di Rossano, con la
menzionata ordinanza.
Così deciso in
Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta il 20
giugno 1994.
Il Presidente: CASAVOLA
Il redattore: VARI
Il cancelliere: DI PAOLA
Depositata in cancelleria il 24 giugno 1994.
Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
L’ufficio, qualora ritenga che sussistano le cause di
perdita del diritto al discarico di cui al citato articolo 19, comma 2,
notifica apposito atto all’agente della riscossione, il quale, nei successivi
trenta giorni, può produrre le proprie osservazioni in merito. Decorso tale
termine il discarico è ammesso o rifiutato con provvedimento a carattere
definitivo.
In
caso di diniego del discarico, l’agente deve versare all’ente creditore una
somma pari ad un quarto dell'importo iscritto a ruolo ed alla totalità delle
spese, se rimborsate dall'ente creditore, maggiorata degli interessi legali
decorrenti dal termine ultimo previsto per la notifica della cartella. Entro
novanta giorni dalla notificazione del provvedimento, l’agente può definire la
controversia con il pagamento di metà dell'importo come sopra dovuto o, in
alternativa, ricorrere alla Corte dei conti.
Si ricorda che le dichiarazioni di variazione possono riguardare
la persona del proprietario o del possessore dei beni nonché la persona che
gode di diritti reali sui beni stessi, ovvero lo stato dei beni, per quanto
riguarda la consistenza e l'attribuzione della categoria e della classe
catastale.
|